+ All Categories
Home > Documents > Due giorni con Frans Brüggen

Due giorni con Frans Brüggen

Date post: 15-Jan-2017
Category:
Upload: haliem
View: 221 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
22
Due giorni con Frans Brüggen Source: Il Flauto dolce, No. 5 (Gennaio-Giugno 1974), pp. 3-18, 23-27 Published by: Fondazione Italiana Per La Musica Antica (FIMA) Stable URL: http://www.jstor.org/stable/41700399 . Accessed: 15/06/2014 23:55 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Fondazione Italiana Per La Musica Antica (FIMA) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Flauto dolce. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

Due giorni con Frans BrüggenSource: Il Flauto dolce, No. 5 (Gennaio-Giugno 1974), pp. 3-18, 23-27Published by: Fondazione Italiana Per La Musica Antica (FIMA)Stable URL: http://www.jstor.org/stable/41700399 .

Accessed: 15/06/2014 23:55

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Fondazione Italiana Per La Musica Antica (FIMA) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve andextend access to Il Flauto dolce.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Due giorni

con Frans Brüggen

Nel numero scorso del nostro Bollettino abbiamo dato notizia del seminario di flauto dolce tenuto a Koma da Trans Brüggen il 16 e 17 giugno 1973. Il seminario, organizzato dalla SIFD in collaborazione con l'Istituto Storico Olandese e svoltosi presso la sede di questo istituto a Valle Giulia , era dedicato alla musica barocca ( con riferimento particolare a G. Fr. Händel e a J. Hotteterre), e comprendeva una conferenza sul compositore olandese del Seicento J. van Eyck. Gli otto allievi (a cui si aggiungevano una ventina di « uditori ») suonarono a turno qualche movimento di una Sonata a scelta di Händel e di una Suite di Hotteterre ; e nelle osservazioni rivolte, a ciascuno di essi Brüggen venne svolgendo un discorso di pedagogia fi autistica e più in generale musicale quanto mai ricco e articolato, che pur nella brevità del seminario ha toccato e approfondito una quantità di punti essenziali: riguardo sia allo studio del flauto dolce, sia alla musica del Settecento , sia al nostro rapporto con una civiltà tanto diversa e tanto lontana da quella di oggi.

Di questi due giorni di lezioni ci è sembrato oppor- tuno dare una documentazione il più possibile esaurien- te: pubblicando la traduzione della registrazione su na- stro dell'intero svolgimento del seminario. Questa solu- zione ha alcuni inconvenienti: anzitutto quello che la trascrizione sia pure fedele di un discorso parlato (e per giunta dialogato, e fitto di esempi musicali) resta per forza lontana mille miglia dalla vivacità e vitalità del- l' originale; questo d'altra parte, appunto in quanto discor- so parlato, ha certe ripetizioni, inceppamenti, e anche som- marietà e improvvisazioni, che nella pagina scritta acqui- stano un peso diverso e indebito. Con tutto ciò pensiamo che questa trascrizione, a chi si dia la pena di leggerla con un po' di attenzione e di pazienza, e tenendo possi- bilmente sotťocchio i testi musicali di cui di volta in volta si parla, riuscirà ricca di interesse. Ma non ci illudiamo che essa possa rendere se non in minima parte il garbo, lo humour e in una parola il fascino di queste lezioni, che sono state per tutti i partecipanti oltre che una fonte preziosa di arricchimento, non solo musicale, un'esperienza estremamente gradevole.

Ringraziamo di cuore Frans Brüggen per questa esperienza ( che speriamo si possa ripetere in un futuro non troppo lontano ); e lo ringraziamo anche per averci consentito di darne questo documento scritto. La re- sponsabilità di eventuali inesattezze di trascrizione o di traduzione è interamente nostra.

Un vivo ringraziamento desideriamo rivolgere anche al prof. H. Schulte Nòrdholt, direttore dell'Istituto Olandese, e alla signora Elisabeth, per la gentilissima ospitalità data al seminario, e per il cordiale interessa- mento dimostrato, non solo in questa occasione, per l'attività della nostra associazione .

Data la lunghezza del testo, dobbiamo pubblicarlo in due puntate: la prima giornata del seminario (sabato 16 giugno) in questo numero del bollettino, la seconda (domenica 17 giugno) nel prossimo.

[sabato 16 giugno]

... Chi è in grado di capire l'inglese se prometto di parlare molto lentamente?... Grazie. Per quelli che non capiscono, le cose importanti - non tutte le minuzie, ma i punti importanti - saranno tradotte, molto gentil- mente, da due persone, due. Comunque, mi raccomando, se c'è qualcosa che vorreste capire e non capite, chiedete che venga tradotto in italiano. Va bene? D'accordo?

Dunque, avremo quattro riunioni. Propongo che la prima, cioè stamane, la dedichiamo a sentire suonare qualcuno di voi, e magari a definire più chiaramente che cosa, secondo me, un suonatore di flauto dolce non deve fare (perché ci sono tanti modi di suonare il flauto dolce ) , ma deve capire prima anche solo di toccare lo strumento. Ci sarà dunque una combinazione di cose pratiche e diciamo così teoriche. Poi questo pomeriggio parleremo brevemente di Jacob Jan van Eyck, un musi- cista che tutti conoscete, immagino che tutti suoniate la sua musica; e poi domani, domenica, le due riunioni potranno essere dedicate di nuovo a suonare, e a vedere un po' a che punto siamo.

Forse è anche bene dire che naturalmente in due giorni è impossibile esaurire l'argomento, ossia i due campi della tecnica e dello stile; per questo occorre una vita intera, anch'io sono ancora immerso fino al collo in questi problemi. E va da sé che in qualsiasi conserva- torio o istituto in cui si insegnano strumenti antichi co- me il flauto dolce, lo studio dura almeno cinque o sei anni; e anche lì uno studente, quando ha finito gli studi, è ancora soltanto al principio del segreto, il se- greto che tutti, ne sono convinto, ignoriamo.

Sicché due giorni di lezioni possono avere un solo scopo (d'altronde io penso che una settimana, non an- drebbe bene, perché una settimana tende troppo ad aver l'aria di far le veci dei cinque anni): possono servire forse come una specie di scossa, come « dose d'urto »; a discutere certe idee, a darvi delle idee. Ma non vi aspet- tate lunedì di suonare meglio il flauto dolce... non è possibile. Per questo ci vuole una vita intera.

Bene, allora. Forse uno di voi potrebbe suonare qualcosa di Haendel, perché è più facile di Hotteterre. Avrete notato che i due autori che abbiamo scelto rap- presentano i due diversi stili principali della musica set- tecentesca, lo stile francese e lo stile italiano (Haendel rappresenta lo stile italiano); e io penso in generale che lo stile italiano sia un po' più facile da capire per noi gente del Ventesimo secolo che non lo stile francese, che

3

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

era assai particolare, e di cui in due secoli abbiamo per- duto in buona parte il senso. Così propongo che uno di voi, chi vuole, suoni due movimenti di una sonata di Haendel, un movimento lento e uno veloce»

[Il primo allievo suona il primo e secondo tempo, Largo e Vivace, di G. Fr. Haendel, Sonata in re minore ].

Hmm, bene. Qualche osservazione tecnica. Penso che il La vada suonato col pollice; qualche volta te ne dimentichi. E' molto importante che per il pollice ci sia una disciplina chiara: su un flauto dolce contralto il La viene anche senza il pollice, ma penso che sia buona disciplina strumentale di usarlo sempre.

Veniamo adesso a qualche considerazione che può essere abbastanza interessante. Penso che la ragione per cui si suona uno strumento, uno strumento qualsiasi, non dev'essere mai la letteratura scritta per quello strumen- to. Vi faccio un esempio: io penso che non sia bene che un violinista, o un aspirante violinista, si dedichi al violino perché gli piacciono molto i concerti di Brahms, Ciajkovskij, Bach, Mendelsohn, ecc.; lo stesso vale per i pianisti, non è bene che uno decida di cominciare a studiare il piano perché gli piacciono i concerti per pia- noforte di Mozart, Beethoven, ecc. Lo stesso per il flauto dolce, e per qualsiasi strumento. Non è bene suonare il flauto dolce perché vi piace molto la musica scritta per questo strumento. Questa musica vi può anche piacere; ma solo come circostanza accessoria.

Sapete benissimo che la letteratura per flauto dolce, a paragone di quella per altri strumenti, come il clavi- cembalo, o anche il flauto traverso, il violino, la viola da gamba, è qualitativamente piuttosto povera: di buona musica scritta per flauto dolce ce n'è meno di quanta ce ne sia per quasi tutti gli altri strumenti dello stesso periodo. Sicché la vostra preferenza per il flauto dolce dev'essere basata sul fatto che a voi piace lo strumento, puramente e semplicemente, e che vi piace suonare lo strumento, e non tanto la musica, le composizioni (si tratti di composizioni di Haendel o Bach o Telemann), ma soltanto di fare certi suoni con questo strumento; e il vostro talento, per così dire, dev'essere che al mondo

4

Haendel, Sonata in Re min., Largo, Vivace.

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

non c'è cosa che vi piace di più di produrre dei suoni, belli o brutti, ma comunque dei suoni che vi piacciono, su questo strumento.

Siete d'accordo su questo punto? Per forza... Sicché in un certo senso, e questa è una cosa che ho

sempre constatato, suonare delle composizioni musicali su uno strumento può essere molto pericoloso, perché può deviare il vostro talento musicale dal terreno che gli dovrebbe essere proprio, e far sì che vi dedichiate piuttosto alla musica di qualcun altro, di Haendel, e questa è un po' un'assurdità: è una sorta di controsenso, di perversione, non suonare la vostra musica. Questa è la cosa più naturale: suonare la vostra musica, le vo- stre improvvisazioni, e magari, se vi piace, le vostre piccole composizioni, le vostre sonate. Perché dovreste interessarvi tanto alla musica scritta da qualcun altro?

Dunque la cosa più naturale è di fare dei suoni vostri, o magari del vostro migliore amico. Ma fare dei suoni di duecento anni fa è una cosa ben strana. E' una forma di perversione tipicamente novecentesca. Nel Set- tecento per esempio nessuno suonava musica di autori di secoli precedenti, nessuno. Si suonava soltanto musica contemporanea. E questa è la cosa più naturale da fare. Fu nell'Ottocento, quando la musica assunse altri aspet- ti, che la gente si rivolse alla musica più antica, e non solo per ragioni di studio in senso musicologico, ma per eseguirla: Mendelssohn eseguì per la prima volta la Passione secondo San Matteo di Bach, e questo segnò un sovvertimento totale dell'estetica e della funzione musicale, che dura ancora oggi e in forma anche più accentuata: è una cosa molto novecentesca il fatto che ci siano degli specialisti nell'esecuzione di musica antica, per esempio; il che è un'assurdità, e una cosa molto pericolosa; e io personalmente diffido della gente a cui interessa soltanto questa musica e non la musica mo- derna; in questo ci dev'essere qualcosa di sbagliato... con qualche eccezione.

Così, il suono dello strumento, l'amore per lo stru- mento - nel nostro caso il flauto dolce - è sempre la cosa più importante. Ora, se voi amate tanto questo strumento, come il vostro talento domanda e esige che facciate, dovete naturalmente obbedire a tutte le leggi fisiche che il vostro amore, ossia il vostro strumento, vi detta e vi chiede di rispettare. Il flauto dolce ha certe regole fisico-acustiche alle quali, se ne siete innamorati, dovete obbedire... Haendel o non Haendel, Bach o non Bach. Bene. Allora, una delle cose principali è di riflet- tere, e di domandarvi: perché amo il flauto dolce, e perché non amo il violino come il flauto dolce, perché non amo il piano come il flauto dolce, perché non voglio fare il direttore d'orchestra invece di suonare il flauto dolce, perché al flauto dolce non preferisco la chitarra? E qui io ho visto per esperienza, per esperienza mia personale e anche stando a sentire gli altri, che a quanto sembra esiste un tipo specifico di talento strumentale. C'è gente nata per maneggiare un archetto, per esempio, nata per suonare su un qualsiasi strumento ad arco, un uomo come Heifetz, tanto per fare un nome: che è un violinista nato, naturalmente dotato come violinista o suonatore di strumenti ad arco; cioè Heifetz non po- trebbe suonare il piano, non potrebbe suonare il flauto o che so io; se pensiamo a lui, pensiamo a questo movi- mento [fa il gesto di muovere l'archetto].

E c'è un talento per suonare « martellando » oppure, il che è già di nuovo un po' diverso, pizzicando: clavi- cembalo, pianoforte, strumenti a tastiera. E ci può essere

un talento per i fiati, per il puro e semplice atto di soffiare, e qui si può distinguere fra soffiare con uno strumento tipo flauto, si tratti di un flauto dolce o di un flauto traverso, e soffiare con un'ancia, perché si ama tan- to la sensazione dell'ancia che vibra nella bocca; o soffiare in uno strumento a bocchino, come la tromba o il corno.

Ci sono di quelli che sono suonatori di tromba nati, poo poo, amano, vanno matti per questa sensazione, non possono vivere senza. E io credo che sia molto impor- tante avere le idee chiare su questo punto. Sicché prima di tutto dovreste mettere da parte tutte le composizioni scritte per il vostro strumento; e soprattutto naturalmen- te quelle antiche, perché con quelle, se siete esseri umani normali, non ci potete avere nessun rapporto, salvo un rapporto storico: ma una pulsazione cardiaca, un flusso sanguigno in comune con Haendel, a meno di essere un po'..., credo che non sia possibile.

In secondo luogo, dovete porvi ogni giorno la do- manda: perché, in nome del cielo, perché fra tutti gli strumenti suono proprio il flauto dolce, perché? Se la risposta è sì, bisogna che abbiate delle valide ragioni, e la vostra risposta dev'essere: sentite, di tutti gli stru- menti del mondo intero, quello che amo di più è il flauto dolce, perché non posso vivere senza questo atto del soffiare, senza fare [fa il gesto di gonfiare le guance e di soffiare], senza mandare dell'aria in un tubo... il mio dono specifico, il mio bisogno specifico, il mio amore specifico, il mio talento specifico (perché il talento è amore, se amate molto qualcosa vuol dire che per questo qualcosa avete talento, di questo si tratta), io amo, ho bisogno, sono costretto, debbo specificamente soffiare in un flauto che è diritto, e non in un flauto che è traverso, perché per i flauti che si suonano per traverso occorre una certa specialità, un certo gioco delle labbra, non si può soffiare in questo modo [fa l'atto di soffiare gonfiando le guance] su un traverso, ma oc- corre un certo atteggiamento delle labbra; non è questo che mi interessa principalmente, a me piace una cosa molto più semplice, voglio soltanto fare questo [ripete il gesto di soffiare in un flauto diritto]; e deve venir fuori un certo suono, e questo è il suono che amo vera- mente. Sicché, se potete rispondere a tutte queste do- mande, e ce n'è molte altre che non mi vengono in mente in questo momento, se potete rispondere sì, sì, sì, sì, sì, oggi sì, e domani sì, e dopodomani sì, è questo che a me piace, che amo; allora penso che abbiate delle buone ragioni per suonare il flauto dolce. Altrimenti è bene che diffidiate un po' della vostra decisione.

Secondo punto. Amore puro vuol dire che tutti i pensieri egoistici spariscono. L'amore puro, inoltre, non è estetico, non ha a che fare con l'estetica; l'amore puro a volte può essere molto rude, scortese, non gradevole. Ma non importa: essere piacevole, essere carino, essere bello, son cose che non interessano a chi è innamorato. Lo sapete da voi: quando siete innamorati di una donna, o di un uomo, non vi comportate in modo molto este- tico, cercate soltanto di conquistarla, o di conquistarlo, e fate un sacco di stupidaggini; a volte siete sgarbati, maldestri... Siete innamorati, ed è proprio dell'amore di non pensare all'estetica, ed è questo che è così bello nell'amore.

