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Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Date post: 12-Jun-2015
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Questa tesi costituisce un’analisi ed una valutazione del progetto “Bologna. Città che cambia”, un percorso partecipativo avviato nel 2005 dal Comune di Bologna, riguardante la pianificazione urbanistica di medio periodo della città. L’analisi si fonda sulle conoscenze derivate dagli studi sulla democrazia deliberativa e sulla piu' ampia democrazia partecipativa, riguardo cui sono offerti cenni introduttivi nella prima parte dell'elaborato.
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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE Corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale Elaborato in Politiche dell’Ambiente DELIBERAZIONE PUBBLICA E PARTECIPAZIONE : IL CASO DI BOLOGNA Candidato Relatore Davide Piga Rodolfo Lewanski Sessione: marzo 2007 Anno accademico 2005/2006 1
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Page 1: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale

Elaborato in Politiche dell’Ambiente

DELIBERAZIONE PUBBLICA E PARTECIPAZIONE: IL CASO DI BOLOGNA

Candidato Relatore

Davide Piga Rodolfo Lewanski

Sessione: marzo 2007

Anno accademico 2005/2006

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Indice:

Introduzione...............................................................................................................7

1. La democrazia deliberativa....................................................................................9

2. Analisi di un processo deliberativo: criteri e parametri .....................................18

3. Politiche locali e partecipazione...........................................................................20

4. “Bologna. Città che cambia”: PSC e PGTU partecipati.......................................22

5. “Una città in movimento”: il forum sul PGTU....................................................24

6. Conclusioni: valutare un processo deliberativo...................................................39

Bibliografia/Sitografia..............................................................................................43

Allegati.....................................................................................................................45

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“C’è un nuovo fenomeno che trasformerà il mondo, ed è il governo dell’opinione

pubblica.” James Bryce, 1888

“Potete discutere quanto volete, tanto poi è il Comune che decide.” Maurizio Zamboni, Assessore alla Mobilità del Comune di Bologna, 2005

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INTRODUZIONE

Questa tesi costituisce un’analisi ed una valutazione del progetto “Bologna. Città

che cambia”, un percorso partecipativo avviato nel 2005 dal Comune di Bologna,

riguardante la pianificazione urbanistica della città. L’analisi si fonda sulle

conoscenze derivate dagli studi sulla democrazia deliberativa, che costituiscono la

base teorica di riferimento per progetti di questa natura e della quale cominceremo

col fornire una breve ma essenziale descrizione nella prima parte dell’elaborato.

Successivamente, verrà fatto un necessario accenno ai due strumenti di

pianificazione intorno ai quali è stato costruito il processo deliberativo qui

analizzato: il Piano Strutturale Comunale (pianificazione urbanistica) e il Piano

Generale del Traffico Urbano (pianificazione dei trasporti), d’ora in poi

rispettivamente “PSC” e “PGTU”. Nella terza ed ultima parte di questo lavoro

entreremo nel merito dell’analisi, prendendo come caso di studio il processo di

coinvolgimento degli attori sociali in relazione alla mobilità, che costituisce la

seconda fase di “Bologna. Città che cambia”, ovvero quella riguardante la stesura

del PGTU. Cercheremo infine di sintetizzare i risultati ottenuti, collocando

l’esperienza all’interno di una scala di valutazione della partecipazione, che tenga

conto dei vari elementi che concorrono a determinare il livello effettivo di influenza

del processo partecipativo nella determinazione delle scelte finali.

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1. LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA

Siamo noi stessi a prendere direttamente le decisioni o

almeno a ragionare come si conviene sulle circostanze

politiche: non riteniamo nocivo il discutere all’agire, ma

il non portare alla luce attraverso il dibattito tutti i

particolari possibili di un’operazione, prima di

intraprenderla.

Pericle

La democrazia deliberativa, chiamata anche deliberazione pubblica, è un tema

presente negli studi dei sistemi politici da circa tre decenni. L’argomento principale

di questo filone di studi è che la politica non riguardi solo il potere, ridotto al

conteggio dei voti o alla negoziazione tra attori aventi preferenze predeterminate e

fisse, ma che fare politica significhi o dovrebbe significare deliberare, ovvero

decidere attraverso un processo dialogico in cui le posizioni espresse siano

argomentate in maniera razionale (Bächtiger e Steiner 2005).

Gli obiettivi di fondo dell’approccio deliberativo nei confronti delle decisioni

pubbliche sono, dunque, da un lato trovare un consenso ragionato circa la validità

delle decisioni finali, attraverso la cosiddetta “coercizione non coercitiva

dell’argomento migliore” (Habermas 1986), dall’altro promuovere la

partecipazione dei cittadini al processo decisionale riguardante le politiche

pubbliche, favorendo l’empowerment della cittadinanza, ovvero l’effettiva capacità

di incidere sui processi decisionali.

Presupposto a questo secondo obiettivo è il principio di legittimità, concetto legato

a quello di rappresentatività. La prima questione che si deve affrontare quando si

apre un processo decisionale di tipo inclusivo è infatti definire chi coinvolgere. Tale

scelta è resa necessaria dall’impossibilità pratica di invitare al tavolo deliberativo

un’intera comunità, sia questa una città, un paese o anche solo un quartiere. È

perciò necessario anteporre al processo deliberativo una selezione dei partecipanti

atta a formare un microcosmo rappresentativo della comunità di riferimento, di

modo che possano essere espresse le posizioni e le preferenze di tutti coloro che

saranno coinvolti negli effetti che la decisione andrà a produrre.

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La democrazia deliberativa costituisce un filone di studi della teoria democratica

piuttosto giovane. La sua origine è legata alla moderna crisi delle istituzioni e della

prassi democratica tradizionale, ovvero al fatto che le tradizionali istituzioni

democratiche si trovano oggi ad affrontare problematiche nuove e più complesse, di

fronte alle quali faticano a trovare soluzioni efficaci.

Un chiaro esempio di questo fenomeno riguarda la gestione dei conflitti ambientali:

“I canali tradizionalmente disponibili nell’armamentario dei sistemi politici

democratici appaiono infatti inadeguati ad affrontare in maniera efficace le

situazioni di conflitto ambientale. Il compito della magistratura, cui gli interessi

coinvolti fanno talvolta ricorso, consiste nell’applicazione di norme, non nella

disanima di questioni sostantive aventi complessi risvolti tecnici, scientifici,

ambientali ed economici. Forme di democrazia diretta quali i referendum

presentano le questioni in termini forzatamente dicotomici, inadeguati a cogliere la

complessità delle questioni sul tappeto e soprattutto a individuare soluzioni

soddisfacenti per i diversi interessi in gioco e per la società nel suo complesso. Le

procedure amministrative di consultazione come le udienze pubbliche […] sono

spesso troppo formalizzate per essere utili, o diventano occasioni per amplificare le

proprie posizioni di fronte ai media, piuttosto che per individuare soluzioni alle

questioni. Prendendo atto di ciò, in molti paesi si è avviata da tempo la ricerca di

approcci innovativi.” (Lewanski 2007)

Il modo tipico di gestire i conflitti ambientali consiste in una dinamica ben nota

agli studiosi di partecipazione, che costituisce la cosiddetta sindrome DAD,

(Decisione – Annuncio – Difesa):

a. l’Amministrazione promotrice prende la sua decisione al chiuso

con i suoi esperti e i sui tecnici;

b. soltanto alla fine, quando la scelta appare solida, argomentata e

documentata, la annuncia al pubblico;

c. a quel punto, si apre un vero e proprio assalto alla diligenza e

l’Amministrazione proponente sarà costretta a difendere la scelta

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compiuta con le unghie e con i denti, senza avere la possibilità di

migliorarla (se non marginalmente) o di metterla in discussione

(Bobbio 2004).

La sindrome DAD è un fenomeno che produce lo stallo, l’immobilità, il muro

contro muro, ed è dunque all’origine della perdita di fiducia dei cittadini nei

confronti delle istituzioni e della distruzione del capitale sociale.

Vale dunque la pena di riflettere se non sia possibile affrontare tali conflitti secondo

modalità che non risultino solo più democratiche, ma anche più efficaci e capaci di

generare scelte condivise.

Una soluzione che ha avuto un certo rilievo nella pratica delle Amministrazioni

locali è il coinvolgimento degli stakeholder, ovvero “coloro che hanno (hold) un

interesse specifico sulla posta in gioco (stake), anche se non dispongono

necessariamente di un potere formale di decisione o di un’esplicita competenza

giuridica” (Bobbio 2004).

