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DI GIAMBATTISTA MARINO III - Alessandra Ruffino · a cura di A. Franceschetti, Firenze, ... gine)...

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OPERE DI GIAMBATTISTA MARINO III
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OPERE

DI

GIAMBATTISTAMARINO

III

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OPERE DI GIAMBATTISTA MARINOa cura di Marzio Pieri e Marco Albertazzi

PIANO DELL’OPERA

1) L’ADONE, a cura di M. Pieri, in 3 tomi.

2) LA LIRA, a cura di L. Salvarani.

3) LA GALERIA, a cura di M. Pieri e A. Ruffino.

4) LA SAMPOGNA, a cura di M. Pieri.

5) DICERIE SACRE, a cura di M. Pieri.

6) POEMETTI VARÎ, LA SFERZA, LETTERE SECONDO LE STAMPE SECEN-TESCHE, VITE DEL MARINO, a cura di M. Pieri e D. Varini.

In preparazione:

L’ADONE IV. MATERIALI, a c. di M. Pieri, L. Salvarani e D. Varini.

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GIAMBATTISTA MARINO

LA GALERIA

A CURA DI

Marzio Pieri e Alessandra Ruffino

IN APPENDICE

La Galeria del Cavalier Marinoconsiderata vien dal Paganino

CD-ROM

Pitture per la Galeriaa cura di Alessandra Ruffino

LA FINESTRA

TRENTO

MMV

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Tutti i diritti sono riservati

Coperta: GIOVANNI TAMBURELLI

2005 © LA FINESTRA EDITRICE

piazza Grazioli, 12, 38015 Lavis (TN) - ITALIA

WWW. La-Finestra.com - [email protected]

MADE IN CEE

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GALLERIE

MARINO E L’IMMAGINE IN ESILIO

di Alessandra Ruffino

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1.L’immagine in esilio

La Galeria è un’opera d’esilio. Labili, schermate, velate da un’idea, le immagini cui essa allude sono i simulacri d’un museo che non esistese non nelle risacche di cervelli «svegliati e arguti». È un grande giocodi prestigio la Galeria: la sua verità – sempre che di una sola si possaparlare – sta proprio nella parvenza e nell’illusione che essa montadavanti alla nostra intelligenza, prima ancora che sotto i nostri occhi.L’obbligata premessa d’una nuova esplorazione di quest’opera poggiaperciò in quella nitida affermazione, secondo la quale nella visionemariniana «tout est dans le voile»1, o nella trasparenza dello specchioche, nel segreto, implica la pienezza della presenza. Riposano nel me-desimo segreto, come in un brusio, le molte fonti che confluiscono algran corso della poesia mariniana, laddove si può, sì, indovinare «lavoix des poètes classiques, mais leurs visages ne transparaissent qu’àtravers un cristal»2.

Un tempo sincopato, in questo libro, differisce l’unisono e il piaceredella consonanza immagine-testo: i quadri della Galeria non sono maifigurazioni, ma idee3, ideali (si pensi alle generiche e intercambiabiliMadonne di Correggio o Raffaello), quando non son addirittura nomiche rimandano ad altri nomi (è il caso della serie di pittori milanesi,implicito omaggio al – mai nominato – Borromeo, penitenziale patronodi Cerano, Morazzone e Procaccini). Sulla base d’un abbozzo o del-l’archetipo di un soggetto Marino fa reagire l’idea dello stile, ma questa somma di idea + stile è un’addizione illusionistica, che non doppia incalco la maniera degli autori dei dipinti, ma replica e varia semprequella del Marino stesso, determinando il bordone che scandisce lasostanziale monotonia dell’intera raccolta.

1 M.-F. TRISTAN, La scène de l’écriture. Essai sur la poèsie philosophique du CavalierMarin, Paris, Champion 2002, p. 148.2 C. SENSI, La poèsie lyrique: état des lieux. I – Marino, le prince astucieux, in «XVIIe

siècle» n. 197 (oct.-déc. 1997), p. 678.3 Cfr. F. GUARDIANI, L’idea dell’immagine nella Galeria di G.B. Marino, in Letteraturaitaliana e arti figurative, Atti del Convegno di Toronto-Hamilton-Montreal (6-10.5.1985),a cura di A. Franceschetti, Firenze, Olschki 1988, vol. II, pp. 647-654.

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E poi, «Perché povero è l’or presso l’inchiostro»4, gran teatro di scrit-tura è la Galeria, che – al di là del paragone tra pictura e poesis – sem-bra certificare il proprio senso profondo nella fiducia che la scritturasia il vero oro filosofico, che di molto sovrasta la bellezza e l’eloquenzamuta della pittura. Più del prodigio dell’Arte che supera la Natura,nella Galeria, si celebra il fasto della scrittura che supera le arti visive:è per ciò che il Marino non descrive quasi mai i dipinti presi a pretesto, ma minia componimenti che non vogliono mimeticamente aderire alquadro o al disegno in causa, ma lo reinventano, lo integrano o lo‘marinizzano’ (questo è il Marino pittore), sottraendo il medesimo a una definizione che valga una volta per tutte, e facendo sì che le poesiefiniscano per sostituire del tutto le opere pittoriche che dovrebberocircoscrivere o richiamare. Nella Galeria non duellano solo immagine e parola, ma vi è una più vasta, e aspra, contesa tra parola e silenzio, tra immagine (da intendersi come presenza) e assenza, tra pienezza e va-cuità. Anzi, sarebbe forse più corretto rettificare il predicato gioco diprestigio nella formula del gioco d’azzardo. L’azzardo che il Marino ten-ta con la Galeria (con esiti un po’ deludenti) è quello di una deliberatamessa in esilio dell’immagine, che – illudendoci del contrario – parevolerci dire che pittura, scultura e arti decorative nascono dalla poesia, e non viceversa. Questo doppio gioco di specchi ribalta il superficialeproposito della Galeria (che vorrebbe la poesia al servizio dell’imma-gine) per allinearsi alla provocazione di Giordano Bruno, il quale inse-gnava come fossero le regole a nascere dalle poesie, e non viceversa5.Allo stesso modo, quando il Marino enuncia uno dei versi più fraintesi della poesia italiana («è del poeta il fin la meraviglia»)6, vuol dire a chisappia intendere che la meraviglia è l’inizio della poesia, e non il/lafine7. Finalismo e finitezze poco s’addicono a un maestro del non-concluso (il termine, ovviamente, va letto in antitesi agli horti conclusiin cui s’infeudano i classicisti) quale fu il Marino.

