CONSERVATORIO DI MUSICA “CESARE POLLINI” DI PADOVA
Dipartimento di Nuove Tecnologie e Linguaggi Musicali
DIPLOMA ACCADEMICO DI 1° LIVELLO IN MUSICA ELETTRONICA
Indirizzo Tecnico di Sala di Registrazione
Tesi di laurea
DIGITAL STORYTELLING: UNA RISORSA PER IL MUSEO CONTEMPORANEO
Relatore
Prof. GIORGIO KLAUER
Laureando
ALBERTO VEDOVATO
Matricola 11237
Anno Accademico 2014-2015
3
INDICE
Capitolo 1. Il Museo .................................................................................................... 5
1.1. Il mito: le Muse e Mnemosyne ........................................................................... 5
1.2. Origini del museo ............................................................................................... 7
1.3. La destinazione pubblica del museo .................................................................... 8
1.4. I primi musei in senso moderno: il British Museum e il Louvre .......................... 9
1.5. Le caratteristiche e le finalità del museo moderno............................................. 11
1.6. La didattica museale ......................................................................................... 12
1.6.1. Il museo come esperienza sociale. Il Convegno ......................................... 12
1.7. Il carattere interdisciplinare della didattica museale .......................................... 14
1.7.1. La teoria costruttivista ............................................................................... 15
1.8. La comunicazione nel museo ............................................................................ 16
1.9. Musei e nuove tecnologie ................................................................................. 19
1.9.1. Il concetto di edutainment .......................................................................... 22
1.9.2. L’Experience Design ................................................................................. 23
1.9.3. Dispositivi mobili, tecnologia RFID e più recenti soluzioni ....................... 24
1.9.4. La Augmented Reality ................................................................................ 25
1.9.5. Natural User Interfaces ............................................................................. 27
Capitolo 2. Il ruolo della narrazione nella comunicazione ...................................... 29
2.1. La memoria collettiva ....................................................................................... 29
2.2. Il racconto nell’antichità ................................................................................... 30
2.3. Narrazione e apprendimento ............................................................................. 31
2.4. I musei narranti ................................................................................................ 33
2.4.1. I primi musei emotivamente coinvolgenti .................................................. 34
2.4.2. Gli ambienti sensibili di Studio Azzurro .................................................... 35
2.4.3. Il Museum Theatre ..................................................................................... 37
Capitolo 3. Il Digital Storytelling.............................................................................. 39
3.1. Il Center for Digital Storytelling ....................................................................... 39
3.1.1. Le motivazioni profonde alla base della metodologia ................................. 40
3.1.2. Perché Digital: l'apprendimento multimediale ............................................ 41
3.1.3. La centralità della teoria di Mayer .............................................................. 43
3.2. Alcuni esempi di DST ...................................................................................... 47
3.3. Il Digital Storytelling varca le soglie del museo ................................................ 50
3.3.1. Digital Storytelling diretto: lo Statens Museum fur Kunst di Copenhagen .. 53
3.3.2. Digital Storytelling partecipativo: il Museum of Modern Art di New York 53
4
3.3.3. Digital Storytelling indiretto: il Delaware Art Museum .............................. 54
3.3.4. Digital Storytelling immersivo: i Giardini di Castel Trauttmansdorff di Merano ................................................................................................................ 56
Capitolo 4. Digital Storytelling@Museo Bottacin .................................................... 59
4.1. L'idea nel dettaglio ........................................................................................... 62
4.2. La realizzazione ............................................................................................... 63
4.2.1. La parte informatica ................................................................................... 64
4.2.2. Il codice elaborato ..................................................................................... 65
4.2.3. La produzione audio .................................................................................. 67
4.3. L’installazione .................................................................................................. 69
4.4. L’esordio: la Notte Europea dei Musei ............................................................. 72
4.4.1. I difetti del sistema e le conseguenti modifiche .......................................... 75
Capitolo 5. Considerazioni finali e possibili prospettive .......................................... 79
INDICE DELLE FIGURE ....................................................................................... 81
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA.......................................................................... 83
5
Capitolo 1. Il Museo
Il termine “museo”, nella sua etimologia, è permeato di un universo concettuale
assai ricco ed è legato all’indissolubile rapporto che lega le Muse e Mnemosyne, dea
della memoria.1 A loro, ispiratrici dei poeti e protettrici dei dotti, era intitolato un luogo
che, nel palazzo di Alessandria d’Egitto, ospitava il più famoso cenacolo intellettuale
dell’antichità, il Mouséion, ovvero “tempio delle Muse” (Simpson, 1998),
rappresentazione di come tutto il sapere potesse trovare sua confacente dimora in un
unico complesso. Con la sua straordinaria biblioteca (che contava circa 700.000 volumi
nei quali era raccolta tutta la letteratura allora conosciuta), l’osservatorio astronomico, il
giardino botanico e zoologico e il laboratorio di anatomia, esso sorse al tempo di
Tolomeo I Soter (322-283 a.C.), su ispirazione di Demetrio Falereo, che era stato
tiranno d’Atene ma anche, e soprattutto, allievo di Aristotele che, a detta di Strabone,
«insegnò ai re d'Egitto un sistema bibliotecario».2
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire quale fosse il ruolo di queste
divinità, in che modo la loro essenza permei il concetto di museo e perché esse abbiano
una posizione di assoluto rilievo nell'economia del nostro discorso.
1.1. Il mito: le Muse e Mnemosyne3
Nella Grecia arcaica la Musa, invocata all'inizio di ogni canto, aveva la funzione
di far conoscere gli avvenimenti del passato, e non solo:
Muse dell'alto Olimpo abitatrici, / or voi ne dite (ché voi tutte, o Dive, / riguardate le cose e le sapete: / a
noi nessuna è conta, e ne susurra / di fuggitiva fama un'aura appena)[...] (Omero, Iliade, II, 484).
1 Interessante, nel delineare l’etimologia del termine, l’articolo di Paula Findlen del 2001. 2 Sul museo e la biblioteca di Alessandria, nonché sull'influenza esercitata dal modello aristotelico vedi, tra gli altri: Carettoni, 1980; Canfora, 1988; Cavallo, 1988; Assmann, ed. 1997, p. 233. 3 La Teogonia, il poema di Esiodo che espone nomi e discendenza di dei e semidei, è introdotta da un lungo inno in tre parti indirizzato a tutte e nove le Muse, celebrante la loro attività e le loro opere. Si legge: «Le partorì nella Pieria, unitasi al padre Cronide,/ Mnemosine dei clivi d’Eleutere regina,/ che fossero oblio dei mali e tregua alle cure. […]allora lei partorì nove fanciulle di uguale sentire, a cui il canto/ è caro nel petto, e intatto da cura hanno il cuore[…]» (Esiodo, vv. 53-55; vv. 60-61). E più oltre: «[…]le nove figlie dal grande Zeus generate,/ Clio e Euterpe e Talia e Melpomene,/ Tersicore e Erato e Polimnia e Urania,/ e Calliope[…]».
6
Fin da Omero le Muse vengono citate, esattamente come Mnemosyne in Esiodo,
come le dee sempre presenti, che tutto sanno: è dalla loro esperienza diretta che il
sapere umano viene reso capace di quella “rappresentazione interiore” che rende le cose
comprensibili e trasmissibili.
È grazie a lei se la parola del cantore, assumendo i connotati di un dono per
iniziati, permette all'uomo di sfuggire al silenzio e alla morte; le imprese di cui si tace,
infatti, sono destinate a svanire nel nulla. Sul piano della parola parlata, dunque, la
Memoria ha un valore duplice: da un lato è un dono di veggenza che permette al poeta
di esprimersi con parole efficaci, di formulare la parola cantata; dall'altro, è essa stessa
la parola cantata (Detienne, ed. 1977, p. 12).
Con l'affermarsi della scrittura, se è vero che il modo di concepire la memoria
cambiò radicalmente, è altrettanto vero che la poesia recitata continuava a mantenere il
suo ruolo di principale veicolo di educazione dei giovani.
I Greci seppero mantenere ed anzi accentuare l'arcaica divinizzazione della
memoria che non può non essere tipica di tutte le civiltà essenzialmente orali. In
un'epoca in cui altri strumenti di memorizzazione si stavano ormai ampiamente
affermando, i Greci conservavano l'idea di una memoria come dea ed elaboravano
un'ampia mitologia della reminiscenza.
Da quanto detto fino ad ora, emerge come nella mentalità greca risultasse ben
presente l'idea di una memoria capace di ergersi a difesa dell'uomo dalla morte e
dall'oblio, e anzi, capace di “resuscitare i morti” non nella loro reale identità, ma nelle
loro opere, nelle cose che amano, negli scritti, nell'arte. Dea protettrice dei musei,
dunque, poiché se esiste un organismo capace di questa risurrezione trasposta del
passato, degli uomini e delle cose, questo è proprio il museo.
In un articolo apparso su Nuova Museologia, Pinna si esprime in questi termini:
«È ben noto che i musei sono luoghi in cui si conservano gli oggetti che rappresentano
il passato, la storia e l'identità, di una comunità, e cioè i simboli della comunità, ed è
chiaramente riconosciuto il loro ruolo di istituzioni attraverso cui i significati simbolici
di cui sono impregnati gli oggetti vengono disseminati all'interno della comunità e
trasferiti alle generazioni future, è quindi riconosciuta la loro natura di luoghi di
identificazione delle comunità. Assolutamente meno discusso è il ruolo che i musei
7
hanno nella creazione dei significati simbolici, e quindi nella costruzione del patrimonio
culturale delle comunità, della memoria e delle identità collettive» (2003, pp. 25-25).
Non solo l'oggetto conserva la memoria, ma anche noi, recependo il suo messaggio,
prolunghiamo la sua esistenza nel nostro ricordo.
Il ricordo, che è uno degli scopi primari dell'istituzione museo non può limitarsi
a situare gli avvenimenti nella loro banale diacronia, ma deve sempre giungere al fondo
dell'essere, per scoprire l'originario, l'archetipo, la realtà primordiale di cui è intessuto il
cosmo. In fondo, già Platone (Menone, 81c-d) affermava che apprendere è soprattutto
ricordare.
1.2. Origini del museo L’uso moderno del termine risale al Rinascimento italiano quando con musaeum
si vennero a designare sia gli “studioli” degli umanisti,4 che possedevano una qualche
organicità di intenti e di finalità, che le collezioni signorili e principesche. Queste
ultime, espressione di una grandissima varietà di interessi, presentavano di conseguenza
una notevole promiscuità di reperti: meraviglie dell’arte e della natura, dipinti, disegni,
libri e manoscritti, ma anche reliquie, strumenti scientifici, modelli di macchine e di
architettura, raccolte di minerali, animali impagliati, resti archeologici, ecc. In entrambi
i casi, però, ciò che caratterizzava il museum tradizionale era di essere uno spazio
privato, un luogo di isolamento, un rifugio sottratto al disturbo del mondo esterno.
A cavallo fra Cinquecento e Seicento, si assiste, in un’ ottica del tutto opposta, ai
primi tentativi di specializzazione, di enucleazione, cioè, della collezione d'arte dal
gabinetto di storia naturale. Vede la luce una nuova tipologia di musaeum, a esso
antitetica e complementare, rappresentata dalla galleria. Se lo studiolo di matrice
umanistica ed elitaria, esaltava in uno spazio esiguo, ma armonico e funzionale, quei
valori di introspezione, di mediazione intellettuale ed estetica, tipici della spiritualità
quattrocentesca, la galleria, al contrario, trae origine dalla tensione verso un più
coinvolgente contatto con il pubblico esercitando, allo stesso tempo, una duplice
4 Erasmo da Rotterdam nel suo Convivium religiosum del 1523 utilizza il termine museion (ed. 2002, p. 304) per indicare i luoghi in cui gli umanisti non solo rievocavano la civiltà classica attraverso lo studio dei codici antichi, ma anche attraverso oggetti che la richiamavano direttamente come monete o piccoli reperti archeologici, o indirettamente come i ritratti degli uomini illustri del passato (Marini Clarelli, 2005, p. 9).
8
funzione: autocelebrativa del committente, all'interno di una ristretta cerchia di pubblico
selezionatissimo (Galluzzo, 1997, p. 8), e conservativo-espositiva delle glorie artistiche
e delle imprese eccellenti del casato di appartenenza.
Un secolo dopo “museo” è già il nome comune di tutte le raccolte di naturalia e
artificialia che, in base alle caratteristiche e alle modalità di allestimento, si chiamano
gallerie, gabinetti, studioli, stanze delle rarità e delle meraviglie.5 Con il passare degli
anni l’assetto spaziale del museo stesso comincia a cambiare: la necessità di spazio
moltiplica la presenza di armadi, prima aperti repositoria con mensole, poi sempre più
chiusi, che divengono contenitori universali;; inoltre, l’ansia classificatoria del
collezionista suggerisce soluzioni sempre più distanti dalle spettacolari scenografie
barocche. Dunque, ad una musealizzazione sostanzialmente visiva e teatrale si viene
sostituendo progressivamente una musealizzazione per classi sostanzialmente
ordinativa.
«La parola museo ha nel tempo assunto un senso sempre più ampio, che si applica
oggi a ogni luogo nel quale sono raccolte le cose che hanno un rapporto diretto con le
arti e con le muse», scrive nel 1765 il cavaliere de Jaucourt nel compilare la voce Musée
dell’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert (1765, X, p. 894).
Infine, il termine subì un’altra, decisiva variazione di significato, quando si trattò
di distinguere le collezioni destinate all’uso privato da quelle che, nella seconda metà
del XVIII secolo, cominciarono a essere aperte al pubblico. Tra i compiti loro assegnati
rientrano quelli di educare, produrre e diffondere sapere. Al contrario delle collezioni
private da cui traevano origine, i nuovi musei dovevano essere spazi il cui accesso era
garantito a tutta la popolazione.
1.3. La destinazione pubblica del museo
La destinazione pubblica sembra oggi una caratteristica imprescindibile
dell'istituzione che comunemente riconosciamo con il nome di museo, l'elemento senza
il quale essa non avrebbe motivo di essere, ma, da quanto detto fino ad ora, emerge che
5 Nella scienza dell'epoca si assisteva alla netta distinzione tra naturalia ed artificialia, cioè tra oggetti che venivano trovati in natura e quindi raccolti, catalogati e studiati dagli scienziati, e gli oggetti realizzati con l'artificium, ovvero dall'uomo, con materiali che si trovavano sì in natura, ma che venivano modificati e lavorati (Gabrielli, 2001, p. 14).
9
non è sempre stato così. L'apertura al pubblico, al contrario, è il frutto di una lenta
conquista avvenuta nei secoli.
Se nel Medioevo l’unico vero luogo di esposizione al pubblico era stata la chiesa,
nella quale le ragioni del culto si erano integrate con la rappresentanza dei valori della
comunità, in età umanistica fu proprio un papa che attribuì alla fruizione del patrimonio
culturale una destinazione prevalentemente civile, favorendo la costituzione del primo
esempio di museo a carattere pubblico. Nel 1471 Sisto IV, infatti, si preoccupò di
valorizzare il patrimonio artistico della capitale imperiale, limitandone il commercio
privato e imponendo il monopolio pontificio sui traffici, atto, questo, teso ad affermare
in maniera spettacolare il ruolo e l’importanza del papato nei confronti della
magistratura (Binni, Pinna, 1980, p. 24). Fu così che alcune sculture legate alla storia
della città e, per questo, dal valore fortemente evocativo ed emblematico, come la Lupa,
il Camillo, lo Spinario, la testa di Costantino, le divinità fluviali e l’Ercole furono
donate, corredate dell’iscrizione «priscae excellentiae virtutisque monumentum», al
popolo romano grazie alla loro collocazione nel Palazzo dei Conservatori sul
Campidoglio (Pietrangeli, 1980, p. 11). Siamo di fronte al primo museo aperto al
pubblico in cui, per volontà del pontefice, viene recuperato il principio, già enunciato
nel diritto romano, della libera accessibilità delle raccolte; le opere, inoltre, per la prima
volta non sono conservate né in un palazzo né in una chiesa, ma rese accessibili alla
comunità in uno spazio appositamente predisposto.6
Al di là di Roma, però, la coscienza della fruizione pubblica del patrimonio
culturale non si manifesterà in modo altrettanto chiaro se non alla fine del Cinquecento
con l’apertura degli Uffizi e dello statuario pubblico di Venezia. Le corti rinascimentali,
infatti, riscoprono il luogo delle Muse, ma in forma assolutamente privata.
1.4. I primi musei in senso moderno: il British Museum e il Louvre Lo spartiacque tra la preistoria e la storia del museo è l’impegno dello Stato a
conservare e rendere fruibili le raccolte per finalità di educazione e godimento pubblico.
La data simbolo è il 1759, anno in cui fu consentito ai visitatori l’accesso al British
Museum di Londra, fondato sei anni prima grazie al lascito di sir Hans Sloane che
6 Sul gesto avanguardistico di Sisto IV vedi, oltre ai testi già citati, Pietrangeli, 1980; De Benedictis, 1991, pp. 46-47.
10
stabilì che le sue collezioni di scienze naturali e di antichità fossero destinate ad
un’istituzione disposta a renderle accessibili al pubblico e a pagare ai suoi discendenti
una cifra considerevole. L’apertura al pubblico, introdotta come una concessione,
divenne progressivamente un diritto e il museo assunse i caratteri di un’istituzione con
finalità sia educative sia di conservazione del patrimonio culturale e dei valori della
società dalla quale traeva sempre più la propria legittimazione.7
In Francia l'accesso libero al museo sarà una conquista della fine del secolo,
quando, sull'onda della Rivoluzione, si decretò il possesso pubblico delle collezioni reali
francesi, anche se già Diderot, nel 1765, aveva suggerito il trasferimento e l'apertura al
pubblico della pinacoteca reale nella Grande Galerie (Rossini, 1999, p. 12). Ed è stata
la Rivoluzione Francese a proclamare il diritto per tutti di visitare, studiare e frequentare
i musei con il gesto avanguardistico di statalizzare le raccolte d’arte reali (decreto della
Costituente del 26 luglio 1791) e di aprire il museo dei re di Francia, il Louvre, il 10
agosto 1793, e intitolarlo «Musée Révolutionnaire», ovvero MUSÉE FRANÇAIS
(decreto dell’Assemblea Nazionale del 27 settembre 1792). L’ingresso era libero il
sabato e la domenica dalle 9 alle 16; alle opere furono applicate, per la prima volta nella
storia dei musei, le didascalie; fu pubblicato un catalogo in formato tascabile,
acquistabile ad un prezzo accessibile a tutti e furono addirittura previste le visite guidate
alle gallerie (Mottola Molfino, 1991, p. 22). In Italia, la prima metà dell’Ottocento vede, sotto l’aspetto museale, il periodo
forse più triste della nostra storia. Caduta la Serenissima, passati in mano straniera molti
stati i cui signori avevano curato, seppur ciascuno a suo modo, la raccolta delle opere
d’arte, molti dei capolavori italiani andarono ad abbellire le collezioni dei principi
europei. Solo successivamente all’unità d’Italia, si fece largo la necessità di una tutela
legislativa che ovunque, in Europa, aveva spinto alla creazione del museo pubblico,
quale modello e regolatore delle raccolte in cui si riconosceva una funzione primaria
alla vita culturale del paese, al pari di quanto avveniva per l’Università. Si giunse, cioè,
a poco a poco, all’idea di museo come scuola, ad un museo altro, non più semplice
organismo di tutela e di difesa di cose belle (Forlati Tamaro, 1967, p. 508; Aa. Vv.,
1967, p. 383).
7 Sull’istituzione del British Museum: Gabrielli, 2001, p. 34;; Schubert, ed. 2004, pp. 20-21; Marini Clarelli, 2005, pp. 10-11.
11
1.5. Le caratteristiche e le finalità del museo moderno
«Un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del
suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricerche sulle testimonianze dell’uomo e
del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di
studio, di educazione e di diletto», questa è la definizione ufficiale di “museo”,
formulata nel 1951 dall’International Council of Museums (ICOM), che l’ha poi inserita
nel 1975 nel proprio statuto e nel 1986 nel proprio codice di deontologia professionale
(in Tomea Gavazzoli, 2003, p. 202).8
Analizzando nel dettaglio tali assunti, ne deriva che il museo viene a configurarsi
come un’istituzione permanente, in quanto, per poter svolgere i suoi compiti, esso ha la
necessità non solo di mantenersi nel tempo, ma anche di integrarsi con il territorio in cui
nasce e si sviluppa; senza scopo di lucro perché il suo scopo primario, lungi dall’essere
quello di arricchire economicamente se stesso, è, al contrario, quello di accrescere
culturalmente la popolazione e dunque al servizio della società e del suo sviluppo;
aperto al pubblico, dal momento che un museo è tale solo quando le sue collezioni sono
visitabili, fruibili; per questo motivo esso deve essere pensato e costruito intorno
all’uomo e alle sue esigenze. Il museo, poi, effettua ricerche in quanto esso,
raccogliendo ogni tipologia di testimonianza, siano essi reperti archeologici o
etnografici, dipinti o sculture, viene ad essere un coacervo di storie, una miniera
immensa di conoscenza che per sopravvivere ed essere tramandata deve essere studiata;
acquisisce, conserva, comunica rispecchiano i tre compiti fondamentali del museo:
conservazione, ricerca, comunicazione. Affinché le opere possano essere ammirate e
studiate, l’istituzione museale ha il compito innanzitutto di acquisirle, successivamente
di fare in modo che esse vengano correttamente conservate, nonché di escogitare i
metodi comunicativi più efficaci per divulgarne i contenuti; infine, le espone a fini di
studio, di educazione e di diletto. Un museo espone, come detto, per fini di studio, uno
studio finalizzato a conoscere il passato, capire il presente e programmare il futuro. Una
sorta di studio educativo, insomma, dal quale non può prescindere il diletto, la
piacevolezza derivata dall’ammirarne le opere e dalle emozioni suscitate dalla visita
stessa. 8 Il Codice di deontologia professionale dell’ICOM è stato adottato all’unanimità dalla 15° Assemblea Generale dell’ICOM, riunita a Buenos Aires (Argentina), il 4 novembre 1986. Vedi Tomea Gavazzoli, 2003, p. 201.
