+ All Categories
Home > Documents > DIASTRATIA: varietà substandard -...

DIASTRATIA: varietà substandard -...

Date post: 04-Jan-2019
Category:
Upload: trandat
View: 248 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
15
DIASTRATIA: varietà substandard Rita Fresu [email protected] http://people.unica.it/ritafresu/
Transcript

DIASTRATIA: varietà substandard

Rita Fresu

[email protected]

http://people.unica.it/ritafresu/

architettura dell’italiano contemporaneo

G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica , 1987 (nuova ed. Roma, Carocci, 2012), p. 21.

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

De Mauro 1970 italiano popolare Spitzer 1976 [1921]

Cortelazzo 1972 (unitario)

Bruni 1984 italiano

D’Achille 1994 dei

Fresu 2014; 2016 semicolti

DIATOPIA – rapporto col dialetto interlingua L1/L2

DIACRONIA – pancronia italiano popolare “unitario”

DIAMESIA – rapporto con l’oralità it. popolare/it. parlato trascurato

it. popolare/it. standard

- avanzato (neostandard)

- lingua selvaggia

P. D’ACHILLE (2010), Italiano popolare, in Enciclopedia dell’Italiano Treccani (EncIt), 2010

(http://www.treccani.it/enciclopedia/italiano-popolare_(Enciclopedia-dell'Italiano)/), con adattamenti. Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

1970 Tullio De Mauro

T. DE MAURO, Per lo studio dell’italiano popolare unitario, in A. ROSSI, Lettere da una

tarantata, Bari, De Donato, 1970, pp. 43-75 [rist. in La lingua italiana oggi, un problema scolastico e sociale, a cura di L. Renzi e M. A. Cortelazzo, Bologna, il Mulino, 1977, pp. 147-164].

modo di esprimersi di un incolto che, sotto la spinta di comunicare e

senza addestramento, maneggia quella che ottimisticamente si chiama la lingua ‘nazionale’ (De Mauro 1970, p. 49);

1972 Manlio Cortelazzo

M. CORTELAZZO, Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, vol. III. Lineamenti di italiano popolare, Pisa, Pacini, 1972 [1976].

il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua

il dialetto (Cortelazzo 1982, p. 11).

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

LEO SPITZER

Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Torino, Bollati

Boringhieri, presentazione di L. Renzi, nota linguistica di L. Vanelli,

traduzione di R. Solmi, 20142 [19761]

edizione originale: Italienische Kriegsgefangenenbriefe.

Materialien zu einer Charakteristik der volkstümlichen Korrespondenz,

Bonn, P. Hanstein, 1921]

scritture popolari e Grande guerra

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

T. DE MAURO, Per lo studio dell’italiano popolare unitario, in A. ROSSI, Lettere da una tarantata, Bari, De Donato, 1970, pp. 43-75 [rist. in La lingua italiana oggi, un problema scolastico e sociale, a cura di L. Renzi e M. A. Cortelazzo, Bologna, il Mulino, 1977, pp. 147-164].

M. CORTELAZZO, Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, vol. III. Lineamenti di italiano popolare, Pisa, Pacini, 1972 [1976].

***

P. D’ACHILLE (1994), L’italiano dei semicolti, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., 1993-1994, vol. II, pp. 41-79.

P. D’ACHILLE (2010), Italiano popolare, in Enciclopedia dell’Italiano (EncIt), diretta da R. Simone, con la collaborazione di G. Berruto e P. D’Achille, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2 voll., 2010-2011,

vol. I, pp. 723-726 (http://www.treccani.it/enciclopedia/italiano-popolare_(Enciclopedia-dell'Italiano)/).

E. TESTA (2014), L’italiano nascosto. Una storia linguistica e culturale, Torino, Einaudi.

R. FRESU (2014), Scritture dei semicolti, in Storia dell’italiano scritto, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, Roma, Carocci, 3 voll., vol. III Italiano dell'uso, pp. 195-223.

