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Ducato

Date post: 20-Oct-2015
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21 febbraio n. 2
16
il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Mensile - 21 febbraio 2014 - Anno 24 - Numero 2 Ducato on line: ifg.uniurb.it Distribuzione gratuita Poste Italiane Spa-Spedizione in a.p. - 70% - DCB Pesaro alle pagine 6 e 7 alle pagine 8, 9, 10 e 11 a pagina 16 Gente che viene gente che va Le storie Mangiare la crescia in Canton Ticino Cibo alle pagine 2, 3, 4 e 5 Le nostre eccellenze in Russia e Usa Imprese All’estero ci vedono così: lo dice il web Media L’EDITORIALE I n un vecchio numero della rivista culturale italiana “Frigidaire” è stata pubblicata una vignetta sulle Marche con sotto questa didascalia: “Un buon posto per finire dimenti- cati”. In tanti anni di storia le Marche e i mar- chigiani hanno fatto ben poco per sfuggire o spezzare questo isolamento. E’ vero che l’indi- vidualismo è nella nostra indole e di omoge- neo, in questa regione, c’è poco o niente. Forse soltanto il nome che, essendo però al plurale, già allude al molteplice. Siamo fatti così: mar- chigiani sfuggenti e riottosi, strenui difensori della propria identità, diffidenti verso i pro- cessi di massificazione e uniformità. Eppure questa è terra di uomini sommi, di individui eccellenti che dalle Marche hanno illuminato il mondo. Tolstoj diceva che “la storia la fanno coloro che non sanno di fare storia”. La propensione dei marchigiani all’isolamen- to e l’innata riottosità per le luci della ribalta, nell’era della globa- lizzazione e della comunicazione, diventano un grosso limite. In passato la capacità di non apparire, fino a sem- brare inesistenti, poteva essere una fortuna. Lo è stato quando le Marche ebbero una sola arma per opporsi alla maggiore forza degli invasori, cioè l’inaf- ferrabilità dell’essere numerose e diverse, di potersi sbriciolare in tanti sfuggenti microco- smi, di riuscire a sgattaiolare fra le pieghe della storia. Oggi restare nell’ombra significa rinunciare a delle opportunità e il mancato attivismo porta alla decadenza. A questo dob- biamo aggiungere l’autodenigrazione che è uno sport molto in voga, non solo dalle nostre parti. Basta uscire dall’Italia per rendersene conto. Quando si parla del nostro paese, si riscuote quasi sempre un sor- riso e una esclama- zione: “Ah, Italy”. Una spontanea espressio- ne di ammirazione per le bellezze dei nostri territori e un briciolo di invidia verso chi ha avuto la fortuna di esserci nati e di viverci. Urbino è uno scrigno di bellezze. Non a caso il centro storico è considerato dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”. Quando all’inizio degli anni Novanta crollò un bastione delle mura, la notizia rimbalzò perfino sui giornali giapponesi. Qualche mese fa, per la candida- tura della città feltresca a Capitale europea della cultura 2019, Regione e Soprintendenza scelsero la Santa Caterina d’Alessandria (opera giovanile di Raffaello) come ambascia- trice della città e fu un successo ovunque, a Sofia (anch’essa città candidata) come a New York. Meno di un anno fa i londinesi si sono messi in fila per vedere i capolavori di Federi- co Barocci alla National Gallery, fra i quali l’Ul- tima cena che si trova nella Cattedrale di Urbi- no. In precedenza quegli stessi capolavori ave- vano fatto il pieno di visite negli Stati Uniti, al Saint Louis Art Museum. Con questo numero la Redazione del Ducato ha voluto di nuovo evidenziare il ruolo di Urbino nel mondo per dare merito a chi sta lottando per valorizzarne l’immagine e la fama, ma anche per lanciare un messaggio di speranza nella consapevolezza che dalla crisi non si esce facendo, anche meglio, le cose che fanno gli altri. Dalla crisi si esce facendo, al meglio possibile, le cose che sappiamo fare solo noi. I grandi spazi a portata di mano Urbino Export
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il DucatoP e r i o d i c o d e l l ’ I s t i t u t o p e r l a f o r m a z i o n e a l g i o r n a l i s m o d i U r b i n o

Mensile - 21 febbraio 2014 - Anno 24 - Numero 2Ducato on line: ifg.uniurb.it

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alle pagine 6 e 7

alle pagine 8, 9, 10 e 11

a pagina 16

Gente che vienegente che va

Le storie

Mangiare la crescia in Canton Ticino

Cibo

alle pagine 2, 3, 4 e 5

Le nostreeccellenze inRussia e Usa

Imprese

All’estero civedono così: lo dice il web

Media

L’EDITORIALE

In un vecchio numero della rivista culturaleitaliana “Frigidaire” è stata pubblicata unavignetta sulle Marche con sotto questa

didascalia: “Un buon posto per finire dimenti-cati”. In tanti anni di storia le Marche e i mar-chigiani hanno fatto ben poco per sfuggire ospezzare questo isolamento. E’ vero che l’indi-vidualismo è nella nostra indole e di omoge-neo, in questa regione, c’è poco o niente. Forsesoltanto il nome che, essendo però al plurale,già allude al molteplice. Siamo fatti così: mar-chigiani sfuggenti e riottosi, strenui difensoridella propria identità, diffidenti verso i pro-cessi di massificazione e uniformità. Eppurequesta è terra di uomini sommi, di individuieccellenti che dalle Marche hanno illuminatoil mondo. Tolstoj diceva che “la storia la fannocoloro che non sanno di fare storia”.La propensione dei marchigiani all’isolamen-to e l’innata riottosità per le luci della ribalta,

nell’era della globa-lizzazione e dellacomunicaz ione,diventano un grossolimite. In passato lacapacità di nonapparire, fino a sem-brare inesistenti,poteva essere una fortuna. Lo è stato quandole Marche ebbero una sola arma per opporsialla maggiore forza degli invasori, cioè l’inaf-ferrabilità dell’essere numerose e diverse, dipotersi sbriciolare in tanti sfuggenti microco-smi, di riuscire a sgattaiolare fra le pieghe dellastoria. Oggi restare nell’ombra significarinunciare a delle opportunità e il mancatoattivismo porta alla decadenza. A questo dob-biamo aggiungere l’autodenigrazione che èuno sport molto in voga, non solo dalle nostreparti. Basta uscire dall’Italia per rendersene

conto. Quando siparla del nostropaese, si riscuotequasi sempre un sor-riso e una esclama-zione: “Ah, Italy”. Unaspontanea espressio-ne di ammirazione

per le bellezze dei nostri territori e un briciolodi invidia verso chi ha avuto la fortuna diesserci nati e di viverci. Urbino è uno scrigno di bellezze. Non a caso ilcentro storico è considerato dall’Unesco“patrimonio dell’umanità”. Quando all’iniziodegli anni Novanta crollò un bastione dellemura, la notizia rimbalzò perfino sui giornaligiapponesi. Qualche mese fa, per la candida-tura della città feltresca a Capitale europeadella cultura 2019, Regione e Soprintendenzascelsero la Santa Caterina d’Alessandria

(opera giovanile di Raffaello) come ambascia-trice della città e fu un successo ovunque, aSofia (anch’essa città candidata) come a NewYork. Meno di un anno fa i londinesi si sonomessi in fila per vedere i capolavori di Federi-co Barocci alla National Gallery, fra i quali l’Ul-tima cena che si trova nella Cattedrale di Urbi-no. In precedenza quegli stessi capolavori ave-vano fatto il pieno di visite negli Stati Uniti, alSaint Louis Art Museum.Con questo numero la Redazione del Ducatoha voluto di nuovo evidenziare il ruolo diUrbino nel mondo per dare merito a chi stalottando per valorizzarne l’immagine e lafama, ma anche per lanciare un messaggio disperanza nella consapevolezza che dalla crisinon si esce facendo, anche meglio, le cose chefanno gli altri. Dalla crisi si esce facendo, almeglio possibile, le cose che sappiamo faresolo noi.

I grandi spazia portata di mano

Urbino Export

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Sorpresa, ritorna il segno più Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti: i nuovi mercati della Provincia

Crescono le esportazioni. Meccanica, agroalimentare, tessile e mobili sono i settori più forti

LUCIA LAMANTEA

Irapporti con il mondoe l’export sono da sem-pre la grande forzadella provincia diPesaro e Urbino. Lodimostrano gli ultimi

dati disponibili e lo racconta-no le singole storie di uominie di aziende che hannocostruito e costruiscono ilproprio futuro collegandosicon il mondo.In anni in cui la crisi econo-mica è pesante e la ripresa vaa rilento l’unico settore increscita è infatti proprioquello dell’export, l’unicoche registra cifre con il segnopiù. Secondo i dati diUnioncamere Marche e Aspin2000 l’aumento è stato del2,8%, il più positivo tra tuttele province delle Marche. Il settore di punta del com-mercio della provincia diPesaro e Urbino è quellomanifatturiero, cioè quelloche riguarda le trasformazio-ni di materie prime in pro-dotti semilavorati, ed è daanni è il traino dell’economiadel territorio. “Noi viviamo di manifatturie-ro – spiega il segretario pro-vinciale della Cna MorenoBordoni - quindi dobbiamorendere sempre più efficientile aziende che hanno trovatomercati nuovi, che nell’inno-vazione tecnologica e nellaqualità del prodotto hannoraggiunto uno standardimportante e che si possonoaffacciare ai mercati interna-zionali senza problemi”. Settori forti sono quelli dellameccanica e dei mobili, maanche l’ agroalimentare e iltessile che negli ultimi annisono diventati protagonistidell’economia provinciale.Quello che è interessantenotare, oltre al dato generale,è come l’esportazione siaaumentata in modo esponen-ziale in certi settori e versocerti paesi mentre sia calatadrasticamente in altri.

I nuovi mercati che si sonoaperti sono soprattuttol’Arabia Saudita, il Qatar e gliEmirati Arabi.Verso questi paesi si esporta-no soprattutto mobili e pro-dotti del settore agroalimen-tare: caffè, tartufi, prodottisurgelati, conserve, bibiteanalcoliche, e pasta. Anche qui i dati parlano chia-ro: l’export di mobili versol’Arabia Saudita dal 2012 al2013 è aumentato del 72%,quello dell’alimentare del52%. Cifre da record. “Da anni facciamo progetticome camera di commercio eanche con le associazioni peraprire nuovi mercati in que-ste zone – spiega Bordoni- IlQatar e gli Emirati sono ipaesi verso cui sono statiindirizzati in questo ultimianni tutte le nostre attenzio-ni, attraverso delegazioni diaziende e la partecipazione afiere del settore. Finalmentesi stanno concretizzandonumericamente i primi risul-tati. In Arabia Saudita, in par-ticolare con la città di Gedda,si sono aperte tantissime pro-spettive“.Gli altri stati verso i quali l’e-sportazione ha registratocifre in crescita sono gli StatiUniti, la Spagna e la Svizzera.I paesi verso cui invece il calonel 2013 è stato maggiorerispetto all’anno precedentesono la Germania, la Russia eil Regno Unito. Uno dei settori più forti in cuisi concentra l’export dellaprovincia è comunque quellodei mobili. Le azienda del territorio urbi-nate da anni commerciano so-prattutto con la Russia, part-ner importante anche per tut-to il pesarese. “Gli italiani vogliono costruiremobilifici negli Urali”, avevadichiarato un anno fa il presi-dente della Camera di Com-mercio Alberto Drudi, in occa-sione di una visita nella cittàrussa Ekaterinburg, centro in-dustriale e culturale della par-te asiatica della regione. E cosìsembra essere stato.

Si esportano soprattutto pro-dotti per l’arredamento dispazi commerciali e suppel-lettili per abitazioni. Nella nostra provincia sonocirca duemila le aziende delsettore che producono in par-ticolare camere da letto, ca-mere per bambini, cucine e va-ri accessori per l’arredo di in-terni, maniglie e componentimetallici per mobili.Un altro paese con cui gliscambi commerciali e cultu-rali sono importanti è l’Argen-tina, soprattutto per quel cheriguarda la meccanica. Il lega-me tra la provincia di Santiagodel Estero e Pesaro-Urbino èsempre più stretto. Grazie anche alla partecipa-zione alle fiere commercialidel paese, in particolare quel-

la di Cordoba, gli industrialidel nostro territorio, realizza-no importanti contratti con leimprese del paese. Cifre record infatti quelle degliaumenti registrati nel 2013proprio verso l’Argentina e l’I-raq, rispettivamente del +194%, e del +1584% rispettoa l l ’ anno precedente .Nel settore tessile, che registrail maggior numero di esporta-zioni verso la Danimarca, è iljeans a fare da protagonista. E questo grazie alla produzio-ne nella cosiddetta valle deljeans dell’Alto Metauro, dovele aziende formano una vera epropria catena di montaggiodei famosi pantaloni america-ni.In ultimo il settore della nauti-ca che nonostante il calo del

2013 ha aperto nuovi mercatia Singapore, in Libano e persi-no nelle Bahamas. “Il settore dell’export cresce –spiega il segretario della CnaMoreno Bordoni – anche per-ché da anni stiamo lavorandosulle reti d’impresa e con le as-sociazioni di categoria. Alcunidi questi progetti iniziano adare soddisfazioni che si ri-flettono in questi numeri. La strada intrapresa per aiuta-re le imprese nell’internazio-nalizzazione sembra infattiessere quella giusta. Tramiteprogetti comuni anche azien-de che non avevano maiesportato, con l’aiuto di altriimprenditori capofila, sono ri-uscite, in seconda battuta, adapprofittare finalmente dimercati nuovi”.

Numeri sull’export a Urbino

Un quinto per la meccanica. È di 367 milioni di euro l’ammontare delle esportazioninel settore della meccanica.

15.000

Tessuti in Danimarca. Il primo mercato per il settore tessile-abbigliamento è laDanimarca, verso cui l’export raggiunge i 31 milioni di euro, registrando un aumentodel 15% dal 2012.

Un miliardo e mezzo di euro. A tanto ammonta, sono dati del 2013, il valore dellemerci che dalla provincia di Pesaro- Urbino sono volate nel resto del mondo. Il 2,8%in più rispetto all’anno precedente.

Arabia Saudita in testa. Più che raddoppiate le esportazioni verso il regno dei saudi-ti (+120%). Ma è la Francia, seguita da Germania e Stati Uniti, il mercato di maggiordestinazione dell’export provinciale (176 milioni di euro).

Mobili in Russia. Anche se in calo del 22%, il mercato russo dei mobili resta il piùimportante per i prodotti della nostra provincia.

Fonte: Dati Aspin 2000 e Unioncamere Marche

Agroalimentare, crollo verso gli Emirati Arabi. Il commercio di alimentari verso gliEmirati Arabi uniti, che rimane comunque il partner principale per la provincia diPesaro Urbino, è crollato del 60% nel 2013 rispetto all’anno precedente. In fortecrescita, invece, l’export verso l’Arabia Saudita (+52% rispetto al 2012).