12
1.6. La didattica museale
In Italia la nascita della didattica museale è legata ad una serie di iniziative
istituzionali che si sono susseguite in maniera frenetica, ad evidenziarne l’urgenza, tra
gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento. Tra le principali da ricordare, il
Convegno di Perugia (1955), in collaborazione con l'Accademia Americana, che mise in
evidenza la necessità di distinguere il problema conservativo da quello didattico del
museo e con il quale nacque il concetto di museologia (e, forse, ad essere obiettivi, a
questo esito si giunse grazie soprattutto all'apporto degli Americani, i cui musei, di
relativa recente formazione all'epoca, avevano fatto della funzione educativa, e del
concetto di entertainment, il proprio carattere distintivo9); la Prima Settimana dei Musei
in Italia (1956), nel quadro della Campagna Internazionale dei musei promossa
dall’UNESCO;; il Convegno di Gardone Riviera (1963) dal titolo Didattica dei musei e
dei monumenti, promosso dal Centro Didattico Nazionale per l’Istruzione Artistica;;10 la
formazione della Commissione di studio per la didattica dei musei, costituita presso il
Ministero della Pubblica Istruzione, presieduta da Pietro Romanelli (1970).
1.6.1. Il museo come esperienza sociale. Il Convegno L'evento che segnò il punto di svolta nell’affermazione dell’importanza della
didattica museale in Italia è rappresentato dal Convegno Il museo come esperienza
sociale, tenutosi a Roma nel dicembre del 1971. Già dal titolo, risulta evidente il
carattere di innovazione che sarebbe stato alla base di ogni singolo intervento: il
9 Sorti verso la seconda metà dell'Ottocento, principalmente da donazioni di collezioni da parte dei privati e dall'iniziativa di grossi industriali interessati al collezionismo sia come forma di investimento che come simbolo di prestigio sociale, i musei americani sono stati la manifestazione del clima culturale del tempo. Rifiutando la visione classica europea, essi utilizzarono i grandi magazzini come modello a cui guardare per le strategie espositive, la capacità di comunicare e dialogare con la gente, per le innovazioni che mostravano e che stimolavano nuova progettualità. Inoltre, fin dall'inizio era stato esplicito il loro orientamento didattico che sottolineava l'orgoglio locale, calando i musei sempre più nelle vesti di istituzioni civiche e scapito di una visione nazionalistica o universalistica. Infine, novità assoluta, è stata l'idea di museo legato all'entertainment: stupire, divertire, incuriosire, creare spettacolo diventano scelte condivise anche per educare. I musei americani sono stati sin dall'inizio molto attenti a questo aspetto di comunicazione e coinvolgimento dello spettatore, che spostava l'attenzione dall'oggetto al fruitore (Binni, Pinna, 1980, pp. 56-59). Infine, proprio negli Stati Uniti, nel 1899, nacque il primo museo per bambini del mondo, il Brooklyn Children's Museum, che rivoluzionò il concetto di visita al museo, puntando l'attenzione più sull'esperienza che sugli oggetti (Mottola Molfino, 1991, pp. 195-200). 10 In quell’occasione i musei, le gallerie e i monumenti in generale vennero definiti come mezzi di formazione e di informazione e si auspicava che essi potessero dedicare una parte della loro attività e organizzazione alle esigenze della scuola. Di qui la necessità dell’istituzione di Sezioni Didattiche funzionanti almeno presso i musei principali (Aa.Vv., 1965).
13
concetto di “esperienza”, fino a quel momento avulso da quanto avesse a che fare con
l'idea di istituzione museale, viene invece ora a rivestire un ruolo di primaria importanza
quale elemento propulsore di crescita della società, grazie al suo connubio con il museo.
Lo stesso Romanelli, richiamandosi alle iniziative intraprese dalla direttrice della
Galleria Borghese di Roma, Paola Della Pergola, evidenziava come «essa ha voluto
applicare alle visite delle scuole e dei gruppi di lavoro il metodo dell'educazione attiva,
oggi entrato in pieno nella dottrina e nella prassi pedagogica, chiamando a collaborare
pedagogisti, storici dell'arte, insegnanti ed anche studenti e guide volontarie»
(Romanelli, 1972, p. 16). Romanelli individuava, così, il principio cardine della
didattica museale: al visitatore del museo, di qualsiasi età, veniva riconosciuto il ruolo
fondamentale di protagonista nello sviluppo del suo essere e del suo modo di
apprendere.
L'altro concetto di primaria importanza emerso dallo stesso convegno ci viene
enunciato da un'altra figura di spicco della cultura artistica di quegli anni, Palma
Bucarelli, che già venticinque anni prima aveva organizzato la prima “mostra didattica”
e che, in quell'occasione, affermava:
Poiché la cultura è educazione, è chiaro che in tutti i musei la finalità educativa deve aggiungersi alla
finalità scientifica, ed integrarla. In un museo d'arte moderna l'attività informativa e didattica si identifica
con quella scientifica, anche, e soprattutto, sul piano metodologico, al punto da potersi affermare che, in
un paese culturalmente progredito, il museo d'arte moderna è parte costitutiva e integrante del sistema
dell'informazione e della cultura di massa. Data questa premessa, è nella logica delle cose che il problema
della funzione didattica del museo si sia posto per il museo d'arte moderna prima che per quelli d'arte
antica, e che la sua impostazione abbia assunto un carattere quasi paradigmatico (Bucarelli, 1972, p. 85).
Per la prima volta in Europa, dunque, direttori di musei, pedagogisti, sociologi,
esperti della comunicazione sociale, psicologi, studiosi delle più diverse discipline si
riunivano per discutere la crisi dei musei (poco popolari e ancor meno frequentati,
ridotti a depositi di testimonianze del passato, isolati tra loro e nella società). Si trattava
di studiare quale nuovo ruolo potesse svolgere il museo nella società moderna. Da
questo punto di vista il Convegno rappresentò un grosso salto di qualità nello studio
della tutela del patrimonio storico, artistico e naturale, tutela non più vista in chiave
museografica e di mera protezione, ma chiaramente finalizzata ad un uso socio-culturale
ed educativo dei beni culturali.
14
1.7. Il carattere interdisciplinare della didattica museale La molteplicità delle esperienze realizzate nei primi anni di sperimentazione della
didattica museale mettono in luce, ad uno stadio precoce, il carattere interdisciplinare
sia delle finalità, sia delle metodologie proprie di questa disciplina.
Innanzitutto si evidenzia una finalità di natura sociale nel tentativo di accostare il
grande pubblico al mondo dei musei. Fra le principali considerazioni che portavano a
rilevare l'improrogabile necessità di un immediato approccio al mondo della cultura,
infatti, vi era quella dei gravi problemi sollevati dalle migrazioni interne al Paese.
Queste avevano prodotto la perdita delle radici socioculturali da parte di individui o
gruppi che avevano dovuto abbandonare le comunità di appartenenza originaria, con
tutti i legami affettivi e i modelli di vita tradizionali, per emigrare nelle periferie delle
grandi città, in contesti ambientali del tutto nuovi e sconosciuti. Conoscere e apprezzare
il patrimonio contribuisce a sviluppare nei cittadini la coscienza dell’importanza
dell’impegno civico nella tutela dei beni culturali, aiuta nella formazione della propria
identità culturale e facilita il riconoscimento del valore e dell’importanza della diversità
(Fabietti, Matera, 1999, p. 37).
In un documento approvato dalla Commissione legislativa per l'istruzione e le
belle arti della Camera dei Deputati del 7 gennaio 1966 si legge:
La Camera, preoccupata dall'estendersi ovunque in Italia delle deturpazioni di Centri storici monumentali,
del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché dei furti e delle manomissioni di Beni archeologici e
artistici, rileva alle radici di tali dolorosi fenomeni[...]una manchevole consapevolezza, in troppo larghi
strati della popolazione, dell'immenso valore spirituale, morale ed economico rappresentato dai Beni
culturali e paesistici d'ogni genere, che costituiscono prezioso retaggio della civiltà italiana ed umana;
ravvisa in una diuturna e tenace opera educativa ad ogni livello l'antidoto più efficace contro le
negligenze e gli abusi[...]e il mezzo più valido per formare una salda coscienza nazionale[...] (Aa. Vv.,
1967, vol. I, pp. 138-139).
Per tutti questi motivi risultava urgente favorire un’idonea iniziazione culturale
attraverso l’azione congiunta di scuola e museo fin dai primi anni dell’età scolare,
quando l’individuo è più ricettivo, più disponibile ad acquisire nuovi valori attraverso la
conoscenza delle opere d’arte e della cultura in generale (in anni recenti, anche la
concezione del ruolo del museo come educatore esclusivamente di ragazzi di età scolare
sia stata superata).
15
Nella prospettiva di un approccio interdisciplinare alla didattica museale, un
importante contributo fu offerto anche dagli psicologi, che per primi hanno posto
l'accento sull'importanza di indagare le caratteristiche cognitive (attenzione, memoria,
linguaggio) e i diversi modi di comprensione e assimilazione del messaggio culturale da
parte dei destinatari. Il museo, infatti, esattamente come la scuola, deve promuovere
forme di apprendimento “significativo”, in grado di “legarsi” agli interessi e alle
esperienze reali dei visitatori, di qualsiasi età (Hooper-Greenhill, 1999, p. 67). Di qui,
l'esigenza di sviluppare strategie di educazione secondo molteplici canali di
comunicazione.
1.7.1. La teoria costruttivista La teoria costruttivista (Hein, 1998), prendendo le mosse dal concetto secondo cui
l’individuo costruisce la propria realtà basandosi sulla percezione delle proprie
esperienze, giunge ad affermare che in qualsiasi discussione sull’insegnamento e
sull’apprendimento sia necessario focalizzare l’attenzione su chi apprende e non
sull’argomento che deve essere appreso. Per i costruttivisti, infatti, apprendere significa
collegare informazioni e costruire forme di conoscenza. Da ciò deriva che i musei
pensati secondo i dettami di questa teoria, partendo dal presupposto che il visitatore
costruisca la propria conoscenza personale da ciò che ha visto, puntino l’attenzione sul
visitatore.
Per questo motivo il museo costruttivista non ha un percorso espositivo
determinato a priori dal curatore, ma, al contrario, dà la possibilità al visitatore di
muoversi a piacimento negli spazi, consentendogli di fare collegamenti con oggetti ed
eventi che gli sono familiari. Inoltre, il significato dell’oggetto dato dal curatore non è
concepito come verità assoluta e non è trasmesso dallo specialista al non specialista
attraverso metodi didattici tradizionali. Il metodo costruttivista offre piuttosto al
visitatore molteplici modalità e possibilità di relazionarsi con gli oggetti e di imparare,
secondo il modello free choice learning (Falk, Dierking, 1992; Falk, Dierking, 2000;
Hein, 1998).
Secondo quanto affermano gli studiosi, i musei costruttivisti devono:
1. provvedere rappresentazioni multiple della realtà;
16
2. evitare una ipersemplificazione dell’istruzione, rappresentando la naturale
complessità del mondo esterno;
In questo nuovo museo improntato al dialogo, secondo i dettami della teoria
costruttivista (Hein, 1998), la vecchia concezione di educazione intesa come flusso
unidirezionale di conoscenze da un fonte autorevole ad un interlocutore generico e
passivo, viene soppiantata da un «modello culturale» di comunicazione, dove il
visitatore, dotato degli strumenti necessari alla comprensione e all'analisi, partecipa
attivamente alla costruzione e alla rappresentazione di significati (Hooper-Greenhill,
2003); egli viene dunque invogliato a non essere spettatore passivo, ma viene stimolato
a cercare una propria via verso la conoscenza, utilizzando il proprio bagaglio culturale e
il proprio vissuto.
Tutto questo è assai importante in quanto è sintomo di un profondo mutamento
della società e del ruolo assunto dal pubblico, non più visto come un contenitore vuoto
da riempire, o una ristretta élite di intellettuali con la quale intessere un dialogo
esclusivo. Al contrario, la grande conquista degli ultimi vent'anni è questo nuovo
carattere inclusivo, in cui il visitatore, coinvolto attraverso alla sollecitazione di
molteplici sue capacità, diventa interlocutore, non più mero destinatario di un
messaggio precostituito, ma parte attiva di un processo di comunicazione più ampio,
universale (Ruggieri Tricoli, Vacirca, 1998, p. 96).
1.8. La comunicazione nel museo
Da quanto detto emerge come in due secoli di storia il museo abbia subito un
lento ma costante sviluppo che ha portato l’utente a rivestire un ruolo sempre più
centrale nella pratica museale. Tale spostamento di prospettiva ha contribuito a
modificare il modo stesso in cui il museo viene concepito: non più solo un luogo di
conservazione e di ricerca, ma anche un mezzo di comunicazione di massa.
Il fenomeno della comunicazione può essere affrontato da due diverse prospettive: la
comunicazione come processo di trasmissione di informazioni, oppure come realtà
culturale legata all’interpretazione costruttivista, riconducibile ad una sensibilità post-
moderna. Nel pensiero moderno l’apprendimento si configura come un processo
meccanico in cui un messaggio viene inviato da un emittente ad un destinatario. In
17
ambito museale l’emittente corrisponde al curatore che interpreta il messaggio
dell’opera e lo trasmette, attraverso mediazioni al visitatore/ricevente che contempla
l’opera. Sintesi di questa tipologia di comunicazione museale è il dibattito svoltosi alla
fine degli anni Sessanta sulle pagine della rivista Curator fra Cameron (1969) e Knez e
Wright (1971). Cameron propone un modello molto semplice nel quale l’oggetto
centrale della comunicazione è l’opera d’arte considerata il medium principale di un
processo che coinvolge il curatore e il visitatore secondo una relazione unidirezionale.
Due anni dopo, Knez e Wright, pur concordando nel considerare il museo un
sistema di comunicazione in cui gli emittenti sono i diversi professionisti del museo e i
riceventi i visitatori, ne contestano l’enfasi sull’opera, sostenendo che la funzione
principale della comunicazione museale è la produzione di idee ed esperienze cognitive.
Fig. 1 Modello di comunicazione di Cameron (1968).
18
Fig. 2 Modello di comunicazione di Knez e Wright (1970).
Con il passare degli anni, tale modello ha subito diverse altre modifiche, fino a
giungere, oggi, a riconoscere nel museo un vasto apparato di relazioni e scambi. Il
museo, infatti, viene a configurarsi come un sistema di comunicazione in cui
interagiscono gli oggetti esposti, i progetti espositivi, gli strumenti editoriali ed anche il
complesso architettonico in cui la mostra è collocata; gli oggetti, inoltre, comunicano un
messaggio differente a seconda delle finalità che il museo intende perseguire. L’azione
di diffusione del sapere è attuata mediante l’esposizione della collezione e
l’interpretazione che di essa viene elaborata tramite l’allestimento. L’interpretazione
degli allestimenti da parte del visitatore, poi, è filtrata a sua volta dalla percezione
soggettiva, dal vissuto di ogni singola persona, dai suoi valori e dal suo modo di
relazionarsi al mondo circostante. Infine, grazie al concetto di pubblico attivo, già
popolare negli studi sulla comunicazione di massa, e tradotto in ambito museale alla
fine degli anni Ottanta del secolo scorso, si è iniziato anche a comprendere il significato
che il fruitore costruisce rispetto alla visita. In base agli assunti costruttivisti analizzati
in precedenza, i soggetti, infatti, danno senso alle proprie esperienze e stabiliscono cosa
19
accade intorno a loro comunicando, dialogando e confrontandosi con gli altri. Il
visitatore diviene, dunque, il punto focale verso cui convergono e da cui si diramano i
benefici sociali e culturali che l’istituzione museo racchiude.
1.9. Musei e nuove tecnologie
Il museo, da sempre coerente con la più generale evoluzione sociale e culturale,
non poteva pensare di trasformare la propria immagine senza ricorrere agli strumenti
che più di tutti rappresentano l'evoluzione e la modernità, che ci permettono di vivere
attualmente nel presente e che, proprio per questo, ci proiettano nel futuro: le nuove
tecnologie della comunicazione.
The adoption of ICT has accelerated the trends begun with the new museography that, since the last third
of the 20th century, has looked to transform the Victorian conception of the museum as a temple to
knowledge, broadcaster of a standardised and static discourse based on objects, converting it into a node
to transmit a range of information and circulate ideas (Pujol, 2001, p. 1).
Già le riflessioni avviate nel 1996 dal New London Group avevano riletto alcuni
capisaldi della letteratura pedagogica e avevano indagato possibili alleanze tra modelli
educativi e tecnologie. 11 La finalità di questi ricercatori era quella di potenziare,
sostenere e innovare le pratiche di insegnamento e apprendimento, adattandole ai
contesti socio-culturali del presente e del futuro.
In uno studio pionieristico sempre del 1996, Antinucci affermava che
l’introduzione delle nuove tecnologie avrebbe portato in un primo momento ad
un’estensione e ad un potenziamento di compiti analoghi a quelli tradizionalmente
svolti da altri strumenti (cataloghi, pubblicazioni, didascalie, ecc.), in un secondo tempo
sarebbe stato il fare museale stesso ad essere modificato. Questo cambiamento sarebbe
stato determinato principalmente da tre loro caratteristiche specifiche: l’essere a base
visiva, in quanto il centro della comunicazione è l’immagine e non il testo;; l’essere
interattive, in quanto richiedono all’utente di agire, scegliere, rispondere;; l’essere
connesse, fatto che permette di accedere in tempo reale e in forma interattiva a un 11 A onor del vero, sono stati i musei della scienza e della tecnica, tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, ad essere affascinati per primi delle possibilità che le innovazioni tecnologiche proponevano in ambito museale, suggerite dalle primitive postazioni interattive hands-on (Belaën, 2003).
20
numero pressoché illimitato di fonti di informazione (Antinucci, 1997, pp. 121-122).
L’essere a base visiva è rilevante per un settore nel quale gli oggetti trattati sono di
natura principalmente visiva: dipinti, sculture, monumenti, siti archeologici sono
elementi la cui comprensione e il cui apprezzamento estetico avviene principalmente
attraverso la vista. Per quanto riguarda l’interattività, essa agisce direttamente sul modo
in cui avvengono la comunicazione, l’apprendimento e l’elaborazione delle conoscenze.
I nuovi media, infine, in quanto connessi, permettono di contestualizzare l’opera in
modo più completo, aiutando l’utente a riappropriarsi di quegli elementi persi durante la
museificazione della stessa (Galluzzi, 1997). I diversi modi in cui i nuovi media
possono migliorare la visita al museo e renderla più coinvolgente analizzati da
Antinucci, risultano avvalorati se analizzati all’interno della tassonomia delle esperienze
museali proposta da Kotler&Kotler (1999, p. 48) che si suddivide in:
- esperienza ricreativa collegata al bisogno di partecipare attivamente.
L’interattività propria degli strumenti informatici concorre a creare una
situazione in cui il visitatore è chiamato ad agire in prima persona, non tanto
dal punto di vista prettamente fisico dell’utilizzo delle macchine, quanto
piuttosto da quello cognitivo;
- esperienza socializzante che soddisfa il bisogno di condivisione proprio
dell’essere umano è resa possibile dalla connessione propria dei nuovi media;;
- esperienza educativa: l’interattività dei nuovi media risulta essere una
componente fondamentale per la realizzazione di percorsi personalizzati che
sono la base di un apprendimento di questo tipo;
- esperienza estetica: è caratterizzata da attività sensoriali e soprattutto da un
coinvolgimento emotivo, stimolato dalla multimedialità consentita dalle
nuove tecnologie;
- esperienza celebrativa: riguarda sia il bisogno cognitivo che quello emotivo
ed è soddisfatta dalla capacità dei nuovi media di contestualizzare le opere in
modo più ampio e completo di quanto lo spazio dell’esposizione permetta;;
- esperienza emotiva ruota attorno ad un bisogno emotivo che le nuove
tecnologie sempre più concorrono a soddisfare attraverso l’immersione. In
questa prospettiva esse non solo migliorano l’esperienza museale, ma la
modificano fornendo una gamma di servizi che arricchiscono la visita di
21
nuove esperienze e, allo stesso tempo, stimolano il visitatore ad assumere un
comportamento attivo
L’ausilio dei nuovi strumenti informatici multimediali e interattivi nella comunicazione museale modifica
sia l’entità dei soggetti posti in relazione, sia la natura del rapporto tra emittente e ricevente in quanto
l’interattività consente un tipo di comunicazione che privilegia lo scambio rendendola piuttosto
bidirezionale anziché unidirezionale ed etero diretta (Forte, Franzoni, 1996, p. 208).