4 G.B. MARINO, Il Tempio, Panegirico del Cavalier Marino alla Maestà Christianissima di

Maria de’ Medici, In Lione, & ristampato in Torino, ottava 10.5 «…la poesia non nasce dalle regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regolederivano dalle poesie», G. BRUNO, De gli eroici furori, in Dialoghi filosofici italiani, a curadi M. Ciliberto, Milano, Mondadori 2000, I, I, p. 783. Per i rapporti Bruno-Marino cfr. N. ORDINE, La soglia dell’ombra: letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, prefazionedi P. Hadot, Venezia, Marsilio 2003, pp. 236-237, nn. 25-26.6 Nella Fischiata XXXIII de La Murtoleide, Francoforte, Beyer 1626: su di essa si vedaM. PIERI, Fischiata XXXIII. Un sonetto di Giambattista Marino, Parma, Pratiche 1992.7 Cfr. M. PIERI, Nota al testo in G.B. MARINO, L’Adone, Trento, La Finestra 2004, p.lxxxii, ma anche la decisiva lezione M. PIERI, Fischiata XXXIII. Un sonetto diGiambattista Marino, Parma, Pratiche 1992.

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È un’opera di riflessi infedeli la Galeria, nata come è in cuspide adue distinte orbite progettuali. Fiorita da un progetto editoriale che s’accampava nell’utopia8 (Marino, alla lettera, cerca sempre il fuori-luogo), fruttò invece – a tempi maturi – un volumetto mùtilo delleimmagini insieme alle quali la serie poetica era stata pensata. Alungo il desiderio della Galeria si era intrecciato a un altro pensiero. Negli stessi anni che precedettero la stampa della raccolta, Marinoandava raccogliendo la propria personale collezione d’arte, di modoche i due progetti – quello collezionistico e quello scritto – si con-fusero interferendo senza sosta e senza mai arrivare, come si diceva, alla sincronia o alla coincidenza.

Ma lo specifico del mostro-poeta è di cambiare le carte in tavola e digiocare partite ai limiti del possibile. La partita che Marino gioca da un lato su un versante totalmente materiale, e dall’altro concettuale, è un poco straniante, tutta tesa tra una spinta fortissima all’accumulodell’avere (la proverbiale foga collezionistica) e, per contro, a un modod’essere nel quale l’invadente consistenza del desiderio produce perparadosso l’impalpabile simulacro di quello che non c’è. In tutto ciò, «i “sensi” del Marino – dei quali tanto si è scritto… – altro non sarebbero dunque che ombre cinesi sui muri di una cella volontaria»9.

Malgrado una denominazione che potrebbe rinviare all’idea di unpercorso o a quella della circolarità d’una mostra, la Galeria non portainfatti da nessuna parte. Dopo averla attraversata si ha la sensazione,non so, di aver corso sul posto, o d’essere rimasti in attesa di unarivelazione che non arriva. Essa è un’esplorazione delle possibilitàdella parola e della metrica, non di quelle della pittura: il principiodeterminante – come spesso in Marino – è quello della variatio, e nonquello dell’inventio. Messi sotto vuoto, i componimenti della Galeria sioffrono come interrogazioni di memoria. La Galeria può essereconsiderata un museo, solo a patto che questa parola indichi il luogodelle figlie della dea Memoria. È un’opera che condivide con la

8 Un annuncio dell’imminente pubblicazione d’una «raccolta di detti ritratti [scil.d’uomini illustri), ciascheduno col suo elogio, intitolata la Galeria» è già nel 1609 in una lettera da Ravenna allo Stigliani (cfr. G.B. MARINO, Lettere, a cura di M. Guglielminetti,Torino, Einaudi 1966, n. 53, p. 103). Delle ambizioni tipografiche vedi, p. es., Lettere n. 78, p. 143: «la Galeria contiene quasi tutte le favole antiche. Ciascuna favola vieneespressa in un disegno di mano di valent’uomo; e sopra ogni disegno io fo un breveelogio in loda di quel maestro e poi vo scherzando intorno ad esso con qualchecapriccio poetico. Già n’ho accumulata una gran quantità de’ più famosi ed eccellentipittori di questa età, e voglio fargli tutti intagliare con esquisita diligenza. Le poesie, che vi entrano, son tutte in ordine; e sarà (credo) un libro curioso per la sua varietà.» (daTorino a Bernardo Castello, 1613); si vedano inoltre le lettere n. 153, p. 285 e n. 154,pp. 286-287.9 Cfr. M. PIERI, Per Marino, cit., p. 227.

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tradizione mnemotecnica la natura ancipite che connotava quell’artecome tecnica retorica e, nel contempo, come pratica esoterica.Sopravvivono in Marino ambo le parti di essa.

È allora a questo punto che conviene inserire una variante filosoficae quasi metafisica nella lettura della Galeria: giacché in essa, esatta-mente come in molte discipline esoteriche, potrebbe esserci la richiesta di rigenerarsi e di non morire. Costruendo di pietre verbali un edificioche non esiste, Marino trova il suo lapis filosofico: «pur volsi conscarpel ruvido, e scabro,/ Con mal polita, e ruginosa lima,/ InespertoScultore, ignobil Fabro,/ Edificio celeste ordire in rima»10. La fabbricadella galleria è un luogo della mente, un antidoto alla vertigine di unaparola che si disperde, implode e può precipitare nell’estinzione. Sisente, negli interni della Galeria, un’angoscia di chiusura, forse quellastessa oppressione claustrofobica che aveva suggerito a Mario Praz11

un parallelo tra Marino e Jan Brueghel dei Velluti, grande allegoristadei cinque sensi e decoratore di tavole gremite di monetieri, voliere dipappagalli, stipi dai molti cassetti: il catalogo del mondo, certo, matutto costretto nell’angustia di pochi centimetri o conservato sotto for-malina, come in una fissazione – si vorrebbe dire per abusione – da“ebanista fantastico”12.

Ma dopo aver attraversato la Galeria, pur tutta inquadrata com’è inun’architettura accuratamente congegnata, ci accorgiamo appunto che il disegno d’insieme non ha tenuto e che tutto è scheggiato in milleframmenti. Il senso dell’opera – o meglio dell’operazione – non va cer-cato in una sorta di durata (alla cui aspettativa potrebbe appunto av-viarci e sviarci l’idea spaziale della galleria), bensì in quel tipo di strate-gia di massa13, applicata anche nelle Dicerie sacre. Si tratta di unatecnica che confida nell’unica fidelitas che al figlio della sirena Parte-nope riuscisse, ovvero su una fede retorica, la cui molla passionale –vertendo su un piano che dà piuttosto nell’incorporeo che nel materia-le – resta prevalentemente cerebrale.

Le pitture della Galeria sono i colores, le emanazioni ultime di unaretorica onnipervasiva e tracciano una topografia che spinge le proprie estreme propaggini oltre il logos per sbarcare nel continente eros:

10 G.B. MARINO, Il Tempio, cit., ottava 294.11 Cfr. M. PRAZ, Mnemosyne, un parallelo tra letteratura e arti visive, Milano, Mondadori1971, pp. 123-128.12 L’espressione è tratta dalla celeberrima e, suo malgrado, illuminante censura che ilMilizia riservò all’architettura del Borromini.13 Sulla tecnica di distribuzione orizzontale delle masse verbali e dell’accumulo secondo un modello di “magazzino” vedi G. POZZI, Ludicra Mariniana, in «Studi e problemi dicritica testuale» 6 (1973), pp.154-155; sulla fede retorica del Marino cfr. M. PIERI, PerMarino, cit., p. 48, sul rapporto tra retorica-mito e menzogna vedi le osservazioni di C.SENSI, La poèsie lyrique: état des lieux. I – Marino, le prince astu-cieux, cit., pp. 711-713.

