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Diritto Commerciale

Date post: 18-Jul-2016
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Tutto ciò che riguarda l'Impresa.SPA.Titoli di credito.
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DIRITTO COMMERCIALE In cosa consiste lo studio del diritto commerciale? Consiste nello studio della figura dell’imprenditore sia individuale che colletivo. E’ lo studio dei contratti posti in essere dall’imprenditore: ex. contratti bancari, compravendita, contratti d’appalto che è un contratto d’impresa per definizione; si studiano i titoli di credito. E’ lo studio della morte dell’imprenditore (in senso figurato) e dunque del suo fallimento, la c.d. “crisi dell’impresa”. E’ fondamentale iniziare la nostra argomentazione ponendo il problema della c.d. autonomia del diritto commerciale rispetto al diritto privato. Prima dell’entrata in vigore del codice civile del 1942 il diritto commerciale era disciplinato dalle norme contenute in un codice autonomo, il c.d. Codice di Commercio del 1882. Con l’introduzione del codice di commercio il legislatore operò una inversione del sistema delle fonti, facendo prevalere gli usi di commercio sulla legge scritta. Tale codice fondava il proprio presupposto sulla fattispece di negozi giuridici denominati atti commerciali attraverso i quali qualificare un soggetto come commerciante. Come dicevamo nel 1942 entra in vigore il Codice Civile che opera una vera e propria unificazione dei due codici fino ad allora coesistenti (codice civile 1865 e codice di commercio 1882). Con questa unificazione essenzialmente il legislatore mira ad una c.d. commercializzazione del diritto privato , applicando al diritto civile una serie di disposizioni e di principi che invece si rinvenivano nel codice di commercio (ex: vizi del contratto: errore riconoscibile da parte dell’altro contraente; art. 1341 esiste perché era una norma esclusivamente riferita al codice di commercio; interessi corrispettivi art. 1224) Ma cosa cambia veramente:
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DIRITTO COMMERCIALE

In cosa consiste lo studio del diritto commerciale?Consiste nello studio della figura dell’imprenditore sia individuale che colletivo. E’ lo studio dei contratti posti in essere dall’imprenditore: ex. contratti bancari, compravendita, contratti d’appalto che è un contratto d’impresa per definizione; si studiano i titoli di credito.E’ lo studio della morte dell’imprenditore (in senso figurato) e dunque del suo fallimento, la c.d. “crisi dell’impresa”.

E’ fondamentale iniziare la nostra argomentazione ponendo il problema della c.d. autonomia del diritto commerciale rispetto al diritto privato.Prima dell’entrata in vigore del codice civile del 1942 il diritto commerciale era disciplinato dalle norme contenute in un codice autonomo, il c.d. Codice di Commercio del 1882. Con l’introduzione del codice di commercio il legislatore operò una inversione del sistema delle fonti, facendo prevalere gli usi di commercio sulla legge scritta. Tale codice fondava il proprio presupposto sulla fattispece di negozi giuridici denominati atti commerciali attraverso i quali qualificare un soggetto come commerciante. Come dicevamo nel 1942 entra in vigore il Codice Civile che opera una vera e propria unificazione dei due codici fino ad allora coesistenti (codice civile 1865 e codice di commercio 1882). Con questa unificazione essenzialmente il legislatore mira ad una c.d. commercializzazione del diritto privato, applicando al diritto civile una serie di disposizioni e di principi che invece si rinvenivano nel codice di commercio (ex: vizi del contratto: errore riconoscibile da parte dell’altro contraente; art. 1341 esiste perché era una norma esclusivamente riferita al codice di commercio; interessi corrispettivi art. 1224)

Ma cosa cambia veramente:

o Codice di Commercio Commerciante (atti di commercio ripetuti) evidente spazio autonomo rispetto al diritto civile si applicava tutta una serie di norme e si richiamavano norme particolari perché c’erano dei contratti che intanto erano disciplinati dal codice di commercio perché uno dei contraenti era un commerciante (la commissione, l’assicurazione…)

o Codice Civile (1942) Imprenditore (Attività)

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Chi è l’ Imprenditore?

Art.2082: colui che esercita professionalmente un’attivita economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Esegesi della norma art. 2082

o Attività una serie di negozi giuridici finalizzati al perseguimento di uno scopo per l’impresa. Deve cioè produrre ricchezza (fenomeno dinamico) orientata sul mercato. Contraddistingue il valore economico aggiuntivo dell’esercizio d’impresa. Ecco perché la definizione d’Imprenditore esula il profilo del godimento in quanto quest’ultimo è attribuito e rimesso al III libro del codice civile ecioè all’esercizio della proprietà e non all’esercizio dell’impresa.

o Organizzata implica la concorrenza di lavoro, di patrimoni, dicapitali umano ed economico, di mezzi; implica cioè una serie di fattori che vengono organizzati dall’imprenditore.Questo elemento è tanto importante che lo ritroviamo in un’altra norma cardine ossia l’art. 2555 [coordinazione tra elemento soggettivo (impresa) ed elemento oggettivo (azienda)], ma anche in un tipico contratto d’impresa: il contratto d’appalto.E’ un elemento che caratterizza l’attività d’impresa e qndi la fattispecie d’imprenditore.

o Professionalmente svolgere un’attività economica con delle caratteristiche operative che sono connesse al momento organizzativo.

Il RischioConnaturato alla figura dell’attività organizzata professionalmente è l’elemento del rischio imprenditoriale. Caratterizza lo stesso Imprenditore il quale se incorre in una situazione di insolvenza rischia, appunto, il fallimento.

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Scopo di lucro

La definizione dell’Imprenditore data dall’art. 2082 ci porta ad analizzare un altro fenomeno; “il fenomeno dell’ utile”.

Verificare se questo requisito del lucro soggettivo va a caratterizzare la figura dell’Imprenditore.

Varie tesi:

1. E’ necessario conseguire un utile proprio nell’esercizio dell’attività d’impresa.

Ma ciò può bastare per esaurire il nostro problema?

2. Si è arrivati allora a prendere in considerazione il principio dell’economicità

Compensazione dei costi e dei fattori di produzione con il raggiungimento dell’utile.

La soluzione arriva dalla legge sul pareggio di bilancio del 1956 che definiva imprese quelle che avessero ripianato i costi dell’attività attraverso gli utili conseguiti. (il tribunale di Roma ha dichiarato il fallimento di un ente ecclesiastico l’addove quest’ultimo esercitava un’attività organizzata rivolta al mercato con il conseguimento di un utile e di conseguenza il ripiano dei costi effettuati)

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Cosa contraddistingue l’Imprenditore dal prestatore d’opra?

o L’organizzazione dell’attività

Chi svolge un’attività con la propria persona non da luogo ad alcuna un’attività imprenditoriale.

L’elemento di discernimento è dato dal fatto che il prestatore d’opera svolge un’attività attraverso il lavoro proprio senza l’elemento dell’organizzazione definito dall’articolo 2082.

Il professionista intelletuale è possibile qualificarlo come imprenditore?

Art. 2238 : La disposizione si riferisce a quel prestatore che svolge la sua opera in forma di organizzazione di impresa (es.: medico titolare di casa di cura). In tal caso, prevalendo il carattere dell'organizzazione del lavoro altrui e del capitale sulla prestazione di lavoro intellettuale, egli acquista la qualità di imprenditore [v. 2082], con conseguente applicabilità della relativa disciplina.

o Non sono imprenditori coloro i quali sono iscritti all’albo in virtù di un principio ideologico/liberale (architetti, avvocati…).

Il farmacista costituisce un’eccezione perché se pur iscritto all’albo la sua attività si concretizza nello scambio di beni. Il c.d. farmacista galenico costituisce un’eccezione dell’eccezione perché

effettua un’attività intellettuale (autoproduzione).

o Non sono imprenditori coloro i quali non pongono in essere un’attività commerciale così grande da rischiare il fallimento.

o I professionisti intellettuali che svolgono la propria attività senza l’scrizione all’albo ma essendo sottoposti al rischio del fallimento possono qualificarsi come imprenditori

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Come si svolge l’attività d’impresa

Innanzitutto vi è l’obbligo dell’iscrizione nel registro dell’impresa che grava sull’imprenditore (commerciale). Questo però non è un elemento qualificante!

Principio dell’effettività

Esercizio effettivo dell’attività d’impresa

Libertà d’impresa (l’impresa non può essere imposta)

Autonomia negoziale(non è assolutamente svincolata da limiti e criteri valutativi art.41 C.)

(legge 280/2011 Statuto dell’impresa, completa in sostanza l’art. 41 C.)

quando un’attività puo essere qualificata come attività d’impresa?

Quando l’imprenditore pone in essere una serie di atti di organizzazione finalizzati allo sviluppo e all’esercizio della stessa attività d’impresa.

Il Principio dell’effettività non si manifesta solo nel momento in cui l’ impresa prende vita ma anche al momento della sua cessazione.

o Ma quando un’impresa può dirsi fallita? Anche qui si riprende il principio su dell’effettività: cioè il principio in base al

quale anche la cessazione dell’impresa costituisce una valutazione in fatto per cui diventano elementi fondamentali gli atti disgregativi dell’azienda (porre in essere comportamenti ed atti indonei a manifestare la cessazione dell’azienda che incidono sull’organizzazione della stessa). ex: recedere dal contratto di locazione; quando licenzio il personale ecc.