In anni recenti, il binomio cultura-tecnologia ha permesso di immaginare nuovi
orizzonti in cui le opere d'arte diventassero sempre di più mezzi di conoscenza, oggetti
da guardare, ma anche da toccare e far vivere. Imparare al museo significa oggi partire
dall'osservazione dell'opera d'arte per giungere ad una conoscenza profonda di essa, tale
da farla vivere in noi stessi, a lungo o forse per sempre. Le tecnologie informatiche,
sotto questo punto di vista, hanno dato un forte impulso alle attività di comunicazione
dei musei, venendo ad offrire un'ampia varietà di canali attraverso cui veicolare i propri
contenuti, grazie al moltiplicarsi delle soluzioni tecnologiche in grado di migliorare il
livello e la qualità dell'interazione che ha luogo sia all'interno delle sale del museo,
durante la visita, sia al di là dei confini fisici, per mezzo della sua presenza in rete
(Solima, 2008).
Grazie alle ICT (Information Communication Technology) il museo oggi non è
più solo un luogo fisico, ma una rete di servizi che iniziano prima della visita vera e
propria e terminano molto dopo. Il tour stesso è completamente reinventato e modellato
attraverso modalità di fruizione dinamiche e coinvolgenti come i sistemi di virtual o
augmented reality. Siamo entrati, dunque, in quella che Cecilia Prete (1998, p. 25)
definisce la terza generazione del museo (la prima riguarda l’allestimento tradizionale
con supporti informativi tipici del museo come didascalie, pannelli esplicativi, audio
guide, mentre la seconda generazione prevede l’utilizzo di strumenti meccanici) che,
grazie alla multimedialità, consente di aggiornare in tempo reale numerosi dati,
collegare informazioni distribuite nello spazio e nel tempo tramite archivi digitali,
simulare la realtà attraverso ricostruzioni tridimensionali di ambienti reali.
Strumenti multimediali interattivi, percorsi ipertestuali, virtualità e reti, dunque,
stratificano l'informazione, consentendo ad ogni utente di muoversi secondo le proprie
22
esigenze ed il proprio stile di apprendimento, e, di conseguenza, di programmarne
l'andamento e di verificarne gli esiti.
Il museo che voglia allinearsi al mondo contemporaneo grazie anche al contributo
delle ICT deve necessariamente mettere in atto una serie di riflessioni su nuove
metodologie di progettazione, introducendo concetti che verranno a costituire, dunque,
le basi del museo stesso.
1.9.1. Il concetto di edutainment
Coloro che fanno distinzione fra
intrattenimento ed educazione forse non
sanno che l’educazione deve essere
divertente e il divertimento deve essere
educativo (McLuhan, 1964).
Nell'ambito degli studi sull'educazione, in anni recenti, sempre più si è sentita
l'esigenza di facilitare l'apprendimento, rendendo piacevoli le metodologie didattiche
adottate. Di qui il concetto di edutainment, dato dall'unione dei termini “educazione” e
“enterteinment” (già ampiamente usato in ambito americano;; Walker, 2006), che
acquista una primaria importanza se applicato al contesto museale, soprattutto in un
momento storico in cui il museo si è trovato a dover competere sul mercato del tempo
libero con altre offerte di consumi culturali, viste dai fruitori come meno impegnative e
quindi spesso preferite.12 Se, come abbiamo visto, il museo non può e non deve limitarsi
a svolgere il proprio ruolo educativo rivolgendosi esclusivamente alle scuole e a pochi
addetti ai lavori, è chiaro che esso debba impegnarsi nell’escogitare strategie per
suscitare l'interesse della “gente comune”, soprattutto perché il museo esercita appieno
il ruolo sociale che gli è proprio solamente nel momento in cui paritariamente rende le
sue collezioni accessibili e comprensibili a tutti.
Le riflessioni dei due economisti Kotler&Kotler (1999) che affermano che il museo, per
competere con le altre industrie che forniscono servizi per il tempo libero, deve essere
attrattivo, sono condivise anche da museologi come Kirshenblatt-Gimblett che scrive:
12 Sul concetto di edutainment vedi, fra gli altri: Camin, 2008;
23
Museums are experiencing a crisis of identity as they compete with other attractions within a tourism
economy that privileges experience, immediacy, and what the industry calls adventure (1998, p. 7).
I progetti di edutainment, realizzati grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie, sono
in grado, pertanto, di assolvere efficacemente ad una triplice funzione: consentire al
visitatore di vivere nel museo un'esperienza di apprendimento piacevole che, grazie al
coinvolgimento emotivo, si connoti come memorabile (Bertuglia, Infusino, Stanghellini,
2004, p. 9), conferire un valore aggiuntivo alla visita (non bisogna dimenticare che la
scoperta casuale, guidata da emozioni e intuizioni ha anch'essa valore di esperienza
educativa), contribuire all'attività di comunicazione e promozione del museo stesso.
1.9.2. L’Experience Design Partendo dalla teoria del Phenomenal Field, teorizzata dagli psicologi Snyggs e
Combs, secondo la quale la personalità è data dai comportamenti e le nozioni che ogni
individuo assume e impara nell’arco della propria vita, elementi che a loro volta
interagiscono col mondo esterno e si modellano a seconda delle diverse esperienze che
ognuno vive, l’Experience Design è una disciplina che progetta ambienti e scenari
immersivi in cui l’utente vive e percepisce un’esperienza unica che coinvolge tutti i
sensi, dalla quale potrà quindi assimilare nuovi stimoli che contribuiranno a formare il
proprio Io.
Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie interattive sono oggi innumerevoli:
ricontestualizzazioni e ricostruzioni virtuali di opere smembrate e distrutte, visite e
restauri virtuali, mostre virtuali di opere sparse per il mondo, interconnessione in rete di
vari musei per ulteriori possibilità di approfondimenti di studio e di gioco. L’utilizzo di
tecnologie 3D, concepite per ricostruire l’ambiente tridimensionale di uno spazio
museale non più operativo o per presentare esposizioni esistenti, consente l’accesso
anche da remoto prima della visita reale o in sostituzione della stessa. Le tecnologie
utilizzate per creare musei virtuali sono sostanzialmente tecnologie di visualizzazione e
di interattività, impiegate per offrire rappresentazioni visive globali, di particolari e
dettagli o ricostruzioni dell’aspetto passato di oggetti o costruzioni immaginifiche;;
24
spesso queste tecnologie si rivelano particolarmente utili per colmare le lacune dovute
all’inaccessibilità o alla lontananza o alla distruzione totale o parziale degli stessi.
Rimanendo nel campo delle applicazioni tecnologiche di tipo visivo, ma
spostando l’attenzione sugli strumenti per la fruizione, troviamo le installazioni, le
ricostruzioni tridimensionali virtuali o anche semplicemente normali videoproiezioni
collocate in appositi ambienti creati all’interno del museo. Installazioni di questo tipo
utilizzano per lo più forme di coinvolgimento fatte di pochi elementi testuali, giocando
piuttosto sulla interazione fra immagini e sonoro, sulla realizzazione di effetti grafici, in
grado di creare una particolare atmosfera, catturare l’attenzione del visitatore, stupirlo,
coinvolgerlo e consentirgli di vivere un’esperienza emotivamente rilevante (Bonacini,
2011, p. 162). Le tipologie di tecnologie impiegate per queste installazioni possono
essere molto semplici, quando vengano utilizzati videoproiettori, schermi, un computer,
lettori DVD e/o lettori audio. Nel caso si tratti di ricostruzioni tridimensionali
immersive, realtà virtuale, ologrammi, ambientazioni audio/video o ricostruzioni
ambientali, la tecnologia utilizzata è certamente più complessa. Si tratta di una
tecnologia a base visiva che può diventare interattiva, necessitando dunque di una
adeguata progettazione e dell’utilizzo di una serie di elementi strumentali come
proiettori, luci, sensori, schermi, ecc. connessi e coordinati da software in grado di
gestire il tutto e, nel caso siano previste, anche le interazioni con l’utente.
1.9.3. Dispositivi mobili, tecnologia RFID e più recenti soluzioni Il trend evolutivo che caratterizza i musei contemporanei ha iniziato a delinearsi
con l’introduzione delle tecnologie mobili che hanno consentito nel tempo sia la nascita
di nuove tipologie di applicazioni sia l’evoluzione delle soluzioni informatiche già
disponibili.
Il primo forse a superare la tradizionale audioguida fu Musée d’Orsay di Parigi
che nel 2003 cominciò ad utilizzare dei file .mp3 da caricare negli iPod dei visitatori. Si
è poi passati all’utilizzo di PDA dotati di piccole antenne con tecnologia RFID o lettore
GPS esterno che, connessi wireless alla rete del museo, attraverso un software user-
friendly fornito al visitatore dal museo stesso, consentivano l’accesso alle informazioni
sugli oggetti esposti, organizzati in database in grado di sincronizzarsi automaticamente
con il database del museo. Oggi, grazie alla diffusione dei telefoni cellulari di ultima
25
generazione, si è realizzato quel salto a cui Nickerson aspirava nel 2005, quando,
presentando il progetto History calls per tours museali, scriveva: Why not capitalize on the most ubiquitous of these machines by delivering automated audio tours directly
to visitors’ own hardware: their personal cell phones? (p. 5).
Con l’integrazione di sistemi di positioning, infatti, diventa ora possibile guidare
il visitatore all’interno del percorso museale o lungo un percorso personalizzato e,
mediante la tecnologia delle tags RFID, è possibile avere la selezione automatica dei
contenuti legati agli oggetti esposti nelle sale del museo: una piccola etichetta RFID, se
inserita nel supporto della didascalia dell’opera d’arte, permette al visitatore,
semplicemente avvicinando il sistema di guida ad un’icona, di accedere a video, foto,
musiche d’epoca, ricostruzioni tridimensionali delle opere esposte.
La prima guida multimediale, realizzata per nel 2009 e lanciata come applicazione
per Apple, è stata il Musée du Louvre, scaricabile gratuitamente da iTunes in francese e
in inglese, strumento didattico con immagini ad alta risoluzione, video, descrizioni delle
opere e informazioni su prezzi e orari. Non molto diversa la ArtFirstGuide® introdotta
nella primavera del 2010 alla Galleria degli Uffizi di Firenze, app per iPhone, iPod
Touch e iPad, sempre scaricabile da iTunes in italiano, inglese e spagnolo.
Se simile alla tecnologia RFID è quella dei QR codes, di cui avremo modo di
parlare più oltre, la loro più recente evoluzione è rappresentata della NFC (Near Field
Communication) in grado di far comunicare due dipositivi semplicemente accostandoli
tra loro o un dispositivo dotato di un NFC-reader accostato a un tag. La tecnologia
NFC, di tipo bidirezionale a differenza della RFID che è monodirezionale, e wireless a
corto raggio (entro i 10 centimetri, raggio all’interno del quale si crea una rete peer-to-
peer) ha attualmente una posizione marginale nel campo della fruizione culturale,
sfruttata principalmente per utilità quali il ticketing, ma potrebbe, a breve, raggiungere
un posto di primo piano in ambito didattico.
1.9.4. La Augmented Reality
Il concetto di Augmentation – che è da intendersi nell’accezione di “fare più
grande” sia per dimensione che in quantità, allargare, dunque – è stato introdotto da
Douglas C. Engelbart nel 1962 per sottolineare il ruolo della tecnologia nel contesto
26
umano. La tecnologia, infatti, stando alla teoria dell’ingegnere statunitense, deve essere
concepita per aumentare la capacità umana, per estenderla in immaginati e in non
immaginati modi, per cambiare le caratteristiche di base della comunità e per renderle
più efficienti. Il fuoco è posto sull’uomo (human centered perspective): le componenti
di un sistema di allargamento di capacità sono l’insieme di tutto ciò che può essere
aggiunto al sistema percettivo sensoriale dell’uomo. La realtà aumentata, integrando
informazioni sintetiche sensoriali con la percezione che l’utente ha dell’ambiente in cui
si trova, dà luogo ad una sovrapposizione di livelli informativi differenti che si
integrano all’esperienza reale degli oggetti. In sintesi, dunque, la Augmented Reality è
una reinvenzione della realtà mediante l’utilizzo di combinazioni di tecnologie
all’avanguardia: sensori in primis, ma anche tutte le possibilità crescenti offerte dai
nuovi dispositivi mobili con una connettività al web a tutto campo.
In ambito museale, l’Augmented Reality ha trovato la sua prima applicazione nel
2001, con l’Archaeological Virtual Dig, progetto di “scavo” multimediale realizzato
dallo Seattle Art Museum in collaborazione con l’Università di Washington, che
prevedeva la simulazione dello scavo archeologico di un sito dell’antica cultura cinese
Sichuan, attraverso un’esperienza interattiva di apprendimento che facesse comprendere
al visitatore il percorso di un reperto dallo scavo alla vetrina del museo.
In anni recenti, e tutt’oggi attivo, è il progetto Steetmuseum, realizzato dal
Museum of London, che si avvale della più moderna tecnologia mobile
(http://www.museumoflondon.org.uk/Resources/app/you-are-here-app/home.html). Si
tratta infatti di un’applicazione per iPhone, grazie alla quale poter girare per la città di
Londra ed ammirarne in Augmented Reality gli scorci urbani così come apparivano in
dipinti, litografie o foto antiche (dall’incendio del 1666 agli anni Sessanta del
Novecento). All’utente appare una mappa di Londra nella quale è georeferenziata la sua
posizione e sono indicati con dei tags una serie di punti di interesse della città di cui
l’applicazione fornisce le immagini storiche. Una volta giunti esattamente sul posto, è
possibile visionare l’immagine attraverso lo schermo dell’iPhone e, cliccando sul
dispositivo come se si stesse facendo una fotografia e scegliendo l’opzione di
visualizzazione in 3D, si può ammirare la fotografia storica in esatta sovrapposizione
all’immagine reale attuale.
27
L’Augmented Reality trova applicazione anche nei musei, con ricostruzioni
virtuali e tridimensionali, come nel caso, per esempio, dei Jurascopes, telescopi in realtà
aumentata in grado di dare vita allo scheletro di un dinosauro al Berlin Museum für
Naturkunde.
1.9.5. Natural User Interfaces Una delle più nuove modalità d’interazione sta indicando la strada della prossima
evoluzione dei sistemi multitouch, visti ormai come obsoleti e in qualche modo ancora
troppo innaturali. I tradizionali sistemi di input come la testiera e il mouse, infatti, ma
anche la tecnologia touchscreen, basandosi su meccanismi di comunicazione (digitare,
puntare, selezionare) non tipici della comunicazione umana, obbligano l’utente a
pensare e a muoversi in una maniera che non gli è propria e che per questo lo vincola.
Le Natural User Interfaces (NUI), invece, mirando all’assoluta “naturalizzazione”
dell’interazione fra uomo e macchina, studiano le possibili soluzioni per rendere questa
comunicazione quanto più umana possibile grazie all’utilizzo delle modalità con cui
l’uomo esprime i propri sentimenti e le proprie emozioni a se stesso e all’altro: voce,
gesti, movimenti, scrittura, attività elettrica muscolare, cardiaca, cerebrale. È il corpo,
dunque, a divenire il mezzo tramite il quale viene governata l’interfaccia. Le NUI, le cui
potenzialità si sono enormemente allargate negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di
tecnologie sempre più sofisticate, stanno realmente modificando il modo in cui i musei
espongono le proprie collezioni e i visitatori interagiscono con i loro contenuti. Il
desiderio del fruitore di toccare e di manipolare gli oggetti esposti si sta facendo sempre
più urgente e, sebbene le norme di conservazione e di tutela limitino l’interazione diretta
con l’opera d’arte, le NUI vengono a svolgere una funzione di primaria importanza nel
creare una sorta di surrogato dell’esperienza tattile o della possibilità di osservare gli
oggetti da punti di vista inconsueti.
Un esempio di questo è rappresentato dalla mostra “Riflettori sul Velo di
Antinoe”, tenutasi al Louvre all’inizio del 2013. Il manufatto, che risale probabilmente
al IV secolo a.C. e che è decorato con scene della vita di Dioniso, è ovviamente molto
28
prezioso e delicato. Ora, grazie alla tecnologia basata sul movimento di Kinect, il
visitatore può interagire con le diverse parti di esso senza, di fatto, toccarlo realmente.13
13 Una delle interfacce NUI più sperimentate, oggi, è sicuramente Kinect di Microsoft, che integra la modalità gestuale con quella vocale. Pensata inizialmente come consolle per videogiochi, Kinect si basa su un sensore video (telecamera Rgb) combinato con due sensori infrarossi per la rilevazione della posizione spaziale dell’utente. In aggiunta, essa dispone di una configurazione di cattura audio basata sulla tecnologia degli array microfonici che, misurando e modellando l’ambiente in cui è immerso l’utilizzatore tramite tecniche basate sulla riflessione (direzione e attenuazione), riesce appunto a catturarne la voce per eseguire funzioni di riconoscimento vocale da combinare a quelli gestuali.
29
Capitolo 2. Il ruolo della narrazione nella comunicazione
2.1. La memoria collettiva
L'esistenza di una dimensione sociale della memoria è stata teorizzata nella prima
metà del Novecento, in particolare da Maurice Halbwachs, ed era vista non come la
capacità di immagazzinare dati passati, ma come uno sforzo di ricostruzione che,
partendo dagli interessi e dalle conoscenze presenti nel soggetto, tenta di ricostruire a
posteriori il significato del ricordo. Inoltre il ricordo che i soggetti mostrano di
conservare a proposito di un determinato evento è, di solito, fortemente influenzato dai
ricordi degli altri, stabilizzandosi e trovando la propria ragion d'essere nelle reti sociali.
Si giunge a parlare, dunque, di memoria collettiva che, lungi dall'essere una mera
somma, a posteriori, di contenuti di diverse memorie individuali, viene invece ad essere
il quadro, logicamente antecedente, che consente il funzionamento della memoria del
singolo. In ogni momento della sua evoluzione una famiglia, un gruppo religioso, un
popolo, parte dalla concezione che di sé ha acquisito per comprendere, interpretare e, al
tempo stesso, ritrovare il suo passato.
In se stessa, la nozione di memoria collettiva intende l'insieme delle
rappresentazioni riguardanti il passato che ogni gruppo sociale produce, istituzionalizza,
custodisce e trasmette fra i propri membri: nessuna di queste attività può avvenire se
non nell'interazione di questi stessi membri fra loro. Il singolo, infatti, non potendo
vivere in una dimensione che si possa definire realmente umana se è completamente
isolato, sente naturalmente e istintivamente l'esigenza di divenire membro di forme
sociali nelle quali, di volta in volta, viene ad inserirsi nel corso della sua vita. Affinché
l'esistenza del singolo nel gruppo acquisti significato, c'è bisogno di un elemento che
venga sentito come comune, che faccia da collante tra i vari membri dello stesso: la
memoria, grazie alla quale gli esseri umani stabiliscono una connessione tra passato e
presente. Jan Assmann, a questo proposito, scriveva: «Come è facile capire, l'identità è
una questione concernente la memoria e il ricordo: proprio come un individuo può
sviluppare un'identità personale e mantenerla attraverso lo scorrere dei giorni e degli
anni solo in virtù della sua memoria, così anche un gruppo è in grado di riprodurre la
sua identità di gruppo solo attraverso la memoria» (1997, p. 61).
30
La memoria, per costruirsi e raccontarsi ha bisogno della narrazione. La sfera
principale entro cui si cristallizza la memoria collettiva presso i popoli senza scrittura, è
quella che dà un fondamento, apparentemente storico, all’esistenza di etnie o di
famiglie, cioè i miti d’origine.
La narrazione, quindi, si costruisce come concetto trasversale all'oralità e alla
scrittura, dal momento che sia le civiltà alfabetizzate che quelle illetterate, ne hanno
conosciuto forme più o meno sviluppate. Prendendo a prestito le parole di Eco, lo scopo
originario del narrare verrebbe dunque a corrispondere a quella che era anche la
funzione dei miti e cioè «dare forma al disordine delle esperienze».
2.2. Il racconto nell’antichità
Fin dai tempi più antichi, gli uomini sentirono il bisogno di comunicare, di
esprimere all'altro le proprie impressioni, i propri sentimenti, le proprie idee. Prima
dell'avvento della scrittura, l'unico strumento attraverso il quale gli individui, assieme
alle proprie comunità, potessero preservare la propria eredità erano le storie che
venivano trasmesse oralmente. Tali racconti non solo spiegavano la vita, tramandavano
la storia, offrivano modelli e morali, vie d'accesso al passato e al futuro, ma
assicuravano anche che l'esperienza venisse perpetuata da una generazione all'altra. È
stato proprio grazie al raccontare storie se la civilizzazione è potuta sopravvivere e se si
è lentamente, ma progressivamente, evoluta.
In questa fase, la parola dei poeti, dei bardi e dei cantori appare indissolubilmente
legata alle due essenze complementari - la Musa e la Memoria – che abbiamo già
incontrato quali elementi costitutivi del museo e che, alla luce di quanto detto fino ad
ora, vengono a rappresentare il trait d’union che collega le parti del nostro discorso.
È questa, dunque, l’immagine di un essere umano come homo narrans o
storyteller, ovvero di un soggetto che trova la sua ragione di essere nel narrare.
Un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato dalle sue storie e dalle storie altrui, tutto quello
che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere le sua vita come se la raccontasse (Sartre, ed.
1977, p. 72).
