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Dossier Agricoltura fascicolo 1

Date post: 10-Mar-2016
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Dossier Agricoltura fascicolo 1
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L L A PROVINCIA GUIDA DEL SETTORE IN SICILIA VIVE UNA STAGIONE DIFFICILE. MA CE LA FARÀ RAPPORTO SULLA AGRICOLTURA IBLEA LA BUONA TERRA 1 FASCICOLO COILPATROCIIODELL’ASSESSORATO REGIOALEALLERISORSE AGRICOLE ISERTOAL . 8 DEL19 OTTOBRE2012 L’ASSESSORE AIELLO “LA GRANDE DISTRIBUZIONE CI STA STROZZANDO” LA CIA “OCCORRE RIGUADAGNARE LA CENTRALITÀ” LA CONFAGRICOLTURA “SENZA ASSOCIAZIONISMO RESTIAMO AL PALO” LA COLDIRETTI “IL NOSTRO CONSORZIO FIDI COME SOSTEGNO” L’IPA “ORA LE NOSTRE RISORSE SONO PREZIOSE”
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Page 1: Dossier Agricoltura fascicolo 1

LLA PROVINCIA GUIDA DEL SETTORE IN SICILIAVIVE UNA STAGIONE DIFFICILE. MA CE LA FARÀ

RAPPORTO

SULLA

AGRICOLTURA

IBLEA

LA BUONA TERRA

1FASCICOLO

CO IL PATROCI IO DELL’ASSESSORATO

REGIO ALE ALLE RISORSE AGRICOLE

I SERTO AL . 8 DEL 19 OTTOBRE 2012

L’ASSESSORE AIELLO“LA GRANDE DISTRIBUZIONE

CI STA STROZZANDO”

LA CIA“OCCORRE RIGUADAGNARE

LA CENTRALITÀ”

LA CONFAGRICOLTURA“SENZA ASSOCIAZIONISMO

RESTIAMO AL PALO”

LA COLDIRETTI“IL NOSTRO CONSORZIO FIDI

COME SOSTEGNO”

L’IPA“ORA LE NOSTRE RISORSE

SONO PREZIOSE”

Page 2: Dossier Agricoltura fascicolo 1

AIELLO: ABBIAMOUN NEMICOED È LA POLITICACOMUNITARIA

COME LE NUOVE STRATEGIE DELLAGLOBALIZZAZIONE PENALIZZANO ILRAGUSANO. CHE RESTA ECCELLENTE

ssessore, secondo lei l’agricolturaiblea bela o ruggisce?È in affanno. Diciamo meglio che ar-ranca, perché sebbene gli sforzi sianofinalizzati al miglioramento delle con-dizioni operative e organizzative nellecampagne e nelle aziende - e cioè ver-

so forme di ottimizzazione dell’organizzazione dellaproduzione - tuttavia le trasformazioni globali che in-fluenzano le produzioni sono molto più veloci e tali daintrodurre regole sconosciute alle aziende.Questo cosa significa?Significa che le aziende che vivono eoperano, per natura e per definizione,nel territorio - e che nel territorio si or-ganizzano - si trovano a impattare con

dinamiche che nascono ematurano altrove, in sediche non solo appartengonoad altri territori ma sono dichi poi dirige l’affare agri-coltura a livello globale.Perché parla di affare?Perché l’agricoltura è unodei primi affari cui guarda-no gli investitori (la finanza,le banche...), oltre allo svi-luppo industriale. Lo svilup-po agrario, in rapportoall’evoluzione globale, è quial Sud ed è ancora l’agricol-tura quella che sfama il mondo. L’affare è lì.Tant’è che, quanto alla provincia di Ra-gusa, negli anni ovanta si parlava di unmodello ibleo di sviluppo composto in una

sinergia di comparti a capo di quali c’era l’agricol-tura. Perché si è perso questo capitale?Non si è perso. Allora la produttività che si riusciva atrarre era immediatamente appannaggio dei territori,percepita e vissuta dai territori. Ora, a poco a poco, lefonti di risparmio delle famiglie e delle aziende si sonodepauperate, gli istituti bancari non fanno più spondaallo sviluppo agrario perché hanno capito che le deci-sioni assunte portano altrove. Se le dinamiche di ricerca

del prodotto avvantaggiano altre aree è chiaro che si mi-na dall’interno l’energia delle aziende e dei territori.Una politica di questo tipo è suicida. È evidente che laglobalizzazione segna il punto di maggiore ferocia e diaggressività - rimandando al dominio della grande fi-nanza speculativa e alle strategie generali - ponendo ilproblema di come far crescere un sistema agroalimen-tare con i segmenti della filiera commerciale che non tiascoltano più.Parla di risorse umane che sono andate a scuola quie hanno poi lavorato fuori?

Parlo di esperienze che se ne vanno perconto proprio dopo essere cresciute qui.Hanno imparato qui a fare commercio diprodotti agricoli ma ora utilizzano questaloro forza in altri mercati respingendo co-sì verso il basso i territori di provenienza,abbandonandoli. Questo scenario lo vedoper esempio nelle politiche organizzativedella Legacoop: fino agli anni Settantac’era un’unica dimensione associativasicché commercializzazione e produzio-ne erano un’unica sfera. Ora sono divise,il che significa che si è capito che le duedimensioni si dovevano e si potevano di-videre.Ma quali conseguenze determina que-sto fenomeno?Succede che si perde ogni vincolo di so-lidarietà produttiva, culturale e civile, percui in questo sistema globalizzato dalla

grande distribuzione ci sono tutti i germi della degene-razione cui stiamo assistendo.In questo quadro l’accordo Ue-Marocco viene dun-que a penalizzare ancora di più l’agricoltura delMezzogiorno.L’accordo Ue-Marocco vuole abituare il Mezzogiornod’Europa a dire “per voi è finita, rassegnatevi”. Un veroe proprio atto di morte.Stando così le cose, si può parlare anche di tradi-mento da parte dell’Unione europea.Nessuno ha voluto mettere in discussione il carattereperverso della politica agraria comunitaria (della suaorganizzazione e strutturazione sia politica che pro-

Francesco Aiel-lo è già stato

assessore regio-nale all’Agricol-

tura dal 16luglio 1992 al21 dicembre

1993 ed è statodeputato regio-nale nella nona,

nella decima enell’undicesima

legislatura

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

Laglobalizzazionesegna il punto

di maggiore ferocia e

aggressivitàrimandando aldominio della

grande finanzaspeculativa ealle strategie

generali

L’ASSESSORE

REGIONALE

AGRICOLTURACOME UNO DEIPRIMI “AFFARI”CUI GUARDANOGLI INVESTITORIED ESPERIENZECHE FATTE QUI

VANNO POI ALTROVE DOVE

FINISCONO IPROFITTI E IVANTAGGI

intervista di

Gianni Bonina

A

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grammatica che finanziaria) fondato su un sistema mol-to raffinato ed elaborato che è la condizionalità. Cosafa la condizionalità? Quando anche parla di un compar-to affronta l’argomento nello spirito di un trasferimentodal territorio a un altrove. Cioè, io Unione europea tido ancora soldi, a te comparto agricolo, però rivendicoil diritto di selezionare le aziende e di impostare politi-che generali che debbano consentire ai grandi gruppi dirivolgersi dove vogliono. Non solo: prevedo anche mi-sure finanziarie di dislocazione di interi comparti. Pren-da per esempio i programmi Meda, che costituiscono ilparadosso peggiore: misure cui vannofondi che vengono dai tributi, l’Iva peresempio. E a pagare sono i produttorieuropei. A questi fondi i grandi gruppiattingono al cento per cento della spesaproprio per delocalizzare dove la terranon costa niente, dove possono prele-vare l’acqua come vogliono, dove lecondizioni di sottomissione umana, sin-dacale e politica dei lavoratori sono to-tali. Questo significa che Uva Italia e po-modorino di Pachino, per esempio,vengano dall’estero.Me li faccio in Siria, in Giordania, inMarocco, in Congo e non più in Sicilia.Perciò uno dei tanti problemi, il tra-sporto in Europa, comporta che i costida Roma a Palermo siano dieci voltesuperiori a quelli di un cargo che va daBrazzaville a Bonn. È un sistema che si è messo in motodappertutto perché l’affare è su scala globale ed è con-cepito dai grandi gruppi che riescono a delineare poli-tiche generali, a costituire reti burocratiche intelligenti,strategie nazionali che riproducono la stessa scala so-ciale di dominio, cosicché in Italia l’Emilia Romagnanon debba avere, come non ha, gli stessi interessi dellaSicilia. Si tratta di prospettive che dovrebbero esserecontenute in studi scritti, seri, documentati. Ma in Italiamanca quanto c’è invece nel sistema americano, chevanta economisti capaci di penetrare questi meccani-smi, di scoprirli, di definirne i contorni e fare capirequello che sta accadendo.

oi procediamo invece a tentoni?Proprio così. Ricordo alcuni saggi americani sull’indu-stria di trasformazione sementiera. Dicevano “attenti,sta accadendo qualcosa: l’industria sementiera pura stascomparendo perché viene rilevata dall’industria chi-mica”. Avevano colpito nel segno. Quello che stiamovivendo è un passaggio così travolgente e potente checondizionerà la storia dell’agricoltura, dell’alimentazio-ne e della distribuzione delle risorse umane chissà perquanto tempo, perché i padroni del vapore sono diven-tati altri.

Le aziende iblee pagano ancora di piùquesto processo di trasformazione inatto?Certo, perché sono già operative sulmercato. Pensi alla serricoltura, che nonha assistenza economica di nessun tipo.C’è l’azienda con i suoi problemi e ledinamiche della crisi che l’attanaglianoe che poi va sul mercato. Ma non trovaprotezioni, non vede un mercato garan-tito.

egli anni ovanta, ma anche prima,si tentò nel Ragusano la via dell’asso-ciazionismo, sulla quale anche lei in-vitava a convergere. Ma si è rivelataoggi una strada senza sbocchi. Un fallimento. Il modello organizzativodi tipo associativo è rimasto monco, ametà. Le faccio un esempio. Si consenteancora alle Op, le organizzazioni dei

produttori, di poter fare fatturazione delegata. In sostan-za le Op dicono questo: voi vi continuate a muovere co-me volete, commercializzate come volete, importanteè che mi portiate la fattura e io la considero all’internodella mia organizzazione. E così facendo, la Op lucra i fondi comunitari. Il quattro per cento. Un passo avanti verso il governodel mercato - e l’acquisizione di punti in più nei rapportidi potere commerciale con la grande distribuzione e congli acquirenti - non viene fatto, anzi ci si avvelena dipiù. Strada facendo verrà fuori qualche scandaletto,qualche ladro si presenterà alla cassa e muore così lastruttura. Le esperienze siciliane sono tutte tali. Ricordo

Quando parladi agricoltural’Unioneeuropeaaffrontal’argomentonello spirito di un trasferimentodal territorioa un altrove

La Pac (poli-tica agrico-

la comunitaria)è sotto accusanon da ora.Negli anni No-vanta, di fron-te all’impasseeuropea, im-prese ed entilocali risposeroincentivandola ricercascientifica especificando laproduzione nelsenso di unamaggiore qua-lità. Questo in-dirizzo spinsea ricercare lacollaborazionedell’università.