Art.10 della Legge Fallimentare(materia concorsuale)

o Tale legge sembrerebbe remare contro il principio dell’effettività… (1° comma) Perché l’art 10 prevedendo la cancellazione dell’azienda dal registro delle

imprese nell’ambito della cessazione della stessa, sembra che il principio dell’effettività vada sostituito dal principio della pubblicità; la cancellazione dal registro delle imprese sembrerebbe essere l’elemento determinante per la decorrenza dell’anno ai fini della diciarazione di fallimento.

Ma il 2° comma riprende il princio dell’effettività.

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L’attività d’impresa puo essere soggetta al fenomeno della successione?

L’attività in se deve essere esercitata personalmente altrimenti non può subire il fenomeno della successione come può accadere invece per i beni che appartengono all’azienda. Lattività non può essere trasferita. ex: se un imprenditore ha tre figli, questi non possono esercitare l’attività d’impresa per il solo fatto che l’imprenditore (padre) muore, ma devono porre in essere un’attività di organizzazione secondo il principio di effettività per potersi qualificare come imprenditori.

L’Impresa Illecita

La nozione di impresa illecita e di società illecita è una creazione dottrinale commercialistica ormai risalente, che non trova alcun riferimento testuale nelle norme, essendo sorta prima ancora dell’adozione del codice civile del 1942. La dottrina ha elaborato le proprie teorie sulla base della norma relativa all’imprenditore, per ricavarne una possibile e arbitraria definizione giuridica, ma non vi è accordo né sulla effettiva esistenza né sugli elementi essenziali che costituiscono l’impresa illecita, e questi contrasti si sono riflessi anche sulla giurisprudenza.Il primo punto da prendere in considerazione è se, per la qualifica giuridica di imprenditore, e, di riflesso, per quella dell’impresa, sia necessaria un’attività lecita. E’ chiaro che, se si ritenesse quale elemento essenziale lo svolgimento di un’attività lecita, non sarebbe possibile arrivare a teorizzare l’esistenza della c.d. impresa illecita.Prima dell’entrata in vigore del codice civile, quando si parlava ancora di commercio e non di impresa, alcuni autori negavano l’ammissibilità di una siffatta teorizzazione: per Ghidini, una società che esercita il contrabbando è nulla o inesistente, per mancanza dell’oggetto, che, anche per Vivante deve essere necessariamente lecito.Altri autori invece ammettevano la configurabilità di un commercio a scopo illecito.Tuttavia, nonostante la riforma legislativa, la divisione in dottrina e giurisprudenza è rimasta: all’inizio prevaleva l’orientamento che negava la configurabilità di un’impresa illecita, per il fatto che un illecito non potrebbe mai essere oggetto di protezione giuridica, mentre in un secondo momento ha iniziato a farsi strada l’opinione contraria, fino a consolidarsi nella dottrina e nella giurisprudenza odierne, per cui è pacifica l’esistenza, nel nostro ordinamento, dell’impresa illecita (non senza autorevoli opinioni contrarie).L’impresa illecita è quell’impresa organizzata per produrre o scambiare benio servizicontrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, oppure quella che, pur avendo oggetto lecito, ha tuttavia un fine illecito (per esempio è stata costituita per il solo scopo di riciclare denaro) o utilizza mezzi illecitiper il raggiungimento dello scopo.

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Bisogna distinguere l’ipotesi in cui:

o L’obbligo per alcune attività d’impresa di un determinato atto di autorizzazione di un soggetto pubblico (ex: attività bancaria; la banca di fatto è sanzionabile penalmente perché appunto non ha una specifica autorizzazione)

Illecita è l’attività come tale la sanzione può consistere nella disapplicazione della disciplina dell’impresa di chi è autore e partecipe dell’illecito. Non vengono applicate norme di favore ma solo quelle a danno dell’imprenditore, si applicano cioè tutte quelle misure a tutela dell’economia, dell’interesse pubblico. ex: se si esercita un’attività bancaria di fatto, l’imprenditore non può cedere l’azienda perché finirebbe per cedere un complesso di beni finalizzati per un’attività illecita. (Impresa illegale)

o illecite sono le modalità di svolgimento valutare di volta in volta,attesa la leceità dell’attività, se l’atto singolo debba o no essere colpito dalla sanzione di nullità.

1. NOTA: la finalità illecita dell’impresa qualora sia complessiva, che pone in essere l’imprenditore, non puo incidere sulla validità dei singoli contratti; a meno che il singolo contratto non abbia determinato un fine illecito.

Tutto cio per tutelare l’economia, la certezza dei traffici. Il principio dell’economia non può sopportare che un soggetto per sottrarsi alle proprie obbligazioni dimostri e renda evidente di aver posto in essere un’attività illecita.

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Le distinzioni normative nell’ambito della categoria imprenditori.

Presupposto: Tutte le norme richiamate costituiscono lo Statuto dell’imprenditore. Una norma generale che costituisce lo Statuto dell’Imprenditore è la legge n° 180 del 2011, non a caso definita Statuto dell’impresa (il legislatore è poco chiaro).Anche il codice civile però contiene una serie di norme che appundo definiscono quello che in termini tecnici viene definito Statuto dell’Imprenditore.

o Che cos’è lo Statuto dell’Imprenditore? E’ tutta quella serie di norme che si applicano a tutti gli imprenditori. (ex: la

responsabilità dell’imprenditore art. 2088 c.c.; la direzione e gerarchia dell’impresa art.2086; art.2084 e 2085)

Ma il Codice Civile individua diverse categorie di imprenditori, sia in termini di valutazione quantitativa sia in termini di valutazione qualitativa.

Imprenditore Piccolo Imprenditore Imprenditoremedio/grande Imprenditore commerciale agricolo

NOTA: Il Rischio riguarda tutti gli imprenditori; solo che gli effetti del rischio, in modo particolare per quel che riguarda la situazione di insolvenza, in realtà si possono richiamare solo per alcune tipologie di imprenditori. (ex: l’imprenditore agricolo e il piccolo imprenditore non sono soggetti al fallimento)Il rischio è si una connotazione caratteristica dell’impresa, ma muta la relazione da parte dell’ordinamento nei confronti delle singole categorie imprenditoriali.

L’imprenditore agricolo viene esonerato dalla disciplina del fallimento (ciò accade solo nel nostro ordinamento) perché si dice che esercitando la propria attività prevalentemente sul fondo subisce tutti gli eventi naturali che possono riguardare il fondo stesso, incidendo sulla sua attività e quindi sull’inadenpienza della sua obbligazione assunta nell’esercizio dell’impresa.

Il rischio dell’impresa è connesso ad ogni esercizio della stessa ma la valutazione del rischio in seguito ad insolvenza è diversificato per categoria d’impresa.

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Il Piccolo imprenditore art. 2083

Ciò che connota l’Imprenditore caratterizza anche il piccolo imprenditore perché anche quest’ultimo svolge un’attività organizzata che però ha determinate caratteristiche:

La prevalenza del lavoro proprio e della sua famiglia!

Dunque ciò che differenzia in primis il piccolo imprenditore dall’imprenditore medio/grande è inannzitutto l’elemento del minore capitale investito rispetto al lavoro (bene dell’azienda) posto in essere.Per il piccolo imprenditore abbiamo una serie di discipline fondamentali. Ex: non é tenuto ai libri obbligatori, anche se questo caratteristica sta perdendo valore.Il principio che si sta facendo strada nel Diritto Commerciale è quello di un minimo di pubblicità per tutta una serie di atti.

elemento della elemento dellaTrasparenza Pubblicità

Questi elementi nell’impostazione del codice del ’42 non erano analizzati ne presi in considerazione perché si orientava sclusivamente a disciplinare la figura dell’imprenditore commerciale perché riteneva che i fenomeni rilevanti dal punto di vista economico fossero relativi a questa categoria d’imprenditore.Il principio che oggi si va attualizzando è innanzitutto un principio di pubblicità (ex: l’imprenditore agricolo che era esonerato da tutte le forme di pubblicità, è oggi soggetto alla pubblicità nel registro delle imprese se pur ai fini del c.d. cenzimento informativo o pubblicità notizia).Quindi anche il piccolo imprenditore è tenuto a rispettare un regime pubblicitario come lo è anche ad es. l’imprenditore artigiano, la cui identificazione avviene attraverso l’iscrizione all’apposito Albo delle imprese artigiane; l’iscrizione in questo apposito albo dà il diritto ad avvalersi del privilegio sui propri crediti.Quindi il principio di pubblicità è un principio che finisce per riguardare tutte le attività imprenditoriali perché è un principio generale dell’ordinamento che riscontriamo anche nei profili di una regolare tenuta della contabilità.Cio si collega all’altro principio, quello della trasparenza degli atti posti in essere dall’imprenditore ai fini della riconoscibilità della qualità e della quantità del reddito prodotto.

