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di Federico Introzzi Soluzione in...

Date post: 21-May-2020
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30 · TM Marzo 2017 N ell’impasse di economie che non crescono, popolazioni che invecchiano troppo rapidamente, e debiti pub- blici in rapida ascesa una via di uscita potrebbe esserci. Nascosta perchè troppo evidente, come la lettera di Edgar Allan Poe: si tratta semplicemente di aumentare in quantità e in qualità la partecipazione all’economia formale del 50% della popo- lazione. Il ‘gender gap’ esiste e si sta riducendo molto lentamente. Secondo un’indagine condotta da McKinsey, e che ha riguardato 230 aziende europee, e oltre 2mila addetti, nonostante quasi tutte le imprese pongano ‘mediaticamente’ la diversità di genere tra le principali priorità, in pratica i risultati appaiono decisamente meno incoraggian- ti, solo il 7% delle imprese pone la tema- tica tra le prime tre priorità a livello di corporate, e l’88% di addetti non crede che quanto stiano facendo sia sufficiente a risolvere il problema. Un esempio? Secondo un’altra indagine condotta sempre da McKinsey, in colla- borazione con la fondazione Lean In, nonostante le imprese abbiano adottato da almeno un decennio orari flessibili, e congedi maternità, solo il 45% degli inter- vistati ritiene che sia stato fatto il necessario per migliorare significativamente la situa- zione. L’indagine, che ha coinvolto 130 imprese oltre a 34mila addetti, nota che lo scetticismo è maggiore tra le nuove generazioni, solo il 38% delle giovani neoassunte dichiara che la propria impresa gestisca bene il problema. Insomma oltre il 70% delle imprese del campione si dichiara sensibile alla tematica, ma meno di un terzo degli intervistati ritiene si stia facendo abbastanza. Solo il 50% delle intervistate ritiene di avere pari opportu- nità di crescita professionale. Il fatto è che la sfida è di larga portata. Si tratta di porre fine a millenni di segre- gazione sempre ingiusta e oggi ancora più assurda visto che le donne sono ormai istruite meglio e più a lungo degli uomini, Un salto nella storia. A ben vedere il ter- mine stesso ‘donna’ affonda le sue origini, anche etimologiche, nell’idea stessa di potere. La donna per i romani era la domi- na, la ‘padrona’, ma della casa, all’interno della quale godeva di uno status anche superiore all’uomo. Un miglioramento rispetto a quella ateniese del V secolo a.C. Celebre un’epigrafe del II secolo a.C. che sintetizzava magistralmente l’intera idea che avevano i latini della donna: ‘Casta fuit, domum servavit, lanam fecit’ (fu fede- Aumentare in quantità e in qualità la partecipazione delle donne al mercato del lavoro potrebbe dare impulso all’economia, migliorare le performance di aziende e Stati, ridurre l’indebitamento pubblico e combattere altre forme di discriminazione. Ma occorre cambiare qualcosa nella mentalità delle persone e nel modo di lavorare di aziende e istituzioni. inchiesta / l’avanzata delle donne di Federico Introzzi Soluzione in casa
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30 · TM Marzo 2017

Nell’impasse di economie chenon crescono, popolazioniche invecchiano tropporapidamente, e debiti pub-

blici in rapida ascesa una via di uscitapotrebbe esserci. Nascosta perchè troppoevidente, come la lettera di Edgar AllanPoe: si tratta semplicemente di aumentare

in quantità e in qualità la partecipazioneall’economia formale del 50% della popo-lazione.

Il ‘gender gap’ esiste e si sta riducendomolto lentamente. Secondo un’indaginecondotta da McKinsey, e che ha riguardato230 aziende europee, e oltre 2mila addetti,nonostante quasi tutte le imprese pongano

‘mediaticamente’ la diversità di genere trale principali priorità, in pratica i risultatiappaiono decisamente meno incoraggian-ti, solo il 7% delle imprese pone la tema-tica tra le prime tre priorità a livello dicorporate, e l’88% di addetti non credeche quanto stiano facendo sia sufficientea risolvere il problema.

Un esempio? Secondo un’altra indaginecondotta sempre da McKinsey, in colla-borazione con la fondazione Lean In,nonostante le imprese abbiano adottatoda almeno un decennio orari flessibili, econgedi maternità, solo il 45% degli inter-vistati ritiene che sia stato fatto il necessarioper migliorare significativamente la situa-zione. L’indagine, che ha coinvolto 130imprese oltre a 34mila addetti, nota chelo scetticismo è maggiore tra le nuovegenerazioni, solo il 38% delle giovanineoassunte dichiara che la propria impresagestisca bene il problema. Insomma oltreil 70% delle imprese del campione sidichiara sensibile alla tematica, ma menodi un terzo degli intervistati ritiene si stiafacendo abbastanza. Solo il 50% delleintervistate ritiene di avere pari opportu-nità di crescita professionale.

Il fatto è che la sfida è di larga portata.Si tratta di porre fine a millenni di segre-gazione sempre ingiusta e oggi ancora piùassurda visto che le donne sono ormaiistruite meglio e più a lungo degli uomini, Un salto nella storia. A ben vedere il ter-mine stesso ‘donna’ affonda le sue origini,anche etimologiche, nell’idea stessa dipotere. La donna per i romani era la domi-na, la ‘padrona’, ma della casa, all’internodella quale godeva di uno status anchesuperiore all’uomo. Un miglioramentorispetto a quella ateniese del V secolo a.C.Celebre un’epigrafe del II secolo a.C. chesintetizzava magistralmente l’intera ideache avevano i latini della donna: ‘Castafuit, domum servavit, lanam fecit’ (fu fede-

Aumentare in quantità e in qualità la partecipazione delle donne al mercato del lavoro potrebbedare impulso all’economia, migliorare le performance di aziende e Stati, ridurre l’indebitamentopubblico e combattere altre forme di discriminazione. Ma occorre cambiare qualcosa nellamentalità delle persone e nel modo di lavorare di aziende e istituzioni.

inchiesta / l’avanzata delle donne di Federico Introzzi

Soluzione in casa

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le, governò la casa, fece la calza). La storia conosce poi regine, sante e intel-lettuali: casi isolati, ma alfieri della con-tinuazione di un trend di lunghissimoperiodo verso la (ri)conquista dell’ugua-glianza di genere, rivendicata dai movi-menti femministi nel corso del XX secolo,e obtorto collo ottenuta almeno nominal-mente a partire dal termine dei conflittimondiali. Dopo Margaret Thatcher oraè Angela Merkel a svolgere il ruolo di per-no della politica europea. E due donneguidano le maggiori istituzioni della finan-za: Christine Lagarde, e Janet Yellen. Orealtà industriali di rilievo: Mary Barra,Ceo di General Motors.

I ‘se’ della macroeconomia. Il setti-manale inglese The Economist ha parlatodi ‘Womenomics’per definire la volontàdi riscatto che oggi sembra contraddistin-guere l’altro 50% della popolazione mon-diale. Infatti, se dovessimo irrealistica-mente assistere nel prossimo decennio alcompleto eliminarsi delle disparità di gene-re, il Pil mondiale nel migliore degli sce-nari crescerebbe a regime di un ulteriore26%. Detto in altri termini, è come se nel2025 il mondo si ritrovasse con un nuovoprotagonista, forte di un Pil di 28milamiliardi di dollari, pari a poco meno diquelli di Stati Uniti e Area Euro secondole stime di McKinsey. I suoi abitanti? Quel-la parte di donne sino ad allora ‘lavorati-vamente inattive’.

