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Democrazia linguistica e postfranchismo · 2006. 10. 31. · no linguistico, nel senso che mette in...

Date post: 09-Nov-2020
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OTELLO LOTTINI DEMOCRAZIA LINGUISTICA E POSTFRANCHISMO 1. Il mio discorso ha volutamente un carattere prelimi- nare, rispetto al tema centrale del Convegno, cioè l'insegnamen- to delle lingue iberiche in Italia; per di più è circoscritto, per ovvi motivi, alle realtà linguistiche della Spagna. Più che pro- porre, dunque, soluzioni operative sul piano della concreta pras- si didattica o discutere problemi teorico-metodologici, mi limito ad affrontare alcuni nodi storico-linguistici, relativi al castiglia- no e alle altre lingue in Spagna, nell'attuale fase storica. Tuttavia, limitarsi ad alcuni problemi delle realtà linguisti- che spagnole ha non solo un generico interesse concettuale, ma anche riflessi specifici sull'insegnamento in Italia del castiglia- no e delle altre lingue spagnole. L'interesse deriva da due ra- gioni essenziali: in primo luogo, perché la Spagna è il secondo complesso multilingue europeo (dopo l'URSS) e presenta un originale intreccio di problemi, in questo ambito; in secondo luogo, perché a partire dalla seconda metà degli anni settanta, la Spagna ha vissuto un cambiamento di regime e si trova in presenza di una lunga fase di transizione dalla dittatura alla democrazia. E questo fatto ha una decisiva influenza sui pro- blemi indicati: rapporto tra lingua castigliana e lingue minori- tarie e situazione stessa della lingua castigliana. 2. Anzitutto, un problema terminológico, nient'affatto in- nocente: si tratta del nome stesso della lingua di cui ci occu- piamo. Come si sa, in base a una consolidata tradizione, la lin- gua ufficiale della Spagna ha avuto storicamente due designa- zioni: castigliana e spagnola. L'oscillazione terminológica ne percorre tutta la storia linguistica e culturale. L'ultima manifestazione polemica del problema della deno- 89
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OTELLO LOTTINI

DEMOCRAZIA LINGUISTICA E POSTFRANCHISMO

1. Il mio discorso ha volutamente un carattere prelimi-nare, rispetto al tema centrale del Convegno, cioè l'insegnamen-to delle lingue iberiche in Italia; per di più è circoscritto, perovvi motivi, alle realtà linguistiche della Spagna. Più che pro-porre, dunque, soluzioni operative sul piano della concreta pras-si didattica o discutere problemi teorico-metodologici, mi limitoad affrontare alcuni nodi storico-linguistici, relativi al castiglia-no e alle altre lingue in Spagna, nell'attuale fase storica.

Tuttavia, limitarsi ad alcuni problemi delle realtà linguisti-che spagnole ha non solo un generico interesse concettuale, maanche riflessi specifici sull'insegnamento in Italia del castiglia-no e delle altre lingue spagnole. L'interesse deriva da due ra-gioni essenziali: in primo luogo, perché la Spagna è il secondocomplesso multilingue europeo (dopo l'URSS) e presenta unoriginale intreccio di problemi, in questo ambito; in secondoluogo, perché a partire dalla seconda metà degli anni settanta,la Spagna ha vissuto un cambiamento di regime e si trova inpresenza di una lunga fase di transizione dalla dittatura allademocrazia. E questo fatto ha una decisiva influenza sui pro-blemi indicati: rapporto tra lingua castigliana e lingue minori-tarie e situazione stessa della lingua castigliana.

2. Anzitutto, un problema terminológico, nient'affatto in-nocente: si tratta del nome stesso della lingua di cui ci occu-piamo. Come si sa, in base a una consolidata tradizione, la lin-gua ufficiale della Spagna ha avuto storicamente due designa-zioni: castigliana e spagnola. L'oscillazione terminológica nepercorre tutta la storia linguistica e culturale.

L'ultima manifestazione polemica del problema della deno-

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minazione della lingua si è avuta nel biennio 1977-1978, cioènella fase costituente della nuova democrazia spagnola, appuntodurante l'elaborazione della carta costituzionale. Non appro-fondisco ora i dettagli della polemica. Direi, in linea generale,che l'uso di castigliano o spagnolo, nei sintagmi1 « lingua casti-gliana » e « lingua spagnola », può fondarsi su ragioni pro ocontro. Tuttavia, è importante sottolineare che, nella maggiorparte dei casi, le argomentazioni si basano su considerazioniextralinguistiche, non linguistiche. E di ciò si trova un riflessoimplicito anche nella dislocazione geografica dell'uso dell'unao dell'altra denominazione. Per esempio, nelle regioni spagnolelinguisticamente differenziate, prevale il termine castigliano.Analogamente accade nella maggior parte dell'America Latina.Nei due casi, si preferisce questa denominazione, piuttosto chequella di spagnolo, in quanto quest'ultimo termine richiame-rebbe maggiormente il processo di colonizzazione interna e ester-na. Al contrario, l'uso di « lingua spagnola », predominante, senon esclusivo, nelle restanti regioni della Spagna, tende a espri-mere una connotazione centralistica e unitaria: unità della na-zione e unicità della lingua.

Quest'ultima è la posizione espressa, molto tempo fa, daAmado Alonso, al cui libro Castellano, español, idioma nacio-nal 1, è obbligatorio rifarsi in questa questione. Nello schemadi Alonso, come è noto, la progressione denominativa è la se-guente: fino al secolo X (in cui compare il primo documentoscritto in romance)2, nel latino volgare parlato in Spagna sidistingue tra romanice ( = romana lingua) e latina lingua. Nelcorso dei secoli successivi per segnalare la differenza tra il nuo-vo sistema linguistico che si viene formando dalla continuazionee trasformazione del latino colloquiale, e il vecchio sistema,si distingue tra romance (o lengua vulgar o vulgar) e latinalingua. Per segnalare, infine, il senso di alterità, sia rispettoal latino, sia rispetto alle altre lingue romanze delle regioni pe-ninsulari, si va diffondendo la formula romance castellano e,quindi, semplicemente castellano3. Nel corso della Reconquistae fino alla prima metà del XVI secolo è prevalente l'uso dicastellano; a partire dalla seconda metà del Cinquecento, si dif-fonde español, già usato sporadicamente nei secoli precedenti.È a partire dall'unificazione cinquecentesca della Spagna, dun-

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que, che si sviluppa la dialettica tra 1'arcaísmo castellano di ori-gine nazionale e il neologismo español, che si mantiene fino ainostri giorni.

Più recentemente, Marcos Marín 4, riprendendo le classi-che argomentazioni di Alonso, elenca tre principali criteri in baseai quali, a partire dal '500 si diffonderebbe l'uso dell'aggettivoespanala per designare la lingua ufficiale: a) carattere rinasci-mentale-imperialistico del termine española, in quanto collegatoalla unificazione dei Re Cattolici e all'espansione imperialisticadi Carlo V; tra l'altro, lo stesso imperatore ne avrebbe sanzio-nato il prestigio, quando, rivolto al Papa, usa l'espressione « milengua española », per giustificarne l'impiego come lingua in-ternazionale; b) testimonianze esterne (collegate all'origine stra-niera del termine): gli stranieri, già a partire dal '500, tende-vano a usare il sintagma lengua española, perché dall'esternopotevano percepire meglio la totalità dello stato unitario, piùche le particolarità regionali o l'origine locale del castigliano;e) infine, dopo le prove storiche (interne ed esterne alla Spa-gna), quella per comparazione e per deduzione: il termine diriferimento è qui alle altre lingue nazionali europee; da Italia,italiano; da Francia, francese, ecc.

Come si vede, la questione non è solo linguistica, ma èlegata intrinsecamente a fatti politici, e a un particolare mo-mento del '500: da un lato l'unificazione interna (che si dovevarivelare quantomeno imperfetta e discutibile); dall'altro lato,l'espansione imperialistica, la cui nostalgia diventerà poi fontedi continue frustrazioni storiche5.

