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di Federico Butera - Università di CagliariFederico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle...

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Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni di Federico Butera Professore Ordinario di Sociologia dell’Organizzazione Università di Milano Bicocca © 2005 Federico Butera
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Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

di Federico Butera Professore Ordinario di Sociologia dell’Organizzazione Università di Milano Bicocca © 2005 Federico Butera

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Indice

1. Tre diversi significati del termine organizzazione p. 3 2. La persona e gli universi del lavoro nell'organizzazione p. 5 3. Assi, dimensioni, criteri e obiettivi dell'attività organizzatrice p. 7 4. Le tipologie organizzative p. 12

5. Una definizione di organizzazione. Il caso dell'organizzazione

industriale p. 15 6. Il ciclo di vita delle organizzazioni p. 19 7. L'analisi dell'unità organizzativa - Lineamenti di uno schema

(il "cubo organizzativo") p. 22

8. La configurazione organizzativa: approfondimenti p. 29 9. Le strutture di regolazione latenti: comunità di lavoro e strati

organizzativi nell'organizzazione individualizzata p. 48 10. La gestione strutturale del cambiamento (GSC) p. 59

Appendice - Schema per il check up organizzativo p. 69 1. Il modello di analisi e progettazione organizzativa p. 69 2. Informazioni generali sull'organizzazione p. 70 3. Le dimensioni p. 71

Bibliografia p. 81

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1. Tre diversi significati del termine organizzazione La nostra società è caratterizzata da un numero molto elevato di organizzazioni. Questo termine assume significati diversi, illustrati qui di seguito (si veda anche L. Gallino, Dizionario di Sociologia, voce Organizzazione). O1 Organizzazione come attività organizzatrice: organizzare Questa prima accezione del termine organizzazione si riferisce agli atti compiuti da soggetti, individuali o collettivi, orientati a passare da uno stato di disordine a uno di maggior ordine. In questo senso, ordine e organizzazione sono sinonimi. Nel linguaggio corrente, ordinato si riferisce a elementi che si presentano in maniera riconoscibile e prevedibile (ad esempio: la burocrazia). Oggi si ha un'idea di ordine più ampia di quella consegnataci dalla teoria classica dell'organizzazione. Ordine infatti si riferisce a tutto ciò che viene compreso e che può essere intenzionalmente progettato o sviluppato; è quindi un costrutto cognitivo ed emotivo che consente a una persona o a una comunità di accettare e di fronteggiare la complessità o anche l'inaspettato. Il disordine non è sempre un male. In molti casi, anzi, si ammette la presenza del disordine come risorsa: ad esempio nello sviluppo delle innovazioni, nella carriera delle persone, nella reazione di una "sorpresa strategica" in un piano aziendale; tali contesti appaiono come condizioni per il cambiamento di un'organizzazione o di un'istituzione. L'attività imprevista, l'insofferenza per ciò che è consolidato, il rifiuto del conventional wisdom, la rottura di un paradigma, talvolta possono infatti portare a risultati significativi di riorganizzazione dell'esistente. Organizzazione in questa prima accezione fa riferimento alle attività dirette a stabilire le relazioni tra le persone e le cose per conseguire uno scopo. Organizzare è portare a unità elementi dispersi. L'attività organizzatrice di un soggetto individuale o collettivo dipende da leggi, prescrizioni, raccomandazioni, pratiche, esperienze, conoscenze, memorie, intuizioni e altro, anche quelle che vengono richiamate soltanto in condizioni di pericolo o di urgenza. Definiamo progettazione un'attività di configurazione di un artefatto fisico e/o sociale (l'organizzazione talvolta ha entrambi questi attributi), svolta da più soggetti che cooperano per giungere a un risultato: nella progettazione precipitano infatti diverse conoscenze ed esperienze, tecniche e pratiche di lavoro, forme di coordinamento, modalità di comunicazione, regole sociali delle comunità, emozioni e molto altro. Definiamo sviluppo un'attività intenzionale volta ad avviare, favorire, guidare un processo già in atto: un processo fisico (il sostegno alla crescita di un bambino), un processo psicologico (lo sviluppo delle competenze e della professione di una o più persone), o un processo di evoluzione di una "organizzazione naturale" (una comunità, un contesto culturale, un campo organizzativo etc.), la effettiva realizzazione di una organizzazione formale. O2 Organizzazione come soggetto collettivo: l'attore organizzativo Le organizzazioni sono, per lo più, soggetti riconoscibili della vita collettiva con una personalità organizzativa; tale personalità può essere giuridica (ad esempio: il Ministero

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delle Finanze, un ospedale, la Fiat) o di fatto (ad esempio: la squadra di calcio del quartiere, un gruppo spontaneo di beneficenza, una cosca criminale). Il primo problema di ogni analisi organizzativa è quello di riconoscere questi soggetti e capire come nascono, come la società li identifica, come vengono gestiti, come si evolvono, come muoiono. È utile poi classificare i soggetti organizzativi in tipologie: tipologie generali (come enti pubblici, imprese, enti non profit etc.) e tipologie specifiche (come imprese grandi, medie e piccole, oppure imprese metalmeccaniche, chimiche e così via). Questo argomento sarà affrontato nel capitolo 4. O3 Organizzazione come struttura: i componenti dell'organizzazione e le loro

relazioni In questa accezione si identificano le componenti costitutive di un soggetto organizzativo (ad esempio: processi, compiti, ruoli, sistema sociale, cultura etc.) e le relazioni di tali componenti a) fra di esse e b) con il mondo esterno: è la configurazione organizzativa (dei componenti e delle relazioni) che consente di raggiungere i fini dell'organizzazione. Le strutture possono essere formali o latenti. Lo studio delle prime ha per oggetto norme, regole, organigrammi, mansionari che avvicinano l'analisi organizzativa all'analisi giuridica, economica, ingegneristica (capitoli 7 e 8). Lo studio delle strutture latenti ha invece per oggetto le comunità di lavoro e le relazioni di cooperazione, comunicazione, conoscenza che avvicinano l'analisi organizzativa all'analisi etnografica o antropologica (capitolo 9). Le tre accezioni del termine organizzazione sono strettamente correlate e ci indicano i procedimenti per l'analisi organizzativa. Di solito uno studio dovrebbe partire da un'indagine sulla natura e l'identità dei soggetti organizzativi (O2), per poi capire come essi si strutturano (O3) e comprendere infine quali schemi e corsi di azioni intraprendono per raggiungere il loro obiettivo (O1). Questo è il procedimento da seguire se il problema è capire perché un'impresa è diventata forte e dominante (i casi Microsoft o Emergency), o perché un sistema aeroportuale fallisce (il caso dell'incidente di Linate). Viceversa, partendo da un cambiamento di modalità d'agire e di obiettivi (O1) si può analizzare la configurazione strutturale che ne è derivata (03) e le successive interazioni fra questa e i soggetti (O2): questo è il procedimento consigliabile se si vuole comprendere come è nata la Silicon Valley, un distretto italiano, oppure Yahoo. Esercitazione n° 1 Padroneggiare i diversi significati del termine organizzazione.

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2. La persona e gli universi del lavoro nell'organizzazione L'attività organizzatrice è quella svolta da un attore, una persona in carne e ossa che compie una serie di atti molto più numerosi e complessi di quelli che noi riusciamo a cogliere mentre lo osserviamo. Gli atti di lavoro possono essere collocati su cinque universi o dimensioni fenomenologiche del lavoro o dell'attività organizzatrice, come spiega De Michelis.

• Universo fisico: l'ambiente e gli oggetti con i quali l'attore interagisce (ad esempio: la scrivania, la luce, i terminali, etc.), ossia il posto di lavoro fisico.

• Universo operativo: i movimenti che si fanno per lo svolgimento del proprio compito (ad esempio: leggere, scrivere, avvitare, etc.), ossia le azioni che comprendono i compiti.

• Universo procedurale: la sequenza delle operazioni. La procedura è la più tipica delle sequenze previste da un'organizzazione, ma non in tutti i lavori esiste una procedura definita e scritta, poiché a volte fa parte del patrimonio di conoscenze ed esperienze del singolo individuo, come nella concessione di un passaporto.

• Universo degli impegni: le situazioni in cui il lavoro non solo segue una procedura, ma risponde a un impegno, a una richiesta da parte di qualcuno. In questo universo sono comprese anche le relazioni e le comunicazioni con gli altri, come nei servizi di cura al cliente o nelle vendite.

• Universo decisionale: le decisioni che l'attore prende, che potrebbero anche cambiare il corso degli eventi.

Tutto questo avviene nello stesso momento in cui una persona lavora. In un contesto di analisi del lavoro occorre sottolineare due punti:

1. il primo è che l'attore è sempre implicato in dimensioni multiple: la sua esperienza si svolge simultaneamente su più piani, poiché esso ha relazioni con tutti gli universi;

2. il secondo è che gli universi del lavoro sono diversi per i lavori operativi (ad esempio: i lavori sviluppati nel taylorismo e nei contesti di burocrazia) e i lavori con connotazioni più intellettuali, decisionali, professionali. Nel caso dei lavori operativi gli universi più evidenti e più studiati sono i primi tre: non sono mai state considerate importanti le dimensioni degli impegni e delle decisioni, visto che le strutture erano fatte in modo che l'attore non partecipasse ai relativi universi. Nel caso del lavori intellettuali, invece, si descrivono per lo più gli ultimi due universi. La parte nascosta, però, esiste sempre in tutti i tipi di lavori (ad esempio, anche l'operaio della catena di montaggio prende decisioni, e il pittore, mentre crea, segue una procedura tecnica con precise operazioni in un universo fisico). In qualunque atto di lavoro bisogna sottolineare l'integrità dell'attore, sia che esso generi l'attività organizzatrice, sia che la subisca.

Per tradizione, le ultime due dimensioni sono state relegate allo studio dell'attore ed escluse di solito dallo studio del lavoro. Il sistema di rappresentazione delle organizzazioni si è cristallizzato sullo studio di operazioni fotografabili. Solo recentemente, antropologi come Van Maanen hanno rappresentato gli universi degli impegni e delle decisioni nello studio del lavoro e dell'organizzazione.

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Il duplice compito delle scienze che si occupano del lavoro e delle organizzazioni è, quindi, quello di studiare il lavoro nei diversi universi, ma anche quello di reintegrare nelle persone tutto l'arco delle dimensioni, recuperando con questo l'integralità dell'esperienza del lavoro.Gli universi del lavoro possono infatti aiutarci a studiare il lavoro nel suo aspetto fenomenologico: è più efficace vedere cosa avviene realmente, cosa succede hic et nunc, senza lasciarci influenzare da cosa dovrebbe o potrebbe avvenire e senza accettare le astrazioni dell'intervistato. Chi studia l'organizzazione deve assumere un ruolo di intervistatore attivo, in grado di distinguere tra i fatti obiettivamente avvenuti e le percezioni, i giudizi soggettivi dell'intervistato sul lavoro o sull'ambiente. A volte, però, anche le percezioni possono diventare fatti importanti per un'analisi. (Ad esempio, durante un'intervista, un impiegato di un Ministero aveva denunciato la presenza di topi nell'ambiente di lavoro; in realtà non c'era nessun topo, ma il disagio della persona si esprimeva attraverso la denuncia di fantomatici topi). Un problema interessante consiste nel cercare di capire quali classi di comportamenti umani sottostanno al lavoro intellettuale o al lavoro creativo. Il lavoro creativo è sempre intellettuale, ma non sempre il lavoro intellettuale è creativo. Per questi tipi di lavori la routine è fondata sullo skill based behavior o sul rule based behavior, ma il lavoro intellettuale o creativo è invece fondato sul knowledge based behavior: non è "fantasia e sregolatezza", ma vi è un contesto formativo che sostiene la scoperta, la creatività, l'invenzione etc. (un esempio di un contesto formativo formalizzato è la scuola). Esercitazione n° 2 Analisi di un lavoro: cosa si vede a occhio nudo, cosa richiede un'analisi fenomenologica.

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3. Assi, dimensioni, criteri e obiettivi dell'attività organizzatrice 3.1. Gli assi dell'attività organizzatrice Gli assi per ordinare qualunque attività sono le tre T, ovvero Tecnologia, Tempo e Territorio, che fissano i vincoli principali dell'organizzazione. La tecnologia è costituita da strumenti, utensili, macchine, software che hanno la funzione di mettere in ordine e trasformare cose, informazioni, conoscenze: dal riempimento automatico delle bottiglie di latte alla costituzione di una lista dei debitori morosi predisposta da un sistema informatico. L'asse del tempo è legato all'idea della puntualità, della sincronizzazione, del coordinamento etc. La cultura e le tecniche dell'organizzarsi sono nate nei luoghi in cui è stato più complesso sincronizzare il lavoro di più persone, le macchine, gli orari, etc. (ad esempio: gli eserciti, la fabbrica moderna e in particolare le officine e le catene di montaggio). Ma organizzare il tempo in una catena di montaggio non è ciò che serve per altre azioni organizzative. Nella società contemporanea tutte le attività sono legate all'asse del tempo: controllo sul tempo (velocità e tempestività nel conseguire gli eventi), orari di lavoro, bilanciamento fra vita privata e vita di lavoro e molto altro. L'asse del territorio è invece legato all'idea di collocare le attività nei luoghi più appropriati in relazione alla distanza, all'accessibilità, all'ordinamento fisico ed estetico e altro. Meglio montare un computer in una sola officina, ottimo fare ricerca tra persone disperse per il mondo. L'asse del territorio è legato all'idea di ordinare, governare un processo, di posizionare, localizzare, segmentare le azioni su uno spazio (ufficio, fabbrica, casa, luoghi di riunioni, vie di trasporto etc.). Ma la convergenza delle tecnologie tende a unire, confondere i territori del lavoro e della vita: su un personal computer vi sono al tempo stesso i file su cui si lavora, internet con cui si naviga, film o musica, televisione). Questi tre assi non riguardano solo le organizzazioni, ma sono intrinseci al processo di socializzazione primaria e secondaria degli individui e dei gruppi. Le persone interiorizzano fin dall'inizio della loro vita criteri e modi dell'attività organizzatrice, e su di essi vengono premiati o puniti. Usare utensili sbagliati, fare le cose in un momento sbagliato, non trovare il luogo giusto per fare le cose sono segni di inadeguatezza che vengono ripresi e riattivati nelle regole dell'agire umano organizzativo. Per questol'azione organizzatrice si impara in gran parte a casa o a scuola, per questo alcuni paesi agricoli (come il Giappone o la Corea) hanno fatto grandi passi avanti valorizzando la socializzazione primaria. La sociologia dell'organizzazione studia non tanto le tecniche, le prescrizioni, i principi con cui gli esseri umani organizzano le tre T, ma soprattutto i processi sociali, cognitivi e conflittuali legati a queste vicende. In questo la sociologia dell'organizzazione ha una linea di confine labile con la psicologia dell'organizzazione.

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3.2. Le dimensioni costitutive dell'organizzazione Le dimensioni dell'organizzare sono quattro (4C):

• la cooperazione, per cui le persone lavorano insieme con obiettivi comuni; • la comunicazione, basata su varie forme di relazioni e tecnologie; • la conoscenza, ossia la condivisione, la promozione e il governo di una grande

varietà di formati di conoscenza; • la comunità.

F. Butera da L’organizzazione della R&S, in Studi Organizzativi

In particolare: La cooperazione è la forma di lavoro di molte persone che lavorano l'una accanto all'altra secondo un piano, in uno stesso processo lavorativo o in processi differenti ma connessi e determina un grande "aumento della potenza del lavoro". Con nostro termine, abbiamo chiamato questo tipo di cooperazione, che nasce con l'industria, cooperazione estrinseca, per distinguerla dalla cooperazione intrinseca o autoregolata. Quest'ultima, già apparsa in alcune forme organizzative preindustriali e riemergente ora nelle organizzazioni di nuova concezione, implica il lavorare insieme sviluppando piani e azioni che consentono ai membri di decidere insieme – in tutto o in parte – che cosa fare, e perché, quando, dove e come lavorare. È perciò una cooperazione socializzata nel contenuto e nella forma. Anche quando gli obiettivi e i piani generali sono fissati dall'alto, vi è in questo modello di cooperazione una partecipazione dei membri. Tale modello genera e presuppone inoltre un apprendimento continuo. Barnard (1938) aveva per primo compreso che è la cooperazione che fonda l'organizzazione, e non viceversa, e aveva parlato di "sistemi di cooperazione". La comunicazione che ha luogo nelle organizzazioni è basata in misura crescente sulla trasmissione di informazioni, dati e immagini con il supporto delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La comunicazione, anche in questi casi, è sempre un "agire umano", un "agire comunicativo" secondo la terminologia proposta da Habermas. Comunicazione è "l'agire umano orientato a trasferire informazioni, segni, simboli e significati lungo canali e con mezzi di varia natura da un emittente (che è

ComunicazioneComunicazioneConoscenza

Comunità Cooperazione

ComunicazioneComunicazioneConoscenza

Comunità Cooperazione

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usualmente un soggetto individuale o collettivo che ha bisogno che il suo messaggio venga inteso e condiviso) a un ricevente (che è usualmente un soggetto individuale o collettivo che arricchisce la propria capacità se acquisisce a fondo il messaggio per elaborarlo secondo i suoi interessi)" (Butera, 1993). Per quanto riguarda invece la conoscenza, vi è stata tradizionalmente una contrapposizione fra conoscenze oggettivate e reificate (che divengono proprietà dell'organizzazione) e conoscenze delle persone (che le organizzazioni tradizionali hanno storicamente tentato di codificare e ridurre). Ciò sembra declinare decisamente verso una visione che stimola invece la sinergia e la convergenza nelle organizzazioni di ogni tipo di conoscenza. La comunità infine implica:

• un comune sentimento di partecipazione; • interessi condivisi o positivamente mediati; • obiettivi significativi, risultati in parte comuni; • valori condivisi.

3.3. I criteri per valutare l'attività organizzatrice Una distinzione classica tra i criteri con cui valutare l'attività organizzatrice è quella tra efficacia ed efficienza: il primo termine indica il raggiungimento di un obiettivo, mentre il secondo si riferisce al rapporto fra risultati ottenuti e costi sostenuti per conseguirli (risorse-persone, tempo, capitali-strumenti). Esiste sempre un contrasto tra efficacia ed efficienza, visto che non sempre si possono fare le cose bene in tempi brevi e con costi bassi: il sogno giapponese fu quello di eliminare tale contrasto. Purtroppo in alcuni casi l'eccesso di efficienza produce una caduta di efficacia, ma più spesso un'efficacia senza efficienza fa fallire l'azione e la struttura, nonché lo stesso soggetto dell'organizzazione. Gli obiettivi di un'organizzazione possono essere tecnici, economici e sociali e sono sempre e contemporaneamente presenti in diverse proporzioni. L'obiettivo tecnico è spesso legato in modo particolare all'efficacia e all'efficienza del processo. L'obiettivo economico riguarda i risultati economici (ricavi, margini, valore etc.). Infine un'attività organizzatrice ha sempre come finalità anche qualche grado di controllo della qualità della vita delle persone, della compatibilità ambientale, del consenso e altro (obiettivi sociali). È utile soffermarsi sugli obiettivi sociali, che spesso si ritengono erroneamente estranei agli scopi ad esempio di un'impresa privata. Considerare la compatibilità ambientale o la qualità della vita di lavoro, per fare un esempio, significa adottare una serie di parametri (fissati da un'agenzia esterna o autodeterminati) volti alla protezione dell'integrità della vita delle persone, che sono fra loro incommensurabili e in larga parte indipendenti. Qualità della vita significa integrità della persona (ovvero benessere, assenza di pericoli potenziali, assenza di malattie), e include: - integrità fisica (di cui si occupa la medicina del lavoro); - integrità cognitiva (ad esempio: ricevere informazioni comprensibili); - integrità emotiva (ad esempio: evitare stress e psicosi);

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- integrità professionale (ad esempio: i linotipisti, che componevano i caratteri di piombo per la stampa, svolgevano un lavoro molto pesante, con alti pericoli per l'integrità fisica, ma con un'alta integrità professionale, perché governavano le macchine e il tempo; ora questo mestiere non esiste più, a causa dell'affermazione della fotocomposizione elettronica, e ciò ha comportato la distruzione di abilità e conoscenze professionali insostituibili, ma anche un miglioramento dell'integrità fisica dei lavoratori);

- integrità sociale; (ad esempio: l'effetto sconvolgente sul ritmo della vita sociale di chi lavora a turni, o nei call center, o nelle vendite);

- integrità del sé, dell'identità della persona.

Il modello QWL "Qualità della vita e del lavoro" (F. Butera, 1984) Tutta la discussione sulla nascita e la vita delle strutture è basata su questi elementi (assi, dimensioni, criteri, obiettivi). Le tre T, le 4C e i criteri sono componenti fondamentali nell'analisi organizzativa, nella progettazione di un'organizzazione o nei programmi di intervento migliorativo su un'organizzazione: sono le stelle polari dell'analisi e dei progetti. Una griglia che incroci tutte le variabili presentate risulta utile per un apprezzamento iniziale (initial scanning) per chi non conosce quella specifica organizzazione, ma è utile anche per chi la conosce bene. Spesso chi conosce i problemi ne ha un'idea chiara (ad esempio un paziente), ma non sa trovare le soluzioni e ha bisogno di qualcuno (ad esempio un medico) che li sappia interpretare per risolverli: in questa interazione, il problema di partenza viene chiarito e riformulato e la soluzione ricercata focalizzata (presenting problem).