Tale affermazione chiama però in gioco una distinzione fondamentale, ovvero

quella tra associazioni portatrici di interessi diffusi e stakeholder (ad esempio

sindacati, esponenti di imprese e associazioni di categoria), che oltre ad essere

portatori di interessi particolari hanno tendenzialmente un potere negoziale

maggiore rispetto alle prime. La scelta di coinvolgere nel processo decisionale

soltanto gli stakeholder comporta quindi il rischio di indebolire la capacità

deliberativa del dibattito, favorendo l’imposizione di dinamiche negoziali a scapito

di un approccio realmente dialogico (vedi p.10, tab.1).

Anche la scelta di estendere il coinvolgimento ad associazioni e comitati portatori

di interessi diffusi appare in qualche misura limitata, in quanto i leader dei gruppi

possono avere da un lato un rapporto debole e precario con i cittadini che

dovrebbero rappresentare e dall’altro tendono a essere portatori di logiche auto-

referenziali, lasciando spesso fuori gli interessi di categorie sociali non organizzate

e quindi potenzialmente sotto-rappresentate, quali ad esempio quelle di immigrati,

giovani o anziani di un certo ambito territoriale.

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Tabella 1: Differenze tra approccio negoziale e dialogico nei processi decisionali.

NEGOZIAZIONE Criterio DIALOGO

La cooperazione in atto nel

processo negoziale è un

mezzo per perseguire i propri

obiettivi.

Atteggiamento strategico.

Atteggiamento

nei confronti

dell’altro

La cooperazione è un fine in sé stessa.

Affermazione e

legittimazione dei propri

interessi.

Obiettivo Ricerca del consenso ragionato.

Promesse e minacce.

Scambio.Strumenti

Uso non strategico di argomentazioni.

Reciprocità.

L’incertezza è percepita come

negativa e la sua gestione

viene limitata alle preferenze

degli attori (complessità

politica). Il resto è dato,

perciò non si entra nel

merito.

Gli attori affermano opinioni

e posizioni, senza tuttavia

modificare la struttura delle

proprie preferenze.

Gestione

dell’incertezza

L’incertezza viene percepita come un

bene comune, fonte di apprendimento.

Aprire scatole nere, sviscerare questioni

aiuta a capire meglio la natura dei

problemi (sense-making). Di conseguenza

tutto può essere messo in discussione

(complessità cognitiva) intorno ai punti

focali esistenti, ovvero ai caratteri salienti

della questione affrontata su cui tutti gli

attori sono concordi.

Si formano opinioni, attraverso un

processo di apprendimento generativo:

nell’interazione ha un ruolo chiave la

“capacità negativa” dei partecipanti,

ovvero la loro disposizione

all’apprendimento, l’apertura delle

proprie mappe cognitive, il disinteresse

per la ricerca immediata di “fatti” e

“ragioni” che rassicurino e annullino la

tendenza motivazionale.

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La migliore soluzione praticabile è dunque quella di includere nel processo il più

ampio spettro di interessi e punti di vista legati alla questione sul tappeto,

coinvolgendo anche cittadini non organizzati. Se l’insieme risulta sufficientemente

vario e eterogeneo potremo avere la ragionevole speranza che nessun aspetto

rilevante sarà trascurato.

Un vantaggio intrinseco di tale approccio risiede inoltre nella maggiore stabilità di

politiche pubbliche definite in maniera inclusiva e consensuale, sia nel senso che i

cittadini sono maggiormente disposti ad accettare disposizioni che essi stessi

abbiano contribuito a definire, sia che una decisione ponderata su molteplici e

differenti punti di vista è anche qualitativamente migliore di una decisione affrettata

e superficiale.

L’approccio deliberativo è dunque un ipotesi complessa, dispendiosa e difficile da

realizzare, riguardo a cui assume una posizione centrale la selezione dei

partecipanti, una fase che come vedremo non va data per scontata, in quanto è

possibile (e nel nostro caso è avvenuto) che l’Amministrazione scelga di non

considerare necessaria la formazione di un microcosmo rappresentativo, affidandosi

piuttosto alla partecipazione volontaria dei cittadini (vedi Par.5.1).

La sola presenza al processo deliberativo non basta però a garantire un’effettiva

partecipazione di tutte le voci rilevanti sulla materia trattata dal dibattito. Un

esempio negativo in questo senso è la forma assembleare, in cui la scarsa

strutturazione del processo decisionale inibisce lo svolgimento di un confronto

approfondito ed efficace e rende possibile eludere la necessità di trasformare le

preferenze in argomentazioni. Quando la cornice istituzionale è vaga e precaria la

legittimazione ne risente, in quanto il discorso pubblico è facilmente manipolabile,

anche in buona fede.

Gli studi sulle dinamiche di gruppo evidenziano infatti almeno un paio di sindromi

in questo senso: le “minoranze agguerrite”, cioè piccoli gruppi di individui più

attivi che tendono a monopolizzare il dibattito ed orientare l’opinione generale, e la

“polarizzazione di gruppo”, ovvero la tendenza a spostarsi su posizioni estreme,

favorendo atteggiamenti litigiosi piuttosto che cooperativi (Pellizzoni 2005).

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Viceversa, approcci partecipativi strutturati consentono di costruire una visione

articolata e rappresentativa delle questioni e posizioni in campo rispetto alle

questioni affrontate.

Appare dunque fondamentale, nell’ottica di promuovere un processo decisionale

volto ad ottenere un consenso ragionato, la creazione di un contesto che induca i

partecipanti a seguire specifiche regole condivise di comportamento che vincolino

gli interlocutori a giustificare le loro opinioni e posizioni facendo riferimento

all’interesse pubblico, di modo che sia loro impedito, ad esempio, il perseguimento

di interessi egoistici, l’espressione di pregiudizi o l’uso delle minacce. La qualità

dell’interazione dipende dunque anche dalla struttura del contesto (il setting) entro

cui il dibattito si svolge. Una cornice ben definita non pregiudica il contenuto delle

scelte, ma è fondamentale per mettere i partecipanti nella condizione di attuare un

confronto che sia produttivo e le cui conclusioni possano essere considerate

legittime.

Il setting può dunque essere definito un “sistema di regole che prescrivono,

proibiscono e consentono” (Pellizzoni 2005). Esso serve a definire i luoghi fisici e

normativi dove avverrà il confronto, rendendo pertanto possibile l’organizzazione

di una cooperazione efficiente, in cui i costi di transazione siano ridotti al minimo.

E’ inoltre importante sottolineare il fatto che la prospettiva istituzionale focalizza

l’attenzione dei partecipanti sulla logica sottostante a tale regolazione; questo

significa che la forma del setting ha un intrinseco legame di senso col tipo di

interazione che si instaurerà tra partecipanti all’istituzione stessa. Diventa dunque

vitale stabilire regole condivise, espressione di principi che siano in accordo e che

promuovano lo spirito del processo deliberativo.

Un obiettivo della deliberazione pubblica è dunque il riavvicinamento tra i cittadini

e le Amministrazioni, in un contesto dove da un lato si ha un progressivo

“scollamento” tra questi soggetti e quindi un allontanamento dei cittadini dalle

proprie responsabilità sociali, e dall’altro l’imporsi sulla scena politica di

problematiche nuove e complesse, che richiedono all’opposto un coinvolgimento

più attivo da parte dei cittadini e dunque una maggiore capacità da parte delle

Amministrazioni di gestione e valorizzazione del capitale sociale.

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Una sfida importante che le Amministrazioni locali si trovano oggi ad affrontare è

proprio favorire e valorizzare questo coinvolgimento, ed è per rispondere a

quest’esigenza che sono state sviluppate numerose tecniche che possono essere

ricondotte alla democrazia deliberativa e che mirano a sviluppare, nelle parole di

uno dei suoi maggiori esponenti, “un’istituzione che dica ai politici cosa il pubblico

penserebbe se davvero pensasse e se avesse a disposizione informazioni corrette in

merito alle varie questioni” (Fishkin 2004).