Così, se prendiamo come esempio questa sonata di Haendel, ecco qua: vedete un po' che stranezza, eccovi con in mano un flauto dolce fatto da qualcun altro, questo mi pare è un Moeck? fai to dal signor Moeck, che voi non conoscete; il legno non l'avete tagliato voi,

5

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

e il flauto l'ha fatto lui per voi, non l'avete fatto voi stessi; sicché tanto per cominciare non avete nessun rapporto con uno strumento così estraneo. Questa è una. Poi c'è un'edizione, Schott & Co., Londra, di una sonata, che si chiama Fitzwilliam Sonata , di Georg Friedrich Haendel; non scritta a mano, che è una cosa così pia- cevole da guardare, ma stampata, in caratteri a stampa moderni. Poi ci sono dei movimenti come « courante, adagio, allegro », che... « andante, allegro, largo, fu- rioso »... ma cosa vuol dire, in realtà, tutto questo? forse quando Haendel diceva « vivace », intendeva qualcosa di diverso dal nostro « vivace »; quando Haendel diceva, scriveva « furioso », voleva dire una cosa diversa dal nostro « furioso »; il termine linguistico « furioso » si- gnifica chiaramente qualcosa di diverso dal valore che ha per Haendel, per il modo di comporre stilizzato di Haendel...

Sicché tutto quanto, strumento e musica, tutto è molto strano. Ora, se in questo Istituto Storico Olan- dese uno viene qui in biblioteca, e prende da uno scaf- ̂ fale un libro sulla storia di Roma, per esempio, suppo- niamo che sia un professore, un professore dottissimo; va bene, leggendo il libro capisce tutto, diventa coltis- simo e può insegnare agli altri, ed è un'ottima cosa, la storia di Roma. Ma col flauto dolce è diverso; perché se suonate il flauto, questa musica dovete ricrearla, farla voi stessi. Sarebbe già tutt'altro affare se questo stu- dioso, a ogni cosa che legge, a ogni parola che legge, chiudesse il libro, e dicesse: « Ecco, questa parola; allora, andiamo un po' a vedere »... Esce, fa venti chilometri, e un giorno magari trova una pietra, scava una pietra, tutto con le sue mani; e poi torna al suo libro con la pietra in mano, e dice, « Bene, capisco, ecco com'è fatta questa pietra »; deve assaggiarla, non soltanto ve- derla da lontano, deve tenerla in mano; poi può tornare, perché allora soltanto è in grado di capire tutto quello che c'è scritto nel libro. Questa sarebbe già una bella fa- ticata; ma il risultato di questa faticata è di diminuire la distanza fra la storia - i suoni, nel nostro caso, dei vecchi suoni - di diminuire di molto la distanza fisica fra questi suoni e il nostro spirito, di diminuirla sempre più; finché un giorno possiamo sperare, non di suonare Haendel, ma di suonare noi stessi, come se questo pezzo l'avessimo composto noi, ieri; e adesso lo suoniamo su uno strumento che non ha nulla di strano e di storico, ma che fa parte del nostro corpo; come quando si canta. E questo naturalmente è l'ideale massimo di chiunque suona uno strumento, e specialmente uno strumento sto- rico, perché la distanza è così enorme.

Adesso torniamo a Haendel, a questa Sonata; e forse tu potresti suonare di nuovo il primo movimento, e poi vedremo, può darsi che io lo interrompa, vedremo se quello che fa è roba sua, o in che misura è suo e in che misura è qualcosa di estraneo. Sicché magari gli farò qualche domanda: perché, come, che vuoi dire, non capisco: questo è Haendel, o sei tu, qual è il rapporto... Vedremo cosa vien fuori.

[L'allievo suona le prime quattro battute della So- nata precedente]. Bene, va bene. Hmm... perché il vi- brato? [l'allievo: « Perché il suono è più caloroso... Ce più calore umano, cioè... c'è qualcosa di mio nel vi- brato »]. Ma, in questo caso, non ci dovrebbe essere un vibrato più « caloroso », più... ancora più caldo? Perché quello che sento è un po' esile. Forse dovrebbe essere un po' più consistente... e forse bisognerebbe anche che tu sapessi meglio dove, su quali note vuoi questo

calore supplementare: non su tutte le note. Ma questo 10 fai già, e così va bene. Il vibrato ha senso soltanto sulle note che meritano di vibrare, perché hanno una certa durata, una certa lunghezza. Forse dobbiamo ana- lizzare un po' la faccenda. Dunque, c'è la frase musi- cale, le linee musicali [fischia le prime due battute], ecc. A me sembra, anzitutto, che prima di decidere che ci manca del « calore », che c'è bisogno di un certo vi- brato, dovresti essere in grado, dovresti provare com'è in realtà senza vibrato. Come sarebbe senza vibrato? Così, il modo scientifico sarebbe di estrarre prima tutto 11 calore, tutto quanto, e farne qualcosa di freddo come una pietra. Ridurlo all'essenziale... suonando il tuo strumento alla perfezione, non suonando Haendel ma il tuo strumento. E forse, anche, non tante note, perché ci sono molti... sono una specie di abbellimenti, e per questo studio si può fare a meno degli abbellimenti. Così, lo scheletro che rimane, una volta estratto tutto il calore, sarebbe qualcosa come [suona le note fonda- mentali delle prime quattro battute] va bene? Forse dovresti provare così, vedere quanto piacere ne viene, solo quelle note [l'allievo ripete le note]. Bene. Non è abbastanza perfetto. Per me, in quanto scienziato, non è abbastanza perfetto: è troppo piacevole. Non sento abbastanza che per lui ci sia una ragione molto forte per suonare queste note sul flauto dolce; non lo sento abba- stanza. Per me queste note che lui suona potrebbero anche essere suonate su un qualsiasi strumento ad arco. In altre parole: quello che lu fa adesso, questo modo di suonare, è tipico del flauto dolce, si può fare sol- tanto con il flauto dolce? E' questo che dovete chie- dervi. Se potete suonare così su un altro strumento, un flauto traverso, un violino, un sassofono, con un'orche- stra, be', allora, perché non farlo?

[L'interprete, traducendo, dice che non si è sentito, in queste tre o quattro note, l'amore, il piacere di suo- narle col flauto dolce] : Ora, badate, quando lei dice « amore », è quello che intendo anch'io, amore: ma non nel senso di bellezza: capite? Non voglio dire bellezza, voglio dire amore, e l'amore non è la stessa cosa della bellezza. Per esempio, io potrei immaginare che questo [suona le note con molto vibrato] che questo sia più bello che [suona le stesse note senza vibrato, e sforzando un po' il suono]. Il primo modo di suonare era piutto- sto bello, c'era una certa bellezza, il secondo... e questo c'è di buono nel secondo modo: del secondo non si può dire che sia brutto. Non è brutto, e non è nemmeno bello. Quello che è, il secondo esempio, è un modo molto migliore di suonare il flauto dolce. Ha molto più a che fare con quell'unico strumento, fra tutti gli stru- menti, con cui soltanto si può suonare così, e questo strumento è il flauto dolce. Non si può suonare così con il violino, non si può con la tromba: la semplicità di [soffia con forza varie note]... Questo è tipico del flauto dolce, nessun altro strumento è così. Sapete chi suona così, spontaneamente, per natura? I bambini. I bam- bini suonano così. Ed è per questo che i bambini, tutti i bambini, hanno un talento naturale, un dono naturale e genuino per il flauto dolce. E io credo che la difficoltà per gli adulti, per quelli che sono cresciuti e non sono più bambini, è che vogliono essere «belli». Tutti vo- gliamo essere belli, vogliamo fare buona impressione, vogliamo essere... il più belli possibile. E anche in un caso come [suona una frase in modo « virtuosistico », con molte fioriture], o qualcosa del genere: è una scioc- chezza, una pura e semplice sciocchezza, vanità: non c'è

6

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

nessuna ragione che una persona del genere suoni il flauto dolce. E' un modo di suonare « innocuo », privo di pericolo: qui non c'è nessun pericolo, e la musica, forse sarebbe bene che rifletteste su questo punto, la musica dovrebbe avere sempre in sé un certo pericolo, dovrebbe toccarci il cuore; se non ci tocca il cuore, be', ce ne stiamo seduti, e diciamo: « ah, un'esecuzione in stile, un'esecuzione da virtuoso »...

Vi farò un esempio. Voi siete il pubblico, d'accordo: e io sono un artista, che viene a fare il suo concerto [canterella, « po po po »; e suona di nuovo in modo « virtuosistico », con una quantità di abbellimenti] Va bene? Ora, dopo di lui arriva un bambino, un bambi- netto, e suona lo stesso pezzo [suona soffiando con forza, un po' goffamente, senza nessun abbellimento]. Chi vi piace di più, veramente? Questo secondo modo è molto più pericoloso ; può darsi che sia ingenuo, ma non è noioso. E' più interessante. Forse non è molto accetta- bile per il nostro mondo concertistico, e sciocchezze del genere; ma quello che più importa è toccare la gente, e questo bambino ci tocca. Il grande virtuoso non ci tocca, ci lascia freddi. Si mette in mostra, è bello. Io sono molto contrario a tutto questo. Questo per dirvi che ci dev'essere qualcosa di magico nel suonare una musica qualsiasi, e questa magia non è virtuosismo, non è bellezza superflua, non è neppure stile: questa magia sta nella semplicità, nel « pericolo ». E specialmente con uno strumento come questo, uno strumento semplice come il flauto dolce. La forza del flauto dolce sta nella sua semplicità. E questo è proprio ciò che desidero so- prattutto di insegnarvi, insegnarvi quanto è semplice in realtà il flauto dolce. Se vi renderete conto di quanto è semplice, farete grandi progressi. Dunque, riproviamo, ancora una volta. Suona soltanto quelle note.

[L'allievo ripete le note fondamentali]. Non devi vibrare su ogni nota, naturalmente, perché se aggiungi « calore » su tutte le note, allora tutto rimane come prima. Dunque, su qualche nota di tua scelta, non tutte ma qualcuna.

[L'allievo suona di nuovo le prime quattro battute della sonata, con qualche abbellimento]. Mi sembra che tu sia andato già troppo avanti, hai suonato troppe note. Devi tenerti allo scheletro. Un'altra volta.

[L'allievo suona le prime tre note]. Sì, prendiamo questo come esempio. Hai due possibilità di scelta, il primo Re, e il terzo quarto (i sedicesimi intermedi sono troppo brevi), giusto? Quale delle due scegli, la prima nota o l'ultima? Fai [fischia vibrando sulla prima], op- pure [fischia vibrando sulla terza]?

[L'allievo suona la prima battuta vibrando sulla prima nota]. Bene, questo è già interessante. Penso che il vibrato sulla prima nota sia una buona scelta, è il posto giusto; ma dovrebb 'essere più caldo, in certo modo. Se quello che lui vuole è il « calore », come ascoltatore debbo dire che non è caldo abbastanza. Potremmo defi- nire cosa intendiamo per calore: questa specie di calore che vogliamo non ha nessuna tensione, è solo qualcosa di molto gradevole, come il sole... un calore gradevole, privo di tensione. Nella tua prima nota ho sentito un bel po' di tensione. E se c'è tensione, allora tutto il calore diminuisce già di molto. Cosi, se la facessi meno tesa, sarebbe molto più calda.

[L'allievo suona le tre note]. Non ancora; io co- mincerei il vibrato proprio all'inizio [fischia la prima nota], calda...

[L'allievo ripete]. Sì, così va meglio. Ancora una volta, per favore.

[c.s.]. Sì, va già molto meglio, ed è molto più caldo. Se è questo che vuole, il calore adesso ce lo sen- tiamo. Nell'ultima nota c'è ancora un po' di vibrato, è un fatto tecnico, involontario. L'ultima nota non do- vrebbe essere vibrata, secondo i tuoi desideri: allora, niente vibrato. E io credo che la cattiva qualità dell'ulti- ma nota dipenda in parte dal fatto che adesso hai suonato le notine intermedie; se tu facessi semplicemente [suona le tre noti principali soltanto]... Bene. E adesso dob- biamo renderci conto che non stiamo parlando della musica, della interpretazione musicale, perché allora po- tremmo dire: bene, così va abbastanza bene; va avanti. Invece non può ancora andare avanti, perché il modo di suonare il flauto dolce non è ancora abbastanza buono. E cos'è che non va ancora abbastanza bene, riguardo all'aspetto fisico del suonare il flauto dolce, forse po- treste... Adesso avremo un piccolo intervallo, ne abbiamo bisogno: venti minuti... In questi venti minuti, vedete un po' di pensare perché lui abbia suonato bene, musical- mente, in modo corretto, ma forse non bene abbastanza per quello che riguarda il modo di suonare il flauto dolce. D'accordo? e poi torneremo e vedremo come sta la questione. Grazie.

[Intervallo]. La risposta, in definitiva, è che due note sul flauto

dolce, con la stessa diteggiatura, non si possono suonare in modo diverso. Dato uno stesso strumento, e una stessa diteggiatura, se volete un Re, questo Re sul flauto dolce, con questa diteggiatura, potete suonarlo soltanto in un modo; altrimenti le caratteristiche fisiche dello strumento fanno sì che se soffiate più forte la nota cresce, e se soffiate più piano la nota cala. Non c'è la possibilità di correggere l'altezza di una nota come c'è sul flauto traverso, dove si può correggerla con l'imboc- catura. E questa è appunto una delle caratteristiche del flauto dolce; non uno svantaggio, ma un vantaggio, che è la vera ragione per cui voi suonate questo strumento: perché vi piace proprio questa rigidezza.

Una certa elasticità dovrebbe esserci in qualsiasi strumento, e anche in uno strumento « rigido »; ma è inutile anche solo provare a essere molto elastici sul flauto dolce, perché acusticamente, fisicamente, questo non è possibile, e contraddice anche a quanto dicevamo prima del vostro talento per questo strumento specifico: se vi piace essere molto elastici, allora naturalmente non suonerete il flauto dolce, ma uno strumento che è fatto veramente per essere flessibile, come il violino o il violoncello o il flauto traverso; lì potete essere elastici. E io aggiungerei ancora qualcos'altro (tutto questo fa parte delle vostre interrogazioni quotidiane), e direi che nel momento in cui questa mancanza di elasticità dello strumento vi irrita, non vi piace più, in quello stesso momento dovreste promettere a voi stessi di suonare un altro strumento. Proprio come un clavicem- balista a cui non piacesse che questa nota [suona una nota sul clavicembalo] .possa più o meno (sul clavi- cembalo è possibile una lieve elasticità, ma non molta), possa essere suonata più o meno in un modo soltanto, a un solo livello dinamico: un po' più forte forse, o un po' più piano, una differenza minima: nel momento in cui al clavicembalista questo non piacesse, nel momento in cui i limiti del suo strumento lo irritassero, in quel mo- mento questo clavicembalista si troverebbe nella situa- zione del tardo Scarlatti o di Mozart, dei musicisti che

7

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

vivevano nel. Settecento in un periodo in cui il clavi- cembalo si stava estinguendo per certe ragioni, princi- palmente per questa ragione, e si affermava invece il pianoforte, dove questa elasticità era effettivamente pos- sibile. Quel clavicembalista allora concluderebbe che è meglio per lui smettere di suonare il clavicembalo, e passare al pianoforte.

C'è un'altra possibilità: che questa inflessibilità vi piaccia, e che cerchiate di compensarla con altri mezzi: ci sono tanti altri mezzi musicali per suonare in modo cosiddetto dinamico, non c'è bisogno che ci sia sempre una netta differenza di livello dinamico, ci può anche essere una differenza di intensità; si può trattare di lungo, più lungo, breve, più breve; si può trattare di alto-basso: nel flauto dolce una delle caratteristiche è che le note dell'ottava alta sono molto sonore, e quelle dell'ottava bassa piuttosto sommesse. Sicché ci sono molti altri mezzi per fare esattamente lo stesso, soltanto non il piano e il forte. E questa è una cosa molto barocca: se guardate dei quadri o dei disegni antichi, disegni del Sei o del Settecento, vedrete che i disegnatori lo sape- vano molto bene; non prendevano per esempio un altro colore, come il bianco e il nero, o il rosso e il blu per il nostro... diremmo il rosso per il forte e il blu per il piano: ma potevano far tutto con una sola matita, una matita grigia, qui un segno un po' più spesso, là uno più lungo, un po' meno di pressione sulla carta, un tratto un po' più corto, di tipo diverso. Si può impa- rare molto dai quadri di quell'epoca. E l'impressione che fanno su noi osservatori, è che sentiamo la luce e l'ombra, il forte e il debole, tutti questi rapporti. Dunque non è il livello assoluto di qualcosa, in decibel per così dire, ma semplicemente il rapporto quello che conta, che produce l'effetto, l'effetto dinamico. Sicché quello che lui ha fatto [fischia le note suonate dall'allievo], tanto per riassumere, non era un buon modo di suonare il flauto dolce perché si è dimenticato dell'essenza del flauto dolce, ossia che con una sola diteggiatura si può suonare soltanto in un modo; e il risultato di questa dimenti- canza l'abbiamo sentito nel calar di tono dell'ultima nota; e la lezione che lui deve trarre da quelle tre note dovrebb'essere che sfortunatamente (ma non deve sem- brargli una sfortuna), be', comunque, che non è possibile fare una cosa del genere; e che già il solo fatto che la prima nota aveva il vibrato e la seconda era senza vi- brato, già questo basta, e non c'è bisogno di altre om- breggiature dinamiche. Quello che dovrebbe fare, e che dovrebbe piacergli di fare, è soltanto: vibrato, qualche nota intermedia, non vibrato; questo basta già, e se fa di più si comporta esteticamente secondo un principio molto novecentesco, il principio dell'esagerazione: molto forte, molto piano. E questo non è niente affatto ba- rocco, è del tutto contrario a quello che voleva il ba- rocco. Tuttavia lui lo fa, e lo fa per così dire natural- mente; e noi tutti lo facciamo, non è che lui sia un'ecce- zione, di fatto lo facciamo tutti: questo per dirvi quanto novecenteschi, e neppure novecenteschi, ma ottocente- schi, siamo tutti quanti. Musicalmente, siamo tutti ancora immersi nella tradizione del belcanto, siamo tutti educati in una tradizione prettamente ottocentesca.

