Diritto Romano I
(A-L)
( Persone) Gai. 1,9
9. Et quidem summa divisio de iure personarumhaec est, quod homines aut liberi sunt aut servi.
9. La partizione principale del diritto
delle persone è questa: che tutti gli
uomini sono liberi o sono servi.
(nascita) D. 1,5,14 (Paulus libro quarto sententiarum)
14. Non sunt liberi, qui contra formam
humani generis converso more
procreantur: veluti si mulier
monstrosum aliquid aut prodigio sum
enixa sit. Partus autem, qui
membrorum humanorum officia
ampliavit, aliquatenus videtur effectus et
ideo inter liberos connumerabitur.
14. Non sono figli coloro che, al
contrario di quanto è solito, sono
procreati con sembianza non conforme
a quella del genere umano, come nel
caso in cui una donna abbia partorito
un essere mostruoso o del tutto
anormale. Invece, il nato che abbia
membra umane, ma con funzioni
alterate, in qualche misura è considerato
compiuto e quindi verrà annoverato tra
i figli.
(nascita) D. 28,2,12pr.-1 (Ulpianus libro nono ad Sabinum)
pr. Quo dicitur filium natumrumpere testamentum, natumaccipe et si exsecto ventre editus sit: nam et hic rumpittestamentum, scilicet si nascatur in potestate.1. Quid tamen, si non integrum animal editum sit, cum spiritu tamen, an adhuctestamentum rumpat? Ettamen rumpit.
pr. Quando si dice che un figlio nato
rende nullo il testamento, per nato si
intende anche quello che sia venuto
alla luce mediante il taglio del ventre;
infatti anche questo rende nullo il
testamento, purché nasca nella
potestà del padre.
1. Che cosa invece si stabilirà, quando
sia venuto alla luce un essere animato
non integro, ma con uno spirito?
Anche questi annullerà il testamento.
(nascita) XII Tav. 4,1
…necatus… ex XII tabulisinsignis ad deformitatem puer…(Cic., leg. 3,8,19)
…ucciso… come riferiscono le
XII tab. rispetto al figlio
deforme…
(nascita) Cic, orat. 1,180 [I]
[180] Quid vero? Clarissima M'. Curi causa Marcique Coponinuper apud centumviros quo concursu hominum, qua exspectatione defensa est? Cum Q. Scaevola, aequalis et conlegameus, Homo omnium et disciplina iuris civilis eruditissimus etingenio prudentiaque acutissimuset oratione maxime limatus atquesubtilis atque, ut ego soleo dicere, iuris peritorum eloquentissimus, eloquentium iuris peritissimus, ex scripto testamentorum iuradefenderet negaretque, nisipostumus et natus et, ante quamin suam tutelam veniret, mortuusesset, heredem eum esse posse, qui esset secundum postumum etnatum et mortuum heres
Che dire poi della famosissima causa di Manio
Curio e di Marco Coponio, che è stata
recentemente discussa davanti al collegio dei
centumviri? Davanti a quanta gente si svolse il
dibattimento, quale interesse essa suscitò! Q.
Scevola, mio coetaneo e collega, il più dotto tra
tutti nella conoscenza del diritto civile, d’ingegno e
accorgimento acutissimi, uomo di un’eloquenza
elegantissima e precisa e, come soglio spesso dire, il
più eloquente tra tutti i conoscitori del diritto e il
più dotto conoscitore di diritto tra tutti gli oratori,
sostenendo il diritto testamentario, che interpretava
alla lettera, affermava che un uomo erede al posto
di un figlio postumo nato e poi morto prima di
uscire di tutela, non ha diritto a tale eredità, se il
figlio postumo sia nato e quindi non sia morto.
(nascita) Cic, orat. 1,180 [II]
Ego autem defenderemeum hac tum mente fuisse, qui testamentumfecisset, ut, si filius non esset, qui in suam tutelamveniret, M. Curius essetheres, num destitituterque nostrum in eacausa in auctoritatibus, in exemplis, in testamentorum formulis, hoc est, in medio iure civili versari?
Io invece sostenevo che la volontà del
testatore era stata questa, che qualora non
avesse avuto un figlio che fosse vissuto fino a
uscire di tutela, i suoi beni andassero a Manio
Curio. Forse che entrambi in quella causa ci
stancammo di addurre pareri espressi da altri
giureconsulti, di ricordare casi analoghi, di
ricorrere alla forma solenne dei testamenti; in
altre parole di rimestare tutto il diritto civile?
(nascita) Causa Curiana: Cic., orat. 1,180
Testatore: 1 nomina erede il concepito;
2 subentra Manio Curio se il concepito
muore prima della maggiore età.
Concepito nasce morto.
Curio chiede l’eredità.
Marco Cuponio (parente prossimo del
testatore) si oppone a Curio, perché
chiede la successione legittima.
Avv. Lucio Licinio CRASSO (che vince)
sostiene che il testatore aveva espresso
la volontà che diventasse erede Curio se
il figlio fosse morte prima della
maggiore età.
L’IPOTESI DELLA NASCITA NON
AVVENUTA E’ EQUIPARATA ALLA
MORTE PRIMA DELLA MAGGIORE
ETA’.
Avv. Quinto Mucio Scevola (che prevale
in dottrina) sostiene che il concepito è
nato morto quindi, stando alla lettera del
testamento, non diventa 1° erede.
Pertanto, non può subentrargli il 2°erede (Curio).
IL CONCEPITO NON E’ PERSONA
(D. 1,5,7 Paolo: … quanquam aliiantequam nascatur nequaquam prosit = …sebbene, prima che nasca, non comporta vantaggi per gli altri in nessun modo).
(morte) D. 34,5,18(19)pr. (Marcianus libro tertio regularum)
pr. …in quibus casibus, si pariter decesserit necappareat quis spiritumemisit, non videtur alter alteri supervixisse.
pr. … in questi casi, se siano morti insieme
e non risulti chi per primo abbia cessato di
vivere, allora si considera che nessuno di
loro sia vissuto più a lungo degli altri.
