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E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente...

Date post: 20-Aug-2020
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Francesco Dall'Ongaro Racconti www.liberliber.it Francesco Dall'Ongaro Racconti www.liberliber.it
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Francesco Dall'OngaroRacconti

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Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)www.e-text.it

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: RaccontiAUTORE: Dall'Ongaro, FrancescoTRADUTTORE:CURATORE: NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito https://www.archive.org/.Realizzato in collaborazione con il Project Guten-berg (https://www.gutenberg.net/) tramite Distribu-ted proofreaders (https://www.pgdp.net/)CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Racconti / F. Dall'Ongaro- Firenze : Suc-cessori le Monnier, 1869 - IV, 431 p. ; 18 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 11 ottobre 2018

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TITOLO: RaccontiAUTORE: Dall'Ongaro, FrancescoTRADUTTORE:CURATORE: NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito https://www.archive.org/.Realizzato in collaborazione con il Project Guten-berg (https://www.gutenberg.net/) tramite Distribu-ted proofreaders (https://www.pgdp.net/)CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Racconti / F. Dall'Ongaro- Firenze : Suc-cessori le Monnier, 1869 - IV, 431 p. ; 18 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 11 ottobre 2018

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/

REVISIONE:Gianfranco De Robertis

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC004000 FICTION / Classici

DIGITALIZZAZIONE:Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/

REVISIONE:Gianfranco De Robertis

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

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Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: www.liberliber.it/online/aiuta.Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: www.liberliber.it.

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F. DALL'ONGARO

RACCONTILa Donna bianca dei Collalto.

I complimenti di Ceppo. — I due castelli in aria.Il Diritto e il Torto. — Il berretto di pel di lupo. — La valle di Resia.Istoria di una casa. — La giardiniera delle male erbe. — La fidanzata

del Montenegro.Gentilina. — Fanny. — Il palazzo de' Diavoli. — Un viaggetto nuziale.

L'ora degli Spiriti.

FIRENZE.

SUCCESSORI LE MONNIER.

1869.

[Pg I]

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F. DALL'ONGARO

RACCONTILa Donna bianca dei Collalto.

I complimenti di Ceppo. — I due castelli in aria.Il Diritto e il Torto. — Il berretto di pel di lupo. — La valle di Resia.Istoria di una casa. — La giardiniera delle male erbe. — La fidanzata

del Montenegro.Gentilina. — Fanny. — Il palazzo de' Diavoli. — Un viaggetto nuziale.

L'ora degli Spiriti.

FIRENZE.

SUCCESSORI LE MONNIER.

1869.

[Pg I]

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A CHI LEGGE.

SIGNORI e SIGNORE

I Racconti che vedete qui riuniti sono fratelli carnalidelle Novelle vecchie e nuove che mandai per il mondo,anni fa. Anche tra questi ve n'ha di vecchi e di nuovi: c'èil primo che scrissi, i Complimenti di Ceppo, e l'ultimo,che fantasticai su' due piedi, dinanzi alla porta della miacasa in una delle ultime notti stellate.

I Complimenti di Ceppo, come la maggior parte de'suoi fratelli e sorelle, sono autentici e veri quanto puòesserlo ogni altra storia e novella che corre per le stam-pe e per le bocche degli uomini. Ma perchè fu il mioprimogenito, ed ha l'età della ragione, vi dirò come einacque e perchè.

Io viveva in diebus illis nella bella città di Trieste, evi stampavo un giornale col titolo modesto di Favilla, ecolla epigrafe ambiziosa:

Poca favilla gran fiamma seconda.I miei abbonati, sparsi per tutta l'Italia, divenivano a

vicenda i miei collaboratori gratuiti. I giornali,[Pg II] inquel tempo, non erano organi del governo o di un partitocontro il governo: erano un ricambio d'affetti e d'idee,un amo gittato a caso per pescare, dovunque fosse, unamico del buono e del bello.

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A CHI LEGGE.

SIGNORI e SIGNORE

I Racconti che vedete qui riuniti sono fratelli carnalidelle Novelle vecchie e nuove che mandai per il mondo,anni fa. Anche tra questi ve n'ha di vecchi e di nuovi: c'èil primo che scrissi, i Complimenti di Ceppo, e l'ultimo,che fantasticai su' due piedi, dinanzi alla porta della miacasa in una delle ultime notti stellate.

I Complimenti di Ceppo, come la maggior parte de'suoi fratelli e sorelle, sono autentici e veri quanto puòesserlo ogni altra storia e novella che corre per le stam-pe e per le bocche degli uomini. Ma perchè fu il mioprimogenito, ed ha l'età della ragione, vi dirò come einacque e perchè.

Io viveva in diebus illis nella bella città di Trieste, evi stampavo un giornale col titolo modesto di Favilla, ecolla epigrafe ambiziosa:

Poca favilla gran fiamma seconda.I miei abbonati, sparsi per tutta l'Italia, divenivano a

vicenda i miei collaboratori gratuiti. I giornali,[Pg II] inquel tempo, non erano organi del governo o di un partitocontro il governo: erano un ricambio d'affetti e d'idee,un amo gittato a caso per pescare, dovunque fosse, unamico del buono e del bello.

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Page 7: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

Una volta l'amo venne su carico di una grave censuraad uno dei più gentili poeti viventi; censura acerba mavera, sottoscritta da un nome di donna. Il poeta rispose;la donna replicò col vigore e col senno di un critico pro-vetto. Invitata ad onorare de' suoi scritti il giornale,mandava un altro scritto in cui rivedeva le bucceall'Ariosto, a proposito d'una sua versione o imitazioneelegante ma poco esatta di Catullo o di Virgilio, semprecolla medesima firma. Credetti, sulle prime, che quelnome di donna coprisse quello di un letterato barbogio,il quale per rendersi accetto al pubblico usurpasse ilnome di una gentil damigella.

Ma fatta un'inchiesta, venni a sapere che l'autore diquelle critiche argute era veramente una donna, e che ilnome di Caterina Percoto, ond'erano sottoscritte, appar-teneva davvero al libro d'oro della nobiltà friulana.

Ringraziando la mia incognita collaboratrice de' suoieruditi articoli di critica letteraria, osai pregarla a mutarqualche volta registro; e poichè aveva l'onore di apparte-nere al sesso gentile, volesse mandarci qualche scrittoda donna.

Tre mesi di silenzio punirono l'indiscreto consiglio.[PgIII] Poi, sollecitata a rispondere, mi fece significare chenon sapeva indovinare che cosa io intendessi per unoscritto da donna.

Invece di scriverle una dissertazione, scrissi e le man-

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Una volta l'amo venne su carico di una grave censuraad uno dei più gentili poeti viventi; censura acerba mavera, sottoscritta da un nome di donna. Il poeta rispose;la donna replicò col vigore e col senno di un critico pro-vetto. Invitata ad onorare de' suoi scritti il giornale,mandava un altro scritto in cui rivedeva le bucceall'Ariosto, a proposito d'una sua versione o imitazioneelegante ma poco esatta di Catullo o di Virgilio, semprecolla medesima firma. Credetti, sulle prime, che quelnome di donna coprisse quello di un letterato barbogio,il quale per rendersi accetto al pubblico usurpasse ilnome di una gentil damigella.

Ma fatta un'inchiesta, venni a sapere che l'autore diquelle critiche argute era veramente una donna, e che ilnome di Caterina Percoto, ond'erano sottoscritte, appar-teneva davvero al libro d'oro della nobiltà friulana.

Ringraziando la mia incognita collaboratrice de' suoieruditi articoli di critica letteraria, osai pregarla a mutarqualche volta registro; e poichè aveva l'onore di apparte-nere al sesso gentile, volesse mandarci qualche scrittoda donna.

Tre mesi di silenzio punirono l'indiscreto consiglio.[PgIII] Poi, sollecitata a rispondere, mi fece significare chenon sapeva indovinare che cosa io intendessi per unoscritto da donna.

Invece di scriverle una dissertazione, scrissi e le man-

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Page 8: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

dai stampato il racconto sovraccennato, dicendole, nelmiglior modo ch'io seppi, ch'io le davo in mano l'orditu-ra di una tela ch'ella saprebbe tessere e ricamare megliodi me. Nata contessa, e vivendo alla buona cogli abitantidella sua terra, avrebbe potuto meglio d'ogni altro de-scrivere i mille aspetti della natura, i costumi, le tradi-zioni, le vicende, gli affetti di quei campagnuoli.

Dopo un silenzio più lungo, la contessa Caterina Per-coto mi mandò il manoscritto della sua prima novellaLis Cidulis. Ella aveva non solo compresa, non solo giu-stificata, ma superata la mia aspettazione.

Il mio raccontino era stato la cote di cui parla Orazio,che affila il ferro, inetta per se stessa a tagliare.

E questo vi spieghi perchè i Complimenti di Ceppomi sono cari, e perchè mi applaudo segretamente diaverli scritti e stampati. Senz'essi forse la contessa Cate-rina Percoto avrebbe continuato a scrivere le sue elucu-brazioni erudite, e l'Italia aspetterebbe ancora la suagentile e simpatica novellista.

La cote d'Orazio, affilando l'altrui stile, affilò pure ilmio. Noi scrivemmo a prova racconti e[Pg IV] novelle, di-pingendo ciascuno le proprie impressioni, e commen-tando i fatti cotidiani di cui eravamo testimoni, o che ciarrivavano, comunque fosse, all'orecchio. Io ritraeva piùspesso la città co' suoi vizj; essa la campagna e le suemodeste virtù. Poco ella prese da me: io molto da lei,

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dai stampato il racconto sovraccennato, dicendole, nelmiglior modo ch'io seppi, ch'io le davo in mano l'orditu-ra di una tela ch'ella saprebbe tessere e ricamare megliodi me. Nata contessa, e vivendo alla buona cogli abitantidella sua terra, avrebbe potuto meglio d'ogni altro de-scrivere i mille aspetti della natura, i costumi, le tradi-zioni, le vicende, gli affetti di quei campagnuoli.

Dopo un silenzio più lungo, la contessa Caterina Per-coto mi mandò il manoscritto della sua prima novellaLis Cidulis. Ella aveva non solo compresa, non solo giu-stificata, ma superata la mia aspettazione.

Il mio raccontino era stato la cote di cui parla Orazio,che affila il ferro, inetta per se stessa a tagliare.

E questo vi spieghi perchè i Complimenti di Ceppomi sono cari, e perchè mi applaudo segretamente diaverli scritti e stampati. Senz'essi forse la contessa Cate-rina Percoto avrebbe continuato a scrivere le sue elucu-brazioni erudite, e l'Italia aspetterebbe ancora la suagentile e simpatica novellista.

La cote d'Orazio, affilando l'altrui stile, affilò pure ilmio. Noi scrivemmo a prova racconti e[Pg IV] novelle, di-pingendo ciascuno le proprie impressioni, e commen-tando i fatti cotidiani di cui eravamo testimoni, o che ciarrivavano, comunque fosse, all'orecchio. Io ritraeva piùspesso la città co' suoi vizj; essa la campagna e le suemodeste virtù. Poco ella prese da me: io molto da lei,

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Page 9: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

massime i colori che resero accetta la mia Rosadell'Alpi, ristampata da ultimo di là dell'Atlantico, e datacome testo di lettura italiana ai concittadini dell'illustreLongfellow.

Ecco come nacque il mio primo racconto, e come fuseguìto dagli altri. Fate loro buon viso, o lettori, se nonfoss'altro, perchè furono stimolo ed occasione a cosemigliori.

L'AUTORE.

Firenze, 20 luglio 1869.

[Pg 1]

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massime i colori che resero accetta la mia Rosadell'Alpi, ristampata da ultimo di là dell'Atlantico, e datacome testo di lettura italiana ai concittadini dell'illustreLongfellow.

Ecco come nacque il mio primo racconto, e come fuseguìto dagli altri. Fate loro buon viso, o lettori, se nonfoss'altro, perchè furono stimolo ed occasione a cosemigliori.

L'AUTORE.

Firenze, 20 luglio 1869.

[Pg 1]

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Page 10: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

LA DONNA BIANCA DEI COLLALTO.

I.

Gli uomini più saputi e più accorti del nostro tempo,udendo parlare di leggende, di tradizioni, d'apparizioni,si contentano di sorridere, e danno dei semplici, per nondir altro, ai nostri nonni che vi prestavano tanta fede. Ifilosofi, gli storici, i poeti fecero fino a' nostri giorni al-trettanto, o al più al più, questi ultimi ne traggono qual-che visione o qualche ballata per loro divertimento,quando hanno vuotato il sacco delle loro liriche appas-sionate o disperate, e delle lor querimonie contro il se-colo positivo. La gente semplice, grossa, ignorante, ben-chè per un certo pudore sorrida anch'essa della propriacredulità, pur si compiace ancor troppo di tali racconti,per credere che ne rida di buona fede.

Non so in quale di queste classi vorranno mettermi imiei lettori, nè in quale dovrò metter loro. Per ciò chemi concerne, dirò candidamente che non ebbi mai pauradi streghe nè di folletti: aggiungerò che i miei sonni in-fantili non furono mai nè dall'aia, e molto meno dallamadre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg 2] della genteche mi circonda, non ho saputo astenermi dall'esaminarequesti fatti dello spirito umano. Dico fatti, perchè ogni

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LA DONNA BIANCA DEI COLLALTO.

I.

Gli uomini più saputi e più accorti del nostro tempo,udendo parlare di leggende, di tradizioni, d'apparizioni,si contentano di sorridere, e danno dei semplici, per nondir altro, ai nostri nonni che vi prestavano tanta fede. Ifilosofi, gli storici, i poeti fecero fino a' nostri giorni al-trettanto, o al più al più, questi ultimi ne traggono qual-che visione o qualche ballata per loro divertimento,quando hanno vuotato il sacco delle loro liriche appas-sionate o disperate, e delle lor querimonie contro il se-colo positivo. La gente semplice, grossa, ignorante, ben-chè per un certo pudore sorrida anch'essa della propriacredulità, pur si compiace ancor troppo di tali racconti,per credere che ne rida di buona fede.

Non so in quale di queste classi vorranno mettermi imiei lettori, nè in quale dovrò metter loro. Per ciò chemi concerne, dirò candidamente che non ebbi mai pauradi streghe nè di folletti: aggiungerò che i miei sonni in-fantili non furono mai nè dall'aia, e molto meno dallamadre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg 2] della genteche mi circonda, non ho saputo astenermi dall'esaminarequesti fatti dello spirito umano. Dico fatti, perchè ogni

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Page 11: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

opinione, ogni superstizione, ogni credenza, per falsache sia, è un fatto, in quanto esiste nella mente del vul-go. Esaminando alcune di queste leggende, ci ho quasisempre trovato sotto una ragione, e spesso tutt'altro chefrivola. Credete pure, miei buoni lettori, che una favoladestituita d'ogni senso non si trasmette di bocca in boc-ca, e non dura per secoli. Dico questo non per celia, madi tutto il mio senno, e se ho raccolto di quando in quan-do alcuni di questi fatti e ho procurato di raccontarli allameglio in prosa od in versi, non ho inteso di contar purefavole, o almeno, ho scelto fra queste le poche che miparevano celare alcun che di morale e di significativo.

Questi pensieri mi giravano per la mente l'altr'ieri, re-candomi da Conegliano a Collalto per visitare il teatrodi una di codeste leggende. — Come! direte: tu facestiun viaggio per recarti costà? o che forse t'aspettavi divederti apparire la Donna Bianca? A chi vuoi far credercodesto? — Io non ebbi mai il vezzo di voler far crederechecchessia; meno a voi, miei lettori, che siete gentefina e aliena da ogni credulità. E il viaggio ch'io dissi,per quanto vi paia strano e ridicolo, non è per questomen vero; e aggiungo che, senz'esso viaggio, io nonavrei oggi l'onore d'intertenermi con voi.

Or dunque, lasciata Conegliano alle spalle, sur un leg-gero calesse io m'indirizzavo verso Collalto. Aveva ilsole di fronte, il quale precipitava al tramonto. A sinistral'immensa pianura della Marca, a destra i bellissimi colli

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opinione, ogni superstizione, ogni credenza, per falsache sia, è un fatto, in quanto esiste nella mente del vul-go. Esaminando alcune di queste leggende, ci ho quasisempre trovato sotto una ragione, e spesso tutt'altro chefrivola. Credete pure, miei buoni lettori, che una favoladestituita d'ogni senso non si trasmette di bocca in boc-ca, e non dura per secoli. Dico questo non per celia, madi tutto il mio senno, e se ho raccolto di quando in quan-do alcuni di questi fatti e ho procurato di raccontarli allameglio in prosa od in versi, non ho inteso di contar purefavole, o almeno, ho scelto fra queste le poche che miparevano celare alcun che di morale e di significativo.

Questi pensieri mi giravano per la mente l'altr'ieri, re-candomi da Conegliano a Collalto per visitare il teatrodi una di codeste leggende. — Come! direte: tu facestiun viaggio per recarti costà? o che forse t'aspettavi divederti apparire la Donna Bianca? A chi vuoi far credercodesto? — Io non ebbi mai il vezzo di voler far crederechecchessia; meno a voi, miei lettori, che siete gentefina e aliena da ogni credulità. E il viaggio ch'io dissi,per quanto vi paia strano e ridicolo, non è per questomen vero; e aggiungo che, senz'esso viaggio, io nonavrei oggi l'onore d'intertenermi con voi.

Or dunque, lasciata Conegliano alle spalle, sur un leg-gero calesse io m'indirizzavo verso Collalto. Aveva ilsole di fronte, il quale precipitava al tramonto. A sinistral'immensa pianura della Marca, a destra i bellissimi colli

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Page 12: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

che dolcemente s'innalzano, verdi, pampinosi, festanti,curvandosi in mille forme, digradando e sfumandosi nellontano azzurro del cielo. I colli di Conegliano non han-no invidia a quelli della Toscana, ai Berici,[Pg 3] nè aiLombardi. Un pittore, sia pure d'immaginazione la piùricca e feconda, non potrebbe nulla aggiungere e nullatogliere al vero, per figurare in tela l'ideale dell'Eden. Echi crede ch'io esageri, non ha che a fare il riscontro.

Spiccato in nero dalle roscide tinte del tramonto, misorgeva di rimpetto il castello di San Salvatore. Quandodico castello, intendo un paese; chè questa non è puntouna delle solite ruine che piacciono ai paesisti. Il castel-lo di cui parlo è ancora in perfettissimo stato, e più abi-tabile e abitato che mai. La principesca famiglia da cuisi nomina ci viene a passare l'inverno in numerosa co-mitiva, e vi fa operare continui ristauri, che se non gio-vano all'arte, giovano al comodo. Un ampio terrazzos'innalza dai circostanti edifici, come il tubo diun'immensa locomotiva. Verso la sommità si allarga perl'aggetto d'un'ampia cornice, sopra la quale, costrutta inetà più recente, si curva la pina a modo di tulipano gi-gantesco. Perdonate la meschina similitudine; non sa-prei con qual altra immagine porvi sott'occhio codestocomignolo esagono ch'espande le curve merlaturenell'aria, proprio come i petali di quel fiore.