Insomma, lui ha commesso due peccati: prima ha peccato contro lo strumento; e come conseguenza ha anche fatto uno sbaglio contro lo stile, contro lo stile barocco. E questa è una cosa consolante da sapere, di cui possiamo essere sicuri: che gli sbagli strumentali si risolvono sempre in errori stilistici: e questa è un'ot-

tima cosa da sapere, perché significa che avete qualcosa su cui lavorare, anche se lo stile per noi è qualcosa di molto remoto, si tratti dello stile niusicale del Cinque- cento, del Seicento o del Settecento, dello stile francese, dello stile italiano, dello stile tedesco, ecc. ecc. Anche se questi stili non li comprendiamo pienamente, per fortuna possiamo già cominciare a lavorare a qualcosa che con lo stile non c'entra affatto, ossia il nostro strumento. Sicché lui può essere sicuro che se rimedierà ai suoi errori strumentali avrà buone probabilità, già solo con questo, di suonare quasi automaticamente in stile. E questo naturalmente può aiutarvi per la com- prensione estetica della musica antica: rendervi conto che ogni periodo estetico, ogni periodo stilistico della musica, in tutti i secoli, ha avuto sempre gli strumenti che meritava. Quindi non si può dire che i musicisti del Seicento, per esempio, avessero degli strumenti imper- fetti; avevano tutti gli strumenti di cui avevano bisogno^ e perfettissimi, perfetti a modo loro; potevano fare tutto con gli strumenti che avevano a disposizione.

Oggi è la stessa cosa. Nelle nostre orchestre abbiamo ancora il violino e il violoncello, con le loro forme molto barocche, e che sebbene siano stati tutti cambiati, rico- struiti nell'Ottocento, fanno ancora più o meno dei suoni settecenteschi, o secenteschi. Se Boulez o Stockhausen o un qualsiasi compositore d'avanguardia scrivono ancora per questi strumenti, vupl dire che a loro piacciono, che gli piacciono quei vecchi suoni; perché se non gli piacessero, inventerebbero un violino elettrico di me- tallo, per noi inventare uno strumento del genere non costituisce nessun problema. Così era in passato: non è mai stato un problema fare degli strumenti con chiavi, il fagòtto ebbe delle chiavi molto presto, per via della distanza dei fori; le chiavi erano perfettamente in grado di farle. Per qualche ragione, nei flauti per esempio le chiavi non ce le volevano; e la ragione era soltanto musicale, e non altra. Vogliamo riprovare? la prima battuta.

[L'allievo suona la prima frase]. Sì; c'è un certo tremito sull'ultima nota, [l'allievo: «non è voluto»]. Già. [l'allievo ripete]. Sì, molto meglio. C'è ancora una cosa: è che controlli troppo il fiato; e io penso che lo sappiamo tutti, quando si controlla troppo si è sempre un po' in tensione; è lo stesso di quando si va in bici- lcteta, e si va troppo adagio; come i bambini, quando imparano a andare in bicicletta, vanno così piano che cascano. Ci vuole una certa velocità, una certa spinta, per essere al sicuro, per non cadere. Ed è come quando facevamo lezione di ginnastica, mi ricordo che bisognava camminare sull'asse di equilibrio. Ci sono tre tipi di bambini, o di adulti. Ci sono quelli che provano a salire e cascano subito: non hanno talento, niente da fare. E c'è un secondo tipo che sale [fa il gesto di camminare sull'asse di equilibrio, a braccia tese], e cammina lentamente, controlla, controlla, molto bene, qualche volta è in pericolo, ma non casca, avanti, di nuovo in pericolo, si controlla molto bene, e arriva dal- l'altra parte. E' un po' come suona lui.

Poi c'è un terzo tipo, a cui fra parentesi io non appartenevo, ma quei ragazzi li ammiravo molto: loro davano un'occhiata, e via, passavano difilato dall'altra parte. Niente problemi, niente controllo; non sanno neppure qual è il problema, camminano e basta; ed è perché hanno una certa velocità, non si preoccupano, vo- gliono solo arrivare dall'altra parte. Così penso che una ragione dei tuoi tremoli indesiderati siano i nervi, è

8

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

una cosa che conosciamo bene tutti; ma la seconda ragione è che non vai abbastanza spedito, vai troppo piano: è un circolo vizioso, si è nervosi perché si va troppo lentamente, e si va troppo lentamente perché si è nervosi. Il solo modo per vincere i nervi, per supe- rare il nervosismo e al tempo stesso essere tecnicamente a posto è di badare soltanto ad andare spediti, e, ancora una volta, non alla bellezza.

Se pensate alla bellezza, se volete essere belli, non potete camminare spediti, vi fermate e volete essere ammirati; chi vuole essere ammirato cammina sempre lentamente: per la strada la gente che crede di essere vestita con eleganza cammina sempre un tantino adagio. Ma c'è un altro genere di bellezza, che tutti conosciamo: la bellezza dell'uomo o della donna che deve andare da qualche parte, e non si preoccupa d'altro. Sicché occorre una certa spinta minima, e così [suona la prima nota della frase di Haendel] così è troppo lento, direi; forse questo è un buon termine da tenere presente: non è troppo piano, troppo sommesso, ma troppo lento, e questo [ripete la stessa nota in modo diverso] ha la velocità, lo slancio giusto, e perciò non trema. E' bene pensare in termini di velocità, non di forte e piano. Questa nota per esempio è forte come quella di prima [ripete la nota, con qualche oscillazione]; ma è più lenta, e perciò trema. Controlli; non dovresti controllare. Me- glio esser brutti, e non controllare, che essere belli e controllare. Questo di nuovo ha molto a che fare col Belcanto: bella voce, voce ammirevole, note ammire- voli [...]; un ideale ottocentesco. Cerca di fare un suono magari brutto, scordati completamente la bellez- za. [L'allievo ripete la frase]. Sì, molto meglio.

Sentite tutti che questo modo di suonare forse un giorno, se gli dei sono propizi, c'è la possibilità che diventi bello, come un fiore, d'improvviso: è sano, fermo, senza controllo, senza preoccupazione, non è ozioso, non vano: è un suono ricco di talento, si vede che lui ama lo strumento, soffia come non potrebbe fare con nessun altro strumento: non potrebbe farlo con l'oboe, non col traverso, non con la tromba, può farlo soltanto con il flauto dolce. Dunque c'è tutto quello che occorre, è un modo di suonare che rivela un grande talento per lo strumento, e che è mentalmente e este- ticamente del tutto giusto; la sola cosa che forse non c'è ancora è la bellezza, ma la bellezza, cos'è la bellezza? la bellezza non esiste in assoluto, forse un giorno verrà, forse mai, o di quando in quando; la bellezza non è un'entità di per sé, è sempre qualcosa di accessorio.

Comunque con questo modo di suonare le sue proba- bilità di arrivare un giorno o l'altro alla bellezza sono di gran lunga maggiori che in quell'altra maniera. Adesso, suona in modo « bello » [l'allievo suona più o meno nel modo iniziale]. Sì, ha già imparato, non è poi tanto male; ma ci sono troppi abbellimenti, troppo controllo; non c'è rimedio, così non si migliorerà mai, fondamen- talmente, si rimane sempre allo stesso punto. E vi dirò a cosa si arriva: a qualcosa che sarà sempre gradevole, sempre intonato, sempre in stile, a un'esecuzione sempre storicamente corretta, con tutti gli abbellimenti, tutti i trilli al posto giusto, tutto come si deve; sì, piacevole, ma... e con questo? completamente, completamente inu- tile, non necessaria. Mentre l'altro modo di suonare, voi come ascoltatori sentite che è necessario, che quei suoni debbono essere fatti, per qualche ragione. E que- sto, come vi dicevo prima, potete indicarlo con una

parola, e questa parola è pericolo, qualcosa che ci tocca; pericolo. E' tutto chiaro? Ci sono domande?

[Domanda di un uditore: « prima parlava del fatto che suonare con lo strumento giusto, pòrta anche a suonare in stile (n.d.r.: veramente Br. aveva parlato di « suonare in modo giusto lo strumento » ) ; quindi l'uso di uno strumento originale dell'epoca probabilmente aiu- terebbe molto a rendere lo stile originale dell'epoca»].

Sì, questo è vero; ma bisogna cominciare dal prin- cipio, e il principio di tutto è qui, nella testa; poco im- porta quale strumento abbiate in mano. Sicché io penso che sia importante avere uno strumento adatto alla mu- sica, certamente; ma solo se si è pronti a usarlo. Altri- menti facciamo a noi stessi un pessimo servizio, se co- minciamo troppo presto ad avere un buono strumen- to [.. .].

Ci sono tanti pericoli che vi circondano, e cercano di privarvi del vostro talento; e come dicevamo prima, uno di questi pericoli è la musica antica; un altro è Haendel, Hotteterre, Bach, Telemann, sono altrettanti pericoli; e anche avere un bello strumento antico, uno strumento storico, può essere un grande pericolo [al- l'allievo:] Bravo. Grazie.

[Il secondo allievo suona il primo tempo (Larghet- to) della Sonata in La minore per fi. d. e b. c. di Haendel].

9

Haendel, Sonata in La min., Larghetto.

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Bene. Forse sarà bene qui vedere alcune cose. Ossia... Hmm, la musica non è un'arte, eh? La musica è una scienza. Naturalmente è diventata un'arte, come tutto quanto, nell'Ottocento, ancora una volta. E forse un po' arte lo era; fondamentalmente però la musica non è un'arte, ma una scienza, Ars musica , che vuol dire scienza musicale. Così qui la scienza consiste nel sapere esattamente quali sono le frasi che dici, perché la musica è sempre anche linguaggio. Sicché quando tu suoni, io, ascoltatore, debbo capire di cosa parli: si tratta di un linguaggio intelligente, che ha stretti rapporti con l'arte della retorica, particolarmente sei e settecentesca.

Dunque la prima cosa a cui badare è che quello che dice, il suo discorso, sia chiaro per l'ascoltatore; e se questo discorso può essere bello, seducente, ecc., tanto meglio, ma prima di tutto dev'essere chiaro; bi- sogna che chi suona pronunci distintamente le parole, e non solo questo, ma bisogna che il discorso sia ben diviso in frasi, e che il pubblico senta se c'è un punto, se la frase è arrivata alla fine, o se c'è una virgola, se il discorso non è ancora finito ma si propone di continuare [...].

Perciò occorre che il suonatore, con molta modestia, segni chiaramente sul suo foglio di musica la giusta punT teggiatura. Ora, i segni di punteggiatura sono anche, idealmente, segni di respirazione, dato che suonate uno strumento a fiato. Dunque direi che le occasioni di respirare, di prendere fiato, sono di due, o anzi di tre tipl. Le occasioni del primo tipo, che è anche il più importante, sono quelle che coincidono con la fine di una frase musicale; e qui direi che dovete sempre respirare, ne abbiate bisogno o no, è sempre bene qui prendere un po' fiato. Lui però [l'allievo] non lo fa: non ha un'idea chiara di come sono costruite le frasi musicali: a volte respira prima che una frase sia finita, mentre potrebbe continuare facilmente per un'altra bat- tuta; in altri casi trascura la splendida occasione offerta da un punto in fine di frase, e non prende fiato.

Così vedremo di chiarire un po' come stanno le cose, eh? [l'allievo prende una matita] Bene, avanti; suoniamo, e tu dimmi quando ti pare che una frase sia finita. [L'allievo ricomincia da capo; si ferma alla pausa della quinta battuta] Credi? [Brüggen suona al clavi- cembalo fino al primo quarto della battuta 7]. Qui, non, prima, eh? [l'allievo: « Sì, la frase arriva fino qua, però si può prendere fiato prima »]. D'accordo, ma il respiro « obbligato », del primo tipo, è qui... Non ti aiuta l'edi- zione: ha una quantità di segni di respirazione, che per il momento non sono necessari. Vogliamo riprovare? [L'allievo suona da capo, respirando dopo la nota pun- tata della battuta 7, e continua fino al battere della misura 9; poi ripete dall'inizio della nuova frase della battuta 7; è incerto sul nuovo respiro]. Hmm, non è la cosa più logica; dove comincia la nuova frase? [L'allievo suona l'ultimo quarto della battuta 8]. Sì, bene; perché non respiri dove comincia una nuova frase? Se ci sta bene, se è piacevole, è solo questione di prenderla con calma; sei troppo... troppo frettoloso, devi avere più pazienza. Così c'è una breve frase intermedia, e poi natu- ralmente [canta la bat. 4], come al principio. [L'allievo suona dalla bat. 9 al secondo quarto compreso della 13; Br. ripete col clavicembalo le ultime due battute]. Ascol- ta le armonie: guarda, no, ascolta, mai guardare [suona di nuovo col clavicembalo la bat. 12 e il primo quarto della 13]; 5, 1, armonicamente; per cui naturalmente è [canta fermandosi al primo quarto della bat. 13]; e quello che tu suoni [suona la seconda parte della bat. 12 e il primo quarto, a terzina, della bat. 13] è natural- mente in realtà [ripete, suonando soltanto la prima nota, Mi, della terzina della bat. 13]; quell'ultima nota è abbellita da Haendel, per così dire, in [suona la terzina, Mi-Re-Do]. Vedi? poi una nuova frase [suona comin- ciando dal secondo quarto della 13]. Va bene? Non fidatevi mai delle edizioni, di nessuno; suonate sempre la vostra edizione, la vostra arte, la vostra testa. [L'al- lievo ripete, respirando dopo il primo quarto della 16 e di nuovo dopo il primo quarto della 17]. Bene, una frase molto breve. Di nuovo la stessa frase. [L'allievo ripete, e continua respirando dopo il secondo quarto della 18; e va avanti, fermandosi dopo il primo quarto della 22]. Sì, benissimo; dunque, dopo il Re alto, non c'è fine di frase, ma continua [Br. fischia]; e in genere è vero che quando c'è un intervallo discendente non ci può mai essere una fine di frase.

Parleremo anche di questo nella conferenza. I musi- cisti di quest'epoca, Seicento e Settecento, componevano secondo una regola molto complicata, quasi mistica, ma chiarissima; non tanto in nome della « musica musica musica », ma secondo una certa scienza, in questo caso la scienza degli intervalli. Così ogni intervallo aveva un significato determinato, e un intervallo discendente di un grado significava varie cose, fra cui dolore, tristezza; e soprattutto un intervallo discendente in modo croma- tico [canta una scala discendente cromatica].

Un altro significato era di indicare una frase di pas- saggio, di far vedere che la linea melodica non era arri- vata alla fine, come in questo caso. Così, quando vedi [canta la bat. 20]... la frase continua; e se Haendel avesse voluto farla finire, avrebbe scritto qualcos'altro: avrebbe scritto [canta altre note], un grosso intervallo.