Non si tratta, dunque, di questioni marginali, alle qualisi potrebbe essere tentati di applicare un salutare laissez-faire. Anche perché l'oscillazione terminológica è un problemache percorre la storia di Spagna fino ai giorni nostri. E questapermanenza è appunto un sintomo di quella che chiamo l'uni-ficazione incompiuta e imperfetta della Spagna, sia pure nellaspecificità delle forme storiche realizzate.

In fondo, il vero problema della denominazione della lin-gua è un problema extralinguistico. Nel caso di una interpre-tazione unitaria, centralistica e imperialistica della storia diSpagna (sia essa consapevole oppure inconsapevole e semplice-mente rutinaria), si usa il sintagma « lingua spagnola »; nel

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caso di una interpretazione in chiave pluralistica, regionalisti-ca o delle nazionalità, si usa il sintagma « lingua castigliana ».È quest'ultima la soluzione che ha fatto propria la costituzionespagnola del 1978, sia pure con qualche incertezza. All'art. 3.1,infatti, il problema denominativo viene così risolto: « El caste-llano es la lengua española oficial del Estado (...) Las demáslenguas españolas serán también oficiales en las respectivascomunidades autónomas de acuerdo con sus estatutos »B. Que-sta soluzione si fonda sull'articolata distinzione tra il carattereunitario dello stato e della nazione spagnola e la pluralità delleregioni e nazionalità (comunità autonome). Lo stato spagnoloha come lingua ufficiale il castigliano, che è lingua spagnola, co-me lingue spagnole sono, all'interno delle rispettive comunitàautonome, le altre lingue che si parlano in Spagna: catalano,basco, galiziano.

Si potrà discutere, naturalmente, sulla macchinosità dellaformulazione e se ne potrà contestare il fondamento; per esem-pio, in una prospettiva separatista. Rimane il fatto che, purcon limiti e ambiguità, si è trattato di un passo avanti signifi-cativo in una questione di grave, e spesso drammatica, com-plessità storica.

Vorrei osservare, infine, che anche sul piano propriamentelinguistico si deve preferire la denominazione di lingua casti'gitana a quella di lingua spagnola. In una prospettiva contra-stiva, infatti, non si da l'opposizione galiziano vs spagnolo op-pure catalano vs spagnolo, ma galiziano vs castigliano, catala-no vs castigliano. Dunque, castigliano è termine più propria-mente linguistico che non spagnolo, se messo a contrasto conle altre lingue peninsulari.

Ma al di là di questa ultima osservazione, rimane il valoresimbolico e la solennità della carta costituzionale della nuovademocrazia spagnola. In essa, si è preferito il termine costi-gitana, per denominare la lingua ufficiale dello stato, come una¿elle quattro lingue spagnole. E poiché, come si è accennato,l'oscillazione terminológica non obbedisce tanto a criteri internialle scienze linguistiche, ma a criteri extralinguistici, è perfetta-mente coerente, appunto sul piano extralinguistico, la deno-minazione che ha indicato il popolo spagnolo, nella sua stra-grande maggioranza, nel referendum del 6 dicembre 1978.

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3. La transizione dalla dittatura alla democrazia si pre-senta in Spagna come un processo articolato, in cui si mesco-lano le istanze di una « política reformista 'desde arriba' » alle« presiones reivindicativas 'desde abajo' »7. Un processo, cioè,di graduale trasformazione da un sistema all'altro, in un mo-vimento contraddittorio, in cui passato e presente, vecchio enuovo continuano a convivere, in un equilibrio instabile; nonla « ruptura », dunque, ma il « cambio ».

Questa peculiarità di transizione ha riflessi anche sul pia-no linguistico, nel senso che mette in luce fattori dinamici efattori di resistenza, che, dall'ambito politico-sociale e istitu-zionale, condizionano e determinano il movimento linguistico-sociale. Sappiamo che il linguaggio è un fenomeno sociale com-plesso, le cui trasformazioni sono lente, graduali, di lunga du-rata e non si presentano come una svolta radicale e improvvi-sa del sistema linguistico, in quanto tale. Le trasformazioni mor-fologiche, sintattiche, ecc. hanno tempi di mutamento più lunghidi repentine svolte ed eventi politici. Ma il nostro discorsonon si fonda, come si è accennato, sulle regole di formazione dibase della lingua, bensì sull'atteggiamento dei parlanti e delleistituzioni rispetto alla lingua, come conseguenza di determinatieventi politici; in questo caso: la fine del franchismo e il pro-cesso di transizione.

Soprattutto nei primi anni di questo processo, il vento delrinnovamento ha investito il paese e lo stato, sia pure in mododiseguale. La Spagna democratica, cosciente dei propri ritardiculturali, si accinge a colmare il tempo perduto: è un affanno-so e contraddittorio recupero, che si dirama in tutte le dire-zioni. La gente, più che sentirsi libera, vuole sentirsi libera. Cisono molti segni del cambiamento, ma il più delle volte comeregole della volontà e, spesso, della ragione, che non come con-crete effettualità: si cambiano, per esempio, i vecchi nomi fran-chisti delle strade di Madrid, le « Cortes » diventano « Congre-so de Diputados », ecc. Ma i problemi sono più complessi. Ilpassato pesa sul presente, in maniera insidiosa; non c'è mecca-nicità di passaggio.

Questa dinamica tra volontà di cambiamento e retaggio fre-nante del passato si coglie perfettamente sul piano linguistico.E ciò ha un suo profondo significato,

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Come si sa, è stato questo uno dei piani di intervento durodel passato regime. Il franchismo vittorioso impose, con la vio-lenza e la censura, il monolinguismo castigliano. Anche se lapolitica linguistica del franchismo, pur peculiare nella sua valen-za ideologica e nel livello repressivo, si può considerare lafase particolarmente acuta di una situazione problematica chegli era anteriore e che risaliva all'origine stessa della forma-zione dello stato spagnolo.

Il franchismo si propose, con decisa risolutezza, di « ta-gliare » letteralmente le realtà linguistiche minoritarie della Spa-gna. Fin dall'inizio si sviluppò il tentativo di sradicamento diqueste lingue, con la proibizione del loro uso. Da sottolineareè l'esplicita teorizzazione e decisione politica di assumere un de-terminato atteggiamento linguistico, plasmato in una codifica-zione e fondato sulla base di un modello antecedente e storico.Si è trattato di una pianificazione istituzionale, in cui la purezza(conservazione) e l'integrità (unità) della lingua castigliana sonoi feticci orientativi per un'opera di espansione in certe zone delpaese, con l'obiettivo della totale castiglianizzazione.

L'imposizione del monolinguismo castigliano all'interno, a-veva anche un corrispettivo verso l'esterno, sotto forma di or-goglioso xenofobismo linguistico. Alla chiusura verso le altrelingue spagnole, corrispondeva una analoga chiusura verso l'ap-prendimento e la diffusione delle lingue straniere. Ad esempio,negli anni cinquanta, per gli ideologi franchisti, il poliglottismoera « un signo de decadencia cultural, y aun racial y política,cuando tiene carácter colectivo » s . Infatti, i « pueblos impe-rialistas, como España o Inglaterra, nunca fueron propensos, ensus grandes épocas, a saber otro idioma que el suyo, el cual idio-ma imponían creando naciones o administrando colonias, res-pectivamente »9 .

Ancora a metà degli anni sessanta, Ramón Carnicer (nien-temeno che segretario della « Escuela de Idiomas Modernos »dell'università di Barcellona), riprendeva gli stessi argomenti:« los pueblos más dotados de facilidad para aprender lenguasson el eslavo y el judío; y los menos, el inglés y el español »10.Appoggiandosi su argomentazioni di Ortega y Gasset, sostene-va ancora che imparare le lingue straniere significa rinunciarealla vita autentica, abbandonare la propria personalità: chi im-

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para le lingue straniere manifesta un carattere debole, una per-sonalità povera. Non è casuale che, secondo lui, solo le donne,gli ebrei e gli slavi sono particolarmente versati nell'apprendi-mento delle lingue straniere... Mentre per un popolo virile,puro, ariano, imperialista, come quello spagnolo, « no hay másidioma que el castellano (.••) Nosotros poseemos el español, quees idioma universal » ".