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laddove eros non è il brivido d’una più o meno pruriginosa lussuria,bensì il sistematico complemento contemplativo e allegorico della ra-gione logica. Così, nel sistema mariniano, la Galeria rappresenta il côtécongelato e cinerino dello scintillante ed estuoso clima del ‘poemagrande’: essa, che pare derivare da un procedimento di genesi in pro-vetta, ci appare infine come un presepe infreddolito e innevato di pol-vere. Marino, che (come condensò in cifra Borges)14 era hacedor, facito-re, fallì la partita-Galeria forse proprio per averla subordinata a unatroppo concettosa pianificazione. E in più, verrebbe da pensare, lostesso compito di conservazione che pertiene a un museo poco siconfaceva a un poeta che si voleva capo d’una maniera propria15.

Per il resto, con quel radicale richiamo all’allòs, ‘altro’, la matriceallegorica si pone a sigillo dell’intera opera del Marino (e forse pure della sua biografia di “pesci-huom”16, binaturato e sfuggente e,comunque, sempre altrove). Certo, nel segno dell’altrove è da porsila biografia del libro-Galeria: vagheggiato prima in modo asistema-tico (si pensi al nucleo di componimenti pubblicati nelle Rime del1602 e riconvertiti al progetto-Galeria), indi composto per lo piùdurante il soggiorno torinese e poi liquidato, con po’ di disaffezione,da Parigi, perché era tempo di altre dedizioni, e Marino, covando ilsogno di realizzare l’opera del secolo, già si cimentava nella sfidaquasi pazza17 di rivendicare a una storiella angusta una staturaepica assoluta. Per farlo, però, doveva passare in altra terra. Eprima dell’esilio c’erano da passare soglie e frontiere. La soglia sulla quale sostò il Poeta fu Torino.

14 Si allude alla pagina Una rosa amarilla, in J.L. BORGES, El Hacedor, in Obrascompletas, Buenos Aires, Hemecè Editores 1974, vol. II, p. 173, nella quale il grandepoeta argentino immagina il Marino in punto di morte che contempla una rosa gialla,la pagina è inoltre richiamata, a sigillo dell’intera opera, nel gran libro della TRISTAN, Lascène de l’écriture, cit., p. 615. Tutte le opere del Marino son del resto fittamentepopolata di figure e immagini fabbrili, solo nella Galeria sono più di 30.15 La conservazione è il proposito degli istituti museali, ma una spia lessicale confortalo spunto ivi offerto: «Havvi la Galeria, ch’è come dir pinacoteca, luogo doveanticamente (come riferisce Petronio Arbitro) si conservavano le pitture», Introduzionealla terza parte delle ‘Rime’, in MARINO, Lettere, cit., p. 607.16 Cfr. T. STIGLIANI, Mondo nuovo, XVI, 34-36: «Esser devria quest’animale in vero/scimia del mar, più che pesciuom, nomato:/ poi che più a quella è simile, ch’a questo,/ e ciò, ch’altrui far vede, è a rifar presto» (il passo è cit. in M. PIERI, Per Marino, cit., p.145).17 Non è aggettivo a caso: nel proposito di emulare, possibilmente superandolo, il poe-madel Tasso, Marino si prefigge in seconda battuta di superarlo se non altro in follia cfr.G.B. MARINO, Lettere n. 77, p. 141: «Iddio mi dotò (la sua mercé) d’intelletto tale, che sisente abile a comporre un poema non meno eccellente di quel che si abbia fatto il Tasso.[…] e s’io non mi posso in altro agguagliare a quel gran poeta, voglio almen pretendere divincere il paragone nell’esser più matto di lui.» (a Bernardo Castello, da Torino 1613).

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Benché stratificatasi in un lungo tratto di anni, la composizione della Galeria ha il suo snodo decisivo – come si accennava – nel soggiornotorinese del poeta tra 1608 e 1615. Una ‘torinesità’ della Galeriapotrebbe essere spiegata tramite il filtro di alcune attitudini tipicamen-te mariniane quali l’ambizione, la presunzione di modernità, e ilconcetto (se non perfino il sentimento) di frontiera. L’ambizione è perMarino, vorremmo dire, un dato esistenziale e caratteriale, l’ambizione di modernità è quella ripetutamente rivendicata con l’orgoglio dei molti «la poesia richiede singolarità»! e di affermazioni trasversali come quel-la, già poco sopra sfiorata, che ora si riporta:

Suole egli [scil. Marino] commendare que’ dipintori che si fanno capid’una maniera propria loro, quali sono stati Rafaello, il Correggio eTiziano, e non que’ frustapennelli, i quali altro non sanno ch’essercopisti delle tavole vecchie. Per la qual cosa, se bene egli ha caminatoper la medesima strada già calpestata da’ Toscani classici non ha peròpotuto posare superstiziosamente le piante su le stesse pedate loro,nella guisa che molti fanno.18

Il Ducato di Savoia era negli anni del soggiorno del Marino in ascesapolitica e culturale. Nuovo protagonista della politica del tempo, ilDuca Carlo Emanuele I era il principe che – aveva ben intuito il Mari-no19 – meglio di altri avrebbe potuto assicurare allo spregiudicatonapoletano il primato moderno tra i poeti. Un borgo prealpino di fron-tiera si preparava, in un processo che si compirà nel Settecento, a di-ventare la capitale di un barocco «d’una maniera propria» sua. Torinostava per inventarsi quel barocco speciale che rivisitava il Medioevo nei goticismi, arresi a seduzioni orientali, della cupola della Sindone, e che – soprattutto – riaccoglieva la viva nudità del Romanico (si pensi aimattoni rimodellati in toccanti rotondità nelle ricettive, e palpitanti, esobrie superfici di Palazzo Carignano)20. Ecco, la faccia unica, benchéancora latente, di questa città (ma poi quanta parte avranno le archi-tetture fantastiche nell’Adone!), anzi, forse il presentimento di questacittà a venire, mise il Marino nella condizione migliore per tentareimportanti esperimenti letterari. A Torino presero corpo la grandeesperienza prosastica della Dicerie sacre e la suite madrigalistica dellaGaleria.

18 Introduzione alla terza parte delle ‘Rime’ (firmata dall’editore, ma quasi certamente dimano del Marino) in G.B. MARINO, Lettere, cit., p. 604.19 Lo ha ben spiegato M. GUGLIELMINETTI, Introduzione a G.B. MARINO, Lettere, cit., pp.XIII-XV.20 Naturalmente la prima - e ancora ineguagliata - lettura di questo altro barocco èquella di A. GRISERI, Le metamorfosi del Barocco, Torino, Einaudi 1967.

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Passata la frontiera, il poeta svolterà verso il monumentale nellaterra che storicamente sarà (o parrà) il più solido baluardo anti-barocco e abbandonerà la Galeria come progetto eminente. E la primaedizione, assai dimessa, del libro imprimerà nella penna del poeta gliaccenti d’un acuto risentimento del quale lo stampatore Ciotti, respon-sabile di tanta sciatteria, sarà bersaglio21.