Il semplice fatto che non scriva un intervallo grande ma uno piccolo significa che vuol fare capire che la frase non è ancora finita. Quindi non si può prendere fiato. [L'allievo continua, respirando dopo l'ultimo quar-

10

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

to della bat. 23 [?]; continua respirando dopo il Mi della 26]. Stop, chi lo dice? [Allievo: «già, dopo il Sol-Fa-Mi della 27 »]. Sì, lo stesso caso di prima; anche qui l'edizione è sbagliata. [L'allievo ripete, respirando dopo il primo quarto della 27 e va avanti, respirando dopo il Mi della bat. 32]. No, mi dispiace, ma non è ancora finita [L'allievo riprende e continua, respirando dopo il La della 34]. No, non ancora. [L'allievo con- tinua fino al Mi della 36]. Adesso. [Allievo: «Tutto d'un fiato questo? »]. Idealmente, sì, se tu avessi i polmoni di un gigante... Ma questo è un altro discorso; adesso ci occupiamo soltanto dei respiri principali, ideali, e il respiro ideale sarebbe un bel tratto indietro, e poi dovresti suonare tutta questa frase d'un fiato, come un pittore farebbe con un solo tratto di pennello. Non puoi, naturalmente, ma questa è un'altra faccenda: torneremo su questo pezzo tre volte, questa è solo la prima volta.

Sì, vai avanti [l'allievo continua, respirando dopo il Do della 38] Stop... oh, hai ragione, dopo il Do [l'allievo continua fino alla fine]. Sì, non c'è mai una fine; perché ogni volta che potrebbe finire, Haendel scrive una falsa cadenza, come qui [fa l'esempio al clavicembalo]; così sarebbe finita; ma purtroppo Haendel scrive un'altra cosa, e continua... [altro esempio] questa sarebbe stata una fine, ma non lo è, perché Haendel scrive [suona le note reali], ecc. Sicché questa ideal- mente sarebbe, come vedi, una mescolanza molto bella e niente affatto teorica di frasi, che non vanno d'accordo con i manualetti di musica che prescrivono frasi di quattro battute e quattro battute e quattro battute, di otto battute... per niente affatto. In questo pezzo abbiamo delle frasi lunghissime, e delle frasi brevissime. Dunque, se i suoi polmoni avessero una capacità illimitata, ideal- mente dovrebbe suonarla in questo modo. (Adesso stiamo parlando del fraseggio, che non ha niente a che fare con l'articolazione, è un'altra cosa).

Ora ripassiamo il pezzo una seconda volta, con tutti questi respiri che abbiamo segnato, naturalmente, che sono quelli ideali; e adesso inseriremo quelli che chiamerei respiri « opportunistici », dato che i suoi pol- moni sono limitati, e ogni tanto bisogna per forza che riprenda fiato. Adesso cercheremo i passi che assomi- gliano a delle frasi, non frasi ideali, ma mezze frasi, più o meno ideali. O, per parlare con i termini di uno scrittore: finora abbiamo segnato i punti fermi; adesso cercheremo i punti e virgola; alla terza ripassata cer- cheremo le virgole. [L'allievo ricomincia dall'inizio del pezzo, fino alla pausa della bat. 5] Punto e virgola, dove Haendel ha già scritto una pausa; non è una fine di frase, ma una mezza frase. Va bene, continua da qui. [L'allievo riprende, facendo le pause già indicate, fino al Re della bat. 14]. Sarebbe bene qui mettere un punto e virgola [dopo il Re], una piccola interru- zione nella frase. [L'allievo continua, fino alla fine della 43] Virgola; sì, ma adesso avevi bisogno di ri- prendere fiato? non c'è un punto migliore?

Perché la seconda volta, quando andiamo nei parti- colari, si può discutere su dove ti convenga effettiva- mente prendere fiato: la prima volta abbiamo visto dove devi prendere fiato, le altre volte puoi prendere fiato, se è necessario; e se puoi, vuol dire che ci sono varie pos- sibilità di scelta; magari c'è un altro punto dove puoi respirare lo stesso, e forse è un punto migliore. E qui sta il bello, che si può discutere, perché qui entra in gioco l'interpretazione personale: io farei in un modo,

voi in un altro, lui fa così: benissimo, niente da dire. Comincia a non andar bene, a essere sbagliato, quando si dimenticano i respiri di prima, quelli fondamentali. Così va benissimo, è una cosa molto personale. [L'al- lievo ripete, respirando anziché prima del Re della 44, dopo il Re della 45, e continua fino alla fine, respirando alle pause].

Hmm, benissimo. Be', questa volta abbiamo fatto un po' alla svelta, abbiamo fatto la seconda e la terza passata in una volta sola; ma voi sapete come dovete fare: tre volte, veramente. Promesso? Lo sapete quanto tempo c'è voluto? non più di venti minuti, per un intero movimento, che non è niente di fronte a tutta la vita. E' meglio far le cose bene una volta per tutte che conti- nuare in perpetuo a suonare in modo sbagliato [...]. Venti minuti, per un movimento. Eppure è il doppio, no, credo, tre volte tanto il tempo che Haendel ci ha messo a scrivere tutta la Sonata.

Bene. Adesso, un altro aspetto, che riguarda special- mente questo tipo di musica [...]: il rapporto tra forte e debole in senso armonico. Livelli diversi di sfumature dinamiche, di chiaro e scuro. Li abbiamo nella melodia, nella composizione; e li abbiamo nel modo di presen- tare, di eseguire questa melodia, ossia nell'articolazione e nel fraseggio: ci sono frasi più importanti e frasi meno importanti, articolazioni più marcate e altre meno mar- cate; ci occuperemo anche di questo in seguito. L'armo- nia, che in questa musica è molto importante, ha anche lei i suoi rapporti tra forte e debole: le armonie forti le chiamiamo dissonanze, e quelle deboli - gradevoli, piacevoli, senza complicazioni - le chiamiamo conso- nanze, c'è meno tensione.

Una consonanza può essere forte, ma è sempre senza tensione. Sapete naturalmente come faceva Haendel per scrivere una Sonata come questa: solo la linea supe- riore, la linea melodica, e sotto soltanto il basso nume- rato, dunque non la parte della mano destra per il clavi- cembalo, quella si trova solo nelle edizioni moderne: due righe soltanto, melodia e basso. Non scriveva come faremmo noi: noi prima scriveremmo la melodia, lasce- remmo una riga vuota per il basso, e una volta finito il pezzo scriveremmo tutta la parte del basso adattandolo alla melodia. A quel tempo non facevano così: scrive- vano per così dire a zig zag [fischia tre note], e subito il bašso di sotto. Dunque il loro modo di scrivere non era questo [disegna nell'aria], due righe orizzontali, ma questo [idem] Vedete? Sempre il basso immediatamente connesso, e che procede di pari passo con la melodia: un tutto unico, che non si può spezzare.

Da ciò derivano certe conseguenze: e cioè che nelle sonate c'è bensì uno strumento melodico, ma esso rap- presenta soltanto una parte dell'intera struttura; per cui chi suona la melodia dovrebbe conoscere il basso a me- moria, altrimenti non può sapere se quelle che lui sta suonando sono dissonanze oppure consonanze. Chi suona la parte di basso, il clavicembalista, ha il compito di suonare l'altra metà del pezzo, quella appunto del basso, e anche di tenere davanti lo spartito in modo da poter seguire colui che esegue la melodia; ma anche quest'ul- timo deve seguire il basso.

Le loro sono parti di valore eguale, non si tratta affatto di solista e di accompagnatore, questo è di nuovo Belcanto, Ottocento. A questo riguardo, circa il ruolo dei musicisti, dei complessi, possiamo imparare di più dalla musica di tipo popolare, dal jazz, per esempio, dal rock-and-roll, dai complessi rock, in cui il percussionista

11

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

è il cuore del gruppo. Così nei complessi rock il per- sonaggio più importante è anzitutto il basso, la chitarra elettrica al basso. E' lui il personaggio principale; tutti gli altri fanno attenzione ai suoi cambiamenti di armo- nie; poi viene la percussione, e poi tutto il resto, con in cima gli strumenti più acuti.

Ed è più o meno lo stesso con gli strumenti barocchi: il clavicembalo dà la pulsazione ritmica, la base fonda- mentale, di tutto quanto; e sopra di questa si libra la melodia. E' così e non viceversa. Allora, adesso cerche- remo le nostre consonanze e dissonanze [Pallievo suona da capo il Larghetto, e Br. lo accompagna al clavicem- balo, indicando dove c'è consonanza e dove dissonanza]... Dunque, la prima battuta ha solo consonanze, la seconda ha una dissonanza sul primo tempo, in battere, la terza battuta lo stesso, la quarta lo stesso, la quinta è fatta di consonanze. Va bene. In qualche modo bisogna che sia chiaro nella nostra esecuzione, nel nostro modo di suonare, che cosa è consonanza e cosa dissonanza.

Non è mai sufficiente in questa musica, e quasi in nessuna musica del resto, lasciare che la musica parli da sola. E' come con i discorsi, non basta che il discorso sia ben scritto, bisogna anche salire sul podio e pronun- ciarlo, comunicarlo al pubblico; ossia bisogna che la voce si elevi di tono quando diciamo qualcosa di importante e si abbassi quando quello che diciamo non ha impor- tanza. Bisogna cioè accentuare le parole, accentuare il discorso.

Vediamo dunque che mezzi ci sono in questo senso per noi suonatori di flauto dolce. Sono mezzi diversi da quelli del violinista, e diversi da quelli del clavicem- balista. Il clavicembalista per esempio può fare un ar- peggio sulle dissonanze, così [esegue al clavicembalo]. Potrebbe anche fare così [fa un altro esempio]; ma non ha senso, eh? non si capisce dove... non accentua le sue parole [. . .]. Ogni strumento dunque ha i propri mezzi per chiarire le cose, il clavicembalo ha questo, il flauto dolce ne ha altri. Be', uno di questi naturalmente è il vibrato o il non vibrato. Altri mezzi, come vi dicevo prima, sono di allungare o abbreviare le note: anche se non stanno scritte così, potete abbreviarle o allungarle. Qui però non mi sembra che ci sia questa possibilità, qui non si può abbreviare nulla; qui c'è il mezzo del vibrato o non vibrato. Non c'è la possibilità, come abbiamo detto prima, di suonare le note sotto il minimo di sonorità compatibile col flauto dolce, non si può suonare più piano o più forte, a meno di usare diteg- giature alternative. Anche delle diteggiature alternative ci occuperemo più tardi.

Limitiamoci dunque al vibrato o al non vibrato. Bene, rifallo un po', e vediamo... [l'allievo ricomincia il Lar- ghetto, e suona fino all'inizio della quarta misura; viene interrotto da Br.:] Qui, nella seconda battuta, eh? C'è [fischia e suona il clavicembalo] c'è una dissonanza; e questo vuol dire vibrato, più di quello che fai tu, devi farcelo capire chiaramente. L'uso di qualcosa implica sempre il non uso di qualcos'altro. Cioè: se lui decide di rendere più chiara la dissonanza applicando un vibrato extra su quella nota, ciò implica immediatamente, o do- vrebbe implicare, l'obbligo per lui di non usare il vi- brato nei dintorni immediati di quella nota, per delle note che non sono dissonanze.

Dunque, dal momento che lui decide di fare [fischia le prime due battute, vibrando la prima nota della se- conda], allora il resto della seconda battuta non può

essere [fischia le ultime note della seconda battuta, vibrando]; altrimenti sciupa il suo stesso effetto.

E qui di nuovo c'è una netta differenza fra il Bel- canto e la musica precedente. Posso? [L'allievo passa il flauto a Br.]. Belcanto sarebbe avere il più bel suono possibile, in tutto il passo. La seconda battuta sarebbe [suona col flauto, facendo vibrare tutte e tre le note della seconda battuta, e poi quelle della successiva]. Sentite, sempre un bel suono. Abbiamo deciso di ren- dere più perspicue le dissonanze facendo ricorso al vibrato, e questa decisione implica, per coerenza, un certo modo di procedere. Da questo momento dovremo suonare così [ripete le prime due battute, facendo vi- brare soltanto la prima nota della seconda]. Soltanto sulla prima nota e non [...], va bene? Non è che questo sia l'unico modo di eseguire questo passo; ma è la conseguenza logica di una certa decisione. Se si decide una cosa, allora occorre essere logici, come quando si gioca a scacchi. La musica, l'ho detto prima, non è un'arte, è una scienza: come giocando a scacchi, quando muovete un pezzo sulla scacchiera, se siete dei buoni giocatori dovreste sapere quali saranno probabilmente le dieci mosse successive, vostre e dell'avversario. Ma ciò non significa che quella mossa sia l'unica possibile; un giocatore di scacchi molto bravo sa che ci sono anche un altro paio di mosse che vanno benissimo; ed è questo che fa sì che si tratti di un gioco logico, di una scien- za logica.

Potremmo anche (non so se sia la decisione giusta, ma proviamo, per il momento), potremmo anche decidere alla rovescia: suonando, non [ripete, facendo vibrare la prima nota della battuta 2], ma [ripete, facendo vibrare non la prima nota ma le successive], vedete, così è il contrario. Anche questa è una scelta sensata, compren- sibile. Forse è una decisione meno buona, ma non im- porta: quello che voglio farvi vedere è quello che è giusto e sbagliato perché logico o illogico, e queste due decisioni sono giuste tutte e due. Sbagliato sarebbe: [ripete, senza vibrare su nessuna nota]; così è sbagliato, perché non si fa nessuna differenza fra le varie note, e le differenze ci sono, armonicamente. E anche così [ripete, facendo vibrare tutte le note], anche così è sbagliato, per la stessa ragione. Questo è molto «Belcanto».

Non dimenticate che prendere delle decisioni illogi- che, per bellezza, solo per amor di bellezza, è una cosa ottocentesca, e che tutti noi prendiamo di queste deci- sioni, il più delle volte. Le vostre decisioni, dunque, debbono avere una certa logica, questa è la cosa princi- pale; e quando questa logica c'è, allora potete fare i vostri piccoli capricci privati, senza dubbio, ed è questo che rende così piacevole fare delle cose illogiche. Ma per fare delle cose illogiche, bisogna prima che nel vostro modo di ragionare siate molto logici.

E a questo riguardo si può fare un parallelo con tutte le altre arti dei secoli passati, che sono tutte basate su certe regole artigianali rigorosissime, sulle conven- zioni, sull'uso. Vedrete allora che i grandi maestri, quelli veramente grandi, si prendono le loro libertà, ma se lo possono permettere perché prima di tutto sono maestri nell'arte di ragionare. Sicché, come dicevo prima, occorre una vita intera; ci vuole metà della vita per imparare la logica delle cose, e poi ci vuole l'altra metà per fare le eccezioni. Ma, se possibile, non cominciate troppo presto con le eccezioni.

Andiamo avanti? Hmm, andiamo avanti solo per vedere dove sono le dissonanze e le consonanze. [L'al-

12

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

lievo riprende dal levare della bat. 5 e suona fino al Mi tenuto compreso della bat. 9, facendo sentire l'inter- ruzione fra il La ultimo della bat. 8 e il Mi della 9]. Bene, debbo tornare indietro un momento. Abbiamo detto che qui c'era un punto, e musicalmente è vero; ma obbedire è un tantino strano, sicché questa è una delle nostre simpatiche eccezioni [fischia il passaggio, rendendo l'interruzione quasi impercettibile]. E' perfet- tamente possibile seguitare a suonare e tuttavia far sen- tire il punto fermo; c'è differenza fra [fischia, inter- rompendosi nettamente] e [ripete, con una interruzione impercettibile. L'allievo prosegue; Br. lo invita a far vibrare di più il primo Fa della bat. 12; continua fino al Do in battere della bat. 22]. Sì, va bene.

Fino adesso probabilmente avete sentito le disso- nanze e le consonanze. Le consonanze erano chiare, le dissonanze erano dissonanze cosiddette di terzo grado; forse parleremo di questo più avanti. Possiamo dividere le dissonanze in tre classi: prima classe, seconda classe, terza classe, secondo la regola degli intervalli; così, un intervallo di ottava è una consonanza, naturalmente [suona al clavicembalo], questa è una consonanza di prima classe [continua a suonare, indicando di volta in volta consonanze e dissonanze dei vari gradi]... Dunque fino adesso non avete sentito dissonanze di prima classe, soltanto dissonanze moderate, che andavano fatte sen- tire, ma in modo non troppo marcato. Adesso arrivano le dissonanze vere e proprie. Andiamo avanti [l'allievo suona fino alla bat. 32]. Questa è la più forte di tutte... Mettiamo una volta queste dissonanze in fila, battuta per battuta [ripete le battute al clavicembalo]. Rifac- ciamolo [l'allievo riprende dalla bat. 24, fino alla 32, al- lungando il Si della 32]. Dunque, quello che abbiamo fatto prima era soltanto di applicare un vibrato extra alle nostre dissonanze; forse qui, dove le dissonanze di- ventano sempre più forti, e c'è anche una dissonanza molto forte, di prima classe, potremmo decidere che oltre al vibrato extra conviene aggiungere anche una lun- ghezza extra. Riprendiamo magari dalla battuta prece- dente? [L'allievo ripete, allungando il Si della bat. 32].