Vita

cognitiva

Vita

professionale

Vita

sociale

Vita riflessiva

Vita fisica

Vita

emotiva

Qualità della Vita e del lavoro

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Un esempio dell'utilizzo di questa griglia può essere lo studio dell'Università intesa come un'organizzazione. Per quanto riguarda l'efficacia, gli obiettivi possono essere tecnici e istituzionali (insegnare), economici (operare in modo economicamente sostenibile), sociali (fare in modo che gli studenti siano contenti, rilassati, non stressati). Occorre, poi, vedere come tutto ciò si pone in relazione alle tre dimensioni del tempo, della tecnologia e del territorio. L'organizzatore deve quindi chiedersi come concepire una nuova attività (efficacia = obiettivi) e successivamente come gestirla e controllarla (efficienza = mezzi e costi). Esercitazione n° 3 Griglia per un primo apprezzamento organizzativo (initial scanning)

O1 attività organizzatrice O2 soggetto organizzativo O3 strutture organizzative Assi dell'organizzare

• tecnologia • tempo • territorio

Dimensioni dell'organizzare

• cooperazione • comunicazione • conoscenza • comunità

Criteri

• efficacia • efficienza • altro

Obiettivi

• tecnici • economici • sociali

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4. Le tipologie organizzative La sociologia dell'organizzazione si è focalizzata nel tempo sull'individuazione di tipologie: durante un'analisi organizzativa, è infatti essenziale per il sociologo individuare innanzitutto il tipo di organizzazione che sta studiando. Il concetto di tipologia fa riferimento a un idealtipo e riguarda la specifica combinazione di alcune variabili, al fine di comprendere le organizzazioni. La tipologia è, quindi, una semplificazione rispetto alla complessità dell'oggetto: non è una sintesi, ma un particolare punto di vista sull'organizzazione. 4.1. Le diverse modalità di raggiungere fini Una distinzione fondamentale è quella fra organizzazioni, gruppi primari, movimenti, comunità e istituzioni. Un'organizzazione è un'entità caratterizzata da due variabili: – la specificità dei fini; – il livello di formalizzazione. Queste due caratteristiche distinguono le organizzazioni da altri tipi di gruppi sociali: per esempio, rispetto a un'organizzazione, i gruppi primari hanno una minore specificità dei fini, ma una maggiore formalizzazione dei ruoli; i movimenti hanno una maggiore specificità dei fini ma sono meno formalizzati; le comunità hanno una minore specificità dei fini e una minore formalizzazione; le istituzioni infine hanno la funzione di assicurare integrazione e latenza del sistema più che di raggiungere fini. 4.2. I diversi criteri per formulare tipologie Vi sono tipologie basate sull'attività svolta: l'ISTAT per esempio distingue le organizzazioni a seconda che si occupino di:

• agricoltura; • attività industriali; • attività di servizi (ogni macro-area ha delle sotto-aree).

La distinzione delle tipologie avviene in base a un criterio prevalente. Le tipologie sono articolate in base al tipo di autorità e potere, alle attività e funzioni, ai beneficiari, alla partecipazione, alla strutturazione e configurazione, ai processi, e all'ambiente, come illustrato in seguito, e inoltre in base ai comportamenti dentro l'organizzazione e alle tecnologie. Una fondamentale tipologia è quella elaborata da Weber, che distingue tre tipi di organizzazione a seconda dei meccanismi di legittimazione su cui si basa l'autorità :

• autorità basata su potere di tipo tradizionale: è il caso di strutture particolari con carattere specifico (ad esempio: il patriarcato, il feudalesimo);

• autorità basata su potere derivante da razionalità e legalità: è il caso di strutture più universalistiche perché rivolte al pubblico, ma più specifiche perché hanno fini più ristretti; un esempio sono le burocrazie;

• autorità carismatica (ad esempio, quella che caratterizza principalmente i movimenti).

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Per quanto Weber consideri come organizzazioni in senso stretto solo quelle burocratiche, in realtà potere tradizionale (clan) e carisma (leadership) caratterizzano un gran numero di organizzazioni. Un'altra tipologia che si basa sul potere e quella di Gouldner, incentrata sulla rappresentanza del potere all'interno delle organizzazioni. Egli distingue tre tipi di burocrazia (vedi anche infra, cap. 9):

• impositiva; • rappresentativa; • apparente.

Un'altra tipologia basata sulle funzioni svolte è quella di Parsons (1951/1965), che identifica una ripartizione della società distinguendola in:

• organizzazioni rivolte all'esterno; • organizzazioni rivolte all'interno.

Le prime sono quelle di adattamento (ad esempio: governo e autorità finanziaria) che hanno come obiettivo: – il reperimento dei mezzi per la sopravvivenza; – il conseguimento dei fini (ad esempio: le aziende). Le seconde sono principalmente istituzioni di integrazione (ad esempio: la magistratura) che hanno il compito di controllare la devianza, e istituzioni di latenza (ad esempio: la famiglia, la scuola), che devono provvedere al mantenimento della società. Una tipologia centrata sui beneficiari è quella di Blau (1971), che distingue le organizzazioni in base alla domanda: a vantaggio di chi opera l'organizzazione? (cui bono?). Nel caso in cui i beneficiari siano gli stessi membri, abbiamo organizzazioni di mutuo beneficio (ad esempio: le associazioni professionali, le cooperative). Se invece i beneficiari sono i proprietari o i dirigenti, avremo organizzazioni a fini di lucro; se infine il beneficiario è l'intera comunità, saremo di fronte a organizzazioni pubbliche (ad esempio: un ospedale). Da ricordare è anche la tipologia di Etzioni (1961), che considera due variabili correlate: il potere e la partecipazione nell'organizzazione: – al potere coercitivo corrisponde una partecipazione alienata (ad esempio: il carcere); – al potere remunerativo corrisponde una partecipazione utilitaristica (ad esempio: le aziende); – al potere legittimato corrisponde una partecipazione etica (ad esempio: il WWF, la Chiesa). Un'altra importante classificazione è la tipologia induttiva e costruttivistica di Pugh, Hickson, Hining (1969), costruita attraverso una verifica su cinquantadue organizzazioni e identificando a posteriori invarianti che potessero distinguere tutte le organizzazioni. Questi fattori determinanti sono: per quanto riguarda la divisione del lavoro o strutturazione delle attività

- la specializzazione dei ruoli; - la standardizzazione delle mansioni; - la formalizzazione;

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per quanto riguarda il sistema di coordinamento e controllo - la centralizzazione del potere; - il controllo del potere (formale, informale; centrale, periferico).

La Woodward distingue invece le imprese a seconda del sistema di produzione: - di piccola serie (lavoro su commessa); - di grande serie (produzione di massa); - di processo (lavorazione continua; ad esempio: l'industria petrolchimica); per ognuna di queste organizzazioni varia la configurazione dell'organizzazione (e in particolare della ricerca e sviluppo, della produzione, del mercato). La tipologia di Perrow (1970) delle organizzazioni si basa sulla comprensione e controllabilità dei processi. Importanti sono due variabili: - se il processo sia analizzabile, prevedibile, progettabile o meno; - se occorre fronteggiare poche o molte eccezioni durante la realizzazione del processo (l'argomento viene approfondito nel capitolo 9).

La maggior parte delle tipologie degli anni '70 si erano occupate dell'ambiente dell'organizzazione. La distinzione più importante in questo campo è quella di Lawrence e Lorsch (1967): gli ambienti delle organizzazioni possono essere caratterizzati da due elementi: - il minore o maggiore grado di certezza, di conoscenza dell'organizzazione sull'ambiente; - la maggiore o minore omogeneità. Questi elementi possono influenzare la struttura interna dell'organizzazione, che deve rispondere ai livelli di certezza e omogeneità dell'ambiente adattandovisi in termini di differenziazione e di integrazione interna. Esercitazione n° 4 Lettura di brevi casi e identificazione di tipologie.

Analizzabilità

Industrie di tipo artigianale

(es: vetrerie di qualità)

Industrie di routine

(es: acciaierie prod. semplici)

Industrie non-di-routine

(es: industrie aerospaziali)

Industrie meccaniche

(es: macchine pesanti)

Bassa

Alta

Poche Molte

Numero di eccezioni

1 2

3 4

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5. Una definizione di organizzazione. Il caso dell'organizzazione industriale

Il tipo di organizzazione su cui si è prevalentemente concentrata la sociologia dell'organizzazione è quella dell'industria, un tema fondamentale che ha connotato il secolo scorso, definito appunto "l'epoca della società industriale". A proposito invece dell'evoluzione attuale della società industriale, è in corso un dibattito tra coloro che pensano che siamo passati rapidamente alla società post-industriale, e chi d'altro canto afferma che viviamo in una società neo-industriale che fa largo uso della conoscenza. Al di là delle definizioni, è certo che questo tipo di organizzazione si sta modificando profondamente, ma è comunque importante studiarlo nelle forme in cui si è espresso negli ultimi duecento anni. Buona parte di quanto sappiamo sull'organizzazione in generale deriva infatti dallo studio e dall'analisi dell'industria, anche se non riguarda direttamente le organizzazioni industriali o la società industriale. Secondo Tom Burns, l'industria è stata l'istituzione caratteristica della moderna società industriale, ed "è stata vista come primo motore dei cambiamenti economici, politici e sociali in Europa e negli Stati Uniti durante gli ultimi due secoli e, a causa di ciò, come in larga misura la sottostruttura dell'ordine sociale e culturale". È un'espressione molto forte in cui l'idea è che le istituzioni civili e giuridiche, nonché la struttura stessa dei rapporti sociali, siano rette da una sottostruttura meno visibile, che è l'industria. Il nostro obiettivo è, quindi, quello di studiare i rapporti che esistono fra organizzazione e società, poiché l'industria ha provocato enormi cambiamenti sociali: pensiamo alla nascita dei ceti operaio e imprenditoriale, agli effetti dell'introduzione dei torni automatici sul mercato del lavoro, o ai mutamenti seguiti alla concentrazione dei lavoratori in luoghi specifici (fabbriche) e nelle città. Lo stesso mercato ha acquisito una forma che prima non esisteva: mentre il mercantilismo rinascimentale era caratterizzato da scambi di merci prodotte su base artigianale, in cui la valorizzazione del lavoro era essenzialmente data dal trasferimento delle merci da un luogo all'altro, nella società industriale il processo di creazione del valore è, invece, il processo stesso della produzione dei beni: le macchine, l'uso del capitale, l'uso della forza-lavoro determinano processi di valorizzazione con caratteristiche e modalità che non erano mai esistite e che nascono con la Rivoluzione industriale. Un altro aspetto rilevante è la divisione del lavoro, sia sotto l'aspetto tecnico che sotto l'aspetto sociale: la divisione sociale è stata fondata su quella tra operai e artigiani, imprenditori e possidenti, agricoltori e commercianti, determinando una società basata sulla prevalenza di alcune grandi forme di lavoro: per esempio in Italia fino a pochi decenni fa gli occupati nell'industria erano oltre il 60%, mentre oggi rappresentano meno del 30%. Ci sono però stati anche grandi fenomeni sociali non direttamente collegati con la fabbrica, ma a essa ascrivibili, come la scomparsa della famiglia patriarcale estesa e la nascita della famiglia nucleare, legata alla mobilità degli operai industriali. La domanda centrale è quale sia l'elemento nodale, il motore di questo processo: al centro di tutto questo cambiamento vi è in ogni caso il modificarsi delle forme di organizzazione della produzione, del lavoro, dell'amministrazione etc. Il cuore del problema è studiare la natura interna e gli effetti esterni di questo particolare artefatto umano che è l'organizzazione, e specificamente l'organizzazione industriale.

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Proviamo, adesso, a definire un'organizzazione industriale, segnalando che alcuni dei fattori analizzati sono utili per definire l'organizzazione in generale:

"L'organizzazione dell'impresa industriale è il modello delle relazioni normative, tecniche, procedurali, valoriali, comunicative stabilite intenzionalmente da/fra gli uomini per conseguire modalità di coordinamento e di divisione del lavoro idonee al raggiungimento dei fini dell'impresa e dei suoi membri." Butera, 1984

Analizzeremo questa definizione suddividendola in parti. La prima parte ("L'organizzazione... comunicative") indica che l'organizzazione è costituita, innanzitutto, da relazioni e rapporti: non sono le macchine, per quanto esse siano il cuore dell'industria, a caratterizzare le organizzazioni industriali. È importante vedere come la legge si è occupata dell'industria: l'industria nasce fuori dalla legge o ottiene protezioni dalla legge, come spiega Perrow. Per esempio negli Stati Uniti sono stati i "robber barons" e le lacune legislative a favorire la nascita delle grandi corporation che hanno costruito le ferrovie, le fabbriche di macchine utensili e le strutture di produzione e distribuzione dell'energia. Quando la legge ha cominciato a occuparsi dell'industria con le leggi anti-trust, le norme di diritto commerciale e del lavoro etc., il grosso dei cambiamenti economici e sociali era già avvenuto, e l'apparato normativo si è poi sviluppato di conseguenza. Anche le relazioni contrattuali e sindacali sono nate intorno all'industria, riguardando però fattori che vanno anche oltre lo scambio economico fra i soggetti coinvolti (prestazioni contro salario), come la dignità, la sicurezza, la qualificazione etc. Le relazioni normative: sono quelle basate sulle regole degli orari di lavoro, sul sistema di pagamento, sui sistemi di assunzione e licenziamento, sui contratti di scambio, sui diritti di proprietà, sulla divisione delle azioni etc. Bisogna, quindi, includervi sia le regole giuridiche, legali, contrattuali, sia le norme interne che l'organizzazione è spesso capace di generare. Le relazioni tecniche: un esempio di relazione tecnica è la catena di montaggio, in cui l'avanzamento meccanico dei prodotti in lavorazione è un sistema che consente non solo di trasportare il materiale, ma anche di determinare una forma costrittiva di relazione tra le persone che vi lavorano, con ritmi e tempi determinati dalla macchina. I ritmi di avanzamento dell'oggetto in lavorazione determinano le relazioni tra le persone: un ciclo di produzione è la definizione di come deve funzionare la macchina e contemporaneamente un sistema di regolazione del comportamento umano. Le relazioni procedurali: nessuna organizzazione industriale esiste senza le procedure su come si deve lavorare, quando si può andare in ferie, come ottenere un permesso etc. Quasi tutto è regolato da sequenze e modalità fisse. Una maschera per l'iscrizione agli esami è apparentemente un formulario, ma di fatto costituisce una relazione vincolante tra la Segreteria e gli studenti.

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L'universo procedurale è molto rilevante nell'industria, che è stata su questo punto profondamente influenzata dall'organizzazione dell'amministrazione pubblica, caratterizzata da maggiori relazioni procedurali e minori relazioni tecniche. Le relazioni valoriali: all'interno di ogni organizzazione esiste un sistema di valori (ad esempio: non farsi sfruttare, non praticare l'assenteismo, essere leale sul lavoro, impegnarsi per un prodotto di buona qualità, etc.), che possono anche essere non facilmente conciliabili. Le relazioni comunicative: i gruppi informali all'interno di un ciclo di produzione, la solidarietà di gruppo, i rapporti conflittuali o paternalistici tra capi e lavoratori, i rapporti tra impiegati e utenti finali, sono tutte relazioni comunicative; c'è chi comunica con la parola, chi con uno strumento, chi con la condotta, chi con il silenzio. Per esempio, lasciar cadere la penna alle 17.00 è una comunicazione molto forte che segnala l'esistenza di relazioni di lavoro di tipo burocratico. Questa prima parte della definizione implica quindi che l'organizzazione è un insieme di relazioni di cose e di persone, e che la sua struttura è generata anche dalle norme, dalla tecnologia, dalle procedure, dai valori e dalla comunicazione. Nei prossimi paragrafi analizzeremo altre strutture latenti di regolazione, come la cultura, le comunità di lavoro, le comunità professionali. La seconda parte della definizione ("stabilite... idonee") sottolinea che è necessario che queste relazioni siano stabilite intenzionalmente dagli uomini; esse non nascono in natura, ma da attività intenzionali e progetti esplicitamente ideati per ottenere risultati attraverso il dominio di natura, macchine e uomini. Un esempio è quello degli imprenditori, che mobilitano risorse ed energie, considerando tempi, costi, scadenze, etc. La terza parte della definizione ("raggiungimento dei fini dell'impresa e dei suoi membri") indica che ogni organizzazione esiste per uno scopo economico e una funzione tecnica, ma che l'organizzazione industriale nasce solo quando riesce anche a rispondere anche ai bisogni dei suoi partecipanti. Non c'è organizzazione industriale senza qualche livello di consenso e partecipazione, e di conflitto come parte dialettica del consenso. Le diverse tipologie di relazioni, però, non hanno quasi mai come scopo diretto l'obiettivo tecnico-economico generale dell'organizzazione, ma un fine intermedio, rappresentato dalle modalità di coordinamento e controllo e di divisione del lavoro (seconda parte della definizione). La storia dell'organizzazione industriale è basata sull'evoluzione delle strutture di coordinamento, che indicano i modi in cui si è esercitato il comando e diviso il lavoro. Queste strutture sono state prima prodotte e poi incorporate. In quanto sociologi, ci dedichiamo anche alle relazioni valoriali e comunicative, e soprattutto al modello, il paradigma che è il cuore dello sviluppo organizzativo. La definizione fin qui illustrata parte infatti dal concetto di "modello", che non è una cosa concreta ma è un'astrazione, una schematizzazione della realtà.

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Il modello è una rappresentazione delle leggi e dei valori di un'organizzazione, un costrutto logico che risiede nella testa delle persone (lavoratori, clienti etc.), e riesce a generare cose concrete, tramandandosi anche per generazioni. Un evento decisivo per l'organizzazione industriale è stato il riprodursi di un modello vincente, che ha poi avuto una capacità di esportazione e di estensione anche al di fuori del proprio campo specifico. Il modello (ad esempio, il taylorismo) è stato più potente dell'oggetto che ha rappresentato, generando il paradosso per cui l'elemento più astratto è stato anche quello dalla portata maggiore. Esercitazione n° 5 Usare le definizioni proposte in tre casi.

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6. Il ciclo di vita delle organizzazioni Si è discusso dei principali modi e criteri dell'attività organizzatrice, delle strutture e dei soggetti organizzativi. Vediamo ora come le organizzazioni nascono, muoiono e si evolvono (se usiamo una metafora organicista che vede le organizzazioni come organismi che hanno un ciclo di vita) oppure come esse vengono progettate, mantenute o diventano obsolete (se usiamo una metafora tecnica che vede le organizzazioni come artefatti umani). Il problema è, quindi, esaminare il ciclo di vita delle organizzazioni. Quali sono gli atti di nascita di un'organizzazione? Alcuni fra i più importanti sono il riconoscimento da parte del mondo esterno, la definizione dei ruoli, la divisione del lavoro, uno status giuridico. Ci sono infatti dei luoghi che certificano la nascita giuridica delle organizzazioni (ad esempio: le organizzazioni economiche devono essere iscritte al Tribunale o alla Camera di Commercio). La nascita corrisponde, quindi, a una serie di fatti giuridici, anche se ci sono delle organizzazioni che esistono realmente ma non sono riconosciute giuridicamente (per esempio l'organizzazione del contrabbando delle sigarette, la camorra, un gruppo terroristico). Il problema è capire che rapporto ci sia fra le organizzazioni riconosciute giuridicamente e le altre, visto che talvolta alcuni affari di quelle riconosciute sono svolti da quelle non riconosciute. Ciò che ci interessa è il rapporto fra il momento della nascita e quello del riconoscimento. Un'organizzazione nasce quando comincia ad acquisire una struttura, considerando inclusi in questo termine non solo i suoi elementi descrivibili, ma anche i suoi obiettivi e la sua cultura. Possiamo ipotizzare una sorta di percorso: movimento, organizzazione come struttura, identità giuridica. C'è, quindi, una prima rottura determinata dal passaggio da movimento a struttura sociale, tecnica, economica, poi c'è un'ulteriore crisi quando questa struttura deve essere riconosciuta dalla legge. Un altro momento importante è la morte, che può essere un ritiro momentaneo o un'uscita di scena permanente; può essere più o meno intenzionale, a seconda che la chiusura sia dovuta a problemi interni o esterni all'organizzazione. Il processo di morte può anche presentarsi come dissolvimento di un'identità giuridica di un movimento che sta producendo delle altre organizzazioni: è il caso della crisi della Digital, che ha dato luogo a una serie di nuove aziende. Una delle possibili cause di questo processo è l'improvviso crollo di uno degli elementi strutturali, quale il collante ideologico e culturale. Pensiamo a un'organizzazione che ci suggerisca un'idea di morte: dati gli ultimi avvenimenti possiamo prendere come esempio Alitalia, che si trova in una situazione di crisi, di difficoltà. La crisi non si manifesta solo come una rottura definitiva, ma può essere un momento negativo all'interno di un ciclo per il rilancio e la rivitalizzazione. Ci sono degli elementi costanti nel processo di nascita, evoluzione e morte.

• L'interesse dei membri dell'organizzazione a rimanere insieme per vari motivi: è, quindi, importante il perseguimento di fini e obiettivi, formali e informali, che abbiano a che fare con i benefici connessi agli interessi dei membri.

• La presenza di una struttura permanente che porti a unità degli elementi prima dispersi, che può avvenire in modo sorprendente. (In modo altrettanto sorprendente può avvenire che elementi con provata solidità siano disgregati).

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Nella comprensione dei processi di nascita e morte, le scienze fisiche sono più avanti delle scienze sociali perché hanno compreso che questi avvenimenti, anche quando sono istantanei, hanno alle spalle una lunghissima preparazione. Perché nasce un'organizzazione? Per una serie di fattori. I soggetti che fondano un'organizzazione lo fanno perché:

• cercano e scoprono delle alternative per svolgere meglio, in modo più efficiente, delle attività che le combinazioni esistenti non rendevano fattibili;

• coltivano l'idea di una sua persistenza nel tempo (altrimenti abbiamo un movimento);

• pensano di ottenerne dei benefici e dei vantaggi. Questo, per le organizzazioni economiche, è strutturalmente stabilito (per esempio: nelle S.p.A. o nelle S.r.l. i soci investono quote percentuali di capitale o di lavoro, e si stabiliscono regole per la distribuzione degli utili generati), ma i benefici non sono necessariamente economici (come avviene ad esempio nel volontariato, o ragionando in termini di gratificazione personale, o diversa collocazione sociale). I membri dell'organizzazione, in cambio dei benefici, devono apportare delle risorse (ad esempio: capitali, abilità e capacità, etc.);

• uniscono delle capacità per distinguersi dagli altri; un'organizzazione può nascere rispetto all'idea di un "nemico".

La sociologia dell'organizzazione insegna che il processo di sviluppo o di morte dell'organizzazione avviene attraverso vari meccanismi, e principalmente attraverso il processo di apprendimento o di disapprendimento. La vita di un'organizzazione è, quindi, un continuo controllare e difendersi dagli eventi, un continuo riconfermare e rimodernare le condizioni del patto originario, ma, sostanzialmente, è un continuo processo di apprendimento dagli errori e dai successi che determinano dei mutamenti di condotta. Le condizioni della morte di un'organizzazione sono legate alla caduta del processo di apprendimento; ciò avviene anche per gli organismi viventi, perché si muore quando non si risponde più in modo adeguato ai cambiamenti esterni. I fattori che determinano la caduta dell'apprendimento sono:

• il controllo: la difficoltà di apprendimento è legata alla difficoltà dei fondatori dell'organizzazione nel cedere il controllo; l'organizzazione muore quando i suoi fondatori non accettano di vedere diminuire il loro potere rispetto alle situazioni.