Questo breve richiamo alle argomentazioni espresse dallaideologia dominante franchista, in temi linguistici, mette inluce, non solo il loro aspetto ridicolo, ma anche un atteggiamen-to in cui razzismo e maschilismo, ignoranza e xenofobia cercanodi sostenere una improbabile connessione tra orgogliosa auto-sufficienza linguistica e velleità imperialistiche.

In questo senso, se poco fa avevamo detto che il franchi-smo ha « tagliato » le lingue minoritarie spagnole, ora possiamoaggiungere che ha anche « modificato » il castigliano, produ-cendo guasti profondi, attraverso quella che Goytisolo ha de-finito una vera e propria « occupazione » della lingua 12. Ancorapiù drastico è Torrente Ballester: « Nuestra época —en Espa-ña, insisto— se caracteriza por la supresión radical de todo unsistema lingüístico, y su sustitución por otro, cuya nota másevidente es el enmascaramiento de la realidad por la palabra(valga como ejemplo la suplantación de « huelga » por « parotecnológico ») 13. E, più recentemente, Cebrián ha così descrittola condizione della lingua, durante il franchismo: « La censuray el énfasis del régimen anterior hicieron un gran daño alidioma. Hubo que usar unos vocablos por otros, buscar metá-foras para expresar lo que se podía decir con sencillez, dotarde ambigüedad a términos y frases, inflar el lenguaje para evi-tar términos que se entendieran como duros (ejemplo: « resi-duos sólidos » por « basura », « empleados del hogar » poi« sirvientes », etc.) y produjo una cursilería arcaizante desdesus propias fuentes » 14.

Ritroviamo qui fenomeni comuni sia alle lingue delle dit-tature, anche altrove, sia al linguaggio politico coi suoi eufe-mismi. E sono questioni studiatissime. Ma quanto a noi inte-ressa, per la Spagna, è un punto concreto: e cioè che, nellafase di transizione il problema linguistico si pone come un pro-cesso di duplice liberazione; liberazione del castigliano, come

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sistema linguistico, dalle pastoie imposte dal franchismo, e, piùancora, come liberazione psicologica degli utenti del castigliano;liberazione delle lingue minoritarie, rispetto al castigliano1S.

4. Questo duplice processo si avvia nel 1975, con lamorte del dittatore e con il successivo cambiamento di dire-zione del paese e delle istituzioni, che, sia pure con contraddi-zioni e resistenze, ha chiari riflessi propulsivi sulla situazionedella lingua castigliana e delle altre lìngue spagnole.

Tra i fenomeni più significativi segnalerei, per un verso,il ricambio di una serie di espressioni e di vocaboli, esclusividel vecchio regime, con altre serie più adeguate alla situazio-ne che si sta sviluppando nella nuova Spagna democratica; peraltro verso, continua ad attenuarsi, fino a scomparire, la politicadi castiglianizzazione forzata delle zone linguisticamente diffe-renziate (in particolare, a livello istituzionale).

Sul piano del lessico politico, per esempio, il franchismoaveva introdotto in una serie di parole (che designavano con-cetti tipici dello stato e dell'amministrazione e che tendevano adiventare di uso normale, perlomeno per una parte della popo-lazione) contenuti della propria ideologia; e queste connota-zioni e sfumature vengono ora respinte dalla nuova società.Penso, per fare qualche esempio, a parole come fascismo, mo-vimiento, reacción, revolución, cruzada, jefe, huelga, sindicato,política, caudillo, tecnocracia, pueblo, patria, unidad, izquierda,derecha, ecc. M.

La sparizione del franchismo, dunque, significa un note-vole ricambio nel vocabolario politico, il cui esponente sim-bolico è la sostituzione del nome « Cortes » con « Congreso deDiputados » nelle istituzioni nazionali. Si badi: non si tratta ditermini nuovi, ma dell'uso nuovo di certi termini del vocabola-rio politico e, in genere, intellettuale, del periodo franchista, op-pure ripresi dall'epoca pre-franchista. Ciò che vorrei sottoli-neare è la sostituzione di un vocabolario politico con un altro,destinato ad esprimere la nuova situazione e i problemi dellanuova vita democratica. Sostituzione che va intesa, naturalmen-te, come un processo, non come uno stato, e non è esente daambiguità, imprecisioni, ecc. Un commentatore politico haparlato, a proposito della lingua castigliana, come di « babel de

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un solo idioma »17. Un esempio dello sconcerto denominativo:a ridosso delle elezioni politiche del 1977 (le prime dopo oltrequarant'anni), esistevano in Spagna oltre cinquecento sigle digruppi e di partiti politici18. Un altro esempio, relativo afia pa-rola «socialismo»: non può non destare sorpresa una frase co-me questa: « Unidad y construcción del socialismo », quandosi viene a sapere che segnala un obiettivo programmatico delpartito carlista spagnolo, presentatosi appunto alle elezioni del1977, e di cui è autore Carlos Hugo de Borbón-Parma. La frasericordata è il titolo del capitolo settimo del libro Qué es il car-lismo 19.

Malgrado le imprecisioni e le confusioni babeliche del lin-guaggio politico spagnolo della fase di transizione, il processodi liberazione linguistica continua. Il tentativo, compiuto dagliideologi franchisti, di difendere quello che consideravano un or-ganismo linguistico sano dalle tossine democratiche, è fallito, osta fallendo. Anche le loro velleità di non incorporare le tossi-ne « estere » (le lingue straniere), si sono rivelate inconsistentie deboli: mi riferisco alla larga diffusione delle lingue stranierein Spagna e, in particolare, al fenomeno dell'invasione deglianglicismi nella lingua castigliana. L'influenza dell'inglese e delnordamericano raggiunge — già a partire dagli anni sessanta —dimensioni e intensità notevoli. Le cause di questo influsso nonsono puramente politiche ed economiche, ma sono anche de-terminate dall'egemonia politico-culturale del mondo anglosas-sone (che si avverte del resto, a partire dalla fine della secon-da guerra mondiale, in tutto il mondo occidentale). Esso si ma-nifesta a diversi livelli della lingua: nel gergo scientifico e com-merciale, nelle tecniche pubblicitarie, nell'industria e anche nellalingua colloquiale dei giovani, i cui usi linguistici si dimostranopiù ribelli alle petizioni di principio dei puristi e più noncu-ranti della loro battaglia di retroguardia.

L'influsso e la presenza degli anglicismi nel castigliano èun dato di grande rilievo: dopo l'acquisizione patrimoniale deilatinismi, dopo gli arabismi del secolo XIII, gli italianismi delsecolo XVI e i gallicismi del XVIII secolo, è questa una dellecaratteristiche più significative del processo di arricchimento emodificazione della struttura lessicale del castigliano, specie dellessico tecnico-scientifico e del linguaggio colloquiale20. In que-

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st'ordine di problemi, merita un cenno particolare il fatto cheil castigliano vive con l'inglese o, meglio, col nordamericano,una situazione di lingue in contatto negli Stati Uniti, (partico-larmente nel sud) dove appunto il castigliano ha acquistato di-mensioni di seconda lingua nazionale, con oltre trenta milionidi castiglianofoniS1.

5. Sotto la pressione del cambiamento che ha investitola Spagna, in particolare nei primi anni di transizione dal fran-chismo al post-franchismo, anche la Real Academia de la Len-gua cerca di adeguarsi: più che da un vento, essa è investita,però, da una leggera brezza di rinnovamento.

Nel luglio 1977, viene modificato lo statuto dell'Accade-mia in otto punti, per « acomodar al tiempo presente la defini-ción de sus [dell'Accademia] tareas »22. Queste le modifichepiù significative. All'art. 1 (la cui precedente redazione risalivaal 1859 M), viene aggiunto un comma che prescrive una più or-ganica apertura dell'istituzione verso l'esterno, sia in patria chein America Latina: « Igualmente mantendrá relación con lasAcademias Hisponoamericanas de la Lengua y la de Filipinas,con las demás academias nacionales, y con el Instituto deEspaña » M.