La prevalenza della trasparenza e dell’evidenza del reddito prodotto dall’imprenditore diventa rilevante qualora un soggetto voglia esimersi dalla dichiarazione di fallimento. (Dimostrato anche dalla lettera dell’art.1 L. n° 267 del 1942 sul Fallimento)

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Differenza tra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale

Si tratta d’impresa sia nell’uno che nell’altro caso.

o Imprenditore commercialeAi sensi del Codice Civile, è imprenditore commerciale (art. 2195 C.C.) chi esercita:

attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi (ad esempio una fabbrica automobilistica, un'emittente televisiva privata);

attività intermedie nella circolazione dei beni (cioè le attività «commerciali» comunemente intese):

o commercio all'ingrosso;o commercio al dettaglio;o commercio ambulante;o pubblici esercizi commerciali (bar, ristoranti, ecc.);

attività di servizi:

o attività di trasporto per terra, per acqua o per aria (non attività di navigazione)

o attività bancaria o assicurativa;o altre attività ausiliarie delle precedenti (ad esempio agenzie di

mediazione, di pubblicità, ecc.).

Alcune di queste attività sono regolate oltre che dal codice civile anche dalle leggi speciali.Rientrare in questo quadro giuridico produce una conseguenza molto importante: l'imprenditore commerciale è assoggettato al fallimento .

o Imprenditore agricolo

Nel codice del ’42 la figura dell’imprenditore agricolo era costruita su chi coltivava un fondo (cioè svolgeva un’attività organizzata su di un fondo) e da quest’ultimo traeva una serie di beni e cioè il risultato dell’attività posta in essere sul fondo stesso.Questa nozione si fondava esclusivamente sul fondo percui c’era un legame fortissimo tra il soggetto che esercitava l’attività e il fondo stesso ( infatti si diceva che l’imprenditore agricolo non può fallire perché soggetto ad eventuali conseguenze degli eventi naturali sul fondo).Lo sviluppo delle tecnologie usate in agricoltura ha fatto si che il legame tra fondo e imprenditore fosse in realtà attenuato, perché risultano ora prevalenti anche gli strumenti, i capitali, i macchinari; subisce in questo modo un’assimilazione alle caratteristiche dell’impresa commerciale.

Art.2135 con la disciplina del 2001 manifesta come l’attività agricola si

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sia modificata, perché non vi è più l’essenziialità del fondo.

Altre tipologie d’impresa:

Impresa Familiare (art.230 bis c.c)

E’ un’impresa come tutte le altre ma il legislatore ne prevede la disciplina ai fini della tutela dei suoi partecipanti.Disciplinato dall'art. 230 bis del codice civile. Esso regola i rapporti che nascono in seno ad una impresa ogni qualvolta il capo famiglia (proprio per questo è detta anche “impresa unica”), ossia l'imprenditore, presti la sua opera in maniera continuativa nella famiglia o nella stessa impresa. Gli altri soggetti che vi partecipano hanno due tipi di diritti: diritti patrimoniali (gli utili) e diritti partecipativi (diritti a concorrere).Il titolare resta sempre il capo famiglia.Da cio si evidenzia un principio fondamentale che è quello della parità del lavoro.

Impresa Holding

La holding è una società finanziaria che, sulla base di rapporti di partecipazione azionaria, esercita la funzione di direzione e definizione delle scelte strategiche delle imprese partecipate assumendo il ruolo di capogruppo. Si distingue tra holding pura e mista.

La holding pura si limita a svolgere, nei confronti delle società del gruppo, un'azione di coordinazione e di controllo delle attività strategiche e operative da esse svolte. Holding mista si ha invece quando la holding, oltre a detenere il controllo delle altre società, svolge direttamente anche attività operative. Tradizionalmente, l'attività delle holding consiste dunque nel detenere pacchetti azionari, con lo scopo di esercitare il controllo su un certo numero di imprese e nel fissare le linee guida e le modalità operative cui le società controllate debbono attenersi affinché sia garantita la coerenza tra le attività da esse svolte e i fini generali del gruppo.

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La Capacità d’agire

Mentre per la disciplina contrattuale il contratto posto in essere dal minore può essere ritenuto, sia pure con determinate precisazioni, vincolante per lo stesso; questo non può avvenire nell’ambito dell’impresa, perché per poter iniziare un’attività d’impresa è indispensabile la capacità d’agire.Quando noi parliamo di capacità dell’esercizio dell’impresa intendiamo in realtà far riferimento ad una diversa figura, che è quella della Incompatibilità.

La libertà d’impresa è quindi preclusa. Ciò non significa che gli atti posti in essere dal soggetto incompatibile all’esercizio dell’attività d’impresa (ex: avvocati) non sono vincolanti per lo stesso. Sono fatti salvi i loro atti giuridici ma la conseguenza sarà quella di incorrere in sanzioni amministrative e penali; può essere dichiarato anche fallito con delle aggravanti (ex: bancarotta fraudolenta). Ciò vale anche per i c.d. interdetti a esercitare l’attività d’impresa (ex: il fallimento del gia fallito).

L’incompatibilità e l’interdizione nulla hanno a che fare con la capacità di esercitare l’impresa perché quest’ultima è esclusivamente collegata alla capacità d’agire cioè ad un fenomeno giuridico diverso.

o Quali sono i principi che possiamo richiamare in materia? Innanzitutto l’impresa esaminta dal legislatore è quella commerciale.

o Perché? Perché si ritiene che proprio l’imprenditore commerciale essendo

sottoponibile al fallimento e avendo una serie di conseguenze collegate all’esercizio della propria impresa, debbano essere previste una serie di specifiche regole in materia dell’esercizio dell’attività d’impresa.Diverso invece è il discorso per l’imprenditore agricolo, per il quale si ritiene che valgano le regole generali della capacità d’agire.

o Le norme prese in considerazione sono dotate di una specialità in quanto riguardano l’imprenditore commerciale esprimendo un principio derogatorio rispetto alle disposizioni del diritto comune.

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Riscontriamo di conseguenza una certa ambiguità tra diritto comune e la materia del diritto economico.Innanzitutto abbiamo studiato in diritto privato come esistano due categorie di atti: atti di ordinaria amministrazione e atti di straordinaria amministrazione.Mentre in diritto comune la distinizione è facilmente rinvenibile, in quanto incide sul contenuto dell’atto stesso, per quanto riguarda il diritto commerciale questa distinzione non è assolutamente ben ravvisabile, in virtù del forte rischio di qualunque atto posto in essere durante l’attività d’impresa (ex: tant’è che la vecchia distinzione tra i due tipi di atti riguardante la disciplina delle società nell’ambito del codice di commercio non è più riproposta nel codice civile de ’42).

o Casi in cui l’attività imprenditoriale viene svolta da persone che non hanno la capacità d’agire.

Divieto assoluto di iniziare ex novo un’attività d’impresa per un minore, un interdetto ed un inabilitato. REGOLA CARDINE

o Cosa accade invece per il minore emancipato? E’ consentita la continuazione dell’esercizio di un’attività d’impresa

preesistente quando questa sia utile per l’incapace purchè autorizzata dal tribunale.

Qual è la ratio di questa norma?

Se vi è un’impresa e per la morte dell’imprenditore questo compendio aziendale può essere continuato perché ha degli elementi di utilità nella continuazione, l’ordinamento giuridico (quello corporativo che era attento alla conservazione dell’impresa) non può non consentire che l’attività venisse cessata; in presenza di un minore emancipato stabiliva che quest’ultimo potesse continuare l’esercizio dell’impresa purchè fosse autorizzato dal tribunale.

Utilità del minore Evitare la despersionedei beni aziendali e quindi favorire la continuazionedell’esercizio d’impresa

Autorizzazione generale (riguarda tutti gli atti) Non constringe il rappresentante dell’incapace

di andare ogni volta in tribunale per chiedere di essere autorizzato a compiere gli atti di straordinaria amministrazione.

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Quando il minore acquista per successione ereditaria o per donazione una preesistente azienda commerciale il rappresentante legale può essere autorizzato a continuazre l’esercizio dell’impresa, sia pure con una serie di cautele (art. 320-371 norme di salvaguardia di tipo processuale).

Attenzione del codice a conservare l’attività pruduttiva e quindi ad evitare che vengano dispersi i beni dell’azienda in sede di continuazione.

o Problema in caso di Fallimento che colpisce il titolare dell’impresa che non è il rappresentate ma il minore…come si risolve la questione? Chi viene dichiarato fallito?

Per l’ordinamento, in virtù di una impostazione soggettiva, dichiara fallito il minore.

o Come è possibile che il minore possa sopportare tutte le conseguenze che derivano dalla dichiarazione di fallimento?

L’ordinamento risponde: è vero che fallisce il minore (il che significa che il suo patrimonio è attratto dalle regole dell’insolvenza e quindi sottoposto a procedura concorsuale), ma gli effetti personali negativi e gli effetti penali cadono sul rappresentante cioè sul soggetto che oggettivamente ha gestito di fatto l’impresa.

