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Dieta, infiammazione e malattie metaboliche

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L’Endocrinologo (2014) 15:16–21 DOI 10.1007/s40619-014-0014-0 RASSEGNA Dieta, infiammazione e malattie metaboliche Alessandro Pinto · Lucia Toselli · Graziella Gavarini · Gianluca Merola · Roberta Ienca · Domenico De Stefano · Anna Maria Giusti · Valeria del Balzo · Lorenzo Maria Donini · Andrea Lenzi Pubblicato online: 12 marzo 2014 © Springer International Publishing AG 2014 Sommario La disponibilità di cibo e l’esposizione ad agen- ti patogeni hanno condizionato l’evoluzione della specie umana favorendo l’acquisizione di un’elevata efficienza nel- l’accumulare energia e lo sviluppo di un efficace apparato di difesa, rappresentato dal sistema immunitario. Il network che connette funzioni metaboliche e immunitarie si è struttu- rato in un contesto diverso da quello odierno, cosicché l’at- tuale l’overload metabolico induce uno stato infiammatorio cronico di basso grado. Parole chiave Obesità · Dieta · Lipidi · Carboidrati · Infiammazione · Sindrome metabolica Introduzione I caratteri fenotipici dell’uomo, incluse le funzioni inerenti, digestione, assorbimento, utilizzazione e trasformazioni me- taboliche, si sono evoluti al fine di ottimizzare l’efficienza nell’acquisizione del cibo e migliorare la qualità della dieta. La disponibilità di cibo e l’esposizione ad agenti patogeni, a loro volta, hanno condizionato l’evoluzione della specie Proposta da Emmanuela A. Jannini. Materiale elettronico supplementare La versione elettronica di questo articolo (DOI:10.1007/s40619-014-0014-0) contiene materiale supplementare, disponibile per gli utenti autorizzati. A. Pinto (B ) · L. Toselli · G. Gavarini · G. Merola · R. Ienca · D. De Stefano · A.M. Giusti · V. del Balzo · L.M. Donini · A. Lenzi Dip. Medicina Sperimentale, Sez. Fisiopatologia Medica, Scienza dell’Alimentazione ed Endocrinologia, Unità di Ricerca in Scienza dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, Università di Roma “Sapienza”, P.le Aldo Moro, 5, 00185 Roma, Italia e-mail: [email protected] umana favorendo l’acquisizione, da un lato, di un’elevata efficienza nell’accumulare energia e, quindi, sopravvivere in condizioni di scarsa o variabile disponibilità di cibo, e dal- l’altro, di un efficace “equipaggiamento” di difesa, rappre- sentato dal sistema immunitario. Poiché la risposta immu- nitaria e infiammatoria richiedono energia, l’organismo ha sviluppato la capacità di ridistribuire, quando necessario, le proprie risorse energetiche in favore di tale risposta. Questo spiega la connessione tra i pathways molecolari che rego- lano le funzioni metaboliche e immunitarie e sarebbe alla base del blocco delle vie anaboliche (insulina/IGF) in pre- senza di uno stato infiammatorio o in condizioni di stress. Il network che connette funzioni metaboliche e immunita- rie si è, tuttavia, strutturato in relazione a uno stile di vita alquanto diverso da quello odierno, cosicché l’attuale over- load metabolico induce uno stato infiammatorio cronico di basso grado, per il quale alcuni autori hanno recentemente proposto il termine di “metaflammation”[1] (Fig. 1). Nel 2002 una commissione di esperti OMS/FAO ha esa- minato la relazione tra stile di vita (dieta e attività fisica) e morbosità, alla luce dei criteri dell’evidence-based me- dicine, concludendo che il rischio di obesità, diabete di ti- po 2, malattie cardiovascolari (CVD), alcuni tumori (esofa- go, colon-retto, mammella, endometrio, reni), osteoporosi e carie dentale è correlato alle abitudini alimentari e che l’ec- cesso ponderale costituisce un fattore di rischio indipenden- te in almeno tre casi su cinque (diabete, CVD e tumori) [2]. Nel febbraio 2004, la rivista Time Magazine ha pubblicato un articolo intitolato “Health: the fires within”, in cui veni- va formulata la seguente domanda: “cosa ha a che vedere un dito del piede schiacciato o una scheggia in un dito con il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, un infarto o un tumore del colon?”. Da allora, la ricerca scientifica ha dimostrato che il minimo comune denominatore può essere identificato nell’infiammazione. In condizioni fisiologiche,
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L’Endocrinologo (2014) 15:16–21DOI 10.1007/s40619-014-0014-0

