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I fattori che favoriscono l'accesso delle donne alla vita economica e sociale e all'rafforzamento delle loro qualifiche nel contesto dello sviluppo nazionale, regionale e globale
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I fattori che favorisconol'accesso delle donne

alla vita economica e socialee all'rafforzamento delle loro qualifiche

nel contesto dello sviluppo nazionale, regionale e globale

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0. Premessa 2

1. La condizione delle donne nei paesi partner mediterranei 31.1 La partecipazione economica 51.2 La partecipazione sociale e politica 101.3 Le condizioni di sviluppo umano delle donne nei PPM 121.4 La promozione delle capabilities 18

2. I fattori di quadro 222.1 Un welfare a macchia di leopardo 222.2 Servizi e infrastrutture sociali 262.3 Donne e migrazioni 27

3. Le donne nel partenariato euro mediterraneo, nella PEV e nell’Unione per il Mediterraneo 29

3.1 Programmi regionali nel quadro del partenariato 293.2 La promozione della condizione delle donne nella PEV 313.3 Strategia di Barcellona: Unione per il Mediterraneo 33

4. Conclusioni e proposte 344.1. Costruire agende integrate per le capabilities 344.1.1 Un'agenda integrata per diritti, attività e strutture 354.1.2 Un’agenda integrata per liberare il tempo delle donne 354.1.3 Un'agenda integrata per le risorse e l'attività economica 364.1.4 Un'agenda integrata per azioni positive e quote 37

5. Bibliografia essenziale

Tabelle

1: Tassi di attività (donne e uomini) e di occupazione per settori 62: Occupazione informale come % del lavoro non agricolo 7 3: Evoluzione dei tassi di fertilità (numero dei figli per donna) 94: Partecipazione politica nell’UE e nei PPM 11 5: Speranza di vita e morti per parto 136: Scolarizzazione e aspettative salariali 157: Redditi, crescita e inflazione 178: Spesa sociale (sanità ed educazione) 239: Progetti finanziati nel quadro del programma “Migliorare le opportunità

di integrazione delle donne nella vita economica” 29

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0. Premessa

Il Vertice dei Consigli Economici e Sociali Euromediterranei e organismi similari tenutosi a Lubiana nel novembre 2006 ha deciso l’elaborazione di un rapporto su “I fattori che favoriscono l’accesso delle donne alla vita economica e sociale e il rafforzamento delle loro qualifiche nel contesto dello sviluppo nazionale regionale e globale”, da presentarsi al Vertice socio-economico che si terrà nel 2008. Il gruppo di lavoro è stato composto dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL, che assicura anche l’elaborazione del testo), dal CESE, dai Consigli Economici e Sociali di Francia, Tunisia, Autorità palestinese, Israele, Algeria, Spagna e Lussemburgo, nonché dalla delegazione turca del Comitato Consultivo misto UE-Turchia. Un primo rapporto provvisorio è stato discusso al Vertice di Atene del 2007. L’obiettivo di questo lavoro è di inserirsi con un apporto proprio e, se possibile, di arricchire il dibattito e le iniziative che sono state assunte nel quadro della cooperazione Euromediterranea, in particolare alla prima Conferenza interministeriale euromediterranea di Istanbul sulla parità di genere, concentrandosi soprattutto sulla condizione delle donne dei paesi partner mediterranei (in seguito PPM), intesi come partner dell'Unione europea nella strategia di Barcellona e nel recente sviluppo delle relazioni esterne denominato "Politica europea di vicinato" (in seguito PEV), nonché nella “Strategia di Lisbona: Unione per il Mediterraneo”. Il quadro concettuale di riferimento è rappresentato anche dalla piattaforma definita dalla IV conferenza dell'ONU sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995 e dagli obiettivi del Millennium Compact, iniziativa dell'ONU intesa a sradicare la povertà e a promuovere la dimensione umana dello sviluppo. Dopo Pechino, il cui cardine metodologico è quello di "guardare il mondo con gli occhi delle donne", parole come mainstreaming e empowerment sono entrate nel linguaggio comune per indicare, rispettivamente, la necessità di integrare in tutte le politiche la dimensione di genere e l'obiettivo di rispondere all'esigenza delle donne di prender parte pienamente ad ogni tipo di sviluppo (economico, sociale, politico, ambientale, ecc.), assumendo le responsabilità anche formali che a questa partecipazione si coniugano. Il terzo e il quinto obiettivo del Millennium, peraltro, riguardano direttamente la promozione dell'eguaglianza di genere e l'empowerment delle donne oltre che il miglioramento della salute delle donne-madri. Queste iniziative internazionali, insieme allo sforzo di rilevamento statistico delle agenzie e dei programmi dell'ONU, hanno creato un contesto di obiettivi trasversali, validi tanto per i paesi sviluppati quanto per i paesi in via di sviluppo, tra i quali la partecipazione delle donne al lavoro, all'attività economica, alla gestione politica e all'impegno sociale sono delle priorità cui nessun paese può sottrarsi.

Il fatto che la prima “Conferenza interministeriale sulle donne nel partenariato”, tenutasi ad Istanbul nell’ottobre 2006 abbia definito un programma comune quinquennale, articolato in 16 obiettivi ad ampio raggio per la promozione dell’eguaglianza di genere e della partecipazione paritaria delle donne all’economia, al lavoro, alla politica, alla cultura, dimostra che la cooperazione euromediterranea ha integrato l’urgenza di mettere le donne al centro dei processi di sviluppo e che le istituzioni UE e dei PPM sono coscienti della necessità di coinvolgere le organizzazioni della società civile che sono chiamate a contribuire alla riuscita delle decisioni concordate, assumendo a loro volta l’iniziativa per il perseguimento degli obiettivi indicati, attraverso un lavoro costante e in rete.

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Il presente rapporto sottoscrive le scelte di Istanbul e cerca di inserirsi, nelle indicazioni tematiche e metodologiche di questa conferenza, con una critica costruttiva per contribuire a dare elementi di concretezza alla realizzazione dei programmi e delle dinamiche che da Istanbul derivano e che si collocano nel quadro del partenariato EUROMED e della PEV.

Nella parte iniziale del testo si cercherà di richiamare la realtà vissuta dalle donne discutendo, sulla base di dati e analisi di istituzioni e agenzie internazionali, alcuni fattori che condizionano – in positivo ed in negativo – la vita delle donne nell’area dei PPM. Si cercherà, in particolare, di mettere a fuoco l’esigenza di promuovere non solo le capacità e le competenze, ma anche e soprattutto le capabilities delle donne, come premessa per dare fondamento ad una concreta parità di opportunità.

In una seconda parte del testo si collocherà l’analisi della condizione delle donne in rapporto alle grandi linee di evoluzione della società (tendenze demografiche, condizioni di welfare, mobilità e migrazioni), mentre nella terza parte si ricondurrà la riflessione sul quadro delle politiche Euromediterranee e sui programmi scaturiti da Istanbul.

Infine, si cercherà di delineare alcune griglie di criteri da applicare alle iniziative e ai programmi di cooperazione e di scambio previsti dalle politiche Euromediterranee in generale, ma anche da tener presenti nella formazione e nell’attuazione delle politiche volte ad assumere la sfida della parità di genere a livello nazionale, regionale e globale.

I riferimenti comparativi tra le condizioni e le esperienze delle donne europee e quelle dei PPM saranno introdotti solo quando avranno un senso logico per valutare, ad esempio, la velocità con cui evolvono alcuni parametri umani, sociali ed economici nei due contesti. Uno sforzo significativo di sistematizzazione è già stato compiuto dal CES di Spagna col suo rapporto su I fattori della competitività e della coesione sociale nella costruzione di uno spazio integrato euromediterraneo , presentato al vertice di Atene nell'ottobre 2007. Rinviamo alla lettura di questo pregevole documento e alle tavole allegate per tutti i dati economici e sociali di quadro.

Qui si è cercato di fare il miglior uso possibile dei dati disaggregati a disposizione, integrandoli, se necessario, con riferimenti ad esperienze che apparivano significative.

1. La condizione delle donne nei paesi partner mediterranei

L'interesse istituzionale dell’UE per la condizione delle donne nei PPM e del mondo arabo più in generale, è cresciuto in modo significativo nell'ultimo decennio. Le organizzazioni delle parti sociali e socioprofessionali sono impegnate - fin da prima della definizione del partenariato euromediterraneo a Barcellona nel 1995 - in ricerche sul campo e nella realizzazione di progetti di cooperazione in rete, mirati a conoscere la condizione complessiva delle donne dell'area e a sostenerne il miglioramento. Le ragioni di questa attenzione sono diverse ma, in seguito, si terranno presenti solo le tre che ricorrono più frequentemente nella letteratura in materia.

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Una prima ragione nasce dalla constatazione che il ritmo di crescita delle economie dei PPM, pur registrando un trend discreto negli ultimi 5 anni, resta ampiamente inferiore alle reali potenzialità dell'area. Ciò spinge analisti e politici a considerare le donne come una "riserva" di risorse umane che potrebbe essere determinante per un decollo più forte e stabile dello sviluppo economico dell'area.

Una seconda ragione sta nell'emergenza di una soggettività delle donne dei PPM che, come singole persone ma anche e soprattutto come organizzazioni (gruppi, collettivi, cooperative, reti di imprenditrici), mirano a conseguire spazi e opportunità tanto nella famiglia e nel lavoro, quanto negli affari e nella vita sociale e politica. Questo sforzo delle donne, in diverse situazioni, entra in collisione con tensioni, conflitti, violenze e anche con alcune rigidità ideologiche, religiose e comportamentali che incidono sullo sviluppo umano1, sociale ed economico delle donne stesse, sui loro diritti e, in fin dei conti (ma forse dovrebbe essere il punto di partenza), sulle loro aspirazioni.

Una terza ragione nasce dall'esperienza, diretta e comune a tutta l'area euromediterranea, dei flussi migratori (inizialmente soprattutto maschili, ora sempre più anche femminili) che hanno modificato oggettivamente e soggettivamente la condizione delle donne, sia che rimangano in patria, sia che si ricongiungano al coniuge, sia che emigrino autonomamente per cercare lavoro o, anche, per sfuggire ad ostacoli all’esercizio dei loro diritti come persone o addirittura a violazioni degli stessi.

Tutte queste ragioni restano necessariamente interconnesse se si vuole stabilire una base analitica che sostenga gli sforzi per migliorare la condizione complessiva delle donne. Allo stesso tempo, però, questa interconnessione produce quasi sempre ulteriori difficoltà nel realizzare concretamente i progetti di emancipazione e di empowerment delle donne nei diversi ambiti (famiglia, scuola, lavoro, impresa, politica, ecc).

Prendiamo, ad esempio, il problema dell'inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Nonostante una crescita molto forte del tasso di partecipazione delle donne dei PPM, aumentato del 19% tra il 1990 e il 2003 (mentre nel resto del mondo cresceva complessivamente solo del 3%), i PPM hanno i più bassi livelli (rilevati) mondiali di partecipazione al mercato del lavoro, rispetto al totale della forza lavoro. Le donne sono infatti circa il 30% di tutti i lavoratori2. Se per affrontare questo problema si fa perno solo sulle pur necessarie soluzioni "classiche", come l'aumento delle opportunità di educazione e di formazione professionale, ci si deve confrontare col fatto che nei PPM è già in atto una crescita notevole in quantità e qualità della scolarità femminile3, senza che vi sia un aumento proporzionale della partecipazione all'attività delle donne. Naturalmente, il dato sull’educazione e la formazione è una media, per cui nasconde la presenza tanto di alcune aree di eccellenza, quanto di sacche di grande arretratezza.

1 Un tentativo di affrontare la questione dando una prospettiva di soluzione è stato fatto dal "Rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo" del 2005 (PNUD - Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, in seguito indicato con l’acronimo inglese di Arab Human Development Report, AHDR) che indica la necessità di coniugare la comprensione/interpretazione dello spirito coranico con le esigenze dell’eguaglianza per favorire una rinascita del pensiero islamico sostenuta da una piena cooperazione uomo/donna.

2 Banca mondiale, Gender Profile by Country.3 Le studentesse superano in percentuale gli studenti, considerando tutti e tre i livelli di scolarizzazione insieme, in Libia, Tunisia,

Libano, Territori palestinesi e Giordania. In Marocco, Egitto, Siria e Algeria la percentuale delle studentesse, rispetto agli studenti, si colloca tra poco meno del 90% e il 95%. (AHDR).

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Oppure - altro esempio - se dalla necessità di promuovere i diritti delle donne facciamo derivare un'azione di rivendicazione legislativa formale e unilaterale che non implichi anche i necessari strumenti di implementazione e di monitoraggio con la partecipazione delle dirette interessate – le donne - capaci di agire in modo appropriato su una realtà con forti diversità strutturali, ambientali, culturali e sociali e di ritmi di sviluppo, si finisce per confinare il conseguimento dei diritti all'aspetto formale delle leggi scritte, non sempre capace di rispondere all'esigenza di promuovere in concreto la condizione di parità della donna.

L'ipotesi di lavoro di questo contributo poggia pertanto sulla necessità di assumere la convivenza di ambiti diversi, e la possibilità che entrino in collisione tra loro, perché solo accertando e accettando contraddizioni e tendenze a volte anomale, si possono mettere meglio a fuoco le vere priorità di intervento e, di conseguenza, i percorsi più efficaci per superare le resistenze che ancora si contrappongo ad una piena realizzazione delle donne e delle loro capacità effettive e/o potenziali. In termini pratici, si terrà conto dei dati disaggregati per genere disponibili, ma la loro interpretazione userà anche, in modo flessibile, elementi qualitativi e quantitativi derivati dall'esperienza.

In effetti, l'attenzione di istituzioni, fondazioni e ricercatori, parti sociali, organizzazioni socioprofessionali e partiti politici costituisce, in questo contesto complesso, un quadro di esperienze, di ipotesi, di tentativi di intervento da cui estrapolare criteri di valutazione e, se del caso, di correzione di quanto già attuato. Ciò può risultare molto utile se si vuol provare a dare ordine e concretezza, sia pur parziali, al dibattito in corso. L'approccio di questa analisi e dell'agenda che si proporrà sarà, quindi, il più possibile interdisciplinare per evitare di riprodurre stereotipi o di formulare obiettivi statici o astratti dalla realtà.

1.1 La partecipazione economica

Considerando che la partecipazione economica si riferisce tanto al lavoro salariato quanto all’iniziativa imprenditoriale e ad ogni altro tipo di attività che produca beni e servizi, è opportuno non dimenticare che solo un contesto economico caratterizzato da uno sviluppo dinamico e sostenibile offre opportunità reali e stabili di partecipazione. Lo sviluppo nei PPM – ma, in parte, anche lo sviluppo dei paesi europei – resta al di sotto delle potenzialità dell’area, per una generale carenza, tra l’altro, di investimenti esteri diretti (IED). La risposta alla necessità di attirare IED non può e non deve essere la promozione di una deregolamentazione generalizzata, ma piuttosto una scelta condivisa tra UE e PPM di mirare ad uno sviluppo integrato, basato sulla conoscenza e la condivisione di obiettivi di qualità economica e sociale, che faccia delle sue infrastrutture e delle sue risorse umane la carta vincente nel mondo globalizzato.