«Quello condotto da McKinsey è unesercizio teorico molto semplice: è statoil primo studio di quel genere, almeno alivello macro, a prendere in considerazionedecine di Paesi, e valutare gli effetti di unatale eventualità», afferma Marialuisa Paro-di, economista e vicepresidente FaftPlus,Federazione associazioni femminili Ticino«ed è interessante in quanto evidenzia perognuno degli stati presi in analisi, le areesu cui lavorare e i possibili risultati sulla

base di tre scenari: uno di base, se non sifacesse nulla; uno in cui tutti gli stati diun’area geografica convergessero almigliore tra loro; un terzo, se entro il 2025tutte le disparità venissero chiuse».

L’indagine della casa di consulenza ame-ricana mette in luce come dei 95 Paesipresi in considerazione, rappresentatividel 97% del Pil mondiale, a fronte di 15indicatori di parità di genere, in oltre 40la metà di tali indicatori riporti scostamenticritici. Come? Grazie in prevalenza all’au-mento della partecipazione femminile almondo del lavoro. In particolare, «un ruo-lo importante nell’assorbimento potrebbesvolgerlo l’imprenditoria femminile stessa,oltre al fatto che per ogni donna che doves-

se lasciare un lavoro di cura non pagato,per far fruttare la rispettiva laurea in unsettore a più alta produttività, si libererebbeun posto a più bassa qualifica. Questopotrebbe dar luogo a un circolo virtuoso,tra gli altri anche da un punto di vista fisca-le, a sostegno del potenziale di crescita.L’errore da non commettere è ragionareper stock attuali, invece che concentrarsisui flussi futuri, il vero nodo della que-stione», prosegue Parodi.

Lascia del resto a riflettere che attual-mente, le donne contribuiscano al 37%del Pil mondiale, percentuale abbastanzalontana dall’auspicabile 50%, nonostantesignificativi scostamenti regionali. Le cau-se? Minor partecipazione, in tutti i Paesi

In apertura: un manifesto americanodel 1943. Le donne tornavano sullascena pubblica. A destra, la disparitàdi genere è un problema serio in quasitutte le regioni del mondo,nonostante negli ultimi anni si siaassistito a un netto miglioramentoalmeno tra i Paesi avanzati. In basso,uno degli indici di McKinsey è spessol’insufficiente protezione legaleofferta alle donne a pesare sulla loroinclusione, strettamente legata alloscarso peso politico in numerosi Paesi.

0.71Europaoccidentale

0.67Europa orientale& Asia centrale

0.48Medio oriente& N . Africa

0.47 Asia meridionale

(incl. India). 0.74America del nord

& Oceania

0.62Sud estasiatico

(incl. China)0.57AfricaSub-Sahariana

0.64 America latina

148

16

15 12 211713

Alta diseguaglianza

Estremadiseguaglianza

Gap percentualeal best-in-region%

Indice della parità di genere (Gps)Gps, 1.0=parità di genere

Fonte: McKinsey 2015

Disparità di genere per area geografica

Gps

NordAmerica

eOceania

Europaocc.

Europaorientale

eAsia

centraleAmerica

Latina

Este sud-est asiatico(esclusa

Cina) Cina

AfricaSub-

Sahariana

MedioOrientee NordAfrica India

Asiameridionale

(esclusa India)

Regione

Valore Gps aggregato

Protezionelegale erisonanzapolitica

0.190.16 0.12 0.150.110.310.300.35 0.170.49Rappresentanzapolitica

Livello Molto alto Alto Medio Basso

0.570.610.620.640.670.710.74

0.440.480.48

0.590.50

0.200.240.16

0.350.360.28

0.450.32

Fonte: McKinsey 2015

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considerati, una prevalenza di lavoro part-time, e la preponderanza in professioni abassa produttività.

«Il rapporto, in particolare mette in luceuna serie di aree su cui lavorare per ognunodei Paesi analizzati, e per la Svizzera nonmancano le conferme di un quadro preoc-cupante. A destare allarme è specialmentela scarsa protezione legale della donna nelmondo del lavoro, elemento che in altriPaesi non emerge, ma anche il lavoro dicura non pagato, la presenza politica edirigenziale, oltre alla parità salariale»,prosegue Parodi. Profonde divergenze,ad esempio nel tasso di partecipazionefemminile nel mondo del lavoro, sono ingran parte dovute al fatto che le donne si

facciano carico annualmente del 75% dellavoro non pagato, il cui valore di mecatosi aggirerebbe sui 10mila miliardi di dollari,il 13% del Pil mondiale.La ‘Womenomics’. Sin dagli anni ‘70 perogni nuovo posto di lavoro occupato daun uomo, due sono stati invece presi dadonne, almeno negli Stati Uniti. Ma aldilàdel ruolo sempre più attivo giocato dalledonne nel mercato del lavoro, continuanoa detenere l’egemonia su oltre l’80% delledecisioni d’acquisto dei beni di consumodell’unità familiare, consumi che comenoto rappresentano la quota preponde-rante dei Pil di quasi tutti gli stati. Perquanto la partecipazione femminile abbiadei limiti, anche fisiologici, nel corso delleultime decadi si è assistito a un netto cam-bio di passo, in tutto, anche l’istruzione.

Già oggi nell’Unione Europea il 59%dei laureandi è donna, così come il 61%dei dottorandi, e il trend è al rialzo. Ciònonostante rimane ancora un ampio mar-gine di miglioramento per ‘i frutti’ di que-sta maggiore e migliore istruzione, a livellodi remunerazione, la donna in media haun percorso professionale all’interno del-l’azienda più modesto, e mantiene comemercato di sbocco i settori meno produt-tivi, e retribuiti, insegnamento e infermie-ristica tradizionalmente. All’attuale velo-cità, il divario salariale potrebbe esserepienamente colmato in non meno di 170anni, almeno secondo il Wef. Eppure,

rimane incontestabile il dato che vede len-tamente crescere l’importanza, anchepatrimoniale, delle donne, per quantospesso dovuto a fattori esogeni.

Avivah Wittenberg-Cox e Alison Mai-tland autrici di un recente saggio, Whywomen mean business, stimano che entro il2025 il 60% della ricchezza del RegnoUnito sarà in mano a donne, e anche trai più giovani le donne sorpasseranno prestogli uomini. «Già nel 2020 buona partedella ricchezza americana sarà in mano adonne, da qui la ricerca degli ultimi annidi consulenti finanziarie. E questo, insiemeallo sviluppo del Fintech, ha giocato unruolo di primo piano anche nella lotta allaconquista dei migliori talenti tra la SiliconValley e Wall Street, che ormai non è piùimprontata sulla base degli stipendi, madei benefit, come scriveva poco tempo falo stesso Financial Times. Credit SuisseUsa già pochi anni fa offriva ai proprimanager di portare in viaggio di lavorofigli e rispettivi baby sitter, qualcosa diimpensabile sino a poco tempo prima»,afferma l’economista Parodi. Già a livellodi flussi, in dieci anni le cittadine statuni-tensi che hanno dichiarato più di 100miladollari di reddito sono triplicate, e in let-teratura è andata maturando la consape-volezza, che una maggior presenza fem-minile in azienda, anche in quei settoritradizionalmente più maschilisti, la finan-za, giovi agli affari. In particolare un diver-

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La Germania è il Paese che ha vistopiù protagoniste le donne in politica.Dai socialisti, subito dopo WillyBrandt al fenomeno dei verdi deglianni ‘80, le donne sono rimaste inprima linea. Ma benché lerappresentanze sindacali sianoattente al tema e perfettamenteintrodotte nelle aziende (Consigli diSorveglianza e Amministrazione) idati del mercato del lavoro nonoffrono altrettanti risultati, dellemolte battaglie vinte. Rispetto adaltri Paesi molto più ‘maschilisti’ nonsembra poi cambiato molto.