• la coerenza: durante le fasi di nascita ed evoluzione, la struttura assume una forma; la caduta dell'apprendimento è legata alla difficoltà di cambiare forma quando, una volta creata, la struttura si allontana dalla volontà di chi l'ha fondata e diventa incontrollabile a causa delle sue regole di coerenza interna.

• i diritti acquisiti: altro elemento importante che determina cali nell'apprendimento sono gli interessi che durante il tempo si consolidano, poiché i soggetti coinvolti non rinunciano volentieri ai loro diritti acquisiti.

• le percezioni e le immagini: un'organizzazione diventa una concretizzazione di idee, di abitudini dalle quali è tremendamente difficile allontanarsi, se non con un atto di grande violenza.

Il controllo, la coerenza, i diritti acquisiti, le percezioni e le immagini sono elementi vitali per far vivere un'organizzazione. Quando questi diventano elementi statici di conservazione e non servono più per farla evolvere o cambiare, l'organizzazione non

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apprende più e comincia a perdere di efficacia ed efficienza; improvvisamente l'organizzazione muore. Solo in pochi casi la malattia è prevedibile (esempio: negli anni '70 le industrie siderurgiche venivano considerate come organizzazioni a termine). Noi sappiamo che tutte le organizzazioni muoiono, ma non sappiamo prevedere quando e come avverrà. È possibile cambiare radicalmente il set se ci sono le condizioni: ad esempio, la siderurgia vide un aumento dei volumi per l'industria delle costruzioni; ciò consentì grandi investimenti e riduzioni di prezzi, ebbero luogo alleanze internazionali, molte aziende siderurgiche si ripresero. Caso Il caso Netscape.

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7. L'analisi dell'unità organizzativa - Lineamenti di uno schema (il "cubo organizzativo")

Un'unità organizzativa è un'organizzazione definita da identità, fini/obiettivi, risorse, strutture che le consentono di sviluppare legittimamente il controllo e la promozione di attività e processi specifici, sottratti al controllo di altri. Unità organizzative sono sia un'azienda, una Pubblica Amministrazione, una società sportiva, sia gli elementi che le compongono, come uno stabilimento, un negozio, una squadra di calcio, un'impresa, la segreteria di un ufficio, un ufficio pubblico etc. In questo capitolo esamineremo gli elementi di un'unità organizzativa, definendo cosa considerare nell'analisi di un'unità organizzativa. Proveremo a rappresentare un'unità organizzativa in modo tridimensionale, con un cubo: come tutte le rappresentazioni grafiche, anche questa ha difetti e virtù.

Da Butera 1984 a) La prima cosa da identificare nell'analisi sono gli obiettivi e le prestazioni dell'unità organizzativa, visto che l'idea di organizzazione implica sempre un fine, un obiettivo. Per definire gli obiettivi, la prima domanda è: che prodotti e servizi produce questa unità? che processi conduce? Per esempio, un ufficio di segreteria di dipartimento

(Butera, 1999)

OBIETTIVI/PRESTAZIONI• Economici

• Tecnici

• Sociali

Configurazione organizzativa

• Processi

• Attività lavorative

• Governo, coordinamento e controllo,sistemi di direzione

• Macrostrutture

• Microstrutture e teams

• Mansioni, Ruoli, occupazioni, professioni

• Sistemi di gestione e sviluppo delle persone

• Comunità di lavoro e strutture latenti

RISORSE

stra tegia

Outpu t- prodotti

- servizi- socialità

- conoscenza

•Persone

•Tecnologie

• ICT

•Spazi

•Materia

li

•Capitale umano

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produce servizi a supporto dell'attività didattica e gestionale/amministrativa dell'università, un reparto di uno stabilimento produce oggetti, un servizio di trasporti urbani produce un servizio di trasporto per i cittadini. Mentre l'obiettivo è il fine che l'organizzazione intende raggiungere, le prestazioni sono le misure degli obiettivi. Se per esempio il nostro obiettivo è andare veloci in automobile, la prestazione dell'automobile sarà data dai chilometri orari raggiunti nel tempo di percorrenza. La prestazione può essere definita, dunque, come una misura del grado di raggiungimento dell'obiettivo. Soggetti organizzativi che hanno lo stesso obiettivo possono fornire servizi diversi; il servizio di autobus e la metropolitana hanno in comune lo stesso obiettivo (il servizio di trasporto) ma offrono servizi diversi. Un altro esempio: due squadre di calcio forniscono lo stesso servizio e hanno lo stesso obiettivo, di giocare partite e di vincerle, ma le loro prestazioni sono assolutamente diverse a seconda che siano squadre dell'oratorio o squadre di serie A, e vengono addirittura misurate con metriche diverse. La faccia superiore del cubo, quindi, ci ricorda che nella definizione di unità organizzativa gli obiettivi e le prestazioni sono elementi caratterizzanti. Gli obiettivi economici, tecnici e sociali indicano le mete cui si vuole arrivare. Le prestazioni economiche sono legate alla produttività, all'efficacia e all'efficienza; le prestazioni tecniche sono legate al funzionamento delle macchine, delle procedure, ai flussi, alla regolarità degli orari, a tutti gli elementi che permettono la combinazione delle tre T; le prestazioni sociali sono legate alla qualità della vita e in particolare alla qualità della vita di lavoro. Tutta la storia dell'organizzazione industriale è stata caratterizzata dal desiderio di aumentare il livello di efficienza e di produttività, ma il miglioramento delle prestazioni economiche e tecniche, spesso è andato a scapito delle prestazioni sociali. b) L'altra faccia del cubo rappresenta la dimensione dalle risorse, data da tecnologie, risorse economiche, persone e altro: fa riferimento al patrimonio che ogni organizzazione possiede per raggiungere gli obiettivi. Chiedendo ai rappresentanti di un'azienda informazioni su di essa, in molti casi la loro risposta riguarderà il bilancio (risorse economiche), così come dovendo studiare per esempio la Fiat, vi mostreranno le presse, la catena di montaggio etc. (la tecnologia), o dovendo analizzare una rete di servizi di assistenza agli anziani, i suoi responsabili ne illustreranno le case di riposo (strutture). Ma l'elemento più importante nelle organizzazioni, in realtà sono le persone. Che cos'è il Milan, da un punto di vista organizzativo? Che cosa è il gruppo di Fermi? Si può dare una risposta senza parlare di Enrico Fermi, Amaldi, Maiorana, Corbino? Questi tipi di organizzazioni possono esistere solo con persone particolari. Altre organizzazioni, invece, hanno nel passato considerato le persone come pezzi di ricambio, ossia come elementi immessi in una struttura che può funzionare con qualunque tipo di persone presenti (un caso classico è la fabbrica fordista). La prima cosa che ci interessa capire, ancor prima di vedere come funziona un'organizzazione, è chi c'è in questa organizzazione? In una burocrazia ci si può sentire rispondere (a torto) che le persone non importano; nella storia di un gruppo scientifico, invece, le caratteristiche personali fanno la storia e la natura dell'organizzazione.

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c) La terza faccia del cubo è la configurazione organizzativa; precedentemente definita struttura (O3): riguarda i componenti costitutivi di un soggetto organizzativo e le relazioni tra tali componenti. Il primo elemento della configurazione è costituito dai processi, intesi non come l'insieme delle attività, né come il modo di svolgere le cose o come una procedura, ma come un cambiamento di stato: un oggetto, fisico o immateriale (un pezzo di ferro oppure un dato), cambia di stato/posizione/valore/utilizzabilità a seguito dell'esercizio di una serie di attività e con l'uso di specifiche tecnologie. La migliore definizione di processo è quella della scuola sociotecnica. Miller e Rice (1967) hanno scritto: "Processo è una trasformazione o una serie di trasformazioni che hanno luogo sull'oggetto dell'attività funzionale di un sistema (throughput), come risultato del quale l'oggetto viene cambiato nella sua posizione, forma, misura o in qualche altro aspetto". Questa definizione si applica anche a casi in cui l'oggetto è immateriale, come ad esempio l'erogazione di un servizio, l'innovazione, l'educazione: qui gli input sono rappresentati da informazioni sotto forma di segni, segnali e simboli e gli output da servizi che soddisfano i bisogni di un cliente esterno o interno (Figura 1).

conversioneInput Output

Figura 1 Rappresentazione di un processo

Affinché un processo sia "economico", il valore dell'output deve essere superiore al valore delle risorse immesse nel processo. Ogni processo di produzione di beni o di servizi tende perciò a essere anche un processo di valorizzazione delle risorse impiegate. Affinché un processo sia efficace, i prodotti o i servizi generati devono essere in grado di soddisfare specifiche esigenze e bisogni dei destinatari. Tali esigenze possono riguardare sia le prestazioni core del prodotto o del servizio (qualità, funzionalità, etc.), sia le prestazioni "periferiche" (ad esempio la facilità di accesso al servizio, la tempestività, le modalità di consegna, la personalizzazione della relazione, etc.). Per questi motivi ho ridefinito il processo come "una sequenza di eventi adeguatamente concepiti, concretamente realizzati ed efficacemente controllati che conducono al raggiungimento degli scopi dell'organizzazione e al soddisfacimento dei bisogni dei clienti/utenti, entro i limiti desiderati delle prestazioni primarie (qualità del prodotto/servizio) e delle prestazioni associate (costo, sicurezza, tempestività, qualità della vita di lavoro dei 'produttori', etc.)"

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Per capire cosa si fa dentro una fabbrica dobbiamo per prima cosa capire qual è il processo di fabbricazione: per esempio, dobbiamo riuscire a spiegare il processo mediante il quale una barra di ferro a sezione quadrata, che proviene a sua volta da un precedente processo (industriale in questo caso), viene tagliata da macchine in pezzetti, che lavorati da un tornio e filettati diventano infine delle viti. Il processo è l'elemento fondamentale nell'analisi organizzativa: quali che siano gli aspetti organizzativi da esaminare, nell'analisi empirica e nella rappresentazione dei fenomeni bisogna avere un'idea il più possibile realistica del processo, del fenomeno attraverso cui un oggetto si trasforma in qualche altra cosa. Per capire cosa avviene in un'organizzazione complessa (una fabbrica di automobili, una fabbrica chimica, un ristorante, un ospedale, un ufficio pubblico, un gruppo musicale), dobbiamo capire quali sono i suoi processi: "cosa si fa". La nozione di tecnologia implica non solo l'uso di oggetti/utensili materiali, ma anche di metodologie: per capire come si fa un pupazzo di carta o una vite, bisogna rispondere alla domanda "come si fa questa cosa? È sempre necessario l'uso della tecnologia?”. Alcune lavorazioni fisiche non richiedono macchine complesse, altre solo la materia prima: per fare pupazzi di carta bastano le mani; la grande maggioranza dei processi fisici però richiede utensili, semplici o complessi, e i prodotti delle organizzazioni non sono quasi mai realizzati con le mani. Ralph Dahrendorf, un fondatore della sociologia del lavoro, ha spiegato nel celebre manuale Sociologia del lavoro e dell'organizzazione che i sociologi non si debbono occupare di tecnica, dei processi materiali, non devono cercare di capire come avvengono le cose, ma devono solo studiare i rapporti sociali. Qui, in accordo con l'intera scuola sociotecnica, con il più grande rispetto, si sostiene il contrario: non è possibile capire i rapporti sociali se non si studiano i processi produttivi su cui i processi sociali sono in parte costruiti. Solo capendo qual è la logica con cui si fanno gli spilli, le viti, i libri, il software, i servizi sociali etc., si riesce ad avere un'idea realistica di come il lavoro è organizzato. La tradizione sociologica occidentale è stata scollegata dalla comprensione reale dei processi, che sembravano materia per ingegneri, quando in realtà le scienze sociali avrebbero dovuto occuparsi di come gli uomini agivano in relazione a essi. Non si possono comprendere alcuni aspetti dei rapporti sociali della cooperazione necessaria tra le persone che lavorano per creare un prodotto o un servizio, se non si studiano le fasi che esso deve attraversare: come entra e come esce dalla fabbrica, come la materia prima viene trasformata, quali macchine vengono adoperate, quanto tempo ci vuole, dove si può inceppare la catena produttiva, etc. Vediamo ora se il concetto di processo è applicabile anche alle trasformazioni immateriali. Un esempio è il processo immateriale di trasformazione delle informazioni, quando con l'uso di un computer, schiacciando dei tasti, riusciamo a fare un'addizione, trasformiamo dei dati disaggregati in dati aggregati, scriviamo un testo, facciamo un disegno e così via. Un altro esempio è un certificato con gli esami di uno studente: è un output di un processo di elaborazione di informazioni, in cui l'elemento di partenza è stato l'immissione di un dato (il voto); tale dato è stato trattato e trasformato nel tempo (registrato su un calcolatore) ed è infine emerso in un prodotto finale. Un terzo esempio è dato dai processi di insegnamento e di apprendimento, che vanno studiati per capire come è fatta l'organizzazione-scuola. Cosa entra nel processo, quali

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mutamenti di stato avvengono, cosa si produce, cosa cambia? Il processo non consiste nell'ottenere un voto; il processo è invece "entrare ignoranti per uscire dotti" o qualcosa del genere: dobbiamo, quindi, capire quali sono i fatti, le metodologie, il lavoro, che operano questa trasformazione e poi qual è il risultato. Non è possibile nessuna descrizione del processo senza una descrizione di come si perviene a un risultato e attraverso quali modalità: in questo caso occorre capire anche cosa avviene nella testa degli allievi per governare il processo. I processi sono gestiti attraverso la cooperazione, articolata in dimensioni coesistenti di tipologie diverse: il coordinamento, la collaborazione, i processi di decisione; di questo tratteremo in seguito. La seconda componente della configurazione organizzativa è data dalle attività lavorative e dai compiti: sono le fasi in cui il lavoro viene disaggregato per svolgere un determinato processo in un determinato modo. Che attività bisogna realizzare? Come si possono descrivere, proporre a chi deve svolgerle, impararle etc.? Ecco apparire il lavoro concreto. In un sistema di produzione industriale, anche se la macchina svolge la maggior parte del lavoro, ci saranno sempre classi di attività umana indispensabili per far funzionare il processo: chi fa partire le macchine, chi le aggiusta, chi le controlla, chi le programma etc.? Quando visitiamo uno stabilimento di produzione, di fronte alle macchine dobbiamo porci queste domande. Un'altra domanda da porre è: di quante attività/ di quanti compiti è fatto un lavoro? Abbiamo già trattato questo problema parlando degli universi del lavoro, che ci aiutano a descrivere diversi tipi di attività spesso coesistenti nello svolgimento di un lavoro. Mentre Taylor frammentava le operazioni in termini di sequenze e di operazioni manuali, qui cerchiamo, invece, di capire come è fatto il lavoro, di quali parti è composto, segmentandolo in processi. La terza componente della configurazione organizzativa è il sistema di governo, di coordinamento e controllo: con quali logiche, regole, tecniche si configurano i modi di sincronizzazione degli eventi, di assegnazione degli eventi a soggetti, attori, macchine che possano compiere queste cose, come si stabilisce cosa viene prima e cosa viene dopo, come si prevede ciò che deve avvenire e come si controlla tutto ciò. Quando si parla di coordinamento e controllo, la prima cosa che viene in mente è la figura del capo, ma questa è solo una delle forme in cui si concretizzano. Se dovessimo organizzare una squadra di calcio, prima di decidere chi sarà il portiere dovremo decidere come ci si coordinerà, quale sarà lo schema di gioco e così via. Il meccanismo di coordinamento e controllo è preliminare rispetto alla gerarchia, che è una delle dimensioni della macrostruttura organizzativa (il quarto punto della configurazione organizzativa) e alla scelta delle persone al comando. Ecco alcuni esempi: disporre una sequenza di macchine che devono eseguire un processo è una modalità di coordinamento, così come stabilire dei magazzini per conservare i prodotti; verificare quanti sono i pezzi buoni e i pezzi cattivi in una produzione è una modalità di controllo, eseguibile dalle persone o da una macchina; registrare il numero di prodotti scartati è un sistema di controllo. Dobbiamo capire qual è il sistema di coordinamento e controllo più appropriato per ogni processo, poiché è importante assicurarsi che ogni processo sia sotto controllo: se ciò avviene, esso diventa la base per una struttura organizzativa. Questi elementi dell'organizzazione sono stati studiati da diverse discipline. L'area dei processi è stata coperta, storicamente, dal process engineering: gli ingegneri di questo

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tipo studiano appunto i processi, cioè i modi in cui l'oggetto viene trasformato. Il secondo elemento (le attività lavorative) è stato il campo degli ingegneri di produzione, degli industrial engineer e degli ingegneri della conoscenza. Taylor stabilì un modo con cui il lavoro poteva essere diviso fra le persone: prima di preoccuparsi dell'allocazione del lavoro, studiò la possibile divisione in vari tipi di attività di lavori precedentemente aggregati (frammentazione del lavoro). Il terzo elemento (il coordinamento) è stato il campo di due specialità: l'economia aziendale, che nella pianificazione e controllo ha trovato un ampio campo di applicazione) e l'informatica gestionale (uno dei sistemi di pianificazione e controllo automatico è il M.I.S., ovvero il Management Information System). Il "valore aggiunto" della sociologia dell'organizzazione è quello di interrogarsi su quanto i processi, le attività e i sistemi di coordinamento influenzino il comportamento, l'apprendimento, le relazioni, gli interessi, la qualità della vita delle persone e quanto questi condizionino (nel bene e nel male) la configurazione dei processi, delle attività e del sistema di coordinamento. In poche parole, basi sociali e conseguenze sociali delle dimensioni più formalizzate dell'organizzazione. La quarta componente è data dalla struttura organizzativa: organigrammi, mansioni, ruoli. Questo è il campo vero e proprio delle scienze organizzative, ma, ripetendomi ancora, non si può comprendere la struttura organizzativa se non si sono studiati i processi, le attività/compiti e il sistema di coordinamento e controllo. Ciò che più appassiona nelle discussioni in azienda sono gli organigrammi, perché essi rappresentano la distribuzione dell'autorità e del potere (chi è più in alto e chi è più in basso). Essi sono però anche i modi con cui graficamente si prospetta l'allocazione della responsabilità e dell'autorità ai fini di svolgere le attività, ottenere i coordinamenti, fare in modo che i processi funzionino. Noi studieremo gli organigrammi, i ruoli, le mansioni e le professioni, ma per capire come nascono, si evolvono e declinano dobbiamo sapere che tipo di processi contribuiscono a controllare; se essi, infatti, diventano, come spesso accade, degli elementi staccati e separati, ha luogo un processo di burocratizzazione, una degenerazione della burocrazia: in tal caso la struttura organizzativa vive per se stessa, non più per fare le cose. Il problema dell'efficacia e dell'efficienza è, quindi, la creazione di una corrispondenza virtuosa tra strutture organizzative e processi. Il quinto elemento è costituito dalle microstrutture, ossia da reparti, uffici, team che realizzano effettivamente i processi operativi (progettare, produrre, vendere, distribuire). Il sesto elemento è dato dal sistema dei ruoli: chi fa che cosa e con quale sistema si decide chi fa cosa, e come viene allocato il lavoro tra le diverse persone. Qui si configura come all'interno della struttura organizzativa entrino le persone vere. Il settimo elemento sono le regole e i sistemi di gestione del personale: gli orari, le retribuzioni, le qualifiche, i sistemi di compenso, il contratto etc. L'ottavo e ultimo elemento della configurazione organizzativa è dato dal sistema sociale e dalle comunità di lavoro o strutture latenti: le culture, i valori, il conflitto, gli immaginari.

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Tutti gli elementi fin qui elencati, che si riferiscono alla terza faccia del cubo, nell'analisi vanno visti in sequenza dall'alto al basso, da hard a soft, da più strutturali a più sovrastrutturali, ma bisogna studiarli e capirli tutti quanti. È importante, anche, capire i rapporti fra obiettivi e prestazioni, struttura e configurazione organizzativa. Se cambia il sistema delle prestazioni, infatti, cambiano la struttura e le risorse e cambia la configurazione organizzativa; per esempio, la maggiore severità o impegno o difficoltà delle prestazioni richiede maggiori risorse e queste risorse, quasi sempre, creano una configurazione organizzativa più complessa. Esercitazione n° 6 Il check up organizzativo.

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8. La configurazione organizzativa: approfondimenti Approfondiremo, ora, alcuni fra gli elementi più importanti della configurazione organizzativa: il processo; il coordinamento e controllo; le strutture e microstrutture; ruoli, occupazioni e professioni. 8.1. Il processo Il primo componente della configurazione che analizziamo è il processo, che abbiamo definito nel capitolo 7. Vi sono diverse tipologie di processi che potremo trovarci ad analizzare: a) processi primari: sono processi direttamente orientati al raggiungimento dei fini primari dell'organizzazione e alla soddisfazione di bisogni ed esigenze dei destinatari finali. Per un'azienda produttrice di beni (come ad esempio l'abbigliamento) il processo primario è rappresentato dalla catena dei processi di progettazione, produzione e distribuzione dei capi di abbigliamento. Per un Ente Pubblico come una scuola, ad esempio, il processo primario è costituito dalla predisposizione ed erogazione del servizio di istruzione degli utenti. b) processi di supporto: sono processi orientati alla predisposizione di servizi funzionali alla realizzazione del processo primario o alla soddisfazione delle esigenze di lavoro dei soggetti che operano all'interno dell'organizzazione. In un'impresa di produzione, ad esempio, sono processi di supporto la gestione e sviluppo delle risorse umane, la contabilità generale, la fornitura dei servizi di segreteria. c) processi di coordinamento, controllo e integrazione: sono i processi di direzione e supervisione che hanno la funzione di individuare i fini, definire gli obiettivi e le strategie, coordinare e controllare le attività e i risultati. Per analizzare e diagnosticare l'influenza di un processo sull'organizzazione, bisogna esaminare alcuni aspetti fondamentali dei processi: 8.1.1. Il tipo di attività Il primo aspetto importante dei processi riguarda il tipo di attività che prevale all'interno del singolo processo. Le attività possono essere: a) di trasformazione, ovvero le attività necessarie a realizzare la conversione input-output. Esse hanno natura differente in base all'oggetto della trasformazione (informazioni e simboli, materiali, conoscenze, etc.) ma sono sempre orientate alla generazione di un qualche valore. In particolare si possono distinguere tre grandi classi di attività di trasformazione:

• manifatturiere, ovvero rivolte alla trasformazione o produzione di un oggetto fisico;

• di servizio, ovvero rivolte a soddisfare il bisogno di un utente (ad esempio: dare informazioni e spiegazioni, fornire supporto operativo o psicologico, ascoltare e comunicare, consegnare un servizio, etc.);

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• di elaborazione professionale, ovvero attività ad alto contenuto intellettuale e di conoscenza (ad esempio: attività di analisi, di valutazione, di diagnosi ed elaborazione di ipotesi, di soluzione di problemi, di decisione professionale, etc.);

b) attività di coordinamento e controllo: riguardano il controllo e la sincronizzazione di attività che si svolgono in tempi diversi; il coordinamento fra attività diverse svolte da persone diverse; la cooperazione, consistente nello scambio delle informazioni, nel controllo congiunto di un processo, nella verifica dell'andamento di attività collettive; c) attività di mantenimento e innovazione del sistema tecnico, del sistema organizzativo, del sistema sociale: riguardano l'ottimizzazione dei metodi e delle tecnologie di produzione; l'innovazione di processo; la manutenzione; lo sviluppo di competenze; l'adeguamento delle soluzioni micro-organizzative.