31
Il potere delle storie risiede nella loro capacità di mediazione nel rapporto tra le
persone e la realtà che le circonda.
Se è vero, infatti, che tutte le storie hanno bisogno di essere raccontate, è
altrettanto necessario che esse, per vivere, abbiano bisogno di essere ascoltate. Nel
raccontare, infatti, così come nell'ascoltare, c'è un richiamo alla collettività, un desiderio
di partecipazione, un invito ad entrare in un mondo altro e a parteciparvi.
In un romanzo del 1989 intitolato L'oblio, Elie Wiesel narra la storia di un giovane
e brillante giornalista newyorkese, Malkiel. Nel pieno della sua carriera, Malkiel si
trova improvvisamente a dover affrontare il dramma di dover aiutare suo padre,
psicoterapeuta e professore universitario, colpito da una grave malattia che causa una
graduale, ma inesorabile, perdita della memoria. Per impedire che l'oblio abbia il
sopravvento, il figlio e la sua compagna gli chiedono di continuo di narrare episodi della
sua vita. Una larga parte del libro li descrive nell'atto di ascoltare queste storie, via via
più lacunose e sconnesse, in una sorta d'incantamento nato dal loro affetto, ma anche dal
fascino delle narrazioni.
Dunque le storie, grazie a chi le accoglie e, facendole proprie, dona loro nuova
vita, sono destinate a sopravvivere oltre il racconto, dal momento che esse divengono
una parte fondamentale della realtà sociale, una chiave per comprendere l'umanità. Non
saremmo infatti in grado di capire la nostra cultura, né tanto meno un'altra cultura, se
non ne conoscessimo le storie. È per questo che il narratore, per essere veramente tale,
deve chiedere e ottenere, grazie alla sua capacità di coinvolgimento, la collaborazione
attiva del suo uditorio. Affinché tutto questo si riveli anche utile strumento per la
memorizzazione dei concetti trasmessi, sarà necessario sfruttare le risorse psicologiche
latenti nella coscienza di ciascun individuo. Il funzionamento di tale meccanismo può
essere sintetizzato come «uno stato di totale partecipazione e quindi di identificazione
emotiva con la sostanza dell'enunciato poetico che si è chiamati a ritenere» (Assmann,
ed. 1997, p. 43).
2.3. Narrazione e apprendimento
La narrazione, lungi dall'essere semplicemente una questione di letteratura, viene
piuttosto a connotarsi come il più tradizionale strumento di legittimazione e di
32
trasmissione dei valori e delle norme culturali di ogni società. Riappropriazione del
vissuto, che avviene attraverso l'attribuzione di senso ai fatti, e condivisione della
conoscenza acquisita, vengono ad essere i due momenti indissolubili attraverso i quali la
narrazione si delinea come atto conoscitivo e comunicativo.
Nel narrare le gesta dei propri personaggi, i racconti raffigurano degli esempi
concreti di comportamento che costituiranno dei veri e propri modelli, dei casi
paradigmatici che entreranno a far parte, talvolta anche inconsciamente, del sostrato
emotivo e intellettuale di colui che di tali storie è il fruitore. Inoltre, come abbiamo
visto, attraverso i racconti è possibile creare appartenenza e produrre un senso di
comunità: conoscere le storie che circolano all’interno di un gruppo o di una comunità
aiuta le persone a comprenderne e a gestirne le relazioni al suo interno.
Ma non è solo questo. Ascoltare narrazioni, attraverso una lettura cognitiva ed
emotiva che attivi processi di identificazione e di confronto, permette all'individuo,
implicitamente, di raccontarsi e nel raccontare se stesso anche di conoscersi.
Convogliando in ambito strettamente educativo tutto quanto detto fino ad ora, ne
deriva che, se la mente umana riesce ad organizzare meglio ed in maniera più duratura
le informazioni che vengono fornite sottoforma di storie, allora la rilevanza della
narrazione nell’esperienza di apprendimento degli individui, lungi dall’essere
circoscritta unicamente all’età infantile, viene al contrario a rappresentare una costante
di tutto il corso della vita.
L’utilizzo di ambienti di apprendimento centrati sulla narrazione si rivela allora
una mossa vincente nella maggior parte dei percorsi curricolari. Essi, infatti, vengono ad
essere particolarmente promettenti nel raggiungimento di due dei principali obiettivi
pedagogici: efficacia e motivazione. L’attenzione nei confronti dell’efficacia educativa
si è notevolmente ampliata negli anni più recenti grazie al contributi degli educatori che
hanno abbracciato le proposte della teoria costruttivista in alternativa al più consueto
“apprendimento meccanico”. Le sperimentazioni condotte seguendo l’approccio
costruttivista, infatti, con l’enfasi posta sulla necessità che il discente giochi un ruolo
attivo nella costruzione della propria educazione, hanno evidenziato miglioramenti
sostanziali rispetto ad una formula didattica più tradizionale. In virtù della natura attiva
della narrazione, gli ambienti didattici centrati su di essa, sono infatti in grado di
coinvolgere profondamente i discenti, in particolare in tre modi: facendoli partecipare
33
alla costruzione della storia;; facendoli cimentare nell’esplorazione dei sentimenti più
profondi dei personaggi e nell’esame degli effetti e delle conseguenze che le azioni
narrate possono produrre nell’evolvere della storia;; mettendo in moto meccanismi di
riflessione generati dalle attività di analisi successive all’esperienza.
2.4. I musei narranti
Anche nel campo della didattica museale, si è cominciata a sentire come
stringente la necessità di fare un passo avanti, di comprendere le reali finalità che
l’azione educativa dovrebbe perseguire per dimostrasi realmente efficace, nonché di
indagare quali mezzi siano i più idonei per renderla tale. Si è giunti, così, a concepire
l’azione educativa del museo come un qualcosa dai confini ben più ampi e profondi
della semplice comunicazione dei contenuti culturali e simbolici del museo stesso o
dell'insieme di azioni ed eventi per attuare e consolidare un rapporto diretto fra il
pubblico e la struttura museale; essa, bensì, deve trovare il suo scopo primario nella
riscoperta delle radici di una comunità. Nell'ottica di una reale funzione educativa del
museo, intesa come capacità di comunicare con l'intera comunità, non è più sufficiente
rispondere alle aspettative dei fruitori mostrando semplicemente oggetti e mettendo
insieme una serie di eventi pubblici; è necessario inserire nuove forme di
comunicazione che possano far accedere ogni tipologia di visitatore ad ogni tipo di
museo. Il percorso museale dovrà essere vissuto dal fruitore come un racconto, in cui si
comprendano l'inizio, lo sviluppo e la fine. L'esperienza del visitatore ne risulterà
maggiormente gratificata, eliminando la sensazione di sentirsi spaesati durante il
percorso (Cataldo, 2011).
La finalità dell'educazione museale, dunque, grazie alla sua capacità di attivare
meccanismi di riflessione, contemplazione e conoscenza, sarà di favorire
l'interiorizzazione del patrimonio culturale da parte del cittadino, visto come elemento
imprescindibile della comunità di cui fa parte, in modo che egli possa poi conservarlo e,
soprattutto, tramandarlo. Se l'incontro con l'oggetto musealizzato viene supportato
efficacemente, infatti, si attiverà quel processo conoscitivo ed emozionale,
indispensabile presupposto per la piena comprensione del bene culturale come bene
comune.
34
L’idea di unire lo Storytelling al museo nasce dal concetto di museo stesso,
dunque, visto non più come verità assoluta da sottoporre tal quale al visitatore, ma come
contenitore di storie. I suoi contenuti, infatti, influenzati dalle idee e dalla personalità di
chi ha creato le opere, di chi le ha collezionate e di chi le ha esposte, ma anche di coloro
che ne fruiscono, vengono a connotarsi come immense miniere cariche di preziosissime
storie da ascoltare e da narrare.
Cronologicamente, il primo museo ad avvalersi dello Storytelling è stato il
Metropolitan Museum of Art di New York, nel 1917, grazie alle teorie educative
avanguardistiche di Anna Curtis Chandler 14 che ampliò il programma didattico del
museo scrivendo e riadattando storie ispirate alle opere d’arte accompagnandole con
diapositive.
Gelmini, ricercatrice presso l’Università di Nottingham, individua le ragioni per le
quali i musei sarebbero i luoghi ideali per lo Storytelling. Innanzitutto, afferma la
studiosa, perché il museo può essere visto come un laboratorio culturale che porta con
sé, in maniera imprescindibile, creatività ed elaborazione di conoscenze condivise. È
creando storie, infatti, che l’uomo riesce a dare un senso alle cose e ad esprimere le
proprie sensazioni, idee ed opinioni in una forma che possa essere condivisa con gli
altri.
2.4.1. I primi musei emotivamente coinvolgenti Rimanendo in ambito museale, in anni relativamente recenti, accanto al più
tradizionale uso dello storytelling finalizzato a coinvolgere il visitatore mediante il
racconto piacevole di storie ispirate alle opere d’arte esposte e ai loro esecutori, si è
sentita l’esigenza di sperimentare nuove strade e di declinare in maniera più ampia il
concetto, grazie soprattutto alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. È il caso della
scuola museologica francese che, sulla scia delle idee innovative di George-Henry
Rivière, ha dato vita ai musei “teatralmente efficacissimi”, quali, per esempio, quello
della Tapisserie de Bayeux, in cui attraverso l'utilizzo di musiche, clangori, ombre cinesi
e luci intermittenti il visitatore, trasportato indietro nel tempo, nell'XI secolo, si ritrova a
14 Anna Curtis Chandler lavorava presso il Dipartimento di Fotografia della Biblioteca del Metropolitan Museum.
35
vivere nei panni ora di Guglielmo il Conquistatore, ora di un cavaliere nella battaglia di
Hastings; oppure del Musée National des Arts et Traditions Populaires di Parigi,
recentemente smantellato, in cui le didascalie erano state sostituite dalle voci dialettali
fuori campo degli abitanti della cucina rustica o del malconcio peschereccio che
abitavano le sue sale espositive. Mi viene in mente anche il progetto “Orpheus”
promosso dal Museu de la Música di Barcellona, inaugurato nel 2007. Mettendo
insieme musica, immagini e testi, il museo avvicina i visitatori al mondo della musica in
modo diretto: nel percorso attraverso le sale museali, infatti, l’istituzione propone una
sorta di viaggio che conduce alla scoperta di come la musica sia stata e sia un potente
mezzo espressivo e di comunicazione.
Un altro esempio di come un museo possa coinvolgere emotivamente i propri
visitatori fino a farli sentire parte della vicenda ci viene offerto dal The Sixth Floor
Museum at Dealey Plaza di Dallas. Qui non sono tanto le nuove tecnologie ad avere un
posto di rilievo nel creare l’atmosfera immersiva e neppure il racconto orale in prima
persona dei personaggi, ma sono proprio la sede espositiva e la ricostruzione degli
ambienti a rendere il tutto suggestivo oltre misura. Il museo, che testimonia la storia e
l’assassinio di John F. Kennedy, sorge infatti al sesto piano dell’edificio conosciuto
come Deposito dei libri scolastici del Texas (Texas School Book Depository) da cui nel
1963 vennero sparati i colpi che uccisero il presidente USA. All’interno, insieme alla
testimonianze documentarie della storia di Kennedy che mescolano video, ritagli di
giornale, dipinti e fotografie, il visitatore si trova a vestire addirittura i panni del
cecchino, grazie alla realistica ricostruzione della postazione in cui l’assassino stette in
attesa, appoggiato ad alcuni cartoni impilati a ridosso della finestra d’angolo.
2.4.2. Gli ambienti sensibili di Studio Azzurro L'espressione “ambienti sensibili” è stata utilizzata per la prima volta da Studio
Azzurro per indicare degli spazi capaci di reagire agli stimoli che provengono dai
soggetti presenti al loro interno 15 Tali ambienti, generati dalla triangolazione tra
ambiente fisico, narrazione virtuale e presenza attiva del fruitore, sono basati
15 Su Studio Azzurro e gli ambienti sensibili vedi, in particolare: Di Marino, 2007; Quintieri, 2010; Rollo, s.d.
36
sull'interattività e fanno il loro punto di forza nel dialogo fisico con il visitatore che può
toccare le immagini e gli oggetti, trasformarne il contenuto, intervenire nella narrazione.
Queste installazioni multimediali, che si avvalgono di tecnologie assai sofisticate e
sempre meno visibili, utilizzando videoproiettori, sensori che rilevano la presenza
umana e che azionano video, suoni, immagini e computer che elaborano le informazioni
creano ambienti che puntano alla partecipazione emozionale e al coinvolgimento di
coloro che ne fruiscono.
Uno degli esempi più suggestivi in tal senso è dato dall’allestimento del Forte
Belvedere a Lavarone (Trento). La fortezza delle emozioni, così chiamato dai curatori, è
un percorso che mira alla valorizzazione del patrimonio di memorie ancora custodite tra
le mura del forte e a far rivivere la dimensione intima degli uomini di guerra nella loro
quotidianità. Il percorso è costituito da diverse installazioni:
a. il plastico animato: la presenza del pubblico o un semplice gesto della mano
attivano automaticamente la proiezione di informazioni dinamiche (immagini
e suoni) che permettono di comprendere meglio la realtà della fortezza;
b. le sentinelle: una serie modulare di installazioni interattive costituisce un
sistema particolare di guide rappresentate attraverso la proiezione di
silhouette in controluce di soldati intenti a varie attività quotidiane, che si
attivano automaticamente;
c. gli obici dei suoni: nell’apertura della cupola dove era collocato l’obice è
stato installato un “cannone sonoro” che riproduce i suoni, i rumori e le
musiche che richiamano il periodo bellico;
d. gli occhi di luce: l’installazione rievoca il telegrafo ottico che durante la
prima guerra mondiale era collegato con la stazione di Monte Rust ed è
composta da un “tavolo delle comunicazioni” sul quale viene proiettato un
segno di luce seguito da immagini animate, attivate dal visitatore con il
movimento della mano;
e. i diari delle mitragliatrici: grazie a dei lampi che simulano le fiammate della
canna della mitragliatrice e al suono secco di una raffica, il visitatore riesce a
immergersi totalmente nell’atmosfera intensa vissuta dai soldati. L’attenzione
viene quindi convogliata verso uno schermo dove appare l'immagine di un
37
testimone del conflitto mentre una voce fuori campo legge brani tratti da
lettere e diari scritti proprio dalla persona ritratta nella foto;
f. l’angelo degli alpini: per non turbare con nessun intervento visivo la bellezza
dell’affaccio sulla Val d’Astico che si gode dalle aperture delle due
postazioni di mitragliatrici smantellate, anche questa installazione, situata nel
fortino anteriore, è sonora: voci femminili, attivate dal passaggio dei
visitatori, recitano brani tratti da Rigoni Stern e Jahier. 16
2.4.3. Il Museum Theatre
Accostabile dal punto di vista del coinvolgimento emotivo del visitatore alle
esperienze fino ad ora analizzate, ma totalmente diverso per quanto attiene alle modalità
attuative è il Museum Theatre, elaborato in area anglosassone e negli Stati Uniti negli
anni settanta del Novecento.
In realtà, il Museum Theatre trova le sue origini in tempi ben più remoti, con i
tableaux vivants introdotti a Stoccolma dall'educatore svedese Arthur Hazelius già alla
fine dell'Ottocento. Con quest'espressione si veniva a designare un gruppo di attori che,
immobili, in costume, rappresentavano o un dipinto già esistente o una nuova opera
d'arte. Seguendo il suo esempio, nel 1909, negli Stati Uniti, apparvero per la prima volta
delle guide in costume: le ricostruzioni di luoghi di battaglie della storia americana
hanno in seguito preso sempre più piede nei Parchi Nazionali e, a partire dagli anni
Sessanta, nei siti storici e nei musei di storia nazionale si svilupparono narrative atte a
relazionare con la storia le nuove classi sociali, che avevano bisogno di comprendere le
proprie origini e il proprio passato. Il più recente concetto di Museum Theatre, dunque,
basandosi sull'idea che teatro e museo siano entità complementari nel comune obiettivo
di ottenere una risposta emotiva e cognitiva da parte del fruitore, pone la sua ragion
d'essere nell'impiego della rappresentazione scenico-teatrale e delle tecniche del teatro
nel museo. Sulla base di queste premesse e con lo scopo di mettere in moto processi
educativi e di apprendimento efficaci, il Museum Theatre ha individuato tre direzioni da
seguire:
16 Sono stato a visitare il Forte Belvedere nel luglio 2013 e ho potuto constatare, con grande rammarico, che solo un terzo delle installazioni erano funzionanti.
38
dimostrazione pratica di un argomento legato al museo allo scopo di catturare
l'attenzione del visitatore e di suscitare l'interesse per la collezione;
rappresentazione teatrale basata su personaggi in costume che introducono il
tema trattato, in modo da suscitare una maggiore partecipazione da parte del
fruitore;
rappresentazione teatrale basata sulla narrazione di storie con l'obiettivo di
creare attenzione, suspance e immedesimazione da parte del pubblico.
In Italia, pur non esistendo di fatto un vero e proprio indirizzo teatrale nella
pedagogia museale, alcuni musei, per lo più scientifici, stanno ricorrendo a
sperimentazioni performative già da alcuni anni. È il caso, per esempio, del Museo
Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano che ha
rappresentato, fin dalla sua nascita, un luogo di fondamentale importanza non solo per
la ricerca, lo studio e la conservazione, ma anche per la diffusione della cultura
scientifica e delle sue applicazioni. Accanto ai percorsi tematici interattivi e alle
proposte degli i-lab, c’è il teatro, con una vasta offerta di visite animate teatralizzate per
i diversi target, basate sull’esplorazione, l’osservazione e il coinvolgimento attivo dei
partecipanti. Visite-spettacolo e spettacoli di teatro scientifico sono quelle proposte
anche dalla compagnia di Teatro Stabile d’Innovazione Ragazzi Le Nuvole che lavora
principalmente presso la Città della Scienza di Napoli, ma di tanto in tanto realizza
rappresentazioni a tema anche per i musei d’arte (Museo di Capodimonte, Palazzo
Reale) o i siti archeologici della città.
Riassumendo, da quanto si può evincere da questo breve capitolo, le soluzioni
pratiche nel campo del Museum Theatre possono trovare diversi indirizzi applicativi: le
visite guidate teatralizzate che arrivano a creare una nuova forma di visita guidata che,
grazie al linguaggio teatrale della narrazione e della recitazione, crea una maggiore
interazione tra i visitatori e gli operatori; il teatro vero e proprio che prevede invece una
breve messinscena negli spazi del museo; le performances che reinterpretano in chiave
dinamica gli ottocenteschi tableaux vivants.
39
Capitolo 3. Il Digital Storytelling
Tirando le fila di quanto detto fino ad ora, dunque, il racconto si trova ad
assolvere le quattro funzioni classiche, efficacemente esplicitate da Atkinson (2002): la
funzione psicologica, consentendo di comprendere e dare ordine all’esperienza;; la
funzione sociale, dal momento che sancisce i valori, le norme, le consuetudini della
società di appartenenza; la funzione mistico-religiosa, perché permette di accedere alla
dimensione del sacro, suscitando la contemplazione per i misteri della vita; e, infine, la
funzione cosmologica-filosofica, aiutando a comprendere i meccanismi che regolano il
funzionamento del mondo (pp. 16-17).
È su queste basi che si pone la ragion d'essere del Digital Storytelling e la
fondamentale importanza dei suoi risvolti in ambito sociale ed educativo.
3.1. Il Center for Digital Storytelling
Il Center for Digital Storytelling, fondato nei primi anni novanta a San Francisco,
in California, da Joe Lambert e Dana Atchley nacque con l'obiettivo primario di
aggregare e rinsaldare i legami sociali ed emotivi di comunità che si sentivano ormai
disperse e frammentate nella percezione della propria cultura e prive di elementi comuni
di coesione (Petrucco, De Rossi, 2009, pp. 49-50).17 L'idea di base era che, mettendo
insieme l’antica arte di raccontare storie, legata alla tradizione orale dei popoli primitivi,
e le nuove tecnologie si potesse ottenere un connubio vincente nel processo di
riflessione e di apprendimento intorno a temi e situazioni di varia natura (Solidoro,
2009, p. 179).
L'espressione Digital Storytelling, coniata dalla Atchley, che in quegli anni
realizzò un sistema interattivo multimediale, presentandolo all'interno di una
performance teatrale, è in grado di racchiudere in solo due parole un vastissimo retaggio
culturale che ne fa il suo punto di forza.
17 Sul Digital Storytelling, vedi in particolare: Lambert, 2002; Petrucco e De Rossi, 2009; Fontana, 2009.
40
3.1.1. Le motivazioni profonde alla base della metodologia [...]l'arte di narrare si avvia al tramonto. Capita sempre più di rado d'incontrare persone che sappiano
raccontare qualcosa come si deve[...] È come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile,
la più certa e la più sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze (Benjamin, ed. 1962, p. 235).
Quando sul finire del XX secolo Lambert e Atchley teorizzarono il DST come
disciplina, le parole di Walter Benjamin, risalenti al 1955, dovevano suonare quanto mai
attuali, in quel momento storico così importante, sul limitare del cambio di millennio,
in cui, volenti o nolenti, inevitabilmente ci si trovava a dover fare un bilancio di ciò che
era stato e a fare progetti per il futuro. Non stupisce, dunque, che il Centro sia nato nel
momento preciso in cui è nato: il tempo stringeva, si sentiva l'esigenza di scavalcare la
linea di confine del cambio di millennio preparati e con il bagaglio del proprio passato
ben saldo sulle spalle.