Una sorte consimile, in sèguito, confonderà e menomerà – tradisgraziati naufragi e fortunosi ritrovamenti – la galleria che il poeta di Adone aveva fantasticato, implorato e riscattato in una vita da«cùpido di cose d’arte». Casse di manoscritti, bagagli, tele e disegniverranno fermate in dogana, e non otterranno mai il ricongiun-gimento col loro legittimo proprietario.

21 Cfr., p.es., G.B. MARINO, Lettere, cit., nn. 138-139, pp. 257-261.

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2.I pittori del Marino

Un altro modo per avvicinarsi alla Galeria è quella di vagliarne unodei sensi attraverso l’appello di presenze e assenze di artisti in essanominati. Nella Galeria le scelte dei pittori possono essere di volta involta dettate da ragioni di diplomazia, da occasioni d’amicizia, daconvenienza d’encomio verso i mecenati, da conformismo o da ragionidi altra utilità (magari accidentali conoscenze che comportavano peròla possibilità di dare refrigerio alla sete collezionistica, non sempreselettiva, del Marino). Vi si possono anche incontrare nomi che rinvia-no semplicemente ad altri nomi: sicché di frequente i “pittori delMarino” sono in realtà i pittori di Ippolito Agostini, Balì di Siena, oquelli di Carlo Emanuele di Savoia, o di Vincenzo Gonzaga, oppurequegl’altri collezionati dal Principe di Conca.

L’evidente sbilanciamento delle preferenze del Poeta verso l’artecontemporanea, che tradisce forse anch’esso l’ambizione del Marino di dar principio a una nuova epoca d’arte, comprende in modo pa-tentemente asistematico nomi, generi pittorici e maniere differenti. Ingenerale, inclusioni ed esclusioni dalla Galeria non si conformano a un livello medio di qualità e neppure riflettono una continuità di gusto.Figurano un po’ tutte le scuole, con prevalenza di alcune: l’emiliana su tutte (quasi 30 opere), con a seguire la scuola genovese, la veneta equella fiorentina (con 10 artisti e 16 opere); ovvero quelle scuole(tranne la genovese) che nella storia dell’arte successiva si distingue-ranno dal Barocco o in quanto autonome (Venezia), o per controten-denza (Firenze e il ‘classicismo’ emiliano)22: e tanto serva – una volta di più – a scampare dalle facilonerie d’etichetta.

22 Qui di necessità si semplifica anche un po’ grossolanamente: ma di certo il Seicentofiorentino (il cui speciale barocco è illustrato in P. BIGONGIARI, Il Seicento fiorentino. TraGalileo e il Recitar cantando. Firenze, Sansoni 1982.), dopo le algide ebbrezze dellaManiera, tornerà al Rinascimento, mentre anche in Emilia «La “révolution” introduitedans la peinture italienne et européenne par les Carrache suppose en effet un retouraux classiques de la Renaissance, à l’Antiquité, et à la Nature dont les Classiques et les Anciens ont observés les lois profondes», M. FUMAROLI, Rome 1630: entrée en scène duspectateur, in Roma 1630. Il trionfo del pennello, catalogo della mostra, Milano, Electa1994, p. 68. Sui rapporti tra letteratura bolognese e pittura: cfr. E. RAIMONDI, La

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Vediamo qualche esempio. Nella galleria mariniana il Veneto ricorrecon un rimarchevole gruppo di 22 opere: oltre all’obbligato omaggio aTiziano, il pittore più di tutti congeniale già a Pietro Aretino, vi si anno-verano opere del tizianesco Jacopo Palma, del ‘minore’ Giovanni Con-tarini, del Maganza e del Malombra. Seguitando a scorrere l’indice, tro-viamo l’ambito pittorico milanese rappresentato dalla triade borromaicaCerano-Morazzone-Procaccini, dal solista Caravaggio, oltre che dallacruciale figura di transito del Figino (allievo del manierista e leonarde-sco Lomazzo e maestro del Merisi, e già nel 1608 dedicatario e interlo-cutore del Ritratto del Serenissimo don Carlo Emanuello)23; troviamoquindi qualche pittore senese, alcuni pittori cremonesi e mantovani (più vicini al clima figurativo emiliano che a quello milanese), nonché unpugno di artisti attivi per Carlo Emanuele di Savoia. Non compaionopittori meridionali (anche perché l’area era rimasta arretrata in fattod’arte)24 e – fatti salvi i due campioni d’Arpino e Baglione (il primo alsoldo degli Aldobrandini, come il Marino giovane) – nella Galeria c’èanche poca scuola romana. Quest’ultimo fatto ci offre uno spunto noninutile, se pensiamo che la Romabarocca (quella consolidata nell’imma-ginario cartolinistico e manualistico) non accoglierà mai davvero ilMarino25. Anzi, la sorte intreccia talvolta i destini in parabole di sorpren-dente esattezza, e per un Marino acclamato a Parigi e assai ridimensio-nato a Roma, ci sarà un Bernini26 che, pur osannato nell’urbe papalina, una volta a Parigi non riuscirà a conquistare la corte francese.

Nel complesso, le scelte dei pittori paiono quindi determinate dal-l’estro d’un gusto che non si dà pena di elogiare la grandiloquenza diRubens, maestro internazionale d’un italianizzante e maiuscolo Ba-rocco, e di elogiare con pari enfasi sciape figure come quella di Ales-sandro Casolani, del Finzoni o di Ercole Sarti, tanto per dire. L’enco-

metafora ingegnosa. Letteratura a Bologna nell’età di Guido Reni, in ID., Il colore elo-quente, Bologna, Il Mulino 1995, pp. 21-53.23 Su quest’opera mariniana vedi M. GUGLIELMINETTI, Un «portrait du roi» avant lettre?Note sul mariniano Ritratto del Serenissimo Carlo Emanuello Duca di Savoia, in Politicae cultura nell’età di Carlo Emanuele I. Torino, Parigi, Madrid, Atti del convegnointernazionale (Torino, 21-24.2.1995), a cura di M. Masoero, S. Mamino e C. Rosso,Firenze, Olschki 1999, pp. 191-214. Nel saggio si suggerisce come nel panegiricomariniano il Principe diventi «non tanto l’immagine del potere politico, quanto delpotere della parola» (p. 214).24 In proposito, p.es., di Napoli si veda A. QUONDAM, La parola nel labirinto: società escrittura del Manierismo a Napoli, Bari, Laterza 1975.25 Malgrado il soggiorno dei primissimi anni il secolo, Marino non farà mai davveroparte della poesia ufficiale romana e, anche al trionfale rientro dalla Francia nel 1623,la corte del neoeletto Urbano VIII gli preferì altri poeti. Tempestiva, del resto, sarà lastessa messa all’indice dell’Adone, accusato di oscenità, nel 1627.26 Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) fu invitato nel 1665 da Luigi XIV, che gli commis-sionò il progetto – mai realizzato – per una nuova reggia.