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IMPRESE

Tvs, padelle dal gustointernazionale

L’80 per cento dell’export in Europa

Sogni d’oriente per i mobili Imab

La Russia primo partner straniero

È“made in Fermignano”, mavanta tentacoli in tutto ilmondo: si tratta della Tvs,azienda che produce pen-tole e padelle antiaderentida 47 anni. All’inizio il rive-

stimento era applicato a mano, con latecnica della spugnatura; oggi l’azien-da dispone di macchinari capaci diprodurre oltre 12 milioni di pezzi al-l’anno. Otto su dieci vengono speditifuori dall’Italia, in 57 paesi del mondo:le destinazioni più frequenti, che dasole assorbono l’80 per cento del tota-le di esportazioni, sono la Francia, laSvizzera, i paesi scandinavi e la Russia.Proprio a Mosca la Tvs ha aperto da unmese una neonata filia-le: “Siamo presenti nelpaese già da anni – spie-ga la marketing mana-ger Francesca Serrani –ma ormai il mercato èmaturo e a gennaio ab-biamo aperto un nuovoufficio, con nostri colla-boratori italiani e di-pendenti russi”. Ma la Tvs – acronimodei tre soci fondatoriTripponi, Vissani e Spi-naci – punta a entrarenelle cucine delle casa-linghe anche oltre il continente euro-peo: “Oggi guardiamo al Brasile e alnord Africa – racconta la Serrani – e ab-biamo aperto un’unità di produzionein Tunisia per servire i mercati della zo-na fino alla Spagna”. Anche per scegliere i propri designer,l’azienda non si ferma al territorioitaliano. Uno dei suoi collaboratoristranieri più famosi è Karim Rashid:“E’ canadese, ma di origini egiziane evive anche in Olanda e in altri paesi.Insomma, direi cosmopolita” spiegala marketing manager. Rashid hacreato una linea di alta gamma, laHook, che lo scorso dicembre ha rice-vuto il Good Design Award diChicago. Lo stesso riconoscimento era statoconsegnato nel 2012 per la linea crea-ta dal progettista italiano Giorgetto

Giugiaro, più famoso per aver dise-gnato automobili tra cui l’Alfetta Gt,la Fiat Panda e l’Alfa Romeo 159.Insieme a Matteo Thun è uno dei col-laboratori storici della Tvs. Altrafirma di vanto per l’azienda è quelladi Takahide Sano, un designer giap-ponese che per cinque anni dal 1996 èstato ospite fisso della trasmissione“Quelli che il calcio” con Fabio Fazio.Da quest’anno, inoltre, è iniziata unacollaborazione anche con la coppia didesigner Harry & Camila: lui olande-se, lei messicana. Nemmeno le materie prime provengo-no dal pesarese: “I materiali non sonodi questo territorio, ma sono comun-que italiani. A parte l’alluminio, che

dobbiamo importa-re dalle multinazio-nali”. E il testimo-nial? Italiano, manon urbinate: si trat-ta di Carlo Cracco(nella foto a lato),chef stellato e perso-naggio televisivo cheda quest’anno con-durrà Hell’s KitchenItalia, l’edizione na-zionale della tra-smissione america-na con Gordon Ram-

say. Il Montefeltro, in tutto questo, sembrasolo un mero polo industriale. “Ma ilpresidente, Gastone Bertozzini – evi-denzia la Serrani – è pesarese e tutti icapitali sono locali. Anche per la forzalavoro attingiamo dal bacino territo-riale e abbiamo molti dipendenti stori-ci”. L’azienda tiene il conto festeggiando i25 e i 35 anni di servizio dei suoi lavo-ratori, che in tutto sono circa 250. “Lacrisi, come per tutti, non è passata sen-za strascichi – precisa la marketing ma-nager – ma i dipendenti non sono cala-ti di molto dagli anni precedenti alladepressione economica”. Anzi, secon-do i dati della Serrani, la Tvs ha conti-nuato a crescere ininterrottamente fi-no al 2012: tutto grazie al robusto ex-port. (d.o.)

India, Thailandia, Marocco: nonsolo vacanze da sogno, ma ancheclienti da sogno. Almeno per l’I-mab: il mobilificio di Fermigna-no punta aimercati del nord Afri-ca, del medio ed estremo oriente

per vendere camere e camerette oltrel’Europa. L’azienda è nata nel 1968 e ha iniziatosubito a lavorare nell’export: grazie aiguadagni in terra straniera è poi riuscitaa sviluppare canali di vendita anche inItalia. Per ora, il suo partner maggiore al-l’estero è la Russia: “C’è un legame stori-co” spiega l’export manager Marco Ma-gnanelli. La Russia infatti, secondo i da-ti della Aspin 2000, è il primo mercatoper il settore dei mobili nella provinciadi Pesaro Urbino. Unmercato che però oggi èin calo: “Stanno diven-tando loro stessi pro-duttori – racconta Ma-gnanelli – e oggi infattiimportano da noi nonsolo mobili, ma anchecomponenti”. Al via, quindi, strategiemirate per conquistarei nuovi paesi emergen-ti: l’Imab punta soprat-tutto alla Libia: “Il rap-porto con la Libia è giàmolto marcato – spiega Magnanelli –anche perché per arrivare ai porti libicibasta una settimana di navigazione”. Maanche l’Asia è interessata ai mobili fer-mignanesi: “Dall’India, dalla Cina, dallaThailandia e dal Vietnam c’è una grossarichiesta di mobili moderni e ‘made inItaly’, cioè prodotti economici ma quali-ficati, rifiniti”. Il target, infatti, è il cetomedio: “Mentre in Italia scompare –continua Magnanelli – diventa semprepiù numeroso nei paesi emergenti”. La maggior parte delle esportazioni del-l’Imab rimane comunque in Europa: ol-tre alla Russia, l’azienda arreda casesvizzere, francesi e belghe. In totale laproduzione che finisce oltre frontiera èdi circa il 20 per cento. “L’obiettivo è difar sviluppare l’export fino al 35-40 percento”. Le strategie sono più di una: pri-ma di tutto ci sono i canali tradizionali,

che consistono nello sguinzagliare retidi agenti e aprire catene di negozi diret-tamente all’estero. La seconda tattica èquella del “contract”, cioè creare e fir-mare progetti d’arredo per “total home”o per hotel stranieri: l’Imab l’ha già fattocon due grandi catene alberghiere. Altrastrategia è quella di creare partnership:per l’occasione è stato creato “Pensarecasa”, un format commerciale che servi-rà anche per sviluppare collaborazionial di fuori del territorio nazionale. Nellacoloratissima brochure c’è anche la fotoin bianco e nero del fondatore AntonioBruscoli (nella foto a lato), scattata neglianni ’50, quando aveva una trentinad’anni. Sull’immagine, la frase “Oggi co-me ieri” tradotta in inglese e francese. E

se la si sfoglia fino infondo, a pagina 43 siscopre, finalmente, ilMontefeltro. In alto asinistra risplende iltratto inconfondibiledi Raffaello: è la Picco-la madonna Cowper,un dipinto a olio risa-lente ai primi anni del1500, conservato oggialla National Gallery ofart di Washington. Adestra c’è una vedutadi Urbino: le mura so-no incastonate tra il

cielo azzurro e i campi verdeggianti. Piùin basso, la cartina dell’Italia con un in-grandimento sulla provincia. “Parlare diuomini e parlare di natura – recita labrochure “Pensare casa”– non implicanecessariamente la descrizione di con-testi nei quali l’uno progredisce a dis-capito dell’altro, ci sono luoghi che alcontrario trovano la propria peculiari-tà nel rapporto di integrazione e scam-bio tra le parti dove l’uno trae senso e si-gnificato dall’altro. Questo luogo è ilMontefeltro”. “Una terra – si leggepiù inbasso - nella quale le attività agricole eforestali, l’artigianato anche artistico,la piccola e media industria, la tradizio-ne gastronomica ed il turismo si inter-secano in un ambiente armonico di ra-ra bellezza. È qui che sorge la città di Ur-bino”. (d.o.)

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i chiamano Raffaello,Federico e Duca diMontefeltro, ma nonsono personaggi delpassato: sono tre fuci-li semiautomatici.

Più precisamente, sono alcunidei modelli più esportati in Eu-ropa dalla Benelli, l’aziendapiù “blindata” di Urbino. Ilmarchio rosso della fabbricasvetta ai piedi delle mura, infondo a via della Stazione. Perentrare è necessario un docu-mento e il passaggio al metaldetector. In cima alle scale delreparto uffici ci aspetta un leo-ne impagliato, mentre sul mu-ro c’è la pelliccia di un orsobruno, foto e modelli di pistolee fucili in esposizione. Suognuno di essi c’è scritto ‘Urbi-no, made in Italy’. “Quasi tutti icacciatori esteri conosconoUrbino – racconta il direttorecommerciale dell’azienda, Lu-cio Porreca – anche se magarinon conoscono Pesaro”. La Be-nelli, infatti, è un azienda delgruppo Beretta che producearmi civili esportate in tutto ilmondo, ma mantiene un fortelegame con il proprio territo-rio: “Alcuni dei nostri fucili –spiega Porreca – hanno dei no-mi legati a Urbino perché spe-riamo di incuriosire i nostriclienti. Magari alcuni di lorocercheranno il termine ‘Mon-tefeltro’ su Wikipedia per vede-re che cos’è e forse faranno an-che un salto a visitarlo”. Più del 50 per cento della pro-duzione viene inviata negliStati Uniti: agli americani pia-ce soprattutto il Super BlackEagle, un fucile semi automati-co di calibro 12, che viene pro-dotto con diverse lavorazioni emateriali. Altro modello famo-so è l’M4 Super90, utilizzatoanche dalle forze di polizia edai marines statunitensi. “Noinon produciamo armi militari– ci tiene a precisare il diretto-re commerciale – ma solo armicivili: se poi riforniamo anchele forze dell’ordine, questo nonsignifica che il prodotto nasce

DIANA OREFICEper loro”. Nel 2013 ad esempio,nonostante ci sia stato un au-mento delle esportazioni negliStati Uniti, non è stato vendu-to nessun fucile ai marines, masolo a cacciatori e sportivi. “InAmerica questo tipo di attivitàè molto più diffusa: si passa daltiro al barattolo fino alle disci-pline più professionali”. In Ita-lia, invece, non c’è la passioneper questo tipo di sport e soloil 10 per cento della produzio-ne rimane in territorio nazio-nale. Oltre ai fucili, la Benelli produ-ce anche carabine e pistole.“Quello delle pistole è un mer-cato di nicchia – spiega Porre-ca – perché è un tipo di produ-zione specialistica, per le di-scipline olimpioniche del tiroa segno. Ne vendiamo circa 500all’anno nel mondo”. Prima del 2008 l’Italia era il se-condo mercato dopo gli StatiUniti, ma con la crisi economi-ca ci sono stati quattro anni dicrollo delle vendite e un rime-scolamento delle destinazionidi esportazione. Oggi la Benel-li è ritornata più o meno ai li-velli di fatturato precedenti al-la depressione economica: cir-ca 100 milioni all’anno, conpoco più di 260 dipendenti.“Nel prossimo futuro non pen-so che cresceremo – confessa ildirettore commerciale – nécredo che manterremo questolivello. Il mercato delle armi èun settore fluttuante, con osenza la crisi economica”. Mentre usciamo, Porreca indi-ca una grande mappa del mon-do appesa nell’atrio: “Quellicon il simbolo sopra, sono ipaesi nei quali abbiamo espor-tato almeno una volta”. La con-centrazione è in Europa e inAmerica, in cui quasi tutte lenazioni sono spuntate, ma cisono anche l’India, l’Australia,il Giappone, la Corea, l’Egitto, ilKenya e diversi altri paesi spar-si qua e là. “In ogni caso – spie-ga il direttore commerciale –non parte nessun fucile se pri-ma non c’è l’autorizzazionedella questura, della prefettu-ra o del ministero. È così ancheper la vendita in Italia”.

Raffaello, il fucile di UrbinoLa Benelli vende in tutto il mondo armi che portano spesso nomi legati al territorio

Più del 50 per cento della produzione finisce negli Stati Uniti: il bestseller è il semiautomatico Super Black Eagle

La Benelli Armi è stata fondata nel 1967dai fratelli Giovanni e Giuseppe Benelli,

titolari della omonima azienda di motoci-clette di Pesaro. La fortuna dei fucili urbi-nati deriva dall’intuizione del progettistameccanico bolognese Bruno Civolani, chenegli anni ’60 ha inventato il sistema iner-ziale Benelli, un tipo di meccanismo che hauna delle capacità di riarmo più veloci delmondo: 5 colpi in meno di un secondo. Nel1983 la Benelli è stata acquisita dalla Fabbrica d’armi Pietro Beretta. L’azienda urbinate nel2007 ha festeggiato il traguardo di 2 milioni di fucili prodotti in 40 anni: per l’occasione èstato creato un nuovo modello in edizione limitata, il Bimillionaire. Tra gli ultimi fucili uscitiin edizione limitata c’è anche il Raffaello Arabesque.

Dalle motociclette alle armi da caccia

Il leone imbalsamato in cima alle scale del reparto uffici. In alto una visuale della fabbri-ca Benelli da satellite. Nella pagina accanto: in alto Piero Guidi, sotto la nuova boutiquedi New York

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IMPRESE

Piero Guidi è sedutonel suo ufficio. Lepareti della piccolastanza sono carichedi fotografie: ce n’èuna con Carlo Bo,

una con Giovanni Paolo II. Maci sono anche i disegni dellanipote e le sue creazioni, tracui una variopinta Marilyn sucartoncino, oltre alle locandi-ne che immortalano lo spon-sor Michelangelo Antonioni ela moglie con le sue borse.“Vedete? Ho sbagliato a farequesto tavolo. Dovrebbe esserealto 78 cm, invece sono 84. Incompenso ho risolto metten-doci dietro una sedia moltopiù grande”. In una battutaviene fuori l’artista: creativoma pratico. Gli angeli in volosono il suo marchio, eppure luisembra con i piedi ben pianta-ti per terra. Guidi, classe 1949, si forma aUrbino, alla scuola d’Arte.Comincia a disegnare qualchefibbia, poi un po’ più in là conle cinture. Infine diventa unostilista affermato in tutto ilmondo. Un collaboratriceentra nello studio e gli comu-nica: “Non so se le hanno dettoche oggi sono partite due spe-dizioni per l’Australia”. Cina,Russia, America: le sue borseaccompagnano le donne diqualsiasi continente. Ma la suasede è ancora qui, nella valledel Montefeltro, a Schieti. “Ioho studiato a Urbino – diceGuidi - la mia cultura, i mieisentimenti, le mie passioniappartengono a questa città.Poi, certo, ho viaggiato moltoma sono sempre un contadinometropolitano: la mente è qui,lo stile è qui, le idee provengo-no da qui”. Ed è proprio questo che vieneapprezzato all’estero. La crea-tività, la cifra stilistica delmade in Italy. “La creatività –continua – è un bene di Dio,come l’acqua, la luce, il sole. Èquella che aggiusta un proget-to. Il made in Italy non sonosoltanto le giacche, le borse, lescarpe. Il made in Italy sonoanche i monumenti, èRaffaello, le grandi città, la pia-dina, la pizza, la crescia”. Lavorano con lui la moglieNadia e i figli Giacomo eGionata. Guidano un’equipedi settanta persone. Molti sonogiovani, formatisi nelle scuoledi eccellenza artistica diUrbino. Vanno in azienda perqualche stage, i più bravirimangono. “Siamo chiamatiall’immaterialità – afferma,sorseggiando un tè caldo – adavere sempre idee nuove.Viviamo in un mondo dove cisono milioni di oggetti. Quindi

bisogna trovare qualcosa dinuovo, avere delle percezionisempre diverse. I giovanidevono essere super ambizio-si, avere un orgoglio incredibi-le. Devono essere al centrodell’universo. Cosa gli manca?Tutto è alla loro portata”.Tra un’esortazione e l’altra,Guidi torna con la memoriaall’inizio. Il suo inizio.“Quando ho cominciato – rac-conta – sono passato aScandicci, in Toscana, davantialla fabbrica di Gucci. C’eranoquesti due grandi massidavanti e mi chiedevo comece li avessero portati. Nonpensavo avrei creato una fab-brica anche io. Ma comunquebisogna guardare ai grandi, emetterci del proprio: la pro-pria ispirazione e la propriapersonalità. Io mi sono legato

a quei due sassi. Oggi a un gio-vane direi di legarsi alle nuvo-le”. Nuvole che sono immagine diuna certa spiritualità che sicoglie nelle sue parole. Unaspiritualità che, a detta diGuidi, è il quid in più in un“costruttore di oggetti”.“Cerchiamo di realizzare deiprodotti – spiega – che sianoeccellenti, che durino neltempo, che diventino compa-gni della vita quotidiana dellepersone. Questa è la filosofia diquesta azienda. Oggi per il 90%gli oggetti servono in quantocomunicatori di affetto”.E l’aspetto “valoriale” sembrainvestire anche l’ambito lavo-rativo in maniera più pragma-tica. “Se dai a un negozio unprodotto che funziona – dice –quello può pagare le commes-

se, gli affitti. Bisogna semprelegare il proprio operato a deivalori saldi”. Valori di cui sonofatti portatori anche illustritestimoni del marchio. Lihanno definiti “angeli delnostro tempo”: il regista tede-sco Wim Wenders, le figlie diMartin Luther King,Muhammad Alì.Sarà per questo che le borseispirate dal circo di Chagalldipinto sul soffitto dell’Operadi Parigi sono così richieste eapprezzate dalle donne ditutto il mondo? Sarà perché alloro interno spicca il claim “lafantasia non muore mai?”. Saràperché ogni singola borsa,ogni scarpa, ogni foulardsmette di essere un sempliceoggetto per essere altro (oalmeno secondo le intenzionidel creatore)?