R. FRESU (2016), L'italiano dei semicolti, in Manuale di linguistica italiana, a cura di Sergio Lubello, Berlin-Boston, De Gruyter, [serie Manuals of Romance Linguistics (MRL), vol. 13, a cura di Günter Holtus e Fernando Sánchez Miret], 2016, pp. 328-350.

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

I fenomeni che caratterizzano le varietà substandad (italiano popolare / scritture dei semicolti) vanno ricondotti principalmente a due ordini di meccanismi:

- il contatto con la soggiacente realtà dialettale, che genera svariate manifestazioni di interferenza (anche come iperdistanziamento), soprattutto nella fonetica e nel lessico;

- la ristrutturazione, specialmente in termini di semplificazione linguistica, di settori e aree del sistema dell’italiano standard mediante alcuni meccanismi specifici, come l’analogia (e, per reazione, l’ipercorrettismo), che conducono a una sostanziale riduzione di norme (ma talvolta anche a una loro sovrapposizione).

Accanto alle strategie di riduzione e di semplificazione si registra la tendenza a ipercaratterizzare l’enunciato, conferendo a esso espressività rafforzativa mediante l’impiego di elementi enfatici e ridondanti. Va precisato, tuttavia, che tale tratto pertiene anche al registro colloquiale e informale, e più in generale rientra nella questione della sovrapposizione tra italiano popolare e italiano parlato (di media formalità). A tale proposito andrà ribadito che alcuni fenomeni non possono considerarsi esclusivi della scrittura dei semicolti, ma soltanto in essa più frequenti.

R. FRESU, Scritture dei semicolti, in Storia dell’italiano scritto, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, Roma, Carocci, 2014, 3 voll., vol. III Italiano dell'uso, pp. 195-223, alle pp. 209-211.

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

Osservando quindi i livelli di analisi in relazione ai meccanismi sopra esposti, e schematizzando, si nota che: a livello grafo-fonetico i fenomeni esibiscono una sostanziale «invarianza» (cf. Fresu 2001-2003

[2004], pp. 7-12): sono cioè riconducibili a scarsa interiorizzazione delle norme; appaiono per lo più sovraregionali, pancronici e pangenerici, ossia ricorrono in scritture di epoche e aree geografiche differenti e presentano un moderato condizionamento rispetto alla tipologia testuale;

a livello fono-morfologico e lessicale agisce maggiormente l’interferenza del sostrato dialettale (come detto per influsso diretto o per iperdistanziamento), mentre il condizionamento della tipologia testuale è scarso;

a livello morfo-sintattico è più evidente l’azione dell’analogia e della semplificazione, che conducono alla riduzione o alla ristrutturazione dei paradigmi; anche in questo caso il condizionamento della tipologia testuale è meno evidente;

a livello sintattico-testuale e pragmatico i fenomeni riflettono la frammentazione e la scarsa pianificazione tipica di una situazione comunicativa orale, da cui derivano accumulo paratattico, disartrie sintattiche, false partenze, scambi progettuali, messe in rilievo e topicalizzazioni (spesso con esiti anacolutici), presenza di segnali discorsivi e indicatori testuali che riproducono le incertezze e le pause del parlato, preferenza per una struttura basata sul discorso diretto, prevalenza della semantica sulla sintassi; in questo livello è maggiormente attivo il condizionamento della tipologia testuale.

Andrà inoltre ricordato che molti dei tratti ricorrenti nelle scritture semicolte coincidono con i fenomeni riscontrabili nelle varietà di apprendimento dell’italiano (soprattutto per quel che riguarda le devianze ortografiche e i fenomeni generati dall'analogia), sia nei bambini sia nei discenti stranieri ai primi livelli.

R. FRESU, Scritture dei semicolti, in Storia dell’italiano scritto, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, Roma, Carocci, 2014, 3 voll.,

vol. III Italiano dell'uso, pp. 195-223, alle pp. 210-211.