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Imprenditore collettivoSocietà

Impresa esercitata da più soggetti. Ci troviamo di fronte a quello che viene definito Imprenditore collettivo ovvero la Società.Quando noi parliamo di atto costitutivo o contratto costitutivo di società dobbiamo avere chiaro che concorrono diversi fenomeni.

o Fenomeno contrattuale o negoziale disciplina la fase costitutiva e alcuni aspetti della fase organizzativa vera

propria (ex. patto parasociale) Costituisce in molti casi la fonte del rapporto stesso per cui nasce la Società.

Diciamo in molti casi perché la Società può nascere anche in seguito ad un provvedimento normativo e quindi di fonte legale.

La Società, nel momento in cui si costituisce, è un fenomeno che si manifesta nel mondo economico e gran parte della disciplina ad essa riferita trova la propria giustificazione nella circostanza che le società sono state create per produrre ricchezza.

L’elemento contrattuale crea un’organizzazione (la Società).Questa organizzazione viene disciplinata per la gran parte dalle norme previste dal legislatore che prevedono una disciplina inderogabile da parte dei singoli soci.

o Perché l’ordinamento giuridico ha tanto interesse a disciplinare un’organizzazione come quella della Società?

Perché se non vi è una disciplina ad hoc non si pone in essere un’attività d’impresa societaria, non vi è la possibilità di realizzare lo sviluppo dell’economia all’interno di quello che il più ampio quadro del capitalismo.

Il diritto commerciale studia l’evoluzione normativa delle forme della Società.

Definizione del contratto di Società art. 2247

1. Elemento Contrattuale “due o più persone” elemento oggettivo che caratterizza appunto il contratto di società.

NOTA: la recente normativa ci dice che ci troviamo di fronte ad una Società anche quando questa viene costituita attraverso atto unilaterale (ex. Società per azioni). Questo non vuol dire che muta la fonte negoziole della Società posto che anche per l’atto unilaterale ex art. 1324 si applicano le stesse norme previste per i contratti plurilaterale a contenuto patrimoniale.

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Vi è sempre il principio per cui il socio è un’entità diversa dalla società; in tutte le società questo è un elemento imprescindibile. (ex. estrema nelle società con personalià giuridica).Dunque ci sono Società che possono essere costituite anche con atto unilaterale (ex. socetà per azioni, società a responsabilità limitata); ci sono Società che invece normativamente è prevista per la loro costituzione un numero minimo di soci: almeno 2 per le Società di persone; 9 per le Società cooperative.

Il Principio che può essere ricavato dalla disciplina e dal contratto stesso di società, riguarda la circostanza che la pluralità delle parti comporti l’indipendenza di ogni singola vicenda contrattuale rispetto alla vicenda del contratto in quanto tale. Se è nulla la mia partecipazione non è nullo il contratto a meno che la mia partecipazione non sia stata ritenuta fondamentale. Ex. se si costituisce una Società tra 5 soci ed uno di questi risulta essere incapace naturale, l’ annullabilità che può colpire la singola partecipazione non riguarda il contratto di società.

Il principio della netta separazione tra Società e socio. Ma perché?Perché è interesse dell’ordinamento preservare l’ente come avviene per le società per azioni.

2. Elemento Contrattuale “esercizio in comune”, un elemento di elevata organizzazione perché crea le strutture per

esercitare appunto in comune l’esercizio dell’attività. Presuppone il Contratto associativo.

In contrasto con il contratto a prestazioni Il fine comune checorrispettive. connota la causa.

Nella Società non puù esistere un collegamento di corrispettività tra il conferimento e l’utilità. Il socio non fa il conferimento perché a questa prestazione corrisponde l’attribuzione degli ultili.

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L’esercizio in comune è nient’altro che il riferimento alle regole di funzionamento proprie di quel determinato tipo sociale. E’ più intenso nelle Società di persone o di capitali, ma è evaniscente nelle grandi società.

LA SOCIETA’ PER AZIONI

La nascita della società per azioni e, più in generale, delle società di capitali, della quali la società per azioni è il prototipo, si fa risalire alle compagnie coloniali dei secoli XVII e XVIII. Le esplorazioni e gli insediamenti coloniali necessitavano di ingenti finanziamenti e comportavano altresì alti rischi per l'investimento effettuato. Per attrarre i finanziatori, i sovrani presero a concedere la separazione patrimoniale tra la società ed i soci, così che questi ultimi non esponessero il loro intero patrimonio al rischio, ma solo il denaro investito nella compagnia. Da notare come sia essenziale sin dall'origine il momento del finanziamento dell'attività.Il Codice di commercio napoleonico del 1807 introdusse un tipo generalizzato di società anonima, a cui i privati potevano ricorrere per ottenere, mediante il rispetto di determinate procedure, il beneficio dell'autonomia patrimoniale perfetta. La denominazione di società anonima (sociétè anonyme) la si deve al fatto che le azioni non erano nominative e quindi tutelavano meglio la richiesta di anonimato del mercato al fine degli investimenti. La costituzione di una società anonima, tuttavia, rimaneva sottoposta ad autorizzazione governativa, che veniva concessa solo per imprese che richiedessero di raccogliere capitali anche fra i non imprenditori. Di fatto le società anonime nella prima metà dell'Ottocento erano ancora poche.Le società per azioni aumentarono considerevolmente di numero e divennero una forma diffusa di impresa solo a partire dalla metà dell'Ottocento. La prima nazione in cui fu permesso di costituire una società a responsabilità limitata senza particolari autorizzazioni fu la Gran Bretagna con il Joint Stock Companies Act del 1856. In Francia l'obbligo di autorizzazione governativa fu abolito nel 1867 e fu da tale data che il numero di società anonime esplose. L'esempio francese fu seguito rapidamente anche negli altri paesi. Vi era la necessità di individuare qual è il meccanismo per cui si assume la responsabilità limitata: il riconoscimento deve essere connesso alla presistenza di elementi giuridici che consente di attribuire a determinati soggetti i benefici della responsabilità limitata. Si è passati dunque da una situazioni in cui la limitazione della resposabilità passava necessariamente da un atto di concessione del sovrano ad una situazione in cui la preesistenza di elementi determinati normativamente fa si che quella società acquisti la personalità giuridica (sistema normativo).

Personalità giuridica (funzione polimorfica)

La persona giuridica è un soggetto completamente diverso e distinto da quella dei soci.

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Mentre nelle Società di Persona abbiamo più volte detto che la società ha una soggettività distinta e marcata rispetto i singoli soci, ma non ha personalità giuridica.

Le Società di Capitali sono trattate, con il riconoscimento della personalità giuridica, come soggetti di diritto formalmente distinte dalle persone dei soci (piena e perfetta autonomia patrimoniale).

o Questo concetto ci indica che ci sono regole di funzionamento della persona giuridica completamente vincolate rispetto alle regole di normale funzionamento del rapporto intersoggettivo.

Nelle Società di Persona non esiste un diritto assembleare ma si parla di decisione. Manca un organo che riunisce i soci, tant’è che i soci dovevano esprimersi all’unanimità ex. modifiche del contratto di società.

Nelle Persone giuridiche l’Assemblea rappresenta l’organo nel quale i soci decidono riguardo le materie riservate all’assemblea. Per cui la decisione all’esterno viene intesa come “volontà dell’Assemblea” (deliberazione) non come decisione dei singoli soci. Momento deliberativo dell’organo.

Questa volontà si traduce in un atto.Il Verbale

o Comporta la previsione di Altri Organi

Assemblea Amministratori Colleggio Sindacale organo deliberativo organo gestorio organo di controllo

Sono caratteristiche che rinveniamo solo nelle persone giuridiche e quindi solo nella tipologia delle Società per Azione

o Perdita assoluta della figura soggettiva del socio. (differenza abbissale rispetto alla disciplina delle società di persone)

Si riscontra dunque una disciplina organizzativa finalizzata a creare un adeguato modulo organizzativo (ex. come deve funzionare l’assemblea…).

o Funzione della Società Azionaria (contrapposizione tra teoria istituzionalistica e contrattualistica)

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L’interesse del socio cede il passo all’interesse della Società

Il capitale sociale rimane l’elemento imprescindibile

I vari modelli di SPA:

La riforma del diritto societario

• Le Spa “ordinarie” (cosiddette “società chiuse”), che non ricorrono al mercato del capitale di rischio;

• Le società che, invece, fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (cosiddette “società aperte”), le quali, a loro volta, si dividono in:

a) società con azioni quotate nei mercati regolamentati;b)società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante.

Mentre alle Spa “chiuse” si applica la disciplina ordinaria del Codice Civile riformato, alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio si rivolgono sia la disciplina “normale” del Codice Civile sia quella “di settore” rappresentata in primo luogo dal D. Lgs. n. 58/1998. In sostanza, le norme contenute nella riforma si applicano alle società emittenti azioni quotate in mercati regolamentati solo nel caso in cui la disciplina speciale che regola tale soci età (in primis, il D.Lgs. n. 58/1998) non preveda disposizioni difformi. Bisogna, inoltre, sottolineare che nella riforma, al fine di consentire nuove opportunità di reperimento di capitali attraverso una pluralità di modelli di promozione del finanziamento anche partecipativo, si è data ampia libertà di scelta ai mezzi di finanziamento dell’impresa, superando le due tradizionali contrapposte categorie di capitale di credito e di rischio (azioni e obbligazioni) e consentendo, pertanto, anche l’introduzione di strumenti finanziari ibridi.