Giace alle radici del colle l'ameno villaggio di Suse-gana, e di là dolcemente salendo la strada, ti conduce

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che dolcemente s'innalzano, verdi, pampinosi, festanti,curvandosi in mille forme, digradando e sfumandosi nellontano azzurro del cielo. I colli di Conegliano non han-no invidia a quelli della Toscana, ai Berici,[Pg 3] nè aiLombardi. Un pittore, sia pure d'immaginazione la piùricca e feconda, non potrebbe nulla aggiungere e nullatogliere al vero, per figurare in tela l'ideale dell'Eden. Echi crede ch'io esageri, non ha che a fare il riscontro.

Spiccato in nero dalle roscide tinte del tramonto, misorgeva di rimpetto il castello di San Salvatore. Quandodico castello, intendo un paese; chè questa non è puntouna delle solite ruine che piacciono ai paesisti. Il castel-lo di cui parlo è ancora in perfettissimo stato, e più abi-tabile e abitato che mai. La principesca famiglia da cuisi nomina ci viene a passare l'inverno in numerosa co-mitiva, e vi fa operare continui ristauri, che se non gio-vano all'arte, giovano al comodo. Un ampio terrazzos'innalza dai circostanti edifici, come il tubo diun'immensa locomotiva. Verso la sommità si allarga perl'aggetto d'un'ampia cornice, sopra la quale, costrutta inetà più recente, si curva la pina a modo di tulipano gi-gantesco. Perdonate la meschina similitudine; non sa-prei con qual altra immagine porvi sott'occhio codestocomignolo esagono ch'espande le curve merlaturenell'aria, proprio come i petali di quel fiore.

Giace alle radici del colle l'ameno villaggio di Suse-gana, e di là dolcemente salendo la strada, ti conduce

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Page 13: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

fino allo spazzo dove sorgeva la prima torre a saracine-sca. Questa ed altre parecchie di queste torri furono at-terrate, atterrate non poche altre costruzioni massiccieche difendevano il castello dalla parte di tramontana. Intempi pacifici, si sa bene che tutti codesti ripari sono piùun lusso che altro; pure non può fare che non ci spiacciala perdita infruttuosa di questi monumenti d'un'altra età.Ma io non intendo di fare il piagnone, tanto più ch'iovengo in traccia di tradizioni e non di ruine.

Feci sostare il cavallo, e salii pedestre fino alla casa[Pg4] d'un uomo, che è quasi lo spirito famigliare, il croni-sta, lo storico vivente della casa Collalto. Intendo dire ilFranceschi, del quale avevo letto parecchie memoriescritte con sobria e sensata erudizione. Io lo conoscevapoco più che di nome: ma la gente che scrive ha il suopassaporto con sè; e poi come pensare che in quelleamene colline, presso a quel bel castello, non istesseproprio di casa la cortesia? Chiesi del Franceschi, e miguidarono a lui.

Dopo le oneste e liete accoglienze, inteso che la pri-ma cagione del mio viaggio era un punto di erudizione,l'ottimo cancelliere di casa Collalto non tardò un istantea mettere agli ordini miei tutti i vecchi manoscritti cherovistava, i cronisti della Marca che avea raccolti, e neiquali era solito vagliar l'oro dalla scoria delle adulazionie degli odii municipali. — Libri, pergamene, tutto è agliordini vostri, diss'egli; e se le lunghe letture vi possono

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fino allo spazzo dove sorgeva la prima torre a saracine-sca. Questa ed altre parecchie di queste torri furono at-terrate, atterrate non poche altre costruzioni massiccieche difendevano il castello dalla parte di tramontana. Intempi pacifici, si sa bene che tutti codesti ripari sono piùun lusso che altro; pure non può fare che non ci spiacciala perdita infruttuosa di questi monumenti d'un'altra età.Ma io non intendo di fare il piagnone, tanto più ch'iovengo in traccia di tradizioni e non di ruine.

Feci sostare il cavallo, e salii pedestre fino alla casa[Pg4] d'un uomo, che è quasi lo spirito famigliare, il croni-sta, lo storico vivente della casa Collalto. Intendo dire ilFranceschi, del quale avevo letto parecchie memoriescritte con sobria e sensata erudizione. Io lo conoscevapoco più che di nome: ma la gente che scrive ha il suopassaporto con sè; e poi come pensare che in quelleamene colline, presso a quel bel castello, non istesseproprio di casa la cortesia? Chiesi del Franceschi, e miguidarono a lui.

Dopo le oneste e liete accoglienze, inteso che la pri-ma cagione del mio viaggio era un punto di erudizione,l'ottimo cancelliere di casa Collalto non tardò un istantea mettere agli ordini miei tutti i vecchi manoscritti cherovistava, i cronisti della Marca che avea raccolti, e neiquali era solito vagliar l'oro dalla scoria delle adulazionie degli odii municipali. — Libri, pergamene, tutto è agliordini vostri, diss'egli; e se le lunghe letture vi possono

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abbreviar la fatica, disponete della mia amicizia comedel mio buon cuore.

— Che sapete voi della Donna Bianca?

Egli mi squadrò con uno certo sorriso tra il sorpreso el'ironico. — Donna Bianca? Voi scherzate, non è vero?

— Non ischerzo punto, mio caro Franceschi. Io viringrazio infinitamente di tutte le vostre cronache, ditutti i vostri manoscritti, di tutte le vostre memorie stori-che, genealogiche ed erudite. Vi domando solo che nesapete di Donna Bianca?

— Intendo! riprese egli. Dopo aver manomesso ilcampo della storia, volete fare man bassa anche sullepovere leggende del popolo.

— Per l'appunto, risposi. E dipenderà da voi e dallagentilezza vostra che io non cominci da quella di DonnaBianca.

[Pg 5]

— E dàgli con Donna Bianca! Non sapete voi che co-desta è una vecchia storia, una storia che deve risalire alduecento!

— Tanto meglio. Le leggende più antiche sono le piùbelle. Raccontatemi dunque che se ne dice, giacchè, perdirvela, io so poco più del nome.

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abbreviar la fatica, disponete della mia amicizia comedel mio buon cuore.

— Che sapete voi della Donna Bianca?

Egli mi squadrò con uno certo sorriso tra il sorpreso el'ironico. — Donna Bianca? Voi scherzate, non è vero?

— Non ischerzo punto, mio caro Franceschi. Io viringrazio infinitamente di tutte le vostre cronache, ditutti i vostri manoscritti, di tutte le vostre memorie stori-che, genealogiche ed erudite. Vi domando solo che nesapete di Donna Bianca?

— Intendo! riprese egli. Dopo aver manomesso ilcampo della storia, volete fare man bassa anche sullepovere leggende del popolo.

— Per l'appunto, risposi. E dipenderà da voi e dallagentilezza vostra che io non cominci da quella di DonnaBianca.

[Pg 5]

— E dàgli con Donna Bianca! Non sapete voi che co-desta è una vecchia storia, una storia che deve risalire alduecento!

— Tanto meglio. Le leggende più antiche sono le piùbelle. Raccontatemi dunque che se ne dice, giacchè, perdirvela, io so poco più del nome.

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— Andiamo intanto a cena, chè mia moglie non bron-toli. Sono cose da contarsi dopo aver provveduto allostomaco. E mia moglie, forse, che è nata in questo ca-stello, ne saprà più di me di cotesta filastrocca.

La proposizione era bella, ed aveva il merito poco co-mune dell'opportunità. Sicchè non è da dire se fu accet-tata con tutto il buon garbo che meritava.

II.

«Bianca, prese a dire la gentil Caterina, dopo le pic-ciole ritrosie, senza le quali è impossibile che una donnacominci un racconto; Bianca, per quanto intesi a diredall'avola, era il nome d'una orfanella ch'era stata rac-colta in casa Collalto, quando la famiglia risiedeva an-cora nel castello di questo nome, poche miglia lontanoda qui. Qualcheduno sostiene che questo non fosse altri-menti il suo nome di battesimo, ma una specie di so-prannome venutole dalla singolare bianchezza della car-nagione e dal candore dell'animo. Checchè ne fosse, ellaera, secondo l'opinione comune, una graziosa fanciulla,forse raccolta dalla madre del conte Tolberto, o nata co-stì da qualche affezionato maggiordomo della famiglia.Pareva dovesse condurre nella pace e nell'oscurità la suavita, e divenire più tardi la moglie di qualche scudiere opaggio prediletto ai signori, e il suo nome sarebbe oraconfuso con quello di tante che non si saprà[Pg 6] che vi-vessero, se non quando risorgeremo insieme nella gran

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— Andiamo intanto a cena, chè mia moglie non bron-toli. Sono cose da contarsi dopo aver provveduto allostomaco. E mia moglie, forse, che è nata in questo ca-stello, ne saprà più di me di cotesta filastrocca.

La proposizione era bella, ed aveva il merito poco co-mune dell'opportunità. Sicchè non è da dire se fu accet-tata con tutto il buon garbo che meritava.

II.

«Bianca, prese a dire la gentil Caterina, dopo le pic-ciole ritrosie, senza le quali è impossibile che una donnacominci un racconto; Bianca, per quanto intesi a diredall'avola, era il nome d'una orfanella ch'era stata rac-colta in casa Collalto, quando la famiglia risiedeva an-cora nel castello di questo nome, poche miglia lontanoda qui. Qualcheduno sostiene che questo non fosse altri-menti il suo nome di battesimo, ma una specie di so-prannome venutole dalla singolare bianchezza della car-nagione e dal candore dell'animo. Checchè ne fosse, ellaera, secondo l'opinione comune, una graziosa fanciulla,forse raccolta dalla madre del conte Tolberto, o nata co-stì da qualche affezionato maggiordomo della famiglia.Pareva dovesse condurre nella pace e nell'oscurità la suavita, e divenire più tardi la moglie di qualche scudiere opaggio prediletto ai signori, e il suo nome sarebbe oraconfuso con quello di tante che non si saprà[Pg 6] che vi-vessero, se non quando risorgeremo insieme nella gran

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valle di Giosafatte. Meglio così per la povera Bianca!Ma la sua trista sorte doveva farla troppo famosa.

»Il conte Tolberto di Collalto, unico figlio di un bar-bone nominato Schinella, e di una contessa tedesca dicui non resta nè il nome nè il ritratto nel vecchio castel-lo, avea menata a moglie la contessa Aica Da Camino,una famiglia nobilissima della Marca, che anche in tem-pi posteriori ebbe molto a che fare coi Collalto, a quantomi viene raccontando il mio signor marito, quando micrede degna di tanto onore.» — Disse queste parole, fis-sando il Franceschi con certa aria furbesca ed amabile,che il signor Franceschi dovette farle un inchino.

«Questa Aica, a sentir lui, non si trova ne' suoi alberigenealogici, anzi studiò quindici giorni e più per saperequal altro nome potesse avere la nobile sposa del conteTolberto. Quello che è certo si è che Aica è un bruttonome, molto antipatico, e che stava assai bene alla con-tessa Da Camino che s'imparentò coi Collalto. Correvoce che fosse fantastica, sofistica, brutta e gelosacome, come....»

— Come non siete voi — mi credetti in obbligo disoggiugnere, per toglierla dall'imbarazzo di trovare quelparagone.

La gentil narratrice guardò il marito, sorrise e ripigliòla parola arrossendo.

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valle di Giosafatte. Meglio così per la povera Bianca!Ma la sua trista sorte doveva farla troppo famosa.

»Il conte Tolberto di Collalto, unico figlio di un bar-bone nominato Schinella, e di una contessa tedesca dicui non resta nè il nome nè il ritratto nel vecchio castel-lo, avea menata a moglie la contessa Aica Da Camino,una famiglia nobilissima della Marca, che anche in tem-pi posteriori ebbe molto a che fare coi Collalto, a quantomi viene raccontando il mio signor marito, quando micrede degna di tanto onore.» — Disse queste parole, fis-sando il Franceschi con certa aria furbesca ed amabile,che il signor Franceschi dovette farle un inchino.

«Questa Aica, a sentir lui, non si trova ne' suoi alberigenealogici, anzi studiò quindici giorni e più per saperequal altro nome potesse avere la nobile sposa del conteTolberto. Quello che è certo si è che Aica è un bruttonome, molto antipatico, e che stava assai bene alla con-tessa Da Camino che s'imparentò coi Collalto. Correvoce che fosse fantastica, sofistica, brutta e gelosacome, come....»

— Come non siete voi — mi credetti in obbligo disoggiugnere, per toglierla dall'imbarazzo di trovare quelparagone.

La gentil narratrice guardò il marito, sorrise e ripigliòla parola arrossendo.

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«La madre del conte Tolberto assegnò la povera Bian-ca come damigella d'onore alla nobile nuora, il giornoche ella venne ad abitare il castello. Le vantò la sua do-cilità, i suoi costumi semplici e ingenui, e la grazia concui sapeva prestarsi ad ogni servigio che spettasse allasua condizione. Aica la squadrò con aria dispettosa dacapo ai piedi, e quel primo sguardo decise forse dellasorte d'entrambe. Ringraziò con cerimonia del suodono[Pg 7] la suocera, e s'incamminò nelle sue stanze or-dinando alla fanciulla che la seguisse. L'appartamentoassegnato agli sposi era, com'è naturale, il più splendidodel castello. La camera nuziale metteva in un'altra stan-za destinata alla damigella, perchè potesse accorrere adogni cenno della signora. Questa stanza esiste ancoranella torre del castello, immediatamente sopra la carce-re, ma non fu mai abitata dal tempo che si venne a cono-scere l'orribile fatto di cui fu scena.

»Il matrimonio del conte di Collalto colla Camineseera stato, come suole avvenire tra' signori, più un affardiplomatico che un legame di simpatia. Quelle due fa-miglie ricorrevano spesso alle nozze, quando sentivanoil bisogno di collegarsi insieme più strettamente, o con-tro i conti di Gorizia, o contro le altre città della Marca,che in quel tempo facevano tanto strepito, quanto adessonon ne menano i principi più potenti. Ma il cuore se laintende assai poche volte colla politica, dice il mio si-gnor marito; onde avvenne che i due nobili sposis'accorsero in breve che non erano fatti l'uno per l'altra.

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«La madre del conte Tolberto assegnò la povera Bian-ca come damigella d'onore alla nobile nuora, il giornoche ella venne ad abitare il castello. Le vantò la sua do-cilità, i suoi costumi semplici e ingenui, e la grazia concui sapeva prestarsi ad ogni servigio che spettasse allasua condizione. Aica la squadrò con aria dispettosa dacapo ai piedi, e quel primo sguardo decise forse dellasorte d'entrambe. Ringraziò con cerimonia del suodono[Pg 7] la suocera, e s'incamminò nelle sue stanze or-dinando alla fanciulla che la seguisse. L'appartamentoassegnato agli sposi era, com'è naturale, il più splendidodel castello. La camera nuziale metteva in un'altra stan-za destinata alla damigella, perchè potesse accorrere adogni cenno della signora. Questa stanza esiste ancoranella torre del castello, immediatamente sopra la carce-re, ma non fu mai abitata dal tempo che si venne a cono-scere l'orribile fatto di cui fu scena.

»Il matrimonio del conte di Collalto colla Camineseera stato, come suole avvenire tra' signori, più un affardiplomatico che un legame di simpatia. Quelle due fa-miglie ricorrevano spesso alle nozze, quando sentivanoil bisogno di collegarsi insieme più strettamente, o con-tro i conti di Gorizia, o contro le altre città della Marca,che in quel tempo facevano tanto strepito, quanto adessonon ne menano i principi più potenti. Ma il cuore se laintende assai poche volte colla politica, dice il mio si-gnor marito; onde avvenne che i due nobili sposis'accorsero in breve che non erano fatti l'uno per l'altra.

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Page 18: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

Il carattere del conte Tolberto era mansueto, indulgente,amorevole, tutto l'opposto di quello di Aica, la qualeaveva tutti i cattivi numeri della famiglia da cui discen-deva. In due mesi la nuora e la suocera non si guardava-no più, se non nelle grandi cerimonie sacre o profane; eil povero conte Tolberto aveva adoperati inutilmente tut-ti i suoi mezzi per riconciliarle fra loro. Vedendo alfineche non poteva piegare a niun modo l'indole intrattabiledella moglie, e che, se più rimaneva al castello, ne sa-rebbe seguita qualche rottura, pensò di cogliere il primopartito che gli venisse offerto per allontanarsi di là, e re-carsi alla guerra. Egli preferiva i pericoli e le fatichedell'armi a quegli astii familiari e incessanti che gli to-glievano la sua cara tranquillità. A[Pg 8] quei tempi le oc-casioni di menar le mani non si facevano attendere lun-gamente. Uno di quei signori, credo il conte di Gorizia,devastava il Friuli: il Conte s'unì in lega co' suoi vicini,e si disponeva a partire per combattere il nemico comu-ne.

»La mattina della partenza, vestito di splendide armi,picchiò alla porta della consorte per prender commiatoda lei. La Contessa stava assisa dinanzi ad uno specchio,mentre la Bianca, con pazienza instancabile, le accomo-dava i capelli. La gentil Bianca non le era stata concessaa quell'umile ufficio; ma l'altiera signora, quasi mettessela sua gloria a far pesare il suo giogo sulla modesta orfa-nella, le prescriveva a bello studio i servigi più bassi;tanto più dal giorno che il conte Tolberto s'era avvisato

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Il carattere del conte Tolberto era mansueto, indulgente,amorevole, tutto l'opposto di quello di Aica, la qualeaveva tutti i cattivi numeri della famiglia da cui discen-deva. In due mesi la nuora e la suocera non si guardava-no più, se non nelle grandi cerimonie sacre o profane; eil povero conte Tolberto aveva adoperati inutilmente tut-ti i suoi mezzi per riconciliarle fra loro. Vedendo alfineche non poteva piegare a niun modo l'indole intrattabiledella moglie, e che, se più rimaneva al castello, ne sa-rebbe seguita qualche rottura, pensò di cogliere il primopartito che gli venisse offerto per allontanarsi di là, e re-carsi alla guerra. Egli preferiva i pericoli e le fatichedell'armi a quegli astii familiari e incessanti che gli to-glievano la sua cara tranquillità. A[Pg 8] quei tempi le oc-casioni di menar le mani non si facevano attendere lun-gamente. Uno di quei signori, credo il conte di Gorizia,devastava il Friuli: il Conte s'unì in lega co' suoi vicini,e si disponeva a partire per combattere il nemico comu-ne.

»La mattina della partenza, vestito di splendide armi,picchiò alla porta della consorte per prender commiatoda lei. La Contessa stava assisa dinanzi ad uno specchio,mentre la Bianca, con pazienza instancabile, le accomo-dava i capelli. La gentil Bianca non le era stata concessaa quell'umile ufficio; ma l'altiera signora, quasi mettessela sua gloria a far pesare il suo giogo sulla modesta orfa-nella, le prescriveva a bello studio i servigi più bassi;tanto più dal giorno che il conte Tolberto s'era avvisato

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di rimproverarle colla sua consueta dolcezza quei modisuperbi ed indebiti. Aica s'era così contentata di chieder-gli se la damigella fosse stata assegnata a lei sola od alui? Or dunque, Bianca era lì architettando, secondo icapricci della dispettosa dama, gl'indocili crini che lanatura le aveva dato, come emblema del suo carattere.