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

impiego di un ductus faticoso e stentato, la cosiddetta “elementare di base”, riconoscibile in un particolare modo di formare alcuni caratteri, nella inabilità di legarli scorrevolmente tra loro, in un generale disordine nel modo di gestire lo spazio a disposizione, che indica una scarsa familiarità dello scrivente con l’attività della scrittura;

concrezione di articoli, pronomi clitici, preposizioni (lamico, lestate, linverno, tidico, avedere) e segmentazioni improprie (con torno; di spetto; in cinta; la sagna; lo rigano; l’uridume; all’avoro), dovute alla mancata percezione dei confini delle parole;

scempiamento delle geminate (deto ‘detto’; fato ‘fatto’) oppure raddoppiamento indebito (in qualche caso per ipercorrettismo) delle scempie (baccio ‘bacio’) per mancata assimilazione della norma e talvolta per interferenza con il sostrato locale (raggione; abbito; nummero al centro-sud; partitto; riuscitta in area sarda);

riduzione (spesso come riflesso di una semplificazione di pronuncia: atro ‘altro’) di nessi consonantici complessi, in particolare quelli con nasale che tende a essere frequentemente omessa (dimeticato; sato ‘santo’; sepre ‘sempre’; nelle scritture del passato non di rado per caduta di titulus), talvolta compensata da un raddoppiamento assimilatorio (fidazzata; malicconico);

desultorietà ortografiche dovute a una mancata interiorizzazione delle regole, a compitazione o, ancora, a distrazione e/o assenza di rilettura: omissione o ridondanza di grafemi con valenza diacritica come <h> nelle forme del verbo avere e come indicatore di velarità (ai una sigaretta?; anno suonato; ance ‘anche’ ma chome) e <i> dopo suono palatale (spece; superfice ma Franciesco; conoscienze; ogniuno); sovraestensione di <q> (quore; qucina; squola ma, di contro, cuesto; frecuento) e incertezza nell’uso del digramma <cq> (aqua; aquisto); difficoltà nella resa di fonemi consonantici graficamente rappresentati con digrammi e trigrammi (celo ‘cielo’; fogla ‘foglia’; molie e mogle ‘moglie’); scambio tra m e n davanti a labiale (canbiare, tenpo); e ancora inversioni (pui ‘più’), aplografie, cacografie, omissioni e scambi di grafemi non riconducibili a motivazioni fonetiche;

uso improprio (ridondante o assente) dei segni paragrafematici, ossia di accenti e apostrofi, omessi o apposti indebitamente;

impiego incoerente della maiuscola, ridondante nei casi di uso «reverenziale» (per i vocaboli, cioè, ritenuti degni di rispetto) oppure omessa dopo il punto fermo e nei casi richiesti dalla norma (come negli antroponimi e toponimi);

punteggiatura esigua o utilizzata incoerentemente e talora in modo sovrabbondante (è un topos negli studi sull’argomento lo «smarrimento interpuntorio» discusso in Cortelazzo 1976 [1972]: 119-123; e non andrà dimenticata l’opinione di De Mauro 1977 [1970]: 162 secondo il quale «pagine apparentemente sgangherate dal punto di vista sintattico, diventano ordinate e comprensibili con semplici restauri della grafia e della punteggiatura»);

rese grafiche che rappresentano l’affioramento fonetico del sostrato dialettale/regionale e pertanto diversificate in base ai domini geografici di provenienza dei testi; qualche esempio per le aree centro-meridionali: sonorizzazioni e assordimenti moldo; londano; Andonio; combare (fino a tebbo e cobbagno); comingiarono; andanto; manciare; piancendo; palatalizzazioni della laterale e nasale nei nessi con j: Itaglia; miglione; oglio; gnente, pecugnia; sborgnia; affricazioni della sibilante dopo consonanti liquide: falzo; penziero; borza e relativi ipercorrettismi, come alsare ‘alzare’;

