Università degli Studi della Tuscia Viterbo
Corso di Laurea in Scienze Organizzative e Gestionali
Economia Politica
Dispense di Macroeconomia a cura di Elena Dobici1
a.a. 2010/2011
1 Dottore di Ricerca in Economia Politica, settore Teoria dei Giochi.
Prof. a contratto di Economia Politica 1° corso presso il Corso di Laurea Interfacoltà in
Scienze Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum
civile.
Prof. a contratto di Politica Economica 1° corso presso il Corso di Laurea Interfacoltà in
Scienze Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum
civile, a.a. 2009/2010.
Prof. a contratto di Politica Economica presso il Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze
Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, Marina Militare.
Prof. a contratto di Teoria del commercio internazionale presso la Facoltà di Economia
dell’Università della Tuscia di Viterbo.
INDICE
Introduzione 1 Ciclo e crescita economica. 1 Disoccupazione e inflazione 2
Il reddito nazionale 3Il circuito reddito-spesa 4Il bilancio pubblico 5La moneta e le istituzioni monetarie 5I rapporti economici internazionali 8
surplus, deficit ed equilibrio della bilancia dei pagamenti 9
vantaggi e svantaggi dei cambi fissi e flessibili 12
brevi cenni storici 12
Il modello neoclassico 13 La legge di Say 13
La teoria quantitativa della moneta di Fisher 17
La teoria generale di Keynes 18 La domanda effettiva. 18 La preferenza per la liquidità 18
Il modello reddito-spesa: 20 Il modello a due settori 20 Il modello a tre settori 26 I fondamenti della politica fiscale 27 Il modello a quattro settori 28
Il modello IS-LM: 30 La curva IS 30 La curva LM 33 L’equilibrio del sistema 35 L’effetto spiazzamento 36 La trappola della liquidità 37
Il modello AD-AS: 41 La curva AD 41
La curva AS 42 L’equilibrio del sistema 43
La crescita endogena: 45 Il ruolo del capitale umano 45 L’investimento nella Ricerca e Sviluppo 46
Le politiche macroeconomicheAppendice matematica
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PRESENTAZIONE
Queste dispense spiegano i concetti del testo base specificato nel programma. Poiché non tutte le parti dei paragrafi del suddetto costituiscono argomento d’esame, consiglio agli studenti di leggere insieme testo e dispensa per ogni argomento, in modo che possano rendersi conto degli argomenti da trattare (la parte che non è riportata nella dispensa non è argomento d'esame). Nello stesso tempo gli esempi e le spiegazioni riportati nel testo di Garofalo sono essenziali per una maggiore comprensione. Un altro consiglio è quello di consultare l’appendice matematica prima di affrontare lo studio dei vari moltiplicatori.
Per qualunque dubbio, informazione o richiesta di chiarimento, contattatemi tramite e-mail. Vi auguro buon lavoro.
Elena Dobici
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Marianna Belloc, Basi di Matematica per il corso di micro, Microeconomia a.a. 2006-2007,
lezione del 21 marzo 2007, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Elena Dobici, Dispense di Politica Economica per il Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze
Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum civile,
a.a. 2009/2010.
Giuseppe Garofalo, 1999, Istituzioni di Economia Politica –I, Macroeconomia di primo livello. G.
Giappichelli Editore, Torino.
Galeazzo Impicciatore, 1996, Lezioni di teoria macroeconomica -I, CEDAM, Padova.
INTRODUZIONE
In questa dispensa prendiamo innanzitutto in considerazione la contabilità nazionale,
ossia bilancio pubblico, bilancia commerciale, bilancia dei pagamenti, tasso di interesse, tasso di
cambio, moneta legale, moneta bancaria, etc.
Successivamente presentiamo la teoria di Keynes, quella degli autori successivi di stampo
keynesiano e la cosiddetta “sintesi neoclassica della teoria keynesiana”, la quale combina il
pensiero di Keynes con metodi propri della teoria neoclassica.
CICLO E CRESCITA ECONOMICA
Il ciclo economico indica un insieme di alti e bassi della produzione, del reddito e della
spesa, ai quali sono spesso associati la disoccupazione e l’inflazione, mentre la crescita comporta
un andamento verso l’alto della produzione e del reddito totale e pro capite, con conseguente
miglioramento del tenore di vita medio dei cittadini.
Per capire ciclo e crescita consideriamo il reddito nominale e dividiamolo per il livello medio dei
prezzi, ottenendo così il reddito reale (reddito nominale depurato dall’inflazione). Riportiamo i
valori del reddito sull’asse delle ordinate e il tempo misurato in anni sull’asse delle ascisse, in
modo da rappresentare il valore del reddito per ogni anno:
I dati relativi al reddito nei vari anni formano la linea tratteggiata irregolare che evidenzia una fase
espansiva, che termina con un massimo e una fase recessiva, il cui picco più basso è un minimo,
per cui le fasi del ciclo sono espansione, picco, recessione, calo.
Mediante opportuni strumenti statistici, possiamo ottenere il trend del reddito, ossia la “migliore”
stima dell’andamento del reddito nel tempo. Questa è data dalla retta in neretto, che passa per i
punti rappresentativi dei dati empirici e ci fornisce la più semplice (perché è una retta)
approssimazione dell’andamento del reddito. Economicamente, la retta crescente rappresenta
Reddito
Tempo in anni
1
l’andamento nel tempo del reddito potenziale (il reddito che si otterrebbe con il pieno impiego di
tutti i fattori produttivi, compreso il lavoro).
Per comodità, in economia si distinguono ciclo e crescita in base al tempo considerato: il ciclo
riguarda il breve periodo, mentre la crescita è un fenomeno di lungo periodo.
Le cause delle fluttuazioni nell’economia sono dovute alle variazioni della domanda
aggregata di beni e servizi, mentre le cause della crescita sono dovute all’aumento della
popolazione, che a sua volta determina un aumento delle forze di lavoro (persone adulte che
lavorano o sono in grado di lavorare) ed all’aumento della produttività del lavoro (la produzione
media ottenuta da ogni lavoratore in una data unità di tempo). Quest’ultima è migliorata
dall’accumulazione del capitale fisico, dal progresso tecnico, dall’attività di ricerca e sviluppo e
dall’accumulazione di capitale umano, ossia l'insieme di conoscenze, competenze e abilità
acquisite durante la vita da un individuo, il cui accrescimento comporta un beneficio per tutta la
società.
L’accumulazione di capitale umano è in relazione con le spese per istruzione e formazione e
con le spese sanitarie. Più che semplici consumi, queste spese sono considerate veri e propri
investimenti.
DISOCCUPAZIONE E INFLAZIONE
La somma di disoccupati ed occupati costituisce le forze di lavoro, un indicatore delle
persone potenzialmente o effettivamente attive. Il rapporto fra numero dei disoccupati e forze
di lavoro fornisce il tasso di disoccupazione. Dal punto di vista economico la disoccupazione è
considerata uno spreco di risorse, poiché la produzione e il reddito del sistema sono inferiori a
quelli potenziali. Nelle fasi di espansione del ciclo, la disoccupazione diminuisce in quanto
aumenta l’occupazione, mentre il contrario accade nei periodi di recessione.
L’esistenza di disoccupazione involontaria comporta una perdita di efficienza per il sistema
economico e accresce l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito. Essa comporta anche
costi non economici, quali la frustrazione, l’emarginazione e l’aumento della criminalità.
L’intervento pubblico può arginare questo problema mediante azioni di redistribuzione del
reddito, come il pagamento di indennità di disoccupazione, l’”integrazione dei guadagni” o altre
misure che garantiscano comunque un salario minimo.
L’inflazione indica l’aumento sostenuto del livello generale dei prezzi e quindi la perdita di
valore della moneta. Sorge una pressione inflazionistica ogni volta che i percettori dei vari redditi
monetari (salari, profitti e rendite) cerchino ciascuno di aumentare la propria quota del reddito
sociale a scapito degli altri. Dalla resistenza degli altri scaturisce l’aumento dei prezzi. Al fine di
essere tutelati nei confronti di imprevisti aumenti del livello generale dei prezzi, alcuni operatori
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riescono a introdurre meccanismi di indicizzazione, che legano il loro compenso alle variazioni
del livello generale dei prezzi. Ne è un esempio il meccanismo della “scala mobile”, in vigore dal
dopoguerra al 1991, con il quale periodicamente il salario monetario veniva parzialmente adeguato
alle variazioni dei prezzi di un predeterminato paniere di beni di consumo.
In generale l’aumento dei prezzi è elevato nelle fasi di espansione, mentre la loro crescita è
moderata nelle fasi di recessione. In realtà, però, può accadere anche che l’inflazione si combini
con la stagnazione dell’economia: in questo caso si ha la stagflazione.
Il valore della moneta è , ossia è l’inverso del livello generale dei prezzi, quindi
l’inflazione, facendo aumentare i prezzi, riduce il valore reale di tutte le grandezze nominali,
anche quello della moneta, riducendo il suo potere d’acquisto.
IL REDDITO NAZIONALE
La produzione è un processo di trasformazione di input (materie prime, servizi lavorativi,
servizi del capitale) in output (bene o servizio). In economia al posto del concetto di input si usa,
comunque, quello di fattore di produzione.
I centri di produzione sono le imprese.
La pubblica amministrazione produce servizi pubblici utilizzando il prelievo fiscale e
redistribuisce il reddito in favore dei cittadini appartenenti alle fasce più deboli.
I servizi pubblici non sono scambiati sul mercato, nel senso che non sono destinabili alla
vendita (come l’istruzione e la sanità pubbliche).
Il settore pubblico effettua la spesa pubblica per produrre servizi pubblici e per effettuare i
trasferimenti in favore di famiglie (pensioni o sussidi di disoccupazione) ed imprese. Le entrate
dello stato sono costituite dal prelievo fiscale, che grava solo sulle famiglie, dato che le imprese
hanno la possibilità di trasferirlo su altri.
Il reddito disponibile è il reddito a disposizione delle famiglie per il consumo e il risparmio,
comprensivo dei trasferimenti, una volta sottratte le imposte dirette (tasse).
La spesa totale è l’insieme dei pagamenti effettuati nel sistema economico per l’acquisto di
beni e servizi ed è la somma di Consumi (effettuati dalle famiglie), Investimenti (effettuati dalle
imprese come centri di produzione), Spesa pubblica (stipendi dei dipendenti pubblici,
realizzazione di ospedali, scuole e uffici pubblici), Esportazioni al netto delle Importazioni (cioè
la differenza tra esportazioni, ossia acquisto di beni e servizi italiani da parte degli esteri, e
importazioni, che sono acquisti di beni e servizi esteri da parte degli italiani).
Si deve avere, allora,
Reddito = Consumi Investimenti Spesa pubblica Esportazioni – Importazioni
e ponendo
3
Reddito =
Consumi =
Investimenti =
Spesa pubblica =
Esportazioni =
Importazioni = ,
abbiamo la cosiddetta equazione del reddito
.