Anche durante il franchismo, nella fase di apertura inter-nazionale del regime, c'era stato un accordo in questa direzio-ne, il 28 luglio 1960, con altri stati latinoamericani25. Si trat-tava allora, più che altro, di una dichiarazione di intenti per« prestar apoyo moral y econòmico » alle rispettive Accademienazionali della lingua. Avevano sottoscritto l'accordo, tra il1962-1963, i seguenti stati: Honduras, Argentina, Panama, Pa-raguay, Costa Rica, Guatemala, Colombia, oltre naturalmente,alla Spagna. L'accordo era entrato in vigore il 14 novembre1962 ed era stato registrato presso la Segreteria Generale del-PONU. Ora, come si vede, la collaborazione con le varie Acca-demie latinoamericane viene sancita per statuto, quindi è as-sunta come politica linguistica dello stato. Inoltre, viene espli-citamente indicata la collaborazione con « las demás Academiasnacionales »: in concreto, con le Accademie delle altre linguespagnole26.

Anche l'art. 2 è radicalmente modificato. Esso stabilisce

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ora che « será constante ocupación de la Academia revisar yenriquecer su Diccionario común de consulta general ». Inoltre,« continuará y revisará la publicación del Diccionario Históricode la Lengua Española », mentre « contribuirá a la fijación delVocabulario científico y técnico ». Da sottolineare, in questoarticolo, che manca l'esplicito richiamo, esistente nel precedentearticolo del 1859, al « buen uso de los escritores cultos »: ilche lascia intravedere che l'Accademia voglia dedicare una piùlarga attenzione al patrimonio del linguaggio parlato. Era que-sto, del resto, uno dei costanti rilievi polemici che Unamunorivolgeva all'Accademia " .

Significativo aggiornamento anche all'art. 3. L'Accademiasi propone di « renovar su gramática mediante las reformas quela experiencia aconseje, teniendo en cuenta las doctrinas y co-nocimientos de la lingüística vigente ». Scompare, nella nuovadizione, il carattere obbligatorio della grammatica accademicanelle scuole (« texto obligatorio y único en las escuelas de en-señanza pública », diceva il precedente articolo del 1859). Inol-tre, c'è il proposito di « rinnovare » la grammatica, raccogliendole indicazioni della « linguistica attuale ». Su questo punto ri-torneremo fra breve.

In sintesi, le modifiche statutarie comportano: aperturaverso l'esterno: le altre Accademie, le altre lingue spagnole, lalinguistica attuale, il linguaggio parlato. Certo, non è molto,soprattutto perché si tratta di « propositi », ma è sicuramentesignificativo come esempio di quel « reformismo desde arri-ba », di cui si è detto in precedenza.

6. La tensione riformatrice che la transizione ha inocu-lato nell'Accademia da risultati anche in altre direzioni. In par-ticolare, nel venir meno del monopolio maschile delle presenzeaccademiche.

Già in passato, per la verità, si era aperta una breccia nelmaschilismo accademico. Una Real Orden del 28 maggio 1914 28,stabiliva che non vi erano impedimenti all'ammissione delle don-ne nell'Accademia. Questa disposizione (che si riferiva ai di-ritti politici, professionali, di lavoro della donna) non vennemai applicata, naturalmente. Fino a pochi anni fa.

« Vuestra noble decisión pone fin a una tan injusta como

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vetusta discriminación literaria »: con queste parole, rivolteagli accademici della lingua il 28 luglio 1979, Carmen Condeincominciava il suo discorso per l'ingresso nella stessa Acca-demia. Si tratta di una data, per certi aspetti, storica, come losono gli eventi inconsueti: per la prima volta, dopo tre secoli,una donna veniva nominata accademica.

La risposta di Guillermo Díaz Plaja, a nome dell'Acca-demia, è significativa non solo per la forbitezza e lo stile ce-rimonioso del linguaggio, ma anche per l'evidente imbarazzodi dare giustificazioni plausibili alla secolare assenza di « repre-sentación femenina » nell'istituzione: « Cuando se poseen casitre siglos de historia, los modos de hacer colectivos (las cere-monias) significan una toma de conciencia en la que todos losacontecimientos adquieren una forma ritual. Y así, entre noso-tros, cualquier modificación de nuestro numerus clausus se su-braya con esta exigencia protocolaria de las buenas maneras (...)No dejaré de señalar con qué alegría nuestro nuevo partícipeen las tareas académicas es una mujer, que viene a romper así,victoriosamente, una situación que, no por impedimentos regla-mentarios, sino por sucesión de circunstancias diversas (...) de-jaba huérfana de representación femenina la institución queaspira a representar el estamento literario de España »29.

Anche questo piccolo segno (l'ingresso di una donna nellaAcademia de la Lengua), fa parte di quella brezza di rinnova-mento che ha investito la Spagna della transizione. Si infrangenon casualmente proprio in questa fase, una lunga tradizionepatriarcale, che supera per la verità, sia il periodo franchista,sia i trecento anni di vita dell'Accademia. Essa, infatti, risalealle origini stesse della formazione dello stato spagnolo, ed è ilfrutto dello stretto legame che è sempre esistito in Spagna trastato e religione cattolica. L'ideologia patriarcale, cioè l'esi-stenza di una gerarchia fondamentale tra uomini e donne, comesi sa, è stata un elemento centrale del cattolicesimo spagnolopre e post tridentino.

Lo stato, che non si è mai svincolato dall'influenza dellachiesa cattolica né ideologicamente né istituzionalmente, ha con-vertito il patriarcato in uno dei suoi pilastri costitutivi. Ciòspiega perché la sua legislazione sia stata sempre, per le donne,(salvo brevi periodi democratici) la più repressiva in Europa.

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L'influenza del pensiero cattolico — sia nelle classi do-minanti, sia nelle classi dominate — il lento sviluppo capita-listico e la tardiva formazione di una classe borghese moderna,hanno determinato appunto una base permanente per la ri-produzione dell'ideologia patriarcale, a tutti i livelli della so-cietà 30. A tutto questo, si può aggiungere che nelle zone dovesono rimasti residui religiosi diversi — per esempio, in Anda-lusia — si tratta di ideologie e religioni patriarcali, come quellamusulmana31.

Ora, nella cornice dell'attuale fase democratica si sono in-tensificate le lotte delle donne per continuare e sviluppare imovimenti, volti a rimuovere l'incrostazione storica dell'ideo-logia patriarcale. In questo contesto, e per la direzione che ciinteressa, sono emerse con grande vigore anche le loro riven-dicazioni linguistiche. Esse vanno da polemiche settoriali, re-lative a determinati usi linguistici a considerazioni più gene-rali sul locus delle donne nella lingua.

Qui mi limito a segnalare un aspetto di queste rivendica-zioni polemiche. Si tratta del problema delle forme dei vocaboliattributivi, riferiti alle donne, cioè la questione della desinenzadifferente in funzione del sesso dell'individuo. Per esempio,nel caso di parole come ministro, abogado, médico, ecc, qua-le forma scegliere, quando queste cariche o professioni sonoesercitate da donne? Si presentano due possibilità e si dannodue risposte, che definiscono altrettanti modi di porsi delledonne, in quanto gruppo sociale oppresso, dinanzi al problema.Alcune preferiscono creare la forma femminile, in quanto sa-rebbe più aderente alla specifica situazione e alla identità delladonna (e cioè: la ministra, la abogada, ecc); altre, mirano arendere comune la forma sinora maschile {la ministro, la abo-gado, ecc.)32.

È un esempio concreto che segnala, come si vede, nonsolo due opinioni linguistiche, ma due atteggiamenti politico-culturali: in un caso, viene affermata la radicale differenza ri-spetto al maschio; nell'altro, mettendo l'accento sulla formacomune, finora esclusivo appannaggio del maschio, si indicauna prospettiva sociale di crescente uguaglianza dei sessi, incui, cioè, non vi siano maschi e femmine, ma persone.

