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Due donne un carisma

Date post: 28-Mar-2016
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periodico della Compagnia di s. Orsola di Brescia sulla spiritualità delle sorelle Girelli
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ANNO XVII febbraio 2012 Elisabetta Girelli Maddalena Girelli Due donne un carisma 1
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ANNO XVII febbraio 2012

Elisabetta Girelli Maddalena Girelli

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uncarisma

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Sommario

1) Le sorelle Girelli e la Compagnia ......................... pag. 3

2) La guida sicura della regola di Sant’Angela .....................................................» 5

3) Due messaggi per l’educazione dei giovani .....» 8

• MessaggiodipapaBenedettoxvi per la 45ª giornata mondiale della pace ...» 8

• Messaggiodeivescovi per la 34ª giornata della vita ......................................» 14

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Pubblicazione sulla spiritualità delle sorelle Girelli - Anno XVII, 2012, n. 1a cura della Compagnia S. Orsola

Via F. Crispi, 23 - 25121 BresciaTel. 030 295675 - 030 3757965

Direttore Responsabile: D. Antonio FappaniIn copertina: paesaggio invernale

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g s h g s hLe Sorelle Girelli

e la CompagniaDopo un periodo di grande incertezza e di aridità spirituale, di ri-

flessione e di preghiera Elisabetta e Maddalena Girelli avevano chiarito a se stesse due punti fondamentali: il desiderio di consacrarsi al Signore e una scelta di vita consacrata che non le portasse a un convento. Si stava-no orientando a dar vita a una congregazione di donne che si dedicasse-ro con le opere e il buon esempio alla gloria di Dio e al bene delle anime, ma il progetto faticava a concretarsi.

Nel 1864 vennero contattate da mons. Gaspare Olmi che in diver-se località d’Italia voleva fondare la pia Unione delle Figlie di Maria, da associare all’ Unione Romana: si trattava di gruppi di donne che rimane-vano nella loro famiglia con il voto di verginità e il proposito di dedicarsi al bene del prossimo. Le Girelli accolsero la proposta e in breve riuniro-no diverse giovani che si radunavano periodicamente secondo la sempli-ce regola in vigore nell’Unione Romana. Decisero allora di sottoporre il loro progetto al vescovo, mons. Gerolamo Verzeri, il quale benedisse il gruppo, espresse compiacimento, ma non diede l’approvazione che esse si aspettavano. Mons. Verzeri era infatti incerto riguardo all’ effettiva consi-stenza della pia Unione, ma la Provvidenza non mancò di intervenire per chiarire e orientare.

Nel 1869 il vescovo partecipò alle sessioni del Concilio Vaticano I. In uno degli incontri con il pontefice e altri prelati si parlava dei mali del tempo e del bene che la gioventù femminile, unita in congregazioni, po-teva fare nell’ ambito della famiglia e della società. Ma Pio IX, dopo aver ascoltato in silenzio, si rivolse a mons. Verzeri dicendo che proprio il ve-scovo di Brescia poteva offrire il rimedio a una situazione così difficile: in-fatti le vergini sparse nella famiglia sotto la sapiente Regola di sant’Angela Merici gli apparivano destinate a rigenerare la società. E invitava a “stare con sant’Angela, che aveva lo spirito di Dio”.

Forte di questo autorevole consiglio il vescovo, tornato a Brescia, in un nuovo incontro con il gruppo che si era riunito intorno alle Girelli,