Tale definizione richiama due problemi con cui l’azione pubblica deve fare i conti e

che aiutano a spiegare come l’approccio deliberativo possa essere d’aiuto. Tali

problemi sono strettamente connessi tra loro, in quanto fanno entrambi riferimento

alla dimensione informativa: la caratteristica “miopia” delle amministrazioni

pubbliche e la “ignoranza razionale” che caratterizza l’opinione pubblica, ovvero da

un lato la difficoltà di ascolto e di interpretazione delle amministrazioni pubbliche

nei confronti dell’opinione pubblica, e dall’altro il fatto che, tradizionalmente, nella

democrazia prevale l’espressione della volontà popolare, a prescindere dalla sua

competenza e razionalità. Di conseguenza:

«l’opinione pubblica, nelle sue ordinarie manifestazioni non è illuminata né

equilibrata. Non è deliberativa perché il suo corretto funzionamento è

costantemente inficiato da problematiche di vario genere. Prima fra tutte,

l’“ignoranza razionale”: se la mia voce è destinata a perdersi tra milioni di altre

voci, quale incentivo avrò a svolgere al meglio il mio ruolo di cittadino?» (Fishkin

2004)

A entrambi i problemi si contrappone la rilevanza teorica e pedagogica dei processi

di deliberazione pubblica:

«Frequentemente i decisori hanno grandi difficoltà nell’interpretare

correttamente la volontà del pubblico nei confronti delle politiche pubbliche. Gli

attori pubblici possono avere informazioni anche piuttosto dettagliate dai lobbisti e

dagli attivisti, ma raramente la volontà di questi ultimi combacia con quella della

maggior parte dell’elettorato. I sondaggi pubblici possono dire qualcosa di

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interessante sulle opinioni di un campione rappresentativo, ma queste opinioni

sono temporanee e basate su una condizione di informazione scarsa. Le procedure

deliberative possono migliorare la trasmissione di informazioni dal basso verso

l’alto e permettere a coloro cui è rimandata la decisione di ascoltare una voce più

informata e consapevole. Contemporaneamente esperienze di questo tipo possono

contribuire a un miglioramento della percezione da parte dei cittadini dei termini

del o dei problemi posti. Discussione e potenziamento del processo informativo

permettono a temi spesso guardati con superficialità dal pubblico di essere

affrontati in tutta la loro complessità e analizzati da più prospettive.»

(Pellizzoni 2005)

Oltre a quella informativa c’è però un’ultima fondamentale dimensione di cui

occorre tenere conto quando si parla di democrazia deliberativa: l’influenza del

processo deliberativo nella determinazione delle scelte finali. In altre parole, se

vogliamo che i cittadini recuperino il senso della propria responsabilità politica,

dobbiamo metterli in condizione di vedere i frutti dei propri sforzi. In termini

deliberativi, dunque, questo significa guardare alla rilevanza del “campo di scelta”,

ovvero la sussistenza e consistenza di un effettivo margine decisionale, la reale

possibilità di cambiare qualcosa attraverso la discussione, contrapposta a situazioni

in cui le discussioni si svolgano in contesti rigidi, dove le decisioni siano di fatto

già state prese (la già citata sindrome DAD). Una questione essenziale da cui

dipende la fiducia dei cittadini nel processo deliberativo è perciò quella

dell’impegno che i decisori pubblici si assumono nel tener conto delle opinioni e

delle scelte che la cittadinanza ha espresso in sede deliberativa. Prescindere da

questo punto significa minare alla base il successo di un processo decisionale di

tipo inclusivo: chi mai intraprenderebbe una discussione sapendo che non verrà

ascoltato? Questa è probabilmente una delle sfide più complesse che la democrazia

deliberativa si trova ad affrontare, ovvero il rapporto che questa concezione di

democrazia assume con la tradizionale forma rappresentativa in cui, come abbiamo

già affermato, ciò che conta è la legittimazione ad imporsi che il decisore trae dal

voto e nient’altro.

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In sintesi, la democrazia deliberativa si pone come fine quello di elaborare contesti

strutturati che garantiscano quella che Habermas chiama la “situazione discorsiva

ideale” (Habermas 1986), in cui l’inclusione dei destinatari delle decisioni nel

processo decisionale e il dialogo riflessivo siano considerati mezzi necessari per

arrivare a decisioni legittime in società moderne, pluralistiche, frammentate e

complesse, migliorando la pratica democratica e la qualità delle politiche pubbliche,

rendendole più stabili in quanto basate su un consenso ragionato e informato.

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2. ANALISI DI UN PROCESSO DELIBERATIVO: CRITERI E PARAMETRI

Una volta definito cos’è un processo deliberativo, è opportuno sintetizzarne i

concetti principali, definendo i criteri su cui baseremo la nostra osservazione ed i

parametri che ne costituiranno lo schema analitico.

Esistono numerose tecniche che rientrano nella definizione di democrazia

deliberativa: citizen jury, planning cell, deliberative polling, bilancio partecipativo,

focus group e consensus conference sono solo alcuni dei principali modelli

deliberativi. Non rientra nei propositi di questo lavoro offrire una catalogazione e

una spiegazione esauriente di tutte le tipologie di deliberazione sperimentate fino ad

oggi, quello che invece riguarda la nostra analisi sono i punti che tutte queste

esperienze hanno in comune fra loro, ovvero gli elementi essenziali di un effettivo

processo deliberativo. Questi elementi possono essere pensati come tre criteri per

un processo deliberativo pienamente democratico (Carson 2005):

1. Influenza: la deliberazione dovrebbe avere la capacità di influenzare i

processi decisionali e le politiche pubbliche.

2. Inclusione: il processo deliberativo dovrebbe essere inclusivo dei diversi

valori e punti di vista presenti sul territorio, garantendo pari opportunità di

partecipazione per tutti.

3. Deliberazione: il processo deliberativo dovrebbe garantire un dialogo

aperto, l’accesso alle informazioni, il rispetto delle opinioni altrui, lo spazio

per comprendere e riformulare le questioni e tendere verso il consenso.

Tutti i metodi deliberativi di consultazione, per quanto diversi tra loro, dovrebbero

mirare a questi tre criteri. Pertanto il successo di un processo deliberativo può

essere misurato su di essi. Ognuno di questi elementi è un criterio necessario al

successo, e solo con la combinazione di tutti i tre elementi un processo deliberativo

può essere considerato pienamente democratico. Per esempio, un referendum può

essere estremamente influente (se prescritto dalla Costituzione o commissionato da

un decisore) e altamente rappresentativo o inclusivo, ma potrebbe essere inficiato

dall’incapacità di consentire ai partecipanti di confrontarsi con la complessità del

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tema cui si riferisce, a causa della limitatezza delle opzioni di scelta disponibili. In

questo senso il referendum può essere considerato carente in termini di potenziale

dialogico o capacità deliberativa.

Inoltre, questi tre criteri sono interdipendenti: ad esempio, senza un esplicito

collegamento tra la consultazione e l’influenza effettiva sulle decisioni finali, è

difficile far rientrare un’esperienza anche largamente inclusiva nella definizione di

deliberazione.

L’incrocio tra questi tre criteri costituisce dunque una buona base valutativa delle

modalità decisionali.

Riguardo invece ai parametri di riferimento intorno cui costruire l’analisi di un

processo deliberativo, richiamiamo qui i punti salienti che caratterizzano

l’approccio deliberativo già accennati precedentemente, ovvero quegli ambiti che la

democrazia deliberativa si pone di affrontare e dai quali dipendono da un lato le

difficoltà e dall’altro le opportunità che le Amministrazioni pubbliche si trovano

oggi ad affrontare. In sintesi: la selezione dei partecipanti, nell’ottica di formare un

microcosmo rappresentativo della comunità di riferimento; il setting (ovvero una

strutturazione del processo che renda quanto più efficiente il dibattito); il livello di

informazione dei partecipanti in merito agli argomenti del dibattito; il margine

decisionale disponibile (ovvero l’effettiva esistenza di questioni ancora da decidere,

contrapposta alla sindrome DAD); l’influenza della deliberazione pubblica sulle

scelte del decisore.

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3. POLITICHE LOCALI E PARTECIPAZIONE

L’approccio deliberativo nei processi decisionali è un tema che possiede ormai una

sensibile rilevanza nella pratica delle Amministrazioni locali. Il coinvolgimento

delle associazioni e dei cittadini è esplicitamente previsto in numerosi programmi

di riqualificazione urbana come i contratti di quartiere, e i piani di zona previsti

dalla legge quadro sulle politiche sociali si basano anch’essi su un approccio

inclusivo. Numerose sono le tecniche di deliberazione sperimentate in tutto il

mondo (alcune delle quali già citate nel capitolo precedente) nonostante la ricerca

empirica sistematica sulla deliberazione stia ancora muovendo i suoi primi passi.

Persino l’Unione Europea ha dato un fortissimo impulso in questa direzione: è

infatti difficile trovare un programma comunitario in cui non compaiano, con

grande rilievo, espressioni come partenariato, coinvolgimento dei cittadini,

partecipazione. La nascita dei processi decisionali inclusivi è dunque una delle più

importanti innovazioni introdotte nell’azione amministrativa.