Le donne nel mercato del lavoro in Germania

51%

Totale popolazionefemminile41.245.000

38%

Lavoratrici indipendentisenza collaboratori

894.000

25%

Lavoratrici indipendenticon collaboratori

466.000

48%

Lavoratricidipendenti17.114.000

81%

Lavoratricidipendenti (part-time)

8.139.000

Fonte: Frankfurter Algemeine Zeitung

Media salario lordo orario (dati €/h) Quota di genitori a tempo parziale con figli di meno di sei anni

20,20 6% 73%15,83 ● Uomini

● Donne

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so modello di leadership, quello femminile,meno aggressivo, competitivo, menoossessionato dal potere, e più orientatoalla ricerca del consenso, più collaborativo,e più orientato al ‘team work’, almenosecondo tali teorie, avrebbe il vantaggiodi produrre decisioni migliori, anche insituazioni di forte pressione.

Delle nove qualità di leadership indivi-duate da McKinsey, le donne ne appliche-rebbero significativamente più degli uomi-ni almeno cinque: sviluppo personale deipropri collaboratori, predefinizione diobiettivi e compensi, la funzione di rolemodel, oltre ad agire come fonte d’ispi-razione, promuovendo un modello deci-sionale partecipativo. Vengono confermein tal senso da Mariagrazia Uguccioni, dal2000 nel centro, e dal 2010 direttore dilaboratorio e vicedirettore dell’Istituto diRicerca in Biomedicina di Bellinzona, uncentro dove ricercatori di tutto il mondotrascorrono periodi di dottorato, e postdottorato: «Non credo le donne abbianodoti che le rendano particolarmente piùadatte degli uomini a ricoprire incarichidirigenziali, altresì hanno spesso una mag-gior sensibilità nel cogliere meglio e piùrapidamente le necessità dei collaboratori,oltre a coinvolgerli più attivamente nellagestione, e nelle scelte strategiche».

E sul punto insiste anche ChristianeTureczek, membro di riferimento dell’As-sociazione svizzera dei quadri (Asq): «L’e-strema flessibilità che le deriva dalla gestio-ne dell’economia domestica, il ruolo pre-minente almeno in Occidente nell’edu-cazione dei figli, rende la donna capace diinfondere un entusiasmo contagioso intutti i collaboratori, contribuendo quindinel rasserenare l’ambiente di lavoro». Laleadership femminile sarà quindi in gradodi garantire: «In primo luogo comple-mentarietà a quella maschile, un raffor-zamento dei valori aziendali, e miglioricapacità organizzative. Allo stesso tempolo sviluppo di un management dotato di‘soft skill’ più diversificate, utili a risolverein maniera pragmatica imprevisti, e attivitànegoziali, oltre a una maggior resilienza,e miglior visione d’insieme. Un approcciodunque inclusivo, complementare a quan-to di costruttivo sia già presente, e nonesclusivo», conclude Rosy Croce, membrodi direzione e responsabile del diparti-mento risorse umane di Migros Ticino.

Nonostante quindi non manchino leconferme di una correlazione tra maggiorpresenza femminile in azienda, e nei ruoli

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apicali, e migliori performance della stessa,secondo una Commissione parlamentarebritannica, alla velocità attuale sarebberonecessari alle donne almeno 60 anni perottenere pari rappresentanza degli uomini,all’interno dei board delle aziende del Ftse100. Più in generale, globalmente solo il7% dei direttori corporate è donna, datodestinato a scendere sotto l’1% in Giap-pone, e a salire al 15% negli Stati Uniti,e anche in questo caso la correlazione èconfermata: sono le aziende con una pre-senza femminile più marcata, a macinareperformance superiori alla media delleconcorrenti. «I gruppi misti sono più effi-cienti per le diverse modalità con cui uomi-ni e donne giungono a formulare il propriogrado di avversione al rischio. In campofinanziario, per esempio, un filone di studiha colto risultati meno ampi ma più costan-ti come tipici delle decisioni femminili:un significativo stabilizzatore della vola-tilità di borsa», afferma Marialuisa Parodi.

Eppure, le donne continuano a dimo-strarsi come una delle risorse attualmenteancora meno utilizzate, soprattutto se inconfronto ad altre. Nonostante il loropotenziale, i dati di inclusione nel mondodel lavoro risultano deludenti, con Paesiavanzati come il Giappone che vedonoattiva una donna su due, rispetto agli StatiUniti che vantano una partecipazione al65%, o alla Svezia, oltre il 70%. L’Europatiene il passo con le medie d’oltre oceano,ma solo per la popolazione più giovanedel campione, tra i 25 e i 29 anni, lasciandoperò aumentare il gap al crescere dell’etàanagrafica. Tra i 55 e i 59 anni, infatti,mediamente meno del 50% delle cittadineeuropee è ancora attivo nel mondo dellavoro, diversamente dal 66% americano.

Sempre dal Wef è stato del resto recen-temente dimostrato che vi sia una corre-lazione tra la parità di genere, e il Pil procapite, così come che la crescita economicavenga violentemente colpita dall’eccessivadiseguaglianza. Parimenti, è stato ormaida tempo dimostrato che a una maggiorinclusione delle donne nel mercato dellavoro, anche dopo i congedi maternità,senza che questi si traducano automati-camente con la loro definitiva uscita di

scena, fa spesso seguito un tasso di fertilitàsuperiore che in realtà maggiormentediscriminanti. È il caso dei Paesi scandi-navi, rispetto ai risultati deludenti di Italia,Giappone, o Germania. Una maggiorinclusione, complementare a un sistemadi welfare sensibile ai problemi legati allamaternità potrebbe infatti tradursi, inmaniera tutt’altro che intuitiva, in piùnascite, indispensabili nel frenare l’invec-chiamento demografico, e nel più lungoperiodo riportare i sistemi pensionisticialla sostenibilità. Lo stato dell’arte in Svizzera. Il mercatodel lavoro svizzero vanta da sempre, piùdi altri Paesi europei, una difficile relazione

con l’inclusione femminile, registrandocon frequenza marcate ingiustificate dispa-rità salariali (mediamente del 18% tra pri-vati, e oltre il 12% nel pubblico), e unasensibilità giuridica alla tematica non anco-ra pienamente sviluppata, nonostante siaprevista a livello costituzionale propriouna legge sulla parità di genere.

«I limiti provengono da schemi culturalie mentali inconsapevoli, ma consolidatisinel tempo. Oltre alle competenze, oggi auna donna viene richiesta la capacità didestreggiarsi in dinamiche comportamen-tali dettate da schemi di una società in cuistoricamente l’uomo ha avuto un ruolopreponderante», spiega la responsabileHr di Migros. Nonostante la Svizzera sicollochi al vertice delle classifiche ufficialianche per occupazione femminile, supe-rando la Svezia, in realtà il dato deve esserepoi scomposto per tasso di occupazione,e depurato di conseguenza.

Il risultato? All’86% di uomini che sonooccupati a tempo pieno, o quasi, corri-sponde un 45% di donne, con un altro25% di impieghi inferiori al 50%. Inaggiunta a disparità salariali ingiustificate,pur a parità di mansioni, e a una sostanzialedifferenza del tasso di occupazione, il qua-dro è ulteriormente peggiorato dalla con-centrazione delle donne attive in settoria bassa produttività: si stima infatti che il60% dei posti di lavoro a salario inferioreai 4.500 franchi sia in mano a donne, diver-samente da quelli a salario alto, superiorea 16mila, nell’85% dei casi occupati dauomini, secondo i dati dell’ufficio federaledi statistica. «In tal senso è sempre piùimperativa la necessità di ridefinire i ruolidi ‘femminile’ e ‘maschile’ dalle imprese,alle famiglie, alla ricerca di un nuovo equi-librio che renda più sopportabili per lasocietà tutta anche le nuove legittime aspi-razioni delle donne, come trovare soddi-sfazioni nella vita professionale», prosegueil membro dell’Asq, Christiane Tureczek.