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari

a.a. 2016-2017

tendenza a uniformare il paradigma dell’articolo determinativo e indeterminativo con estensione (anche nelle preposizioni articolate) di il per ‘lo’ (il sciopero; il zucchero; al zoo), di i per ‘gli’ (i scrutini; dei scarponi; coi zii) e di un per ‘uno’ (un sbaglio; un spazio; un zoccolo);

regolarizzazione di paradigmi nominali e aggettivali mediante l’adozione di maschili in -o/-i (il caporalo; l’agento; gli auti ‘autobus’; grando) e di femminili in -a/-e (la moglia; la guarigiona; le cimice ‘cimici’; inglesa ‘inglese’), spesso rafforzata da processi di anticipazione in fase di autodettatura (l’uniforma adatta) e, anche, come arbitrarie ricostruzioni regolarizzanti nei testi provenienti da aree che presentano un vocalismo finale indistinto;

uso dell’aggettivo invariabile in funzione avverbiale (non mangiavi adatto; sono arrivato facile; parti sicuro; parlare veloce), tratto in risalita anche nella varietà informale, e viceversa (un posto meglio);

rafforzamento analitico di comparativi e superlativi sintetici (il più migliore; il più superiore; assai buonissimo; molto ottimo);

sovraestensione del clitico dativale ci che, neutralizzate le opposizioni di genere e numero, viene impiegato per indicare ‘a lui’/‘a lei’/‘a loro’ (ci detti uno spintone; posso dirci una cosa?; a loro ci dico che non vengo), anche in usi allocutivi (ci piace a Lei?), in particolare nelle aree settentrionali e meridionali; al centro tende a generalizzarsi gli e anche le sovraesteso al maschile (ho telefonato a tuo fratello e le ho detto di venire al cinema), probabilmente per ipercorrettismo o per influsso dell’allocutivo di cortesia; come pronome riflessivo ci viene sostituito da si (si mettiamo a dormire; si siamo sposati), e talvolta scambiato di posizione in sequenze di clitici (non si ci vede ‘non ci si vede’);

presenza del doppio clitico coreferenziale in perifrasi con i verbi modali (ti devo confessarti; non ti voglio disturbarti);

impiego del possessivo suo per la 6a persona invece di ‘loro’ (i fratelli hanno spedito tutti i suoi risparmi) anche in forme ridondanti come suo di lui, suo di lei, suo di loro;

tendenza a omettere non in frasi con altro elemento negativo (noi ci davano niente; e si trovava niente da mangiare; c’era mai riuscito nessuno; ho neanche ricevuto), spesso in relazione al sostrato locale;

uso irregolare (specialmente davanti ad aggettivi e infiniti verbali) delle preposizioni, omesse (non state spedire la roba), ridondanti (Hai sentito a sparare?), scambiate (io ho detto col dottore; non era facile a tornare; ricordati a prendere le chiavi; brava di scrivere; si invitano tutti i passeggeri di uscire dalla sola porta anteriore) e talvolta in sovrabbondanza e accumulo (presso a una scuola; scrivo da sul campo di Battaglia; dentro da quella porta);

nel sistema verbale, presenza di forme analogiche, soprattutto nel congiuntivo (facci; venghi; vadino, blasoni stereotipici dell’italiano popolare, e ancora il tipo dasse ‘desse’ e stasse ‘stesse’), nel passato remoto (dissimo; fecimo; misimo ‘mettemmo’; stammo), nel gerundio (fando ‘facendo’), nel participio passato (faciuto ‘fatto’; torciuto ‘torto’); scambi tra gli ausiliari dei verbi attivi (sono mangiato; abbiamo scappato; sono goduto; hanno cresciuto; sono dormiti; ho partito), distribuiti secondo i sostrati dialettali; scarsa ricorrenza della diatesi passiva e generale riduzione dei tempi e dei modi, in particolare del congiuntivo (tratti, questi ultimi, in comune con l’italiano parlato e dell’uso medio);

concordanze a senso (tra soggetto collettivo e verbo plurale) e accordi logici realizzati mediante generalizzazioni di desinenze nominali: la gente non capivano; tutto il paese lo sapevano; c’è qualcuno che dicono; nessuni avvisi; nessune parti; qualchi piatti (anche nel costrutto qualche + plur.: qualche uomini); attrazione di indeclinabili al morfema grammaticale del sostantivo contiguo (meni mortali; pressi i soldati);