Schiavitù e sue modifiche: Gai. 1,52-53
52. In potestate itaque suntservi dominorum. Quaequidem potestas iuris gentiumest; nam apud omnes peraequegentes animadverterepossumus dominis in servosvitae necisque potestatem esse; et quodcumque per servumadquiritur, id domino adquiritur.53. Sed hoc tempore nequecivibus Romanis nec ullis aliishominibus, qui sub imperio populi Romani sunt, licet supra modum et sine causa in servos suos saevire;
52. Pertanto i servi sono in potestà dei
padroni. Questa potestà è di diritto delle genti:
infatti presso tutti le genti ugualmente
possiamo notare che i padroni hanno sui servi
potere di vita e di morte; e tutto ciò che
attraverso il servo si acquista, si acquista al
padrone.
53. Ma al giorno d’oggi, né ai cittadini romani,
né ad alcun altro uomo che sia sotto l’imperio
del popolo romano, è lecito infierire oltre
misura e senza motivo contro i propri servi;
Schiavitù e sue modifiche: Gai. 1,52-53 (… continua)
nam ex constitutioneimperatoris Antonini qui sinecausa servum suum occiderit, non minus teneri iubetur, quam qui alienum servumocciderit. Sed et maior quoqueasperitas dominorum per eiusdem principisconstitutionem coercetur; namconsultus a quibusdampraesidibus provinciarum de his servis, qui ad fana deorumvel ad statuas principumconfugiunt, parecepit, ut si intolerabilis videaturdominorum saevitia, coganturservos suos vendere.
infatti da una costituzione dell’imperatore
Antonino (138-161 d.C.) è stabilito che chi
abbia senza motivo ucciso il proprio servo ne
risponda non meno di chi abbia ucciso il
servo altrui. Ma anche l’eccessiva durezza dei
padroni da una costituzione dello stesso
principe è repressa: invero, consultato da
alcuni presidi delle province in merito a quei
servi che si rifugiano nei templi degli dei o
presso le statue dei principi, ordinò che, se la
crudeltà dei padroni appaia intollerabile, essi
siano costretti a vendere i propri servi.
Iura patronatus: D. 25,3,5,20 (Ulpianus libro secundo de officio proconsulis)
20. Utrum autem tantum patroni alendi sint an etiam
patronorum liberi, tractari
potest. Et puto causa cognita iudices et liberos
quoque patronorumalendos decernere, non
quidem tam facile utpatronos, sed nonumquam
et ipsos: nam et
obsequium non solumpatronis, verum etiam
liberis eorum deberipraestari.
20. Può poi trattarsi se gli alimenti debbansi solo ai patroni o anche ai figli dei patroni. Credo che i giudici, attraverso cognizioni, decideranno se estendere gli alimenti anche ai figli dei patroni; la qualcosa avviene non con la stessa facilità con la quale si realizza verso i patroni. Giacché l’ossequio si porta non solo verso i patroni, ma anche verso i loro figli.
Patronatus: D. 37,14,5,1 (Marcianus libro tertio decimo institutionum)
1. Imperatoris nostri rescripto cavetur, ut, si
patronus libertum suum
non aluerit, ius patroni perdat.
1. In un rescritto del nostro imperatore (Alessandro Severo) è stabilito che se il patrono non alimenterà il proprio liberto, perda il potere del patrono.
Promissio iurata liberti: D. 40,12,44pr. (Venuleius libro septimo actionum)
Pr. Licet dubitatum antea fuit, utrum servus dumtax anlibertus iurando patrono obligaretur in his quae libertatiscausa imponuntur, tamenverius est non aliter quamliberum obligari. Ideo autemsolet iusiurandum a servisexigere, ut hi religione adstricti, posteaquam suae potestatisesse coepissent, iurandinecessitatem haberent, dummodo in continenti, cummanumissus est, aut iuret aut promittat.
Pr. Sebbene in un tempo anteriore si sia dubitato se il servo o il liberto fosse obbligato con giuramento nei confronti del patrono alle prestazioni che sono imposte per l’acquisto della libertà, tuttavia è più vero che nessun altro sia obbligato, se non la persona libera. Perciò si suole richiedere un giuramento agli schiavi affinché, essendo vincolati dalla religione, sia per loro necessario giurare, dopo che hanno cominciato ad essere liberi, purché appena dopo la manumissione il liberto o giuri o prometta.
Promissio iurata liberti: Gai. 3,96
96. Item uno loquente - …(3)… -haec sola causa est, ex qua
iureiurando contrahitur obligatio.
Sane ex alia nulla causa iureiurando homines obligantur,
utique cum quaeritur de iure Romanorum.
96. Pure parlando uno solo …questo è il solo caso in cui si contragga obbligazione giurando. In nessun altro modo gli uomini si obbligano giurando, perlomeno se ci se lo chiede per diritto romano.
Promissio iurata liberti: Epitome Gai. 2,9,4 (V sec. d.C.)
4. Item et alio casu, uno loquente et sine
interrogatione alii
promittente, contrahiturobligatio, id est, si libertus
patrono aut donum aut munus aut operas se
daturum esse iuravit. In qua re supradicti liberti
non tam verborum
solemnitate, quamiurisiurandi religione
tenentur.
4. Anche in un altro caso (quello di cui ha già parlato èla dotis dictio), analogamente, si contrae obbligazione parlando uno solo che promette ad altri senza domanda, cioè se il liberto giurò al patrono che avrebbe fatto un dono, o un servizio, o del lavoro. In questo caso gli indicati liberti sono tenuti, non tanto per la solennità delle parole, quanto per il sacro vincolo del giuramento.
Rappresentanza
Art. 1387 C.C.Il potere di rappresentanza è conferito dalla legge ovvero dall’interessato.