Nel corso degli ultimi anni si è assistitoa un miglioramento sostanziale dell’in-clusione femminile, per quanto anche inquesto caso il progresso sia a ritmo con-

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Top management femminile

28% 31% 22% 16% 8,3% 7,7% 5,0% 6,0%

Germania Europa Occ. Mondo Svizzera

Quote femminili nel Consiglio di vigilanza

Top 5 europea (%)

Quote femminili nel Consiglio di amministrazione

Germania Europa Occ. Mondo Svizzera

0 10 20 30 40 50

UK

Italia

Svezia

Norvegia

Francia

0 5 10 15 20

UK

Olanda

Beglio

Luss.

Svezia

Fonte: Handesblatt 2017, Schilling report 2016

A sinistra, un confronto mondiale edeuropeo di presenze femminili alivello di top management. A destra,lentamente anche nelle famigliesvizzere si è avviato un processo diredistribuzione del carico di lavoro, edel tasso di occupazione tra genitori.

Si stima che entro il 2025

il 60% della ricchezza del Regno Unito sarà in mano a donne,

e anche tra i più giovani le donne sorpasseranno

presto gli uomini

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tenuto, che ha portato a una nuova e piùequa distribuzione dei tassi di occupazioneall’interno dei nuclei familiari, tra uomoe donna. Significativi incrementi sono statiregistrati in particolare nel part time fem-minile (come già detto, nonostante un tas-so d’occupazione superiore al 75%, al 60%sono proprio a tempo parziale), segnali diuna migliore capacità di conciliazione travita lavorativa, e familiare, soprattuttodopo il concepimento della prole, e deipassi in avanti istituzionali mossi in taledirezione. «Si sono andate imponendonuove forme di lavoro, dalla diffusionedel tempo parziale, al Job sharing, al tele-lavoro, forme che richiedono oltre a unadiversa forma di concentrazione, soprat-tutto un nuovo strettissimo rapporto difiducia tra datore di lavoro, e collaboratori,prima impensabile», prosegue ChristianeTureczek. A sostegno di questa sempremaggiore inclusione delle donne sul mer-cato del lavoro, le statistiche sull’istruzionefemminile, che seppur aggregate mostranoil recupero negli ultimi decenni, il rag-giungimento e anche il superamento dellemedie europee. A determinati livelli inveceil problema non si pone più già da diversotempo, nota il Vicedirettore dell’Irb diBellinzona, «è il caso dei ricercatori, chia-mati a confrontarsi in una competizionesempre più globale, e sempre più serrata.L’obiettivo? Essere e rimanere competitivi,indipendentemente dal sesso».

I dati dello Schilling report 2016 con-fermano questa fotografia del mercatosvizzero, seppur con accentuate differenzecantonali. Al 31 dicembre 2015 le donnerappresentavano il 6% dei membri deiConsigli di amministrazione, il 4% dellenomine dell’ultimo anno, e il 16% neiconsigli di sorveglianza, con un 23% trale nuove nomine, rispetto a un campionedi 119 compagnie, di 17 diversi settori.

A livello di quotate, i dati trovano ulte-riore conferma, con scostamenti minimi,principalmente a livello di consigli di sor-veglianza, con una quota femminile al 23%del totale. Delle decine di compagnie delcampione, solo 3 (il 2,5%) aveva un Ceodonna, dato destinato a scendere a 0 se siguarda invece alle quotate dello Smi. Inentrambi i casi, un solo presidente del con-siglio di sorveglianza era donna.

L’età media dei membri dei Consigli diAmministrazione è di 50 anni, 47 per quel-le nominate nel 2015, a livello dei consiglidi sorveglianza 54. Le donne negli organidelle quotate risultano del resto media-

mente più anziane, 54 per gli organi ese-cutivi e di sorveglianza. Dati destinati acrescere per le donne con passaporto este-ro, mediamente intorno ai 58-61 anni.

Molto alto il livello d’istruzione: conoltre il 90% dei membri forti di un’edu-cazione universitaria, ciò nonostante ilnumero degli stranieri si è ridotto passando

dal 50, al 47% del totale. Mediamenteemerge comunque una preparazionemigliore degli stranieri, elemento che rical-ca il ritardo storico in alcuni ambiti del-l’istruzione scientifica. Mediamente ledonne nominate nei Consigli di ammini-strazione hanno lavorato almeno noveanni per la stessa impresa, e rimangono

TM Marzo 2017 · 35

«Anche a fronte dei recenti risultati referendari, che hanno visto chiudersi la possibilità di importare

i talenti necessari dall’estero, sarà sempre più necessario

tornare a guardare dentro i confini nazionali svizzeri,attingendo da

quel grande bacino, che sono le donne»

Marialuisa Parodi,economista e

vicepresidente FaftPlus

0% 20% 40% 60% 80% 100%

1992

2012

1992

2012

1992

2012

23,1 32,9 36,3

12,4 9,6 20,1 38,7 4,4 4,3 10,5

61,5 28,4 6,8

29,2 29,7 19,9 10,0 5,5 4,5

38,1 45,5 12,0 2,6

19,8 32,8 24,7 12,2 3,9 5,3

Redistribuzione del tasso di occupazione nelle famiglie svizzerePersone di età compresa tra 25 anni e l’età pensionabile ordinaria

Fonte: Ufficio federale di statistica, RIFOS

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4,4

* Nel 1992 non si è fatta distinzione tra tempo parziale <50% e tempo parziale 50–89%per tutti i membri dell’economia domestica.

Uomo a tempo pieno/donna nessuna

attività professionale

Uomo a tempo pieno/donna a tempo

parziale < 50%

Uomo a tempo pieno/donna a tempo

parziale 5 0 –89%

Uomo a tempo pieno/donna a tempo

parziale < 90%*

Entrambi a tempo pieno

Entrambi a tempo parziale

Entrambi nessuna attività professionale

Altri modelli

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in carica di media quattro, diversamentedagli uomini, che rimangono in carica piùa lungo. In estrema sintesi quanto emergeè che al 31 dicembre 2015 il 94% dei mem-bri dei board e l’84% dei membri dei con-sigli di sorveglianza, rappresentativi dellatotalità delle imprese svizzere, era costituitoda uomini: un dato non incoraggiante.

In un secondo rapporto la riconferma

che salendo le gerarchie aziendali la pro-babilità di imbattersi in donne è semprepiù esigua. A livello di forza lavoro media-mente il 39% dello staff è donna, percen-tuale destinata a scendere tra i managerdi medio livello al 23%, e a dimezzarsi traquelli senior, al 15%. L’8% dei membridei board è ancora donna, il 5% dei Ceo,e il 3% dei presidenti degli organi di sor-

veglianza. Anche in questo caso emergonointeressanti correlazioni: al crescere delpeso femminile nei ruoli apicali dell’im-presa, segue un aumento proporzionaledi donne presenti in altri ruoli, dal CdA,ai manager di medio livello. Si trovanoconferme in tutte le statistiche sui diversisettori campionati, che spaziano dal 23%di forza lavoro femminile del manifattu-riero, al 55% del commercio e della ven-dita al dettaglio (eppure deludenti i datisul front office femminile per l’economiareale, perchè?). Ma nonostante la solidaposizione di forza, anche in questi settorisi registra la completa assenza di donnenei ruoli apicali, diversamente dai servizifinanziari (4% dei Ceo è donna), assicu-razioni (8%), e logistica (17%).