»— Si parte? domandò la Contessa senza guardarlo.

»— Il dovere di cavaliere me lo comanda, rispose ilconte. Ma voglio esser certo che noi ci lasciamo senzarancore, mia nobile Aica. Mi sarà conforto alla lonta-nanza, che mi troverò in compagnia de' vostri congiunti,e potrò combattere al loro fianco. Anche lontano da voi,il vostro pensiero mi seguirà. — Così la squisita cortesiadel conte Tolberto procurava di velare agli occhi delladispettosa consorte il vero motivo della partenza. Macostei non era tale da lasciarsi prendere a quelle dolciparole; e benchè le fosse tutt'uno che il conte se ne an-dasse o rimanesse al castello, non mancò di esacerbareper quanto era in lei quel congedo.

[Pg 9]

»— Desidero, disse, che la mia memoria si dilegui alpiù presto dalla vostra mente: già non potrebbe che dar-vi noia. Andate, signore, e dite a' miei nobili fratellich'io sono felice! — Un accento d'amara ironia trapela-va da queste parole ch'ella declinò l'una dopo l'altra sen-za alcuna emozione e senza rivolger lo sguardo dallo

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di rimproverarle colla sua consueta dolcezza quei modisuperbi ed indebiti. Aica s'era così contentata di chieder-gli se la damigella fosse stata assegnata a lei sola od alui? Or dunque, Bianca era lì architettando, secondo icapricci della dispettosa dama, gl'indocili crini che lanatura le aveva dato, come emblema del suo carattere.

»— Si parte? domandò la Contessa senza guardarlo.

»— Il dovere di cavaliere me lo comanda, rispose ilconte. Ma voglio esser certo che noi ci lasciamo senzarancore, mia nobile Aica. Mi sarà conforto alla lonta-nanza, che mi troverò in compagnia de' vostri congiunti,e potrò combattere al loro fianco. Anche lontano da voi,il vostro pensiero mi seguirà. — Così la squisita cortesiadel conte Tolberto procurava di velare agli occhi delladispettosa consorte il vero motivo della partenza. Macostei non era tale da lasciarsi prendere a quelle dolciparole; e benchè le fosse tutt'uno che il conte se ne an-dasse o rimanesse al castello, non mancò di esacerbareper quanto era in lei quel congedo.

[Pg 9]

»— Desidero, disse, che la mia memoria si dilegui alpiù presto dalla vostra mente: già non potrebbe che dar-vi noia. Andate, signore, e dite a' miei nobili fratellich'io sono felice! — Un accento d'amara ironia trapela-va da queste parole ch'ella declinò l'una dopo l'altra sen-za alcuna emozione e senza rivolger lo sguardo dallo

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specchio che le stava dinanzi. Tutt'ad un tratto parvecolpita da alcun che di strano e d'inaspettato. Il suo vol-to, naturalmente pallido, allibì più che mai; stette immo-bile riguardando lo specchio, come quella piastra eserci-tasse sopra il suo spirito un orribile fascino. Ella vedevasorgere sopra il suo il viso candido ed amoroso di Bian-ca: vide i suoi begli occhi inturgidirsi e circondarsi d'undilicato rossore: una lagrima invano repressa velò lanera pupilla, e rigò quelle guance come una stilla di ru-giada sopra il candido marmo d'una statua. Bianca nonpensò a nasconderla nè ad asciugarla. Forse non sapevanè pure di spargerla, certo non s'accorse che altri stavaguardandola, e nel suo cuore gliene faceva un delittomortale. Aica non alitava dinanzi allo specchio rivelato-re: ella voleva saperne di più, e seppe infatti più che nonavrebbe voluto.

»Il conte aveva esitato se dovesse rispondere all'acrerimprovero della moglie; poi con un gesto della manoche dimostrava il suo risentimento, s'era incamminatoverso la porta. Sul punto di oltrepassare la soglia, s'erarivolto verso le due donne. Aica non fece motto; ma glisguardi lagrimosi di Bianca si scontrarono con quelli delconte: un lampo d'amorosa intelligenza li unì. Fu unlampo: che il conte era già sparito, e l'orfanella avea ri-preso il lavoro per un momento interrotto. Fu un lampo,ma bastò a illuminare di sinistra luce tutto un passato,foriero della folgore che ne scoppiò. Partito il conte,Aica mandò fuori con un forte sospiro l'alito[Pg 10] lun-

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specchio che le stava dinanzi. Tutt'ad un tratto parvecolpita da alcun che di strano e d'inaspettato. Il suo vol-to, naturalmente pallido, allibì più che mai; stette immo-bile riguardando lo specchio, come quella piastra eserci-tasse sopra il suo spirito un orribile fascino. Ella vedevasorgere sopra il suo il viso candido ed amoroso di Bian-ca: vide i suoi begli occhi inturgidirsi e circondarsi d'undilicato rossore: una lagrima invano repressa velò lanera pupilla, e rigò quelle guance come una stilla di ru-giada sopra il candido marmo d'una statua. Bianca nonpensò a nasconderla nè ad asciugarla. Forse non sapevanè pure di spargerla, certo non s'accorse che altri stavaguardandola, e nel suo cuore gliene faceva un delittomortale. Aica non alitava dinanzi allo specchio rivelato-re: ella voleva saperne di più, e seppe infatti più che nonavrebbe voluto.

»Il conte aveva esitato se dovesse rispondere all'acrerimprovero della moglie; poi con un gesto della manoche dimostrava il suo risentimento, s'era incamminatoverso la porta. Sul punto di oltrepassare la soglia, s'erarivolto verso le due donne. Aica non fece motto; ma glisguardi lagrimosi di Bianca si scontrarono con quelli delconte: un lampo d'amorosa intelligenza li unì. Fu unlampo: che il conte era già sparito, e l'orfanella avea ri-preso il lavoro per un momento interrotto. Fu un lampo,ma bastò a illuminare di sinistra luce tutto un passato,foriero della folgore che ne scoppiò. Partito il conte,Aica mandò fuori con un forte sospiro l'alito[Pg 10] lun-

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Page 21: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

gamente trattenuto; le sue guance, che s'erano fatte agrado a grado violette, ritornarono livide; s'alzò ritta ro-vesciando la pettiniera; fissò con occhio di vipera la gio-vanetta che non poteva indovinare l'origine di quell'ira,ma pure ne fu sgomenta per un secreto terrore chel'investì. Dopo alcuni momenti di silenzio terribile, lacontessa ruppe in questa domanda: — Tu piangi? Perchèquelle lagrime? Rispondi, sciagurata, o questo è l'ultimoistante della tua vita. —

»Bianca si sentì soffocare da un sentimento fino allo-ra a lei sconosciuto. Era paura, rimorso, indignazione?Non è facile a dirsi. Forse erano tutte e tre queste cosead un tratto. Ella chinò il capo come il colpevole coltoin fallo.

»— Dimmi tutto, o sei morta, — replicò la contessa.La povera giovane si lasciò cadere sulle ginocchia quasisvenuta. Aica l'afferrò per un braccio e la strascinò se-miviva nella camera attigua ch'era, come sapete, la sua.Vi si chiuse con essa, e dopo una lunga ora n'uscì, chiu-dendola a chiave. Il suo volto era raggiante d'una gioiaferoce. Ella avea saputo ciò che temeva, e pur desidera-va d'intendere.

Ripassando dinanzi allo specchio, tornò ad affacciar-visi, come per un istinto, non saprei dire se di gratitudi-ne o di terrore. Abbrancò colle mani le chiome scompo-ste, e le torse intorno alla testa come per dissimularne il

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gamente trattenuto; le sue guance, che s'erano fatte agrado a grado violette, ritornarono livide; s'alzò ritta ro-vesciando la pettiniera; fissò con occhio di vipera la gio-vanetta che non poteva indovinare l'origine di quell'ira,ma pure ne fu sgomenta per un secreto terrore chel'investì. Dopo alcuni momenti di silenzio terribile, lacontessa ruppe in questa domanda: — Tu piangi? Perchèquelle lagrime? Rispondi, sciagurata, o questo è l'ultimoistante della tua vita. —

»Bianca si sentì soffocare da un sentimento fino allo-ra a lei sconosciuto. Era paura, rimorso, indignazione?Non è facile a dirsi. Forse erano tutte e tre queste cosead un tratto. Ella chinò il capo come il colpevole coltoin fallo.

»— Dimmi tutto, o sei morta, — replicò la contessa.La povera giovane si lasciò cadere sulle ginocchia quasisvenuta. Aica l'afferrò per un braccio e la strascinò se-miviva nella camera attigua ch'era, come sapete, la sua.Vi si chiuse con essa, e dopo una lunga ora n'uscì, chiu-dendola a chiave. Il suo volto era raggiante d'una gioiaferoce. Ella avea saputo ciò che temeva, e pur desidera-va d'intendere.

Ripassando dinanzi allo specchio, tornò ad affacciar-visi, come per un istinto, non saprei dire se di gratitudi-ne o di terrore. Abbrancò colle mani le chiome scompo-ste, e le torse intorno alla testa come per dissimularne il

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disordine. Ma il suo viso aveva un'espressione così sini-stra, che ne parve ella medesima inorridita. Ripassandola palma della mano sopra i capegli inegualmente sparti-ti, e asciugando il sudor freddo che le bagnava la frontelivida e corrugata, — S'amavano, s'amavano, mormora-va la contessa fra' denti. Egli l'amava!....

»Si fermò come ascoltando il suono di questa parola;poi, tutto ad un tratto, mise alla bocca un fischietto, e[Pg11] ne trasse un sibilo acuto. Accorse un vecchio mag-giordomo, e si fermò sulla porta in aspettazione del suocomando.

»— È partito il conte? — gli domandò la contessa.

»— Partito, Eccellenza: ma non può essere cheall'ultima porta.

»— Richiamatelo... no... non monta. Andate. — Af-facciandosi al veroncello, ella vide difatti calarsi la sara-cinesca dell'ultima torre alle spalle del conte Tolberto.Alla testa di cento cavalieri egli seguiva il tortuoso sen-tiero che mette alla valle. A poco a poco scomparve frail folto degli alberi, e più non apparivano che a tratto atratto gli ondeggianti cimieri e gli elmi lucenti, comel'acqua del vicino torrente percossa dal sole. Si staccòdalla finestra, ritornò dinanzi allo specchio, e mormoròdi nuovo: Si amavano! In questa parola e nell'accentocon cui veniva da lei proferita, più che l'amarezza d'unamore tradito, si sarebbe sentita l'onta dell'offeso orgo-

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disordine. Ma il suo viso aveva un'espressione così sini-stra, che ne parve ella medesima inorridita. Ripassandola palma della mano sopra i capegli inegualmente sparti-ti, e asciugando il sudor freddo che le bagnava la frontelivida e corrugata, — S'amavano, s'amavano, mormora-va la contessa fra' denti. Egli l'amava!....

»Si fermò come ascoltando il suono di questa parola;poi, tutto ad un tratto, mise alla bocca un fischietto, e[Pg11] ne trasse un sibilo acuto. Accorse un vecchio mag-giordomo, e si fermò sulla porta in aspettazione del suocomando.

»— È partito il conte? — gli domandò la contessa.

»— Partito, Eccellenza: ma non può essere cheall'ultima porta.

»— Richiamatelo... no... non monta. Andate. — Af-facciandosi al veroncello, ella vide difatti calarsi la sara-cinesca dell'ultima torre alle spalle del conte Tolberto.Alla testa di cento cavalieri egli seguiva il tortuoso sen-tiero che mette alla valle. A poco a poco scomparve frail folto degli alberi, e più non apparivano che a tratto atratto gli ondeggianti cimieri e gli elmi lucenti, comel'acqua del vicino torrente percossa dal sole. Si staccòdalla finestra, ritornò dinanzi allo specchio, e mormoròdi nuovo: Si amavano! In questa parola e nell'accentocon cui veniva da lei proferita, più che l'amarezza d'unamore tradito, si sarebbe sentita l'onta dell'offeso orgo-

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Page 23: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

glio e la gioia atroce della vendetta. Infatti essa nonamava Tolberto, e poco importavale che egli conservas-se ad altri un amore che non sapeva apprezzare; mal'idea che un'orfana oscura e plebea, una persona vile, dicui faceva assai meno conto che del proprio falcone,avesse osato alzare pur il pensiero ad occupare il postoche s'aspettava a lei per diritto di nascita e per patto nu-ziale, quest'idea le era insopportabile, e non potendo di-struggerla in altra forma, pensò di annientar la persona acui si legava. Bianca era morta nel suo pensiero, nè lerestava a determinare che il modo di spegnerla.

»Povera Bianca! forse ella non era colpevole che diun moto inavvertito del proprio cuore. Nata nel castello,come vi dissi, o raccoltavi fin da' primi anni, non aveaconosciuto altri oggetti degni di riverenza e d'amore[Pg12] che i suoi padroni. Il conte Tolberto l'avea vedutacrescere sotto i suoi occhi in età, in bellezza ed in senno.L'avea spesse volte tenuta sulle ginocchia, palleggiatasulle robuste braccia, accarezzato colle mani avvezzealla lancia i neri e lunghi capelli dell'orfanella; ma tuttoquesto, come avrebbe fatto ad un bello e prediletto le-vriere, al generoso destriere che solea cavalcare ne' tor-neamenti. I suoi principii erano assai diversi da quellide' suoi coetanei; le sue abitudini, mansuete ma nonmolli, lo portavano a qualche cosa di più virile che nonsarebbe stato un amoretto con una povera fanciulla cherisguardava come sorella, e avrebbe difesa contro chiun-que avesse osato oltraggiarla. L'orfanella dal canto suo,

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glio e la gioia atroce della vendetta. Infatti essa nonamava Tolberto, e poco importavale che egli conservas-se ad altri un amore che non sapeva apprezzare; mal'idea che un'orfana oscura e plebea, una persona vile, dicui faceva assai meno conto che del proprio falcone,avesse osato alzare pur il pensiero ad occupare il postoche s'aspettava a lei per diritto di nascita e per patto nu-ziale, quest'idea le era insopportabile, e non potendo di-struggerla in altra forma, pensò di annientar la persona acui si legava. Bianca era morta nel suo pensiero, nè lerestava a determinare che il modo di spegnerla.

»Povera Bianca! forse ella non era colpevole che diun moto inavvertito del proprio cuore. Nata nel castello,come vi dissi, o raccoltavi fin da' primi anni, non aveaconosciuto altri oggetti degni di riverenza e d'amore[Pg12] che i suoi padroni. Il conte Tolberto l'avea vedutacrescere sotto i suoi occhi in età, in bellezza ed in senno.L'avea spesse volte tenuta sulle ginocchia, palleggiatasulle robuste braccia, accarezzato colle mani avvezzealla lancia i neri e lunghi capelli dell'orfanella; ma tuttoquesto, come avrebbe fatto ad un bello e prediletto le-vriere, al generoso destriere che solea cavalcare ne' tor-neamenti. I suoi principii erano assai diversi da quellide' suoi coetanei; le sue abitudini, mansuete ma nonmolli, lo portavano a qualche cosa di più virile che nonsarebbe stato un amoretto con una povera fanciulla cherisguardava come sorella, e avrebbe difesa contro chiun-que avesse osato oltraggiarla. L'orfanella dal canto suo,

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Page 24: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

giovanetta ancora di sedici anni, non avrebbe saputo nu-trir pel suo signore altro sentimento che una specie diculto, un rispetto misto d'infantil tenerezza, come di fi-glia. Solamente quando Tolberto menò a moglie la Ca-minese, sentì quel sentimento farsi più profondo e piùmalinconico. Forse confessò a se medesima un affetto,che non avrebbe confidato nè pure all'aria, e men che atutti, a colui che, senza saperlo, n'era l'oggetto. Gli aspricostumi della sua signora le avean fatto pensare alcunavolta all'ingiustizia della fortuna. Ne' suoi sogni vergina-li avrà detto talora: Oh! s'io fossi in lei, di quanto amorevorrei circondare un cavaliere così buono e così compì-to! E ricadeva, così pensando, in una cupa tristezza, fin-chè il cenno dell'astiosa signora la scuoteva dal suo va-neggiamento, per ricondurla alla trista realtà della vita. Iduri trattamenti che sosteneva, le parevano alcuna voltauna giusta espiazione del torto che involontariamente lerecava pur nel pensiero; e poi l'amore infinito che l'ani-ma sua sentiva per il conte, si tramutava in una specie diriverenza per tutte le persone, per tutte le cose che ap-partenevano a lui. Quindi[Pg 13] Aica medesima le era, senon cara, almeno rispettabile, e si sarebbe guardata daltorcerle pur un capello, come se il conte dovesse risen-tirne il dolore. Povera Bianca! allevata come figlia dallavecchia contessa, ella aveva educato il cuore a senti-menti così squisiti, di cui nessuno avrebbe in lei sognatonè pur l'esistenza: il suo cuore, nello svolgersi de' suoisentimenti, l'aveva innalzata tant'alto, che, mancandod'un legittimo scopo, doveva di necessità trovare il suo

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giovanetta ancora di sedici anni, non avrebbe saputo nu-trir pel suo signore altro sentimento che una specie diculto, un rispetto misto d'infantil tenerezza, come di fi-glia. Solamente quando Tolberto menò a moglie la Ca-minese, sentì quel sentimento farsi più profondo e piùmalinconico. Forse confessò a se medesima un affetto,che non avrebbe confidato nè pure all'aria, e men che atutti, a colui che, senza saperlo, n'era l'oggetto. Gli aspricostumi della sua signora le avean fatto pensare alcunavolta all'ingiustizia della fortuna. Ne' suoi sogni vergina-li avrà detto talora: Oh! s'io fossi in lei, di quanto amorevorrei circondare un cavaliere così buono e così compì-to! E ricadeva, così pensando, in una cupa tristezza, fin-chè il cenno dell'astiosa signora la scuoteva dal suo va-neggiamento, per ricondurla alla trista realtà della vita. Iduri trattamenti che sosteneva, le parevano alcuna voltauna giusta espiazione del torto che involontariamente lerecava pur nel pensiero; e poi l'amore infinito che l'ani-ma sua sentiva per il conte, si tramutava in una specie diriverenza per tutte le persone, per tutte le cose che ap-partenevano a lui. Quindi[Pg 13] Aica medesima le era, senon cara, almeno rispettabile, e si sarebbe guardata daltorcerle pur un capello, come se il conte dovesse risen-tirne il dolore. Povera Bianca! allevata come figlia dallavecchia contessa, ella aveva educato il cuore a senti-menti così squisiti, di cui nessuno avrebbe in lei sognatonè pur l'esistenza: il suo cuore, nello svolgersi de' suoisentimenti, l'aveva innalzata tant'alto, che, mancandod'un legittimo scopo, doveva di necessità trovare il suo

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giornaliero martirio nella sua stessa virtù. Forse il contel'aveva indovinata, e forse no: Aica non l'avrebbe potutosenza la sua confessione. Ed ecco ciò che la poveraBianca avea confessato: avea confessato d'amare il pro-prio signore; che quella lagrima, era una lagrima che lapartenza di lui le avea strappato dal cuore; e non disse, eforse nol sapeva, come più che d'amore, era una lagrimad'indignazione per le villane parole con cui la superbasposa avea risposto alla officiosa cortesia del marito!Ma questo era bastato ad Aica: da questi indizi leggeri eincolpabili ella avea fabbricato nella sua mente la colpa.Finse a se stessa un amore che non avea per Tolberto,pure per rendere più legittima la punizione che serbavaad entrambi.