Art. 1388 C.C.Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.
Gai. 2,95: … et hoc est quod vulgo
dicitur per extraneam personam nobis
adquiri non posse.
D. 44,7,11 (Paulus libro duodecimo ad
Sabinum): … et ideo neque stipulari
neque emere vendere contrahere, ut
alter suo nomine recte agat,
possumus.
2,95: … ed è quello che comunemente si dice: non potersi da noi acquistare per mezzo di un estraneo.11. … e pertanto non si può assumere un’obbligazione, ne acquistare, vendere, contrarre, come se un altro agisca rettamente in suo nome.
17
Rappresentanza: D. 14,3,1 (Ulpianus libro vicensimo octavo ad edictum)
1. Aequum praetori visum est, sicut commoda sentimus ex
actu institorum, ita etiam
obligari nos ex contractibusipsorum et conveniri.
1. Sembrò giusto al pretore che dal momento che ricaviamo vantaggi dall’atto degli institori, così dai negozi degli stessi noi siamo obbligati e convenuti.
Rappresentanza: Gai.4,70
Inprimis itaque si iussupatris dominive negotium
gestum erit, in solidum
praetor actionem in patremdominumve conparavit; et
recte, quia qui ita negotiumgerit, magis patris dominive
quam filii servive fidemsequi.
In primo luogo, dunque, se l’affare sia stato trattato col benestare del padre o del padrone, il pretore ha dato l’azione per l’intero contro il padre o il padrone; e giustamente, perché colui che compie un tale negozio, più che sul figlio o sul servo fa affidamento sul padre o sul padrone.
Rappresentanza: Gai.4,71
Eadem ratione conparavit duas alias actiones, exercitoriam etinstitoriam. Tunc autem exercitorialocum habet, cum pater dominusvefilium servumve magistrum navipraeposuerit, et quid cum eo eius rei gratia cui praepositus fuerit gestumerit. Cum enim ea quoque res ex voluntate patris dominive contrahivideatur, aequissimum esse visumest in solidum actionem in eum dari. Quin etiam, licet extraneum quisquemagistrum navi praeposuerit siveservum sive liberum, tamen eapraetoria actio in eum redditur. Ideo autem exercitoria actio appellatur, quia exercitor vocatur is, ad quemcottidianus navis quaestus pervenit. Institoria vero formula…
Per la stessa ragione <il pretore> introdusse altre due azioni, l’esercitoria e l’institoria. La prima ha luogo quando il padre o il padrone abbia preposto il figlio o il servo ad una nave come capitano, e qualcosa sia stato trattato con costui in rapporto con la sua preposizione. Poiché invero l’affare risulta contratto anche per volontà del padre o del padrone, è sembrato piùche equo che fosse data azione per l’intero contro di lui. Che anzi, pur se uno abbia, come capitano, preposta alla nave un estraneo, sia servo, sia libero, quell’azione pretoria contro di lui è data. L’azione poi si chiama esercitoria, perché esercente è chiamato colui al quale perviene il giornaliero guadagno della nave. La formula institoria…
Rappresentanza: actio institoria
Caius Aquilius iudex esto. Quod Aulus
Agerius de Lucio Titio, cum is a
Numedio Negidio tabernae instructae
praepositus esset, decem pondo olei
emit, cui rei Lucius Titius a Numedio
Negidio ibi praepositus erat, qua de re
agitur, quidquid ob eam rem Lucium
Titium Aulo Agerio dare facere oportet
ex fide bona, eius iudex Numedium
Negidium Aulo Agerio condemnato, si
non paret absolvito.
Gaio Aquilio sia giudice. Poiché A.A.ha comperato da L.T., che è stato preposto da N.N. alla gestione della bottega, dieci quantità di olio, affare al quale L.T. era stato ivi preposto da N.N., per tale causa, il giudice condanni N.N. a favore di A.A. all’equivalente (in denaro) di ciò che L.T. deve dare o fare in base a ciò ad A.A. secondo buona fede; se non risulta, lo assolva.
Donna e diritto ereditario: Gai. 2,226
226. Ideo postea lata est lexVoconia, qua cautum est, ne cui plus legatorum nomine mortisvecausa capere liceret, quamheredes caperent. Ex qua legeplane quidem aliquid utiqueheredes habere videbantur; sedtamen fere vitium simile nascebatur; nam in multaslegatoriorum personas distributopatrimonio poterat testator adeoheredi minimum relinquere, utnon expediret heredi huius lucri gratia totius hereditatis onera sustinere.
226. Perciò fu poi emanata la legge Voconia (169 a.C.), con cui fu disposto che non fosse consentito ad alcuno prendere a titolo di legato o a causa di morte più di quello che prendessero gli eredi. In base a questa legge, certo, gli eredi risultavano avere almeno qualche cosa; ma ne nasceva tuttavia un inconveniente pressappoco simile: infatti distribuendo il patrimonio fra molti legatari, il testatore poteva lasciare all’erede un minimo tale, che non gli convenisse, per il profitto relativo, sostenere gli oneri di tutta l’eredità.
Donna e diritto ereditario: Gai. 2,274
274. Item mulier, quae ab eoqui centum milia aeris census
est per legem Voconiam heres
institui non potest, tamenfideicommisso relictam sibi
hereditatem capere potest.
274. Così la donna, che per la legge Voconia (169 a.C.) non può essere istituita erede da chi fu censito per un valore di centomila, può prendere tuttavia l’eredità a lei lasciata per fedecommesso.