E’ in questo contesto che si colloca un’importante innovazione riguardante l’Emilia

Romagna: la Legge Regionale 20/2000, che regola la “disciplina generale sulla

tutela e l’uso del territorio”. Tale legge comporta una svolta nell’ambito della

pianificazione urbanistica, perché oltre a introdurre procedure obbligatorie di

concertazione istituzionale, già di per sé inedite nel panorama legislativo inerente

all’urbanistica, invita le Amministrazioni locali a coinvolgere “le associazioni

economiche e sociali, chiamandole a concorrere alla definizione degli obiettivi e

delle scelte strategiche”1 riguardanti lo sviluppo urbanistico della città. Questo ci

riporta alla distinzione tra associazioni portatrici di interessi diffusi, stakeholder e

singoli cittadini già citata precedentemente: una questione importante a cui la legge

20/2000 non sembra fare troppo caso, promuovendo l’inclusione ma nel contempo

limitandola ai gruppi organizzati.

Tornando alle implicazioni di tale legge sulla pianificazione territoriale, è

opportuno inserire qui un accenno a quelli che sono i due strumenti di

pianificazione contemplati dal nostro caso di studi.

1 Legge Regionale 20/2000 dell’Emilia Romagna, Art. 14, par. 4.

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Page 21: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Il primo strumento è quello avente portata più ampia: il PSC. Esso costituisce lo

strumento di pianificazione urbanistica strutturale valido per il medio periodo

(vent’anni), con caratteristiche programmatiche, non prescrittive, deputato a

scegliere le linee principali per le localizzazioni insediative, le infrastrutture e le

caratteristiche ambientali, scelte che si traducono in previsioni determinanti

attraverso il Piano Operativo e il Regolamento Urbanistico Edilizio.

Al PSC sono subordinati altri piani di portata settoriale, che concentrano il loro

ambito attuativo a singole tematiche e periodi temporali più brevi del PSC (la cui

stesura precedente a quella del 2005/06 è avvenuta a Bologna nel 1985, sotto la

vecchia e più nota nomenclatura di “Piano Regolatore Generale”). Tra questi piani

settoriali ci interesseremo in particolare del PGTU, sull’elaborazione del quale è

concentrata questa analisi.

Come abbiamo visto, a Legge Regionale n.20/2000 dell’Emilia Romagna ha

introdotto un’attività di concertazione tra tutti i portatori di interesse, sin dall’avvio

dell’elaborazione del PSC, attraverso la Conferenza di Pianificazione [disciplinata

nello specifico all’art. 14 della L.R. n.20/00 e – in via generale – agli articoli 14 e

seguenti della legge n.241/90]. La Conferenza di Pianificazione è una fase

necessaria del processo di elaborazione del PSC e ha l'obiettivo di realizzare la

concertazione istituzionale tra le Amministrazioni interessate dall'esercizio delle

funzioni di pianificazione, attraverso l'integrazione delle diverse competenze e la

ricerca della condivisione degli obiettivi generali e delle scelte strategiche di piano.

Accanto a questa forma consultiva necessaria, la legge regionale prevede che il

Comune possa ampliare le forme di consultazione oltre quelle previste dalla legge.

E’ in questo contesto che nasce il progetto “Bologna. Città Che Cambia”, un forum

attivato per garantire l’informazione e la partecipazione urbanistica che

l’Amministrazione ha voluto promuovere, almeno nominalmente, “lungo l’intero

percorso di elaborazione del piano e sin dalle prime fasi di definizione degli

indirizzi”2.

2 “Piano Strutturale Comunale. Programma per la formazione del PSC condiviso e partecipato”, documento di sintesi dell’allegato alla Delibera

di Giunta P.G. n. 28014/05; p. 3.

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Page 22: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Figura 13: Cronologia fondamentale del percorso per l’elaborazione del PSC partecipato

3 “Bologna. Città che cambia” Documento finale del forum, Cap. 1, 29/11/2005.

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Page 23: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

4. “BOLOGNA. CITTÀ CHE CAMBIA”: PSC E PGTU PARTECIPATI

Il forum “Bologna. Città Che Cambia”, spazio di confronto con associazioni e

cittadini, nasce dunque dall’obiettivo di favorire una “partecipazione dal basso”,

come propugna lo stesso programma di mandato dell’Amministrazione.

Il percorso del forum cittadino ha preso avvio il 14 aprile 2005, con una prima fase

dedicata al futuro PSC e alle competenze specifiche dei vari strumenti di

pianificazione (quelli sovra-ordinati, come il Piano Territoriale di Coordinamento

Provinciale, e i futuri Piani come il PGTU, quello energetico e quello ambientale).

La prima fase si è conclusa il 15 dicembre 2005. In seguito l’Amministrazione, che

aveva assunto l’impegno di continuare i lavori su temi quali la mobilità, la qualità

urbana, la casa e la perequazione urbanistica, ha istituito un secondo forum che si

configurava come prosecuzione del forum “Bologna. Città che cambia”, ed è stato

avviato il 18 Giugno 2006. Dunque, di fatto, una seconda fase del progetto,

chiamata “Una città in movimento: percorso di partecipazione sul PGTU”, è stata

organizzata come ciclo di incontri strutturati sul modello deliberativo, ed è su

questa esperienza che si concentra la nostra analisi.

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Page 24: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Figura 24: Le tappe fondamentali del “Percorso di partecipazione sul PGTU”

4 “Una città in movimento. Percorso di partecipazione sul PGTU. Documento conclusivo”, p.6.

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Page 25: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

5. “UNA CITTÀ IN MOVIMENTO”: IL FORUM SUL PGTU

I lavori del forum cittadino “Percorso di partecipazione sul PGTU” si sono

articolati dal 28 giugno fino al 20 settembre, in due sessioni plenarie e tre incontri

tematici.

L’intenzione dichiarata dall’Amministrazione comunale riguardo a questi incontri

era quella di fornire la più ampia occasione di partecipazione sui temi scelti in un

arco di tempo molto ristretto, attraverso un itinerario ad incontri ravvicinati (a

giugno e luglio i primi due incontri ed a settembre il terzo) motivato

dall’Aministrazione con la necessità di evitare uno sfilacciamento della discussione

che, secondo l’Amministrazione, era invece risultato nella fase precedente del

forum sul PSC, prolungata per più mesi.

La scelta del periodo estivo non è però sembrata particolarmente favorevole in

termini di potenziale inclusivo: un percorso di partecipazione che si svolge a

cavallo delle ferie estive rischia di essere compromesso dal fatto che in quel

periodo una consistente parte della cittadinanza è fuori città e quindi non può o è

comunque disincentivata a partecipare.

Inoltre, l’impostazione di un percorso ad incontri ravvicinati, pur avendo una sua

propria ragione pratica, ha tuttavia suscitato in più occasioni critiche dai

partecipanti, in quanto la strutturazione in tempi serrati del processo e la durata

limitata dei singoli incontri non lasciava di fatto spazio e tempo per un confronto

significativo sulle questioni in agenda.

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Page 26: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Tabella 2: Date e temi dei tre incontri tematici del forum.

1. AMBIENTE13 luglio 2006

2. SICUREZZA20 luglio 2006

3. CIRCOLAZIONE6 settembre 2006

CRITICITA’(osservate epercepite)

- Polveri- Rumore- Occupazione Spazi con automobili- Uso del territorio

- pericoli per bici e pedoni- incidentalità- tutela categorie deboli(anziani/disabili/bimbi)

- Congestione- Mappatura archi e incroci critici- Incremento moto- Cantieri

SOLUZIONIPGTU

(attese e pianificate)

- Incremento del Trasporto Pubblico- Regolamentazione dell’uso dell’auto (accessi ZTL e T)- Isole ambientali epedonalizzazioni- Uso veicoli a minoreimpatto (incentiviconversione eregolamentazione merci)

- Percorsi sicuricasa/scuola- Gli accorgimenti per idisabili (barrierearchitettoniche, semafori etc…)- STARS

- Piste ciclabili collegate e sicure- Piano sosta (aree,parcheggi,tariffe)- Sistemi ITS (semaforiintelligenti, pannelli amessaggio variabile,preferenziazione)- Road Pricing- Le grandi opere previste e incorso di realizzazione

5.1 La selezione dei partecipanti

Il forum, così come si evince dal documento di presentazione del processo

partecipativo sul PGTU, era rivolto “principalmente alla società civile organizzata

(associazioni di categoria, ambientaliste e sociali, ordini professionali ed enti del

territorio) oltre che ai singoli cittadini”. Dunque rappresentanti delle istituzioni e

della società civile, portatori di interessi diffusi sul territorio, singoli cittadini.