»Voi sapete in qual modo l'orribile donna si vendicas-se. La giovinetta disparve agli occhi di tutti quel giornomedesimo. Nessuno ne parlò. Il conte, ritornato al ca-stello dopo due mesi, seppe ch'ella era morta, e nonchiese più là.

»Dopo due secoli, ristaurando la camera della torrecontigua all'appartamento, si trovò murato nella paretelo scheletro d'una fanciulla.»

[Pg 14]

III.

Terminata questa tetra istoria, narrata dall'ospite mia,

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giornaliero martirio nella sua stessa virtù. Forse il contel'aveva indovinata, e forse no: Aica non l'avrebbe potutosenza la sua confessione. Ed ecco ciò che la poveraBianca avea confessato: avea confessato d'amare il pro-prio signore; che quella lagrima, era una lagrima che lapartenza di lui le avea strappato dal cuore; e non disse, eforse nol sapeva, come più che d'amore, era una lagrimad'indignazione per le villane parole con cui la superbasposa avea risposto alla officiosa cortesia del marito!Ma questo era bastato ad Aica: da questi indizi leggeri eincolpabili ella avea fabbricato nella sua mente la colpa.Finse a se stessa un amore che non avea per Tolberto,pure per rendere più legittima la punizione che serbavaad entrambi.

»Voi sapete in qual modo l'orribile donna si vendicas-se. La giovinetta disparve agli occhi di tutti quel giornomedesimo. Nessuno ne parlò. Il conte, ritornato al ca-stello dopo due mesi, seppe ch'ella era morta, e nonchiese più là.

»Dopo due secoli, ristaurando la camera della torrecontigua all'appartamento, si trovò murato nella paretelo scheletro d'una fanciulla.»

[Pg 14]

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Terminata questa tetra istoria, narrata dall'ospite mia,

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con meno pretensione drammatica ma con più verità,chè tutte le sue parole uscivano vestite di quell'accentoche solo può dare l'intima persuasione del vero, primo ilFranceschi, e poi ciascuno della brigata si provò a darealla conversazione un colore più gaio. Ma per quantoognuno si sforzasse a celiare sulle antiche leggende, enon si risparmiassero le più lepide allusioni, non ci fuverso di rallegrare i nostri spiriti, tanto erano rimasti so-praffatti da quel racconto.

Intanto l'ora s'era fatta assai tarda, e m'accorsi che gliospiti miei non erano abituati alle nostre veglie cittadi-nesche; onde mi credetti in obbligo di gittare una parolasull'ora tarda e sulla mia propria stanchezza. Il France-schi alzandosi senza più, si scusò di non mi poter allog-giare convenientemente in sua casa, e disse che m'avevafatto apprestare una camera nel castello. — Già voi,soggiunse, non m'avete faccia da spaventarvi, se pure laDonna Bianca si pensasse di farvi una visita!

— Pensate! risposi, non sarei poeta! —

Così dicendo, presi congedo dall'ospitale famiglia, epreceduto da un servo, m'incamminai verso il vicino ca-stello.

Alzavasi fra l'ombre della notte l'immensa mole bru-na, misteriosa, terribile. Il gigantesco torrione parevauna scolta che vegliasse sopra il resto dell'edificio, le cuiforme mal distinte lasciavano libera la fantasia di fog-

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con meno pretensione drammatica ma con più verità,chè tutte le sue parole uscivano vestite di quell'accentoche solo può dare l'intima persuasione del vero, primo ilFranceschi, e poi ciascuno della brigata si provò a darealla conversazione un colore più gaio. Ma per quantoognuno si sforzasse a celiare sulle antiche leggende, enon si risparmiassero le più lepide allusioni, non ci fuverso di rallegrare i nostri spiriti, tanto erano rimasti so-praffatti da quel racconto.

Intanto l'ora s'era fatta assai tarda, e m'accorsi che gliospiti miei non erano abituati alle nostre veglie cittadi-nesche; onde mi credetti in obbligo di gittare una parolasull'ora tarda e sulla mia propria stanchezza. Il France-schi alzandosi senza più, si scusò di non mi poter allog-giare convenientemente in sua casa, e disse che m'avevafatto apprestare una camera nel castello. — Già voi,soggiunse, non m'avete faccia da spaventarvi, se pure laDonna Bianca si pensasse di farvi una visita!

— Pensate! risposi, non sarei poeta! —

Così dicendo, presi congedo dall'ospitale famiglia, epreceduto da un servo, m'incamminai verso il vicino ca-stello.

Alzavasi fra l'ombre della notte l'immensa mole bru-na, misteriosa, terribile. Il gigantesco torrione parevauna scolta che vegliasse sopra il resto dell'edificio, le cuiforme mal distinte lasciavano libera la fantasia di fog-

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giarsele sotto le più strane e mostruose figure! Entraiper una postierla che metteva per un basso ed umidocorridoio alle stanze più interne. Sempre precedutodal[Pg 15] servo, i cui passi suonavano nel vuoto del de-serto castello, passai per un numero di stanze che nonpresi pensiero di numerare, ma che non finivano mai.Una sala ornata dai bruni ritratti della famiglia, mettevaad un gabinetto, questo a una dozzina di camere, varia-mente addobbate; poi altri gabinetti, altre sale, altre ca-mere; e il famiglio domandavami scusa di sì lunghi an-dirivieni, annunziandomi sempre vicina la stanza asse-gnatami, la quale mi sfuggiva pur sempre dinanzi. In al-tri tempi avrei potuto tenermi per ispacciato; ma primache questo pensiero m'entrasse nella mente, come a Diopiacque, la mia guida fermossi, ed accese due candele inuna piccola ma gentil cameretta, prescelta, ei mi disse,da non so quale dei conti attuali, più letterato degli altri,come la più silenziosa e più confacente a' suoi studi. Unletto di ferro, avviluppato da un candido padiglione,n'occupava un buon terzo, i mobili erano d'ebano, unasola finestra s'apriva a mezzodì scavata, per così dire,nella muraglia, la cui spessezza poteva ben essere di duemetri.

Terminata questa rassegna, il servo si credette in ob-bligo di avvertirmi che appena fuori della mia stanzac'era la sua, che a caso non mi credessi solo inquell'enorme edificio. Egli pronunciò questo benevoloavviso con una cert'aria significativa, quasi con bel gar-

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giarsele sotto le più strane e mostruose figure! Entraiper una postierla che metteva per un basso ed umidocorridoio alle stanze più interne. Sempre precedutodal[Pg 15] servo, i cui passi suonavano nel vuoto del de-serto castello, passai per un numero di stanze che nonpresi pensiero di numerare, ma che non finivano mai.Una sala ornata dai bruni ritratti della famiglia, mettevaad un gabinetto, questo a una dozzina di camere, varia-mente addobbate; poi altri gabinetti, altre sale, altre ca-mere; e il famiglio domandavami scusa di sì lunghi an-dirivieni, annunziandomi sempre vicina la stanza asse-gnatami, la quale mi sfuggiva pur sempre dinanzi. In al-tri tempi avrei potuto tenermi per ispacciato; ma primache questo pensiero m'entrasse nella mente, come a Diopiacque, la mia guida fermossi, ed accese due candele inuna piccola ma gentil cameretta, prescelta, ei mi disse,da non so quale dei conti attuali, più letterato degli altri,come la più silenziosa e più confacente a' suoi studi. Unletto di ferro, avviluppato da un candido padiglione,n'occupava un buon terzo, i mobili erano d'ebano, unasola finestra s'apriva a mezzodì scavata, per così dire,nella muraglia, la cui spessezza poteva ben essere di duemetri.

Terminata questa rassegna, il servo si credette in ob-bligo di avvertirmi che appena fuori della mia stanzac'era la sua, che a caso non mi credessi solo inquell'enorme edificio. Egli pronunciò questo benevoloavviso con una cert'aria significativa, quasi con bel gar-

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bo volesse dirmi: non abbiate paura. Come io mostraid'intenderlo, e gli risposi, sorridendo, che nulla m'occor-rerebbe, egli si scusò dicendo che questa era l'abitudinedel signor conte, il quale, benchè abituato al castello,pure non avrebbe osato dormirci solo. Anche un profes-sore di Padova, soggiunse, che fu qui non ha molto pertenere a battesimo il bambino del padrone, confessò unamattina che non avea potuto pigliar sonno in tutta la not-te che vi dormì. — Egli diceva, soggiunse,[Pg 16] chel'immaginazione alcune volte suol fare di brutti scherzi.Onde, signore, ho creduto mio dovere di dirglielo. Per-doni.

Lo ringraziai, congedandolo, e mi chiusi nella mia ca-meretta. Rimasto solo, non potei trattenermi dal sorride-re, pensando al professore ch'io conoscevo per uomoscevro di pregiudizi, cinico anzi che no, e di spiriti assaipositivi. Non lo avrei detto, ma lo pensai, che alcunevolte le apparenze sono smentite dai fatti, e m'apparec-chiai, io suo scolaro e in odor di poeta, m'apparecchiai,dico, a far arrossire col mio fermo contegno il freddo fi-lologo, e l'uomo, come suol dirsi, di mondo. Gli vo' do-mandare, dissi fra me, come prima io lo vegga, che fac-cia avesse la Donna Bianca, quando gli comparve al ca-stello di San Salvadore. D'idea in idea, nel breve inter-vallo che dovetti passare prima di addormentarmi, vennifino a desiderarmi l'apparizione, almeno in sogno, diquell'ospite misteriosa di cui s'era tanto parlato. Così sa-prei s'era bianca o bruna, diss'io, e le domanderei la ra-

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bo volesse dirmi: non abbiate paura. Come io mostraid'intenderlo, e gli risposi, sorridendo, che nulla m'occor-rerebbe, egli si scusò dicendo che questa era l'abitudinedel signor conte, il quale, benchè abituato al castello,pure non avrebbe osato dormirci solo. Anche un profes-sore di Padova, soggiunse, che fu qui non ha molto pertenere a battesimo il bambino del padrone, confessò unamattina che non avea potuto pigliar sonno in tutta la not-te che vi dormì. — Egli diceva, soggiunse,[Pg 16] chel'immaginazione alcune volte suol fare di brutti scherzi.Onde, signore, ho creduto mio dovere di dirglielo. Per-doni.

Lo ringraziai, congedandolo, e mi chiusi nella mia ca-meretta. Rimasto solo, non potei trattenermi dal sorride-re, pensando al professore ch'io conoscevo per uomoscevro di pregiudizi, cinico anzi che no, e di spiriti assaipositivi. Non lo avrei detto, ma lo pensai, che alcunevolte le apparenze sono smentite dai fatti, e m'apparec-chiai, io suo scolaro e in odor di poeta, m'apparecchiai,dico, a far arrossire col mio fermo contegno il freddo fi-lologo, e l'uomo, come suol dirsi, di mondo. Gli vo' do-mandare, dissi fra me, come prima io lo vegga, che fac-cia avesse la Donna Bianca, quando gli comparve al ca-stello di San Salvadore. D'idea in idea, nel breve inter-vallo che dovetti passare prima di addormentarmi, vennifino a desiderarmi l'apparizione, almeno in sogno, diquell'ospite misteriosa di cui s'era tanto parlato. Così sa-prei s'era bianca o bruna, diss'io, e le domanderei la ra-

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gione di queste sue visite. Così dicendo, o meglio, cosìfantasticando fra me, mi voltai sull'altro lato, e un placi-do sonno sospese il corso de' miei pensieri.

— Scommetto che questo è il posto d'un sogno, diràqualcuno de' miei lettori. Nè più nè meno; e lascerò cre-dere a chi lo vuole che sia uno di quelli che i poeti ritro-vano sì spesso e sì a tempo nel fondo del lor calamaio. Ilfatto sta, che il sogno ch'io vi annunzio fu sognato dav-vero; ed ho mestieri di crederlo sogno, o lettori, perchèaltrimenti dovrei prestar fede alle apparizioni favolose, enon potrei più ridere alle spalle del mio professored'Università. Lascio poi la pena ai fisiologi di chiarireda quali elementi sorgesse, se dal luogo dov'io mi trova-va, da quella camera solitaria, dai discorsi avuti o dallememorie risguardanti la famiglia Collalto[Pg 17] che ave-vo leggicchiato prima d'addormentarmi, e che avrannodato probabilmente una tal direzione alle idee. Checchène fosse, ecco il sogno.

Erano, sulle prime, figure indistinte che procedevanoa coppia a coppia, non saprei dir di qual sesso. Mi pare-vano come persone che, nelle fitte e nebbiose notti, cipassano inavvertite da canto, e appena ce n'accorgiamoal fruscìo della veste e al batter de' passi. Ma queste ap-parizioni sfumavano lievi senz'arrestarsi un momento,tanto ch'io potessi raffigurare le loro sembianze. Però laprocessione continuava, e, come se l'atmosfera si andas-se un po' diradando, le immagini mi si facevano più di-

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gione di queste sue visite. Così dicendo, o meglio, cosìfantasticando fra me, mi voltai sull'altro lato, e un placi-do sonno sospese il corso de' miei pensieri.

— Scommetto che questo è il posto d'un sogno, diràqualcuno de' miei lettori. Nè più nè meno; e lascerò cre-dere a chi lo vuole che sia uno di quelli che i poeti ritro-vano sì spesso e sì a tempo nel fondo del lor calamaio. Ilfatto sta, che il sogno ch'io vi annunzio fu sognato dav-vero; ed ho mestieri di crederlo sogno, o lettori, perchèaltrimenti dovrei prestar fede alle apparizioni favolose, enon potrei più ridere alle spalle del mio professored'Università. Lascio poi la pena ai fisiologi di chiarireda quali elementi sorgesse, se dal luogo dov'io mi trova-va, da quella camera solitaria, dai discorsi avuti o dallememorie risguardanti la famiglia Collalto[Pg 17] che ave-vo leggicchiato prima d'addormentarmi, e che avrannodato probabilmente una tal direzione alle idee. Checchène fosse, ecco il sogno.

Erano, sulle prime, figure indistinte che procedevanoa coppia a coppia, non saprei dir di qual sesso. Mi pare-vano come persone che, nelle fitte e nebbiose notti, cipassano inavvertite da canto, e appena ce n'accorgiamoal fruscìo della veste e al batter de' passi. Ma queste ap-parizioni sfumavano lievi senz'arrestarsi un momento,tanto ch'io potessi raffigurare le loro sembianze. Però laprocessione continuava, e, come se l'atmosfera si andas-se un po' diradando, le immagini mi si facevano più di-

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stinte. Erano bei vecchi dalla barba candida o grigia, ve-stiti di lucide armature, ciascuno accompagnato da unagrave matrona, riccamente abbigliata, con baveri inami-dati o bei merletti di Fiandra rimboccati dal collo. Io di-scerneva già bene il lor volto, ma non mi parea di cono-scerli. Quando, tutto ad un tratto, ne vidi uno, la cui fi-sonomia m'era nota.

Era il conte Tolberto. Ecco la sua dolce guardatura, lasua aria amorevole e trista! L'antipatica dama che gli staa fianco, e par che sdegni porgergli il braccio, non èpunto da dubitarne, è Aica da Camino. Mi sembra ch'iovolessi rivolger loro qualche parola, ma, come segue ne'sogni, la voce non rispondeva alla volontà. Intanto an-che questa coppia era sparita, e tutto era rientratonell'oscurità. Ma se gli occhi più non discernevano alcu-na cosa nell'ombra, l'orecchio era percosso da un sordogemito che partiva come da una tomba.

Raddoppiai l'acume della pupilla, come cercando daqual parte uscisse quel doloroso guaìto. Ma non discer-nevo altra cosa che una parete bianchissima, ch'io pote-vo scambiare con quella della mia camera. Tutt'ad untratto la calce parea sollevarsi in un canto, e presenta-re[Pg 18] alcune ineguaglianze, alcune prominenze che of-ferivano i contorni d'una figura umana scolpita in basso-rilievo. A poco a poco però le membra tondeggiavano,si spiccavano dal fondo e si campavano nell'aria. La sta-tua non era più statua, ma sibbene un simulacro di don-

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stinte. Erano bei vecchi dalla barba candida o grigia, ve-stiti di lucide armature, ciascuno accompagnato da unagrave matrona, riccamente abbigliata, con baveri inami-dati o bei merletti di Fiandra rimboccati dal collo. Io di-scerneva già bene il lor volto, ma non mi parea di cono-scerli. Quando, tutto ad un tratto, ne vidi uno, la cui fi-sonomia m'era nota.

Era il conte Tolberto. Ecco la sua dolce guardatura, lasua aria amorevole e trista! L'antipatica dama che gli staa fianco, e par che sdegni porgergli il braccio, non èpunto da dubitarne, è Aica da Camino. Mi sembra ch'iovolessi rivolger loro qualche parola, ma, come segue ne'sogni, la voce non rispondeva alla volontà. Intanto an-che questa coppia era sparita, e tutto era rientratonell'oscurità. Ma se gli occhi più non discernevano alcu-na cosa nell'ombra, l'orecchio era percosso da un sordogemito che partiva come da una tomba.

Raddoppiai l'acume della pupilla, come cercando daqual parte uscisse quel doloroso guaìto. Ma non discer-nevo altra cosa che una parete bianchissima, ch'io pote-vo scambiare con quella della mia camera. Tutt'ad untratto la calce parea sollevarsi in un canto, e presenta-re[Pg 18] alcune ineguaglianze, alcune prominenze che of-ferivano i contorni d'una figura umana scolpita in basso-rilievo. A poco a poco però le membra tondeggiavano,si spiccavano dal fondo e si campavano nell'aria. La sta-tua non era più statua, ma sibbene un simulacro di don-

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na avvolta in candida veste, pallida in volto e impressa ilineamenti d'un dolore ineffabile. Si chinò sul mio lettolievemente, e stette fisandomi d'uno sguardo tristo, pro-lungato e profondo.

— Oh! Bianca, parvemi ch'io le dicessi, povera Bian-ca! Quanto ho desiderato vederti e intendere le tue paro-le! Qual destino lega ancora la tua presenza in questiluoghi che ti dovrebbero essere così funesti? —

Ella crollò mestamente il capo, e il sentimento che miparve dipingersi sul suo volto, era più d'amore che diodio.

— Che amore dovette essere il tuo, povera Bianca, sel'atroce supplicio a cui ti condannò la superba consorte,non te lo svelse dal cuore!

Ella chinò il capo quasi vergognando, e una lagrimaparve rigarle il pallido volto: — Ah! una lagrima similea quella ti tradì, sventurata, quel giorno fatale! — Aqueste parole che mi pareva d'indirizzarle, e ch'ella certomi leggeva nell'animo, mandò un lamento così doloroso,che non mi ricordo d'averne udito alcuno di somigliantenel mondo. E come non potesse resistere alla penosa re-miniscenza ch'io le avevo richiamata, la vidi allontanarsida me, dileguarsi lentamente nell'aria, e addentrarsi dinuovo nell'opposta parete.