Donna e diritto ereditario: Gai. 1,115a
115a. Olim etiam testamenti faciendi gratia fiduciaria fiebat
coemptio; tunc enim non aliter
feminae testamenti faciendi iushabebant, exceptis quibusdam
personis, quam si coemptionem fecissent
remancipataeque etmanumissae fuissent; sed
hanc necessitatem
coemptionis faciendae ex auctoritate divi Hadriani
senatus remisit…
115a. Un tempo si addiveniva alla coemptio fiduciaria anche per far testamento: allora, infatti, eccettuate alcune persone, le femmine non avevano diritto di fare testamento se non avessero fatto la coemptio, e fossero state rimancipate e manomesse; ma questa necessità di fare la coemptio, il Senato, per iniziativa del divo Adriano (117-138), l’ha tolta…
Donna e diritto ereditario: Gai. 2,118
118. Observandum praetereaest, ut si mulier quae in tutela
est faciat testamentum, tutore
auctore facere debeat; alioquin inutiliter iure civili
testabitur.
118. E’ poi da osservare che se faccia testamento la donna sotto tutela, lo deve fare con l’autorizzazione del tutore; altrimenti per diritto civile faràtestamento inutilmente.
Familia: D. 50,16,195,1-5 (Ulpianus libro quadragensimo sexto ad edictum)
1. ‘Familiae’ appellatio qualiter
accipiatur, videamus. Et quidem
varie accepta est: nam et in res et
in personas deducitur. In res, ut
puta in lege duodecim tabularum
his verbis ‘adgnatus proximus
familiam habeto’. Ad personas
autem refertur familiae significatio
ita, cum de patrono et liberto
loquitur lex: ‘ex ea familia’, inquit,
‘in eam familiam’: et hic de
singularibus personis legem loqui
constat.
2. Familiae appellatio refertur et ad
corporis cuiusdam significationem,
quod aut iure proprio ipsorum aut
communi universae cognationis
continetur.
1. Vediamo con quali significati sia inteso il termine ‘familia’. Esso ha varie accezioni: viene usato infatti sia in relazione alle cose, sia in relazioni alle persone. In relazioni alle cose, come per esempio nella Legge delle XII Tavole, con queste parole: “l’agnato più vicino acquisti il patrimonio familiare”. In relazione alle persone, il termine familia è impiegato quando la legge parla del patrono e del liberto: “da questa famiglia” – dice – “a questa famiglia; ed èevidente che la legge qui parla delle singole persone.2. La parola famiglia si riferisce anche alla designazione di un certo gruppo di individui, che è determinato o in base ad una condizione giuridica propria delle persone che lo compongono o in base al diritto comune derivante da un generale rapporto di parentela.
Familia: D. 50,16,195,1-5 (… continua)
Iure proprio familiam dicimus plures
personas, quae sunt sub unius
potestate aut natura aut iure
subiectae, ut puta patrem familias,
matrem familias, filium familias, filiam
familias quique deinceps vicem eorum
sequuntur, ut puta nepotes et neptes
et deinceps. Pater autem familias
appellatur, qui in domo dominium
habet, recteque hoc nomine
appellatur, quamvis filium non habeat:
non enim solam personam eius, sed et
ius demonstramus: denique etpupillum patrem familias appellamus.
Chiamiamo famiglia con una condizione giuridica propria la pluralità di persone che sono soggette alla potestà di una sola persona per natura o per diritto, come ad esempio il padre di famiglia, la madre di famiglia, il figlio di famiglia, la figlia di famiglia e quelli che di seguito sono destinati ad occupare il loro posto, come i nipoti e le nipoti, e così via. Si chiama poi padre di famiglia colui che ha il dominio nella casa e correttamente è cosìdenominato anche quando non abbia alcun figlio: infatti non indichiamo solo la sua condizione personale, ma anche la condizione giuridica; e poi chiamiamo padre di famiglia anche il pupillo.
Familia: D. 50,16,195,1-5 (… continua)
Et cum pater familias moritur,
quotquot capita ei subiecta fuerint,
singulas familias incipiunt habere:
singuli enim patrum familiarum nomen
subeunt. Idemque eveniet et in eo qui
emancipatus est: nam et hic sui iuris
effectus propriam familiam habet.
Communi iure familiam dicimus
omnium adgnatorum: nam etsi patre
familias mortuo singuli singulas
familias habent, tamen omnes, qui
sub unius potestate fuerunt, recte
eiusdem familiae appellabuntur, qui ex eadem domo et gente proditi sunt.
Quando muore un padre di famiglia, tutte le persone che furono a lui soggette cominciano ad avere ciascuno una propria famiglia: ciascuno assume il nome di pater familias; e lo stesso avverrà anche per colui che fu emancipato: anche questo infatti, divenuto sui
iuris, ha una propria famiglia. In base ad un diritto comune diciamo famiglia quella che comprende comunque tutti gli agnati; infatti, sebbene con la morte del padre di famiglia, ciascuno dei figli abbia una famiglia propria, tuttavia tutti coloro che furono sotto la potestà di una sola persona, correttamente si dirà che appartengono ad una medesima famiglia, poiché uscirono dalla medesima casa e gente.
Familia: D. 50,16,195,1-5 (… continua)
3. Servitutium quoque solemus
appellare familias, ut in edicto praetoris
ostendimus sub titulo de furtis, ubi
praetor loquitur de familia
publicanorum….
4. Item appellatur familia plurium
personarum, quae ab eiusdem ultimi
genitoris sanguine proficiscuntur (sicuti
dicimus familiam Iuliam), quasi a fonte
quodam memoriae.
5. Mulier autem familiae suae et caput et
finis est.
3. Siamo soliti anche chiamare famiglie i gruppi di servi, come abbiamo mostrato nell’editto del pretore sotto il titolo de furtis, dove il pretore parla della famiglia dei pubblicani…4. Ugualmente viene chiamata famiglia quella pluralità di persone che discendono dal sangue di uno stesso remoto genitore (cosìparliamo di famiglia Giulia), che è quasi la fonte di una memoria comune.5. La donna inoltre è principio e fine della propria famiglia.
Adrogatio: Gell. 5,19
9. Eius rogationis verba haec sunt:
‘velitis, iubeatis, uti L. Valerius L.