“Un giorno ero in aeroporto aHong Kong – racconta infine –il mio marchio allora eranouna ‘p’ e una ‘g’. Un virtuosi-smo grafico. Ebbene l’ho guar-dato e ho pensato che nonvoleva dire proprio niente.Sono tornato a Urbino e hodeciso che l’avrei distrutto.Volevo qualcosa che apparte-nesse alla vita. Dopo due annisono venuti fuori questi dueangeli in volo. Le iniziali delmio nome e cognome eranoun segno grafico ispirato daimiei insegnanti di arte. E sape-te che vi dico? I giovani devonoascoltare i propri insegnanti,apprendere dalla loro espe-rienza. Ma devono fare di più,andare oltre. Io ho fatto così:sono andato oltre il segno. Ciho messo sopra un valore cul-turale”.

GIUSEPPINA AVOLA

“Sono un contadinoma metropolitano”

Piero Guidi, lo stilista venuto dall’arte

Fra gli sponsor, le figlie di Martin Luther King e Wim Wenders

Nella Grande Mela inaugurato il nuovo “concept store”

A New York ispirati da Palazzo DucalePer comprare una borsa Piero Guidi a

New York basta prendere un taxi e direall’autista: “430 West Broadway”. L’au-

tomobile gialla si infilerà nelle strade di So-ho, il quartiere chic di boutique e artisti e,una volta arrivato a destinazione, vi lasceràdavanti allo store monomarca dello stilistaurbinate. Quattrocento metri quadratiprogettati dall’architetto Tho-mas McKay. Uno di quelli concui non si può sbagliare: ha giàcurato gli interni dei negozi diVersace, Hugo Boss e JimmyChoo. Un open space in cui iprodotti “Lineabold” e “MagicCircus” si affacciano in tutto illoro protagonismo. Ma soprat-tutto un luogo pensato perportarsi dietro le proprie origi-ni anche all’estero. Il design diMcKay è, infatti, ispirato a Ur-bino: si richiama al laboratoriodello Studiolo di Palazzo Du-cale, riprendendone le pro-porzioni classiche. Secondo leintenzioni dell’architetto e dei“committenti”, lo store ameri-cano è un ambiente in cui sicombinano tradizione e mo-dernità. All’ingresso della boutique di Soho, propriosul pavimento, i due angeli abbracciati in vo-lo, marchio dell’azienda e immagine di esu-beranza e creatività. Ma il volo non è solosimbolico per la holding di Piero Guidi, oggiguidata dai figli: Giacomo, che è direttore ar-tistico e cura il lavoro stilistico e di comuni-cazione, e Gionata, che gestisce invece imercati esteri, lo sviluppo industriale e ilmarketing. Secondo l’azienda, che tieneblindati i dati sul bilancio, il marchio è cre-sciuto del 20% negli ultimi tre anni. Alla fac-cia della crisi. E se il volume d’affari dell’a-zienda aumenta, bisogna innovarsi e stare al

passo con i tempi. La boutique di New York è stata la prima a es-sere coinvolta in un processo di gradualetrasformazione dei negozi Piero Guidi spar-si nel mondo. Dopo sarà la volta dei trentapunti vendita monomarca presenti nel ter-ritorio asiatico, tra Cina, Giappone e Hong

Kong. Nella classifica dei clienti affezionati,subito sotto l’Italia - in cui i siciliani la fannoda padrone -, la Russia con Mosca capofila,la Gran Bretagna, l’America e la Cina.Ma le strategie di marketing messe in attodall’azienda con base a Schieti valicanoconfini geografici e si muovono sul pianodella comunicazione globale. Per comprareun articolo di pelletteria firmato Piero Gui-di, oggi basta collegarsi allo shop online del-l’azienda, scorrere le foto dei prodotti e met-tere nel carrello il preferito. Farsi colpire da-gli oggetti, innamorarsi di loro per quel qual-cosa che il cliente cerca in quel preciso mo-

mento. “Il prodotto – afferma Piero Guidi – èpiù interiore che esteriore”. Oltre alla vetrina in Rete, ruolo importantedi contatto con i clienti sono le App e i socialnetwork. Prima di essere presentate attra-verso la stampa, borse e cinture del marchiovengono esposte su Facebook, Instagram,

Twitter e Pinterest. “La pa-gina Facebook ha registrato190.000 mi piace – diconodall’azienda – e la portata divisualizzazioni di un post èdi 47.000 persone. Moltevolte non facciamo in tem-po a postare un’immagineche subito arrivano i primicommenti degli utenti. Cichiedono il prezzo, espri-mono il loro gradimento.Certe volte anche in lingueche fatichiamo a ricono-scere. E questo è un appor-to positivo perché si instau-ra un rapporto più familia-re tra l’azienda e il cliente fi-nale. C’è uno scambio di in-formazioni, un aiuto diret-to in caso di assistenza e divendite che si concretizza-no sul nostro e-shop uffi-ciale”.

Insomma, in un mondo globalizzato, la dif-ficoltà di un marchio dalla forte identità co-me quello di Piero Guidi non è tanto quelladi raggiungere il grande pubblico mondialepur rimanendo tra le colline del Montefel-tro. È, semmai, quella di trovare un valore ag-giunto rispetto alla molteplicità di oggettiche invadono la nostra vita di tutti i giorni. Edare loro un’anima capace di entrare in con-tatto con il cliente e restituirgli una porzionedi cultura che ha portato alla creazione diquella borsa, di quella valigia, di quel fou-lard. (g.a.)

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il Ducato

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Non è un disegno, è una newsUmberto Mischi collabora con Le Monde e New York Times

Un gangster anni’70 - coppola, Ray-ban e baffoni - sene va in giro perKingston Town insella alla sua moto

custom, sulle note di un leggeroreggae. Si chiama Baldo Bantoned è il personaggio nato dalle ma-tite dei Good Idea. Grazie a luiquattro ragazzi usciti dall’Istitutosuperiore d’arte di Urbino (Filip-po Volpi, Marco Amantini, AlekosPrete e Laura Paniccià) hannoportato animazione e grafica ita-liana dall’altra parte dell’oceano,sulle copertine dei cd di famosirapper americani. Amici da anni,i Good Idea si sono conosciutiproprio a Urbino. Dal 2012 dise-gnano cover e copertine per al-bum e singoli musicali e, in solidue anni, hanno già curato la gra-fica del tour europeo del rapperBlaq Poet e la copertina dell’ulti-ma raccolta di Dope Music Blog;sono stati al centro di una punta-ta di The Flow, il programma diDeejay tv presentato dal rapperMix Up, realizzando anche la gra-fica delle sue pagine ufficiali; han-no realizzato la copertina dell’al-bum Project Manzu del rapperDaima Manzu, che annovera trale collaborazioni anche KoolG eTormento dei Sottotono. Orastanno lavorando al retro di co-pertina. In questi giorni hannofatto uscire un video per King Ra &SciFi nei panni dei protagonistidel famoso telefilm americanoBreaking Bad, che è stato ufficial-mente “ritwittato” proprio da unodei protagonisti della serie, l’atto-re Charles Baker, alias Skinny Pe-te. Tutto questo? Grazie al web. Ilprogetto dei Good Idea, infatti, ènato un po’ per caso sui social net-work, che gli hanno consentito dimostrare il talento e dare il via al-le prime collaborazioni. “Circa unanno e mezzo fa – racconta Alekos– avevamo condiviso alcuni no-stri lavori su Twitter. Da lì è co-minciato tutto”. Il primo cliente sichiama Awkword, un rapperamericano molto noto nel settoredella musica hip hop under-ground. “Incuriosito da un nostrodisegno di Baldo – prosegue Ale-kos – ci ha subito chiesto di realiz-zare la copertina di un suo singo-lo”. Per lui, nel tempo, ne hannopoi disegnate altre e non solo: l’ar-tista li ha anche inseriti nell’ini-ziativa #WorldView, un progettosociale al quale collaborano arti-sti da più di venti Paesi, del qualesono diventati direttori artistici.Hanno quindi realizzato per ilrapper Centri, proprio animandoBaldo Banton, cui la canzone èdedicata. In realtà sul gangstergiamaicano è già pronta tutta unaserie, quello che manca è un pro-duttore. In attesa di trovarlo, perora diventerà il testimonial di unacampagna pensata per le scuole.Il viaggio “social” dei Good Idea èriuscito a riportarli anche in Italia.Sono infatti impegnati nel pro-getto “Due mani sul torace salva-no la vita”, voluto da 118 e mini-steri di Salute e Istruzione, chemira all’introduzione di ore for-mative nelle scuole per l’insegna-

MARTA MANZO

A destraBaldo Banton

e il logo deiGood IdeaIn basso,

l’autoritrattodi Umberto

Mischi

Metti insieme una matita, unapenna grafica e una e-mailinviata nel posto giusto e al

momento giusto. Il risultato sarà la pos-sibilità di trovare, sfogliando le maggioritestate internazionali, le illustrazioni diUmberto Mischi. Nato nel 1987 a Sabbioneta, in provinciadi Mantova, Mischi è un graphic designerlaureato all’Istituto superiore per leindustrie artistiche di Urbino. Ha sempresaputo che il disegno sarebbe stata la suavita. La vocazione di raccontare la realtàattraverso linee, curve, punti e colori cel’ha da sempre, fin da quando era picco-lo. Già all’età di nove anni vince un con-corso artistico nella sua città. Ma è aUrbino che capisce di voler fare l’illustra-tore di libri. O, comunque, di renderegraficamente quello che viene scritto neigiornali. Frequenta quindi l’EcoleEstienne di Parigi, dove segue i corsi diillustrazione e type design, la branca chestudia il disegno dei font grafici. Scopreanche che gli piace disegnare con stru-menti che sporchino poco le mani. Dopo la laurea vola oltreoceano per pre-sentare le idee e i lavori agli editori. Graziea Internet riesce, inviando soltanto unmessaggio di posta elettronica, a sotto-porre le sue tavole al direttore del NewYork Times. Nel giro di un’ora riceve rispo-sta affermativa: non solo i suoi lavori

appaiono interessanti, ma in capo a unmese gli vengono anche commissionatele prime illustrazioni. In una di questerealizza un disegno per una recensione -negativa – di un libro di cucina. Un testche trova difficile, ma anche divertente.Disegna quindi un enorme pentolone in

cui ribolle una poltiglia verdognola, dallaquale spunta l’angolo di un libro. Da quei primi momenti sono passatiormai tre anni e Umberto Mischi oggi col-labora con New York Times, New Yorker, LeMonde, Chicago Tribune, Washington Poste altri ancora. Continua a lavorare invian-do le proprie illustrazioni dall’Italia, qui,dov’è il suo cuore e dove spera di potercontinuare a vivere. Nel 2010 alcune sueopere sono state scelte per la Fiera dellibro bambini di Bologna e, sempre nellostesso anno, è diventato consulente didesign per una casa editrice per bambinia Roma. Per l’estero, intanto, da qualchemese può contare anche sulla presenza diun agente personale che gli fa da interme-diario dagli Stati Uniti presentando i suoilavori alle diverse realtà editoriali. Unapossibilità che gli viene offerta dal merca-to estero in virtù della sua diversa culturadell’illustrazione. Così, Mischi realizzaillustrazioni colorate al limite della psi-chedelia, che mischiano disegno e foto-grafia e oscillano tra l’astrattismo e la popart, inserendo, di tanto in tanto, camei dipersonaggi famosi. Altri suoi lavori sono invece sparsi traModena, Milano e Berlino, ma anche aMantova dove, in questi giorni e fino al 22marzo, la sua personale “Varietà” di illu-strazioni è visibile in mostra allo spazioMutty. (m.m)

mento del massaggio cardiaco.Tuttavia, con il cambio di governodi questi giorni, non è ancora cer-to il destino cui andrà incontro.Intanto si concentrano sul pro-getto“Hey! Young World”, per lescuole primarie americane. A

chiamarli è stato Anson TribecaRichards, rapper e insegnante,che ha voluto dieci dvd per in-segnare ai bambini a contare ead approcciare al mondo trami-te la musica. Di altri progetti, in-vece, non si può parlare. Top se-

cret “per scaramanzia”, spiegaAlekos, mentre per il futuro so-gnano di ingrandirsi e migliora-re. “Siamo già stupiti della ri-sposta che abbiamo avuto –conclude - ma vorremmo cheGood Idea diventasse, oltre allo

studio grafico che è, una realtàimportante di produzione percortometraggi in animazione,video clip, serie animate e videopubblicitari in animazione”. Daportare avanti ancora grazie alweb.

Il successoè una “good idea”Con un “tweet”, quattro ragazzi dell’Isa sono diventati i “cover” dei rapper Usa

Il loro personaggio si chiama Baldo Banton. Ed è destinato a un luminoso futuro nei fumetti e nei cartoons

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STORIE

Siamo abituati a consi-derare Urbino comeuna meta, una destina-zione. Ma se da un latosono tantissimi coloroche ogni anno ne fanno

il capolinea del proprio viaggio,dall’altro c’è anche chi da qui hadeciso di partire, di fare le valigieper iniziare un nuovo percorso.Sono pochi, a dire il vero, e tro-varne qualcuno è stato più diffi-cile del previsto. Ma Franco An-tonelli, Giacomo Stulzini e Ales-sandro Carloni hanno in comu-ne proprio questo. Tutti e tre so-no urbinati e tutti e tre, un po’ perscelta e un po’ per caso, hannodeciso di lasciare Urbino perprendere il largo. Sono partiti dagiovani e nessuno è più tornato,segno che la loro scommessa diallontanarsi dal Montefeltronon era poi una stravagante “fol-lia”. Lavoro, amore successo. Tut-ti e tre hanno insomma ottenutociò che cercavano e che qui, perun motivo o per un altro, nonavevano trovato.