Trasformazione

Mantenimento/ innovazione

Coordinamento/ regolazione

Attrezzature, norme, metodologie, etc.

Programmi

Materiali, informazioni

Esperienza e innovazione

Informazioni e intergrazione

Prodotti o servizi

(Butera, 1979)

È importante in questa analisi capire qual è il "processo lavorativo chiave", perché questo si rispecchia sulla struttura organizzativa. Ad esempio, attraverso lo studio di un organigramma dovremmo essere in grado di capire il peso delle attività di coordinamento rispetto alle attività di elaborazione e produzione. Esistono due situazioni: un caso in cui nell'organizzazione è prevalente il peso della cura dei processi fondamentali – sono organizzazioni orientate alla produzione (sia materiale che di servizio) e sono quelle più sane perché hanno delle transazioni con la realtà; e un secondo caso in cui il coordinamento supera una certa soglia di quantità e di importanza, determinando processi di entropia: si lavora per controllare e non per fare.

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8.1.2. La variabilità Il secondo aspetto a cui guardare è la variabilità del processo (Perrow e Thompson). Possiamo distinguere: a) Attività definite, con poche eccezioni (ad esempio: il processo di una catena di montaggio) che hanno come conseguenze organizzative dei ruoli definiti, delle procedure fisse, lavoro standardizzato, automatismi; tutta la storia del taylorismo nasce dopo che sono stati sistematizzati i processi. Il processo di definizione delle attività e di riduzione delle eccezioni è un processo incessante: attraverso lo studio dei processi e con la conoscenza dei fenomeni, si tenta la loro normalizzazione, in questo modo le attività con meno eccezioni sono destinate a essere automatizzate. b) Attività definite, con molte eccezioni (ad esempio: il processo di fabbricazione del nylon, che è noto, ma con un gran numero di problemi); le implicazioni organizzative sono: la presenza di alcune persone che si occupino di risolvere i problemi, una struttura flessibile in cui sia possibile riallocare le risorse a seconda di dove si presentino le eccezioni, etc. Gli elementi di variazione di un processo si chiamano varianze. Il problema nasce perché chi disegna la struttura organizzativa (gli ingegneri e i progettisti) non conosce bene questo tipo di attività: pensa di essere di fronte a un tipo di attività definita e con poche eccezioni, in cui possono essere eliminati tutti i fattori di

Definizione Piano Spaziale Nazionale

Pianificazione/gestione progetti Tecnologici

Pianificazione/gestione progetti Ricerca Scientifica

Sviluppo programmi Applicativi

Fornitura servizi a base spaziale

Trasferimento tecnologie / conoscenze

Partecipazione Programmi ESA

Creazione d’impresa

Consulenza

Processi di direzione e controllo

Processidi supporto

valore /cliente

Mappe di processi : un esempio

Processiprimari

Definizione strategiaPianificazione, budgeting e controllo economicoCoordinamento e controllo programmi/progettiRelazioni istituzionaliComunicazione e immagineAccordi BilateraliAudit e Valutazione

Gestione del personaleGestione finanziariaSupporto legaleGestione amministrativaGestione e sviluppo infrastutture informative

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disordine. Se, però, l'organizzazione da essi progettata non corrisponde alla realtà del processo, ci troveremo davanti a un sistema che non riesce a funzionare e che ha isolato il sistema di regolazione delle varianze. Non c'è niente di male, invece, nel fatto che esistano delle varianze in un processo definito, ma occorre pensare al sistema in questo modo: l'organizzazione non deve credere alla propria perfezione, ma governare le proprie imperfezioni. Le varianze sono disturbi, incidenti, errori, imprevisti che devono essere controllati, regolati, studiati, prevenuti da un gruppo di lavoro. Questo non avviene sulla base di altre procedure rigide e di forme organizzative burocratiche, ma su procedure basate sulle minime specifiche critiche e sulla base di un'organizzazione articolata su ruoli e gruppi di lavoro orientati a ottenere il risultato di controllare tali varianze. Il problema degli incidenti è particolarmente sentito nei "sistemi ad alto rischio": è il caso della condotta di un aereo, della guida di un treno, della sorveglianza di una centrale nucleare. Queste situazioni esigono "organizzazioni ad alta affidabilità" (Catino) che richiedono ruoli ad alto livello di competenza, procedure indicative ed equifinali (dato un obiettivo esso può essere raggiunto attraverso una serie di possibili percorsi entro i vincoli fissati). c) Attività non definite, con molte eccezioni (ad esempio: il processo di apprendimento, di ricerca, artistico, di negoziazione, di forniture di servizi). Le implicazioni organizzative sono legate all'impossibilità delle definizioni del processo: non ci si può basare su una procedura, non ci può essere burocrazia oltre un certo livello, non è funzionale la divisione dei ruoli oltre un certo limite. In queste attività ciò che prevale è la persona, la professionalità. Thompson e Perrow si sono occupati, in particolare, delle relazioni tra la natura dei processi e delle attività e le ripercussioni sull'organizzazione. L'idea della one best way (il modo ottimale per realizzare le cose) è valida solo per i processi del primo tipo di variabilità: la genialità del taylorismo è stata la sua efficacia dal punto di vista produttivo (dimenticando il punto di vista sociale). L'estensione di questo paradigma a processi di altra variabilità ha provocato drammatiche inefficienze e costi sociali troppo alti (non si può applicare il taylorismo a un atelier, a un gruppo di ricerca etc.). 8.1.3. Il livello di formalizzazione Il terzo aspetto riguarda il livello di formalizzazione del processo (è legato alla dimensione precedente, ma non necessariamente). Esistono processi formalizzati, come una procedura, e processi non formalizzati, come il processo di impagliatura delle sedie, o che non sono formalizzabili, come il processo di apprendimento. Ogni processo ha diversi sottoprocessi e ognuno ha diversi livelli di formalizzazione: non esiste un processo o un sottoprocesso che non abbia dei caratteri formalizzati; qualunque lavoro, anche il più creativo, ha sempre dei momenti anche minimi di formalizzazione (anche Michelangelo doveva preparare i colori in modi precisi), cosi come anche i processi più formalizzati hanno sottoprocessi non formalizzati (ad esempio: Charlot diventa pazzo nella catena di montaggio). 8.1.4. Il setting Il quarto e ultimo aspetto riguarda il "setting" del processo; il setting è il modo con cui il processo viene fissato, è la definizione di tempi e modalità. Il setting distingue i processi per procedure o per risultati, e senza di esso non esiste organizzazione: se il processo non è definito da procedure o da risultati, l'organizzazione vive solo per se

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stessa. Queste problematiche sono rappresentate molto bene dalla letteratura ne Il deserto dei Tartari di Buzzati. Gli studiosi non devono essere attratti dalla formalizzazione dei processi. Il processo non è l'obiettivo ma ne è una parte: l'obiettivo è la meta e il processo è ciò che avviene per raggiungere l'obiettivo. 8.2. Il sistema di coordinamento e controllo 8.2.1. La cooperazione Ricordiamo che la cooperazione, che consente la realizzazione dei processi, è costituita da tre diverse forme coesistenti: il coordinamento, la collaborazione, il processo di decisione. Nel coordinamento la cooperazione si presenta come interrelazione tra azioni distinte di individui diversi che concorrono alla realizzazione di un risultato. Il problema principale nel coordinamento è pertanto quello della sincronizzazione degli impegni, delle azioni e del prodotto delle singole azioni in modo che la realizzazione complessiva corrisponda alle attese. Le forme e le modalità di coordinamento sono diverse. Mintzberg (1985) rielaborando i lavori di Thompson, Woodward e Perrow, identifica tre forme principali di coordinamento: - per supervisione diretta – ovvero coordinamento gerarchico; - per standardizzazione, attraverso un'azione volta a uniformare le condizioni

dell'input, dei metodi di conversione o dell'output; - per adattamento reciproco – ovvero per integrazione diretta e orizzontale tra i

componenti di una medesima unità organizzativa o di diverse unità: è quello che Malone (1993) definisce "l'atto di lavorare insieme armoniosamente".

Nella collaborazione si presenta invece una forma di cooperazione tra persone impegnate nell'esecuzione di un'unica azione. Il successo della collaborazione dipende dal contributo fornito da ciascun individuo nel generare una comune interpretazione e conoscenza condivisa. Al termine della collaborazione risulta difficile riconoscere il contributo di singoli individui perché il prodotto finale è qualcosa di più della somma delle parti. I tipi fondamentali sono: • la collaborazione operativa, che si riscontra in una squadra di traslocatori, in un

team di football, in un team che prepara una sfilata di moda, o il gruppo alla vigilia di una prima teatrale, etc.

• la collaborazione informativa, tipica delle situazioni ad alta intensità di informazione come quelle di un impianto automatizzato, di un team remoto che lavora in e-mail, etc.

• la collaborazione creativa, che è quella tipica del lavoro dei team professionali. Sui processi di decisione commentiamo solo che un tipo particolare è la co-decisione, che si determina quando diversi individui concorrono alla presa di una decisione. In questo caso la creazione di una comune capacità di interpretazione dei parametri della decisione, la condivisione delle informazioni per decidere e l'esistenza di una relazione tra le persone in grado di favorire la credibilità reciproca dei decisori sono i fattori che determinano il successo. Questa modalità è tipica dei processi di programmazione oppure di quelli di deliberazione.

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8.2.2. I quattro aspetti principali nell'analisi e nella diagnosi del sistema di coordinamento e controllo Il primo aspetto riguarda i concetti di autorità e responsabilità. L'autorità indica chi è legittimato a prendere una decisione, mentre la responsabilità si riferisce al dover rispondere di qualcosa a qualcuno, all'assumersi l'onere di un'attività, e può essere totale o parziale, a seconda che ci sia il consenso o meno di altri elementi. Un punto fermo nelle organizzazioni è che debbano esistere autorità e responsabilità chiare e definite: in una situazione in cui non siano presenti questi elementi, non abbiamo un'organizzazione, ma uno stato magmatico, o una "guerra" (come nel Far West in cui non c'è né autorità né responsabilità, ma c'è il potere). In ogni organizzazione c'è sempre l'idea di che cosa siamo autorizzati a fare (non necessariamente formalmente) e di che cosa rispondiamo. Per esempio nella burocrazia l'autorità è sempre di qualcun altro, di un superiore che non si trova mai, e c'è assenza di responsabilità: la colpa non è mai di nessuno (ad esempio come ne Il castello di Kafka). Il secondo aspetto riguarda la natura delle procedure. Si ha una procedura tutte le volte in cui ciò che deve essere fatto è rappresentabile come una sequenza di eventi nella quale sia possibile descrivere ciò che deve essere fatto prima e dopo, specificando i contenuti. Una procedura è buona quanto più è precisa e descrive il compito da eseguire in modo sufficiente per ottenere effettivamente che il compito sia eseguito. Col sistema delle procedure possiamo descrivere sequenze di eventi e dare norme di azione in tutti i casi in cui questi eventi siano definiti, precisati, precisabili, e in cui l'obiettivo della procedura sia quello di far capire bene alle persone cosa debbano fare. Alla radice dell'idea di organizzarsi bene, nell'organizzazione di tipo meccanico vi è la procedura rigida, adottata nella celebrata burocrazia di Maria Teresa D'Austria e diffusa in tutto il mondo. La ragione del maggior senso dello Stato nel Nord Italia è forse data dal fatto che il sistema amministrativo è stato in parte mutuato dall'Austria: questa abitudine all'imparzialità e alla razionalità delle norme ha dato efficienza all'amministrazione e senso dello Stato alle persone. L'assenza di queste procedure al Sud ha conferito al rapporto del cittadino con lo Stato un andamento differente. L'idea della procedura legale e razionale, uguale per tutti, di Max Weber prometteva tre cose: imparzialità e oggettività, razionalità (la modalità ottima di fare le cose) e il fatto di permettere alle persone di agire senza pensare, senza dipendere dalla variabilità, ottenendo un risultato standard. Dal punto di vista della cultura dell'organizzazione, la prima cosa che si vuole fare per mettere ordine sembra essere quella di fissare delle procedure, un'operazione istintiva che tutti noi facciamo nella vita quotidiana. Vi sono procedure rigide come quelle amministrative (ad esempio: prenotarsi a un esame, presentare uno statino, etc.); un esempio molto comune di procedure rigide sono i manuali d'uso di macchine come i computer, i telefoni portatili, i registratori etc.; in realtà, però, le procedure che essi presentano sono incomprensibili perché sono scritte secondo la sequenza di chi costruisce le macchine e non di chi le deve usare: il procedimento per l'utente è impossibile da capire. Norme e procedure rigide sono ammissibili quando i compiti sono definiti, le sequenze stabilite e quando ciò che si impara dai singoli passi della procedura è sufficiente ad apprendere; le stesse norme sono inadeguate quando i compiti sono incerti, le sequenze imprecise, e il processo riguarda l'apprendimento non del singolo step, ma del significato complessivo. Alcune procedure richiedono delle sequenze dettagliate, precise e inequivocabili anche se il processo è incerto (ad esempio: l'atterraggio di un aereo): tanto più pericoloso,

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rischioso e complesso è ciò che deve essere fatto, tanto più il lavoro è descritto in termini di procedure. Per la soluzione dei problemi entrano in campo la competenza e le regole professionali. Un tipo di procedure rigide sono quelle informative: quando un processo può essere identificato in maniera chiara e precisa, e i relativi sottoprocessi di immissione, elaborazione ed emissione sono codificabili, le procedure possono essere automatizzate, cioè gestite dal computer. Alla base dello sviluppo dei sistemi informativi c'è il problema di tradurre delle procedure in linguaggio macchina; gli analisti EDP (Electronic Data Processing) rappresentano un problema che normalmente è confuso e complesso in termini di una sequenza di eventi non lineari, ma alternativi, e hanno una serie di simboli con cui rappresentare classi di eventi diversi: un'informazione, un'autorizzazione, una cosa a cui deve seguire un altro evento sono rappresentati con grafi diversi. La rappresentazione dei processi in termini procedurali, però, comporta un impoverimento di ciò che avviene e di ciò che deve essere fatto; ci sono allora altri tipi di procedure, procedure indicative, che rappresentano solo alcune grandi fasi del lavoro, alcune classi di attività, ma cosa avviene nel dettaglio non è determinato in anticipo. Ci sono alcuni settori in cui vengono usate solo procedure indicative e non analitiche, come il processo di insegnamento, la Ricerca e Sviluppo, l'attività commerciale: copioni, più che procedure. Un altro tipo di procedura è quella che si basa solo su minime specificazioni che non indicano i passaggi intermedi: viene definita solo una serie di macrofasi, uno standard e un obiettivo (ad esempio: lo svolgimento di una tesi di laurea). Non è vero, quindi, che proceduralizzare molto corrisponda a organizzare bene e che proceduralizzare al minimo sia organizzare male: dipende dalla natura del processo. La tradizione di pensiero successiva a Taylor ha cercato di criticare l'idea della one best way esaminando le relazioni tra tipo di processi e tipo di organizzazioni; nasce, così, la teoria delle contingenze organizzative. Secondo quest'ultima, a diversi tipi di processo corrisponde una diversa organizzazione adeguata: l'organizzazione giusta non è quindi quella che corrisponde a una dottrina o "regole auree" (taylorismo, fordismo, burocrazia efficiente etc.) ma quella che risulta adatta agli obiettivi e alle risorse impiegate (strategia/obiettivi, tecnologia, ambiente, mercato, tipo di persone, etc.). Le organizzazioni sono quindi connotate anche in base alla natura delle procedure: si può avere un'organizzazione in cui il contenuto delle cose da fare è prescritto; un altro tipo basato su grandi blocchi di attività; un terzo tipo che ha un suo setting stabilito da un complesso di macrofasi, standard e obiettivi. Quali sono, quindi, le implicazioni organizzative collegate alla natura delle procedure? Nel caso di procedure rigide, il lavoro è di solito rigido e l'organizzazione burocratica: anche in queste organizzazioni tuttavia questa procedura e quest'organizzazione, però, non sono adatte se si presenta una varianza. Un terzo aspetto importante nell'analisi e diagnosi del sistema di coordinamento e controllo è la fonte del controllo, che può essere:

• controllo di persona su persona; • controllo amministrativo-procedurale; • controllo tecnologico.

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Il primo tipo di controllo (persona su persona) è quello che si verifica quando un'autorità (gerarchica) riceve l'incarico di controllare le prestazioni, ma inevitabilmente finisce per controllare le persone e i loro comportamenti. Il secondo tipo (amministrativo-procedurale) è quello più diffuso nelle burocrazie moderne, perché è meglio accettato dalle persone. Il terzo tipo (tecnologico) può verificarsi in due casi: nel primo la macchina non procede se non si sono ultimate le fasi precedenti del lavoro, mentre nel secondo la macchina controlla direttamente il lavoratore: ciò avviene, per esempio, col badge che, formalmente, viene usato per garantire la sicurezza del posto di lavoro, ma potrebbe anche essere usato per controllare gli spostamenti dei singoli lavoratori; oppure attraverso il tracciamento del lavoro svolto su una stazione di lavoro computerizzata. 8.3. Le macrostrutture La struttura organizzativa determina l'allocazione del potere e dell'autorità in un'organizzazione Essa si manifesta attraverso: • disposizioni organizzative • ordini di servizio • organigrammi, funzionigrammi • schemi e assetti organizzativi

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Le sue caratteristiche sono: • procedure molto formalizzate • netta distinzione tra line e staff • raggruppamento del lavoro per aree omogenee • aree spettanti a ogni funzione • ricorso ai livelli gerarchici superiori per l'appianamento dei contrasti (principio scalare) La struttura gerarchica funzionale è associata a: • dimensioni di impresa contenute • singola linea di prodotto • mercati indifferenziati • economia di scala • cicli di vita e di sviluppo prodotti lunghi •

General Manager

R&S Produzione Vendite •...............

Risorse Umane

Marketing

Sistemi Informativi

Finanza

• ......

General Manager

R&S Produzione Vendite •...............

Risorse Umane

Marketing

Sistemi Informativi

Finanza

• ......

La Struttura GerarchicoLa Struttura Gerarchico --FunzionaleFunzionale

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Vantaggi: • divisione tra conduzione strategica e • operatività • sviluppo della managerialità • miglior presidio dello sviluppo di un prodotto e/o • area geografica Svantaggi: • duplicazione di risorse e strutture • conflitto intraorganizzativo tra divisioni (su investimenti, risorse condivise, etc.)

DirezioneGenerale

Staff centrale Staff centrale

Divisione Area A Divisione Area B Divisione Area C Divisi one Area D

StaffStaff

Line Line Line

DirezioneGenerale

Staff centrale Staff centrale

Divisione Area A Divisione Area B Divisione Area C Divisi one Area D

StaffStaff

Line Line Line

La Struttura Divisionale per AreaLa Struttura Divisionale per Area

DirezioneGenerale

Staff centrale Staff centrale

DivisioneProdotto 1

StaffStaff

Line Line Line

DivisioneProdotto 2

DivisioneProdotto 2

DivisioneProdotto 4

DirezioneGenerale

Staff centrale Staff centrale

DivisioneProdotto 1

StaffStaff

Line Line Line

DivisioneProdotto 2

DivisioneProdotto 2

DivisioneProdotto 4

La Struttura Divisionale per ProdottoLa Struttura Divisionale per Prodotto

DirezioneGenerale

Staff centrale Staff centrale

Divisione Processo ocomponente 1

StaffStaff

Line Line Line

Divisione Processo ocomponente 2

Divisione Processo ocomponente 3

Divisione Processo ocomponente 4

La Struttura Divisionale per ProcessoLa Struttura Divisionale per Processo

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Vantaggi: • elevato orientamento al business e alla specializzazione funzionale • possibile elevata motivazione nelle attività • miglior utilizzo delle risorse Svantaggi: • lentezza delle decisioni • “double boss” • incertezza nell'allocazione dei compiti • alto grado di conflitto organizzativo 8.4. Le microstrutture 8.4.1. Reparti e uffici nella tradizione taylor-fordista Nella tradizione dell'organizzazione classica e scientifica del lavoro (e in particolare nel taylor-fordismo) le microstrutture erano unità organizzative elementari (reparti, uffici) costituite come insiemi di mansioni assegnate ai singoli lavoratori attivi nella stessa area, nello stesso tempo e con la stessa tecnologia, non necessariamente raggruppati per processi. L'integrazione e il coordinamento tra diverse mansioni o diverse unità organizzative erano realizzati in prevalenza per via gerarchica o attraverso procedure di carattere tecnico e amministrativo (cooperazione estrinseca), senza che le persone fossero

Direzione Generale

ResponsabileGerarchica

ResponsabileGerarchica

ResponsabileGerarchica

ResponsabileGerarchica

ResponsabileFunzionale

ResponsabileFunzionale

ResponsabileFunzionale

La Struttura a MatriceLa Struttura a Matrice

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coinvolte attivamente nel processo: il loro compito era quello di eseguire istruzioni. Lo scopo di queste organizzazioni era la saturazione ottimale e il controllo delle persone. I criteri prevalenti nella tradizione organizzativa per la determinazione delle unità organizzative elementari sono stati riassunti da Bernardi e Sordi nelle seguenti tipologie:

• su base numerica: la composizione delle unità operative è determinata in base ai carichi di lavoro da assorbire. Il limite massimo è dato dalle possibilità di esercizio del controllo diretto del capo.

• su base temporale: la divisione del lavoro fra diverse unità e la composizione di tali unità sono determinate in base al criterio del tempo. Tipico è l'esempio delle squadre che lavorano a turni.