L’IMPASSEEUROPEA

I PROGETTI MEDA COMEPEGGIORE

PARADOSSO DIFONDI EUROPEICHE VANNO AI

GRANDI GRUPPII QUALI

LI PRENDONO EDELOCALIZZANOLA PRODUZIONE

ALL’ESTERO

PAGINA 3

Page 4: Dossier Agricoltura fascicolo 1

PAGINA 4

gli anni in cui Pio La Torre denunciò nell’associazioni-smo agrumicolo questo tipo di costume. A Villabate erapresente in uno su cinque casi e serviva per specularesui fondi comunitari, per distruggere gli agrumi sotto icingolati o per la trasformazione fasulla contro cui iomi misurai già nel ’92. Ma le istituzioni dov’erano? Le istituzioni non hanno creduto alla modernità. Moltospesso l’autonomia non è servita per tutelare i progettiidentitari. Permane l’equivoco di fondo per cui l’iden-tità siciliana è vista come separazione o come deroga.Ci è del tutto estraneo per esempio il modello associa-zionistico e cooperativo olandese che vanta un fondo digaranzia nel quale i soci sono obbligati a versare unapiccola somma che si aggiunge ai fondi dello Stato, percui quando arriva la crisi commerciale ci si blocca e siattinge da quel fondo per supportare i produttori. Un ta-le meccanismo da noi non esiste.Eppure sembra l’uovo di Colombo.Sì, ma richiede prove di fiducia, di cultura, di civiltà,di onestà e di capacità a capire che la politica è lì. Quel-la che facciamo noi è solo chiacchiera.Prendiamo il prezzo del latte. La poli-tica può stare a guardare che ci discri-minino in questo modo? Ma è maipossibile? Se la politica deve avere unsenso, deve servire per spostare i fattiverso chi lavora.Quanto all’impasse della politicaagricola comunitaria, che non abbia-mo certo scoperto ora, la provinciaiblea rispose quindici anni fa con unamaggiore produzione di qualità e conla ricerca scientifica. Abbiamo avutoperciò Progetto ibleo, il Corfilac, poil’Asca. Realtà che però hanno delu-so.Io non sono così deluso. Bisogna vede-re da quale punto di vista si guarda. IlRagusano continua senza dubbio a rap-presentare un punto di eccellenza, ma è chiaro che que-sta capacità di costruire strutture moderne deve poieguagliare il valore del prodotto. E lì purtroppo gli an-tagonisti, gli altri, gli acquirenti, il sistema agro-indu-striale, sono forti a tal punto da annullare qualunquesforzo. La logica di spendere di più per produrre senzasapere quale può essere il risultato non paga. Anche seci sono piccoli problemi, dimensionamento, gestione,l’importanza per esempio del Corfilac è enorme.Quindi questi organismi tipicamente iblei sono statiutili.Preziosi. Secondo me il Dop non si può gestire senzaqueste strutture, che fanno un lavoro utilissimo, un la-voro che però deve essere accolto dall’azienda. Abbia-mo la fortuna di avere istituti sul territorio che peròbisogna calare dentro l’azienda. Occorre capire l’im-

portanza di un formaggio Dop che non abbia difetti, cheabbia precise caratteristiche. Hanno inventato per esem-pio una macchina, vedevo, che misura anche le fessu-razioni.Il frutto dell’impostazione data venti anni quandofurono coinvolte anche le università. Ricerca scientifica sì, ma se applicata all’assistenza tec-nica. Lo considero un modello importante, che bisognarazionalizzare, mettendo queste strutture al riparo dallapolitica. Non possono diventare luoghi di scorrerie.Questo deve essere chiaro e fintantoché non si farà que-sto non faremo un buon servizio all’agricoltura sicilianaed ibea in particolare.Il fatto è che queste strutture sono oggi espressionedella politica.Già, ma tenga conto del ruolo che può giocare il cultodella... personalità. Il mio giudizio rimane comunquepositivo, anche se l’invadenza della politica è stataenorme. Non saprei fare un bilancio sul personale, sepoco o molto, ma ho visitato questi enti e ho visto ilpersonale molto impegnato.

Contano i risultati. E quelli che si ve-dono sono poca cosa. L’Asca è conge-lata, per esempio. Ma soprattuttomancano dati, censimenti, numeri sucui creare programmi.C’è l’Aras per questo, altra strutturamolto importante. È privata ma maneg-gia dati di interesse collettivo. Ma dicebene lei individuando una grande que-stione ancora aperta, che nessuno si pre-occupa di affrontare. L’unico che neparla oggi in Italia sono io. Parliamo del-la banca data. Mancando, si hanno situa-zioni limite. Gliene dico una. C’èl’Istituto di incremento ippico che deveincentivare la macellazione equina. Magli unici dati li ha l’Aras. Il trasferimen-to delle competenze all’Istituto di incre-mento ippico ha così bloccato questo

sistema. Il che ha significato la ripresa della macella-zione clandestina. Allora io dico: nessuno non deve po-ter immagazzinare un dato che riguardi il sistemaagrario, dove soprattutto si prefiguri un impatto di tiposanitario. Cos’è questa digitilizzazione di cui si parla,questa smart comunity? Sono parole al vento. Voglio labanca data che mi consenta di conoscere del capo del-l’azienda x come è combinato sanitariamente. E se houn capo che deve essere eliminato devo disporre neces-sariamente dei riferimenti statistici. In un sistema mo-derno è inammissibile, insomma, la difficoltà di fare icontrolli. Per garantire la salute pubblica bisogna chela tecnologia entri perciò in modo determinante in que-sto sistema di controlli. Vogliono fare i braccialetti peri detenuti? Facciamoli innanzitutto per i vitelli amma-lati.

Le istituzioninon hanno

creduto allamodernità

Molto spessol’autonomia

non è servitaper tutelare i

progettiidentitariPermane

l’equivoco difondo per cui

l’identitàsiciliana è

vista come separazione ocome deroga

Icriteri di Ba-silea di re-

centeintroduzione

hanno contri-buito a rende-re più difficilel’attività agri-

cola, come delresto gli altri

settori. I rigoriintrodotti cir-

ca la tracciabi-lità dei titoli si

sono rivelatidevastanti in

un settore do-ve molti pro-

duttorilavoravano con

assegni po-stdatati e fa-

cilmentetrasferibili

I DANNIDI BASILEA

Gli anni a cavallo tra Ottanta eNovanta hanno segnato per la

provincia di Ragusa la punta più altadi sviluppo. Nel 1997 il Ragusanovantava il reddito pro capite più alto:24 miliardi, contro i 19 della provin-cia di Catania. In agricoltura la pro-vincia iblea era addirittura la terzanella classifica italiana quanto al fat-turato, con una quota del 47% dellaproduzione ortofrutticola e floricolain serra. Negli stessi anni si parlava di

“modello ibleo di sviluppo” a indica-re un processo combinato di crescitae di produttività che vantava propriol’agricoltura come comparto trainan-te. Il boom floricolo e ortofrutticolosi ebbe proprio in quegli anni, quan-do la legge 23/90 giunse a garantireforti agevolazioni al settore. La Me-diterranea Fiori di Acate ebbe unostraordinario successo grazie all’in-tervento straordinario della regionesiciliana.

I FAVOLOSIANNI NOVANTAQUANDO RAGUSAERA TERZA

COME ERAVAMO

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

L’ASSESSORE

REGIONALE

IL RAGUSANORIMANE UNPUNTO DI

ECCELLENZA ESA COSTRUIRESTRUTTURE

MODERNE MATALE CAPACITÀDEVE SAPEREEGUAGLIAREIL PRODOTTO

Page 5: Dossier Agricoltura fascicolo 1

In questo quadro di vuoti può essere inserito ancheil mercato di Fanello, che era il quinto in Italia conun fatturato di 35 miliardi di lire, ed è oggi divenutola cartina di tornasole della crisi. Cosa gli ha nuo-ciuto?Il mercato di Fanello si è nuociuto da solo. È un luogodove, in un contesto meridionale di riferimento, le nor-me sulla commercializzazione non vengono rispettate.Noi abbiamo una grande urgenza nel Sud: quella di ri-condurre le produzioni alla tracciabilità e di sottoporrele aziende a questo regime. Fino a quando ciò non av-viene l’orizzonte del nostro mercato si fa sempre più ri-stretto.Cosa è successo esattamente al Fanello?Lì si sono scontrate dinamiche in conflitto. Dal mini-stero fino all’assessorato regionale all’Agricoltura, nonsi è compreso già nel 97-98 che occorreva imporsi. Masi tratta di obiettivi che solo uno Stato organico che sicomporti con coerenza può raggiungere. Ci sono sog-getti privati che gestiscono la struttura, dinamiche com-merciali che diventano vincenti. Se insomma faccioentrare la merce a piacimento la gente viene da me. Sec’è un portale attraverso cui posso passare io lo faccio.I mercati sono questo.Mi pare però che il suo giudizio negativo non possarisparmiare nemmeno lei.Io sono molto negativo sul lavoro da me compiuto co-me su quello dello Stato perché non siamo riusciti a vin-cere una partita che rimane aperta. La regola del rispettodelle condizioni Ocm, di commercializzazione e di trac-ciabilità, è un obiettivo sostanzialmente mancato.Eppure il Fanello è ancora lì, un po’ ammaccato, masempre attivissimo.Vede, il Fanello è una struttura forte e potente. All’in-terno troviamo trasporti, imballaggi, provvigioni, con-ferimenti, e ogni settore forma un mondo a sé dentroun’unica struttura dove si incrociano flussi enormi dieconomia e quindi forti spinte al controllo. E quando siparla non più di democrazia ma di controlli questo si-gnifica una cosa sola: mafia.A Vittoria ci sono - o almeno ci sono state - strutturealtrettanto forti e potenti. Rinascita per esempio. Maanche La Mediterranea di Acate, che usufruì neglianni ovanta di una legge regionale, la numero 23,servita a innovarla con forti agevolazioni. Ma inter-venti di questo tipo sono poi mancati.Rifacciamo un po’ la storia in fatto di innovazioni. Glianni Ottanta e Novanta furono segnati in provincia diRagusa da Giummarra. Che è stato il politico che inqualche modo ha dato impulso alle politiche agrarie.Era l’epoca della bonomiana, dei consorzi agrari, deiconsorzi di bonifica. Dalla parte opposta a Giummarraci sono io in provincia, come politico particolare, diver-so, di movimento diciamo, che fa politica in un certomodo, che fa insomma delle battaglie. A un certo puntocomincio a valutare alcuni aspetti che riguardano ap-