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mio di una materia cromatica preziosa fino al fasto come quella diCristofano Allori, o eroticamente luminosa come quella, per esempio,di Ludovico Carracci, si accompagna con disinvoltura a scelte cheparrebbero poco compatibili con i modi del Poeta: penso ai tributi –replicati anche fuori della Galeria27 – a un pittore livido e sofferto come il Morazzone tutto tremori e sudori ed estatiche anoressie, presenteperò in galleria con un perduto e raro soggetto mitologico.

Con queste discrasie di selezione contrastano quei certi guizzid’intuito che non solo – ed è il caso più famoso – indussero Marino ad antivedere il talento di Poussin, da lui poi introdotto a Roma, ma anche a valutare con precoce attenzione la pittura di Caravaggio,del quale apprezzò il gusto dell’orrore-dilettevole, ben più che il rea- lismo28.

Tornando ora a considerare le più esplicite preferenze del Marino,potremo notare come l’opzione per la scuola genovese29 – oltre arispondere all’occasione del destinatario della Galeria, Giovanni CarloDoria – sposi l’estro del poeta all’eclettismo di una tradizione figurativa che, tra fine-Cinquecento e prima metà del Seicento, era assai aperta(grazie allo status di città portuale di Genova) ad influssi ispanici efiamminghi: si pensi a Cambiaso, ai Castello (da soli presenti con unnucleo di 16 opere), ai molti genovesi che al volgere del Cinquecentovennero chiamati a lavorare all’Escorial, e naturalmente a Rubens,Pourbus e, anche se dopo Marino, al Van Dyck (del resto originari deiPaesi Bassi rimasti cattolici, dopo la separazione nel 1579 dalleProvince del Nord riformate)30. Ben prima che altrove, inoltre, aGenova si affermò – secondo caratteri commerciali in sostanza ancoraattuali – un mercato dell’arte vivace e “affaristico”, che probabilmentenon mancò di consuonare con le ambiziose attitudini del Marino.Come dato non secondario, si ricordi infine che i principali artisti

27 Cfr. Adone, VI, 55 e XVIII, 99; Tempio, 40.28 Sulla scoperta di Poussin da parte del Marino cfr. l’antica testimonianza belloriananella Vita di Nicolò Pussino, in G.P. BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori e architettimoderni, a cura di E. Borea, introduzione di G. Previtali, Torino, Einaudi 1976, pp.424-425 e nn.; sul rapporto Marino-Poussin si vedano i saggi di M. FUMAROLI, La scuola del silenzio, Milano, Adelphi 1995. L’incontro Marino-Caravaggio – quasi inevitabileviste le comuni frequentazioni romane dei due artisti – è già illustrato in G.P. BELLORI,Le vite de’ pittori, cit., pp. 218-219.29 Si ricordi inoltre che il patrizio genovese Gian Vincenzo Imperiali è figura importantenell’Adone, e – più in generale – che, nel panorama artistico del tempo, la cittàrappresentava a tutti gli effetti una “eccezione”: cfr. p.es. G. PREVITALI, La periodizza-zione della storia dell’arte italiana, in Storia dell’arte italiana, Questioni e metodi, Torino,Einaudi 1979, vol. 1, pp. 76-79. Vedi P. BOCCARDO (a cura di), L’Età di Rubens, catalogo della mostra (Genova, marzo-luglio 2004), Milano, Skira.30 Solo a partire da quella data la cultura pittorica delle Province olandesi vedrà losviluppo di peculiari caratteri, soprattutto di stampo borghese.

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fiamminghi passati per Genova soggiornarono anche a Mantova. Lacorte dei Gonzaga era il luogo dove era cominciata l’avventura moder-na della favola pastorale (dall’Orfeo di Poliziano a quello di Monte-verdi), era la città che a lungo aveva ospitato Claudio Monteverdi e viadiscorrendo. Al servizio del Duca di Mantova furono le più acclamatecompagnie comiche dell’epoca, i “Gelosi” di Francesco e IsabellaAndreini, prima, e i “Fedeli” di Giovan Battista Andreini e della “Florin-da”31, poi. Ecco, con ciò si vuole suggerire che Mantova, o il confinepermeabile di Genova, o la Torino di un barocco presentito, rappresen-tano come emblemi certe precise disposizioni del Marino, non menoproteso verso l’avanguardia, che verso le situazioni – per così dire – di passaggio: per Marino, come per Montaigne (Essais, III, II), l’importan-te non è dipingere l’essere ma – per l’appunto – il passaggio. Fermia-moci qui, non prima di aver ricordato, fuor delle sintesi analogiche,che di fatto fu il Duca di Mantova a far liberare dal carcere Marino,dopo una prigionia torinese dalle cause32 mai chiarite.

Per riprendere ora il sommario censimento intrapreso, ecco che un imperfetto prospetto, molto orientativamente organizzato secondocriteri incrociati di periodizzazione, scuole pittoriche di riferimento e aree d’attività, vedrebbe i pittori della Galeria distribuiti come segue (le cifre tra parentesi a fianco del nome di ciascun artista riassu-mono il numero delle opere citate nella Galeria):

31 La Florinda (Virginia Ramponi Andreini), fu la prima Arianna di Monteverdi aMantova nel 1608, il Marino doveva essere tra gli spettatori di quel memorabilespettacolo, tanto che celebra l’attrice e cantatrice in Galeria, Ritratti-Donne (III), 8, e inAdone VII, 88. Non è inutile ricordare che i Gelosi e i Fedeli furono a in ripetuti elunghi soggiorni prestati dal Duca di Mantova, loro mecenate, alla corte di Francia,dopo documentate e forti pressioni di Maria de’ Medici. Isabella Andreini è cantata inGaleria, Ritratti-Donne (III), 7.32 La prigionia a Torino, di oscure ragioni, probabilmente per maldicenze del Marino nei riguardi del Duca, durò per 14 mesi a partire dall’aprile 1611.

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PRIM0 ’500 SECONDO ’500 ’600

ScuoleCremonese,Mantovana ed

Emiliana

Correggio (2)Parmigianino (1)

I. Andreasi (2)Agostino Carracci (1)

N. dell’Abate (1)il Malosso (1)

Annibale Carracci (2)

L. Carracci (3)L. Fontana (1)G. Lanfranco (1)B. Schedoni (4)L. Spada (2)G. Reni (4)G.L. Valesio (4)

Scuola

Fiorentina

C. Alberti (1)A. Boscoli (2)Santi di Tito (1)

C. Allori (2)L. Cigoli (2)P. Guidotti (1)D. Passignano (3)B. Poccetti (1)C. Pomarancio (2)A. Tempesta (1)

Scuola

Genovese

L. Cambiaso (6)B. Castello (10)

G.B. Castello il Genovese (6)G.B. Paggi (3)S. Scorza (2)