Per quanto attiene alla condizione attuale della partecipazione delle donne dei PPM, una prima distinzione si impone: le condizioni di vita, di lavoro e di empowerment sono molto differenti se riferite alle aree urbane o a quelle rurali. Una seconda distinzione va tenuta sempre presente: quella tra il lavoro formale, quello informale e quello nemmeno riconosciuto. Mentre nelle aree urbane emerge più chiaramente il problema di conseguire la parità (soprattutto nelle condizioni contrattuali e

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salariali), nelle aree rurali il lavoro delle donne è un apporto quasi invisibile all'economia informale e familiare. Da qui discendono conseguenze diverse, perché i due contesti hanno un quadro infrastrutturale, culturale e sociale assai diverso. Il lavoro femminile nell'economia urbana è immediatamente percepito come produzione di reddito e, quindi, di ricchezza sociale e nazionale: ciò conferisce, all'attività della donna, un valore in sé anche se, poi, il salario resta inferiore a quello degli uomini che compiono lo stesso lavoro e confluisce per intero nell'economia familiare dove è spesso gestito solo dal capofamiglia (maschio). Il lavoro rurale (formale o informale, riconosciuto o meno), invece, è finalizzato prevalentemente al sostentamento della famiglia, soggiace maggiormente ai condizionamenti sociali e culturali, evolve qualitativamente in modo più lento e non favorisce la crescita di autonomia delle donne. Nel dibattito seguito alla conferenza di Pechino è rimasta aperta una rivendicazione che ha bisogno ancora di strutturazione: il lavoro non riconosciuto e il cosiddetto "lavoro di cura" che spesso si estende alla produzione agricola familiare, del tutto ignorati dai dati, devono essere contabilizzati nel PIL. Ciò comporta la necessità di trovare strumenti di rilevazione e quantificazione. Un'analisi molto accurata del rapporto tra donne e attività produttive è compiuta dal rapporto FEMISE 20064 che inoltre pone proprio il problema di come valutare il contributo complessivo delle donne allo sviluppo, creando strumenti econometrici per prendere in considerazione le diverse forme di attività (formali e non). Di fronte alle difficoltà di rilevamento statistico perfino dei dati del lavoro formale, creare strumenti di analisi del lavoro informale e non riconosciuto può sembrare una missione impossibile, ma è una priorità sociale e politica da condividere. Il Rapporto sullo sviluppo umano del PNUD (Human Development Report, in seguito HDR) del 2007-2008 propone una tabella sulla disoccupazione e l’occupazione nel settore informale, segnalando tuttavia la grande difficoltà di reperire dati attendibili: si tratta comunque di un ulteriore sforzo di approfondimento di questo problema da parte dell’UNDP.

Tabella 1 - Tassi di attività (donne e uomini) e di occupazione (formale) per settori

Tasso d'attività Agricoltura Industria Terziario

Donnedonne in % su uomini

occupati donne %

occupati uomini %

occupati donne %

occupati uomini %

occupati donne %

occupati uomini %

(2005) media 1995-2005 media 1995-2005 media 1995-2005Algeria 35,7 45 22 20 28 26 49 54Austria 49,5 76 6 6 13 40 81 55Belgio 43,7 73 1 3 11 35 82 62Bulgaria 41,2 78 7,0 11,0 29 39 64 50Cipro 53,0 76 4 6 11 34 85 59Danimarca 59,3 84 2 4 12 34 86 62Egitto 20,1 27 39 28 6 23 55 49Estonia 52,3 80 4 7 24 44 72 49Finlandia 56,9 86 3 7 12 38 84 56Francia 48,2 79 3 5 12 35 84 60Germania 50,8 77 2 3 16 41 82 56Giordania 27,5 36 2 4 13 23 83 73Grecia 43,5 67 14 12 10 30 76 58

4 Rapporto Femise 2006 sul partenariato euromediterraneo - Analisi e proposte del Forum euromediterraneo degli istituti economici. Coordinatori: Samir Radwan, Economic Research Forum, Egitto, Jean-Louis Reiffers, Institut de la Méditerranée, Francia - settembre 2006.

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Tasso d'attività Agricoltura Industria Terziario

Donnedonne in % su uomini

occupati donne %

occupati uomini %

occupati donne %

occupati uomini %

occupati donne %

occupati uomini %

(2005) media 1995-2005 media 1995-2005 media 1995-2005Irlanda 53,2 74 1 9 12 39 86 51Italia 37,4 62 3 5 18 39 79 56Israele 50,1 85 1 3 11 32 88 64Lettonia 49,0 77 8 15 16 35 75 49Libano 32,4 41 … … … … … …Libia 32,1 40 … … … … … …Lituania 51,7 82 11 17 21 37 68 46Lussemburgo 44,6 69 3 3 8 42 89 55Malta 34,0 49 1 2 18 34 81 63Marocco 26,8 33 57 39 19 21 25 40Paesi Bassi 56,2 77 2 4 8 30 86 62Polonia 47,7 78 17 18 17 39 66 43Portogallo 55,7 79 13 12 21 42 66 46Regno Unito 55,2 80 1 2 9 33 90 65Repubblica ceca 51,9 77 3 5 27 49 71 46Romania 50,1 80 33 31 25 35 42 34Siria 38,6 44 58 24 7 31 35 45Slovacchia 51,8 76 3 6 25 50 72 44Slovenia 53,6 80 9 9 25 49 65 43Spagna 44,9 66 4 6 12 41 84 52Svezia 58,7 87 1 3 9 34 90 63Territori palestinesi 10,3 15 34 12 8 28 56 59Tunisia 28,6 38 … … … … … …Turchia 27,7 36 52 22 15 28 33 50Ungheria 42,1 73 3 7 21 42 76 51

Fonte: HDR 2007-2008.

È interessante la percentuale relativamente alta di donne che lavorano nel terziario, in rapporto agli uomini: qui il divario si riduce da una media (per tutti i settori) attestata tra il 30% e il 44%, a percentuali che oscillano tra il 48% e il 63% (almeno secondo i dati disponibili). Ciò è dovuto tanto alla terziarizzazione delle economie dei PPM, che crea posti di lavoro soprattutto nei servizi, quanto anche al fatto che i buoni livelli di istruzione delle donne le predispongono ad assumere questo tipo di occupazione.

Tabella 2 - Occupazione informale come % del lavoro non agricolo (paesi non OCSE)

Anno di riferimento Totale (%) Donne (%) Uomini (%)Algeria 1997 43 41 43Egitto 2003 45 59 42Giordania … … … …

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Israele … … … …Libano … … … …Libia … … … …Marocco 1995 45 47 44Siria 2003 22 7 24Territori Palestinesi … … … …Tunisia 1994/1995 50 39 53Fonte: HDR 2007-2008

Il rapporto PNUD sullo sviluppo umano nel mondo arabo del 2005 (Arab Human Development Report, in seguito AHDR), dal sottotitolo, Verso la promozione delle donne nel mondo arabo5, segue un percorso obbligato che ha come riferimento di fondo il calcolo dell'indice di sviluppo umano (Human Development Index, in seguito HDI) i cui indicatori di base sono la speranza di vita, la scolarizzazione e il reddito. Mentre la piattaforma di Pechino e gli obiettivi del Millennium insistono sulla centralità della partecipazione della donna all'economia, lo spazio che l'AHDR dedica a questo problema è relativamente ridotto, perché più ampia è l'attenzione allo sviluppo delle capabilities considerate premessa indispensabile - ma, in gran parte, ancora da realizzare - alla crescita della partecipazione e alla promozione complessiva delle donne (cfr. il punto 1.4).

Spiegare la bassa partecipazione al mercato del lavoro e all'attività economica attraverso indicatori come l'insufficiente formazione, la scarsa occupabilità, il peso della gestione familiare, significa mutuare meccanicamente criteri usati per analizzare l'esperienza europea o dei paesi a capitalismo avanzato e porta a risultati contrastanti e non sempre utili: come si è visto (nota n. 3 e Tabella n. 5 a seguire), nei PPM la scolarità è alta e costituirebbe comunque una buona base per qualsiasi intervento di formazione professionale. Nei paesi del Centro ed Est Europa che hanno aderito all'Unione tra il 2004 e il 2007, ad esempio, la buona qualità dell'educazione scolastica è stata capitalizzata come fattore di una competitività sociale positiva che ha favorito l'occupabilità e recuperato in gran parte le donne che erano state espulse (più degli uomini) dal mercato del lavoro nella prima fase del passaggio all'economia di mercato. Questo approccio problematico non intende assolutamente negare il valore altissimo di un sistema formativo che miri ad accrescere con continuità e con obiettivi di qualità, la formazione di base e professionale: al contrario, vuole mettere in evidenza la necessità – tanto urgente nel contesto dei PPM quanto in quello degli stati UE – di qualificare e sostenere la formazione delle donne realizzando strumenti che garantiscano un circolo virtuoso tra gestione del mercato del lavoro, politiche economiche e crescita, assetto legislativo del diritto del lavoro e dei diritti specifici delle donne e, non ultimo, contesto socio-culturale.

Un altro esercizio non molto produttivo è quello di immaginare che la diminuzione del tasso di fertilità e lo spostamento in avanti dell'età del matrimonio tra le giovani dei PPM, possano contribuire ad aumentare la loro partecipazione all'attività economica6. Ma, anche qui, i dati di medio periodo smentiscono un tale approccio (vedi tabella 3) : se paragoniamo il tasso di fertilità tra due quinquenni, 5 Toward the Rise of Women in the Arab World.6 Solo il rapporto Femise indica che l’aumento della partecipazione femminile - peraltro modesto: da circa il 30% al 37% tra il

1980 e il 2000 - sarebbe dovuto, per il 31%, all’abbassamento del tasso di fertilità. Si potrebbe controbattere che è stata la maggior partecipazione all’attività a contribuire alla diminuzione delle nascite.

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(anni 1970/1975 e anni 2000/2005) si nota che nei PPM è calato in modo generalizzato fino a 5 figli in meno per ogni donna e, pur restando superiore a quello europeo, è oggi di circa 3 figli. La conclusione più logica sembra essere che l'abbassamento del tasso di fertilità può contribuire ad un aumento della partecipazione al lavoro, ma l'esperienza dimostra - come rilevano anche l'AHDR e il Rapporto Femise - che le donne in età fertile continuano comunque a trovare ancora forti resistenze ad accedere ad un lavoro salariato stabile, anche perché sono poco sviluppati, in diversi paesi, sia i loro diritti specifici, sia gli strumenti di tutela della gravidanza e della maternità, sia servizi pubblici efficienti per sostenere l’inserimento lavorativo delle donne.

Tabella 3 : Evoluzione dei tassi di fertilità (numero di nascite per donna)

Paese Anni 1970/1975(media)

Anni 2000/2005(media)

Paese Anni 1970/1975(media)

Anni 2000/2005(media)

Algeria 7,4 2,5 Lituania 2,3 1,3Austria 2,0 1,4 Lussemburgo 1,7 1,7Belgio 2,0 1,6 Malta 2,1 1,5Bulgaria 2,2 1,3 Marocco 6,9 2,5Cipro 2,5 1,6 Paesi Bassi 2,1 1,7Danimarca 2,0 1,8 Polonia 2,3 1,3Egitto 5,9 3,2 Portogallo 2,7 1,5Estonia 2,2 1,4 Regno Unito 2,0 1,7Finlandia 1,6 1,8 Rep. Ceca 2,2 1,2Francia 2,3 1,9 Romania 2,6 1,3Germania 1,6 1,3 Siria 7,5 3,5Giordania 7,8 3,5 Slovacchia 2,5 1,2Grecia 2,3 1,3 Slovenia 2,2 1,2Irlanda 3,8 2,0 Spagna 2,9 1,3Italia 2,3 1,3 Svezia 1,9 1,7Israele 3,8 2,9 Terr. Palestinesi 7,7 5,6Lettonia 2,0 1,2 Tunisia 6,2 2,0Libano 4,8 2,3 Turchia 5,3 2,2Libia 7,6 3,0 Ungheria 2,1 1,3Fonte HDR 2007-2008

Le ragioni della bassa partecipazione delle donne all'attività economica e al mercato del lavoro nei PPM non risiederebbero, specificamente, nell’offerta di lavoro femminile, nella sua disponibilità e nella sua qualità, ma anche in fattori giuridici, culturali e sociali che condizionano ancora fortemente sia lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, sia l'incontro tra domanda e offerta di lavoro femminile. Per quanto attiene in particolare all'attività imprenditoriale delle donne e alle difficoltà da superare perché possa esprimersi al meglio, si rinvia al contributo del CESE, relatrice Grace Attard 7, allo

7 “Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea” REX/233 – CESE 1004/2007 Rapporto presentato al Vertice Euromediterraneo dei Consigli economici e sociali e organismi similari tenutosi ad Atene nel 2007.

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studio Femise già citato e al rapporto dell'Euromesco8 per la Commissione (Conferenza di Rabat del 2006, in preparazione della Conferenza interministeriale di Istanbul9). Anche il rapporto della Commissione europea sull'attuazione della Carta euromediterranea per l'impresa (2006) insiste sulla necessità di promuovere attraverso adeguate azioni positive il ruolo delle donne e delle reti di donne imprenditrici.

Questa sembra essere anche la conclusione dell'AHDR quando elenca, tra i fattori che frenano la partecipazione alla vita economica, la prevalente cultura maschilista, le forti discriminazioni salariali, la mancanza di servizi, e quelle leggi che, per "proteggere" le donne, ne impediscono invece l'emancipazione.

1.2 La partecipazione sociale e politica

Pilastri quasi invisibili, le donne gestiscono la famiglia che resta il nucleo fondamentale delle società dei PPM, anche se alcune caratteristiche stanno mutando, come si accennerà in seguito a proposito dell’urbanizzazione e delle migrazioni (punto 2.2. Servizi e infrastrutture sociali). Si tratta di una gestione che ha autonomia solo - o prevalentemente - all'interno delle mura domestiche perché ancora in molti PPM, la cultura predominante colloca la donna in un contesto di reddito, di decisioni, di relazioni in cui l'attore principale è sempre il maschio. Tuttavia, l'uso che le donne fanno di questa "autonomia” , soprattutto nelle aree rurali, è ricco di iniziativa, di inventiva e ha una forte valenza sociale. I rapporti familiari tra donne nelle famiglie allargate, le relazioni di vicinato, il lavoro agricolo e artigianale, i piccoli commerci dei prodotti che non vengono direttamente consumati dalla famiglia portano le donne ad essere a contatto tra loro e, quasi sempre, a cooperare. Il tutto, però, in termini informali, senza riconoscimento, senza protezione, senza diritti, senza strutture di sostegno.

Un primo passaggio da costruire dovrebbe essere quello di inserire un maggior numero di donne nelle organizzazioni della società civile, e delle parti sociali in particolare, e di favorire (forse basterebbe non impedire…) la loro assunzione di responsabilità in sindacati, organizzazioni non governative, comitati di cittadini. Là dove questo sta avvenendo10, i risultati sono sorprendenti: le donne usano un linguaggio nuovo, stanno sul concreto, mirano a risolvere problemi più che ad affermare teorie, ignorano l'enfasi oratoria e ideologica dei colleghi maschi ed escono, così, da qualsiasi schema - anche "europeo" - di rappresentanza formale, proponendo sempre obiettivi di grande saggezza. Nelle organizzazioni delle parti sociali, però, c'è qualche resistenza ad accettare la partecipazione delle donne a livelli di responsabilità (fenomeno rilevabile pure in Europa, anche se con dimensioni e ragioni diverse), verosimilmente perché il ruolo e le attività delle rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori portano a un confronto costante con ambiti politici e istituzioni, a loro volta segnati dall'ipertrofia del numero di uomini rispetto alle donne.