Addio speranze di udir la sua voce! Maledissi nel mio

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na avvolta in candida veste, pallida in volto e impressa ilineamenti d'un dolore ineffabile. Si chinò sul mio lettolievemente, e stette fisandomi d'uno sguardo tristo, pro-lungato e profondo.

— Oh! Bianca, parvemi ch'io le dicessi, povera Bian-ca! Quanto ho desiderato vederti e intendere le tue paro-le! Qual destino lega ancora la tua presenza in questiluoghi che ti dovrebbero essere così funesti? —

Ella crollò mestamente il capo, e il sentimento che miparve dipingersi sul suo volto, era più d'amore che diodio.

— Che amore dovette essere il tuo, povera Bianca, sel'atroce supplicio a cui ti condannò la superba consorte,non te lo svelse dal cuore!

Ella chinò il capo quasi vergognando, e una lagrimaparve rigarle il pallido volto: — Ah! una lagrima similea quella ti tradì, sventurata, quel giorno fatale! — Aqueste parole che mi pareva d'indirizzarle, e ch'ella certomi leggeva nell'animo, mandò un lamento così doloroso,che non mi ricordo d'averne udito alcuno di somigliantenel mondo. E come non potesse resistere alla penosa re-miniscenza ch'io le avevo richiamata, la vidi allontanarsida me, dileguarsi lentamente nell'aria, e addentrarsi dinuovo nell'opposta parete.

Addio speranze di udir la sua voce! Maledissi nel mio

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interno alla mia indiscrezione, rivolto pur sempre a quelpunto della muraglia da cui l'avevo veduta svanire, qua-si coll'intendimento di evocarla di nuovo per secreta at-trazione magnetica. Tutto fu invano. L'aere[Pg 19] s'eraabbuiato, e mi si dipingeva tratto tratto in quelle foscheiridi che si veggono ad occhi chiusi la notte, e non han-no nome, cred'io, nella nostra favella. Ma quelle iridi,quelle sfere verdastre, azzurrognole, sparse di punti lu-minosi e vibranti, portavano scritto nel centro vari nomiche s'alternavano l'un dopo l'altro. Il primo ch'io poteileggere fu

SCHINELLA,1

e non appena l'ebbi letto, svanì col circolo raggiantedov'era scritto a lettere giallastre e fosforescenti. Non soquanti RAMBALDI e TOLBERTI lo seguitassero almodo stesso, finchè in una sfera di color rosato e cile-stro, a lettere cangianti come l'opala, vidi apparirmi ilnome di

GEMMA.

E poi una serie d'altri nomi che m'uscirono dalla men-te, finchè in una ruota purpurea e come rabescata, lessi,il nome di

COLLALTINO.

1 Schinella dei Collalto si diede alla Repubblica di Venezia nel principio delsecolo XIV.

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interno alla mia indiscrezione, rivolto pur sempre a quelpunto della muraglia da cui l'avevo veduta svanire, qua-si coll'intendimento di evocarla di nuovo per secreta at-trazione magnetica. Tutto fu invano. L'aere[Pg 19] s'eraabbuiato, e mi si dipingeva tratto tratto in quelle foscheiridi che si veggono ad occhi chiusi la notte, e non han-no nome, cred'io, nella nostra favella. Ma quelle iridi,quelle sfere verdastre, azzurrognole, sparse di punti lu-minosi e vibranti, portavano scritto nel centro vari nomiche s'alternavano l'un dopo l'altro. Il primo ch'io poteileggere fu

SCHINELLA,1

e non appena l'ebbi letto, svanì col circolo raggiantedov'era scritto a lettere giallastre e fosforescenti. Non soquanti RAMBALDI e TOLBERTI lo seguitassero almodo stesso, finchè in una sfera di color rosato e cile-stro, a lettere cangianti come l'opala, vidi apparirmi ilnome di

GEMMA.

E poi una serie d'altri nomi che m'uscirono dalla men-te, finchè in una ruota purpurea e come rabescata, lessi,il nome di

COLLALTINO.

1 Schinella dei Collalto si diede alla Repubblica di Venezia nel principio delsecolo XIV.

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Ma già il bruno campo nel quale agitavansi questi lu-cidi globi, si faceva ad ora ad ora più grigio, ed essi glo-bi succedevano d'una tinta più languida e men distinta.A mano a mano che si confondevano nelle tinte delcampo, anche le immagini della mia fantasia venivanoperdendo d'intensità e di chiarezza. Vi fu un momentoch'io stetti come dimentico e inconscio di me medesimo:io passava evidentemente dal campo de' sogni a quellodella[Pg 20] realtà. Apersi gli occhi e m'avvidi che la lucedel giorno avea già attenuato l'oscurità della stanza; bal-zai dal letto come trasecolato dalle visioni avute, dellequali ricordavo ancora e rannodavo alla meglio questidispersi frammenti. Spinsi l'imposta quasi per finir disvegliarmi, e mi si aperse allo sguardo una scena chenessun pennello oserebbe dipingere.

Era una immensa pianura, la pianura della Marca Tri-vigiana, alla quale era termine l'Adriatico. Una tenuenebbiuzza la copriva a fior di terra, ammollendo i con-torni delle piante sorgenti dal suolo, le quali apparivanocome piccole macchie, anzi pur come punti dispersi nel-la vastità dello spazio soggetto. La Piave dappresso, piùlontano il Sile, come un nastro d'argento volgeva i suoilucidi meandri tra i regolari comparti dei seminati. Unrombo infinito, indistinto mi giungeva all'orecchio, epartiva dalle mille campane che dagli sparsi villaggi in-neggiavano al sole nascente. Era la prima domenica diagosto. Sublime spettacolo! Questo suono era come lavita che animava la scena: come la voce della moltitudi-

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Ma già il bruno campo nel quale agitavansi questi lu-cidi globi, si faceva ad ora ad ora più grigio, ed essi glo-bi succedevano d'una tinta più languida e men distinta.A mano a mano che si confondevano nelle tinte delcampo, anche le immagini della mia fantasia venivanoperdendo d'intensità e di chiarezza. Vi fu un momentoch'io stetti come dimentico e inconscio di me medesimo:io passava evidentemente dal campo de' sogni a quellodella[Pg 20] realtà. Apersi gli occhi e m'avvidi che la lucedel giorno avea già attenuato l'oscurità della stanza; bal-zai dal letto come trasecolato dalle visioni avute, dellequali ricordavo ancora e rannodavo alla meglio questidispersi frammenti. Spinsi l'imposta quasi per finir disvegliarmi, e mi si aperse allo sguardo una scena chenessun pennello oserebbe dipingere.

Era una immensa pianura, la pianura della Marca Tri-vigiana, alla quale era termine l'Adriatico. Una tenuenebbiuzza la copriva a fior di terra, ammollendo i con-torni delle piante sorgenti dal suolo, le quali apparivanocome piccole macchie, anzi pur come punti dispersi nel-la vastità dello spazio soggetto. La Piave dappresso, piùlontano il Sile, come un nastro d'argento volgeva i suoilucidi meandri tra i regolari comparti dei seminati. Unrombo infinito, indistinto mi giungeva all'orecchio, epartiva dalle mille campane che dagli sparsi villaggi in-neggiavano al sole nascente. Era la prima domenica diagosto. Sublime spettacolo! Questo suono era come lavita che animava la scena: come la voce della moltitudi-

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ne, che da quelle mille villette destavasi a un'ora mede-sima, commossa da un sentimento comune.

Non ci voleva meno di questa scena così naturale, epure così grandiosa e poetica, per tormi all'influenza de'sogni; poichè io sono così fatto, che basta un sogno talo-ra a colorire d'una tinta conforme tutti i pensieri dellagiornata. Mi vestii frettoloso, e non senza fatica perquell'intricato labirinto di camere, trovai la via di uscirdal castello e recarmi alla casa dell'ospite mio.

IV.

Un'ora dopo un leggero calesse ci traeva entrambiall'antico castello dei conti. Parmi aver già detto, o letto-ri,[Pg 21] come San Salvatore non era nè la sola nè la piùantica sede della illustre famiglia. A sei miglia circa daquesto castello ne sorge un altro, edificato forse verso ildecimo secolo, men comodo ad abitarsi, ma pur magni-fico per quel tempo e ragguardevole per la sua costru-zione. La tragica morte di Bianca era seguìta inquest'ultimo, ed è naturale ch'io volessi vedere cogli oc-chi propri e toccare con mano quel poco che ancor rima-neva a testimonio del fatto. Il Franceschi non esitò adappagarmi, e mi si offerì per compagno, benchè non eracosa lieve per lui l'affrontare l'afa d'una giornata d'ago-sto. Ma c'entrava di mezzo l'amicizia, l'archeologia el'interesse che aveva per tutto ciò che riguardava i Col-lalto, onde si sarebbe gittato nel fuoco, non che altro,

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ne, che da quelle mille villette destavasi a un'ora mede-sima, commossa da un sentimento comune.

Non ci voleva meno di questa scena così naturale, epure così grandiosa e poetica, per tormi all'influenza de'sogni; poichè io sono così fatto, che basta un sogno talo-ra a colorire d'una tinta conforme tutti i pensieri dellagiornata. Mi vestii frettoloso, e non senza fatica perquell'intricato labirinto di camere, trovai la via di uscirdal castello e recarmi alla casa dell'ospite mio.

IV.

Un'ora dopo un leggero calesse ci traeva entrambiall'antico castello dei conti. Parmi aver già detto, o letto-ri,[Pg 21] come San Salvatore non era nè la sola nè la piùantica sede della illustre famiglia. A sei miglia circa daquesto castello ne sorge un altro, edificato forse verso ildecimo secolo, men comodo ad abitarsi, ma pur magni-fico per quel tempo e ragguardevole per la sua costru-zione. La tragica morte di Bianca era seguìta inquest'ultimo, ed è naturale ch'io volessi vedere cogli oc-chi propri e toccare con mano quel poco che ancor rima-neva a testimonio del fatto. Il Franceschi non esitò adappagarmi, e mi si offerì per compagno, benchè non eracosa lieve per lui l'affrontare l'afa d'una giornata d'ago-sto. Ma c'entrava di mezzo l'amicizia, l'archeologia el'interesse che aveva per tutto ciò che riguardava i Col-lalto, onde si sarebbe gittato nel fuoco, non che altro,

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per non mancare, com'ei diceva, all'obbligo suo.

La via che percorrevamo è tra le più amene e poeticheche si possano immaginare. Da un lato la pianura verdecoltivata, irrigata, sparsa di case, popolata di gente cheaccorreva, vestita a festa, a' rispettivi villaggi. Dall'altrola collina molle, cespugliosa, vitifera; più lungi le mon-tagne azzurre, ombrate ancora dalla lieve nebbia delmattino. La strada or saliva dolcemente, or scendevacon facil declivio, fiancheggiata a destra da spinose edeleganti robinie, a sinistra da qualche pioppo cipressinointerrotte da folti e vellutati avellani. La verzuradell'Asia e quella dell'Italia spandevano le loro braccia eintrecciavano le loro ombre tremolanti sul nostro capo.Ma già la scena cambiava: ai terreni seminati da moltosuccedevano le terre ghiaiose, desolate dalle più recentialluvioni del vorticoso Anasso, come lo chiama il Car-rer; e quelle sono le antiche roveri del Montello che ri-corrono sì spesso nelle sue lettere della Stampa. Vedicome il bosco seconda il sorgere e l'avvallar del terreno!

Già noi lasciamo il piano, per rivolgerci al monte.[Pg22] Ecco apparire da lunge le merlate sommità di Collal-to: questo, un tempo, era un romitaggio abitato non soda qual ordine di claustrali; ora non è che un maniere,come un tempo dicevano; una casa attenente al castello,ed abitata dal custode di quello. Non vi so dire che effet-to mi facessero que' corridoi, serbanti ancora le tracciedell'antica destinazione, ed ora volti ad altr'uso. Certo è

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per non mancare, com'ei diceva, all'obbligo suo.

La via che percorrevamo è tra le più amene e poeticheche si possano immaginare. Da un lato la pianura verdecoltivata, irrigata, sparsa di case, popolata di gente cheaccorreva, vestita a festa, a' rispettivi villaggi. Dall'altrola collina molle, cespugliosa, vitifera; più lungi le mon-tagne azzurre, ombrate ancora dalla lieve nebbia delmattino. La strada or saliva dolcemente, or scendevacon facil declivio, fiancheggiata a destra da spinose edeleganti robinie, a sinistra da qualche pioppo cipressinointerrotte da folti e vellutati avellani. La verzuradell'Asia e quella dell'Italia spandevano le loro braccia eintrecciavano le loro ombre tremolanti sul nostro capo.Ma già la scena cambiava: ai terreni seminati da moltosuccedevano le terre ghiaiose, desolate dalle più recentialluvioni del vorticoso Anasso, come lo chiama il Car-rer; e quelle sono le antiche roveri del Montello che ri-corrono sì spesso nelle sue lettere della Stampa. Vedicome il bosco seconda il sorgere e l'avvallar del terreno!

Già noi lasciamo il piano, per rivolgerci al monte.[Pg22] Ecco apparire da lunge le merlate sommità di Collal-to: questo, un tempo, era un romitaggio abitato non soda qual ordine di claustrali; ora non è che un maniere,come un tempo dicevano; una casa attenente al castello,ed abitata dal custode di quello. Non vi so dire che effet-to mi facessero que' corridoi, serbanti ancora le tracciedell'antica destinazione, ed ora volti ad altr'uso. Certo è

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che il luogo è posto sul pendìo del colle con sì felice ac-corgimento, che doveva essere un'amenità l'abitarvi.Forse il Bembo ed il Casa, che ne parlano ne' loro scrit-ti, vi avranno attinta quella grave e dolce malinconia chealcune volte riscalda i lor versi, e li rende sì amabili. Diqui si domina oltre al torrente la Badia di Narvesa, ap-partenente anch'essa ai Collalto, e più lungi verso po-nente, fra le mille sinuosità de' monti, vedi biancheggia-re le colonne del tempio onde il Canova consecrò il po-vero villaggio dov'ebbe la culla.

Perdonate s'io non posso percorrere questi luoghi sen-za comunicarvi le grate impressioni che mi lasciarono.Ecco Collalto. Anche qui più d'una torre ne proteggeval'ingresso. Peccato che l'istinto livellatore del secolo, ilquale s'appiglia anche ai più lontani dal centro, abbiaanche qui portati i suoi guasti: anche qui una scorciato-ia, un rettilineo ha costato la vita a qualche massicciacostruzione monumentale. I mangiatori di pietre sonopenetrati fin qui. Ma il corpo principale dell'antico ca-stello rimane pur sempre: ecco il torrione, men gigante-sco, meno elegante dell'altro che vi descrissi, ma piùoriginale, più medio-evico. Una scala esterna mette alprimo piano dell'edificio, il quale, benchè serbi qua e làle traccie del tempo in cui sorse, fu però rinnovato e ri-staurato più volte. Passammo guidati da una vecchierel-la cortese per una lunga fila di camere, dove la variatappezzeria accennava alle varie età e ai vari gusti dei[Pg23] signori che v'abitarono. Tutto però sembra abbando-

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che il luogo è posto sul pendìo del colle con sì felice ac-corgimento, che doveva essere un'amenità l'abitarvi.Forse il Bembo ed il Casa, che ne parlano ne' loro scrit-ti, vi avranno attinta quella grave e dolce malinconia chealcune volte riscalda i lor versi, e li rende sì amabili. Diqui si domina oltre al torrente la Badia di Narvesa, ap-partenente anch'essa ai Collalto, e più lungi verso po-nente, fra le mille sinuosità de' monti, vedi biancheggia-re le colonne del tempio onde il Canova consecrò il po-vero villaggio dov'ebbe la culla.

Perdonate s'io non posso percorrere questi luoghi sen-za comunicarvi le grate impressioni che mi lasciarono.Ecco Collalto. Anche qui più d'una torre ne proteggeval'ingresso. Peccato che l'istinto livellatore del secolo, ilquale s'appiglia anche ai più lontani dal centro, abbiaanche qui portati i suoi guasti: anche qui una scorciato-ia, un rettilineo ha costato la vita a qualche massicciacostruzione monumentale. I mangiatori di pietre sonopenetrati fin qui. Ma il corpo principale dell'antico ca-stello rimane pur sempre: ecco il torrione, men gigante-sco, meno elegante dell'altro che vi descrissi, ma piùoriginale, più medio-evico. Una scala esterna mette alprimo piano dell'edificio, il quale, benchè serbi qua e làle traccie del tempo in cui sorse, fu però rinnovato e ri-staurato più volte. Passammo guidati da una vecchierel-la cortese per una lunga fila di camere, dove la variatappezzeria accennava alle varie età e ai vari gusti dei[Pg23] signori che v'abitarono. Tutto però sembra abbando-

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nato da molto, e infatti i Collalto preferiscono il castellodi San Salvatore o le loro signorie nella Moravia.

Tuttociò non m'importava gran fatto; io era impazien-te di vedere la stanza della povera Bianca, e non altro.Quando fummo sul limitare di quella, la buona vecchie-rella quasi involontariamente diede indietro segnandosi:cosicchè v'entrai solo in compagnia del Franceschi.

La stanza era più mal concia delle altre; ruinato il pa-vimento, sfondato il soffitto. È tradizione che, ritrovatonella parete il miserando scheletro, si smettesse il ristau-ro già incominciato, e la stanza rimanesse a un di pressocome si vede. Certo è che non fu più abitata. I signorifecero dare onorata sepoltura alle infelici reliquie nellacappella medesima dove si vedono ancora le tombe de'lor famigliari: e lì su quella parete medesima, quasi inespiazione del fatto, fecero dipingere un Ecce Homo.Questo affresco fu poi intonacato di calce; e sopra l'into-naco fu incorniciata una tela con un crocifisso dipinto.Ora il quadro fu tolto, e scrostato qua e là l'intonaco, la-scia vedere qualche vestigio della prima pittura. Ecco inquale stato ritrovai quella stanza che non solo Italiani,ma Francesi ed Inglesi non lasciano di visitare. Inspiratoda questa vista, il poeta Roger consecrò nel suo intinera-rio poetico questo pietoso racconto, e non è questo ilprimo caso, nè sarà l'ultimo che gli stranieri, special-mente gl'Inglesi, più degli altri riverenti all'Italia, sap-piano discernere ed illustrare le nostre poetiche tradizio-

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nato da molto, e infatti i Collalto preferiscono il castellodi San Salvatore o le loro signorie nella Moravia.

Tuttociò non m'importava gran fatto; io era impazien-te di vedere la stanza della povera Bianca, e non altro.Quando fummo sul limitare di quella, la buona vecchie-rella quasi involontariamente diede indietro segnandosi:cosicchè v'entrai solo in compagnia del Franceschi.