Come accennato precedentemente, la scelta di chi coinvolgere nel processo

decisionale presenta tre alternative: stakeholder (interessi particolari), associazioni

e comitati (interessi diffusi), e singoli cittadini.

Riguardo al nostro caso di studio, la scelta dell’Amministrazione è sembrata

ricadere sul coinvolgimento preferenziale dei gruppi organizzati (come in effetti

richiesto dalla legge 20/2000), con possibilità di partecipazione volontaria anche

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Page 27: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

per cittadini non organizzati, ma solo in maniera residuale e senza microcosmo

rappresentativo. A tal riguardo va tuttavia evidenziata l’assenza di una adeguata

campagna di informazione sull’evento: a detta degli organizzatori stessi infatti

l’ultima pubblicità fatta al processo era quella sull’apertura del forum “Bologna.

Città che cambia”, risalente al 14 Aprile 2005, ovvero quasi un anno prima.

Le ricadute di questa carenza si sono fatte sentire durante gli incontri, come

testimoniano alcuni commenti fatti dagli stessi esponenti dell’Amministrazione, tra

cui l’Assessore alla mobilità Maurizio Zamboni:

«Tutti sono abilitati a partecipare. Ci sono organizzazioni che qui non vedo, ma che

avrei voluto vedere»

In sostanza non c’è stata alcuna selezione dei partecipanti. La formazione di un

microcosmo rappresentativo non è stata presa in considerazione

dall’Amministrazione, che ha preferito affidarsi al coinvolgimento dei gruppi

organizzati e solo residualmente a quello dei singoli cittadini. Questa scelta

comporta una disomogeneità del tavolo deliberativo dovuta, come abbiamo già

accennato, alla differenza di peso tra la voce di singoli cittadini, associazioni e

comitati e quella degli stakeholder, che hanno maggiore potere negoziale.

Nei fatti, il numero di adesioni raccolte appare molto limitato. L’elenco delle

associazioni e dei soggetti intervenuti attivamente nel dibattito con osservazioni nel

corso degli incontri e invio di documenti sul web, estratto dal documento

conclusivo del forum, è riportato di seguito (vedi tab.3).

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Page 28: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Tabella 3: I gruppi organizzati presenti al percorso di partecipazione sul PGTU

Categorie economiche, Enti e Ordini professionali

Regione Emilia Romagna; Provincia di Bologna; ARPA sezione provinciale di Bologna; Comune di Casalecchio di Reno; Soprintendenza per i beni architettonici e del paesaggio dell’Emilia Romagna; Ordine degli Ingegneri; Ordine dei Geologi della Regione Emilia Romagna; Collegio dei Periti Industriali Laureati della Provincia di Bologna; Collegio dei Geometri; TAV S.p.a.; Tecnicoop; Confesercenti di Bologna; ATC S.p.a.; S.R.M. Agenzia TPL; Confartigianato di Bologna; Enea; Collegio Costruttori Edili ed Imprenditori Affini della Provincia di Bologna; Finanziaria Bologna; Metropolitana S.p.a; Bologna Fiere; Lega delle Cooperative Bologna; CNA provinciale di Bologna; Ausl Città di Bologna; UIL Bologna; Università degli Studi di Bologna; Confcooperative di Bologna; Hera Bologna; C.A.I.R.E;. A.G.C.I. provinciale di Bologna; Ascom Bologna;Unipol S.p.a; Coop Nuovo Mondo; Policlinico S. Orsola; Coop Ansaloni; Autostazione Bologna.

Associazioni, sindacati e movimenti politici

Arci; WWF Bologna Metropolitana; Associazione sindacale piccoli proprietari immobiliari – ASPPI; Movimento Repubblicani europeo; CGIL Bologna; CISL Bologna; Comitato Nodo; Centro Antartide; DS Bologna; Comitati ESMOG; Unione sindacale italiana; Il Cerchio Verde; Rete Lilliput; Comitato Parco Funivia; Comitato Piazza Verdi; Airis SRL; Associazione Rinnovamento della Sinistra; Comitato Strada Maggiore e San Vitale; Associazione Segantini; VIVICALDERARA; Federmanager provincia di Bologna.

Una sola necessaria precisazione sui dati: questo elenco non rappresenta i soggetti

che erano presenti a tutti gli incontri, bensì un’aggregazione delle adesioni

all’insieme degli incontri che si sono tenuti. In altre parole: se è vero che tutti questi

soggetti (cinquantacinque) hanno partecipato al forum, è improbabile che ognuno di

essi abbia preso parte a tutti gli incontri, come è possibile evincere dai dati dei

singoli incontri, illustrati nella seguente tabella (rilevati dallo stesso documento e

riscontrati con quelli che ho raccolto personalmente).

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Page 29: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Tabella 4: I partecipanti all’incontro di apertura ed ai tre incontri tematici del forum sul PGTU.

INCONTRO D’APERTURA

PRIMO INCONTRO

SECONDO INCONTRO

TERZO INCONTRO

CITTADINI/E 13% 22% 18% 23%

ASSOCIAZIONI 20% 6% 8% 12%

COMITATI 6% 7% 4% 6%

SINDACATI/MOVIMENTI POLITICI

9% 7% 10% 12%

ENTI 32% 34% 35% 28%

SOC. PROFESSIONALI/ENTI CON FINALITÁ

20% 24% 25% 19%

TOTALE PARTECIPANTI 75 54 49 52

Il dato medio di partecipazione è stato di circa 60 persone per incontro. A questi

numeri vanno aggiunti quelli del forum web, che ha raccolto circa 290 interventi.

Una considerazione sui dati riguarda il significato dei numeri sulle presenze agli

incontri: tali valori riguardano la presenza cumulativa, ovvero il numero di soggetti

intervenuti dall’inizio alla fine dell’incontro. Non dicono perciò nulla

dell’andamento delle presenze lungo lo svolgersi del dibattito, riguardo al quale si

rimanda al paragrafo sui tempi (5.3).

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Page 30: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

5.2 Il setting: struttura e informazione

Il dialogo tra i partecipanti ha avuto luogo su piani differenti. Un primo livello

attraverso le due assemblee plenarie di apertura e chiusura del forum, che nelle

intenzioni dell’ Amministrazione sarebbero dovute servire a raccogliere e

confrontare le conoscenze e le informazioni a disposizione, e per indirizzare il

dibattito con nuove osservazioni e proposte sul futuro Piano. Una seconda modalità

d’interazione, invece, è avvenuta tramite incontri tematici settimanali aventi durata

di circa tre ore, che hanno privilegiato l’approfondimento e la discussione fra le

diverse voci. Inoltre è stato creato un apposito forum web, strumento di

partecipazione a distanza a disposizione di tutti i cittadini (quindi anche dei cittadini

che non erano presenti agli incontri tematici), moderato e arricchito di

documentazione e report dai tecnici dell’Amministrazione. Sono infine state

proposte alcune “biciclettate” lungo le piste ciclabili della città, come momento

parallelo di socializzazione.

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Page 31: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Figura 3: fotografia di un cartellone alla fine di un gruppo di lavoro.

Nei tre incontri tematici gli obiettivi del futuro PGTU, sintetizzati sui cartelloni e

sulle schede distribuite (vedi p.24 tab.2), hanno dunque costituito la traccia di

partenza del dibattito.

La piattaforma on-line del forum, nata per estendere la discussione oltre i momenti

d’incontro, doveva restituire un quadro delle percezioni della cittadinanza in

relazione all’ambito urbano. Forum web e incontri dal vivo sono stati concepiti e

usati come “vasi comunicanti”: i partecipanti alle sedute tematiche hanno spesso

inviato contributi scritti sul forum web per specificare meglio la loro posizione o

continuare un tema dibattuto in sala. Lo strumento web, nelle intenzioni

dell’Amministrazione, avrebbe dovuto offrire materiale in costante elaborazione

che costituisse un valore aggiunto agli incontri tematici.

La discussione all’interno di questi incontri è stata “facilitata” da moderatori

impegnati nella gestione della comunicazione, nella presentazione delle proposte e

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Page 32: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

nella traduzione delle stesse in azioni e obiettivi chiaramente comunicabili,

sintetizzati a volte su appositi cartelloni. Gli stessi “facilitatori” avevano il compito

di elaborare documenti di sintesi alla fine di ogni incontro. Il fatto che i resoconti

fossero scritti dai facilitatori senza il contributo del pubblico solleva però alcuni

interrogativi circa il rispetto del criterio di influenza, in quanto stendere resoconti

non è una mera operazione tecnica, poiché la stesura del resoconto costituisce una

rielaborazione del lavoro svolto in cui si inserisce un secondo livello di riflessione.