8 EUROMESCO « Les femmes en tant que participantes à part entière à la Communauté euroméditerranéenne d’États démocratiques » - aprile 2006

9 Vedi anche punto 3.1.10 Un recente gruppo di lavoro del CESE, in Marocco, ha potuto constatare l’apporto qualitativo che le donne inserite nei sindacati

e nelle ONG danno a discussioni anche complesse e come siano in grado di gestire organizzazioni anche molto rappresentative per numero di aderenti e impatto sociale. Esempi significativi di presenza delle donne in ruoli di responsabilità in organizzazioni della società civile li troviamo anche in Tunisia, dove il contesto legislativo avanzato favorisce questo tipo di empowerment.

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Questo ragionamento sulla difficoltà di rafforzare il ruolo formale e sostanziale delle donne vale anche - mutatis mutandis - per la loro partecipazione politica11, obiettivo che comprende la realizzazione di misure di sostegno ai diritti civili e politici delle donne, ma non è valido solo in sé: la crescita democratica di tutte le società ha bisogno che le capabilities delle donne si esercitino anche in ambito politico perché la promozione della partecipazione delle donne alla realtà economica sia effettiva e migliori.

La crescita della presenza delle donne nei parlamenti e nei governi europei ha dimostrato - sia pur in modo tutt'altro che compiuto e solo dopo difficili lotte - che le donne costituiscono un'importante risorsa di idee e approcci nuovi. Dispiegare questo potenziale umano, sociale e politico con una serie di misure di sostegno, come hanno fatto alcuni paesi del Nord Europa, è un investimento nel futuro che ogni società che si pretende dinamica dovrebbe fare. L'AHDR insiste sulla necessità di allargare la partecipazione sociale e politica delle donne, ma rimane molto riservato sugli strumenti da mettere in campo: quote e azioni positive sono evocate, ma solo come un esperimento possibile, non generalizzabile, e a tempo determinato. Concordando sul fatto che le quote dovrebbero essere uno strumento temporaneo, è giusto tuttavia ricordare che all’aumento quantitativo della presenza delle donne corrisponde anche un aumento delle opportunità, per le stesse, di dimostrare le loro capacità in ogni ambito.

Tabella n. 4 - Partecipazione politica nell'UE e nei PPM

PaeseDiritto di voto alle

donne(prima volta)

% donne al governo

2005

% donne in Parlamento

% donne al Senato2007

1990 2007Algeria 1962 10,5 2,4 7,2 3,1Austria 1918 35,3 11,5 32,2 27,4Belgio 1921 21,4 8,5 34,7 38,0Bulgaria 1945 23,8 21 22,1 ---Cipro 1960 0,0 1,8 14,3 ---Danimarca 1915 33,3 30,7 36,9 ---Egitto 1956 5,9 3,9 2,0 6,8Estonia 1918 15,4 --- 21,8 ---Finlandia 1906 47,1 31,5 42,0 ---Francia 1944 17,6 6,9 12,2 16,9Germania 1918 46,2 --- 31,6 21,7Giordania 1974 10,7 0,0 5,5 12,7Grecia 1952 5,6 6,7 13,0 ---Irlanda 1928 21,4 7,8 13,3 16,7Israele 1948 16,7 6,7 14,2 ---Italia 1945 8,3 12,9 17,3 13,7

11 Sullo stato dei diritti e dell’applicazione degli stessi, cfr. il parere del CES di Francia, Droits des femmes dans le Partenariat Euro-méditerranéen, relatrice Claude AZÉMA, Parigi, 2005.

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PaeseDiritto di voto alle

donne(prima volta)

% donne al governo

2005

% donne in Parlamento

% donne al Senato2007

1990 2007Lettonia 1918 23,5 --- 19,0 ---Libano 1952 6,9 0,0 4,7 ---Libia 1964 --- --- 7,7 ---Lituania 1919 15,4 --- 24,8 ---Lussemburgo 1919 14,3 13,3 23,3 ---Malta 1947 15,4 2,9 9,2 ---Marocco 1963 5,9 0,0 10,8 1,0Paesi Bassi 1917 36,0 21,3 36,7 34,7Polonia 1918 5,9 13,5 20,4 13,0Portogallo 1976 16,7 7,6 21,3 ---Regno Unito 1928 28,6 6,3 19,7 18,9Repubblica ceca 1920 11,1 --- 15,5 14,8Romania 1946 12,5 34,4 11,2 9,5Siria 1953 6,3 9,2 12,0 ---Slovacchia 1920 0,0 --- 19,3 ---Slovenia 1946 6,3 --- 12,2 7,5Spagna 1931 50,0 14,6 36,0 23,2Svezia 1921 52,4 38,4 47,3 ---Territori palestinesi --- --- --- --- ---Tunisia 1959 7,1 4,3 22,8 13,4Turchia 1930 - 1934 4,3 1,3 4,4 …Ungheria 1945 11,8 20,7 10,4 ---Fonte: HDR 2007-2008.

1.3 Le condizioni di sviluppo umano delle donne nei PPM

Il rapporto PNUD sullo Sviluppo umano 2007-2008 (in seguito HDR12) colloca tutti i PPM tra i paesi a medio sviluppo umano, con l'eccezione di Israele che è al 23° posto, quindi tra i paesi della fascia alta insieme con la Libia che occupa la 56.ma posizione. Nella classificazione, la Turchia è all’84° posto, la Giordania all’86°, il Libano all’88° , la Tunisia al 91°, l’Algeria al 104°, i Territori palestinesi al 106°, la Siria al 108°, l'Egitto al 112° e il Marocco al 126°. Come è noto, più che sulla classifica annuale, il PNUD insiste sulla tendenza a migliorare, nell'arco di alcuni anni e in modo stabile, tre indicatori: la speranza di vita, la scolarità e il reddito pro capite. Ognuno di questi, a sua volta, è composto da sottoindicatori, quando possibile anche disaggregati per genere.

Negli ultimi 30 anni, la speranza di vita è aumentata nei PPM in modo generalizzato e oggi si colloca ben oltre i 70 anni per tutte le donne dell'area (cfr. Tabella n. 5). La crescita è stata più contenuta in Libano13 dove sale da 66,6 a 71,9 anni (dato medio su tutta la popolazione); seguono, con circa 15

12 Rapporto PNUD 2007-2008, con dati, in genere, aggiornati al 2005.13 Ma il paese aveva già una speranza di vita piuttosto alta.

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anni di allungamento della vita, Giordania, Territori palestinesi, Algeria, Siria ed Egitto; con circa 18 anni il Marocco e la Tunisia, fino ai quasi 21 anni denunciati dalla Libia. La speranza di vita per le donne è più alta di circa 4/5 anni rispetto agli uomini14. Questa tendenza ha accompagnato la diminuzione delle nascite, ma non c'è un collegamento automatico tra le due. L'aumento della speranza di vita deriva da una concomitanza di fattori come il miglioramento del reddito, delle cure sanitarie e delle condizioni di vita in generale. Naturalmente, anche la diminuzione delle gravidanze può ridurre il rischio di malattie e l'usura delle donne, ma non è collegabile direttamente ad una longevità aumentata in modo così impressionante.

Tabella 5 - Speranza di vita e morti per parto

Speranza di vita(2005)

Probabilità di vivere oltre i 65

anni

Probabilità di vivere oltre i

65 anni

Donne che muoiono di

parto

donne uomini (donne) (uomini)(su 100.000 nati

vivi)*Algeria 73,0 70,4 78,9 75,9 180Austria 82,2 76,5 91,9 82,4 4Belgio 81,8 75,8 91,0 81,9 8Bulgaria 76,4 69,2 85,3 68,3 11Cipro 81,5 76,6 92,3 86,1 10Danimarca 80,1 75,5 87,4 81,3 3Egitto 73,0 68,5 80,2 70,4 130Estonia 76,8 65,5 84,3 57,2 25Finlandia 82,0 75,6 91,8 81,0 7Francia 83,7 76,6 92,2 82,1 8Germania 81,8 76,2 91,0 82,9 4Giordania 73,8 70,3 78,2 70,9 62Grecia 80,9 76,7 91,3 83,7 3Irlanda 80,9 76,0 90,0 83,2 1Italia 83,2 77,2 92,5 84,6 3Israele 82,3 78,1 92,3 85,8 4Lettonia 77,3 66,5 84,8 60,0 10Libano 73,7 69,4 80,6 72,1 150Libia 76,3 71,1 82,1 72,2 97Lituania 78,0 66,9 85,6 60,0 11Lussemburgo 81,4 75,4 90,8 82,4 12Malta 81,1 76,8 90,4 86,0 8Marocco 72,7 68,3 79,4 71,2 240Paesi Bassi 81,4 76,9 90,4 84,4 6Polonia 79,4 71,0 88,0 69,7 8Portogallo 80,9 74,5 90,9 81,0 11Regno Unito 81,2 76,7 89,6 83,7 8Repubblica Ceca 79,1 72,7 89,0 75,3 4

14 Ma negli ultimi 5 anni, la speranza di vita degli uomini sta crescendo più rapidamente di quella delle donne.

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Speranza di vita(2005)

Probabilità di vivere oltre i 65

anni

Probabilità di vivere oltre i

65 anni

Donne che muoiono di

parto

donne uomini (donne) (uomini)(su 100.000 nati

vivi)*Romania 75,6 68,4 83,7 66,3 24Siria 75,5 71,8 83,6 76,4 130Slovacchia 78,2 70,3 87,3 68,9 6Slovenia 81,1 73,6 90,1 77,6 6Spagna 83,8 77,2 93,5 83,9 4Svezia 82,7 78,3 92,3 87,0 3Territori palestinesi 74,4 71,3 81,8 75,5 100**Tunisia 75,6 71,5 85,3 76,5 100Turchia 73,9 69,0 82,3 71,9 44Ungheria 77,0 68,8 84,4 64,4 6Fonte: HDR 2007-2008 # Valori medi calcolati sui dati rilevati dal 2000 al 2005; * Dati del 2005; ** Dato del 2004

Come è facile notare, l'indicatore della speranza di vita sta avvicinandosi a quello della media dei paesi ad alto sviluppo umano dell’OCSE (78,3 anni) e supera quello dell'Europa centrale e dell'Est (considerata comprensiva della Russia15) e della Comunità degli Stati indipendenti (68,6 anni). Inoltre, come si diceva prima, a prescindere dal calo della natalità, i PPM continuano ad avere un tasso medio di fertilità ben più alto di quello europeo (3 figli contro 1,7 dell'UE) e, quindi, una popolazione giovane.

Il miglioramento dell’indicatore “speranza di vita” non può rilevare un dato statisticamente marginale ma socialmente preoccupante: il numero ancora alto di donne che muoiono di parto, specie in alcuni PPM (in Israele e nei paesi dell'Unione europea il dato è vicino a zero). Tra i dati della Tabella n. 2 emerge quello delle morti per parto in Marocco, Siria, Libia, Tunisia e Algeria. Altrettanto preoccupante è il fatto che, in alcuni PPM, le nascite assistite da personale qualificato rivelano percentuali molto distanti se si considerano il 20% più ricco e il 20% più povero della popolazione. In Egitto, solo il 51% delle gestanti più povere è assistito, contro il 96% delle più ricche; in Marocco abbiamo, per lo stesso dato, il 30% per la fascia più povera e il 95% per quella più ricca.

Disparità analoghe si riscontrano anche per la mortalità infantile: in Egitto, su 1.000 nati vivi, muoiono 59 bambini nella fascia più povera e 23 in quella più ricca; in Marocco 62 nella più povera e 24 nella più ricca; in Giordania, il divario è più contenuto, ossia 35 nella fascia più povera e 23 nella più ricca. La mortalità infantile entro il primo anno di vita (calcolata su tutta la popolazione a prescindere dal reddito) è così distribuita (dati del 2005): Algeria, 34 (su 1.000 nati vivi); Egitto 16, 28; Giordania, 22; Libano, 27; Libia, 18; Marocco, 36; Siria, 14; Territori palestinesi, 21; Tunisia, 20. Questi dati, con una mortalità infantile ancora più che doppia rispetto ai paesi della fascia alta dello

15 Bisogna considerare che la Russia e i paesi della Comunità degli Stati indipendenti hanno, in generale, una speranza di vita inferiore ai 70 anni, con picchi negativi soprattutto tra la popolazione maschile.

16 È giusto ricordare che l’Egitto è fortemente impegnato a combattere la mortalità infantile e che il PNUD, nell’HDR 2006, giudica esemplare il programma sanitario mirato dell’Egitto.

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sviluppo umano, sono tuttavia molto migliorati da 30 anni a questa parte se si tiene conto della tendenza: infatti negli anni 1970-1975 la media oscillava in parte dei PPM attorno a 100, mentre per Egitto, Libia, Tunisia e Algeria arrivava a - ed anche oltrepassava - 150. Su 1.000 nati vivi, queste ultime cifre rappresentavano una mortalità del 10-15%17.

Anche il secondo indicatore, la scolarizzazione, va visto in prospettiva: i progressi nell'alfabetizzazione sono significativi in tutti i PPM. Tra gli adulti permangono ancora sacche di analfabetismo, specie in Marocco (circa il 50% della popolazione oltre i 15 anni, e quasi il 60% della popolazione femminile); tra i giovani (tra i 15 e i 24 anni), invece, le percentuali di chi sa leggere e scrivere si collocano attorno al 90% (2005). La frequenza scolastica delle ragazze supera quella dei maschi, nella scuola primaria e secondaria, in Giordania, Libano, Libia, Territori palestinesi e Tunisia. Le ragazze inoltre ottengono risultati migliori. Restano, tuttavia, sacche di analfabetismo e di scarsa partecipazione scolastica che risultano solo in parte nelle statistiche. Il governo del Marocco, per esempio, cosciente del gap negativo del paese, si è impegnato in forti investimenti nell'educazione: la percentuale di spesa pubblica (26,4% del totale) che il Marocco dedica alla scolarizzazione e alla lotta all'analfabetismo è il doppio di quella investita da molti paesi UE nell'educazione, e oltre il triplo di quella degli altri PPM.