Al di là, comunque, dell'esemplificazione concreta, che se-

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gnala a grandi linee la dialettica interna ai vari movimenti fem-ministi, rimane anche in Spagna l'impostazione, come problema,del rapporto donna/linguaggio e l'esigenza della rivendicazione,per alcuni gruppi, della esistenza di un linguaggio femminile.Il quale, credo, va inteso non nel senso della creazione di ungergo nuovo, quanto dell'uso diverso e diversamente valoriz-zato del patrimonio linguistico, in quanto patrimonio sociale,con la conseguente messa in discussione dello stesso atteggia-mento delle donne, rispetto al linguaggio dominante maschile.In quest'ultima ottica, per esempio, si contesta l'ingresso delledonne nel campo del linguaggio maschile, del suo potere e deisuoi protocolli (esempio: Carmen Conde); si pone l'esigenza,invece, di avventurarsi in un campo ancora largamente scono-sciuto, alla ricerca delle caratteristiche, dei codici, degli idiolet-ti, insomma, delle pratiche linguistiche, che definirebbero l'am-bito del linguaggio femminile, come libertà e come attenzioneagli impulsi primari del mondo delle donne33.

Si tratta di una sorta di traversata del sistema simbolicodel castigliano e delle altre lingue spagnole, ora agli inizi, chepotrà avere implicazioni importanti, sia sul piano linguistico eletterario, sia sul piano più generalmente culturale. La libera-zione del linguaggio delle donne, da parte delle donne, è unproblema non solo spagnolo; ma nella specificità e singolaritàdella dinamica è un elemento degno di nota che mi sembracaratterizzare la fase attuale della società spagnola, dopo la li-berazione delle lingue minoritarie e del castigliano.

7. Infine, vorrei segnalare una terza e ultima sorpresache ci riserva l'Accademia, sia pure di poco precedente la fasedi transizione democratica. Già sul finire dell'epoca franchista,essa aveva dato segni, sul piano teorico, di caute aperture alla« linguistica attuale » (come è detto nello statuto riformato del1977). Mi riferisco alla pubblicazione, nel 1973, dell'Esimode una nueva Gramática de la Lengua Española3*. Le novitàsono già presenti a livello della sua suddivisione in parti. Men-tre le precedenti grammatiche accademiche erano suddivise nel-le obsolete categorie di Prosodia, Ortografia, Analogia e Sin-tassi, nell'Eskozo le prime due parti sono più adeguatamenteraccolte sotto la denominazione di Fonologia; la Analogia si

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chiama ora Morfología; la Sintassi mantiene la stessa denomi-nazione. Quasi certamente la parte sintattica è dovuta a Gili yGaya35; in quella fonologica si nota chiaramente l'assimilazio-ne della lezione dello strutturalismo praghese, ecc.

Malgrado sia un'opera provvisoria (« Por su carácter puesde simple proyecto, el presente Esbozo carece de toda valideznormativa»38), essa, tuttavia, rivela non solo l'acutezza di unostudioso come Gili y Gaya, ma, soprattutto, l'apertura uffi-ciale della tradizionale e chiusa corporazione accademica, allericerche della linguistica straniera. Marcos Marín sottolineagiustamente « el valor extraordinario de haber iniciado unnuevo concepto de la gramática española, en su versión acadé-mica »37. Al di là di ogni analisi dettagliata, e come pura se-gnalazione, direi qui che l'Esbozo dimostra come, all'inizio deglianni settanta, si incominciava a rompere l'orgoglioso xenofo-bismo, l'unilateralità e la dimensione marcatamente ideologicadell'approccio ai problemi linguistici, in una istituzione uffi-ciale e conservatrice come l'Accademia.

Del resto, in questo senso, non solo l'Accademia ha avutouna azione frenante, durante il franchismo, e anche prima; tuttala ricerca linguistica e filologica in Spagna, in questo secolo,ha mostrato una peculiarità di sviluppo, che ne costituisce ilprogresso, ma anche il limite. Questa peculiarità si riassumenel nome di Menéndez Pidal. Per lui, come si sa, esisteva pre-valentemente un solo oggetto di studio, la Spagna e, in parti-colare, la Castiglia e un particolare metodo di analisi, la storia.Non c'è dubbio che la rigorosa metodologia scientifica di Me-néndez Pidal ha fornito alla filologia e alla linguistica spagnolegli strumenti e i procedimenti di ricerca, che prima non aveva.Ma la sua forte personalità scientifica, il carattere esclusivodella sua impostazione metodologica, la determinazione di nonseparare la linguistica dalla storia, isolandole ambedue dallescienze esatte, ecc, furono così decisamente caratterizzati eimponenti che praticamente fecero da freno ad altre direzionidi ricerche3".

A questa sorta di esclusivismo di Menéndez Pidal, si puòaggiungere la paralisi e il congelamento scientifico operati dalfranchismo, la conseguente emigrazione di alcuni studiosi della« scuola di Madrid »39, e si ha un quadro generale completo.

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Al di là della scuola di Menéndez Pidal {e al di là dei lavoridella Academia de la Lengua) non c'è niente; o, meglio, cisono individui isolati, non in grado di sviluppare una culturalinguistica di diversa impostazione.

A partire dagli anni '50, si incomincia ad avere in Spagnaun crescente interesse per le teorie strutturali, in particolare,per lo strutturalismo praghese, che riesce ad aprire qualchebreccia nel compatto storicismo accademico e nelle chiusurescientifiche del franchismo. La rivoluzione funzionale (Marti-net, Jakobson) arriva con ritardo, mentre quasi sconosciutarimane la linguistica americana, fino all'irruzione di Chomsky,sul finire degli anni sessanta e, poi, nel decennio successivo40.Ma, mentre con Menéndez Pidal e la sua scuola, si trattava diproduzione originale, che ha avuto larga accoglienza fuori diSpagna, specie nell'ambito dell'ispanistica e della filologia ro-manza, nel caso delle altre direzioni di ricerca linguistica, laSpagna presenta un basso profilo e accusa forti ritardi. Anzi,più che produttrice di studi linguistici originali, ne è maggior-mente fruitrice; e di ciò fa fede la vasta attività editoriale,anche a livello didattico, in questo campo.

Un esempio significativo del ritardo della Spagna, rispettoagli sviluppi della linguistica europea e americana, è dato dalfondamentale volume Presente y futuro de la Lengua Española,raccolta degli atti del congresso omonimo, organizzato dall'OFI-NES, nel 1963. Basta scorrere l'elenco dei partecipanti, pernotare che si è trattato della passerella quasi completa dei filo-logi e dei linguisti dell'area ispanica e latino-americana, magnifi-camente ospitati dal franchismo trionfante. La lettura del vo-lume — che si avvale di una introduzione di Menéndez Pi-dal — dimostra chiaramente che la quasi totalità delle relazionisono a carattere storicistico, blandamente descrittivo e di vec-chia impostazione dialettologica; non solo ritardo, dunque, mamancanza quasi totale di qualsiasi applicazione al castiglianodelle teorie e dei metodi della linguistica, quali erano stati ela-borati in America del Nord e in Europa. La Spagna era irri-mediabilmente tagliata fuori: era veramente un universo a par-te, differente.

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7. Tra l'autunno 1977 e l'inverno 1978, nel pieno delprocesso di transizione, viene festeggiato, in una solenne ceri-monia commemorativa, un duplice millenario, quello della lin-gua castigliana e quello della lingua basca41. La cerimonia sisvolge nel monastero riojano di Yuso, in San Millán de laCogolla (Logroño).

All'origine di questo duplice evento, c'è il « Codice Emi-lianenses 60 » **, documento che Menéndez Pidal fa risalire allafine del secolo X e in cui compaiono le prime parole scritte incastigliano e in basco.

Lo scrivente è anonimo. Si tratta di un monaco, proba-bilmente un predicatore o uno studente, il quale trovandosidinanzi a testi liturgici latini, va annotando a margine, in lin-gua volgare, le parole di cui non conosce il significato. Nelfolio 72, ha di fronte un sermone agostiniano. Ma qui non an-nota solo qualche parola. Traduce, ampliando, le ultime duerighe e mezzo del testo latino, poiché allora era consuetudineterminare le omelie con una doxologia, cioè con le lodi e conla preghiera a Cristo. L'ignoto monaco incomincia a scriveresul margine inferiore destro queste storiche parole: « conoaiutorio... »43. Insieme alle glosse in romance, introduce anchedue glosse in basco; sono anch'esse le prime parole scritte co-nosciute in questa lingua44.