Azioni cartolari e Azioni non cartolari

Le Azioni vengono rappresentate da documenti cartacei (cosidetto titolo cartolare). Il numero delle azioni veniva annotato sul registro della Società. Per cui quando si trasferisce un’azione, si deve far annotare il doppio trasferimento da un pubblico ufficiale sul libro del socio e sul libro della Società. Quindi io non posso opporre il mio titolo di azionista alla Società fin quando fin quando esso non viene annotato sul registro dell’emittente. Ciò dava luogo ad un problema procedimentale. Per molte Società c’era la necessità di procedere rapidamente al trasferimento dei titoli come le Società quotate, per cui si è deciso di utilizzare il sistema non cartolare in cui i titoli azionari non sono più rappresentati dalla carta ma da registri informatici

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tenuti dalle Società abilitate ad operare sul mercato regolamentare cioè sottoposte alla vigilanza della Consob e quindi ad un potere amministrativo di controllo forte. Questo è obbligatorio per le Società che hanno titoli quotati; le Società che si rivolgono al mercato del capitale di rischio che però non hanno titoli quotati possono decidere nell’ambito della loro autonomia statutaria di procedere all’emissione di titoli non cartolari (è una facoltà non un obbligo). Aumento del Capitale Sociale (Diritto di Opzione)

Pegno, usufrutto e sequestro si estendono alle Azioni di nuova emissione disciplinate per rendere intangibile la posizione partecipativa di ogni socio

Il diritto di opzione connesso all’azione

E’ un vantaggio accessorio dell’azione, un vantaggio che consiste nel diritto dell’azionista a sottoscrivere le azioni della Società.

Il diritto di opzione

E’ il diritto a mantenere inalterata la propria posizione che spetta però non al socio ma spetta al titolare del pegno, dell’usufrutto e del sequestro i cui diritti si estendono sulle azioni di nuova emissione. Ex. se io ho dato le mie azioni in pegno alla banca e c’è un aumento di capitale della società e mi vengono offerte le azioni, io che le sottoscrivo acquisto queste nuove azioni ma queste sono soggette a pegno.

Circolazione delle azioni

Come abbiamo già visto, le azioni si caratterizzano rispetto alle quote, per la facilità con cui possono essere trasferite da una persona a un'altra, abbiamo circolazione delle azioni proprio nel caso in cui si voglia trasferire il diritto contenuto dell'azione.

Secondo l'opinione dominante le azioni sono dei titoli di credito, e quindi ne seguono le regole di circolazione; ricordiamo che i titoli di credito si caratterizzano anche per il fenomeno dell’incorporazione, nel senso che il diritto o i diritti relativi a un determinato credito si incorporano del documento cartaceo che li rappresenta. In un video pubblicato su dirittoprivatoinrete.it, paragono il diritto di credito a una fetta di prosciutto che è infilata in un panino, dove il panino e il documento cartaceo, mentre il diritto di credito…è il prosciutto.

Da questo si capisce che per trasferire il diritto (in questo caso il

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diritto di proprietà sull'azione) sarà comunque necessario trasferire il possesso del documento.

Ovviamente stiamo parlando dei casi in cui l'azione è rappresentata da un titolo azionario, e non dei casi in cui si è scelta la strada di non emettere titoli azionari. Qui possiamo avere due ulteriori possibilità;

a) la società ha deciso di non emettere titoli: il trasferimento si avrà con l’iscrizione del nome del nuovo socio sul libro dei soci, non bisogna consegnare nulla, perché i titoli non sono stati emessi, e il trasferimento avrà effetto proprio dal momento dell’iscrizione;b) azioni dematerializzate:  il trasferimento avviene con la scritturazione sui conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in questo caso, se le azioni sono nominative, la scritturazione sul conto equivale alla girata, salve però le particolari regole previste da leggi speciali.

Avendo chiarito che stiamo parlando del trasferimento dei titoli azionari, dobbiamo distinguere le azioni al portatore, dalle azioni nominative.

Nelle azioni al portatore non è indicato il titolare del diritto, e quindi il trasferimento avverrà molto semplicemente consegnando il titolo al nuovo azionista; basterà quindi la semplice consegna.

Più complicata è la procedura per trasferire le azioni nominative, perché su queste azioni è indicato anche il nome del proprietario del titolo, cioè dell'azionista.Si capisce allora come non basterà la semplice consegna per trasferire il titolo, ma sarà anche necessario che il nome del nuovo azionista, che ha acquistato l'azione, risulti anche sul titolo che è stato trasferito.

Abbiamo quindi due modi per trasferire le azioni nominative, il primo, più usato, consiste nella girata, che dovrà essere autenticata da un notaio o da un agente di cambio.

Ricordiamo che con la girata il vecchio azionista indica sul titolo il nome del nuovo azionista, e firma questa dichiarazione. Sarà proprio la firma di chi trasferisce il titolo che dovrà essere autenticata dal notaio oppure da un agente di cambio.

L'altro sistema è quello del transfer, che è un po' più complicato di quello che abbiamo visto con la girata: oltre alla consegna del titolo, sarà anche necessario riportare il nome dell'acquirente sia sull'azione, sia sul libro dei soci.

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Il transfert avviene attraverso la sostituzione del nome del vecchio azionista con quello del nuovo e viene effettuata direttamente dalla società che ha emesso il titolo, su richiesta dell'acquirente oppure di chi ha alienato il titolo. La società verifica che siano state osservate le formalità che la legge prevede, e poi svolge l'operazione che è detta transfert.

Come si è visto attraverso la doppia intestazione, vi è una nuova indicazione del nome del nuovo socio sul libro dei soci e sull'azione, ed è quindi rispettata la regola di cui all'art. 2021 c.c. secondo cui il possessore di un titolo nominativo è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato, quando vi sia l'intestazione del suo nome sul titolo e sul registro della società emittente.

Il nome del nuovo azionista non è però riportato sul registro della società (cioè sul libro dei soci) con la e allora come farà questa persona a esercitare i diritti che derivano dall'azione?

Di certo non potrà esercitare i diritti sociali, ad es. non potrà votare, ma in quanto proprietario potrà rivendere l'azione girandola ad altra persona; ma se vuole esercitare tutti i diritti sociali, basterà che si rechi presso la società chiedendo l'annotazione del suo nome sui libri sociali; la società, dopo aver verificato che ci sia una serie continue di girate provvederà ad eseguire l'annotazione. Bisogna notare, però, che l'art. 2355 c.c. comma 3 non dispone che alla presentazione dell'azione da parte del socio - giratario ( colui cioè che è indicato come ultimo nella serie di girate), la società annoti il suo nome nel libro dei soci, ma dispone che tale socio " ha diritto ad ottenere l'annotazione" , e già da questo momento può esercitare i diritti sociali; tuttavia il citato articolo, per non cadere in contraddizione con la regola dell'art. 2021 c.c. dispone che la società è "obbligata" ad aggiornare il libro dei soci. Come si vede l'iscrizione del nome del nuovo socio nel libro dei soci non è una regola assoluta per l'esercizio dei diritti sociali, potendo avvenire anche in un secondo momento, oppure non avvenire affatto nel caso in cui la società non adempia a tale obbligo che pure la legge gli impone.Il trasferimento delle azioni di regola avviene quando queste sono state completamene liberate. Se però le azioni non sono state ancora del tutto liberate, l'alienante risponde in solido con l'acquirente per i versamenti residui.

Il trasferimento delle azioni, è libero.Abbiamo visto, però, che la legge può imporre dei limiti alla circolazione delle azioni, come nel caso delle azioni con prestazioni accessorie. Oltre questi limiti legali, la società può stabilire altri limiti

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alla circolazione attraverso delle clausole, ma solo nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società, vietarne il trasferimento. Vediamo allora le clausole più frequenti.

a) clausole di gradimento; come si vede si tratta di un “gradimento motivato”, cioè la società indica le condizioni alle quali vuole il trasferimento del titolo, ma possiamo chiederci se siano possibili le clausole di “mero gradimento”, cioè di clausole che subordinano il trasferimento dell’azione all’approvazione della società, senza però specificare a quali condizioni dovrà essere ammesso, gradito, il nuovo socio. In passato la questione era dubbia, ma ora è stato esplicitamente ammessa dalla legge la validità di dette clausole, ma queste sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante.b) clausole di prelazione: anche queste possono essere previste dallo statuto; in tal caso gli altri soci devono essere preferiti a parità di condizioni, nell'acquisto delle azioni.

Acquisto delle proprie azioni

Abbiamo visto prima l’ipotesi in cui la società acquisti beni da soci o amministratori, un'operazione indubbiamente pericolosa perché potrebbe accadere che tali beni siano sopravvalutati, ma è sicuramente più pericolosa l'operazione dell'acquisto delle azioni di proprietà dei soci da parte della società, tanto che la legge, salvo le solite eccezioni, vieta che la società possa acquistarle.

A questo punto è necessaria una precisazione terminologica, che significa dire che la società acquista le proprie azioni? E come fa la società a acquistare qualcosa è già suo?

Come minimo il contratto sarebbe nullo per mancanza di causa, e allora bisogna intendersi: qui la società non acquista azioni di sua proprietà, ma compra azioni che sono di proprietà dei soci, (e quindi non “proprie” della società).

La particolarità dell’operazione sta nel fatto che la società acquista azioni che lei stessa ha emesso, e che di conseguenza, diventano proprie, cioè di proprietà della società, ma che prima erano di proprietà dei soci. La disciplina del codice, è rivolta a regolare sia i casi in cui la società può comprare azioni dai suoi soci ( e quindi il termine proprio è usato per indicare le azioni che lei stessa ha emesso)  sia il regime delle azioni che questa ha acquistato dai soci, le sue azioni, quindi “proprie”, in questo caso nel vero senso della parola.

Ciò precisato, chiediamoci allora, come mai esiste questo divieto, perché la società non può acquistare le azioni dai suoi soci?

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La società per azioni, essendo persona giuridica, potrebbe in teoria acquistare senza limitazioni le azioni dai soci; in realtà tali operazioni potrebbero danneggiare i creditori sociali, poiché la società non fa altro che rimborsare i conferimenti effettuati dai soci, e in ciò sta la ragione del divieto. Si potrebbe poi giungere al caso limite in cui la società acquisti tutte le azioni dai soci finendo, in pratica, per rimborsare l'intero capitale sociale. Si creerebbe, quindi, questa situazione:

1. la società impiega tutto l'attivo a sua disposizione per acquistare azioni per un valore equivalente al capitale sociale;2.i soci ricevono in tal modo il rimborso dell'intero conferimento lasciando la società senza alcun attivo ed abbandonando la società;3. il capitale sociale sarebbe garantito da azioni che appartengono alla stessa società e, nel caso in cui il patrimonio non sia superiore al capitale, i creditori non avrebbero nulla su cui soddisfarsi, visto che le azioni sono garantite dalla società che non ha più alcun attivo.

Per questo motivo è vietato l'acquisto delle azioni, azioni anche se fatto per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Ciò posto, dobbiamo porci una domanda: se è vero che l'acquisto delle azioni dei soci finirà con intaccare il patrimonio sociale, sarebbe possibile per la società acquistarle quando il patrimonio sociale non corre alcun rischio?

Sì, è possibile, se non vi sono rischi per integrità del capitale sociale.Per fare questo sarà necessario che i soldi per l'acquisto delle azioni la società non li prenda da quella parte di patrimonio che è rappresentato dal capitale sociale, ma da altre fonti, cioè i soldi per l'acquisto devono provenire dal patrimonio società, ma sempre che il capitale sociale (o meglio la parte di patrimonio società che è rappresentato dal capitale sociale) non ne sia intaccato; e allora adesso possiamo rispondere alla nostra domanda, a quali condizioni la società potrà acquistare le azioni dai suoi soci?

a) In primo luogo i soldi per acquistare le proprie azioni devono essere presi dagli utili della società o dalle riserve della società che risultano dall'ultimo bilancio regolarmente approvato; b) inoltre le azioni che la società acquista devono essere state interamente liberate dai soci, in altre parole la società non può acquistarle, quando il socio che la vende non abbia ancora effettuato tutti i conferimenti. A questo punto si potrebbe pensare che bastino queste condizioni affinché la società possa acquistare le azioni dai soci, ma il codice ne pone delle altre, perché l'acquisto, che è effettuato dagli amministratori,c) deve essere autorizzato dall'assemblea, che fissa le modalità dell'acquisto stesso, e in particolare il numero massimo delle azioni da acquistare, e il tempo, non superiore a 18 mesi, nel quale l'autorizzazione è accordata, e ancora il corrispettivo minimo e massimo da pagare per queste azioni. d) se si tratta di una società che fa ricorso al capitale di rischio, queste azioni non possono

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eccedere la quinta parte del capitale sociale, tenendo, nel calcolo, anche il valore delle azioni possedute da società controllate.

Se non si seguono queste regole, le azioni acquistate in maniera irregolare devono essere vendute entro un anno dal loro acquisto.

Ma chiediamoci ancora, che cosa accade se la società, che ha acquistato le azioni in maniera irregolare, non le vende entro un anno dall’ acquisto?

La conseguenza sarà che le azioni dovranno essere annullate, e sarà anche necessario ridurre il capitale sociale in maniera corrispondente al valore delle azioni annullate; la riduzione del capitale sociale è di competenza dell'assemblea straordinaria, e se l'assemblea non adempie, gli amministratori o i sindaci dovranno rivolgersi al tribunale che provvederà alla riduzione del capitale sociale.

Abbiamo visto, quindi, i casi in cui è possibile acquistare le azioni dai soci, e abbiamo anche visto che se non si seguono le regole che rendono possibile l'acquisto, queste dovranno essere vendute o comunque, nei casi più gravi, annullate.

In alcune ipotesi, però è possibile acquistare le azioni che la società ha emesso, senza seguire le regole che abbiamo visto prima.

Ciò accade, per esempio quando l'acquisto sia per così dire, accidentale, per effetto di successione universale, fusione o scissione, oppure in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società (nei confronti di un'azionista della stessa società) e sempre che si tratti di azioni completamente liberate, e ancora negli altri casi previsti dall'articolo 2357 bis. Qui, però, sarà necessario rispettare il limite del quinto del capitale sociale, cioè non si possono acquistare tali azioni per oltre un quinto del capitale, ma il termine per la vendita delle azioni che abbiano superato il limite, nei due casi che abbiamo visto, e anche nel caso in cui la società acquisti azioni a titolo gratuito, sarà di tre anni. Se non si rispetta il limite di legge, bisognerà annullare le azioni in eccesso e ridurre il capitale sociale in misura corrispondente.

Risolti, si spera, tutti questi problemi, se ne pone subito un altro:

saranno gli amministratori a poter disporre delle azioni della società, o un altro soggetto?

Ci risponde il primo comma dell'art. 2357 ter che pone questa fondamentale regola: "Gli amministratori non possono disporre delle azioni della società che la stessa società ha acquistato se non previa autorizzazione dell'assemblea, la quale deve stabilire le relative modalità". È chiaro che lasciare ai soli amministratori la scelta, ad es. sulla vendita delle azioni, significherebbe, in pratica, metterli sullo stesso piano dei soci, ed è quindi necessario che tali operazioni di disposizione siano autorizzate dall'assemblea.

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Ma un altro problema può sorgere in merito alle azioni della società, e sta nell'uso del diritto di voto e degli utili che devono essere attribuiti a tali titoli. A chi spetterà il diritto di voto per le azioni della società? Agli amministratori?

Anche qui, non si può lasciare agli amministratori il diritto di voto, ma nemmeno attribuirlo ai soci, che non sono tecnicamente proprietari delle azioni, poiché appartenenti alla società, distinto soggetto giuridico; e allora il legislatore, tra lasciare il voto agli amministratori o attribuirlo agli altri soci, ha deciso, salomonicamente, di sospenderlo. Ma questa soluzione non risolve tutti i problemi; se il diritto di voto è sospeso, è sospesa anche la distribuzione degli utili? E se si convoca l'assemblea, bisogna conteggiare tali azioni, cosa non scontata, visto che non possono votare?A queste domande risponde il comma 2 dell'art. 2357 ter, che detta una serie di regole non sempre omogenee con la scelta di sospendere il diritto di voto; Vediamole:a) in merito agli utili e al diritto di opzione: finché le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni;b) in merito al calcolo delle maggioranze in assemblea: le azioni proprie sono computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell'assemblea. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il computo delle azioni proprie è disciplinato dall'articolo 2368, terzo comma.L'art. 2357 ter, si chiude, con un’ ulteriore norma di "sicurezza"  disponendo che: "una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate".

Il diritto di opzione

È previsto dall’art. 2441, rubricato, infatti, diritto di opzione. Quando si parla di quest’argomento quasi mai si ricorda cos’è l’opzione, e da dove nasce codesto diritto, con l’inevitabile conclusione di non capire l’argomento; bene, ma cos’è l’opzione?

Opzione (art. 1331 c.c.): nasce da un precedente accordo che ha ad oggetto un futuro contratto. Le parti convengono che una formuli la proposta contrattuale, mentre l'altra è libera di accettarla o meno in un termine stabilito. La proposta formulata si considera irrevocabile a norma dell'art. 1329 c.c.

Guardano la disciplina dell’opzione prevista in tema di S.p.A. scopriamo delle differenze rispetto a quella dell’art. 1331; l’opzione prevista dall’art. 2441 non nasce da un contratto, ma direttamente dalla legge che la impone alla società quando emette nuove azioni, quindi ai soci è riconosciuto tale diritto, e quindi sono liberi di acquistare le nuove azioni emesse dalla società, o meno, ma la società è obbligata a offrigliele.  Potremmo quindi definire l’opzione in materia di S.p.A. il diritto riconosciuto ai soci di acquistare le azioni di nuova emissione, grazie all’esercizio di tale diritto. Le azioni sono offerte ai soci in proporzione a quella che già possedevano, e ciò per conservare

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all’interno della società gli stessi rapporti di forze che esistevano prima dell’aumento del capitale sociale.