Tabella 6 - Scolarizzazione18 e aspettative salariali

Alfabetizzazione adulti(media 1995/2005)

Frequenza % tutti i gradi di scuole (2005)

Aspettativa salariale donne

Aspettativa salariale uomini

Donne Uomini Donne Uomini(PPS $ annui)

(PPS $ annui)

Algeria 60,1 79,6 74,0 73,0 3.546 10.515Egitto 59,4 83,0 … … 1.635 7.024Giordania 87,0 95,2 79,0 77,0 2.566 8.270Israele 97,7 97,7 92,0 87,0 20.497 31.345Libano 93,6 93,6 86,0 83,0 2.701 8.585Libia 74,8 92,8 97,0 91,0 4.054 13.460Marocco 39,6 65,7 55,0 62,0 1.846 7.297Siria 73,6 87,8 63,0 67,0 1.907 5.684Territori palestinesi 88,0 96,7 84,0 81,0 … …Tunisia 65,3 83,4 79 74 3.748 12.924Turchia 79,6 95,3 64,0 73 4.385 12.368Fonte: HDR 2007 – 2008

La diversità tra i sessi a svantaggio delle donne rispunta, invece, nella formazione professionale e nelle scuole tecniche, dove la percentuale di donne crolla a circa il 50% rispetto agli uomini. L'AHDR

17 HDR 2007-2008 - il dato della mortalità infantile è globale (maschi e femmine) e richiamato qui perché costituisce una realtà con un impatto psicoemotivo più forte sulle donne che sugli uomini (ulteriore condizione negativa per la vita delle donne).

18 Va tenuto presente che i livelli di alfabetizzazione sono calcolati globalmente sull’insieme della popolazione e pertanto, in alcuni paesi, si può riscontrare un ridotto tasso di alfabetizzazione accompagnato da una scolarizzazione molto più alta perché quest’ultima è calcolata solo sulla popolazione giovane. Questi dati sono, comunque, in lento ma costante miglioramento.

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spiega la difficoltà di accesso delle donne alle scuole tecniche e professionali con la persistenza di una forte divisione dei mestieri per sesso: le ragazze diventano insegnanti, infermiere, parrucchiere, sarte, mentre i ragazzi diventano tecnici e operai specializzati, tecnici agricoli, contabili, venditori e manager. Un altro handicap viene dalla pressione delle famiglie che ritengono più importante - ed economicamente più produttivo - facilitare la formazione professionale dei figli maschi. Questo confermerebbe che le sostanziali differenze salariali (un salario da 3 a 5 volte inferiore a quello degli uomini in alcuni paesi)19, anche nell'ipotesi che non scoraggiassero le dirette interessate, costituiscono, per le famiglie, un disincentivo pesante ad investire risorse e anni di formazione senza avere, poi, la prospettiva di un ritorno economico adeguato e continuativo. Peraltro, è bene non dimenticare - a riprova che lo sforzo necessario per conseguire la parità è in corso dappertutto - che nell'Unione europea la disparità salariale media continua ad essere del 15%, una percentuale ben diversa e forse nemmeno paragonabile con quelle indicate sopra, ma che persiste nonostante l'impegno del sindacato e delle organizzazioni delle donne, le leggi relative al principio di non discriminazione e i livelli generali di reddito che dovrebbero facilitare una ridistribuzione equa delle risorse salariali20.

Un aspetto che può apparire marginale, ma che è interessante se letto nella prospettiva di intervento per la creazione di occupazione, è il basso livello dell'educazione prescolare: i bambini nei PPM frequentano strutture educative prescolastiche solo per qualche mese prima di andare a scuola, mentre in America Latina tale frequenza sale a 1,6 anni, nel Centro ed Est Europa ad 1,8 anni, nell'UE e negli USA a 2,2 anni21. Anche qui, la lettura dei dati deve essere bidirezionale: da un lato, è il ruolo della madre come educatrice fino al momento dell'obbligo scolastico, a impedirle di accedere al mercato del lavoro; per converso, la mancanza di una "cultura" della formazione prescolastica produce una scarsa offerta di asili che potrebbe, invece, creare occupazione femminile e contribuire a favorire la possibilità concreta per le madri di cercare un altro lavoro e svolgerlo almeno per una parte della loro giornata.

All'università, la partecipazione è di fatto paritaria; gli abbandoni tra le studentesse sono quasi inesistenti, anche se le facoltà scientifiche continuano ad essere prevalentemente frequentate dai maschi. Le donne scelgono carriere universitarie che le porteranno a diventare insegnanti, sociologhe, assistenti sociali e avvocatesse: tutte professioni dove le donne sono già tradizionalmente piuttosto presenti e dove il mercato tende a saturarsi. Nelle facoltà scientifiche si comincia tuttavia a registrare una percentuale crescente di donne22. Le studentesse che si iscrivono ad ingegneria, economia industriale e architettura sono il 30% del totale degli studenti in Giordania, il 21% in Libano, il 22% in Marocco, il 35% nei Territori palestinesi23. Sarà da verificare, poi, se queste lauree riusciranno a

19 AHDR, parte II, capitolo II The Acquisition of Human Capabilities. 20 Vedi anche il parere del CESE “Il gap salariale tra uomini e donne”, relatrice Kossler, SOC/284.

21 Ibidem. Ricordiamo che l’AHDR raccoglie l’insieme dei dati dei paesi arabi: le cifre medie indicate potrebbero, quindi, essere migliori nei PPM

22 Si segnala la recente apertura dell’Università Euro-mediterranea in Slovenia che assicura accesso e partecipazione paritaria alle donne in tutti gli ambiti di studio e ricerca.

23 AHDR - dati del 2003.

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convertirsi in reali carriere professionali a causa degli ostacoli di carattere culturale e sociale richiamati sopra24.

Quanto al terzo indicatore di sviluppo umano, il reddito pro capite, la situazione in sintesi è quella mostrata dalla Tabella n. 7. La crescita economica media degli ultimi 15 anni è stata complessivamente molto contenuta (come l'inflazione, d'altronde), tranne forse in Egitto, Tunisia e Libano dove i tassi sono stati superiori a quelli europei dello stesso periodo. Ma più che la debolezza della crescita media degli ultimi 15 anni, bisogna ribadire che essa rimane inferiore alle potenzialità dei PPM e ciò non fa che confermare due realtà, da tempo denunciate dalle parti sociali e socioprofessionali dell'area euromediterranea: le potenzialità produttive non sono sufficientemente utilizzate (e, tra queste, il potenziale di attività rappresentato dalle donne) e gli investimenti esteri diretti sono ancora troppo scarsi e sono insufficientemente indirizzati alle necessità di sviluppo dei PPM - e ancor meno a quelle delle donne. E’ doveroso insistere su questo concetto già espresso e documentato nel contributo del CES spagnolo: in assenza di investimenti significativi per quantità e qualità non si produrranno i posti di lavoro necessari a rispondere all’offerta di lavoro di una popolazione giovane e in crescita e, nello specifico, all’offerta di lavoro femminile. Quanto ai redditi, i livelli rilevati corrispondono ad economie non sufficientemente dinamiche25. L'apertura dei mercati in atto nei PPM porta beni di consumo (europei in misura preponderante) che finiscono per comportare anche tendenze inflazionistiche. La necessità di tenere sotto controllo i dati macroeconomici, non deve però andare a scapito dei soli redditi da lavoro, altrimenti il tessuto sociale potrebbe subire un grave shock con esiti, purtroppo, prevedibili.

Tabella 7 - Redditi, crescita e inflazione

Reddito pro capite 2005

in $ USA

Reddito pro capite 2005

in PPS $

Crescita economica media

annua1990-2005

Inflazione annua media

2004-2005

Algeria 3.112 7.062 1,1 1,6Austria 37.175 33.700 1,9 2,3Belgio 35.389 32.119 1,7 2,8Bulgaria 3.443 9.032 1,5 5,0Cipro 20.841 22.699 2,4 2,6Danimarca 47.769 33.973 1,9 1,8Egitto 1.207 4.337 2,8 4,9Estonia 9.733 15.478 4,2 4,1Finlandia 36.820 32.153 2,5 0,9Francia 34.936 30.386 1,6 1,7Germania 33.890 29.461 1,4 2,0Giordania 2.323 5.530 1,6 3,5Grecia 20.282 23.381 2,5 3,6

24 Vedi anche lo studio della Fondazione Anna Lindh “Key Factors for Changing Mentalities and Societies”, presentato nel 2006 alla Conferenza su “Equality of Opportunities”.

25 Per la valutazione della realtà economica e produttiva, cfr. "I fattori della competitività e della coesione sociale nella costruzione di un spazio integrato euromediterraneo", rapporto provvisorio elaborato dal CES di Spagna con la collaborazione di CNES e CNEL e presentato al Vertice Euromediterraneo dei Consigli Economici e Sociali e organismi similari del 2006.

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Irlanda 48.524 38.505 6,2 2,4Italia 30.073 28.529 1,3 2,0Israele 17.828 25.864 1,5 1,3Lettonia 6.879 13.646 3,6 6,8Libano 6.135 5.584 2,8 …Libia 6.621 … … …Lituania 7.505 14.494 1,9 2,7Lussemburgo 79.851 60.228 3,3 2,5Malta 13.803 19.189 2,7 3,0Marocco 1.711 4.555 1,5 1,0Paesi Bassi 38.248 32.684 1,9 1,7Polonia 7.945 13.847 4,3 2,1Portogallo 17.376 20.410 2,1 2,3Regno Unito 36.509 33.238 2,5 2,8Repubblica ceca 12.152 20.538 1,9 1,8Romania 4.556 9.060 1,6 9,0Siria 1.382 3.808 1,4 …Slovacchia 8.616 15.871 2,8 2,7Slovenia 17.173 22.273 3,2 2,5Spagna 25.914 27.169 2,5 3,4Svezia 39.637 32.525 2,1 0,5Territori palestinesi 1.107 … -2,9* …Tunisia 2.860 8.371 3,3 2,0Turchia 5.030 8.407 1,7 8.2Ungheria 10.830 17.887 3,1 3,6

Fonte: HDR 2007-2008.* dato riferito ad un periodo minore di quello specificato

1.4 La promozione delle capabilities

Il concetto di human capabilities è usato nelle teorie sullo sviluppo umano per indicare l'insieme di talenti naturali, di abilità acquisite con la formazione o l'apprendimento derivato dall'esperienza e di abilità o esperienze combinate con l'istruzione, che le persone posseggono e che permette loro di usare le loro capacità sia nel mondo del lavoro sia nella vita privata. Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, che l'ha teorizzato fin dal 198526, sostiene infatti che il benessere di una persona dipende da ciò che riesce a fare con il complesso dei beni che ha a sua disposizione: le capabilities, quindi, sono la combinazione di conoscenze e funzionalità di cui gli individui possono fruire27.

La riflessione sulla condizione di sviluppo umano delle donne dei PPM, svolta nei punti precedenti, già integra una gran parte del discorso sulle capabilities per quel che attiene alla scolarizzazione e al reddito. Resta da approfondire il rapporto tra le capabilities e alcuni altri fattori condizionanti: in particolare l'ambiente socioculturale (che comprende anche la realtà giuridica e religiosa) e le

26 Amartya Sen, Commodities and capabilities, Amsterdam, North-Holland, 1985.27 L'AHDR dedicato all'ascesa delle donne utilizza questo concetto in due capitoli centrali riguardanti l'acquisizione e l'uso delle

human capabilities.

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condizioni di salute (che riguardano la prevenzione delle malattie, la diffusione di buone pratiche igieniche, il problema delle malattie trasmissibili, ecc.). È la realtà più difficile da analizzare perché esiste il rischio continuo di oscillare tra la riproduzione di stereotipi e l'assunzione di atteggiamenti relativistici e giustificatori nei confronti delle discriminazioni verso le donne. Il criterio di lettura che si propone è quello di valutare tutti questi fattori condizionanti solo nella misura in cui costituiscono un ostacolo concreto all'accesso all'attività per le donne incidendo sulle loro capabilities, per la ragione di fondo che queste sono la base per lo sviluppo della partecipazione delle donne a qualsiasi tipo di attività.

Partendo dai dati già accennati, se il basso reddito delle donne dipende dalla scarsa partecipazione e dalla discriminazione salariale, la speranza di vita sembrerebbe costituire una sorta di contrappeso nel calcolo dell'HDI perché la vita delle donne si prolunga da circa 2,5 anni ad oltre 4 anni in più di quella degli uomini28. Nei 27 paesi membri dell’UE, la differenza tra uomini e donne va da un minimo di 4,2 anni in Svezia ad un massimo di 12 anni in Estonia ma, lasciando da parte i valori estremi, nella maggior parte dei paesi UE la differenza è di circa 5-6 anni. È da notare, senza pretendere di derivarne nessuna conclusione, che i paesi dove la realizzazione delle pari opportunità è più avanzata e i diritti delle donne più tutelati (paesi nordici, Francia) sono anche quelli dove il divario di speranza di vita è più contenuto.

Nei PPM, quindi, si potrebbe pensare che esista una sorta di "compensazione"29 interna all'HDI tra donne e uomini: infatti, mentre l’indicatore istruzione vede uomini e donne sostanzialmente alla pari, l’indicatore di reddito segna un gap negativo per le donne, ma la speranza di vita è generalmente maggiore per le donne. Tuttavia, il dato resta minore rispetto all’UE e, soprattutto, nasconde alcune insidie. In effetti, l'indicatore della speranza di vita non dice tutto sulla condizione della donna rispetto alla salute. Secondo alcuni autori, soprattutto nelle regioni rurali più povere, le bambine hanno meno cure dei bambini; se si ammalano, l'allarme familiare è inferiore a quello che interviene se si ammala il fratellino30; si ritiene impropriamente che un maschietto abbia più bisogno di buon cibo (e in maggiore quantità) di quanto non serva ad una ragazzina per crescere (questo pregiudizio era molto comune, fino a pochi decenni fa, anche nelle aree rurali dei paesi dell'UE). Ricordando che non si tratta mai di rilevamenti generalizzabili, bisogna tuttavia notare che, sul piano della prevenzione delle patologie femminili specifiche, alcuni progressi sono stati fatti, ma non in tutti gli ambiti: le consuetudini dei ceti più poveri, specie nelle aree rurali e nelle periferie urbane raramente portano a far visitare una giovane da un ginecologo/ginecologa prima del matrimonio; inoltre, ancora scarsa è l’attenzione alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, anche se nei PPM sono molto meno presenti rispetto ad altre aree geografiche31; – ; infine, anche le patologie legate 28 Qui si rileva solo come si articola la differenza nella speranza di vita tra uomini e donne nei PPM e nell’UE. In questo

campo è praticamente impossibile fare raffronti utili, dato che la speranza di vita è strettamente legata ad una complessa serie di fattori sanitari, ambientali , strutturali, comportamentali e perfino psicologici e, pertanto, è utile solo l’analisi dei trend nei singoli paesi.

29 Lo stesso Amartya Sen, tra i principali teorici dell’HDI, avverte di analizzare sempre la composizione dei diversi fattori che costituiscono l’indice stesso e di verificare le tendenze, più che rilevare gli equilibri interni (tecnicamente : le “compensazioni”).

30 Nei PPM la percentuale di decessi entro i 5 anni delle bimbe è maggiore di quella dei bimbi, mentre nel resto del mondo è vero - quasi dappertutto - il contrario (AHDR).

31 Tuttavia, come fanno rilevare alcuni rapporti della Commissione, è bene predisporre tutte le necessarie misure preventive, considerando anche l’aumento degli scambi e la mobilità delle persone a livello globale.