La stanza era più mal concia delle altre; ruinato il pa-vimento, sfondato il soffitto. È tradizione che, ritrovatonella parete il miserando scheletro, si smettesse il ristau-ro già incominciato, e la stanza rimanesse a un di pressocome si vede. Certo è che non fu più abitata. I signorifecero dare onorata sepoltura alle infelici reliquie nellacappella medesima dove si vedono ancora le tombe de'lor famigliari: e lì su quella parete medesima, quasi inespiazione del fatto, fecero dipingere un Ecce Homo.Questo affresco fu poi intonacato di calce; e sopra l'into-naco fu incorniciata una tela con un crocifisso dipinto.Ora il quadro fu tolto, e scrostato qua e là l'intonaco, la-scia vedere qualche vestigio della prima pittura. Ecco inquale stato ritrovai quella stanza che non solo Italiani,ma Francesi ed Inglesi non lasciano di visitare. Inspiratoda questa vista, il poeta Roger consecrò nel suo intinera-rio poetico questo pietoso racconto, e non è questo ilprimo caso, nè sarà l'ultimo che gli stranieri, special-mente gl'Inglesi, più degli altri riverenti all'Italia, sap-piano discernere ed illustrare le nostre poetiche tradizio-

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ni. Egli inventa a capriccio il nome della infelice vitti-ma, forse per servire alle leggi della sua prosodia: delresto egli dovette attingere la tradizione alle medesimefonti da cui la traggo.2

I cronisti della Marca, e quelli che più specialmen-

2 Traduco dall'originale inglese il canto del Roger, perchè si vegga la con-formità dei fatti, e perchè non manca di una certa originalità. Secondo luiil Conte sarebbe stato chiamato da lettere pressanti a Venezia; ma nel tem-po che seguì il fatto che diede origine alla tradizione, i Collalto non s'eranoancora dati alla Repubblica, come appare alla nota precedente. Di qualchealtra variante più o meno inesatta non faremo gran caso, giacchè sarebbe adesiderarsi che tutti i novellieri avessero altrettanto amore alla verità e ri-spetto all'Italia, quanta n'ebbe codesto poeta straniero. Ecco i versi:

COLL'ALTO.

Da questo speglio (la massiccia teca,In cui gareggian le materie e l'arte,Mostra che molte s'affacciaro in luiNobili dame del vetusto ceppo),Da questo speglio, ora negletto, un giornoCosa apparì che ad un delitto atroce[Pg 30] Ed a lunghi dolori origin dette.Da quel dì vi svolazza il vipistrello,E se taluno al suo nemico impreca:Sia la tua casa desolata, esclama,Come Coll'Alto. — I grigi merli infrantiErge il castello sul pendìo d'un monteSiccome un nido d'aquile, e prospettaLa tarvisina sottoposta Marca.Il maggiordomo mi guidò nell'ermaCamera della dama ove dei prischiAddobbi rimanea splendido avanzoQualche tappeto istorïato e i casiDi Lancillotto e di Ginevra in mezzo

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ni. Egli inventa a capriccio il nome della infelice vitti-ma, forse per servire alle leggi della sua prosodia: delresto egli dovette attingere la tradizione alle medesimefonti da cui la traggo.2

I cronisti della Marca, e quelli che più specialmen-

2 Traduco dall'originale inglese il canto del Roger, perchè si vegga la con-formità dei fatti, e perchè non manca di una certa originalità. Secondo luiil Conte sarebbe stato chiamato da lettere pressanti a Venezia; ma nel tem-po che seguì il fatto che diede origine alla tradizione, i Collalto non s'eranoancora dati alla Repubblica, come appare alla nota precedente. Di qualchealtra variante più o meno inesatta non faremo gran caso, giacchè sarebbe adesiderarsi che tutti i novellieri avessero altrettanto amore alla verità e ri-spetto all'Italia, quanta n'ebbe codesto poeta straniero. Ecco i versi:

COLL'ALTO.

Da questo speglio (la massiccia teca,In cui gareggian le materie e l'arte,Mostra che molte s'affacciaro in luiNobili dame del vetusto ceppo),Da questo speglio, ora negletto, un giornoCosa apparì che ad un delitto atroce[Pg 30] Ed a lunghi dolori origin dette.Da quel dì vi svolazza il vipistrello,E se taluno al suo nemico impreca:Sia la tua casa desolata, esclama,Come Coll'Alto. — I grigi merli infrantiErge il castello sul pendìo d'un monteSiccome un nido d'aquile, e prospettaLa tarvisina sottoposta Marca.Il maggiordomo mi guidò nell'ermaCamera della dama ove dei prischiAddobbi rimanea splendido avanzoQualche tappeto istorïato e i casiDi Lancillotto e di Ginevra in mezzo

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Page 39: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

te[Pg 24] si occuparono della famiglia Collalto, non nefanno, ch'io sappia, menzione: ma la voce del popolo èlì per supplire alla storia, la voce del popolo che procededi padre in figlio, e può susurrare all'orecchio nei collo-qui confidenziali i fatti pericolosi a narrarsi dagli scritto-ri o parziali, o timidi, o mercenari. Potessimo interrogar

Alle selvette dei trapunti arazzi.Argenteo arnese al mulïebre sacroMattutin culto v'ammirai pur ancoDi cesel fiorentino opra vetusta,Ove putti e delfini, e frutti e fioriMescea forse Ghiberti e Benvenuto.Dal soffitto pendeva aurata gabbia,Dove loquace peregrino augelloL'ale agitando di smeraldo, al cennoDella padrona modulava il cantoChe a lei piacesse. — Il maggiordomo, i radiGrigi crini scotendo, i fasti antichiMi narrava e i mirabili portentiPropagati nel vulgo. Il sol cadenteIo mirava frattanto, ed ei seguìa.Avea, gran tempo è corso, una leggiadraDamigella a lei cara, e cara a tuttiPer l'alma ingenua e come giglio pura.Eran cresciute insieme, e alcun mirandoLa giovinetta e i suoi modi soavi,Mormorava tra sè: non è costeiNata in sì basso ed umil loco. Un vagoAmor di solitudine, un istinto[Pg 31] Di peregrine fantasie nel foltoDe' bruni boschi la traea sovente.Onde chi la vedeva errar solingaNell'ora istessa, candida la veste,Candido il viso, la chiamò col nomeDi Donna Bianca.... ma che vado io maiNovellando, o signor? Già cade il giorno. —

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te[Pg 24] si occuparono della famiglia Collalto, non nefanno, ch'io sappia, menzione: ma la voce del popolo èlì per supplire alla storia, la voce del popolo che procededi padre in figlio, e può susurrare all'orecchio nei collo-qui confidenziali i fatti pericolosi a narrarsi dagli scritto-ri o parziali, o timidi, o mercenari. Potessimo interrogar

Alle selvette dei trapunti arazzi.Argenteo arnese al mulïebre sacroMattutin culto v'ammirai pur ancoDi cesel fiorentino opra vetusta,Ove putti e delfini, e frutti e fioriMescea forse Ghiberti e Benvenuto.Dal soffitto pendeva aurata gabbia,Dove loquace peregrino augelloL'ale agitando di smeraldo, al cennoDella padrona modulava il cantoChe a lei piacesse. — Il maggiordomo, i radiGrigi crini scotendo, i fasti antichiMi narrava e i mirabili portentiPropagati nel vulgo. Il sol cadenteIo mirava frattanto, ed ei seguìa.Avea, gran tempo è corso, una leggiadraDamigella a lei cara, e cara a tuttiPer l'alma ingenua e come giglio pura.Eran cresciute insieme, e alcun mirandoLa giovinetta e i suoi modi soavi,Mormorava tra sè: non è costeiNata in sì basso ed umil loco. Un vagoAmor di solitudine, un istinto[Pg 31] Di peregrine fantasie nel foltoDe' bruni boschi la traea sovente.Onde chi la vedeva errar solingaNell'ora istessa, candida la veste,Candido il viso, la chiamò col nomeDi Donna Bianca.... ma che vado io maiNovellando, o signor? Già cade il giorno. —

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questa voce nei luoghi ove non è affatto spenta, moltiavvenimenti, già consegnati alle storie, si vedrebberomutar faccia, e apparirebbero le picciole cause che mi-narono sordamente la base delle umane sommità. Macodesto non si può fare nel proprio gabinetto: bisognarecarsi sul luogo, mescolarsi col volgo, meritar la confi-

Su quella sedia assisa era la dama,Su quella sedia stessa, e dietro a leiLa vaga ancella le annodava in molliTrecce la chioma. — Da quell'uscio il ConteApparì d'improvviso, e da pressantiLettere d'Adria alla ducal cittadePur mo' chiamato, a congedarsi preseDalla nobile sposa.Ahi! ma non eraPer la sposa lo sguardo ed il sorriso,Segno di mutua intelligenza arcanaChe alla gelosa dama in quel momentoLo speglio rivelò! — Chi sa? Fu forseUn demone crudel che si frapposeFra il lucido cristallo, e gli occhi suoi.Un demone crudel che si dilettaVolgere in fiel le brevi gioie umane!Vide, o veder credette — ed all'offesaRapida, atroce, in quella notte istessaSusseguì la vendetta. Anco la lunaDal monte Calvo non sorgea, nè 'l lupoCominciava a ulular sotto la torre,Che la infelice giovanetta a forzaEra tratta a morir!Stilla di sangueNon fu versata, nè veleno od altroMortifero strumento indizio diedeDell'orrendo supplicio a cui soggiacque.Non un capello le fu torto: frescaSiccome un fior, piena di vita, calda[Pg 32] Del primo foco giovanil, murata, —

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questa voce nei luoghi ove non è affatto spenta, moltiavvenimenti, già consegnati alle storie, si vedrebberomutar faccia, e apparirebbero le picciole cause che mi-narono sordamente la base delle umane sommità. Macodesto non si può fare nel proprio gabinetto: bisognarecarsi sul luogo, mescolarsi col volgo, meritar la confi-

Su quella sedia assisa era la dama,Su quella sedia stessa, e dietro a leiLa vaga ancella le annodava in molliTrecce la chioma. — Da quell'uscio il ConteApparì d'improvviso, e da pressantiLettere d'Adria alla ducal cittadePur mo' chiamato, a congedarsi preseDalla nobile sposa.Ahi! ma non eraPer la sposa lo sguardo ed il sorriso,Segno di mutua intelligenza arcanaChe alla gelosa dama in quel momentoLo speglio rivelò! — Chi sa? Fu forseUn demone crudel che si frapposeFra il lucido cristallo, e gli occhi suoi.Un demone crudel che si dilettaVolgere in fiel le brevi gioie umane!Vide, o veder credette — ed all'offesaRapida, atroce, in quella notte istessaSusseguì la vendetta. Anco la lunaDal monte Calvo non sorgea, nè 'l lupoCominciava a ulular sotto la torre,Che la infelice giovanetta a forzaEra tratta a morir!Stilla di sangueNon fu versata, nè veleno od altroMortifero strumento indizio diedeDell'orrendo supplicio a cui soggiacque.Non un capello le fu torto: frescaSiccome un fior, piena di vita, calda[Pg 32] Del primo foco giovanil, murata, —

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denza dell'umile donnicciuola. Una parola sfuggita acaso, potrebbe appurare una data e rivelare un evento,dipingere una persona. Ma questa sarebbe una scienzanuova. Gli eruditi pongono ancora la loro glorianell'ammucchiar date su date, nomi su nomi: con ciò nedanno spesso il cadavere della storia; ma chi vi spira perentro il soffio della vita?

La vecchierella ci avea aspettati nell'anticamera. Ledomandai, guardandomi bene da lasciarle trapelare ilmio scetticismo, se la Donna Bianca le fosse mai appar-sa.

— No, signore, risposemi. Io non sono stata degna ditanto: nè io, nè mia madre; ma la nonna la vide all'occa-

Murata fu nella parete, ed ormaPur non rimase dell'orribil tombaChe viva e palpitante la rinchiuse,Rifatta a piombo e a squadra!... Or se vi aggradaVisitar la funerea cappella,Di grado in grado scenderem.La notteNella marmorea nicchia immota e bianca,Qual se le pietre innanzi a lei sien tolte,Ricomparisce in atto di preghieraE lieve lieve.... voi ridete? Oh! fossePur una fola l'apparir di lei! — Lieve dal marmo si distacca e fuggeA traverso le selve e le montagneCome spirto ramingo. Il cacciatoreChe il dì precede, o il boscaiuol che all'opraS'affretta, spesso la sorprende e grida,Segnandola da lungi: È Donna Bianca!

ROGER ITALY.

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denza dell'umile donnicciuola. Una parola sfuggita acaso, potrebbe appurare una data e rivelare un evento,dipingere una persona. Ma questa sarebbe una scienzanuova. Gli eruditi pongono ancora la loro glorianell'ammucchiar date su date, nomi su nomi: con ciò nedanno spesso il cadavere della storia; ma chi vi spira perentro il soffio della vita?

La vecchierella ci avea aspettati nell'anticamera. Ledomandai, guardandomi bene da lasciarle trapelare ilmio scetticismo, se la Donna Bianca le fosse mai appar-sa.

— No, signore, risposemi. Io non sono stata degna ditanto: nè io, nè mia madre; ma la nonna la vide all'occa-

Murata fu nella parete, ed ormaPur non rimase dell'orribil tombaChe viva e palpitante la rinchiuse,Rifatta a piombo e a squadra!... Or se vi aggradaVisitar la funerea cappella,Di grado in grado scenderem.La notteNella marmorea nicchia immota e bianca,Qual se le pietre innanzi a lei sien tolte,Ricomparisce in atto di preghieraE lieve lieve.... voi ridete? Oh! fossePur una fola l'apparir di lei! — Lieve dal marmo si distacca e fuggeA traverso le selve e le montagneCome spirto ramingo. Il cacciatoreChe il dì precede, o il boscaiuol che all'opraS'affretta, spesso la sorprende e grida,Segnandola da lungi: È Donna Bianca!

ROGER ITALY.

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sione della nascita del padron vecchio, e fu gran festa inpaese. La povera nonna morì in concetto di santa.

— E chi è stato l'ultimo a vederla? Si potrebbe parlar-gli?

— L'ultimo è stato Lorenzoni, soggiunse seriamentela vecchia. Or saranno circa trent'anni. Da quel temponessuno meritò questa grazia, o forse mancò l'occasione.

— Qual occasione? diss'io.

— Si sa bene, signore. Domandi qui al signor France-schi. La Donna Bianca comparisce tre giorni prima[Pg 25]che i padroni si trovino in allegrezza o in gramezza.Vuol dire che in questi trent'anni non successe niente nèdi buono nè di cattivo.

— Può essere, risposi. Chi sa che non tocchi a voi,buona donna, l'onor della prima visita.

— Oh! signore! Se fosse per bene de' nostri padroni,sarei ben contenta....

— Voi già non ne avete paura.

— Di che? La Donna Bianca non ha fatto mai malead alcuno. È una grazia che fa l'avvertirci del bene e delmale prima che seguano. Così possiamo prepararci.

— Dite bene, buona madre, diss'io. E, infatti, io non

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sione della nascita del padron vecchio, e fu gran festa inpaese. La povera nonna morì in concetto di santa.

— E chi è stato l'ultimo a vederla? Si potrebbe parlar-gli?

— L'ultimo è stato Lorenzoni, soggiunse seriamentela vecchia. Or saranno circa trent'anni. Da quel temponessuno meritò questa grazia, o forse mancò l'occasione.

— Qual occasione? diss'io.

— Si sa bene, signore. Domandi qui al signor France-schi. La Donna Bianca comparisce tre giorni prima[Pg 25]che i padroni si trovino in allegrezza o in gramezza.Vuol dire che in questi trent'anni non successe niente nèdi buono nè di cattivo.

— Può essere, risposi. Chi sa che non tocchi a voi,buona donna, l'onor della prima visita.

— Oh! signore! Se fosse per bene de' nostri padroni,sarei ben contenta....

— Voi già non ne avete paura.

— Di che? La Donna Bianca non ha fatto mai malead alcuno. È una grazia che fa l'avvertirci del bene e delmale prima che seguano. Così possiamo prepararci.

— Dite bene, buona madre, diss'io. E, infatti, io non

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Page 43: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

avrei trovata una ragione sì dilicata, e dirò anche, cosìfilosofica. Ci congedammo dalla cortese vecchierella, laprima che sentissi a parlar di visioni con tanto buon sen-so. È certo che codeste apparizioni, e la causa di esse,erano per lei verità incontrastabili. Io posso riferir le pa-role, ma tenterei invano communicare ai lettoriquell'accento di persuasione, quella specie di fede chemi fece notabile questo dialogo. — Andiamo via di qua,dissi celiando al Franceschi. Queste parole, questi luo-ghi, e un sogno ch'ebbi stanotte, per poco ch'io resti, mifaranno credere alla visione, come ci è forza credere alfatto che vi diede origine. Non mi maraviglio più cheuna tal tradizione si propaghi e si tenga per certa. Quasiquasi m'aspetto di vederla la Donna Bianca, prima di la-sciar questi luoghi ch'ella ha fatto sì celebri!

[Pg 26]

V.

È vero. Sono stirpe violenta questi Collalto! Si narrano storie di san -gue accadute ne' loro castelli. Un'ombra raminga di donna comparisce aquando a quando tra i verdi, e ricorda un'antica atrocità degli antenatidel conte. Murata viva! che orrore! Ne avrei uditi tutta notte i lamenti.

CARRER. Lettere di Gaspara Stampa.

Non farò carico al Carrer di questa asserzione postain bocca d'una donna gelosa che era stata amata e traditada un conte Collalto. Quest'accusa, tuttochè falsa, comequasi tutte le accuse generali, chi non vorrà perdonarla

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avrei trovata una ragione sì dilicata, e dirò anche, cosìfilosofica. Ci congedammo dalla cortese vecchierella, laprima che sentissi a parlar di visioni con tanto buon sen-so. È certo che codeste apparizioni, e la causa di esse,erano per lei verità incontrastabili. Io posso riferir le pa-role, ma tenterei invano communicare ai lettoriquell'accento di persuasione, quella specie di fede chemi fece notabile questo dialogo. — Andiamo via di qua,dissi celiando al Franceschi. Queste parole, questi luo-ghi, e un sogno ch'ebbi stanotte, per poco ch'io resti, mifaranno credere alla visione, come ci è forza credere alfatto che vi diede origine. Non mi maraviglio più cheuna tal tradizione si propaghi e si tenga per certa. Quasiquasi m'aspetto di vederla la Donna Bianca, prima di la-sciar questi luoghi ch'ella ha fatto sì celebri!

[Pg 26]

V.

È vero. Sono stirpe violenta questi Collalto! Si narrano storie di san -gue accadute ne' loro castelli. Un'ombra raminga di donna comparisce aquando a quando tra i verdi, e ricorda un'antica atrocità degli antenatidel conte. Murata viva! che orrore! Ne avrei uditi tutta notte i lamenti.

CARRER. Lettere di Gaspara Stampa.