Quanto al contenuto del testo castigliano, è stato osser-vato45 che il primo oggetto della «lengua niña», quando im-para a parlare, è costituito da una professione di fede in Dioe nella Trinità; è una preghiera. La parola-chiave, infatti, è« dueño » ( = Señor), ripetuta ben cinque volte, mentre nel testolatino compare una sola volta.

Questo primo testo castigliano è diverso dai primi docu-menti in volgare di altre lingue romanze, come il francese el'italiano. Queste nascerebbero parlando agli uomini di coseterrene: i « Giuramenti di Strasburgo », dell'842, sono un testopolitico; il « Placito cassinese », del 960, è un testo giuridico.Il testo castigliano, invece, parla a Dio; è un testo religioso.Si è voluto vedere nelle prime parole scritte in queste tre lin-gue, quasi una sorta di prefigurazione della loro storia succes-siva. In particolare, nel caso del castigliano, non solo l'annun-cio della futura lingua della mistica (da Fray Luis de Leon a

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Santa Teresa de Avila a San Juan de la Cruz), ma anche dellapicaresca: « Las Glosas desde el punto de vista del contenidoy del contexto » riescono a spiegare « los místicos »; « mirán-dolas desde el hecho mismo de hacerlas, nos encarrilamos haciala picaresca »48. In base a queste osservazioni, era quasi na-turale che la lingua castigliana, data la sua nascita umile (unmonaco piuttosto ignorante di latino), non poteva caratterizzarsi,emblematicamente, che come la lingua delle « calle » (il val-desiano «escribo como hablo») e, insieme, del «cielo».

Fin qui Zamora Vicente. A noi questo discorso non inte-ressa se non per sottolinearne gli aspetti tra ingenui e ideolo-gizzanti: è ovvio che, in ambito monacale e di fronte a un testoliturgico, le glosse siano di tema religioso; d'altronde, è casualela conservazione di questo documento, e non di altri; è arbi-trario fondare la caratterizzazione di una lingua e dei suoi co-dici futuri (mistica, picaresca) su una sopravvivenza e un ri-trovamento accidentale. Quanto mi interessa è un altro punto,cioè sottolineare un dato storico innegabile: vale a dire il fattoche l'anonimo glossatore fosse bilingue, che vivesse e scrivessein una regione, territorialmente e linguisticamente « fronteri-za », come la Rioja; e che, di conseguenza, con uno stesso ge-sto e nello stesso tempo, fondasse e testimoniasse l'esistenzastorica del castigliano e del basco. « La hermandad de las doslenguas — scrive la Real Sociedad Vascongada — no es unacircunstancia puramente casual. El copista y glosador del sigloX hablaba, sin duda, el castellano y el euskera, porque vivíaen un medio en el que se hablaban ambas lenguas »47.

Questo, all'inizio. La traiettoria storica delle due linguenon ha mantenuto i caratteri di « hermandad »; ma la Spagna,nel suo complesso, è stata sempre un « medio en el que se ha-blaban ambas lenguas », e più di due.

8. La duplice celebrazione acquista un significato partico-lare in funzione del periodo in cui si svolge. Il 1977-78, comesi è accennato, è il biennio dei lavori costituzionali. L'approva-zione della costituzione, il 6 dicembre 1978, costituisce anzi ilmomento simbolico e culminante di tutto il processo di tran-sizione democratica. Dal punto di vista che ci interessa, si con-solida il tentativo di soluzione, sul piano istituzionale, della

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questione linguistica, cioè il riconoscimento formale dell'esisten-za del pluralismo linguistico, come peculiarità storica e cultu-rale della Spagna. È la soluzione di uno dei più gravi problemidella vita spagnola; problema che, come sappiamo, affonda lesue radici in una tradizione risalente alle origini stesse dellanascita del romance e che esprime una innegabile ricchezza lin-guistica e letteraria e una complessa eredità culturale. In que-sto senso si muove la nuova costituzione democratica quando,già nel preambolo, dichiara la volontà di « proteger a todoslos españoles y pueblos de España en el ejercicio de los dere-chos umanos, sus culturas y tradiciones, lenguas e institucio-nes » ». Nell'art. 2 riconosce e garantisce « el derecho a la au-tonomía de las nacionalidades y regiones que la integran [LaSpagna]»; e nell'art. 3.3, sottolinea che «la riqueza de lasdistintas modalidades lingüísticas de España es un patrimoniocultural que será objeto de especial respeto y protección » .

Queste enunciazioni segnalano una filosofia costituzionalefondata su una organizzazione statale unitaria, ma articolata inun sistema largamente autonomistico. Inoltre, il rispetto dellepeculiarità e dell'identità culturale e linguistica delle varie na-zionalità storiche, non solo supera il tracotante centralismo au-toritario del periodo franchista, ma intacca in pieno una lineadi sviluppo storico, che ha ben più lontane radici.

Sul piano più propriamente linguistico, gli statuti di auto-nomia della Catalogna, dei Paesi baschi e della Galizia, ap-provati tra il 1979 e il 1980, hanno sanzionato l'ufficialitàdelle rispettive lingue, accanto al casigliano: « El euskera, len-gua propia del pueblo vasco, tendrá, como el castellano, ca-rácter de lengua oficial en Euskadi, y todos sus habitantestienen el derecho de conocer y usar ambas lenguas » (art. 3.1,dello statuto di autonomia). Analoghi articoli riguardano le lin-gue catalana e galiziana, nei rispettivi statuti. Questi precettistabiliscono, dunque, che tutti gli abitanti dei Paesi baschi, dellaCatalogna e della Galizia hanno il diritto di conoscere e usarela lingua materna e la lingua castigliana. Oltre a stabilire ilcarattere ufficiale delle lingue minoritarie, attribuiscono alle isti-tuzioni delle Comunità autonome il potere di garantirne l'usoe i mezzi necessari per assicurarne la conoscenza: « Las insti-tuciones comunes de la Comunidad Autonoma, temendo en

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cuenta la diversidad socio-lingüística del País Vasco, garantiza-rán el uso de ambas lenguas, regulando su carácter oficial, y ar-bitrarán y regularán las medidas y medios necesarios para ase-gurar su conocimiento » (art. 3.2). Da sottolineare che le dispo-sizioni statutarie (art. 6, dello statuto basco; art. 3, dello statutocatalano; art. 5, dello statuto galiziano) prescrivono il dirittoall'uso della lingua castigliana, ma non il dovere. È la costitu-zione che, nel suo art. 3, stabilisce il dovere di tutti gli spa-gnoli di conoscere il castigliano, in quanto lingua ufficiale dellostato. Quindi, sembra logico che gli articoli degli statuti con-cernenti la lingua, vadano armonizzati con l'art. 3 della costitu-zione: gli abitanti delle nazionalità autonome, in quanto spa-gnoli, hanno il dovere di conoscere il castigliano e il diritto diconoscere le rispettive lingue materne; come hanno il dirittodi utilizzare l'una o l'altra lingua.

Inoltre, il « fomento » della lingua autoctona non vienelimitato all'ambito territoriale della stessa Comunità autonoma,ma può estendersi ad altri territori, anche all'estero; in questicasi, con la collaborazione dello stato: « Por ser el euskera pa-trimonio de otros territorios vascos y comunidades, ademásde los vínculos y correspondencia que mantengan las institucio-nes académicas y culturales, la Mancomunidad Autónoma del PaísVasco podrá solicitar del Gobierno español que celebre y pre-sente, en su caso, a las Cortes Generales, para su autori-zación, los tratados o convenios que permiten el establecimien-to de relaciones culturales con los Estados donde se integrano residan aquellos territorios y comunidades, a fin de salva-guardar y fomentar el euskera » (art. 6.5). Nello statuto cata-lano c'è una novità, rispetto agli altri statuti: l'inclusione, ac-canto alla lingua ufficiale catalana, anche della lingua arago-nese. Pur se non le viene dato carattere ufficiale a livello pro-vinciale, se ne assicura l'insegnamento, la protezione e il ri-spetto: « El habla aragonesa será objeto de enseñanza y deespecial respeto y protección (art. 5.4).