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all'alimentazione stanno aumentando: –la Commissione segnala nel suo Rapporto sull’Egitto l’aumento delle patologie cardiovascolari, specie in ambiente rurale: inoltre, nei PPM la percentuale di donne che soffre di diabete è maggiore di quella degli uomini, mentre nel resto del mondo sono gli uomini ad essere i più colpiti. Se il diabete si configura come una malattia "del benessere" nei paesi della fascia alta dell'HDI, nei paesi esaminati sembra più legato ad un problema di qualità dell'alimentazione differenziata per sesso a scapito delle donne. Tutto questo può sembrare un ragionamento solo interno al contenuto dell'indicatore "speranza di vita", ma è strettamente collegato alle capabilities perché rileva le modifiche sostanziali - in negativo - dei beni e delle opportunità (entitlements) a disposizione delle donne, e si riflette necessariamente sulle possibilità delle donne di allargare la loro partecipazione all'attività e all'economia. Peraltro, i Rapporti 2006 della Commissione sull’attuazione della Politica Europea di Vicinato, danno atto di una serie di sforzi che diversi PPM stanno compiendo per migliorare la condizione sanitaria delle popolazioni e, nello specifico, delle donne (come si vedrà più oltre a proposito dei sistemi sanitari – p. 2.1.).

Anche i diritti, nella loro valenza assoluta di diritti umani universali, integrano l'ambito delle capabilities che viene modificato a seconda della completezza o meno della loro applicazione e della loro fruizione. Ricordando che anche i diritti specifici della donna (protezione della maternità, tutela dell'integrità psicofisica e della dignità della donna dentro e fuori l'ambito familiare, ecc.) sono diritti umani universali, l'attenzione va posta sui quei diritti che, se negati, o non applicati, o applicati male, incidono sulla partecipazione della donna alla vita economica e sociale. Entra in linea di conto, in particolare, il modo in cui l'affermazione del diritto alla parità uomo/donna e alla non-discriminazione integra la legislazione sulla famiglia, sul lavoro, sulle professioni e sulle procedure elettorali.

In un lucido rapporto del "Collettivo 95 Maghreb-Egalité" del 200332 che vuole soprattutto essere una guida per l'azione dei gruppi femminili della regione, sono esaminati i diversi statuti personali della donna nella famiglia: risulta evidente che, a parte la legislazione tunisina che ha da sempre integrato l’obiettivo della parità uomo/donna33, le scelte della donna restano ancorate ad interpretazioni della Shari'a che hanno sfumature diverse, ma finiscono per ridurre l'autonomia decisionale delle donne in nome di una pretesa determinazione a proteggerla. A limitare la fruizione dei diritti di scelta interviene anche l'elasticità di utilizzo di criteri interpretativi che produce una giurisprudenza a macchia di leopardo sul territorio, con le differenze già sottolineate tra aree rurali e città. Pertanto, come per una serie di altre leggi che affermano formalmente la parità, la non applicazione è ancora molto diffusa e, in caso di ricorso ai tribunali, non si può mai esser certi che le sentenze portino poi ad un'applicazione effettiva, per non dire avanzata, della legge. Gli sforzi in atto soprattutto in Algeria e Marocco per migliorare gli statuti personali e della famiglia dovrebbero essere esplicitamente valorizzati e sostenuti.

Passando al Mashrek, in Giordania - un paese impegnato in concreto e da anni per la promozione della donna - ci sono organizzazioni di donne che sottolineano il fatto che le madri nubili continuano a subire un forte ostracismo sociale. E in Siria, dove da pochi anni è possibile per una donna iniziare

32 Dalil Pour l’égalité dans la famille au Maghreb (Guida/Manuale per l'uguaglianza nella famiglia nel Maghreb).33 Naturalmente, ciò non significa che tutte le leggi promuovano coerentemente l’eguaglianza dei sessi.

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una causa di divorzio, il risultato è quasi sempre il ritrovarsi senza mezzi di sostentamento, perché non esiste alcun obbligo legale di mantenimento da parte dell'ex marito.

Tutti i PPM hanno firmato la convenzione contro ogni discriminazione nei confronti delle donne (in seguito CEDAW34), ma con una serie di riserve, in particolare sull'articolo 2 (eliminazione di tutte le discriminazioni nei confronti delle donne, se necessario anche modificando costituzioni e leggi), sull'articolo 9 (diritto di conservare la propria nazionalità e di trasmetterla ai figli), sull'articolo 15 (uguaglianza della donna di fronte alle leggi e ai contratti, parità nell'amministrazione dei beni e libertà di stabilire la residenza) e sull'articolo 16 (parità di diritti nella libertà di scelta di sposarsi e nelle relazioni dentro la famiglia). Le riserve sui diversi articoli sono state opposte in nome della loro incompatibilità con le costituzioni e/o con le leggi preesistenti e/o con la Shari'a. È evidente che gli articoli oggetto di riserva, in particolare l'articolo 2, sono cruciali per la non discriminazione e che la forza della CEDAW, nonostante tutto l'impegno che ci si possa mettere, resta solo quella di essere un quadro di principi, un riferimento senza vera esigibilità nei singoli paesi. Notiamo, a margine, che l'articolo 16, paragrafo 1, lettera g), su cui si è espressa la riserva da parte di Libia, Egitto, Siria, Libano e Giordania recita: "(le parti si impegnano a garantire: …) g) gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compreso quanto attiene alla scelta del nome di famiglia o della professione o dell'occupazione".

La bassa partecipazione delle donne dei PPM all'attività economica non è certo il risultato di queste riserve. Ma è pur vero che se tali riserve possono essere avanzate è perché l'insieme del sistema giuridico della gran parte dei PPM continua a mantenere un'ottica discriminatoria nei confronti delle donne. Se si vuole che i diritti delle donne dei PPM siano pienamente attuati, bisogna chiedere che siano affermati esplicitamente nelle leggi, ma bisogna anche saper uscire dagli schematismi tipici europei e sostenere le iniziative per la parità uomo/donna nell'approccio più generale delle capabilities affinché siano le donne stesse a rivendicare e conquistare gli spazi necessari nelle norme e nella vita35.

Per quanto attiene all’attuazione del diritto al lavoro per le donne, è importante che questo sia inquadrato non solo nella libertà di scelta del lavoro stesso (principio tradizionale dell’OIL), ma anche e soprattutto che l’obiettivo del “decent work”36 sia assunto al centro delle politiche di promozione di un mercato del lavoro sano. E ciò non solo perché tali politiche devono corrispondere agli obiettivi del millennio, ma anche perché tutta l’area Euromediterranea può giocare al meglio la sua competitività facendo perno su uno sviluppo economico e sociale di qualità. Disparità salariali, maggior precarietà del lavoro femminile, dequalificazione progressiva di alcune professioni e di lavori esercitati dalle donne, insufficiente formazione specifica e mirata ecc. concorrono, infatti, ad alimentare quella spirale della povertà che colpisce sempre di più le donne, come rileva il contributo del CES di

34 Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women (CEDAW), adottata nel 1979 dall'Assemblea generale dell'ONU e applicata attraverso un meccanismo di monitoraggio periodico degli avanzamenti in ogni paese che l'ha sottoscritta.

35 Per un'interessante argomentazione sui diritti rinviamo alla lettura di Una cittadinanza in disordine - I diritti delle donne nei paesi del Maghreb a cura di Maria Grazia Ruggerini - IMED/Ediesse 2003; cfr. anche precedente nota 10.

36 Ricordiamo che il concetto di “decent work” implica che il lavoro sia produttivo e protetto, che produca un reddito adeguato, che garantisca la protezione sociale e che si avvalga del dialogo sociale, delle libertà sindacali, della contrattazione e della partecipazione.

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Palestina e come già denunciato anche dal Rapporto37 presentato al vertice socio-professionale di Lubiana dal Consiglio Economico e Sociale del Portogallo.

2. I fattori di quadro

Sul piano politico, non si è parlato esplicitamente, finora, del condizionamento indotto dal persistere di conflitti, di tensioni, di atti di terrorismo e dal crescere del fondamentalismo politico-religioso, tutti fattori che incidono sia sulla condizione soggettiva delle donne, sia sul modo con cui la società si rapporta alle donne: c'è piena coscienza che tali situazioni rendono la vita delle donne estremamente difficile e spesso drammatica. Non si tratta di una rimozione, dunque, ma della convinzione che la priorità, parlando di empowerment, deve esser data al reperimento di elementi su cui fondare in positivo una strategia di cooperazione per lo sviluppo umano, senza aspettare la pacificazione del mondo. In altre parole, ciò significa cercare quali azioni siano possibili subito per la promozione delle condizioni delle donne e quali possano fornire un apporto positivo significativo anche alla crescita delle condizioni di pace e di stabilità di tutta l'area mediterranea. Al contrario, legare strettamente l'emancipazione della donna alla stabilità dell'area, come se quest'ultima potesse miracolosamente generare la prima, è solo un atto di rimozione, o un alibi predisposto per prolungare la discriminazione delle donne.

Sul piano economico, la crescita al di sotto delle potenzialità reali dei PPM e l'afflusso di IED ancora del tutto insufficiente - non solo per lanciare lo sviluppo, ma anche per permetterne un'adeguata programmazione - non creano un quadro favorevole perché siano prese misure efficaci per aumentare la domanda di lavoro e le effettive opportunità di creare attività. Ciò vale tanto sul piano generale, quanto più specificamente per le donne. Inoltre, il processo di privatizzazione e liberalizzazione in atto ha aumentato i rischi di disoccupazione e ha lasciato scoperti molti settori sociali che in precedenza, quando dipendevano da imprese pubbliche, godevano di una certa protezione sociale, ma oggi, disoccupati o impiegati nel privato, sono affidati a sé stessi o all'intervento delle organizzazioni di volontariato o di formazioni politico-religiose.

2.1 Un welfare a macchia di leopardo

L’obiettivo di costruire una protezione sociale adeguata attraverso sistemi di welfare universali ed efficaci è contenuto nella piattaforma della campagna “Decent work” dell’OIL ed è compito prioritario per i PPM, le cui società soffrono forti ripercussioni a causa dei mutamenti della struttura produttiva e delle pressioni dei mercati globali.L'analisi delle condizioni di welfare nei PPM è molto complessa e pochi l'affrontano38. Non in tutti i PPM è generalizzata la copertura sanitaria; in molti casi sono garantiti, di solito, solo i dipendenti pubblici, i lavoratori di alcune grandi imprese private e gli studenti. Nelle aree rurali, alla scarsa copertura si aggiunge anche la rarità di centri di assistenza sanitaria ben attrezzati: ciò ha un

37 “La lotta alla povertà nei paesi del Mediterraneo”38 Uno sforzo di approfondimento è stato fatto dal Forum Sindacale Euromed, con la pubblicazione dell’opuscolo (in

francese e arabo) “La protection sociale dans les pays du Sud et de l’Est de la Méditerranée – Etats des lieux et perspectives - Madrid, 2003

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immediato effetto sulle condizioni di vita e di lavoro delle donne che si trovano "obbligate" a star bene o ad affrontare spese e viaggi - spesso scomodi o a rischio - per curarsi, non sempre assistite dalla comprensione e dalla solidarietà della famiglia.

Tabella 8 : Spesa sociale: sanità ed educazione

Sanità (dati 2004) % sul Pil Spesa per l’educazione (media 2002/2005)% sul totale della spesa per educazione

Paese pubblica privata pro-capite (PPS $) asili e primaria secondaria terziariaAlgeria 2,6 1,0 167 … … …Austria 7,8 2,5 3.418 26 48 26Belgio 6,9 2,8 3.133 33 43 22Bulgaria 4,6 3,4 671 36 45 19Cipro 2,6 3,2 1.128 35 50 14Danimarca 7,1 1,5 2.780 31 35 30Egitto 2,2 3,7 258 … … …Estonia 4,0 1,3 752 31 50 18Finlandia 5,7 1,7 2.203 26 41 33Francia 8,2 2,3 3.040 31 48 21Germania 8,2 2,4 3.171 22 51 24Giordania 4,7 5,1 502 … … …Grecia 4,2 3,7 2.179 30 37 30Irlanda 5,7 1,5 2.618 33 43 24Italia 6,5 2,2 2.414 35 48 17Israele 6,1 2,6 1.972 47 30 17Lettonia 4,0 3,1 852 … … …Libano 3,2 8,4 817 33 30 31Libia 2,8 1,0 328 12 19 69Lituania 4,9 1,6 843 28 52 20Lussemburgo 7,2 0,8 5.178 … … …Malta 7,0 2,2 1.733 32 48 20Marocco 1,7 3,4 234 45 38 16Paesi Bassi 5,7 3,5 3.092 33 40 27Polonia 4,3 1,9 914 42 37 21Portogallo 7,0 2,8 1.897 39 41 16Regno Unito 7,0 1,1 2.560 … … …Rep. Ceca 6,5 0,8 1.412 24 53 20Romania 3,4 1,7 433 25 42 18Siria 2,2 2,5 109 … … …Slovacchia 5,3 1,9 1.061 23 51 22Slovenia 6,6 2,1 1.815 28 48 24Spagna 5,7 2,4 2.099 39 41 20Svezia 7,7 1,4 2.828 34 38 28Terr.Palestinesi 7,8 5,2 … … … …Tunisia 2,8 2,8 502 35 43 22

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Turchia 5,2 2,1 557 40 32 28Ungheria 5,7 2,2 1.308 34 46 17

Fonte: HDR 2007-2008

Che il problema esista è ben chiaro ai governi dei PPM che cercano di promuovere soluzioni, ma difficilmente hanno i mezzi e le condizioni per estenderle a tutto il territorio nazionale. Si limitano, quindi, a risolvere specifiche situazioni, spesso solo in via sperimentale. Tuttavia, questi tentativi rappresentano spesso delle autentiche “buone pratiche” che sarebbe utile conoscere meglio e rendere più visibili. I rapporti della Commissione nel quadro della PEV, danno atto degli sforzi dei governi tunisino e giordano di offrire una buona copertura sanitaria alla popolazione, garantendo un accesso ampio e tutelando con misure speciali le fasce più deboli. Nei piani di attuazione nazionali della PEV, l’UE si è impegnata a sostenere in particolare lo sviluppo della riforma della sanità in Egitto e in Marocco. Il governo del Marocco, dal canto suo, preoccupato per il numero rilevante di donne che ancora muoiono di parto (220 su 100.000 parti, vedi tabella 5) ha istituito, in via sperimentale ma con un successo notevole, le "Case dell'attesa", situate vicino ai centri di assistenza ospedaliera con la presenza di volontarie esperte, dove le gestanti possono recarsi e risiedere, in compagnia di altre donne, negli ultimi giorni prima di partorire. Un altro esperimento di un certo interesse per la sua caratteristica di "buona pratica" è quello di una ONG siriana - patrocinata peraltro dalla moglie del Presidente, Asma al-Assad - che si prefigge di sviluppare centri di "auto-aiuto" 39 nelle aree rurali realizzando, con la popolazione locale, iniziative che hanno missioni specifiche, tra cui l’apprendimento delle nuove tecnologie della comunicazione per i giovani e la costituzione di centri di servizio e formazione, il miglioramento della qualità del lavoro agricolo con l'introduzione di tecniche nuove e sostenibili, ma soprattutto lo sviluppo di consultori per la salute delle donne e per la formazione a corrette pratiche igieniche, ecc. In Algeria hanno avuto un notevole successo i "Centri delle donne" che, anche nelle aree rurali, svolgono azioni di sostegno, consiglio, formazione e, soprattutto, permettono alle donne di incontrarsi e confrontarsi tra loro.