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g s hspiegò l’importanza di un Istituto di vergini secolari che si impegnassero nel mondo a seguire i consigli evangelici, e presentò la Regola della Me-rici, già approvata dalla Santa Sede e sperimentata per lungo tempo. Eli-sabetta e Maddalena Girelli avvertirono subito che quella era la strada a lungo cercata: la Regola mericiana garantiva alle consorelle che vivevano nel mondo quei mezzi di santificazione di cui godevano le suore nei loro conventi ed esaltava la dimensione sponsale della loro consacrazione, so-stenendola con la forza di norme concrete, esigenti, ma duttili nei criteri di applicazione. Così si esprimeva Elisabetta: “Il matrimonio di mia so-rella Marietta e la guarigione, direi quasi prodigiosa, di mio padre che per intercessione di sant’Angela fu liberato da una malattia che da diciotto anni lo tormentava, ci posero in piena libertà di abbracciare delle buone opere e di seguire quella via che il Signore ci aveva aperto con tanta mi-sericordia. Fu costituita regolarmente la Compagnia, riprodotta e ristam-pata la primitiva Regola; e io, sebbene indegna, fui per grazia del Signore tra le prime che la professarono e il 29 luglio 1866 ricevetti dalle mani del vescovo la candela benedetta e il crocifisso della santa professione. Mi parve di rinascere a nuova vita in quel giorno che fu pieno di consolazio-ni celesti per me e per tutte le mie buone consorelle.... E pregavo, prega-vo ne venissero molte di consorelle alla Compagnia; ne venissero da ogni parte, di ogni condizione, anime soprattutto umili, anime di orazione, anime di obbedienza, anime di carità, in modo da riempire la sala”.

Irma Bonini Valetti

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Elisabetta e Maddalena Girelli trovarono dunque, per la realizzazio-ne del loro progetto di vita, nella Regola mericiana una strada ben defini-ta che desse stabilità e che fosse una guida sicura.

Anche oggi, a distanza di 150 anni dalla scelta delle Girelli e di quasi 500 dalla sua stesura, la Regola per le sue caratteristiche di rigore essen-ziale e duttile si mostra capace di rispondere alle esigenze contemporanee. La stessa articolazione della sua struttura appare opportunamente ordi-nata: essa inizia infatti con un prologo assai discorsivo, come se si volesse avviare un dialogo sereno e affettuoso, ma nello stesso tempo ben preci-so e certo nella definizione del fine a cui si vuole giungere, per proseguire

La guida sicura dellaregola di Sant’Angela

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poi con la presentazione di norme che riguardano gli aspetti visibili della vita delle consacrate, quali l’abbigliamento e il comportamento esterio-re, per giungere, attraverso le indicazioni concernenti la vita spirituale, al cuore stesso della consacrazione con i capitoli dedicati all’ obbedienza, alla verginità e alla povertà. Alla fine la normativa circa il governo della Compagnia, normativa chiara e piuttosto minuziosa, a sottolineare l’im-portanza attribuita alla Compagnia stessa e alla sua durata nel tempo.

Come si può notare, si tratta dell’ architettura sapiente e organi-ca di un edificio che si vuole ben solido: Angela stessa dichiara, invitan-do all’osservanza della Regola, che essa “è stata composta per il vostro bene”(Prologo, 24).

Particolarmente vicino alla spiritualità delle Girelli appare il V capi-tolo dedicato alla preghiera, con la quale si impetra da Dio la grazia del-la vita spirituale (Regola, V, 4). E in quel loro pregare insieme, a cui era-no state abituate in famiglia e che poi si allarga alla consuetudine della Compagnia, rivive l’esortazione della Madre: “E anche se bisogna pregare sempre con lo spirito e con la mente, dato il continuo bisogno che si ha dell’aiuto di Dio,.... tuttavia consigliamo anche la preghiera vocale fre-quente, con la quale si risvegliano i sensi e ci si dispone all’ orazione men-tale”. (Regola, V, 5-8).