Aveva a malapena 18 anni FrancoAntonelli quando salutò Urbinoalla volta di Ginevra. Si ricordaperfino il giorno esatto: “Era il 18febbraio 1962. Quel viaggio nac-que per puro caso – afferma – per-ché non avevo in programma dilasciare Urbino”. A quei tempi eraun giovane vetraio, professioneaffinata da tre anni di apprendi-stato in una ditta di Urbino cheadesso non esiste neanche più.“Mi ricordo come se fosse ieri –precisa – che, mentre lavoravo,arrivò un signore che, in un italia-no stentato, mi offrì di andare a la-vorare a Ginevra. Perché no, pen-

sai, in fin dei conti erano molti gliitaliani che a quel tempo andava-no in Svizzera a lavorare.” Con-vinto di dover affrontare il servi-zio militare l’anno successivo,Franco partì. Era certo che la suaesperienza all’estero sarebbedurata al massimo un anno. Nesono passati 52. Nell’arco diquesto mezzo secolo Franco èvissuto a Ginevra, dove si è spo-sato e dove 47 anni fa è nato suofiglio. E nonostante sia trascor-so così tanto tempo, sono inmolti nella provincia a ricordar-si di lui. Merito del suo lungo im-pegno per l’integrazione dei cit-tadini marchigiani emigrati edel suo ruolo nell’AssociazioneMarchigiani in Svizzera, di cui èpresidente da oltre 30 anni. Conpiù di tremila fra pesaresi e ur-binati, la Svizzera è la nazionecol più alto numero di cittadiniprovenienti dalla provincia.Nonostante il successo e la feli-cità, duri da trovare per qualsia-si emigrante, Franco non ha di-menticato le sue origini marchi-giane. Anzi. Le sue iniziative, ri-volte a tutti gli italiani che si so-no trasferiti in terra elvetica,hanno portato nel 2006 alla suanomina a “Cavaliere della stel-la della solidarietà italiana” daparte del presidente della Re-pubblica Giorgio Napolitano,un’onorificenza prestigiosa ri-volta ai migliori italiani all’e-stero. A 70 anni, insomma,Franco ha raggiunto traguardie successi che difficilmentequel 18 febbraio del 1962avrebbe pronosticato. “Adessoche sono in pensione – confes-sa - mi potrò finalmente conce-dere qualche viaggio con miamoglie. Mi piacerebbe tornarenelle Marche a trovare qualchevecchio amico”. Si dice che chiparte sa da cosa fugge ma nonsa che cosa cerca. Mai prover-bio si rivelò più azzeccato.

Da Urbino a New York il passonon è poi così breve. Ma se la tuacamera è tappezzata di poster ebandiere degli Stati Uniti e ilchiodo fisso è quello di scoprirela Grande Mela, la distanza noncostituisce un problema. Così, 7anni fa, Giacomo Stulzini ha de-ciso di fare le valigie e di metter-si a rincorrere quel sogno. “Vadoa imparare la lingua” aveva det-to ai suoi, conscio che quella erala scusa più ricorrente per giusti-ficare una bella vacanza all’este-ro. Fu un mese intenso a NewYork, trascorso da studente almattino e da turista per il restodella giornata. Ma quelle gior-nate passate a girovagare da so-lo per le strade di New York si so-no rivelate determinanti, per-ché in quei giorni sono matura-te molte delle scelte che gliavrebbero cambiato il futuro.Una volta tornato a Urbino, in-fatti, lascia l’università, iniziatal’anno prima senza troppe prete-se, e si mette a lavorare col padre.La testa, però, è sempre rivolta aquella città, a quel mese indimen-ticabile e così, giorno dopo gior-no, la voglia di mollare tutto e par-tire di nuovo aumenta. Fino aquando squillò il telefono. “Miozio, responsabile di un’aziendapesarese, mi disse che un suocliente a New York aveva bisognodi un ragazzo”. La possibilità divolare di nuovo dall’altra partedell’oceano diventa sempre piùconcreta. Sbrigate le pratiche bu-rocratiche per il visto, si presentail giorno della partenza. Non è

semplice lasciare Urbino, la fami-glia e gli amici in un colpo solo, maGiacomo è pronto a lasciarsi allespalle ogni cosa. “Alla fine – confes-sa - ho salutato tutti e sono partito.Appena arrivato, sono andato adabitare a 50 chilometri dal mio fu-turo ufficio, in un paesino chia-mato Hampton Bays. Non cono-scevo nessuno e il mio inglese erapessimo”. A 23 anni ambientarsi sirivela più complicato del previsto,ma Giacomo è un tipo determina-to e col tempo supera tutti gli osta-coli che gli presentano lungo ilpercorso. “I primi tempi – ammet-te – mi lamentavo spesso con imiei genitori, ma non ho mai pen-sato di tornare in Italia”. Sono pas-sati 5 anni e Giacomo è ancora lì.Si è sposato, ha cambiato casa e la-vora per un’azienda più grande.Adesso vive a Lynbrook, a duepassi da Manhattan dove fa il pro-ject manager per la Boffi Soho,un’azienda italiana che producecucine. Rispetto agli inizi, insie-me agli amici sono aumentate an-che le certezze: “L’America non èsolo il luogo dove voglio vivere –afferma - ma è anche il luogo dovecrescerò i miei figli”.

Alessandro Carloni è un cervello infuga. Ha cominciato a fuggire anco-ra prima di diventare maggiorenne.Dopo un’infanzia trascorsa a Urbi-no a mangiare pane e fumetti, a 17anni inizia a spostarsi in giro perl’Europa. Prima la Germania, poiSvizzera, Francia e Inghilterra conuna matita in tasca. A Milano, men-tre faceva l’università, si guadagna-

Addio Montefeltrol’Eldorado è altrove

La scelta di Franco, Giacomo e Alessandro

Un imprenditore, un disegnatore e un manager: ecco le loro storie

FRANCESCO MORRONE

FrancoAntonelli con la moglieSotto,GiacomoMagnanellicon la fidanzataconosciuta a New YorkSopraAlessandroCarloni, registadella dream works

va da vivere disegnando le illu-strazioni per piccoli racconti. Mala sua vera passione era inventarestorie e così, unendo le due cose,inizia a specializzarsi nell’anima-zione. Fino a quando nel 2001 nonarriva la svolta. Insieme ad unamico dirige i sette minuti di “TheShark and the Piano”, cortome-traggio che ottiene premi in tuttoil mondo e incuriosisce perfino laDreamworks. La casa di produ-zione americana non ci pensa unattimo e decide di assumerlo. Daallora Alessandro vive a Los Ange-les e la sua carriera non ha cono-sciuto pause. Negli studios cali-forniani ha lavorato ai progettipiù importanti: da animatoredel personaggio principale di“Sinbad leggenda dei sette ma-ri” a supervisore dell’animazio-ne per “Kung Fu Panda” nomi-nato all’Oscar. Dopo tanti annidi gavetta, passati a ricoprire iruoli più disparati, quest’annoarriverà anche il suo debutto daregista nel lungometraggio ani-mato “Me and my Shadow”. “Ilnuovo progetto della Dream-Works – rivela - sarà una pellico-la pionieristica che unirà l’ani-mazione tradizionale e quella alcomputer”. Una nuova sfida chenon lo preoccupa affatto perché“dopo aver fatto il direttore d’a-nimazione, lo scultore e il super-visore degli effetti speciali, final-mente ho l’occasione di dimo-strare le mie capacità di regista”.Da Urbino a Hollywood il per-corso è stato lungo, e sebbenenon esistano segreti per il suc-cesso, lui è certo di averne uno:“Devi essere un sognatore. E nonarrenderti mai”.

Svizzero per caso USA, solo andata

A colpi di matita

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il Ducato

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Il lungo viaggio del tartufoIl 90 per cento si vende all’estero. Acqualagna tra i maggiori produttori, ma il prezzo del bianco è in calo

Basta entrare den-tro un qualsiasibar di Acqualagnache si sente parlaredi tartufi. “Ma ilbianchetto que-

st’anno si trova? No quest’an-no meno, se lo trovi vendilo su-bito”. Mentre i cavatori bevonoil caffè scambiandosi consiglisulle zone migliori del tartufo,ad Acqualagna, poco più di4000 abitanti, ci sono 10 azien-de che si occupano di lavorar-lo e venderlo. La “Acqualagnatartufi”, 14 dipendenti e 2 mi-lioni di fatturato ogni anno, èl’impresa con più certificazio-ni di alto livello e una clientelainternazionale. Il tartufo oltreconfine non conosce crisi. “Il90% dei nostri prodotti va al-l’estero, gli stranieri sono piùdisposti a spendere per unprodotto di qualità”, spiegaEmanuela Bartolucci, titolaredell’azienda. Al forum di Davos, in Svizzera,il meeting dove si incontrano ileader dell’economia mon-diale, quest’anno è stato servi-to i l t a r tu fobianco di Ac-qualagna, men-tre i commissaridi Bruxelles si ri-uniscono a par-lare del futurodell’Europa daLa Truffe Noire,ristorante a cin-que stelle doveuno dei piattipiù esclusivi so-no i ravioli ripie-ni di tar tufomarchigiano.L’America è uno dei mercatitradizionali, mentre gli Emira-ti Arabi e la Russia sono i nuo-vi clienti. Insomma da un oronero a un altro. Si è mobilitatopersino il presidente delGruppo ristoratori italiani ne-gli Stati Uniti Tony May, che èvenuto fino ad Acqualagna perpremiare Emanuela Bartoluc-ci e la sua azienda. I neropre-giati e i bianchi del paesino inprovincia di Pesaro e Urbinopossono essere apprezzati an-che dai palati degli emiri diAbu Dhabi: la catena di risto-ranti a sette stelle Jumeirah liserve regolarmente.Tra i cultori del pregiato tube-ro anche molti personaggi fa-mosi, come il premio NobelDario Fo. “Gli volevamo rega-lare un tartufo bianco – rac-conta la Bartolucci – ma luinon se n’è voluto andare senzadarci qualcosa in cambio. Ciha regalato questo disegno incui c’è un asino che cerca tar-tufi e il suo padrone, perchésecondo Fo il cane è come l’a-sino, lavora ma i meriti se liprende il padrone”. Nel suostudio invece le magliette au-tografate di Andrea Ranocchiae Marco Materazzi.“I nostri prodotti – ci tiene asottolineare la titolare – sonoprivi di additivi chimici e più

del 60% delle materie primeutilizzate provengono dalleMarche, packaging compre-so. Noi crediamo nella filoso-fia del kilometro zero e pen-siamo che sia importantecreare una rete tra chi lavorasul territorio”.Il paese ha un concorrente for-te con un nome ingombrante:Alba. All’estero si conoscemolto di più la cittadina pie-montese, ma secondo Ema-nuela Bartolucci, la vera capi-tale del tartufo è Acqualagna.“Noi abbiamo 9 varietà, che sipossono raccogliere tutti i me-si dell’anno. Alba ne ha solodue e per un periodo molto li-mitato. In un giorno producia-mo il tartufo che Alba producein un mese. Abbiamo un poloche in Piemonte non esistepiù, gli rimane solo il nome euna posizione geografica piùfavorevole.” Difficile darle tor-to, 2/3 del tartufo italiano vie-ne da Umbria e Marche, so-prattutto da Norcia e Acquala-gna.Sembra un business facile, perle aziende, procurarsi la mate-ria prima, venderla fresca o la-varla, tagliarla e cuocerla pertrasformarla in salse e condi-menti, ma non è così. A un ca-

vatore basta unbuon cane, unpatentino e unatassa annuale di90 euro. Una vol-ta trovati i tube-ri, i tartufai livendono senzapagare un eurodi Iva. A pagarla invecesono le aziendeche li lavorano,con la beffa dinon poter nean-che de t ra r re

l’acquisto della materia primacome spesa. Anche la lavora-zione ha dei costi molto alti.Per entrare nel laboratorio ci sideve vestire come i tecnici del-la centrale nucleare di Fukus-hima: non un granello di pol-vere deve contaminare il pro-dotto grezzo. Gli operai sele-zionano e spazzolano i tartufi.Costosi macchinari provvedo-no a cottura, sterilizzazione, epreparazione di vasetti di con-dimenti e salse. Per essere credibili con i clien-ti stranieri c’è bisogno di co-stose e scrupolose certifica-zioni. la Acqualagna tartufi neha tre: La Ifs (tedesca), la Brc(britannica) e la Iso (interna-zionale). “Da quest’anno –puntualizza Emanuela Barto-lucci - abbiamo un livello A.Siamo gli unici nelle Marche.Per mantenere questo livellodi eccellenza siamo sottopostia continui controlli e tutto ètracciato. Non possiamo per-dere di vista neanche un vaset-to”.Dall’estero non arrivano soloopportunità, ma anche insi-die. Capita spesso che venga-no spacciati per italiani tartu-fi di scarsa qualità provenientidall’Europa dell’est. Lo scorsoottobre, i carabinieri hannotrovato ad Acqualagna un fur-

gone appena arrivato dallaRomania con sei quintali ditartufi bianchi e neri a bordo. Ilcarico era destinato a un com-merciante molisano che stavapartecipando alla fiera nazio-nale del tartufo bianco. Un fat-to simile era avvenuto a luglio:in quel caso erano stati seque-strati 10 quintali di tuberi stra-nieri.Per il cliente inesperto è poimolto facile confondere unNeromoscato con un Nero-pregiato o peggio ancora ilBianchetto col Bianco e ci so-no dei ristoranti che se ne ap-profittano.Una vera truffa pertasche e palati. Per non farsi raggirare, è sem-pre meglio rivolgersi alleaziende o frequentare le fiere ei mercatini. L’azienda di Ema-nuela Bartolucci ha un ban-chetto che gira per l’Italia e perl’Europa. “Siamo appena tor-nati dalla Biofach di Norim-

FEDERICO CAPEZZA

MARIO MARCIS

IL BIANCHETTO(TUBER BORCHII)

IL NERO MOSCATO(TUBER BRUMALE MOSCHATUM)

Può essere confuso con il bianco nonostantela differenza di sapore. Facile da trovare nelleregioni dell’Italia Centrale. Periodo di raccolta: 15 gennaio - 30 aprile

Dal sapore forte e piccante, è poco diffuso e meno conosciuto rispetto ad altre varietà. I tuberi, in genere, sono di piccole dimensioni.Periodo di raccolta: 1 gennaio - 15 marzo

EmanuelaBartolucci:

“Alba ha soloil nome. Lavera capitaledel tartufo è qui”

Il costoso tubero non conosce crisi e conquista le tavole di tutto il mondo

Il listino dei tartufi 2014

Bianco

Nero Pregiato

1000-1500 750

Nero Moscato

Bianchetto

300

300

Varietà Prezzo al chilo in euro

* I dati sono indicativi e variano in base alla stagione e alla pezzatura

berga, ma ne facciamo quat-tro a settimana. Per noi è unottimo modo per farci cono-scere dai clienti e per capire iloro gusti”.“Stiamo lavorando a un con-sorzio del tartufo di Acquala-gna – anticipa la titolare del-

l’azienda - con marchio e pac-kaging unico per tutte leaziende, un po’ come hannofatto a Modena con l’acetobalsamico. E come loro ci pia-cerebbe ottenere il marchio didenominazione di origineprotetta”.