punto l’innovazione. E comincio a parlare di metaniz-zazione, microdissalatori, materiali innovativi nella co-struzione delle serre, costo dell’energia. Affrontoinsomma una serie di questioni. Fra cui immigrati, sor-vegliati eccetera. Invaleva allora un sistema politico chedava per esempio a Torrisi le ventole, le famose ventoledi Torrisi, con l’80 dei costi di produzione a sgravio.Sicché maturo una posizione di ostilità sostenendo chefossero gli altri ad avere bisogno del metano. Inciden-talmente le dico che oggi sto proponendo una misura diintervento a favore della metanizzazione delle serre co-me linea generale. Penso di fare un bando. Ma torniamoalla storia delle innovazioni. Lo stesso Torrisi disse pub-blicamente che solo con Aiello non l’aveva spuntata.Lanciai la parola d’ordine per cui tutti dovessero esserefinanziati alla pari. Quello che non ero riuscito in diecianni lo feci in una volta da assessore: gente senza acquache si fa i microdissalatori, la metanizzazione delle ser-re, la legge Saccomandi… Da lì nasce La Mediterranea,che passa dal gasolio al metano per cui in soli due annilo Stato ammortizza il costo dell’impianto sul contribu-to per il gasolio. E allora si ha una rivoluzione agraria.Perché si fa a meno del bromuro di metile e si usa il va-pore, si ha la concimazione carbonica, non inquinante.Le innovazioni quindi in provincia hanno vissuto unafase pioneristica sia nella zootecnia che nell’orticoltura.Parlammo per esempio di rottamazione delle vecchieserre, che è un processo ancora in avanti e che però nonè stato governato democraticamente. Senonché il pas-saggio dalla vecchia alla nuova serra divenne un feno-meno di tipo sociale perché il piccolo e medioproduttore non lo ha potuto sostenere in quanto cam-biava intanto il regime finanziario: mentre prima le ban-che erano aperte e il ciclo era espansivo, poi chiudonogli sportelli e lasciano che le serre si deprezzino fino anon valere più niente. Vuole dire che il grande mito della serra è tramon-tato da un pezzo?No, ma è un settore in crisi profonda. È tramontato in-vece il modello di piccola e media azienda agricola ri-spetto a quella capitalistica. Ma adesso assistiamo a unritorno della famiglia verso l’azienda. Perché con ilpunto più alto di benessere la famiglia aveva cominciatoad acquisire modi di vita borghesi: il figlio laureato, lamoglie che non va più in campagna... Oggi invece sitorna tutti in campagna perché non ce la si fa più. Si ca-pisce che solo il lavoro familiare, non retribuito, puòconsentire di tenere l’azienda e tirare avanti.Mi pare di capire che lei dica che la maggiore azien-dalizzazione penalizza l’economia iblea che è fonda-ta sull’azienda piccola e di tipo familiare.Era fondata, semmai. Ora non lo è più perché non haretto il passo. C’è una tendenza a morire. È stato unmondo scisso quello della serricoltura in questi anni. Siè perduta l’unità complessiva del progetto, che è defla-grato, per cui si è rotto il blocco sociale che vedeva la

Io sono moltonegativo sullavoro da mecompiutocome suquello delloStato perchénon siamoriusciti a vincere unapartita cherimaneaperta. Laregola del rispetto dellecondizioniOcm è unobiettivomancato

PAGINA 5

Il mercatovittoriese di

Fanello ha co-stituito negliultimi decennidel secoloscorso una re-altà fortemen-te trainante.Mitica l’imma-gine dei Tirche partivanoall’alba per ilcontinente.Era il quintoper grandezzae commercia-lizzava duemilioni diquintali di or-tofrutta conun volume diaffari di 350miliardi

IL MITOFANELLO

Page 6: Dossier Agricoltura fascicolo 1

piccola e media azienda unita in un modello di crescitaaperto a tutti. Questo modello ha poi visto le grandiaziende staccarsi, magari aprirsi ad altri interessi, men-tre i piccoli venivano lasciati soli e considerati comezavorra a perdere. Che è dopotutto lo spirito della Pac,sinonimo di morte a termine. Un’illusione, perché se lapolitica agricola comunitaria si applica nel Far West al-lora può funzionare, ma nel Mezzogiorno significa larovina e il fallimento. Prenda centri produttivi comeMazzarone: fuori dell’uva da tavola cosa c’è? Le citta-dine medie come Bagheria, Vittoria, Paternò, le cittadi-ne contadine che hanno una base agricola eterziarizzata, prive di grandi gruppi industriali, cosa di-ventano se si rinuncia a capire che l’agricoltura - chesia il vigneto, la serra, l’agrumeto - è un fattore innan-zitutto di identità? Cosa significa l’agrumeto per la Pia-na di Catania se non insediamento, civiltà, paesaggioprima che soldi e stipendi? Questo significa che dob-biamo difenderci per tanti motivi, non per uno. Le po-litiche che parlano di multifunzionalità sono in realtàun invito alla riconversione: ti diamo soldi e basta. E lacosa mostruosa che c’è dietro queste politiche è il dis-solvimento dell’apparato produttivo. Non c’è più l’at-tenzione sul prodotto del territorio, che chiunque puòandare a prendersi dove vuole.Ma pesa di più la Ue o lo Stato italiano? Chi remadi più contro?A mio avviso parliamo di sfumature. Abbiamo una fi-losofia istituzionale per cui l’Ue è il bozzone dove sidecide tutto, mentre lo Stato è più vicino e lo si può an-che accusare. L’Ue sembra immune, un ente che esistee basta. Contro ciò che decide l’Ue nonpossiamo fare niente.Eppure l’Ue è una fonte generosissi-ma.Molto denaro niente soldi. Questo dicoio. Che senso ha fare i bandi? Se leaziende sono grosse hanno un’autono-mia di finanza, di programmazione e diattività per cui il bando Ue ha un senso.Sempreché non sia burocratico comeoggi: vengo escluso per aver dimentica-to il certificato di nascita. Ma se questacondizionalità è estesa a tutto il settoreè sbagliata. Se insomma io come Ueimmagino un progetto di filiera per rin-novare l’apparato, devo pensare a quel-le aziende in grado di spendere quattroo cinque milioni l’anno, perché se questo tipo di condi-zionalità la estendo ai piccoli creo solo problemi a par-tecipare. Produttori di due o tre ettari hanno difficoltà atrovare e impiegare quindicimila euro solo per prepa-rare il progetto. Non solo. Ma è sbagliata di per sé l’ideache la politica agricola si possa esercitare con i bandi.Non si possono tenere separati la volontà individuale eil tempo necessario all’intervento comunitario. La pic-cola azienda ragiona così: io ho concluso l’annata. Sonoa casa con i miei figli e dico: “Questa serra dobbiamocambiarla”. “Va bene, papà: domani la cambiamo”. Edè fatta. Punto. La piccola azienda vive così. Ha una or-ganicità decisionale che non è quella del bando.Lei cosa propone allora?Operare a sportello. Quello che decide la bancabilità.Tu vieni, io approvo il progetto se è bancabile, ti do ifondi e parti.Questo significa legarsi alla banca.

È vero. Ma il problema della bancabilità rimane secon-dario se parliamo di flessibilità, che solo lo sportellopuò garantire. Quello che conta è che se vieni dall’isti-tuto di gestione puoi essere finanziato in rapporto alletue energie. Certo, c’è anche da affrontare il problemadel “de minimis”. L’aiuto dello Stato è uguale alla mor-te. Settemilacinquecento euro in tre anni sono niente.Non è sovvenzionabile nessun credito, nessuna garanziasussidiaria è possibile. Vado in banca e non ottengoniente. Se chiedo aiuto a enti paralleli, l’Ismea peresempio, non me lo danno, perché non fanno la vocegrossa con le banche. E non la fanno perché non c’è unapolitica che dica: l’obiettivo è salvare l’azienda. In ognicaso il concorso statale interviene nell’arco di un trien-nio per cui i soldi si perdono, vengono revocati, non ba-stano. Lo sportello è allora la possibilità aperta in ognimomento. Bancabilità e invito alla spesa significano se-guire le vicende di un’azienda.Siamo ancora lì. La banca lavora per sé.La banca fa il suo lavoro, è vero. Il problema del creditoè in realtà una questione aperta. Ma come ci si comportaora vuol dire mandare al macello migliaia di aziendeagricole. Appena entrano in crisi non hanno una lira emuoiono.A quel punto dovrebbe intervenire la Regione.A quel punto si dovrebbe ricostruire l’intero impiantodel credito e definire come si debba fare. E siccome leaziende che hanno una storia alle spalle non possono fi-nire in malora, io dico che se sono ancora in bilico ve-diamo allora cosa si può fare: perché lì c’è unpatrimonio di lavoro autonomo che può rinascere, che

è presidio per il territorio, lavoro vero,non il posto al Comune. Epperò se iovoglio che debbano scomparire non mipongo domande di questo tipo. Ed èquello che sta accadendo.

on dovrebbe essere proprio l’asses-sorato alle Risorse agricole a porsiqueste domande?Parliamo di una macchina già allestita.Io sono un tipo problematico, tanto danon approvarla. Ma per ricostruire e ri-partire altro che Aiello, altro che Regio-ne siciliana. Occorrono unità del Sud,politiche collegate, consapevolezza diciò che perdiamo e vogliamo, di comeci riferiamo alla politica nazionale, dicome i nostri interessi si esprimano in

sede comunitaria. Ma per avere tutto ciò è necessariauna mediazione tecnica che io non sono in grado di pro-durre, perché è tutto molto complesso. A me è costatoanni di lavoro e di fatica riuscire solo a descrivermi iproblemi per poi tradurli in un progetto politico. In fon-do i movimenti agricoli di questi cinque anni sono finitimale perché in Sicilia le realtà agrarie sono politica-mente immature. Ogni città ha un condottiero e nei mo-vimenti c’è stato un mal di pancia per il modo in cui tichiedono i pagamenti, ti avvicini alla banca, ti relazionicon i mercati. Bisogna a questo punto modificare, secondo la suaricetta, tutta la nomativa relativa al rapporto con leaziende. Bisogna intanto farla finita con le politiche fasulledell’associazionismo inesistente. Bisogna che se io ri-mango al mercato fatturo e basta, senza cedere nulla al-le Op. E poi: marchio Sicilia, politica del credito

La decisionedella Com-

missione euro-pea, approvata

poi dal Parla-mento di Stra-

sburgo, diabbattere le

frontiere per iprodotti africani

(l’accordo Ue-Marocco) ha de-

terminato unvantaggio per

l’agricoltura in-dustriale delSettentrione

mentre ha dura-mente colpito

l’agricoltura delSud, contadina e

familiare

UN ACCORDOPUNITIVO

LA POLITICA DEIBANDI EUROPEI

NON PUÒ FUNZIONAREPER I PICCOLIPRODUTTORI.