• per prodotto/tecnologia: si raggruppano le persone in base al prodotto realizzato o alla omogeneità della tecnologia utilizzata (ad esempio il reparto di tornitura).

• funzionale: la composizione delle unità operative è realizzata sulla base della omogeneità funzionale (produrre, vendere, amministrare etc.). Tale criterio risponde sia a esigenze di efficienza sia a esigenze di specializzazione delle competenze professionali;

• per area geografica: prevale la logica del raggruppamento delle persone nella stessa area fisica.

Tutto ciò che caratterizza l'applicazione del modello della "direzione scientifica è il grado di divisione verticale del lavoro" (Gallino, 1978):

• le attività di trasformazione sono di norma assegnate alle unità di linea; • le attività di mantenimento e innovazione dei metodi e dei processi di lavoro

vengono assegnate a unità di staff specializzate che impiegano personale più qualificato (ad esempio manutentori, tecnici di tempi e metodi, tecnici dei processi produttivi, etc.);

• le attività di coordinamento e controllo sono svolte in prevalenza dai vertici gerarchici e (all'interno delle microstrutture) dai capi intermedi di linea – e dalle unità di staff tecniche e amministrative che predispongono norme, procedure, metodi di lavoro, standard tecnici, etc. La forma di coordinamento più diffusa è quella del coordinamento gerarchico – basato sull'autorità esercitata da persone su altre persone – e per norme e adempimenti (De Maio et al., 1984).

La divisione netta tra line e staff, tra lavoro esecutivo e lavoro direttivo e intellettuale, tra funzioni di trasformazione e funzioni di mantenimento, innovazione e controllo è alla base della segmentazione del lavoro che ancora oggi caratterizza la divisione sociale del lavoro nell'impresa e nel mercato del lavoro – operai, impiegati, quadri tecnici e supervisori intermedi, dirigenti. Tale divisione si riflette sulla struttura dei compensi e del rango sociale, anche indipendentemente dalla differenziazione di valore e complessità del lavoro e di competenze impegnate. All'interno del modello tayloristico di organizzazione, la professionalità individuale subisce un forte ridimensionamento. Non solo viene limitata ma ne viene svalutata la natura: essa si riduce a skill, un'abilità, o competenza, che è una commodity, e può essere utilizzata nel processo produttivo organizzato dall'azienda. Questo fenomeno interessa non solo i lavoratori a bassa qualificazione ma anche il personale tecnico più qualificato. Ciò che li accomuna è di essere titolari di un'occupazione industriale.

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8.4.2. L'emergere del gruppo di lavoro negli studi della scuola sociotecnica: verso un nuovo paradigma di organizzazione del lavoro. Fin dagli anni '50, i limiti di applicabilità del modello tayloristico di organizzazione e gli effetti negativi sulla qualità della vita di lavoro delle persone avevano stimolato studi, proposte ed esperimenti di nuove forme di organizzazione del lavoro e nuove forme di microstrutture, soprattutto nel campo della produzione industriale. Fra questi vanno ricordati in particolare gli studi di matrice sociotecnica promossi dal Tavistock Institute di Londra nel corso degli anni '60 e '70 (Trist, 1982). Tali studi proposero e iniziarono a sperimentare nuove forme di workteam e unità di lavoro relativamente autoregolate, centrate sul controllo e la regolazione dei processi e basate su sistemi di coordinamento sostenuti dalla cooperazione tra i membri del gruppo. Fin dai primi studi sulle miniere di carbone del South Yorkshire, avviati alla fine degli anni '50 da Trist e colleghi, fu messo in evidenza un sistema di lavoro imperniato su gruppi relativamente autonomi, basati su ruoli intercambiabili e su un sistema di integrazione e coordinamento tra i diversi compiti e tra i diversi operatori che richiedeva un grado di supervisione minima, in cui la cooperazione e l'intercambiabilità dei compiti all'interno dei gruppi era molto accentuata. (Trist, 1982). Gli studi e le esperienze successive di Trist, Emery, Miller e Rice nel Regno Unito, di Davis negli USA, di Thorsrud e altri, misero in evidenza la possibilità e l'opportunità di applicare ed estendere un nuovo paradigma di organizzazione del lavoro. I principi fondamentali emergenti nel nuovo paradigma sono stati riassunti da Trist (1982) nel modo seguente:

1. il sistema di lavoro (work system), ovvero l'insieme di attività che consentono di realizzare un processo, è l'unità di base dell'organizzazione, anziché il singolo job;

2. la autoregolazione interna del gruppo di lavoro è possibile ed è preferibile alla regolazione esterna da parte della gerarchia;

3. la ridondanza di skill e di funzioni interne al gruppo è preferibile alla specializzazione delle parti. Si persegue lo sviluppo di skill multiple dei singoli e l'incremento di responsabilità dirette del gruppo;

4. la discrezionalità subentra alla prescrittività; 5. l'individuo controlla i processi e la tecnologia; 6. la varietà del lavoro e l'ampiezza dei ruoli vengono perseguiti come antidoti

all'impoverimento del lavoro che caratterizza l'organizzazione burocratica. Entro la prospettiva di questo approccio, sistema sociale e sistema tecnico divengono complementari nella progettazione organizzativa. Se nel precedente paradigma la dimensione sociale dell'organizzazione era relegata nel regno dell'informale e considerata come "problema da gestire", nel nuovo paradigma il sistema sociale diviene una delle componenti strutturali dell'organizzazione. Le persone, con le loro caratteristiche umane e professionali, e il sistema di relazioni che esse costituiscono nell'ambiente di lavoro, cessano di essere considerati come variabili estranee al processo produttivo, e diventano il perno delle nuove forme di lavoro. 8.4.3. La diffusione delle nuove forme di microstrutture permanenti: unità di processo e

isole Nel corso degli anni '70 ebbero luogo alcune esperienze di radicale riorganizzazione del sistema di lavoro di interi stabilimenti di produzione industriale. Le esperienze più note

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sono quelle scandinave, associate o meno al progetto di "democrazia industriale": i progetti di Hunsfos, della Norske Hidro, della Volvo di Kalmar, si inseriscono nella traiettoria tracciata dalla scuola sociotecnica (Emery and Thorsrud, 1964, Hengelstad in Davis and Taylor, 1972). Ma questi sviluppi hanno luogo anche in Nordamerica (Aluminum Company of Canada), (Davis e Cherns, 1975) e in Giappone (Dore). In Italia nel 1971 vengono realizzate le isole di montaggio della Olivetti (UMI, Unità di Montaggio integrate), e le esperienze di Gruppi Integrati in siderurgia (Butera, 1977). Il gruppo e il controllo umano del processo sono alla base dello schema di organizzazione utilizzato in quasi tutti i casi citati. L'isola di produzione è un'esemplificazione di una microstruttura basata sul funzionamento di gruppi di lavoro che tendono ad assumere la responsabilità della realizzazione di un processo di lavoro completo altamente formalizzato, ma pieno di "varianze", disturbi, incidenti, errori, imprevisti che devono essere controllati, regolati, studiati, prevenuti da un gruppo di lavoro impegnato nel miglioramento continuo dei risultati: nel caso della Volvo, ad esempio, il montaggio dell'automobile. I processi di ridimensionamento delle grandi imprese, di terziarizzazione, di sburocratizzazione e semplificazione delle strutture, verso la metà degli anni '80 danno luce verde in tutto il mondo all'applicazione diffusa di nuove soluzioni e modelli organizzativi anche al livello della produzione e delle microstrutture. Un fattore di accelerazione fu il successo del modello giapponese della lean production, o produzione snella, descritto da Womack, Jones e Roos (1990) nel noto studio del MIT sul modo di produzione dell'automobile, che divenne un riferimento per molte aziende occidentali. Sviluppato originariamente dalla Toyota a partire dagli anni '50, il modello della produzione snella si diffonde in tutta l'industria (e non solo) automobilistica giapponese e sviluppa fortemente esperienze, prima di transplant (ovvero di istallazione di società giapponesi in occidente come ad esempio la Nummi Toyota a Freemont in California o lo stabilimento di motociclette di Atessa in Italia) e poi di riorganizzazione della produzione di imprese, in nulla legate alle imprese giapponesi. 8.4.4. Le unità di processo come strutture di lavoro autoregolate Per unità di processo intendiamo in generale un insieme di strutture di lavoro flessibili e parzialmente autoregolate che operano stabilmente nella realizzazione di un processo o sottoprocesso di produzione o servizio – isole, process team, case team, work autonomous groups, self-managing team, etc. Le unità di processo sono strutture operative e ad alto livello di impegno che hanno confini che coincidono con quelli del processo – o del sottoprocesso – di riferimento, includono le funzioni necessarie per assicurare il mantenimento, il coordinamento e l'ottimizzazione dei processi e tendono verso il massimo di intercambiabilità tra i ruoli. Nelle organizzazioni che applicano questo modello di organizzazione le unità di processo tendono a sostituire completamente i tradizionali reparti funzionali.

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Unità operativadi processo

Gestionedelle risorse

umane

Qualità

Logistica

Ingegneria

Manutenzione

UNITA' OPERATIVADI PROCESSO

In questo modello possono essere ricomprese le citate isole di produzione della Volvo e della Olivetti; le Cellular Manufacturing Units, che, originariamente sviluppate in Unione Sovietica, trovarono larga applicazione nel corso degli anni '80 negli USA; la struttura di processo della Cerestar; le Unità Tecnologiche Elementari (UTE) della Fiat di Melfi. In sintesi, nelle diverse forme che esse assumono, emergono alcune caratteristiche generali e comuni delle unità di processo:

• operano su processi e sono responsabili di risultati; • hanno un controllo sull'input (informazioni, flussi, programmi) nel senso di

poterlo prevedere, assorbirne le irregolarità quantitative o qualitative; • sono caratterizzate da un'elevata intercambiabilità fra persone con competenze e

capacità relativamente omogenee; • hanno una relativa autosufficienza delle risorse (umane, tecnologiche,

conoscitive) necessarie per svolgere l'attività; • operano in termini di cooperazione nella gestione dei processi e nella

eliminazione delle varianze (criticità, problemi, imprevisti); • dispongono di elevata flessibilità ("prontezza intrinseca") nel senso che

riattrezzano risorse, programmi e tempi in funzione della quantità, qualità, incertezza degli input, anche attraverso l'acquisizione di risorse aggiuntive temporanee;

• dispongono di leadership multiple (più persone hanno "autorità di lavoro") a seconda delle materie e dei problemi da affrontare.

8.4.5. I team come strutture organizzative per obiettivi Chiamiamo team le diverse forme di gruppi di lavoro e di strutture orizzontali centrate su processi e su programmi che, a differenza delle "unità di processo", hanno carattere temporaneo e variabile. Nel corso degli ultimi anni tali strutture hanno trovato una vasta applicazione nei processi di cambiamento organizzativo e di trasformazione della grande impresa verticalizzata verso forme più flessibili ed efficaci di organizzazione.

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La loro applicazione si è diffusa sia in situazioni in cui è richiesto di affrontare un'emergenza, sia in situazioni in cui si rende necessaria la collaborazione aperta tra persone che operano anche stabilmente in processi di lavoro diversi. Tuttavia ciò che caratterizza i team è soprattutto la temporaneità dell'intervento che tende, anche dopo tempi relativamente lunghi di impegno, a esaurirsi. Un primo tipo di team è definibile come una struttura temporanea per il miglioramento continuo. Ne sono esempi i circoli di qualità, i gruppi di miglioramento dei processi, i team di soluzione dei problemi, etc. Si tratta di strutture sviluppatesi principalmente come strumento per la realizzazione di programmi di diffusione e miglioramento della qualità dei processi e dei prodotti. Un circolo di qualità è formato generalmente da un gruppo di otto-dodici persone che lavorano insieme, regolarmente organizzati in un team che si incontra periodicamente per affrontare i problemi e le questioni derivanti dal loro ambiente di lavoro. Una seconda classe di team appartiene alla sfera delle organizzazioni virtuali (De Michelis et al.): sono gruppi di lavoro remoti, costituiti da persone fisicamente allocate in strutture o in aree geografiche diverse, che collaborano utilizzando tecnologie a supporto del lavoro cooperativo, (Computer Supported Cooperative Work), sistemi di telecomunicazione, e-mail. I sistemi informativi e telematici diventano in questi casi il principale sostituto della comunicazione faccia a faccia e uno strumento per allargare la cooperazione a un numero anche elevato di persone. È questo un modello di lavoro utilizzato prevalentemente nelle aziende ad alta tecnologia, che consente di far cooperare professionisti ed esperti di elevato livello dislocati presso sedi territoriali e paesi diversi, limitando i costi e valorizzando tutto il potenziale di conoscenza e di esperienza accumulato nelle unità produttive o di R&S di una grande impresa. Il gruppo virtuale è una delle forme di cooperazione più diffuse nel lavoro professionale, e in alcuni casi si estende a un network professionale extra-aziendale che connette altri professionisti, centri di ricerca o università, all'interno di progetti di ricerca comuni o di processi di circolazione delle conoscenze sviluppate. Una terza classe riguarda le organizzazioni temporanee centrate su programmi. Si tratta di una forma di microstruttura molto diffusa nelle moderne organizzazioni, probabilmente la più diffusa: gruppi di progetto, programmi di innovazione, task force, sono tutte forme di organizzazione centrate sulla realizzazione di uno specifico programma. Esse sono largamente applicate anche in organizzazioni che mantengono le tradizionali divisioni funzionali; le strutture temporanee per progetto sono in molti casi un antidoto alla rigidità della divisione orizzontale del lavoro tipica delle strutture tradizionali. Queste strutture possono essere costituite da persone che lasciano, per tutto il tempo del programma, la propria funzione e posizione, o da persone che partecipano al gruppo di progetto pur mantenendo un impegno contemporaneo nell'unità organizzativa di appartenenza. 8.5. Ruoli, occupazioni, professioni 8.5.1. Il ruolo Dal punto di vista organizzativo, il ruolo è definibile come: "ciò che ciascuno fa in vista di un risultato funzionale, nelle sue relazioni con gli altri, all'interno di un determinato contesto tecnico-organizzativo" (Butera, 1984). Il ruolo è costituito perciò non solo da

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compiti, ma anche da responsabilità su risultati e da relazioni con il contesto organizzativo. Sul ruolo sono incentrati anche il sistema di aspettative (attese di risultati e di comportamenti sociali, tecnici, produttivi) e di norme che si esercitano su colui che occupa una determinata posizione organizzativa e sociale (Gallino, 1978) e il modo effettivo con cui il titolare di un ruolo interpreta, arricchendole, tali aspettative. Organizzazione – ambiente culturale, sistema sociale, sistema tecnico, etc. – e persone trovano integrazione nei ruoli. I ruoli sono cioè l'elemento di giunzione tra sistema organizzativo e individualità. La progettazione dei ruoli organizzativi è quindi definibile come un "copione" che le persone debbono interpretare attraverso le proprie capacità e competenze, in base alle condizioni tecniche, sociali e organizzative in cui di volta in volta i ruoli si trovano a operare. La discrezionalità lasciata al titolare di ruolo nell'interpretazione del proprio lavoro è il fattore fondamentale per l'assorbimento di varianze e problemi che si determinano nei processi di lavoro. Lo sviluppo di ruoli comprende:

• un adeguato mix di attività – operative, di elaborazione professionale (di servizio, di coordinamento e controllo);

• un set di obiettivi e responsabilità-chiave commisurate alle competenze e alle potenzialità degli operatori;

• un sistema di relazioni con l'ambiente sociotecnico di riferimento (colleghi, management, fornitori, clienti etc.).

8.5.2. Le professioni nelle organizzazioni Nei paesi industrializzati è in atto una straordinaria crescita quantitativa e qualitativa di persone che svolgono lavori ad alta qualificazione, che nei gerghi aziendali sono chiamate nei modi più vari (personale qualificato, tecnici, specialisti, professional, knowledge worker, esperti, professionisti, etc.). Essi operano in tutti i campi di imprese e Pubbliche Amministrazioni. Lo sviluppo quantitativo di queste figure è notevole. Barley riporta i dati del Bureau of Census degli Stati Uniti che confermano che l'insieme di Professional (che sono da soli il 16%), Craft, Service Labour e Managerial Labour ammonta al 42% della forza-lavoro. Considerando anche gli addetti alle vendite (che rappresentano un altro 16%), questi soggetti costituiscono il 58% della popolazione lavorativa degli Stati Uniti. Lo stesso aggregato nel 1900 rappresentava solo il 16%. Nel 1996 Professional, Technician e Manager rappresentavano circa il 20% della popolazione lavorativa in USA, Germania, Francia e Italia (Butera et al., I Lavoratori della conoscenza), ma anche questo dato è recentemente molto cresciuto. Drucker (1989), enfatizzando il ruolo assunto dalla conoscenza e dall'informazione nel funzionamento delle imprese, individuò l'emergere di una nuova figura che tenderà a rimpiazzare operai, impiegati, tecnici e professional tradizionali: il lavoratore della conoscenza. La conoscenza diviene la risorsa competitiva principale. Essa risiede sia nell'organizzazione che nelle persone. Le persone come detentori di conoscenze divengono i principali possessori dei mezzi di produzione. Essi tendono a operare come veri e propri professionisti anche se, a differenza dei liberi professionisti, hanno bisogno dell'organizzazione per svolgere il proprio lavoro. L'impiego massiccio della conoscenza in tutti i processi produttivi, l'inserimento dei professionisti liberali nelle organizzazioni, il passaggio di un gran numero di manager

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da ruoli di struttura a ruoli di servizio, lo sviluppo di processi di servizio che richiedono concezione, gestione ed erogazione che è "materia di lavoro professionale" organizzato all'interno delle organizzazioni, non solo modifica il mix di personale richiesto dall'organizzazione – più lavoratori qualificati e meno lavoratori a bassa qualificazione, più professional e meno impiegati – ma spinge verso una radicale trasformazione dell'intera struttura dei sistemi di lavoro e favorisce l'emergere di una nuova categoria sociale e organizzativa che noi preferiamo definire "professioni aziendali" o "professionisti che operano nelle organizzazioni " (Butera, 1987, 1991, 1993). Il progressivo declino delle occupazioni industriali lascia gradualmente il passo a un nuovo modello di lavoro che presenta molti elementi comuni con quelli delle professioni liberali, sia pure privo del carattere "solistico" e della "gelosia e avarizia" sulle conoscenze che le hanno caratterizzate. Se guardiamo ai contenuti delle attività e al ruolo nel processo produttivo, il modello della professione, più che quello del lavoro artigiano pre-industriale o del mestiere, sembra il più adatto a descrivere l'evoluzione del lavoro nelle moderne organizzazioni (Abbot, 1988). In Butera (1987) la professione nelle organizzazioni viene definita come:

"La modalità responsabile e socialmente riconosciuta con cui una persona esercita un ruolo (o una serie di ruoli omologhi) in vista della gestione e dell'innovazione di processi definiti di servizio (professione come struttura produttiva), modalità che richiede definite abilità e competenze e regole deontologiche fondate su corpi di teorie e tecniche conseguite attraverso una storia di curriculum di studi e di esperienze legittimate da corpi sociali e/o dallo stato, che in un modo o in un altro certificano o autorizzano la persona a esercitare la professione (professione come istituzione sociale)".

I nuovi ruoli e le nuove figure di operatori nell'organizzazione presentano, in misura più o meno accentuata, i caratteri delle professioni:

• responsabilità del risultato nei confronti di terzi; • impegno a produrre e consegnare un servizio che apporti valore all'utente finale; • autonomia di giudizio e discrezionalità decisionale nel controllo del processo; • possesso e impiego di conoscenze e di abilità sempre più fondate su corpi di

teorie e discipline scientifiche; • lunga formazione scolastica certificata; • riferimento a comunità professionali extra-aziendali, che fungono da sistema di

alimentazione delle conoscenze; • sviluppo di deontologie, sistemi di valori, e codici comportamentali – scritti o

non scritti – che tendono a sostituire norme, regolamenti e fonti estrinseche di regolazione del lavoro.

8.5.3. Le professioni aziendali come nuovo paradigma di organizzazione del lavoro In questo scenario, il problema dell'organizzazione del lavoro subisce un ribaltamento di prospettiva. Organizzare il lavoro diviene sempre meno un problema di scomposizione di processi in compiti elementari e di assegnazione di compiti alle persone e sempre più un problema di ricerca di nuove e adeguate forme di cooperazione e di partnership tra organizzazioni, capaci di stimolare e proteggere la creatività e lo sviluppo delle conoscenze delle persone, e persone, dotate di forte motivazione, impegno, competenza e identità professionale.

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Organizzare il lavoro diviene cioè sempre meno un problema di corretta e precisa definizione dei job individuali e sempre più un problema di sviluppo di sistemi professionali aziendali attraverso l'integrazione appropriata di tre fattori (Butera, 1993):

a) un sistema di ruoli aperti orientati al servizio; b) un contesto lavorativo capace di generare impegno, creatività e cooperazione; c) un sistema di gestione orientato allo sviluppo delle persone e delle competenze.

Esercitazione n° 7 L'analisi di un ruolo professionale.

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Compiti principali

RelazioniRuolo

Processo

Organizzazione

Contesto di riferimento

Requisiti professionali

Riconoscimento sociale

Struttura della

Professione

GLI ELEMENTI DELLA PROFESSIONE

Obiettivi

Tecnologia

Carriera

Deontologia

Trasformazione

Coord./ controllo

Mantenim./ innovazione

Governo

Contenuto

Estensione

Funzione

Ampiezza

Importanza

Conseguenze

Input

Conversione

Struttura

Output

Sistema di C&C

Struttura organizzativa

Assegnazione del lavoro

Sistema sociale

Gestione del personale

Teorie e tecniche di rif.