Titio tam iure legeque filius siet,
quam si ex eo patre matreque
familias eius natus esset, utique ei
vitae necisque in eum potestas siet,
uti patri endo filio est. Haec ita, uti
dixi, ita vos, Quirites, rogo’.
9. I termini di questa proposta sono i seguenti: “vogliate e ordinate che Lucio Valerio (adrogatus) divenga secondo diritto e per legge figlio di Lucio Tizio (adrogator), come se fosse entrato a far parte della famiglia avendo lo stesso padre e la stessa madre, e che il suo nuovo padre abbia su di lui diritto di vita e di morte quale padre e figlio. Che ciò avvenga come vi dissi, ve ne prego, o Romani”.
Conventio in manum: Gai. 1,109-111
109. Sed in potestate quidem et masculi
et feminae esse solent; in manum autem
feminae tantum conveniunt.
110. Olim itaque tribus modis in manum
conveniebant, usu farreo coemptione.
111. Usu in manum conveniebat quae
anno continuo nupta perseverabt; quia
enim veluti annua possessione
usucapiebatur, in familiam viri transibat
filiaeque locum optinebat. Itaque lege XII
tabularum cautum est, ut si qua nollet eo
modo in manum mariti convenire, ea
quotannis trinoctio abesset atque eo
modo usum cuiusque anni interrumperet.
Sed hoc totum ius partim legibus
sublatum est, partim ipsa desuetudine
oblitteratum est.
109. Mentre sogliono essere in potestà e maschi e femmine, in mano vengono solo le femmine.110. Un tempo venivano in mano in tre modi: per uso, per pane di farro, per compera.111. Per uso veniva in mano colei che rimaneva moglie per un anno ininterrotto: poiché infatti veniva usucapita come per annuo possesso, passava nella famiglia del marito e otteneva il luogo di figlia. Perciò dalla legge delle XII tavole fu stabilito che, se una non volesse in tal modo venire in mano del marito, ogni anno si allontanasse per tre notti, interrompendo così l’uso anno per anno. Ma tutto questo diritto, in parte è stato tolto di mezzo da alcune leggi, in parte dalla desuetudine.
Matrimonio: Gell., N.A. 4,4
Quid Servius Sulpicius in libro, qui est
de dotibus, scripserit de iure atque
more veterum sponsaliorum. 1.Sponsalia in ea parte Italiae, quae
Latium appellatur: 2. "Qui uxorem"
inquit "ducturus erat, ab eo, unde
ducenda erat, stipulabatur eam in
matrimonium datum ... iri; qui ducturus
erat, itidem spondebat. Is contractus
stipulationum sponsionumque
dicebatur "sponsalia". Tunc, quae
promissa erat, "sponsa" appellabatur,
qui spoponderat ducturum, "sponsus".
Sed si post eas stipulationis uxor non
dabatur aut non ducebatur, qui
stipulabatur, ex sponsu agebat.
Servio Supplicio descrisse nel suo libro ‘sulle doti’ gli sponsali, 1. che di solito si compievano secondo il costume e il diritto di quella parte dell’Italia denominata Lazio: 2. “Chi intendeva prendere moglie chiedeva a colui dal quale doveva riceverla di promettergli che ella gli sarebbe stata data in matrimonio; e contemporaneamente chi intendeva prendere moglie formulava una corrispondente promessa. Questo contratto, fatto di promesse date e ricevute era chiamato sponsalia. Allora, quella che era stata promessa era denominata sponsa e chi aveva promesso di prenderla sponsus. Ma se, dopo queste stipulazioni, la donna non veniva dato o presa in moglie , colui che si era fatto promettere agiva in via giudiziaria sulla base della sponsio.
Matrimonio: Gell., N.A. 4,4 (… continua)
Iudices cognoscebant. Iudex
quamobrem data acceptave non
esset uxor quaerebat. Si nihil
iustae causae videbatur, litem
pecunia aestimabat, quantique
interfuerat eam uxorem accipi
aut dari, eum, qui spoponderat,
ei qui stipulatus erat,
condemnabat." 3. Hoc ius
sponsaliorum observatum dicit
Servius ad id tempus, quo civitas
universo Latio lege Iulia data est.
I giudici svolgevano il loro accertamento. Il giudice chiedeva per quale ragione la donna non fosse stata data o accettata in matrimonio. Se non gli sembrava che vi fosse una giusta causa per l’inadempimento, stimava in termini pecunari l’oggetto della controversia e cioè quanto poteva valere il fatto, che fosse accettata o data come moglie e condannava il promittente a pagare tale somma al destinatario della promessa”. 3. Servio dice che questo regime giuridico degli sponsalia era osservato intorno all’epoca nella quale la cittadinanza romana con una lex Iulia fu data a tutti gli abitanti del Lazio.
Matrimonio: artt. 79; 80; 81 c.c.
79. Effetti: La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.
80. Restituzione dei doni: Il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto.La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno in cui s’è avuto il rifiuto di celebrare il matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti.
81. Risarcimento dei danni: La promessa di matrimonio fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata da una persona maggiore d’età o dal minore ammesso a contrarre matrimonio a norma dell’art. 84, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga il promittente che senza giusta motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa. Il danno è risarcito entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti.Lo stesso risarcimento è dovuto al promittente che con la propria colpa ha dato giusto motivo al rifiuto dell’altro.La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio.
Sponsalia: D. 23,1,11 (Iulianus l. 16 Digestorum)
Sponsalia sicut nuptiae consensu
contrahentium fiunt: et ideo sicut
nuptiis, ita sponsalibus filiam familias
consentire oportet:
Gli sponsali, così come le nozze, si concludono con il consenso dei contraenti; perciò occorre che la figlia in potestà acconsenta agli sponsali così come alle nozze:
Sponsalia: D. 23,1,12pr.-1 (Ulpianus l.singulari de
sponsalibus)
pr. sed quae patris voluntati non
repugnat, consentire intellegitur.