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SAPORI

A sinistra,un NeroPregiato e un NeroMoscato a confrontoNei riquadri,quattro tipi di tartufoin mostra sul

tradizionale fazzoletto da cavatore

Casciotta “pop”,dal Montefeltro

al Cremlino

Il formaggio dei duchi venduto in Russia

Cinquecento annifa non potevamancare dalletavole imbanditedella corte deiMontefeltro, oggi

inizia ad affermarsi su quelledi Russia e Germania. È laCasciotta, il formaggio urbi-nate per eccellenza, apprez-zato, secondo gli storici,anche da Michelangelo, chese lo faceva spedire a dorso dimulo fino a Roma, dove eraimpegnato ad affrescare lavolta della Cappella Sistina.Un formaggio umile dallanobile storia, il primo, nelleMarche, a ottenere il ricono-scimento DOP (d’origine pro-tetta) dall’Unione Europeanel 1996.Ogni anno ne vengono pro-dotte all’incirca 218 tonnella-te, delle quali solo il 5% fini-sce oltre confine: impossibiletenere il passo delParmigiano o del GranaPadano, ma il formaggio deiduchi continua ad allargare lasua fetta di mercato interna-zionale, forzando le porte dipaesi come la Francia dove ilcacio è qualcosa di più di unsemplice alimento, quasi unculto.“La Casciotta – spiega MariaGrazia Mattei, titolare delcaseificio Val d’Apsa – è unprodotto di richiamo, anchese la quota di esportazione èancora bassa. Non abbiamoclienti finali, ci appoggiamosulla grande distribuzione. Alivello nazionale, invece, tro-viamo spazio in tutta Italia,soprattutto nelle regioni cen-trali”.La caratteristica della Casciot-ta è soprattutto il sapore di lat-te fresco, frutto di una brevestagionatura: “Riceviamomolti complimenti per la qua-lità del prodotto – conferma latitolare del caseificio – soprat-tutto per il gusto dolce e per laconsistenza morbida. È un for-maggio molto apprezzatononostante sia fatto con lattemisto”.Guai a confonderla con la“caciotta”, parente stretta mameno blasonata: la veraCasciotta, ottenuta dal lattedi 44 allevatori locali, è com-posta per il 70-80% da latte dipecora e per il restante 20-

30% da latte vaccino, prove-niente da due mungituregiornaliere. Il latte, una voltacagliato, viene fatto coagularea una temperatura di 35gradi: la pasta così ottenutaviene riposta in stampi epressata a mano secondo tra-dizione con un movimentocircolare e poi salata. Permantenere il sapore origina-rio del latte e la morbidezza,la Casciotta viene fatta stagio-nare per soli 10-20 giorni inambiente buio e leggermenteumido e poi cerata in superfi-cie per evitare la formazionedi muffe.Le forme possono variaredagli 800 ai 1200 grammi, altetra i 5 e i 7 centimetri, conuna crosta molto sottile, unmillimetro circa, di coloregiallo paglierino. Ogni for-maggio viene numerato evenduto con il marchio delconsorzio.La crisi, però, colpisce duroanche questa filiera produtti-va: solo due caseifici (FattorieMarchigiane di Montemaggio-re al Metauro e Caseificio Vald’Apsa di Urbino) portanoavanti la tradizione secolare,mentre un terzo produttore, LaGiunchiglia di Tavoleto, stacessando l’attività per proble-mi finanziari.Come se non bastasse, que-st’anno si è registrato un calonella produzione del latte, unproblema che ha colpito tuttaItalia e causato soprattutto dafattori economici e dai cam-biamenti climatici, che hannomodificato i cicli di allevamen-to.A mettere a repentaglio ilfuturo della Casciotta è ancheil lupo, che negli ultimi anniha ricominciato a popolare lecolline della provincia diPesaro-Urbino nutrendosisoprattutto delle greggi.Un altro problema è la fugadei giovani: i pochi allevatoristentano a trovare chi li sosti-tuirà una volta ritirati dall’at-tività.Per non dimenticare, poi, lamancanza di un reale incenti-vo economico: il premio cheveniva riconosciuto a chi pro-duceva latte per la CasciottaDOP, un tempo pari a 150 lireal litro, adesso ammonta asoli 4 centesimi di euro.

Tre fiere per Acqualagna

FEDERICO CAPEZZA

IL BIANCO(TUBER MAGNATUM PICO)

Ottobre è il mese del tartufo bianco,luglio quello dello “scorzone”, febbraioquello del nero pregiato. Ad

Acqualagna ci sono ogni anno tre fiere dedi-cate alla ricercata prelibatezza: la più famosaè quella nazionale del tartufo bianco, che daquasi 50 anni richiama nel paese appenninicoturisti da tutta Europa. Sei giorni di iniziativegastronomiche che coinvolgono più di 100espositori. Sorella minore, è la fiera regionaledel nero pregiato, quest’anno alla trentunesi-ma edizione, dedicata a una varietà pococonosciuta ma molto apprezzata dagli esti-matori. La fiera è l’occasione per i produttorilocali di mettere in mostra i loro prodotti e difarsi conoscere dai potenziali clienti, per que-sti ultimi, invece, è soprattutto un’opportuni-

tà di assaggiare, magari gratis, i gustosi tuberi.La manifestazione ha anche un riflesso sulprezzo del prodotto fresco: la borsa del tartu-fo viene aggiornata in base alle contrattazionie le quotazioni possono cambiare nell’arcodelle 24 ore. La fiera, però, non è solo standgastronomici e mostra-mercato: convegni ealtre iniziative accompagnano la kermesse.Quest’anno è prevista un’esposizione di canida tartufo, il cui valore oscilla tra i 1500 e i 10mila euro, seguita da una gara amatoriale diricerca dei tuberi. I ristoratori locali, invece,propongono menù promozionali, ovviamen-te a base di tartufo. A luglio, l’appuntamento ècon lo “scorzone” nero. La fiera dura un sologiorno nella località di Furlo d’Acqualagna eabbina musica a menù e degustazioni. (f.c.)

Tra i più ricercati. Il suo profumo è intenso e fruttato, ma l’occhio inesperto può confon-derlo con varietà di valore inferiore. Periodo di raccolta: 1 dicembre - 15 marzo

Il più pregiato. Il prezzo, a seconda dell’anna-ta, può raggiungere anche i 4000 euro al chilo. Periodo di raccolta: 29 settembre - 31 dicem-bre

Le vetrine di bianco, scorzone e “pregiato”

IL NERO PREGIATO(TUBER MELANOSPORUM)

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Tokyoaffetta ilCarpegnaDal 1996 questo marchio Dop resiste alla concorrenza

Il prosciutto montefeltrino viene esportato anche in Giappone, Germania e Francia

“Moltacopia dif o r -magg i ,

pollami, ova, carni salate e pro-sciutti di montagna”. Così scri-veva lo storico PierantonioGuerrieri nel XVII dal borgo diCarpegna. Dopo quasi quattrosecoli in questa regione è anco-ra forte la tradizione del pro-sciutto. Nell’Italia dei mille salu-mi infatti, tra San Daniele,Parma e Toscano, esiste un pro-dotto di nicchia ma di grandequalità: il Prosciutto diCarpegna, in provincia diPesaro e Urbino, marchio Dopdal 1996. Ogni anno, nel comu-ne di Carpegna, sull’Appenninoal confine con l’EmiliaRomagna, circa 90.000 coscevengono impresse con questomarchio di eccellenza.Ultimamente il prodotto harischiato di scomparire.L’azienda Carpegna prosciutti,un totale di 11 dipendenti,unica detentrice del marchio, èstata “salvata” a fine dicembre2013 dal Gruppo Beretta, che harilevato lo stabilimento dall’a-zienda veneta Brendolan pro-sciutti. “Oggi l’export rappre-senta il 5% sul totale della pro-duzione”, spiega LorenzoBeretta, direttore commercialedel gruppo lombardo.Conosciuto e amato fino inGiappone, viene esportato neiprincipali paesi dell’Unioneeuropea, Germania, Francia,Belgio e Lussemburgo in testa.“Il nostro obbiettivo – aggiungeBeretta – è di aumentare la per-centuale delle esportazioniespandendoci nel mercatoeuropeo, Olanda, Inghilterra,Irlanda e Svezia, e in alcunipaesi extra Ue come Svizzera eRussia, dove il prodotto dieccellenza è particolarmenteapprezzato”.Come tutti i prodotti sottopostia certificazione europea, la pro-duzione segue un iter scrupolo-so. I maiali che servono per pro-durre questo prosciutto posso-no essere allevati esclusivamen-te in Emilia Romagna, Marche oLombardia – come spiegaUmberto Marbini, responsabiledi produzione dello stabilimen-to Carpegna - e mangiano maise cereali derivati dal latte in pro-porzioni diverse a seconda del-l’età. Una volta raggiunti i 160kg e i dieci mesi minimi di età, imaiali sono pronti per la macel-lazione. Le cosce, non inferiori a12 chili, vengono poi salate erisalate prima con sale saturo epoi sale marino. Per questo pro-dotto specifico viene utilizzatotradizionalmente il sale marinodi Cervia. Il sale in eccessoviene levato in celle ventilate.Dopo 55 giorni è il momentodella toelettatura, cioè il tagliodell’anca con un seghettopneumatico, poi rifinito a manocon un coltello. Compiuti centogiorni i prosciutti vengono lava-ti con acqua potabile e poi fatti

MARIO MARCIS asciugare in celle di pre-stagio-natura alla temperatura di 16gradi. In questa fase le cosce,asciugandosi, perdono peso: daquesto momento si procedealla stuccatura ovvero la stesurasulla parte magra del prosciuttodi un impasto a base di sugna,pepe e farina di riso. La mar-chiatura, a quattordici mesidall’inizio della lavorazione,viene fatta dall’Istituto nord-estqualità (Ineq). Per capire se ilprodotto può essere messo sulmercato si utilizza un ago, rica-vato da un osso di cavallo, checonsente di fare dei buchi sulprosciutto e verificarne la qua-lità: questa è la puntatura, l’ul-tima fase della produzione.Per chi ha voglia di provarlo l’e-state è la stagione ideale: ognianno al paese di Carpegna, sitiene la festa del prosciutto.L’anno scorso, in occasionedella decima edizione è statopreparato un panino con ilprosciutto lungo 85 metri, unvero record mondiale.

A Napoli e Torino la sfogliata è nei menu

Napoli, pub “El Bocadito” in via Mosca: nelcuore del quartiere del Vomero la cresciasfogliata ha diverse declinazioni, dalla

crema ai quattro formaggi alla salsa di noci. Mala più richiesta, “il cavallo di battaglia” secondoil proprietario, è la crescia con provola, pro-sciutto e pomodorini. Il profeta della piadinaurbinate è stato un distributore di prodotti cheha organizzato una degustazione e ha convintoil titolare di “El Bocadito” a inserirla nel menù.Proprio nella terra della pizza, dove il confron-to è rischioso. Caserta, pub “Masquenada”,comune di Carinaro. Una gara gastronomica sutre livelli. La pizza, la piadina, la crescia.“L’abbiamo inserita da qualche anno nel menù– spiega il proprietario del locale – ed è statamolto apprezzata. La farciamo in qualsiasimodo e ovviamente non manca la crescia con lamozzarella di Bufala. Quella casertana, che sisa, è più buona”. C’è però un problema: il costodella crescia è molto alto e, per quanto buona,cede il passo a scelte più economiche. “Nonnego – conclude il titolare – che sto pensando dirinunciare alla fornitura: una crescia mi costaquanto cinque piadine e anche i clienti ci pen-sano due volte prima di ordinarla”. “Riceviamo con costanza ordini dal sud Italia,soprattutto dalle zone di Napoli e Caserta”, rac-conta Michele Romano, 42 anni e titolare dell’a-

zienda “Il Panaro”, che dal 1982 produce crescesfogliate a Trasanni e Fermignano, distribuen-dole in tutta Italia. “Un ex studente di Urbino–continua Romano - ha deciso di inserirla nelmenù del suo pub e da quel momento staandando a ruba. Ed è così geloso della sua ideache non mi permette neanche di mandargli ilcartone intestato, per evitare che qualcunopossa raggiungerci”.Tipica di Urbino e del Montefeltro, per gli urbi-nati la crescia sfogliata tradizionale è quella far-cita con casciotta e prosciutto di Carpegna.Ogni giorno, al Panaro, producono 8mila crescesfogliate. La pasta, con uovo e strutto, si stende,si unge, si arrotola per formare la cosiddetta“pallina”, si ristende, si fa riposare e poi si cuoce.Tutto a mano “perché la vera crescia sfogliata –racconta Romano – è fatta a mano. Vedo spessoprodotti che della crescia hanno solo il nomema che in realtà sono tutt’altro. Magari si trattadi piadine romagnole o di altri tipi di prodottida forno. Di crescia ce n’è solo una, quella dellaricetta urbinate e stiamo pensando di consor-ziarci per difenderne l’autenticità e anche perpotenziarne la diffusione”.Una decisione che non risulterebbe sbagliata sesi considera che il 70% della produzione de “IlPanaro” va oltre il confine marchigiano.Lombardia, Piemonte, Veneto e bassa EmiliaRomagna. A Torino e a Chiavasso ci sono due“Crescia Point”: il sito internet è una celebrazio-ne di Urbino e del suo prodotto tipico per eccel-lenza. Le declinazioni sono molte, dalla cresciadi kamut a quella tartufata. Fino alla crescia dipolenta. “È un prodotto che fino a qualcheanno fa conoscevano in pochi - concludeMichele Romano – oggi invece sono in molti achiederla. Perché è diversa dalla piadina, per-ché è più saporita e corposa e perché è oggetti-vamente un buon prodotto. Proprio in questigiorni ho ricevuto un ordine dalla Svizzera, incollaborazione con la Coop e sempre più spes-so le persone ne apprezzano la versatilità. Ilmodo più strano per farcirla? Ho sentito che aTermoli la mangiano con il pesce fritto. Ma perme, quella con salsiccia e cipolle non ha eguali”.

Tripadvisor,dall’esterocinque stelleai ristorantidi Urbino

Gourmet sul Web

Inglesi, americani, giappo-nesi, francesi, spagnoli erussi: tutti pazzi per i risto-

ranti di Urbino. I loro palaticamminano per i vicoli strettidi Urbino a caccia di tartufi,pasta fresca e carne locale. Ipiatti si commentano prima atavola con gli amici e poi inrete.I turisti stranieri escono dalleosterie e dalle trattorie dellacittà, tornano in albergo dovesi accomodano in poltrona evotano. Le cinque stellette suTripadvisor, il social networkdei gastronauti, sono spessoassicurate: su 23 attività com-merciali e 193 feedback presiin esame, la media voto deituristi provenienti da oltreconfine è 4,2 su 5. Non maleinsomma, anche perché èdavvero difficile trovare degli1 o 2 in pagella. Sul totale deicommenti solo 13 hanno rice-vuto voti inferiori a 3, mentresono ben 86 i commenti conle cinque stelle.