ScuolaLombardo-milanese

A. Figino (4) Caravaggio (2 + 1)il Cerano (1)F. Galizia (1)il Morazzone (2)C. Procaccini (1)

Scuola Romana

S. Pulzone il Caetano (-)F. Zuccari (2)

G. d’Arpino (6)G. Baglione (5)

Scuola Senese

D. Beccafumi (1) A. Casolani (2)V. Salimbeni (2)F. Vanni (3)

ScuolaMarchigiana e Romagnola

Raffaello (5) F. Barocci (1)L. Gentiloni (1)E. Sarti il Muto (1)

F. Finzoni (2)

Scuola Veneta

Sebastiano del Piombo (1)Tiziano (5)

F. Bassano il Giovane (1)G. Contarini (4)P. Veronese (1)

A. Maganza (1)P. Malombra (3)J. Palma il Giovane (5)C. Saraceni (1)

Incisori e miniatori

A. Dürer (1, falsa attrib.)

A. Tempesta (1)F. Villamena (1)

Pittori attivi a Torino

L. Brandin (1)V. Conti (1)G. Donnabella (1)M. Fréminet (2)G. Maina (1)

Pittori

Caravaggeschi

O. Borgianni (1)L. Spada (2)

Pittori

Fiamminghi

C. Cornelisz van Haarlem (3)F. Pourbus il Giovane (1)P.P. Rubens (3)

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La presa in esame di questo schema porta a interrogarsi su qualcheassenza significativa. Verrebbe per esempio da chiedersi perché, tra inove pittori di scuola veneta citati non figuri Tintoretto (la cui arte fupoi gemellata a quella del Tasso)33, ma verrebbe pure da domandarsiperché un maestro sublime e già classico come Michelangelo compaianella Galeria solo come scultore. Forse perché, mentre la pittura mi-chelangiolesca impagina ancora discorsi unitari pur nella molteplicità, la scultura del grande artista – per contro (e qui è ben facile rinviarealla lettura ungarettiana della Pietà Rondanini come incunabolo delBarocco) – cerca di rappresentare il passaggio (non il principio o il fine) ed è perciò gravida di un’estrema tensione tra pieno e vuoto, tra com-pletezza e imperfezione. Non per nulla, in un saggio sulla Galeria diqualche anno fa34 si è letta la proposta di vedere il madrigale dedicatoalla Notte delle Cappelle Medicee (Scvltvre-Statve, 26) proprio comedimostrazione della dialettica parola/silenzio. Al Marino interessa il tentativo di fissare l’effimero, proprio della scultura, più che dellapittura, michelangiolesca. E se il non-finito di Michelangelo poneval’indicibile come elemento costitutivo e irrinunciabile della pienezzadell’arte, Marino provava da parte sua a metter il testo in condizione di testimoniare come la pittura fosse risolvibile in letteratura.

33 È una nota tesi espressa negli anni ’50 del Novecento dall’Argan, che oggi si puòleggere in G.C. ARGAN, Tasso e le arti figurative, in ID., Studi e note dal Bramante alCanova, Roma, Bulzoni 1970, pp. 115-121; sul tema vedi inoltre Tasso, Tiziano e ipittori del parlar disgiunto. Un laboratorio tra le arti sorelle, catalogo mostra a cura di A.Emiliani e G. Venturi, Venezia, Marsilio 1997.34 Cfr. E. PAULICELLI, Parola e spazi visivi nella Galeria, in The Sense of Marino.literature, Fine Arts and Music of the Italian Baroque, edited by F. Guardiani, New York-Toronto-Ottawa, Legas 1994, pp. 263-264.

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3.Gusto fiammingo

La penetrazione dell’immagine nel-la natura genera il soprannaturale

Josè LEZAMA LIMA (Autobiografia poetica)

Quella del Marino è una galleria da contemplare a porte chiuse,quasi come rappresentazione d’un delirio d’immensità in un luogo ri-stretto, di chiusura indefinitivamente aperta, dove ogni barriera abbat-tuta resta nel contempo presente. Questa esaltazione dell’infinita-mente piccolo (da confrontare con la rideterminazione di misure edistanze rivelata dal cannocchiale scientifico35) si specchia sul gustostraordinariamente costante del Marino per la miniatura36. La minia-tura è il risvolto moderno della grottesca (specie quella tardorinasci-mentale, licenziosa, bizzarra e – parola-chiave – ambigua) e introduceuna variante minimalista nella lettura della poesia del Marino.

Che l’Adone fosse censurabile in quanto poema composto da uninterminabile rosario di madrigali lo pensavano già certi detrattoricoevi del Marino, con lo Stigliani in testa, ma c’è di più.

La ricerca dell’infinitamente piccolo corregge la consuetudine dipensare il Barocco come lustro e declamazione e fa ricordare uno deitrovati più intelligenti del monumentale studio di Marie-France Tristan sulla poesia filosofica del Cavalier Marino. Oltre a dirci qualcosa delgusto del poeta per il frammento e la scomposizione dei gesti (un cui

35 Si veda l’elogio del telescopio in Adone X, 43-44: «Del Telescopio a questa etateignoto/ Per te fia, Galileo, l’opra composta,/ L’opra, ch’al senso altrui, benché remoto,/ Fatto molto maggior l’oggetto accosta./ Tu solo osseruator d’ogni suo moto,/ E diqualunque ha in lei parte nascosta,/Potrai, senza che vel nulla ne chiuda,/ NouelloEndimïon, mirarla ignuda.// E col medesimo occhial non solo in lei/ Vedrai dapressoogni atomo distinto…».36 Oltre alle miniature di Battista Castello in Pitture, Capricci, 4-4e, e alle minuzie dawunderkammer sparse qua e là nelle Sculture, si veda La Pittura, in Dicerie Sacre, acura di G. Pozzi, Torino, Einaudi 1960, p. 98: «Provossi ancora, siccome alluminatoreeccellentissimo, a far delle miniature delicate e gentili: mirate l’Api, guardate leZanzare, investigate i Ragni, osservate i Bigatti, contemplate le Lucciole, considerate leFormiche, minutissimi fra tutti i corpi viventi: volete dilicatura maggiore? E comepotevano con più esquisito artificio o con più accurata sottilità esser dal suo diligentepennello organizate?» e Adone VII, 39: «mirabil arte in ogni sua bell’opra/ (ciò negarnon si può) mostra Natura;/ ma qual Pittor che’ngegno e studio scopra/ vie più che’ngrande, in picciola figura,/ ne le cose talor minime adopra/ diligenza maggiore, emaggior cura./ Quest’eccesso però sovra l’usanza/ D’ogni altro suo miracolo s’avanza».

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XLIII

riflesso, naturalmente infedele, è da vedersi nell’interesse del Marinoper la danza)37, questa passione per il minimo produce dei cambi discala nella percezione degli eventi e degli oggetti, con effetti che Marino cerca anche mediante il ricorso a tecniche di zoom o di ralenti. Isolan-do l’energia dal suo contesto esistenziale, è così messo in evidenza «leprodige que répresente sa lumineuse et improbable présence»38.