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

nel periodo ipotetico, presenza del doppio condizionale (se saresti venuto avresti visto con i tuoi occhi) e del

doppio imperfetto congiuntivo (se lo sapessi, te lo dicessi), con diversa distribuzione in base al sostrato

diatopico;

nella frase relativa, frequente adozione del che polivalente, con o senza ripresa (un forte chiamato Calvario,

che lo aveva battezzato così Napoleone; un soldato di fianco a me che gli dissi io; un biglietto che c’era

scritto; dentro al ricovero che mi aveva portato la signorina; fare una guerra che nemmeno capiamo lo

scopo; un barbiere che m’andavo a tosarmi; un mio contemporaneo che si andava a scuola insieme);

commistione del modello analitico con quello sintetico (ho aperto il pacco che nel quale c’era il suo regalo);

uso di la quale privo di preposizione (la tua lettera la quale mi sono rallegrato); uso di la quale in luogo di

che congiunzione (capisco la quale stai bene); uso di che in accumulo con altri connettivi come elemento

integrativo o rafforzativo (mentre che; quando che; siccome che);

sovraestensione di dove con valore relativo (quella volta dove mi sono mi sono fatto male);

sistematica anticipazione o ripresa clitica di costituenti dislocati a destra o a sinistra (lo vedi anche tu il

fumo?; ci parli tu con la maestra; la casa l’ho comprata un anno fa; a tua madre diglielo tu), anche nel tipo

a me mi (fenomeni, questi, condivisi con la varietà orale e/o informale nella quale hanno perso la loro

marcatezza); frequenti topicalizzazioni segnate da scarsa o nulla coesione sintattica tra gli elementi coinvolti

(arriva una bomba, uno c’entra in testa; la nostra compagnia non hanno mai portato il rancio), con

preminenza del soggetto logico (io il morale è alto e sono sempre allegro), anche con strutture a cornice (io

devo pensare anche per me, devo pensare) e con tematizzazione dell’infinito recuperato dalla forma finita del

medesimo verbo (dormire, dormo su un pagliericcio; mangiare, mangiavo un po’); ricorrenza

dell’accusativo preposizionale con oggetto animato, specialmente nelle varietà regionali meridionali e in

quella sarda (chiama a tua sorella; il padrone picchia al contadino);

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari

a.a. 2016-2017

scambio di prefissi (affettivo ‘effettivo’) e suffissi (adottamento ‘adozione’; discrezionalità ‘discrezione’;

ostilazioni ‘ostilità’; comprensibile ‘comprensivo’); produttività del suffisso zero (dichiara ‘dichiarazione’;

interrogo ‘interrogazione’; spiega ‘spiegazione’; prolungo ‘prolungamento’); aggiunta o cumulo di morfemi

(indispiacente ‘dispiaciuto’; spensierato ‘pensieroso’; strafila ‘trafila’; tranquillizzanti ‘tranquillanti’);

uso di malapropismi, vocaboli cioè deformati sul piano del significante per accostamento paretimologico ad

altre parole più note (altrite ‘artrire’; autobilancia ‘autombulanza’; celebre ‘celibe’; covalicenza