Vedete come funziona? Un effetto speciale. Adesso abbiamo aggiunto qualcosa, vibrato più lunghezza; che è una possibilità. Così rendiamo la sofferenza, la pena più acuta: perché una dissonanza fa male, urta, è questo il suo scopo. Dunque una possibilità (ce ne sono altre), una possibilità è di rendere la sofferenza maggiore. Un'al- tra possibilità è, come sempre, il contrario: fare come se non ci fosse sofferenza, come se questo punto non do- lesse, non facesse male: il che vuol dire che nei din- torni immediati di questo punto, di questo punto così dolente, si usa il vibrato, creando un po' di tensione; e poi, proprio sul punto che duole di più, facciamo come se fossimo assenti, come se non ci fossimo, non appro- fittiamo dell'occasione... Sicché, anche il contrario è vero, sempre, Vediamo se funziona [. . .].

E' tutta una questione di rapporti, questo è il succo... quanto a che tipo di rapporto scegliere, è una cosa molto personale. Così, per amor del cielo, non crediate che la musica antica vada interpretata in modo molto rigido, regola numero uno, regola numero due, ecc., libri, eh? Tutta l'interpretazione, come prima, e come anche nel Settecento, è una cosa molto personale, a seconda del- l'artista che esegue; ma c'è una base comune, e questa base comune è una piena conoscenza delle convenzioni, di tutte le regole, di tutta l'estetica del periodo. E da

qui bisogna cominciare, non cominciare dalle libertà. Per stamattina basta, eh? Benissimo, grazie.

[Sabato pomeriggio] [Il nuovo allievo ripete il Larghetto della Sonata

in La minore di Haendel; qualche osservazione sui re- spiri]. Hmm. Ci sono tre cose che mi preme dire. Be', naturalmente dovete digerire le cose di cui abbiamo par- lato stamane, e ci vuole un po' più di tempo. Dunque, tre cose, che hanno a che fare con l'ornamentazione, che è importante sia fatta in modo giusto. Questo è un tipo di .musica che va eseguito con abbellimenti; ossia il suo- natore, l'esecutore deve metterci degli abbellimenti di suo gusto, naturalmente in stile; abbellimenti che il com- positore in buona parte non scriveva, lasciandoli all'ese- cutore. Ed è vero; ma anche qui bisogna tenere ben presente una cosa, e cioè: non crediate che valga anche il contrario, ossia che se fate dei begli abbellimenti suo- nerete in stile; questo non è vero, non è affatto una cosa scontata.

E' vero il contrario: se siete padroni della lingua, tutte cose di cui abbiamo parlato stamane, se il vostro discorso è fluente e le parole hanno una pronuncia per- fetta e le frasi sono non solo belle ma chiare, se la vostra « presenza » sulla scena, quando si tratta di un concerto, è piacevole e gradevole e più o meno perfetta, allora, come elemento per dir così super-extra, come un so- prappiù di splendore, potete . aggiungere degli abbelli- menti, e bisogna naturalmente che siano quelli giusti. Ora, ci sono tre cose, che lui non ha capito bene, facendo così degli sbagli contro la natura degli abbellimenti. Per esempio, quando tu fai [fischia le prime cinque battute], su questa nota [il Sol diesis della bat. 5] ci sta scritto un trillo; io dubito che ci sia un trillo, l'originale non ce l'ha; ma questo vuol dire poco, perché tu sei libero, in quanto esecutore magistrale, di aggiungere il trillo. Però un abbellimento, qualunque sia, non deve mai distrarre dal senso musicale. E' facile vedere [suona al clavicembalo] che quest'ultimo Sol diesis è una nota molto importante, in quanto ultima nota di quella frase (di quella mezza frase); quindi bisogna che questa sua funzione si senta, quali che siano gli abbellimenti che tu fai, bisogna che ci sia questo effetto di fermezza. Ora, tu hai aggiunto un abbellimento, e naturalmente eri libero di farlo; ma questo abbellimento non ha dato alle cose maggiore stabilità, maggiore fermezza, ma le ha rese più incerte.

[L'allievo ripete, allungando il trillo]. Così andava già meglio; ma il trillo non dev'essere allungato troppo, perché quello che noi vogliamo sentire come ascoltatori è soprattutto il Sol diesis; non vogliamo sentire il La, l'appoggiatura, a noi questa nota non interessa; non vo- gliamo sentire [canta insistendo sul La], ma [ripete, accentuando il Sol diesis]; abbellito, se credi, non ne- cessariamente: io qui non metterei un trillo, ma questo non vuol dire, sei libero di farlo; ma se ci metti il trillo, ed è questo che voglio dire, la nota principale che deve risplendere in questo trillo è il Sol diesis, e non il La.

Vogliamo riprovare? [l'allievo ripete]. Il trillo è troppo lungo... [l'allievo ripete]. Potrebb'essere ancora più breve; quando si fa un trillo bisogna sapere dove fermarsi, quattro note sono già abbastanza... [. . .]. Va benissimo che qui lui faccia un abbellimento, ma non deve sminuire il testo; bisogna sempre pensare [. . .] qual è la soluzione più forte. Ti dispiace suonarlo senza

13

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

trillo, per vedere qual è il testo più forte? [L'allievo ripete senza fare il trillo]. E' un testo molto forte; devi renderti conto che questo è un testo musicale già molto forte, primo punto; il secondo punto è di chie- dersi, voglio rendere questo testo ancora più forte? Sì. Punto tre, se voglio questo, allora farò in modo di ren- derlo più forte, e non più debole. E poi alla fine c'era qualcos'altro, l'anticipazione [suona le ultime due bat- tute]; la penultima nota si chiama anticipazione: antici- pazione dell'ultima nota, d'accordo? Sicché il testo in effetti è [canta le due ultime battute, unificando il Mi dell'anticipazione e l'ultima nota].

Haendel scrive già una specie di abbellimento, che consiste nel fatto che l'ultima nota viene presa troppo presto, ossia, come si dice, viene anticipata. Questo già naturalmente, di per sé, significa che l'anticipazione, la penultima nota, e l'ultima nota, sono legate insieme, sono una stessa e unica nota. Quello che il compositore ha unificato, noi non possiamo separare; dunque quello che tu fai [canta le due battute facendo una pausa dopo il Mi della penultima battuta] è sbagliato. Ci metti una virgola, mentre dovresti metterla una nota prima [...].

Vuoi rifare le tre ultime battute? [L'allievo ripete, e Br. fa alcune osservazioni su errori di durata delle note]. Bisogna stare attenti al ritmo, eh? Magari conta, di nascosto. Bene. Ah sì, a un certo punto hai fatto [suona col clavicembalo la sequenza di terzine delle batt. 36-37, e poi osserva che l'allievo ha fatto legate le prime terzine, e staccata l'ultima, cambiando cioè articolazione]. Non so, è già così ornamentale, già questo [le suona al clavicembalo], non vedo la ragione di ren- dere le tre ultime note [le canta staccandole e accen- tuandole molto] così importanti: è solo un abbellimento di [suona col clavicembalo le note iniziali di ciascuna terzina], la stessa cosa, fra parentesi, che incontriamo nel secondo movimento [fischia le battute 6-8 dell'Al- legro], è la stessa [...], settima diminuita.

[Br. ripete il consiglio di suonare le terzine con la stessa articolazione: per cambiare articolazione] biso- gnerebbe che il testo fosse diverso; si può farlo in un caso come [fa un altro esempio col flauto, cambiando l'ultima terzina], non quando il testo è semplicemente [suona le terzine come sono nel testo], è lo stesso di prima [suona una serie di terzine precedente]; non è abbastanza particolare per usare un'altra articolazione, un'articolazione nuova. Allora le note sarebbero state diverse [ripete col flauto, cambiando di nuovo l'ultima terzina], così è un'altra cosa.

[Un allievo chiede se si possono fare tutte le terzine staccate, anziché legate come sono state suonate finora]. Anche questo è possibile, tutte le note lo stesso, va bene; ma debbono essere tutte suonate allo stesso modo, tre a tre, legate o staccate. L'articolazione è solo un mezzo per rendere più chiaro il nostro discorso; tutto qui. Sicché io sono piuttosto contrario a fare delle artico- lazioni così complicate, così curiose e distraenti, che invece di rendere il discorso più chiaro lo rendono meno chiaro, come in questo caso. Se qui cambi arti- colazione, rendi le cose troppo importanti. Bisogna sem- pre vedere chiaramente qual è l'importanza di un testo. E per imparare a vederlo, non c'è che un modo, credo (a parte analizzare i pezzi, che è sempre un'ottima cosa), ed è di comporre questi pezzi noi stessi.

[Domanda: « lo stesso testo »?] No, un pezzo simile. E' così che il giovane Mozart imparò a comporre, lo sa-

pete? Suo padre Leopold gli dava un minuetto suo o di Haydn o di altri, molto facile, otto battute (Mozart era molto piccolo, cinque o sei anni), in due parti, melodia e basso, sul pianoforte, una cosa molto sem- plice; e poi gli toglieva la parte del basso, lasciandogli soltanto la melodia, e gli diceva: «Adesso fai un nuovo basso che si adatti a questa melodia ». Allora Mozart lo scriveva, e veniva fuori un basso molto simile a quello di prima, ma con qualche sfumatura diversa; e suonava di nuovo il minuetto, in cui adesso il basso era suo, e la melodia era quella di Haydn, per esempio. Bene, e allora il padre gli toglieva la melodia, e gli diceva: « Ades- so scrivi una melodia sul tuo basso »; e Mozart così faceva, e il risultato era un nuovo minuetto; che natu- ralmente dal punto di vista armonico era molto simile a quello originario, ma comunque lui aveva imparato qualcosa, aveva imparato a comporre.

Questa è una cosa molto importante per capire in primo luogo quanto è bella la Sonata di Haendel; e anche perché in questo modo si impara che cosa è im- portante e che cosa non lo è. Potremmo provare... vo- gliamo provare? tu fai una nuova melodia su questo basso, io ti do il basso. [Suona una parte di basso]. Inventa qualcosa. Qualcosa come [fischia una melodia]... Fatelo, a casa, è un ottimo esercizio, ottimo. E una buona cosa è anche semplicemente copiare musica, a mano. Si impara [. . .] immaginate un po', sarebbe molto importante se copiaste questo [fischia lentamente le prime cinque battute del Larghetto], non è vero? allora sono sicuro che quell'ultima nota [il Sol diesis] la tro- vereste molto importante: una nota rotonda, la sola nota bianca finora, vuota, e non nera. E allora, vor- reste sciupare quella splendida nota finale con degli abbellimenti bislacchi? no, di sicuro, sareste orgogliosi di questa nota.

Sono cose molto semplici, appunto, molto semplici; ma bisogna jarle. E quello che è dannoso per la vostra semplicità, uno dei pericoli, ne abbiamo già visti alcuni, è suonare musica stampata. Potreste combinare questo esercizio con degli studi per l'educazione dell'orecchio. Sicché una cosa che vi servirebbe molto sarebbe pro- prio [fa il gesto di gettare via lo spartito], d'accordo? e poi cercare di riscriverla a memoria. Sono sicuro che potreste copiare tutta la Sonata, la parte melodica; questa Sonata la conosciamo tutti a memoria, almeno la parte della melodia. Allora, molto lentamente [fa il gesto di scrivere], provando con il flauto. Si impara moltissimo facendo così. Sì, e anche il basso; ma soltanto lo scheletro del basso [fa l'esempio al clavicembalo, suonando solo le note principali del basso].

Solo questo. Haendel fa tutto un discorso [ripete suonando tutte le note del basso, sempre delle prime due battute], ma questo non c'è bisogno che lo scri- viate, perché non è così essenziale; ma il senso dell'ar- monia, la funzione fondamentale del basso dovreste na- turalmente conoscerla. E' un lavoro piacevole, è piace- vole lavorarci la sera, quando c'è silenzio. Bene, gra- zie mille.

[La nuova allieva suona la Sonata in do maggiore di Haendel, primo movimento, Larghetto]. Vogliamo andare avanti? [L'allieva continua con il secondo mo- vimento, Allegro]. Bene. Anche qui qualche osserva- zione tecnica. Il La andrebbe suonato sia col pollice che con l'indice; a volte lei lascia tutti e due i fori aperti, e il La viene lo stesso, [ma è meglio chiuderli]. Invece

14

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

per il Sol diesis il foro dell'indice [della mano sini- stra] deve rimanere aperto. Un'altra cosa è che nel movimento veloce le note nere [fischia due gruppi di sei sedicesimi], se le articoli, non dovresti farle troppo brevi. Può essere una buona regola, che più le note sono brevi in realtà, e più potete farle durare: perché tanto saranno brevi comunque, non ti pare?

C'è un certo tempo, in cui le note veloci fanno [batte con le mani rapidamente, circa 1/16 = 120], è molto svelto, sicché qualunque cosa tu faccia, saranno sempre note brevi e veloci. Per cui non c'è ragione di suonarle staccatissime: tecnicamente e acusticamente, per la proiezione del suono, è molto meglio farle durare il più possibile; e non aver paura che le note diventino troppo lunghe, perché questo è impossibile: il loro movi- mento è già così rapido, che saranno brevi comunque.

Vuoi riprendere da battuta 19? [l'allieva suona quat- tro o cinque battute, dalla 19]. Così, il più lunghe pos- sibile, e il più sonore possibile [l'allieva ripete]. Benis- simo, va già molto meglio. La ragione per cui il più delle volte queste note sono troppo brevi è che la gente ha paura di fare sbagli, con la diteggiatura: e allora, quando si fa uno sbaglio, l'atteggiamento in genere, ed è una cosa molto umana, è di fare come se uno non ci fosse, di far finta di non esserci. Vuoi far vedere come succede? Adesso lei farà finta di essere una che ha paura, e perciò suona molto piano e molto in fretta [l'allieva ripete in questo modo]. Ecco, vedete, è di nuovo un circolo vizioso: siccome ha paura, fa le note brevi; e siccome le fa troppo brevi, e soffia troppo debolmente, è ovvio che non aiuta il movimento delle dita. Le dita sono sempre aiutate da un buon modo di soffiare co- stante e vigoroso: per questo quando ci si comporta così è una rovina sotto tutti gli aspetti, musicalmente e tecnicamente, ed è un circolo vizioso.

La soluzione per queste cose è sempre il fiato, il respiro; sicché lei... ma in realtà non era lei, perché lei suona in tutt'altro modo. Adesso fallo bene [l'al- lieva ripete, e Br. fa il gesto di soffiare, per indicare che le note vanno eseguite con decisione, tutte d'un fiato] Vedi? adesso, non è solo che il suono è migliore, ma è meglio anche per le dita. Ci vuole un certo coraggio, debbo dire, per suonare un passaggio difficile, di cui si ha un po' paura, e avere tuttavia questo bell'atteggia- mento aggressivo, aperto, libero. Ma ricordatevi che è meglio fare uno sbaglio sonoro, forte, che si sente benissimo, piuttosto che nascondere i propri errori. Non bisogna nasconderli; se fate uno sbaglio, niente di male: lei ne ha fatto uno adesso [fischia il passo], una nota sbagliata; benissimo, l'abbiamo potuto sentire tutti. E' molto meglio che fare nell'altro modo.

Già; e quello che occorre sapere è anche dove esat- tamente prendere fiato. Anche questa è una cosa molto utile nella pratica, quello che abbiamo fatto stamane, segnare esattamente i respiri, in modo da non affaticarsi troppo in un pezzo come questo; perché se sai esatta- mente quali sono le frasi, sai che devi arrivare fino a un certo punto, e poi puoi prendere fiato, e cominciare un'altra frase.

Quello cLe stanca, anche, è di leggere da sinistra a .destra, come facciamo noi. Stanca la testa e gli occhi, se leggete [canterella il passo, facendo con il dito il gesto di andare a capo a ogni riga]. Questa è una cosa che stanca; e sarebbe più comodo a volte, specialmente nei passi difficili, se si potesse leggere in questo modo,

15

Haendel, Sonata in Do mag. , Larghetto, Allegro.

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

come avviene nelle lingue orientali [ripete, andando a capo a ogni inizio di frase], perché così a ogni inizio si è più freschi.