Conoscenze e abilità

Esperienza

Comportamenti

Retribuzione

Istituzionalizzazione

Appartenenza

Certificazione

Profilo della

professione

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9. Le strutture di regolazione latenti: comunità di lavoro e strati organizzativi nell'organizzazione individualizzata

9.1. Organizzazione e comunità L'equilibrio fra strutture razionali della burocrazia (gesellshaft) e regolatorie latenti di partecipazione, appartenenza, condivisione di fini per regolare cooperazione, comunicazione, conoscenza ossia comunità (gemeinshaft), all'inizio della rivoluzione industriale si era drammaticamente spostato sull'organizzazione razionale, spingendo la comunità a divenire un fattore residuale da "lasciare fuori dai cancelli della fabbrica o dell'ufficio". A partire dalla profonda crisi del taylor-fordismo questa situazione si sta ribaltando. Le comunità non sostituiscono, ma coesistono con le organizzazioni formalizzate, con la "burocrazia" e la "gerarchia" per intenderci: il risultato non è un ritorno indietro al mondo della produzione artigiana, alle cottage industry, alle imprese di mestiere, ai clan, alle famiglie/ aziende, ma a forme straordinariamente moderne di organizzazione, con forti strutture ossee e con grande intelligenza e anima. Ciò pone nuove frontiere agli studi organizzativi: c'è molto lavoro da fare per comprendere e concettualizzare fenomeni che talvolta vengono percepiti e rappresentati in modo sfocato e indistinto (le "persone", l' "intangibile", "the soft side of the organizations", etc.). Soprattutto queste forme moderne di organizzazione richiedono nuovi strumenti di pianificazione e gestione di strutture latenti, piattaforme sociali, sistemi di regolazione sociale. Questa ingegneria delle comunità è, per il prossimo decennio, l'operazione determinante nel raggiungimento dei risultati delle organizzazioni che influiscono sulla qualità della vita di lavoro delle persone. Essa, a differenza dell'organizzazione classica, ha come oggetto non solo le grandi imprese industriali, ma anche e soprattutto le grandi imprese di servizio, le Pubbliche Amministrazioni, le piccole e medie imprese, le organizzazioni non profit, i sistemi di imprese – amministrazioni – territori in rete. Nell'organizzazione burocratica ci si attendeva che il comportamento delle persone derivasse quasi meccanicamente dalle norme e dalle precondizioni di struttura di autorità, responsabilità e specializzazione fissate in modo razionale dalla macchina organizzativa. Naturalmente occorreva anche ricorrere a meccanismi attivatori (enacting mechanisms) della motivazione: i più diffusi erano compensi economici, punizioni, relazioni umane, etc. Elementi costitutivi delle comunità di lavoro sono invece strutture sociali e culturali forti e persistenti che si creano nel tempo. Gallino, a proposito delle comunità in generale, evidenzia che:

"la coscienza di interessi comuni, il senso di appartenenza a un'entità socioculturale positivamente valutata e a cui si aderisce affettivamente e l'esperienza di relazioni sociali che coinvolgono la totalità della persona diventano di per sé fattori di solidarietà. Tale forma di solidarietà si verifica di preferenza in comunità locali, ma a rigore, qualsiasi collettività-nazione, classe sociale, istituto universitario, equipaggio di una nave – è atta a configurarsi, in certi momenti, come comunità. Più che una collettività concreta la comunità è uno stato che ogni collettività può temporaneamente assumere”.

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Lo sviluppo delle comunità di lavoro nelle organizzazioni costituite da strutture di regolazione sociale "latenti" o piattaforme sociali non è nuovo. Esso è in corso da oltre cinquant'anni, da una parte come processo di ridimensionamento, se non dell'importanza certamente dei limiti di portata della burocrazia, e dall'altra come processo di scoperta di altre e più potenti fonti di regolazione sociale, talvolta viste isolatamente ma tutte iscritte entro alcune proprietà fondamentali di comunità di lavoro. La comunità di lavoro non è in opposizione alla burocrazia razionale: è invece uno strato coesistente di sistemi di regolazione e tende a creare "sintesi riuscite" di organizzazione "naturale" (cioè emergente dalla dinamica dei gruppi sociali impegnati nell'uso e nella ingegnerizzazione delle conoscenze) e di organizzazione "razionale" (cioè un sistema di regole razionali frutto di progettazione intenzionale). Questo argomento verrà approfondito in seguito. Una comunità di lavoro è una "struttura sociale" che implica:

• un comune sentimento di partecipazione; • interessi condivisi o mediati; • obiettivi significativi, risultati in parte comuni; • valori e obiettivi condivisi; • lealtà multiple ai processi, alla professione, all'organizzazione di appartenenza; • appartenenza sia alla comunità locale che a una comunità professionale; • embeddedness nelle comunità locali e internazionali.

In questo tipo di comunità, a differenza delle organizzazioni burocratiche, i processi sociali non sono compressi e marginalizzati ma interagiscono positivamente fra loro e con l'organizzazione formale. In questo tipo di comunità, a differenza delle comunità naturali spontanee, i processi di conoscenza e i processi sociali hanno obiettivi condivisi e sono posti in un framework condiviso. Essi sono orientati a fini condivisi e sono oggetto di progettazione e sviluppo, chiamato nel passato "sviluppo organizzativo". 9.2. Teorie e pratiche organizzative basate sulle strutture di regolazione sociale latenti Le teorie organizzative a partire dagli anni '40 avevano iniziato a sviluppare una riflessione su un paradigma diverso o complementare rispetto a quello dell'organizzazione razionale: i sistemi naturali (Scott, 1981), che richiameremo brevemente nelle prossime righe. Nelle organizzazioni, avvenne lentamente ciò che Levi Strauss andava scoprendo nello studiare i villaggi delle tribù primitive: ossia che dietro la struttura fisica dei villaggi e sotto l'immagine di comunità dal contenuto confuso, tutto stupore e disordine, vi era una struttura, invisibile sia agli occhi del viaggiatore superficiale che alla stessa consapevolezza degli abitanti. Negli studi organizzativi queste "strutture latenti" non rimangono solo oggetto di scoperta, ma divengono in molti casi nuovi principi o paradigmi di regolazione intenzionale e progettazione. Esempi di tali strutture di regolazione sociale latenti, naturali e robuste seppur "lasche" che reggono le comunità di lavoro sono i modelli di cooperazione, le istituzioni, i sistemi sociotecnici nei processi produttivi, la cultura organizzativa, le tecnologie della cooperazione, le interfacce uomo-computer, i sistemi di senso, le comunità professionali, le comunità di pratica, i sistemi sociotecnici nei processi di conoscenza e di relazione con i clienti (Knowledge Management e Customer Relations Management)

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e molte altre. Tutte queste danno luogo a strati organizzativi coesistenti e a un'organizzazione reale individualizzata composta da diversi strati coesistenti di burocrazia e comunità. Argomentiamo di seguito queste proposizioni. La scuola delle relazioni umane a partire da Elton Mayo (1945) aveva rilevato che i comportamenti umani in molti casi rispondevano più che ai dettati dell'organizzazione formale ad altre fonti normative, identificate nel concetto onnicomprensivo di organizzazione informale. Gouldner (1954) aveva demolito, come abbiamo visto, l'idea che esistesse un solo tipo di burocrazia, distinguendo fra burocrazia rappresentativa (dove le norme sono condivise da tutti i membri dell'organizzazione), burocrazia impositiva (in cui esiste disaccordo fra dirigente e subordinati) e burocrazia apparente (dove le norme sono concordemente disattese). Nell'identificare diversi gradi di efficacia delle norme, Gouldner (ibidem) individuò processi sociali che si rivelavano assai più forti dell'apparto legale-razionale: processi legittimi, ben più profondi della semplice "resistenza a eseguire ordini". Vi è ben altro che l'organizzazione informale, che invece Gouldner (ibidem) definisce un "concetto residuale da caffè di diversi e squinternati i concetti… Alcuni modelli informali sono infatti strutture culturali… ossia modelli di credenze e sentimenti… Altri sono strutture sociali… per esempio le cricche… I modelli informali variano in altri modi significativi. Alcuni sono modelli prescritti da valori tradizionali come ad esempio le regole di deferenze. Altri sono modelli prescritti dai valori tradizionali di una particolare organizzazione (per esempio il chiamarsi 'signore' in alcune università). Altri… derivano da competizione e conflitto per informazioni o risorse scarse… per esempio dei macchinari e apparecchiature d'ufficio… sulle relazioni sociali." Erano le prime anticipazioni di un embrionale cambio di paradigma nelle teorie organizzative che si sviluppava in parallelo a una coming crisis dell'organizzazione classica e del taylor-fordismo (Davis, 1975). Quando questa crisi mostra i suoi primi segnali agli inizi degli anni '70 (Butera, 1971), il declino del taylorismo tocca non solo le proprie basi normative (struttura) ma anche i propri apparati culturali (ideologia). Mentre si innovavano profondamente le strutture formali (dall'orologio all'organismo, dalle occupazioni industriali alle nuove professioni, dal castello alla rete, come rappresentato da Butera, 1984, 1988, 1990) si allargava l'area delle organizzazioni naturali, delle strutture latenti basate su comunità, più adattabili all'environment economico e sociale, più flessibili, per lo più paperless. Barnard, prima della seconda guerra mondiale, aveva scoperto che il sistema di cooperazione è quello che induce maggiormente i comportamenti umani. Esso è un sistema costituito da "strutture" forti seppure solo parzialmente formalizzate, fatte non da ciò che sta nelle carte formali, ma da sistemi riconoscibili di scopi condivisi, di comunicazione, di leadership. Selznick (1957), sulla stessa linea, aveva identificato la struttura portante dei comportamenti nella istituzione come sistema di identità, di valori significativi, di norme sostanziali, leadership riconosciute. Parsons negli anni '40 sostiene che le organizzazioni sono soprattutto sistemi sociali, ossia sono costituite da ruoli e da aspettative che provengono sia dalle norme funzionali dell'organizzazione sia dalle altre istituzioni e sistemi culturali della società: le dimensioni dell'integrazione sociale e della latenza sono altrettanto importanti dei dispositivi per il raggiungimento degli scopi.

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I sistemi sociotecnici (Trist, Emery, 1965; Davis, 1972) negli anni '60 avevano messo al centro dell'osservazione i processi (produttivi, informativi, simbolici) nell'industria. I processi vengono gestiti da gruppi di lavoro in azione. Il sistema sociotecnico è costituito da un insieme interagente, e continuamente mutevole, di tecnologia, organizzazione e comunità sociale. Il sistema sociotecnico è il contesto la cui ottimizzazione assicurava i risultati tecnici, economici e sociali. In altri termini il sistema sociotecnico chiedeva alle persone di agire in modo correlato con lo stato reale della tecnologia e dell'organizzazione, in modo finalistico e non normativo al fine di conseguire risultati, di eliminare varianze, di mantenere il sistema, di innovare. In una parola, l'organizzazione per la scuola sociotecnica era fondamentalmente directive correlation, ossia correlazione consapevole tra uomini e sistema tecnico orientata al risultato. Questa modalità di organizzare fino ad allora era stata propria solo del lavoro artistico, scientifico o sportivo, mentre i sociotecnici lo ritenevano estensibile anche al lavoro industriale. Accostarsi a una grande organizzazione pubblica costringe l'osservatore a percepire il sistema istituzionale di norme, politiche, relazioni nel quale quella organizzazione è immersa. Appare spesso chiaro che le appartenenze che guidano i comportamenti sono esterne alle organizzazioni (politica, religione, corporazione, clan, società segreta, etc.). Si comprende che nessun cambiamento è possibile senza qualche raccordo con la dimensione istituzionale. Entrare in contatto con una grande corporation americana implica entrare in contatto con gli Stati Uniti, per quella parte di paese che la corporation internalizza e per quella parte che essa domina: Perrow (2002) ha illustrato come la nascita delle grandi corporation americane all'inizio del '900 è scaturita dall'intenzione di internazionalizzare il contesto istituzionale americano più che da esigenze di economia di scala: fare una società dentro una grande impresa. Powell e Di Maggio (1992) negli anni '80 rinnovano il concetto di istituzione come fonte normativa. Essi esplorano a fondo il fenomeno dell'isomorfismo che lega fra loro (che embeddeds, ossia incapsula l'una nell'altra, come dirà Granovetter, 1985) le organizzazioni, le persone, le istituzioni e aprono uno squarcio su una fonte di strutturazione potente e mutevole costituita dal campo organizzativo, ossia l'insieme di organizzazioni, istituzioni, culture che si influenzano reciprocamente e influenzano la condotta degli individui. Questi studi hanno una straordinaria importanza perché consentono di capire non solo le origini delle organizzazioni, ma anche le strutture e i sistemi di regolazione delle organizzazioni ad alto livello di evoluzione (ad esempio: l'industria della moda, le fiere, i sistemi aeroportuali, l'industria delle telecomunicazioni, l'industria aerospaziale, la ricerca) o ad alto livello di indefinizione dei confini (distretti, cluster di imprese, etc.). La cultura è una delle più importanti strutture latenti o piattaforme sociali: la cultura in molte situazioni è la precondizione, la fonte, la spiegazione dei processi fondamentali, soprattutto nelle organizzazioni ad alta intensità di conoscenza. Nessuno capirebbe Renoir se non lo collocasse nel contesto culturale dell'impressionismo francese, nessuno comprenderebbe Kandinsky senza collocarlo in quel vasto movimento culturale che andò sotto il nome di Blau Reiter e che coinvolse pittori, scultori, disegnatori, cartellonisti, tipografi, vetrinisti, sarti e tanti altri. Un dipendente della IBM o della Banca d'Italia si comporta in modo omogeneo con gli altri membri dell'organizzazione e in modo marcatamente diverso dalle persone di altre organizzazioni: questo è dovuto non a schemi organizzativi o a norme formali, ma a marcate culture delle loro organizzazioni. Schein (1985) apre una grande controversia: esiste solo la cultura

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dell'organizzazione o la cultura è essa stessa organizzazione? Schein (ibidem) negli anni '80 intensifica la sua ricerca dei modi per rendere analizzabile la cultura organizzativa e per impiegarne deliberatamente la capacità di orientamento e regolazione dei comportamenti. La sua definizione, come è noto, è molto semplice e pragmatica: cultura organizzativa è l'insieme degli assunti fondamentali che un gruppo ha sviluppato con successo per affrontare i suoi problemi e che vengono insegnati ai nuovi membri come modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi. Le dimensioni fondamentali di tale costrutto sono per Schein (ibidem) gli artefatti culturali che si vedono, i valori espliciti che vengono proposti dai gruppi dirigenti, gli assunti di base che spesso non si riconoscono ma sono l'anima di un'organizzazione. I sistemi di professioni nelle organizzazioni vengono indicati negli anni '80 come una delle più potenti strutture (più spesso latenti talvolta esplicite) delle imprese e delle Pubbliche Amministrazioni (Abbott, 1988, Butera, 1988, 1992). Quasi mai riconosciuti come "parte importante del sistema organizzativo", sono basati su ruoli professionali, costituiti da un copione dinamico di processi di lavoro, di conoscenze e competenze, di responsabilità: tali ruoli possono o meno avere un nome, un'istituzionalizzazione, un percorso di formazione. Omnitel al suo nascere realizza una delle più fenomenali crescite registrata per un'impresa start up: per questo, all'inizio, non ha tempo di darsi un'organizzazione formale consolidata, ma si dota sin dalla sua fondazione di un sistema professionale che le consente di "portare a unità gli elementi dispersi" del suo business e dei comportamenti delle persone. IBM, invece, disponeva di un potente sistema professionale, ma non lo aveva formalizzato (Butera, Failla, 1992). Il sistema professionale è la modalità per rendere visibili e gestibili le identità, i contenuti, i percorsi, le forme di istituzionalizzazione del lavoro qualificato. Il sistema professionale è dato da tre elementi:

a) un sistema di rappresentazione delle professioni o quasi-professioni ascritte (in cui siano definiti con "minime specifiche critiche" e gestiti i processi di lavoro, i ruoli, il contesto tecnologico e organizzativo, i percorsi di carriera e le forme di sviluppo/ formazione/ istituzionalizzazione);

b) un sistema di formazione – riconoscimento dello sviluppo della persona e del suo workplace within (ruoli agiti, competenze, motivazioni, potenziale, etc.);

c) un sistema di rappresentazione e gestione del mercato del lavoro (reclutamento, compensi etc.). Il sistema professionale non è solo un sistema di gestione delle persone, ma anche una modalità per progettare e gestire al tempo stesso una forma di micro-organizzazione ad alta creatività e un'istituzione professionale.

Le tecnologie informatiche a sostegno della cooperazione avevano sviluppato negli anni '80 un'altra fondamentale dimensione di struttura latente. Il Computer Supported Cooperative Work (Vinograd e Flores, 1986; De Michelis, 1996; Schael, 1996 ), mentre sviluppava strumenti per rendere più efficace la comunicazione e la cooperazione, approfondiva la modellazione dei processi di cooperazione e di conoscenza, pervenendo a una formulazione di proposte normative su come "organizzare" cooperazione e comunicazione. Un'altra fondamentale piattaforma latente è stata offerta dagli studi sulle interfacce uomo-computer e poi recentemente dalle discipline dell'interaction design (Norman, 2000). I modi in cui gli esseri umani interagiscono con le macchine intelligenti dipendono insieme dalle modalità con cui il sistema tecnico è progettato per farsi usare

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dall'uomo (ergonomia cognitiva) e dal modo in cui l'uomo è cognitivamente predisposto e formato per usare il sistema: l'apparato cognitivo per comunicare con l'uomo è una "intelligenza distribuita" nel sistema tecnico e nell'apparato cognitivo ed emotivo dell'uomo che usa il sistema. Questo "sistema sociotecnico" di uomo e computer non si sviluppa lungo incontri casuali, ma in base a sistemi di interazione modellati e soprattutto progettati e sviluppati che rappresentano una nuova struttura di regolazione latente nell'organizzazione dei processi produttivi, di servizio, di attività commerciale, di ricerca e sviluppo, di attività creativa. Per comprenderne la portata, si può azzardare che l'interaction design sta alle nuove forme di organizzazione e di lavoro come lo studio dei tempi e dei movimenti stava alle forme tayloristiche di organizzazione e lavoro di fabbrica. Ma, in questo caso, non si tratta di un apparato normativo e prescrittivo, ma di piattaforme di facilitazione dell'interazione fra una macchina intelligente e un uomo pensante, due entità in continuo movimento cognitivo e operativo. In parallelo a questi sviluppi nei sistemi tecnologici, negli anni '90 si concentra l'attenzione su un'altra classe di struttura latente: le comunità di pratica (Wenger, 1998). Le comunità di pratica sono quei gruppi lavorativi caratterizzati da aggregazione informale intorno a obiettivi comuni, con condivisione delle conoscenze e di forme di interpretazione/socializzazione delle esperienze. In senso più ampio, esse sono aggregazioni sociali nelle quali si sviluppano forti coesioni attorno a impegni, interessi, obiettivi o necessità comuni. Le comunità di pratica condividono simile cultura, vocabolario, linguaggio, modo di esprimersi. Condividono inoltre strumenti, metodi e una storia. È una forte dose di auto-organizzazione legittimata e di ridondanza che fa la differenza della comunità di pratica rispetto al lavoro di gruppo tradizionale. Le comunità di pratiche sono ovunque, perché gli individui infatti appartengono a diverse comunità di pratica al lavoro, a scuola, a casa e in tanti altri contesti. La comunità di pratica viene ora ridefinita, studiata e sviluppata come strumento di gestione. È un grande studioso di organizzazione, Karl Weick, che negli anni '90 individua la più sfuggente ma rilevante fra tutte le strutture latenti, il sensemaking, il dar senso alle cose, che vuol dire fornire una plausibile piattaforma per condividere modelli mentali, coordinare attività e interagire per produrre relazioni. Per Weick (1993) la realtà è un processo continuo di realizzazione di compiti che emerge dagli sforzi delle persone per creare un ordine e per dare un senso retrospettivo a ciò che accade. Questo processo avviene lungo una plausibile piattaforma di attribuzione di senso alle cose e alle azioni, che deriva dalle esperienze delle persone, dalle conoscenze, dalle competenze, dal retroterra culturale nei ruoli che le persone ricoprono nelle organizzazioni. Affrontare nuove situazioni richiede lo sforzo di rendere condivisi i significati e legittimati i ruoli. Ciò crea relazioni "lasche", legami e regolazioni spesso robuste ma che tuttavia consentono "giochi" nella configurazione della relazione e nei percorsi di realizzazione. La magistrale analisi di Weick (ibidem) della tragedia di Mann Goulch, in cui trovò la morte un gruppo di giovani pompieri, evidenzia che i ragazzi morirono a causa di "un collasso dei ruoli e del sensemaking": essi non compresero il senso di quanto stava avvenendo e non dettero seguito ai segnali di fuga che il loro giovane capo sull'altro versante di un vallone in fiamme faceva loro di fronte all'improvvisa incontenibile recrudescenza dell'incendio che lui solo vedeva dal suo punto di osservazione. I giovani pompieri che rimasero vittime della valanga di fuoco, che di lì a poco li investì, non interpretarono le azioni del capo come un ordine ma pensarono che il capo aveva

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abbandonato il suo ruolo in preda al panico, dal momento che aveva buttato via elmetto e scure e si era messo a scappare. 9.3. La nuova sociotecnica Knowledge Management vuol dire identificare, gestire e valorizzare cosa l'organizzazione sa o potrebbe sapere: skill ed esperienze delle persone, archivi, documenti e biblioteche, relazioni con i clienti e fornitori, e altri materiali archiviati in database elettronici (Davenport, 1997). Il Knowledge Management è volto a favorire i processi di creazione, memorizzazione, circolazione della conoscenza in tutta l'organizzazione, e si presenta con una grande varietà di programmi diffusi nella Ricerca e Sviluppo, nel Project Management, nei servizi, nelle relazioni con la clientela e in moltissimi altri casi. Le conoscenze rilevanti, oggetto del KM, sono relative a: clienti, mercati, concorrenti, normative, offerta aziendale, organizzazione, processi, tecnologie, modalità operative e tematiche specifiche di settore. Il Knowledge Management gestisce in modo organico e strutturato sia la conoscenza tacita che quella esplicita, quella che appartiene alle persone e quella che appartiene alle comunità professionali, ai gruppi di lavoro e alla organizzazione (Davenport e Prusak, 1997; Von Krogh, Nonaka, 2000; De Michelis, 1998). Esso include innanzitutto i processi di conoscenza e le tecnologie che li supportano. Ma ciò non basta. Perché, ad esempio, un'intranet o un sistema di e-learning non rimanga un sistema inerte, è necessario che vi si affianchi un sistema professionale, un sistema di gestione delle persone, un sistema formativo, un meccanismo di animazione dei gruppi di lavoro. Sponsorship, partecipazione e comunicazione non sono alla periferia ma sono componenti di un sistema di knowledge management. I programmi di KM danno quindi luogo a sistemi sociotecnici basati sui processi di conoscenza e non solo sui processi operativi. Il Customer Relation Management (CRM) è costituito da programmi e sistemi di strategie, processi, tecnologia, gestione delle persone e cultura, che consentano alle organizzazioni di incrementare le performance e aumentare il valore reciproco attraverso una relazione duratura con i clienti, sia attraverso canali telefonici, che informatici, o altro. L'aspetto più rilevante per la nostra analisi è la gestione del front office (il banco di un'agenzia di viaggi, un centro di vendita, un call center, un ufficio pubblico, etc.). Esso è l'area della comunicazione, del contatto, dello scambio diretto fra erogatore e fruitore del servizio. Questi processi di integrazione coinvolgono le dimensioni strumentali (il risolvere un bisogno, un problema), le dimensioni razionali (l'argomentare, il dimostrare, il provare), le dimensioni operative (redigere documenti, manipolare e consegnare oggetti), le dimensioni comunicative (l'intendersi, l'impegnarsi), le dimensioni affettive (il fidarsi, l'affidarsi), le dimensioni simboliche (l'identificarsi), le dimensioni libidiche (il piacersi), etc. Fra fornitore e cliente, in sintesi, non è interposto niente: il servizio non è – come il prodotto – un sostituto della comunicazione, ma è la comunicazione stessa. Lavoratore e cliente entrano così in contatto diretto. Lo scambio è evento strumentale ed espressivo al tempo stesso. Operatore dei servizi e clienti intrattengono una relazione in cui si intrecciano "agire performativo" e "agire comunicativo", secondo la terminologia di