Quelli dello Schilling Report sono quin-di risultati complessivi tutto sommatodeludenti, che collocano la Svizzera a con-siderevole distanza anche rispetto a Paesiconfinanti non propriamente all’avanguar-dia, e sono in parte attribuibili all’assenzadi correttivi. È il caso quindi di interrogarsialmeno dell’eventualità di ricorrervi?

«Ci si dovrebbe sicuramente iniziare aporre il problema, e le alternative nonmancano: offerte di lavoro a tempo par-ziale per gli uomini - sono ancora oggiuna rarità -, forme di congedo paternitàanche obbligatorie, l’obiettivo della paritàsalariale, la garanzia di forme di remune-razione per chi ricopre compiti socialioltre che familiari, un più convinto soste-gno alla formazione professionale ancheindipendente dai ruoli tradizionali», notaChristiane Tureczek. Di recente poi ilConsiglio federale ha mosso passi in avanti,almeno a livello di partecipate pubblichein merito alle ‘quote rosa’, per quanto siagià lungo tempo che se ne dibatte senzasostanziali passi in avanti. Diversamenteda Francia, e Italia dove sono previste inve-ce quote minime e sanzioni per il mancatorispetto, dalla Spagna, dove alle quote noncorrispondono sanzioni. Le cosiddettequote rosa hanno il vantaggio di essereuno strumento di facile applicazione daparte delle imprese, e controllo da partedelle istituzioni, la cui applicazione anchetemporanea potrebbe favorire il cambioculturale necessario a una maggior inte-grazione della donna. «Del resto, anchea fronte dei recenti risultati referendari,che hanno visto sostanzialmente chiudersila possibilità di importare i talenti necessaridall’estero, sarà sempre più necessario tor-nare a guardare dentro i confini nazionali

36 · TM Marzo 2017

«Le donne hanno spesso una maggior sensibilità nel cogliere meglio e più rapidamente

le necessità dei collaboratori, oltre a coinvolgerli più attivamente nella gestione, e nelle scelte strategiche»

Mariagrazia Uguccioni,direttore di laboratorio e vicedirettore Irb

La promozione delle donne è un tema di granderilevanza per il settore bancario e finanziario. Nellebanche, la quota di donne pari al 37%, che si man-tiene stabile dal 2010, è inferiore alla media svizzeradel 47%. Circa un terzo delle donne lavora a tempoparziale, una proporzione visibilmente elevata chenegli ultimi anni ha visto una crescita costante,come dimostra l’analisi effettuata da Datori diLavoro Banche, l’Associazione padronale dellebanche in Svizzera. La notevole flessibilità delgrado di occupazione non è l’unica misura adottatadalle banche per consentire una migliore conci-liazione di famiglia e lavoro. Una banca su treaccorda anche il telelavoro e una su sette offre spe-ciali programmi di reinserimento professionaleper uomini e donne. Un esempio in tal senso è‘Real Returns’ di Credit Suisse, un programma cuila banca ha dato vita anche in quanto in tutti isettori aziendali si registra un significativo abbandono della forza lavoro femminileprima del passaggio a livelli direttivi più alti. Sono rilevanti anche gli orari di lavoroflessibili che il 66% delle banche propone ai collaboratori con figli. Circa il 30%degli impiegati di banca ha figli di età inferiore a 15 anni. L’organizzazione dellacura dei bambini è perlopiù affidata ai lavoratori. Tuttavia quasi il 20% delle bancheoffre posti riservati negli asili nido e il 5% dispone addirittura di un asilo internoo sostiene i genitori nella cura dei bambini (ad esempio con una tata).

Le banche puntano sulle donne, ma...

Pia Guggenbühl, vicedirettrice di Datori diLavoro Banche.

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38 · TM Marzo 2017

svizzeri, attingendo da quel grande bacino,che sono le donne. Indirettamente saràquindi indispensabile prendere in manoil tema della conciliazione lavoro-famiglia,rivedendo i ruoli culturali tradizionali. Ungrosso ostacolo a livello svizzero è infattiproprio culturale, rispetto a molti altristati europei c’è ancora un problema dieducazione», commenta l’economista.La realtà locale. Il Canton Ticino, nono-stante i notevoli passi in avanti degli ultimianni, sconta un ritardo storico ancherispetto agli altri cantoni, almeno perquanto concerne la parità di genere.Rispetto anche a coloro che sono nati pri-ma del 1967, tralasciando i precedenti il1948, le differenze d’istruzione e i percorsiformativi scelti da uomini e donne sonoandati lentamente colmandosi, secondo idati di un recente rapporto del Def, e del-l’ufficio federale di statistica.

Ciònonostante rimangono le storichepropensioni, peraltro diffuse anche in altriPaesi, che vedono gli uomini più propensia intraprendere percorsi professionali perl’industria e l’artigianato, e le donne impie-gate nelle cure sanitarie e nel commercio.Solo di recente le studentesse, la maggio-ranza di coloro che ottengono maturitàliceale, hanno anche iniziato a sopravan-zare il numero di neo immatricolate nelleuniversità svizzere. «Anche in questo caso,è interessante notare che ormai numerosistudi hanno fatto emergere la convinzionedelle bambine, già a sei anni, di avere menocapacità dei bambini, riverbero delle con-dizionalità che le circonda. Ed è proprioquesto che inizia a pesare anche nell’ado-lescenza sulla scelta degli studi, sia nel casodelle studentesse, ma anche per gli studenti,che faticano nello scegliere discipline chenon siano già tradizionalmente consideratemaschili. Diversamente, nei Paesi del nord,si è osservato che i risultati delle bambinesiano nettamente migliori anche nelle mate-rie tecnico-scientifiche», spiega Parodi.

Al netto quindi dell’educazione, il piùnetto miglioramento lo si registra anchein questo caso a livello di inclusione nelmondo del lavoro, se in passato la mater-nità costringeva spesso all’uscita tempo-ranea ma per lunghi periodi, o definitiva,delle madri dal tessuto produttivo, oggi

«I limiti provengono da schemi culturali

e mentali inconsapevoli, ma consolidatisi nel tempo.Oggi a una donna vienerichiesta la capacità

di destreggiarsi in dinamichecomportamentali dettate da schemi

di una società in cuistoricamente l’uomo ha avutoun ruolo preponderante»

Rosy Croce,membro di direzione e

responsabile del dipartimentorisorse umane di Migros Ticino

«Nella cooperativa Migros Ticino, le pari opportunità sono parte dei valori aziendali,un tema centrale per la gestione delle risorse umane. Del resto, il 61% dei collaboratoriè composto proprio da donne», afferma la responsabile risorse umane, Rosy Croce.La presenza femminile è ovunque predominante nella grande distribuzione orga-nizzata ma lo stesso non si puà dire nel management. Nel ‘Consiglio di amministrazione’ di Migros 3 dei 7 membri sono donne, tra cuiil presidente e il vicepresidente, oltre al 20% dei quadri, e al 40% degli intermedi.«Anche a livello di team-work il formato che prediligiamo è quello misto, e a valereè sempre il principio che un’idea è buona indipendentemente da chi l’abbia formulata.Una formula accettata e condivisa da tutti», prosegue Rosy Croce, nel solco dellamiglior letteratura. Del resto, proprio a fronte di questa vocazione femminile fatta propria dall’azien-da: «Siamo perfettamente consapevoli che la maternità sia un momento delicatissimonella vita di una donna. Le siamo quanto più possibile vicini, sia pre- che post-parto. Prevediamo un primo colloquio preparto tra il dipartimento Hr, l’interessata,e il suo diretto superiore per sensibilizzare tutte le parti in causa, e valutare se visiano particolari necessità di cui tener conto. Dopo il parto è previsto un secondocolloquio in cui valutare la situazione, ed eventuali nuove richieste che possanofacilitare il reinserimento della collaboratrice, o la proroga del congedo anche oltreil termine stabilito per legge», conclude Rosy Croce. Anche nel caso del secondogenitore sono previste forme di congedo pagate.