Bilancio

La società per azioni è obbligata a redigere il bilancio di esercizio. Si tratta di un documento contabile dal quale i soci e i terzi, creditori in primo luogo, possono conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria della società;

Il bilancio deve essere redatto secondo le regole previste dal codice civile (artt. 2423- 2435 bis) ma è possibile redigerlo anche secondo altre regole, cioè seguendo i principi contabili internazionali riconosciuti dall’Unione Europea; per la precisione secondo l’art. 1 del d. lgs. 38\2005  per “principi contabili  internazionali si   intendono   i   principi   contabili internazionali e le  relative  interpretazioni  adottati  secondo  la procedura di cui all'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002”. Non tutte le società sono però tenute a redigere il bilancio secondo i detti principi, ma solo quelle indicate dall’art. 2 del citato decreto legislativo, le altre dovranno redigere il bilancio secondo le regole previste dal codice civile, ma potranno anche scegliere di redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali, sempre che la legge non escluda tale possibilità. Ricordiamo tra le società che devono redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali, le società emittenti strumenti  finanziari ammessi alla negoziazione in mercati  regolamentati di qualsiasi Stato membro dell'Unione europea, le società aventi strumenti  finanziari diffusi tra il pubblico in maniera rilevante, banche e assicurazioni. Questo modo alternativo di redigere il bilancio è utile per armonizzare i criteri di valutazione a livello europeo. In questa sede ci occuperemo del bilancio così come regolato dal codice civile nei suoi aspetti giuridici del bilancio e suoi principi.

Il bilancio, secondo il codice civile, è composto di almeno tre elementi, e ,infatti, l’art. 2423 al primo comma dispone che:

“Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa”.

Il bilancio di esercizio si redige ogni anno, che appunto equivale a un esercizio, in genere dal 1° gennaio al 31 dicembre,  ma nulla vieta che l’anno sia calcolato in maniera diversa.

Lo stato patrimoniale indica la situazione patrimoniale della società nel suo aspetto statico cioè analizza il patrimonio sociale, lo “fotografa” nelle attività e passività. Il conto economico registra, sempre nell’esercizio considerato, i costi e i ricavi sopportati o conseguiti dalla società, quindi verifica, come si dice, l’aspetto dinamico della vita economica della società,  l’aspetto dinamico del bilancio.

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Aspetto statico e dinamico, possono sembrare parole senza senso, volendo, e di molto, semplificare, possiamo dire che lo stato patrimoniale risponde a una domanda dei soci del tipo: quanto abbiamo? Il conto economico, invece, alla domanda: com’è andata quest’anno? Ci potrebbe essere anche una risposta del tipo, quest’anno è andata male, ma il patrimonio è solido.

La nota integrativa, redatta dagli amministratori, serve a illustrare e specificare le voci dello stato patrimoniale e del conto economico. Sempre l’art. 2423 indica i principi che devono seguire gli amministratori nella redazione del bilancio; vediamo cosa dice il secondo comma del 2423:

“Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio”

Isoliamo, quindi, i principi fondamentali di redazione del bilancio:

Chiarezza;Correttezza;Rappresentazione veritiera.

Ora è semplice osservare che se gli amministratori seguono le regole previste dal codice per la redazione del bilancio, è logico ritenere che il documento sarà chiaro, corretto e veritiero. Qui interviene ancor il codice civile, che con una regola rara a trovarsi, stabilisce che (art. 2423 comma 3):

“Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo”

Si tratta di una disposizione davvero interessante, e come se dicesse agli amministratori che potrebbe non bastare seguire le regole legali per redigere correttamente il bilancio, ma è anche necessario un ulteriore sforzo; in altre parole è come se il bisogno di verità e correttezza integri la specifica disposizione di legge attraverso un criterio fornito dalla logica e dall’esperienza.Ma ancora più interessante è la disposizione del quarto comma dell’art. 2423:

” Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato”

Si tratta di una disposizione che permette al principio di prevalere sulla norma specifica, insomma la norma generale (correttezza e verità), prevale, nella sua applicazione alla

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norma specifica, non sempre però, ma solo in casi eccezionali.  Insomma una “disapplicazione” da parte degli amministratori della norma speciale perché non permette di fornire una rappresentazione veritiera e corretta.Il bilancio deve poi essere redatto in maniera chiara, e qui dovrebbe bastare seguire la struttura indicata nel codice civile, ulteriormente precisata nella nota integrativa.

Accanto a questi principi generali se ne aggiungono altri, indicati dall’art. 2423 bis, secondo i quali il bilancio deve essere redatto secondo i seguenti principi, che spesso non sono altro che la specificazione dei tre principi fondamentali già visti in precedenza.

1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell'attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato;2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio;3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento;4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;5) gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente;6) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro e le deroghe sono consentite solo in casi eccezionali; in tal caso La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.

Possiamo quindi, dalla lettura dell’art. 2423 bis individuare questi altri principi:

Quello della prudenza, (n.1) nella prospettiva della continuazione dell’attività; si vuole evitare che si indichino utili non effettivamente conseguiti; vi è poi il principio della competenza ( n. 3 e 4); in altre parole nella redazione del bilancio devono essere indicate le entrate e uscite  relative all’esercizio considerato, indipendentemente dal momento in cui vi sia stato l’incasso o il pagamento; il bilancio è quindi di competenza e non di cassa. Altro principio è quello della continuità (n.6), e come specificazione del principio di chiarezza c’è il n. 5.

I principi di redazione del bilancio possono quindi essere così riassunti:

Chiarezza; Correttezza; Rappresentazione veritiera; Prudenza; Competenza; Continuità. Stato patrimoniale conto economico e nota integrativa

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I titoli di credito in generale

definizione sono mezzi attraverso i quali si trasferiscono i crediti come beni mobili senza seguire le regole della cessione del credito

Con i titoli di credito si rende veloce e sicura la circolazione della ricchezza permettendo il trasferimento del credito relativo ad una somma di denaro (o ad altri beni) senza incorrere nei rischi e nelle lentezze che si avrebbero usando il contratto di cessione del credito.

Vediamo, quindi, attraverso l'analisi dei titoli di credito come si è giunti a tale risultato:

contenuto del titolo promessa unilaterale di pagamento o ordine di pagamento di una somma di denaro

caratteristiche del titolo di credito

modo di circolazione secondo il tipo di titolo al portatore

all'ordine

nominativi

Nel caso di smarrimento o sottrazione di titoli di credito all'ordine o nominativi è necessario seguire una procedura di ammortamento, per cercare di recuperare il credito rappresentato nel titolo. 

Incorporazione

incorporazione

legittimazione

letteralità

autonomia

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Abbiamo detto che i titoli di credito circolano come i beni mobili;a questo risultato si è giunti attraverso un artifizio, quello di considerare contenuto nel titolo il diritto di credito.

si parla, allora, di incorporazione del diritto nel titolo

Documento e diritto quasi si identificano, divengono unica cosa, tanto che la distruzione o lo smarrimento del documento portano alla perdita del diritto in esso contenuto, a meno di non dover usare la difficile ed insicura procedura di ammortamento.

Legittimazione

I titoli di credito circolano come i beni mobili. Per il trasferimento dei beni mobili è, di regola, necessario il semplice consenso seguito dalla consegna del bene.Anche i titoli di credito sono trasferiti nella stessa maniera, cioè con la consegna del bene.Basterà, quindi, il possesso del titolo per essere legittimato ai diritti in esso contenuti, per divenire "portatore legittimo". In verità non i tutti casi basta il possesso del titolo per essere considerato portatore legittimo. Nei titoli nominativi è anche necessario riportare il nome del legittimato sul titolo e sui registri dell'emittente, ma, in ogni caso è sempre necessario il possesso  del titolo a cui potranno aggiungersi, di volta in volta, nuovi elementi, come l'intestazione del possessore, l'ordine di pagamento etc.

Letteralità

Se titolo e diritto sono la stessa cosa, è anche vero che il titolo deve possedere in sé tutte le caratteristiche che permettono di riconoscere esattamente il contenuto di quel diritto, la prestazione dovuta dal debitore.

si parla di letteralità nel senso che il debitore deve adempiere in conformità a quanto è indicato nel titolo non essendogli consentito di riferirsi ad altri rapporti non menzionati nel titolo né al creditore di pretendere qualcosa di diverso rispetto a ciò che dal risulta dal titolo

Autonomia

Tratto fondamentale dei titoli di credito è la rapidità e sicurezza della circolazione dei crediti incorporati. Ciò vuole anche dire che il terzo possessore legittimo del titolo, nel momento in cui andrà a riscuotere la somma dovuta, non si potrà vedere opposte dal debitore le eccezioni relative ai rapporti con gli altri creditori.Se, ad esempio, il debitore ha emesso una cambiale per pagare una partita di merce a favore del venditore e quest'ultimo ha trasferito il titolo ad un terzo, il debitore non potrà evitare di pagargli la cambiale  asserendo di non aver ricevuto ancora la merce.

si parla di autonomia per indicare l'indipendenza del diritto del portatore legittimo rispetto a quelli degli altri creditori che gli hanno trasferito il titolo

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Questa è una conseguenza della "mobilizzazione" del credito, ma non l'unica, perché l'autonomia del diritto del possessore può spingersi sino al punto che, se anche il titolo fosse stato sottratto, il possessore potrebbe sempre esercitare il suo diritto a patto di aver ricevuto il possesso del titolo in buona fede, senza sapere,cioè, della sottrazione del titolo.È questa un'applicazione della regola prevista per i beni mobili secondo cui:" il possesso in buona fede vale titolo" espressamente richiamata dall'art. 1994 c.c. in tema di titoli di credito.