Infine, va osservato che le Comunità autonome assumonole competenze e quindi l'autogestione, in materia di insegna-mento della lingua autoctona e di possesso e utilizzazione deimezzi di comunicazione sociale (stampa, radio, televisione, ecc),anche se in armonia con quanto prescrive il dettato costitu-

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zionale. In questo caso, cioè, non si tratta di competenze esclu-sive, ma di competenze concorrenti tra lo stato e le comunitàautonome *".

Rimangono, dunque, acquisite: l'ufficialità delle lingue au-toctone, in Catalogna, nei Paesi baschi e in Galizia; la possi-bilità per le Comunità autonome di « fomentar » la lingua, an-che oltre i limiti territoriali, cioè in quelle zone o in quei paesi,in cui esistono utenti della lingua minoritaria (es. Paese bascofrancese, Catalogna Nord, ecc); l'incorporazione delle lingue mi-noritarie nel sistema educativo; la possibilità di promuoveree possedere mass-media.

Queste disposizioni costituzionali e statutarie hanno unprofondo valore di principio. Si tratta di una netta inversionedi tendenza, rispetto al passato franchista; significa aver postole basi fondamentali, se non per la soluzione globale, certamenteper l'avvio della soluzione della questione linguistica in Spagna.E dico avvio di soluzione, perché il passato recente — e menorecente — pesa sul presente: i suoi effetti non si possono can-cellare all'improvviso. Si pensi, per esempio, al problema delbilinguismo. L'insegnamento bilingue è fonte di complessi pro-blemi, in quanto, per ciò che riguarda l'uso della lingua, hacaratteristiche diverse nelle diverse comunità, e anche all'inter-no di una stessa comunità. I processi storici (il livello di repres-sione, le condizioni economiche, le stratificazioni e la mobilitàsociale, il livello di coscienza e di rivendicazione linguistica,ecc.) hanno prodotto situazioni diverse e diversificate al lorointerno. Sono pluralità di situazioni riflesse quantitativamentein una inchiesta assai approfondita, condotta all'inizio della tran-sizione49. Risulta, così, che nei Paesi baschi il 54% degli abi-tanti non capisce l'euskera e oltre il 6 1 % non lo parla; men-tre appena l '8% è in grado di scriverlo. La situazione è assaidiversa in Catalogna: qui oltre il 68% della popolazione par-la il catalano, ma solo l ' l l % lo scrive. In Galizia, invece,P81% parla il galiziano, ma appena il 6% è in grado di scri-verlo, ecc.

Queste disparità sono certo un retaggio storico. Ma daquesti dati bisogna partire perché l'utilizzazione e lo sviluppodelle lingue minoritarie spagnole, sia un costante arricchimento

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delle culture ispaniche. La costituzione e gli statuti ne hannoposto le premesse.

9. Per finire, due ulteriori riflessioni.Ho cercato di descrivere il processo di transizione dal

franchismo al postfranchismo, nei suoi riflessi sui problemi lin-guistici, mirando a cogliere e valorizzare gli elementi innovativie propulsivi, istituzionali e sociali, sia pure in un contesto « ri-formistico », dominato dal « consenso » e in una dinamica ri-vendicativa sfociata nel « desencanto ». Il tejerazo del 23 feb-braio 1981, per un momento, è sembrato capace di interrom-pere drammaticamente il processo avviato nel 1975. Non èstato così, anche se la situazione si è sicuramente deteriorata:dal « desencanto » si è passati alla « paura ». Tuttavia, credo(e mi auguro) che i risultati finora conseguiti costituiscano undato irreversibile e la base per andare avanti.

La nuova situazione democratica spagnola può avere deipositivi riflessi anche in Italia, sia sul piano didattico-organiz-zativo, sia sul piano più propriamente scientifico. In primoluogo, può dare ulteriore impulso, per esempio, in una pro-spettiva dipartimentale, all'articolazione dell'ispanistica tradi-zionale, finora fondata quasi esclusivamente sulla lingua e laletteratura castigliane, in direzione di un inserimento stabilenella struttura universitaria delle modalità linguistiche e lette-rarie spagnole, diverse da quelle castigliane, sia pure con lepeculiarità e i problemi specifici che esse presentano. In se-condo luogo, tutto il processo di transizione si presenta come uninteressante laboratorio linguistico. Penso, in breve, ai problemiindicati come processo di triplice liberazione — delle lingueminoritarie, del castigliano e del linguaggio delle donne —. Essicostituiscono altrettanti campi di lavoro aperti allo studio eall'indagine.

NOTE

1 Losada, Buenos Aires, 1943. Cito dalla 5a ed., 1979.2 Su questo argomento, v. più avanti pp. 16-18.3 Per esempio, nella Generai Estoria di Alfonso el Sabio (secolo

XII), la lingua di Castiglia veniva denominata come « nuestro lenguaje

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de Castilla », « nuestro romanz de Castilla », « lenguaje de Castilla »,«castellano», eoe. Cfr. ALONSO, át., p. 13.

4 Lingüística y lengua española, Cincel, Madrid 1975, pp. 275 e segg.5 Possiamo aggiungere, a parziale integrazione dei passi di ALONSO

e MARÍN, due notazioni: un rimando a AUBISCHER (H étnico «español»:un provenzalismo en castellano, in Estudios de Toponimia y LexicografíaRomànica, CSIC, Madrid 1948, pp. 15-48) e l'osservazione che, quanto alparagone tra español e le denominazioni di altre lingue nazionali, esisteperlomeno un'eccezione, perché nel caso dell'inglese, lingua di tutto ilRegno Unito, l'origine del termine risale proprio a una specifica regione,VEngland (da cui English).

6 Cito dal testo costituzionale pubblicato sul B.O.E., n. 311.1 del29 dicembre 1978, p. 29316.

7 Cfr. J. M. MARAVALL, Transición a la democracia, Alineamientospolíticos y elecciones en España, in «Sistema», n. 36, (1980); pp. 68-79.

8 J. DE ENTRAMBASAGUAS, Poliglotismo y traducción, in « Revistade Literatura », nn. 1-2, (1952), pp. 257-261.

8 lbii., p. 257.10 R. CARNICER, Las lenguas, in «Idioma», n. 1, (1966), pp. 151-153.11 M. MORAL GARCÍA, ¿ Hay que volverse imbécil para hablar idiomas

correctamente?, in « Idioma », n. 2, /(1966), pp. 91-93.u J. GOYTISOLO, Libertad, Libertad, Libertad, Anagrama, Barcelona

1978, p. 27.13 G. TORRENTE BALLESTER, LOS cuadernos de « La Romana », in

« Informaciones », 6 dicembre 1973, p. 6.14 J. L. CEBRIAN, Palabras, palabras, palabras, in « El País », 22

febbraio 1979, p. 10.15 E' superfluo sottolineare che il termine « liberazione », riferito

alla lingua, ha un valore metaforico. Sappiamo, infatti, che l'uso di unsistema linguistico non è mai assolutamente libero. La lingua impone aisuoi utenti strategie di silenzio, tabù espressivi, ecc. Tuttavia, il problemache vogliamo segnalare non si riferisce tanto alle pressioni del sistemalinguistico, quanto a determinati livelli di imposizioni e repressioni so-vrastrutturali e istituzionali.

16 Per un'analisi dettagliata del vocabolario politico del franchismocfr. M. A. REBOLLO TORIO, Lenguaje y política. Introducción al voca-bulario político republicano y franquista, 1931-1971, Torres , Valencia1978; v. anche, A. M E L L O N I - C. PEÑA-MARÍN, El discurso político enla prensa madrileña del franquismo, Bulzoni, Roma 1980.