R A S S E G NA

Dieta, infiammazione e malattie metaboliche

Alessandro Pinto · Lucia Toselli · Graziella Gavarini · Gianluca Merola ·Roberta Ienca · Domenico De Stefano · Anna Maria Giusti · Valeria del Balzo ·Lorenzo Maria Donini · Andrea Lenzi

Pubblicato online: 12 marzo 2014© Springer International Publishing AG 2014

Sommario La disponibilità di cibo e l’esposizione ad agen-ti patogeni hanno condizionato l’evoluzione della specieumana favorendo l’acquisizione di un’elevata efficienza nel-l’accumulare energia e lo sviluppo di un efficace apparatodi difesa, rappresentato dal sistema immunitario. Il networkche connette funzioni metaboliche e immunitarie si è struttu-rato in un contesto diverso da quello odierno, cosicché l’at-tuale l’overload metabolico induce uno stato infiammatoriocronico di basso grado.

Parole chiave Obesità · Dieta · Lipidi · Carboidrati ·Infiammazione · Sindrome metabolica

Introduzione

I caratteri fenotipici dell’uomo, incluse le funzioni inerenti,digestione, assorbimento, utilizzazione e trasformazioni me-taboliche, si sono evoluti al fine di ottimizzare l’efficienzanell’acquisizione del cibo e migliorare la qualità della dieta.La disponibilità di cibo e l’esposizione ad agenti patogeni,a loro volta, hanno condizionato l’evoluzione della specie

Proposta da Emmanuela A. Jannini.

Materiale elettronico supplementare La versione elettronicadi questo articolo (DOI:10.1007/s40619-014-0014-0) contienemateriale supplementare, disponibile per gli utenti autorizzati.

A. Pinto (B) · L. Toselli · G. Gavarini · G. Merola · R. Ienca ·D. De Stefano · A.M. Giusti · V. del Balzo · L.M. Donini ·A. LenziDip. Medicina Sperimentale, Sez. Fisiopatologia Medica, Scienzadell’Alimentazione ed Endocrinologia, Unità di Ricerca inScienza dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, Università diRoma “Sapienza”, P.le Aldo Moro, 5, 00185 Roma, Italiae-mail: [email protected]

umana favorendo l’acquisizione, da un lato, di un’elevataefficienza nell’accumulare energia e, quindi, sopravvivere incondizioni di scarsa o variabile disponibilità di cibo, e dal-l’altro, di un efficace “equipaggiamento” di difesa, rappre-sentato dal sistema immunitario. Poiché la risposta immu-nitaria e infiammatoria richiedono energia, l’organismo hasviluppato la capacità di ridistribuire, quando necessario, leproprie risorse energetiche in favore di tale risposta. Questospiega la connessione tra i pathways molecolari che rego-lano le funzioni metaboliche e immunitarie e sarebbe allabase del blocco delle vie anaboliche (insulina/IGF) in pre-senza di uno stato infiammatorio o in condizioni di stress.Il network che connette funzioni metaboliche e immunita-rie si è, tuttavia, strutturato in relazione a uno stile di vitaalquanto diverso da quello odierno, cosicché l’attuale over-load metabolico induce uno stato infiammatorio cronico dibasso grado, per il quale alcuni autori hanno recentementeproposto il termine di “metaflammation” [1] (Fig. 1).