[Un allievo: « In base alle frasi musicali, natural- mente »]. Sì, certo. Aiuta molto. Se vi capita di dover suonare un passo difficile, copiatelo una volta a mano in questo modo. Vedrete che vi giova. Tutto giova, quello che si fa a mano. Be', e anche se non fate così, tenete presente che ogni segno chiaro di respiro è un punto del genere, come se andaste a capo. Da tutti i punti di vista è necessario [fa il gesto di segnare i respiri sullo spartito]. Credo che soltanto a ottantanni un grande maestro del flauto dolce possa permettersi di suonare un movimento intero senza nessuna annotazione. Fino allora, dobbiamo tutti far le cose con diligenza.

Be', magari rifai di nuovo questo movimento velo- ce [l'allieva ripete tutto l'Allegro]. Sì, molto bene. C'è un'altra cosa tecnica, che è molto importante. Cioè che... [riferendosi all'allieva] quando la ascolto come se non facesse musica, ma come se mi parlasse, con delle parole, con parole musicali, quello che sento è [emette una serie di suoni non ben distinti, e continui]. La fine di ciascuna frase si perde; sicché tutta la fatica che lei ha fatto per dirmi qualcosa, si risolve in [...]. Non è un peccato? Be', l'ultima parola - il più delle volte la più impor- tante, una delle più importanti parole della frase - in musica è l'ultima nota; ed è un peccato non pronun- ciarla bene, come... posso? [prende il flauto]. Esagero un po' per farvelo capire più chiaramente [suona fino alla battuta 12, « mangiandosi » il Si, che termina la frase]. E' un peccato [ripete, insistendo questa volta sul Si], perché questa è una nota importante. E dopo vediamo di nuovo... [ripete il passo], forse per prendere fiato ci vuole un certo tempo, ma non preoccuparti trop- po, puoi prendere fiato molto rapidamente [suona vari passaggi].

Questo naturalmente ha a che fare con la tecnica della respirazione e con le idee sulla respirazione. Io ho idee molto particolari sulla respirazione, che forse vi potranno interessare; non so se riuscirò a spiegarmi. La mia idea è che fisicamente i polmoni sono pieni d'aria quando cominciate a suonare, o abbastanza pieni, e na- turalmente si svuotano sempre più man mano che la frase musicale procede. Ora, questo è un peccato, perché è probabile che una frase musicale diventi più interessan- te, verso la fine. Sicché noi qui ci troviamo in una brutta situazione, e sarebbe meglio, sarebbe molto bello se potessimo « fare » aria invece di consumarla, di perderla. Ora, anche se questo fisicamente non è possibile, a meno di farvi innestare un tubo nel corpo con un'operazione chirurgica, in modo da gonfiarvi quando espirate; tutta- via l'immaginazione umana è una cosa così meravigliosa, che c'è un caso in cui tutti hanno la possibilità di soffiare e di far aria contemporaneamente, e questo è quel mo- mento meraviglioso in cui da piccoli ci troviamo fra le mani il nostro primo palloncino, un palloncino da bam- bini. Avete mai visto un bambino soffiare dentro un pallóne, e comportarsi in questo modo? [fa. l'atto di soffiare dentro un pallone, di sforzarsi e di rimanere senza fiato]. Io non l'ho mai visto; ho visto sempre dei bambini felici che [fa il gesto di gonfiare con forza il pallone tutto d'un fiato], « phuu », i bambini soffiando si riempiono d'aria, si gonfiano loro. In realtà non è che gonfino sé stessi, in realtà gonfiano il pallone; ma si immaginano di essere, loro, il loro palloncino. Sicché quando hanno finito di soffiare non si sentono vuoti e

infelici; al contrario si sentono, loro, il pallone, si sen- tono pieni e felici.

E' ovvio che questa è una situazione ideale, perché così non avete di che preoccuparvi, e questa è una cosa molto importante; non dovete tenervi in equilibrio, non dovete controllarvi, perché non siete passivi, in preda alla preoccupazione, ma siete attivi, felici: soffiate, siete intenti a soffiare. Ma quale preoccupazione, ma quale equilibrio, niente di tutto questo: vi state riempiendo, andate verso la pienezza, no? E allora tutti i guai del doversi controllare e cose simili non d sono più, e non c'è più bisogno di tutte le complicate teorie sul diafram- ma, di tutti i libroni che sono stati scritti sull'argomento; che sono giusti e vanno benissimo, naturalmente; ma le cose sarebbero tanto più semplici, se soltanto immagina- ste che quando soffiate vi state gonfiando.

Vi dirò fra parentesi che il diaframma funziona sempre, lo vogliate o no, il diaframma si muove sempre alla perfezione. Il diaframma non è che un muscolo connesso ai muscoli dei polmoni, ed è collegato a tutto il vostro movimento respiratorio. Ho visto il film di un dottore che aveva dei pazienti molto malati, malati d'asma, e anche peggio, pazienti in pessime condizioni; aveva fatto dei film ai raggi X dei movimenti della loro cassa toracica, dei polmoni, del diaframma; io questi film li ho visti, e i suoi pazienti, malati com'erano, muo- vevano tutti il diaframma alla perfezione, tale e quale alle persone sane, a voi e a me, nessuna differenza. Questo tanto per dirvi che non dovete preoccuaprvi troppo dei movimenti, della pressione, ecc. del diaframma, perché ci pensa la natura, voi non avete da preoccuparvi. Quello di cui dovete preoccuparvi, a mio parere, è il fatto di es- sere preoccupati.

A questo punto c'è una difficoltà. E' chiaro che se il bambino ha un pallone molto grosso, un pallone gros- sissimo, troppo grosso insomma per lui, allora anche il bambino si preoccupa: comincerebbe a soffiare con molto slancio, e poi si accorgerebbe che il pallone non si riempie, e allora senza dubbio [fa il gesto di soffiare sforzandosi, di chi è senza fiato, e non riesce]: non ce la fa, non riesce. Così a un certo punto, se il vostro pallone è troppo grosso, anche voi dovete preoccuparvi, naturalmente; ma se il pallone ha dimensioni moderate, da bambino, perché preoccuparvi? perché preoccuparvi di [suona fino al Sol della bat. 18 dell'Allegro]. Ho gonfiato cinque palloni; naturalmente avete bisogno di quei segni di ripresa, ossia dei segni di respiro; e allora, se li conoscete, non avete che da continuare a soffiare, senza bisogno di controllarvi. Capite cosa voglio dire? adesso lo rifaccio [suona di nuovo fino al Si della bat. 12], pieno; altro pallone [suona fino al Sol della bat. 18], pieno; [continua fino al Si della bat. 24]; altro pallone, ecc. ecc. E' tutta questione di immaginazione, è una sciocchezza di per sé, è un'assurdità: perché fisi- camente l'aria la perdete; ma mentalmente è come se la faceste, come se inspiraste invece di espirare, e la mente è una cosa straordinaria.

Potreste provare qual è la vostra capacità, quella propria del vostro corpo, perché non per tutti è la stessa. Soffiate una nota, senza vibrato e senza preoccuparvi; andando di buon passo, senza farvi problemi, senza aspettare e controllare, soffiate e basta; e vedete quando è che viene il momento di preoccuparvi e cose del ge- nere. Può darsi che ci voglia un pezzo prima che venga questo momento [emette un suono lungo]. Naturalmente, dimenticavo di dirvi: dovete cominciare con niente, non

16

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

cominciare con [fa il gesto di gonfiarsi d'aria i polmoni], perché se partite essendo già pieni e gonfi d'aria, la sola cosa che potete fare è sgonfiarvi, perdere aria; e questa è una pessima cosa; dovreste [man mano che suonate] gonfiarvi, fare aria.

Sapete che la capacità dei polmoni di un adulto normale è di parecchi litri d'aria, senza bisogno di pren- der fiato, è già molto cospicua; e se fate così [fa di nuovo il gesto di inspirare profondamente], aggiungete una quantità di altri litri, ma di questo non c'è nessun bisogno, come quando... come quando parlate: quando cominciate una frase non prendete mica fiato [fa il gesto di prendere fiato prima di cominciare a parlare], questo non è affatto necessario; un pochino basta [...]; [suona una nota lunga e ferma col flauto], questo è tutto un soffio, un'emissione naturale; adesso magari arriva un momento in cui vi accorgete che il vostro pallone è troppo grosso, e allora vi trovate in una situazione critica; ed è la situazione che percepite molto chiara- mente, con la testa e con tutto il resto, quando passate, come dire,... come quando si lancia una palla, come degli adulti che lanciano una palla, tirano la palla dal sotto in su [fa il gesto di tirare una palla, facendo ruotare il braccio sopra la testa], e questo è il vostro atteggia- mento da principio [fischia]; ma poi, se dura troppo, vi accorgete di passare lentamente da questo a questo [fá il gesto di abbassare il braccio verso l'orizzontale, con sforzo]; e ve ne accorgete molto bene, lo sentite nel- la bocca.

E allora con la tecnica, con la cosiddetta tecnica del diaframma, con una quantità di studio e che so io, sareste in grado di far durare quella nota per parecchie altre battute; ma a che scopo? Ci sono domande su questo punto? Vi consiglio di provare una volta. Non fate lunghi preparativi, sono solo dannosi: andate decisi, come il ragazzo sull'asse d'equilibrio, eh? [fa una nota molto lunga], pieno. E adesso la farò durare troppo [suona una nota molto lunga, che alla fine comincia a oscillare], ecc.; l'ultimo pezzo, l'ultimo terzo, l'ho fatto con una tecnica speciale, per cui non ho stonato; ma vi siete accorti già che il suono non era libero, che io ero controllato, e alla fine la nota ha cominciato a tremare, e allora succedono le cose peggiori. Questo serve anche con il vibrato, nel senso buono [fa una nota vibrata]... produrre qualcosa, fare qualcosa, essere attivi. C'è una differenza fra essere attivi e passivi: attivo è ciò che non conosce la vergogna, che non sta tanto a pensare, che non è lamentoso, che non controlla, attivo: fate qualcosa. Non importa come lo fate, ma fatelo : camminate, sof- fiate [...].

Potresti provare una volta, con qualche nota singola? Ma non occorre che le note siano tanto lunghe; da principio le note non debbono essere tanto lunghe per non scoraggiare [l'allieva suona una nota]. Inspiri troppo, vedo che fai [fa il gesto di inspirare], non è necessa- rio [. . .] [l'allieva suona di nuovo]. Sì, bene, forse è andata un po' troppo oltre, alla fine [canta con un leg- gero tremito], ma andava bene. Un'altra nota [l'allieva suona], va avanti; ferma, piena: eri piena, non vuota? un'altra nota [c.s.]. Piena, è piena; alla fine di ogni nota è come un bambino [. . .], non è affatto vuota. Adesso, fai la stessa nota; ma adesso falla molto lunga, più lunga che puoi; e poi senti in te stessa quel cambia- mento da così [fa il gesto di prima, di lanciare una pietra col braccio ben teso in alto] a così [abbassa il

braccio sull'orizzontale, facendo vedere lo sforzo]. Deve nótarlo lei stessa; noi forse lo sentiremo dal suono, ma soprattutto deve accorgersene lei. [L'allieva fa una nota molto lunga, che diventa incerta e oscillante verso la fine]. Già; ora, prima che suonando un pezzo arrivi questo momento, bisogna che abbiate ripreso fiato [. . .]; ma utilizzate soltanto dell'aria buona, un soffio senza complicazioni, attivo, libero, felice.

[Domanda: « e se non c'è la possibilità di prendere fiato? »]. Se non potete prendere fiato... ma ho consta- tato che succede molto di rado, che non ci sia veramente nessun punto in cui poter respirare, per cui si è co- stretti, come dire, a fare delle acrobazie, qualcosa di molto artificiale. C'è sempre un punto in cui si può prendere un po' fiato. Facciamo il secondo movimento, ma molto lentamente, così [canta lentamente (1/8 = 96 circa) l'inizio dell'Allegro] [...], e tu prendi fiato, sof- fia per favore in questo modo che abbiamo detto, e prendi fiato quando senti di averne bisogno, per man- tenere il suono sano e in buone condizioni; non arrivare fino a trovarti in quella situazione spiacevole, sai quello che voglio dire; prima di allora, prendi fiato. [L'allieva suona l'inizio dell'Allegro]. E' troppo... sommesso. Non per l'ascoltatore, perché è molto gradevole, ma non è abbastanza libero. Ti costringerò a essere un po' più aggressiva suonando un po' forte anch'io, dovrai supe- rare la resistenza opposta da me [l'allieva suona soffiando forte, fino alla bat. 35 circa, .accompagnata al clavicem- balo da Br.]. Sì, molto bene, davvero: questo è un buon modo di soffiare. Trova che questo è un ottimo modo di soffiare e un buon modo di suonare il flauto dolce. E' un po' stonato: ma a me non interessa il suonare into- nato, ci sono cose più importanti.

Più importante è questo atto di soffiare. Tutto il resto viene più tardi, suonare intonati, ecc. ecc.; ma prima c'è questo atto di soffiare, semplice e senza com- plicazioni, che è molto molto più importante.

Ci sono domande su questo punto? Magari più tardi, domani, quando ci avrete riflettuto. Potreste provare intanto se funziona.

[Domanda: « come si può ottenere un buon vibrato? c'è una tecnica particolare? »] Be'... penso che la cosa principale sia di avere un modo di soffiare attivo, come ho appena detto; e questa è la base per un buon vi- brato [...]. Dovete studiare... Prima dovreste essere in grado di suonare perfettamente senza vibrato [suona alcune note lunghe, senza vibrato]; e poi potreste cer- care di fare qualche « ondulazione »; non un vero vi- brato, ma solo come quando si spinge su una nota [fa l'esempio, suonando un po' forzato, con crescendo e diminuendo di intensità]. Questo non è ancora un vero vibrato, ma una specie di non vibrato in ondulazioni, no? e se lo fate più svelto [ripete più velocemente], vedrete che dapprima userete tutto intero il vostro si- stema respiratorio, e poi, man mano che accelerate, certe parti del vostro sistema rimangono un po' tagliate fuori e [...], cosicché il risultato è qualcosa come questo; anche il vibrato è una cosa molto personale [suona alcune note], che esiste automaticamente, comincia, cresce, se avete fatto una buona preparazione, e magari vi ci vorranno tre mesi, sei mesi, forse anni; ma dovete fare questi studi ogni giorno, e scoprire il vostro sistema, il sistema vostro proprio... Dovete sentirvi molto tranquilli e rilassati, a vostro agio; e poi un giorno il vibrato verrà da sé, senza difficoltà. E io credo che, quando c'è, consista il più delle volte di una certa

17

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

percentuale della gola, e di una certa percentuale del- l'intero sistema, in cui la percentuale dell'intero sistema è sempre molto maggiore di quella della gola: può essere del 40 per cento (la gola) e 60 per cento; o per alcuni del 30 e del 70, o del 20 e dell'80. Mai però 60-40; e ci sono di quelli in cui il rapporto è addirittura 90 per cento (gola) e 10 per cento, il che è sbagliato. O, se non sbagliato, è un vibrato di tipo particolare, uno dei tipi particolari, il cosiddetto goat-vibrato , o vibrato caprino; non certo il vibrato normale.

Studiate; ma senza accanirvi troppo: voglio dire, non cercate... non fate [suona un paio di note in scala, col vibrato], non ha senso. Quello che dovete studiare è questo, un buon modo di soffiare, soffiare alla perfe- zione [suona alcune note, forte e sforzando un po']; adesso ho fatto molto alla svelta, ma vi ci possono volere mesi e mesi, ed è una bella cosa. Questo è il solo studio che saprei indicarvi... forse c'è un altro metodo, non so. Grazie. Facciamo un piccolo intervallo?

[Conferenza su J. Van Eyck]

Adesso parleremo di Jakob Jan Van Eyck, un musi- cista e flautista olandese del Seicento, che ci ha lasciato molta musica per flauto solo, col titolo Der Fluyten Lust-hof , penso che conosciate quasi tutti questa edizione della Ixijzet. E' musica che risale al [. . .] a un po' prima, ma la pubblicazione avvenne intorno al 1646, con pa- recchie ristampe, una nel 1649 e una nel 1654; e il contenuto del Fluyten Lust-hof consiste di melodie, po- tremmo dir quasi canzoni di successo del tempo, con variazioni improvvisate di Van Eyck. Van Eyck era inca- ricato del carillon del duomo di Utrecht, e come secondo mestiere, possiamo chiamarlo un mestiere a quei tempi, come mestiere fatto per hobby, suonava il flauto nel cimitero che stava attorno alla chiesa. Van Eyck era cieco, non ci vedeva; sicché probabilmente ha dettato o suonato le sue improvvisazioni a qualcuno che le scrisse e successivamente le fece pubblicare. In tutta la sua opera non ci sono segni di articolazione, come punti, le- gature ecc. E questa non è un'eccezione rispetto agli altri strumenti, e alle opere strumentali scritte per ta- stiera o per archi da contemporanei di Van Eyck come Sweelinck; in tutta la raccolta delle opere di Sweelinck non si trova quasi nessun segno di articolazione. La ra- gione è che di questi segni non c'era bisogno, perché tutti sapevano che articolazione usare per una determi- nata figura musicale.