La sacralità di una vocazione vissuta nel mondo è sempre ribadita con forza da Angela, che continuamente ricorda alle sue figlie la loro di-gnità di spose del Signore: “Ognuna deve dunque in ogni cosa compor-tarsi così da non commettere né in se stessa, né nei confronti del prossi-mo, cosa alcuna che sia indegna di spose dell’ Altissimo”. (Regola, IX, 6)

Ma la verginità informa di sé tutto il comportamento, ben oltre la pur necessaria modestia dell’ apparire: essa penetra nel cuore ed esige che nulla sia discordante nella purezza di tutta la persona: “E il comporta-mento col prossimo sia giudizioso e modesto, come dice san Paolo: ‘Mo-destia vestra nota sit omnibus hominibus’, cioè il vostro riserbo e la vostra prudenza siano visibili a tutti; di modo che ogni vostro atto e ogni vostro parlare siano onesti e misurati: non nominando Dio invano, non giuran-do, ma dicendo soltanto con modestia: sì, sì, oppure no, no, come Ge-sù Cristo insegna, non rispondendo superbamente, non facendo le cose

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malvolentieri, non restando adirata, non mormorando, non riportando cosa alcuna di male”. (Regola, IX, 12-19) E prosegue poi al punto 21: “Ma tutte le parole, gli atti, i comportamenti nostri siano sempre di am-maestramento e di edificazione per chi avrà a che fare con noi”.

È quanto appare nella vita di Maddalena ed Elisabetta Girelli. Una particolare risonanza dovette poi avere nel loro cuore tutto il capitolo de-dicato alla povertà: immerse in una società in trasformazione dalle cui difficoltà emergevano continue richieste, da loro accolte con profonda sensibilità, grande generosità ma anche con tanta concretezza costrutti-va, attinsero con fiducia allo incoraggiamento della Madre: “...Non vi affannate riguardo ad alcuno dei vostri bisogni temporali, perché Dio e Lui soltanto sa, può e vuole provvedervi; Lui che non vuole se non il solo bene e gaudio vostro”. (Regola, X, 26-18) E la fiducia nasceva dall’ aver risposto alla richiesta severa del voto: “Pertanto ognuna si sforzi di spo-gliarsi di tutto, e di mettere ogni suo bene, e amore, e piacere non negli averi, non nei cibi e nelle golosità, non nei parenti e negli amici, non in se stessa né in alcuna sua risorsa e sapere, ma in Dio solo e nella sua bene-vola ed ineffabile Provvidenza”. (Regola X, 8-13)

Irma Bonini Valetti

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All’inizio dei mesi di gennaio e di febbraio, due messaggi, rispetti-vamente di papa Benedetto XVI per la Giornata della pace e dei vescovi italiani per la Giornata della vita in-vitano a fare attenzione ai giovani, affinché gli educatori li formino ai valori più importanti dell’esistenza. Ne riproduciamo qui alcuni stralci.

* * *

MessaggiodipapaBenedettoXVIperla45ªGiornataMondialedellaPace(1 gennaio 2012)

“Educare i giovani alla giustizia e alla pace”

1.Vorrei presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della

Pace in una prospettiva educativa: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace», nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo.

Il mio Messaggio si rivolge anche ai genitori, alle famiglie, a tutte le componenti educative, formative, come pure ai responsabili nei vari am-biti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della co-municazione.

Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace.

Due messaggi perl’educazione dei giovani

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2. I responsabili dell’educazioneL’educazione è l’avventura più affascinante e difficile della vita.

Educare - dal latino educere - significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che deve esse-re aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell’e-ducatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di re-gole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone.

Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia?

Anzitutto la famiglia, poiché i genitori sono i primi educatori. La famiglia è cellula originaria della società.

«È nella famiglia che i figli apprendono i valori umani e cristiani che consentono una convivenza costruttiva e pacifica. È nella famiglia che essi imparano la solidarietà fra le generazioni, il rispetto delle rego-le, il perdono e l’accoglienza dell’altro». Essa è la prima scuola dove si viene educati alla giustizia e alla pace.

Ai genitori desidero dire di non perdersi d’animo! Con l’esempio della loro vita esortino i figli a porre la speranza anzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace autentiche.