Nel 2002 una commissione di esperti OMS/FAO ha esa-minato la relazione tra stile di vita (dieta e attività fisica)e morbosità, alla luce dei criteri dell’evidence-based me-dicine, concludendo che il rischio di obesità, diabete di ti-po 2, malattie cardiovascolari (CVD), alcuni tumori (esofa-go, colon-retto, mammella, endometrio, reni), osteoporosi ecarie dentale è correlato alle abitudini alimentari e che l’ec-cesso ponderale costituisce un fattore di rischio indipenden-te in almeno tre casi su cinque (diabete, CVD e tumori) [2].Nel febbraio 2004, la rivista Time Magazine ha pubblicatoun articolo intitolato “Health: the fires within”, in cui veni-va formulata la seguente domanda: “cosa ha a che vedereun dito del piede schiacciato o una scheggia in un dito conil rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, un infartoo un tumore del colon?”. Da allora, la ricerca scientifica hadimostrato che il minimo comune denominatore può essereidentificato nell’infiammazione. In condizioni fisiologiche,

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Fig. 1 Patogenesi dellametaflammation. FA, Fatty Acid;SFA, Saturated Fatty Acid;PUFA, Polyunsaturated FattyAcid; CHOs, carboidratisemplici; CHOc, carboidraticomplessi; BF, Body Fat; RE,Reticolo Endoplasmatico

la risposta infiammatoria contrasta ed elimina la noxa pa-togena (agenti fisici, chimici o biologici), avviando il pro-cesso di riparazione del danno tissutale. Quando lo stato in-fiammatorio diventa cronico, la capacità di circoscrivere elimitare il danno viene superata e la risposta evolve in pato-logia. È dimostrato che l’eccesso di massa adiposa, soprat-tutto viscerale, associato a una dieta ricca in grassi saturi ezuccheri semplici e povera in fibre e micronutrienti (minera-li e vitamine), qual è l’attuale dieta occidentale, è in grado dipromuovere uno stato infiammatorio cronico di basso grado,la cosiddetta metaflammation, che, pur coinvolgendo mole-cole e segnali comuni alla classica risposta infiammatoria,riconosce nell’overload metabolico il trigger primario [3].In rapporto alla differente meiopragia d’organo, genetica-mente determinata, la metaflammation può estrinsecarsi inpatologie quali tumori, malattie cerebro- e cardio-vascolari,patologie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer,o metaboliche, come la sindrome metabolica e il diabetedi tipo 2. Tali patologie sono caratterizzate da un variabileaumento dei livelli sierici di biomaker dell’infiammazione,quali TNF-α, IL-6, PCR, fibrinogeno, molecole di adesio-ne intercellulare (ICAM1) e vascolare (VCAM1), ecc. Talibiomarker risultano significativamente correlati anche al ri-schio di diabete tipo 2, malattia cardiovascolare e tumori, insoggetti sani [4].

Il ruolo del tessuto adiposo

Il tessuto adiposo è un complesso organo endocrino mul-tifunzionale che, pur conservando peculiari caratteristicheistologiche, acquisisce funzioni differenti nelle diverse sedianatomiche, dove produce specifiche adipochine e citochi-ne con funzioni autocrine, paracrine ed endocrine [5] (Ta-bella 1). Recenti studi filogenetici hanno dimostrato che in

Tabella 1 Adipochine e citochine infiammatorie nell’obesità

Adipochine e citochineinfiammatorie

Obesità Decremento ponderale

Proteine di fase acuta

PCR aumenta diminuisce

Fibrinogeno aumenta diminuisce

Aptoglobina aumenta diminuisce

Citochine

IL-6 aumenta diminuisce

IL-8 aumenta diminuisce

IL-18 aumenta diminuisce

IL-10 aumenta diminuisce

TNF-α aumenta uguale o diminuisce

MCP-1 aumenta diminuisce

MCP-4 aumenta diminuisce

Leptina aumenta diminuisce

Resistina aumenta uguale o diminuisce

Adiponectina diminuisce aumenta

ICAM-1 aumenta diminuisce

VCAM-1 aumenta diminuisce

specie inferiori, quali la Drosophila melanogaster, tessutoadiposo, fegato e sistema emopoietico, fanno parte di ununico organo, chiamato “corpo adiposo”. Negli organismisuperiori, questi 3 tessuti sono distinti, ma hanno conserva-to un’organizzazione comune, in cui le cellule metaboliche(adipociti o epatociti) sono in stretto rapporto con celluleimmunitarie (cellule di Kupffer e macrofagi) e con un’este-sa rete vascolare. Questi tessuti interagiscono tra loro in mo-do continuo e dinamico attraverso il rilascio di segnali chegenerano risposte sincronizzate e correlate, in cui cellule ap-