Donne al vertice in Migros

Le quote femminili in dieci settori

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cari

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Presidente del CS 9% 0% 0% 0% 17 % 0% 0% 0% 0%

Consiglio di sorveglianza 22% 19% 16% 4% 22% 13% 9% 19% 14%

Ceo 4% 8% 0% 0% 17% 0% 0% 0% 0%

Consiglio d’amministrazione 9% 11% 10% 8% 11% 3% 4% 11% 9%

Senior management 11% 13% 22% 21% 21% 19% 12% 21% 16%

Management intermedio 20% 24% 22% 27% 18% 45% 16% 33% 23%

Forza lavoro 43% 43% 35% 50% 34% 35% 23% 38% 55%

Fonte: Schilling report 2016

L’autorità in materia di monitoraggiodella situazione svizzera è da anni loSchilling Report. Sopra, un piccoloestratto di una recente indagine.

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40 · TM Marzo 2017

si registrano minori casi di uscite definitive,e tempi più celeri di rientro, per quantocontinui a sussistere un serio problema disottoccupazione della manodopera fem-minile. «Un tema sentito, quello dellamaternità, anche nel mondo della ricerca.Nel nostro lavoro, dopo il congedo mater-nità, sono previste solo leggere riduzionidi occupazione per venire incontro a esi-genze momentanee di colleghi in difficoltà.Nessuno lavora a un progetto in solitaria,il sostegno temporaneo a membri del teamè demandato in primo luogo proprio alteam, agli altri membri che lo compon-gono», afferma Mariagrazia Uguccioni,dall’alto di quasi vent’anni di esperienzanella ricerca.

Sensibile anche il membro dell’Asq, lagiurista Tureczek: «Il reinserimento delledonne nel mercato del lavoro dopo i con-gedi maternità dovrebbe rappresentareun tema di discussione per le istituzioni,e molto può essere ancora fatto da noi alivello di sensibilizzazione politica e sociale.Passando dal riconoscimento della fun-zione sociale della maternità, potrebberoe forse anche dovrebbero essere previsteaccanto a forme di lavoro più flessibili, lapossibilità di lavorare a tempo ridotto,senza eccessive perdite di guadagno, e sen-za penalizzazioni previdenziali eccessive».Del resto, sono proprio elementi comematernità e sottoccupazione che di fattoprecludono alle donne nella più parte deicasi la possibilità di fare carriera comple-tamente, o alla stessa velocità dei colleghimaschi, escludendole da incarichi diresponsabilità, e a remunerazione elevata,il che solo in parte spiega comunque ladifferenza salariale tra sessi.

La conciliazione tra lavoro e famiglia,benchè sia anch’essa migliorata nel corsodegli anni, continua a vedere nella maggiorparte dei casi l’occupazione a tempo pienodella figura maschile, e solo a tempo par-ziale della femminile. Ciò è in larga partedovuto a un retroterra culturale ancoramolto legato al passato, in cui effettiva-mente la partecipazione femminile al mon-do del lavoro era contenuta, e alle difficoltàeconomiche e organizzative che i genitoriavrebbero nel crescere i figli lavorandoentrambi a tempo pieno. L’aumento delnumero dei posti presso le strutture spe-cializzate nella prima infanzia è infatticoinciso con l’aumento della partecipa-zione femminile, nonostante rimanga sen-sibile la questione dei costi.

«Quanto è emerso qualche anno fa daun sondaggio condotto da Tiresia a livellocantonale è stato sorprendente, in tutte lefamiglie c’è infatti domanda di struttureper l’infanzia, mentre oggi si affidano aconoscenti e spesso nonni. C’è quindi for-tissima domanda, con conseguenti altissimicosti, ma scarsa offerta, ma in questa dire-zione sembra che il Consiglio di Stato eil Gran Consiglio si stiano muovendo.Così come le mense scolastiche, solo direcente se ne è iniziato a parlare», concludeParodi. Oltre a questo, una maggior fles-sibilità concessa dai datori di lavoro, all’o-rario settimanale per motivi familiari haindubbiamente contribuito nell’iniziare acolmare le profonde distanze esistenti traTicino, e altri cantoni della Svizzera inter-na più all’avanguardia. Un’ulteriore con-ferma, strettamente legata alla non par-tecipazione al mondo del lavoro regola-mente retribuito, è il ruolo svolto dalla

donna in seno al nucleo familiare, dove sifa carico della maggior parte dei compitidomestici, e di cura dei bambini. Più cir-coscritto l’impegno degli uomini, e limi-tato alla politica di milizia. La politica in Svizzera. Il suffragio fem-minile è stato concesso molto tardi a livellofederale, nel 1979. Diversamente a livellocantonale, in Ticino ‘già’ nel 1969, inAppenzello interno solo nel 1990, su deci-sione del tribunale federale. Nell’arcodegli ultimi quattro decenni si è andatoampliando, anche di molto, il peso delledonne sulla scena politica, e alle ultimeelezioni del Consiglio nazionale nel 2015hanno conquistato il 32% dei seggi. NelConsiglio degli Stati, nei Gran Consiglie nei Parlamenti cantonali i risultati sonostati più modesti. Si nota subito dalle sta-tistiche che la quota di candidate a ognitipo di elezioni è inferiore a quella degliuomini, generalmente, come nel caso delleelezioni del 2015, circa un terzo dei can-didati e degli eletti è donna, percentualiche variano molto tra Cantoni, e tra partiti,con una maggior propensione da parte diecologisti, e socialisti a candidare donne.

Statisticamente, del resto, la probabilitàdi successo di una candidata donna nel-l’arco di quarant’anni è andata aumentan-do fortemente, raggiungendo quasi il livel-lo degli uomini. L’ampio deficit di rap-presentanza rimane quindi riconducibileal numero di candidature, decisamenteinferiori. Solo di recente il peso femminileha raggiunto il massimo organo politico,infatti, nel 2008 sono state elette al Con-siglio federale tre donne, salite a quattrotra il 2010 e il 2011. Più contenuta la rap-presentanza a livello cantonale, sia neiGoverni che nei Parlamenti intorno al25%, e da diverso tempo ferma al palo,benchè anche in questo caso si registrinoforti divergenze, dal 37% di Basilea Cam-pagna, al 15% del Vallese. Donne e media digitali. Per quanto ledonne continuino a rivestire un ruolo dipeso nella società, e nelle economiemoderne ben al di sotto del loro potenziale,come ha evidenziato lo studio di McKin-sey, rimane innegabile la ‘rimonta’ che leha viste protagoniste nel corso degli ultimianni. Tale fenomeno è andato a coinciderecon il crescere per importanza dei media,nonchè con la digitalizzazione in primoluogo degli stessi, e dell’economia. Il ter-ziario, più o meno avanzato, settore disbocco tradizionale della manodoperafemminile specializzata, e quelle divisioni

«Si sono andate imponendonuove forme di lavoro,

che richiedono oltre a una

diversa forma di concentrazione,

soprattutto un nuovostrettissimo rapporto

di fiducia tra datore di lavoro, e collaboratori,

prima impensabile»