L’IDEA NUOVA ÈQUELLA DELLO

SPORTELLOBANCARIO

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

L’ASSESSORE

REGIONALE

PAGINA 6

Le politiche cheparlano di

multifunzionalitàsono in

realtà un invitoalla

riconversione:ti diamo soldi ebasta. E la cosa mostruosa che

c’è dietro queste politiche

è il dissolvimentodell’apparato

produttivo

Page 7: Dossier Agricoltura fascicolo 1

rinnovata, condizionalità rapportata alla spessore del-l’azienda, modifiche degli infernali modelli dei bandi,che secondo me sono una diseconomia permanente. Sesi volesse davvero salvare l’agricoltura, allora ricom-pattino tutto, stabiliscano un budget e lo mettano al ser-vizio di processi rapidi. Una parola. Oppure una chimera.Senta, ci sono trentamila aziende nel Mezzogiorno. Al-cune sono morte e non le recupera più nessuno. Altre sipossono salvare con misure di ristrutturazione del de-bito aziendale rimettendole quindi sul mercato. E poioccorre tenere lo sguardo sulle tipicità, le qualità, ilmarchio. Intervenire sui trasporti, sui costi di produzio-ne. Ho sempre immaginato un Osservatorio sui costiveri europei. Che significa monitorare tutti i costi. Pren-diamo il gasolio. In Italia costa due euro, in Germaniauno. Essendo il costo medio pari a un euro e cinquanta,io ho diritto come azienda ad avere 50 centesimi di aiu-to. Loro pagano di meno. Non li costringerò a pagareun euro e cinquanta ma non possono chiedere un eurodi aiuto. E così lo Statuto è rispettato e si parificano icosti in Europa. Ma non lo vogliono fare, perché lo san-no cosa comporterebbe.Chi non lo vuole fare?Quanti pensano che il Sud Europa non debba fare agri-coltura. Alla base di tutto c’è questo mio convincimentoradicale: vogliono annientare la capacità di produzioneagricola del Sud Europa.Quindi stiamo parlando di nuovo dell’Unione euro-pea. Ma non abbiamo i nostri eurodeputati lì?Sono tutti liberalisti, destra e sinistra ragionano allostesso modo. Al primo Green Corridordi nuova generazione, si ricorda cosa fe-ce Alemanno? Mentre si atteggiava a fa-scista di facciata, era internazionalistanella sostanza. Ha fatto un programmaMeda che è uno scandalo: Legacoop,Cooperativa San Michele (pugliese, diAlemanno), Coferasta, Masterplan unitepresentano un progetto Meda per non soquante centinaia di milioni di euro perintervenire in Egitto. Sicché la grandedistribuzione apre al Sud del Mediterra-neo. Quando abbiamo tradotto il proget-to dall’inglese, dopo averlo avuto dallaFarnesina perché il ministero dell’Agri-coltura non l’aveva, a un certo punto ab-biamo trovato che veniva proibital’importazione in Italia di mele e kiwi. Cosa significava questo? Che i nostri amici emiliani si erano preoccupati, avendocooperato alla stesura dell’accordo, di impedire che dal-l’Egitto e da altre parti del mondo entrassero in Italia lemele, che pure l’Egitto non produce, tanta è stata la pre-munizione. Allora: voi vi tutelate fino a questo punto,ma lasciate che entrino in Europa produzioni concor-renti con quelle siciliane e meridionali. In Spagna ac-cade la stessa cosa: i commercianti spagnoli fanno jointventure con i commercianti del Marocco, dove imbal-lano, etichettano e immettono in Europa “made inSpain”. Ebbene, questo flusso a tenaglia sta distruggen-do il Mezzogiorno. E in particolare la Sicilia.Naturalmente. La mia posizione è radicale e parte dal-l’idea che la politica non serve a nulla se non nel terri-torio. Io sono nato in Sicilia e sono cristiano perché

siciliano. È il territorio che decide per noi. Fare politicaper fare che cosa? Non ha senso se non sei legato al tuoterritorio. Che vuol dire essere coerenti e denunciarequeste cose, anche se a un deputato non è richiesto as-sumere questo comportamento.Occorrerebbe allora denunciare quanto sta succe-dendo al vino, che torna a essere zuccherato e quindisofisticato.Infatti. Si stanno perdendo venticinque anni di sforzifatti in viticoltura. Ma denunciamo anche quanto sta av-venendo in merito all’art. 62 della legge sull’abbatti-mento delle frontiere e la liberalizzazione delle merci.Cosa sta avvenendo?Per la prima volta la Sicilia ha presentato un documentosull’art. 62 della legge con cui il ministro ha posto al-cuni paletti sul pagamento entro trenta giorni della gran-de distribuzione, il rispetto dei contratti e l’esistenza dipatti scellerati che vengono imposti ai produttori. NelSud il sistema delle provvigioni illegali è diffusissimo.E lo Stato fa finta di non vedere. Di cosa si tratta?Vengo da lei ad acquistare la serra o il prodotto. Glielopago 70 centesimi ma mi deve dare il 10 per cento.Un pizzo quindi.Sistematico.A che livello è diffuso il fenomeno?A tutti i liveli. Non c’è una transazione che prescindada questa logica. Secondo punto del nostro documento:la doppia attività, cioè le figure camuffate. Se il proble-ma è la vendita, emergenza del prezzo non ce ne puòessere perché chi compra in conto commissione lo fa

per sé. E questa è la doppia attività.L’art. 62 del ministro Catania tende acombattere questo abuso ma temo chesia rimasto accerchiato dai poteri chevogliono condizionarlo, per cui non soquale possa essere la fine dell’art. 62,che è nato ed è stato soppresso nellaculla.Dunque la Sicilia stavolta non fa laparte di chi difende le illegalità.Al contrario: attacchiamo gli altri, so-prattutto le regioni del Nord sul con-cetto di legalità nella filiera. Che nonc’è. Il ministro ha detto che la filiera èferma al Dopoguerra e io sono d’accor-do. Dico che ci sono condizioni di ille-galità diffuse in tutti i segmenti che

dicevo, che poi fanno massa critica e che bisogna avereil coraggio di affrontare, perché anche se facciamo tuttoil discorso sulla produzione ma non ci occupiamo poidei canali attraverso cui quella merce deve muoversinon abbiamo fatto niente. Fatto cento il valore finaledel prodotto al consumatore, solo quindici va al produt-tore. C’è anche il fenomeno della premialità, se vogliamo.Un altro abuso.Un altro scandalo che l’art. 62 vuole risolvere: la pre-mialità appunto nel rapporto commerciale. Tutti i grandigruppi pretendono un premio d’acquisto del 6 o del 7%.Ma c’è anche la premialità parallela: la promozione.Con finanziamenti sia delle istituzioni che delle stesseaziende. La grande distribuzione organizzata si vendeil progetto e si fa la pubblicità con fondi regionali, na-zionali ed europei per miliardi di euro. A tutto ciò comeRegione ci siamo opposti pubblicamente.

LA POLITICANON SERVE A

NULLA SE NONIN FUNZIONE

DEL TERRITORIO.CHE VUOL DIRE

ESSERECOERENTI

E DENUNCIARELE STORTURE

PAGINA 7

Il cooperati-vismo e l’as-

sociazionismosono state ledue grandichimere. LacooperativaRinascita diVittoria nel‘98 registravaun fatturato di50 miliardi,contava 1400soci e 250 di-pendenti.Stessa fortunaavevano lacooperativaRisorgimentodi S. Croce eAgrisud di Vit-toria.

LE COOPCHIMERA

Ci sonotrentamilaaziende nelSud. Alcunesono mortee non le recuperapiù nessunoAltre si possonosalvare conmisure di sostegnodel debitoaziendaleE poi occorretenere losguardosulletipicità, lequalità, ilmarchio

Page 8: Dossier Agricoltura fascicolo 1

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

LE CIFREDELLA CAMCOM

2012

2011

IL SALDO È POSITIVOANZI NEGATIVO

REGISTRAZIONI COSTANTI PERCHÉSI ASPETTA DI VEDERE L’EPILOGODEI CREDITI E DEGLI INVESTIMENTI

Provincia Comune Registrate Iscrizioni CessazioniRAGUSA ACATE 495 6 19

CHIARAMONTE GULFI 470 6 8COMISO 744 6 10GIARRATANA 108 1 3ISPICA 503 2 8MODICA 1.314 9 17MONTEROSSO ALMO 76 3 0POZZALLO 166 0 0RAGUSA 1.558 8 16S. CROCE CAMERINA 522 3 10SCICLI 957 4 16VITTORIA 2.925 48 47

Totali 9.838 96 154

Provincia Comune Registrate Iscrizioni CessazioniRAGUSA ACATE 509 25 20

CHIARAMONTE GULFI 478 15 7COMISO 739 30 27GIARRATANA 111 1 2ISPICA 503 12 20MODICA 1.325 26 30MONTEROSSO ALMO 73 1 6POZZALLO 168 9 6RAGUSA 1.561 46 42S. CROCE CAMERINA 534 17 13SCICLI 969 24 42VITTORIA 2.907 127 111