1. Tunc autem solum dissentiendi a patre
licentia filiae conceditur, si indignum
moribus vel turpem sponsum ei pater
eligat.
pr. ma la figlia, che non si oppone alla volontà del padre, si intende che acconsenta.1. E’ poi concessa alla figlia la facoltà di dissentire dal padre solo nel caso in cui egli le abbia scelto uno sposo indegno per costumi o abietto.
Sponsalia: D. 23,1,7 (Paulus l.35 ad edictum)
In sponsalibus etiam consensus eorum
exigendus est, quorum in nuptiis
desideratur. Intellegi tamen semper filiae
patrem consentire, nisi evidenter
dissentiat, Iulianus scribit.
1. Per gli sponsali, si deve esigere anche il consenso di coloro dei quali esso èrichiesto per le nozze. Scrive, tuttavia, Giuliano che si intende che il padre, ove non esprima in modo evidente il proprio dissenso acconsenta sempre per la figlia.
Straniero e cittadinanza: Cic., leg. 2,3-5
3. Marcus: “Quia, si verum dicimus,
haec est mea et huius fratris mei
germana patria; hic enim orti stirpe
antiquissima sumus, hic sacra, hic
genus, hic maiorum multa vestigia…”
5. Atticus: “…Arpinum, germanam
patriam esse vestram? Numquid duas
habetis patrias? An est una illa patria
communis?...
Marcus: “Ego mehercule et illi et
omnibus municipibus duas esse censeo
patrias, unam natu<rae, alte>ram
civitatis…habuit alteram loci patriam,
alteram iuris… Sed necesse est caritate
eam praestare, qua rei publicae nomen
universae civitatis est…dum illa sit
maior, haec in ea contineatur…”.
3. Marco: “Perché, a dire il vero, questa è la patria comune mia e di mio fratello; infatti traiamo l’origine di qui da un antichissimo ceppo, qui le tradizioni religiose, qui la stirpe, qui molte tracce dei nostri antenati…”5. Attico: “…Arpino, sarebbe la vostra naturale patria? Forse che ne avete due, di patrie? O quella sola [= Roma] è la patria comune?...”.Marco: “Per Ercole, io penso che tanto egli [= Catone] come tutti i municipali abbiano due patrie, una quella natu<rale, l’alt>ra quella giuridica…ebbe l’una come patria naturale, l’altra di diritto… Ma è necessario amare specialmente quella in grazia della quale il nome dello Stato è comune a tutti i cittadini…pur essendo maggiore di essa quell’altra, e questa sia compresa in quell’altra…”.
Straniero: Varr., l.l. 5,3
…et multa verba aliud nunc
ostendunt, aliud ante significabant,
ut hostis: nam tum eo verbo
dicebant peregrinum quis suis
legibus uteretur, nunc dicunt eum
quem tum dicebant perduellem.
… e molte parole hanno oggi un significato diverso da quello che avevano un tempo, come nel caso di hostis: infatti, con questo termine in antico si indicava lo straniero soggetto al diritto del suo paese; ora con questa parola viene chiamato quello che allora dicevano perduellis
(nemico di guerra).
Straniero: Cic., off. 1,37
Equidem etiam illud animadverto,
quod, qui proprio nomine
perduellis esset, is hostis
vacaretur, lenitate verbi rei
tristitiam mitigatam. Hostis enim
apud maiores nostros is
dicebatur, quem nunc
peregrinum dicimus. Indicant
duodecim tabulae: ‘aut status dies
cum hoste’ itemque ‘adversus
hostem aeterna auctoritas’. Quid
ad hanc mansuetudinem addi
potest, eum, quicum bellum
geras, tam molli nomine
appellare? Quanquam id nomen
durius effecit iam vetustas; a
peregrino enim recessit et
proprie in eo, qui arma contra
ferret, remansit.
Osserverei anche questo, che, col chiamare ‘forestiero’ colui che propriamente si denominerebbe ‘nemico di guerra’, s’intese mitigare con un eufemismo il tristo significato del termine. Dai nostri antenati dicevasi infatti ‘forestiero’ colui appunto che chiamiamo adesso ‘straniero’. Ne fanno testimonianza le dodici tavole: ‘O il giorno della comparsa con un forestiero’, e così pure ‘Nei confronti di un forestiero perpetuo diritto di azione’. Quale maggiore moderazione si potrebbe pretendere di questa, di chiamare cioè con un termine così attenuato colui con cui sei in guerra? Certamente il tempo ha reso piùaspra tale denominazione; receduta infatti dal significato di ‘forestiero’ si cristallizzò appropriatamente a proposito di colui che prenda le armi contro di noi.
Straniero: Tab.2,2
XII Tab. 2,2 (FIRA I p. 31) “…
morbus sonticus… aut status
dies cum hoste… quid horum fuit
[vitium] iudici arbitrove reove, eo
dies diffisus esto”.
… malattia grave… o il giorno della comparsa con un forestiero…qualunque cosa di questi fu vizio al giudice o all’arbitro o alla parte, il giorno sarà differito da quello.
Straniero: Tab. 6,4
XII Tab. 6,4 (FIRA I p. 44) “adversus
hostem aeterna auctoritas <esto>”.Verso lo straniero, la garanzia saràperpetua.
Fest., s.v. Status dies <cum hoste>, pp. 414-416L
Status dies <cum hoste> vocatur
qui iudici causa est constitutus cum
peregrino; eius enim generis ab
antiquis hostes appellabantur, quod
erant pari iure cum populo Romano,
atque hostire ponebatur pro
aequare. Plautus in Curculione: “…”
Il giorno della comparsa cum hoste èquando si è costituiti in giudizio contro uno straniero; al riguardo infatti, gli antichi usavano il termine ‘hostes’, godendo essi dello stesso diritto del popolo romano, tant’è che il verbo ‘hostire’ si usava al posto di aequare (=‘parificare’). Plauto nella commedia Curculione scrive: “…”.