Non farò carico al Carrer di questa asserzione postain bocca d'una donna gelosa che era stata amata e traditada un conte Collalto. Quest'accusa, tuttochè falsa, comequasi tutte le accuse generali, chi non vorrà perdonarla

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alla povera Stampa? Ad onore del vero però, il fatto diDonna Bianca, per atroce che sia, non vuol imputarsi aiCollalto: nè i Collalto appaiono dalle cronache esserestati una stirpe violenta. Questo delitto era stato com-messo da una Caminese, e i Collalto che forse nonl'aveano potuto impedire, quando vennero a risaperlo,non omisero di espiarlo, per quanto fu loro concesso.Certo la tradizione che corre non è oltraggiosa a questafamiglia. L'apparizione di quest'ombra non è, come se-gue per ordinario, un simbolo di vendetta: Donna Bian-ca non odia i Collalto, anzi li ama, si prende parte alleloro vicende liete o triste che siano e ne dà loro l'annun-zio tre dì prima che seguano. L'ombra stessa non è pau-rosa a quelli a cui comparisce: anzi non la vedeva chequalche antico servo o altra persona affezionata allaCasa; e se ne teneva, e ne traeva argomento d'orgoglio,come si dice del Lorenzoni, uomo del resto non puntosuperstizioso e di un coraggio che teneva della braveria,giacchè era solito a porsi col capo in giù fuori[Pg 27] dellaferitoia della torre, sull'orlo d'un precipizio che mette-rebbe le vertigini agli animi più sicuri.

Questi ragionamenti ci fecero parer più breve il ritor-no al castello di San Salvatore. Il Franceschi medesimoche, udendo la cagione della mia gita, era stato lì lì perbeffarsene, cominciava a considerar questo fatto sottoun aspetto diverso. Passando in rassegna i principali av-venimenti della illustre famiglia, si meravigliava di tro-varli congiunti alle apparizioni tradizionali della Donna

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alla povera Stampa? Ad onore del vero però, il fatto diDonna Bianca, per atroce che sia, non vuol imputarsi aiCollalto: nè i Collalto appaiono dalle cronache esserestati una stirpe violenta. Questo delitto era stato com-messo da una Caminese, e i Collalto che forse nonl'aveano potuto impedire, quando vennero a risaperlo,non omisero di espiarlo, per quanto fu loro concesso.Certo la tradizione che corre non è oltraggiosa a questafamiglia. L'apparizione di quest'ombra non è, come se-gue per ordinario, un simbolo di vendetta: Donna Bian-ca non odia i Collalto, anzi li ama, si prende parte alleloro vicende liete o triste che siano e ne dà loro l'annun-zio tre dì prima che seguano. L'ombra stessa non è pau-rosa a quelli a cui comparisce: anzi non la vedeva chequalche antico servo o altra persona affezionata allaCasa; e se ne teneva, e ne traeva argomento d'orgoglio,come si dice del Lorenzoni, uomo del resto non puntosuperstizioso e di un coraggio che teneva della braveria,giacchè era solito a porsi col capo in giù fuori[Pg 27] dellaferitoia della torre, sull'orlo d'un precipizio che mette-rebbe le vertigini agli animi più sicuri.

Questi ragionamenti ci fecero parer più breve il ritor-no al castello di San Salvatore. Il Franceschi medesimoche, udendo la cagione della mia gita, era stato lì lì perbeffarsene, cominciava a considerar questo fatto sottoun aspetto diverso. Passando in rassegna i principali av-venimenti della illustre famiglia, si meravigliava di tro-varli congiunti alle apparizioni tradizionali della Donna

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Bianca. Egli mi raccontava dei fatti, io non potevo chenarrargli dei sogni su questo proposito, e al più suggerir-gli qualche induzione alla quale ei dava più o men peso,siccome quello che è più cronista per indole che poeta.

Ricorderò brevemente due di codeste apparizioni chesi collegano a qualche nome accennato nel corso delmio racconto. La prima di queste si connette ad un av-venimento che fornirà forse argomento ad un dramma.

Correva il principio del secolo decimoquarto. Le duefamiglie vicine e rivali, dei Collalto e dei Caminesi, era-no allora rappresentate, quella dal conte Rambaldo, que-sta da Rizzardo da Camino, celebri entrambi nelle storiedel tempo. Quest'ultimo, figlio di quel Gerardo chel'Alighieri pone tra' buoni, era molto degenere dal padreper valore e per senno. Era il don Giovanni dell'età sua:e le città e i villaggi eran pieni de' suoi soprusi e dellesue avventure galanti. Ei pose gli occhi, fra le altre, auna figlia del conte Rambaldo, di nome Gemma, bellis-sima giovinetta se alcuna ve n'ebbe a quei tempi. Il vec-chio conte Collalto avrebbe volentieri condisceso a talmaritaggio, nè era il primo che le due famiglie avesserocontratto fra loro. Ma dopo il delitto di Aica, gli amorifra i Caminesi e i Collalto doveano avere un augurio si-nistro. La povera Gemma non era destinata a[Pg 28] ri-splendere, come sposa legittima, nell'albero genealogicodei da Camino! —

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Bianca. Egli mi raccontava dei fatti, io non potevo chenarrargli dei sogni su questo proposito, e al più suggerir-gli qualche induzione alla quale ei dava più o men peso,siccome quello che è più cronista per indole che poeta.

Ricorderò brevemente due di codeste apparizioni chesi collegano a qualche nome accennato nel corso delmio racconto. La prima di queste si connette ad un av-venimento che fornirà forse argomento ad un dramma.

Correva il principio del secolo decimoquarto. Le duefamiglie vicine e rivali, dei Collalto e dei Caminesi, era-no allora rappresentate, quella dal conte Rambaldo, que-sta da Rizzardo da Camino, celebri entrambi nelle storiedel tempo. Quest'ultimo, figlio di quel Gerardo chel'Alighieri pone tra' buoni, era molto degenere dal padreper valore e per senno. Era il don Giovanni dell'età sua:e le città e i villaggi eran pieni de' suoi soprusi e dellesue avventure galanti. Ei pose gli occhi, fra le altre, auna figlia del conte Rambaldo, di nome Gemma, bellis-sima giovinetta se alcuna ve n'ebbe a quei tempi. Il vec-chio conte Collalto avrebbe volentieri condisceso a talmaritaggio, nè era il primo che le due famiglie avesserocontratto fra loro. Ma dopo il delitto di Aica, gli amorifra i Caminesi e i Collalto doveano avere un augurio si-nistro. La povera Gemma non era destinata a[Pg 28] ri-splendere, come sposa legittima, nell'albero genealogicodei da Camino! —

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È fama che l'ombra di Donna Bianca, e fu questa unadelle prime apparizioni, si facesse vedere alla vecchianutrice di Gemma. Questa l'ebbe per buon segno, e lointerpretò come un annunzio di prossime nozze. Ahimè,dopo tre giorni il traditore Rizzardo abbandonava la in-namorata donzella, per dar la sua fede ad un'altra. Lapovera Gemma ne morì di vergogna e di dolore, e fuvendicata! Da lì a poco tempo Rizzardo da Camino mo-riva percosso dalla falce di un contadino chiamato paz-zo. Ma il conte Rambaldo e i suoi vassalli guelfi non fu-rono netti dell'assassinio.3 Due secoli dopo, Collaltino diCollalto dava anch'esso la mano di sposo alla marchesaGiulia Torella di Montechiarugolo, dopo di aver amo-reggiato e tratto agli estremi la illustre poetessa GasparaStampa. Questa volta la Donna Bianca apparve alla gio-vane sposa, quasi volesse spaventarla da queste nozze.Ma la marchesana era uno spirito forte per quell'età, esapendo gli amori di Collaltino con Gaspara, avrà pen-sato che l'opposizione fosse una gherminella della tradi-ta poetessa, o un'ubbìa della sua riscaldata immaginazio-ne. Le nozze si fecero, e la morte della Stampa fu auspi-ce alle feste, al rito solenne. La marchesa Giulia Torellapassò poco dopo a seconde nozze col conte AntonioCollalto, parente di Collaltino. Anche tu fosti vendicata,povera Saffo!....

Mi limito a questi due fatti che presentano una certaanalogia colla storia di Bianca. Ma non sarebbe senza3 Vedi il MURATORI e il VERCI: Storia della Marca Trivigiana.

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È fama che l'ombra di Donna Bianca, e fu questa unadelle prime apparizioni, si facesse vedere alla vecchianutrice di Gemma. Questa l'ebbe per buon segno, e lointerpretò come un annunzio di prossime nozze. Ahimè,dopo tre giorni il traditore Rizzardo abbandonava la in-namorata donzella, per dar la sua fede ad un'altra. Lapovera Gemma ne morì di vergogna e di dolore, e fuvendicata! Da lì a poco tempo Rizzardo da Camino mo-riva percosso dalla falce di un contadino chiamato paz-zo. Ma il conte Rambaldo e i suoi vassalli guelfi non fu-rono netti dell'assassinio.3 Due secoli dopo, Collaltino diCollalto dava anch'esso la mano di sposo alla marchesaGiulia Torella di Montechiarugolo, dopo di aver amo-reggiato e tratto agli estremi la illustre poetessa GasparaStampa. Questa volta la Donna Bianca apparve alla gio-vane sposa, quasi volesse spaventarla da queste nozze.Ma la marchesana era uno spirito forte per quell'età, esapendo gli amori di Collaltino con Gaspara, avrà pen-sato che l'opposizione fosse una gherminella della tradi-ta poetessa, o un'ubbìa della sua riscaldata immaginazio-ne. Le nozze si fecero, e la morte della Stampa fu auspi-ce alle feste, al rito solenne. La marchesa Giulia Torellapassò poco dopo a seconde nozze col conte AntonioCollalto, parente di Collaltino. Anche tu fosti vendicata,povera Saffo!....

Mi limito a questi due fatti che presentano una certaanalogia colla storia di Bianca. Ma non sarebbe senza3 Vedi il MURATORI e il VERCI: Storia della Marca Trivigiana.

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interesse poter notare tutte le apparizioni che il popoloricorda di quella infelice. In tutte quelle che intesi narra-re, Donna Bianca è sempre benevola alla casa Collalto,anche quando tentò inutilmente impedire qualche delittoo qualche sventura imminente. Oh! ella dovette[Pg 29]bene amarlo, il conte Tolberto, la poverina, se muratanel suo castello, e condannata ad errare in quei luoghimemori dell'infelice sua fiamma, non si fa ministrad'una vendetta che potrebbe parer meritata, ma invecesembra proteggere i discendenti di quella stirpe!

Il giorno appresso, pieno ancora di questi fatti e diqueste fantasie, io lasciava, non senza pena, il superbocastello di San Salvatore e l'ospitale famiglia a cui devola maggior parte di queste notizie, e due giorni tra i piùcari della mia vita.

[Pg 33]

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interesse poter notare tutte le apparizioni che il popoloricorda di quella infelice. In tutte quelle che intesi narra-re, Donna Bianca è sempre benevola alla casa Collalto,anche quando tentò inutilmente impedire qualche delittoo qualche sventura imminente. Oh! ella dovette[Pg 29]bene amarlo, il conte Tolberto, la poverina, se muratanel suo castello, e condannata ad errare in quei luoghimemori dell'infelice sua fiamma, non si fa ministrad'una vendetta che potrebbe parer meritata, ma invecesembra proteggere i discendenti di quella stirpe!

Il giorno appresso, pieno ancora di questi fatti e diqueste fantasie, io lasciava, non senza pena, il superbocastello di San Salvatore e l'ospitale famiglia a cui devola maggior parte di queste notizie, e due giorni tra i piùcari della mia vita.

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I COMPLIMENTI DI CEPPO.

Chi non abbia vissuto alcun tempo in una piccola cit-tà di provincia, non può dire di avere conosciuto intima-mente nè il mondo nè l'uomo. Nelle città capitali si co-nosce la società, si conoscono gli uomini affatturati emascherati dalle sue convenienze; ma è ben raro che sivegga a modo ciò che sentono e ciò che pensano: essihanno tutti un contegno uniforme e convenzionale che lirende quasi uguali e senza alcun tratto risentito e carat-teristico nella loro morale fisonomia. Quindi il poeta, ilpittore, il novellista, uopo è che cerchino i loro tipi inprovincia, dove si è conservato tutto ciò che v'era dipoetico e pittoresco negli antichi nostri costumi.

Io cominciavo appena la mia carriera letteraria, quan-do la professione d'istitutore conducevami in una picco-la città degli Euganei, dove ho fatto le prime esperienzesu quella società in miniatura che non ha ancora bastan-temente appreso l'arte di mascherarsi. Al primo entrarein una delle principali famiglie, fra i consigli o, a megliodire, fra gli ordini che il capo di casa aveva creduto ne-cessario di darmi, ci fu quello di non frequentare la casadei signori R***. Stupii sulle prime, perchè sapevo che isignori R*** erano stretti di parentela[Pg 34] colla fami-glia dell'ospite mio. Io non avevo ancora pensato che leavversioni più ostinate e più irragionevoli sono appuntofra quelli che sono congiunti di sangue o d'affinità. Rara

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I COMPLIMENTI DI CEPPO.

Chi non abbia vissuto alcun tempo in una piccola cit-tà di provincia, non può dire di avere conosciuto intima-mente nè il mondo nè l'uomo. Nelle città capitali si co-nosce la società, si conoscono gli uomini affatturati emascherati dalle sue convenienze; ma è ben raro che sivegga a modo ciò che sentono e ciò che pensano: essihanno tutti un contegno uniforme e convenzionale che lirende quasi uguali e senza alcun tratto risentito e carat-teristico nella loro morale fisonomia. Quindi il poeta, ilpittore, il novellista, uopo è che cerchino i loro tipi inprovincia, dove si è conservato tutto ciò che v'era dipoetico e pittoresco negli antichi nostri costumi.

Io cominciavo appena la mia carriera letteraria, quan-do la professione d'istitutore conducevami in una picco-la città degli Euganei, dove ho fatto le prime esperienzesu quella società in miniatura che non ha ancora bastan-temente appreso l'arte di mascherarsi. Al primo entrarein una delle principali famiglie, fra i consigli o, a megliodire, fra gli ordini che il capo di casa aveva creduto ne-cessario di darmi, ci fu quello di non frequentare la casadei signori R***. Stupii sulle prime, perchè sapevo che isignori R*** erano stretti di parentela[Pg 34] colla fami-glia dell'ospite mio. Io non avevo ancora pensato che leavversioni più ostinate e più irragionevoli sono appuntofra quelli che sono congiunti di sangue o d'affinità. Rara

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inter fratres concordia, dice il Poeta; e questa fu la pri-ma occasione in cui ebbi a conoscere la verità diquell'emistichio che passa oggimai per proverbio.

Venni a sapere più tardi il perchè di codesta avversio-ne tra le due famiglie. Le cagioni non erano state che unpuntiglio, una gara di nobiltà, uno di que' nonnulla cheai nostri buoni nonni parevano una causa abbastanzagrave per venire alle mani, per cominciare un'iliade difamigliari controversie e di domestici guai. Quelli chepiù ne soffrirono furono, come sempre, due buoni gio-vani, cugini in terzo grado, i quali si amavano cordial-mente e sognavano da gran tempo una dispensa per an-nodare una più stretta parentela fra loro. Appunto nelconcertare i preliminari di questa unione, l'amor proprioassai suscettivo dei due vecchi era stato punto, e quandosi sperava che ogni ostacolo fosse tolto, le due parruc-che scompigliate nella contesa giurarono di non metterepiù piede nelle reciproche loro abitazioni, e fu proibitoseveramente ai due giovani di più pensare a codestenozze, di più vedersi e di più parlarsi nè in pubblico nèin segreto. Vi lascio pensare le ciarle del paese, le recri-minazioni vicendevoli dei due vecchi, gli scherni e gliepigrammi, i commenti delle brigate; e quello che piùmonta, le lagrime e il dispetto della giovane e del cugi-no.

Codesta pubblicità, effetto inevitabile d'una rotturafra due famiglie nobili e principali d'una piccola città di

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inter fratres concordia, dice il Poeta; e questa fu la pri-ma occasione in cui ebbi a conoscere la verità diquell'emistichio che passa oggimai per proverbio.

Venni a sapere più tardi il perchè di codesta avversio-ne tra le due famiglie. Le cagioni non erano state che unpuntiglio, una gara di nobiltà, uno di que' nonnulla cheai nostri buoni nonni parevano una causa abbastanzagrave per venire alle mani, per cominciare un'iliade difamigliari controversie e di domestici guai. Quelli chepiù ne soffrirono furono, come sempre, due buoni gio-vani, cugini in terzo grado, i quali si amavano cordial-mente e sognavano da gran tempo una dispensa per an-nodare una più stretta parentela fra loro. Appunto nelconcertare i preliminari di questa unione, l'amor proprioassai suscettivo dei due vecchi era stato punto, e quandosi sperava che ogni ostacolo fosse tolto, le due parruc-che scompigliate nella contesa giurarono di non metterepiù piede nelle reciproche loro abitazioni, e fu proibitoseveramente ai due giovani di più pensare a codestenozze, di più vedersi e di più parlarsi nè in pubblico nèin segreto. Vi lascio pensare le ciarle del paese, le recri-minazioni vicendevoli dei due vecchi, gli scherni e gliepigrammi, i commenti delle brigate; e quello che piùmonta, le lagrime e il dispetto della giovane e del cugi-no.

Codesta pubblicità, effetto inevitabile d'una rotturafra due famiglie nobili e principali d'una piccola città di

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provincia, accrebbe gli ostacoli a qualunque transazionepacifica; mentre sì l'uno che l'altro, oltre alla difficoltàdi far tacere il grido dell'offeso amor proprio, non pote-va a meno di non consultare fra sè che ne[Pg 35] avrebbe-ro detto nel mondo? Tra una ragione e l'altra, la scissura,benchè nata da lievi cagioni, s'andava rendendo di gior-no in giorno sempre più irreparabile. Tutte le azioni an-che più semplici e naturali, interpretate dagli animi maleprevenuti, divenivano appicco a nuovi e cotidiani disgu-sti: i due vecchi non si guardavano più, ed erano divenu-ti l'uno all'altro stranieri, anzi più che stranieri, nemici.Quanti di quegli odii intestini ed ereditarii che tennero sìscandalosamente divise tante famiglie italiane, nacqueroforse da cause non più importanti di queste!... Quandodue animi si sono posti in sospetto, ogni giorno portaun'esca alla fiamma, e l'incendio diventa tale che non èpiù possibile spegnerlo.

Tuttavolta non è a dire che i due vecchi parenti go-dessero nell'animo di tal disunione. Da lunghi anni sta-zionarii in quella piccola città, avevano contratte certecomuni consuetudini, che alla loro età non era più possi-bile abbandonare senza gran dispiacere.

Il padre della fanciulla, il conte Filippo di M*** tene-va, come si dice, la migliore, anzi l'unica conversazionedella città. Ogni sera, mentre i più giovani parlavano dicaccia o di quei nonnulla che bastano ad intrattenere lagioventù, egli col suo parente e con altri due rispettabili

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provincia, accrebbe gli ostacoli a qualunque transazionepacifica; mentre sì l'uno che l'altro, oltre alla difficoltàdi far tacere il grido dell'offeso amor proprio, non pote-va a meno di non consultare fra sè che ne[Pg 35] avrebbe-ro detto nel mondo? Tra una ragione e l'altra, la scissura,benchè nata da lievi cagioni, s'andava rendendo di gior-no in giorno sempre più irreparabile. Tutte le azioni an-che più semplici e naturali, interpretate dagli animi maleprevenuti, divenivano appicco a nuovi e cotidiani disgu-sti: i due vecchi non si guardavano più, ed erano divenu-ti l'uno all'altro stranieri, anzi più che stranieri, nemici.Quanti di quegli odii intestini ed ereditarii che tennero sìscandalosamente divise tante famiglie italiane, nacqueroforse da cause non più importanti di queste!... Quandodue animi si sono posti in sospetto, ogni giorno portaun'esca alla fiamma, e l'incendio diventa tale che non èpiù possibile spegnerlo.