Totali 9.877 333 326

L’ANDAMENTO NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI

PAGINA 8

Page 9: Dossier Agricoltura fascicolo 1

2010

2009

on deve ingannare il fattoche negli ultimi quattro anniil numero delle aziende agri-cole registrate alla Camera

di commercio si mantenga suppergiùcostante, nonostante le oscillazioni trale nuove iscrizioni e le cancellazioni.E non deve ingannare perché, secondoil segretario generale della CamcomCarmelo Arezzo, “il saldo positivo èprovvisorio dal momento che si aspet-ta che i nodi vengano al pettine”. I no-di si chiamano investimenti già fatti ecrediti in esecuzione. Nessuna aziendadecide di chiudere senza aspettare divedere il risultato delle operazioni in-traprese. “La questione si porrebbetraumaticamente qualora - spiegaArezzo -le banche dovessero imporreil rientro del credito o gli investimentidovessero risultare negativi. Potrem-mo allora vedere la colonna delle ces-sazioni aumentare in manieraesponenziale. Ma fino a quando ci so-no interlocuzioni con la pubblica am-ministrazione, progetti in via diapplicazione e pratiche ancora aperte

non è possibile avere una mappa esattadella realtà iblea”.Dunque i dati non devono confondere,perché l’andamento del settore agrico-lo è nei fatti pesantissimo, almeno dacinque anni a questa parte, in conci-denza cioè con l’inizio della grandecrisi internazionale che sull’agricoltu-ra meridionale è arrivata prima e coneffetti più deleteri. Il saldo col segnopiù appare ancora più virtuale se si tie-ne conto che le nuove iscrizioni regi-strano anche quelle attività agricoleintraprese dai giovani produttori grazieai finanziamenti a fondo perduto stan-ziati fino all’anno scorso dalla Regio-ne. Si tratta di ventimila euro che nonsempre vengono investiti. Dunque ilpiù delle volte vengono registrate atti-vità che esistono solo sulla carta.“Questo fenomeno - continua Arezzo- comporta che si abbia un aumentodel numero ma non un rafforzamentodel comparto, che appare anzi semprepiù indebolito, anche per effetto delmercato internazionale nella cui logicaha valore solo la grossa quantità, per

cui la grande distribuzione organizzatacura i propri intreressi rivolgendosi al-la grande commercializzazione orga-nizzata ignorando, e quindipenalizzando, il mondo parcellizzatodelle piccole imprese. Di conseguenzala nostra azienda agricola, che è stori-camente di tipo individuale e familia-re, rimane tagliata fuori dal circuito”. Cosa fa dunque il piccolo imprenditoreagricolo ibleo? Continua, come sem-pre, a conferire al mercato spuntandoil prezzo di quotazione quotidianosempre più basso. L’esperienza delpassato dell’associazionismo e dellacooperazione, che in provincia ha purdato buoni frutti, ha esaurito negli ul-timi anni ogni spinta e l’agricoltore, ilpiù delle volte coltivatore diretto, si ètrovato a seguire logiche ottocente-sche: coltivare e portare al mercato. “La verità - conclude Arezzo - è chel’associazionismo è stato visto comeun mezzo per risparmiare nelle forni-ture e non come una strategia di tipoemiliano di aggressione in forze delmercato”.

Provincia Comune Registrate Iscrizioni CessazioniRAGUSA ACATE 502 22 49

CHIARAMONTE GULFI 467 14 12COMISO 732 29 47GIARRATANA 112 5 8ISPICA 510 10 33MODICA 1.327 30 45MONTEROSSO ALMO 78 3 8POZZALLO 164 7 19RAGUSA 1.556 26 77S. CROCE CAMERINA 530 31 35SCICLI 982 26 86VITTORIA 2.871 151 230

Totali 9.831 354 649

Provincia Comune Registrate Iscrizioni CessazioniRAGUSA ACATE 531 24 43

CHIARAMONTE GULFI 465 10 23COMISO 745 24 48GIARRATANA 115 1 2ISPICA 532 6 47MODICA 1.340 27 41MONTEROSSO ALMO 83 1 4POZZALLO 176 7 15RAGUSA 1.603 31 68S. CROCE CAMERINA 530 27 30SCICLI 1.042 17 58VITTORIA 2.938 118 202

Totali 10.100 293 581

PAGINA 9

N

Page 10: Dossier Agricoltura fascicolo 1

’impegno della Confederazione italianaagricoltori e del suo presidente regionale,il ragusano Carmelo Gurrieri, è di affer-mare un’equazione: dove crolla l’agricol-tura cede pure l’occupazione. Fino acinque anni fa la provincia di Ragusa van-tava il minor tasso di disoccupazione in

Sicilia e questo perché il mondo del lavoro orbitava at-torno a un’economia di massa qual è l’agricoltura chea sua volta reggeva un indotto anch’esso di massa. Ogginon è più così. L’agricoltura iblea ha perso lo slanciodi un tempo e i livelli occupazionali sono calati. Per unsettore che fino al 2005 vantava il primato italiano nellaclassifica delle provincie più agricole, seguita da Cre-mona, è più di un campanello d’allarme. Eppure l’eco-nomia agricola iblea mantiene ancora oggi livelli di altaproduttività: il suo Pil è un quarto di quello siciliano, ildoppio di quello dell’industria e la sua produzione an-nua sfiora i 600 milioni di euro. Ma è calato di almenootto punti, dal 18 al 10, rispetto agli anni migliori. Gurrieri, da dieci anni a capo della Cia siciliana, conti-nua a caldeggiare sempre la stessa ricetta: «L’agricol-tura deve tornare a fare da traino all’economia sicilianae deve perciò allearsi con un’altra grande risorsa che èil turismo. L’agriturismo ha grandi chances in Sicilia,che sarebbe un’altra cosa senza la cultura del mandorlo,dell’ulivo o del carrubo. L’enogastronomia è anch’essaun mezzo per fare turismo. Bisogna capire che l’agri-coltura svolge una funzione turistica perché contribui-sce alla tutela dell’ambiente, valorizza il paesaggio,sostiene le varietà gastronomiche». Ma perché ciò av-venga è necessario che l’agricoltura torni a essere con-

siderata centrale e portante, cosa che non avviene più.Ma prima ancora, secondo Gurrieri, occorre che sianoforniti strumenti di riduzione dei costi di produzione.Un caso è per esempio il costo dell’acqua che gli agri-coltori potrebbero pagare di meno se i Consorzi di bo-nifica fossero alleggeriti. Oggi i dipendenti sono in tuttala Sicilia 2800 (400 in provincia), uno per ogni 40 ettari- contro il rapporto di uno a 400 in Lombardia - e pe-sano sulle casse della Regione per 120 milioni. Le spesedi personale hanno anche comportato il fermo di 500trattoristi dell’Esa e la crisi di 25 consorzi di ricerca.Ma il problema non è soltanto di risorse economiche.Il regresso dell’economia come settore trainante ha si-gnificato ben più gravi effetti negativi. Ancorché capacedi incidere sui mutamenti climatici, migliorare l’am-biente, incoraggiare le diversificazioni energetiche coni biogas e le agroenergie, l’agricoltura non riesce più aessere centrale. «È vista come un settore marginale,espressione - spiega Gurrieri - di un’economia retrogra-da. Per i grandi economisti non è più una cultura forteormai in tutto il mondo. Le dinamiche commerciali eproduttive mondiali non considerano più l’economia unsettore utile». Questa visione figlia della globalizzazione e della su-premazia sempre maggiore della tecnologia industrialeha messo in una luce ancora più cattiva la Sicilia, dovel’agricolutra continua a restituire un’immagine bucoli-ca, ottocentesca, familiare. In provincia, per via dellastorica parcellizzazione del territorio e del primatodell’istituto dell’enfiteusi sul fenomeno del latifondi-smo, la coltivazione della terra ha conservato un trattodomestico, attardato. L’agricoltore è sempre stato, nella

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

LE ASSOCIAZIONI

DI CATEGORIA

CIA

PAGINA 10

Le dinamichecommerciali e

produttivemondiali nonconsiderano

più l’economiaun settore

utile. Che è visto come

espressione diregressione,qualcosa di

bucolico e dicontadino

L’agricolturaiblea, di

fronte alle diffi-coltà di oggi, ètornata a logi-

che primonove-centesche e

quindi alla ri-configurazionedi un apparatodi tipo familia-

re. Genitori e fi-gli lavorano

insieme anchegiorno e nottenon dando piùalcun valore al

lavoro e a tuttele sue acquisi-

zioni anche sulpiano della salu-

te

LA FAMIGLIAIN CAMPAGNA

RIGUADAGNARELA FORZA PERSA

L

IL PRESIDENTE REGIONALE CARMELOGURRIERI PARLA DI DECREMENTO DI APPEAL SUL PIANO INTERNAZIONALE

Page 11: Dossier Agricoltura fascicolo 1

generalità dei casi, il contadino. Questi ritardi, in un mondo che ha accelerato la corsaverso la tecnologizzazione dell’impresa agricola, hannofinito per determinare, arrivata la crisi economica pla-netaria, conseguenze rovinose.“Non abbiamo conoscenza di ciò che oggi c’è dietrol’agricoltura” commenta Gurrieri. Avere infatti rallen-tato la promozione della ricerca scientifica ha signifi-cato rinunciare a un patrimonio genetico proprio, sicchéuna delle varietà più diffuse, il ciliegino, viene prodottain provincia grazie ai semi di cui gli israeliani e le mul-tinazionali detengono il brevetto. E un chilo di semi puòcostare da trenta a quarantamila euro, impegnando cosìin maniera pesante un’azienda. ma anche innestare unapiantina ha un costo elevato, superiore a un euro. Com-prare tutto, dalle sementi ai fitofarmcaci, ha comportatodunque un aumento del costo di produzione che ha agi-to come un selettore automatico tagliando le piccoleaziende - lo zoccolo duro dell’agricoltura iblea - chenon sono riuscite a stare al passo delle innovazioni edei prezzi in crescita. A tutto ciò si aggiunge quanto dice Gurrieri: «L’agri-coltura siciliana non è più al centro delle scelte pubbli-che». Scelte influenzate dalle impietose logicheinternazionali, che costringono i mercati poveri a rivol-gersi, volendo essere competitivi, a quelli ricchi. Un’of-ferta che non segua la domanda - e la domanda èsempre estera - e non ragiona sulle lunghissime distanzeè destinata a soccombere. «Noi abbiamo produttori di qualità - dice Gurrieri - euna strada obbligata: trattare con il Nord Europa e conl’Est, la Russia per esempio. ma ci occorre un sistemache valorizzi la nostra unicità produttiva». È proprioquello che non abbiamo. Fra tutti i mercati del Sudd’Europa quello siciliano è il più distante e il più svan-taggiato per via dei trasporti. L’ortofrutta ragusana è an-cora più in deficit delle altre perché la provincia non haun metro di autostrada né un aeroporto né treni mercifunzionanti né un porto efficiente. Oggi peraltro rag-giungere Messina e superare lo Stretto, per via dell’au-mento del traffico gommato, è diventato ancor di piùun fattore negativo perché rallenta i trasporti. Negli ul-timi dieci anni il traffico è aumentato ma i collegamentistradali interni sono peggiorati. E i trasporti, per ragionidi competitività anche sui tempi, si svolgono solo sugommato. Un aeroporto come quello atteso a Comisoche si specializzasse nel trasporto mercantile, giacchéFontanarossa impegna solo il traffico passeggeri, po-trebbe costituire una provvidenziale valvola di sfogo.Così pure il completamento dell’autostrada Rosolini-Gela. Molto meno il porto di Pozzallo perché oggi imercati richiedono massima velocità nelle consegne.