Fino a quando rifiuteremo di accettare il nostro passato, in nessun posto, in nessun continente avremo un
futuro davanti a noi […]. Abbi coscienza delle tue origini: se conosci le tue origini, allora non ci saranno
limiti ai quali tu non possa spingerti (ed. 1962, pp. 112, 16-17).
Questo scriveva all'inizio degli anni Sessanta il romanziere nero americano James
Baldwin al nipote quattordicenne nel libro La prossima volta, il fuoco.
Allo scadere del millennio, si cominciava a sentire l'esigenza impellente di un
cambiamento, di una svolta radicale che permettesse alle comunità e al singolo di
riappropriarsi del proprio passato, del proprio presente e, attraverso questi, dei rapporti
sociali interpersonali nonché, in ultima analisi, di sé. Anche perché, proprio allora,
risultavano quanto mai attuali le parole di Anthony D. Smith che all'inizio degli anni
Ottanta, rilevando con somma frustrazione che «il conflitto interetnico è diventato più
intenso e endemico nel ventesimo secolo rispetto a qualsiasi altro periodo della storia»
(ed. 1984, p. 27), così concludeva: «essere restituito alla propria famiglia culturale,
essere nel proprio ambito familiare, ricevere la protezione dei propri fratelli sembra
l'unica via sicura verso l'equilibrio e la dignità» (ibid., p. 17).
Oltre a questo, l'etnologo e antropologo francese Marc Augé registrava, proprio
negli anni Novanta, lo stato d'urgenza in cui versava il mondo contemporaneo,
dominato da una crisi d'alterità generalizzata che si esprimeva in fenomeni estremi:
41
fondamentalismi, nazionalismi, crisi dello Stato, spettacolarizzazione del mondo (ed.
1997, p. 118). Venendo meno i principali contesti di identificazione collettiva – dallo
Stato, alla famiglia, alle appartenenze politico-ideologiche – i soggetti, privati dei
riferimenti di memoria e di progettualità sociale, erano venuti a trovarsi allo sbando e
avevano cominciato, per questo, a ripiegarsi su se stessi, dando vita a pericolosi
fenomeni di individualismo. Le dirette conseguenze di ciò - il disimpegno dilagante, la
carenza di senso civico, cinismo, edonismo - sarebbero state suscettibili di mettere a
rischio la sopravvivenza stessa della democrazia e dei valori impliciti nell'idea moderna
di cittadinanza.
Cominciò, dunque, a sentirsi come stringente la necessità di porre rimedio a
questa profonda crisi d'identità (Augé parla di «morte delle ideologie» e di «fine dei
grandi racconti», 1997, p. 100) che stava investendo gli strati di quella società civile di
cui ci si era appropriati con così largo dispendio di energie e di vite umane nel corso dei
secoli. In questa volontà di riprendere le briglie di una situazione che stava ormai per
sfuggire di mano, si sentì il bisogno di rivalutare l’importanza del modello narrativo
come strumento fondamentale attraverso il quale l'uomo, reimpossessandosi della
propria storia, possa divenire uomo politico inteso come individuo che contribuisca a
definire il sentimento comune della società in cui vive e di cui è parte integrante.
3.1.2. Perché Digital: l'apprendimento multimediale Il tema dell'apprendimento multimediale ha interessato, negli anni, un numero
ingente di studiosi che, ciascuno nel proprio campo di indagine, ha sperimentato e
cercato di dimostrare come l'apprendimento possa migliorare e, di conseguenza,
risultare più efficace se supportato dall'utilizzo di più canali (visivo, auditivo, ecc.).
Ma cosa si intende per multimedialità? Il concetto, che in prima istanza si riferisce
all'insieme di diversi linguaggi che comunicano, attraverso formati differenti, un
determinato messaggio, è in realtà il risultato di una vera e propria integrazione
(mediata dalle tecnologie) di differenti modi di presentare l'informazione e di diversi
contenuti (Mammarella, Cornoldi, Pazzaglia, 2005, p. 7).
Dal momento che l'approccio multimediale nasce originariamente all'interno delle
scienze della comunicazione, gran parte dei lavori dedicati all'apprendimento
multimediale adotta una prospettiva centrata sul mezzo, ossia attribuisce un ruolo
42
primario alla tecnologia. In anni più recenti, la multimedialità ha trovato applicazione in
ambiti molteplici ed eterogenei: dal contesto aziendale a quello educativo, da quello
pubblicitario a quello dei videogiochi.
Uno dei modi principali in cui l'apprendimento elettronico agisce è attraverso l'uso
di informazioni che arrivano contemporaneamente a più organi di senso. Ne deriva che
per apprendere è necessario elaborare una serie di informazioni che fanno leva su
diverse modalità di presentazione. La multimedialità, resa definitivamente possibile
dall'avvento della tecnologia e ogni giorno migliorata e sperimentata nelle sue ulteriori
possibilità grazie a meccanismi sempre più sofisticati, a ben guardare è una tematica che
ha interessato, nei secoli, le generazioni sin dalle origini della civiltà.
Da sempre, la vista e l'udito si sono contese il primato e, a riprova di ciò, mi
sovvengono le parole di due eminenti personaggi dell'antichità che hanno sostenuto
l'uno la prima teoria, l'altro la seconda. Cicerone, nel De oratore, affermava che fosse la
vista il senso privilegiato, in quanto collegata alle capacità ritentive della memoria: «Il
più acuto dei nostri sensi è quello della vista e di conseguenza percezioni ricevute
attraverso gli orecchi o formate attraverso la riflessione possono essere ritenute più
agevolmente se vengono avviate alla nostra mente per mezzo degli occhi» (II, 37, 357).
Plutarco, dal canto suo, assegnava la palma al «senso dell'udito, che, a detta di
Teofrasto, è collegato più di ogni altro alle passioni, dato che non c'è niente che si veda,
si gusti o si tocchi, che produca sconvolgimenti, turbamenti o sbigottimenti paragonabili
a quelli che afferrano l'anima quando l'udito è investito da certi frastuoni, strepiti o
rimbombi» (De recta ratione audiendi, II, 38a, ed. 1992, p. 241).
Gli approcci che si basano principalmente sulla tecnica della presentazione
multimodale, in particolare dell'insieme di figure e testo, hanno cercato di spiegare
l'apprendimento multimediale come risultato di un'elaborazione «attiva» di informazioni
che vengono mostrate in diversi formati. Tutte le principali teorie accettano come punto
di partenza l'approccio teorico che assume la coesistenza di differenti processi
linguistici e non verbali, come già era stato suggerito dalla teoria della doppia codifica
di Paivio (1991). Alcune, come quella di Schnotz (2001), sottolineano soprattutto
l'importanza delle caratteristiche sensoriali e fisiche degli stimoli: nel modo in cui noi
interagiamo con un ambiente multimodale ha un ruolo importante anche l'informazione
presentata ai nostri organi di senso, e quindi il formato fisico-simbolico della
43
presentazione multimediale ha un'influenza diretta sulla costruzione di un modello
mentale corrispondente e sull'apprendimento delle informazioni. Altre teorie, invece,
come quella di Chandler e Sweller (1991) o quella di Mayer (2001), mettono l'accento
sull'intervento di processi cognitivi secondo un approccio HIP (Human Information
Processing). Tra questi ci sono la memoria di lavoro, l'attenzione e le risorse cognitive
in generale, che interagiscono tra di loro nella costruzione di un modello mentale utile
all'apprendimento multimediale.
Fig. 3 La codifica multimediale di Paivio (Fonte: Paivio, 1991).
3.1.3. La centralità della teoria di Mayer Uno dei modelli teorici che in maniera più completa cercano di spiegare i
meccanismi cognitivi alla base dell'apprendimento multimediale è quello proposto da
Richard Mayer, psicologo e padagogista dell'Università di Santa Barbara in California.
Secondo Mayer, allo studio dell'apprendimento multimediale ci si può accostare
seguendo due approcci generali. Il primo, basato semplicemente sulla tecnologia,
presuppone che il ruolo principale vanga giocato dal software.
L'insegnamento/apprendimento viene visto come un processo passivo di semplice
44
consegna e acquisizione di informazioni e il punto focale d'interesse è per lo sviluppo di
software sempre più raffinati. Il secondo approccio, invece, centrato principalmente
sull'individuo, studia i processi cognitivi di base e come lo stesso interagisca col
sistema. L'apprendimento, in questo caso, viene visto come un processo «attivo». Gli
informatici tenderanno a focalizzarsi sul primo approccio, gli psicologi cognitivi
adotteranno il secondo.
Per sviluppare il suo modello integrato che tiene conto delle teorie
precedentemente elaborate da altri, Mayer, attingendo a una lunga serie di lavori
sperimentali, ha elaborato una teoria cognitiva dell'apprendimento multimediale che non
può prescindere da tre assunti di base:
g. il concetto di doppia codifica di Paivio (1991), secondo il quale esistono due
sistemi di codifica diversi per l'elaborazione e la rappresentazione
dell'informazione: un sistema verbale che si occupa dell'informazione di tipo
verbale e linguistico e un sistema non verbale che elabora le informazioni visive
e le immagini mentali;
h. il concetto di carico cognitivo elaborato da Chandler e Sweller (1991) che
sostiene che la quantità di informazioni che siamo in grado di elaborare in ogni
canale è limitata e che quindi un carico eccessivo danneggia l'elaborazione
dell'informazione, ritardandone o impedendone l'apprendimento;
i. il concetto di elaborazione «attiva», teorizzato dallo stesso Mayer (2000), che
sostiene che l'apprendimento richiede la partecipazione attiva del discente.
Costui, infatti, sarà impegnato in una serie di interventi cognitivi attivi sul
materiale in entrata:
- selezione del materiale: il soggetto presta attenzione alle informazioni rilevanti in
entrata, che possono essere testo e/o figure;
- organizzazione del materiale: il materiale selezionato viene organizzato in una
rappresentazione mentale adeguata creando delle relazioni tra parole e tra figure;
- integrazione del materiale: la rappresentazione verbale o pittorica costruita viene
integrata con la conoscenza già acquisita.
L'esito di tale processo attivo è la costruzione di una rappresentazione mentale
coerente utile all'apprendimento dei contenuti. La figura mostra il modello cognitivo di
45
Mayer, fortemente influenzato dai modelli classici cognitivisti proposti dall'approccio
HIP.
Fig. 4 Il modello cognitivo dell’apprendimento multimediale di Mayer (Fonte: Mayer, 2001).
Testo e figure provengono dal mondo esterno sotto forma di presentazione
multimediale ed entrano nella memoria sensoriale attraverso gli occhi e le orecchie.
Testo scritto e figura sono mantenuti per un tempo brevissimo come immagini visive
fedeli in un magazzino sensoriale visivo, mentre il testo pronunciato è mantenuto come
una immagine uditiva fedele nel sistema sensoriale uditivo. Dopo questa prima fase,
intervengono processi in cui la mente opera più attivamente. Un ruolo predominante
nell'apprendimento multimediale è svolto dal sistema della memoria di lavoro,
responsabile del mantenimento temporaneo e dell'elaborazione delle informazioni a
breve termine. Il modello prevede il coinvolgimento della memoria di lavoro con le sue
componenti fonologica e visuospaziale. La componente fonologica elaborerà il
materiale verbale in modo da selezionare le informazioni rilevanti, mentre la
componente visuospaziale sarà impegnata nell'elaborazione del materiale pittorico.
Le informazioni verbale e pittorica verranno successivamente organizzate ed
integrate in un unico modello grazie anche alle conoscenze precedenti che provengono
dalla memoria a lungo termine. Secondo Mayer (2001), gli obiettivi principali
dell'apprendimento multimediale devono essere, da una parte, il ricordo e cioè la
capacità di riprodurre e riconoscere il materiale presentato, dall'altra la comprensione,
ossia l'abilità di comprendere quanto si è studiato e di usarlo in situazioni nuove. È
proprio la capacità di costruirsi un modello integrato di testo e illustrazioni che
favorisce la comprensione di un brano e il successivo apprendimento. Affinché la
multimedialità si riveli un valido strumento di apprendimento, è necessario, però, che
46
essa si attenga a due principi di vitale importanza: la riduzione del carico cognitivo
estrinseco e l'incremento del coinvolgimento del soggetto. Le strategie da adottarsi per
rispondere a tali esigenze, sempre secondo Mayer, devono garantire:
a. presentazioni integrate, anziché separate: il soggetto apprende meglio, sia a
livello di memorizzazione che di comprensione, quando parole e immagini
corrispondenti sono presentate vicine (presentazione integrata), anziché lontane
(presentazione separata);
b. presentazioni simultanee, anziché successive: Mayer, a partire dai risultati di
alcune ricerche condotte con i suoi collaboratori, dimostra l'esistenza di un
«principio di contiguità temporale» (temporal contiguity principle – Mayer,
2001; 2005), secondo il quale il ricordo, ma soprattutto la comprensione, sono
migliori allorché le parole e le immagini corrispondenti sono presentate
simultaneamente piuttosto che successivamente;
c. la coerenza della presentazione: Mayer, definendo il «principio di coerenza»
(coherence principle - Mayer, 2001; 2005), sostiene che l'apprendimento risulti
migliore quando avviene a partire da una presentazione multimediale coerente,
ossia priva di materiale non rilevante;
d. combinare animazione e narrazione: Mayer, sulla base dei risultati di vari
studi (Mousavi, Low e Sweller, 1995; Mayer, 2001), elabora il «principio di
modalità» (modality principle – Mayer, 2001), secondo il quale il soggetto
apprende meglio (sia a livello di memorizzazione che di comprensione) quando
la presentazione multimediale è costituita da un'animazione narrata piuttosto che
da animazione e testo scritto.
Da tutti questi presupposti, Mayer è giunto a teorizzare i sei fondamentali principi
dell'apprendimento multimediale:
1. Multimediale: i soggetti apprendono meglio da una presentazione che associa
parole e figure, rispetto ad una presentazione che utilizza solo testo o solo
illustrazioni; l'utilizzo di testi, audio e immagini si è dimostrato particolarmente
efficace per migliorare l'apprendimento e la memorizzazione dei contenuti
rispetto alla sola modalità comunicativa del testo tradizionale (Mayer e
Anderson, 1991);
47
2. Contiguità spaziale e temporale: i soggetti apprendono meglio se le parole e le
figure corrispondenti sono vicine sulla pagina o sullo schermo e sono presentate
simultaneamente (Mayer e Anderson, 1992);
3. Rilevanza e coerenza del materiale: le componenti verbale e visuospaziale della
memoria di lavoro hanno una capacità limitata e quindi non possono gestire
troppe informazioni allo stesso tempo (Harp e Mayer, 1998);
4. Modalità diversa: i soggetti apprendono meglio da spiegazioni orali e
illustrazioni piuttosto che da testo scritto e figure (Mayer e Moreno, 1998);
5. Ridondanza: i soggetti incontrano difficoltà nell'apprendimento se
l'informazione è presentata in troppi formati (Mayer, Heiser e Lonn, 2001);
6. Personalizzazione: i soggetti apprendono meglio quando una spiegazione viene
presentata in stile non formale.
Le prove raccolte da Mayer per illustrare questi sei principi sono coerenti con un
significativo corpus di ricerche preesistenti rispetto ai lavoro dell'autore. Cornoldi
(1978), per esempio, aveva messo in luce i vantaggi che i bambini posso trarre da una
presentazione, contemporaneamente visiva e uditiva, di una storia di animazione.
Cornoldi e De Beni (1991) avevano poi provato l'effetto di presentazione orale, in base
al quale l'uso di immagini facilita la memorizzazione di un testo se questo è presentato
oralmente piuttosto che quando viene presentato unitamente a un testo scritto.
I sei principi appena elencati vengono ad assumere un'importanza fondamentale
per le finalità del Digital Storytelling come disciplina, in quanto, in alcuni casi
sovrapponibili a quelli che vedremo essere gli elementi imprescindibili teorizzati da Joe
Lambert affinché un DST risulti efficace, in altri, loro irrinunciabile estensione.
3.2. Alcuni esempi di DST
[[[murmur]]] è uno degli esempi più riusciti di quello che viene definito urban
digital storytelling. Il progetto, ideato a Toronto nel 2002 (ma ben presto esportato in
altre città del Canada, in Irlanda, Scozia, Australia, Usa e Brasile) da Shawn Micallef,
Gabe Sawhney e James Rousse, in collaborazione con CFC MediaLab, si pone come
obiettivo quello di creare dei momenti in cui le persone possano incontrarsi e
trasmettere ricordi ascoltando delle storie legate a dei luoghi della propria città.
48
[[[murmur]]] viene a configurarsi come «a location-based mobile phone documentary
project» che, grazie a dei punti di ascolto contrassegnati da delle grandi orecchie verdi
collocati in giro per la città, offre la possibilità ai visitatori, chiamando con il proprio
cellulare il numero segnalato (oggi, in realtà, grazie ai moderni smartphone dotati di
connessione a internet, è sufficiente collegarsi al sito e selezionare l’oggetto di
interesse), di ascoltare la storia legata a quel preciso luogo, narrata dalla voce di coloro
che in quel posto hanno vissuto, lavorato o giocato, rivivendone, dunque, esperienze ed
emozioni.
It's history from the ground up, told by the voices that are often overlooked when the stories of cities are
told. We know about the skyscrapers, sports stadiums and landmarks, but [murmur] looks for the
intimate, neighbourhood-level voices that tell the day-to-day stories that make up a city. The smallest,
greyest or most nondescript building can be transformed by the stories that live in it. Once heard, these
stories can change the way people think about that place and the city at large (dal sito
http://murmurtoronto.ca).
L’uso dell’audio al posto del testo scritto, inoltre, permette all’utente di muoversi
nello spazio e, contemporaneamente, di guardarsi attorno.
L’aspetto innovativo di [[[murmur]]], dunque, risiede nella sua capacità di
instaurare con il territorio in cui si opera un dialogo aperto, un confronto tra le persone
di tutti i ceti sociali che, in questo modo, possono scoprirsi elementi necessari alla
costruzione della storia del luogo che abitano (Bonini Baldini, 2013, p. 116).
Fig. 5 Homepage del sito [[[murmur]]].
49
Fig. 6 Esempio tratto da [[[murmur]]] Toronto – The Grange.
In ambito italiano, un progetto simile è stato creato nel 2008 a Bologna. Percorsi
Emotivi, questo il suo nome, è nato con lo scopo di analizzare la percezione che gli
abitanti hanno della propria città, ma ben presto è diventato un vero e proprio
contenitore digitale di storie, impressioni ed emozioni che scaturiscono negli animi dei
cittadini passeggiando per le vie di Bologna.
50
Fig. 7 Ricordo all’interno del progetto “Percorsi Emotivi”.
Molto più complesso e ambizioso è Comefacciamo che un architetto britannico, in
collaborazione con Google, ha promosso per la ricostruzione tridimensionale del centro
storico dell’Aquila, distrutto dal terremoto del 2009 e non ancora riedificato. Il progetto
è poi strettamente collegato al sito www.noilaquila.com (il cui slogan è paradigmatico:
“Esplora la città dell'Aquila, condividi i tuoi ricordi e contribuisci alla ricostruzione
della sua memoria per ispirarne il futuro”) dove gli utenti pubblicano i propri ricordi,
video e fotografie con il solo scopo di preservare, almeno in digitale, la memoria della
città e del suo importante patrimonio artistico e culturale.
3.3. Il Digital Storytelling varca le soglie del museo
In questi ultimi anni anche la comunicazione museale è sempre più orientata nella
direzione di un partecipatory museum, nel quale si attivino processi partecipativi in
grado di trasfigurarlo in una piattaforma che metta in connessione fra loro i vari soggetti
coinvolti. Oggi, come sostengono Hinton e Whitelaw, «people no longer simply view or
51
consume cultural content; they make it, reuse it, and annotate it, adding meaning and
creating new derivative media forms» (2010, p. 52). Queste attività costituiscono il
presupposto per la costruzione del senso di appartenenza a un gruppo sociale, per la
creazione di identità condivise e per l’ampliamento del proprio orizzonte
comunicazionale non solo con il museo, ma anche con tutti gli altri utenti che alla stessa
maniera partecipano alla co-produzione del valore museale. È il caso del progetto
sperimentale di partecipazione alla creazione collettiva di contenuti culturali attraverso
lo storytelling messo in atto nel 2003, con il progetto Every Objects Tells a Story, da un
network di istituzioni museali inglesi, in collaborazione con il Victoria & Albert
Museum di Londra, Channel 4 Television e Ultralab
(http://www.everyobjecttellsastory.org.uk/). Il progetto invitava gli utenti via web ad
interpretare gli oggetti proposti guardandoli attentamente con occhio nuovo e a creare
storie su di essi, inviando commenti, video, foto e files audio, che hanno contribuito a
creare una collezione digitale di oggetti che raccontano di sé.
In Italia, quanto a sperimentazione e adozione di tecnologie multimediali per la
fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale, particolarmente importante è il
ruolo rivestito dalla città di Torino. Uno dei momenti di riflessione più interessanti sulle
possibilità di cooperazione e compenetrazione tra lo storytelling e le nuove tecnologie è
rappresentato dal convegno Raccontare i Musei, tenutosi nel 2005, che ha indagato sia
gli effetti positivi del raccontare storie in un museo quali, fra gli altri, la maggiore
efficacia pedagogica data dalla partecipazione attiva del visitatore e dalla possibilità di
scambiare esperienze, sia quelli negativi come, per esempio, l’eccessiva distrazione dal
messaggio artistico di un’opera (Howard, 2005, p. 5). Proprio le tematiche discusse in
sede di convegno devono essere state la spinta determinante per la realizzazione pratica
di un ambizioso progetto che ha visto la luce nel 2006, in occasione dei XX giochi
olimpici invernali. In concerto con il Museo Diffuso della Resistenza, della
Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà della città di Torino sono stati
scelti una serie di punti di interesse sparsi per la città, fruibili sia attraverso il sito web
del museo, che forniva una mappa interattiva con schede localizzate dei punti, sia
attraverso i QR codes appositamente predisposti nei punti stessi, rendendo così
contestuale all’esperienza di visita quella della decodifica interattiva dei dati. I QR
codes, una volta decodificati sullo smartphone, consentono l’apertura della scheda o del
52
link di approfondimento e permettono anche di connettersi a un blog specifico
georeferenziato, chiamato geoblog, 18 che viene a costituire una sorta di mappa
emozionale di luoghi della memoria antifascista nella quale i visitatori sono stimolati a
lasciare un messaggio, un commento, un’emozione, che sarà condivisa con i fruitori
successivi, creando così quello che è stato definito un real social tagging, cioè una rete
di tags dislocate su un territorio realmente ed emozionalmente vissuto dai suoi cittadini.
Sulla scia di quest’esperienza, l’anno successivo, è stato realizzata una sorta di
grande museo diffuso europeo della memoria antifascista e dell’olocausto in Europa
intitolato StoriesOnGeographies. An European participatory geoblog of memory
(http://storiesongeographies.eu/) che si pone come obiettivo quello di conservare e
tramandare i ricordi legati ai luoghi che hanno fatto da scenario a quel terribile
momento storico (Bonacini, 2013).
Se le sperimentazioni analizzate fino a questo momento, che pur hanno ottenuto
largo consenso e ampia partecipazione da parte degli utenti, possono solo alla lontana
afferire al concetto di museo in senso stretto, l’idea di realizzare il social tagging anche
in riferimento alle istituzioni museali più tradizionali è stata concepita dal LUA
(Laboratorio di Usabilità ed Accessibilità) dell’Università La Sapienza di Roma che ha
ideato Artsonomy, una sorta di grande blog-database nel quale confluiscono i tags
emozionali-esperienziali che il visitatore può scrivere di fronte all’opera d’arte durante
la sua visita nelle sale di un museo. Il sistema, che funziona con la decodifica dei QR
codes, rimanda ad un sito web dedicato ad Artsonomy sul quale è richiesto all’utente,
partendo dall’ID dell’oggetto, di lasciare un commento. Il sito, predisposto come una
tagcloud, una volta accettato il tag aggiuntosi, è in grado di far visualizzare al fruitore
«the most relevant tags of that artwork» (Levialdi Ghiron et al., 2009, p. 378).
Da quanto detto, e dalle ricerche effettuate, emerge che, fatta eccezione per
qualche caso rimasto isolato, la realtà museale italiana non si è ancora sentita pronta a
sperimentare soluzioni che possano essere fatte rientrare a pieno titolo nell’ambito del
Digital Storytelling. Diverso è il caso dei musei nordeuropei e americani che dagli inizi
18 Il geoblog, nato dalla collaborazione tra il PerformingMedia Lab, fondato da Carlo Infante, e l’Associazione Acmos (quando ancora Google Maps non esisteva), utilizzando i matrix codes, traccia delle mappe emozionali scritte da chi, rivivendo determinati luoghi, «prova delle emozioni, elabora delle considerazioni e ha il desiderio di condividerle, di farne patrimonio collettivo legato a doppio filo con il territorio» (Pica, 2008).
53
del Duemila, accantonato il più tradizionale Storytelling, si sono aperti alla
sperimentazione del Digital.
3.3.1. Digital Storytelling diretto: lo Statens Museum fur Kunst di Copenhagen Lo Statens Museum fur Kunst fin dal 1998, anno in cui è stata inaugurata la nuova
ala del museo, ha sempre perseguito la strada del rinnovamento e dell’innovazione.
Proprio in questa direzione si colloca l’interessante progetto “Stories from the
Conservator”. I restauratori del museo, attraverso brevi post, redatti utilizzando un
vocabolario semplice e corredati da belle immagini, raccontano momenti che fanno
parte del loro lavoro di tutti i giorni, permettendo in questo modo al visitatore di entrare
nella dimensione che solitamente non appare e che si cela, per così dire, dietro le quinte
di un museo. Nello stesso spazio c’è anche una sezione video in cui, sempre i
restauratori, in tre minuti, raccontano il lavoro che stanno svolgendo, come lo stanno
svolgendo e il perché delle loro scelte. Non sono previsti commenti diretti ai post, ma la
discussione, le domande e le curiosità possono essere esposte sulla pagina Facebook o
sul profilo Twitter del museo.
3.3.2. Digital Storytelling partecipativo: il Museum of Modern Art di New York Il Moma, a differenza delle istituzioni museali precedenti, ha scelto la soluzione
ancora più coinvolgente dello scambio diretto tra chi sta fuori dal museo e chi, invece,
sta dentro. Il blog, dunque, che già dal titolo “Inside/Out” rivela il suo obiettivo, vuole
mettere sullo stesso piano il punto di vista dei visitatori e quello degli operatori museali.
In particolare, nella sezione Viewpoints, incontriamo “I Went to Moma and”, spazio
dedicato ai visitatori, che qui possono raccontare la propria esperienza museale,
esternando le impressioni e le sensazioni derivatene;; ma anche ai post degli “addetti ai
lavori” che decidano di dare risalto a eventi particolari o anche semplicemente ai propri
pensieri. “Intern Chronicles”, invece, dà voce ai racconti dei ragazzi che hanno svolto
un periodo di stage all’interno del museo. Non bisogna dimenticare, poi, che i fruitori
possono dare un immediato riscontro alla loro visita, grazie agli ormai famosi cartoncini
che vengono forniti all’ingresso e sui quali essi possono scrivere, disegnare ed
esprimere nel modo ritenuto più congeniale le proprie impressioni.
54
Fig. 8 Il blog “Inside/Out” – Museum of Modern Art, New York.
3.3.3. Digital Storytelling indiretto: il Delaware Art Museum Nel 2007 il Delaware Art Museum, al fine di rendere più suggestive le visite
guidate delle scolaresche e i programmi formativi con un momento di coinvolgimento
diretto dei partecipanti, ha lanciato il progetto “The Art of Storytelling”. L’idea è quella
di rendere protagonisti i visitatori del museo facendo raccontare loro la storia che le
opere d’arte ammirate durante il tour hanno ispirato. Dopo le prime sei settimane i
racconti pervenuti erano trecentocinquanta e quindi il successo del progetto è stato tale
che si è pensato di ampliare il bacino di potenziali partecipanti pubblicando online una
galleria di immagini dei suoi dipinti più famosi per permettere anche a coloro che non
hanno mai visitato il museo di poter inventare la propria storia. Nella sezione “Picture a
story” è addirittura possibile disegnare il proprio racconto utilizzando dei launch
predisposti prendendo paesaggi e sfondi dei quadri e inserendovi all’interno oggetti,
personaggi ed altri elementi. A proposito del progetto, i curatori hanno scritto:
«abbiamo scoperto che stimolare la capacità di raccontare dei visitatori è un modo
55
efficace per coinvolgerli e per indurli a pensare e a guardare l’arte in maniera critica e
creativa allo stesso tempo. Inoltre queste iniziative hanno un riscontro positivo anche
per le istituzioni museali sia perché si raggiungono e si coinvolgono nuovi pubblici sia
perché permettono di ricevere un valido feedback dell’azione svolta del museo nella
comunità» (Fisher, Twiss-Garrity, Sastre, 2008).
Il sito, ad oggi, contiene migliaia di storie categorizzate per soggetto, valorizzate,
votate e incentivate dall’istituzione che “promuove” le migliori inserendole, una volta
registrate dagli utenti stessi, nelle audioguide ufficiali.
Ad avvalorare la tesi che fruire di un museo non significhi solo ricordare un’opera
d’arte, ma sia ricordare, soprattutto a livello emozionale, tutto quello che un’opera porta
con sé, ci sono i dati statistici ottenuti dalla compilazione di questionari post-fruizione:
il 92% dei visitatori che hanno sperimentato lo storytelling museale dichiara di aver
vissuto un’esperienza unica e di essersi sentito molto più connesso alle opere d’arte. Ma
non solo. I bambini che hanno fruito del tour nella modalità narrativa, dopo tre mesi
dalla visita riuscivano ancora a ricordare perfettamente sia le opere esposte che le storie
ad esse associate.
Fig. 9 Homepage del progetto “The Art of Storytelling” promosso dal Delaware Art Museum.
56
3.3.4. Digital Storytelling immersivo: i Giardini di Castel Trauttmansdorff di
Merano Il castello Trauttmansdorff di Merano, con i suoi giardini, è famoso in tutto il
mondo per esser stato la dimora dell’imperatrice Elisabetta, conosciuta da tutti come
Sissi. In anni recenti è stato appurato che, in realtà, l’imperatrice vi soggiornò solamente
in due occasioni, ma che il parco, con le relative passeggiate al suo interno, fossero state
realizzate per sua espressa volontà.
Solo alcuni dei viali e dei sentieri che compongono il parco, che oggi si estende
su una superficie di 12 ettari, sono gli stessi ideati e calpestati da Sissi: lasciati per molti
anni in uno stato totale di abbandono, cominciarono ad essere risistemati a partire dalla
seconda metà degli anni Ottanta, per essere poi aperti al pubblico nel 2001.19
Nel parco, che si configura come un vero e proprio immenso orto botanico, sia
per la varietà di fiori e piante che vi crescono rigogliose, sia per il suo scopo didattico,
sono presenti parecchie postazioni multimediali che, per il loro carattere ludico, rendono
più interessante l’apprendimento di alcuni aspetti della natura e delle sue molteplici
manifestazioni. L’ultima in ordine cronologico, inaugurata nel 2011, è classificabile
come esperienza di Digital Storytelling.
Si tratta de “Il regno sotterraneo delle piante”, un percorso sotterraneo lungo
circa 200 metri in cui il fruitore, grazie ad alcune stazioni che incontra sul suo cammino,
si trova faccia a faccia con i meccanismi sotterranei che favoriscono lo sviluppo delle
piante.20 Ogni stazione è costituita da una scenografia mobile in cui, di volta in volta,
tramite luci e movimenti meccanici, i sensi del visitatore vengono coinvolti a più livelli,
mentre i protagonisti si raccontano in prima persona.
Da un sopralluogo effettuato personalmente ho potuto constatare che dal punto
di vista scenografico “Il regno sotterraneo delle piante” è decisamente un’opera
19 Per una storia approfondita dei giardini di Castel Trauttmansdorff vedi il sito http://www.trauttmansdorff.it/it , in particolare, le seguenti pagine e i riferimenti ivi contenuti (data ultima consultazione 03/07/ 2015) e, in particolare, le pagine: http://www.trauttmansdorff.it/it/mondo-di-emozioni/stazioni-multisensoriali/regno-sotterraneo-delle-piante.html; http://www.trauttmansdorff.it/it/i-giardini/retrospettiva-storica/storia-dei-giardini.html; http://www.trauttmansdorff.it/it/sissi-l-imperatrice-elisabetta/sissi-a-trauttmansdorff/al-castello.html. 20 Dal momento che non riuscivo a trovare alcuna specifica tecnica dell’installazione, mi sono rivolto al Dipartimento di Didattica del parco, che, molto gentilmente, mi ha fatto avere un documento relativo alla progettazione dell’installazione, il quale però è completamente in lingua tedesca e non aggiornato rispetto alla versione definitiva.
57
coinvolgente, attraverso le cui tappe si scopre l’importanza dell’acqua per la vita della
vegetazione (sicuramente d’effetto gli spruzzi d’acqua verso il pubblico quando si parla
della pioggia), delle radici e del loro funzionamento (una radice gigante ci mostra
attraverso dei tubi come l’acqua salga dal terreno fino alla cima dell’albero), le radici
commestibili e i tuberi (la stazione meno entusiasmante in quanto dotata solo di un
carrello con vari tuberi e radici di plastica e con solo il racconto a tenere viva
l’attenzione), i minerali e gli elementi che servono allo sviluppo della vita (rappresentati
da “robottini” semoventi, illuminati di volta in volta che ognuno di essi si descrive con
la propria voce) e infine la luce, l’ultima stazione, nella quale era presente
un’interessante gioco olografico che rappresentava la crescita di un fiore all’interno di
un vaso reale.
Se, appunto, scenograficamente l’installazione è coinvolgente, dal punto di vista
dei racconti e della produzione audio è invece molto deludente.
I racconti infatti, a mio avviso, risultano deboli nei contenuti e poco coinvolgenti
emotivamente, complice anche la pessima interpretazione degli attori, sicuramente non
italiani, che non hanno dato importanza all’aspetto interpretativo e al rendere credibili e
personali le storie raccontate.
Dal punto di vista tecnico, l’installazione pecca anche la cura nella posizione e
nella produzione del materiale audio. A un sound design poco incisivo si aggiunge in
alcuni momenti il fatto che, volendo creare delle spazializzazioni, i suoni si perdevano e
la voce diventava poco intellegibile. La sensazione di avvicinamento, per esempio, del
personaggio “acqua” nella prima stazione si perde completamente in quanto la prima
parte del suo racconto è riprodotta da un singolo altoparlante nascosto e distante
dall’ascoltatore. Forse si sarebbe potuto rendere meglio con una amplificazione
trasparente e con relativo movimento da lontano a vicino attraverso gli altoparlanti.21
Questi piccoli dettagli tecnici purtroppo tolgono molto valore a un’installazione
che altrimenti sarebbe potuta essere presa a esempio.
21 L’installazione è stata curata da una società svizzera, la AUDIOVISION di Heinz P. Müller, della quale purtroppo non esiste alcun riferimento online da cui trarre informazioni utili.
59
Capitolo 4. Digital Storytelling@Museo Bottacin
In questo capitolo lo scrivente vuole esaminare un caso di studio, a cui ha partecipato in
qualità di tecnico durante tutta la sua realizzazione, a cura della Dott. Iervolino.
L’idea di sviluppare un progetto di didattica museale che si avvalesse delle vaste
possibilità offerte dal Digital Storytelling era nata con un duplice scopo: da un lato,
quello di offrire ai visitatori un’esperienza memorabile, puntando a meravigliarli e a
stimolarli a livello plurisensoriale, facendo provare loro emozioni tali da imprimere in
modo durevole nella loro mente le sensazioni provate e i contenuti trasmessi; dall’altro,
quello di valorizzare un museo cittadino, il Museo Bottacin, che, per una serie di
ragioni, è poco conosciuto dai turisti e dai padovani stessi. Il Museo rientra nell’ambito
dei Musei Civici di Padova (pur rimanendone in qualche modo indipendente, per
espressa volontà del suo fondatore, Nicola Bottacin) occupa dal 2006 il secondo piano
di Palazzo Zuckermann che si trova a pochi passi dal complesso degli Eremitani, di
fronte ai giardini. Nel contesto del Museo Bottacin gli strumenti per la divulgazione
delle informazioni messi a disposizione gratuita del visitatore sono esclusivamente di
natura testuale e possono essere individuati in tre forme principali: didascalie, schede
mobili, depliant informativi. Non sono presenti in alcun punto del percorso pannelli di
grandi dimensioni contenenti informazioni sulle opere, sui cimeli o sul mobilio, così
come del tutto assente è la segnaletica necessaria a orientare il percorso. Tali strumenti
possono essere integrati, solo quando si tratti di classi scolastiche, da percorsi a tema o
da laboratori didattici, fruibili su prenotazione presso il Settore Attività Culturali del
Comune di Padova.
Iervolino, che ha sviluppato l’idea e si è occupata dell’ambito educativo/didattico
del progetto, si è rivolta a me affinché curassi l’aspetto tecnico dell’installazione,
comprendente tutta la produzione audio in primis e poi l’idealizzazione e la
realizzazione materiale dell’installazione.
Il concetto di fondo era di fare in modo che l'utente diventasse protagonista attivo
della visita al museo, grazie ad un'immersione nella vita di Bottacin e alla possibilità di
dialogare direttamente con l'eclettico collezionista e le sue opere d'arte, nonché di
scambiare impressioni, emozioni ed esperienze con gli altri visitatori. Iervolino, infatti,
a seguito dello studio approfondito di diversi casi, era giunta alla conclusione che poter
60
esperire il museo con il maggior numero di sensi, poter spaziare mentalmente al suo
interno, poter uscire dalle sue pareti fisiche e potersi avvicinare empaticamente alle sue
opere, potesse togliere il visitatore dalla condizione di ospite introducendolo in una
dimensione nuova, dove egli diventasse padrone delle cose e degli spazi, ma soprattutto
del proprio processo di apprendimento.
Per far in modo che questo fosse possibile, Iervolino aveva pensato ad
un'esperienza caratterizzata da due momenti tra loro connessi:
1. il tour del Museo, durante il quale il visitatore viene accolto da Nicola Bottacin
che, narrando di sé, lo prende per mano e lo conduce attraverso la sua collezione,
rendendolo partecipe della sua vita, delle sue gioie e dei suoi dolori, venendo così ad
instaurare un forte legame emotivo;
2. l’interazione con l’Altro e la narrazione del Sé, che, come è stato detto, si rivela
particolarmente utile all’attuazione di processi riflessivi e formativi: i visitatori
diventano protagonisti attivi grazie ad un luogo dove possono rielaborare,
confrontandole, le conoscenze appena acquisite, le proprie sensazioni ed emozioni,
nonché condividere con altri il proprio vissuto, le proprie esperienze di vita.
Il progetto, date queste premesse, si è composto di due momenti in sé distinti, ma
al contempo tra loro indissolubili, facenti capo a due fasi temporalmente e fisicamente
distinte. Innanzitutto la realizzazione, tramite brevi podcast e filmati (di massimo 3
minuti ciascuno), di alcuni Learning objects relativi alla vita e alle collezioni di Nicola
Bottacin il quale, in alcuni casi in prima persona, in altri lasciando la parola alle opere
d’arte stesse, si racconta al visitatore, al fine di rendere più accattivante e interessante la
visita, nonché più facile il ricordo di quanto proposto. In particolare, tali Learning
objects rispecchiano i sette punti fondamentali suggeriti da Joe Lambert, quali elementi
fondamentali per un efficace Digital Storytelling [Lambert, 2002]:
a. il punto di vista personale: la narrazione viene condotta sempre da un
personaggio, reale o immaginario, che racconta di sé e della propria esperienza:
abbiamo visto come il racconto in prima persona si riveli particolarmente efficace quale
mezzo per la conoscenza del Sé e come strumento utile all'immedesimazione da parte
degli altri, fatto questo, di vitale importanza per l'attivazione di tutti quei processi di
coinvolgimento e, in conseguenza a ciò, di apprendimento che il progetto si pone come
fine ultimo. La memoria, infatti, viene stimolata e attivata principalmente dalla
61
situazione esteriore o interiore in cui il soggetto si trova e dal suo stato emozionale e
passionale (Gallo, 1955, p. 61);
b. di conseguenza, la scelta della voce narrante ha tentato, quanto più possibile, di
soddisfare le caratteristiche precipue del narratore (età adeguata, intenzioni, carattere,
ecc.);
c. l’utilizzo di una colonna sonora adeguata, fatta di musiche e rumori, tesa a
sottolineare i diversi momenti del racconto: è risaputo, infatti, che i suoni, per la
radiofonia in particolare, e, in generale, per tutti i mezzi che non si avvalgono della
rappresentazione visiva della realtà, si rivelano uno strumento di particolare utilità
comunicativa e suggestiva, in quanto capaci di caratterizzare gli oggetti e i luoghi
narrati, nonché di stimolare l'immersione dell'ascoltatore nella vicenda;
d. una struttura narrativa che riesca a sorprendere ponendo domande e fornendo
risposte non banali: quando si progetta un'azione educativa, è bene non rinunciare mai
alla meraviglia, validissimo mezzo atto alla ritenzione di concetti ed emozioni.
e. i contenuti sono connotati da una forte soggettività ed emotività, al fine di
coinvolgere totalmente il visitatore;
f. la durata esigua: sia i podcast che i filmati in linea di massima non superano i
tre minuti: tale è infatti il lasso di tempo entro il quale l’attenzione dello spettatore è al
massimo e quindi ricettiva;
g. infine, il ritmo tende a rispecchiare sia il tenore e il contenuto della narrazione
che la “colloquialità” della stessa: il narratore non si pone mai su un piedistallo come
mero oratore o come depositario di conoscenza, ma si trova, nei confronti del suo
uditorio, in una posizione di pari fra pari.
I podcast inoltre sono pensati per due target d’utenza, adulti e bambini. Di
consegueza sia i testi che le recitazioni (con le relative sonorizzazioni) devono essere
diversificati.
La seconda fase è rappresentata dalla creazione di un blog come luogo destinato
alla condivisione da parte dei fruitori delle impressioni relative all’esperienza appena
vissuta.
Questo secondo aspetto del lavoro non verrà esaminato in questa sede, in quanto
non strettamente collegato al lato tecnico dell’installazione.