‘convalescenza’; febbrite ‘flebite’), frequente con nomi propri e parole straniere (palché ‘parquet’; tic ‘ticket’);

predominanza di termini generici e polisemantici (cosa; roba; fare) e preferenza per costrutti lessicali di tipo

analitico, per lo più con il verbo fare (fare appartenenza ‘appartenere’; fare la decisione ‘decidere’; fare

un’emigrazione ‘emigrare’; fare sangue ‘sanguinare’; malato al cervello ‘pazzo’);

impiego di popolarismi espressivi (botto; macello; tribolare) e semantici (lavoro e mestiere ‘faccenda,

pasticcio’; carte ‘documenti’; mollare ‘cedere’, anche diatopicamente marcati come chiamare ‘chiedere’ al

nord, imparare ‘insegnare’ al centro-sud), e più in generale di termini concreti (il cui impiego è da connettere

alla forte “situazionalità” del testo); uso di gerghi specifici, spesso in relazione alle categorie di scriventi e alle

particolari condizioni in cui si produce il testo (ad esempio quello della vita militare nei diari di guerra e nelle

lettere dal fronte: cavalieri ‘pidocchi’; sbobba ‘minestra scipita e sgradevole’) e talvolta di turpiloquio (culo;

pisciare);

abuso di forme alterate per fini espressivi (ragazzinetta; vitaccia; maledettaccia; pranzone);

ricorso (contenuto) a dialettismi per colmare vuoti oggettivi e soggettivi (ma talvolta anche per scelta affettiva

o stilistica);

nei testi di emigrati, fenomeni di interferenza con la lingua locale del paese ospitante (anche in altri livelli di

analisi oltre a quello lessicale);

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

organizzazione testuale caratterizzata da una scarsa esplicitazione dei rapporti interfrasali e dal prevalere

della paratassi, realizzata per giustapposizioni e accostamenti seriali, per lo più di frasi brevi e

monorematiche; anche la subordinazione assume i connotati di paratassi mediante strategie di collegamento

blande come quelle realizzate dal che polivalente oppure da e con valore avversativo o conclusivo;

presenza di strutture ellittiche realizzate mediante omissione degli elementi frasali più deboli (allora mio

padre decise che per me non più scuole per mancanza di denaro), soprattutto del verbo essere (ma però

morti pochi ma feriti molti; il suo battaglione tutti accopati);

ricorso a strategie che enfatizzano e ipercaratterizzano (cresce l’aumento di popolazione), anche attraverso la

ripetizione ossessiva di termini-chiave;

uso di deittici, spesso esoforici ed extratestuali (grosso così), anche rafforzati (questo qui; quello là), di

formule colloquiali (così e così; mica tanto), di fatismi (diciamo così; per dire; non so; guarda; vedi; sai),

spesso desemantizzati (è il caso dell’uso reiterato di dice), e di segnali conclusivi tipici del parlato trascurato

(e basta; e niente; pazienza);

preferenza per il discorso diretto e difficoltà nella gestione del discorso riportato nel quale mancano spesso gli

indicatori grafici che introducono o segnalano il cambio dei due piani dell’enunciazione (virgolette, trattini o

altri elementi di distinzione) e in cui l’impiego di marche verbali (ossia gli indicatori di tempi e di persona) e

dei topo- e cronodeittici non subisce gli adattamenti necessari a rappresentare la dualità enunciativa dello

stile riferito.

influsso dei modelli prestigiosi, o percepiti come tali (burocrazia, scuola, mass media), che si concretizza per

lo più nella tendenza a ripetere stilemi acquisiti e frasi preconfezionate che variano in relazione alla tipologia

testuale prodotta, come la formularità nel genere epistolare (con la presente vengo a dirti che; io sto bene (in

salute) e così spero sentire di voi; con ciò mi congedo), e nel riversamento di moduli burocratici, soprattutto

in documenti pratici e lettere all’autorità, tra cui l’uso di firmare anteponendo il cognome al nome (Rossi

Mario) oppure l’abuso di codesto/cotesto, costì, o, ancora, l’impiego del cataforico il sottoscritto seguito poi

da una organizzazione testuale che non di rado slitta dalla 3a persona alla 1a.