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Habermas. Il servizio è transazione economica e contemporaneamente transazione di senso. Il posto di lavoro per cerchi concentrici con le tecnologie ICT è una struttura molto reale che consente all'organizzazione e alla persona di operare in un contesto virtuale. Il front office è innanzitutto un "negozio" che eroga servizi a un utente finale o a un utente esterno, ma è anche una "holding of the work within", dove è in evidenza non il lavoro prescritto ma il "lavoro che abbiamo dentro" (the "work within") (Hirshorn, 1988). Il posto di lavoro per cerchi concentrici è un sistema multiplo di cooperazione remota e face-to-face. Il front office è soprattutto un insieme di luoghi concentrici con al centro la persona. La persona tende così a lavorare entro confini concentrici. A un primo livello tali confini possono includere luoghi fisicamente identificati, dall'ufficio, nel classico grattacielo alla propria casa, sempre più caratterizzati però da "domesticità" e funzionalità rispetto ai ruoli e alle piccole società entro cui sono immerse. A un livello più esterno, per molti, tali confini sono "planetari", e riguardano flussi di comunicazione su reti senza confini, come il Web, dove la persona non è sola ma lavora esplorando reti telematiche globali per riportare "nel suo ufficio" dati, immagini, idee, rapporti: ossia l'informazione va nel mondo e ritorna entro una comunità sociale di persone in carne e ossa e di uffici con le porte e le finestre. Al centro di questi cerchi concentrici la persona è controllore dei processi e non controllato dai processi, e può governare in gran parte il tempo delle operazioni che fa, e auto-regola – senza alzarsi dalla sedia e senza cambiare schermo – il tempo del lavoro e il tempo del loisir. 9.4. L'organizzazione come individuo irripetibile e gli strati organizzativi: lo sviluppo

intenzionale dell'organizzazione reale Ogni organizzazione è un "individuo" diverso da tutti gli altri: non solo una banca è diversa da un'azienda manifatturiera, ma due filiali della stessa banca sono diverse fra loro. Ogni singola organizzazione è il risultato di "strati" organizzativi coesistenti, strutture formali e strutture di regolazione latenti, e in questo capitolo chiariremo come riconoscere, analizzare, progettare o sviluppare i diversi strati: esiste una tradizione di analisi e di progettazione dell'organizzazione formale, ma non esiste niente di simile per le altre dimensioni. Appare utile rivisitare il modello che nella ricerca alle acciaierie di Terni (Butera, 1979) e nella successiva sistematizzazione de L'orologio e l'organismo (Butera, 1989) era stato proposto per spiegare la coesistenza di strutture normative "hard" – basate sulla burocrazia e sulla divisione del lavoro – e di strutture regolative – fondate sulla comunità, cooperazione, comunicazione, condivisione della conoscenza. Il modello degli "strati organizzativi" era stato individuato in un contesto industriale in cui insieme a una "burocrazia apparente" convivevano un sistema sociotecnico robusto e un forte sistema professionale. Si trattava di ben altro che di organizzazione informale, ma piuttosto della coesistenza di strati organizzativi diversi sufficientemente integrati e capaci di assicurare sia i risultati produttivi, sia la integrità delle persone in un contesto ad alto rischio. L'insieme di questi strati dava luogo a quello che definimmo un'organizzazione reale, che individuammo dopo quel caso in un gran numero di progetti di ricerca e di progettazione organizzativa.

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L'organizzazione reale, risultato di una diagnosi approfondita, mostrava nello stesso tempo il profilo individualizzato di una specifica organizzazione (Davis, 1975, Goshal e Bartlett, 1997) e il modello organizzativo attuale e quello potenzialmente sviluppabile in base alle capacità latenti dell'insieme dei diversi strati organizzativi. Ciascuno di tali "strati" rappresenta, come abbiamo detto, una diversa fonte normativa e regolatoria, rafforzando – se tali strati erano convergenti – l'attivazione delle persone verso fini comuni e invece – se divergenti – creando tensioni, conflitti e inefficienze che nessuna azione sanzionatoria o premiante può sufficientemente evitare. Ciascuno di tali strati è più o meno visibile e gestito, regola diversi processi, persegue obiettivi specifici diversi, dispone di fonti di autorità e di leadership diverse, può avere diversi membri e confini, attinge a discipline diverse e dispone di un pattern, di un modello, che può essere sinergico. Gli strati organizzativi che devono essere considerati sono da indicare fra questi: Strutture formali (società)

1. Organizzazione formale legale: leggi, regolamenti pubblici, adempimenti e vincoli amministrativi, etc.

2. Organizzazione formale aziendale: organigrammi, procedure, mansionari, ordini di servizio, etc.

3. Organizzazione tecnica: sistemi tecnologici di produzione e di logistica, procedure amministrative e gestionali informatiche, cicli, etc.

Strutture latenti e piattaforme sociali (comunità di lavoro )

1. Processi: sistemi di cooperazione, di organizzazione del lavoro, team building, etc.

2. Istituzioni: corporate identity, corporate loyalty and citizenship, social responsability, etc.

3. Sistemi sociotecnici nei processi produttivi: gruppi di lavoro, team, sistemi uomo/macchina, etc.

4. Cultura: artefatti culturali, valori, assunti di base, etc. 5. Tecnologie della cooperazione. 6. Interfacce uomo-computer. 7. Sistemi di senso: sensemaking, sistema dei ruoli. 8. Comunità professionali: ruoli e professioni, sistema di sviluppo, gestione del

mercato del lavoro. 9. Comunità di pratica: scopi, cultura, vocabolario, linguaggio. 10. Nuova sociotecnica: knowledge management e Customer Relations

Management.

9.4.1. Come riconoscere e progettare le diverse strutture Esiste la tendenza a considerare le strutture latenti come una materia di studi specialistici (materie di management come production management, ICT, HR specialist, KM e CRM expert o materie "accademiche" come psicologia del lavoro, ergonomia cognitiva, etnografia). Poco diffusa è l'idea che tali strutture possano essere fatte evolvere o possano essere progettate. 9.4.2. Come sviluppare le strutture di regolazione latenti Il fordismo è stato, oltre che una serie di norme e di tecniche, un sistema sociotecnico riconoscibile, uno specifico sistema professionale e di gestione del mercato del lavoro e

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professionale, una cultura, una modalità di sensemaking, un modo di dare un'unità di funzionamento a elementi tecnologici, economici, organizzativi, sociali, un sistema di gestione del conflitto. Il fordismo è stato un progetto. Ciò che viene dopo sarà un progetto solo quando saranno sviluppate le strutture latenti, oltre che quelle formali, dotate di un paradigma e di una strumentazione diverse.

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Strutture formali Organizzazione formale legale

Organizzazione formale aziendale

Organizzazione tecnica

Strutture di

regolazione latenti

Cooperazione nei processi

Istituzioni

Sistemi sociotecnici

Cultura

Tecnologie della cooperazione

Interfacce uomo-computer

Sistemi di senso

Comunità professionali

Comunità di pratica

CRM e KM

Esercitazione n° 8 Terni e Mann Gulch.

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10. La gestione strutturale del cambiamento (GSC) 10.1. Una metodologia di gestione del cambiamento organizzativo Una metodologia per il presidio della gestione del cambiamento può essere così visualizzata:

F. Butera 1996 Le strutture di progetto sono varie e convergenti. I l presidio della gest ione del cambiamento Il governo dei processi di cambiamento richiede un processo, un metodo, il monitoraggio delle azioni. Definizione dei piani del progetto Va gestita/orientata da un comitato per il cambiamento, che ha la responsabilità della comunicazione all'azienda e del monitoraggio dell'intero processo. È opportuno che il comitato sia assistito da qualificate strutture consulenziali interne ed esterne. Disegno dell 'architettura del progetto Definiti gli obiettivi, vanno delineati gli ambiti di intervento, le priorità, la mappa dei progetti rilevanti da avviare o rivitalizzare e da monitorare, i benchmarking, le specifiche delle soluzioni da implementare, etc. Vanno poi definiti i gruppi di progetto da attivare.

Fase 1

Fase 2

Fase 3

Preliminare

Fase 4

Definire esigenzedi cambiamento e obbiettivi

Concezione e architettura

Generazione e valutazionedi alternative

Attuazione,sperimentazione e diffusione

Definire problemae committenza ‘Prendere le misure’

Comprendere e verificare i problemi; darsi degli obiettivi

Definire visionprincipi e architetture

Progettare e sceglieresoluzioni

Realizzare, valutare, migliorare, diffondere

apprendimenti

SSTTAARREE

SSUULL

CCAAMMPPOO

PPAARRTTEECCIIPPAAZZIIOONNEE

EE

CCOOIINNVVOOLLGGII

MMEENNTTOO

MMOONNIITTOORRAAGGGGIIOO

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Generazione e valutazionedi alternative

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Definire problemae committenza ‘Prendere le misure’

Comprendere e verificare i problemi; darsi degli obiettivi

Definire visionprincipi e architetture

Progettare e sceglieresoluzioni

Realizzare, valutare, migliorare, diffondere

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10.2. Perché le imprese devono cambiare l'organizzazione Sono molti i motivi per cui le imprese devono costantemente aggiornare la loro strategia. Le loro macrostrutture sono impegnate a fronteggiare o anticipare cambiamenti dell'ambiente esterno:

• merge and acquisition; • globalizzazione; • trasformazioni dei mercati; • competizione; • mutamenti geopolitici.

Le imprese, inoltre, devono costantemente intervenire sulle operation (ricerca, fabbricazione, distribuzione, etc.) condotte dalle loro microstrutture in relazione ai seguenti fattori:

• innovazione tecnologica; • ricerca di efficienza dei processi; • miglioramento della qualità dei processi; • tensione alla flessibilità organizzativa; • capacità di fornire prestazioni personalizzate per i clienti.

Cresce allora la difficoltà di mantenere allineate la strategia e le operation. Queste ultime spesso hanno obiettivi apparentemente contraddittori. La resistenza delle persone al cambiamento è un problema secondario; vi è un problema strutturale di allineamento fra strategie generali e realizzazioni locali rispetto alle tematiche di:

• standardizzazione e personalizzazione delle prestazioni; • efficienza e innovazione nel sistema di servizio; • allineamento alla strategia e autonomia di manager e professional; • flessibilità e controllo.

Il bisogno di programmi e presidi di Change Management si manifesta al management in diverse circostanze:

• quando vengono innovati la missione e i prodotti/servizi; • quando è in corso un processo di cambiamento organizzativo che coinvolge tutti

i livelli della struttura organizzativa; • quando è elevato il tasso di introduzione di nuove tecnologie a supporto dei

processi decisionali e operativi; • quando vengono appiattite le strutture e semplificati i processi; • quando il front office e il back office devono raggiungere un più alto livello di

integrazione per aumentare l'efficacia della risposta al cliente; • quando i processi di fusione e l'inserimento di nuove persone alterano il senso di

appartenenza e l'identità di ruolo; • quando occorre rispondere con velocità e qualità a bisogni di integrazione "in

azione" fra strategie, organizzazione, tecnologie, fra organizzazione e culture, fra coordinamento dei piani e gestione dei "dettagli del diavolo";

• quando per far avvenire realmente le cose occorre suscitare continuo apprendimento organizzativo che faccia tesoro delle best practices e degli errori e delle dimensioni di coinvolgimento, entusiasmo e partecipazione delle persone.

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La soluzione per affrontare questi problemi è il Change Management Strutturale. Esso consiste in un insieme di approcci e metodi per allineare la strategia e le operation, concezione e realizzazione, scopi e modi di fare avvenire le cose. Il Change Management Strutturale consiste in un'azione che coinvolge tutte le dimensioni dell'organizzazione. Due i suoi principali obiettivi:

• creare le condizioni per allineare le operation alla strategia; • creare le condizioni per far avere tempestivamente al vertice i feedback

provenienti dalle operation e assicurare a chi fa le operation il supporto del vertice.

10.3. Il Change Management Strutturale: una definizione Il Change Management Strutturale consiste nella concezione e nel dimensionamento di architetture innovative e integrate di organizzazione, tecnologie, persone e cultura, con l'obiettivo di realizzare le strategie prescelte e appropriate alle risorse e potenzialità dell'organizzazione. Il Change Management Strutturale include fin dall'inizio della concezione un programma e un presidio per il governo dei processi di cambiamento e di implementazione che gode del supporto del vertice e che contribuisce a integrare progettazione, sviluppo e monitoraggio, suscitando condivisione e partecipazione da parte del management intermedio e degli associate. L'obiettivo del Change Management Strutturale è di innovare e di far accadere le cose. Il Change Management Strutturale ha una natura multipla. È un programma o una serie di progetti di progettazione integrata e di implementazione operativa in grado di coinvolgere tutte le dimensioni dell'impresa; esso è in grado di:

• creare cooperazione, condivisione di conoscenza e comunicazione fra top management e management operativo;

• generare il supporto del vertice su chi è impegnato nelle operation; • suscitare nei manager delle operation feedback tempestivi e significativi al

vertice. Il Change Management Strutturale vede emergere ruoli di:

• organizational architect: • manager of change o provider of project solutions; • manager di linea con progetti ad hoc o internal consultants; • figure fra il CEO e CIO (Organizational Architect).

Strategydesign

Changemanagement

OperationsStrategydesign

Changemanagement

Operations

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10.3.1. Cambiamento strutturale e gestione del cambiamento: due tradizionali facce della stessa medaglia. Il Change Management Strutturale investe inoltre le seguenti dimensioni dell'impresa:

• il servizio (gamma di prestazioni, brand, sistema di erogazione); • le finanze; • i processi di business; • le strutture organizzative; • i processi di pianificazione e controllo; • la policy di sviluppo del personale; • le infrastrutture tecnologiche.

Lo Structural Change Management implica spesso un cambio di paradigma (paradigm shift), e la varietà dei casi può essere riassunta nei seguenti punti:

• da strategie di costo a strategie di diversificazione (Ansoff); • allungamento della catena del valore (Porter); • dall'impresa accentrata all'impresa transazionale che sceglie continuamente se

fare o comprare, make or buy (Williamson); • da strategie classiche a strategie di offerta delle migliori soluzioni ai clienti in

base ai loro bisogni, anche indipendentemente dal prezzo e dalla qualità (ospedali o università di fama, EDS) (Hax);

• da strategie mass production centrate sul prodotto a strategie centrate sul cliente (Siebold);

• dalle burocrazie alle reti organizzative 4C (basate su Comunità professionali performanti, Cooperazione proattiva, condivisione di Conoscenza, Comunicazione estesa) (Butera).

La complessità richiede una visione integrata di strategia, processi, tecnologie, strutture organizzative, persone. Questa visione deve essere mantenuta nel tempo come sviluppo congiunto di tecnologia, organizzazione, persone.

C A M B I A M E N T O S T R U T T U R A L E :c a m b ia r e i l s e t

L e s t r u t t u r e r ia l lo c a n o le r e s p o n s a b i l i t à e le a u to r i t àI l B P R r e in g e g n e r iz z a i p r o c e s s i L e IT C im p le m e n ta n o i p r o c e s s ir e in g e g n e r iz z a t iN u o v e p o l i t i c h e e s is te m i d i g e s t io n e d e l p e r s o n a le I r e g o la m e n t i f o r n is c o n o le in d ic a z io n i d i d e t ta g l ioI l p r o c e s s o d i a t t u a z io n e a v v ie n e a c a s c a t a d a l c e n t r o a l la p e r i f e r iaI d i r ig e n t i r e a l i z z a n oA f f id a m e n t o a s o g g e t t i “ e s t e r n i ” p e r s o lu z io n i

G E S T IO N E D E L C A M B IA M E N T O :fa r e a v v e n i r e le c o s e

F o c u s s u g l i o b ie t t i v iE n fa s i s u i v a lo r iS t r u t t u r e a d h o c p e r l ’ im p le m e n ta z io n eIn t e g r a z io n e t r a t e c n o lo g ia e o r g a n iz z a z io n e , f r a c a m b ia m e n to h a r d e s o f tP a r te c ip a z io n e e f o r te c o in v o lg im e n t o d e l v e r t i c eP a r tn e r s h ip d e i c o n s u le n t i e n o n d e le g a G e s t io n e e m o n i to r a g g io d e l p r o c e s s o e d e i r i s u l t a t iE n fa s i s u l la s p e r im e n ta z io n e e s u l “ c o n ta g io ”

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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(Butera, 1984) I programmi di Change Management possono iniziare da programmi di natura diversa. Essi possono avere per oggetto:

a) Progettazione di nuove macrostrutture e processi fondamentali

• progettazione di strategia e struttura: • service and product design; • business Process Reengineering; • macro organization design; • introduzione di nuove Tecnologie dell'Informazione e della

Comunicazione.

b) Progettazione e sviluppo di microstrutture o di organizzazione del lavoro • progettazione di processi flessibili; • progettazione e sviluppo di team autoregolati; • progetti sociotecnici pilota; • programmi di miglioramento continuo; • organization development; • comunicazione organizzativa.

c) Progettazione di soluzioni sociotecniche, ossia progettazione congiunta di tecnologia, organizzazione e persone • sviluppo di comunità di pratiche; • valorizzazione dei lavoratori della conoscenza; • knowledge management; • Customer Relations Management; • e-business systems; • e-learning systems.

TEMPO

PE

RF

OR

MA

NC

E D

EL

SIS

TE

MA

SO

CIO

-TE

CN

ICO

Processi Tecnologie

StrutturePersone

Performance Performance economica, economica,

tecnica e socialetecnica e sociale

Processi Tecnologie

StrutturePersone

Performance Performance economica, economica,

tecnica e socialetecnica e sociale

TEMPO

PE

RF

OR

MA

NC

E D

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SIS

TE

MA

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CIO

-TE

CN

ICO

Processi Tecnologie

StrutturePersone

Performance Performance economica, economica,

tecnica e socialetecnica e sociale

Processi Tecnologie

StrutturePersone

Performance Performance economica, economica,

tecnica e socialetecnica e sociale

Processi Tecnologie

StrutturePersone

Performance Performance economica, economica,

tecnica e socialetecnica e sociale

MODELLODI AVVIO

- breve termine-

Concept di avvio,soluzioni e infrastrutture:� processi� tecnologia� struttura � ruoli

� progetti pilota� sviluppo delle

competenze� formazione� ...........

PROCESSO DI GESTIONE DEL CAMBIAMENTO

PROCESSO DI GESTIONE DEL CAMBIAMENTO

MODELLOA REGIME

-medio termine-

Soluzioni implementate e integrate di:� processi� tecnologia� struttura � ruoli

MODELLODI AVVIO

- breve termine-

Concept di avvio,soluzioni e infrastrutture:� processi� tecnologia� struttura � ruoli

� progetti pilota� sviluppo delle

competenze� formazione� ...........

PROCESSO DI GESTIONE DEL CAMBIAMENTO

PROCESSO DI GESTIONE DEL CAMBIAMENTO

MODELLOA REGIME

-medio termine-

Soluzioni implementate e integrate di:� processi� tecnologia� struttura � ruoli

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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10.4. Casi di Structural Change Management In Italia, alcuni celebri casi di Change Management sono stati:

• Olivetti (anni '70) • Unilever • Glaxo • Zanussi • Fiat Melfi • Omnitel • Ministero delle Finanze • Ministero della Pubblica Istruzione

L'elaborazione dello Structural Change Management è stata definita, da parte di chi scrive, partendo da alcuni casi pionieristici di cui, di seguito, si riportano i più importanti. Olivetti (anni '70) Negli anni '70 l'Olivetti si poneva un duplice obiettivo che coinvolgeva direttamente le strategie aziendali: passare dalla meccanica all'elettronica e, contemporaneamente, garantire la sopravvivenza dell'impresa. Il problema di change apparve presto chiaro: era necessario cambiare l'organizzazione tayloristica della produzione al fine di accogliere prodotti misti elettronici e meccanici a corto ciclo di vita. Il punto di partenza fu un progetto che si concretizzò nello sviluppo delle isole delle Auditronic e delle Logos, due macchine elettronico-meccaniche (Butera, 1977). Il processo di change fu gestito da un centro di consulting e ricerca interna (il Servizio Ricerche e Studi sull'Organizzazione), che avviò un processo di change studiando le best practice americane (Butera, 1972, I frantumi ricomposti) e analizzando, valorizzando e diffondendone un esempio eccellente. Dal progetto si giunse al piano. Nell'ambito di un incontro in via Clerici con il vertice aziendale si pervenne alla scelta strategica: il time to market doveva essere considerato più importante in termini di valore dei costi unitari di montaggio dei prodotti. A tal fine lo sviluppo del piano si concretizzò nella scelta delle isole (UMI) come modello di organizzazione produttiva. Per quanto riguarda la scelta si opposero due modelli: la replicazione del modello per scopo sindacale versus la continuazione ed estensione del cambiamento (verso qualcosa di simile a quello che più avanti fecero Toyota e Dell): si scelse la prima opzione. Dalmine (anni '80) Il problema strategico era la riorganizzazione della produzione. Il problema di change si rivolse a smantellare le modalità di lavoro senza cooperazione, l'impianto mansionistico della job evaluation e l'organizzazione funzionale, in vista di un modello per processi e professioni aziendali. Lo starting point fu un primo progetto di miglioramento (fallito) e le lesson learned furono utilizzate nel progetto organizzativo del Nuovo Treno Medio (NTM, la nuova tecnologia). Per attuare il processo di change il centro di consulting e ricerca aziendale, in collaborazione con alcuni esperti esterni, avviò un processo di studio e progettazione volto al miglioramento della Qualità. Per passare dal progetto al piano fu impiegata la logica di processo, del lavoro per ruoli, della cooperazione supportata da IT come base del progetto del NTM. Lo sviluppo del piano fu assicurato da un design team multidisciplinare fortemente supportato da uno steering committee. La scelta dell'ampiezza riguardò l'intero nuovo sistema. Il commitment del management

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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fu di realizzare insieme l'impianto più moderno d'Europa, per tecnologia e organizzazione, in grado di essere rivenduto in tutto il mondo. Cerestar/Ferruzzi (anni '90) Il problema di partenza fu quello di fronteggiare una nuova tecnologia di trattamento del mais, una killer application adottata da un concorrente che riduceva i costi di produzione ma che l'azienda non aveva le risorse finanziarie per adottare. Il problema di change identificato fu quello di tagliare i costi senza perdere la partecipazione e l'impegno di tutti. Lo starting point si concretizzò in un allarme strategico (abbiamo due anni di vita!). Dopo un meeting strategico, si avviò una fase di progetto e di piano sulle subsidiaries italiana e tedesca. Dal progetto al piano si passò muovendo da un progetto di organizzazione per processi in produzione, verso l'organizzazione di R&S e commerciale in Italia e Germania. Anche in questo caso lo sviluppo del piano venne curato da un design team multidisciplinare, supportato da un forte steering committee. La scelta dell'ampiezza incluse due intere imprese, una in Italia e l'altra in Germania. L'impegno del management riguardò il design team e l'implementation team. La formazione coinvolse tutti i livelli. 10.5. Pianificare, progettare e implementare il cambiamento – il modello "a

spirale"

(Butera, 1980/ 2003) La questione della progettazione e dello sviluppo tecnologico e organizzativo si pone in termini radicalmente diversi dal passato. La nuova organizzazione non può essere progettata né attraverso una sequenza lineare top down come quella suggerita dai System Rationalists, ma neanche attraverso un procedimento di puro adattamento e sperimentazione locale come quello teorizzato dai Segmented Istitutionalists (Kling).