Nella Galeria l’effetto d’insieme soccombe all’assedio del particolare e della frazione, gli effetti emotivi e prospettici di accelerazione improv-visa o di ingigantimento d’un particolare arbitrariaramente estrattointendono però riqualificare il particolare stesso. Quando la Naturaviene miniaturizzata o rifratta e – in una sorta d’inquietante animismo– moltiplicata nella particolare e brulicante descrizione di cose, ecco,quando avviene tutto ciò, si assiste appunto al passaggio dal naturaleal soprannaturale. È un procedimento che gli artisti del Nord, grandiincisori e visionari (su una linea che da Bosch e Grünewald porterà al Surrealismo e alle dissacrazioni di un Rops), ben conoscevano e chepuò inoltre essere ricollegato alla forma aforistica (tipica delle epochein cui il pensiero sistematico entra in crisi) che proprio nel Seicento siaffermerà. La vasta riserva di sogno dell’imagerie fiamminga non pote-va perciò lasciare indifferente il Marino: pare quasi di poter dire chenel gusto fiammingo l’immagine – data come sempre parziale – sia «ilcomplemento continuo di ciò che è intravisto, parzialmente udito, iltemibile entredeux pascaliano si può colmare solo con l’immagine.L’horror vacui è la paura di restare senza immagini»39.

E quel terrore il Marino lo conosceva.

Ma, dopo tutto, il Marino non s’accontenta di una contemplazione abexteriore e adotta la tecnica madrigalistica per conseguirne un parieffetto (si veda la miniatura multipla, metrica e parodistica dell’Altantenano). Nella Galeria, come nella pittura fiamminga, sono le molte esingole affermazioni a comporre la molteplicità dell’insieme. Ora, però,ci si potrebbe chiedere quali significati abbiano le contraddizioni tra le smaniose e modernissime grandiosità prospettiche di Rubens o delLanfranco, pur accolti dal Marino nel novero dei nomi aurei, e lacapricciosa inclinazione per gioielletti d’ambra, sculture di zucchero edi neve, o per le entomologie di Battista Castello. È quella una svolta di retroguardia, un modo di dire l’interiorità, o che cos’altro?

37 In tale direzione, si consideri che i numerosi balletti di Adone XX, 70 sgg., dànnoimportantissime indicazioni all’arte della danza che si svilupperà in seguito.38 M.-F. TRISTAN, La scène de l’écriture, cit., p. 369.39 J. LEZAMA LIMA, Autobiografia poetica, in Racconti, Torino, Einaudi 2004, p. 72,l’entredeux pascaliano affiora anche in chiusura alla lunga meditazione della TRISTAN,La scène de l’écriture, cit., p. 615.

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XLIV

Forse si tratta di una scelta che segna un’urgenza privata. Sono scel-te, vorrei dire, che comportano gelosia. Una gelosia – sia ben chiaro –nient’affatto metaforica, ma carnale e tutta vera. È come se si trattasse di dividere le scelte pittoriche tra quelle di rappresentanza e quelle diprivato godimento, oltreché di contemperare due punti di vista: quelloprospettico-razionale del linguaggio pittorico italiano, e quello onirico-analitico e luministico della pittura nordica.

Ancora una volta, si tratta di depistare il visitatore adescato all’in-gresso di una galleria che si vuole tutta per sé («Oh tu, che passi ilpasso/ Arresta…», intona la sirena mariniana)40. Fingendo di volerloguidare, il Marino sta invece sempre alle spalle dell’eventuale curio-so41. Anche nella macrosezione dei “Ritratti” maschili (vero museo nelmuseo) – per esempio – Marino è guida malfida che accompagna fuoristrada il lettore, non offrendogli immagini degli elogiati, ma spingendoil suo gioco al trompe l’oeil della prosopopea o alla tautologia, comerisulta dai molti ‘attacchi’ in un registro clamorosamente indicativo («Io scoglio, io muro, io torre»…)42 che variano la partitura da una polifonia di canto all’assolo drammatico.

Ma il grande poeta, si dice anche, è un grande giocatore e un mae-stro del bluff (il poeta è un ladro43 di fuoco, dirà Rimbaud) la suamaschera – che Marino con la consueta verve spaccona non manca di dichiarare alla prima persona singolare – è la maschera delcamaleonte44.

40 Scvltvre-Statve, 25, ma cfr. anche ivi, 34: «Deh ferma alquanto, oh tu che passi il passo».41 Verso questo suggerimento convergono le osservazioni di A. MARTINI, I capricci delMarino tra pittura e musica, in Letteratura italiana e arti figurative, cit., pp. 655-664, che non solo ha riconnesso i capricci della Galeria al Berni, ai Grotteschi lomazziani e algusto emblematico, ma ha voluto richiamare ai lettori la suggestione d’una splendida epertinente icona. Nello studio in questione, Martini assume I bari di Caravaggio (NewYork, Metropolitan Museum) come exemplum di quell’attitudine del Marino a star allespalle del lettore-spettatore, non però al modo stregonesco del Lomazzo «adoratore delcaos», bensì nelle vesti di un «laborioso e avveduto aggiratore del nulla» che come pochi altri sentì il raccapriccio del vuoto.42 Ritratti-Huomini, (I), 7.43 Che ci voglia eccellenza nel furto lo proclama ai giorni nostri, senza false modestie, P.VALDUGA, Lezione d’amore, Torino, Einaudi 2004, p. 52: «Sì, rubo. Perché mi è statoinsegnato che i piccoli imitano e i grandi rubano. Preferisco imitare i grandi piuttostoche i piccoli». In tema, la posizione del Marino si può leggere ne La Sampogna, a cura di V. De Maldé, Milano, Guanda 1993, Lettera IV, p. 42 sgg., dove il poeta distingue i trefini per cui il poeta può accostare la tradizione: tradurre, imitare e, appunto, rubare. 44 «Chi vuol veder, Marcello,/ Proteo d’Amor novello,/ Novel camaleonte,/ a me giri lafronte», Amore incostante. Al Signor Marcello Sacchetti, in Lira, III.

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4.Viatico per un ritorno

Lungo e fitto di malcerti passaggi è stato l’attraversamento dellaGaleria. Molti i mesi di una ricerca condotta nella sospensione d’intel-letto che corre tra l’emozione della scoperta e la permanente consape-volezza delle insidie di un’impresa costitutivamente impura ed ambi-gua. Per un gran tempo all’esultanza di fronte al ritrovamento diun’immagine per la Galeria, è immediamente seguìto il freno prudente della cognizione di quanto tenui fossero quelle medesime scoperte.Non è difficile immaginare che certi storici dell’arte potranno indispet-tirsi di fronte alla violazione di campo che porta dei letterati a ricostrui-re il possibile catalogo di una galleria cantata in versi, ma il tipo direcupero qui tentato

si colloca in un ordine del conoscere meno «scientifico» – nel sensopost-cartesiano del termine – di quello cui pretende a buon diritto diaccedere lo storico strettamente filologo: un ordine in cui il probabile, ilverosimile, l’ipotetico, per quanto circoscritti e prudenti intendanoessere, rivendicano i propri diritti nell’arte di recuperare non «fatti» mamodalità dimenticate di percezione. È appunto in quest’ordine, un po’rischioso e sospetto, che uno storico delle Lettere può sperare di offrireil suo modesto contributo agli esperti di storia dell’arte.45