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari

a.a. 2016-2017

R. FRESU, Ipercorrettismo, in Enciclopedia dell’Italiano Treccani (EncIt), 2010

http://www.treccani.it/enciclopedia/ipercorrettismo_(Enciclopedia-dell'Italiano)/:

L’ipercorrettismo (meno spesso ipercorrezione) consiste nella sostituzione di una forma linguistica che sarebbe esatta, ma che viene erroneamente ritenuta scorretta per somiglianza con una forma effettivamente sbagliata. Il fenomeno dell’ipercorrettismo si fonda su un meccanismo di falsa ➔ analogia: il parlante o lo scrivente si corregge, sostituendo una forma che percepisce come sbagliata sulla base degli errori più comuni e frequenti, con un’altra forma, di fatto errata, nell’intenzione di avvicinarsi ai registri alti e di imitare lo standard (Dittmar 1978: 441; ➔ italiano standard). Il fenomeno può avere come motivazione l’allontanamento da tratti percepiti come ➔ substandard (in tal caso si può anche definire come iperdistanziamento; Berruto 1993: 59). Più raramente, si parla anche di iperurbanismo, alludendo alla modifica di una forma dialettale o popolare (di solito, una caratteristica di pronuncia) secondo quello che si ritiene il modello cittadino. La maggior parte degli studi riconduce l’ipercorrettismo a parametri diastratici (➔ variazione diastratica), annoverandolo tra i fenomeni tipici di produzioni, sia orali, sia scritte, di parlanti scarsamente acculturati, definibili come semicolti, o semincolti (➔ italiano popolare; cfr. D’Achille 1994 e 2008: 2340-2343). Alcune ricerche tuttavia hanno dimostrato anche il condizionamento diafasico (➔ variazione diafasica) del fenomeno, non dipendente quindi esclusivamente dal livello socioculturale del parlante bensì anche dalla posizione ed il ruolo che si viene ad assumere nella catena dialogica, l’esposizione ad aspettative sociali verso un comportamento linguistico ‘promozionale’, l’ansia di mostrarsi ‘attivi’ e ‘propositivi’ nei confronti di chi vogliamo attrarre nella nostra orbita comunicativa (Pennisi 1993, p. 148).

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017

FENOMENOLOGIA LINGUISTICA

grafia unita e separata (avoi; lottimo; impensiero; ce ‘c’è’; celo ‘ce l’ho’);

omissione dell’accento (gia; pero) e del diacritico (o ‘ho’);

scempiamento (asicuro; dificoltà; sapiamo; sucede);

conguagli analogici (saluta ‘salute’) e accordi logici (un milioni di baci);

sintassi marcata dell’oralità(il pensiero celo io ‘il pensiero ce l’ho io);

interferenza con la lingua ospitante (que ‘che’; asì que ‘cosicche’; corrispontenzia ‘correspondencia’; Noviembre)

formularità epistolare (vi asicuro lottimo stato della | nostra buona saluta come spero sentire sempre | di voi tutti).

Cara madre

Prima di tutto vi asicuro lottimo stato della

nostra buona saluta come spero sentire sempre

di voi tutti, cara madre oggi ci sono

molte dificoltà con la corrispontenzia

asì que non ai, impensierita per il ritardo

io lavoro sempre la vita costa cara

pero ce di tutto no manca niente!...

qui noi altri sapiamo tutto cio que sucede

nun state impensiero que stiamo tranquilli

il pensiero celo io per voi altri

que no state molto tranquilli?...

tanti saluti e baci di Nelida e Elia

gia apasato al 4 elementare non o altro. Saluti

a miei fratelli e avoi un milioni di baci

vostro aff. figlio Gaetano

P. COMINALE (a cura di), Innamerica. Le lettere degli emigrati di Sessa Aurunca ai loro familiari (1917-1941),

Napoli, Loffredo Editore, 2009, p. 139 e pp. 143-144.

Linguistica italiana (R. Fresu) Università di Cagliari a.a. 2016-2017


Recommended