Il lavoro di stesura del resoconto permette infatti di sviluppare una riflessione sulla

riflessione, un’indagine sull’indagine: scrivere un resoconto significa rielaborare,

indicizzare, distribuire priorità, razionalizzare. In un lavoro di questo genere è

implicito che agiscano filtri cognitivi, differenze interpretative. Delegare perciò tale

lavoro a terzi che siano parte in causa, in quanto esponenti dell’Amministrazione,

significa intaccare il potenziale di influenza dei partecipanti. Nel nostro caso il

problema è stato temperato dal fatto che fosse dato modo ai partecipanti di dire la

loro, in quanto una versione non definitiva dello stesso veniva inviata sul forum

web, dove era possibile fare osservazioni e commenti. Dunque una qualche

validazione del resoconto c’è stata, tuttavia non si tratta qui di una stesura

partecipata, quanto piuttosto di una mera consultazione su un lavoro già svolto.

A completare l’elenco degli strumenti disponibili al processo deliberativo c’erano

infine un verbale, che veniva redatto contestualmente alla discussione per mezzo di

un computer, e la cosiddetta “PGTU box”: una cassetta custodita all’interno della

sala del dibattito in cui lasciare il proprio intervento in forma libera, adita alla

raccolta di segnalazioni e suggerimenti.

Riguardo dunque al setting, sono rilevabili alcuni aspetti positivi di strutturazione

del processo deliberativo: c’era un calendario ben definito, alcuni facilitatori, una

persona che scriveva il verbale e un’altra che sintetizzava i punti emersi su un

cartellone.

Ad ogni incontro venivano invitati relatori, il cui compito era elevare il livello di

informazione dei partecipanti sugli argomenti del dibattito, ed è stato infine

distribuito ai partecipanti del materiale informativo con schede tecniche e alcuni

estratti da articoli di giornale ad ogni incontro. Tuttavia non sono mancati difetti,

anche strutturali, come ad esempio la totale assenza di condivisione delle regole: i

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Page 33: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

partecipanti hanno avuto lo spazio e gli strumenti che l’Amministrazione ha messo

a loro disposizione, ma non hanno avuto nessuna parte nel discutere le regole del

percorso. Questo ha originato diverse critiche, in particolare riguardo a tempi e temi

del dibattito.

5.3 Il setting: i tempi

Gli incontri tematici cominciavano alle h17 e duravano in teoria fino alle h20. Ogni

incontro veniva aperto da uno o più interventi da parte di relatori tecnici che, pur

avendo un ruolo fondamentale nell’aumentare il livello di informazione dei

partecipanti sui temi trattati nell’incontro, ottenevano spesso un effetto

controproducente per il dibattito stesso, in quanto dilungavano il loro intervento per

oltre metà del tempo a disposizione per l’intero incontro. Due le conseguenze nel

dettaglio: da un lato il numero dei partecipanti, che dopo circa un’ora e mezza di

relazioni su numeri e grafici risultava visibilmente ridotto (“Sono andati via tutti. E’

tardi. Si è cominciato tardi… Non si è parlato di molte cose.”5), dall’altro la

concreta mancanza di tempo a disposizione per il dibattito (“Se i tecnici parlano

due ore, noi quando parliamo?”6). Per risolvere l’inconveniente, nel secondo

incontro lo staff ha deciso di limitare gli interventi di ognuno a due minuti, mentre

nel terzo incontro è stata data al pubblico la possibilità di intervenire anche durante

l’esposizione dei relatori (il primo intervento del pubblico è stato comunque dopo

quarantacinque minuti). Pur tuttavia, tali misure non sono bastate a risolvere il

problema, efficacemente sintetizzato dal personale che gestiva il forum che

all’ultimo ha ammesso: “Utili gli interventi nel merito, ma siamo fuori tempo

massimo”.

A tale riguardo è utile fare riferimento alla tabella n.5, riportata di seguito,

riguardante le presenze agli incontri rilevate ad intervalli di tempo regolari lungo

tutta la durata degli incontri. I dati ufficiali sulla partecipazione non contemplavano

livelli intermedi, ma solo il numero di presenze totali registrate dall’inizio alla fine

dell’incontro. Avendo raccolto personalmente i dati mancanti, ho potuto rilevare

5 estratto dall’intervento di un partecipante.6 ibidem.

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Page 34: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

alcune dinamiche importanti che comunicano qualcosa di più su come il pubblico

abbia percepito i tre incontri tematici:

Tabella 5: Il numero di partecipanti ai tre incontri tematici del forum suddivisi per fasce

orarie.

Primo incontro Secondo incontro Terzo incontro

h17 46 42 47

h19 23 35 37

Totale 54 49 52

Da un primo sguardo a questi numeri possiamo già notare il fatto che una parte del

numero totale dei partecipanti è costituita da individui che non hanno preso parte

all’incontro nel suo insieme. Se infatti all’inizio di ogni incontro (h17) il numero

dei partecipanti è inferiore a quello cumulato, questo significa che alcuni

partecipanti sono arrivati più tardi, mentre osservando il dato parziale delle h19 (si

ricordi che gli incontri duravano circa tre ore, quindi fino alle h20) è evidente che,

viceversa, molti abbiano lasciato la sala ben prima della conclusione degli incontri.

Tornando alla considerazione riguardo alla durata delle relazioni tecniche, dalla

tabella si evince chiaramente che queste lasciassero spazio al dibattito quando

ormai la platea era già consistentemente ridotta, anche perché gli incontri non

prevedevano pause interne e la soglia di attenzione tendeva in media a subire un

picco negativo verso le h18.45-19, orario in cui aumentava la confusione e si

verificavano puntualmente dei piccoli “esodi”.

In sintesi, i dati raccolti in questa tabella costituiscono un’evidenza empirica a

supporto di alcune importanti critiche (periodo estivo, tempi ristretti, spazio

dedicato al dibattito insufficiente) che testimoniano l’organizzazione di un setting

che non ha favorito la partecipazione effettiva dei cittadini al processo deliberativo.

Un ultimo appunto che purtroppo sfugge all’evidenza dei dati, ma rimane

comunque significativo, riguarda invece l’effettività della partecipazione, ovvero il

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Page 35: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

fatto che a prendere parola non fossero tutti, bensì soprattutto una minoranza di

soggetti presenti a tutti gli incontri, persone che erano già presenti alla prima fase

del forum e che avevano già una certa confidenza tra di loro e nei confronti degli

esponenti dell’Amministrazione.

5.4 Il margine decisionale e l’influenza sulle decisioni

Riguardo ai temi toccati dal forum, è stato da subito reso chiaro da parte dei

facilitatori che il PGTU fosse competente solo per quanto riguarda interventi da

eseguirsi su uno scenario di breve periodo, lasciando sullo fondo l’assetto delle

infrastrutture per la mobilità, e che inoltre la discussione su temi locali e luoghi

specifici sarebbe stata da affrontarsi negli incontri di quartiere. Il forum sul PGTU

doveva dunque concentrarsi su linee di indirizzo politiche e scenari programmatici

della mobilità ad infrastrutture invariate, mentre interventi e azioni locali avrebbero

invece dovuto essere definite nei vari piani particolareggiati di quartiere, a valle

dell’approvazione del PGTU.

E’ dunque emerso un limite rilevante al margine decisionale affidato al processo:

l’impossibilità di parlare né di infrastrutture né di “luoghi specifici”.

Sulla questione che il dibattito non andasse inteso come dibattito sull’assetto

infrastrutturale di previsione, la motivazione offerta dall’Amministrazione è stata

che il PGTU, nello specifico, fosse un piano operativo di 4 anni e che quindi il

punto di vista infrastrutturale andasse trattato nel forum precedente (quello sul PSC,

avente valenza di medio periodo).

Una critica mossa più volte dal pubblico durante tutti gli incontri del forum è stata

che in realtà neanche in sede di dibattito sul PSC fosse stato lasciato uno spazio per

discutere di infrastrutture, con la motivazione che su quel tema le decisioni fossero

già state prese. Quest’incomprensione è rimasta viva sullo sfondo di tutti gli

incontri tematici e in particolare del terzo, che aveva tra i temi in agenda anche

quello delle “grandi opere” (vedi p.24, tab.2). La contraddizione è facilmente

spiegabile se si pensa che, parlando di urbanistica, è facile trovarsi di fronte a

problemi e questioni trasversali che, pur riguardando l’ambito di competenza

specifico del PGTU, non possono essere affrontate separatamente dal piano delle

infrastrutture, pena il rischio di adottare “provvedimenti inefficaci che non

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Page 36: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

risolvono i problemi”, come ha sottolineato un partecipante. In ogni caso, sono state

proprio le parole dell’Assessore alla Mobilità Maurizio Zamboni a mettere un punto

alla questione:

«La domanda del PGTU è: con le infrastrutture esistenti, siamo in grado di

migliorare il governo della mobilità? Correttivi, questo è il PGTU, non altro».