Al portatore

secondo l'art.2003 codice civile:

Il trasferimento del titolo al portatore si opera con la consegna del titolo. Il possessore del titolo al portatore è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato in base alla presentazione del titolo.

È il modo più semplice per trasferire il titolo perché basta la semplice consegna per trasferire anche il diritto di credito in esso contenuto. Nei titoli al portatore l'identificazione con i beni mobili trova la sua piena realizzazione, tanto che il deterioramento, la distruzione o sottrazione del titolo comporta quasi la perdita del diritto,come avviene nel caso dei beni mobili. Vediamo,nel dettaglio, le tre ipotesi:

titolo deterioratoart. 2005 c.c.

è possibile ottenerne la sostituzione dallo emittente ma solo quando sia sicuramente identificabile ma non più idoneo alla circolazione

titolo smarrito o sottrattoart.2006 c.c.

non è ammesso l'ammortamento dei titoli al portatore smarriti o sottratti; si può solo ottenere la prestazione dall'emittente dopo che si è fornita la prova della sottrazione e decorso il termine di prescrizione del titolo

distruzione del titoloart.2007 c.c.

si può chiedere all'emittente il rilascio di unduplicato o di un titolo equivalente solo dopo averne provata la distruzione

All'ordine

nel titolo all'ordine, oltre la consegna del titolo, è necessaria la girata scritta sul titolo. Questa si concretizza in un ordine che il vecchio  possessore del titolo (girante) rivolge al debitore di pagare al nuovo creditore (giratario) al quale ha trasferito il possesso

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Il titolo all'ordine circola,dunque, grazie anche alla alla girata.

Ovviamente il giratario che ha ricevuto il titolo, può a sua volta girarlo ad un altro soggetto e quest'ultimo può compiere la stessa operazione. Il debitore dovrà pagare all'ultimo giratario che, però, risulti tale da una serie continua di girate.La situazione può aversi in questi termini:il girante scrive sul titolo questa dichiarazione:"e per me pagate a Mevio" segue la firma del girante;oppure c'è solo la firma del girante, mentre il giratario provvederà ad aggiungere il suo nome al momento della riscossione del credito.

Della girata parleremo diffusamente quando tratteremo della cambiale.

Nominativi

Secondo l'art. 2021 c.c.

il possessore di un titolo nominativo è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato per effetto dell'intestazione a suo favore contenuta nel titolo e nel registro dell'emittente

Il titolo nominativo è quello che conosce diversi modi di circolazione; vediamoli:

doppia intestazioneart. 2021 c.c.

sul titolo bisogna indicare sul titolo e sui registri dell'emittente il nome del nuovo legittimato

emissione di un nuovo titolo art. 2022 c.c.

si rilascia un nuovo titolo intestato al nuovo titolare. Del rilascio deve essere fatta annotazione nel registro; questa  operazione è detta transfer

girata art. 2024 c.c.

il titolo  può essere trasferito anche mediante girata  autenticata da un notaio o da un agente di cambio: il nome dell'ultimo giratario dovrà poi essere annotato nei registri dell'emittente

Cambiale

definizione

è un titolo di credito all'ordine ed  astratto che attribuisce al possessore legittimo il diritto di farsi pagare dall'autore del titolo o da colui che ha ricevuto l'ordine dall'autore del titolo una somma determinata alla scadenza e nel luogo indicati

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La cambiale è prevista e regolata nel r.d. del 14 dicembre 1933 n. 1669, comunemente detta"legge cambiaria".

Vediamone le caratteristiche fondamentali:

titolo astrattonella cambiale non risulta il rapporto tra autore del titolo (emittente) e primo prenditore della cambiale,non risulta "il perché" dell'emissione

titolo formale la cambiale per valere come tale deve rispondere a determinati requisiti previsti dalla legge

titolo all'ordine normalmente circola secondo le regole previste per i titoli all'ordine

titolo esecutivo se regolarmente bollato sin dall'origine può far iniziare un processo esecutivo

Vediamo, ora, quali sono i tipi di cambiale e i motivi che spingono le parti ad obbligarsi. 

Cominciamo dal primo tipo di cambiale, il "pagherò"

vaglia cambiario o cambiale propria o pagherò

l'autore del titolo (emittente) si obbliga a pagare incondizionatamente al possessore del titolo una somma di denaro ad un determinata scadenza

rapporto di valuta

è quello che intercorre tra emittente e primo prenditore della cambiale che giustifica l'emissione della cambiale (es. mutuo)

 Più complessa è, invece, la struttura del secondo tipo, la tratta:

cambiale trattavi sono tre soggetti: autore del titolo (traente) ordina ad un altra persona (trattario) di pagare in maniera incondizionata una somma di denaro in favore di un altro soggetto (primo prenditore o  beneficiario)

rapporto di valuta

è quello che intercorre tra traente (emittente) e primo prenditore della cambiale che giustifica l'emissione della cambiale (es. mutuo)

rapporto di provvista

è quello che intercorre tra traente e trattario che permette al traente di ordinare al trattario il pagamento della somma al prenditore (es. il trattario è debitore del traente)

La legge cambiaria si occupa principalmente della cambiale tratta le cui regole sono applicabili al vaglia cambiario se non espressamente derogate dalle poche norme ad esso dedicate.

Cambiale in bianco

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definizione

si ha cambiale in bianco quando al momento dell'emissione del titolo sono presenti almeno la firma dell'emittente o del traente e la denominazione di cambiale , mentre possono mancare gli altri elementi essenziali che verranno aggiunti quando verrà presentato il titolo per il pagamento

Parlando del contenuto della cambiale abbiamo visto quali sono gli elementi indispensabili per essere considerata tale. Tuttavia tali elementi devono sussistere quando il titolo è presentato per il pagamento. Di conseguenza è possibile emettere una cambiale priva di alcuni requisiti essenziali,la cambiale in bianco.

La cambiale in bianco è di solito emessa perché è necessario stabilire successivamente gli altri elementi del titolo. Il negozio tra emittente e prenditore relativo al riempimento della cambiale prende il nome di "convenzione di riempimento", vediamone le caratteristiche:

convenzione diriempimento

il riempimento deve avvenire nel termine di tre anni dal giorno di emissione della cambialela decadenza non è opponibile al portatore di buona fede, al quale il titolo sia pervenuto già completonon è possibile riempire il titolo in difformità degli accordi, ma questi non possono essere opposti al portatore che abbia acquistato la cambiale in buona fede e senza colpa grave

 

Girata(propria-impropria)

definizione

è un ordine che il girante rivolge al debitore di pagare la somma indicata al nuovo creditore (giratario) a cui ha trasferito il possesso

Essendo la cambiale un titolo all'ordine  circola mediante girata, a meno che il traente abbia inserito nella cambiale le parole "non all'ordine" o un'espressione equivalente. In tal caso il titolo è trasferibile solo nella forma e con gli effetti di una cessione ordinaria del credito;La funzione della girata è duplice, vediamola:

trasferimentocon la girata si trasferisce il diritto di credito contenuto nel titolo

garanziail girante diviene obbligato cambiario di regresso

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Quando la girata produce i suddetti effetti si dice "propria" che, a sua volta, può essere distinta in:

girata piena

la girata è espressa con la formula" e per me pagate a ...", segue la firma del girante

girata in biancosul titolo c'è solo la firma del girante;

Secondo l'art. 20 l.c. :"Il detentore della cambiale è considerato portatore legittimo se giustifica il suo diritto con una serie continua di girate" escluso il caso della girata in bianco.

Consideriamo, ora, il contenuto e la forma della girata:

contenuto

la girata deve essere incondizionata. Qualsiasi condizione alla quale sia subordinata si ha per non scritta

la girata parziale è nulla

la girata al portatore vale come girata in bianco

 

forma

deve essere scritta sulla cambiale o su un foglio ad essa attaccato (allungamento)

deve essere sottoscritta dal girante

può essere apposta sulla faccia anteriore o a tergo del titolo, ma se è in bianco deve essere scritta a tergo o sull'allungamento

Anche in questo caso vale il principio dell'autonomia, ulteriormente puntualizzato nell'art. 21 l.c.

Se la girata non produce tutti gli effetti suoi tipici, si dice " impropria" e contiene le seguenti clausole:

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per procura per incasso o espressione equivalente

in tal caso il giratario non acquista la proprietà del titolo, ma incassa la cambiale in nome e per conto del girante. Non può girarla.

valuta in garanziavaluta in pegno

il giratario diviene creditore pignoratizio sulla cambiale; non può girarla (salvo che per procura) ma può esercitare tutti i diritti relativi al titolo ed a lui non possono essere opposte eccezioni fondate sui rapporti degli obbligati con il girante


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