Vorrei rivolgermi anche ai responsabili delle istituzioni che hanno compiti educativi: veglino con grande senso di responsabilità affinché la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni circostan-za. Abbiano cura che ogni giovane possa scoprire la propria vocazione, accompagnandolo nel far fruttificare i doni che il Signore gli ha accor-dato.

Assicurino alle famiglie che i loro figli possano avere un cammino formativo non in contrasto con la loro coscienza e i loro principi reli-giosi.

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Mi rivolgo poi ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro diritto-dovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato suppor-to alla maternità e alla paternità. Facciano in modo che a nessuno sia negato l’accesso all’istruzione e che le famiglie possano scegliere libe-ramente le strutture educative ritenute più idonee per il bene dei pro-pri figli. Si impegnino a favorire il ricongiungimento di quelle famiglie che sono divise dalla necessità di trovare mezzi di sussistenza. Offrano ai giovani un’immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti.

Non posso, inoltre, non appellarmi al mondo dei media affinché dia il suo contributo educativo. Nell’odierna società, i mezzi di comu-nicazione di massa hanno un ruolo particolare: non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole all’educazione dei giovani. È importante tenere pre-sente che il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo: l’e-ducazione avviene infatti per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona.

3. Educare alla verità e alla libertàSant’Agostino si domandava: «Che cosa desidera l’uomo più forte-

mente della verità?». Il volto umano di una società dipende molto dal contributo dell’e-

ducazione a mantenere viva tale insopprimibile domanda. L’educazione, infatti, riguarda la formazione integrale della persona, inclusa la dimen-sione morale e spirituale dell’essere, in vista del suo fine ultimo e del bene della società di cui è membro. Perciò, per educare alla verità oc-corre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura.

L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una se-te di verità - non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita - per-ché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Riconoscere allora con gratitudine la vita come dono inestimabile, conduce a scoprire la propria dignità profonda e l’inviolabilità di ogni persona.

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Solo nella relazione con Dio l’uomo comprende anche il significa-to della propria libertà.

Ed è compito dell’educazione quello di formare all’autentica li-bertà. Questa non è l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l’assolutismo dell’io. L’uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, fini-sce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua liber-tà. L’uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio.

Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso. Per questo, l’esercizio della li-bertà è intimamente connesso alla legge morale naturale, che ha carat-tere universale, esprime la dignità di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in ultima analisi, della convi-venza giusta e pacifica fra le persone.

4. Educare alla giustiziaNel nostro mondo, in cui il valore della persona, della sua digni-

tà e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità, del profitto e dell’avere, è importante non separare il con-cetto di giustizia dalle sue radici trascendenti.

La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poi-ché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge posi-tiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano. È la visione integrale dell’uomo che permette di non cadere in una concezione contrattuali-stica della giustizia e di aprire anche per essa l’orizzonte della solidarietà e dell’amore.

«La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di mise-ricordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazio-

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ni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni im-pegno di giustizia nel mondo».

«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6).

Saranno saziati perché hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con l’intero creato.

5. Educare alla pace«La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad

assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può otte-nere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comuni-cazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza». La pace è frutto della giusti-zia ed effetto della carità.

La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore.

Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci al-la compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, esse-re attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare ade-guate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti. «Be-ati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio», dice Ge-sù nel discorso della montagna (Mt 5,9).

Alzare gli occhi a Dio.Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e del-

la pace possiamo essere tentati di chiederci, come il Salmista: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?» (Sal 121,1).

Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle diffi-

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coltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano co-me la via più facile per superare i problemi.

Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrifi-cio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedi-zione.

Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di amore vero!

Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo.

Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo.

Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti.

Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi inco-raggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di al-zare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace.