Processo: Gai. 4,11 (legis actiones)
11. Actiones, quas in usu veteres
habuerunt, legis actiones
appellabantur vel ideo, quod legibus
proditae erant (quippe tunc edicta
praetoris, quibus conplures actiones
introductae sunt, nondum in usu
habebantur), vel ideo, quia ipsarum
legum verbis accommodatae erant et
ideo immutabiles proinde atque leges
observabantur. Unde eum, qui de
vitibus succisis ita egisset, ut in
actione vites niminaret, responsum est
rem perdidisse, cum debuisset
arbores nominare eo, quod lex XII
tabularum, ex qua de vitibus succisis
actio conpeteret, generaliter de
arboribus succisis loqueretur.
11. Le azioni, che gli antichi usavano, si chiavano azioni di legge, o perchéintrodotte da leggi (dato che a quel tempo gli editti del pretore, con i quali molte azioni sono state introdotte, ancora non usavano), o perchéadeguate alle parole delle leggi stesse e perciò custodite immutabili al pari di leggi. Onde a colui che, avendo agito per taglio di viti, avesse nominato le viti nell’azione fu risposto che aveva perso la causa, in quanto avrebbe dovuto far menzione di alberi, giacchéla legge delle XII Tavole, in base alla quale l’azione per taglio di viti competeva, parlava generalmente di alberi tagliati.
Gai. 4,16 (I)
Si in rem agebatur, mobilia quidem
et mouentia, quae modo in ius
adferri adduciue possent, in iure
uindicabantur ad hunc modum: qui
uindicabat, festucam tenebat;
deinde ipsam rem adprehendebat,
uelut hominem, et ita dicebat: HVNC
EGO HOMINEM EX IVRE
QVIRITIVM MEVM ESSE AIO
SECVNDVM SVAM CAVSAM;
SICVT DIXI, ECCE TIBI,
VINDICTAM INPOSVI, et simul
homini festucam inponebat.
aduersarius eadem similiter dicebat
et faciebat. cum uterque uindicasset,
praetor dicebat: MITTITE AMBO
HOMINEM, illi mittebant.
Se si agiva con azione reale, i mobili e i semoventi, solo che si potessero portare o condurre in tribunale, ivi si rivendicavano nel modo che segue: colui che rivendicava teneva una ‘bacchetta’, poi prendeva la cosa, ad esempio un uomo, e diceva così “QUEST’UOMO AFFERMO CHE È MIO PER DIRITTO DEI QUIRITI IN BASE AD UN GIUSTO TITOLO. CONSEGUENTEMENTE ECCO CHE TI HO MESSO LA VERGHETTA SOPRA”, e allo stesso tempo poneva la verghetta sull’uomo. L’avversario diceva e faceva analogamente le stesse cose. Dopo la rivendica di ciascuno dei due, il pretore diceva: “LASCIATE ENTRAMBE L’UOMO”; ed essi lo lasciavano.
Gai. 4,16 (II)
qui prior uindicauerat, ita alterum
interrogabat: POSTVLO, ANNE
DICAS, QVA EX CAVSA
VINDICAVERIS? ille respondebat:
IVS FECI, SICVT VINDICTAM
INPOSVI. deinde qui prior
uindicauerat, dicebat: QVANDO TV
INIVRIA VINDICAVISTI,
QVINGENTIS ASSIBVS
SACRAMENTO TE PROVOCO;
aduersarius quoque dicebat
similiter: ET EGO TE; aut si res infra
mille asses erat, quinquagenarium
scilicet sacramentum nominabant.
deinde eadem sequebantur, quae
cum in personam ageretur.
Chi aveva rivendicato per primo interrogava l’altro così: “CHIEDO CHE TU DICA A CHE TITOLO HAI RIVENDICATO”; l’altro rispondeva: “IMPONENDO LA VERGHETTA HO AGITO A BUON DIRITTO”; allora chi aveva rivendicato per primo diceva: “POICHÉ HAI RIVENDICATO A TORTO, TI SFIDO AD UNA SCOMMESSA DI CINQUECENTO ASSI”; anche l’avversario analogamente diceva: “ed io sfido te”; s’intende che se si agiva per cosa di mille assi o più, gli assi della scommessa erano indicati in cinquecento; se per cosa di minor valore, in cinquanta; poi seguivano le stesse cose di quanto si agiva con azione personale;
Gai. 4,16 (III)
postea praetor secundum alterum
eorum uindicias dicebat, id est interim
aliquem possessorem constituebat,
eumque iubebat praedes aduersario
dare litis et uindiciarum, id est rei et
fructuum; alios autem praedes ipse
praetor ab utroque accipiebat
sacramenti causa, quia id in publicum
cedebat. Festuca autem utebantur
quasi hastae loco, signo quodam iusti
dominii, quando iusto dominio ea
maxime sua esse credebant, quae ex
hostibus cepissent; unde in
centumuiralibus iudiciis hastaproponitur.
dopodiché il pretore affidava l’oggetto conteso ad uno dei due, cioècostituiva un possessore interinale, ordinandogli di dare all’avversario dei garanti per la lite e per l’oggetto conteso, cioè per la cosa e per i frutti; altri garanti poi il pretore esigeva per sé da ciascuno in rapporto alla scommessa, in quanto questa entrava nelle pubbliche casse. Della bacchetta si servivano come in luogo dell’asta quasi in segno di giusto dominio, poiché reputavano essere loro soprattutto le cose tolte ai nemici; onde nei giudizi centumvirali si espone l’asta.
Gai. 4,21
Per manus iniectionem aeque de his
rebus agebatur, de quibus ut ita
ageretur, lege aliqua cautum est,
uelut iudicati lege XII tabularum.
quae actio talis erat: qui agebat, sic
dicebat: QVOD TV MIHI IVDICATVS
siue DAMNATVS ES SESTERTIVM
X MILIA, QVANDOC NON
SOLVISTI, OB EAM REM EGO TIBI
SESTERTIVM X MILIVM IVDICATI
MANVM INICIO, et simul aliquam
partem corporis eius prendebat; nec
licebat iudicato manum sibi
depellere et pro se lege agere, sed
uindicem dabat, qui pro se causam
agere solebat. qui uindicem non
dabat, domum ducebatur ab actore
et uinciebatur.
Anche mettendo la mano addosso si agiva in quei casi per cui che così si agisse era stabilito da qualche legge: ad esempio per il giudicato dalle legge delle XII tavole. Questa azione era così: chi agiva diceva “SICCOME SEI GIUDICATO O CONDANNATO A MIO FAVORE PER DIECIMILA SESTERZI, E SICCOME NON HAI PAGATO, IO, IN RAPPORTO A CIÒ, TI METTO LA MANO ADDOSSO PER I DIECIMILA SESTERZI DEL GIUDICATO”, e, nello stesso tempo, afferrava qualche parte del corpo di lui. All’individuo giudicato non era permesso allontanare da sé la mano e agire per legge a propria difesa; ma dava un vìndice, che soleva far la causa come sua; chi non dava un vìndice era dall’attore condotto a casa e
Superamento delle l.a.: Gai. 4,30
Sed istae omnes legis actiones
paulatim in odio venerunt.
Namque ex nimia subtilitate
veterum qui tunc iura condiderunt
eo res perducta est, ut vel qui
minimum errasset, litem perderet.
Ma tutte queste azioni di legge vennero, a poco a poco, in odio. Infatti, per l’eccessiva sottigliezza degli antichi che un tempo avevano creato il diritto, la cosa fu condotta a tal punto che persino chi avesse errato in modo minimo avrebbe perduto la lite.
Formula [I]: demonstratio (Gai. 4,40)
Demonstratio est ea pars formulae
quae… ut demonstretur res qua de
re agitur: velut haec pars formulae:
quod A. Agerius N. Negidio
hominem vendidit; item haec: quod
A. Agerius apud N. Nigidium
hominem deposuit.
La demonstratio è la parte della formula che … perché si indichi la questione riguardo a cui si agisce; come questa parte della formula: “Posto che A.A. ha venduto uno schiavo a N.N.”; parimenti questa: “Posto che A.A. ha depositato uno schiavo presso N.N.”.
Formula [II]: intentio (Gai. 4,41)
Intentio est ea pars formulae, quae
auctor desiderium suum concludit:
velut haec pars formulae: “Si paret N.
Negidium A. Agerio sestertium X milia
dare oportere”; item haec: “Quidquid
paret N. Negidium A. Agerio dare
facere oportere”; item haec: “Si paret
hominem ex iure Quiritium A. Agerii
esse”.
L’intentio è quella parte della formula con cui l’attore enuncia la sua pretesa; come questa: “Se risulta al giudice che N.N. deve dare ad A.A. diecimila sesterzi”; oppure: “Tutto ciò che N.N. risulta dover dare o fare ad A.A.”; parimenti questa: “Se risulta al giudice che lo schiavo appartiene ad A.A. secondo il diritto dei quiriti”.
Formula [III]: adiudicatio (Gai. 4,42)
Adiudicatio est ea pars formulae,
quae permittitur iudici rem alicui ex
litigatoribus adiudicare: velut si
inter coherede familiae erciscundae
agatur, aut inter socios communi
dividundo, aut inter vicinos finium
regundorum. Nam illic ita est:
“quantum adiudicari oportet, iudex
Titio adiudicatio”.
L’adiudicatio è quella parte della formula, con cui al giudice è permesso di aggiudicare una cosa a qualcuno dei litiganti; ad esempio se si agisce tra coeredi per la divisione dell’eredità; oppure tra comproprietari per la divisione della comunione; o tra vicini per il regolamento dei confini. Infatti, lì c’è: “Quanto occorre aggiudicare, il giudice aggiudichi a Tizio”.
Formula [IV]: condemnatio (Gai. 4,43)
Condemnatio est ea pars formulae,
qua iudici condemnandi
absolvendive potestas permittitur:
velut haec pars formulae “iudex N.
Negidium A. Agerio sestertium X
milia condemna. Si non paret,
absolve”…
La condemnatio è quella parte della formula con cui si conferisce al giudice il potere di condannare e di assolvere; come questa parte della formula: “giudice, condanna N.N. a diecimila sesterzi in favore di A. A. Se non apparirà, assolvi”…
Cognitiones extra ordines (C.2.57.1: Imperatores Constantiuset Constans – a. 342)
Iuris formulae aucupatione
syllabarum insidiantes
cunctorum actibus
radicitus amputentur.
Le formule giuridiche, che tendono
a tutti insidie negli atti a causa delle
loro sottigliezze verbali, siano
completamente eliminate
COGNITIONES EXTRA ORDINEM (CTH. 1,14,1
– A. 321
Perpetuas prudentium
contentiones eruere
cupientes Ulpiani ac Pauli in
Papinianum notas, qui, dum
ingenuii laudem sectantur,
non tam corrigere eum,
quam depravare maluerunt,
aboleri praecipimus.
Prescriviamo di sradicare le
interminabili dispute dei
giuristi e di sopprimere i
commenti di Ulpiano e Paolo a
Papiniano, che, esaltando la lode
dell’ingegno, sono finalizzati non
tanto a correggere questo quanto a
stravolgerlo.
COGNITIONES EXTRA ORDINEM (CTH. 1,2,2 –
A.315)
Contra ius rescripta non
valeant, quocumque modo
fuerint impetrata. quod
enim publica iura
perscribunt, magis sequi
iudices debent.
I rescritti contrari al diritto sono
privi di valore, in qualsiasi modo
essi siano stati ottenuti. Ciò che è
riferito precisamente nelle leggi deve
essere maggiormente perseguito dai
giudici.