Per alcuni di loro le cene e ipranzi alla corte del Ducarimarranno memorabili. Siparte dal turista giapponeseche mai dimenticherà “l’ab-bondante vino bianco” sorseg-giato al “Ragno d’oro” per arri-vare a Maria, che daCopacabana è venuta a rilas-sarsi sui colli del Montefeltro ele sono rimasti impressi i cap-pelletti al ragù de “LaFornarina”. Anche un turistadel Kuwait ha voluto dire lasua. Forse dimenticando i pre-cetti di Maometto, si ricorderàper sempre del cinghiale sel-vatico della “Trattoria delLeone”, “il più gustoso piattoche abbia mangiato in Italia”,scrive. Per Maria, svedese, “leverdure e le insalate maturateal sole italiano” offerte dall’o-steria “La Balestra” non sonomai abbastanza.A leggerla così sembrerebbeun plebiscito di papille gusta-tive estasiate. Sebbene leghiandole responsabili delgusto, estasiate lo siano davve-ro, ci sono alcune osservazioniricorrenti da parte dei turisti dioltre confine. Dei prezzi non silamenta quasi nessuno, agliocchi del viaggiatore non sonomai né troppo alti, né troppobassi, ma quasi sempre “ragio-nevoli” o “adeguati”. Le pocheosservazioni negative sonoquasi sempre legate al servizio.Dante, un turista inglese, tes-sendo le lodi gastronomiche diun noto ristorante del centro,lamenta le maniere rudi epesanti di una cameriera. Masono eccezioni, con pochi sor-risi in più le cinque stelline airistoranti di Urbino non glieleleva proprio nessuno. (m.m)

VIRGINIA DELLA SALA

La media voto dei turistiai ristoranti della città

Un operaio durante la fase della stuccatura all’interno dell’azienda Carpegna Prosciutti

L’invasione della crescia

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Tra terra e mare, atrenta chilometridall’Adriatico e tren-ta dall’appenninomarchigiano, neigiorni di cielo terso

si può vedere il mare all’orizzon-te. In questa zona, 20 ettari divigneti e 300 piante di visciole,ciliegie selvatiche caratteristichedel territorio tra Pergola eCantiano. Qui, sulla collina diFratterosa, sorge l’azienda vitivi-nicola Terra Cruda, un’impresa aconduzione familiare gestita daun ragazzo di 31 anni, LucaAvenanti, che ha lasciato glistudi in giornalismo a Urbinoper curare l’azienda di famiglia.Aperta da nove anni, è l’unicacantina che per la sua posizionestrategica è in grado di produrretutti e tre i vini doc della provin-cia, il Bianchello del Metauro, ilSangiovese dei Colli Pesaresi e il

Rosso Pergola. Ma produce edesporta anche la Visciolata, unvino aromatizzato tipico dellazona. A Urbino, si racconta fosseil preferito di Federico daMontefeltro che “quasi nonbeveva vino se non de cerigie ede granate”.Ciliegia, amareno, visciola. Ilfrutto di questo vino aromaticoha diverse definizioni. Di sicuro,però, è amato in tutte le Marchee all’estero. “Abbiamo diversiimportatori di Visciolata – rac-conta Luca – soprattutto inBelgio, Giappone e Stati Uniti: èun prodotto particolare, specifi-co. Talmente aromatizzato edolce che non si adatta a tutti ipalati e spesso chi lo acquistadirettamente in cantina lo fasolo dopo averlo assaggiato”.Cos’è quindi che spinge gliimportatori a comprare un pro-dotto così specifico? “Il fatto diessere grandi aziende con lespalle coperte, per le quali ilrischio di importare e metteresul mercato un nuovo prodottonon è un problema. Soprattuttose dolce: si sa che sia i giappone-si che gli americani amano tuttociò che è dolce”.La preparazione della Visciolataha un lungo procedimento ediverse ricette, dall’anconetanaalla jesina, passando per quellapesarese, che inizia a luglio conla raccolta delle visciole locali. Ifrutti arrivano da Cantiano, daPergola e dal monte Catria, ven-gono versati in un vino rosso giàpronto e mescolati con lo zuc-chero. La fermentazione duracinque o sei mesi e si conclude aNatale, quando la Visciolata èpronta per essere filtrata, imbot-tigliata e venduta. “Oltre a quellopesarese – spiega Luca – noiusiamo anche il metodo anco-netano: le visciole vengonomesse in una damigiana con lozucchero e lasciate macerare alsole. Lo sciroppo che se ne rica-va è poi aggiunto al mosto, adottobre”.Un vino da dessert, rosso rubi-no, con un profumo intenso eun gusto caldo, dolce e morbido.Una produzione piccola per unmercato d’elite che rispecchia ilcarattere raro del prodotto:“Produciamo circa 5mila botti-

glie di Visciolata all’anno e diqueste quasi la metà vanno all’e-stero. L’altra metà la vendiamoai turisti e ai rivenditori dellazona”.L’esportazione di Terra Crudanon si limita alla Visciolata: ilBianchello, il Pergola e ilSangiovese dei Colli Pesaresisono nei listini che Luca portaall’estero e alle fiere a cui parte-cipa. “L’anno scorso abbiamo vinto lamedaglia d’argento in una com-petizione internazionale di viniche si è svolta a Bruxelles.Abbiamo presentato un vinoSangiovese e ci siamo guadagna-ti il riconoscimento. È stata l’uni-ca gara a cui abbiamo partecipa-to e vincere ci ha fatto capirequanto sia importante aprirsi almercato estero, anche con pro-dotti semplici come i nostri”. L’agenda di Luca, infatti, è pienadi appuntamenti in giro per ilmondo: fiera dei vini diDusseldorf, Prowine 2014, ilVinitaly a Verona, un appunta-mento a Londra, poi Giappone eAustria. “In Austria saremo ospitidi un ristorante di origine italia-na che degusterà e farà gustare inostri prodotti per poi, magari,acquistarli. In Giappone sarò ingiro per 15 giorni con la miaimportatrice: visiteremo risto-ranti e negozi per far conoscere inostri vini”. A ben vedere, i vinidella provincia di Pesaro eUrbino non sono molto cono-sciuti in Italia e nel Mondo. Nellecantine dei grandi ristoranti ita-liani spesso non c’è traccia diBianchello o di Pergola. L’unicoSangiovese affermato è quellodei vitigni toscani. “La colpaviene spesso attribuita alla pre-sunta scarsa qualità dei vini.–spiega Luca- In verità il proble-ma è un altro. Basti pensare alBianchello: è un vino leggero esemplice che può essere facil-mente abbinato alla cucinamoderna, dal sushi ai piatti vege-tariani. Per imporlo sul mercato,però, c’è bisogno di un’azionecollettiva da parte di tutti i pro-duttori. Bisogna lanciare e farsopravvivere il prodotto, farglipubblicità, farlo diventare rap-presentativo di un territorio.Ovvio, la qualità ci deve essere e

c’è già. C’è però bisogno anchedi altro”.L’idea è quella di consorziarsi, diesaltare i prodotti locali facendocapire che sono buoni, iniziandoa educare anche i ristoratori e inegozianti locali: “C’è bisogno diripartire dal territorio. Quando sifa un aperitivo nelle Marche è in

provincia, i clienti devono poterscegliere soprattutto i vini locali.Noi siamo bravi. Tutti i produtto-ri della zona lo sono. Ora c’èbisogno di dare importanza allanostra terra e ai nostri prodotti.Ci stiamo già provando e sperodavvero che potremo riuscirciquanto prima”. (v.d.s.)

Un listinodescrittivodei vinimarchigia-ni inGiapponeSotto, ilgiovaneimprendi-tore LucaAvenanti

Bianchello del Metauro: Ottenuto da uve Bianchello,antico clone di Trebbiano, l’origine di questo vino siperde nella notte dei tempi. Secondo lo storico Tacitogiocò un ruolo importante nella celebre battaglia delMetauro, combattuta nel 207 a.C. presso il fiumeMetauro, decretando la sconfitta, per mano dei Romani,dei Cartaginesi guidati da Asdrubale, il cui esercitoaveva ceduto alle lusinghe del vino.Pergola: Ottenuto da un biotipo di Aleatico, presente giàanticamente nell’areale della città di Pergola. Un’uvaaromatica che dona a questi vini grande complessità diaromi sia all’olfatto che al gusto. È la più giovane delletre Doc della Provincia di Pesaro e Urbino. Propostonelle versioni Rosato, Rosso e Aleatico Superiore. Il viti-gno, quasi estinto, agli inizi degli anni ‘80 è stato recu-perato e riprodotto con una paziente ricerca svolta suvecchi filari allora esistenti.Sangiovese del Colli Pesaresi: La zona di produzionecomprende diversi comuni della provincia di Pesaro eUrbino. L’uva sangiovese deve essere presente peralmeno l’85%. Possono concorrere anche laMontepulciano e la Ciliegiolo per un massimo comples-sivo del 15%.

I MAGNIFICI TRE

La visciolata va oltreconfineLa regione Marche produce quasi un milione di ettolitri di vino ogni anno

Con bianchello e sangiovese, imporre all’estero questo vino liquoroso è l’ultima scommessa dei viticoltori

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il Ducato

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Arte, la miniera da sfruttareDopo la scoperta di due ricercatrici, si “rilegge” il paesaggio marchigiano

Come restituire la vita al patrimonio artistico? La lezione delle grandi mostre arriva sempre dall’estero

Serve ancora parlaredelle antiche bellezze emeraviglie dell’Urbinorinascimentale se poila potenza di questopatrimonio non viene

sfruttata al massimo? Il caso della Gioconda diLeonardo da Vinci, il quadro piùfamoso di tutti i tempi, ne è unesempio. Il dipinto ritraePacifica Brandani, una donnaalla corte di Urbino (e non laMonnalisa) con alle spalle il pae-saggio della Valmarecchia. Ascoprirlo nel 2013 sono statedue appassionate ricercatrici,Rosetta Borchia, pittrice edesperta di storia dell’arte, eOlivia Nesci, docente diGeografia fisica all’Universitàdi Urbino. “La scoperta è avvenuta percaso – spiega Olivia Nesci – stu-diavamo i paesaggi dei quadridi Piero della Francesca eimprovvisamente abbiamoriconosciuto un ponte che sivede anche nella Gioconda”. Dopo quattro anni di ricerche,comparazioni geofisiche earcheologiche e l’utilizzo di undrone per la visuale dall’alto, ledue donne hanno riconosciutotutti gli elementi del paesaggio,ritenuto fino ad allora immagi-nario. E hanno pubblicatoanche un libro, il “Codice P”, nelquale spiegano tutti i metodi e ipassaggi dello studio. “Pensavamo di aver fatto unascoperta grandiosa, stiamoparlando della Gioconda – rac-contano le due donne – mainvece la cosa è finita subito neldimenticatoio e anzi ha datoanche fastidio a qualchesovrintendente, come seammettere che quel paesaggiosia reale sminuisse l’importan-za dell’opera”. A parte la recen-te aggiunta su Wikipedia, né loStato, né la provincia o la regio-ne hanno dimostrato particola-re attenzione per questa che difatto può essere una grandeopportunità di attrazione turi-stica.“Ci chiamavano le matte diUrbino, nessuno ci credeva, ma

perché nessuno poteva imma-ginare come fossero i paesaggidi allora che nei quadri sem-brano inventati data la lorobellezza, ma in realtà eranoveri e altrettanto meravigliosi”.Ad esempio nel ‘400 la valle delMetauro conteneva un lagoartificiale creato ad hoc chiu-dendo l’attuale Ponte delRiscatto a Urbania. Il lago erausato per la pesca ed era navi-gabile con le barche a vela,come testimoniato dal dipintodi Piero della Francesca “IlRitratto dei Duchi”.Neanche a dirlo, il maggiore in-teresse per la ricerca è arrivatodal resto del mondo. In Polonia,ad esempio, una rivista ha dedi-cato uno speciale solo per il la-voro delle due ricercatrici,mentre in America chiedonouna copia del libro in inglese,per studiarlo nelle loro univer-

sità, un incremento di SummerSchool e più Master sul Rinasci-mento. “Ci chiamano da tutte leparti, Danimarca, Germania,Inghilterra. In Francia e Olandaabbiamo tenuto anche delleconferenze – spiega Nesci – al-l’estero è stata davvero una sco-perta rivoluzionaria. In Italiaforse abbiamo troppa arte e nonsiamo più capaci di riconoscer-ne il valore”. Ma le due donne non demordo-no e anzi, attraverso la loro asso-ciazione “Montefeltro vedute ri-nascimentali”, stanno lavoran-do su alcuni progetti culturalitesi a rivalorizzare la bellezza deipaesaggi dell’entroterra.“Pensiamo di creare una ‘Fab-brica del Paesaggio’, progettoche avevamo proposto anchenella presentazione della città aCapitale Europea della Culturama che comunque realizzere-

LAURA MORELLI

La stampa lo definiscebrillante, i critici lo voleva-no scoprire prima e ilpubblico lo ha apprezzatoandando in massa avedere i suoi quadri.Stiamo parlando diFederico Barocci, pittoreurbinate nato nel 1533,acclamato la scorsa pri-mavera in un’esposizionealla National Gallery diLondra, dal titolo“Brillance and Grace”. Trale opere in mostra, oltrea una sequenza di boz-zetti, ci sono stati i capo-lavori più spettacolari diBarocci, inclusa la“Deposizione di Cristo”da Senigallia e “L’ultimacena” da Urbino, graziealla collaborazione dellaSoprintendenza delleMarche. La dolcezza deitratti sono le caratteristi-che principali dell’artista,che si ritrovano soprattut-to nei quadri religiosi,espressione diretta dellasua devozione. “Per learmonie di colori raffinatie originali, per le compo-sizioni interessanti e ver-tiginose, Barocci non èmai stato superato,” hadetto il direttore dellaGallery Nicholas Penny.“Ha reso il sacro divina-mente bello e irresistibil-mente umano”.

RILANCI

Barocci aLondra

mo”. Un tuffo nel passato, quan-do nel ‘500 artisti e scienziati ditutto il mondo venivano qui astudiare la bellezza e la magnifi-cenza delle colline urbinati. “Mane abbiamo in mente anche al-tri, ad esempio scoprire la vitadella Gioconda, Pacifica Bran-dani, e i luoghi dove è stato Leo-nardo – spiega Borchia - siamodeterminate a fare tutto. Ad oggisolo la regione Emilia – Roma-gna, le Marche in misura mino-re, ci hanno dato un piccolo fi-nanziamento per aprire a SanLeo tre ‘Balconi di Piero’ dai qua-li ammirare i paesaggi dei qua-dri, ma niente di più.La conservazione del patrimo-nio artistico dovrebbe essere,per le due donne, la nostra eco-nomia e l’arte il nostro petrolio:“Il Rinascimento ci ha lasciatotanta bellezza, noi cosa lascia-mo ai posteri, le superstrade?”.

Il paesaggio

che fa da

sfondoalla

Giocondadi

Leonardo

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CULTURA

Dal Camerun a Urbinoper realizzare il sognodi diventare farmacisti

Lezioni a Dschang con tirocinio nelle Marche

In Africa la giornata iniziapresto. Alle sette le stradedi Dschang, città univer-sitaria del Camerun occi-dentale, sono già piene digente. «Non dimentiche-

rò mai i colori e gli odori delgrande mercato che ogni gior-no invadeva il centro del paese,così come porterò sempre conme gli sguardi pieni di entusia-smo e speranza dei ragazzi chefrequentavano la mia classe»:con queste parole GiovanniPiersanti, professore di Farma-cia dell’Università di Urbino, ri-corda la sua esperienza di inse-gnamento a un gruppo di stu-denti camerunensi. L’avventura di Piersanti è ini-ziata poco più di un anno fa, nelnovembre 2012 quando, insie-me al preside di Farmacia Ora-zio Cantoni e ai professori Si-mone Lucarini e Walter Baldui-ni, è volato fino in Africa per in-segnare la professione del far-macista a venti studenti diScienze Biomedical i . «ADschang non esiste la facoltà diFarmacia – spiega il professorLucarini – e i farmacisti sonopoche centinaia in tutto il Ca-merun. Lo scopo del progetto,finanziato dal Miur e dal Ro-tary, è quello di creare figureprofessionali che facciano daintermediari tra medico e pa-ziente. Oggi in Africa i medici-nali vengono consegnati per lopiù da suore o referenti religio-si». Ad attendere il team marchigia-no, composto anche da inse-gnanti dell’Università di Came-rino, erano presenti tutti gli stu-denti, il rettore e diverse autori-tà locali. «Ci hanno accolto inmaniera unica – ricorda Lucari-ni – si sono esibiti in una danzae hanno cantato l’inno italiano.Ci siamo sentiti subito a casa».Secondo Giovanni Piersantiogni giornata aveva qualcosa dispeciale e irripetibile: «Apriva-mo gli occhi e la prima cosa checi aspettava era un’abbondantecolazione a base di frutta fre-sca: ananas, banane e papaia.Solo allora eravamo pronti perraggiungere il campus dove sitenevano le lezioni. Avevamo adisposizione un autista, maspesso preferivamo utilizzare ilmoto-taxi, uno scooter gialloche non costava più di venticentesimi». Le lezioni iniziava-no alle nove, si interrompevanoall’una per la pausa pranzo e ri-prendevano con i laboratori al-le due del pomeriggio fino allediciotto. «Ricordo ancora il pri-mo giorno – racconta il profes-sor Lucarini – i ragazzi erano unpo’ agitati perché dovevamo fa-re un esercizio per testare il lo-ro livello, ma fin da subito si ècreato un feeling fortissimo».