62
4.1. L'idea nel dettaglio
Partendo da queste riflessioni, l'idea iniziale era di mettere in evidenza quattro
momenti e/o opere della collezione grazie ad altrettanti Learning objects, studiati in
maniera specifica per i due target di utenza. L'auspicio era che in un secondo momento,
dopo una prima fase di sperimentazione (che sarebbe dovuta avvenire a seguito di
debita informativa e pubblicizzazione da parte del Comune presso le scuole e, più in
generale, attraverso i principali media cittadini), se il progetto avesse ottenuto il favore
del pubblico, il numero di questi Learning projects avrebbe potuto essere implementato.
Nello specifico, il visitatore, durante il suo tour in collezione, incontra personaggi
che raccontano di sé e di eventi salienti della propria vita:
- al suo ingresso egli viene accolto dalla voce di Bottacin che, in prossimità del
proprio busto in marmo, opera dello scultore Cameroni, narra la propria storia;
- nella sala delle sculture, è la statua di Flora a “prendere per mano” l’utente e ad
accompagnarlo nella scoperta del Bottacin mecenate preciso e puntiglioso e del clima
artistico tardo romantico in cui egli visse;
- nella sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo, prende ancora la parola Bottacin,
che, in un misto di gioia e commozione, narra la sua lunga amicizia con il futuro
imperatore del Messico, il tutto reso più affascinante e reale dalla presenza in loco di
oggetti e cimeli legati alla vita quotidiana del personaggio (armi, fotografie, il sombrero
che si ritiene egli indossasse quando venne fucilato a Queretaro, il suo ventaglio, ecc.);
Un ulteriore obiettivo era connotare il percorso con aspetti di socializzazione non
propri alla tradizionale audioguida, il cui metodo di fruizione ha una tendenza
individualizzante, con l’ambizione, al contrario, di realizzare un percorso per così dire
socializzante, in cui le esperienze dei visitatori si potessero incontrare ed intrecciare, si è
pensato alle soluzioni dell’Interaction Design. Affinché, dunque, l'esperienza presso il
Museo Bottacin si rivelasse immersiva ed emozionante, tale da produrre nel visitatore la
storylistening trance experience teorizzata da Sturm (2000), si è voluto utilizzare
sensori di movimento che, attivando un hardware programmato ad hoc, dessero l'input a
due altoparlanti posti in prossimità degli oggetti di interesse. Da qui prendeva forma
l'immagine del visitatore che, in contemplazione di fronte all'opera d'arte, grazie alla
suggestione procurata dalla voce narrante e dai suoni, ne fosse, per così dire, rapito.
63
4.2. La realizzazione
Una prima fase realizzativa allo stato di bozza, non a cura dello scrivente,
prevedeva l’utilizzo di un computer centrale dotato di interfaccia audio multicanale,
posto in un angolo del museo, collegato a una coppia di casse stereo posta vicino a ogni
singola opera d’arte coinvolta. I sensori di attivazione sarebbero stati anch’essi in
prossimità delle opere, con conseguente cablatura fino al computer centrale. Infine
questi sensori sarebbero stati a pressione, attivabili solo su volontà del visitatore.
Analizzata la situazione e fatte le dovute valutazioni, si è ridiscusso alcune delle
soluzioni precedentemente sposate. Affinché l'installazione risultasse il meno invasiva
possibile e affinché l’utente non dovesse attivare manualmente i racconti, ma al
contrario, si trovasse ad essere coinvolto nel racconto, destando in lui anche meraviglia
e stupore, si è optato per un’interazione non tattile. Era di fatto intenzione precipua di
Digital Storytelling@Museo Bottacin quella distaccarsi del tutto dall’idea di audioguida
in senso tradizionale, anche a livello funzionale: se in quel caso è il fruitore ad attivare e
a scegliere, selezionando con un tasto, la spiegazione relativa all’oggetto di suo
interesse, qui, invece, il proposito era, piuttosto, di dare al visitatore l’impressione di
venire accolto in un ambiente caloroso e familiare come se egli fosse un ospite di
riguardo.
Inoltre, l’allestimento museale non avrebbe permesso di dissimulare
sufficentemente la cablatura e a livello realizzativo presentava non pochi limiti:
innanzitutto, tenendo presente la delicatezza che gioca il fattore tempo in
un’installazione basata su dei sensori, i quali devono necessariamente essere collocati e
entrare in funzione rispettando la logica esperienziale dei visitatori, il sistema di cavi
(sia audio che, appunto, dei sensori) facente capo ad un computer posto in un luogo
lontano avrebbe inevitabilmente ritardato la trasmissione del segnale provocando un
gap non indifferente tra il passaggio del visitatore in prossimità del sensore e
l'attivazione dell'altoparlante, con il rischio non remoto che il racconto cominciasse
quando già la persona si fosse spostata, anche se magari solo di pochi metri, dall'oggetto
di interesse. In secondo luogo, come ben sappiamo, più un cavo è lungo più c’è il
rischio di interferenze, di perdita di frequenze e non ultimo, in carenza di soldi, maggior
facilità alla rottura. Infine, aspetto da non trascurare, l’installazione di tutti questi cavi -
64
che, trovandosi in un luogo pubblico, sarebbero dovuti essere ignifughi e rientrare negli
standard di sicurezza - avrebbe dovuto essere pianificata e realizzata con la
soprintendenza di un ingegnere della sicurezza, per far sì che tutto risultasse a norma di
legge. Si rendeva necessaria, pertanto, una soluzione alternativa e, soprattutto, più
funzionale.
L’intera installazione non avrebbe avuto un unico computer centrale e non
avrebbe avuto un’interfaccia audio unica, ma sarebbe stata composta di tre sistemi
indipendenti tra loro, circoscritti alla zona d’interesse per ogni singola opera. Il sensore
e l’audio sarebbero stati pilotati da Arduino, facilmente programmabile e soprattutto di
dimensioni contenute, rendendo quindi l’intero sistema molto ridotto dal punto di vista
dell’ingombro.
Sempre per contenere i costi totali, gli altoparlanti sarebbero stati dei semplici
speaker da computer desktop, di una potenza sonora adeguata a coprire la zona
d’interesse.
4.2.1. La parte informatica Con l’aiuto di un collega è stato pensato e costruito il circuito per Arduino e ne è
stato compilato il codice, nonché progettato il supporto che consta di una scatoletta di
piccole dimensioni (cm 11,5 x 7,5 x 5,5) al cui interno è stato posizionato il circuito
finito e esternamente fissato il sensore.
Dopo diversi tentativi per trovare la soluzione che più si confacesse alle nostre
esigenze, il circuito finale funziona in questo modo:
- il sensore è posto in prossimità dell’opera e il suo raggio d’azione è calcolato in
modo da attivarsi una volta che rilevi il passaggio di una persona nell’area di
interesse;
- il sensore dà l’input ad Arduino;;
- una volta ricevuto l’input, Arduino riprodurrà i file audio caricati al suo interno
attraverso i due altoparlanti, distanti non più di 3 metri dal circuito.
- il circuito è dotato di uno switch a leva per selezionare tra due file audio, la
versione “Adulti” e la versione “Bambini” dei testi.
65
I file audio sono caricati su una SD removibile. Essa è predisposta per poter essere
riutilizzata semplicemente cambiando i file audio al suo interno, permettendo così di
modificare o sostituire i contenuti, nel caso in cui l'Amministrazione avesse deciso di
prevedere una rotazione delle opere cui dare rilievo.
Quello che a livello teorico era sembrato lineare e di facile attuazione, si è
rivelato, mano a mano che il lavori procedevano, piuttosto complicato. Innanzitutto, si è
dovuto fare i conti con le limitazioni informatiche di cui, all’epoca, Arduino peccava in
ambito audio. Per non rendere troppo complicata la realizzazione, si è dovuto optare per
l’utilizzo solo di file audio raw mono con frequenza di campionamento a 31250 a 8 bit.
Questo, come verrà descritto a breve, sarà uno dei principali problemi che affrontati in
fase di realizzazione.
Entrando nello specifico, per garantire una visita ottimale agli utenti l’implementazione
del codice è stata pensata ponendo al termine della riproduzione dei singoli file audio un
periodo di tempo in cui, ad eventuale nuovo cambio di stato del sensore, non succeda
nulla. Lo scopo di questa pausa è dare il tempo al visitatore di guardarsi ancora un po’
attorno e quindi di passare alla stanza successiva senza riattivare il sensore. La durata
della pausa è stata adattata poi durante le varie prove.
4.2.2. Il codice elaborato #include <SimpleSDAudio.h>
const int sensore = 5; //radar
const int led_errore = 6; // led di notifica errore
const int led_bambino = 7; // funzione bambino attivo
const int tasto = 8; // INTERRUTTORE per funzione bambino: 1 funzione normale 0 funzione bambino
int stato = 0; // variabile di stato
int interruttore = 0; // variabile di stato
void setup()
pinMode(sensore, INPUT);
pinMode(led_errore, OUTPUT);
pinMode(led_bambino, OUTPUT);
pinMode(tasto, INPUT);
// If your SD card CS-Pin is not at Pin 4, enable and adapt the following line:
66
// SdPlay.setSDCSPin(10);
// Init SdPlay and set audio mode and activate autoworker
if (!SdPlay.init(SSDA_MODE_HALFRATE | SSDA_MODE_MONO |
SSDA_MODE_AUTOWORKER))
while(1); // Error while initialization of SD card -> stop.
void loop()
interruttore = digitalRead(tasto);
if (interruttore == LOW) // lettura stato interruttore
// se in modalità normale
digitalWrite (led_bambino, LOW);
stato = digitalRead(sensore); // lettura segnale radar
if (stato == LOW) // controllo segnale radar
SdPlay.setFile("AUDIO_1.AFM"); //Settaggio file
SdPlay.play(); // se verifica la presenza di persone nella sala fa partire la riproduzione
while(!SdPlay.isStopped())
; // PORTA A TERMINE LA RIPRODUZIONE
delay(60000);
else
digitalWrite (led_bambino, HIGH);
stato = digitalRead(sensore); // lettura segnale radar
if (stato == LOW) // controllo segnale radar
SdPlay.setFile("AUDIO_2.AFM"); //Settaggio file
SdPlay.play(); // se verifica la presenza di persone nella sala fa partire la riproduzione
while(!SdPlay.isStopped())
; // PORTA A TERMINE LA RIPRODUZIONE
delay(60000);
67
4.2.3. La produzione audio
Per quanto riguarda la produzione audio, innanzitutto è stato necessario trovare
le voci adatte a interpretare i personaggi. Dopo aver provinato attori dilettanti che
risultavano immancabilmente essere troppo impostati e attenti ad enfatizzare i testi in
maniera esasperatamente teatrale e speaker pubblicitari che mancavano di dinamismo
nel racconto, risultando in questo modo più adatti ad un’audioguida tradizionale, si è
optato per uno speaker non abituale, il M°Medeossi, la cui voce stentorea, chiara ed
espressiva, con una leggera inflessione dialettale friulana era perfetta per il personaggio
di Bottacin. Per la parte di Flora invece la voce è di una ragazzina di quindici anni,
frizzante e briosa, a tratti anche un po’ frivola, proprio come Iervolino aveva
immaginato dovesse essere la statua di Flora. Nonostante entrambi non avessero mai
avuto esperienze in studi di registrazione, in tre pomeriggi è stato registrato tutto e al
termine Iervolino ha avuto modo di scegliere i take con cui fare il montaggio finale.
A questo punto rimaneva da definire un ultimo elemento non di poco conto: la
musica. L’idea originaria di Iervolino era di inserire uno sfondo musicale all’intera
durata della recitazione. La parola, associata alla musica, fin dall’epoca arcaica, aveva
costituito il medium privilegiato, in quanto mezzo più idoneo nella trasmissione del
sapere. Secondo gli antichi la poesia può servirsi solo dell’udito attraverso la semplice
parola, ma non sempre essa è in grado di suscitare emozioni se non è accompagnata
dalla melodia (Gentili, 1996, p. X). Proprio questo ruolo centrale della musica nella
comunicazione e nell’educazione dovuto al suo enorme potere paideutico tale da
coinvolgere al massimo grado il pubblico sia a livello intellettuale che emotivo fa
propendere per una scelta in questo senso. Le musiche, dovendo fare da sfondo ai testi
narrati, dovevano in qualche modo rispecchiarne i contenuti. Dunque, per la sala di
presentazione inizialmente si è pensato a qualcosa di allegro, senza particolari picchi in
altezza, che sottolineasse la vita avventurosa e sempre alla ricerca di nuovi stimoli di
Nicola Bottacin; per la sala dedicata a Flora, invece, qualcosa di frizzante e gioioso per
rendere la vivacità della primavera; infine, per la storia Massimiliano d’Asburgo una
musica che cominciasse abbastanza serena per poi incupirsi fino a divenire triste e grave
(con quest’opera Bottacin ci racconta la morte del suo grande amico). Partendo da
queste idee si sono valutati innumerevoli brani classici, spaziando da Ravel a
Čajkovskij, da Mozart a Busoni, da Rossini a Beethoven e a Schubert.
68
Tuttavia, individuare il commento musicale più adatto era arduo in quanto
alcune musiche erano troppo dinamiche e tendevano a sovrastare con la loro impetuosità
l’importanza del parlato, altre erano troppo conosciute e finivano col richiamare alla
mente il loro utilizzo commerciale nell’advertising. In altre parole, nessuna musica già
esistente riusciva ad aderire perfettamente alle intenzioni e ai contenuti dei racconti. Per
superare l’alternativa tra l’inserimento di una musica che, per quanto bella ed
emozionante, rischiasse di risultare superflua o, che peggio ancora, distraesse
l’ascoltatore, si decise per una sonorizzazione seguendo il modello del radiodramma.
Per la sala di presentazione la scelta è caduta sulla Serenata per archi, op. 48, IV
di Pëtr Il'ič Čajkovskij, che sembrava particolarmente adatta ad evidenziare il clima
festoso delle serate di gala frequentate da Bottacin; inoltre, quando nel testo si racconta
di Trieste, si è reso più suggestivo l’ascolto, inserendo i rumori del porto, dei gabbiani e
la sirena di una barca in procinto di salpare. Infine, per descrivere l’immenso parco che
circondava l’abitazione del collezionista, sono presenti inserti di suoni della natura: il
cinguettio di diverse tipologie di uccelli, il ronzare delle api, il dolce suono di una
fontana e il gracidare di una rana.
Nella sala attigua, che ospita la collezione d’arte, la gioiosità della primavera
impersonata da Flora viene introdotta dalla VI Sinfonia – Pastorale di Ludwig Van
Beethoven punteggiata, qua e là, da versi di uccellini; nel momento in cui la statua legge
lo stralcio della lettera che Bottacin aveva inviato allo scultore Vincenzo Vela per
commissionargli l’opera, sono presenti invece il rumore di una penna stilografica che
scrivendo gratta leggermente il foglio e, più oltre, il suono dello scalpello che lavora il
marmo.
Infine, per la sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo, musiche, suoni e rumori
d’ambiente si susseguono, alternandosi, in modo da rendere dinamica ed emotivamente
forte l’intera narrazione di argomento importante e tragico: la storia si apre, dunque, con
il Ballet de Faust di Charles Gounod per sfumare sulle parole di Bottacin; nel momento
in cui quest’ultimo racconta della partenza di Massimiliano per il Messico, si sente
l’Inno imperiale di Napoleone III, fautore appunto di quest’impresa;; poi i suoni e i
rumori della battaglia, spari, urla e concitazione; infine, per preparare l’ascoltatore al
climax che sarebbe arrivato di lì a poco, sono presenti i suoni gravi del pianoforte della
69
Marcia Funebre che Franz Liszt22 scrisse proprio in onore di Massimiliano d’Asburgo e
che si addice in maniera perfetta a questo passaggio e che si interrompe,
improvvisamente, per lasciare spazio al rumore sordo dello sparo del fucile Remington
che uccide l’imperatore.23 Poi qualche istante di silenzio interrotto dopo alcuni secondi
dalle nude parole di Bottacin che riprende a parlare, smorzando la tensione creatasi, per
descrivere gli oggetti conservati nella sala.
4.3. L’installazione
Terminati, dunque, i file audio, si doveva affrontare il problema più grande:
come far “suonare bene” dei file audio con le specifiche richieste dal software. Se la
frequenza di campionamento si rivelava, tutto sommato, un problema relativo perché la
perdita delle alte frequenze rendeva, di fatto, i suoni solo meno brillanti (fatto che ad
ogni modo si notava poco, data la scarsa qualità del sistema di riproduzione) e la
rappresentazione in mono era ben mascherata da una posizione degli altoparlanti non
adeguata a una perfetta fruizione stereofonica, il problema maggiore è stata la
compressione da 16 a 8 bit.
In fase di mix, infatti, non si era tenuto conto dell’escursione dinamica e del
fatto che con una riquantizzazione a 8 bit essa avrebbe inevitabilmente portato una gran
quantità di rumore di fondo e, probabilmente, distorsione. Dopo la prima conversione, il
file audio era inutilizzabile in quanto il rumore di fondo copriva completamente la voce.
Il problema è stato risolto comprimendo prima, e con limiter poi, il più possibile
in modo da portare l’escursione dinamica entro quella consentita dagli 8 bit, il tutto
stando attenti a non distorcere il suono per l’eccessiva compressione.
Il risultato è stato abbastanza soddisfacente, date le premesse. Il rumore di fondo
si è ridotto a un leggero rumore bianco che può facilmente essere scambiato per il
rumore di fondo di livello analogo a quello degli altoparlanti utilizzati.
22 L’opera, scritta nel 1867, anno dell’uccisione di Massimiliano d’Asburgo, è inserita nel Terzo Anno delle suite Anni del Pellegrinaggio, che Listz scrisse durante i suoi tre anni di viaggio tra la Svizzera e l’Italia e che pubblicò poi nel 1883. 23 Documentandomi, infatti, su quelle che erano le armi utilizzate nel 1867 dall’esercito messicano nella sua battaglia per l’indipendenza dalla Francia sono giunta alla conclusione che il fucile che uccise Massimiliano d’Asburgo dovesse essere un Remington.
70
Fig. 11 Scatoletta con sensore e circuito interno.
Come detto le postazioni erano tre, identiche in tutto e per tutto dal punto di
vista tecnico, tranne che quella della prima sala. Essa infatti era composta di due
sensori, di cui uno applicato sullo stipite della porta che conduce fuori dalla sala e
introduce a quella con Flora (Fig.12). Questo sensore doveva inizialmente attivare un
secondo file audio di introduzione alla seconda stanza (vedremo che a lavoro ultimato
svolgerà un compito ben diverso).
L’installazione in museo è stata fatta dallo scrivente con il supporto della
dott.ssa Iervolino, con l’accortezza che il tutto risultasse quanto meno invasivo
possibile, nascondendo i cavi con canaline bianche e nastro adesivo anch’esso bianco;; le
scatolette sono state attaccate alle pareti a pochi centimetri da terra, con del nastro di
silicone, in modo da non dover forare il muro.
Nel complesso, ne è risultato un lavoro ben fatto e non particolarmente
appariscente, anche a detta del Direttore dei Musei Civici e Biblioteche di Padova, e
della responsabile dell’Ufficio Gestione sempre dei Musei Civici, durante il sopralluogo
finale per l’approvazione definitiva all’installazione e per testare anche la funzionalità
delle attrezzature.
72
4.4. L’esordio: la Notte Europea dei Musei
L’opportunità di provare la reale funzionalità dell’installazione si è presentata in
occasione della Notte Europea dei Musei del 18 maggio 2013. Il Museo Bottacin, per
varie ragioni, solitamente non attira molti visitatori, ma questi frangenti, offrono ai
cittadini lo stimolo per dedicarsi alla cultura, con il risultato di una maggior
partecipazione anche nei musei meno rinomati. Per la nostra installazione era
sicuramente un banco di prova molto importante, anche se non completamente
rispondente alla reale situazione del nostro museo. Per quell’occasione Iervolino aveva
elaborato un questionario di gradimento che ha poi posizionato all’ingresso, in modo
che i visitatori potessero esprimere la loro opinione in merito all’idea di Digital
Storytelling applicato alla didattica museale e alle soluzioni tecniche adottate.
Inutile dire che l’affluenza, quella sera, è stata al di là di ogni aspettativa:
c’erano talmente tante persone che in alcuni momenti si riusciva a stento a sentire le
voci narranti. Nonostante questo, pur non essendo quella la condizione ideale, il
riscontro è stato molto positivo e le persone si sono dimostrate entusiaste e
piacevolmente sorprese dal trovarsi protagoniste di questa nuova esperienza di visita. Si
è ovviamente approfittato della serata per cogliere commenti ed impressioni e per
rendersi conto di eventuali difetti da aggiustare.
Fig. 13 Panoramica della Sala di Presentazione.
74
Fig. 16 Panoramica della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo.
Fig. 17 Particolare della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo.