Ogni giorno solo da Vittoria partono circa 300 Tir cari-chi di ortaggi e in gara con gli altri Tir, spagnoli e israe-liani soprattutto, diretti tutti nei mercatialto-continentali. Fra febbraio e marzo i Tir che muo-vono dalla zona trasformata diventano anche 600 algiorno. Tutti finiscono nell’imbuto dello Stretto di Mes-sina dove possono perdere anche due o tre ore prezio-sissime. Per questo i camionisti iblei sono considerati ipiù veloci d’Italia: perché sono stati costretti a impararea correre. Dove possono e quando possono. Sicché sonoanche tra i più multati. Le pressioni messe addosso ai trasportatori sono il ri-sultato delle sfide che l’agricoltura iblea si è data e cheha portato a un incremento della produzione. Se fino aqualche tempo fa il ciclo di una coltivazione in serra sichiudeva dopo tre mesi, oggi può arrivare anche a diecimesi grazie all’innovazione cui i serricoltori si sono vo-tati: serre alte fino a cinque o sei metri con piante didieci metri che si riesce a fare curvare, a differenza diun tempo quando era possibile coltivare solo ortaggibassi, impianti in ferro e non più in legno, plastica nonpiù generica, buona per ogni ortaggio, ma specifica perciascuna varietà, dal peperone alla melanzana, capacedi regolare la penetrazione dei raggi solari.Ma questo ha significato un aumento dei costi che nontutti si sono potuti permettere. Non si è apprezzata solola plastica. Più alto è diventato anche il prezzo di fito-farmcaci e pesticidi, proprio perché migliorati comeprodotti. L’introduzione dell’Imu ha poi pesato più dellavecchia Ici, ma soprattutto è stata l’energia a fare lievi-tare i prezzi. Il gasolio agricolo è aumentato del 60%passando da 50 centesimi a un euro e 10. E il gasolioagricolo è ancora oggi in quasi tutti gli impianti iblei,ad esclusione della Mediterranea Fiori, la sola fonte dienergia impiegata.Infine la voce più amara: il credito bancario. Tutti gliistituti hanno cancellato il credito agrario e la legge re-gionale 13/86 sull’abbattimento degli interessi è stataattiva fino al 2000. Oggi non sarebbe più riproponibileperché configurerebbe un aiuto di Stato in violazionealle disposizioni Ue. Dall’Unione europea sono poi ve-nuti altri vincoli alle banche costrette a valutare i ratingdi ogni azienda ai fini del prestito. Prestito che comun-que, per via dell’attuale crisi, è venuto meno. La solaBanca agricola popolare di Ragusa continua in qualchemodo a svolgere un’attività di assistenza ma le condi-zioni di accesso al credito sono diventate sempre piùdifficili e onerose.«Abbiamo ottenuto che la Crias intervenga a favore an-che degli agricoltori - dice Gurrieri - ma si tratta perlo-più di anticipazioni sui crediti delle aziende. Pocacosa».

Abbattimento delle accise sul gasolio agri-colo e i carburanti, controlli sui prodotti

esteri, apertura del credito, agevolazioni re-gionali, riposizionamento del ruolo culturaledell’agricoltura sullo scacchiere socio-econo-mico nazionale: questi i temi al centro dellapiattaforma rivendicativa della Cia siciliana.

Il presidente regionale della associazione deiproduttori storicamente vicina a iostanze di-

nistra e progressiste, Carmelo Gurrieri, giudi-ca l’agricoltura iblea alla stregua di quella

siciliana, sullo stesos piano di difficoltà

LE RICHIESTE DELLA CIA: INIZIAMOCON L’ABBATTIMENTO DELLE ACCISE

PAGINA 11

Il problemadei trasporti

continentalicostituisce ilpiù grossoostacolo a unastrategia orga-nica. Ma anchequando tuttele infrastruttu-re si realizzas-sero (porto diPozzallo e ae-roporto di Co-miso) nonsarebbe co-munque possi-bile unsistema inter-modale, rima-nendonecessari i Tiragli arrivi negliscali marittimie aerei.

TRASPORTIHANDICAP

L’agricolturadeve tornarea fare datrainoall’economiasiciliana edeve perciòallearsi conun’altragranderisorsa che èil turismo.L’agriturismoha grandichances inSicilia, chesarebbeun’altra cosasenza questeculture

Page 12: Dossier Agricoltura fascicolo 1

tto anni fa la crisi non mordeva co-me oggi, ma le banche avevano co-minciato a restringere quella cheoggi è la facilità perduta al credito. Idirigenti ragusani della Coldiretti,presidente Giuseppe Guastella, di-rettore Enzo Cavallo, ebbero l’intui-

zione di istituire un consorzio fidi che chiamarono“Impresa verde”. Quel consorzio, in mano poi all’attua-le presidente Mattia Occhipinti, ha fatto molta strada e,dopo essere stato istituito in tutta la Sicilia, oggi è lapunta di diamante della Coldiretti nazionale. Tanto daaversi un paradosso: le istanze vengono esaminate aRoma, comprese quelle ragusane.L’iniziativa si è oggi consolidata e i soci della Coldirettihanno trovato una linea di credito alla quale hanno at-tinto in molti. Ma non tutti. Le banche, per il 50% cheresta a carico del socio, continuano a fare il loro lavoroe di fronte a richieste non supportate da solide garanziereali o fideiussioni più che sicure si tirano indietro. Ilfatto nuovo è semmai il criterio di affidamento che gliistituti di credito esercitano. «Anziché una valutazione di tipo oggettivo - dice Mat-tia Occhipinti, presidente della Coldiret-ti provinciale - abbiamo visto bancheche valutano la storicità di un’azienda enon esitano a puntare su quelle che han-no avuto un passato prospero e possonoquindi essere rimesse in corsa». Un criterio del tutto eccezionale e co-munque non sempre applicato. Le ban-che che operano in tal senso sono,secondo Occhipinti, la Banca agricolapopolare di Ragusa e Unicredit, il vec-chio Banco di Sicilia: gli istituti insom-ma che più si sono spesi a favoredell’agricoltura iblea anche in tempi incui erano le banche che cercavano gliagricoltori e non viceversa come accadeoggi.Fino a dieci anni fa banche e aziende agricole facevanoparte di un combinato disposto che in provincia ha se-gnato picchi di produttività e qualità. Poi, con l’insor-genza sempre più invasiva della globalizzazione,banche e aziende agricole hanno cominciato ad allon-tanarsi. «Ma senza l’esercizio del credito - osserva EnzoCavallo, storico dirigente di Coldiretti e oggi presidentedel Distretto siciliano lattiero-caseario - le aziende agri-cole sono come alberi senza acqua». Oggi le cose sono

molto cambiate. Stretta creditizia da un lato e pressionefiscale da un altro hanno portato a una situazione nellaquale proprietari delle attività agricole sono di fatto lebanche e la Serit. Le quali operano perseguendo logicheche Cavallo definisce «non compatibili con le esigenzedell’impresa agricola». Si tratta di esigenze che, fino all’affermarsi dei processidi globalizzazione e delle logiche comunitarie e nazio-nali circa la tracciabilità dei flussi, hanno caratterizzatol’economia agricola soprattutto iblea. Che ha fatto lasua storia sulla “girata” dell’assegno, fino anche a diecitrasferimenti e più. Ogni girata rappresentava la chiu-sura di una transazione, cosa che oggi sembra del tuttoinverosimile. Di più: il titolo posdatato e pur negozia-bile come contante ha costituito il regime che ha per-messo il boom dell’agricoltura. Senza gli assegnitrasferiti da azienda ad azienda e anche a privati l’agri-coltura iblea, con le sue punte di eccellenza e i suoi mar-chi di qualità, sarebbe stata un’altra cosa. Nel settorezootecnico, l’industria lattiera trasferiva l’assegno almangimista e questo al suo fornitore e così via: unaprassi che le banche hanno sempre guardato di buon oc-chio assistendo così la tenuta dell’intero comparto. Tut-

to ciò oggi non è più permesso. Nonsolo: a rendere difficilissima la situazio-ne è stata la concomitanza delle restri-zioni del credito e della perentorietàdegli obblighi fiscali che hanno finitoper mettere in ginocchio l’agricoltura.Gli sforzi fatti negli anni dalla Coldiret-ti perché l’azienda agricola fosse sotto-posta a un regime legale che legarantisse certezza e regolarità equipa-randola a un’impresa di altro settore so-no caduti nel vuoto rivelandosi anzipregiudizievoli dal momento cheun’azienda agricola è molto più delicatae sensibile di un altro tipo di impresa equindi più soggetta a crisi finanziarie edeconomiche come quella che stiamo vi-

vendo. La selezione delle aziende nella prospettiva diuna loro classificazione imprenditoriale ha ridotto il nu-mero ma non ha risolto i problemi. Che sono quellidell’impossibilità sopravvenuto dell’accesso al credito.Di fronte agli ostacoli sorti nell’ambito creditizio e fi-scale, la Coldiretti è stata la sola associazione di cate-goria a intervenire con misure di ristoro a favore degliagricoltori. “Impresa verde” è infatti l’unico consorziofidi nato all’interno di una organizzazione agricola.