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Messaggiodeivescoviperla34ª giornata della vita (5 febbraio 2012)

“Giovani aperti alla vita”

La vera giovinezza risiede e fiorisce in chi non si chiude alla vita. Essa è testimoniata da chi non rifiuta il suo dono - a volte misterioso e delicato - e da chi si dispone a esserne servitore e non padrone in se stesso e negli altri. Del resto, nel Vangelo, Cristo stesso si presenta co-me “servo” (cfr Lc 22,27), secondo la profezia dell’Antico Testamento. Chi vuol farsi padrone della vita, invecchia il mondo.

Educare i giovani a cercare la vera giovinezza, a compierne i desi-deri, i sogni, le esigenze in modo profondo, è una sfida oggi centrale. Se non si educano i giovani al senso e dunque al rispetto e alla valoriz-zazione della vita, si finisce per impoverire l’esistenza di tutti, si espone alla deriva la convivenza sociale e si facilita l’emarginazione di chi fa più fatica.

L’aborto e l’eutanasia sono le conseguenze estreme e tremende di una mentalità che, svilendo la vita, finisce per farli apparire come il ma-le minore: in realtà, la vita è un bene non negoziabile, perché qualsiasi compromesso apre la strada alla prevaricazione su chi è debole e indife-so.

Educare i giovani alla vita significa offrire esempi, testimonianze e cultura che diano sostegno al desiderio di impegno che in tanti di loro si accende appena trovano adulti disposti a condividerlo.

Per educare i giovani alla vita occorrono adulti contenti del dono dell’esistenza, nei quali non prevalga il cinismo, il calcolo o la ricerca del potere, della carriera o del divertimento fine a se stesso.

Molti giovani, in ogni genere di situazione umana e sociale, non aspettano altro che un adulto carico di simpatia per la vita che propon-ga loro senza facili moralismi e senza ipocrisie una strada per sperimen-tare l’affascinante avventura della vita.

È una chiamata che la Chiesa sente da sempre e da cui oggi si la-scia con forza interpellare e guidare. Per questo, la rilancia a tutti - adulti, istituzioni e corpi sociali -, perché chi ama la vita avverta la pro-

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pria responsabilità verso il futuro. Molte e ammirevoli sono le iniziative in difesa della vita, promos-

se da singoli, associazioni e movimenti. È un servizio spesso silenzioso e discreto, che però può ottenere risultati prodigiosi. È un esempio dell’I-talia migliore, pronta ad aiutare chiunque versa in difficoltà.

Chi ama la vita non nega le difficoltà: si impegna, piuttosto, a edu-care i giovani a scoprire che cosa rende più aperti al manifestarsi del suo senso, a quella trascendenza a cui tutti anelano, magari a tentoni. Nasce così un atteggiamento di servizio e di dedizione alla vita degli altri che non può non commuovere e stimolare anche gli adulti.

La vera giovinezza si misura nella accoglienza al dono della vita, in qualunque modo essa si presenti con il sigillo misterioso di Dio.

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O SS. Trinità,sorgente di ogni bene,

profondamente Vi adoroe, con la massima fiducia,Vi supplico di glorificare

le vostre fedeli ServeVenerabili Maddalena ed Elisabetta Girelli

e di concedermiper loro intercessione

la grazia...Padre nostro, Ave Maria e Gloria

N.B.: 1) Chi si rivolge al Signore con la suddetta preghiera, specie in caso di novena, affidi la propria intenzione all’intercessione di entrambe le venerabili sorelle.

2) Ottenendo grazie per intercessione delle Venerabili Serve di Dio Madda-lena ed Elisabetta si prega darne sollecita comunicazione a: Compagnia S. Orsola - Figlie di S. Angela - Via Crispi, 23 - 25121 Brescia.

Chi desiderasse avere questo inserto da distribuire in Parrocchia, può richiederlo telefonando allo 030.295675.

Preghiera alle VenerabiliSorelle Girelli

per ottenere grazie!

Supplemento a “la Voce della compagnia di S. angela. BreScia”, feBBraio 2012, n. 1

Elisabetta Girelli Maddalena Girelli


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