Naturalmente non dobbiamo dimenticare che si trat¿ tava di musica contemporanea, non di musica antica; e come oggi chi fa musica leggera sa benissimo come ese- guire partiture molto semplici e senza segni di articola- zione, e di cui anche ritmicamente c'è solo lo scheletro, così i musicisti di quel tempo sapevano come interpre- tare un certo testo. Nel dar forma, cioè nel pronunciare bene la musica di Van Eyck, abbiamo a che fare sia con i temi, le melodie, sia con le variazioni su queste melo- die. I temi sono relativamente facili, quando si cono- scono i testi letterari su cui erano cantati; naturalmente per i temi di Van Eyck, che sono tutti canti largamente noti in quel tempo (non ci sono quasi temi sfrumentali ) , è molto importante sapere quali erano le parole; altri- menti si possono fare degli sbagli di fraseggio, come in questa canzone di John Dowland, Flow my tears [suona Pavane lachryme , ed. Ixijzet, voi. 2, pag. 61,

batt. 16-19, facendo il respiro dopo il Fa della 19], che invece dev'essere, in base alle parole [ripete, spostando il respiro a dopo il primo Do della 20], ecc.

Le variazioni richiedono un'assoluta padronanza del- l'arte di fare divisioni, diminuzioni, per il che occorre una buona preparazione, e molto studio, semplicemente. La versatilità di un buon musicista del Seicento a questo riguardo doveva essere prodigiosa: era in grado di im- provvisare diminuzioni non solo verticalmente, ossia su una determinata base fondamentale, avendo naturalmente piena familiarità con gli schemi usati più comunemente, come quelli per il Passamezzo, la Follia, ecc., ma anche orizzontalmente, ossia come variazioni melodiche.

Nel ventesimo secolo, nel nostro secolo, quest'arte dell'improvvisazione sembra si sia perduta completamen- te nella musica classica, e in questo campo io conosco soltanto pochi musicisti che siano in grado di prati- carla oggigiorno. Ci sono però molti altri musicisti in- torno a noi che sanno improvvisare con grande facilità e libertà: quelli che fanno musica tipo pop, rock o jazz. Ci sono molte altre cose che questi musicisti, e non quelli con una preparazione classica, sanno fare molto meglio di noi; e credo che questo compensi pienamente

18

PAVANE LACHRYME

Variat(ie) 1

ft<i í Tfrj |,i i1 i^rfn,i'Jiï%crir

ft ^'ir iberni" M^^iccrrťďr^Wj

ft roem* H" t ifri'rrfrr Hirer D-inirr-^iJ r n BfcfT

ft rtrü'rrfrri'r 'rr-ri-TOrcTicecrCüB-r

Variai (ie) 2

f i1' □"iciri'i'iüü'Ltfir lEr^i-rj^r hďgči

ft ■» cfLrr iii-T^rf r i-rTi <rpLflçj3'û'i

ft J J* CfJ I11" # "dj-T rrfi* i

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

il fatto che a volte non sono in grado di leggere le note. Vorrei dire anche che nei nostri tentativi di ricreare, poniamo, Popera italiana del Seicento, dovremmo cercare assai più di usare costoro come cantanti, invece di quelli che siamo ancora abituati a sentire, cantanti formati nella tradizione ottocentesca del Belcanto. Credo che a volte i cantanti tipo rock e pop sarebbero molto migliori per l'esecuzione storicamente fedele delle opere italiane e anche francesi del Sei e del Settecento.

Tornando a Van Eyck: quello che bisogna recupe- rare nell'esecuzione delle variazioni di Van Eyck è l'abi- lità consumata di raggruppare le note senza legature, in modo tale che risulti chiaro l'aspetto divisorio dei sin- goli gruppi: le note principali, cioè tematiche, debbono essere distinte da quelle di passaggio, cadenziali, prepa- ratorie e alternanti mediante un uso raffinato delle arti- colazioni anziché con l'uso delle legature. Ovvero, per parlare in termini pittorici, dobbiamo cercare di coprire una certa zona con molte pennellate, usando un pennello piccolo, invece di farlo con uno o due tratti soltanto con un pennello grande.

Molto istruttiva a questo riguardo è un'attenta let- tura delle fonti relative a questo argomento, ossia dei trattati del Cinque e Seicento, che si occupano della pratica strumentale per l'esecuzione delle diminuzioni. Molto importante è il contributo di Silvestro Ganassi, che nel suo manuale per flauto dolce, La F onte gara, Ve- nezia 1535, indica varie sillabe come guida per l'arti- colazione: in particolare, le re per una doppia articola- zione ( double tonguing ) molto tenue, te re per una doppia articolazione di grado medio, e te ke per una doppia articolazione molto marcata. Ora, noi parliamo di doppia articolazione, come sapete, quando si fa uso appunto, alternativamente, di sillabe diverse. Se provate con la bocca, la sillaba te è quella che si articola più sul davanti; poi c'è de; te, de, le, e forse re, ke, proce- dendo dal davanti verso l'interno dellà cavità orale. Ora, un'articolazione in cui non abbiamo te-te-te-te, o le-le-le-le, o ke-ke-ke-ke, ma in cui alterniamo sillabe diverse, la chiamiamo doppia articolazione, double-ton guing: così te-ke è una doppia articolazione; ma anche te-de è doppia articolazione, e anche te-le, o le-re, o le-te, ecc.: qualsiasi combinazione immaginabile in cui non si ripete la stessa sillaba, la chiamiamo doppia articolazione.

E' curioso che nel Ventesimo secolo gli strumenti a fiato usino come doppia articolazione quella che era soltanto una delle molte possibilità esistenti nei secoli passati: nella pratica orchestrale moderna degli strumen- ti a fiato rimane infatti solo il te-ke- te-ke-te-ke-te-ke, mentre come sapete una volta c'erano fra queste due sillabe almeno quattro e forse cinque gradi intermedi, ossia una quantità di piccole sfumature e gradazioni.

Anche qui possiamo guardare alla pittura, particolar- mente alla pittura del Seicento, per capire come stanno le cose: questo potremmo chiamarlo articolazione sem- plice, un movimento del pennello come questo [fa il gesto di un'ampia pennellata], mentre questo sarebbe un po' come una doppia articolazione [fa il gesto di dare tante piccole pennellate], avanti e indietro. Fra le due c'è parecchia differenza: non riguardo alla velocità, non tecnicamente, non è di questo che si tratta, non si tratta di velocità e di tecnica, ma di gradazioni: perché certe sillabe danno più nello scuro e altre più nel chiaro e nel brillante: come nella pittura del Seicento.

Pensate anche all'archetto degli strumenti ad arco, di una viola da gamba per esempio [fa il gesto di suo-

nare con l'archetto, spostandolo avanti e indietro] ; usando la parte iniziale o mediana o finale dell'archetto abbiamo sfumature, gradazioni diverse, durate diverse: è molto importante con quale parte dell'archetto si tocca la corda, perché non tutte le parti dell'archetto hanno la stessa tensione: la parte iniziale è quella più tesa, e anche quella finale è tesa, ma nel mezzo c'è tutta una serie di gradazioni diverse... Sicché a questo riguardo i suonatori di strumenti a fiato possono imparare molto dai suonatori di strumenti ad arco.

Nonostante il fatto che in alcuni degli esempi di diminuzioni di Ganassi si raggiunga un tempo vera- mente veloce, Ganassi non parla affatto di legature; per esempio in un caso come questo, in cui egli parte dalle note: [suona tre note] e arriva a diminuzioni come [suona molto velocemente le diminuzioni, senza legare], Ganassi non dà il consiglio di legare [ripete legando, poi di nuovo staccato rapidissimo]. Tuttavia Ganassi parla di un certo che, che chiama « galanteria », che è una figura, ornamentale, una sorta di microstruttura musicale; e anche di una certa « prontezza », che è sem- plicemente la disinvoltura, l'agilità del fiato, delle dita e della lingua.

Abbiamo dunque questa « galanteria », che è l'inizio di un abbellimento nel senso settecentesco, come un grup- petto, questo [fa l'esempio], o anche un trillo [esem- pio]: questi ornamenti Ganassi li chiama «galanteria», mentre « prontezza » vuol dire un'esecuzione agile, sen- za difficoltà.

La « galanteria », nel senso di Ganassi, potrebbe implicare, nella misura in cui le note interessate possono essere considerate come un'unità, potrebbe implicare un certo legato vero e proprio, perché questi ornamenti sono qualcosa a parte rispetto alle diminuzioni, e fun- gono essenzialmente da abbellimento supplementare; e quindi naturalmente dovrebbero avere un'articolazione distintiva, ossia essere legati a volte a piccoli gruppl.

Il secondo autore che potremmo leggere e confron- tare riguardo alle articolazioni è Diego Ortiz, con il suo Tratado de glosas , Roma 1553. Ortiz parla della viola da gamba, non del flauto, e ammette che a volte certe note debbono essere legate. Dice: « quando, in qualcuno degli esempi, ci sono due o tre semiminime, bisognerebbe dare un colpo d'archetto soltanto per la prima nota, e suonare le altre con la stessa arcata»; ma anche nel suo libro, come in quello di Ganassi, non ci sono legature stampate. Considerando i suoi esempi, le notine di cui parla appaiono di scarsa importanza, ornamentali, come la « galanteria » di Ganassi, o quasi ornamentali.

Un terzo autore è Philibert Jambe-de-Fer, Epitome musical , Lione 1556, tre anni dopo Ortiz; che parla di nuovo del flauto, e dice soltanto che senza la lingua questo strumento non è possibile suonarlo; e questo è tutto.

Un altro autore è Girolamo Dalla Casa, Il vero modo di diminuir , Venezia 1584; questa è una fonte interes- sante, in quanto aggiunge in sostanza alle sillabe di Ganassi le sequenze te-te-te-te, ossia uno staccato sem- plice, e de-de-de-de, anche questa staccato semplice, da usarsi nell'articolazione degli ottavi, nei passaggi a scala che portano a una nota finale lunga. Sembra così che l'ineguaglianza che risulta automaticamente dall'artico- lare con coppie di sillabe diverse fosse desiderata soprat- tutto nei passaggi più veloci.

Da questa doppia articolazione deriva anche una certa disuguaglianza, inégalité , nella qualità delle note, e

23

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

questo è l'aspetto più importante della doppia articola- zione. Ci sono altri autori, Riccardo Rognono, Passaggi, Venezia 1592, e suo figlio, Francesco Rognono, Selva di vari passaggi , Milano 1620, che forniscono vari dettagli interessanti (erano tutti e due suonatori di strumenti a fiato, principalmente di cornetto), in cui adesso non occorre entrare. £ la conclusione di tutti questi autori, se li leggete, è che quasi nessuna nota era legata a un'altra. Erano di una maestria talmente raffinata nel- l'uso della lingua e di tutte le varie articolazioni, che potevano fare tutto, fino al quasi-legato, articolando sempre. C'è qualche esempio qui in Rognono, che indica le sillabe sotto il suo testo musicale [. . .].

Questo è un periodo che sta al limite, a cavallo fra la divisione (le diminuzioni) e gli abbellimenti. Vedete qui che il trillo comincia ancora come diminuzione [fa un esempio], e lentamente diventa quello che noi chia- meremmo un trillo, un trillo settecentesco, legato [fa un altro esempio], alla fine c'è un gruppetto. Sicché qui abbiamo veramente l'inizio dell'ornamentazione sette- centesca.

Lo stesso vale se consultiamo i metodi per la viola, per la viola da gamba, o per il violoncello, che non hanno quasi legature: erano maestri nel fare semplicemente questo [fa il gesto di (?) muovere avanti e indietro l'archetto]. La conclusione dunque è che nel Seicento, e per buona parte del Settecento (di questo parleremo più tardi), bisogna stare molto attenti nel fare vere e proprie legature.

Tornando a Van Eyck: è possibile che Van Eyck suonasse su uno strumento di questo genere [mostra un soprano di tipo « rinascimentale », con tubo sonoro cilindrico], che è raffigurato sul frontespizio del libro. E' un flauto dolce del tipo che noi chiamiamo rinasci- mentale; ma potremmo chiamarlo anche proto-barocco. 10 credo che Van Eyck abbia suonato anche con questo strumento; ma doveva avere uno strumento di estensione maggiore, perché diciannove pezzi della sua raccolta hanno un'estensione di due ottave e non si possono suonare e non vanno suonati su uno strumento rina- scimentale, o proto-barocco, perché per questo stru- mento [lo strumento che Br. ha in mano] occorre una costruzione diversa: non badate all'aspetto esteriore, na- turalmente, alla forma barocca (questo è un flauto barocco); quello che conta è la forma della cavità interna, che in questo strumento [il fi. rinascimentale] non è conica come in questo strumento [il fi. barocco]. Più la cavità interna si restringe, dall'alto in basso, e più aumenta l'estensione; ma diminuisce il volume delle note basse. La differenza si sente molto chiaramente; vi suono qualche nota con questo flauto [suona un flauto di tipo rinascimentale]; e adesso uno strumento barocco (quello che conta è il rapporto fra note alte e basse) [suona su un flauto barocco]: su questo strumento le note basse, in rapporto a quelle alte, sono notevolmente più tenui; hanno una bella qualità sonora, un po' velata, che appartiene all'ideale estetico sonoro di questo pe- riodo, come avviene con la viola da gamba, la viola da gamba barocca; mentre questo strumento appartiene chiaramente a un altro ideale acustico [suona di nuovo 11 flauto rinascimentale, le note alte e basse], sentite? Questo [il flauto barocco] assomiglia di più al violino; questo [il flauto rinascimentale] assomiglia di più alla viola da gamba.

Parlare della diteggiatura adesso ci porterebbe forse troppo lontano... Una cosa molto importante nel suonare

Van Eyck, che è di fatto una difficoltà molto particolare, è come fare a suonare le improvvisazioni di un altro. Qui infatti dobbiamo comportarci, dobbiamo fare come se stessimo improvvisando; ma al tempo stesso suoniamo avendo davanti una musica scritta, il che naturalmente è una curiosa contraddizione. Ma anche qui l'immagina- zione e il ragionamento possono fornirci delle soluzioni abbastanza buone.

Se immaginate di essere Van Eyck, e di suonare queste note per la prima volta, di improvvisarle, e poi immaginate come lui ci sia arrivato... Per questo occorre sapere che cosa è invenzione, e che cosa è routine, pratica corrente: questo è importante sapere, le inven- zioni di quel tempo e i cliché di quel tempo; l'improv- visazione consiste sempre di questi due elementi, è im- possibile improvvisare soltanto col genio, con idee tutte nuove di zecca; una cosa del genere non esiste.

Ora, il punto è (e questa è una cosa molto barocca, e vale anche per il periodo posteriore), il punto è che non bisogna suonare le invenzioni come se niente fosse, e d'altra parte non bisogna suonare i cliché come se fossero chissà che cosa straordinaria. Questo è uno degli aspetti principali del far musica in genere, e specialmente del far musica barocco.

In questa Sonata di Haendel che abbiamo appena sentito, quando abbiamo per esempio [suona l'inizio della Sonata in Do maggiore ], questa è una bella inven- zione, è un bel tema; e dovete trattarlo come merita. A nessuno verrebbe in mente di fare di primo acchito degli abbellimenti, come [ripete le due prime battute con abbellimenti vari], questo non sarebbe un modo di rendere omaggio all'invenzione. Questa è un'invenzione, una buona invenzione musicale, molto bella; per cui sta bene così com'è, e dovete suonarla facendo pienamente onore a questo fatto. Poi Haendel ripete la frase, e allora voi potete... ma ci sono ancora due possibilità: potete semplicemente ripeterla tale e quale, dato che è così bella che vale la pena di sentirla di nuovo, perché no? [ripete, cioè suona le due battute successive, anche questa volta come sono scritte]; questa è un'ottima possibilità, suonarla una seconda volta. E' molto importante nella musica poter dire due volte la stessa cosa, perché no. Lo facciamo così spesso nella vita d'ogni giorno, par- lando con qualcuno, di ripetere le cose due volte, senza variazione, per assicurarci che l'altro abbia capito, o per sottolineare che un punto è molto importante; magari, la seconda volta a voce un po' più alta della prima.