UN CONSORZIO FIDIA USO INTERNOPER ANDARE AVANTI

“IMPRESA VERDE” NASCE A RAGUSA E COL TEMPO DIVENTAPRIMA SICILIANA E POI NAZIONALE

LE ASSOCIAZIONI

DI CATEGORIA

COLDIRETTI

CONL’ECONOMIA

GLOBALIZZATABANCHE EAZIENDE

AGRICOLE, UNTEMPO

ALLEATE, SI SONO

ALLONTANATE

PAGINA 12

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

OLa morsa della

strettacreditizia stasoffocando le

aziende. Leuniche banche

chemantengono

una certaapertura sono

la Banca agricola popo-lare di Ragusae la Unicredit

Le coltivazionidi mais e so-

ia che perlopiùsono tenute nel-l’altopiano han-

no bisogno diacqua per rag-

giungere la qua-le occorre

scavare pozziartesiani pro-

fondi anche 200metri. In Lom-

bardia l’acqua sitrova invece al

suolo e ciò com-porta una forteeconomia e unadisparità nei co-sti di produzio-

ne in campoaperto

IL COSTODELL’ACQUA

Page 13: Dossier Agricoltura fascicolo 1

Questo spirito assistenziale ha premiatonei limiti di una congiuntura che rendedifficile all’impresa agricola anche l’ac-collamento della metà del finanziamentoa suo carico. Insomma, la crisi è tale chele banche non si accontentano della solagaranzia del consorzio fidi. Ma anche laSerit ha trovato difficoltà nel realizzarela riscossione del credito mettendo al-l’asta il terreno confiscato. Cavallo ricorda che fino all’anno scorsola Provincia di Ragusa intervenne dalcanto suo con due misure: la partecipa-zione alle spese di istruttoria delle prati-che processate dai consorzi fidi e losgravio di 2-3 punti degli interessi maturati sui finan-ziamenti bancari. Nel 2011 l’intervento iscritto in bi-lancio è stato pari a 65 mila euro, una somma che èdiventata di gran lunga maggiore al momento dell’ero-gazione. Ma oggi anche questi contributi sono venutimeno a causa delle difficoltà finanziarie dell’ente. Aicoltivatori diretti non è rimasto che ben poco cui chie-dere sostegno e affidare le proprie chances.In un momento nel quale il tenore è quello del conteni-

mento dei costi, il piccolo proprietarioha riscoperto nella provincia che ha de-cretato il successo della coltivazione inambiente protetto, cioè la serra, il “pie-no campo”. L’agricoltura en plein aircomporta decisamente minori costi, madà anche minori risultati. Mattia Occhipinti non crede però checi siano grandi differenze nel rendi-mento e nella remuneratività delle duecolture. «La crisi non guarda in faccianessuno e colpisce pesantemente ovun-que». Resistere è l’imperativo catego-rico per tutti. Oggi chi entra inagricoltura lo fa a suo grande rischio,

né bastano gli incentivi e le agevolazioni che la Regionesiciliana va apprestando soprattutto a vantaggio dell’im-prenditoria giovanile. Ma resistere fino a quando? E co-me? La grande distribuzione, figlia dellaglobalizzazione, sta duramente penalizzando la produ-zione iblea, che paga una marginalità geografica e unaperifericità infrasfrutturale che una volta erano segnodi genuinità dei prodotti ma che oggi sono indice di unaprogressiva regressione.

OCCHIPINTI“LA CRISI NON

GUARDA IN FACCIA

NESSUNO ECOLPISCE OGNI

SETTORE ECONOMICO EOGNI IMPRESA

AGRICOLA”

PAGINA 13

Asinistra Mattia Occhipinti, attuale presidente pro-vinciale della Coldiretti. È proprietario di

un’azienda zootecnica. A destra Enzo Cavallo, già di-rettore di Coldiretti Ragusa e oggi presidente regiona-le del Distretto produttivo lattiero-caseario. È statoanche assessore provinciale allo Sviluppo economico

OCCHIPINTI E CAVALLO: PRESENTE E PASSATO

L’ultima ba-tosta è ve-

nuta afebbraio conl’accordo Ue-Marocco cheha permessol’ingresso an-che in Siciliadi prodotti or-tofrutticoliafricani. LaColdiretti, co-me le altre or-ganizzazioni,chiede mag-giori controllie la certifica-zione di quali-tà delle mercianche stranie-re.

LE MERCISTRANIERE

Oggi leaziendeagricole sonoproprietàdelle banchee della Serit.Cavallo: “Ilcredito pergli agricoltoriè come l’acqua pergli alberi.Non possonoprivarsene”

Page 14: Dossier Agricoltura fascicolo 1

LE GROSSE AZIENDECON IL FIATO CORTO

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

LE ASSOCIAZIONI

DI CATEGORIA

CONFAGRICOLTURA

PAGINA 14

l 2012 è forse l’anno peggiore dell’era dellaglobalizzazione. E non è ancora finito. Se-condo Giovanni Scucces, direttore di Con-fragricoltura, la chiusura - o comunque ildrastico ridimensionamento - delle grandiaziende agricole del Ragusano è segno diuna crisi che sta toccando il massimo dei

suoi effetti. Per avere un’idea di come vanno le cose nel pur ampionovero delle grosse aziende, quelle che impiegano dagli80 ai 400 operai stagionali, basti considerare chequest’anno si sono perse finora 200 mila giornate lavo-rative, secondo i calcoli di Confindustria, un numero daaccrescere di altre 100 mila giornate se si calcolano leaziende non associate. Aziende che occupavano fino a400 stagionali ora ne reclutano non più di 50 e anchemeno. L’effetto è che centinaia di stagionali sono senzalavoro mentre i sindacati discutono con le associazioniun rinnovo di contratto scaduto l’anno scorso e che con-tinua a tenere il prezzo lordo di una giornata a 53 euro:una cifra considerata, con i tempi che corrono, una for-tuna per i pochi che vengono occupati. Un accordo ap-pare al momento difficile, essendo proprio la parteeconomica, cioè l’adeguamento della paga giornaliera,il punto di maggiore divisione. Le aziende hanno portato sul tavolo i punti dolenti chenei bilanci stanno dalla parte dei costi. E quello del co-sto del lavoro figura al primo posto. Al secondo seguela serrata creditizia: la difficoltà sempre maggiore di ac-cedere al credito bancario costituisce una pesantissimapalla al piede per le aziende più grosse. Sono un’ottan-tina in tutta la provincia, tra medie e di grosse dimen-sioni, e quasi tutte risentono fortemente degli effettidella crisi. Confindustria sta cercando in questi mesi,sul piano nazionale, di sbloccare l’impasse creditiziama il sistema bancario si mostra sordo. Pur essendo atutti evidente che senza le banche le aziende agricole,

più delle altre, non possono operare, l’attuale momentoappare di chiusura. Ma ad ogni modo l’agricoltura sici-liana (e iblea in particolare, perché costituisce la granparte di quella regionale) risente ancor di più dell’agri-coltura settentrionale i colpi della crisi. Al Nord i costisono inferiori anche per quanto l’approvvigionamentoidrico. Se in provincia di Ragusa, soprattutto nell’alti-piano, l’acqua bisogna raggiungerla creando pozzi ar-tesiani fino anche a 200 metri di profondità che dannocomunque un volume di acqua sempre insufficiente aifabbisogni di certe colture come il mais, che richiedeabbondanza di acqua, al Nord l’acqua è invece affio-rante e in gran quantità in un terreno peraltro molto piùfertile. Giocano poi a sfavore della nostra provincia ledistanze dai mercati più movimentati, la mancanza diadeguate vie di collegamento, l’assenza di uno spiritoassociativistico. Cose già dette mille volte e risapute.Problemi di fronte ai quali anche Confagricoltura è di-sarmata. Cosa fare allora?Scucces vede nello scioglimento di tre nodi la via di unapossibile ripresa: la riduzione del costo della benzina,il contenimento del costo del lavoro e l’abbassamentodel prezzo dell’energia elettrica, necessaria per le irri-gazioni. Il costo del lavoro è dunque una delle leve diripristino di condizioni praticabili di attività ed è la solasulla quale le aziende stanno infatti agendo con risolutadeterminazione. Questo irrigidimento sta creando non solo nuove sacchedi bisogno abbassando i livelli occupazionali in provin-cia e determinando ricadute negative sull’intera econo-mia iblea, che per l’80 per certo deriva dall’agricoltura,ma sta alimnetando un malcontento che ha portato leorganizzazioni sindacali a irrigidirsi a loro volta in temadi rivendicazioni contrattuali. Tutta colpa di una crisicontro la quale nessuno ha trovato una ricetta giusta edi immediato effetto. Carburanti ed energia sono le altre due voci che incido-

I

Sono 200 milale giornate lavorative

persequest’anno in

provincia. Unasituazione

difficile nellaquale si

discute ancheil rinnovo delcontratto di

categoria deglistagionali

Oggi unaazien-

da agricola aconduzione fa-miliare può ga-

rantire unmassimo di rica-vi annui intornoa 10-12 mila eu-ro. Che rappre-senta il redditodel conduttore,

il quale perà si èimpegnato comelavoratore insie-

me con ognimembro della

sua famiglia. Mafino a qualcheanno il guada-

gno era di circa15 mila euro.

CONDUTTORELAVORATORE

RINCARI DEI CARBURANTI E DELLAENERGIA ELETTRICA PIÙ COSTODEL LAVORO I PRIMI PUNTI DI CRISI

Page 15: Dossier Agricoltura fascicolo 1

l presidente di Confagricoltura Alessandro Gam-buzza ritiene che il settore ibleo abbia una colpa:non saper fare massa critica. «La mancanza sto-

rica è l’associazionismo, dovuto all’incapacità di rea-lizzare quelle sinergie indispensabili sia per il versanteeconomico degli acquisti che per quanto riguarda laconquista dei nuovi mercati».Ma perché l’agricoltura non riesce a conquistarenuovi mercati?Perché soffre di una eccessiva parcellizzazione. Se po-teva andare bene una volta, oggi è invece più oppor-tuno presentarsi con imprese maggiormentestrutturate.Cosa occorre per far ciò?Un maggiore slancio che porti gli imprenditori ad as-sociarsi. Il sistema legislativo dovrebbe favorire l’ag-gregazione intervenendo anche attraverso strumenticome le OP che nascono proprio con questi obiettivi.Evidentemente bisogna rivedere questo strumento co-munitario sia per quanto riguarda una maggiore snel-lezza nelle procedure amministrative che per quantoriguarda gli interventi economici veri e propri.Ma in quali campi specifici occorrerebbe interve-nire?Oggi tutti i settori vivono un momento di grosse dif-ficoltà dovuto soprattutto all’aumento vertiginoso deicosti di produzione ma anche all’eccessiva concorren-za non sempre trasparente. Certamente il settore chesta peggio è quello zootecnico perché risente di en-trambi gli effetti negativi.Secondo lei c’è una variabile iblea per cui l’agri-coltura soffre di più rispetto alle altre province?Tutte le province siciliane sono in sofferenza. Quellaiblea probabilemte sofre di più perché partiva da basistrutturali più favorevoli. Ma il dato più preoccupantenon è quello che riguarda le dinamiche imprenditoriali- le aziende cioè che aprono e chiudono. Quello chepreoccupa veramente è la caduta del valore aggiunto,

PAGINA 15

IL PRESIDENTE GAMBUZZA

INVESTIMENTIOCULATIE MINORI COSTI

cioè del fatturato.In che misura?Stimiamo dal 15 al 20%.Molte responsabilità partono dall’Unione europea.L’impressione in realtà è che si stiano mettendo incampo politiche agricole volte a favorire il Centronordeuropa rispetto alle coltivazioni mediterranee. Questoè qualcosa che l’agricoltore meridionale avverte ec-come.Quindi il morale è molto basso.Siamo sicuramente in un momento critico e c’è la con-sapevolezza tra gli imprenditori che bisogna uscirnecon il danno minore.E come?Attraverso due leve, che sono sempre le stesse: dimi-nuendo gli investimenti e razionalizzando i costi.Questo significa crescita zero però.Il verbo oggi è resistere.Anche le banche però coniugano questo verbo.Tutti gli istituti di credito lavorano per sostenere l’eco-nomia, ma gli interventi sono legati oggi più alle ri-strutturazioni che ai nuovi investimenti.Di fronte a questo atteggiamento delle banche, laCamcom di cui è presdiente cosa fa?Già dall’anno scorso siamo impegnati a finanziare ilfondo rischi dei Consorzi fidi facilitando alle piccolee medie imprese l’accesso al credito. In sostanza in-crementiamo il fondo garanzie in maniera che i Con-sorzi possano estendere il loro intervento a unmaggior numero di soci.

no maggiormente sui bilanci delle aziende. Il rimedio èdi ridurre il loro consumo al massimo, ma questo signi-fica usare meno gasolio e meno acqua oltre che menobenzina per i trasporti e quindi ridurre la produzione.La coltivazione del mais, che per tradizione ha costitui-to un prodotto d’eccellenza del Ragusano, punto di for-za delle grosse aziende, è crollata in un anno del 90 percento. Più che un crollo quasi una cancellazione totale.Ma le grandi aziende non hanno avuto scelta: ridottol’impiego della manodopera, il secondo passo è stato ilrisparmio energetico. È stato come se in una gara trabarche a vela, una abbia ridotto deliberatamente la ve-locità rinunciando a competere pur di non ritirarsi. Unascelta inevitabile che ha portato a un volume minore delprodotto tipico, che sono primaticci e ortofrutticoli. Perprodurre del resto serve liquidità, che è proprio il pro-blema numero uno dell’attuale sistema economico e delmondo bancario. Non disponendo della possibilità di

affrontare le spese correnti, né potendo promuoverenuovi inestimenti, la grossa azienda agricola è costrettaa ripiegare nella logica del sostegno del reddito e con-tenere le perdite. Per il momento non può fare davveroaltro. Chi ha provato a forzare la situazione ha chiuso.La conseguenza di questo stato di cose è che a pagaredi più la crisi, secondo le valutazioni della Confragri-coltura, sono paradossalmente proprio le aziende piùgrosse e, con effetti negativi minori, anche le medie im-prese, quelle che impiegano fino a 80 stagionali in unanno. Rispondendo a una filosofia, anche culturale, bendiversa, è invece la piccola azienda ad attraversare latempesta con minori traumi. Ma si tratta più che altrodi sopravvivenza. Dice Scucces: «Se il problema prin-cipale della grande azienda agricola è il costo del lavo-ro, la piccolissima impresa questo problema non se l’èmai posto. Il conduttore non ha infatti mai conteggiatole proprie giornate lavorative».

I

Se l’agricol-tura iblea

continua a fa-re da traino èperché, primadella globaliz-zazione, haraggiunto vet-te di straordi-nario livello.La profilera-zione che siebbe di azien-de agricole fufrutto di unavocazione pri-maria che sep-pe vincere leasperità delterreno e af-fermarsi su diesso.

VOCAZIONEVINCENTE

La coltivazionedel mais, cheper tradizioneha costituito unprodottod’eccellenzadel Ragusano,punto di forzadelle grosseaziende, è crollata in unanno del 90 percento. È il 2012l’anno più inperditadell’ultimo de-cennio. E non èancora finito

Page 16: Dossier Agricoltura fascicolo 1

RAPPORTO

SULLA

IBLEAAGRICOLTURA

ISPETTORATO

PROVINCIALE

ALL’AGRICOLTURA

PAGINA 16

dare prova di quanto valga l’agricol-tura iblea nello scacchiere sicilianobasterebbe un dato: l’Ispettorato pro-vinciale all’agricoltura di Ragusa ge-stisce il 35% di tutte le risorseregionali. Una percentuale altissimase raffrontata alla superficie agricola

di appena 130 mila ettari. Questa particolarità rendel’Ipa un ente fortemente impegnato nella programma-zione economica e finanziaria a sostegno delle impreseagricole. Giorgio Carpenzano, direttore da due anni,spiega che, nel quadro del Programma di sviluppo ru-rale 2007-2013, che assegna una dotazione regionale di2 miliardi e cento milioni, il Ragusano ha intercettatointerventi per circa 140 milioni, impegnati soprattuttonei primi due dei quattro “assi” che riguardano sviluppoe ambiente e che integrano un finanziamento comples-sivo di 1600 milioni. Le “misure” più utilizzate attin-gono a questi fondi.La misura maggiore è la 121 e riguarda il riammoder-namento e il potenziamento delle aziende agricole. Abeneficio di 337 progetti, su un fondo regionale di 248milioni ne sono stati impegnati 90, distribuiti in questepercentuali: l’87% è andato all’ortofloricoltura, il 5%alla zootecnia, il 5,3% all’acquisto di macchine agricolee il 2,7% agli allevamenti minori. Un’altra misura che ha dato risultati significativi è la112 che impegna fondi europei a favore dei giovani im-prenditori che vogliano avviare un’attività agricola. IlPor 2000-2007 stanziava per ogni nuova azienda 20 mi-la euro a fondo perduto, ma si è rivelato un interventoimproduttivo. La nuova programmazione, nell’ambitodel Psr 2007-2013, prevede invece il raddoppio del pre-mio ma condizionato all’obbligo di nvestimenti dentrol’azienda per un ammontare di 80 mila euro; e questiinvestimenti devono rientrare tra le misure previste: la121 sul potenziamento e la 311 sull’agriturismo. Se ricorrono i requisiti l’Ipa interviene con un contri-buto del 50% che può essere anche anticipato secondol’avanzamento dei lavori o la presenza di un fideiusso-re. Circa 500 sono stati i giovani imprenditori agricoliiblei che hanno chiesto l’accesso al premio, 480 deiquali ammessi. Ma solo 120 dei 1600 iscritti nella gra-duatoria regionale hanno avuto riconosciuto ad oggi ildiritto alla 112. A un imprenditore che apre un’aziendaagricola e che chiede un premio di 100 mila euro ne oc-corrono sessanta: con la riduzione del credito bancarioe l’attuale crisi economica riesce molto difficile partire.E peraltro l’entità finale del finanziamento europeo èsubordinata all’accertamento della completa realizza-zione del progetto, sicché si riduce se l’azienda non èquella immaginata.

Ma che tipo di azienda agricola installare? L’87% deifinanziamenti, in base alla misura 121, vanno all’orto-floricoltura, in ambiente protetto o in campo aperto. Se-nonché la quasi totalità dei fondi vanno alle serre e nonalle coltivazioni a pieno campo perché la misura 121stanzia somme per interventi di rammodernamento epotenziamento delle strutture, quindi delle serre. Diconseguenza anche le più grosse imprese storicamenteimpegnate nel campo aperto hanno convertito le azien-de in serre. Questo fenomeno è più evidente nell’Ispi-cese, una zona votata alla coltivazione a campo apertoe oggi orientata anch’essa alla serricoltura. «La conver-sione - spiega Carpenzano - è dovuta anche alla neces-sità di estendere il calendario così da potere reggere laconcorrenza sui mercati. E proprio nell’Ispicese vedia-mo oggi non più carote, patate e frumento, ma ancheangurie, pomodori e ogni tipo di ortaggio che possa es-sere coltivato in ambiente protetto».L’effetto di questa conversione è che la fascia trasfor-mata ragusana tende a omogeneizzarsi coprendo la co-sta da Acate a Pozzallo di impianti in serra che nellaparte orientale della provincia sono ancora allo stato di“tunnel”, a differenza di quelli molto più avanzati del-l’Ipparino. Anche aziende note dell’Ispicese radicatenel campo aperto, stanno avviando un processo di “in-serramento” visto oggi come necessario tanto da occu-pare quasi 5.500 ettari di superficie.In quest’ottica l’Ipa sta anche sostenendo i prodottiagroalimentari risultato dei processi di trasformazionein atto. Il polo avicolo modicano è una delle grandi re-altà iblee che gode delle premure dell’Ispettorato. Il suovolume di affari annuo è di 45 milioni a fronte di un mi-lione di galline ovaiole, 300 milioni di uova l’anno e1500 addetti. L’Ipa ha approvato progetti per 17 alleva-menti intensivi: 12 di galline ovaiole e 5 di pollastre.

LE NOSTRE “MISURE”PER DARE SOSTEGNO

AL RAGUSANO IL 35% DELLE RISORSEREGIONALI. CHE SONO IMPEGNATEPER GIOVANI E RIAMMODERNAMENTI

La conversionedelle

coltivazioni inpieno campo

in serre è dovuto anchealla necessità

di estendere ilcalendario

produttivo cosìda stare sui

mercati tuttol’anno

Il controllosull’uso

dei pesticidi edei fitofarmaci

rientra nellecompetenze

dell’Ipa solo perquanto riguarda

il rilascio dei pa-tentini. Al con-

trollo èdemandato il

Servizio fitosa-nitario regionale

che a Vittoriaconta la sua Uni-

tà 145. L’Ipaconta invece un-suo rappresen-

tante nellasezione mista

con l’Asp.

CONTROLLOFITOFARMACI

A


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