In genere, la spesa sociale per la sanità in rapporto al PIL è abbastanza consistente in tutti i PPM. Ciò, tuttavia, non significa che i servizi sanitari sul territorio siano sempre distribuiti proporzionalmente ai bisogni della popolazione e che abbiano tutti un’alta qualità di strutture e prestazioni. Un sostegno alla qualificazione e alla razionalizzazione delle strutture che integri il diritto alla salute e alla prevenzione per le donne è un obiettivo importante che deve continuare ad essere sostenuto in modo prioritario nell’intervento di cooperazione dell’UE.

Per quanto attiene alla spesa pensionistica, invece, non esistono dati affidabili, ma diversi rapporti sottolineano la necessità di rivedere i sistemi di tutela (nella gran maggioranza dei paesi si tratta di sistemi redistributivi) e le disposizioni di erogazione per procedere a riforme che ne garantiscano la sostenibilità. Le riforme proposte dovrebbero affiancare (o sostituire) i sistemi prevalenti con strumenti a capitalizzazione. Purtroppo, questi rapporti riproducono spesso un approccio volto più a perseguire la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici che la loro imprescindibile sostenibilità sociale. Un esempio per illustrare la delicatezza del problema: negli anni recenti, l'Egitto si è trovato

39 Una volta che la struttura è costituita, il personale formato è in grado di darsi una strategia autonoma anche in materia di bilancio, l'intervento diretto della ONG cessa, da qui il termine self help, auto-aiuto.

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con un rilevante numero di esuberi sul mercato del lavoro40 e ha messo allo studio forme di welfare privato e obbligatorio. Questo, in base all'idea che i lavoratori espulsi o prepensionati dovevano essere sollecitati a diventare lavoratori autonomi (artigiani, piccoli commercianti, prestatori di servizi individuali, ecc.) e, pertanto, provvedere individualmente a costruire la propria garanzia sanitaria e pensionistica. È difficile che un'idea del genere abbia un grande futuro: considerato il basso livello dei redditi da lavoro (tanto dipendente quanto autonomo), anche nel caso di uno sviluppo della microimprenditorialità, difficilmente le compagnie assicurative private troverebbero allettante un mercato a basso reddito e tenderebbero a ridurre al minimo la copertura offerta o ad alzare troppo i costi assicurativi.

La necessità di mantenere e sviluppare in modo universale un sistema di welfare che garantisca coperture e offra opportunità in grado di assicurare una vita dignitosa e sana resta un imperativo e lo sforzo dei PPM per realizzarlo deve esser sostenuto nel quadro del Partenariato e della PEV. Accanto a questo sviluppo auspicato, è importante che ogni paese sia dotato di meccanismi in grado di assicurare una buona gestione del mercato del lavoro, con strumenti che sostengano la transizione professionale e lavorativa e, al contempo, permettano ai lavoratori di non scivolare nella spirale della povertà. L’esempio problematico appena fatto a proposito dell’Egitto, dimostra proprio che l’utilizzo di un sistema di tutela pensionistica per gestire difficoltà sul mercato del lavoro non risolve la difficoltà specifica mentre, invece, rischia di mettere in crisi lo strumento usato, ossia il sistema previdenziale che già soffre di limiti strutturali e finanziari.

Se si considera, quindi, che le pensioni esistenti (settore pubblico, alcune grandi imprese) sono di parecchio inferiori ai salari, e solo non sempre sono indicizzate al costo della vita, che ammortizzatori sociali e servizi all'impiego non sono generalizzati, che le misure di sostegno ai settori sociali deboli sono rare, che della povertà si occupano per lo più le organizzazioni caritative, è facile immaginare che la necessità di costruire e/o di rafforzare decisamente il welfare e la gestione del mercato del lavoro nei PPM sia la priorità delle priorità anche per la promozione della partecipazione al lavoro della donna. Nelle condizioni attuali, finché i bilanci pubblici resteranno insufficientemente alimentati e una gran parte della ricchezza sfuggirà all'imposizione fiscale - anche per l'enorme estensione dell'economia informale e al nero - non ci saranno le risorse per un welfare generalizzato e ben strutturato e la vita delle donne rischierà di restare un percorso tra incertezze e precarietà in cui, di fronte ad ogni imprevisto della vita, sarà loro richiesto di garantire la sicurezza ai membri della famiglia, prendendo le decisioni giuste coi pochi mezzi a disposizione.

2.2 Servizi e infrastrutture sociali

Nella ricerca curata dalla sociologa Maria Grazia Ruggerini - già citata al punto 1.4 - alcuni contributi di studiose residenti nei PPM sottolineano l'evoluzione della struttura familiare che tende a passare dalla famiglia allargata alla famiglia mononucleare, soprattutto nelle città e nelle periferie industriali. Si tratta di un fenomeno verificatosi ampiamente anche nei paesi europei nei decenni dello sviluppo industriale, quando la potenziale forza lavoro - prima occupata nelle attività proprie di un ambito 40 Solo nel settore meccanico e siderurgico si è trattato di oltre 100.000 lavoratori, alla metà dei quali furono applicate misure di

prepensionamento; spesso l’età di questi lavoratori non raggiungeva i 40 anni. I dati (2005) sono stati riferiti in un’intervista con alcuni ricercatori del Centro di Studi Economici e Sociali del Cairo, un istituto che fa parte della rete FEMISE.

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rurale - si è spostata verso le città in cerca di nuove prospettive economiche e di vita: si è trattato di un flusso continuo di piccoli gruppi di persone che andavano a tentar la sorte, chiamando poi altri soggetti della famiglia o del villaggio se le condizioni apparivano favorevoli. Ma la famiglia allargata, con le sue abitudini e la sua forza, tipica anche delle campagne europee, non si è mai ricostituita nelle città. Le relazioni che si intrattengono nel luogo in cui si lavora, nel corso degli anni, finiscono sempre per esser segnate e determinate in larga parte dalle norme e dalle abitudini locali e il lavoratore che passa dalla campagna alla città non porta mai con sé una combinazione di forza culturale e organizzativa sufficiente a contrastare l'adattamento ai costumi cittadini segnati dall'individualismo. D'altronde, l'integrazione nell'ambiente di residenza non è solo una necessità, è anche una spinta all'evoluzione dell'individuo.

Nel passaggio dal luogo d'origine al luogo di lavoro, quindi, la famiglia cambia perché ogni città impone regole, abitudini, struttura urbanistica, ritmi propri che finiscono per determinare in gran parte i comportamenti delle persone che lavorano e abitano in ambito urbano. In città, la famiglia allargata viene sostituita dalla famiglia mononucleare che non è però in grado di offrire i servizi e le solidarietà di cui le persone avrebbero bisogno: questo compito di sostegno dovrebbe quindi incombere alle strutture amministrative urbane. Qualche volta ciò avviene, ma nella maggior parte dei casi le famiglie restano abbandonate a se stesse, e sono sempre le donne che ne risentono maggiormente.

Non si tratta solo di mancanza di asili nido, di servizi sanitari, di consultori, ma di una serie di consigli che "al paese" venivano dall'esperienza delle generazioni precedenti ed erano fondati su relazioni di fiducia e non prevalentemente di forza (economica) come avviene invece in città. La condizione delle donne si complica poi ulteriormente se alla mancanza di sostegno sociale si aggiunge un funzionamento non sempre ottimale dei servizi pubblici (trasporti, acqua, gas, elettricità). È verosimile quindi che questo sforzo di adattamento, e il fatto che le donne si sentano sempre obbligate a risolvere ogni problema familiare, abbia contribuito alla diminuzione delle nascite.

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2.3 Donne e migrazioni41

La mobilità interna (dalle zone rurali verso le città e i centri industriali) non è stata un movimento meno rilevante e socialmente meno oneroso dei flussi migratori dai PPM verso l'Europa registrati negli ultimi due o tre decenni. Semmai, queste migrazioni hanno costituito un ulteriore problema per le donne, fin dai primi anni, in cui solo gli uomini emigravano. L'assenza di leggi armonizzate a livello europeo che permettessero un'accoglienza e un inserimento dignitoso dei familiari nel nuovo contesto, nonché la commistione tra complicazione delle procedure per le migrazioni legali e rischi gravi incorsi dai migranti irregolari, facevano sì che la famiglia non seguisse il lavoratore migrante, ma restasse al paese. Le donne si trovavano, allo stesso tempo, con una maggiore responsabilità e con una maggiore autonomia decisionale (senza la "protezione" del marito); erano, però, più isolate (le donne sole agiscono il meno possibile e fanno comunque fatica ad agire perché la fonte delle autorizzazioni necessarie si è spostata all'estero), ma anche più dotate economicamente grazie alle rimesse dei mariti. Questa condizione contraddittoria resta propria di un rilevante numero di donne, soprattutto mature o anziane, cui spesso manca anche un adeguato livello di educazione e di formazione (l’analfabetismo resta percentualmente elevato nella fascia delle ultra-quarantenni); tra le più giovani, invece, non appena qualche possibilità legale di ricongiungimento familiare si è aperta, si è imposta la scelta di seguire il marito. Per i cittadini europei, l'arrivo delle famiglie e non più solo del singolo migrante ha costituito un fenomeno, oltre che visibile, auspicabile e positivo42.

Non che la migrazione al seguito del marito abbia particolarmente avvantaggiato le donne, le quali hanno dovuto subire un processo di adattamento ancora più duro di quello che aveva caratterizzato lo spostamento dalle aree rurali alle città. Spesso gli ostacoli quotidiani, dalla lingua fino alla complessità delle pratiche amministrative, dalla gestione dei figli a scuola alla diffidenza di parte della popolazione locale, hanno posto le donne migranti di fronte ad un'alternativa: continuare nello sforzo di adattamento e magari cercare di inserirsi anche loro nel mondo del lavoro o utilizzare le mura domestiche come una roccaforte in cui nascondersi fino a diventare invisibili. Entrambe le alternative hanno avuto seguito, ma la tendenza a favore della prima opzione sembra significativa. Soprattutto con la nascita di figli nel luogo di emigrazione, la ricerca di stabilità e di integrazione ha trovato motivazioni e migliori condizioni per prevalere e non sono pochi i casi di donne migranti che hanno saputo crearsi spazi di attività e anche accedere ad un lavoro salariato o autonomo. Ciò non significa che le condizioni delle donne migranti dei PPM siano particolarmente facili in Europa, ma è certo che molte di loro stanno sperimentando la fruizione di diritti sociali e individuali e di garanzie che hanno aperto loro possibilità forse non fruite o non ricercate in patria. Non va dimenticato, però, che lo sforzo di integrazione delle donne immigrate può anche metterle a rischio: la presenza di comportamenti familiari violenti nei confronti delle donne islamiche, è troppo tollerata nei paesi

41 Vedi anche il parere del CESE “Elementi per la struttura, l'organizzazione e il funzionamento di una piattaforma per un maggior coinvolgimento della società civile nella promozione delle politiche d'integrazione di cittadini dei paesi terzi a livello UE (parere esplorativo), SOC/281, relatore Pariza Castaños.

42 Vedi anche CESE, Parere SOC/280, “Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo”  e parere SOC/268 “Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo”(parere d'iniziativa), Relatrice di entrambe i pareri, Le Nouail Marlière

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dell'Unione, così come non sufficiente è l’attenzione ad impedire pratiche lesive dell’integrità e della dignità delle donne: mutilazioni genitali vengono ancora praticate clandestinamente nei paesi europei e i matrimoni imposti dalla famiglia sono piuttosto frequenti in alcune comunità. E’ necessario, inoltre, che siano eliminati nei paesi UE tutti quei comportamenti amministrativi e giuridici che, improntati ad un presunto rispetto delle culture dei paesi d’origine, favoriscono di fatto, violenze e perfino gravi delitti motivati con pretese trasgressioni della Shari'a. Le donne immigrate in Europa devono essere tutelate nella loro dignità, nella loro integrità e nelle loro libere scelte, e questo obiettivo dovrebbe essere assunto in modo più chiaro ed esplicito anche dalle organizzazioni delle donne nei paesi dell'Unione europea.

Nella pressoché totale assenza di dati disaggregati, si può solo riferire la constatazione delle organizzazioni delle parti sociali e della società civile che attesta il lento aumento del numero delle donne dei PPM che emigrano autonomamente con l'obiettivo di trovare un lavoro. Ciò riconduce all'esigenza di autonomia decisionale delle donne che deve trovare adeguato sostegno, ma che rappresenta anche una controprova del retroterra di conoscenze e capacità acquisite che permette loro di disegnare progetti esistenziali più ampi o innovativi. È noto, infatti, che le componenti abituali delle spinte migratorie sono l'intraprendenza, la miglior formazione e l'autonomia di giudizio di chi sceglie di partire.

È anche importante ricordare che l'attuazione dei diritti di parità delle donne emigrate nei paesi dell'Unione deve essere attentamente monitorata perché le notizie di discriminazioni nei loro confronti sono molte. Deve essere contrastata duramente ogni tendenza ad imporre maggiori flessibilità e ad esercitare una maggior pressione sulla componente più debole (le donne) di un settore sociale già di per sé debole (i lavoratori migranti): si tratta, oltretutto, di un dumping sociale che lede in forma grave diritti umani fondamentali.

Le migrazioni, peraltro, oltre che fenomeno umano e sociale denso di potenzialità e di problemi tanto per l'individuo che emigra quanto per la società che lo accoglie e dovrebbe integrarlo, includono sempre più una fortissima valenza economica. Le rimesse degli emigrati – secondo uno studio commissionato dalla Banca Mondiale nel 200743 - permetterebbero non solo di assicurare la sussistenza alle famiglie rimaste in patria, ma anche di dare una migliore educazione alle ragazze: il tasso di partecipazione scolastica e la durata della scolarizzazione delle ragazze aumenterebbero, infatti, quando un membro della famiglia è emigrato. Inoltre, le rimesse sono cresciute in maniera vertiginosa negli ultimi decenni ed ammontano per certi PPM, sempre secondo la Banca mondiale, ad alcuni miliardi di dollari annui. In altri termini, ci sono PPM in cui la somma delle rimesse corrisponde al servizio del debito pubblico. Molti organismi finanziari nei paesi dell'UE e dei PPM stanno spingendo i governi a definire quadri normativi per canalizzare in qualche modo questi capitali o per controllarne entità e destinazione. Le donne rimaste in patria, abituate ad amministrare questa ricchezza, andrebbero sostenute perché sviluppino anche esperimenti di autonoma iniziativa economica, oltre che provvedere ai bisogni della famiglia che resta di fatto ancora il compito prioritario. Ciò è tanto più importante dal momento che a contribuire al flusso di risorse sono sempre

43 “Migrations internationales, développement économique et politique”. Ricerca coordinata da Cağlar Ozden e Maurice Schiff, 28 giugno 2007

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più anche le donne emigrate44. Senza una strutturazione delle modalità di accesso al credito e/o al risparmio e senza una finalizzazione condivisa delle risorse a disposizione, il rischio è che la ricchezza prodotta dagli immigrati divenga interessante per i centri di iniziativa economica e finanziaria capaci forse di garantire benefici individuali, ma senza orientarli al miglioramento delle condizioni delle donne e allo sviluppo nei PPM.