L’operazione di suggerire per la prima volta all’occhio le pitture cheMarino amava, si presenta perciò e soprattutto come una carta per laricerca d’un tesoro nascosto, che documenta il gusto di un connais-seur d’arte secentesco (anzi, d’un amateur, e il vocabolo lampeggia quiin un contesto nel quale non si può dimenticare come l’amore siacieco…). Se accettiamo la distinzione filosofica che oppone icona(generatrice di interrogazione) e idolo (simulacro affermativo), dovremosenz’altro assumere le stesse Pitture per la Galeria come domande enon come affermazioni. Di fatto, poi, una volta messe a confronto lescelte di pitture per la Galeria con i documenti delle Lettere che rinvia-no alle trattative per quadri e disegni da collocare nella gallerianapoletana del Poeta o destinati a illustrare la sezione delle “Favole”, si

45 M. FUMAROLI, «La Galeria» di Marino e la Galleria Farnese: epigrammi e opere d’areprofane intorno al 1600, in La scuola del silenzio, cit., pp. 61-62.

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vedrà che non c’è affatto corrispondenza ma, anzi, regna una granconfusione. Se la labilità di piani e definizioni potrà dispiacere a qual-cuno, resta dopo tutto il verosimile sospetto che al Marino questasospensione non sarebbe dispiaciuta.

In questa lunga esplorazione per biblioteche e istituti d’arte, unterzo del catalogo complessivo che si poteva dedurre dalla Galeria è stato illustrato. Il risultato raddoppia all’incirca gli esiti raggiuntinel 1979 in occasione della prima edizione moderna della Galeria46.Dei circa 150 pezzi nominati, o in qualche modo definiti dal Marino, se ne ripropongono oggi 51. Quello che si fornisce in appendice allibro è anche il catalogo di una mostra possibile e la mappa per una sorta di ritorno da quell’esilio al quale le immagini, complice il lorocollezionista, sono state per secoli condannate. Si tratta di unamappa virtuale sì, ma non in senso tecnologico, quanto ideologico: è la proiezione presunta (nel senso “conjectural” di Borges) di unagalleria immaginaria, che pare quasi che per una qualche gelosia ilPoeta (e la malasorte a lui complice in quel frangente) si sia impe-gnato a custodire nell’invisibilità. Altrimenti sennò, via dal fascinodi letture metafisiche al limite della superstizione, anche la Galeriapotrebbe esser letta alla luce di quel principio di non-agnizione, ben attivo nella letteratura e nel teatro barocco, già individuato tra imeccanismi segreti dell’Adone47: un principio che va insomma aimparentarsi con la dissimulazione del baro, del camaleonte o con le ritrosìe gnostiche del Deus absconditus.

Per riprendere, variandola, la formula di uno dei più assidui studiosi della Galeria, l’intera ricerca che oggi si presenta intende mettere inluce in Marino la virtù dell’immaginazione, e non il «vizio dell’immagi-ne»48 (che avevamo detto essere presenza): perché la Galeria è un’opera in absentia, che si forma nella reale – se non perfino fisica – attesa del quadro e del disegno che dovranno arredare gli interni di un libro o diuna camera privata.

Le identificazioni proposte, pur restando imperfette, emendabili ed integrabili, sono state dedotte una ad una, adottando un criterio diverosimiglianza. La pretesa del vero sarebbe stata – questo sì – unvizio di principio: sarebbe infatti poco utile e un poco vanesio cavil-lare a oltranza in dubbio se il Meleagro e Atalanta di Rubens sia

46 L’edizione curata da Marzio Pieri e uscita a Padova (Liviana editrice) potè giovarsi per la parte artistica dell’assistenza di Mina Gregori; la primaria intenzione di quellaedizione non era tuttavia – altrimenti da questa che oggi si propone - quella di unasistematica esplorazione del côté pittorico della Galeria.47 M.-F. TRISTAN, La scène de l’écriture, cit., pp. 520-521.48 Cfr. G. FULCO, Il sogno di una «galeria», in ID., La «meravigliosa» passione. Studi sulBarocco tra letteratura ed arte, Roma, Salerno editrice 2001, p. 105.

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quello oggi conservato al Museo di Kassel o quell’altra tavola d’unacollezione privata, oppure arrovellarci indecisi se il San Francesco di Camillo Procaccini sia quello ora in un castello trentino, o quell’altro fumigato da secoli d’incenso sull’altare d’una chiesa milanese. Lo si era premesso: è l’idea di un san Francesco, è l’idea dell’immagine, e non la figura, ad importare al Marino. Al poeta non basta vedere idipinti con gli occhi, perché egli sa bene che il piacere della mente –le cui porte per Aristotele erano i sensi – è maggiore se i cinquesensi tutti partecipano. Questo è il punto. E tutto il relativismo etico di Marino s’incardina proprio sull’interferenza tra occhio cieco eocchio accecato:

L’intérference est totale entre l’œil «aveugle» qui dans l’acte de voir et deconnaître souffre d’impuissance innée due aux limites de la perception etde l’entendement humains, et l’œil «aveuglé» pour avoir voulu contempler[…] une lumière trop vive à laquelle n’était pas préparé.49

In Marino, spiega Marie-France Tristan, la messa in discussione del-la vista come senso sovrano conferisce a sorpresa al Tatto il compito di custodire l’interiorità (ed ecco tornare il risvolto contemplativo dellapoesia mariniana). Per affinare l’intelligenza della poesia e delle cosebisognerebbe dunque entrare nella Galeria a occhi chiusi (cioè pur alume di memoria) e, quasi come un esercizio spirituale, con l’applica-zione ai sensi. Del resto:

de la vista il difetto adempie il tatto.50

Sotteso quindi alla competizione che il Marino poeta ingaggia conle altre arti vi è l’intento dimostrativo di qualificare le arti fuori dalle gerarchie e di ribadire che non può esserci logos senza eros, da unlato, e, dall’altro, di affermare che ciò che fa l’eccellenza del poeta è la sua capacità di produrre tensione e non di descrivere e rappre-sentare estensioni spaziali, temporali o morali che siano.

E poi, in congedo, non si può che convenire una volta ancora con Marie-France Tristan, quando ricorda che lo specifico del Barocco, e del Marino come suo campione, non è l’eccesso, ma è una sorta diparadossale mediocritas51. Perché, come spiega la raffinata studiosa, di fronte al dilemma della scelta tra gli estremi dell’esilio verso ilmondo e del ritorno allo stato prima-del-mondo, il Barocco nonsceglie e anzi anticipa la posizione pascaliana dell’entre deux. E nel cuore di questa tensione il Poeta lascia il proprio mondo, e il mondo intero, in sospeso.

49 M.-F. TRISTAN, La scène de l’écriture, cit., p. 409.50 Adone, IV, 98.51 M.-F. TRISTAN, La scène de l’écriture, cit., p. 615.


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