Christiane Tureczek,giurista e membro

dell’Associazione svizzera dei quadri

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delle multinazionali a più alta concentra-zione di donne (marketing, e comunica-zione) è stato il primo a essere investitodalla rivoluzione digitale, e il primo apoterne fare esperienza. Ciò, unito a unanuova apertura in primo luogo culturaledella società, in particolare tra le nuovegenerazioni, e a nuove forme di lavoro hadi fatto favorito la rivalutazione del ruolodella donna, pur a diverse velocità, a secon-da dei Paesi e una sua costante crescenteinclusione. A tal proposito il Cedaw, ilComitato delle Nazioni Unite per l’eli-minazione della discriminazione nei con-fronti delle donne, nel 2009 si era dettopreoccupato ‘in merito al persistere diatteggiamenti e stereotipi tradizionali radi-cati, soprattutto nei media, minanti lo sta-tus sociale della donna, che contribuisconoa svantaggiarla nell’accesso a posti deci-sionali importanti, e nella partecipazionealla vita politica’ rispetto la coperturamediatica in Svizzera, tanto da suscitareuno studio dell’Università di Friburgo,finanziato dalle autorità federali. La con-clusione dell’indagine? Pur non rintrac-ciando ‘alcun modello di genere’, in tuttele regioni linguistiche è stata riscontratauna sottorappresentanza femminile rispet-to alla loro quota di candidati. Per quantoquindi si confermi la sovrarappresentanzamaschile, già in larga maggioranza pernumero di candidati, ed eletti, di contraltoè da rilevarsi la parità di trattamento trasessi, un dato non ancora realtà in moltistati. Rimane la possibile correlazione trauna rivendicazione di sempre maggioridiritti da parte dell’altro 50% della popo-lazione, e una copertura mediatica sempre

più equa e altrettanto pervasiva, spesso inmano alle donne stesse. Nonostante «cisiano pochi media in cui le donne abbianoveramente voce in capitolo a livello deci-sionale, è vero esserci un’alta partecipa-zione delle donne alla forza lavoro del set-tore. In particolare negli ultimi anni sonofiorite redazioni dedicate in numerose

riviste e quotidiani», conclude la vicepre-sidente del FaftPlus.Passi avanti o passi indietro? In sostanzaassistiamo a un enorme spreco da partepubblica e privata: nei Paesi avanzati loStato investe il 50% delle sue risorse perfar crescere e formare una popolazionefemminile che ‘restituisce’ solo una partedell’investimento, partecipando meno almercato del lavoro, (soprattutto in certefasi della vita) in ruoli meno produttivi epeggio pagati. Uno spreco identico si notanelle aziende. Nella piramide dell’aziendatipo troviamo oltre il 50% di donne allabase ma solo un 10, al massimo 20% neiruoli di management e top management.Erano davvero così poche le donne in gra-do di salire i gradini della gerarchia azien-dale? Non è probabile. L’azienda ha quindisprecato buona parte del suo potenziale.

Le ragioni sono molte: da una parte esi-

42 · TM Marzo 2017

Alessandra Alberti, laurea in ingegneria ali-mentare al Politecnico di Zurigo, è da quasivent’anni direttrice di Chocolat Stella di Giu-biasco, e una delle poche donne ticinesi adaver fatto una concreta esperienza in un temporelativamente lungo alla testa di un’azienda.«Lavorare in una realtà famigliare di mediedimensioni, mi ha dato la grande opportunitàdi imparare molto su più fronti: organizza-zione il lavoro, tenere i rapporti col personale,gestire e risolvere ogni sorta di problemi tec-nici» dice la direttrice «nonché di ampliare,anzi raddoppiare, la produzione e le unitàproduttive, costruendo anche un nuovo stabileproduttivo».Alessandra Alberti aveva solo 30 anni quandovenne promossa nel 1999 come direttricedopo soli due anni di attività in azienda.

«Gli azionisti hanno dimostrato un certo coraggio ad affidare a una giovane, donnaper di più, una responsabilità così grande» afferma. Una sfida comunque accettatanonchè vinta, poiché oggi l’azienda va a gonfie vele, con fatturato e produzione rad-doppiati nei numeri, grazie anche alla superficie produttiva con i nuovi macchinariaggiunti: il che ha permesso una produzione ancora più razionale.«Essere donna non ha inciso né positivamente né negativamente. Conoscevo giàtutti e la sfida che ho raccolto non è stata solo mia, ma di tutto il team che si era

Un paradigma di successo

L’avanzata delle donne nella politica svizzeraDonne elette in % dal 1971 al 2015

Elezioni del Consiglio nazionale

Elezioni del Consiglio degli Stati

Elezioni dei Parlamenti cantonali

Elezioni dei Governi cantonali

Fonte: Ufficio federale di statistica UST

1971 1975 1979 1983 1987 1991 1995 1999 2003 2007 2011 2015

35

30

25

20

15

10

5

0

Da quando hanno ottenuto il dirittodi voto, anche in Svizzera è iniziata larincorsa elettorale delle candidate.Di recente si è osservata una primainattesa battuta d’arresto.

Alessandra Alberti, direttricedella Chocolat Stella diGiubiasco.

© TiP

ress

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stono discriminazioni di genere quasi invi-sibili. Nell’età evolutiva sono mille le pic-cole ‘spintarelle’ da parte di genitori,parenti e perfino insegnanti che portanole ragazze a preferire gli studi umanisticia quelli scientifici e a sentirsi meno capacidei ragazzi. Nella prima età matura la granparte dei lavori di casa continua a ricaderesempre sulle donne. E non perché l’uomolavori. È interessante notare infatti che seil 63% degli uomini che lavorano a tempopieno non faccia nemmeno un’ora alla set-timana di lavori in casa, tra quelli disoc-cupati tale quota scenda solo al 60%! Frale donne invece il tempo dedicato ai lavoridi casa rimane alto indipendentementedalle ore lavorate ‘fuori’.

Con l’arrivo dei figli i problemi aumen-tano. Le strutture formative (dai nidi allescuole superiori) propongono il tempopieno ma con orari fissi. Gli stili di lavoronelle aziende, soprattutto per i ruoli piùinteressanti invece non conoscono orarifissi, o pari flessibilità, come cavarsela?Fare figli tardi, quando la carriera è giàavviata? Quella che sembra una soluzioneè in realtà un doppio sbaglio perché sirischia l’effetto-sandwich: ai figli grandi-

celli, ma che richiedono ancora assistenzasi aggiungono le prime esigenze dei rispet-tivi genitori ormai invecchiati.

Le aziende poi si confermano restie ainvestire su donne che potrebbero con lamaternità abbandonare il posto di lavoroo chiedere di ‘passare al part time’ o per-dere la flessibilità necessaria per adeguarsia emergenze e urgenze aziendali. Se il pro-blema è sia pubblico sia privato la soluzionenon può che passare da ambedue i settori.Il pubblico deve vigilare sui micro-com-portamenti che portano le donne a perderefiducia in se stesse come possibili leadero scienziate. Il privato deve rendersi contoche scaricare sui lavoratori tutta l’impre-vedibilità del mercato, e tutta la mancataprogrammazione, facendo del tempo dellavoratore l’unico elemento di flessibilitàè un gioco pericoloso. Solo poche personepossono resistere e queste poche non sononecessariamente le migliori, sono soloquelle più libere da compiti e legami.