17 J . L. CEBRIAN, cit., p . 10.18 Cfr. G . D U E L O , Diccionario de grupos, fuerzas y partidos políticos

españoles, La Gaya Ciencia, Madrid 1977.19 La Gaya Cencía, Madr id 1976.20 Si può notare che questi influssi stranieri coincidono con i qua t t ro

momenti fondamentali di riforma del castigliano (anche se è ovvio di-stinguere l'evoluzione di una lingua dalla riforma della stessa). I l ca-stigliano, intenzionalmente, è stato riformato: nel secolo X I I , con Alfonsoel Sabio; nel secolo XVI, col trionfo cesareo dell 'idea della lingua volgare,

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imperiale e universale; nel secolo XVIII, con la fondazione della RealAcademia de la Lengua e con i tentativi di enciclopedismo e razionalismodi Luzán, Jovellanos, Feijóo, eoe. Infine, nel secolo XX con il tentativodi rinnovamento delle istituzioni accadamene, in conseguenza delle mo-dificazioni socio-economiche dell'America Latina (per esempio, Cuba), conla preoccupazione generalizzata per l'adozione dei tecnicismi, connessa,quindi, con il tema della « norma hispánica ». Su questa periodizzazione,cir. MARCOS M A R Í N , Lingüística y lengua española, cit., passim; id .Reforma y modernización del español, Cátedra, Madr id 1979, p p . 77e segg.

21 Sul rapporto castiglkno-inglese in USA, cfr. E . BARNACH-CALBO,La lengua española en Estados Unidos, Oficina de Educación Iberoame-ricana, Madr id 1980; E . LORENZO, El español y otras lenguas, SCEL,Madrid 1980, passim; in particolare, p p . 139-153.

22 Ci to dal B.O.E., nn . 168-169, 15-16 luglio 1977, p . 2435.23 Cfr. « Gaceta de Madrid », n. 244, 1 settembre 1859, p p . 31 e segg.24 B .O.E. , cit., p . 2435.25 B.O.E. , n . 312, 30 se t tembre 1960.26 A questo proposito, vorrei ricordare un episodio degli anni '20:

con un Real Decreto del 26 novembre 1926, venne modificato lo statutodel 1859, nel senso di consentire l'accesso all'Accademia a ot to rappre-sentanti delle lingue spagnole, diverse dal castigliano: due per la linguacatalana, due per la lingua galiziana, due per la lingua basca e unociascuno per le lingue valenziana e mayorchina. Tuttavia, questo decretovenne abrogato nel 1930 (« Gaceta de Madrid », n . 136, 16 maggio 1930),ripristinando la dizione del 1859, che non prevedeva l'accesso alla Rea]Academia de la Lengua dei rappresentanti delle lingue minoritarie.

27 Cfr., M. DE UNAMUNO La raza y la lengua (1884-1935), O C , t.VI , Aguado, Madrid 1958, passim.

28 «Gaceta Oficial», n . 157, 6 giugno 1914.29 Citato in « El País », 30 gennaio 1979, p . 26.30 Su ques t i p roblemi , cfr., J . A S T E L A R R A , Estado y patriarcado en la

historia de España, in « E l Socialista », 15-21 luglio 1980, p . 5 0 .31 U n esempio significativo, a ques to r iguardo , è la presenza della

comunità gitana, in Andalusia, che oggi supera il mezzo milione di in-dividui. Insediatisi in Spagna intorno al secolo XVI, i calés, che fannoparte del popolo rom { = uomo, in sanscrito) sono stati discriminati dauna serie di leggi repressive (dalla Prammatica dei Re Cattolici del1499 fino all'attuale legge di « Peligrosidad social »). Ebbene, il popoloromani, discriminato e vessato dall'autorità paya (i non gitani), ha uncodice, non scritto, che definisce e regola i doveri all'interno della co-munità gitana.

La base della legge gitana comporta, oltre che la fedeltà di tutti isuoi membri alla razza, anche l'accettazione dell'autorità (maschile, daparte delle donne. La famiglia gitana costituisce una piccola società pa-triarcale endogamica chiusa, in cui l'autorità suprema sta nel padre onel maschio maggiore. La subordinazione della donna gitana al maschio(prima, il padre; poi, il marito) è totale. Significative, ancora in questo

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senso, sono le nozze gitane, di cui uno degli elementi importanti è laprova della verginità. La prova — detta delle <« tres rosas » — vienefatta da una esperta juntaori o sicobari e deve dimostrare, con le macchiedi sangue, la purezza della ragazza. Tracce ài questa prova sono presentinelle « alboreas », canzoni adattate « a lo gitano », da analoghe antichecanzona in castigliano. Il loro nome deriva forse dal fatto che la provaavveniva all'alba. Ancora tracce sul tema della « honra » della donna, sitrovano nel flamenco che, come è noto, a partire dal secolo XVIII, haacquistato carattere di folklore nazionale, malgrado la sua origine locale,nell'Andalusia orientale, dalla confluenza di musica ebrea (i canti sina-gogali), di remote forme musicali andaluse e di musica moristea. Tra leforme ,più importanti, le seguiriyas, le ¡tonas, le saetas, ecc. Cfr. R. MO-LINA, Cante flamenco, Taurus, Madrid 1981; F. GRANDE, En la cunetade la historia, in « El Socialista », 22-28 luglio 1980, p. 12; K. BONILLA,Los gitanos, parias de la historia, in « El País », 23, 24, 26 luglio 1977.

32 Cfr. A. GARCÍA MESEGUER, El género y el sexo, in « El País »,18 gennaio 1979, p. 21; id. Lenguaje y discriminación sexual, Cuadernospara el Diálogo, 1977.

33 Cfr. Y. REBOLLO - L. RODRÍGUEZ, Sugerencias garbosas para unanálisis del lenguaje femenino, in « El Viejo Topo » n . 49 (1980),pp. 48-51; M. YAGUELLO, Les mots et les femmes, Payot, Paris 1979.

34 Espasa^Calpe, Madrid 1973.35 Come è noto, gli estensori delle varie parti sono anonimi.36 Esbozo..., cit., p. 5.37 MARCOS MARÍN, cit., p. 270.38 Su questi problemi, ofr. MARCOS MARÍN, cit., passim; J. ROY,

Evolución del pensamiento lingüístico hispánico, in J. M. GUITART -J. ROY (a cura di), La estructura fónica de la lengua castellana, Anagrama,Barcellona 1980, pp. 17-58.

39 E' questo il nome dato all'equipe di Menéndez PidaJ, da DIEGOCATALÁN MENÉNDEZ PIDAL, La escuela lingüística espanda y su concepcióndel lenguaje, Gredos, Madrid 1955.

40 Per l'influsso di Chomsky, cfr. oltre GUITART-ROY, cit., ancheC. PEREGRIN OTERO, Introducción a la lingüística transformacionól, SigioXXI, Madrid 1973.

4 1 I dettagli in A. CENZANO, El castellano oumpl-e mil años, in « In-formaciones », 10 novembre 1977, p . 1.

42 II « Codice Emilianenses 60 » rimase nel monastero di Yuso finoal 1821, quando venne requisito dal governo spagnolo. Attualmente siconserva nella biblioteca della Real Academia de la Historia.

Per quasi un millennio, il « Codice » fu pressoché sconosciuto, finquando lo scoprì nel 1913 Manuel Gómez Moreno, fornendo cosi aglistudiosi (Menéndez Pidal, Rafael Lapesa...) uno strumento di lavoroimportantissimo per ricostruire le lingue che vivevano o si stavano for-mando nella Spagna dei secoli X e XI.

43 II testo comple to , in S. PRADO, Exaltación de las glosas emilianenses,in « Boletín de la Provincia de San José, O.A.R. », n. 87, Logroño1974, p. 2.

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44 I n tut to si tratta di 145 glosse. L'orazione è la numero 89; essaè l'unica scritta in prosa continua (è formata da dodici righe per untotale di 43 parole). Le altre 144 glosse sono parole singole e isolate.

45 S. PRADO, cit., pp . 10-13; A. ZAMORA VICENTE, Significación delas glosas emilianenses, in « Boletín de la Provincia de San José, O.A.R. »,cit., pp. 16 e segg.

4 6 A. ZAMORA VICENTE, cit., p . 19.4 7 A. CENZANO, cit., p. 1.48 Per maggiori dettagli sui problemi culturali e linguistici nella

costituzione spagnola del 1978, cfr. F . SERRAN PAGAN, Cultura Españolay Autonomías, Ministerio de Cultura, Madrid 1980.

4 9 Cfr., S. DEL CAMPO - M. NAVARRO - J . T . TEZANOS, La cuestiónregional española, Cuadernos para el Diálogo, Madrid 1977.

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