Questo genere di conflitto tra cittadini e Amministrazione è ben noto agli studiosi

di democrazia deliberativa, secondo la quale la scelta del “momento” in cui inserire

il processo decisionale gioca un ruolo chiave, che trascurato può compromettere

l’intero processo:

«A quale stadio va inserito il momento partecipativo o concertativo? Conviene

aprire la discussione quando cominciano a prendere forma le prime idee o quando

si è già arrivati a un progetto strutturato e definito? È meglio rischiare, a costo di

andare allo sbaraglio, oppure lavorare su dati solidi e concreti? Una domanda di

questo genere può apparire un po’ troppo astratta. A seconda delle circostanze o

del problema sul tappeto, può essere preferibile l’una o l’altra via. Inoltre, le

amministrazioni non sempre sono libere di scegliere quando. Per esempio può

capitare che si accorgano dell’esistenza di tensioni e malumori, solo quando il

progetto è già pronto e in questo caso c’è poco da fare: bisogna aprire la

consultazione su quell’ipotesi che è già stata compiutamente definita. È

importante, però, capire che cosa implica scegliere la prima o la seconda strada.

Ossia che cosa cambia se decidiamo di aprire un processo inclusivo “il più presto

possibile” oppure se aspettiamo di avere in mano tutti gli elementi necessari e

quindi lo apriamo “il più tardi possibile”.» (Bobbio 2004)

Riguardo al nostro forum, la situazione era grosso modo corrispondente a quella

descritta da quest’ultimo caso. Il principale inconveniente che si può incontrare in

un processo decisionale il cui campo di scelta effettivo sia troppo ridotto consiste

nella difficoltà di tornare indietro, ovvero che più la progettazione è andata avanti,

meno si può modificare. Il rischio in questo caso è quello di mettere gli

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Page 37: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

interlocutori di fronte a un secco aut aut: prendere o lasciare. E questi ultimi

avranno la sensazione di essere stati poco considerati o addirittura presi in giro. Si

tratta in questo caso della già citata sindrome DAD, di cui il forum ha mostrato

qualche sintomo soprattutto quando si è posta la questione delle infrastrutture. In

quel contesto, l’impressione che si aveva guardando lo svolgersi del dibattito era

effettivamente quella di un botta e risposta tra cittadini e Amministrazione dove

quest’ultima assumeva un ruolo difensivo, di giustificazione delle proprie scelte già

compiute. Tale problema riguarda direttamente il grado di influenza sulle decisioni,

a cui abbiamo già accennato in precedenza e che costituisce un criterio centrale

nella valutazione dei processi deliberativi.

A tal proposito va specificato che il lavoro sulla mobilità all’interno di questa

seconda parte del forum costituiva solamente una tappa del processo di

partecipazione per il nuovo PGTU: a conclusione del forum, l’Amministrazione si è

assunta il compito di elaborare materiali e osservazioni raccolte, comprensivi dei

contributi pervenuti via web, per la stesura di una bozza del documento di sintesi,

con una versione grafica corrispondente (una soluzione analoga a quella adottata a

conclusione della prima fase del forum (quella sul PSC), per la quale venne

elaborato e distribuito ai partecipanti un cd-rom contenente una “mappa dei temi e

dei luoghi” nella quale venivano raccolti i contributi di tutti gli incontri plenari e

tematici riguardanti il PSC). Successivamente, si è tenuto un ultimo incontro

plenario per la condivisione del documento conclusivo e la presentazione della

proposta sul PGTU. Tale documento è stato quindi proposto come contributo alla

redazione del nuovo PGTU.

Il seguito, così come illustrato nel documento conclusivo del percorso di

partecipazione sul PGTU, è riassunto dalla procedura descritta di seguito:

1. Le osservazioni raccolte al forum vengono contro-dedotte negli

uffici;

2. Il PGTU viene adottato dal Consiglio Comunale (con possibili

modifiche);

3. Pubblicazione del PGTU definitivo;

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Page 38: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

4. Periodo di 60 giorni a disposizione dei cittadini per presentare

osservazioni;

5. Le osservazioni raccolte nei 60 giorni vengono contro-dedotte negli

uffici;

6. Approvazione del PGTU da parte del Consiglio Comunale.

Le implicazioni negative di questa procedura sono molteplici. Innanzitutto ritorna il

tema della condivisione del resoconto: l’Amministrazione non ha organizzato una

fase partecipativa di stesura del documento finale, limitandosi a sottoporre il

documento già scritto ai partecipanti degli incontri e inserendolo nel forum web, in

via consultiva. Questo comporta come abbiamo già affermato una possibile

distorsione interpretativa dell’opinione dei partecipanti e un conflitto col criterio di

influenza, in quanto a “tirare le somme” di tutto il processo non sono i partecipanti,

bensì gli stessi esponenti dell’Amministrazione. Inoltre, la procedura sopra descritta

emerge come non ci sia alcun empowerment della cittadinanza, ovvero non sembra

migliorare la capacità dei cittadini di incidere sui processi decisionali riguardanti le

politiche pubbliche. Si parla infatti soltanto di “contributo alla redazione” del

PGTU, ma non viene specificato in che modo le decisioni dei cittadini andranno ad

influire sulle scelte finali dell’Amministrazione. Il procedimento di approvazione

del piano ricalca infatti la linea dei tradizionali iter non partecipativi riguardanti la

formulazione di politiche pubbliche: adozione, pubblicazione e approvazione, con

l’unica voce vincolante del Consiglio Comunale e la presenza di un processo di

consultazione soltanto formale.

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Page 39: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

6. CONCLUSIONI: VALUTARE UN PROCESSO DELIBERATIVO

Completata la descrizione del forum, resta da definire come si possa valutare e

catalogare un processo deliberativo. Come abbiamo già accennato, gli studi sulle

deliberazione sono ancora giovani, ma qualche strumento di valutazione oltre ai

criteri sopra definiti (influenza, inclusione e deliberazione) è stato fissato. Merita

in questo senso una particolare attenzione la scala della partecipazione elaborata da

“Iap2” (International Association of Public Participation). Iap2 è un’associazione

nata nel 1990 in Canada, che ha come obiettivo quello di promuovere e migliorare

la partecipazione pubblica in processi decisionali che riguardino interessi pubblici.

Oggi Iap2 costituisce un punto riferimento nel campo della partecipazione, e tra i

vari contributi offerti allo sviluppo degli studi sulla deliberazione pubblica ha

prodotto una scala della partecipazione, riprodotta di seguito.

Tabella 6: La “scala della partecipazione” proposta da Iap2.

INFORMAZIONE CONSULTAZIONE COINVOLGIMENTO COLLABORAZIONE EMPOWERMENT

Obiettivo Obiettivo Obiettivo Obiettivo Obiettivo

Fornire informazioni bilanciate e obiettive per aiutare il pubblico a capire i problemi, le alternative, le opportunità e/o le soluzioni

Ottenere un feed-back dal pubblico su analisi, alternative e/o decisioni.

Lavorare direttamente col pubblico attraverso un processo che assicuri che le opinioni del pubblico siano costantemente capite e considerate.

Agire in partenariato col pubblico in ogni aspetto della deliberazione, incluso lo sviluppo delle alternative e l’identificazione della soluzione.

Affidare al pubblico il potere decisionale.

Promessa al pubblico

Promessa al pubblico

Promessa al pubblico

Promessa al pubblico

Promessa al pubblico

Vi terremo informati.

Vi terremo informati, ascolteremo e riconosceremo le vostre preoccupazioni e aspirazioni e forniremo un feed-back su come i contributi del pubblico abbiano influenzato le decisioni

Lavoreremo con voi per assicurare che le vostre preoccupazioni e aspirazioni siano direttamente riflesse nelle alternative sviluppate e forniremo un feed-back su come i contributi del pubblico abbiano influenzato le decisioni.