Allo stesso modo occorre rivalutare dav-vero il lavoro part time che nella vita realeè sempre meno interessante, meno qua-lificato, peggio pagato e con minori pro-spettive di carriera del lavoro a tempo pie-

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1 23.02.17 08:48

andato formando, a cominciare dall’export manager, che ha messo le basi per accelerarelo sviluppo di una rete di esportazione. Oggi esportiamo in tutto il mondo circa il70% dei nostri prodotti, e circa il 70% di questi col nome del cliente». Convintache per raggiungere degli obiettivi è necessario avere la collaborazione di entrambiuomini e donne, Alberti ha messo in pratica questo principio all’interno del personale,dove donne e uomini praticamente sono in ugual numero. Da notare che Chocolat Stella ha vinto nel 2011 il Prix Egalitè: «diamo credito alvalore che ogni individuo può dare, uomo o donna, concedendo, se del caso, il tempoparziale e non solo, personalizzandolo. Chiaro però, che nei momenti decisivi devonoesserci tutti. Mentre in determinati orari o determinate stagioni dell’anno si puòessere più flessibili».Chocolat Stella è specializzata nelle nicchie di mercato, a nome proprio o altrui, perla capacità di piccoli quantitativi e produzioni speciali: senza aggiunta di zuccheri,il biologico, l’equo-solidale, il fairtrade. O ancora, magari prodotti vegani, senzalattosio o senza glutine, sempre più ricercati per bisogno o per desiderio, o moda. Alessandra Alberti non è favorevole alle ‘quote rosa’: «in certe grandi realtà puòessere necessario favorire la rappresentanza femminile, ma ritengo piuttosto, impor-tante, offrire alla donna le condizioni quadro affinché possa riuscire a gestire econciliare il lavoro, le varie attività e la famiglia. Se possibile quindi, offrire tempiparziali o job sharing, e creare strutture solide adatte a sostenerla. È stato fatto tantonegli ultimi anni, ma per permettere alla donna di non dover scegliere tra famigliae lavoro, rimane ancora molta strada da fare» afferma. Ma quanto è difficile per un uomo ‘ubbidire’ ad una donna? «Bisognerebbe chiedereai nostri uomini, ma penso che se si cerca di coinvolgere le persone, e di gestire lecose più con autorevolezza che in modo autoritario, non è così difficile. Ma megliochiedere a loro!».

Donatella Révay

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44 · TM Marzo 2017

no. In fondo quanti top manager di quellestesse aziende lavorano part time per l’im-presa, dedicando metà del loro tempo aincarichi politici, associativi, o ad altreimprese del gruppo?

Il part time è un affare d’oro per l’a-zienda che ottiene (e paga) solo il megliodel tempo del suo collaboratore: le poche

ore in cui è davvero creativo e propositivo,concentrato sull’obiettivo. Per quantoancora non molto utilizzato da certi livelli,in su. La tecnologia poi permette un parttime flessibile, con ore di presenza virtualeda affiancare a quella fisica in ufficio. Latecnologia potrebbe essere un volanoimportante nello sviluppo della parteci-

pazione femminile. È vero da tempo. Manmano che le macchine hanno sostituitol’uomo nei lavori manuali non c’è statopiù bisogno di quel surplus di forza fisicache lo caratterizza. Ma allora perché nellalogistica, nei trasporti, nel manifatturierole donne sono ancora una netta minoranza?

Ma non è solo questo. Il terziario piùavanzato non solo non ha bisogno di alcu-na specificità maschile, ma anzi mostra ilimiti dell’approccio confrontazionale,palesemente aggressivo, poco attento allenuance che si associa più di frequente agliuomini. Facebook, Instagram, Linkedin,Twitter… le donne si muovono come pescinell’acqua dei social media. Sarà un casoche il Ceo di Google, Susan Wojcicki, siaproprio una donna? Se il giornalista ‘dicarta’ ricorda ancora quelli di Prima pagi-na, il giornalismo web (se la locuzione nonè un ossimoro) è su misura delle specifichecapacità femminili, come del resto la pro-duzione di App e le applicazioni di intel-ligenza artificiale. La tecnologia è un’op-portunità, ma attenzione: come si va avanti,si va anche indietro. In diversi Paesi, infatti,il rilancio dell’occupazione femminile ele nuove politiche di inclusione delle donnenel moderno mercato del lavoro dovrannofarsi carico anche di una sostanziale revi-sione dei sistemi fiscali, che ancora oggiscoraggiano l’inclusione del secondo mem-bro tra le coppie a medio e basso reddito.

Se vi è un arretramento dell’occupazio-ne, una coppia può scegliere di mandaresono uno dei componenti (fatalmente lui)sul fronte del mercato del lavoro. Se i salari(e i contenuti delle mansioni) scendonosotto certi livelli per la concorrenza del-l’automazione le donne potrebbero deci-dere che il gioco non valga la candela.

Ma in assenza dei correttivi auspicati,e di politiche adeguate tutto questo è desti-nato ad avvenire non senza costi, in primoluogo sociali. Del resto se passa l’idea chesolo i figli ben seguiti a casa avranno suc-cesso e felicità, molte donne potrebberodecidere di non tornare nel mondo dellavoro nemmeno quando i figli sarannograndi. Insomma, occorre una grande bat-taglia culturale dove si mostri con chiarezzache dare ‘pari opportunità’ non è facile,ma conviene a tutti. ❏

L’associazionismo femminile ha spesso svolto un ruolo di rilievo nella rivendicazionedi pari diritti tra uomo e donna, facendo pressione sulle istituzioni politiche per laconcessione di sempre nuovi diritti, che ne elevassero la figura in ambito socialee normativo. Nel 1957 nasceva la Fondazione Associazioni Femminili Ticino, conlo scopo di raggruppare tutte le associazioni femminili attive in ambito politico,sociale, e culturale per la conquista del diritto di voto. Nel corso del tempo la‘mission’ iniziale è andata adeguandosi ai nuovi obiettivi, e nel 1997 ha dato vitaal Consultorio Giuridico Donna e Lavoro per promuovere la conoscenza dellalegge sulla parità dei sessi del ‘96. Nel 2015 si assiste a una apertura della base asso-ciativa e alla definizione tre nuovi obiettivi: riunire organizzazioni ed enti che sioccupino di parità, promuovere e salvaguardare tale parità, rappresentare gli interessidi categoria presso le istituzioni. Tra le associazioni più influenti in tale ambito il Club Soroptimist, più di 3mila,con oltre 90mila socie, di cui 1850 in Svizzera, divise in 58 sedi. I diversi club sicontraddistinguono per un impegno concreto in tematiche ad alto impatto sociale,come la formazione giovanile, obiettivo del biennio 2016-18. Tra questi «è benericordare il Club Soroptimist Lugano, fondato nel 1977, che sostiene Spazio Ado,Fondazione Amilcare e devolve borse di studio annuali a studentesse del Csi e uni-versitarie» afferma Isabella Zardi, l'attuale presidente. Altra realtà internazionale, l’associazione Business Professional Women, unisce esostiene le donne attive in ambito professionale, promuovendo il networking, esviluppando progetti di mentoring. Il Bpw è rappresentato presso le principali asso-ciazioni internazionali, dall’Unesco all’Unicef, dalla Fao all’Ilo. La sezione svizzeracon 40 Club, e oltre 2500 socie costituisce un’importante realtà, in particolare inTicino dove promuove l’Equal Pay Day, e il mentoring.

L’associazionismo femminile

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Fonte: Statista, Company report

■ Lavori tecnici ■ Management ■ Forza lavoro

La tecnologia è un mondo ancora maschile, ma…Quota di donne impiegate per impresa (in %)

Il peso delle donne nelle tecnologiaè ancora contenuto, ma in rapidacrescita. Nonostante siano ancorapoche nei ruoli più tecnici, altrove ègià iniziata la scalata.


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