3. Le donne nel partenariato euromediterraneo, nella PEV e nell’Unione per il Mediterraneo

La politica di partenariato è stata molto debole nei confronti delle donne, almeno nella sua fase iniziale. La dichiarazione di Barcellona si limita ad un cenno in un dispositivo relativo alla cooperazione economica45 "(i firmatari) … riconoscono il ruolo delle donne nello sviluppo e si impegnano a promuovere la partecipazione attiva delle donne nella vita economica e sociale e nella creazione di occupazione." Le donne soltanto come fattori produttivi, insomma.

3.1 Programmi regionali nel quadro del partenariato

Quanto è stato fatto poi concretamente, nel quadro del partenariato, è dovuto soprattutto al volontarismo delle organizzazioni delle donne dei PPM e dell'UE che hanno organizzato una serie di incontri periodici fino ad ottenere dalla Commissione, dopo la conferenza dei ministri degli Esteri Euromed svoltasi a Creta nel 2003 (a quasi 8 anni dal lancio della strategia!), un programma ad hoc con una dotazione di 3.200.000 euro su tre anni (2005-2007) per realizzare alcuni progetti regionali.

Tabella 9 - Progetti finanziati nel quadro del programma Migliorare le opportunità di integrazione delle donne nella vita economica

Beneficiario Titolo del progettoDurata (in

mesi)Ammontare della

sovvenzioneCenter for Jewish-Arab Economic development

Economic Empowerment for Palestinian Women: Turning Business Ideas into Reality (Emancipazione economica per le donne palestinesi: concretizzare i progetti imprenditoriali)

24 € 300.044

Erda Inter-Arabe appui aux Micro-Entrepreneurs

Femmes Entrepreneuses en Méditerranée (Donne imprenditrici in area mediterranea)

30 € 485.841

44 “Come mobilitare il risparmio degli emigrati a favore del co-sviluppo”, Parere del Consiglio Economico e Sociale di Francia, adottato il 14 maggio 2008. Vi si dice, tra l’altro: “i sistemi di microcredito o di finanziamento innovativi (agili, accessibili e competitivi) che le donne stesse hanno costruito per realizzare progetti il cui tasso di non riuscita è praticamente nullo, dimostrano l’affidabilità imprenditoriale delle donne e il loro senso di responsabilità in economia. Alcune associazioni accompagnano in particolare la creazione e la gestione di imprese dirette da donne attraverso la formazione e l’informazione. Tali azioni meritano di essere riconosciute e sostenute. In alcuni paesi, ad esempio, le donne fanno ricorso a sistemi di finanziamento collettivi attraverso il versamento di quote mensili. Le risorse così accumulate sono poi ripartite tra le beneficiarie attraverso formule di sorteggi successivi oppure su decisione collettiva, ad un determinato momento, attraverso la ripartizione delle somme risparmiate in pro-rata delle somme che hanno fatto l’oggetto dei contributi.”

45 Il testo iniziale della dichiarazione non citava nemmeno le donne!

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Beneficiario Titolo del progettoDurata (in

mesi)Ammontare della

sovvenzionePlatNet Finance Maroc Creating New Opportunities and

Networking Facilities for Marginalised Home-based Working Women (Creare nuove opportunità e possibilità di collegamento in rete per le donne marginalizzate che lavorano a domicilio)

8 € 298.504

Collective for Research Training and Development Action

Sustainable Economics Opportunities for Women in the Mena Region (Opportunità economiche sostenibili per le donne della regione mediorientale e nordafricana - MENA)

24 € 499.999

Tatawor Association for the Preparation of the Youth

Free for Work 24 € 330.260

Community Development & Small Enterprises Association

Gender Equality in Employment and Small Enterprises (GESE) (Parità tra i generi nell'occupazione e le piccole imprese)

24 € 349.751

The Negev Institute for Strategies of peace and development

Economic Empowerment of Rural Palestinian Women (Emancipazione economica per le donne palestinesi di ambito rurale)

24 € 360.025

A ciò si è aggiunto un progetto di assistenza tecnica MEDA per promuovere il "Ruolo delle donne nella vita economica" con una dotazione di 1.800.000 euro, sempre sull'arco di tre anni. Infine, anche la Fondazione Anna Lindh ha lanciato un progetto sull'empowerment.

A parte le somme stanziate (in complesso poco più di 5 milioni di euro)46, sulla cui adeguatezza si potrebbe discutere data l'importanza del "potenziale donna" nell'area, è difficile valutare queste iniziative perché i relativi progetti sono ancora in corso. Tuttavia, scorrendo i termini di riferimento dei progetti, si nota che coprono abbastanza bene l'insieme del quadro problematico del rafforzamento delle capabilities delle donne nell'area. Sarà importante, quando la fase attuativa arriverà al termine, studiare i rapporti e verificare il lavoro fatto ma, soprattutto, predisporre strumenti per la moltiplicazione di quanto è risultato positivo e sia riproponibile in termini di metodi, contenuti, esperienze e buone pratiche.

Un approccio più consistente e articolato di quello di Barcellona è stato prodotto dalla preparazione e dallo svolgimento della prima Conferenza interministeriale sulle donne nel partenariato, tenutasi a Istanbul nell'ottobre 2006. Questa Conferenza ha indicato alcuni assi prioritari su cui sviluppare l'impegno di cooperazione e di messa in rete delle donne dell'UE e dei PPM. Oltre alla promozione 46 Non sono considerati qui i progetti realizzati dalla cooperazione governativa bilaterale nel quadro del partenariato, né quelli delle

ONG e delle parti sociali: si tratta di numerose iniziative, spesso esemplari, ma ancora insufficienti per incidere davvero sulla condizione complessiva delle donne dei PPM.

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dei diritti civili e dei diritti della donna attraverso un intervento della cultura e dei media, la Conferenza ha indicato chiaramente la priorità di incrementare i diritti sociali ed economici delle donne in una prospettiva di sviluppo sostenibile. Tra le azioni che i governi coinvolti si sono impegnati a mettere in atto in quest'ambito figurano: la creazione di condizioni di pari opportunità e la rimozione degli ostacoli allo sviluppo del lavoro e delle attività economiche delle donne; la valutazione dell'impatto delle politiche macroeconomiche sul lavoro e le attività delle donne (e degli uomini); la promozione dell'imprenditorialità femminile, tra l'altro, dando pieno accesso alla proprietà della terra, al sistema finanziario con facilities (microcredito, ma non solo) mirate ai bisogni dell'iniziativa imprenditoriale delle donne, agli strumenti di distribuzione e al mercato; la promozione e il rafforzamento della formazione delle donne, curando sia la formazione professionale, sia l'accesso e l'utilizzo delle nuove tecnologie, sia gli sbocchi professionali della formazione stessa, sia l'ampliamento delle opportunità di formazione post-universitaria per le donne; infine, nel programma è molto sottolineata la necessità di mobilitare i media per combattere gli stereotipi femminili di qualsiasi tipo. Si tratta di un lungo elenco di impegni la cui attuazione dovrà essere accuratamente monitorata e stimolata dalle organizzazioni delle parti sociali e della società civile dei paesi UE e dei PPM.

Per fare tutto ciò, inoltre, non basteranno le risorse limitate che si possono mobilitare a livello dell'UE e a livello dei singoli paesi, ma bisognerà decidere un programma ampliato che si inserisca nell'insieme delle politiche di partenariato, specie nei piani di attuazione della PEV, che prevedono tutti un obiettivo relativo alla promozione delle donne. Capitalizzare l'esperienza del partenariato Euromed, ma imparare anche dagli errori commessi, rafforzando nella PEV il tema della promozione delle donne e legandolo alle altre politiche definite nei PAN, è il miglior modo per superare, attraverso comportamenti e politiche concrete, la critica sterile al passaggio che sarebbe avvenuto da un metodo con un forte focus sulla dimensione regionale (strategia di Barcellona) al quasi esclusivo bilateralismo UE/PPM della PEV.

3.2 La promozione della condizione delle donne nella PEV

La PEV, lanciata nel 2002 dalla Commissione, è una strategia ampia che si rivolge a tutti i paesi vicini dell’UE per i quali non si prevede, allo stato, l’adesione. La PEV comprende molti assi di intervento ed è sostenuta da un pacchetto di risorse e da uno strumento finanziario, l’ENPI, per gestirle47 che prevede una dotazione di 11,2 miliardi di € per l’arco temporale che va dal 2007 al 2013 e si attua prevalentemente attraverso la realizzazione di piani d'azione nazionali, negoziati tra il singolo paese interessato e la Commissione per conto dell'Unione europea. I piani, articolati in capitoli, corrispondono agli obiettivi della stessa PEV e pongono, tra l’altro, una forte enfasi sui diritti umani. Le tematiche relative alla condizione delle donne sono un sottocapitolo di questo obiettivo e prevedono misure come la promozione della parità di trattamento sul lavoro, la partecipazione politica, la ratifica e/o l'implementazione delle convenzioni internazionali relative ai diritti della donna, in particolare la CEDAW, l'inasprimento delle pene per i delitti contro le donne, l'inserimento delle donne nei processi decisionali, la protezione delle donne incinte sul lavoro. All’azione

47 Il Regolamento ENPI del Parlamento Europeo e del Consiglio è il n. 1638/2006 del 24 ottobre 2006 – GUCE L 310/1 del 2006

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perseguita attraverso l’ENPI può concorrere anche il nuovo Strumento sui Diritti Umani e la Democrazia, varato nel 2006, rivolto a tutte le aree di cooperazione esterna dell’UE e che comprende, quindi, anche i PPM. Naturalmente le risorse disponibili sono inferiori a quelle da gestirsi attraverso l’ENPI (1,2 miliardi tra il 2007 e il 2010 a fronte degli oltre 11 miliardi dell’ENPI), ma lo strumento è agile e può essere mobilitato per azioni specifiche rivolte alla promozione dei diritti delle donne.48

Nei primi Progress Report relativi all’attuazione della PEV, pubblicati tra il 2005 e la fine del 200649, il panorama dell'attuazione di provvedimenti per la promozione delle donne non è particolarmente esaltante ma segnala alcuni passi in avanti. In Marocco, l'elaborazione di una legge elettorale con una lista nazionale riservata per le donne e la creazione di una commissione per studiare la possibilità di levare le riserve che il paese aveva sottoscritto al momento dell'adesione alla CEDAW. In Tunisia, è stato avviato un progetto "Salute Sud" di cui è beneficiaria l'Associazione delle donne tunisine per la ricerca e lo sviluppo (AFTURD). In Giordania, la Fondazione europea per la formazione (ETF) collabora con il Centro nazionale giordano per le risorse umane ad un progetto per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. In Egitto, nel 2000, è stato istituito il Consiglio nazionale per le donne, per promuovere lo status delle donne: questo organismo è affiancato anche da un Ombudsman cui far prevenire le denunce delle donne o, semplicemente, cui chiedere consigli; recentemente, una donna è stata eletta giudice presso la Suprema Corte costituzionale. L'Egitto è stato uno dei primi paesi, nel 1979, a stabilire le quote per le donne, riservando loro 30 seggi in Parlamento, ma la relativa legge, purtroppo, è stata abrogata come anticostituzionale nel 1986 e, da allora, la percentuale di donne deputate è diminuita drasticamente (oggi è il 2%).

A fronte di questi passi in avanti emerge, in negativo, dai Progress Report della Commissione che le violenze domestiche contro le donne sono in aumento, così come i "delitti d'onore". Anche in Europa, peraltro, le violenze domestiche contro le donne in generale sono in aumento: un motivo in più per rivendicare congiuntamente la definizione e/o l'attuazione di leggi rigorose per la tutela dell'integrità psicofisica della donna, che è un diritto umano fondamentale. Inoltre, secondo una fonte50, nonostante le leggi che le vietano, le mutilazioni genitali femminili sarebbero ancora numerose in almeno un PPM. Purtroppo, anche nelle migrazioni ci sono casi in cui si tenta di mantenere su territorio europeo questa pratica incivile e violenta. E’ giusto, però, dare atto al governo Egiziano, di aver recentemente promulgato (giungo 2008) leggi molto chiare e dure contro questo fenomeno, che costituiscono una base importante per stroncare una pratica che non ha alcuna giustificazione possibile e che è gravemente lesiva della donna come persona, oltre che pericolosa sul piano sanitario: sarà necessario sostenere con adeguati strumenti di monitoraggio e con la partecipazione attiva delle organizzazioni di donne, l’attuazione piena dei dispositivi legislativi previsti. Si segnala che il programma “Investing in people”, nel quadro della strategia di promozione dei diritti e della democrazia già menzionata, prevede un obiettivo di lotta alle pratiche lesive della dignità e dell’integrità della donna, in particolare le mutilazioni genitali e che, pertanto, potrebbe essere utilizzato per interventi mirati nelle aree dei PPM dove questa pratica sussiste.

48 Regolamento CE 1889/2006 GUCE L 386/1del 29.12.200649 Un secondo blocco di valutazioni sarà pubblicato entro la fine del 200850 2000 Demographic and Health Survey, citato nel Progress Report dell’UE sull’Egitto.

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I testi già citati della Ruggerini e del CES di Francia concordano sul fatto che la tendenza delle donne dei PPM ad uscire dalla tutela/dominio degli uomini ha subito un rallentamento negli ultimi 5-10 anni. Oltre agli shock di cui si è parlato nei punti precedenti - urbanizzazione, migrazioni, ecc. - non si può tacere sullo sviluppo di un'interpretazione rigida del Corano che, usata strumentalmente dai movimenti politici fondamentalisti, induce e/o costringe le donne ad un ruolo subordinato, rilegittimando, così, un potere patriarcale che era parzialmente entrato in crisi negli anni '70 e '8051.

Come sottolineano diversi scrittori islamici riformisti, la strada da percorrere potrebbe essere quella della riapertura della ijttihad, ossia di uno sforzo interpretativo del diritto musulmano che porti al centro i valori positivi e pacificatori della dottrina e riconcili il vissuto islamico coi diritti universali della persona e della donna.

3.3. Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo.

Il “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo” (UpM), varato il 13 luglio 2008 dal Vertice dei capi di stato e di governo dei paesi UE, dei PPM, dei paesi dell’area dei Balcani occidentali e con la partecipazione delle Istituzioni UE, nonché del Segretario generale dell’ONU, di diverse organizzazioni e istituzioni regionali e/o multilaterali, apre una nuova fase nello sviluppo della cooperazione euromediterranea, segnata da una esplicita e condivisa responsabilità nella ricerca della pace e della stabilità nell’area, nonché da una verticalità politica più strutturata (Vertici biennali, Interministeriali annuali, segretariato, ecc) e da un recupero di attenzione alla dimensione regionale complessiva del processo, pur mantenendo la possibilità di articolazioni sub-regionali e di iniziative bilaterali. L’UpM si pone come sviluppo e rilancio della strategia di Barcellona e della PEV delle quali integra gran parte dell’acquis (compresa l’articolazione nei tre “panieri” di Barcellona), così come dei contenuti.