Portando al primo membro otteniamo il conto economico delle risorse e degli impieghi:
,
dove a sinistra abbiamo le risorse a disposizione dell’economia (beni e servizi prodotti
all’interno e beni e servizi importati), mentre a destra abbiamo gli impieghi (beni e servizi usati
dalle famiglie per il consumo, per gli investimenti da parte delle imprese, per la spesa pubblica da
parte dello stato e dai non residenti per quanto riguarda le esportazioni).
IL CIRCUITO REDDITO-SPESA
Sia il reddito prodotto e corrisposto ai fattori produttivi. Le famiglie cedono alle imprese
servizi lavorativi e servizi del capitale in cambio del pagamento di redditi, che si distinguono in
redditi da lavoro (salari e stipendi) e redditi da capitale (interessi di chi possiede obbligazioni o
titoli pubblici, dividendi degli azionisti). Una parte del reddito acquisito dalle famiglie può essere
usata per il consumo ed una parte per il risparmio , domandato dalle imprese, che debbono
finanziare le spese di investimento , ossia l’acquisto di impianti, macchinari e attrezzature per la
produzione; esistono quindi unità in surplus di risparmio (famiglie) e unità in deficit di
risparmio, ossia in eccesso di spesa (imprese). Il trasferimento del risparmio avviene tramite le
banche ed altre istituzioni finanziarie. Prima di decidere quanta parte del reddito le famiglie
possono destinare al consumo e quanta al risparmio, le famiglie debbono pagare imposte allo
Stato, tramite il prelievo fiscale , che finanzia la spesa pubblica . Inoltre, dal settore estero
riceviamo le importazioni e ad esso inviamo le nostre esportazioni .
Le detrazioni dal reddito sono, quindi, , e (trasferimento di reddito all’estero), mentre
le aggiunte sono (spesa che si aggiunge a quella di consumo), (spesa pubblica che si
aggiunge a quella del settore privato, che consiste nel consumo delle famiglie e negli investimenti
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per le imprese) e (spesa degli esteri che si aggiunge a quella dei residenti). Perché il sistema
sia in equilibrio, il totale delle detrazioni deve essere uguale al totale delle aggiunte,
.
IL BILANCIO PUBBLICO
Per il settore pubblico, le entrate sono quindi costituite dal prelievo fiscale , mentre le
uscite sono rappresentate dalla spesa pubblica e dai trasferimenti, che indichiamo con . Il
saldo del bilancio pubblico è, quindi,
.
Se le uscite pubbliche sono superiori alle entrate, il bilancio pubblico è in deficit, o disavanzo.
In tal caso il settore pubblico ha bisogno di finanziamenti e offre titoli pubblici, che sono emessi
dal ministero del Tesoro ed acquistati dai cittadini e dall’istituto di emissione (quest’ultimo
metodo valeva in passato ed oggi non è più possibile per i paesi dell’Unione monetaria europea,
ma per il momento consideriamolo a fini didattici). Indichiamo con la variazione di titoli
pubblici acquistati dai cittadini e con la variazione di moneta emessa dall’istituto di
emissione per coprire il deficit pubblico; inoltre, nell’equazione cambiamo i segni
poiché il deficit comporta variazioni positive nei titoli e/o nella moneta, allora il vincolo di
bilancio dell’operatore pubblico è
.
Il debito pubblico è il cumulo dei prestiti ottenuti dallo Stato a tutt’oggi per far fronte ai
deficit annuali di bilancio e non deve essere confuso con il deficit di esercizio, che è riferito ad un
dato arco temporale.
LA MONETA E LE ISTITUZIONI MONETARIE
La moneta è un segno (banconota, moneta metallica, assegno) privo di valore intrinseco (un
bene che ha valore intrinseco è ad esempio l’oro), ed ha natura fiduciaria.
La più importante funzione della moneta è quella di mezzo di pagamento.
Una seconda funzione è quella di unità di conto: essa è il bene nei termini del quale sono
calcolati tutti i prezzi e contabilizzati i valori.
Una terza funzione della moneta è quella di riserva di valori, in quanto permette di trasferire
potere di acquisto nel tempo.
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La moneta viene indicata come liquidità perché permette l’acquisto immediato di un bene,
servizio o titolo. Sia la moneta che i titoli sono mezzi per detenere ricchezza, ma i titoli hanno un
grado di liquidità inferiore, perché se si è nella necessità di vendere i titoli detenuti, si debbono
trovare altri disposti ad acquistarli. Inoltre la moneta ha un valore facciale sempre identico, mentre
se si detiene una obbligazione e si ha necessità di venderla, nulla garantisce che si possa ottenere
per essa la stessa cifra che si è spesa per acquistarla. Infatti, se ci sono molti che vogliono vendere,
come noi, quell’obbligazione, ma gli acquirenti sono pochi, sul mercato si crea un eccesso di
offerta che fa scendere il prezzo del titolo. In questo senso specifico per la moneta non c’è il
rischio di perdite di valore nel tempo. Il rischio di perdita di valore per la moneta si ha, invece, nel
caso di inflazione.
L’interesse che viene pagato su un’obbligazione è commisurato al tasso di interesse, cioè il
rapporto tra gli interessi e il capitale monetario versato inizialmente.
Il circolante o moneta legale è il contante che utilizziamo nei pagamenti quotidiani. E’detta
legale perché per legge ha potere liberatorio e nessuno può rifiutarsi di accettarla. Per quanto
riguarda l’Italia e gli altri paesi europei aderenti al progetto dell’Unione monetaria, essa viene
messa in circolazione dalla Banca centrale europea (istituto di emissione), mentre la Banca
d’Italia attualmente si limita a sovraintendere all’attività creditizia delle banche all’interno del
paese.
L’istituto di emissione mette in circolazione moneta nel momento in cui finanzia il Tesoro e le
operazioni con l’Estero ed effettua il rifinanziamento delle aziende di credito.
Attualmente non vengono più effettuati finanziamenti da parte della banca centrale al Tesoro per
coprire il deficit pubblico, al fine di garantire l’autonomia del banchiere centrale nel controllo
della liquidità. Il rifinanziamento delle aziende di credito consiste, invece, nel fatto che queste
ultime si fanno prestare denaro dalla banca centrale se si trovano a corto di liquidità.
La moneta bancaria è il deposito in conto corrente, che è a vista, cioè utilizzabile in
qualunque momento e luogo.
La base monetaria è costituita dalla moneta legale, ossia dalle banconote e dalle monete
metalliche che per legge devono essere accettate in pagamento e dalle attività finanziarie
convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi, esistenti in un determinato momento
nel sistema economico.
Consideriamo il sistema bancario; ad esso affluisce base monetaria sotto forma di depositi,
una parte dei quali potrà essere concessa in prestito. Non tutto l’importo dei depositi potrà essere
prestato in quanto la banca dovrà tenere conto delle riserve:
la riserva libera, tenuta dalla banca per fronteggiare eventuali richieste di contante da
parte del pubblico;
la riserva obbligatoria, che deve essere accantonata alle banche centrali in appositi conti
degli istituti di credito. Serve alla banca centrale per garantire che ogni banca sia in grado
di saldare le propria esposizione debitoria con gli altri istituti e tale accantonamento di
depositi non è utilizzato a garanzia dei correntisti in caso di corsa agli sportelli. È, quindi,
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un accantonamento contabile e finanziario (le somme sono effettivamente versate presso la
banca centrale);
Definiamo il coefficiente di riserva come il rapporto tra riserve e depositi:
Una volta detratto l’ammontare destinato ai due tipi di riserva, calcolato sulla base di , quel che
resta dei depositi viene prestato al pubblico. Ora, supponiamo che il pubblico voglia trattenere una
quota dei depositi sotto forma di circolante, mentre ciò che residua del deposito venga usato per
effettuare pagamenti tramite assegni a soggetti che ridepositino nuovamente gli assegni presso la
banca. Indichiamo con la percentuale dei depositi trattenuta come circolante, cioè
.
Indicando con , la parte di moneta detenuta dal pubblico come circolante, con
, la parte dei depositi detenuta dalle banche sotto forma di riserve (libere e
obbligatorie), con i depositi bancari, possiamo scrivere
e ,
dalle quali ricaviamo e
Ora, per definizione di base monetaria si ha
,
che, per le relazioni sopra definite, si può scrivere
.
Da quest’ultima relazione otteniamo, quindi,
,
dove è detto moltiplicatore dei depositi.
Poiché è ragionevole supporre che sia , la massa dei depositi dovrà rappresentare un
multiplo della base monetaria.
D’altra parte, l’offerta di moneta è la quantità complessiva di moneta in circolazione,
data dalla somma della moneta legale creata dall’istituto di emissione e della moneta bancaria
creata dal sistema bancario:
.
Ora, poiché è , abbiamo
,
ma poiché abbiamo detto che è , possiamo scrivere
,
dove è detto moltiplicatore della moneta.
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La politica monetaria consiste negli interventi della banca centrale di regolazione dell’offerta di
moneta e di controllo del tasso di interesse, nei loro effetti sulla spesa totale e sul reddito
nazionale.
Gli strumenti di politica monetaria riguardano:
- la manovra del tasso ufficiale di sconto che le banche pagano alla banca centrale sui
prestiti che da essa ricevono;
- la manovra del coefficiente di riserva obbligatoria. La riserva obbligatoria deve essere
accantonata alle banche centrali in appositi conti degli istituti di credito. Serve alla banca
centrale per garantire che ogni banca sia in grado di saldare le propria esposizione debitoria
con gli altri istituti e tale accantonamento di depositi non è utilizzato a garanzia dei
correntisti in caso di corsa agli sportelli. È, quindi, un accantonamento contabile e
finanziario (le somme sono effettivamente versate presso la banca centrale);
- le operazioni di mercato aperto, ossia acquisti o vendite di titoli sul mercato secondario
da parte della banca centrale, dove il mercato secondario è un mercato in cui vengono
scambiati titoli di vecchia circolazione.
I RAPPORTI ECONOMICI INTERNAZIONALI
I movimenti di merci, servizi e capitali tra soggetti appartenenti a paesi diversi sono
contabilizzati nella bilancia dei pagamenti.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale (brevemente FMI), la bilancia dei pagamenti
di un paese è una registrazione sistematica di tutte le transazioni economiche effettuate in un
dato periodo di tempo fra i residenti del paese che compie la rilevazione e i residenti degli
altri paesi, per brevità indicati come stranieri o non residenti. La bilancia dei pagamenti si
riferisce ad un periodo di tempo, solitamente l’anno. Con il termine transazione economica si
intende il passaggio da un individuo (o ente) ad un altro di trasferimenti reali, ossia trasferimenti
di merci e servizi e di trasferimenti finanziari, ossia trasferimenti di moneta, crediti e titoli. I
trasferimenti si distinguono in bilaterali, quando sono a titolo oneroso, ed unilaterali, quando
sono a titolo gratuito. Si hanno, quindi, cinque tipi base di transazioni economiche:
- acquisto o vendita di merci e servizi con pagamento in moneta o apertura di un credito
- scambio di merci e servizi contro merci e servizi (baratto)
- scambio di strumenti finanziari contro altri strumenti finanziari
- doni in natura
- doni in moneta
Con il termine individui residenti si intendono le persone fisiche che normalmente vivono nel
paese che effettua la rilevazione, compresi gli individui di nazionalità estera che svolgono nel
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paese in questione la loro principale e stabile attività. In base a questa definizione, gli emigrati
stabilitisi stabilmente nel paese in cui vivono, sono da considerarsi ivi residenti anche se hanno
conservato la nazionalità originaria. Gli enti residenti comprendono lo Stato, gli enti pubblici
locali, gli enti morali e quelli costituiti a scopo di lucro. Le organizzazioni internazionali, come
le Nazioni Unite, il FMI, la Banca Mondiale, la FAO, etc., non sono considerate residenti del
paese in cui sono situate, ma come appartenenti ad aree internazionali. Tutte le transazioni di un
paese con le organizzazioni internazionali aventi sede sul suo territorio, devono perciò essere
incluse nella bilancia dei pagamenti del paese stesso.
La bilancia dei pagamenti è divisa in tre sezioni: conto corrente, conto capitale e conto
finanziario:
1. CONTO CORRENTE o BILANCIA DELLE PARTITE CORRENTI, include esportazioni ed
importazioni di merci, esportazioni ed importazioni di servizi personali e per le imprese,
redditi da lavoro.
2. CONTO CAPITALE comprende i trasferimenti unilaterali in conto capitale (ad esempio, la
rinuncia, senza contropartita, ad un credito), brevetti, licenze, diritti d’autore, etc.
3. CONTO FINANZIARIO include investimenti e Variazione delle riserve ufficiali (tutte le
monete estere utilizzate per regolare gli scambi internazionali).
Poiché il totale dei crediti deve eguagliare il totale dei debiti, la bilancia dei pagamenti è
contabilmente sempre in pareggio. Nella pratica ciò non avviene, soprattutto per inesattezze di
registrazione; a tal proposito viene quindi introdotta la voce “errori ed omissioni”.
SURPLUS, DEFICIT ED EQUILIBRIO DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI
Poiché la bilancia dei pagamenti deve essere sempre, per definizione, in equilibrio
contabile, quando si parla di squilibrio, attivo o passivo, della bilancia dei pagamenti, si fa
riferimento ad un concetto di equilibrio economico. Lo squilibrio attivo viene anche chiamato
avanzo o surplus, mentre lo squilibrio passivo viene chiamato disavanzo o deficit. Vediamo
questi concetti in dettaglio in quel che segue.
Da un punto di vista economico si ritiene utile raggruppare le voci in modo un po’ diverso, ma più
semplice:
Bilancia dei pagamenti = Bilancia delle partite correnti Bilancia dei movimenti di capitali
(ad eccezione della Variazione delle riserve ufficiali).
Tale saldo risulta non necessariamente nullo ed è negativo se
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Importazioni Esportazioni e/o Capitali in uscita Capitali in entrata.
Abbiamo visto che dal punto di vista contabile la bilancia dei pagamenti è sempre in equilibrio
ed abbiamo aggiunto che a noi, però, non interessa la regolazione dei conti, ma siamo interessati
ad una analisi dal punto di vista economico della somma
Bilancia delle partite correnti Bilancia dei movimenti di capitale.
La Variazione delle riserve ufficiali ha il significato di saldo della bilancia dei pagamenti.
Sia l’accumulo che il decumulo di riserve ufficiali vanno considerati come posizioni di
squilibrio. La riduzione delle riserve indebolisce la possibilità di far fronte all’eccesso di
pagamenti sugli incassi e quindi di saldare i debiti del paese, mentre l’accumulo di riserve
ufficiali può dar luogo ad una creazione eccessiva di base monetaria con possibili effetti inflattivi.
L’intervento pubblico può affrontare il problema mediante politiche fiscali, monetarie e
politiche del tasso di cambio.
A fronte di movimenti di merci, servizi e capitali registrati nella bilancia dei pagamenti, ci
sono, quindi, movimenti di valuta: la valuta viene data in pagamento quando si acquista, mentre si
riceve quando si vende qualcosa. La valuta necessaria per effettuare pagamenti viene acquistata in
cambio di moneta nazionale, mentre la valuta ricevuta viene convertita in moneta nazionale per
effettuare acquisti o pagamenti all’interno. Quindi i residenti del paese considerato che debbano
effettuare pagamenti a non residenti faranno domanda di valuta estera, mentre, al contrario, i
residenti che ricevono pagamenti in valuta estera ne faranno offerta. Se il saldo (economico,
non contabile) della bilancia dei pagamenti è negativo, e quindi la bilancia è in deficit, si avrà un
eccesso di domanda di valuta estera e gli operatori convertiranno moneta nazionale in valuta
estera, con la conseguenza di un restringimento della quantità di moneta nazionale, che verrà
assorbita dal sistema bancario.
Dai meccanismi di domanda e offerta di valuta, deriva un mercato della valuta estera che,
come tutti gli altri mercati, esprime un prezzo, detto tasso di cambio nominale, che è il prezzo di
una moneta in termini di un’altra moneta.
Il tasso di cambio nominale si può esprimere in due modi:
- nella quotazione incerto per certo, che indica una quantità variabile, cioè incerta, di
moneta nazionale per una unità, dunque una quantità certa, di moneta estera. In questo
senso il tasso di cambio nominale è il prezzo della valuta estera in termini di moneta
nazionale. Ad esempio, nell’uguaglianza 1 dollaro = 0.8 euro, si vede quanti euro
corrispondono ad 1 dollaro;
- nella quotazione certo per incerto, dove è fissa la quantità della moneta nazionale e
varia quella della moneta estera. In questo senso il tasso di cambio nominale è il prezzo
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della moneta nazionale in termini di valuta estera. Ad esempio, dire 1 euro = 1.25
dollari significa dire che 1 euro vale 1.25 dollari.
Il passaggio da una modalità all’altra si ottiene facendo l’inverso: .
Essendo un prezzo, il tasso di cambio può oscillare verso l’alto o verso il basso. Infatti, se
consideriamo la modalità incerto per certo e il cambio aumenta, ad esempio si ha 1 dollaro = 0.84
euro, significa che il dollaro vale più di prima rispetto all’euro, cioè si ha un apprezzamento del
dollaro ed un deprezzamento dell’euro; analogamente, la corrispondente diminuzione del cambio
nella quotazione certo per incerto dell’espressione corrispondente 1 euro = 1.19 dollari, indica che
l’euro vale meno rispetto a prima nei confronti del dollaro e ciò indica anche qui un
deprezzamento dell’euro.
Si definisce parità o tasso centrale il valore intorno al quale il cambio può oscillare.
Esistono due regimi di cambio:
a. cambi flessibili: qui non ci sono vincoli di parità, il tasso di cambio è definito dal mercato
valutario e può variare continuamente in base alla domanda ed all’offerta senza che ci
siano interventi da parte della banca centrale;
b. cambi fissi: qui ci sono una parità ed una banda di oscillazione entro la quale il cambio può
oscillare (verso l’alto o verso il basso). La parità e la banda di oscillazione sono fissati
mediante accordi internazionali e la banca centrale deve intervenire quando il cambio tende
a portarsi verso i margini superiore o inferiore. A questo proposito, limitandoci per
semplicità alla quotazione incerto per certo, diciamo che
l’oscillazione del tasso di cambio verso il margine superiore è il sintomo di un
deprezzamento della moneta nazionale, perché c’è una forte richiesta di valuta
estera;
a causa dell’eccesso di domanda di valuta estera, la banca centrale interverrà
offrendo la valuta estera detenuta nelle proprie riserve ufficiali.
I termini deprezzamento e svalutazione indicano la stessa cosa, ossia che la moneta
nazionale vale di meno. La differenza è che il deprezzamento è un meccanismo del mercato
valutario nel regime di cambi flessibili, mentre la svalutazione è un provvedimento adottato
dall’autorità monetaria in regime di cambi fissi.
Se la moneta nazionale vale di meno, di conseguenza la valuta estera vale di più, quindi a noi,
che deteniamo moneta nazionale, converrà meno acquistare all’estero, mentre per gli stranieri che
detengono moneta estera sarà più conveniente effettuare acquisti nel nostro paese. La nostra
moneta diventa, quindi, più debole e per questo motivo diverremo più competitivi sui mercati
internazionali delle merci che produciamo.
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La competitività non dipende solo dal tasso di cambio nominale, ma anche dai prezzi : le
nostre merci sono più competitive anche quando i prezzi delle merci prodotte in Italia crescono
meno che all’estero.
L’indicatore di competitività è il tasso di cambio reale. Indichiamo con il livello dei
prezzi all’interno, con il livello dei prezzi esteri e con il tasso di cambio nominale
secondo la quotazione incerto per certo. Definiamo
Tasso di cambio reale =
la quantità di euro che serve per acquistare un dollaro; qui i prezzi in valuta estera vengono tradotti
in moneta nazionale.
Nella quotazione certo per incerto, indicando con il tasso di cambio nominale relativo a
questo caso, definiamo
Tasso di cambio reale =
la quantità di dollari che serve per acquistare un euro; qui i prezzi in moneta nazionale vengono
tradotti in moneta estera.
VANTAGGI E SVANTAGGI DEI CAMBI FISSI E FLESSIBILI
I cambi fissi limitano il rischio di cambio, per cui comportano una certezza maggiore per
gli operatori, ma vincolano le autorità monetarie al rispetto della parità con interventi sulle
riserve ufficiali, limitando la possibilità di intervento su obiettivi interni, come ad esempio
la lotta alla disoccupazione.
I cambi flessibili consentono maggiore libertà nelle manovre di politica interna, ma
comportano maggiore incertezza nei mercati valutari.
BREVI CENNI STORICI
Dal 1870 fino alla prima guerra mondiale vigeva il gold standard, o sistema aureo, regime a
cambi fissi nel quale era presente uno stretto legame tra quantità di moneta in circolazione e
riserve di oro presso la banca centrale. Ogni moneta aveva un corrispettivo in oro e i tassi di
cambio nominali oscillavano intorno alla parità aurea. Questo sistema fu abbandonato a causa
della forte espansione della moneta in circolazione, alla quale si contrapponeva scarsità di oro.
Dal 1922 al 1971 fu in vigore il gold exchange standard, o sistema a cambio aureo, nel
quale la moneta del paese più potente a livello commerciale e finanziario, chiamata moneta da
riserva o valuta chiave, veniva dichiarata convertibile in oro a livello internazionale, mentre ogni
altra moneta non era più convertibile in oro, ma nella moneta da riserva, la quale veniva detenuta
nelle riserve ufficiali accanto all’oro. I cambi erano fissi, con margini di oscillazione dell’1% in
alto e in basso rispetto alla moneta di riserva. Il dollaro fu la valuta chiave dal 1944, come stabilito
12
nella conferenza di Bretton Woods, al 1971, anno di fine regime, quando la quantità di dollari in
circolazione divenne eccessiva rispetto all’oro detenuto nelle riserve ufficiali. Da allora si è passati
ad un regime a cambi flessibili, con carte monete inconvertibili in oro. L’entrata in vigore di
cambi flessibili creò il problema del rischio di cambio, che determinò una forte incertezza circa i
rendimenti futuri di contratti commerciali e finanziari di valute estere. Nel 1978 in Europa si è
quindi pensato di stabilizzare i tassi di cambio delle monete europee con la creazione dello SME,
che definì l’ECU, moneta fittizia media dei valori delle monete europee; queste monete vennero
ad avere, quindi, una parità centrale rispetto all’ECU e margini di oscillazione che nel tempo sono
variati. Gli ingenti acquisti e vendite di valute da parte degli speculatori determinarono eccessivi
allargamenti dei margini di oscillazione del cambio, tanto che alcuni paesi europei, tra i quali
l’Italia, sentirono l’esigenza di un meccanismo di stabilizzazione dei cambi, prima ancora della
crisi dello SME. Nel 1992, quindi, in Europa fu firmato il Trattato di Maastricht, che prevedeva
la convergenza delle politiche economiche e la vera e propria integrazione monetaria; nel 2002 è
quindi iniziata l’emissione dell’euro, la moneta unica europea, che ha sostituito l’ECU nel
rapporto 1 a 1, cioè 1 euro per 1 ECU.
IL MODELLO NEOCLASSICO
LA LEGGE DI SAY
Per i neoclassici la disoccupazione è volontaria, nel senso che si resta senza lavoro perché si
richiede un salario superiore al livello di mercato o perché c’è scarsa flessibilità del salario dovuta
a rigidità nelle norme in alcuni contratti di lavoro. In realtà, il sistema economico sarebbe sempre
in grado di conseguire il livello massimo di produzione/reddito, in virtù della legge degli sbocchi
di Say.
Vediamo il concetto sottostante a questa legge, analizzando dapprima il mercato del lavoro e
poi quello dei beni.
Per il lavoratore offrire servizi lavorativi comporta una disutilità via via crescente ed egli sarà
disposto ad accrescere la sua offerta solo se aumenta il salario reale, in quanto “premio per la
rinuncia al tempo libero”, dove il salario reale è il salario per unità di tempo (salario unitario)
, deflazionato per il livello generale dei prezzi , ossia . Quindi abbiamo una correlazione
positiva tra offerta di lavoro e salario reale. Possiamo quindi tracciare la curva di offerta di
lavoro come una retta crescente al crescere del salario reale,
13
Per l’impresa che assume un nuovo lavoratore, invece, il salario reale rappresenta un costo
aggiuntivo, quindi essa sarà disposta ad assumere nuovi lavoratori solo se il salario reale
diminuisce, quindi la curva di domanda di lavoro dell’impresa, , è inclinata
negativamente.
Con riferimento al grafico successivo, se è maggiore di , c’è un’offerta di lavoro
maggiore della domanda, quindi si verifica disoccupazione. In concorrenza perfetta, in cui tutti i
prezzi (anche quello del lavoro, cioè il salario reale) sono liberi di fluttuare, scende fino al
livello che equilibra domanda ed offerta. In corrispondenza di questo punto sono allora determinati
il salario reale di equilibrio ( ) e il numero di lavoratori di piena occupazione ( ).
P
w
Numero di lavoratori impiegatiO
SN
P
w
Numero di lavoratori impiegati
DN
O
14
A questo livello di occupazione corrisponde, d’altra parte, il reddito di pieno impiego, o
reddito potenziale .
Per quanto riguarda il mercato dei beni, per semplicità supponiamo l’esistenza solo di imprese
e famiglie.
L’equazione
significa che il reddito è destinato al consumo e al risparmio, mentre
dice che la spesa totale è definita come somma della spesa di consumo delle famiglie e della spesa
di investimento delle imprese.
La condizione di equilibrio è
,
cioè la spesa deve uguagliare il reddito prodotto e distribuito. Da quest’ultima condizione deriva
,
dalla quale
.
I consumatori risparmiano perché si astengono dal consumo odierno per consumare in futuro e
il tasso d’interesse rappresenta il premio per la rinuncia al consumo; quindi ci sarà un legame
diretto tra risparmio e tasso d’interesse:
P
w
ONumero di lavoratori impiegati
DN
SN
PON
A
15
Nel caso della spesa di investimento, rappresenta il costo che l’impresa deve sostenere per
finanziare la spesa stessa, quindi, all’aumentare del costo del denaro c’è un minor incentivo a
domandarlo per effettuare investimenti, quindi ci sarà un legame inverso tra investimento e tasso
d’interesse:
Se il mercato dei capitali è in concorrenza perfetta e la banca centrale non interviene sul tasso
d’interesse, l’uguaglianza tra e è garantita dal tasso d’interesse, i cui movimenti assicurano la
correzione degli eccessi di domanda e di offerta.
O
r
S
S
O
r
I
I
16
Stabilita l’uguaglianza tra e , si realizza anche quella tra la spesa totale e il reddito .
Questa è la legge degli sbocchi o legge di Say che dice “l’offerta crea sempre da sé la
propria domanda”. L’offerta è sempre quella massima di piena occupazione grazie alla
flessibilità del salario che uguaglia e .
LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI FISHER
Consideriamo l’offerta di moneta , cioè la quantità di moneta posta in circolazione dal
sistema bancario (circolante più depositi bancari a vista) ed indichiamo con il numero di volte
in cui lo stesso mezzo monetario viene scambiato nell’unità di tempo (cioè passa di mano in
mano dei vari soggetti che effettuano transazioni nel periodo di tempo considerato). è definita
velocità di circolazione della moneta; indichiamo i beni e i servizi prodotti e scambiati
nell’unità di tempo con (reddito reale) e con l’indice generale dei prezzi, cioè il prezzo
medio di tali beni. Moltiplicando la quantità di beni e servizi scambiati per il prezzo medio di
questi, otteniamo il valore dei beni e servizi scambiati, ossia . Fisher afferma che c’è
uguaglianza tra la quantità di moneta complessivamente in circolazione usata per acquistare
beni e servizi e il valore dei beni e servizi acquistati, quindi definisce l’equazione degli scambi:
.
Ora, Fisher assume che e sono costanti: la costanza di dipende dal fatto che il reddito è
sempre quello di massima occupazione per la legge di Say, mentre è ritenuta indipendente
dall’offerta di moneta , in quanto legata a cause che possono cambiare solo nel lungo periodo
(ad esempio, una delle cose da cui dipende è l’intervallo degli incassi degli stipendi di un
lavoratore, che può essere il mese o la settimana). Quindi, assumendo la costanza di e ,
O
r
IS ,IS
S
I
17
possiamo scrivere queste grandezze con una sopralineatura, e , ed esplicitando
nell’equazione , otteniamo:
.
A causa della supposta costanza di e , si viene a stabilire una proporzionalità diretta tra
e : ciò significa che il livello generale dei prezzi dipende dall’offerta di moneta e quindi,
che le variazioni dell’offerta di moneta determinano variazioni dei prezzi e di conseguenza
inflazione nel caso di aumento dell’offerta di moneta stessa.
LA TEORIA GENERALE DI KEYNES
LA DOMANDA EFFETTIVA
Keynes solleva varie critiche al modello macroeconomico classico. Per quanto riguarda la
legge di Say, che garantisce l’equilibrio sul mercato dei capitali e su quello dei beni tramite le
variazioni del tasso d’interesse , Keynes obietta che il risparmio e il consumo non hanno
tra le loro determinanti principali il tasso d’interesse, ma il reddito . Inoltre, per la legge di
Say il mercato del lavoro è sempre in equilibrio grazie alle variazioni del salario reale, mentre per
Keynes sul mercato del lavoro non viene contrattato il salario reale, che presuppone la
conoscenza del livello generale dei prezzi, ma quello monetario . In situazioni di eccesso di
offerta di lavoro, ossia di disoccupazione, la riduzione del salario monetario si combina con un
ribasso dei prezzi a causa della carenza di spesa e quindi dell’eccesso di offerta di beni: l’effetto
netto dei due movimenti sul salario reale è nullo.
Keynes, quindi, rifiuta la legge di Say e sostiene che non è necessariamente al livello
massimo di piena occupazione e che la sua determinante è il livello della domanda aggregata di
beni e servizi, che chiama domanda effettiva, la quale risente fortemente della variabilità degli
investimenti.
LA PREFERENZA PER LA LIQUIDITÀ
Per capire la critica di Keynes alla teoria quantitativa della moneta, approfondiamo il concetto
di tasso di interesse, distinguendo il tasso di interesse nominale dal tasso di interesse reale .
è quello che si riscontra sui mercati, mentre è la differenza tra tasso nominale e tasso d’inflazione. Più precisamente, il tasso d’inflazione è indicato con , che è la variazione del
livello generale dei prezzi nel tempo (in termini formali ). Senza complicare troppo il
discorso, si dimostra che se e sono piccole, si ha
,
18
ossia, proprio la differenza tra tasso nominale e tasso d’inflazione.
Per Keynes il reddito reale non è dato e costante, per cui può risentire degli effetti di
variazioni nell’offerta di moneta , inoltre non è costante neanche la velocità di circolazione
della moneta , poiché nei periodi di inflazione gli operatori cercano di disfarsi della moneta più
velocemente, data la perdita del suo valore per chi la detiene. Keynes ritiene opportuno, inoltre,
analizzare in modo più approfondito la domanda di moneta, indicata con . Le persone
detengono moneta a fini
transattivi, per far fronte a spese previste;
precauzionali, per far fronte a spese impreviste;
speculativi: il pubblico domanda moneta perché la ritiene un mezzo per detenere
ricchezza, preferendo la liquidità agli interessi dei titoli.
Ora, Keynes suppone che il livello dei prezzi sia fisso e costante, per cui c’è adeguamento
dell’offerta di beni e servizi alla relativa domanda, senza effetto sui prezzi. Per l’ipotesi di fissità dei prezzi, la variazione di questi sarà zero, e implica che , quindi i due concetti di
tasso di interesse coincidono.
Vediamo la relazione tra prezzo di un titolo e tasso di interesse: il rendimento di un titolo è
dato dal livello del tasso d’interesse di mercato al momento dell’emissione. Se successivamente il
tasso d’interesse di mercato si riduce, sul mercato secondario ci sarà una maggiore domanda per
il nostro titolo (dove il mercato secondario è un mercato in cui vengono scambiati titoli di vecchia
circolazione), perché il titolo dà un rendimento maggiore di quello fornito da titoli di nuova
emissione. L’eccesso di domanda per il vecchio titolo fa aumentare il suo prezzo, fino a quando
anche questo fornirà lo stesso tasso d’interesse dei titoli nuovi. A questo punto l’investitore
diventerà indifferente rispetto all’acquisto del vecchio titolo e di uno dei nuovi. Quindi, c’è una
relazione inversa tra prezzo del titolo e tasso di interesse. Il pubblico deciderà la composizione
del proprio portafoglio tra moneta e titoli sulla base del tasso d’interesse: più questo è alto (e
quindi più basso è il prezzo dei titoli), maggiore sarà la convenienza di domandare titoli e, quindi,
di ridurre la domanda di moneta.
Secondo Keynes, nelle scelte di portafoglio sono determinanti le aspettative degli investitori
circa il livello futuro del tasso d’interesse: se un operatore prevede di poter pagare un prezzo più
basso, e quindi ottenere un tasso d’interesse più alto, per il titolo in futuro, nel momento attuale
egli avrà convenienza a mantenersi liquido e se tutti gli operatori hanno un’aspettativa di questo
tipo, c’è un’attesa generalizzata di un futuro ribasso del titolo; in questo caso si dice che il mercato
è ribassista. Questo ribasso previsto per il futuro, scoraggia gli operatori dall’acquistare il titolo
oggi e li induce a mantenersi liquidi.
IL MODELLO REDDITO-SPESA
19
Per capire al meglio la teoria keynesiana, introduciamo i concetti base sottostanti alla stessa
iniziando a considerare un modello molto semplice, chiamato modello a due settori perché prende
in considerazione soltanto imprese e famiglie. Acquisiti tali concetti, possiamo considerare il più
complesso modello a tre settori in cui, accanto a famiglie ed imprese, c’è anche il settore
pubblico. Infine, considereremo un modello più completo, il quale tiene conto di imprese,
famiglie, settore pubblico e settore estero, ossia il modello a quattro settori, il quale descrive
un’economia aperta agli scambi internazionali.
N.B.: Lo studente può scegliere se seguire i ragionamenti seguenti considerando variazioni
finite delle grandezze, come nel testo, oppure ricorrendo al calcolo differenziale (le derivate)
come nelle presenti dispense. L’importante è che capisca i concetti!
IL MODELLO A DUE SETTORI
Consideriamo le relazioni già definite in precedenza (repetita iuvant):
,
la quale ci dice che il reddito è in parte consumato e in parte risparmiato;
,
che dice che la spesa totale è definita come somma della spesa di consumo delle famiglie e della
spesa di investimento delle imprese;
,
la quale afferma che la spesa per consumi ed investimenti deve uguagliare il reddito prodotto e
distribuito. Abbiamo già detto che da quest’ultima condizione deriva
,
dalla quale
.
Ora andiamo a vedere nello specifico chi sono le grandezze e .
Per il momento consideriamo e poiché ora ci interessa comprendere i concetti base,
definiamo il consumo delle famiglie nel modo più semplice possibile, ossia come
.
Da questa espressione vediamo che c’è una relazione diretta tra consumo e reddito tramite il
parametro , che è compreso tra 0 e 1 e che definiremo fra poco. Per il momento osserviamo che
se , il consumo è nullo , mentre se , il reddito viene interamente consumato e non
c’è risparmio .
Dividendo per ambo i membri dell’equazione , otteniamo
.
20
Qui è la propensione media al consumo ed indica qual è la frazione di reddito che viene
consumata.
Se invece, sempre in riferimento all’equazione , consideriamo la derivata di rispetto a
, abbiamo
,
dove ora indica la propensione marginale al consumo, cioè quale parte di un incremento di
reddito si traduce in spesa di consumo.
Per avere una rappresentazione visiva dell’equazione , consideriamo il grafico seguente:
dove è l’equazione di una retta crescente (del tipo ), che parte dall’origine degli assi
(la sua intercetta è zero), di coefficiente angolare .
In questo semplice caso, come abbiamo visto dalle precedenti equazioni, la propensione
media e la propensione marginale al consumo coincidono.
Per quanto visto, dall’equazione , otteniamo
,e sostituendo al posto di la sua espressione , otteniamo
.Se poniamo , la precedente equazione diventa
.
Dividendo per ambo i membri dell’equazione , abbiamo
,
dove è la propensione media al risparmio, mentre derivando la rispetto a , otteniamo
C
YO
cYC
21
,
ossia la propensione marginale al risparmio.
Anche è l’equazione di una retta crescente (del tipo ), che parte dall’origine
degli assi (la sua intercetta è zero), e di coefficiente angolare .
Rappresentando entrambe le funzioni sullo stesso grafico, abbiamo:
Ora che abbiamo definito i concetti basilari, introduciamo nel modello l’investimento (per il
momento supposto esogeno) e consideriamo nuovamente l’equazione , dove al posto di
mettiamo il suo valore , ottenendo
S
YO
sYS
YO
cYC
sYS
,
22
.
Tenendo conto della condizione di equilibrio . Otteniamo, allora, , dalla quale
, che possiamo scrivere ed infine
.
Ora, poiché è , la precedente relazione può anche essere scritta
,
la quale afferma che se aumenta la frazione del reddito che viene risparmiata, il reddito si
riduce.
IL MOLTIPLICATORE DEGLI INVESTIMENTI
Vediamo cosa accade per un aumento degli investimenti. Se consideriamo l’espressione
e deriviamo rispetto a , abbiamo
.
Quest’ultima espressione dice che per un aumento degli investimenti si ha un aumento del reddito,
ma essendo , sarà anche , quindi sarà e di conseguenza,
.
Questo significa che l’aumento degli investimenti ha prodotto un incremento di reddito
superiore all’incremento degli investimenti che lo ha causato e ciò si può vedere facilmente
scrivendo nella forma .
Il rapporto è chiamato moltiplicatore degli investimenti, in questo semplice modello a due
settori.
In questo caso il moltiplicatore agisce in modo espansivo.
Se invece si ha una diminuzione degli investimenti ( ), si ha un effetto demoltiplicativo sul
reddito.
FORMULAZIONI DIVERSE PER LE FUNZIONI DEL CONSUMO E DEL RISPARMIO
Concludiamo l’argomento riportando diverse formulazioni delle funzioni del consumo e del
risparmio. Per rendere il modello più semplice possibile, abbiamo considerato la funzione del
consumo nella forma . Una versione più completa di questa funzione è quella che considera
anche la componente autonoma del consumo , ossia quella parte della spesa di consumo che
non dipende dal reddito, ma da altre grandezze, tra le quali l’indebitamento. La funzione diventa,
allora, , che è una retta di coefficiente angolare ed intercetta :
23
D’altra parte, per quanto riguarda il risparmio, con questa nuova funzione del consumo,
l’equazione diventa
,e poiché è , si ha
;in quest’ultima equazione la componente autonoma del consumo appare con il segno negativo, ad
indicare un risparmio negativo e dunque un indebitamento.
è l’equazione di una retta crescente con coefficiente angolare ed intercetta
. Riportando le equazioni e sullo stesso grafico, abbiamo:
C
YO
cYCC 0
0C
C , S
YO
cYCC 0
0C
0C1Y
YsCS 0
24
dove è il livello del reddito in corrispondenza del quale il risparmio cessa di essere negativo.
Nella funzione del risparmio troviamo , cioè con il segno negativo, in quanto questa
grandezza indica un risparmio negativo, ossia un indebitamento.
In generale e più realisticamente, possiamo avere funzioni del consumo e del risparmio che sono
non lineari per quanto riguarda il loro andamento:
IL MODELLO A TRE SETTORI
In questo modello consideriamo famiglie, imprese e settore pubblico. Dobbiamo trovare
l’equazione del reddito, la quale terrà conto anche della presenza dell’operatore pubblico.
Possiamo ottenere tale equazione indifferentemente considerando l’equazione del consumo oppure
quella del risparmio. Per semplicità e brevità omettiamo il secondo procedimento e analizziamo il
modello considerando soltanto la funzione del consumo.
Per la presenza del settore pubblico, dobbiamo prendere in considerazione anche le grandezze
spesa pubblica , prelievo fiscale e i trasferimenti , (ossia pensioni e sussidi di
disoccupazione erogate alle famiglie dallo Stato). Mentre e sono supposte esogene, il
prelievo fiscale ha l’espressione
,
dove è l’aliquota fiscale ed è compresa tra 0 e 1. Per semplicità supponiamo che il prelievo
fiscale gravi soltanto sulle famiglie.
Al reddito delle famiglie, quindi, si dovrà sottrarre il prelievo fiscale ed aggiungere i trasferimenti,
per cui tale reddito non sarà più , ma si dovrà parlare di reddito disponibile, definito come
C , S
YO
C
0C
0C
1Y
S
25
.
Questo è il reddito effettivamente a disposizione delle famiglie ed a questo si dovrà ora riferire il
consumo, la cui equazione diviene
.
Le relazioni che definiscono ed , dovendo ora tenere conto anche della spesa pubblica e
della tassazione , diventano in questo modello
.
Sostituendo nell’equazione della spesa totale la funzione del consumo, abbiamo,
dalla quale . Sostituendo al posto di la sua espressione esplicita ,
abbiamo
Considerando ora la relazione di equilibrio , si ha
.
Poiché vogliamo l’equazione del reddito, dobbiamo isolare i termini in da tutti gli altri, per cui
sarà
, dalla quale .
Per poter ragionare più agevolmente sulle grandezze in gioco, nell’ultima espressione mettiamo in
evidenza anche , ottenendo l’equazione del reddito per il modello a tre settori
,
dalla quale
.
Ora, poiché è una grandezza minore di 1, sarà minore di 1 anche , ma ricordando che
anche è più piccola di 1, il prodotto è più piccolo di . Quindi, la quantità è
più grande di , ossia si ha . Considerando il reciproco di questa disequazione,
si avrà, necessariamente,
,
per una nota proprietà delle disequazioni di primo grado.
Economicamente ciò significa che il rapporto al primo membro è inferiore a quello ottenuto
nel caso del modello a due settori, in quanto ora, per la presenza del settore pubblico, si devono
pagare le tasse prima di decidere quanta parte del reddito destinare al consumo e quanta al
risparmio.
26
I FONDAMENTI DELLA POLITICA FISCALE: I MOLTIPLICATORI DELLA SPESA PUBBLICA, DEI TRASFERIMENTI E DELLA TASSAZIONE
Il reddito di equilibrio che abbiamo determinato non corrisponde necessariamente al reddito
potenziale di piena occupazione e se c’è carenza di domanda effettiva, si ha e quindi
disoccupazione involontaria. Questo problema richiede l’intervento dell’operatore pubblico
perché esso stimoli la domanda, agendo mediante strumenti di politica fiscale: variazione della
spesa pubblica, dei trasferimenti o della tassazione. Perché l’intervento sia di stimolo, lo Stato
deve aumentare o , oppure ridurre .
Vediamo i relativi moltiplicatori considerando l’equazione del reddito
.
Applicando la regola di derivazione per funzioni di più variabili, ossia derivando rispetto ad una
delle variabili mantenendo costanti tutte le altre (intuitivamente è come se le altre non ci fossero),
iniziamo a trovare il moltiplicatore della spesa pubblica, che è
,
(dove è il simbolo che si usa al posto di quando si ha una funzione a più variabili), ed il
moltiplicatore dei trasferimenti
.
Poiché la propensione marginale al consumo è minore di 1, si ha
,
che significa che solo una parte dei trasferimenti si traduce in spesa (proprio perché è ).
Riformuliamo ora il modello per ottenere il moltiplicatore della tassazione, considerando
esogena (piuttosto che scrivere ); quindi, l’equazione della spesa
, resta
,
e considerando l’equazione di equilibrio , abbiamo , dalla quale
, ossia ;
il reddito di equilibrio diventa, allora,
.
Di conseguenza, ora avremo
27
,
ed il moltiplicatore della tassazione
.
L’ultimo moltiplicatore presenta il segno meno perché un aumento del prelievo fiscale fa
diminuire il reddito.
IL MODELLO A QUATTRO SETTORI
Consideriamo ora il modello completo che tiene conto anche del settore estero, indicando con
le esportazioni di merci e servizi e con le importazioni. Queste ultime dipendono dal nostro
reddito nazionale e possono essere scritte nella forma
,
con compreso tra 0 e 1.
Le esportazioni, invece, rappresentano importazioni per gli altri paesi e quindi sono in
relazione con il reddito dei paesi esteri. Poiché noi siamo interessati alla definizione del reddito
interno al nostro paese, consideriamo esogene le esportazioni, mentre torniamo a considerare
endogena la tassazione e quindi nella forma ; l’equazione della spesa totale avrà allora la
forma seguente:
.
Ripetiamo tutto il ragionamento effettuato per il modello a tre settori, tenendo conto, ora,
anche delle esportazioni e delle importazioni. Sostituendo nell’equazione della spesa totale la
funzione del consumo, abbiamo
,
dalla quale . Sostituendo al posto di la sua espressione esplicita
, ed al posto di l’espressione , abbiamo
.
Considerando ora la relazione di equilibrio , si ha
.
Poiché vogliamo l’equazione del reddito, dobbiamo isolare i termini in da tutti gli altri, per
cui sarà
28
, dalla quale .
Anche qui, come abbiamo fatto nel modello precedente, nell’ultima espressione mettiamo in
evidenza anche , ottenendo
,
dalla quale
.
In questo modello i moltiplicatori terranno conto anche delle importazioni e di conseguenza,
risulteranno minori, in quanto le importazioni disperdono reddito:
Il moltiplicatore della spesa pubblica è ora
,
in quanto la presenza di un ulteriore termine positivo al denominatore della frazione, rende questa
più piccola rispetto a quella del modello a tre settori, ove non venivano considerate importazioni
ed esportazioni.
La stessa espressione viene ottenuta per il moltiplicatore degli investimenti:
,
mentre per il moltiplicatore dei trasferimenti si ha
.
In questo modello completo, dobbiamo inoltre considerare anche il moltiplicatore delle
esportazioni:
.
IL MODELLO IS-LM
29
In questo modello, formulato dall’autore neoclassico Hicks, il tasso d’interesse viene
determinato insieme al reddito all’interno del modello. , quindi, non è più esogeno e
costante. Il modello si estrinseca attraverso la costruzione di due curve, la curva IS, determinata
sul mercato dei beni, e la curva LM determinata sul mercato della moneta.
LA CURVA IS
Consideriamo il mercato dei beni utilizzando le relazioni già viste nel modello a due settori:
,
,
,
la quale comporta che sia
.
Anche qui definiamo il consumo delle famiglie nel modo più semplice possibile, ossia come
,
mentre il risparmio è
.
La funzione dell’investimento viene scritta in questo modo:
,
dove è una costante positiva, chiamata componente autonoma degli investimenti e non è
legata al tasso di interesse.
Il parametro è negativo, poiché abbiamo già visto che c’è una relazione inversa tra
investimento e tasso di interesse, che rappresenta il costo del denaro. è chiamato reattività
degli investimenti al tasso d’interesse: se gli investimenti sono molto reattivi al tasso d’interesse,
basta una piccola riduzione di per avere un forte aumento di . Questo è il caso di un molto
alto in valore assoluto, cioè senza considerare il suo segno.
Ricaviamo l’espressione analitica della curva: poiché la condizione di equilibrio fornisce
, abbiamo , ed essendo e , otteniamo
, ossia , dalla quale
,
dove vediamo che il reddito dipende dalla spesa autonoma per gli investimenti, che riflette le
aspettative degli imprenditori circa la profittabilità degli investimenti stessi, dall’inverso di ,
30
dal tasso di interesse e dalla reattività degli investimenti a . Per rappresentare la IS nel piano
, però, esplicitiamo l’equazione rispetto a , ottenendo ,
dalla quale deriva la curva IS in forma lineare
.
Sia l’equazione , che la , rappresentano le infinite
combinazioni di e che assicurano l’equilibrio sul mercato dei beni (e implicitamente sul
mercato dei capitali).
Nella il coefficiente angolare è negativo poiché è e e
l’intercetta è positiva in quanto è , per cui il segno meno davanti alla frazione diventa
positivo a causa della negatività di :
Dal punto di vista analitico è chiaro che la curva IS è decrescente per il fatto che è ; dal
punto di vista economico, la decrescenza della curva è dovuta al fatto che se aumenta, aumenta
il consumo , ma non nella stessa misura, in quanto è , perché una parte di reddito viene
risparmiata. Per ristabilire l’equilibrio devono aumentare gli investimenti, cosa che accade se
diminuisce , a causa della relazione inversa che intercorre tra queste due grandezze.
r
Y0
b
c1
CURVA IS
31
Lungo la linea IS il mercato dei beni è in equilibrio, mentre al di fuori non lo è.
Abbiamo ottenuto l’espressione della IS considerando il modello a due settori per semplicità.
Per comprendere pienamente i concetti, occorre, però, considerare anche le altre grandezze
presenti nei modelli a tre e quattro settori. Per non rendere troppo complesso il discorso,
limitiamoci a considerare la presenza del settore pubblico, riportando l’espressione analitica della
curva soltanto per far comprendere le cause dei suoi eventuali spostamenti nel piano. Nel caso del
modello a tre settori, nell’intercetta dell’espressione di , oltre a , sono presenti anche e ,
che chiamiamo semplicemente “spesa autonoma” e l’equazione della IS diventa
.
Se aumenta la spesa pubblica oppure i trasferimenti , la curva trasla parallelamente verso
destra, in quanto aumentano entrambe le intercette:
LA CURVA LM
Sul mercato della moneta abbiamo la funzione di offerta di moneta, espressa in termini
nominali e supposta esogena,,
e la funzione di domanda di moneta
espressa in termini reali (che significa che la domanda di moneta in termini nominali è stata divisa
per il livello generale dei prezzi ), con poiché essa è in relazione diretta con il reddito
(per motivi transattivi e precauzionali) e con in quanto in relazione inversa con il tasso di
interesse (per il movente speculativo). Il parametro (non è il simbolo di derivata, ma un
r
Y0
CURVA IS
G oppure Q
32
parametro) è la reattività della domanda di moneta al reddito, mentre è la reattività della
domanda di moneta al tasso di interesse.
Poiché la domanda di moneta è già in termini reali, per poter confrontare questa con l’offerta
di moneta, dobbiamo dividere quest’ultima per il livello generale dei prezzi , ossia
deflazionarla, scrivendo . A questo punto possiamo scrivere la condizione di equilibrio sul
mercato della moneta:
.Per semplicità focalizziamo l’attenzione direttamente sull’espressione della curva LM, la quale si
ottiene esplicitando l’equazione rispetto a . (Per l’equazione in si può vedere il
testo, ma è facoltativo). Dalla , quindi, abbiamo: , dalla quale
l’equazione della curva LM in forma lineare
.
Quest’ultima equazione ci dà le infinite combinazioni di e che portano in equilibrio il
mercato della moneta.
Tra reddito e tasso di interesse c’è un legame diretto, poiché il rapporto è positivo in quanto è
.
Dal punto di vista economico, un aumento di fa aumentare la domanda di moneta, e per far
ristabilire questa al livello di equilibrio, deve aumentare il tasso di interesse, in modo che
scenda.
Lungo la linea LM il mercato della moneta è in equilibrio, mentre al di fuori non lo è.
r
Y0
e
d
CURVA LM
33
La curva trasla parallelamente se aumenta l’offerta nominale di moneta (politica monetaria
espansiva) (o si riduce il livello generale dei prezzi).
L’EQUILIBRIO DEL SISTEMA
La IS e la LM prese singolarmente non consentono di determinare né il reddito né il tasso
d’interesse, ma e saranno definite simultaneamente dall’intersezione delle due curve:
Questo livello del reddito porta in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della
moneta per un dato livello dei prezzi.
Un aumento della spesa autonoma causato da una politica fiscale espansiva, trasla la IS verso
destra, determinando un aumento sia di che di :
r
Y0
CURVA LM
M (oppure )
r
Y0
LM
Er
EY
IS
34
Un aumento dell’offerta di moneta a causa di una politica monetaria espansiva, fa traslare la
LM verso destra, determinando un aumento di e una diminuzione di :
L’EFFETTO SPIAZZAMENTO
Partiamo da una situazione iniziale di equilibrio sia sul mercato dei beni che su quello dei
titoli, individuata dal punto del grafico seguente, al quale corrispondono un reddito ed un
tasso di interesse e supponiamo che aumenti la spesa pubblica: la IS si sposterà verso destra e
l’economia andrà di conseguenza nel punto , al di fuori della LM , quindi in un punto che non
equilibra il mercato della moneta, in quanto rispetto a prima, a parità di tasso di interesse, il reddito
è maggiore ( ). In questa situazione, a parità di tasso d’interesse si ha un reddito maggiore e
quindi eccesso di domanda di moneta e ciò significa che il pubblico desidera liquidità, per cui
r
Y0
Nuova curva IS
LM
r
Y0
Nuova curva LM
IS
35
vorrà vendere alcuni dei propri titoli. Si ottiene, allora, un eccesso di offerta di titoli, con
conseguente diminuzione del loro prezzo e un aumento del tasso di interesse, che come abbiamo
visto, è in relazione inversa con il prezzo dei titoli. Ma l’aumento di farà diminuire gli
investimenti: infatti, se consideriamo di nuovo l’equazione e da questa esplicitiamo ,
otteniamo , dalla quale . Ricordando che il parametro è negativo, capiamo
che l’ultima equazione descrive una retta decrescente nel piano (vedere il testo), per cui,
all’aumento di corrisponderà una diminuzione di . In corrispondenza del valore di più alto, si
avrà un valore di più basso ( ) nel punto , nel quale si ha di nuovo equilibrio
simultaneo sul mercato dei beni e della moneta:
lo spostamento da a comporta una riduzione del reddito e la differenza si chiama
effetto spiazzamento, nel senso che la spesa pubblica spiazza la spesa privata di investimento.
LA TRAPPOLA DELLA LIQUIDITA’
Y0
A
B
C
1r
2r
1Y 2Y 3Y
Effetto spiazzamento
r LM
Nuova curva IS
IS
36
Se il tasso di interesse è molto basso, la maggior parte delle persone ritiene che non sia
conveniente acquistare titoli (il cui rendimento viene giudicato troppo piccolo), per cui i soggetti
economici preferiscono detenere la propria ricchezza sotto forma monetaria e non sotto forma di
titoli. Si verifica, quindi, la cosiddetta trappola della liquidità quando gli operatori economici
ritengono che il tasso di interesse sia talmente basso da essere conveniente per essi non detenere
titoli, ma solo moneta. Di conseguenza, essi trattengono nelle loro mani qualunque quantità di
moneta venga immessa nel sistema dalle autorità monetarie e si crea un ristagno di liquidità.
In questa situazione, la curva LM presenta una forma diversa da quella precedentemente vista:
qui il primo tratto, quello orizzontale, è detto keynesiano e descrive la situazione di trappola
della liquidità; il secondo tratto è quello generale di una curva LM crescente (non più
necessariamente lineare) e il terzo tratto è detto neoclassico perché corrisponde ad un livello del
reddito massimo di piena occupazione.
Vediamo cosa accade circa le politiche economiche nel caso di questa forma particolare di
curva LM (per semplicità consideriamo la IS ancora lineare).
Se l’intersezione tra IS e LM avviene nel tratto orizzontale di quest’ultima, l’aumento
dell’offerta di moneta fa spostare solo il tratto crescente della LM , mentre il tratto orizzontale
non subisce variazioni. Infatti, il tasso di interesse, che dovrebbe diminuire, in realtà non
diminuisce, perché il pubblico non sostituisce moneta con titoli.
r
Y0
minr
POY
37
In questo caso, il giusto intervento da parte dello stato è quello di intervenire con la politica
fiscale, in quanto lo spostamento verso destra della IS farebbe aumentare il reddito senza che vari
il tasso di interesse
oppure il reddito aumenterebbe con un aumento molto piccolo del tasso di interesse nel caso in cui
la nuova IS intersecasse la LM nel suo tratto crescente come nel grafico seguente
r
Y0
minr
IS
LM
Nuova LM
r
Y0
minr
IS
LM
Nuova IS
38
In questi due casi l’effetto spiazzamento è rispettivamente nullo (primo caso) e minimo
(secondo caso).
Se invece la IS interseca la LM nel suo tratto verticale, una politica fiscale espansiva lascia
invariato il livello del reddito e fa aumentare solo il tasso di interesse, producendo un effetto
spiazzamento massimo
r
Y0
minr
IS
LM
Nuova IS
r
Y0
minr
IS
LM
Nuova IS
39
Anche una politica monetaria espansiva, però, in questo caso sarebbe controproducente, in
quanto spingerebbe il sistema oltre la piena occupazione, producendo inflazione.
IL MODELLO AD-AS
E’ il modello della domanda e dell’offerta aggregate e rispetto al modello IS-LM considera,
oltre al mercato dei beni e della moneta, anche il mercato del lavoro, rimuovendo l’ipotesi
della costanza dei prezzi. La curva AD deriva dallo schema IS-LM , che considera la domanda
aggregata, mentre la curva AS , ossia la curva dell’offerta aggregata, deriva dalla considerazione
delle condizioni tecniche e del mercato del lavoro.
LA CURVA AD
Riprendiamo il modello IS-LM e supponiamo che il livello dei prezzi non sia più costante,
ma variabile, ed accanto ad imprese e famiglie consideriamo anche il settore pubblico e quello
estero. Il sistema sarà, quindi, un’economia aperta con intervento pubblico. Supponiamo dati e
costanti la spesa autonoma per gli investimenti, i trasferimenti, la spesa pubblica, le esportazioni e
l’offerta nominale di moneta.
Abbiamo, allora, la curva AD , ossia la curva formata dalle infinite combinazioni di e
che portano in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della moneta, per un
dato livello della spesa autonoma e dell’offerta nominale di moneta.
P
Y0
AD
40
La relazione tra e è inversa, poiché se aumenta , l’offerta reale di moneta diminuisce;
perché si ristabilisca l’equilibrio sul mercato monetario, deve diminuire anche la domanda di
moneta , che è in relazione inversa con il tasso di interesse (ricordiamo che è ),
quindi deve aumentare. Questo aumento di fa poi diminuire gli investimenti e di
conseguenza il reddito , che con gli investimenti è in relazione diretta. Riepilogando, quindi, ad
un aumento di corrisponde una diminuzione di .
LA CURVA AS
Per spiegare l’andamento della curva AS, riprendiamo un concetto già esposto nella dispensa
di microeconomia. In quella sede abbiamo detto che nel pagare l’acquisto di un fattore produttivo,
l’impresa sostiene un costo, il costo marginale. La quantità aggiuntiva di input, d’altra parte,
consente all’impresa di realizzare la quantità di prodotto che, una volta venduto, fornisce il ricavo
marginale. Poiché l’impresa massimizza i profitti secondo la relazione , si ottiene
Prezzo del fattore = Produttività marginale del fattore.
Per quanto riguarda il lavoro, il discorso è il seguente:
poiché per il lavoro il costo sostenuto dall’impresa è il salario reale, abbiamo
Salario reale = produttività marginale del lavoro.
Indicando con la produzione e con il salario che le imprese pagano al lavoratore, ossia il
salario nominale, il salario reale sarà dato da (per il solito ragionamento che si fa per
ottenere le grandezze reali da quelle nominali). La curva AS, quindi, è una relazione che associa
a ciascun livello generale dei prezzi , la quantità di produzione che massimizza il
profitto.
Se aumenta , diminuisce il salario reale, quindi aumenta l’occupazione e, di conseguenza, il
reddito. Per cui, la curva AS è crescente.
41
Tale curva ha il primo tratto quasi orizzontale, detto keynesiano, il tratto centrale crescente, di
tipo generale, e il tratto finale quasi verticale, detto neoclassico.
Il tratto orizzontale indica rigidità dei prezzi, compreso il salario monetario, verso il basso e
denota esistenza di disoccupazione, il che spiega la sua classificazione come tratto keynesiano. Il
tratto verticale corrisponde al reddito di piena occupazione: in questa situazione tutte le risorse
produttive sono impiegate pienamente (per questo motivo è detto tratto neoclassico) e una ulteriore
espansione della produzione è possibile solo nel caso di miglioramenti tecnologici che amplino
l’apparato produttivo.
L’EQUILIBRIO DEL SISTEMA, DISOCCUPAZIONE, INFLAZIONE E STAGFLAZIONE
L’equilibrio del sistema si ha nel punto di intersezione delle due curve AD e AS: questo punto
determinerà il reddito ed il livello dei prezzi di equilibrio.
P
Y0
AS
42
Secondo i neoclassici, l’economia si trova sempre in corrispondenza del tratto verticale della
AS e l’unica disoccupazione che può verificarsi è quella di tipo volontario, in quanto il
lavoratore non accetta il salario di mercato. L’inflazione, invece, in base alla teoria quantitativa
della moneta, è dovuta ad un eccesso di moneta in circolazione.
Secondo i keynesiani, invece, il sistema economico si trova prevalentemente nel tratto
orizzontale della AS, in cui si ha disoccupazione involontaria dovuta a carenza della domanda
effettiva, mentre l’inflazione è dovuta ad un eccesso della domanda di beni in prossimità del
pieno impiego. Tale situazione è definita shock della domanda.
Secondo tale ragionamento, sembrerebbe che la disoccupazione e l’inflazione si escludano
reciprocamente, poiché nel tratto orizzontale della AS si ha disoccupazione, ma prezzi bassi,
mentre nel tratto verticale si hanno prezzi alti e quindi inflazione, ma piena occupazione.
Esiste, però, una terza possibilità, quella della stagflazione, in cui si hanno inflazione e
disoccupazione contemporaneamente. Questo caso è dovuto ad uno spostamento verso l’alto del
tratto orizzontale della AS, a causa di un aumento dei costi di produzione. Questa situazione è
definita shock dell’offerta.
P
Y0
P
Y
E
AS
AD
43
LA CRESCITA ENDOGENA
Le cause della crescita sono l’aumento della popolazione e delle forze lavoro, l’accumulazione
del capitale ed il progresso tecnico. Questi fattori sono considerati esogeni se si assumono dati
dall’esterno, endogeni se si ritiene che derivino dai comportamenti dei soggetti economici.
Gli autori che si occupano di crescita endogena cercano di spiegare l’origine delle
innovazioni tecnologiche e l’aumento della produttività. I soggetti economici generano esternalità
positive che possono avvantaggiare tutta la collettività. In questo contesto la crescita è dovuta
all’accumulazione di capitale umano
all’attività di ricerca e sviluppo (R&S)
IL RUOLO DEL CAPITALE UMANO
In microeconomia abbiamo più volte definito la funzione di produzione nella forma
,intendendo che il prodotto è determinato dall’impiego del capitale (considerato come l’insieme dei
macchinari necessari per il processo produttivo) e del lavoro fornito.
Illustri economisti hanno però osservato che accanto al lavoro inteso come “braccia”, si debba
considerare un altro fattore produttivo molto importante: il capitale umano, ossia l’insieme delle
abilità produttive che gli individui hanno accumulato attraverso anni di istruzione scolastica,
di apprendimento sul posto di lavoro e la loro efficienza fisica relativa al loro stato di salute .
Il fatto di apprendere sul posto di lavoro è un concetto definito learning by doing, letteralmente
P
Y0
P
Y
E
AS
AD
44
“imparare facendo”. Indicando con il capitale umano, la funzione di produzione può essere
riscritta nella forma
.Numerosi studi empirici hanno confermato che gli individui dotati di un maggior capitale umano
sono pagati di più dalle imprese perché la loro produttività marginale è maggiore di quella di
soggetti con un livello di minore e, analogamente, paesi con un maggiore livello medio di
istruzione, esperienza e salute, hanno un maggiore livello di prodotto pro-capite e una maggiore
produttività del lavoro e del capitale fisico. Invece, in paesi con basso livello medio di istruzione, è
più difficile per le nuove generazioni istruirsi, con la conseguenza di una probabile “trappola della
povertà”.
Il capitale umano non è semplice da accumulare e spesso richiede più di una generazione.
Inoltre, un più elevato grado di istruzione dei genitori rende per i figli più facile l’apprendimento.
Una forma di accumulazione di capitale umano si può effettuare tramite l’istruzione (anni di
scuola e di università) oppure mediante corsi professionali presso le aziende.
L’investimento in capitale umano genera esternalità positive, perché se un lavoratore impara a
svolgere mansioni più qualificate, altri lo imiteranno e innalzeranno il loro livello. In presenza di
queste esternalità positive, la teoria della crescita suggerisce che lo Stato finanzi l’istruzione con
spesa a carico dell’intera collettività, così da invogliare il soggetto ad istruirsi di più di quanto non
farebbe se egli dovesse finanziarsi da solo l’istruzione; in questo modo la collettività
internalizzerebbe l’esternalità.
La disuguaglianza dei redditi e delle ricchezze può causare gravi squilibri nella formazione
delle forze lavoro e quindi gravi inefficienze economiche. Dove una minoranza possiede la gran
parte delle ricchezze del paese e l’istruzione è privata, i costi per mantenere un figlio agli studi
possono essere proibitivi per la maggior parte della popolazione, per cui, se lo Stato non
redistribuisce adeguatamente le risorse, si può avere una diffusione elevata di lavoro minorile e
una bassa produttività dell’economia. Per questo motivo, la tassazione dei redditi dei più ricchi e
di trasferimenti a favore della maggioranza della popolazione permette all’economia di crescere.
Pur senza considerare il concetto di equità, quindi, la redistribuzione delle risorse è
necessaria per ragioni di efficienza economica.
L’INVESTIMENTO NELLA “RICERCA E SVILUPPO”
Oltre che dal capitale umano, la crescita di un sistema economico dipende anche
dall’investimento delle imprese nella ricerca e sviluppo, R&S, di nuovi processi produttivi o di
migliori prodotti. Le imprese non competono soltanto fissando i prezzi e le quantità del proprio
prodotto, ma cercano anche di migliorare la qualità di questi e di inventarne di nuovi. Gli autori di
questo filone della teoria della crescita riconoscono che non si può avere investimento in R&S
senza ammettere forme di concorrenza monopolistica, di oligopolio o di monopolio. Per evitare
che le grandi industrie usino il loro potere di mercato e attuino collusioni in apparenza per
45
sviluppare nuova conoscenza, ma in realtà per coordinare un aumento dei prezzi a scapito di
consumatori e lavoratori, si rende necessaria la vigilanza da parte delle autorità Antitrust,
affinché queste vigilino sui loro comportamenti.
LE POLITICHE MACROECONOMICHE
Per effettuare i loro interventi di politica economica, i policy maker devono individuare gli
obiettivi, tipicamente lotta all’inflazione o alla disoccupazione e gli strumenti per conseguire
tali obiettivi, i più importanti dei quali sono manovra della spesa pubblica, dei trasferimenti o
delle aliquote fiscali, manovra del tasso ufficiale di sconto o del coefficiente di riserva
obbligatoria, operazioni di mercato aperto, politiche della ricerca e sviluppo e
dell’istruzione. Accanto agli obiettivi finali, ci sono gli obiettivi intermedi, cioè le grandezze da
influenzare per conseguire un certo risultato: esempi di queste sono un determinato aggregato
monetario il cui valore si ritiene che influenzi il livello generale dei prezzi, oppure il valore della
spesa interna il cui valore si ritiene che influenzi il livello di occupazione. Quando gli obiettivi di
politica economica sono più di uno, si verifica spesso che essi siano in conflitto fra di loro , per
cui risultati positivi su un fronte sono pagati in termini di risultati peggiori sull’altro fronte.
E’ questo il caso della disoccupazione e dell’inflazione. Una relazione importante tra questi
due mali è stata individuata da Phillips sulla base di evidenze empiriche. Phillips rilevò un trade-
off tra questi due problemi: diminuendo il livello della disoccupazione aumenta quello
dell’inflazione e viceversa. Per i responsabili di politica economica si pone quindi il problema di
decidere quale dei due obiettivi privilegiare: se conseguire una diminuzione della disoccupazione
in cambio di una maggiore inflazione o un contenimento del livello dei prezzi con conseguente
aumento della disoccupazione.
Abbiamo detto che la politica monetaria consiste negli interventi della banca centrale di
regolazione dell’offerta di moneta e di controllo del tasso di interesse, nei loro effetti sulla spesa
totale e sul reddito nazionale.
Ricordiamo che gli strumenti di politica monetaria riguardano la manovra del tasso ufficiale di
sconto, del coefficiente di riserva e le operazioni di mercato aperto.
Invece, la politica fiscale riguarda la manovra di spesa pubblica per produrre servizi
pubblici, trasferimenti a vantaggio delle famiglie, prelievo fiscale, costituito da tasse, imposte
dirette ed imposte indirette.
L’obiettivo della politica dei redditi è quello di evitare l’aumento del livello generale dei
prezzi, attraverso il controllo dei salari e/o del margine di profitto delle imprese.
Il salario costituisce un reddito per i lavoratori ed un costo per le imprese. La politica dei redditi
può proporsi di contenere l’aumento del salario in modo da tenere basso il costo del lavoro e più
in generale i costi, riducendo in questo modo la possibilità di un aumento dei prezzi.
46
Un tipo di politiche, dette dirigistiche, impone ai salariati e/o ai capitalisti un determinato
comportamento nella variazione dei salari o del margine di profitto. Ne è un esempio il blocco dei
salari. Le politiche dei redditi di mercato, invece, consistono in un sistema di incentivi e/o
disincentivi; ad esempio, un accordo fra le parti sociali che assicuri l’invarianza dei prezzi è
premiato con la concessione di sgravi fiscali.
47
APPENDICE MATEMATICA
CONCETTI ELEMENTARI DI ANALISI MATEMATICA
Per capire in quale modo si ottengono determinate grandezze riportate nel testo, non basta la
conoscenza del concetto e del calcolo della derivata prima per funzioni di una variabile (descritti
nell’appendice matematica alle dispense di Microeconomia), ma abbiamo bisogno del concetto di
derivata parziale nel caso di funzioni a più variabili. Per capire il concetto di derivata parziale
riportiamo brevemente un sunto di quanto riportato nelle dispense di Microeconomia a proposito
della derivata di una funzione di una variabile, poi definiamo la derivata parziale prima per una
funzione di due variabili ed in ultimo estendiamo il discorso alle funzioni di più variabili.
FUNZIONI DI UNA VARIABILE
Avendo definito una funzione reale, abbiamo detto che se consideriamo un incremento
della variabile , essa passa dal generico valore al valore .
Sappiamo che al variare di , anche la varia, e si ha
,
dove è il valore della in corrispondenza di e è il valore che assume in seguito
all’incremento .
x xx 0 Asse delle
Asse delle
xf
xxf y
x
1P2P
48
Quindi abbiamo definito il rapporto incrementale, o saggio di variazione di rispetto a , come
rapporto tra le due variazioni di cui sopra:
.
La grandezza è dunque la misura della variazione di al variare di nell’intervallo .
Geometricamente, il rapporto rappresenta l’inclinazione, o coefficiente angolare della retta
(indicata con il tratteggio - - - - - - ), che taglia la funzione nei punti e . Tale
inclinazione è costante nell’intervallo :
Nel caso di una retta, l’inclinazione è costante in tutti i suoi punti:
x xx 0 Asse delle
Asse delle
xf
xxf y
x
1P
2P
49
Nel caso di una funzione non lineare, invece, l’inclinazione varia punto per punto:
Dobbiamo trovare, quindi, la definizione di variazione puntuale, ossia punto per punto,
dell’inclinazione della curva al variare di .
IL CONCETTO DI DERIVATA PRIMA PER UNA FUNZIONE DI UNA VARIABILE
Consideriamo nuovamente il rapporto incrementale ed il grafico seguente
x xx 0 Asse delle
Asse delle
xf
xxf y
x1P
2P
C D0 Asse delle
Asse delle
A
B
1P2P
50
Se ora facciamo ridurre sempre di più , il punto si avvicinerà sempre di più al punto e
facendo diventare piccolissimo, in termini più precisi, facendo tendere a zero, la retta
secante nei punti e (ossia la retta che taglia la curva nei due punti), diventa la retta tangente
alla curva nel punto (ossia la retta che tocca la curva nel solo punto ):
x xx 0 Asse delle
Asse delle
xf
xxf y
x
1P
2P
x0 Asse delle
Asse delle
xf1P
51
Il fatto che diventa molto piccolo, tendente a zero, ci porta a definire l’inclinazione della
funzione punto per punto. Come nel linguaggio comune diciamo “ diventa piccolissimo, al
limite zero”, così formalmente utilizziamo proprio il concetto di limite per definire la derivata
prima della funzione , dicendo che
La derivata prima di una funzione è il limite del rapporto incrementale di rispetto a al
tendere a zero della variazione di , .
Riprendendo, quindi, la definizione di rapporto incrementale, , scriviamo:
.
Ripetiamo il fatto che il simbolo si riferisce a variazioni in un intervallo, mentre la notazione
è relativa a variazioni infinitamente piccole.
In termini geometrici, quindi, la derivata di una funzione in un punto è l’inclinazione della retta
tangente alla curva in quel punto.
La grandezza appena definita, prende il nome di derivata prima di una funzione di una variabile.
CALCOLO DI DERIVATE ELEMENTARI
Nelle precedenti dispense, abbiamo inoltre riportato il calcolo di derivate elementari utili alla
comprensione dei concetti esposti nel testo:
(funzione costante)
(bisettrice)
(retta passante per l’origine degli assi)
FUNZIONI DI DUE VARIABILI
52
Ora estendiamo questi concetti al caso di funzioni a due variabili, omettendo i grafici per la
loro complessità e limitandoci solo agli argomenti essenziali.
DERIVATE PARZIALI PRIME
Supponiamo ora che dipenda da due variabili indicate da e . Scriviamo allora
.
La derivata parziale di rispetto a è la derivata della funzione rispetto a ipotizzando
che sia una costante. Il concetto è lo stesso che in una variabile: si considera l’incremento
di e si ipotizza che tenda a diventare infinitamente piccolo, al limite zero. La differenza è
che ora la dipende da due variabili, e , quindi nell’argomento di bisogna considerare
anche . Per definizione di derivata parziale rispetto a , però, la è considerata costante, per
cui è (per questo motivo si considera e non anche ):
.
Analogamente, la derivata parziale di rispetto a è la derivata della funzione rispetto a
ipotizzando che sia una costante. Cioè:
La derivata parziale si indica con il simbolo ed essa gode delle stesse proprietà della derivata
ordinaria.
CALCOLO DI DERIVATE PARZIALI ELEMENTARI
Funzione Derivata parziale rispetto a Derivata parziale rispetto a
53
1)
Infatti, dire derivata parziale rispetto a , equivale a dire che si calcola la derivata ordinaria rispetto a , considerando costante (ricordiamo che la derivata di una costante è zero). (In
senso intuitivo e non rigoroso pensiamo a , per la quale è ).
2) .
(Qui si pensi a qualcosa di analogo a , la cui derivata è )
Applichiamo tali concetti per calcolare le grandezze rilevanti che troviamo nel testo della
dispensa. Considerando l’equazione del reddito
,
troviamo il moltiplicatore della spesa pubblica applicando la regola di derivazione per funzioni
di più variabili, ossia derivando rispetto a mantenendo costanti tutte le altre (intuitivamente è
come se le altre non ci fossero), quindi è
,
(dove è il simbolo che si usa al posto di quando si ha una funzione a più variabili), perché il
termine è costante, quindi, intuitivamente, è come se dovessimo derivare la funzione
.
Il moltiplicatore dei trasferimenti è, invece,
,
poiché in questo caso la costante da tener presente nella derivazione di rispetto a , è
.
Analogamente, quando il reddito di equilibrio è
,
il moltiplicatore della tassazione è
.
54