Vi consulteremo direttamente per consigli e innovazioni nella formulazione di soluzioni e includeremo il più possibile i vostri suggerimenti e raccomandazioni nelle decisioni

Implementeremo le vostre decisioni

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Page 40: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

La scala assume il punto di vista dell’Amministrazione e il livello di partecipazione

è illustrato in ordine crescente da sinistra a destra. Si parte perciò da un basso

livello di partecipazione associato alla pratica dell’informazione, in cui l’obiettivo

dell’Amministrazione è informare i cittadini in maniera efficace circa i problemi, le

alternative, le opportunità e/o le soluzioni che sono disponibili, ma senza lasciare

alcuno spazio alle opinioni della cittadinanza, arrivando fino al gradino

dell’empowerment, caratterizzato da un affidamento totale del potere decisionale

nelle mani dei cittadini, con un relativo impegno dell’Amministrazione ad

implementare le scelte risultanti dalla deliberazione.

Riguardo al nostro caso di studio, la valutazione è impostata su due fasi. La prima

consiste nell’individuare i principali punti di forza e di debolezza del forum,

attraverso la lente dei criteri posti precedentemente. In seguito si procede a un

confronto tra il caso analizzato e le caratteristiche dei gradini della scala di Iap2.

Il primo criterio è dunque il grado di inclusione, identificabile con una domanda: è

stata data possibilità di esprimersi a tutte le voci rilevanti sui temi affrontati? Su

questo tema le debolezze del forum sono molte, a cominciare dalla scelta di

coinvolgere in via preferenziale i gruppi organizzati, tralasciando la formazione di

un microcosmo rappresentativo della cittadinanza. Questa scelta, unitamente a

quella di collocare il processo a ridosso dell’estate e alla mancanza di un’adeguata

campagna informativa sull’evento ha del tutto inficiato la possibilità di considerare

il lavoro svolto dal forum come un prodotto della cittadinanza. Nel concreto, infatti,

si rilevano una certa limitatezza numerica e una scarsa rappresentatività riguardo ai

partecipanti, riconosciuta anche dall’Amministrazione comunale attraverso le

parole dell’Assessore Zamboni, già citate in precedenza (vedi p.25).

Il secondo criterio è la deliberazione, sintetizzabile nel concetto di dialogo

rapportato a quello di negoziazione (vedi p.10, tab.1), finalizzato al raggiungimento

di un consenso ragionato e informato. Riguardo a questo tema abbiamo riscontrato

un significativo punto di forza nella dimensione informativa del processo: le

relazioni dei tecnici, il materiale offerto, il forum web e il dibattito in sé hanno

effettivamente contribuito ad aumentare la consapevolezza dei partecipanti, mentre

il materiale raccolto e sintetizzato nel documento conclusivo si presta a diminuire,

sebbene in misura modesta, la “miopia” dell’Amministrazione (vedi p.13).

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Page 41: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Penalizzante invece la scelta di organizzare un processo misto, in cui hanno

partecipato una prevalenza di stakeholder e una minoranza di cittadini, associazioni

e comitati (vedi p.27, tab.4), che come abbiamo visto indebolisce legittimità e

solidità delle decisioni finali. In altre parole, se il processo deliberativo era stato

pensato per evitare i problemi derivanti da un approccio di tipo “autarchico” quale è

la sindrome DAD, ci si chiede se la strada deliberativa intrapresa

dall’Amministrazione abbia davvero comportato un coinvolgimento dei cittadini

nelle decisioni. La conformazione dei partecipanti al processo rende tuttavia

difficile affermare che quella presente al forum fosse “la voce della città”.

Criticabile infine anche la tempistica degli incontri, strutturata in maniera tale da

inibire la possibilità di svolgere un dibattito realmente partecipato ed efficace.

Il terzo ed ultimo criterio è l’influenza, corrispondente al concetto di

empowerment, che costituisce anche l’ultimo gradino nella scala della

partecipazione. Riguardo a questo aspetto non abbiamo elementi positivi: fin

dall’inizio il dibattito è apparso fortemente limitato nella scelta dei temi da

discutere (ricordiamo l’impossibilità di parlare di infrastrutture e luoghi specifici),

mentre le ripercussioni che questo possa aver avuto sulla determinazione delle

scelte finali dell’Amministrazione sono del tutto vaghe, riassunte dall’espressione

“contributo alla redazione del PGTU”. Non va dimenticato infine il problema della

distorsione interpretativa delle opinioni del forum dovuta a resoconti e documento

finale redatti dagli organizzatori, senza un coinvolgimento diretto dei partecipanti.

Per questi motivi, spostando lo sguardo sui requisiti posti dalla scala della

partecipazione, possiamo decisamente escludere che il forum in questione possa

essere catalogato come processo di empowerment. Scendendo al secondo gradino

della scala in ordine di intensità della partecipazione, la struttura del setting in

tempi ridotti e la limitatezza delle opzioni di scelta disponibili (esclusione di

infrastrutture e luoghi specifici dal dibattito) non consentono di definire il lavoro

del forum come una collaborazione tra l’Amministrazione ed i cittadini. Il terzo

gradino è il coinvolgimento. Di questo tipo di approccio abbiamo trovato un

sintomo nel forum web, che costituisce di fatto uno strumento utile che

l’Amministrazione ha a disposizione per ascoltare, capire e considerare le

preoccupazioni e le aspettative dei cittadini, ma tale ascolto non può tuttavia essere

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Page 42: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

definito diretto, in quanto sussiste il problema dei resoconti e del documento finale

redatti non dai cittadini stessi, bensì da esponenti dell’Amministrazione.

Questo processo presenta dunque alcune caratteristiche che lo collocano tra il

gradino di consultazione e quello di informazione: da un lato, il documento finale

(inteso come “contributo alla redazione del PGTU”) e il forum web, non possono

che costituire un valido feedback del pubblico riguardo alla percezione delle

questioni che l’Amministrazione ha messo sul tavolo, fermo restando il limite

sostanziale dovuto alla scarsa rappresentatività dei partecipanti e quello derivato

dalla totale assenza di garanzie riguardo all’influenza del processo sulle decisioni

finali. Dall’altro, la dimensione più significativa del forum rimane quella

dell’informazione, in cui il forum ha il suo maggiore punto di forza.

Il processo partecipativo promosso dal Comune di Bologna costituisce dunque un

primo passo che l’Amministrazione ha voluto compiere ai fini di un

riavvicinamento tra cittadini e politica locale. È in quest’ottica che esso assume il

suo principale valore. Riguardo invece all’efficacia deliberativa del processo, le

carenze evidenziate non consentono di definire “Bologna. Città che cambia” come

un processo realmente partecipativo, ma piuttosto come una consultazione della

cittadinanza su temi che rimangono comunque sotto il completo arbitrio

dell’Amministrazione.

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Page 43: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA

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Pellizzoni, L. (a cura di), La deliberazione pubblica, Meltemi, Roma 2005.

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Roma 2004.

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Page 44: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Piano Strutturale Comunale. Programma per la formazione del PSC condiviso

e partecipato, documento di sintesi dell’allegato alla Delibera di Giunta P.G. n.

28014/05.

“Bologna. Città che cambia” Documento finale del forum, Cap. 1, 29/11/2005.

http://www.iperbole.bologna.it/forum/file.php?5,file=90

Linee programmatiche per il mandato amministrativo 2004 – 2009, I valori e le

scelte per il futuro della città.

http://www.comune.bologna.it/comune/giunta/programmadimandato/docs/pr-mand-

def/linee-programmatiche-definitive.pdf

“Bologna. Città che cambia”, Percorso di partecipazione sul PGTU. Documento

conclusivo “una città in movimento”, 20/09/2006.

http://urp.comune.bologna.it/Mobilita/mobilita.nsf/3b5a117046b7c6e7c1256e3c005

6b9e2/d31f7f55c909e35ac1257242005b7c9a/$FILE/04%20Forum_02.pdf

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http://urp.comune.bologna.it/PSC/PSC.nsf/1d47b9bee7175c51c1256e63005ae6d7/

576aef9985ff9335c125728800364f76/$FILE/percorso_forum.pdf

“International Association for Public Participation”.www.iap2.org

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Page 45: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

ALLEGATI

Allegato 1: il forum "Bologna. Città che cambia" visto dalla stampa7.

7 Quotidiano “La Repubblica”, edizione di Bologna, 13/04/2005, p.3.

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Page 46: Deliberazione Pubblica e Partecipazione: il caso di Bologna

Allegato 2: Il protocollo d'intesa sulla progettazione urbanistica partecipata. Un primo effetto

della legge 20/20008.

8 Quotidiano “L’unità”, edizione di Bologna, 29/11/2005, p. 3.

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