Gli obiettivi e le modalità per l’attuazione dell’UpM saranno precisati entro la fine del 2008, ma già ora è chiaro che emergono 6 iniziative prioritarie: il risanamento del Mediterraneo, lo sviluppo delle autostrade del mare, la costruzione di strumenti di protezione civile, la promozione di energie rinnovabili (Piano solare mediterraneo), la cooperazione strutturata in materia di insegnamento superiore e ricerca (tra cui la creazione dell’università euromediterranea in Slovenia) e il sostegno allo sviluppo delle microimprese e delle PMI52.

La dichiarazione di Parigi evoca le donne con una sola frase (“rafforzamento del ruolo delle donne nella società”) nel punto 6, quando parla dei principi su cui si fonda l’UpM. Nell’allegato (utilizzando le stesse parole), il “rafforzamento del ruolo delle donne nella società” diventa esplicitamente un ambito della cooperazione.

Sarebbe prematuro dedurre da questi limitatissimi riferimenti alle donne una disattenzione verso il loro ruolo nella cooperazione euromediterranea e nel co-sviluppo della regione. Sarà, però, necessario

51 Questo rischio è denunciato anche nel contributo scritto del CES di Palestina. “Constraints to Access to economic and Social Life” (Dr. Fadia Daibes-Murad).

52 Dichiarazione comune del Vertice di Parigi per il Mediterraneo, Parigi, 13 luglio 2008.

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intervenire prima della definizione compiuta e concreta dei contenuti, delle iniziative e degli strumenti dell’UpM, affinché l’obiettivo dell’eguaglianza di genere sia integrato nei progetti attraverso un maintreaming sistematico. Dovrà, in particolare, esser fatto valere il senso profondo di una delle osservazioni finali della Dichiarazione di Parigi (punto 32) in cui si dice: “Il successo di questa iniziativa dipenderà anche, in ultima istanza, dai cittadini, dalla società civile e dalla partecipazione attiva del settore privato”. Ancora una volta, i governi dei paesi del partenariato devono essere richiamati al sistematico coinvolgimento della società civile organizzata: il compito di rivendicare concretamente una forte dimensione sociale e di genere dell’UpM spetta alle parti sociali, agli organismi consultivi, alle organizzazioni e alle reti di donne che dovranno partecipare alla concezione, all’attuazione, al monitoraggio e alla valutazione di tutte le realizzazioni. 4. Conclusioni e proposte.

Le difficoltà e le opportunità delle donne nell’area Euromediterranea sono specifiche, ma si collocano in un contesto che è uguale per tutte le donne nel mondo, ossia la globalizzazione dell’economia, degli scambi e del sapere. Perché le donne non siano le prime vittime di dinamiche economiche solo riferite alla libertà di mercato è indispensabile che ogni progetto di sviluppo sia accompagnato dalla crescita di una chiara dimensione sociale tradotta in leggi, politiche e assunzione di responsabilità. Di ciò i primi chiamati a rispondere sono gli Stati e le Istituzioni comuni. Le organizzazioni della società civile e gli organismi consultivi devono tener alta l’attenzione e la pressione affinché ogni politica comune e di cooperazione Euromediterranea integri sistematicamente il mainstreaming di genere e lo traduca in azioni concrete, efficaci e monitorate con la partecipazione delle donne.

Per altro verso, l’affermazione e l’attuazione dei diritti di parità uomo/donna nella gestione dell’economia, del sociale, della politica e della cultura sono un pilastro indispensabile per garantire la dimensione umana dello sviluppo e anche la sua sostenibilità che non si realizza senza la determinazione e la mobilitazione delle donne stesse. In ogni regione del mondo si gioca questa partita ed è fondamentale che le donne dei diversi paesi la giochino in collegamento tra loro. 4.1. Costruire agende integrate per le capabilities

La vitalità, l'inventiva e la forza delle donne mediterranee inducono a pensare che qualsiasi iniziativa si prenda con loro (e per loro) non vada mai sprecata; anzi, che i risultati, anche se tutt'altro che perfetti, vengano comunque trasformati in qualcosa di migliore, di più efficace, di prezioso. Ma questa fondata convinzione non deve illuderci che basti fare poco: la pressione alla quale le donne dei PPM sono sottoposte, insieme alle loro grandi potenzialità, esigono un impegno forte e attento ai loro veri bisogni.

Un'agenda per le donne dei PPM, dunque, più che una lunga lista di contenuti, può essere più efficacemente definita in rapporto al metodo con cui la si predispone, tenendo presente che un metodo "di prossimità" - forma di cooperazione che è ascolto e azione solidale - è sempre più oneroso sia in termini di risorse che in termini di energie. In cambio, un tale metodo è efficace, ha risultati duraturi ed ha anche un valore etico. Un'attenzione particolare dovrà esser accordata ad una formazione mirata

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soprattutto alle giovani donne, che faccia tesoro delle loro buone prestazioni scolastiche, che utilizzi appieno ogni strumento conoscitivo e comunicativo (in particolare le nuove tecnologie della comunicazione) e che sia integrata saldamente al contesto di sviluppo del territorio in cui si realizza per consentire opportunità reali di sbocchi professionali e imprenditoriali.

4.1.1 Un'agenda integrata per diritti, attività e strutture

La rivendicazione di diritti dovrebbe sempre essere "agita" attraverso il coinvolgimento diretto e preventivo delle donne interessate, ma anche del contesto sociale in cui vivono. La concreta fruizione dei diritti è infatti l'obiettivo, ma qualsiasi azione venga messa in atto (informazione, formazione, sostegno, gestione dei conflitti, ecc.) deve lasciare una traccia concreta nella realtà e introdurre degli strumenti che possano continuare ad essere utilizzati e, se del caso, moltiplicati. La "fisicità" dei diritti deve poter essere percepita dall'ambiente in cui le donne vivono affinché sia loro possibile dire, e lo sia anche per il loro contesto sociale: "Questa struttura (ufficio per il monitoraggio dell'applicazione della parità sul lavoro, consultorio medico, magazzino per prodotti artigianali, ufficio, atelier o officina per l'apprendimento di un mestiere, ecc.) è nostra e rappresenta questo nostro diritto e la sua attuazione concreta, a beneficio nostro e della nostra gente." Così il simbolo del diritto vissuto diviene crescita reale, personale, collettiva.

4.1.2 Un'agenda integrata per liberare il tempo delle donne

La mole di problemi e di difficoltà che incombe sulle donne mediterranee le priva di un bene prezioso: il tempo. Gli interventi sui servizi essenziali (salute, scuola) e su quelli di pubblica utilità (acqua, gas, luce, trasporti), sui servizi alla persona e su quelli per la realizzazione di infrastrutture sociali, devono prevedere il coinvolgimento imprescindibile delle donne e devono venir accompagnati da una sistematica valutazione attenta e diretta degli effetti che novità o modifiche nelle strutture e nelle infrastrutture dei servizi possono comportare per la vita delle donne e delle loro famiglie. Il miglioramento e l’ampliamento dei servizi deve comportare anche la finalità specifica di sostenere e allargare la partecipazione delle donne all’attività in questo settore con le necessarie flessibilità in termini di orario e di organizzazione del lavoro per rispondere alle esigenze esistenziali delle donne.

Il tempo deve essere liberato in termini sia quantitativi che qualitativi, affinché le donne possano anche prendersi cura di se stesse e accrescere le loro capabilities. Non sarebbe invece affatto "liberato" un tempo che finisse per favorire un aumento dell'attività sommersa e della fatica non riconosciuta delle donne.

4.1.3. Un'agenda integrata per il lavoro, l'attività economica e le risorse

Qualsiasi azione formativa deve mirare ad allargare e qualificare le possibilità di accesso delle donne ad attività stabili, dignitose e remunerative, in tutti i settori, dalla pubblica amministrazione all’industria, dall’agricoltura ai servizi. Tali azioni devono essere indirizzate anche a rendere coscienti

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le donne dei loro diritti come cittadine, come lavoratrici e come imprenditrici. In parallelo, anche l’insieme della società deve diventare cosciente dei bisogni e delle legittime aspirazioni delle donne.

Nel mondo del lavoro, è indispensabile avviare subito iniziative e campagne perché ad un lavoro di uguale valore sia corrisposto un uguale salario: l’obiettivo del “decent work” non appartiene solo all’agenda dell’OIL, ma al concetto sostanziale di giustizia ed equità sociale, in un mondo in cui le politiche dominanti tendono a favorire i più forti nell’uso individuale delle opportunità di crescita, e poco si curano di redistribuire queste opportunità in modo equo tra chi produce la ricchezza. In linea strategica, per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, bisogna perseguire una modifica sostanziale dei termini della domanda di lavoro (aumentandone tanto la quantità quanto la qualità), ma perché questo obiettivo si realizzi bisognerà prevedere tempi non certo brevissimi. La canalizzazione del lavoro femminile esistente e non riconosciuto verso attività stabili e visibili deve pertanto essere avviata da subito, con strumenti come le cooperative, le piccole reti di produzione e distribuzione, gli atelier artigianali, ecc. adeguatamente sorretti da strumenti giuridici, finanziari, fiscali e formativi. Ciò implica il reperimento di risorse finanziarie sia attraverso banche cooperative, fondazioni e banche di settore che dovrebbero mettere a disposizione delle facilities-donna, sia attraverso il sostegno e lo sviluppo delle reti di microcredito già attive. Un dibattito, poi, potrebbe essere lanciato tra le organizzazioni di donne sull'opportunità e i modi di far concorrere le rimesse degli emigrati allo sviluppo di lavori dignitosi, stabili, riconosciuti e tutelati per le donne.

Anche in ambito imprenditoriale, le politiche educative devono mirare a creare coscienza e attitudine all’intraprendere, fin dall’educazione di base: l’attività imprenditoriale deve esser concepita come un processo di apprendimento permanente nel corso di tutta la vita e mirare a promuovere le specifiche capabilities adattandole all’evoluzione dei tempi, in particolare sostenendole con una più diffusa e avanzata competenza informatica e tecnologica che comprenda anche la partecipazione delle donne al processo di introduzione di tali tecnologie perché siano adatte agli specifici bisogni delle donne che avviano o sviluppano un’attività economica53. Il Programma di cooperazione industriale per le imprese, definito nella Conferenza di Caserta del 2004, molto attento agli aspetti formativi, dovrebbe integrare azioni specifiche per la promozione delle imprese gestite da donne. Strumenti informatici (web, conferenze in rete, blog, ecc.) dovrebbero essere realizzati congiuntamente da donne dei PPM e dell’UE per scambiare esperienze, informazioni, buone pratiche e monitorare i progetti. Un rafforzamento della cooperazione tra le strutture di reperimento dei dati dell’UE e dei PPM deve mirare all’armonizzazione dei criteri di rilevamento per fornire un contesto valido all’elaborazione dei piani di cooperazione tra le donne dell’area.

Oltre l’aspetto formativo, comunicativo e statistico, quello relativo alle risorse rimane cruciale: le strategie di riforma dei sistemi bancari tanto nei PPM quanto nell'UE, come anche indicato dalle Conclusioni della Conferenza di Istanbul, dovrebbero tener conto anche della trasformazione di finalità e di dimensioni delle imprese individuali e delle microimprese gestite da donne - quando possibile, auspicabile e voluto dalle dirette interessate - in piccole e medie imprese. In questo contesto

53 Su questi concetti si è anche concentrato il dibattito svoltosi nel dicembre 2007 durante l’Euromed Workshop on Employment” organizzato dalla Commissione (http://ec.europa.eu/employment_social/international_cooperation/euromed_workshop_en.htm).

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i buoni accordi tra gli attori sociali coinvolti e le imprese di credito innovative e responsabili possono valere più di una generalizzazione legislativa di difficile o dubbia applicazione.

4.1.4 Un'agenda integrata per azioni positive

La rivendicazione di azioni positive è una necessità di carattere generale che deve accompagnare tutto il percorso per la conquista della parità uomo/donna; la definizione di quote riservate alle donne, invece, è uno strumento temporaneo che, per definizione, dovrebbe riuscire a modificare un contesto socioculturale rendendolo stabilmente attento all'equilibrio di genere. Governi, Parlamenti, parti sociali devono attivarsi in modo più chiaro e continuo per realizzare gli impegni assunti ad Istanbul: mettere le donne al centro dello sviluppo implica regole certe per garantire la parità e uno sforzo positivo per assicurare l’empowerment in tutti gli ambiti. La risoluzione del problema della partecipazione economica, professionale, sociale e politica ha quindi bisogno della strutturazione di azioni positive e della definizione di quote, ma soprattutto di una modifica in profondità della cultura degli attori economici, sociali e politici.

Nel caso di azioni positive, bisogna essere attenti al coinvolgimento del contesto sociale che deve diventare un attore a sostegno e non un fattore di intralcio: la finalità va esplicitamente riportata all'esercizio del diritto fondamentale delle donne alla parità, ma anche alla "riparazione di un torto" che sta ledendo non solo le donne ma tutta la società e le sue possibilità di crescita. Le azioni positive capaci di catalizzare il consenso sociale possono essere più efficaci e stabilizzanti dell'ingiunzione generalizzata a compierle. L'Unione europea, con le linee di finanziamento a favore delle donne, dovrebbe sostenere con priorità programmi in rete tra donne europee e donne dei PPM, che capitalizzino le esperienze positive tanto dei paesi membri quanto dei PPM.

Anche nel caso delle quote, possono essere efficaci esperimenti apparentemente limitati come quote di rappresentanza in un sindacato locale, quote di assunzione in un'impresa che integri l'assunzione di donne nella propria strategia di responsabilità sociale, quote in un comitato consultivo di villaggio, quote in una ONG di consumatori. I Consigli Economici e Sociali della regione Euromediterranea, partendo dall’analisi dei propri interni equilibri di genere, dovrebbero farsi promotori di campagne presso le istituzioni, le organizzazioni socio-professionali e politiche perché sia ampliata ovunque e a tutti i livelli la presenza delle donne. L'attenzione va posta, comunque, sulla diffusione ampia e la discussione della "buona pratica" che le quote produrrebbero, che è "buona" qualitativamente e per le dinamiche che sa innescare, non perché sia un modello unico e ripetibile meccanicamente.

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La dimensione sociale e la parità di genere restano obiettivi scarsamente assunti nel quadro della cooperazione euromediterranea. Purtroppo, né la strategia di partenariato Euromed (Barcellona), né la proposta di Unione per il Mediterraneo li indicano in modo chiaro e ne fanno un criterio operativo da applicare sistematicamente nell’attuazione delle politiche. La PEV, dal canto suo, pur proponendo l’importanza di promuovere i diritti e la condizione delle donne, permette di fatto che i negoziati

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bilaterali per la definizione dei piani d’azione nazionali facciano scivolare questi obiettivi essenziali nella parte bassa della scala delle priorità. La Conferenza Interministeriale di Istanbul, con la sua agenda, ha rimesso ordine nelle priorità, ma l’effettività degli impegni presi deve essere costantemente verificata e monitorata proprio nell’attuazione di tutte le strategie di cooperazione e co-sviluppo euromediterranee: le parti sociali, gli Organismi consultivi, le organizzazioni della società civile, le organizzazioni e le reti di donne dell’area euromediterranea hanno il compito di richiamare le istituzioni e le autorità politiche delle due parti alla fedeltà agli impegni presi, oltre che essere soggetti attivi nella realizzazione delle stesse strategie.

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