75
4.4.1. I difetti del sistema e le conseguenti modifiche Durante la lunga serata è stato rilevato che:
a. il volume molto alto di un monitor video che riproduceva un documentario
copriva quasi completamente l’audio dagli altoparlanti;
b. i primi due racconti tendevano a disturbarsi a vicenda, a causa delle sale
comunicanti.
c. la breve introduzione di Bottacin alla collezione d’arte (ovvero il secondo
file della prima postazione a cui accennavo poc’anzi), che veniva
originariamente attivata dal sensore posto alla base dello stipite della porta
(lo si può vedere nella Fig. 18 e, in primo piano, nella Fig. 19), veniva persa
nella quasi sua totalità, proprio in conseguenza del fatto che appare alquanto
improbabile che una persona si soffermi sotto una porta di passaggio da un
ambiente ad un altro; si è, dunque, ovviato successivamente a
quest’inconveniente, trasferendo il file introduttivo nella scheda SD di Flora
e facendolo uscire dagli stessi altoparlanti da cui prenderà la voce
immediatamente dopo anche la statua della fanciulla.
d. con questa modifica si è risolto un quarto problema. Il museo non ha un
percorso univoco dall’entrata all’uscita, ma anzi, è circolare e quindi per
uscire al termine della visita o per dirigersi dalla parte opposta, dove si trova
la collezione numismatica, bisogna fare il percorso inverso. Questo
comportava quindi che il visitatore, uscendo, facesse ripartire il file audio del
primo sensore. È stato allora utilizzato il sensore sullo stipite della porta per
attivare un file audio vuoto impedendo cosi l’avvio involontario del file di
benvenuto.
76
Fig. 18 I due sensori posizionati nella prima sala.
Fig. 19 Sensore posizionato sullo stipite della porta d’accesso alla Collezione d’arte.
77
Il problema principale dell’installazione, dunque, era dato dal fatto che gli altoparlant i
erano troppo poco direzionali e posizionati, per adeguarsi alla struttura delle sale, nei
posti sbagliati. Questo dava origine a una sovrapposizione dei commenti audio nel caso
in cui ci fossero stati due visitatori in due stanze attigue.
79
Capitolo 5. Considerazioni finali e possibili prospettive
Per la valutazione statistica degli esiti del progetto, Iervolino aveva predisposto un
questionario, dal quale è emerso un generale apprezzamento per la tipologia di “visita
guidata” proposta, ritenuta dai visitatori molto più piacevole e coinvolgente rispetto alla
tradizionale audioguida.24
È risultato, infatti, che la maggior parte dei fruitori non solo ha provato la
sensazione calda e accogliente di entrare nella dimora di Bottacin, favorita soprattutto
dal tono colloquiale dei personaggi e dal loro modo di rivolgersi a lui, ma si è
immedesimata a tal punto da sentirsi essi stessi parte integrante di quel mondo, della sua
storia, dei suoi oggetti.
Alla luce dei risultati ottenuti dal progetto si può essere ottimisti sulla possibile
applicabilità, nei musei, di questa particolare modalità di Digital Storytelling e sulla
predisposizione dei visitatori ad accettare modalità di fruizione museale innovative. In
particolare, di grande impatto è risultata l’idea di dare voce alle opere d’arte esposte e ai
protagonisti della storia della collezione che, grazie a narrazioni dal carattere colloquiale
e spontaneo coinvolgono il visitatore e lo rendono partecipe delle vicende raccontate.
Tale tipologia di “visita guidata”, rimodulabile e declinabile sulle necessità individuate
dalle diverse istituzioni museali, viene a delinearsi innanzitutto come una strategia
didattica alternativa rispetto a quelle tradizionali, altrettanto valida e, in parecchi casi,
superiore, come abbiamo tentato di dimostrare nel corso di questo scritto; in secondo
luogo, essa, a differenza della guida effettuata dagli operatori (che deve essere
programmata con anticipo, che viene effettuata solo in determinati giorni e in
determinati orari, che, spesso, abbisogna di un numero minimo di partecipanti e che ha
un costo aggiuntivo rispetto al biglietto ordinario) e dell’audioguida, fornisce invece un
servizio stabile e continuativo; infine, se pubblicizzata adeguatamente, rappresenta un
motivo di richiamo forte per un pubblico sempre alla ricerca di nuovi stimoli e che nei
musei, soprattutto nei piccoli musei, vede il regno della noia e del silenzio.
Con un budget appropriato, i problemi tecnologici evidenziati sarebbero
superabili, grazie alle sofisticate apparecchiature che sono attualmente in fase di
24 Il dato mi è stato fornito da Iervolino ed è solo una minima parte dell’analisi puntuale dei risultati ottenuti dai questionari.
80
sperimentazione: mi riferisco, in particolare, alle docce sonore che basate sulla
tecnologia del pannello elettrostatico ad onda piana creano un campo audio altamente
focalizzato all'interno del quale si possono diffondere programmi sonori e annunci senza
disturbare le persona all’esterno della stessa o, meglio ancora, alla Wave Field Synthesys
che virtualizza la fonte sonora all’interno dello spazio, il che permetterebbe di
posizionare la fonte audio esattamente sull’opera interessata.
In conclusione, con gli accorgimenti e i mezzi appropriati, questa modalità di
Digital Storytelling può portare a risultati soddisfacenti dal punto di vista sia didattico
sia del rinnovamento della fruizione museale, con la conseguente rivalutazione del
pubblico nei confronti dei musei stessi.
81
INDICE DELLE FIGURE
Fig. 1 Modello di comunicazione di Cameron (1968). ........................................................................... 17 Fig. 2 Modello di comunicazione di Knez e Wright (1970). ................................................................... 18
Fig. 3 La codifica multimediale di Paivio (Fonte: Paivio, 1991). ............................................................ 43 Fig. 4 Il modello cognitivo dell’apprendimento multimediale di Mayer (Fonte: Mayer, 2001). ............ 45 Fig. 5 Homepage del sito [[[murmur]]]. ................................................................................................ 48
Fig. 6 Esempio tratto da [[[murmur]]] Toronto – The Grange. .............................................................. 49 Fig. 7 Ricordo all’interno del progetto “Percorsi Emotivi”. ................................................................... 50 Fig. 8 Il blog “Inside/Out” – Museum of Modern Art, New York. ......................................................... 54 Fig. 9 Homepage del progetto “The Art of Storytelling” promosso dal Delaware Art Museum. ........... 55
Fig. 10 ”Il Regno Sotterraneo delle Piante” - Stazione 2 "Le radici". ..................................................... 58 Fig. 11 Scatoletta con sensore e circuito interno. ................................................................................. 70 Fig. 12 Progetto di posizionamento dei learning objects nelle sale del Museo Bottacin. ...................... 71
Fig. 13 Panoramica della Sala di Presentazione. ................................................................................... 72 Fig. 14 Sala di Presentazione. Installazione. ......................................................................................... 73 Fig. 15 Particolare della collezione d’arte. ............................................................................................ 73 Fig. 16 Panoramica della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo. ...................................................... 74
Fig. 17 Particolare della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo......................................................... 74 Fig. 18 I due sensori posizionati nella prima sala. ................................................................................ 76 Fig. 19 Sensore posizionato sullo stipite della porta d’accesso alla Collezione d’arte. .......................... 76
83
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Bibliografia
ABRAHAMSON C. (1998), Storytelling as a Pedagogical Tool in Higher Education, in “Education”, 118 (3), pp. 440-452.
ASSMANN J. (1997), La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Torino, Einaudi.
ATKINSON R. (2002), L’intervista narrativa, Milano, Raffaello Cortina (edizione
originale: The Life Story Interview, Thousands Oaks, CA, Sage, 1998). AUGÉ M. (1997), Storie del presente, Milano, Il Saggiatore (edizione originale: Pour
une anthropologie des mondes contemporains, Paris, Aubier, 1994). BENJAMIN W. (1962), Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, in ID.
(1962), Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, pp. 235-260 (edizione originale: Schriften, Suhrkamp Verlag, 1955).
BERTUGLIA C.S., INFUSINO S., STANGHELLINI A. (2004), Il museo educativo, Milano,
FrancoAngeli. BINNI L., PINNA G. (1980), Museo. Storia e funzioni di un macchina culturale dal ‘500 a
oggi, Milano, Garzanti. BONACINI E. (2013), Geo-social Tagging as a Creative Way to Communicate Stories on
Geographies, in “Creative Communication and Innovative Technology”, 6, n. 3, Mei 2013 (URL: http://raharja.ac.id/raharja_file/file_jurnal/file/6030113.pdf; ultima consultazione: 16/05/2015).
CAMIN G. (2008), Che cosa si intende per diletto?, in “Nuova Museologia”, n. 18,
giugno 2008, pp. 28-29. CANFORA L. (1988), Le biblioteche ellenistiche, in CAVALLO G. (ED.), Le biblioteche
nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza. CARETTONI G. (1980), Raccolte nell’antichità: templi, edifici pubblici e collezionismo
privato, in AA. VV., Museo perché, Museo come. Saggi sul museo, Roma, De Luca Editore, pp. 3-6.
CATALDO L. (2011), Dal Museum Theatre al Digital Storytelling. Nuove forme della
comunicazione museale fra teatro, multimedialità e narrazione, Milano, Franco Angeli.
84
CAVALLO G. (1988), Cultura scritta e conservazione del sapere: dalla Grecia arcaica all'Occidente medioevale, in ROSSI P. (ED.), La forma del sapere, Roma-Bari, Laterza.
CHANDLER P., SWELLER J. (1991), Cognitive Load Theory and the Format of
Instruction, in “Cognition and Instruction”, n. 8(4), pp. 293-332 (URL:http://visuallearningresearch.wiki.educ.msu.edu/file/view/Chandler+%26+Sweller+(1991).pdf;
ultima consultazione: 24/03/2015). CORNOLDI C. (1978), Modelli della memoria: struttura e leggi della memoria umana,
Firenze, Giunti-Barbera. CORNOLDI C., DE BENI R. (1991), Memory for discourse: loci mnemonic and oral
presentation effects, in “Applied Cognitive Psychology”, n. 5(6), pp. 511-518. DE BENEDICTIS C. (1991), Per la storia del collezionismo italiano. Fonti e documenti,
Firenze, Ponte delle Grazie. DI MARINO B. (ED.) (2007), Studio Azzurro. Tracce, sguardi e altri pensieri, Milano,
Feltrinelli. DI MAURO A. (2000), L’Education nei musei: esempi europei e applicazioni locali, in
CISOTTO NALON M. (ED.) (2000), Il Museo come laboratorio per la scuola. Per una didattica dell’arte, Terza Giornata Regionale di Studio sulla Didattica Museale, Padova, Accademia Galileiana, 12 novembre 1999, Padova, Il Poligrafo, pp. 57-72.
DETIENNE M. (1977), I maestri di verità nella Grecia arcaica, Roma-Bari, Laterza
(edizione originale: Les maîtres de vérité dans le grèce archaique, Paris, 1967). EMILIANI A. (1980), Raccolte e musei dall’umanesimo all’unità nazionale, in AA. VV.
(1980), Capire l’Italia. I musei, Milano, Touring Club Italiano, pp. 121-153. ENGELBART D.C. (1962), Augmenting Human Intellect: A Conceptual Framework, in
“Summary Report to Air Force Office of Scientific Research”, Menlo Park, Stanford Research Institute.
FABIETTI U., MATERA V. (1999), Memorie e identità, Roma, Meltemi. FALK J.H., DIERKING L.D. (2000), Learning from Museums. Visitor Experiences and the
Making of Meaning, Walnut Creek (CA), Alta Mira Press. FINDLEN P. (2001), Il museo: la sua etimologia e genealogia rinascimentale, in “Rivista
di Estetica”, 16, (1/2001), anno XLI, pp. 4-30. FONTANA A. (2009), Manuale di storytelling. Raccontare con efficacia prodotti, marchi
e identità d’impresa, Milano, Etas.
85
FORLATI TAMARO B. (ED.) (1967), Indagine sui musei, le gallerie, le collezioni private, i campi di scavo e i complessi monumentali, in Per la salvezza dei beni culturali in Italia, Atti e documenti della commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, vol. I, Roma, Casa Editrice Colombo, 1967, pp. 505-566.
GABRIELLI C. (ED.) (2001), Apprendere con il museo, Milano FrancoAngeli. GALLO S. (1955), Psicologia della radio e tv, Firenze, Vellecchi Editore. GALLUZZO P. (1997), Nuove tecnologie e funzioni culturali dei musei. Opportunità e
scenari per il nuovo Millennio, in GALLUZZO P., VALENTINO P.A. (EDS.) (1997), I formati della memoria. Beni culturali e nuove tecnologie alle soglie del terzo millennio, Firenze, Giunti, pp. 3-39.
HARP S.F., MAYER R.E. (1998), How seductive details do their damage: A theory of
cognitive interest in science learning, in “Journal of Educational Psychology”, n. 90, pp. 414-434.
HEIN G. (1998), Learning in the Museum, London and New York, Routledge. HINTON S., WHITELAW M. (2010), Exploring the digital commons: an approach to the
visualisation of large heritage datasets, in “EVA”, London, 2010, pp. 51-58 (URL: http://www.bcs.org/upload/pdf/ewic_ev10_s3paper2.pdf; ultima consultazione: 07/05/2015).
HOOPER-GREENHILL E. (1999), Museum learners as active postmodernists:
contextualizing constructivism, in ID. (ED.), The Educational Role of the Museums, London and New York, Routledge, pp. 67-72.
HOOPER-GREENHILL E. (2003), Nuovi valori, nuove voci, nuove narrative: l'evoluzione
dei modelli comunicativi nei musei d'arte, in BODO S. (ED.), Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee. Nuova edizione, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, pp. 1-39.
HOWARD P. (2005), A chi si rivolge l’interpretazione, in Raccontare i musei. Pedagogie
innovative per rafforzare le competenze degli operatori, Conferenza Internazionale, Torino, Fondazione Fitzcarraldo, 4-5 febbraio 2005.
LAMBERT J. (2002), Digital Storytelling: Capturing Lives, Creating Community,
Berkeley (CA), Digital Diner Press. MAMMARELLA N., CORNOLDI C., PAZZAGLIA F. (2005), Psicologia dell'apprendimento
multimediale. E-learning e nuove tecnologie, Bologna, Il Mulino. MARGOLIS M. (2011), Arduino Cookbook, O’Reilly Media, Sebastopol (CA). MARINI CLARELLI M. V. (2005), Che cos’è un museo, Roma, Carocci Editore.
86
MAYER R.E., ANDERSON R.B. (1992), The Instructive Animation: Helping Students Build Connections between Words and Pictures in Multimedia Learning, in “Journal of Educational Psychology”, n. 84, pp. 444-452.
MAYER R.E., MORENO R. (1998), A Split-Attention Effect in Multimedia Learning:
Evidence for Dual Processing Systems in Working Memory, in “Journal of Educational Psychology”, n. 90, pp. 312-320.
MAYER R.E. (2001), Multimedia Learning, New York, Cambridge University Press. MAYER R.E., HEISER J., LONN S. (2001), Cognitive constraints on multimedia learning:
When presenting more materials results less understanding, in “Journal of Educational Psychology”, n. 93, pp. 390-397.
MAYER R.E. (ED.) (2005), Cambridge Handbook of Multimedia Learning, New York,
Cambridge University Press. MOTTOLA MOLFINO A. (1991), Il libro dei musei, Torino, Umberto Allemandi & C. PAIVIO A. (1991), Images in Mind: The Evolution of a Theory, New York et al., Harvester Wheatsheaf. PETRUCCO C., DE ROSSI M. (2009), Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Roma, Carocci. PIETRANGELI C. (1980), Il collezionismo privato e i primi grandi musei, in AA. VV.,
Museo perché, Museo come. Saggi sul museo, Roma, De Luca Editore, pp. 11-20. PINNA G. (2003), Il museo è luogo di mistificazione?, in “Nuova Museologia”, n. 9, pp.
25-26. PRETE C. (1998), Aperto al pubblico, Firenze, EDIFIR. PUJOL L. (2004), Archaeology, museums and virtual reality, in “Digit·HVM. Revista
Digital d’Humanitats”, n. 6, May 2004, pp. 1-9 (URL: http://www.uoc.edu/humfil/articles/eng/pujol0304/pujol0304.pdf; ultima consultazione 30/04/2015).
QUINTIERI C. (2010), Studio Azzurro, spazi narranti. Le videoambientazioni interattive
del quartetto (URL: http://www.insideart.eu/2010/02/17/studio-azzurro-spazi-narranti/; ultima consultazione: 23/06/2015).
ROLLO A. (s.d.), Ambienti sensibili (URL: http://www.0280.org/aba/docs/AmbientiSensibili_Cap1.pdf; ultima consultazione:
23/06/2015). ROSSINI O. (ED.) (1999), Museologia e didattica museale, Roma, Gangemi Editore.
87
RUGGIERI TRICOLI M.C., VACIRCA M.D. (1998), L'idea di museo. Archetipi della comunicazione museale nel mondo antico, Milano, LYBRA immagine.
SARTRE J.P. (1977), La nausea, Milano, Arnoldo Mondadori Editore (titolo originale:
La Nausée). SCHAER R. (1996), Il museo: tempio della memoria, Torino, Electa/Gallimard. SCHNOTZ W. (2001), Sign system, technologies, and the acquisition of knowledge, in
ROUET J.F., LEVONEN J.J., BIARDEAU A. (EDS.), Multimedia Learning. Cognitive and Instructional Issues, Amsterdam, Pergamon.
SCHUBERT K. (2004), Museo: storia di un’idea. Dalla Rivoluzione francese a oggi,
Milano, Il Saggiatore. SIMPSON T.K. (1998), Abode of Modern Muse: The Science Museum, in Great Ideas
Today (URL: http://thomasksimpson.com/abode.pdf ; ultima consultazione: 24/04/2015). SOLIDORO A. (2009), Corporate Digital Storytelling, in FONTANA A. (2009), Manuale di
storytelling. Raccontare con efficacia prodotti, marchi e identità d’impresa, Milano, Etas, pp. 179-195.
SOLIMA L. (2000), Il pubblico dei musei. Indagine sulla comunicazione nei musei statali
italiani, Roma, Gangemi Editore. SOLIMA L. (2009), Nuove tecnologie per nuovi musei. Dai social network alle soluzioni
RFID, in “Tafter Journal. Esperienze e strumenti per la cultura del territorio”, n. 10
(URL:http://www.tafterjournal.it/2008/12/22/nuove-tecnologie-per-nuovi-musei-dai-social-network-alle-soluzioni-rfid/; ultima consultazione: 28/03/2015).
STURM B.W. (2000), The “Storylistening” Trance Experience, in “Journal of American
Folklore”, vol. 113, n. 449, pp. 287-304 (URL:http://www.jstor.org/discover/10.2307/542104uid=2129&uid=2&uid=70&uid=4&sid=21103203579581; ultima consultazione: 27/06/2015).
TOMEA GAVAZZOLI M.L. (2003), Manuale di museologia, Milano, Etas. WALKER, K. (2006) Story structures: Building narrative trails in museums, in DETTORI
G., GIANNETTI T., PAIVA A., VAZ A., (EDS.), Technology-mediated narrative environments for learning, Rotterdam, Sense (URL: http://www.lkl.ac.uk/people/kevin/review-book_walker.pdf; ultima consultazione 03/06/2015).
YATES F.A. (1972), L'arte della memoria, Torino, Einaudi.
88
Sitografia
Art of Storytelling – Delaware Art Museum (Wilmington, USA): http://www.artofstorytelling.org/.
Every Objects Tells a Story – Victoria & Albert Museum, Channel 4, Ultralab (London,
UK): http://www.everyobjecttellsastory.org.uk/. Inside/Out – Museum of Modern Art (New York, USA):
http://www.moma.org/explore/inside_out. I Giardini di Castel Trauttmansdorff (Merano – BZ, Italia):
http://www.trauttmansdorff.it/it/.
La Fortezza delle Emozioni – Forte Belvedere (Lavarone - TN, Italia): http://www.fortebelvedere.org/it/la-fortezza-delle-emozioni.
Le Nuvole Teatro Stabile d’Innovazione Ragazzi: http://www.lenuvole.com/home. Lem Project:
http://www.lemproject.eu/in-focus/events/training-course-digital-storytelling-in-museums. Murmur Project: http://murmurtoronto.ca. Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della
Libertà della città di Torino (Torino, Italia): http://www.museodiffusotorino.it. Museum of London (London, UK):
http://www.museumoflondon.org.uk/Resources/app/you-are-here-app/home.html.
Natural User Interfaces: http://nfc-forum.org/; http://www.rfid-nfc.it/. Orpheus - Museu de la Musica (Barcellona, Spagna):
http://w110.bcn.cat/portal/site/MuseuDeLaMusica/menuitem.a0c89927b13869d6916c174720348a0c/?vgnextoid=0000000294803753VgnV6CONT00000000000RCRD&vgnextchannel=0000000285754132VgnV6CONT00000000000RCRD&vgnextfmt=formatDetall&lang=ca_ES.
Percorsi Emotivi: http://percorsi-emotivi.com. Stories from the Conservator – Statens Museum fur Kunst (Copenhagen, Danimarca):
http://www.smk.dk/en/explore-the-art/visit-the-conservator/stories-from-the-conservators/.
89
StoriesOnGeographies. An European participatory geoblog of memory: http://storiesongeographies.eu/.
Tapisserie de Bayeux (Bayeux, Francia):
http://www.tapisserie-bayeux.fr/index.php?id=3.
Teatro al Museo – Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci (Milano, Italia): http://www.museoscienza.org/attivita/teatro/default.asp.
The Acropolis Museum (Atene, Grecia):
http://www.theacropolismuseum.gr/en/content/digital-storytelling The Sixth Floor Museum at Dealey Plaza (Dallas, USA): http://www.jfk.org/.
Data dell’ultimo accesso 01/07/2015.