L’impegno si è presto tradottoin risultati, tanto che nel blogcurato dai professori e aggior-nato continuamente, si pos-sono ancora vedere le tabellecon i voti degli studenti.«Questi ragazzi hanno impa-rato in cinque settimanequello che in Italia insegno indue mesi e mezzo – continuaLucarini – Si alzavano alle tredi notte per studiare e allenove erano a lezione». Dopoaver superato sei esami in tremesi e aver dedicato l’interaestate a studiare l’italiano, oradiciassette dei venti studentiche avevano iniziato il per-corso sono pronti a completa-re la seconda fase del proget-to, che si svolgerà tral’Università di Urbino e quelladi Camerino.«Dal 24 febbraio al 23 maggionove studenti, cinque maschi equattro femmine, frequente-ranno le lezioni qui da noi –specifica Lucarini – hanno tut-ti tra i 21 e i 26 anni e la più gio-vane, Evina Horpa Elvira Chi-mene, è del 1992». Dopo aversuperato cinque esami si divi-deranno e ciascuno di loro faràun tirocinio di sei mesi in unafarmacia delle Marche. Il per-corso di studi si concluderà

con la discussione della tesi e lalaurea magistrale in Farmacia,da raggiungere entro l’estatedel 2015. Mentre la prima mandata diragazzi si prepara a vivere l’e-sperienza qua in Italia, aDschang ci sono altri quattor-dici studenti che hanno ini-ziato le lezioni. «Crediamomolto nel progetto – concludeOrazio Cantoni – l’obiettivoultimo è quello di creare aDschang una facoltà diFarmacia. Vogliamo formare igiovani perché esercitino laprofessione nella loro patria,dove ce n’è un bisogno vita-le». Secondo il preside, perchéla facoltà di Dschang diventiindipendente, sarà necessariaalmeno una terza tornata diinsegnanti e studenti chedovranno fare la spola tra ilCamerun e l’Italia. Intanto l’iniziativa ha già ri-scosso i primi successi: unaOng del Canton Ticino si è mo-strata interessata e l’Universitàcattolica di Bamenda, nel nordovest del Camerun, ha già atti-vato un primo accordo con l’U-niversità di Urbino per svilup-pare un progetto di scambiofondato sulla didattica e sullaricerca.

VALERIA STRAMBI

Le vietnamite della Carlo Bo

Due giovani in laboratorio. In alto la danza per i professoriin Camerun. Sotto, le quattro studentesse di Hanoi

Hanno studiato l’italia-no, hanno dovuto su-perare un esame con

quattro prove e affrontare unvolo di più di dieci ore. Tuttoquesto per avere l’opportuni-tà di vedere di persona la casadi Raffaello. Quattro studentesse dell’Uni-versità di Hanoi, nel Vietnamdel nord, sono arrivate a Urbi-no con il sogno di imparare lanostra lingua e di diventaredelle brave guide turistiche:«Un’amica mi ha consigliatodi venire a Urbino perché èuna città piena d’arte – rac-conta Ánh – e io ero curiosa discoprire dove era vissuto Raf-faello». Le ragazze hanno 19 anni, sono arrivate il 4settembre e da allora alloggiano al collegioIl Colle. Si tratterranno a Urbino fino a giu-gno e dovranno sostenere esami insieme ailoro colleghi italiani. «Questo è il primo anno che abbiamo atti-vato lo scambio con il Vietnam – spiega ilprofessor Claus Ehrhardt, coordinatoredella Scuola di Lingue e letterature stranie-re di Urbino – seguono lezioni di linguisti-ca e cultura italiana, ma anche di marke-ting, economia e gestione d’impresa». I primi mesi sembrano confermare le loroaspettative, anche se confessano che «i

corsi sono difficilissimi e gli esami sono an-dati abbastanza male». Secondo Trâm la bellezza di Urbino staproprio nella sua tranquillità: «Mi sento alsicuro qui e anche se siamo arrivate dapochi mesi ho conosciuto tante personesimpatiche e accoglienti. È la prima espe-rienza che faccio lontana da casa ed eroun po’ preoccupata, invece consiglierei atutti di vivere in questa città».L’Università di Urbino da anni portaavanti diversi programmi interculturali,tanto che il professor Peter Cullen in que-sti giorni si trova negli Stati Uniti per rin-

novare il rapporto tra l’ateneomarchigiano e l’Università diVillanova. In più, la professo-ressa Alessandra Calanchi, do-cente di Letteratura e culturaangloamericana, ricorda cheogni anno il Dipartimento diStudi internazionali ospita perun semestre uno studente del-l’Università di New Paltz, NewYork, come ‘teaching assistant’. Nel prossimo anno accademi-co partiranno anche due corsidi studio che consentono di ot-tenere un doppio titolo di lau-rea magistrale. «Abbiamo fir-mato una convenzione tra lanostra Università e la ‘FriedrichShiller’ di Jena – dice il profes-sor Ehrhardt – gli studenti tra-scorreranno il primo anno in

Germania e il secondo a Urbino. Al termi-ne dei due anni e dopo aver superato tuttigli esami, entrambe le università rilasce-ranno agli allievi un titolo di laurea in Co-municazione interculturale d’impresa». Percorso simile a quello pensato tra l’ate-neo urbinate e l’Università Euromedite-ranea (Emuni) di Portorosa, in Slovenia.Anche in questo caso gli studenti otter-ranno una laurea validanei due Paesi, masaranno loro a scegliere se trascorrereun semestre o un anno nell’altra univer-sità. (v.s.)

Vogliono imparare l’italiano e diventare “tour operator”

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Certo i piani sonodiversi, le qualitàanche, del valorevenale non parlia-mone nemmeno.Eppure, dato che è

passato mezzo millennio, i gio-vani conoscono più RaphaelGualazzi che Raffaello Sanzio ePiero della Francesca. Insomma,anche Gualazzi – fatte questedebite proporzioni – è materialeurbinate da esportazione. Chi èGualazzi? Forse non vale nem-meno la pena di sprecare troppospazio: lo sanno tutti che ha 33anni, è arrivato secondo al festi-val di Sanremo del 2011. E che lasua carriera (ha studiato molto esi sente) sta girando la boa deidieci anni con due “top song”che rispondono al titolo di“Liberi o no” e “Tanto ci sei” cheanche stavolta presenterà aSanremo. Se il Gualazzi del pre-sente è storia nota a tutti gliappassionati di jazz e musicaleggera, gli esordi dell’alto etimido pianista possono raccon-tarli solo pochi urbinati. Tuttoinizia a metà anni novanta pro-prio nella sua città natale: chi loconosce bene, come Mimmo ilgestore del Caffè del Sole rac-conta i suoi esordi con tonisognanti come chi sa di avervisto nascere una stella. “Miricordo ogni settimana la genteche spingeva per entrare nellocale ad ascoltare quello cheallora era un illustre sconosciu-to”. Mimmo, in un certo senso, èstato il primo talent scout diGualazzi: “Fui io a insistere conlui perché suonasse dal vivo,all’inizio non voleva, preferivasuonare il suo piano a casa dasolo o magari con qualcheamico”. “Nel ricordare queimomenti – dice ancora Mimmo– mi viene un po’ di rammaricoperché non lo vediamo più qui aUrbino, la fama ci ha allontanatima gli voglio sempre un granbene e questi sono ricordi chemi rimarranno per sempre”. Daitempi in cui suonava il pianoragtime imitando Jelly RollMorton nel caffè di via Mazziniall’arrivo sui palcoscenici inter-nazionali il viaggio di Raphael èfulminante.Prima i concerti in giro per laprovincia, poi gli studi al conser-vatorio Rossini di Pesaro dove sidiploma in pianoforte, propriolo strumento che lo porterà allafama internazionale: il jazz è lasua passione e, grazie alla suacover dello standard di RayCharles “Georgia on my mind”,nel 2008 riesce ad entrare nellacompilation “Piano Jazz”, accan-to a mostri sacri come la biondacanadese Diana Krall, la caldaNorah Jones, lo scapestratoChick Corea, il mitico DukeEllington. Il 2010 è l’anno dellaconsacrazione: esce il primo Epdigitale per la casa discograficaSugar: “Reality and Fantasy”.L’anno successivo si piazzasecondo con il brano “Follia d’a-more” nella categoria giovanidella kermesse con la quale, da lì

in poi, avrà un rapporto specia-le: il festival di Sanremo. Nel2013 infatti il fiorito palcodell’Ariston gli tributa ulteriorisoddisfazioni quando presenta,stavolta nella categoria Big, con ibrani “Senza Ritegno” e “Sai (cibasta un sogno)”, che gli valgonoil quinto posto in classifica gene-rale. Dopo il successo, Urbino loama ancora di più: premi dalleassociazioni dagli enti locali,diventa il fiore all’occhiello dellacittà ducale, tanto che lui sceglieproprio il teatro Sanzio per unatappa del suo “Happy mistake”tour.Il compositore calcherà le scenedel Festival anche quest’anno, ac-compagnato dall’eccentrico djitaliano The Bloody Beetroots: idue artisti, come detto, presente-ranno due di brani, “Liberi o no” e“Tanto ci sei”. L’Ep che li conterràè intitolato “Accidentally on pur-pose” (accidentalmente di pro-posito), e uscirà nel corso del Fe-stival. A renderlo noto è stato lostesso Raphael, che ne ha twittatola copertina qualche giorno fa. Adecretare una volta per tutte, se cene fosse stato bisogno, l’eccentri-cità del jazzista, è la scelta delcompagno per la serata duetti sulpalco dell’Ariston: accanto al pia-nista urbinate e al dj veneto TheBloody Beatroots calcherà le sce-ne sanremesi Tommy Lee, atipicoe poliedrico batterista dei MotleyCrue, ed ex marito di Pamela An-derson. Insieme riadatteranno“Nel blu dipinto di blu” di Modu-gno. Raphael Gualazzi, lo stranofrutto del Montefeltro, è pronto astupire ancora.

Tutti pazzi per Raf GualazziDal vecchio pianoforte del Caffè del Sole alla consacrazione internazionale

Il musicista deve molto a Sanremo, ma è la sua solida preparazione che lo sta portando al successo

“Canto con Urbino negli occhi”Èandato a Sanremo per cantare

la sua generazione e forse an-che per dimostrare di meritare

il cognome che ha. Filippo Graziani,figlio di Ivan, ha portato sul palcodell’Ariston “Le cose più belle” , unacanzone che parla “dei giovani naticome me negli anni 80, illusi dai me-dia che ci hanno propinato un futu-ro che in realtà non esiste”. Tra le cose più belle di cui parla lacanzone c’è sicuramente il periodotrascorso a Urbino, prima l’infanziapoi le amicizie e la vita da studente.“Porterò Urbino nel cuore – ha dettoGraziani – è uno dei posti che ho fre-quentato di più. Ho tanti ricordi le-gati a questa città.” Uno di questi èsicuramente l’amicizia con RaphaelGualazzi nata tra i vicoli urbinatiquando i loro genitori suonavanonella stessa band. “Siamo cresciutiinsieme, non ci vediamo da tantissi-mo tempo perché il lavoro e le espe-rienze ci hanno portato lontani. In-contrarlo a Sanremo è sicuramenteun bellissimo momento che ci faràricordare anche la città che ci ha fat-to conoscere”.Graziani junior è cresciuto tra i suo-ni, tra le canzoni e tra gli artisti. Ha

iniziato a suonare la chitarra a 19 an-ni quando la moda della musica lan-ciata dai talent non esisteva. “Non liguardo non sono appassionato aquesto mondo - racconta- ho ini-ziato a fare musica quando ancora italent non esistevano”. Ha esordito con le serate insieme alpadre e al fratello Tommy, che suonala batteria. Insieme hanno parteci-pato a “Viaggi e Intemperie” un tourin cui hanno cantato le canzoni diIvan Graziani. A proposito di lui di-ce: “non ne sento il peso, ho un rap-porto ottimo con il mio cognome emi da la spinta per dare sempre ilmio meglio”.Dopo l’esperienza con il fratello, hacontinuato la sua carriera aprendo iconcerti di musicisti famosi comeRenato Zero, Negramaro, Morgan eMax Gazzè poi si è trasferito a NewYork dove ha suonato nei locali delLower East Side diventando head li-ner dell’Arlene’s Grocery lo storicoclub che ha visto esibirsi anche JeffBuckley e gli Strokes. Nel 2009 è tor-nato in Italia dove ha cominciato ascrivere canzoni che parlano anchede “Le cose più belle”, tra cui la suaamata Urbino. (m.g.)

Da New York all’Ariston, Graziani jr racconta gli anni ‘80

FRANCESCO CREAZZO

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MUSICA E SPORT

Filippo Mechelli, 38 anni, urbinate, fisioterapista olimpico

Il “meccanico” a cinque cerchi

“Ga-le - o -tt i-una-d i -Urbino-Ga-le-o-tt i-una-

di-Urbino”. Urlavano cosìdagli spalti del Palamondolcei tifosi della Robur Tiboniquando in campo c’era MartaGaleotti. Lei, la pallavolistaurbinate che adesso gioca inFrancia, racconta ancora conemozione il suo arrivo allasquadra della sua città natale.“È successo tutto per caso,vivevo in Veneto da tempo,dove i miei genitori si eranotrasferiti per lavoro, e accom-pagnai una mia amica aUrbino per fare un provino.Mi sono allenata con lei e mihanno presa. Non avrei potu-to ricevere regalo più grande,giocare in serie A con lamaglia della mia città.L’esordio in A1 non lo possodimenticare, un tre a zerosecco a Novara”. A Urbino Marta è rimasta agiocare per due anni, ma itifosi non l’hanno mai dimen-ticata anche quando giocavaal Palamondolce da avversa-ria la salutavano con entusia-smo, come fosse ancora unadi loro. “Sono tornata con lamaglia di Parma, mi hannoaccolto con un grande calore,mi sono venuti i brividi. – diceMarta – La tifoseria qui èunica, dimostrano un attacca-mento e una passione che poinon ho più ritrovato, sonotifosi nel vero senso dellaparola”. L’esperienza a Urbino ha per-messo a Marta Galeotti, classe1984, di fare il grande salto diqualità nella pallavolo italia-na che proprio in questi annista vivendo uno dei momentipiù bui della sua storia. I cam-pionati sia maschili che fem-minili sono rimasti sforniti disquadre, molte sia in A1 sia inA2 si sono ritirate perché nonavevano abbastanza soldi perpagare l’iscrizione ai campio-nati. È successo anche a unagrande realtà sportiva vicino anoi. La Scavolini Volley, dopo igrandi successi delle ultimesette stagioni si è trovata afare i conti con un ridimen-sionamento monetario che hacostretto la squadra pesaresea ricominciare nel 2013 dallaserie B. Molte colleghe di Marta, com-plice questa crisi, si sono tro-vate improvvisamente senzasquadra e con una carriera daricostruire. “Per noi pallavoli-ste il mercato italiano è diven-tato difficile quindi ho comin-ciato a guardarmi intorno,oltrefrontiera”. Per Marta l’oc-

casione è arrivata dallaNormandia, dalla squadra diEvreux. Dopo aver rifiutatonumerose offerte per la sta-gione 2013-2014 e dopo tremesi di inattività, il dicembrescorso Marta Galeotti parteper il nord della Francia. A 90chilometri da Parigi, Martagioca ora in Pro A (la massimaseria francese) in una giovanesocietà, l’Evreux Volley-ballfondata nel 1998. “Andarmene da Urbino è statobruttissimo ma qui mi trovomolto bene. Le mie compagnedi squadra arrivano da tutte leparti del mondo: Senegal,Serbia, Bosnia, Thailandia”.Un mix di lingue e cultureimpressionanti all’interno delquale ognuna si caratterizzaper la propria provenienza.“Per le mie compagne disquadra io sono ‘Marta-Pasta’– dice la Galeotti – perché sistupiscono della frequenza edella cura con cui noi italianicuciniamo la pasta”.La fuga all’estero, special-mente verso la Francia, è lasoluzione che hanno trovatomolte atlete italiane alla crisidella pallavolo italiana. “Nelcampionato francese il livello

sta crescendo, ci sono diversegiocatrici italiane che giocanoqui: Centoni, Arcangeli ePartenio a Cannes, Minati aNantes, Dall’Igna e Cella aBezier”.La passione di Marta Galeottiper la pallavolo è nata ventianni fa in Veneto. Figlia di unprofessore di ginnastica oggiin pensione, Marta ha iniziatoa giocare a pallavolo da picco-la: “Avevo 9 anni, mi sonosempre piaciuti gli sport disquadra. Da bambina – dice –ero un maschiaccio e se nonavessi iniziato a giocare a pal-lavolo, probabilmente, avreicominciato con il calcio”.Marta Galeotto oltre ad essereuna sportiva è anche laureatain ingegneria biomedica conil massimo dei voti. “Quandofrequentavo l’università gio-cavo in serie B vicino aPadova. Studiavo la mattina emi allenavo la sera”. Primadella Robur Tiboni ha giocatoa Noale, Padova, Albignasegoe Godigese “ma – concludeMarta – Urbino non è maistata lontano dal mio cuorenemmeno ora che gioco acentinaia di chilometri didistanza”.

Torino 2006, Vancouver 2010, Londra2012. Filippo Mechelli, fisioterapistaurbinate di 38 anni, ha viaggiato a

spese proprie per ottenere le sue tre “me-daglie olimpiche”. È stato infatti seleziona-to per tre volte dal Comitato olimpico in-ternazionale per far parte dello staff medi-co che si occupa di “aggiustare” gli atletidella competizione. Lo racconta con l’or-goglio di un giovane che ha realizzato unsogno mentre siede nel suo studio cheemana il profumo un po’ acre di olio permassaggi.Gli sportivi più famosi, quelli sponsorizza-ti dalle grandi aziende, hanno staff perso-nali che si occupano della loro salute. Pertutti gli altri ci sono Filippo e i suoi colleghiche, gratis, anzi come dice il dottor Me-chelli “per la gloria dell’Olimpo”, manipo-lano muscoli, nervi e articolazioni per ren-derli in grado di competere. Ha superatoselezioni rigidissime per avere l’onore dicurare gli olimpionici, per entrare a farparte di quel 5% di personale medico in-ternazionale che opera alle competizioni.Selezione per titoli, certificazioni di ma-ster, attestati linguistici, persino un collo-quio via Skype soltanto per avere “l’onoredi esserci, di portare il proprio contributoalla salute degli atleti nella più importantee storica competizione sportiva del mon-do”. Da quando si è imbarcato in questa av-

ventura ha saltato soltanto due edizionidei giochi: Pechino 2008 e Sochi 2014, nona caso tenute in due paesi che di fatto im-pongono al Cio personale medico total-mente autoctono, per ragioni politiche.Adesso Filippo spera nelle olimpiadi di Riode Janeiro nel 2016 per continuare ad “ave-re l’onore di trattare questi atleti”.Ma perché sobbarcarsi viaggi, spese e fati-ca per svolgere il proprio lavoro gratis? “Al-le olimpiadi c’è un clima eccezionale -

spiega Mechelli - un clima di cooperazio-ne internazionale, di abbattimento dellebarriere. Il solo fatto di poter vivere unevento olimpico dall’interno, il solo fattodi vestire la divisa è entusiasmante. Pur-troppo al giorno d’oggi anche le olimpiadisi sono allontanate dai valori di De Co-ubertin, hanno preso una svolta un pòtroppo commerciale e competitiva, madevo dire che questi stessi valori, in fondo,resistono”. E resistono negli atleti di rango“minore” che Filippo spesso si è trovato acurare: “Una delle più grandi soddisfazio-ni che ho avuto è stato curare uno sciatoreandorrano da un’ernia del disco: ci tenevatantissimo a gareggiare pur non avendo al-cuna speranza di vincere e alla fine siamoriusciti a farlo scendere in pista”.L’avventura olimpica dell’urbinate è ini-ziata nel suo studio in via dei Morti, vicinoalla porta Lavagine, dove nel 2002 stavaguardando i giochi olimpici di Salt LakeCity in televisione assieme allo zio. Lì glivenne per la prima volta in mente di iscri-versi alle durissime selezioni per entrarenello staff. L’occasione giusta si presentòproprio in corrispondenza delle olimpiadidi casa, a Torino. Da allora Filippo Mechel-li è un punto fermo del team internaziona-le: “Essere scelto tra decine di migliaia diprofessionisti - dichiara - è il mio oro olim-pico”. (f.c)

MONICA GENERALI

Sopra Marta Galeotti durante un’azione di gioco. Sopra, un primopiano. In basso, Filippo Mechelli

Le due stagioninelcuorediMarta

La Galeotti da dicembre gioca nell’Evreux

Due anni alla Robur poi partenza per il nord della Francia

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MEDIA

ASSOCIAZIONE PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO, fondata da Carlo Bo. Presidente: STEFANO PIVATO, Rettore dell'Università di Urbino "Carlo Bo". Con-siglieri: per l'Università: BRUNO BRUSCIOTTI, LELLA MAZZOLI, GIUSEPPE PAIONI; per l'Ordine: NICOLA DI FRANCESCO, STEFANO FABRIZI, SIMONETTA MARFOGLIA;per la Regione Marche: JACOPO FRATTINI, PIETRO TABANELLI; per la Fnsi: GIOVANNI ROSSI, GIANCARLO TARTAGLIA. ISTITUTO PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO: Direttore: LELLA MAZZOLI, Direttore emerito: ENRICO MASCILLI MIGLIORINI. SCUOLA DI GIORNALISMO: Direttore GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI

IL DUCATO Periodico dell'Ifg di Urbino Via della Stazione, 61029 - Urbino - 0722350581 - fax 0722328336 http://ifg.uniurb.it/giornalismo; e-mail:[email protected] Direttore responsabile: GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI Stampa: Arti Grafiche Editoriali Srl - Urbino - 0722328733 Regi-strazione Tribunale Urbino n. 154 del 31 gennaio 1991

“Le twin towers del Duca”La stampa e i network stranieri ci giudicano: e la sentenza è benevola

La traduzione dei Torricini fa ridere. Ma i consigli del week end sono seri: crescia, casciotta e Raffaello

Urbino nel mondo significa anche social network. È nella rete infatti che anche la piùpiccola esperienza locale può acquistare una dimensione “internazionale”. L’Urbino più“social” e cosmopolita è quella delle foto su Instagram. Più di ventimila (per la precisio-ne 21.087) le immagini caricate con l’hashtag #urbino. Nelle Marche la provincia diPesaro e Urbino è la più fotografata: 52.048 foto contro le 42.974 del capoluogo Anco-na. Moltissime le immagini che hanno come soggetto i palazzi più famosi della città e ilpaesaggio, spesso accompagnati dall’ hashtag #beautiful. A scattare molti turisti masoprattutto gli studenti che immortalano l’incanto del Duomo illuminato dal primo soledel mattino anche se sono in ritardo e stanno correndo a lezione. Oppure i tetti al tra-monto, così il colore delle tegole risalta ancora di più e sembra un unico grande marerosso. E poi i vicoli. Tanti vicoli. Dove baciarsi, dove spiare le finestre altrui e fotografarei davanzali fioriti. Gli immancabili “Torricini”, maestosi nelle foto che li riprendono dalbasso, il Palazzo Ducale, la statua di Clemente XI, le panoramiche dal parco della Resi-stenza mentre qualcuno in primo piano fa la ruota davanti agli amici. Urbino raccontata attraverso le foto su Instagram è diventata persino un progetto foto-grafico ad opera di Giorgio Fanecco. Ex studente di “Communication Design” all’Isia diUrbino, Giorgio ha raccolto e analizzato in un’infografica le foto che gli utenti del socialnetwork hanno scattato nella città ducale da maggio 2012 a maggio 2013. Nell’infogra-fica le immagini sono raggruppate, come in un grande collage, secondo le sfumature dicolori: arancione e grigio quelli dominanti Moltissimi gli scatti della città ducale anche su Pinterest, il social network fotograficodove gli utenti possono creare album tematici con le loro immagini preferite. Di Urbinosi trovano soprattutto immagini del Duomo, dei Torricini, di Palazzo Ducale (la foto più“repinnata” è proprio una veduta della città con l’imponente edificio in primo piano) edei quadri legati alla storia della città: le opere di Federico Barocci, i quadri di Raffaelloe “La Venere di Urbino” di Tiziano, il nudo più sexy della storia dell’arte.

TETTI ROSSI E CIELI GRIGI: LA CITTA’ NELLE FOTO DEI SOCIAL

SILVIA PASQUALOTTO

La città ducale “vista” daigiornali stranieri è so-prattutto viaggi e arte. l“The Times” la inseriscenelle “25 vacanze top inItalia” e la descrive co-

me la più perfetta città rinasci-mentale che può concorrere con laToscana per le sue campagne ver-di e “gorgeous” (magnifiche). Il “The Guardian” la colloca persi-no nelle “top 5 city”. Quelle cittàcioè che tutti dovremmo visitareuna volta nella vita. Urbino si trovafianco a fianco - secondo il quoti-diano inglese - con Dubai, PontaDelgada, Marrakech e Parigi. “La sofisticata corte del duca Fede-rico da Montefeltro”, viene descrit-ta come una città di pietra costrui-ta sopra una collina che mette a du-ra prova i polpacci del turista. Co-me dargli torto. Scontati i luoghiconsigliati: Palazzo Ducale e la ca-sa di Raffaello ma anche qualsiasiviuzza seminascosta. Urbino è –secondo gli inglesi - un vero e pro-prio “museo vivente” con, in più,uno spirito “cool” e cosmopolitache le deriva dall’essere una cittàuniversitaria.“El Pais” la segnala come meta peril fine settimana o per una breve va-canza, per “Le Monde” Urbino èuna “sorte de Florence miniature”e il “New York Times” consiglia diprovare la Casciotta magari duran-te un pic nic in fortezza Albornoz. I Torricini diventano invece le“twin towers” sul quotidiano suda-mericano “Lanation.com” cheelegge la città ducale a modellodella “tipica provincia italiana”. Per quanto riguarda l’arte il nomedi Urbino è associato a quello diRaffaello, Piero della Francesca,Baldassarre Castiglione e FedericoBarocci che secondo gli inglesi è“quel genio italiano dimenticato” acui, invece, la National Gallery hadedicato una mostra nel 2013.Non manca poi Federico da Mon-tefeltro che il “The Times” cita in unarticolo sui “misteri del passato”intitolato “The Montefeltro Con-spiracy” e che “Le Monde” chiama“il complotto del Rinascimento”. Ilmistero in questione è la congiuradei Pazzi, il complotto contro i fra-telli Medici in cui, pare, che il ducafosse coinvolto come mandante“occulto”. Altro enigma che inte-ressa i giornali stranieri - tra cui an-che il tedesco “Spiegel” - è la noti-zia dell’identificazione con il Mon-tefeltro del paesaggio alle spalledella Gioconda. Guidobaldo II della Rovere vieneinvece citato dal “The Times of In-dia” che in un altro articolo parlaanche del seminario di diritto eu-ropeo che si svolge tutte le estati al-l’università Carlo Bo.Tra i numerosi consigli su qualebed and breakfast scegliere e le re-censioni del miglior ristorante do-

ve mangiare le tagliatelle al tartufo,la stampa straniera da spazio an-che a notizie che fotografano l’Ur-bino quotidiana. Quella che non tiaspetteresti di trovare tra pagine diun giornale tanto geograficamen-te lontano. Sul “The Guardian” in un pezzo del2013, firmato da Oliver Wain-wright, si parla de “Le dieci miglio-ri residenze per studenti”. Gli allog-gi universitari da tutti conosciuticome “i collegi” vengono messi aiprimi posti” in quanto reinterpre-tazione “del guazzabuglio medie-vale del centro città”.“El Pais” nel 2012 dedicò persinoqualche riga all’ormai mitico ne-vone: “Città come Urbino e decinedi paesi sono completamente iso-lati dopo che nelle ultime ore sonocaduti circa sei metri di neve”.Urbino e freddo deve essere diven-tata un’equazione per i giornalistispagnoli che nel 2013 riportano lanotizia della scoperta da parte delprofessor Giorgio Spada dell’Uni-versità degli studi di Urbino di un“canyon” lungo 750 km sotto laGroenlandia.Il tedesco “Spiegel” cita invece glistudi del team capitanato dal pro-fessor Simone Galeotti dell’uni-versità Carlo Bo. Oggetto delle suericerche: la teoria secondo cui i di-nosauri si estinsero per un freddoimprovviso.Altra eccellenza sfornata dall’uni-versità della città ducale è Manue-la Malatesta, biologa cellulare a cui“Le Monde” dedicò un pezzo nel2006 dopo che le furono tolti i fon-di per la sua ricerca sulle malattieprovocate dagli ogm.Il quotidiano francese ha un rap-porto preferenziale anche con unaltro urbinate: Ilvo Diamanti. Il po-litologo è il commentatore per lequestioni di politica italiana, sututte: Silvio Berlusconi e LegaNord.“Il Diamante della cucina”. Cosìviene chiamato il tartufo di Acqua-lagna dall’americano Chris WardeJones. Il famoso fotoreporter è - nel2013 – autore di un articolo per il“New York Times” in cui raccontauna giornata alla ricerca dei tartufimarchigiani. Ad accompagnarloun “cercatore” professionista co-nosciuto in un bar di Urbino men-tre sorseggiava un aperitivo. Altra specialità locale è quella rac-contata da “El Pais” nell’articolodatato 2010: “L’arte di fumare la pi-pa”. La città di Cagli viene qui indi-cata come il luogo migliore dovecomprare questi prodotti e vedereall’opera dei veri artigiani. Infine, di nuovo sul “New York Ti-mes” c’è spazio anche per l’annun-cio di matrimonio tra un cittadinodi Fermignano, Fabrizio Dini, eHannah Sarah Faich di Philadel-phia. I due, innamorati delle colli-ne marchigiane, hanno deciso disposarsi proprio nel municipio diUrbino.

Il Duomo e un ritratto di RaffaelloLe immaginiprovengonodal socialnetworkInstagram e rappresen-tano i sog-getti più fotogra-fati

Il futuro dell’informazioneEsperti della comunicazione, giornalisti eintellettuali, sullo sfondo della città duca-le, discuteranno per tre giorni con il pub-blico alla scoperta di un nuovo modellodi giornalismo culturale. Un giornalismoche avvicini la cultura invece di allonta-narla, che usi come strumenti la qualitàe non la quantità. Il pubblico interagiràcon ospiti come Armando Massarenti,Piero Dolfres, David Riondino, LoredanaLipperini e Andrea Vianello. Si svolgeràanche in questa edizione il concorso gior-nalistico “Con la cultura si mangia?”.


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