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Fig. 2 Obesità, metaflammatione patogenesi della sindromemetabolica

partenenti al sistema immunitario modulano l’attività dellecellule metaboliche e viceversa [1].

Un bilancio energetico positivo protratto nel tempo, de-termina un aumento della massa adiposa e quando le dimen-sioni dell’adipocita raggiungono un diametro critico (circa140–180 µm) si verifica una condizione di ipossia cellula-re, a causa della riduzione della diffusione dell’ossigeno al-l’interno di queste cellule. Ne consegue uno shift nella pro-duzione di adipochine e citochine in senso proinfiammato-rio [6]: in condizioni di sovrappeso o di obesità, aumentala sintesi di IL-6, IL-8, TNF-α, leptina e resistina, mentrela produzione di adiponectina ad azione antinfiammatoria siriduce. Tale quadro induce uno stato di “infiammazione cro-nica di basso grado”, a cui contribuisce l’infiltrazione neltessuto adiposo di macrofagi e linfociti, richiamati dal rila-scio da parte degli adipociti di fattori chemotattici, quali lamonocyte chemotactic protein-1 (MCP-1) e di molecole diadesione, come vascular cell adhesion protein (VCAM-1).Nel 2007, Saltiel e colleghi hanno proposto un modello di“switching fenotipico”, secondo il quale l’obesità, soprattut-to in presenza di una dieta iperlipidica, è associata alla tra-sformazione dei macrofagi, da un fenotipo antinfiammatorioM2 a un fenotipo proinfiammatorio M1 caratterizzato dallaproduzione di TNF-α e IL-6 [7] (Fig. 2). Inoltre, a livellodel tessuto adiposo viscerale è stato osservato, un aumen-to dei linfociti CD8 ad attività citotossica e una riduzionedelle sottopopolazioni CD4 e T-regolatorie (T-Reg). Nishi-mura e collaboratori hanno dimostrato in vitro che i CD8presenti nel tessuto adiposo contribuiscono al reclutamen-to, alla differenziazione e all’attivazione dei macrofagi M1,proinfiammatori, mentre le popolazioni CD-4 e T-Reg risul-tano correlate all’attivazione dei macrofagi M2 ad azioneantiinfiammatoria [8].

Il ruolo della dieta

Durante il ciclo alimentazione/digiuno, in condizioni fisio-logiche, si verifica una risposta infiammatoria intermittente,aspecifica, di basso grado, a livello dei “tessuti metaboli-ci” (tessuto adiposo, muscolare ed epatico), che si traducein un aumento transitorio, a livello sierico, di alcune protei-ne/citochine infiammatorie (PCR, IL-6, TNF-α, ecc.). Taleincremento raggiunge il picco massimo nella fase assorbi-tiva, post-prandiale, per poi ridursi gradualmente, in circa2 ore, quando i nutrienti sono stati distribuiti, metabolizza-ti e/o accumulati nelle rispettive sedi cellulari. La rispostainfiammatoria è amplificata in condizioni di sovralimenta-zione (dieta iperlipidica, eccesso di grassi saturi e carboi-drati semplici, scarso apporto di fibra, vitamine e compostiantiossidanti) e di obesità (e di diabete), allorché l’overloadmetabolico genera un “ingorgo” delle fisiologiche vie meta-boliche, con progressivo reclutamento e attivazione di cellu-le immuno-competenti quali macrofagi, mast-cells e linfo-citi T. Ne consegue l’instaurarsi di un circolo vizioso che siautoalimenta cronicizzando, in cui la fisiologica fase di quie-scenza della risposta infiammatoria è incompleta e genera unmilieu proinfiammatorio che compromette le funzioni meta-boliche [9]. Al contrario, un pattern alimentare conformeal modello alimentare mediterraneo risulta associato a unariduzione della concentrazione sierica dei biomarkers del-l’infiammazione. I complessi meccanismi attraverso cui talerisposta infiammatoria viene indotta dal regime alimentaresi vanno progressivamente delineando. Schematicamente èpossibile distinguere due principali vie: la prima “aspecifi-ca”, rappresentata dal fenomeno definito “stress del retico-lo endoplasmatico (RE)” e la seconda “specifica”, in quan-to correlata alla qualità della dieta, ossia all’assunzione ineccesso o in difetto di specifici nutrienti.

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Fig. 3 Stress del reticolo endoplasmatico. JNK-AP-1, c-Jun N-termi-nal kinase-activator protein-1; IKK, Inibitor of kappaB kinase; NF-kB,Nuclear Factor k chain transcription in B cells

Overload metabolico e stress del reticoloendoplasmatico

In condizioni di obesità e di overfeeding (eccessiva assun-zione di energia e nutrienti), l’overload metabolico generauno stress cellulare che si estrinseca a livello del RE in quel-lo che viene definito “stress del reticolo endoplasmatico”(Fig. 3). Una delle principali manifestazioni è rappresenta-ta dall’accumulo di proteine “unfolded”, mal ripiegate, nellume del RE. Il RE attiva, quindi, una risposta complessa,definita Unfolded Protein Response (UPR), che ha la fina-lità di ripristinare l’integrità di questo organello cellulare,bloccando la sintesi proteica e incrementando l’espressionedi chaperones molecolari. L’URP si estrinseca nell’attiva-zione di 3 proteine di membrane del RE: Inositol-RequiringEnzyme 1 (IRE-1), PKR-like endoplasmic-reticulum kinase(PERK) e Activating Transcription Factor 6 (ATF-6) che,attraverso segnali a cascata, portano a un’aumentata pro-duzione di ROS e inducono una risposta infiammatoria. Inparticolare, l’attivazione della PERK determina il rilascio diNuclear Factor k chain transcription in B cells (NF-kB) dalsuo inibitore IκB. L’NF-kB attivato è traslocato nel nucleo,dove attiva l’espressione dei geni che codificano per IL-1,IL-6, TNF-α e MCP-1 [9].

Acidi grassi e risposta infiammatoria

Gli acidi grassi possono condizionare la risposta infiamma-toria sia attraverso la sintesi di eicosanoidi che regolando, alivello della membrana cellulare o a livello citoplasmatico,

la trasduzione di segnali che modulano l’attività di fattori ditrascrizione coinvolti nel processo infiammatorio.

Studi in vitro hanno dimostrato che gli acidi grassi sa-turi (SFA), quali l’acido laurico, il miristico e il palmitico,sono in grado di attivare i Toll-like receptors (TLR) degliadipociti e dei macrofagi. L’interazione SFA-TLR determi-na l’attivazione delle chinasi c-jun N-terminal kinase (JNK),Inhibitor of kappaB kinase (IKK) e protein kinase R (PKR)a cui consegue (Fig. 3):

– fosforilazione dell’insulin receptor substrate-1 (IRS-1)in serina e sua degradazione ed eliminazione attraversola via dell’ubiquitina con blocco della trasmissione delsegnale insulinico;

– inibizione (per azione di PKR) dell’eukaryotic initiationfactor 2 (eIF2), che regola la sintesi proteica e modulal’attività del RE;

– attivazione del fattore di trascrizione NF-kB, per disso-ciazione dall’inibitore citoplasmatico (IkB) e trasferimen-to nel nucleo, con sovra-regolazione dell’espressione deigeni proinfiammatori.

In vivo, la relazione tra SFA e biomarkers dell’infiamma-zione è stata dimostrata in soggetti in eccesso ponderale, incui il rapporto SFA:ω6-ω3 è direttamente correlato alle con-centrazioni di IL-6, CRP e di molecole di adesione; inoltre,l’inibizione dell’IRS-1 e la riduzione dei livelli di adiponec-tina, inducono insulino-resistenza, aumentando il rischio disindrome metabolica [3].

Diversi studi hanno dimostrato i potenziali benefici de-rivanti dalla sostituzione di SFA con acidi grassi insaturi,acido oleico e acidi grassi polinsaturi (PUFA). Essendo l’a-cido linoleico (ω6) precursore dell’acido arachidonico (AA)si ritiene che un elevato rapporto ω6 : ω3 sia in grado dipromuovere uno stato infiammatorio; evidenze sperimentali,tuttavia, non supportano tale ipotesi: in soggetti in sovrappe-so le concentrazioni sieriche di PUFA ω6 (acido linoleico,AL, e AA) sono inversamente correlate alle concentrazionidi IL-6, a prescindere dai prodotti del metabolismo degli ei-cosanoidi. I PUFA ω3 (acido α-linolenico, ALA, eicosapen-taenoico, EPA e, soprattutto, docosaesaenoico, DHA) han-no, comunque, effetti decisamente più marcati dei PUFA ω6nel ridurre l’espressione di numerose citochine proinfiam-matorie, quali IL-6, TNF-α, IL-18, sICAM-1, sVCAM-1 esE-selectina, oltre che della PCR. Inoltre, i PUFA ω3, legan-dosi al G-protein coupled receptor 120 (GRP120; recettoredi membrana sensibile agli acidi grassi, espresso a livello deimacrofagi), bloccano il pathway di attivazione dell’NFκB.Infine, l’EPA sarebbe in grado di inibire l’attività dell’enzi-ma delta-6 desaturasi, riducendo la formazione AA [10].

Carboidrati e risposta infiammatoria

L’iperglicemia è associata sia a una condizione di stress ossi-dativo che a uno stato infiammatorio. Evans e colleghi [11]

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Fig. 4 Acidi grassi saturi eattivazione della cascatainfiammatoria. SFA, SaturatedFatty Acid; IRS-1, Insulinreceptor substrate 1; eIF2,eukaryotic initiation factor 2;NF-kB, Nuclear Factor k chaintranscription in B cells

hanno sviluppato una teoria in base alla quale l’iperglice-mia cronica (associata o meno ad aumento dei trigliceridi edei Non Esterified Fatty Acids, NEFA) attraverso la forma-zione di Advanced Glycation End-Product (AGE) e l’inte-razione tra AGE e Receptor for Advanced Glycation End-products (RAGE), l’attivazione della via dei polioli e l’au-tossidazione del glucosio determina un’aumentata produzio-ne di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) che induce l’atti-vazione di alcuni fattori di trascrizione, tra cui l’NF-kB, acui corrisponde un aumento dei biomarkers dell’infiamma-zione, quali PCR, IL-6, IL-8, TNF-α, metalloproteinasi dimatrice e markers della disfunzione endoteliale (VCAM-1,ICAM-1 ed E-selectin), fenomeni che possono essere pre-venuti dalla supplementazione con antiossidanti quali vita-mina C, E e acido lipoico. L’indice glicemico (GI) e il ca-rico glucidico (GL) sono associati a un aumento della con-centrazione plasmatica della PCR. Alti livelli di NEFA pos-sono causare stress ossidativo sia per il disaccoppiamen-to della fosforilazione ossidativa che per aumento della β-ossidazione mitocondriale. Sebbene i risultati di studi os-servazionali siano suggestivi di un’associazione positiva traGI/GL e infiammazione di basso grado, studi d’interventonon hanno ancora confermato tali osservazioni, forse a cau-sa della scarsa numerosità campionaria della maggior par-te di questi studi. Il consumo di cereali integrali, attraver-so l’aumentato apporto di fibra, è associato a una riduzionedelle concentrazioni sieriche dei biomarker dell’infiamma-zione (PCR e IL-6), sebbene i meccanismi debbano esse-re ancora chiariti (è possibile un effetto sinergico di fibra,minerali, vitamine o phytochemicals, quali lignani e acidifenolici) [3].

Nuove prospettive e conclusioni

Diversi studi negli ultimi anni hanno dimostrato, o stannodimostrando, il ruolo di specifici nutrienti nella prevenzioneprimaria o secondaria di patologie correlate all’infiamma-zione, quali la sindrome metabolica e il diabete. Molto stu-diata è la vitamina D, a cui è attribuita la capacità di inibirela sintesi di TNF-α nei monociti e nei macrofagi e down-regolare l’espressione dei TLR2 e TLR4 nei monociti uma-ni. Studi di intervento hanno provato a correlare l’assunzio-ne giornaliera di vitamina D con lo stato infiammatorio, conrisultati contrastanti, sebbene uno studio controllato vs pla-cebo abbia dimostrato che la vitamina D alla dose di 3300 UI(82,5 mcg)/die per 1 anno determina una riduzione del 10%della concentrazione di TNF-α in soggetti in sovrappeso,sottoposti a un programma di dimagrimento [12].

A causa delle reciproche interazioni di tipo sinergico oantagonista tra nutrienti e/o altri composti veicolati dagli ali-menti (antinutrienti e/o phytochemicals) è, tuttavia, chiaroche, per comprendere il ruolo della dieta nella modulazio-ne dello stato infiammatorio e dello stress ossidavo, occorrevalutare il pattern nutrizionale nella sua globalità. Alla lucedi quanto precedentemente esposto è, comunque, chiaro cheun regime alimentare caratterizzato da un abbondante con-sumo di verdura, frutta, noci, olio d’oliva, legumi e pesce,con moderate quantità di alcol e bassa assunzione di carnerossa, carni trasformate, cereali raffinati e prodotti lattiero-caseari, ha un effetto protettivo [3]. Tali aspetti corrispondo-no alle caratteristiche del modello alimentare mediterraneo(Fig. 4). A conferma di questo, diversi studi hanno dimostra-to un’associazione inversa tra grado di adesione alla dietamediterranea e livelli sierici di IL-6, la PCR e il TNF-α. È,

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Fig. 5 Piramide della dietamediterranea moderna. 3a

Conferenza InternazionaleCIISCAM, 2009—CentroInteruniversitario Internazionaledi Studi sulle CultureAlimentari Mediterranee

tuttavia, opportuno sottolineare che questi effetti risultanocorrelati, non solo alla quantità ma, soprattutto, alla varietàdelle scelte alimentari e, in particolare, della frutta e degliortaggi, in relazione alla presenza di composti di differen-te natura, quali α-carotene, β-carotene, β-ciproxantina, lu-teina, zeaxantina, licopene, vitamina C, oltre che all’etero-genea categoria dei polifenoli (flavonoidi, antocianine, aci-di fenolici, ecc.), ciascuno dei quali ha effetti diversificatisulle citochine infiammatorie, a conferma dell’importanzadel pattern nutrizionale nella sua interezza piuttosto che delsingolo nutriente o composto funzionale (Fig. 5).

Conflitto di interessi Gli autori Alessandro Pinto, Lucia Toselli,Graziella Gavarini, Gianluca Merola, Roberta Ienca, Domenico DeStefano, Anna Maria Giusti, Valeria del Balzo, Lorenzo Maria Doninie Andrea Lenzi dichiarano di non avere conflitti di interessi.

Consenso informato Tutte le procedure sono state eseguite in ac-cordo con gli standard etici della commissione responsabile sulla spe-rimentazione umana (istituzionale e nazionale) e con la Dichiarazionedi Helsinki del 1975, aggiornata nel 2005. Il consenso informato è statoottenuto da tutti i pazienti che sono stati inclusi nello studio. Un con-senso informato addizionale è stato richiesto a tutti i pazienti per i qualiquesto articolo include informazioni identificative.

Studi sugli animali Gli autori di questo articolo non hanno eseguitostudi sugli animali.

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