Il modello della Gestione Strutturale Flessibile del Cambiamento (GSFC)

Comunicazione,Comunicazione,formazione eformazione eempowermentempowerment

Tecnol og ieT ecnol ogi e

Perso neP erson e

O rgani zzaz io neOr gani zzaz ion e

P rocessiPr ocessi

AffariAffari

2. Progettazione delle soluzioni(Joint design of technology, organizationand people empowerment )

1.Pianificazione di business, organizzazionee empowerment del sistema impresa(Company-wide Change Management )

(1) Oltre a un processo seq uenz iale, si possono im piegare le “lesson learned” delle d ue ultim e fasi per aggiornare e raf fo rzare la strategiatecnologica e organizzativa. L’o rganizational learni ng può par ti re da ciascuna fase

3. Sperimentazione e implementazione(Continuous improvement and learning )

Comunicazione,Comunicazione,formazione eformazione eempowermentempowerment

Tecnol og ieT ecnol ogi e

Perso neP erson e

O rgani zzaz io neOr gani zzaz ion e

P rocessiPr ocessi

AffariAffari

Tecnol og ieT ecnol ogi e

Perso neP erson e

O rgani zzaz io neOr gani zzaz ion e

P rocessiPr ocessi

AffariAffari

2. Progettazione delle soluzioni(Joint design of technology, organizationand people empowerment )

1.Pianificazione di business, organizzazionee empowerment del sistema impresa(Company-wide Change Management )

(1) Oltre a un processo seq uenz iale, si possono im piegare le “lesson learned” delle d ue ultim e fasi per aggiornare e raf fo rzare la strategiatecnologica e organizzativa. L’o rganizational learni ng può par ti re da ciascuna fase

3. Sperimentazione e implementazione(Continuous improvement and learning )

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Il processo di pianificazione, progettazione e sviluppo incrementale di organizzazioni complesse che tengano in considerazione tutti i fattori dell'organizzazione (obiettivi, processi, tecnologia, organizzazione e sistema sociale), sembra potersi sviluppare piuttosto come un processo ricorsivo "a spirale", che coinvolge competenze e culture diverse in prospettive di tempo diverse e simultanee. Con questo modello si rinuncia all'idea razionalistica che prima occorre pianificare, poi progettare e poi sperimentare: invece si può partire da qualunque punto di tali processi, apprendere dall'esperienza e accumulare ciò che si è appreso in una sorta di "memoria del sistema". Questo apprendimento può essere utilizzato per tornare con più efficacia agli altri processi, e in particolare a quello di pianificazione. L'oggetto di tale progettazione richiede una ridefinizione dei componenti di ognuna delle dimensioni da progettare: l'organizzazione, la tecnologia, il sistema sociale. Ma se la progettazione organizzativa non può avvenire solo secondo la sequenza lineare top down, né attraverso l'adattamento e la sperimentazione locale, a essere centrale sarà l'iniziativa (strategica, culturale, negoziale) dei soggetti, iniziativa già evidenziata dalle teorie dell'azione sociale, dell'organizational choice, e da tutte le teorie e tecniche di strategic management. Tutto ciò pone con più forza esigenze già sperimentate dalle organizzazioni. Tecnologie, procedure, software, sistemi di controllo divengono "atti linguistici" attraverso cui sia possibile comunicare in questa "torre di Babele": ai professional e ai manager occorre quindi certo conoscere più "lingue". Occorre operare simultaneamente entro diversi paradigmi dell'azione e prospettive di tempo e "saltare" velocemente dall'uno all'altro: pianificare sul medio e lungo periodo utilizzando la "vision" di scenari futuri, progettare con precisione sistemi che ancora non ci sono con una perfetta idea della loro natura e del loro funzionamento, sperimentare e gestire "in continuo" con una modalità di controllo, regolazione e apprendimento che comprenda anche i dettagli. Ma tali processi di comunicazione sono complessi e lunghi, e spesso i tempi dell'organizzazione sono brevi. Appare indispensabile una sorta di "metalinguaggio": un dispositivo comunicativo essenziale che permetta di riconoscere e condividere in breve valori, obiettivi, parametri, paradigmi, pannelli di controllo relativi allo sviluppo in atto. Allora pianificazione strategica, cambiamento organizzativo, progettazione tecnologica, formazione e comunicazione non sono più fasi distinte in sequenza ma processi correlati e integrati: la gestione del cambiamento viene considerata come fonte di apprendimento e la formazione assume metodi attivi e contestuali, che la allontana dall'aula e la integra nei processi di innovazione.

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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10.6. Partire da diversi punti della spirale, ma iniziare a cambiare Si presentano diverse situazioni: a) quando il cambiamento parte dall'alto

Il cambiamento pianificato: dal piano, ai progetti realizzativi, alla realizzazione b) quando il cambiamento parte dalla fase 2 I progetti esemplari

Fase 1

Fase 2

Fase 3

Es. reingegnerizzazionedel processo distributivo

RuoliOrg. del lavoro

S. I.S. I.

Strategie di vendita(reti distributive, alleanze)

Ciclo di prodotto

Competenze chiave

COMPANYCOMPANY--WIDEWIDE

JOINT DESIGNJOINT DESIGN

CONTINUOUSCONTINUOUSIMPROVEMENTIMPROVEMENT

Fase 1

Fase 2

Fase 3

Es. reingegnerizzazionedel processo distributivo

RuoliOrg. del lavoro

S. I.S. I.

Strategie di vendita(reti distributive, alleanze)

Ciclo di prodotto

Competenze chiave

COMPANYCOMPANY--WIDEWIDE

JOINT DESIGNJOINT DESIGN

CONTINUOUSCONTINUOUSIMPROVEMENTIMPROVEMENT

Fase 1

Individuazione dellepriorità strategiche• missione• posizionamento• etc.

Fase 2

Fase 3

Inevitabili implicazioni sulle fasi basse

Es.Processi, managementsystems, etc.

COMPANY-WIDE

JOINT DESIGN

CONTINUOUSIMPROVEMENT

Fase 1

Individuazione dellepriorità strategiche• missione• posizionamento• etc.

Fase 2

Fase 3

Inevitabili implicazioni sulle fasi basse

Es.Processi, managementsystems, etc.

COMPANY-WIDE

JOINT DESIGN

CONTINUOUSIMPROVEMENT

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c) quando il processo viene avviato dalla fase 3

Cambiamento continuo e apprendimento organizzativo

Fase 1

Fase 2

Fase 3TeamTeam

PersonePersoneProcessiProcessididi empowermentempowermento di miglioramentoo di miglioramento

Sistemi di C.&C.e responsabilità org.

Sistemi di incentivazione

Ridisegno della micro-organizzazione

COMPANYCOMPANY--WIDEWIDE

JOINT DESIGNJOINT DESIGN

CONTINUOUSCONTINUOUSIMPROVEMENTIMPROVEMENT

Fase 1

Fase 2

Fase 3TeamTeam

PersonePersoneProcessiProcessididi empowermentempowermento di miglioramentoo di miglioramento

Sistemi di C.&C.e responsabilità org.

Sistemi di incentivazione

Ridisegno della micro-organizzazione

COMPANYCOMPANY--WIDEWIDE

JOINT DESIGNJOINT DESIGN

CONTINUOUSCONTINUOUSIMPROVEMENTIMPROVEMENT

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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Appendice Schema per il check up organizzativoi 1. Il modello di analisi e progettazione organizzativa Il check up si basa sul seguente modello di analisi e progettazione organizzativa.

Il check up ha finalità didattiche, pertanto sono state sviluppate soltanto alcune dimensioni per consentire un'analisi di una realtà organizzativa sia a livello dell'impresa nel complesso, sia di un'unità organizzativa interna specifica. Esso è articolato in forma di check-list, strutturato in base a diverse dimensioni organizzative, che andranno valutate sia durante le interviste di analisi, sia per orientare il lavoro di ricerca basato su documenti.

i L'argomento è stato sviluppato da chi scrive e colleghi nel progetto Qualit con il nome di CMPF (Change Management Program Framework), Copyright Irso 1996.

(Butera, 1999)

OBIETTIVI/PRESTAZIONI• Economici

• Tecnici

• Sociali

Configurazione organizzativa

• Processi

• Attività lavorative

• Governo, coordinamento e controllo,sistemi di direzione

• Macrostrutture

• Microstrutture e teams

• Mansioni, Ruoli, occupazioni, professioni

• Sistemi di gestione e sviluppo delle persone

• Comunità di lavoro e strutture latenti

RISORSE

strat egia

Output- prodotti

- serviz i

- sociali tà

- conoscenza

•Persone

•Tecnologie

• ICT

•Spazi

•Materia

li

•Capitale umano

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2. Informazioni generali sull'organizzazione Nome Azienda:.................................................................................................................... Settore-ambito di attività:.................................................................................................... Output:

• prodotti:................................................................................................................... • servizi:.....................................................................................................................

• conoscenza:..............................................................................................................

• socialità:...................................................................................................................

Principali elementi della strategia Identificare i seguenti elementi:

• mission e valori guida dell'impresa • struttura societaria

• fatturato

• margini

• patrimonializzazione

• innovazioni tecnologiche e di prodotto

• competenze chiave dell'impresa1

• altri elementi significativi

1 Per competenze chiave o strategiche si intendono quelle competenze ritenute la fonte del successo competitivo dell'impresa o dell'ente: ad esempio, l'efficienza nella distribuzione (logistica distributiva); la qualità del servizio erogato; la capacità di innovare costantemente l'offerta; le innovazioni tecnologiche; etc.

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3. Le dimensioni 3.1. Componenti e relazioni organizzative: la configurazione organizzativa 3.1.1. I processi e i sistemi di cooperazione

Individuare le diverse tipologie di processi. ........................................................................................................................................................................................................................................................................ .................................................................................................................................... Individuare i principali processi. Processi primari: sono finalizzati al raggiungimento della missione fondamentale dell'azienda e alla soddisfazione di bisogni ed esigenze dei clienti. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Processi di direzione e controllo: sono finalizzati alla definizione delle strategie di business e di servizio e al coordinamento, controllo e supervisione dei processi aziendali. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... ....................................................................................................................................

Processi didirezione econtrollo

Processidi supporto

Servizi/clienti

Processiprimari

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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Processi di supporto: offrono servizi a strutture e ruoli interni, allo scopo di acquisire, gestire e sviluppare le risorse necessarie ai processi di business. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Individuare per uno dei processi primari le diverse fasi componenti e gli input e output.

Fase 1:..........................................................................................................................

Input: .................................................Output: .............................................................

Fase 2:..........................................................................................................................

Input:..................................................Output: .............................................................

Fase 3:..........................................................................................................................

Input:..................................................Output: .............................................................

Fase 4:..........................................................................................................................

Input:..................................................Output: .............................................................

Fase 5:..........................................................................................................................

Input:..................................................Output: .............................................................

PROCESSOinput

outputinput

output

altriprocessi

altriprocessi input

output

input (interni)

SOTTOPROCESSO-FASE

altriprocessi

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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3.1.2. La conoscenza e le attività lavorative Quali sono i domini di conoscenza strategici maggiormente rilevanti per l'organizzazione oggetto di analisi? Per esempio, tra i seguenti domini di conoscenza:

• mercato (industry, competition, pricing, suppliers, distributors, partners):...................................................................................................................................................................................................................................................

• clienti (needs, values, expectations, requirements, constrains,

feedback)..................................................................................................................................................................................................................................................

• prodotto (features, functionality, cost, quality).......................................................

................................................................................................................................. • servizio (marketing, purchase, support and repair).................................................

................................................................................................................................. • processo (triggers, input, resources, output; measures del tempo di ciclo, cost,

added value, internal and external customer satisfaction)....................................... .................................................................................................................................

• tipi di processo (marketing, product development, erogazione del servizio

logistica, etc.)........................................................................................................... .................................................................................................................................

• management (business strategy, workflow/process, workforce, asset,

improvement).........................................................................................................................................................................................................................................................

• persone (performance, skills, knowledge, career goals, interests, benefits e

payroll)..................................................................................................................... .................................................................................................................................

Di che tipo sono le conoscenze principali utilizzate nell'organizzazione o unità organizzativa oggetto di analisi? Quali sono le opportunità offerte all'impresa da ciascun tipo di conoscenza (ad esempio competitività, facilità di innovazione, flessibilità, facilità di trasmissione ai newcomer, etc.) e quali sono i rischi legati a ciascun tipo di conoscenza (ad esempio rigidità, obsolescenza, difficoltà di trasmissione, etc.)?

Descrizione della

conoscenza

Opportunità Rischi

Conoscenza tacita

Conoscenza esplicita

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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Descrizione della

conoscenza

Opportunità Rischi

Conoscenza individuale

Conoscenza di gruppo/team

Conoscenza dell'organizzazione

Qual è la modalità di apprendimento e circolazione della conoscenza (sia tacita che esplicita) diffusa nell'organizzazione o unità oggetto di analisi? Sono diffusi i processi di socializzazione, esternalizzazione, combinazione, internalizzazione, proposti da Nonaka?

da

a

Socializzazione

Internalizzazione

Esternalizzazione

Combinazione

Conoscenza tacita

Conoscenza tacita

Conoscenza esplicita

Conoscenza esplicita

La spirale della conoscenza. Fonte: Nonaka e Takeuchi .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Per individuare la modalità di creazione di conoscenza e di apprendimento diffusi nell'organizzazione, è possibile rispondere alle seguenti domande: 1. come si impara in questa organizzazione? 2. come si trasmettono le conoscenze e chi viene coinvolto maggiormente? 3. come si registrano le "lessons learned", le "best practices"? 4. quali azioni intenzionali sono state adottate/si intende adottare per promuovere e

potenziare il processo di creazione e arricchimento delle conoscenze?

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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5. Come avviene la formalizzazione e diffusione del know-how prodotto dall'organizzazione/dall'unità organizzativa (ad esempio: procedure, offerte, analisi di mercato, rapporti, etc.)

6. Come avvengono l'identificazione e il riconoscimento e delle conoscenze (ad esempio: analisi delle competenze, mappatura e valutazione delle competenze, identificazione di "ruoli esperti", etc.)

7. Come si apprende insieme • come si sviluppano processi di apprendimento diffusi (ad esempio:

team di lavoro interfunzionali e tra unità organizzative distinte, mobilità interfunzionale);

• quali strumenti tecnologici (ICT) di supporto sono stati sviluppati per favorire la comunicazione, la condivisione, l'apprendimento, etc.? Per esempio, vengono utilizzati o si intende progettare:

- archivi elettronici di documenti interni o esterni - database con manualistica/procedure - e-mail, forum di discussione - yellow pages o reti di esperti - database di best practice o lessons learned

3.1.3. L'autorità, la responsabilità, la struttura organizzativa Individuare la tipologia di struttura organizzativa: Gerarchico funzionale Divisionale per area Divisionale per prodotto Forma multidivisionale Matrice Business unit Impresa rete

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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DISEGNARE LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELL'AZIENDA Evidenziare le principali strutture temporanee presenti: Rilevare eventuali strutture organizzative non rappresentabili con l'organigramma, ma importanti per il funzionamento dell'azienda:

• team • task force • gruppi di progetto • gruppi ad hoc • altro

.... ... ... ... ... ... ... ... ... .. .... ... ... ... ... ... ... ... ... .. .... ... ... ... ... ... ... ... ... .. .... ... ... ... . .... ... ... ... ... ... ... ... ... .. .... ... ... ... ... ... ... ... ... .. .... ... ... ... ... ... ... ... ... .. .... ... ... ... .

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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3.1.4. Il governo, il coordinamento e controllo, i sistemi di direzione Identificare le modalità di coordinamento e di controllo complessive dell'impresa e/o specifiche per un'unità organizzativa analizzata. Indicare la modalità di cooperazione prevalente:

• Estrinseca: i contenuti, le modalità di realizzare le attività, le decisioni sono definite all'esterno dei gruppi di lavoro.

• Intrinseca: i contenuti, le modalità di realizzare le attività, le decisioni sono

definite all'interno dei gruppi di lavoro. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Per ogni unità organizzativa analizzata, identificare le modalità prevalenti di coordinamento.

• Interdipendenza generica - Coordinamento per procedure.

• Interdipendenza sequenziale - Coordinamento per programmi.

• Interdipendenza reciproca - Coordinamento per mutuo adattamento2. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... ....................................................................................................................................

2 Nel primo caso le attività che concorrono alla realizzazione degli obiettivi si svolgono in parallelo, e le procedure formalizzate regolano e coordinano il funzionamento. Nel secondo caso l'ouput di una fase costituisce l'input per la fase successiva, e i programmi di lavoro regolano e coordinano il funzionamento. Nel terzo caso l'attività di A contribuisce a ridefinire l'attività di B, e il coordinamento si realizza attraverso il mutuo adattamento tra le parti.

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Federico Butera Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni

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3.1.5. I ruoli e le occupazioni, le professioni e le comunità professionali Identificare i principali ruoli presenti nell'impresa e caratterizzarne:

• lo scopo; • le attività principali svolte da ogni ruolo; • le relazioni principali.

Identificare le professioni presenti, esaminando per ogni professione:

• il ruolo effettivamente svolto; • il contesto lavorativo di riferimento (area dell'organizzazione) e le tecnologie

utilizzate; • il modello della struttura professionale: le teorie di riferimento; le tecniche

utilizzate; i modelli di progressione nella carriera; il curriculum di scuola richiesto; le norme deontologiche; le forme di licenze e gli attestati per l'esercizio della professione.

Specificare le seguenti dimensioni:

• identificabilità aziendale: presente-assente; • complessità del compito: alta, media, bassa.

Le attività sono basate su conoscenze scientifiche, tecnologiche, tecniche, pratiche operative:

• responsabilità: interna, esterna; • reputazione: soltanto interna; anche esterna; • etica professionale; • curriculum formale previsto; • istituzioni esterne legittimanti.

Collocare le tre principali professioni aziendali che rispondono alla seguente tipologia

1. Quasi professioni

� Ruolo responsabi le d i processi def ini t i

� Successione dei ruo l i ed evo luz ione del le conoscenze e capacità

2. Professionist i local i

Idem

� Curr iculum format ivo

� Corpo sis tematico di teor ie e conoscenze

3. Professionist i cosmopol i t i

Idem

Idem

� Autor i tà legi t t ima esterna

� Codici deontologic i

� Rappresentanza d i interessi

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3.1.6. I giochi dello scambio fra lavoro e organizzazione e i sistemi di gestione delle persone

• Identificare le modalità di gestione delle persone. In particolare: le modalità di selezione delle persone: per concorso; curriculum; colloquio e test; altro.

• Rilevare il sistema di classificazione aziendale utilizzato: famiglie professionali;

ruoli professionali; livelli di classificazione; etc.

• Rilevare gli obiettivi del sistema di valutazione: misurare il contributo individuale; sviluppare la prestazione dell'individuo; sviluppare la prestazione dell'organizzazione; etc.

• Rilevare le modalità di attuazione della formazione: per tipologia di destinatari

dei corsi. Specificare inoltre gli obiettivi del sistema formativo: realizzare cambiamenti di strategia; supportare i cambiamenti organizzativi; sviluppare capacità tecnico-specialistiche, manageriali, comportamentali, etc.

• Rilevare gli obiettivi del sistema di sviluppo professionale esistente: crescita

professionale in un settore professionale; sentieri di carriera tipo; famiglie professionali; specifici programmi di sviluppo delle persone; etc.

• Rilevare le modalità di attuazione del sistema delle carriere: anzianità,

competenza, capacità, etc. 3.1.7. Le strutture latenti Connotare brevemente: • la cultura • i sistemi di direzione e di decisione • le comunità professionali e di pratica • sistemi sociotecnici e sistemi di cooperazione • i sistemi di gestione dei clienti • i sistemi di gestione della conoscenza • la partecipazione • il sistema di comunicazione .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... ....................................................................................................................................

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3.2. Le prestazioni Connotare gli obiettivi e le prestazioni attese. Economici: produttività, riduzione costi, maggiore efficienza, etc. Tecnici: innovazione di processi di produzione; innovazione di prodotti e di servizi, etc. Sociali: responsabilità verso l'interno e l'esterno; perseguimento di strategie di qualità di vita di lavoro; etc. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... 3.3. Le risorse Identificare le risorse presenti nell'impresa e necessarie per il funzionamento complessivo. • le persone • il capitale economico • il capitale sociale • le tecnologie di trasformazione e trasporto • le tecnologie dell'informazione e della comunicazione • gli spazi • i materiali

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