Ma un'altra possibilità (è una possibilità un po' borghese, ma c'è)... ancora una volta è pericoloso se... Guardatevi dal sentirai obbligati a fare, come per una sorta di convenzione, in quanto è probabile che nella musica barocca si suonasse: [suona la ripetizione - batt. 3 e 4 - con abbellimenti]... Non è così... non è detto, non è vero senz'altro; può darsi di sì, ma può anche darsi di no. Comunque, siete liberi di ripetere o di fare come preferite; dipende dall'intuizione musicale, e anche dal- l'intuizione stilistica.

Dopo, Haendel continua [suona le batt. 5 e 6], ecc.; qui l'invenzione melodicamente non è gran cosa, come composizipne questo è di gran lunga meglio [ripete l'inizio della Sonata]. Come invenzione melodica questo [ripete le batt. 5 e 6] ha molto più del cliché. Ma anche qui c'è un'invenzione, ed è il ritmo: improvvisa- mente si passa da un ritmo eguale a un ritmo puntato: l'invenzione è il fatto di cominciare a far le note puntate [ripete le due frasi una dietro l'altra], ecco l'invenzione.

24

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Anche qui dunque, rendete omaggio a quello che sucr cede nel testo. Molti questa « puntatura » non la fanno risaltare, e questo è sbagliato, perché qui succede qual- cosa: non potete fare [ripete, suonando nelle batt. 5 e 6 gli ottavi eguali], così non sa di niente, no?

Potete esser certi che Haendel era orgoglioso della 1 V sua invenzione, e avrebbe voluto che tutti la suonassero in questo modo; dunque anche voi dovete esser fieri della vostra invenzione, perché voi siete Haendel, non ve lo dimenticate. E allora siatene fieri [ripete le batt. 5 e 6, accentuando molto la puntatura], perché no? e così via dicendo.

Ora, questa è musica del Settecento. Se torniamo a Van Eyck, ci accorgiamo chiaramente, nelle sue improv- visazioni, dove ha inventato qualcosa e dove è ricorso per riempitivo a dei cliché. Prendiamo una canzone, una canzone popolare olandese come: [suona la prima parte di Onder de linde groene , ed. Ixijzet, voi. 3, p. 114], una canzone molto semplice. L'inizio è [ripete le prime 4 batt.], ecc., dove la prima variazione di Van Eyck è [suona la seconda riga del Modo 2, ivi]: quasi niente invenzione, e quasi tutto cliché. Dunque qui non ha senso fare qualcosa di fantastico, di eccezionale [ripete la stessa riga, interpretandola in modo più artificioso], o qualcosa del genere; suoniamola in modo semplice.

Seconda variazione, ascoltate attentamente [suona le batt. 9-12 del Modo 3, ivi pp. 114-115]; la suono di nuovo [ripete]. Qui c'è già molta più invenzione e molto meno cliché. Van Eick ripete il tema di nuovo [suona il tema originale], e qui [batt. 9 del Modo 3], e questa è una piccola inveñzione, lo fa non: [ripete la battuta, come se non ci fosse la nota puntata], ma [ripete, accentuando la nota puntata], questa è una piccola invenzione; dunque questo non suonatelo di- strattamente, come se non aveste inventato nulla: dovete sempre esser fieri delle vostre buone idee, eh? dunque

non [suona m modo indifferente], ma [ripete accen- tuando molto lo staccato della nota puntata - sempre bat. 9 - e staccando molto i due Do successivi].

La seconda battuta è [suona la seconda battuta del tema originale]; nella Variazione [suona la batt. 10 e il Do della 11, Modo 3], cliché, direi, eh, non è un gran che. Queste dunque sono le due prime battute. La terza, nell'originale è [batt. 3 e 4 della melodia origi- nale]; Van Eyck, in questa variazione fa: [suona le batt. 11 e 12 del Modo 3]; ehi, qui c'è una grossa novità.

E qui veniamo al pericolo dello studiare: perché, se studiate questo passo, è probabile che vi diventi fa- cile, che cominciate a suonarlo con facilità, così [suona in modo corretto e indifferente]: il grande virtuoso, per cui non esistono difficoltà. Questo è il tipo sbagliato di virtuosismo, quello di chi ha perso semplicemente di vista il senso del testo musicale. E qui sarebbe veramente meglio non studiare questo pezzo, in modo che la diffi- coltà ve la troviate davanti... Farò come se non l'avessi mai visto prima, come se fosse una lettura a prima vi- sta, eh? [suona rallentando un po' come in difficoltà al Do basso, e poi saltando di slancio al Sol alto]; questo è esattamente il modo come andrebbe suonato. Questo è anche quello che fa l'improvvisatore, anche lui legge a prima vista... be', non è che legga, come dire, improvvi- sa, inventa, non c'è niente di preparato: è come leggere a prima vista, e anche qualcosa di più.

Dunque quello che bisogna fare è di mettersi nei panni di un improvvisatore, e vedere come gli è venuto fatto di improvvisare un certo pezzo [...]. Nella mu- sica antica è molto importante che non si suonino le cose facili, i testi facili, in modo difficile, tanto per riuscire interessanti, e viceversa le cose difficili con troppa disinvoltura, perché uno padroneggia la diffi- coltà con una sorta di virtuosismo del tutto fuori luo- go [...]. E' ovvio che se studiate un pezzo molto difficile dopo un po' di tempo sarete in grado di suo- narlo come se nulla fosse; ma questo toglie qualcosa alla musica... Occorre analizzare le varie battute [...]; e ancora una volta, scrivete voi stessi un pezzo del genere, e capirete perché è scritto in questo modö [...]. Questo serve moltissimo a capire la musica, e anche nello studio: è inutile studiare come matti suonando il più svelti possibile, è una cosa senza senso. L'intelli- genza, la comprensione della musica e l'esercizio vanno sempre a braccetto. Se si studia in modo stupido, se non si capisce quello che sta succedendo nel testo musicale, automaticamente si avrà molta difficoltà a padroneggiar- lo, e si cascherà sempre in trappole come questa: [suona velocissimo e male, mangiandosi le note], perché non si capisce quello che sta succedendo. Quindi è molto importante lavorare con la testa, con l'intelligenza, molto più importante che lavorare con le dita. Le dita vanno sempre dietro al cervello, non è viceversa.

Dunque alcune conclusioni che possiamo trarre dalla musica per strumenti a fiato dél Sei e del Cinquecento, e che possono essere di qualche utilità e profitto per suo- nare la musica del Settecento, potrebbero essere le se- guenti. Uno: l'era del Belcanto, in senso ottocentesco, segna un cambiamento stupefacente negli ideali estetici circa il modo di trattare la voce, gli strumenti, e anche di eseguire la musica. Un suono possente, mirabile e smagliante acquista adesso maggior pregio di un discorso vigoroso, ricco di immaginazione e di significato. Noi

25

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

esecutori e ascoltatori della musica del Settecento dob- biamo renderci conto che quasi tutti, oggi, a parte i compositori e gli esecutori di avanguardia, siamo ancora immersi in questa tradizione belcantistica... Il suonatore di strumenti a fiato del Settecento possedeva la capa- cità, il riflesso innato di raggruppare le note come vo- leva, in qualunque modo apparisse musicalmente fatti- bile, senza legare. Suonava sempre un po' « inégal », diseguale, nel senso che aveva l'abitudine di distinguere quelle che chiamava note buone dalle cattive, e di rag- gruppare in massima le note due a due. Questo due a due significa, per farvi un esempio tratto dalla stessa Sonata in Haendel [suona le batt. 5-8 dell'Allegro della Sonata in io maggiore , e prima di suonare la 9 dice:] ecco, adesso viene [suona le batt. 9-11], non come una mitra- gliatrice, ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta, ta-ta-ta-ta-ta, ta-ta-ta-ta-ta; ma sempre buona-cattiva, buona-cativa, buona-cattiva, o for- te-debole, forte-debole, forte-debole, forte-debole; o come detta già di per sé l'archetto del violino: in giù, la nota più forte: giù-su, giù-su, giù-su; nella viola da gamba è il contrario, su-giù, su-giù. Così le note ineguali sono sempre le note più importanti, e queste eguali stanno nell'ombra delle diseguali; di modo che se abbiamo [suona la bat. 9, facendo eguali i sei sedicesimi], non dev'essere fatta così, dev'essere [fischia, allungando la prima, la terza e la quinta nota], va bene?, buòna-meno, buona-meno, buona-meno, buona-meno [suona col flauto le batt. 9-11], che è quello che noi chiamiamo « inegua- glianza » dinamica. Questo non dipende dal fiato, ma dalla lingua, dall'articolazione. E per inciso questo è anche qualcosa di diverso da quello che chiamiamo « ine- guaglianza » vera e propria, ossia dalla « inégalité » fran- cese, che in realtà è una ineguaglianza ritmica.

I francesi avrebbero fatto [ripete le batt. 9-11], eh, con un'altra articolazione. Verremo a questo punto quan- do parleremo di Hotteterre, quando qualcuno suonerà Hotteterre, le articolazioni francesi. Ma il Settecento, in tutte le sue arti, non era mai eguale: l'eguaglianza venne con la Rivoluzione francese, non prima; e neanche allora. Così, suonate sempre in modo ineguale [suona le batt. 9-11 in modo ineguale, poi suona le batt. 12-14 staccando molto e facendo le note eguali]: questo è eguale... gli ottavi in questo contesto; c'è tutta una teoria su cui occorre lavorare per parecchi anni; vi dò solo un accenno: le note correnti di questa durata in questo pezzo sono ineguali, gli ottavi sono molto eguali [suona eguali e staccati gli ottavi delle batt. 4-6]. Note eguali, note ineguali; e ci sono le note puntate [suona due note puntate]; tre cose diverse. Tre, su dieci, perché l'ineguaglianza non è sempre la stessa cosa, le note pun- tate non sono sempre la stessa cosa, e anche l'eguaglianza non è sempre la stessa cosa: ci sono un sacco di varietà, e tutte queste varietà sono completamente estranee al modo di far musica del Novecento e dell'Ottocento.

Ho appena indicato, a voi e a me stesso, quanto noi siamo lontani dalla pratica musicale, neppure virtuosi- stica, ma ordinaria, quotidiana, elementare del XVIII secolo. Non ci possiamo fare neanche una pallida idea della maestria con cui gente come Quantz doveva suonare il flauto, gente come Couperin doveva suonare il clavi- cembalo, o gente come Blavet, o Corelli, quanto... che violinista fantastico doveva essere Corelli, da quello che sappiamo di lui...

Per noi non c'è la minima possibilità di arrivare mai a questo livello, nell'esecuzione della musica settecen- tesca, ed è ovvio, perché viviamo nel Ventesimo secolo,

a due secoli di distanza; per noi non c'è speranza, nes- suna speranza. Possiamo tentare un po', ma non saremo mai bravi còme loro.

Il musicista del Settecento, dunque, sentiva la linea melodica come una serie di intervalli, come abbiamo accennato stamane, ridotti o aumentati di tanto in tanto da qualche accidente. Per noi è un'altra cosa, quando vediamo un diesis o un bemolle; per noi non significa gran che: suoniamo senza pensarci [suona Fa-Re-Mi-Re- Mi-Fa diesis-Sol]. Quando un musicista del Settecento vedeva una cosa del genere, aveva come un riflesso auto- matico [fischia le stesse note], ehi, diesis; e lo faceva ben risaltare, dove che fosse. Sicché non lo suonava come se niente fosse, come se fosse [suona Fa-Re-Mi-Re-Mi- Fa-Sol], così è come forse lo suoneremmo noi [suona le stesse note col Fa diesis, ma senza differenziarlo dalle altre note]; ma il musicista del Settecento per questo aveva un sesto senso, faceva automaticamente qualcosa [suona allungando un po', accentuando il Fa diesis], qualcosa del genere. Sebbene nel Settecento il nostro musicista praticasse ormai uno strumentammo autonomo, e ben differenziato timbricamente, egli era ancora molto attento alla sua matrice vocale, a quella che era all'origine di tutto e che egli amava e prendeva ad esempio, la voce. Sempre, in tutti i trattati, del Cinquecento e Seicento, troviamo scritto che la voce è superiore a qualsiasi stru- mento, e che tutti gli strumenti debbono imparare dalla voce umana. L'esecutore settecentesco era un prodotto della sua tradizione, e questa tradizione risaliva indietro al XVII secolo. Noi non raggiungeremo mai la maestria di un musicista settecentesco, perché la nostra tradizione ha le radici nell'Ottocento, e l'Ottocento è un pessimo secolo per la musica antica. La tradizione del musicista settecentesco risaliva, attraverso i padri e i nonni, al Seicento, e il Seicento è un secolo stupendo per tutta la musica. Dunque, il musicista del Settecento e anche quello del Seicento non studiava mai i pezzi, mai: quello che faceva era studiare quotidianamente, in modo mólto disteso, delle formule, delle piccole entità musicali, piccole formule che venivano usate spessissimo e che ave- vano un determinato significato. Non studiava mai i pezzi: su questo punto abbiamo una documentazione varia e abbondante: studiare un pezzo, una sonata, non si faceva. E neppure si suonava mai un pezzo due volte: una volta, e via; abitudini completamente diverse. C'è una lettera, mi pare di Bononcini, che dice che « in Italia ancora oggi ci sono delle piccole orchestre che suonano in anticipo i pezzi che debbono eseguire », per studiarli. Ma queste erano eccezioni. Il musicista settecentesco aveva dunque una vita molto felice: suonava musica scritta dai suoi amici, o da lui stesso, mai scritta da qualcuno che era già morto; non suonava mai da edi- zioni estranee come quelle con cui suoniamo noi; suo- nava uno strumento che amava, fatto probabilmente, ancora una volta, da qualche amico; sicché tutto gli era favorevole; era molto fortunato. E io penso che il nostro dovere sia, se possibile, di metterci nella sua stessa situa- zione, e dunque di essere felici delle cose che facciamo. La mia opinione è che l'unica possibilità che abbiamo di sentirci felici è di cercare per conto nostro di tornare alle tradizioni del mondo musicale del Settecento e del Seicento; anziché far venire quei secoli a voi, dovete voi andare a quei secoli, studiando l'atmosfera, studiando la musica, studiando il vostro strumento, e tutto natu- ralmente non in modo novecentesco, ma se possibile

26

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

in modo settecentesco, e questo probabilmente vi darà buoni frutti.

Bene, è tutto per oggi. Arrivederci a domani.

(Registrazione di Michele Toscano, trascrizione e tra- duzione di Franco Salvatorelli).

Nota. Il seminario, tenuto in lingua inglese, è stato registra- to su nastro in 5 cassette da 120 min., più un pezzetto su una cassetta da 90 minuti. La traduzione è praticamente integrale: si è eliminato solo qualche passo strettamente legato alla parte sonora, e incomprensibile senza di questa. Le parole o le frasi che nella registrazione e quindi nella traduzione sono poco chia- re sono seguite dal segno [?]. In qualche caso, dove era oppor- tuno per la comprensione del discorso, si sono inserite brevissi-

me integrazioni, fra parentesi quadre. Le lacune (parole incom- prensibili nella registrazione, « vuoti » dovuti al cambio delle bobine, qualche frase rimasta in tronco e simili) sono indicate dal segno [...]. Si tratta nella quasi totalità dei casi di una o due parole soltanto. I puntini ... senza parentesi quadra non indi- cano parole mancanti, ma sospensioni o pause del discorso parlato.

Per i riferimenti musicali si sono usate nella traduzione que- ste edizioni: G. Fr. Händel, Sonata in La minore, ed. H. Mönkemeyer. Moeck 2014; Sonata in Fa maggiore, ed Mönkemeyer, Moeck 2012; Sonata in Do maggiore, ed. Mönkemeyer, Moeck 2013; Sonata

in Re minore, ed Waldemar Woehl, Heinrishofen's Verlag n. 1139. J. van Eyck, Der Fluyten Lust-hof, ed. Gerrit Vellekoop,

IXIJZET, Amsterdam 1958, 3 voli. J. Hotteterre, Suite in Mi minore, ed. Hugo Ruf, Hortus Mu-

sicus (Bärenreiter) n. 198.

27

This content downloaded from 62.122.79.38 on Sun, 15 Jun 2014 23:55:36 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended