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Dizionario Di Retorica e Stilistica

Date post: 04-Aug-2015
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Autore: Carlo Mariani © 2008 – Tutti i diritti riservati http://carlomariani.altervista.org 1 Dizionario di metrica, retorica e stilistica accento elemento fonetico del linguaggio che consiste in un rafforzamento della voce (accento intensivo o tonico o dinamico) su una determinata sillaba. In poesia l’accento che marca le sillabe nella struttura del verso si chiama ictus, v. (primario o secondario). accumulazione figura retorica che consiste nell’allineamento di parole o frasi a scopo espressivo. V. anche enumerazione. acròstico componimento poetico in cui le lettere iniziali dei versi, lette di seguito, formano un nome o una frase. adèspota opera di autore ignoto. adonio verso della metrica classica formato da una dipodia (due piedi) dattilico-trocaica: . adýnaton figura retorica che sottolinea con enfasi un fatto impossibile. afèresi caduta di una vocale o di una sillaba all’inizio di una parola: verno per inverno. aforisma massima, sentenza o gnome (v.). agente v. attante. agnitio o agnizione v. riconoscimento. aiutante v. attante. alba componimento poetico incentrato sulla separazione (all’alba) degli amanti. alcàica strofa della metrica classica formata da quattro versi alcaici (due endecasillabi, un enneasillabo, un decasillabo), che prende il nome dal poeta Alceo. La metrica barbara (v.) di Carducci la riproduce con due doppi quinari (il primo piano, l’altro sdrucciolo), un novenario e un decasillabo: Oh quei fanali come s’inseguono / accidïosi là dietro gli alberi, / fra i rami stillanti di pioggia / sbadigliando la luce su ‘l fango! alessandrino verso francese di dodici sillabe. allegoria figura retorica mediante la quale un termine si riferisce a un significato profondo e nascosto. Ad esempio, il veltro dantesco: a livello denotativo o letterale «veltro» significa «cane da caccia», ma nel sistema semantico della Commedia il termine assume la connotazione di «riformatore spirituale». allitterazione ripetizione degli stessi fonemi (suoni) all’inizio di due o piú parole o all’interno di esse. Es.: Il tuo trillo sembra la brina (Pascoli). allocuzione atto con cui l’emittente si rivolge al ricevente (o allocutore) nella comunicazione o in un testo. V. comunicazione. allusione figura retorica di carattere logico che consiste nel dire una cosa con l’intenzione di farne capire un’altra. Le allusioni possono essere storiche (il flagello di Dio = Attila), letterarie (un Tartufo = un ipocrita), mitologiche (un Apollo = una persona bellissima) ecc. ambiguità indeterminazione linguistica che può essere sciolta (disambiguata) con riferimento al contesto. Ad esempio, il sintagma quel cane del tenore può voler dire: il tenore ha un (quel) cane, oppure il tenore è un cane. In ambito letterario l’ambiguità è, secondo alcuni critici, un carattere specifico del linguaggio poetico, semanticamente ricco, polisemico, connotativo. amplificazione procedimento stilistico con cui si esprime un concetto o si descrive una cosa con una certa enfasi (v.), mediante un accumulo di termini. anacoluto rottura della regolarità sintattica della frase. Es.: Quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui (Machiavelli). anadiplosi figura retorica consistente nel riprendere una parola che precede immediatamente a livello di frase o di verso. Es.: Questa voce sentiva / gemere in una capra solitaria. // In una capra dal viso semita... (Saba). anàfora figura retorica che consiste nella ripetizione di una o piú parole all’inizio di frasi o versi successivi. Es.: Piove sulle tamerici / salmastre ed arse, / piove sui pini / scagliosi ed irti, / piove sui mirti / divini (D’Annunzio). anagogia particolare interpretazione allegorica di un testo; è uno dei quattro sensi della scrittura, secondo l’esegesi medievale. anagramma trasposizione delle lettere di una parola per formarne un’altra. Es.: Roma-amor-ramo-mora-orma; arca di Roma = cara dimora. Nel linguaggio poetico l’anagramma può servire a riprendere fonicamente una parola chiave. Es.: Silvia-salivi (nella prima stanza di A Silvia del Leopardi, secondo un’analisi di S. Agosti). analessi retrospezione, racconto in flashback di un episodio all’interno di un racconto, che in tal modo «torna indietro», saturando una lacuna della storia. analogia procedimento espressivo che coglie in un’immagine un rapporto di somiglianza o di affinità tra elementi diversi. V. similitudine, metafora. anapesto piede della metrica classica formato da due sillabe brevi e da una lunga (), dattilo rovesciato. anàstrofe figura retorica consistente nell’inversione dell’ordine normale di due parole. Es.: E pianto, ed inni, e delle Parche il canto (Foscolo). V. anche ipèrbato. ancípite sillaba che può essere breve o lunga.
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Autore: Carlo Mariani © 2008 – Tutti i diritti riservati

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Dizionario di metrica, retorica e stilistica

accento elemento fonetico del linguaggio che consiste in un rafforzamento della voce (accento intensivo o tonico o dinamico) su una determinata sillaba. In poesia l’accento che marca le sillabe nella struttura del verso si chiama ictus, v. (primario o secondario).

accumulazione figura retorica che consiste nell’allineamento di parole o frasi a scopo espressivo. V. anche enumerazione.

acròstico componimento poetico in cui le lettere iniziali dei versi, lette di seguito, formano un nome o una frase. adèspota opera di autore ignoto. adonio verso della metrica classica formato da una dipodia (due piedi) dattilico-trocaica: . adýnaton figura retorica che sottolinea con enfasi un fatto impossibile. afèresi caduta di una vocale o di una sillaba all’inizio di una parola: verno per inverno. aforisma massima, sentenza o gnome (v.). agente v. attante. agnitio o agnizione v. riconoscimento. aiutante v. attante. alba componimento poetico incentrato sulla separazione (all’alba) degli amanti. alcàica strofa della metrica classica formata da quattro versi alcaici (due endecasillabi, un enneasillabo, un

decasillabo), che prende il nome dal poeta Alceo. La metrica barbara (v.) di Carducci la riproduce con due doppi quinari (il primo piano, l’altro sdrucciolo), un novenario e un decasillabo: Oh quei fanali come s’inseguono / accidïosi là dietro gli alberi, / fra i rami stillanti di pioggia / sbadigliando la luce su ‘l fango!

alessandrino verso francese di dodici sillabe. allegoria figura retorica mediante la quale un termine si riferisce a un significato profondo e nascosto. Ad

esempio, il veltro dantesco: a livello denotativo o letterale «veltro» significa «cane da caccia», ma nel sistema semantico della Commedia il termine assume la connotazione di «riformatore spirituale».

allitterazione ripetizione degli stessi fonemi (suoni) all’inizio di due o piú parole o all’interno di esse. Es.: Il tuo trillo sembra la brina (Pascoli).

allocuzione atto con cui l’emittente si rivolge al ricevente (o allocutore) nella comunicazione o in un testo. V. comunicazione.

allusione figura retorica di carattere logico che consiste nel dire una cosa con l’intenzione di farne capire un’altra. Le allusioni possono essere storiche (il flagello di Dio = Attila), letterarie (un Tartufo = un ipocrita), mitologiche (un Apollo = una persona bellissima) ecc.

ambiguità indeterminazione linguistica che può essere sciolta (disambiguata) con riferimento al contesto. Ad esempio, il sintagma quel cane del tenore può voler dire: il tenore ha un (quel) cane, oppure il tenore è un cane. In ambito letterario l’ambiguità è, secondo alcuni critici, un carattere specifico del linguaggio poetico, semanticamente ricco, polisemico, connotativo.

amplificazione procedimento stilistico con cui si esprime un concetto o si descrive una cosa con una certa enfasi (v.), mediante un accumulo di termini.

anacoluto rottura della regolarità sintattica della frase. Es.: Quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui (Machiavelli).

anadiplosi figura retorica consistente nel riprendere una parola che precede immediatamente a livello di frase o di verso. Es.: Questa voce sentiva / gemere in una capra solitaria. // In una capra dal viso semita... (Saba).

anàfora figura retorica che consiste nella ripetizione di una o piú parole all’inizio di frasi o versi successivi. Es.: Piove sulle tamerici / salmastre ed arse, / piove sui pini / scagliosi ed irti, / piove sui mirti / divini (D’Annunzio).

anagogia particolare interpretazione allegorica di un testo; è uno dei quattro sensi della scrittura, secondo l’esegesi medievale.

anagramma trasposizione delle lettere di una parola per formarne un’altra. Es.: Roma-amor-ramo-mora-orma; arca di Roma = cara dimora. Nel linguaggio poetico l’anagramma può servire a riprendere fonicamente una parola chiave. Es.: Silvia-salivi (nella prima stanza di A Silvia del Leopardi, secondo un’analisi di S. Agosti).

analessi retrospezione, racconto in flashback di un episodio all’interno di un racconto, che in tal modo «torna indietro», saturando una lacuna della storia.

analogia procedimento espressivo che coglie in un’immagine un rapporto di somiglianza o di affinità tra elementi diversi. V. similitudine, metafora.

anapesto piede della metrica classica formato da due sillabe brevi e da una lunga (), dattilo rovesciato. anàstrofe figura retorica consistente nell’inversione dell’ordine normale di due parole. Es.: E pianto, ed inni, e

delle Parche il canto (Foscolo). V. anche ipèrbato. ancípite sillaba che può essere breve o lunga.

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annominatio o annominazione figura retorica che consiste nel riprendere una parola in forme grammaticalmente variate. Es.: Amor, ch’a nullo amato amar perdona (Dante).

antagonista nella struttura attanziale (v. attante) del racconto è il ruolo dell’avversario dell’eroe cioè dell’oppositore.

antanàclasi o diàfora figura retorica di carattere semantico che consiste nel ripetere una parola con un significato diverso. Es.: Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (Pascal); La mattina seguente, Don Rodrigo si destò don Rodrigo (Manzoni).

anticipazione v. prolessi. antífrasi figura retorica di tipo logico con cui si vuol dire l’opposto di quanto apparentemente si dice. Es.: Come

sei intelligente! (= sei stupido). antítesi accostamento di due termini o frasi di senso opposto, eventualmente tramite la negazione. Es.: Non

fronda verde, ma di color fosco (Dante). V. anche ossímoro. antònimo termine di significato opposto a un altro (grande / piccolo). antonomasia figura retorica che consiste nel sostituire un nome comune con uno proprio o viceversa. Es.:

Carneade per sconosciuto; il segretario fiorentino per Machiavelli. a parte espediente teatrale col quale un attore parla tra sé (rivelando i propri pensieri) o si rivolge direttamente

al pubblico. apòcope caduta di uno o piú fonemi alla fine di una parola. Es.: dan per danno; pensier per pensiero. apòdosi proposizione principale di un periodo ipotetico. Es.: Se fa freddo (protasi), non vengo (apodosi). apoftegma sentenza breve e incisiva, massima o gnome. Es.: Sta come torre ferma, che non crolla / già mai la

cima per soffiar di venti (Dante); che quanto piace al mondo è breve sogno (Petrarca). apologia discorso in difesa di se stessi o di altri. apòlogo racconto di carattere allegorico mirante a trasmettere un insegnamento. Es.: l’apologo di Menenio

Agrippa. apòstrofe forma retorica che consiste nel rivolgersi direttamente a persona o cosa (magari personificata). Es.:

Italia mia, benché ‘ l parlar sia indarno... (Petrarca). arcaismo forma linguistica desueta. archètipo nella critica letteraria, è un motivo universale (ad es. gli archetipi cosmologici: terra, acqua, aria,

fuoco) o una forma simbolica dell’immaginario della letteratura. armonia imitativa o onomatopea figura retorica con cui si imitano rumori, suoni, gridi di animali ecc. Es.: Aíta,

aíta / parea dicesse (Parini). ars dictandi retorica medievale, studio in particolare delle regole della scrittura epistolare. arsi è la sillaba di un verso su cui cade l’ictus (v.), mentre la tesi è sillaba non accentata. asíndeto mancanza di congiunzione fra due parole o periodi. assi del linguaggio nella teoria di R. Jakobson il meccanismo linguistico lavora su due assi: paradigmatico e

sintagmatico. Sull’asse paradigmatico si operano le scelte delle unità linguistiche, su quello sintagmatico le combinazioni sintattiche.

assonanza figura retorica costituita dalla somiglianza fonica fra le ultime sillabe di due parole, allorché sono eguali le vocali e diverse le consonanti. Es.: amOrE-mOrtE. é con la rima uno dei moduli espressivi piú comuni della poesia. Es.: Trema un ricOrdO nel ricOlmO sEcchiO, / nel puro cErchiO un’immagine ride (Montale). Qui l’assonanza è accompagnata dall’allitterazione e dalla rima imperfetta secchio-cerchio.

attante nell’analisi del racconto di A. J. Greimas l’attante è una categoria semantico-sintattica corrispondente a un ruolo che può essere ricoperto da un infinito numero di personaggi o attori. Il modello attanziale comprende sei attanti:

Destinatore → Oggetto → Destinatario

↑ Aiutante → Soggetto ← Oppositore Nella fiaba l’Eroe (Soggetto) è incaricato dal Re o da un altro personaggio (Destinatore) di compiere una

determinata azione (ad esempio, salvare la figlia del Re, conquistare un oggetto magico ecc.). L’Antagonista (Oppositore) è vinto grazie all’aiuto di un Protettore (Aiutante), che consente all’Eroe di superare prove ed ostacoli e di raggiungere il suo fine. Ammesso che questo schema serva ad interpretare la narrativa di invenzione, è necessario comunque adattarlo ai testi per caratterizzarne la specifica composizione.

attenuazione v. litote. attore personaggio, incarnazione concreta di un ruolo attanziale. audience (pron. 'O:djns) termine inglese con cui si indica l’«udienza», il pubblico a cui si rivolge un autore, uno

spettacolo di vario tipo (oggi soprattutto di intrattenimento). àulico con riferimento allo stile sta per «alto», «illustre», soprattutto in rapporto alla tradizione petrarchesca. auto in Spagna, breve composizione drammatica di carattere religioso; auto sacramental è un particolare auto

eseguito nel giorno del Corpus Domini.

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autobiografia racconto della propria vita. Un modello imprescindibile sono le Confessioni di sant’Agostino, a cui si rifanno le autobiografie medievali (ad esempio il Secretum del Petrarca). Fra le molte opere di questo genere si devono ricordare almeno la Vita di Cellini, l’Autobiografia del Vico, i Mémoires del Goldoni, la Vita dell’Alfieri.

autògrafo manoscritto vergato dall’autore. autore va considerato come il mittente dell’opera-messaggio rivolta al lettore-destinatario nel contesto del

sistema letterario. L’autore non è solo l’individuo storico (oggetto della ricerca biografica), ma soprattutto il creatore dell’opera, definito anche autore implicito.

background (pron. 'baekgraund) dall’inglese: sfondo, ambiente, retroterra (storico-sociale, culturale...). ballata componimento poetico di origine provenzale, affermatosi in Italia a partire dalla metà del XIII secolo. é

introdotta da un ritornello o ripresa di due, tre o quattro versi, a cui segue una stanza, divisa in due piedi (ognuno di due versi), e una volta. Ecco un esempio di Dante:

Per una ghirlandetta a ripresa ch’io vidi mi farà b sospirare ogni fiore. c I piede I’ vidi, donna, portare d ghirlandetta di fior gentile, e II piede e sovr’a lei vidi volare d un angiolel d’amore umile; e volta e ‘n suo cantar sottile e dicea: «Chi mi vedrà b lauderà ‘l mio signore» c La ballata romantica, introdotta in Italia dal Berchet, ha una struttura metrica assai varia (distici di versi di

quattordici sillabe a rima baciata, quartine di tetrametri giambico-anapestici a rime alternate, con o senza ritornello).

barzelletta o fròttola barzelletta v. canzonetta. best seller espressione inglese: libro di successo. Bildungsroman termine tedesco con cui si definisce il «romanzo di formazione», vale a dire la storia di un giovane

osservato nel suo difficile e contrastato processo di educazione culturale, morale, sentimentale e sociale. bisíllabo verso di due sillabe (piuttosto raro). bisticcio gioco di parole dovuto all’incontro di termini fonicamente affini ma di diverso significato. Es.: Ben tu

puzzi di pazzo, ch’è un pezzo, disse Pluton, bestiaccia, per bisticcio (Lippi). V. anche calembour. blank verse (pron. Blènk vers) verso epico-drammatico inglese: decasillabo giambico non rimato corrispondente al

nostro endecasillabo sciolto (è il verso del teatro shakespeariano). bozzetto breve racconto realistico. Es.: Nedda del Verga. brachilogia modo di esprimersi ellittico, consistente in genere nell’omissione di un elemento della frase (soggetto

o verbo). bucòlica componimento di genere pastorale (v. ègloga). caccia forma poetico-musicale di ascendenza francese, affermatasi in Italia nel Trecento; è costituita da versi di

varia misura. cacofonia ripetizione di suoni che producono effetti disarmonici. Es.: Tra tre tristi triestini. Può essere usata a

scopi ironici, parodici o espressionistici: Le cade a pennecchi di capo il capecchio (Palazzeschi). calembour (pron. kalaá'bu:r) termine francese con cui si indica un gioco di parole (con eventuale doppio senso).

Es.: Mogli, fate la pelle ai vostri mariti (pelle = vita e pelle di daino per pulire l’automobile). canto carnascialesco ballata in forma di frottola-barzelletta, di carattere vivace e scherzoso, in uso durante le

feste di carnevale nella Firenze medicea. Es.: Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo il Magnifico. canzone forma poetica di grande prestigio, adottata dai siciliani che la ripresero dalla lirica provenzale e

successivamente usata dagli stilnovisti, da Dante e da Petrarca, che le diede la struttura definitiva. La canzone classica (o petrarchesca) consta di cinque o piú strofe (o stanze), ognuna delle quali composta da due elementi: la fronte e la sírima (o sirma). La fronte si divide in due piedi; la sírima può essere unica o divisa in due parti eguali dette volte. Tra fronte e volta è normalmente inserito un verso (detto chiave o diesi) che rima con l’ultimo verso della fronte. I metri piú usati sono l’endecasillabo e il settenario. Ecco un esempio di stanza petrarchesca:

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Di pensier in pensier, di monte in monte A 1° piede mi guida Amor: ch’ogni segnato calle B provo contrario alla tranquilla vita. C

FRONTE Se ‘n solitaria piaggia rivo o fonte, A 2° piede se fra due poggi siede ombrosa valle, B ivi s’acqueta l’alma sbigottita; C chiave e, come Amor l’invita, c or ride or piange, or teme or s’assecura, D 1° volta e ‘l volto che lei segue ov’ella ‘l mena, E si turba e rasserena, e

SIRMA et in un esser picciol tempo dura; D 2° volta onde a la vista uom di tal vita esperto F diría: «Questo arde, e di suo stato è incerto». F

La canzone può essere chiusa da una stanza piú breve detta commiato (v.) o congedo (v.), a struttura assai varia (può ripetere l’ultima stanza o la sirima o parte della sirima ecc.). Una variante notevole è la canzone sestina, composta di sei stanze ognuna di sei endecasillabi, con finale di tre versi (tornata); invece delle rime, la sestina ripete le ultime parole dei versi con un ordine retrogradato particolare (si veda l’esempio dantesco Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra). La forma piú moderna della canzone è quella libera o leopardiana, che riprende alcuni esperimenti del secentista Alessandro Guidi sviluppandoli in modo del tutto originale. Nelle prime canzoni Leopardi si rifà al modello petrarchesco, con strofe di eguale lunghezza anche se con rime e versi senza un ordine fisso in ogni stanza (es.: All’Italia). Il «canto» è una canzone dalla metrica assai libera, con strofe di varia lunghezza in versi essenzialmente sciolti, e rime collocate in posizioni non rigide.

canzone di gesta componimento epico francese (chanson de geste). canzonetta componimento poetico di tono popolare e di argomento amoroso, metricamente affine alla canzone

ma con versi brevi (settenari e ottonari). Introdotta dai poeti siciliani, la canzonetta ebbe varie forme e nomi (villotta, villanella...) sino al Seicento, quando venne ripresa dal Chiabrera in strutture metriche agili (canzonetta mèlica), secondo il gusto ÒanacreonticoÓ dei poeti francesi della Pléiade.

capitolo componimento in terzine di endecasillabi a rima incatenata (secondo lo schema della Commedia dantesca), usato soprattutto nel Cinquecento dal Berni e dai suoi seguaci per la poesia di argomento burlesco. é detto anche terza rima.

captatio benevolentiae espressione latina che significa «richiesta di comprensione benevola»; tipica modalità della retorica antica tesa ad ottenere il consenso dell’ascoltatore o del lettore.

carme per i latini è una poesia rituale (carmen Saliare), conviviale o di gioiosa celebrazione di un condottiero (carmi trionfali). La stessa varietà di significato ha il genere nel Medioevo, dove i canti goliardici (carmina burana) si affiancano a quelli epico-storici. Sono genericamente chiamati carmina da Petrarca in poi le composizioni in latino. Foscolo ripristina, con i Sepolcri, il significato originario di poesia solenne e impegnata (v. anche il Carme in morte di Carlo Imbonati del Manzoni).

carnevalesco varietà del comico espressa, secondo M. Bachtin, dalla satira, dalla parodia e dal riso trasgressivo proprio delle feste popolari del Carnevale, allorché all’insegna del «mondo alla rovescia» si esaltano i valori eversivi della corporeità, del vitalismo, del realismo giocoso ecc.

cartone termine spesso usato come sinonimo di «prova preparatoria». catacresi metafora comune, di uso corrente. Es.: piede del tavolo, collo della bottiglia. catàfora posizione rilevata di una parola alla fine di una frase o di un verso. Es.: Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse

(Foscolo). catalessi nella metrica classica, soppressione di una o piú sillabe alla fine di un verso (detto appunto verso

catalettico). catarsi per Aristotele è la purificazione delle passioni prodotta dalla poesia e soprattutto dalla tragedia. catàstrofe soluzione luttuosa della tragedia. centone componimento (solitamente scherzoso) costruito con versi tratti da opere celebri. Si dice anche di un

testo poco originale. cesura pausa metrica all’interno del verso. V. endecasillabo. chiasmo figura sintattica consistente nella disposizione incrociata di due termini o di due proposizioni. Es.: Siena

mi fe’, disfecemi Maremma (Dante); Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori (Ariosto); Trema un ricordo nel ricolmo secchio, / nel puro cerchio un’immagine ride (Montale). In tutti i casi il rapporto fra i primi due elementi (A-B) è ripreso e rovesciato nei successivi (B'-A').

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circonlocuzione v. perìfrasi. citazione uso aperto o dissimulato di parole o intere frasi di un autore, di norma rimarcato dalle virgolette o dal

corsivo. Il rapporto (intertestuale) fra il testo citante e il testo citato può essere di tipo ironico o parodico, come nel celebre caso leopardiano delle magnifiche sorti e progressive, citazione sarcastica (nella Ginestra) di un verso di T. Mamiani.

clàusola nella prosa d’arte, cadenza che conclude una frase o un periodo. Piú genericamente è l’elemento conclusivo di un verso o di un enunciato, in relazione al ritmo o alla disposizione delle parole.

cliché dal francese: stilema stereotipato e banalizzato dall’uso frequente. climax parola greca (lett.: «scala») con cui si suole definire una progressione ritmica ascendente (l’anticlimax è

invece una progressione discendente). La climax (femm.!) è detta anche gradazione. Una gradazione ascendente può essere seguita da una discendente. Es.: Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare (Leopardi).

codice insieme di regole e di segni inerenti al sistema di questi segni. Nel sistema della comunicazione (v.) il codice è un fattore necessario alla produzione e all’interpretazione dei messaggi. Nel sistema letterario il testo (forma complessa di messaggio) sarà decifrabile in rapporto agli istituti-codici (ad esempio, la lingua e i generi letterari, la cultura) che la sottendono.

codificazione o codifica produzione di un messaggio mediante un codice. collage termine francese usato per indicare l’assemblaggio di elementi diversi e multiformi a scopo straniante.

Dalla pittura tale tecnica si è estesa alla letteratura ad opera soprattutto delle avanguardie. colon unità o membro di un verso. commedia rappresentazione scenica di eventi e personaggi comuni in forma brillante e scherzosa e, in genere,

con il topico «lieto fine». La commedia, nell’antichità, si contrappone alla tragedia, in quanto rappresen-tazione degli aspetti concreti, bassi e risibili della vita quotidiana.

commiato o congedo strofa conclusiva di una canzone (v.). comparazione o paragone figura retorica costituita dal confronto fra due termini solitamente rapportati dalle

forme correlative «come»... «così», «quale»... «tale». Es.: Come la luce rapida / piove di cosa in cosa, / e i color vari suscita, / dovunque si riposa; / tal risonò molteplice / la voce dello Spiro: / l’Arabo, il Parto, il Siro / in suo sermon l’udì (Manzoni). Una forma particolare è il paragone iperbolico: Sì comì fui dentro, in un bogliente vetro / gittato mi sarei per rinfrescarmi, / tant’era ivi lo ‘ncendio sanza metro (Dante).

compianto composizione poetica medievale incentrata sul compianto per la morte di un illustre personaggio. comunicazione processo di trasmissione di segnali. La teoria della comunicazione di R. Jakobson prevede sei

fattori principali: mittente, messaggio, de-stinatario, codice, canale, referente. Il mittente invia il messaggio a un destinatario tramite un canale; il messaggio fa riferimento a un dato referente ed è interpretabile in base a un codice comune fra mittente e destinatario (ad esempio, la lingua).

conativo funzione conativa del linguaggio orientata sul destinatario ed espressa preferibilmente dall’imperativo e dal vocativo.

concessione forma oratoria con cui chi parla concede o finge di concedere che l’avversario abbia ragione. Di solito è introdotta dalle premesse linguistiche «mettiamo pure che...», «concediamo che...» ecc.

concìnnitas termine latino che indica l’elegante e armoniosa disposizione delle parole in un periodo, secondo il gusto classico di Cicerone.

congedo o commiato strofa conclusiva di una canzone (v.). connotatore elemento connotato (v. connotazione). connotazione valore semantico supplementare di carattere emotivo, allusivo, evocativo ecc. che rende

pregnante il significato di base di una parola (detto denotazione). La connotazione è propria del linguaggio poetico: si pensi, ad esempio, ai molteplici significati che possono assumere parole come cuore, amore, fuoco, acqua, luce.

consonanza v. paronomasia. contesto insieme linguistico che accompagna un termine, contribuendo a definirne la funzione e il significato. Piú

in generale è l’insieme di elementi di cui fa parte un dato specifico. Si suole distinguere il contesto linguistico dalla situazione, l’ambito storico-pragmatico in cui avviene la comunicazione. Situazione o contesto situazionale o contesto è anche la realtà socioculturale in cui si inserisce una determinata opera.

contestualizzazione processo di inserimento di un elemento (o di un messaggio) in un particolare contesto (v.) capace di agevolarne la decodifica.

contrasto variante della tenzone (v.); componimento di tipo dialogico incentrato sulla disputa fra due personaggi reali o inanimati (gli innamorati, l’Angelo e il Diavolo, l’Acqua e il Vino, l’Estate e l’Inverno...). é detto anche altercatio o disputatio. Es.: Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima ; Bonvesin da la Riva, Disputatio rosae cum viola.

coordinazione v. paratassi. cornice termine con cui in genere si indica la struttura narrativa che include una serie di racconti. Ad esempio, la

narrazione portante del Decameron. corona serie di sonetti sullo stesso tema. corpus in senso lato, raccolta di testimonianze, di opere giuridiche, filosofiche, letterarie ecc. é usato anche per

definire l’insieme delle opere di un autore.

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correlativo oggettivo espressione coniata dal poeta Th. S. Eliot per definire una particolare poetica, secondo cui una serie di oggetti o di situazioni rappresenta l’equivalente di un’esperienza o di un’emozione dell’artista.

correlazione parallelismo espressivo, proprio del testo poetico, grazie a cui si esaltano le equivalenze strutturali (fonologiche, semantiche, ritmiche ecc.) di un testo. In inglese coupling.

cronòtopo rapporto fra le strutture spaziali e temporali in un’opera narrativa. cursus corso, andamento ritmico della frase; particolare evoluzione della clàusola (v.) dopo che, nella tarda

latinità, andò perduto il valore quantitativo delle sillabe. L’uso del cursus fu codificato dalla retorica medievale (v. ars dictandi).

dàttilo piede metrico della poesia classica, formato da una sillaba lunga e da due brevi. Per ritmo dattilico si

intende la successione degli ictus (v.) ogni tre battute, ad esempio nella prima parte di un endecasillabo: Tèrmine fìsso d’ettèrno consìglio (Dante); Quànto piú desióse l’ali spando (Petrarca).

decasillabo verso di dieci sillabe. Es.: S’ode a dèstra uno squìllo di trómba (Manzoni). decodificazione o decodifica processo di interpretazione di un messaggio; v. comunicazione, codice. deissi insieme di riferimenti alla situazione comunicativa in cui emergono il soggetto e i partecipanti del discorso,

la situazione spaziale e temporale in cui avviene l’atto comunicativo. Si definiscono deìttici gli elementi indicatori che fanno riferimento a tale situazione, ad esempio i pronomi di prima e seconda persona, gli elementi di spazio e tempo (qui, là, ora, un tempo...), i dimostrativi.

denotazione valore informativo-referenziale di un segno, indicato dal codice (v. anche connotazione). deprecazione forma di preghiera o di implorazione atta a scongiurare un pericolo. Es.: Non recidere, forbice,

quel volto (Montale). descrizione elemento essenziale del racconto (èkphrasis per gli antichi), la descrizione serve a illustrare o

connotare un personaggio o un luogo, a fornire elementi informativi indiretti (ad esempio, attraverso gli abiti, la fisionomia, gli oggetti di un personaggio: si ricordi la descrizione dei «bravi» nei Promessi sposi), a introdurre il lettore in un interno (lo studio di Azzeccagarbugli), a creare una pausa fra due azioni, a evidenziare un ritmo narrativo (ad esempio, la suspense, v.) ecc.

destinatario ricevente del processo di comunicazione; in particolare, il lettore-interprete del testo. deus ex machina intervento provvidenziale di un aiutante in una situazione critica. Nel teatro antico era il dio

che appariva sulla scena per mezzo di un congegno. deuteragonista nella tragedia classica, il secondo personaggio dopo il protagonista. deverbale nome formato da una radice verbale. Es.: fermata, ammonizione, accerchiamento. diacronia aspetto storico-evolutivo dei fatti linguistici, in contrapposizione con la sincronia (v.), che è la

descrizione di un determinato stato della lingua. diàfora v. antanàclasi. dialefe figura metrica che consiste nel tenere distinte due vocali contigue nel computo delle sillabe di un verso.

Es.: Ché la diritta via era smarrita (Dante): fra via e era c’è la dialefe. Il fenomeno opposto è detto sinalefe (v.).

dialogo forma stilistica fondata sullo scambio di battute fra due o piú personaggi. Come forma letteraria il dialogo è incentrato su alcuni interlocutori che entrano in discussione su problemi generalmente filosofici (si pensi ai dialoghi di Platone). Tramite Cicerone il dialogo passò all’apologetica cristiana, alla ricerca introspettiva medievale (il Secretum di Petrarca), all’alta trattatistica rinascimentale (gli Asolani di Bembo, il Cortegiano di Castiglione), al dibattito scientifico (il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo). Un esempio superlativo di dialogo filosofico sono le Operette morali di Leopardi.

diàstole spostamento dell’accento verso la fine della parola di una o piú sillabe. Es.: Cleopatràs, Aràbi, umìle (Dante).

diàtriba dissertazione di carattere filosofico o didascalico. Indica genericamente un discorso polemico. dìcolon corrispondenza sintattica (o parallelismo) fra due membri di un insieme (verso o frase). Es.: Sei ne la

terra fredda, / sei ne la terra negra (Carducci). V. anche isòcolon. didascalia annotazione inserita da un autore in un testo teatrale per sottolineare alcuni aspetti della scenografia

o della recitazione. In senso lato, istruzione o informazione. diegesi nell’accezione aristotelica è il racconto puro, condotto dal narratore; in senso generale è la storia (v.),

l’insieme delle vicende di un racconto. dièresi figura metrica per cui due vocali non formano dittongo e vengono computate come due sillabe. Es.: Trivïa

ride tra le ninfe etterne (Dante). V. sinéresi. digressione o excursus allontanamento del discorso (e in particolare del racconto) dal suo tema principale.

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discorso si suole distinguere, nell’analisi della narrativa, il discorso diretto, l’indiretto, l’indiretto libero e il discorso narrativizzato. Nel discorso diretto la voce viene data, senza mediazioni, ai personaggi. Nel discorso indiretto le parole o i pensieri dei personaggi sono introdotti da clausole di contrassegno (verba dicendi) del tipo: «disse che...», «osservò che...», «raccontò che...» ecc. Il discorso indiretto libero o erlebte Rede (= discorso vissuto) recupera nella voce del narratore la voce (o il pensiero) dei personaggi. Es.: «Una sera le Ninì, spaventate, si videro comparir dinanzi, stravolto e convulso, il loro strano inquilino. Che voleva? La cameretta, la cameretta se era ancora sfitta! No, non per sé, non per starci! per venirci un’ora sola, un momento solo almeno, ogni sera, di nascosto!» (Pirandello). Il discorso narrativizzato è una sorta di riassunto (fatto dal narratore) delle parole di un personaggio. Es.: Luigi ricordò quanto aveva detto precedentemente, giurando di non essere mai stato infedele alle promesse.

disforia situazione negativa di un personaggio, in opposizione all’euforia (v.) o situazione positiva. dispositio parte della retorica che si occupa dell’ordine e della disposizione delle idee. Ad esempio, in un discorso

si ha una parte iniziale o esordio (v.), una parte centrale o narrazione (v.), una parte conclusiva o epilogo (v.), ognuna con esigenze e norme specifiche codificate dalla trattatistica antica.

disputatio composizione poetica medievale a forma di contrasto (v.), per lo piú di carattere morale, religioso o politico. Es. la Disputatio rosae cum viola di Bonvesin da la Riva.

dissonanza v. cacofonia. dìstico strofa di due versi, propria della metrica classica. Il distico elegiaco è formato da un esametro e da un

pentametro: il Carducci, nella sua metrica barbara (v.), traspose in genere l’esametro con un settenario piú un novenario (Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti) e il pentametro con un doppio settenario piano (Dietro un pensier di noia, l’aride carte bianche ) o con un settenario piú un quinario (o senario).

ditirambo forma poetica della lirica corale greca, legata ai culti dionisiaci. Venne introdotto nella letteratura italiana, nel Seicento, da G. Chiabrera. Capolavoro di questo genere è il famoso Bacco in Toscana di F. Redi.

dittologia coppia di elementi, di norma collegati dalla congiunzione e , che formano uno stilema semantico-ritmico assai frequente nella poesia italiana fin dalle origini. Es.: Solo e pensoso i piú deserti campi / vo mesurando a passi tardi e lenti (Petrarca).

dodecasillabo verso di dodici sillabe, in genere formato da due senari. Es.: Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti (Manzoni). Di ritmo differente i dodecasillabi della lirica novecentesca, che sono una modalità dei versi lunghi e possono talora configurarsi come endecasillabi ipermetri. Es.: Le pellegrine in sosta che hanno durato... (Montale).

dramma rappresentazione scenica di contenuto realistico e spesso storico che, a partire dal Settecento, costituisce il genere deputato all’analisi della società e del costume borghese.

ègloga componimento poetico di genere bucolico, riguardante il mondo dei pastori. La poesia alessandrina (III sec. a.C.) e in particolare Teocrito (v. idillio) fornirono il paradigma tematico e stilistico del genere idillico-bucolico, ripreso da Virgilio (Egloghe o Bucoliche) e lungamente imitato nella letteratura europea, soprattutto a partire dal Quattrocento (si pensi all’Arcadia del Sannazaro).

èkphrasis termine greco che indica la descrizione di un ambiente o di un personaggio. elegia componimento poetico di origine greca, metricamente strutturato sul dìstico (v.), cioè su un esametro e un

pentametro accoppiati. Di argomento vario nella letteratura greca classica, l’elegia assunse toni meditativi a partire dall’età alessandrina; a Roma, con Catullo, Properzio, Tibullo e Ovidio, si definì come lirica a un tempo di amore e di morte (dolore e malinconia divennero i caratteri propri, nella letteratura augustea, del genere elegiaco).

elisione caduta della vocale finale di una parola davanti alla vocale iniziale della parola seguente (l’elisione è segnata dall’apostrofo). Non si confonda l’elisione col troncamento (senza apostrofo: buon uomo, qual è) e con la sinalefe (v.).

ellissi soppressione di uno o piú elementi di una frase, ai fini di un eloquio conciso e serrato. Es.: «Scegliesti?». «Ho scelto». «Emon?». «Morte». «L’avrai» (Alfieri).

emistichio ciascuna delle due parti in cui un verso è diviso dalla cesura (v.). Piú genericamente, mezzo verso o verso incompleto.

enàllage uso di una parte del discorso per un’altra; ad esempio, dell’aggettivo al posto dell’avverbio o viceversa (cammina veloce, un giovane bene), di un tempo invece di un altro (arrivo domani).

encomio componimento in lode di qualcuno, detto anche panegìrico (v.). endecasìllabo verso di undici sillabe metriche, con accento costante sulla decima e accenti principali mobili,

principalmente sulla quarta e sesta sillaba. È formato da due membri o emistichi, separati dalla cesura (v.), corrispondenti a un settenario e a un quinario: se precede il settenario l’endecasillabo è detto a maiore, se precede il quinario a minore. Il ritmo dell’endecasillabo è segnato dalla successione degli accenti primari, con riferimento alla tipologia classica: 1) ritmo giambico ascendente: Il gràn sepólcro adóra, / e sciòglie il vóto (Tasso); 2) ritmo trocaico-dattilico a struttura discendente: Quànto piú desïóse / l’àli spàndo (Petrarca); 3) ritmo giambico-anapestico (nel primo emistichio) e trocaico-dattilico (nel secondo): Le dònne, i càvalièr, / l’àrme, gli amóri (Ariosto); Hai di stélle immortàli / àurea coróna (Tasso). Dalla varia combinazione dei ritmi nascono almeno dodici tipi fondamentali di endecasillabo. Ecco alcuni esempi tratti

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dal Petrarca: Di quéi sospìri ond’ìo nudrìva ‘l còre; Lassàr il vélo o per sóle o per ómbra; E il punìre in un dì ben mìlle offése; Onde quésta géntil dònna si pàrte; Mòvesi il vécchierèl canùto e biànco.

endìadi figura retorica di carattere sintattico con cui si esprime un concetto mediante due termini coordinati. Es.: Pateris libamus et auro (Virgilio) = libiamo con coppe e con oro (invece che «con coppe d’oro»); O delli altri poeti onore e lume (Dante), dove onore e lume sta per «luce onorifica, sapienza prestigiosa».

enfasi rimarcatura di un termine o di un’espressione (spesso mediante l’iterazione o/e l’esclamativo). Es.: Lui, lui s’ che mi capisce!

enjambement (pron. anjambman) termine francese con cui si indica il prolungamento di un verso su quello seguente (oltre la pausa di fine verso). Es.: Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete (Leopardi). Nel Cinquecento il fenomeno era chiamato inarcatura.

entrelacement (pron. aâtralas'maâ) termine francese con cui si indica un artificio narrativo del romanzo arturiano, vale a dire l’intreccio di varie storie, con incastri, sospensioni e riprese, e notevoli effetti di suspense (v.); tecnica ripresa nel poema cavalleresco e in particolare nell’Orlando furioso.

enumerazione figura sintattica consistente nel raggruppare parole o sintagmi (v.) per asindeto (v.) o per coordinazione (v.). Es.: O Vita, o Vita, / dono terribile del dio, / come una spada fedele, / come una ruggente face, / come la Gorgona, / come la centaurea veste (D’Annunzio). Un caso particolare di enumerazione è l’elencazione ellittica di Montale: La bufera che sgronda sulle foglie... / il lampo che candisce / alberi e muri ... / - e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere / dei tamburelli sulla fossa fuia, / lo scalpicciare del fandango, sopra / qualche gesto che annaspa (da La bufera).

enueg v. plazer. enunciazione atto della locuzione (o discorso) in cui può emergere il parlante attraverso i pronomi personali o

mediante l’uso di deittici, v. (ora, qua, ieri, l’anno scorso...) che evidenziano le strutture spaziotemporali. epanadiplosi figura retorica consistente nell’iniziare e nel concludere un periodo (o un gruppo di versi) con la

stessa parola. Es.: Volli, sempre volli, fortissimamente volli (Alfieri). epanalessi figura dell’iterazione con cui una parola o una frase viene ripresa immediatamente o dopo un breve

intervallo. Es.: O natura, o natura, / perché non rendi poi / quel che prometti allor? (Leopardi). La figura è affine all’anadiplosi (v.).

epanartosi figura logica con cui si corregge una precedente affermazione. Es.: é un pessimo individuo, anzi è un delinquente!

epèntesi inserimento di un fonema all’interno di una parola, con effetti metalinguistici ironici, scherzosi o parodici. Es.: schiaffffi, bizzzzarrie (Marinetti), sorcialismo.

epica secondo una distinzione tradizionale, è uno dei tre generi fondamentali della letteratura (epica, lirica e teatro): quello deputato alle celebrazione delle gesta di dei e eroi, soprattutto nei poemi di Omero e di Virgilio, autentici modelli dell’èpos classico.

epicedio componimento poetico di carattere funebre. epifonema massima, sentenza; v. apoftegma. epìfora o epìstrofe ripetizione di una parola o di un gruppo di parole alla fine di piú versi o frasi. Es.: Non sei

venuto all’appuntamento: e sta bene. Non mi hai telefonato: e sta bene. Non ti sei fatto vivo per un pezzo: e sta bene. Spesso (come in questo caso) l’epìfora è preceduta dall’anàfora (v.).

epigramma breve componimento poetico, per lo piú in distici, di vario contenuto (riflessivo, gnomico, sentimentale, ironico, polemico...), coltivato in particolare dai poeti ellenistici e dai «neòteroi» romani (fra cui Catullo). Memorabili gli epigrammi leggeri di Marziale (I sec. d.C.). Composero epigrammi Alfieri, Foscolo e Goethe. Fra i contemporanei è da ricordare la produzione dell’ultimo Montale.

epillio poemetto di carattere mitico-narrativo coltivato soprattutto dai poeti alessandrini (Callimaco, Teocrito, Mosco).

epìlogo conclusione di un discorso o di un testo letterario. epinicio componimento poetico greco in onore di un vincitore dei giochi panellenici, cantato da un coro. Fra gli

autori piú importanti di epinici si ricordano Simonide, Bacchilide e soprattutto Pindaro. epistola componimento poetico (di origine classica: le Epistulae di Orazio) in genere di carattere etico-didascalico

o satirico, praticato soprattutto nel Settecento (Mascheroni, Pindemonte). epitaffio orazione in onore dei defunti, in particolare di eroi o insigni personaggi. Oggi, breve composizione in

versi per iscrizioni sepolcrali. epitalamio nella lirica classica, canto corale di nozze (fra gli autori piú importanti: Callimaco, Teocrito, Partenio,

Catullo). Composero epitalami Tasso, Marino, Parini. Un singolare esempio moderno è Il gelsomino notturno del Pascoli.

epìtesi v. paragoge. epìteto aggettivo qualificativo, connotatore stilistico. epizèusi figura dell’iterazione, consistente nel ripetere una o piú parole all’inizio, al centro o alla fine di un

enunciato, senza intervalli, come nel caso dell’anàfora (v.) o dell’epìstrofe (v.). Es.: Amore, / amor, di nostra vita l’ultimo inganno / t’abbandonava (Leopardi).

epodo verso piú breve di un distico (trimetro e dimetro giambico) e, per estensione, forma poetica così composta in genere di argomento polemico e satirico (famosi gli epodi di Archiloco, Callimaco e Orazio). Nei Giambi ed

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epodi Giosue Carducci ne riprese lo spirito, rendendo il trimetro con un endecasillabo sdrucciolo e il dimetro con un settenario sdrucciolo. Nella poesia corale l’epodo è la terza parte dell’ode (v.) dopo strofe (v.) e antistrofe.

epònimo personaggio che dà il nome a un’opera. Es.: Enea protagonista dell’Eneide. Erlebnis parola tedesca che significa «esperienza vissuta». erlebte Rede espressione tedesca che significa «discorso vissuto», usata per indicare il discorso indiretto libero

(v.). ermenèutica teoria e tecnica dell’interpretazione dei testi. eroe personaggio principale o protagonista di una vicenda narrativa. eroicomico poema che fa la parodia dell’epos tradizionale, come La secchia rapita di Alessandro Tassoni. Le

ascendenze di questo genere sono molto antiche, come testimonia la pseudomerica Batracomiomachia («Battaglia dei topi e delle rane»), risalente al VI-IV sec. a.C.

esametro verso greco-latino costituito da sei piedi (schema:). Es.: àrma virœmque canò, Troiàe qui prìmus ab òris. Per la resa dell’esametro nella metrica barbara v. dìstico.

escamotage (pron. EskamO'taJ) parola francese che significa «trucco, gherminella». In ambito stilistico il termine indica un gioco di parole, un calembour (v.).

esegesi interpretazione di un testo. esordio parte iniziale di un discorso o di un’opera letteraria (v. proemio). espressione costituisce, col contenuto, la doppia faccia del segno linguistico; equivale al significante (v.) di de

Saussure (1857-1913). espressionismo in senso lato, ogni forma di straniamento o deformazione dell’oggetto rappresentato. etopea nella retorica antica è la descrizione del carattere (éthos) di un personaggio. eufemismo figura di pensiero con cui si attenua o si addolcisce un’espressione troppo cruda o inopportuna. Es.: é

passato a miglior vita (per non dire «è morto»). eufonia effetto sonoro gradevole; è l’opposto della cacofonia (v.). euforia situazione positiva; per il significato opposto v. disforia. evenemenziale nell’analisi del racconto, è il livello dei fatti o avvenimenti (v. diegesi, storia). ex abrupto presentazione improvvisa, inaspettata di un fatto o di un personaggio. excursus v. digressione. exemplum racconto breve dotato di una forte valenza educativa e didascalica. Questo tipo di narrazione,

direttamente legato all’oralità, ebbe origine tra il XII e il XIII secolo e venne largamente utilizzato nella predicazione degli Ordini Mendicanti (Domenicani e Francescani) proprio per la sua capacità di semplificare e rendere popolare il messaggio religioso.

èxplicit parola conclusiva di un testo, opposta a implicit (termine iniziale). Deriva dal lat. liber explicit = il libro finisce qui.

extratestualità realtà esterna al testo, sistema socioculturale, storico e letterario (in cui è creata l’opera). fabliaux (pron. fabli'o) «favolelli», brevi racconti in versi di contenuto comico-realistico, fioriti in Francia nei

secoli XII e XIII. fabula nella teoria del formalismo russo è l’insieme degli avvenimenti di un racconto disposti nell’ordine logico-

temporale. Si oppone a intreccio (v.), ossia alla disposizione degli stessi avvenimenti voluta dall’autore (con eventuali spostamenti temporali, anticipazioni o posticipazioni ecc.).

falecio verso greco-latino di undici sillabe, consistente in un bisillabo spondaico o trocaico (), seguito da un dattilo () e da una tripodia trocaica (). Non mancano altre interpretazioni del metro.

farsa componimento teatrale in cui si mescolano diversi motivi, in genere scherzosi, buffoneschi o satirici. V. satira.

fàtica funzione del linguaggio che concerne la verifica del canale o contatto fra mittente e destinatario. Es.: Pronto? mi senti? (durante una telefonata). In genere, hanno un valore fàtico i saluti e i convenevoli che aprono e chiudono il contatto fra due o piú interlocutori.

favola narrazione in versi o in prosa di carattere allegorico didascalico che ha come protagonisti gli animali, simboli di vizi e virtœ. Autori per antonomasia sono il greco Esopo (sec. VI a.C.) e il latino Fedro (sec. I a.C.). Il genere è assai diffuso nel Medioevo (Roman de Renard) e nel Settecento (che riprende il moralismo pedagogico di La Fontaine, Favole, 1668-94). Va distinta dalla fiaba (v.).

feuilleton (pron. fi'tòn) parola francese con cui si indica il romanzo d’appendice (pubblicato a puntate su un giornale). Genere popolare, molto avventuroso, caratterizzato da forti contrasti fra personaggi buoni e cattivi, con ristabilimento finale della giustizia.

fiaba racconto fantastico, di origine folclorica, caratterizzato dalla presenza di personaggi straordinari (maghi, orchi, fate...). Si distingue dalla favola (v.), incentrata su animali che rappresentano vizi e virtœ (Esopo, Fedro).

fictio parola latina con cui si indica l’invenzione letteraria. figura forma del linguaggio poetico, studiata dalla retorica. Si possono distinguere figure morfologiche, operanti

sulla forma dell’espressione (come l’afèresi, v., l’apòcope, v., l’anagramma, v., ecc.); figure sintattiche, operanti sulla struttura della frase (come il polisìndeto, v., l’enumerazione, v., l’ipèrbato, v., l’inversione,

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v., ecc.); figure semantiche, operanti a livello di contenuto (come i tropi: metafora, v., metonimia, v., sinèddoche, v., ecc.); figure logiche, operanti sul significato della frase (come la litote, v., l’ipèrbole, v., l’antìtesi, v., l’antìfrasi, v., l’eufemismo, v., ecc.).

figura etimològica v. annominazione. filologia disciplina che studia il testo per prepararne l’edizione critica, indicando le eventuali varianti, le fonti, la

sua collocazione nel sistema letterario, il suo valore poetico ecc. flashback (pron. flèscbèk) dall’inglese: retrospezione o analessi (v.). florilegio raccolta di brani scelti di uno o piú autori, antologia. flusso di coscienza traduzione dell’espressione inglese stream of consciousness, con cui si indica una forma

radicale di monologo interiore. focalizzazione v. punto di vista. foderamento ripetizione di un termine, tipico della letteratura folclorica. Es.: La gnà Lola, non è degna di

portarvi le scarpe, non è degna... (Verga). fonema la piú piccola unità sprovvista di significato delimitabile nella catena parlata. Ad esempio, nella parola

(monema) cane i fonemi sono i suoni /c/ /a/ /n/ /e/. fonosimbolismo significazione autonoma assunta dagli elementi fonici della parola. Ad esempio, le onomatopee

(v.) e altri effetti acustici, presenti soprattutto nella poesia delle avanguardie novecentesche. Es.: Taratatatata delle mitragliatrici strillare a perdifiato / sotto morsi schiaffffi traak-traak frustate pic-pac / pum tumb bizzzarrie (Marinetti).

forma equivalente spesso di espressione, stile o scrittura. formalismo tendenza critica rivolta a considerare l’opera d’arte per i modi e le forme, il linguaggio e lo stile con

cui è composta. fronte prima delle due parti che costituiscono la strofa della canzone (v.). frottola componimento poetico di origine popolare costituito da una libera accumulazione di parole, motti e

pensieri in versi di varia lunghezza, spesso a rima baciata. Dalla frottola giullaresca deriva la frottola barzelletta, ballata (v.) di ottonari in auge nel Quattrocento, che fornisce la struttura metrica dei canti carnascialeschi.

fruizione uso dell’opera letteraria da parte del pubblico. funzione nell’ambito della comunicazione (v.) si distinguono sei funzioni del linguaggio in rapporto ai fattori

comunicativi (mittente, destinatario, messaggio, referente, codice e canale): la funzione referenziale focalizza il contenuto del messaggio; la funzione emotiva sottolinea le reazioni del mittente; la conativa è invece incentrata sul destinatario (ed è spesso espressa da vocativi e imperativi); la funzione fàtica (v.) mette in rilievo il canale o il contatto fra mittente e destinatario; la funzione metaliguistica focalizza i valori linguistici del messaggio (Hai detto «Rina» o «Pina»? ); la funzione poetica evidenzia il valore del messaggio nella sua costruzione estetico-formale.

geminatio ripetizione di uno o piú termini, iterazione. V. epanalessi. generi letterari istituti della letteratura che codificano determinati temi e forme a cui si rapportano

storicamente le opere. Le piú antiche tipologie privilegiano la poesia drammatica, la poesia lirica e la poesia epico-narrativa, con le ulteriori specificazioni che danno vita ai singoli generi: tragedia, commedia, dramma (dramma pastorale, melodramma...); lirica, elegia, idillio, epigramma, satira ecc.; poema, poema cavalleresco, eroicomico, fiaba, novella, romanzo ecc.

giambo piede della metrica classica formato da una sillaba breve e da una lunga ( Ð). Nella metrica italiana il ritmo giambico è caratterizzato dall’alternarsi di una sillaba atona e di una tonica (v. endecasillabo). Es.: Di quèi sospìri ond’ìo nudrìva ‘l còre (Petrarca).

glossa breve annotazione a margine di un testo antico. gnome termine greco (pron. ghnome) con cui si indica una sentenza, una massima, un apoftegma (v.) o un

epifonema (v.). gradazione v. climax. grado zero in riferimento alla lingua e allo stile, forma denotativa priva di particolari figure del linguaggio. grottesco forma di teatro inaugurata da L. Chiarelli nel 1916 con La maschera e il volto. In senso generico,

mescolanza di elementi serio-comici, drammatici e satirici. hapax (o apax) legòmenon dal greco: termine o espressione che in un’opera si presenta una sola volta. happy end dall’inglese: lieto fine. humour dall’inglese: senso dell’umorismo. hysteron pròteron espressione greca (che significa «l’ultimo come primo») con cui si indica l’inversione

dell’ordine logico di due termini. Es.: Moriamo e cadiamo! iato incontro di due vocali che non formano dittongo e appartengono a due sillabe distinte. In metrica, v. dialefe,

dièresi. icàstico rappresentato con efficacia. ictus accento metrico; v. arsi.

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idillio poemetto di argomento pastorale, affine all’ègloga (v.). Teocrito (III sec. a.C.) ne fissa i caratteri (ad esempio, l’idealizzazione del paesaggio, il contrasto campagna-città), ripresi da Mosco, Bione, Virgilio e da molti altri poeti sino all’Arcadia di Sannazaro. Largo successo hanno nel secondo Settecento gli idilli di S. Gessner.

idioletto uso personale della lingua, stile individuale. idiotismo locuzione dialettale. implicito parte dell’informazione non esplicitata nel messaggio, che l’ascoltatore-lettore deve recepire dal

contesto, dalla situazione comunicativa o dalle presupposizioni (v.). imprecazione figura logica che esprime sdegno, rabbia o indignazione per il male commesso da qualcuno,

augurando per costui la giusta punizione. Es.: Ahi Pisa, vituperio delle genti / del bel paese là dove ‘l sì suona, / poi che i vicini a te punir son lenti, / muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch’elli anneghi in te ogni persona! (Dante).

in absentia l’insieme delle unità linguistiche che possono sostituire, in una frase, le unità effettivamente utilizzate (dette in praesentia). «Navi», «automobili», «veicoli», «motociclette» sono alcune delle unità in absentia che formano una lista paradigmatica (v. paradigma).

inarcatura v. enjambement. ìncipit inizio di un testo. Es.: L’incipit della «Divina Commedia». L’opposto è èxplicit (v.). inciso parola o frase che si inserisce in un’altra, di solito tra parentesi o fra due lineette. Es.: Don Abbondio (il

lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone (Manzoni). indicatori elementi linguistici che hanno la funzione di indicare i rapporti spaziotemporali. V. deissi. indizio nell’analisi del racconto, unità narrativa di carattere allusivo (che rinvia a un carattere, a un sentimento,

a un’atmosfera ecc.). informante nell’analisi del racconto, unità narrativa che comunica dati informativi (ad esempio, la descrizione di

un personaggio, la sua età, la sua condizione sociale ecc.). in medias res inizio del racconto ad avventura già inoltrata («nel mezzo delle cose»), ad esempio l’inizio

dell’Eneide. inno componimento poetico in onore di una divinità, di cui si celebrano fatti e prodigi. Coltivato dalla poesia

lirica corale greca (Alceo, Bacchilide, Pindaro) e dalla poesia alessandrina (Callimaco), l’inno è meno diffuso a Roma (il piú celebre è il Carmen saeculare di Orazio) e assai piú praticato dagli autori cristiani (Prudenzio), prima di essere inserito nella liturgia (canto ambrosiano). Nell’Ottocento, oltre ai consueti temi religiosi (gli Inni sacri del Manzoni), l’inno servì ad esprimere nuovi sentimenti particolarmente solenni, civili, patriottici, filosofici ecc., in forme metriche simili all’ode (Monti, Foscolo, Leopardi, Carducci).

interlocutore persona a cui si rivolge il locutore o mittente (v. comunicazione). intermezzo forma di spettacolo (agli inizi musicale) che, nel Cinquecento, riempiva gli intervalli fra un atto e

l’altro di una rappresentazione teatrale. intertestualità insieme di rapporti che un testo intrattiene con altri dello stesso autore (intertestualità interna) o

di altri autori (intertestualità esterna), nell’ambito di un dato genere letterario o di un tipo di scrittura. intratestualità struttura interna di un testo come correlazione di diversi elementi (tematici, simbolici, linguistici,

stilistici ecc.) che danno vita al senso globale del messaggio. intreccio disposizione dei fatti in un racconto secondo un ordine (estetico) scelto dall’autore. V. fàbula. intrigo rapporto conflittuale fra i personaggi di un racconto. inventio prima delle cinque parti della retorica (inventio, dispositio, elocutio, actio, memoria), dedicata alla

ricerca delle cose da dire. inversione spostamento dell’ordine sintattico degli elementi della frase (soggetto, predicato e complementi) allo

scopo di rimarcare quello anteposto. Es.: Dolce e chiara è la notte e senza vento (Leopardi). V. anàstrofe, ipèrbato.

ipàllage figura semantico-sintattica con cui un termine (in genere una qualificazione o specificazione) viene spostato dall’oggetto a cui si rapporta grammaticalmente e viene connesso a un altro termine vicino. Es.: Il divino del pian silenzio verde (Carducci), dove verde si riferisce semanticamente a pian anche se è sintatticamente rapportato a silenzio.

ipèrbato figura sintattica consistente nell’invertire l’ordine normale degli elementi di un enunciato, separandone alcuni che dovrebbero formare un sintagma. Es.: Mille di fiori al ciel mandano incensi (Foscolo): Mille e incensi sono separati dall’iperbato. Un triplice iperbato si ha nei seguenti versi danteschi: Giovane e bella in sogno mi parea / donna vedere andar per una landa / cogliendo fiori.

ipèrbole figura logica dell’esagerazione. Es.: é un secolo che non ci vediamo. ipèrmetro verso irregolare, con una sillaba in piú rispetto alla norma metrica. Il fenomeno si produce quando un

verso termina con una parola sdrucciola che rima con una piana. Es.: é l’alba: si chiudono i petali / un poco gualciti; si cova / dentro l’urna molle e segreta... (Pascoli). Si ha rima fra petali e segreta; la sillaba in piú (-li) è assorbita per sinalefe (v.) da quella seguente (un). In altri casi il verso ipermetro è compensato da quello successivo con una sillaba in meno. Es.: é, quella infinita tempesta, / finita in un rivo canoro / Dei fulmini fragili restano / cirri di porpora e d’oro (Pascoli): tempesta rima con restano; la sillaba in eccedenza (-no) è computata nel verso seguente (che ha otto sillabe metriche). Il verso mancante di una sillaba è detto ipòmetro.

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ipotassi rapporto di subordinazione sintattica tra due o piú frasi in un periodo complesso. Si oppone a paratassi (v.) o coordinazione.

ipotiposi descrizione vivace, icastica di un fatto o di un personaggio. Es.: Senti raspar fra le macerie e i bronchi / la derelitta cagna ramingando / su le fosse e famelica ululando; / e uscir dal teschio, ove fuggia la luna, / l’upupa... (Foscolo).

ironia atteggiamento critico, polemico, spesso sferzante nei confronti di fatti e persone che, in ambito retorico, si manifesta nella forma piú pungente in una figura logica con la quale si vuole far intendere l’opposto di ciò che si afferma (ironia antifrastica: v. antifrasi). Es.: Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell’estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini le fatiche della vendemmia (Manzoni).

isòcolon figura sintattica che consiste nella corrispondenza fra due o piú membri (o cola) di una frase o di un verso, di un periodo o di un gruppo di versi. Es.: S’ode a destra uno squillo di tromba, / a sinistra risponde uno squillo (Manzoni). Può constare di due membri (dìcolon, v.), di tre o di quattro membri (trìcolon, tetràcolon, v.).

isosillabismo principio metrico secondo il quale i versi sono basati sullo stesso numero di sillabe. isotopia nella semantica strutturale, livello di senso che unisce due o piú termini di un testo. Le isotopie possono

essere tematiche, simboliche, morfosintattiche, fonoprosodiche ecc. istituti letterari codici che regolano la comunicazione letteraria, come ad esempio i generi (v.), la lingua

letteraria, le scritture e gli stili, la metrica, la retorica. iterazione o ripetizione v. anadiplosi, anàfora, annominazione, antanàclasi, diàfora, epanadiplosi, epanalessi,

epìfora, epizèusi. iunctura collegamento di due o piú parole. Si parla di càllida iunctura (abile, sottile collegamento) per

sottolineare il felice rapporto tra gli elementi. Kitsch (pron. kitS) termine tedesco, sinonimo di «cattivo gusto». langue (pron. laág) termine francese con cui si indica il sistema linguistico, inteso come codice sociale. lassa tipo di strofa formata da un numero variabile di versi (in genere ottonari o alessandrini monorimi). lauda componimento poetico di argomento religioso, in origine (secolo XIII) formato di lasse monorime o di strofe

di sei versi (ababcc), poi esemplato preferibilmente sullo schema della ballata (normale in Jacopone da Todi). Frequente l’uso dell’ottonario oltre che dell’endecasillabo. Dalla lauda lirica si sviluppa la lauda drammatica in forma dialogata, primo embrione delle sacre rappresentazioni. L’esempio piú noto è il Pianto della Madonna di Jacopone.

Leitmotiv (pron. 'laitmoti:f) termine tedesco che indica il motivo fondamentale e ricorrente di un’opera. letterarietà carattere estetico di un testo che lo caratterizza come opera letteraria. Lied (pron. li:t) termine con cui si indicano le varie forme poetico-musicali tedesche, a partire dal Medioevo.

Sinonimo di «canto», «lirica», «canzone» (pl. Lieder). La massima fioritura del genere si ha nell’Ottocento, quando molte liriche di Schiller, Goethe e di altri poeti sono musicate da Schumann, Mendelssohn, Brahms, Liszt, Wagner ecc.

linguaggio capacità tipica dell’uomo di comunicare mediante sistemi di segni (le diverse lingue storico-naturali). Per le funzioni del linguaggio v. comunicazione e funzione.

lirica forma poetica soggettiva, al cui centro è l’io dell’autore. Dalla lirica greca (così detta perché la poesia era accompagnata dalla «lira», strumento musicale a corde) derivano sia le tipologie dei diversi componimenti, distinti per temi (inni, epinici, epitalami, peani, ditirambi ecc.), sia le strutture metriche recepite dalla poesia latina attorno al II sec. a.C. V. anche epica.

litote figura di pensiero che consiste nell’affermare un concetto in forma attenuata, ad esempio negando il suo contrario. Es.: Non è un vigliacco (= è coraggioso); Non credo che la sua madre piú m’ami (Dante); Don Abbondio non era nato con un cuor di leone (Manzoni).

livello piano della lingua (fonologico, prosodico, grammaticale o morfosintattico, lessicale-semantico). locus amoenus antico topos (v.) mitologico-letterario caratterizzato dalla rappresentazione di un luogo felice

(età dell’oro, Eden, Arcadia...). locutore soggetto che parla, mittente. luogo comune v. topos. maccheronico tipo di linguaggio letterario che consiste nell’applicare la grammatica e la metrica latina a un

lessico volgare-dialettale. macrotesto testo complesso o grande testo unitario, come il Canzoniere del Petrarca o le Operette morali del

Leopardi, in cui i diversi componimenti sono organicamente strutturati e rapportati fra loro.

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madrigale componimento artistico di tipo idillico-amoroso, formato da due o tre brevi strofe di tre endecasillabi, cui seguono una o due coppie di versi a rima baciata (schema piú comune: ABC ABC DD). Il madrigale cinquecentesco consta di endecasillabi e settenari variamente alternati e con rime libere.

mariazo componimento scenico tardo-rinascimentale che narra avventure amorose concluse da un matrimonio (è detto anche mogliazzo).

martelliano verso formato da una coppia di settenari piani, introdotto da Pier Jacopo Martello (1665-1727). Es.: O miserabil padre, / per quanto il guardo scorre.

maschera personaggio tipico della commedia dell’arte (gli «zanni», gli innamorati, la servetta, Pantalone, Arlecchino...).

masque (pron. mask) dal francese: spettacolo composto da danza, musica e recitazione, in uso nella corte inglese di Elisabetta.

mèlica antica forma di poesia greca in cui verso, musica e canto sono strettamente uniti. melodramma composizione scenica musicata e cantata. menippea forma particolare di satira (v.) in prosa e in versi. mescidanza mescolanza di forme, livelli e registri linguistici. messaggio oggetto della comunicazione (v.). metafora figura semantica per cui si opera un trasferimento di senso da un termine proprio ad un altro, legato al

primo da un fattore di equivalenza. Es.: capelli d’oro : la metafora è possibile perché i due campi semantici relativi a capelli e oro hanno un termine comune, precisamente il colore biondo: giallo. Tradizionalmente la metafora è considerata una similitudine abbreviata: capelli biondi come l’oro. Ad esempio, dalla similitudine motivata Il mio amore brucia come una fiamma possono derivare le seguenti metafore: Il mio amore è una fiamma ardente, il mio amore è una fiamma, la mia ardente fiamma, la mia fiamma.

metalinguaggio uso del linguaggio a proposito del linguaggio. Es.: Come dicesti? Egli ebbe? (Dante). V. funzione. metonimia figura di trasferimento semantico basato sulla contiguità logica e/o materiale fra il termine proprio e

quello traslato. I casi in cui si verifica la figura sono i seguenti: a) la causa per l’effetto: vive del suo lavoro (propriamente: con i guadagni procurati dal lavoro); b) l’effetto per la causa: talor lasciando le sudate carte, Leopardi (gli studi che fanno sudare sui libri); c) la materia per l’oggetto: marmo per statua; d) il contenente per il contenuto: bere una bottiglia ; e) il mezzo al posto della persona: lingua mortal non dice (Leopardi); f) l’autore per l’opera: ho visto un Caravaggio stupendo ; g) l’astratto per il concreto: sfuggire alla sorveglianza ; h) il concreto per l’astratto: avere del fegato.

metrica studio dei fenomeni concernenti la versificazione (misura dei versi, figure metriche, accenti, rime, strofe ecc.). Il verso italiano è caratterizzato sia dal numero delle sillabe sia dal ritmo: la sillaba è l’unità metrica; il ritmo è individuato dall’accento, dal vario disporsi delle sillabe toniche e atone. Il verso è la risultante dell’incontro di uno schema metrico (costante) e di una sequenza ritmica variabile.

metrica barbara tentativo di riprodurre nel sistema sillabico-accentativo italiano la poesia greco-romana fondata sulla quantità (v. piede), in modo che al rapporto fra lunghe e brevi corrisponda quello fra toniche e atone. Barbare chiamò il Carducci le sue Odi perché tali sarebbero suonate agli orecchi dei classici antichi. V. alcàica, dìstico, sàffica.

mimo componimento classico di tipo drammatico. Un genere di mimo in versi giambici è il mimiambo, creato dal poeta greco Eroda (III sec. a.C.), che ritraeva realisticamente scene di vita quotidiana.

mise en ab”me (pron. 'miz aâ a'bi:m) espressione francese con cui si indica una visione in profondità (ab”me, «abisso»), una sorta di riproduzione in piccolo del significato complessivo di un’opera (ad esempio, la famosa scena dell’Amleto in cui si rappresenta l’uccisione del re). Piú genericamente, episodio di un racconto particolarmente emblematico, nel quale l’autore riflette il motivo profondo del testo.

mito racconto delle vicende degli dei e degli eroi, una delle forme piú antiche della narrazione. monolinguismo particolare selezione del lessico in senso aulico, opposta al plurilinguismo (v.), che fonda la

tradizione del linguaggio letterario italiano a partire dal Canzoniere del Petrarca. monologo modalità narrativa e teatrale consistente nel lasciare la parola a un personaggio, che può colloquiare

con un altro personaggio o rivelare i suoi pensieri e sentimenti, abbandonarsi all’introspezione, ai sogni ad occhi aperti ecc. Il soliloquio è un monologo in forma di confessione controllata, come se fosse presente un ascoltatore. Una forma moderna di monologo è il monologo interiore, col quale siamo direttamente introdotti nella vita interiore del personaggio. L’emergenza dell’inconscio, la manifestazione caotica della psiche dà luogo al cosiddetto flusso di coscienza (v.)

monorima strofa composta di versi aventi tutti la stessa rima. morfema forma verbale minima individuabile in un enunciato (in opposizione al fonema, v.). Es.: la parola amore

è composta due morfemi: amor (morfema lessicale, detto anche lessema) e -e. morfosintassi studio complessivo della struttura della parola nella frase riguardante la morfologia e la sintassi. mot-clé (pron. mo'kle) espressione francese che indica la «parola chiave», il termine connotatore di un testo (che

non sempre è quello ripetuto). motivo unità tematica, segno letterario particolarmente connotato. mottetto breve componimento poetico (di origine francese e di natura musicale) di forma mutevole e di

argomento sentenzioso. I mottetti di Montale (nelle Occasioni) sono poesie brevi e metricamente assai varie, anche se in genere strutturate in due strofe (spesso quartine).

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narratario destinatario interno della narrazione. V. narratore. narratore istanza narrativa che regola le modalità del racconto, voce che, per una scelta deliberata dell’autore,

può risultare senza volto, anonima o nascosta. Il narratore può essere assente dalla storia raccontata o presente come personaggio (il cosiddetto «io narratore»: nel primo caso (Omero, Manzoni...) il narratore è extradiegetico (vale a dire fuori della storia, v. o diegesi, v.), nel secondo è intradiegetico (Sherazade o Ulisse). Se guardiamo al rapporto fra il narratore e la storia, il narratore può essere eterodiegetico (quando parla di fatti altrui) o omodiegetico (quando parla di fatti propri o di cui è stato testimone).Genette presenta il seguente paradigma del narratore: Omero, narratore di primo grado, racconta una storia da cui è assente; Gil Blas, narratore di primo grado, narra la sua storia (così Mattia Pascal o Zeno Cosini); Sherazade, narratrice di secondo grado, racconta storie da cui è in genere assente; Ulisse, nei canti IX-XI dell’Odissea, è narratore di secondo grado che racconta la sua storia.

narrazione atto del narrare che produce un racconto. Nel caso dell’Odissea, ad esempio, si ha una duplice narrazione: Omero che racconta la storia di Ulisse e Ulisse che racconta ai Feaci le sue avventure (v. narratore).

neologismo parola di recente formazione o coniata ex novo dallo scrittore. nominale forma stilistica in cui sono prevalenti gli elementi nominali rispetto ai verbi. Es.: Tanti pensieri, tante

inquietudini, tante fatiche! La coltura dei fondi, il commercio delle derrate, il rischio delle terre prese in affitto, le speculazioni del cognato Burgio... (Verga).

nonsense (pron. 'nOns«ns) forma letteraria di origine inglese che consiste nell’esprimere versi o frasi linguisticamente incoerenti e in apparenza assurdi. Fra i cultori del nonsense si ricordano Lewis Carrol, Edward Lear, Alfred Jarry, Raymond Queneau e Achille Campanile.

novel (pron. 'nOv«l) termine inglese che indica il racconto-romanzo realistico, in opposizione a romance (v.), che è il racconto fantastico.

novella componimento narrativo per lo piú non molto esteso, sinonimo oggi di racconto (v.). Novella in versi: forma di racconto in versi molto comune nella letteratura romantica (Grossi, Prati, Tommaseo, Cantœ...).

novenario verso di nove sillabe a ritmo anapestico-dattilico (con accenti sulla seconda, quinta e ottava sillaba: Soletto su l’orlo di un lago; Pascoli), giambico (con accenti principali sulla quarta e ottava sillaba e secondari sulla seconda e sesta: A duro stral di ria ventura: Chiabrera) e trocaico (con accenti principali sulla terza e ottava sillaba e secondari sulla prima e sulla quinta: C’è una voce nella mia vita; Pascoli).

nuance (pron. 'núaâ:n) termine francese che indica una particolare «sfumatura» semantica o connotazione (v.) di un termine.

ode componimento lirico di origine classica metricamente vario e complesso (si vedano ad esempio le odi di Alceo, Saffo, Anacreonte, Bacchilide, Pindaro, Catullo e Orazio). Nel Cinquecento l’ode riprende vigore, per merito soprattutto di Bernardo Tasso, che usò strofe di cinque o sei versi di endecasillabi e settenari. Nel Seicento col Chiabrera è di moda la canzone o ode pindarica (già usata dal Trissino e dall’Alamanni), a schema tripartito (strofe, antistrofe ed epodo). Importanti nel Settecento le odi del Parini. Nell’Ottocento scrivono odi di grande valore artistico Foscolo, Manzoni, Hšlderlin, Keats, Shelley, Hugo, De Musset, Puskin e Lermontov. Una struttura metrica diversa ha l’ode che tenta di imitare i ritmi classici, sperimentazione culminante nella metrica barbara (v.) di Carducci, Pascoli e D’Annunzio.

omofonia identità fonica di due o piú parole con significato diverso. Es.: porta (verbo o sostantivo). Ròsa (sostantivo) e rósa (verbo) sono omògrafi, perché si scrivono allo stesso modo ma hanno pronuncia e significato diversi.

omonimia identità fonico-grafica di due termini di senso diverso. Es. cane può indicare un animale, una parte del fucile, un insulto, una connotazione negativa (tempo cane).

omoteleuto o omeoteleuto eguaglianza fonica nella terminazione di due o piú parole, poste preferibilmente in posizione simmetrica all’interno di frasi o periodi.

onomatopea parola che vuole imitare un suono, un rumore, la voce degli animali ecc. V. armonia imitativa. oratoria arte del dire o eloquenza rivolta a persuadere il pubblico e a ottenerne il consenso. Molto importante,

fin dall’antichità, l’oratoria civile, distinta in tre forme principali: giudiziaria, deliberativa, dimostrativa o epidìttica. Il genere giudiziario riguarda i processi; quello deliberativo l’attività politica; l’epidittico concerne la celebrazione di un personaggio o anche la divulgazione dottrinaria. L’oratoria, con i suoi diversi «stili», ha un vastissimo campo di applicazioni (morale, religioso, funebre, propagandistico, commerciale...), oggi vieppiú allargato e potenziato dai moderni strumenti di comunicazione di massa.

orizzonte d’attesa l’insieme delle aspettative di un lettore nei confronti di un’opera letteraria. é un parametro importante per la critica sociologica.

ossìmoro (od ossimoro) forma di antitesi immediata, che consiste nell’accostamento di due termini di significato opposto. Es.: Silenzio urlante, oscura evidenza, tacito tumulto (Pascoli).

ottava strofa composta di otto versi endecasillabi, i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata (AB AB AB CC). La cosiddetta ottava siciliana è formata da otto endecasillabi a rima alternata (AB AB AB AB). Se

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non fu l’inventore dell’ottava, il Boccaccio contribu’ sicuramente al suo successo impiegandola nel Filostrato, nel Teseida e nel Ninfale fiesolano. L’ottava è il metro della poesia cavalleresca.

ottonario verso di otto sillabe, solitamente a ritmo trocaico con accenti principali sulla terza e settima sillaba: Le dicevano: Bambina (Pascoli); l’ottonario dattilico ha accenti sulla prima, quarta e settima sillaba: bada che vengono i morti (Pascoli).

palìndromo artificio espressivo con cui parole e frasi si possono leggere anche all’indietro. Es.: Roma-amor,

anilina, In girum imus nocte et consumimur igni (Virgilio). palinodia ritrattazione (talora ironica) delle proprie affermazioni. Es.: la Palinodia al marchese Gino Capponi del

Leopardi. pamphlet (pron. pa'fle) parola francese con cui si indica un «libello», uno scritto polemico o di denuncia. panegìrico discorso di lode o encomio (v.) di un personaggio. parabola forma narrativa a doppia lettura, superficiale e profonda (spesso di tipo morale o religioso: cfr. le

parabole del Vangelo). V. anche allegoria . paradigma in linguistica, insieme di elementi rapportati in absentia (v.). Ad esempio, insegnamento è in rapporto

paradigmatico con parole come insegnare, insegnante, docente ecc. paradosso figura logica che consiste in un’affermazione apparentemente assurda, spesso in forma ossimorica. Es.:

I veri ricchi sono i poveri. paràfrasi ritrascrizione di un enunciato o di un testo in forma piú semplice e concisa. paragoge aggiunta di un fonema non etimologico in fine di parola. Es.: filobusse, sine (per sì), none (per no). paragone v. comparazione. paratassi o coordinazione rapporto sintattico di coordinazione, opposto a ipotassi (v.). Es.: Non pianger piú.

Torna il diletto figlio / a la tua casa. é stanco di mentire. / Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire. / Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio (D’Annunzio).

parènesi esortazione, ammonimento (agg. parenètico). parentesi v. inciso. parodia imitazione scherzosa o ironica di un ÒmodelloÓ che si intende rovesciare. Spesso consiste in una citazione

nascosta che il lettore deve individuare e trans-codificare. Es.: Era, dalla nuca ai calcagni, come una staffilata di dolcezza, «la pura gioia ascosa» dell’inno (Gadda): un verso della Pentecoste manzoniana è riferito scherzosamente al piacere del cibo.

parole termine francese che indica l’uso individuale della lingua, opposto a langue (v.). paronomasia figura morfologica che nasce dall’accostamento di due parole di suono affine. Es.: Tra gli scogli

parlotta la maretta (Montale). Può essere considerata un’allitterazione (v.) insistita. V. anche annominazione, bisticcio.

pasquinata composizione (generalmente in versi) di carattere satirico. Il nome deriva da una statua romana, detta Pasquino, sul cui piedistallo si affiggevano già nel Cinquecento questi testi ironici, scritti in latino, in italiano o in dialetto.

pastiche (pron. pas'tiS) termine francese con cui si indica un testo linguisticamente mescidato, soprattutto grazie ad accostamenti di parole di diversi livelli o registri, con effetti spesso comici, satirici o parodistici.

pastorale genere letterario che fa riferimento al mitico mondo dei pastori di Arcadia o di analoghi paradisi campestri. V. bucòlica, ègloga, idillio. La favola pastorale è una forma teatrale sviluppatasi nel Cinque-Seicento, che ha come modelli l’Aminta (1573) del Tasso e il Pastor fido (1590) del Guarini.

pastorella componimento poetico di origine provenzale in forma di dialogo fra un cavaliere galante (sovente lo stesso poeta) e una pastorella. La forma metrica piú comune è la ballata.

pausa oltre a quella istituzionale di fine verso è importante la cosiddetta pausa secondaria o cesura (v.), che può infrangere l’unità sintattica e in qualche caso lessicale del verso.

peana antico canto corale greco, originariamente in onore di Apollo, dedicato alla celebrazione di una vittoria militare e anche di sovrani ed eroi.

pentametro nella metrica classica, verso formato da due emistichi, ognuno dei quali è costituito da due dattili e una sillaba lunga. I dattili del primo emistichio possono essere sostituiti da spondei. Nella metrica barbara (v.) il pentametro è in coppia con l’esametro a formare il dìstico elegiaco (v.).

perìcope brano o lacerto di un testo. perìfrasi o circonlocuzione figura consistente nell’indicare una persona o una cosa attraverso un giro di parole.

Es.: La gloria di colui che tutto muove (Dante). peripezia passaggio da una situazione all’altra in un intreccio narrativo, dovuto alle vicende avventurose di uno o

piú personaggi. personaggio elemento trainante dell’azione narrativa (v. attante, attore), variamente caratterizzato in forma

diretta dal narratore o in forma indiretta da altri personaggi, dal suo status sociale, da una maschera o emblema (gesto, tic, modo di esprimersi, nomignolo ecc.). I personaggi possono essere statici (quelli che non variano nel corso del racconto) o dinamici (quelli che cambiano), piatti o spessi (Forster), agenti (cioè promotori di processi di modificazione o di conservazione) o pazienti (investiti in tali processi: Bremond). Il personaggio, pur ricoprendo un ruolo, non è mai riducibile ad esso (v. attante).

personificazione v. prosopopea.

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pièce (pron. pjEs). termine francese che indica un’opera teatrale. piede unità di misura di un verso greco-latino formata da una serie ritmica di due o piú tempi o more. I piedi piú

importanti (segnando con la sillaba lunga e con la sillaba breve) sono i seguenti: giambo: ; trocheo ; anapesto ; dattilo ; spondeo .

plazer componimento poetico provenzale che elenca le cose piacevoli (è opposto all’enueg, che elenca le noie). Un esempio è il sonetto dantesco Guido i’ vorrei.

pleonasmo espressione ridondante, inutile; anche nel senso di zeppa o riempitivo (un episodio pleonastico). plot (pron. plOt) termine inglese con cui si indica l’intreccio (v.) di un racconto. pluralis maiestatis tipico uso del plurale al posto del singolare in discorsi «autorevoli» (di sovrani, pontefici...). In

poesia è usato per sottolineare (con una certa enfasi) un’affermazione. Es.: A noi / morte apparecchi riposato albergo (Foscolo).

plurilinguismo uso ampio, vario e sperimentale del linguaggio, attuato con la mescolanza di differenti strati e registri della lingua, attingendo magari alle risorse del dialetto o di altre lingue. Plurilinguistica, secondo G. Contini, è la Divina Commedia, che si differenzia nettamente dal monolinguismo (v.) del Canzoniere petrarchesco. Per forme piú recenti e probanti di plurilinguismo si vedano le sperimentazioni degli scapigliati e di Carlo Emilio Gadda.

pochade (pron. pO'Sad) commedia francese brillante, ricca di situazioni maliziose e salaci, in voga tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento.

poema componimento narrativo in versi di ampie proporzioni, solitamente diviso in canti o in libri. A seconda del contenuto, lo si definisce epico, sacro, didascalico, cavalleresco, eroico, eroicomico ecc.

poema in prosa genere proprio della letteratura postromantica, inaugurato dai Petits poèmes en prose (1869) di Baudelaire; prosa lirico-musicale senza metri e ritmi precisi. Altri modelli ineludibili sono Les illuminations e Une saison en enfer di Rimbaud.

poemetto componimento poetico di vario argomento, in genere piuttosto breve (normalmente in terzine o in versi sciolti).

poesia espressione artistica in versi, tradizionalmente ripartita nei generi fondamentali della lirica (v.), del poema (v.).

poetica elaborazione riflessiva sull’arte, propria di ogni artista o anche di gruppi, movimenti, tendenze. polifonia compresenza di piú voci nella struttura narrativa del racconto. polìmetro componimento poetico formato da versi o da strofe metricamente differenti (come la caccia, il

ditirambo, la frottola ecc.). poliptoto ripetizione di un termine in forme o funzioni grammaticali diverse. Es.: Cred’io ch’ei credette ch’io

credesse (Dante). polisemia proprietà di un segno linguistico (e soprattutto del segno letterario) di avere piú significati o significati

complessi. V. connotazione. polisíndeto figura che consiste nel collegare due o piú parole o frasi mediante congiunzioni. é opposto

all’asíndeto (v.). Es.: Sí ch’io mi credo omai che monti e piagge / e fiumi e selve sappian di che tempre / sia la mia vita (Petrarca). Si noti l’alternanza di asindeto e polisindeto in questi versi del Leopardi: Vecchierel bianco, infermo, / mezzo vestito e scalzo, / con gravissimo fascio su le spalle / per montagna e per valle, / per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, / al vento, alla tempesta, e quando avvampa / l’ora, e quando poi gela, / corre via, corre, anela, / varca torrenti e stagni, / cade, risorge, e piú e piú s’affretta...

posposizione rovesciamento della posizione normale di una parola, posta dopo un’altra che dovrebbe precederla. V. anàstrofe, catàfora.

pragmàtica parte della linguistica che si occupa dell’uso dei messaggi in rapporto alla situazione e ai fattori comunicativi.

presupposizione informazione implicita a cui l’emittente del discorso si richiama. Le presupposizioni possono essere semantiche, culturali o enciclopediche (v. implicito), pragmatiche. Nella frase Il primogenito di Sergio studia alla Sorbona, per presupposizione semantica si capisce che Sergio ha piú di un figlio, per presupposizione enciclopedica (Sorbona = Università di Parigi) che il figlio di Sergio studia all’Università, a Parigi.

preterizione figura logica con cui si finge di voler omettere ciò che in realtà si dice. Es.: Lasciamo pure perdere i difetti di Luigi, l’arroganza, l’avidità, il cinismo...; Cesare taccio che per ogni piaggia / fece l’erbe sanguigne / di lor vene, ove ‘l nostro ferro mise (Petrarca).

proemio esordio tipico del poema epico; nel poema classico il proemio comprende l’invocazione alle Muse e la pròtasi o presentazione dell’argomento.

progressione v. climax. prolessi anticipazione di un elemento ripreso sintatticamente da un altro (detto epanalessi, v.) che di solito

introduce una proposizione secondaria. Es.: Di questo ti ringrazio in modo particolare, di avermi presentato Maria.

pròlogo scena iniziale di un’opera epica o drammatica, che serve a spiegare gli antefatti della vicenda. prosa letteralmente, «discorso diretto in avanti» (dal latino provorsa) in opposizione al verso , che indica invece

una «svolta», un «ritorno» a capo regolato da valori ritmici precisi (v. metrica). Anche la prosa ha comunque

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una costruzione ritmica, particolarmente studiata dalla retorica antica attraverso gli artifici del numerus e delle clausole.

prosímetro composizione letteraria formata da versi e prosa, come la Consolatio philosophiae di Severino Boezio o la Vita nuova di Dante.

prosodia studio delle regole metriche. Nella linguistica moderna gli elementi prosodici (o soprasegmentali) sono il timbro dei suoni, l’intonazione, l’accento (che manifesta l’intensità e la durata di una sillaba in rapporto alle altre contigue).

prosopopea figura con la quale si fa parlare un personaggio morto o assente oppure un essere astratto o inanimato (la patria, Pericle, la Natura...). Es.: Io questo ciel, che sì benigno / appare in vista, a salutar m’affaccio, / e l’antica natura onnipossente, / che mi fece all’affanno. «A te la speme / nego, mi disse, anche la speme; e d’altro / non brillin gli occhi tuoi se non di pianto (Leopardi).

prospettiva v. punto di vista. pròtasi anticipazione (in sintassi, la frase condizionale subordinata che prelude all’apodosi). Nel proemio (v.) è la

parte introduttiva in cui si espone l’argomento. pròtesi aggiunta, a inizio di parola, di un elemento non etimologico. Es.: Ignudo, istrada, ischerzo. prova elemento fondamentale del racconto mitico e della fiaba, performance a cui è sottoposto l’eroe per

superare un ostacolo e acquisire un determinato oggetto o valore. punto di vista prospettiva o fuoco della narrazione, punto ottico in cui si pone un narratore per raccontare una

vicenda. Si può avere una triplice focalizzazione: 1) il narratore «ne sa di piú» dei personaggi: narratore onnisciente (il narratore-autore Manzoni nei Promessi sposi); 2) il narratore «ne sa quanto i personaggi»: focalizzazione su un personaggio (ad esempio l’io narratore Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno; oppure un personaggio in un racconto in terza persona: Charles o Emma Bovary in Madame Bovary); 3) il narratore «ne sa meno» dei personaggi, limitandosi a vederli dall’esterno, a testimoniare dei fatti (come in molti racconti di Hemingway). V. narratore.

quadrimembre periodo di quattro membri (detto anche tetràcolon). Es.: E mi sovvien l’eterno, / e le morte

stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei (Leopardi). V. isòcolon. quadrisillabo o quaternario verso di quattro sillabe a ritmo trocaico. Es.: In piú modi / vostre lodi / già commisi

alla mia lira (Chiabrera). quartina strofa di quattro versi, in genere inserita in un componimento complesso, ad esempio il sonetto. Se è

usata da sola si definisce anche quarta rima. Lo schema della quartina è assai vario: ABAB (rime alternate), AABB (rime baciate), ABBA (rime incrociate), AAAA (monorima) ecc.

quête (pron. kE:t) dal francese: aspetto essenziale del romanzo cavalleresco, costituito dalla «ricerca» o «inchiesta» intrapresa dal protagonista.

quinario verso di cinque sillabe, con accento principale sulla quarta e uno secondario mobile (sulla prima o sulla seconda). Es.: Forti colline / chiesi agli dei: / m’udiro al fine, / pago io vivrò (Pindemonte).

quindicisillabo verso di quindici sillabe, formato da un settenario sdrucciolo e da uno piano. Es.: Rosa fresca aulentissima / ch’apari inver’ la state (Cielo d’Alcamo).

quinta rima strofa di cinque versi, solitamente costruita sullo schema ABABC. racconto narrazione in genere breve e comunque meno ampia di un romanzo, forma moderna della novella (v.).

In senso tecnico si distingue il racconto, come intreccio narrativo, dalla storia o dalla fabula (v.). V. anche tempo.

récit (pron. re'si) termine francese che sta per racconto (v.) in senso lato. referente ciò a cui rinvia il segno linguistico. referenza realtà extralinguistica. La funzione referenziale (v.) è incentrata sul contenuto del messaggio. réfrain (pron. re'fren) termine francese, ritornello (di canzone o poesia). V. ballata. registro uso di un determinato livello della lingua, piú o meno formale (in rapporto all’ambiente, alle classi e

gruppi sociali, alla cultura ecc.). Il registro può essere piú o meno formale, controllato, sostenuto oppure colloquiale, familiare, gergale ecc.

reticenza o aposiopesi figura logica consistente nell’interrompere il discorso, lasciando intendere ciò che si tralascia. L’ellissi è spesso segnata dai puntini di sospensione. Es.: La parte, sì piccola, i nidi / nel giorno non l’ebbero intera. Né io... (Pascoli).

retorica arte della persuasione, la retorica studia le tecniche linguistiche piú adatte a convincere gli ascoltatori-lettori: le argomentazioni del ragionamento (inventio: trovare che cosa dire), la struttura piú efficace dell’esposizione (dispositio: mettere in ordine), le figure del linguaggio (elocutio: l’ornamento del discorso), l’abilità nel declamare-recitare (actio) e ricordare (memoria).

riconoscimento o agnitio espediente classico del teatro antico o in genere di un testo narrativo avventuroso, grazie al quale un personaggio viene pubblicamente riconosciuto (ad esempio, un figlio abbandonato alla nascita) e prende coscienza della sua identità. Grazie all’agnitio si risolvono le complicazioni dell’avventura e il racconto si avvia al lieto fine (è possibile un matrimonio, si ricompone l’unità familiare ecc.).

riempitivo v. pleonasmo.

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rigetto seconda parte di un enjambement (v.). Es.: interminati / spazi (spazi è il rigetto; interminati è il controrigetto).

rima identità dei suoni conclusivi di due o piú versi, a partire dall’ultima sillaba accentata. Procedimento caratteristico della poesia, anche se non sufficiente a caratterizzare un testo come opera artistica (è presente in moltissimi messaggi comuni come slogan, pubblicità, proverbi ecc.), la rima ha il compito di collegare il suono al significato, l’aspetto euonico-melodico al senso. Le parole cosí collegate («compagne di rima») intrattengono rapporti semantici particolari di somiglianza o di opposizione, che contribuiscono alla connotazione complessiva del messaggio. La rima può essere piana, tronca (limitata alla vocale accentata: non so: dormirò), sdrucciola (o dattilica), bisdrucciola (assai rara). Può essere inoltre povera (quando è composta da sole vocali: Dio: pio), sufficiente (o normale), ricca (quando la rima è accompagnata da effetti di allitterazione o consonanza: udito: dito, marito: smarrito), leonina (quando la rima si estende alla vocale precedente: ritornare: adornare), franta o spezzata (differente-/mente: lente) o composita (pur lí: burli: questo tipo di rima è detto anche «per l’occhio»), ipermetra (quando una parola piana rima con una sdrucciola: appressati: essa, miracolo: ubriaco), equivoca (quando rimano due parole omofone ma di diverso significato: ami: ami), derivata (quando la rima è costituita da voci che hanno la stessa radice: guardi: sguardi), identica (formata dalla stessa parola: Cristo nel Paradiso di Dante). Si ha rima imperfetta o quasi rima (o rima assonanzata) quando la corrispondenza fonica fra le due parole non è del tutto precisa: smorfia: soffia, acqua: vacua, fonde: fondo, effigie: grigia, disagio: randage (esempi montaliani). La rimalmezzo (o rima al mezzo) è interna al verso: Passata è la tempesta: / odo augelli far festa, e la gallina, / tornata in su la via... (Leopardi). Vi sono inoltre alcuni tipi di rima particolari: la rima siciliana è una specie di rima imperfetta, con variazione vocalica: noioso: uso, nui: lui; la rima guittoniana eguaglia vocali aperte e chiuse: maledétto: corrètto, cuòre: amóre; la rima straniera è basata sulla pronuncia di una parola (non sulla trascrizione grafica): camicie: Nietzsche (pronunziato Nice).

ripetizione o iterazione procedimento linguistico e retorico fondamentale, che è alla base di molte figure (v. amplificazione, anadiplosi, anàfora, annominazione, antanàclasi, antimetàtesi, diàfora, epanadiplosi, epanalessi, epífora, epizèusi ecc.).

ripresa nome del ritornello (v.) nella ballata (v.). rispetto variante toscana dello strambotto (v.), componimento popolare di carattere amoroso. é composto da una

sestina o da un’ottava (schema: ABABCC, ABABABCC). ritmo sequenza di sillabe forti e deboli all’interno di uno schema metrico (v. metrica). ritornello v. ballata. romance (pron. ròmans) termine inglese con cui si indica il racconto di fantasia. romanza ballata romantica, spesso di carattere epico-popolare, metricamente assai varia e diversa dalla ballata

antica. romanzo ampia narrazione in prosa fondata su una trama (piú o meno avventurosa), su personaggi variamente

descritti e caratterizzati, su un ambiente naturale e sociale (oggetto di descrizioni), su un’eventuale rappresentazione o illustrazione di una situazione storica come sfondo di un caso particolare (l’amore di Renzo e Lucia e la Lombardia del Seicento). Con estrema libertà, il romanzo propone temi, forme e modi assai liberi, rea-listici (o mimetici), fantastici, satirici, parodistici, psicologici, caratterizzandosi almeno a partire dal Settecento in generi e sottogeneri molto vari (romanzo cavalleresco, di avventura, utopico, storico, di formazione...).

rondeau (pron. rondò) forma poetico-musicale francese di carattere amoroso, caratterizzata dalla ripetizione del réfrain o ritornello.

ruolo nella teoria del racconto è un personaggio-tipo (v. personaggio) o una categoria semantico-sintattica (v. attante).

sacra rappresentazione genere teatrale di argomento sacro sviluppatosi nel tardo Medioevo dalle laude dialogate

e drammatiche (v. lauda). sàffica strofa della metrica classica formata da tre endecasillabi saffici minori e da un adonio, riprodotta dal

Carducci con tre endecasillabi a minore (v.) e un quinario: Mescete in vetta al luminoso colle, / mescete, amici, il biondo vino, e il sole / vi si rifranga: sorridete, o belle: / diman morremo.

saga narrazione epica incentrata sulla storia di un popolo o di un gruppo sociale. sarcasmo forma intensa di ironia. Es.: Godi, Fiorenza, poi che sei sí grande / che per mare e per terra batti l’ale

/ e per lo inferno il nome tuo si spande (Dante). sàtira genere letterario in versi o in prosa o in versi e prosa (satira menippea) di carattere moralistico e

didascalico, ironico o parodistico, che si propone di rappresentare la realtà nei suoi aspetti serio-comici (costumi e atteggiamenti risibili, caricature di personaggi illustri, vizi dei ricchi ecc.). Dalla satura latina (il «piatto ricolmo di varie vivande», a indicare anche il carattere vario e mescolato del genere, alle origini una sorta di farsa dialogata, con canti e danze) si elabora la forma letteraria della satira in vari metri e soprattutto in esametri (con Lucilio e Orazio), a cui si affianca per merito di Varrone la cosiddetta menippea in versi e prosa, inventata dal filosofo cinico Menippo di Gàdara. La satira letteraria perde il carattere «carnevalesco» (Bachtin) proprio dell’antico spettacolo popolare per assumere generalmente toni piú blandi e ironici (i sermones di Orazio), ove si escluda il violento, drammatico moralismo di Giovenale. Grande

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spazio ha la satira nel Medioevo, anche nelle sue forme piú radicali (misteri buffi, giullarate, composizioni carnevalesche, favola degli animali, poesia comico-realistica...), mentre nel Rinascimento è ripresa la forma letteraria latina discorsiva e moraleggante (le satire dell’Ariosto, in terza rima), anche se largo spazio è concesso alla satira di costume che si intreccia con altri generi, quali il dialogo e la commedia (Aretino, Folengo, Ruzante). Nel Settecento la satira è molto praticata in tutte le sue gamme (moralistiche, ironiche, sociali...) e nei toni piú vari (le piú amare e sferzanti sono le satire dell’Alfieri), sciogliendosi spesso in composizioni di ampio respiro, come Il giorno del Parini. Altrettanto composita è l’esperienza satirica ottocentesca (spesso politica: G. Giusti), culminante nel radicalismo filosofico dei Paralipomeni della Batracomiomachia del Leopardi. Lo spirito ironico-parodistico del genere permea profondamente la letteratura dialettale, in particolare del Porta e del Belli. Un recupero originale del genere, nella poesia del Novecento, è Satura (1971) di E. Montale. La pratica satirica è peraltro propria delle avanguardie (dadaismo, espressionismo, neoavanguardia), dell’arte sulfurea di C. E. Gadda (ad esempio Eros e Priapo), del teatro (D. Fo).

scena parte di un testo, in ispecie teatrale, o di una narrazione che comprende un episodio in sé concluso. sciolti v. verso sciolto. scolio annotazione in margine di un testo antico (in genere in forma di commento). scrittura stile o lingua letteraria propri di uno scrittore; stile codificato di un genere letterario (scrittura lirica,

epica, bucolica...), registro specifico di un genere, con le sue peculiari connotazioni. segno unione di un significante (l’immagine acustica) e di un significato (il concetto). Attraverso un insieme di

fonemi è trasmessa un’idea, che viene compresa grazie al riferimento alla langue, cioè al sistema o codice linguistico. V. codice, comunicazione, connotazione.

selezione operazione attraverso la quale il locutore sceglie la unità linguistica sull’asse paradigmatico da combinare nella catena della frase (v. assi del linguaggio).

selva componimento poetico in versi sciolti (endecasillabi e settenari), senza strofe e rime regolari. Fu praticato dal Tasso (nell’Aminta) e dal Marino.

sema tratto semantico fondamentale di una parola. semàntica parte della linguistica che si occupa del significato delle parole. semiologia o semiòtica scienza dei segni, sia verbali (lingua) sia non verbali (iconici, musicali...). Come teoria

generale dei segni e della comunicazione la semiologia comprende anche la linguistica, che studia i segni verbali.

senario verso di sei sillabe, con accenti sulla quinta e (in genere) sulla seconda. Es.: Fratelli d’Italia, / l’Italia s’è desta (Mameli).

senhal nella poesia provenzale è il termine convenzionale o lo pseudonimo con cui l’autore designa la donna amata senza farne il nome. Questo uso si è poi diffuso anche nella lirica italiana del Duecento e del Trecento (un esempio famoso è il nome di Laura, attribuito dal Petrarca alla donna-poesia).

senso insieme delle connotazioni di un segno-messaggio-testo, piú ricco dunque del significato semantico. In poesia il senso nasce dalla complessa correlazione di significanti e significati che compongono il testo.

sequenza nell’analisi del racconto è un’unità narrativa evidenziabile a livello di contenuto (e facilmente ÒetichettabileÓ: incontro, fuga, duello, saluto...). Un insieme di sequenze (o macrosequenza) forma un episodio.

sermone componimento poetico di argomento etico-didascalico. Si ricordino i Sermoni del Manzoni. serventese o sirventese componimento di argomento morale, religioso o politico, spesso di tono satirico e

aggressivo. Come metrica il serventese provenzale ha la struttura di una canzone, quello italiano (detto talora sermontese) ha un ritmo variabile: il Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei (1280 c.) ha il seguente schema: AAAb - BBBc - CCCd ecc.: tre versi monorimi, settenari o endecasillabi, e un verso piú breve (quinario o senario) come coda, rimante col primo verso della strofa successiva.

sesquipedale si dice ironicamente di testi o espressioni troppo lunghi e prolissi. sestina strofa di sei versi, formata da due distici a rima alternata e da due versi a rima baciata (AB AB CC). La

strofa di sei versi (detta anche sesta rima) compare nel Lamento di Oddo delle Colonne (1240 c.). settenario verso di sette sillabe con arsi fissa sulla sesta e uno o due accenti mobili nelle prime quattro sillabe.

Solitamente ha gli accenti in seconda, quarta e sesta, con ritmo giambico (Rettor del cielo, io cheggio, Petrarca), oppure in prima, terza e sesta, con ritmo trocaico-dattilico (Spera ‘l Tevero e l’Arno, Petrarca). In genere è alternato all’endecasillabo; in coppia forma il doppio settenario a imitazione dell’alessandrino e dal Seicento prende il nome di martelliano (v.).

shifter (pron. 'Sift«) termine inglese che designa i deíttici (v. deissi). significante v. segno. significato v. segno. sillaba unità metrica del verso italiano, che si differenzia dalla sillaba linguistica per l’azione delle figure

metriche (v. sinalefe, dialefe, dieresi, sinèresi); si è proposto, pertanto, di chiamarla posizione (Di Girolamo).

sillessi figura sintattica detta anche costruzione a senso. Es.: La gente / che in Sennaar con lui superbi foro (Dante), invece di «superba fu».

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simbolo immagine deputata a rappresentare con evidenza un concetto astratto: l’acqua è simbolo della purezza, del battesimo; la fiamma è simbolo della passione, il ferro della durezza, ecc. Il significato dei simboli è solo in parte codificato, dipendendo da diversi fattori culturali e letterari (v. allegoria). I simboli personali degli scrittori (si pensi al «nido» nella poesia pascoliana) possono avere un’origine inconscia, studiata dalla psicocritica e dalla critica simbolica, archetipica e psicanalitica.

sinafía unione di due versi consecutivi, che si ha quando la sillaba finale di un verso ipèrmetro (v.) si fonde con la sillaba iniziale del verso seguente. Es.: Sorridile, guardala; appressati / a mamma... (Pascoli).

sinalefe fusione in una sola sillaba metrica della vocale finale di una parola e di quella iniziale della parola successiva. Es.: Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono (Petrarca).

síncope caduta di uno o piú suoni all’interno di una parola. Es.: medesmo, opra, torre (per togliere). sincronia stato della lingua considerato nel suo funzionamento in un determinato momento. Il concetto di

sincronia si oppone a diacronia (v.), vale a dire l’evoluzione del sistema linguistico. L’analisi sincronica tende a descrivere un’opera o un corpus come un insieme sistematico di rapporti, configurabile in un modello.

sinèddoche come la metonimia, v. (che secondo alcuni studiosi la comprenderebbe) è una figura semantica che verte sul trasferimento di significato da una parola a un’altra, in base a una relazione di contiguità. La sineddoche rappresenta: 1) la parte per il tutto (vela per nave); 2) il tutto per la parte (una pelliccia di visone per fatta di pelle di visone); 3) il genere per la specie (felino per gatto); 4) la specie per il genere (pane per cibo); 5) il singolare per il plurale (l’italiano è romantico); 6) il plurale per il singolare (è arrivato con la servitœ = con una cameriera).

sinèresi o sinizesi contrazione di due sillabe in una nel computo metrico (è figura opposta alla dièresi, v.). Es.: Disse: «Beatrice, loda di Dio vera (Dante).

sinestesia particolare forma di metafora in cui si associano parole appartenenti a campi sensoriali diversi. Es.: Là, voci di tenebra azzurra (Pascoli), pigolio di stelle (Pascoli), urlo nero della madre (Quasimodo), fredde luci parlano (Montale).

sinonimia intercambiabilità semantica fra due termini. Es.: viso e volto. sintagma gruppo di due o piú elementi che formano un’unità linguistica gerarchizzata. Es.: Un gatto, un gatto

nero, il gatto nero di Sergio. sirma o sírima seconda parte di una stanza della canzone (v.). sístole spostamento dell’accento metrico in avanti, verso l’inizio della parola. Es.: Non odi tu la pièta del suo

pianto? (Dante). sommario sequenza narrativa in cui si riassume una parte rilevante della trama non raccontata analiticamente (ad

esempio, un periodo della vita di un personaggio). sonetto forma poetica nata nell’ambito della scuola siciliana (l’inventore fu forse Giacomo da Lentini), ricavata

probabilmente da una stanza di canzone. é composto da due quartine e da due terzine di endecasillabi in rima secondo i seguenti schemi fondamentali: per le quartine: ABAB ABAB (rime alternate), ABBA ABBA (incrociate); per le terzine: CDC CDC o CDC DCD (a due rime alternate), CDE CDE (a tre rime replicate). La forma piú antica è ABAB ABAB CDE CDE. Sono ammesse numerose varianti. Forme metriche derivate dal sonetto sono: il sonetto minore in versi piú brevi dell’endecasillabo; il sonetto doppio con lo schema AaBBbA AaBBbA CDdC CDdC (i versi inseriti sono settenari); il sonetto rinterzato con lo schema AaBAaB AaBA aBCcDdC DdCcD; il sonetto ritornellato con un endecasillabo come coda in rima con l’ultimo verso (oppure due endecasillabi a rima baciata); il sonetto caudato con una coda formata da un settenario e due endecasillabi a rima baciata (se la coda è ripetuta piú volte si ha una sonettessa); il sonetto raddoppiato con quattro quartine e quattro terzine; il sonetto misto in endecasillabi e settenari alternati; il sonetto continuo in cui le rime delle quartine si prolungano nelle terzine (ABBA ABBA ABA BAB). Da ricordare il sonetto elisabettiano (schema: ABAB CDCD EFEF GG), usato da Shakespeare e ripreso da Montale. Una serie di sonetti sullo stesso tema forma una corona.

soprasegmentale elemento fonoprosodico (v. prosodia). Spannung termine tedesco con cui si indica il punto di massima tensione di una situazione narrativa (ad esempio,

nei Promessi sposi, il rapimento di Lucia). spazio bianco intervallo di lettura fra un verso e l’altro o fra una strofe e l’altra; nella poesia moderna sostituisce

spesso la punteggiatura (v. L’allegria di Ungaretti). spondeo nella metrica classica, piede formato da due sillabe lunghe (). stanza strofa di una canzone (v.). stereòtipo cliché (v.), stilema stereotipato. Es.: Notte buia e tempestosa, vittima del dovere, madre e sposa

esemplare. sticomitia nella tragedia antica, dialogo drammatico in cui ogni battuta è racchiusa in un verso. stile espressione personale di uno scrittore, fisionomia individuale di un’opera. Fra le metodologie critiche

interessate allo studio dello stile ricordiamo la stilistica e il formalismo. stilema costruzione formale tipica dello stile di un autore o di una tendenza letteraria. storia nella teoria del racconto è la vicenda, l’insieme delle azioni o diegesi (v.); con maggiore esattezza è la

fabula (v.), cioè la ricostruzione astratta degli elementi del racconto nel loro ordine logico-temporale (in opposizione all’intreccio, v.).

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stornello componimento poetico popolare, costituito da due o tre versi (endecasillabi o un quinario e due endecasillabi). Es.: Fior tricolore, / tramontano le stelle in mezzo al mare / e si spengono i canti entro il mio cuore (Carducci).

strambotto breve componimento popolare di argomento amoroso, sviluppatosi in Italia fra il Trecento e il Quattrocento. é basato sulla sestina o sull’ottava. In Toscana si chiamò rispetto (v.).

straniamento procedimento espressivo con cui si propone un’insolita percezione della realtà grazie a imprevedibili forme espressive. In Brecht, modo di recitare che accentua il distacco, la non immedesimazione fra interprete e personaggio.

stream of consciousness (pron. strimOv 'kOnS«snis) espressione inglese con cui si indica il flusso di coscienza (v.). strofa o strofe raggruppamento di versi che forma un’unità metrico-compositiva (distico, terzina, quartina...,

stanza). struttura costruzione coerente, ordinata e interdipendente delle parti in un insieme testuale. strutturalismo metodologia critica che tende a studiare i testi come strutture funzionali, in cui tutti gli elementi

(linguistici e tematici; fonologici, prosodici, semantici...) sono fra loro rapportati e riconducibili a un modello.

suspense (pron. sus'pens) termine inglese con cui si indica una situazione di tensione in un racconto o in un film. tema motivo essenziale enucleabile in un testo letterario. Un motivo dominante è detto Leitmotiv (v.). tempo temporalità della storia (v.) da rapportare al tempo del racconto-narrazione (definibile in capoversi o in

pagine). tenzone disputa in sonetti su vari argomenti (celebre è la tenzone in stile comico fra Dante e Forese Donati). ternario v. trisillabo. terzina o terza rima strofa di tre versi, quasi sempre endecasillabi, a rima incatenata (come nella Divina

Commedia). é il metro della poesia didascalica, allegorica e del capitolo (v.) ternario. tesi v. arsi. tetràcolon v. quadrimembre. tetràmetro nella metrica classica, verso composto di quattro metri (dattilici, giambici, anapestici ecc.). tetràstico strofa di quattro versi (v. quartina). tipo personaggio (v.) «piatto», in cui è accentuato un attributo caratteriale, una qualità o un difetto (l’avaro, il

vigliacco, lo smargiasso...). titolo nome, sintagma o frase che, premessi a un libro o a un testo, lo individua, indicandone

approssimativamente l’argomento. Es.: I promessi sposi. Anche il sottotitolo del capolavoro manzoniano è importante: Storia milanese del secolo XVII, perché può orientare le aspettative del lettore (v. orizzonte d’attesa), indirizzandolo verso il genere del romanzo storico. In alcuni testi (per lo piú poetici) il titolo fa parte integrante del messaggio ed è fondamentale per decifrare il messaggio (si pensi all’Allegria di Ungaretti).

tmesi separazione di una parola nelle parti componenti. Es.: Di tutti quel sacro- / -santo Sangue cancelli l’error (Manzoni).

topos parola greca che significa «luogo comune»: motivo (o configurazione di motivi) ripreso con una certa frequenza da scrittori e oratori bisognosi di argomenti comodi e di facile presa. Espressione convenzionale e stereotipata. Fra i tópoi piú comuni studiati dalla retorica antica ricordiamo il locus amoenus (paesaggio ideale, Arcadia...), il mondo alla rovescia, le cose incredibili, i colmi, i lamenti, l’ubi sunt (dove sono i grandi del passato?), le enumerazioni geografiche ecc.

tornata ultima strofa di una canzone (v.), detta anche congedo o commiato. tragedia rappresentazione scenica caratterizzata da una forte tensione morale e da un esito luttuoso (catastrofe),

tale da commuovere gli spettatori e da provocare in essi la purificazione delle passioni (catarsi). La tragedia greca fu considerata per secoli il modello del genere: «Il dramma presenta una divisione in due parti in quanto l’intreccio del nodo drammatico (desis) viene contrapposto alla catastrofe (katastrophé) come soluzione del nodo medesimo (lysis). L’intreccio drammatico può venir suddiviso in una fase preparatoria, di informazione che crea la situazione (prótasis) e in una fase attiva (epítasis) di potenziamento della situazione. La epítasis può venir suddivisa in una epítasis dinamica e in una katástasis statica («momento ritardante») che rappresenta il risultato della situazione. Se alla prótasis corrisponde un atto, alla epítasis due atti, alla katástasis un atto e alla katastrophé un atto, ne risulta una somma di cinque atti» (Lausberg). Poco praticata nel Medioevo, la tragedia rinasce con l’umanesimo in forme latine e volgari a imitazione del modello classico, assurgendo ai piú alti valori artistici, tra il Cinquecento e il Seicento, in Francia, in Inghilterra e in Spagna (Racine, Corneille, Shakespeare, Lope de Vega e Calderón de la Barca). Un tipo particolare è la tragedia senecana o dell’orrore, ricca di effetti truci e sanguinari. Il romanticismo ha una particolare predilezione per la tragedia: Alfieri rappresenta in Italia un’esperienza affine a quella degli Stürmer, Manzoni rivisita con grande originalità Shakespeare (il monologo) e Racine; ma sono le opere di Schiller e Goethe a rinnovare profondamente la tragedia, avviandola verso quella forma intimistica, psicologica e problematica che caratterizza il dramma borghese fra Ottocento e Novecento (Cechov, Strindberg, Pirandello). V. anche dramma.

trait d’union dal francese: elemento di unione o mediatore, collegamento.

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trama nucleo essenziale di un racconto, contenuto narrativo o storia (v.). V. anche fabula, intreccio. tranche de vie espressione francese (che significa «pezzo di vita»), usata dagli scrittori naturalisti per definire

una poetica fondata sui documenti d’ambiente, testimonianze della cronaca quotidiana, personaggi e vicende reali.

transcodificazione cambiamento di senso dovuto a un cambiamento di codice. Si pensi, per esempio, all’uso della mitologia nella Commedia dantesca o all’ideologia cortese (di origine feudale) nella letteratura italiana del Due-Trecento.

transfert dal francese: proiezione, identificazione in un personaggio. traslato espressione figurata. V. figura, metafora, metonimia. treno lamento funebre, simile all’epicedio. trícolon successione di tre elementi (ad es. tre aggettivi) in un periodo o in un verso. trímetro nella metrica classica, verso formato da tre metri. Ad esempio, il trimetro giambico ha il seguente

schema: ; è il metro di Archiloco, Ipponatte, dei dialoghi della tragedia e della commedia. Nella metrica barbara (v.) carducciana è trasposto con un endecasillabo sdrucciolo.

trisíllabo verso di tre sillabe, a ritmo giambico. Es.: Si tace, / non getta / piú nulla, / si tace, / non s’ode / rumore / di sorta (Palazzeschi).

trocheo piede della metrica classica formato da una sillaba lunga e da una breve (). Nella metrica italiana si definisce ritmo trocaico (v. endecasillabo) la successione di una sillaba accentata e di una atona.

tropo figura semantica o traslato. variante le diverse scelte espressive di uno scrittore (correzioni, ripensamenti, proposte alternative...), che

documentano la genesi creativa di un testo. vaudeville (pron. vod'vil) termine francese, usato per indicare una commedia ricca di imprevisti, situazioni

piccanti e intrighi. verso incontro di uno schema metrico e di una sequenza ritmica variabile (v. metrica). Il verso italiano si fonda

sul numero delle sillabe e sulla posizione degli accenti: si avranno pertanto versi bisillabi, trisillabi, quadrisillabi, quinari, senari, settenari, ottonari, novenari, decasillabi, endecasillabi. Versi doppi sono il doppio ottonario, il dodecasillabo o doppio senario, il doppio settenario o martelliano.

verso libero verso affrancato da ogni schema metrico; teorizzato e usato dai simbolisti francesi, fu impiegato da D’Annunzio nelle Laudi e variamente ripreso dalle avanguardie del primo Novecento (futuristi, espressionisti...).

verso sciolto verso (solitamente l’endecasillabo) non legato da rime e da schemi metrici fissi. versus espressione latina usata da linguisti e semiologi per indicare l’opposizione fra due segni. Si abbrevia con

vs. Es.: Bianco vs nero. villanella componimento poetico d’argomento rusticale, senza forma metrica fissa (di solito adotta lo schema del

madrigale o della ballata o della frottola). villotta o villota canto popolare, originato dallo strambotto (v.), con lo schema metrico ABAB (endecasillabi o

ottonari). visione componimento poetico prediletto da A. Varano (1705-1788) e ripreso dal Monti, caratterizzato da

immagini cupe e macabre, da apparizioni spettrali o di defunti che parlano in tono ammonitorio. visione v. punto di vista. voce istanza narrativa in cui emerge il narratore (v.). volta parte della sirma. vs v. versus. Weltanschauung (pron. 'vEltanSauuN) parola tedesca che significa «visione del mondo»; indica la concezione

dell’uomo e della vita propria di un autore. wit (pron. wit) termine inglese («arguzia, sorpresa») con cui si indica una forma di straniamento linguistico di tipo

comico o ironico. xènion forma poetica di ascendenza classica, breve ed epigrammatica, che accompagnava i doni per amici e

familiari. Da ricordare gli Xenia che Montale dedicò alla moglie morta (confluiti in Satura). zibaldone in senso generico è una sorta di quaderno di appunti, senza un ordine preciso, in forma spesso di diario

personale. Il piú celebre zibaldone è quello di Leopardi. zeugma figura grammaticale che consiste nel far dipendere da un solo verbo piú termini, per ciascuno dei quali si

richiederebbe un verbo specifico. Es.: Parlare e lacrimar vedrai insieme (Dante).


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