Tuttavolta non è a dire che i due vecchi parenti go-dessero nell'animo di tal disunione. Da lunghi anni sta-zionarii in quella piccola città, avevano contratte certecomuni consuetudini, che alla loro età non era più possi-bile abbandonare senza gran dispiacere.

Il padre della fanciulla, il conte Filippo di M*** tene-va, come si dice, la migliore, anzi l'unica conversazionedella città. Ogni sera, mentre i più giovani parlavano dicaccia o di quei nonnulla che bastano ad intrattenere lagioventù, egli col suo parente e con altri due rispettabili

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vecchi del paese celebrava il cotidiano tressette, il quale,a dispetto dell'adagio che lo vuole inventato da quattromutoli, è sempre il campo di molte contese, massimequando i giuocatori pretendono di saperne di più. Il tres-sette di casa M*** era cosa importante: certe singolarifortune, certe ostinate disdette fornivano materia a gravidiverbi, e divenivano memorabili come la battaglia diMarengo o di Waterloo. Ora, dal giorno che le due fami-glie s'erano disunite, mancò un campione alla classicapartita, e non si trovò chi potesse supplirlo. Il conte Fi-lippo passeggiava gravemente buona pezza[Pg 36] dellasera nella camera da giuoco, e s'annoiava mortalmente,perchè la sua senile attività mancava dell'ordinario sti-molo. Voleva attaccare discorso colla figliuola, che si-lenziosa e pallida badava a' suoi ricami pensandoall'amante; ma essa gli rispondeva col cuore raggruppa-to, e spesso prorompeva in lacrime, delle quali non vo-leva raccontare al padre la causa a lui ben nota. Allora ilvecchio non aveva altro partito che il cane, e si poneva ascherzare con lui, e mormorava di tutto, e malediva iltempo, e il cuoco, e la mala annata, e l'imposta. Poverovecchio! e' si ostinava a non voler riconoscere la verasorgente di tanti disgusti, e della vita misantropa ch'eracostretto a menare.

Una vita poco diversa conduceva il marchese Nicolòdi R***, l'altra parrucca di cui vi parlavo. S'era provatoa leggere, ma i suoi occhi non reggevano più ad una lun-ga lettura al lume della lucerna; andava al caffè, dove in

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vecchi del paese celebrava il cotidiano tressette, il quale,a dispetto dell'adagio che lo vuole inventato da quattromutoli, è sempre il campo di molte contese, massimequando i giuocatori pretendono di saperne di più. Il tres-sette di casa M*** era cosa importante: certe singolarifortune, certe ostinate disdette fornivano materia a gravidiverbi, e divenivano memorabili come la battaglia diMarengo o di Waterloo. Ora, dal giorno che le due fami-glie s'erano disunite, mancò un campione alla classicapartita, e non si trovò chi potesse supplirlo. Il conte Fi-lippo passeggiava gravemente buona pezza[Pg 36] dellasera nella camera da giuoco, e s'annoiava mortalmente,perchè la sua senile attività mancava dell'ordinario sti-molo. Voleva attaccare discorso colla figliuola, che si-lenziosa e pallida badava a' suoi ricami pensandoall'amante; ma essa gli rispondeva col cuore raggruppa-to, e spesso prorompeva in lacrime, delle quali non vo-leva raccontare al padre la causa a lui ben nota. Allora ilvecchio non aveva altro partito che il cane, e si poneva ascherzare con lui, e mormorava di tutto, e malediva iltempo, e il cuoco, e la mala annata, e l'imposta. Poverovecchio! e' si ostinava a non voler riconoscere la verasorgente di tanti disgusti, e della vita misantropa ch'eracostretto a menare.

Una vita poco diversa conduceva il marchese Nicolòdi R***, l'altra parrucca di cui vi parlavo. S'era provatoa leggere, ma i suoi occhi non reggevano più ad una lun-ga lettura al lume della lucerna; andava al caffè, dove in

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mezz'ora sono esauriti tutti i discorsi, fino tutte le mor-morazioni possibili. Allora si parlava d'araldica o di po-litica; si libravano le sorti dei Russi e dei Polacchi; e ilParlamento inglese e la Camera francese tremavano sot-to a' giudizi ed ai tremendi scrutinii dei lettori della gaz-zetta privilegiata. Anche il marchese Nicolò si annoiava;ma come pensare al rimedio? avrebbe egli dovuto fare iprimi passi ad una riconciliazione? non era egli forsel'offeso? Piuttosto morire! Un occhio perspicace e pro-fondo avrebbe però potuto discernere sotto queste noie equesti proponimenti di sdegno eterno un mal dissimula-to desiderio di pace.

Se tale era la disposizione dei vecchi, pensate quelladei due poveri innamorati! Dover tutto ad un tratto ri-nunciare ad un matrimonio lungamente vagheggiato, ri-tenuto come sicuro, consentito tacitamente dagli stessigenitori che ora per un puntiglio d'etichetta, che non[Pg37] osavano neppur confessare, avevano mandato a mon-te! Dopo una consuetudine di più anni, dopo un amorenato ne' primi scherzi infantili, e nutrito da cotidiani col-loqui, trovarsi disgiunti, ridotti a non parlarsi più, quasia non più vedersi, se non in chiesa alla festa! poveroAdolfo! povera Amalia!

Egli aveva messo in opera tutti i mezzi possibili perrappattumare le cose; ma invano. Tentò di concertarequalche intelligenza con la fanciulla, ma ella era veglia-ta da un Argo; tentò di scriverle, e la lettera fu intercet-

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mezz'ora sono esauriti tutti i discorsi, fino tutte le mor-morazioni possibili. Allora si parlava d'araldica o di po-litica; si libravano le sorti dei Russi e dei Polacchi; e ilParlamento inglese e la Camera francese tremavano sot-to a' giudizi ed ai tremendi scrutinii dei lettori della gaz-zetta privilegiata. Anche il marchese Nicolò si annoiava;ma come pensare al rimedio? avrebbe egli dovuto fare iprimi passi ad una riconciliazione? non era egli forsel'offeso? Piuttosto morire! Un occhio perspicace e pro-fondo avrebbe però potuto discernere sotto queste noie equesti proponimenti di sdegno eterno un mal dissimula-to desiderio di pace.

Se tale era la disposizione dei vecchi, pensate quelladei due poveri innamorati! Dover tutto ad un tratto ri-nunciare ad un matrimonio lungamente vagheggiato, ri-tenuto come sicuro, consentito tacitamente dagli stessigenitori che ora per un puntiglio d'etichetta, che non[Pg37] osavano neppur confessare, avevano mandato a mon-te! Dopo una consuetudine di più anni, dopo un amorenato ne' primi scherzi infantili, e nutrito da cotidiani col-loqui, trovarsi disgiunti, ridotti a non parlarsi più, quasia non più vedersi, se non in chiesa alla festa! poveroAdolfo! povera Amalia!

Egli aveva messo in opera tutti i mezzi possibili perrappattumare le cose; ma invano. Tentò di concertarequalche intelligenza con la fanciulla, ma ella era veglia-ta da un Argo; tentò di scriverle, e la lettera fu intercet-

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tata; si diede alla caccia, al biliardo, al vino, allo studio;niente giovò. Propose al padre di fare un viaggio, e ilpadre non era lontano dall'accordarglielo, giacchè vede-va ei pure che era un supplizio di Tantalo per esso il vi-vere costì; ma quando Amalia lo venne a sapere, caddemalata, e non si parlò più di viaggio.

Appena ella potè riaversi, ebbe un breve colloquio colgiovine in casa d'una discreta e benevola zia. Sieno be-nedette le zie! Vorrei riportarvi i loro discorsi, i loro la-menti, le loro proteste reciproche; ma voi già le sapete,miei buoni lettori, le sapete meglio di me. Quante cosela povera Amalia aveva a dirgli, quanti rimproveri a far-gli, quanti progetti inutili a confidargli! Ma fra tutte co-deste cose ce ne fu una di buono, e fu quella che en-trambi i giovani vennero ad accertarsi della propensionedei due vecchi a rappacificarsi, ove si fosse trovato unqualche mezzo termine che salvasse i riguardi e i dirittidi tutti e due. Promisero di tentare ogni argomento, estabilito un mezzo di pronta e sicura comunicazione fraloro, presero commiato non senza che la buona parentegli avesse più volte avvertiti che l'ora era già troppo tar-da e pericoloso l'indugio.

Quella rottura fatale era successa nel maggio, ed era-vamo già alla metà di dicembre che i due vecchi[Pg 38]non s'erano mai parlati. Si avvicinavano le sante festenatalizie, giorni solenni in provincia, giorni principalis-simi di tutto l'anno. Noi nelle grandi città a malapena ce

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tata; si diede alla caccia, al biliardo, al vino, allo studio;niente giovò. Propose al padre di fare un viaggio, e ilpadre non era lontano dall'accordarglielo, giacchè vede-va ei pure che era un supplizio di Tantalo per esso il vi-vere costì; ma quando Amalia lo venne a sapere, caddemalata, e non si parlò più di viaggio.

Appena ella potè riaversi, ebbe un breve colloquio colgiovine in casa d'una discreta e benevola zia. Sieno be-nedette le zie! Vorrei riportarvi i loro discorsi, i loro la-menti, le loro proteste reciproche; ma voi già le sapete,miei buoni lettori, le sapete meglio di me. Quante cosela povera Amalia aveva a dirgli, quanti rimproveri a far-gli, quanti progetti inutili a confidargli! Ma fra tutte co-deste cose ce ne fu una di buono, e fu quella che en-trambi i giovani vennero ad accertarsi della propensionedei due vecchi a rappacificarsi, ove si fosse trovato unqualche mezzo termine che salvasse i riguardi e i dirittidi tutti e due. Promisero di tentare ogni argomento, estabilito un mezzo di pronta e sicura comunicazione fraloro, presero commiato non senza che la buona parentegli avesse più volte avvertiti che l'ora era già troppo tar-da e pericoloso l'indugio.

Quella rottura fatale era successa nel maggio, ed era-vamo già alla metà di dicembre che i due vecchi[Pg 38]non s'erano mai parlati. Si avvicinavano le sante festenatalizie, giorni solenni in provincia, giorni principalis-simi di tutto l'anno. Noi nelle grandi città a malapena ce

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ne accorgiamo, e se non fosse la sera di Santo Stefano,così importante per il Teatro, il Natale passerebbe comeogni altra festa dell'anno.

Ma in provincia, dove le vecchie consuetudini si con-servano ancora immutabili, in provincia le feste di Nata-le sono un avvenimento. Chi di noi non ricorda il ceppoenorme posto a bruciare sul focolare? Chi non ricorda ilauti pranzi della vigilia, i buoni augurii reciproci di fa-miglia a famiglia, la messa della mezzanotte, ec., ec.?

Nella città dov'io mi trovavo, le feste di Natale eranopiù solenni ancora che non potreste pensare. Non so sevi è nota l'origine della parola complimento, parola ch'ègià sulle bocche di tutti, ora in buono, ora in mal senso,secondo i casi. Quando papa Gregorio regolò i bisestili,espunse dal computo degli anni i giorni che sopravanza-vano al calcolo, e questi giorni si chiamarono giorni dicomplemento. Siccome non appartenevano nè ad unanno nè all'altro, così tutto il mondo cattolico diede tre-gua agli affari e non pensò che a divertirsi in quel fortu-nato intervallo di tempo, che a dire il vero non ne meri-tava neppure il nome. Codesti giorni si passarono in vi-site, in augurii, in colloqui amichevoli, in cerimonie; co-sicchè tutte quelle piacevoli occupazioni ebbero il nomedi complimenti perchè avvenivano ne' giorni di comple-mento. Voi forse non avevate mai pensato a codesta eti-mologia; ma se foste vissuti in quella città l'avreste tro-vata probabilissima, mentre la settimana che scorre tra

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ne accorgiamo, e se non fosse la sera di Santo Stefano,così importante per il Teatro, il Natale passerebbe comeogni altra festa dell'anno.

Ma in provincia, dove le vecchie consuetudini si con-servano ancora immutabili, in provincia le feste di Nata-le sono un avvenimento. Chi di noi non ricorda il ceppoenorme posto a bruciare sul focolare? Chi non ricorda ilauti pranzi della vigilia, i buoni augurii reciproci di fa-miglia a famiglia, la messa della mezzanotte, ec., ec.?

Nella città dov'io mi trovavo, le feste di Natale eranopiù solenni ancora che non potreste pensare. Non so sevi è nota l'origine della parola complimento, parola ch'ègià sulle bocche di tutti, ora in buono, ora in mal senso,secondo i casi. Quando papa Gregorio regolò i bisestili,espunse dal computo degli anni i giorni che sopravanza-vano al calcolo, e questi giorni si chiamarono giorni dicomplemento. Siccome non appartenevano nè ad unanno nè all'altro, così tutto il mondo cattolico diede tre-gua agli affari e non pensò che a divertirsi in quel fortu-nato intervallo di tempo, che a dire il vero non ne meri-tava neppure il nome. Codesti giorni si passarono in vi-site, in augurii, in colloqui amichevoli, in cerimonie; co-sicchè tutte quelle piacevoli occupazioni ebbero il nomedi complimenti perchè avvenivano ne' giorni di comple-mento. Voi forse non avevate mai pensato a codesta eti-mologia; ma se foste vissuti in quella città l'avreste tro-vata probabilissima, mentre la settimana che scorre tra

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Natale e il Capo d'anno, vi si passa in continui e recipro-ci complimenti.

Or ecco come i due giovani amanti cercarono di[Pg 39]trar partito dalla consuetudine del paese, e ciascuno dalcanto suo prese a persuadere al proprio genitore esseresconveniente il continuare codesta ruggine in quellesante giornate. L'Amalia forte della educazione religiosache aveva ricevuta, forte dell'amor suo e dell'ascendenteche dopo la morte della madre aveva acquistato sull'ani-mo paterno, diede il primo crollo alle ostili risoluzionidel conte Filippo. La mattina della vigilia di Natale vol-le portare essa stessa il cioccolatte inevitabile al vecchioche non era per anco uscito dalla sua stanza, molestato aque' giorni da un sintomo di podagra. Mentre ei centel-lava con compiacenza la bevanda rituale osservava sot-tecchi la figliuola che se ne stava ritta dinanzi a lui collemani congiunte e appoggiate sullo scrittoio.

Amalia era una bella e graziosa fanciulla; piuttostograndetta della persona, nobile e dignitosa nel porta-mento. Dopo la sciagurata contesa che le aveva per laprima volta fatto sentire che cos'è dolore, il bell'incarna-to delle sue guancie se n'era ito, e un pallore trasparentecome di cera, le dava l'aspetto d'una clorotica. I suoibelli e lunghi capelli neri avevano cessato d'essere di-sposti colla cura di prima, e arrovesciati e annodati die-tro la nuca in due grosse treccie annunciavano la negli-genza d'una donna che ha rinunciato alla naturale civet-

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Natale e il Capo d'anno, vi si passa in continui e recipro-ci complimenti.

Or ecco come i due giovani amanti cercarono di[Pg 39]trar partito dalla consuetudine del paese, e ciascuno dalcanto suo prese a persuadere al proprio genitore esseresconveniente il continuare codesta ruggine in quellesante giornate. L'Amalia forte della educazione religiosache aveva ricevuta, forte dell'amor suo e dell'ascendenteche dopo la morte della madre aveva acquistato sull'ani-mo paterno, diede il primo crollo alle ostili risoluzionidel conte Filippo. La mattina della vigilia di Natale vol-le portare essa stessa il cioccolatte inevitabile al vecchioche non era per anco uscito dalla sua stanza, molestato aque' giorni da un sintomo di podagra. Mentre ei centel-lava con compiacenza la bevanda rituale osservava sot-tecchi la figliuola che se ne stava ritta dinanzi a lui collemani congiunte e appoggiate sullo scrittoio.

Amalia era una bella e graziosa fanciulla; piuttostograndetta della persona, nobile e dignitosa nel porta-mento. Dopo la sciagurata contesa che le aveva per laprima volta fatto sentire che cos'è dolore, il bell'incarna-to delle sue guancie se n'era ito, e un pallore trasparentecome di cera, le dava l'aspetto d'una clorotica. I suoibelli e lunghi capelli neri avevano cessato d'essere di-sposti colla cura di prima, e arrovesciati e annodati die-tro la nuca in due grosse treccie annunciavano la negli-genza d'una donna che ha rinunciato alla naturale civet-

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teria della gioventù e dell'amore.

Ma quella mattina il padre la vedeva alquanto mutata:il moto delle scale, l'apprestamento del cioccolatte, e piùancora l'interna agitazione per l'arringa che preparavasia fare, le avevano suffuso il volto di un lieve rossorecome suol avvenire ai convalescenti. — I capelli aveva-no presa la prima foggia, e lasciati per la maggior parteall'indietro, sicchè il contorno della bellissima fronte ap-parisse netto e regolare; due ciocche le scendevano[Pg 40]dalle tempie, e girando in due morbide spire le ricadeva-no lungo il collo e sul petto. Tale era l'acconciaturach'era solita usare per il passato, e forse senza pensarlo,l'avea ripresa quel giorno per richiamare alla mente delpadre le antiche reminiscenze, e risvegliargliene il desi-derio.

Il padre la guardava in silenzio, e pensò difatti che ciònon doveva essere avvenuto senza un perchè. Egli cono-sceva sua figlia, e sapeva che niente faceva a caso; mala prossima festa gli parve una ragione sufficiente diquel cambiamento, e poi ripetè a se medesimo il prover-bio de' vecchi: — lascia fare al tempo: la mia figliuolaavrà fatto senno, e avrà pensato a piacere a qualcun al-tro. — Ma l'Amalia pensava invece al suo Adolfo, e nonad altro uomo, e non sapeva come intavolarne il discor-so col burbero padre. Fortunatamente egli fu il primo aparlare.

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teria della gioventù e dell'amore.

Ma quella mattina il padre la vedeva alquanto mutata:il moto delle scale, l'apprestamento del cioccolatte, e piùancora l'interna agitazione per l'arringa che preparavasia fare, le avevano suffuso il volto di un lieve rossorecome suol avvenire ai convalescenti. — I capelli aveva-no presa la prima foggia, e lasciati per la maggior parteall'indietro, sicchè il contorno della bellissima fronte ap-parisse netto e regolare; due ciocche le scendevano[Pg 40]dalle tempie, e girando in due morbide spire le ricadeva-no lungo il collo e sul petto. Tale era l'acconciaturach'era solita usare per il passato, e forse senza pensarlo,l'avea ripresa quel giorno per richiamare alla mente delpadre le antiche reminiscenze, e risvegliargliene il desi-derio.

Il padre la guardava in silenzio, e pensò difatti che ciònon doveva essere avvenuto senza un perchè. Egli cono-sceva sua figlia, e sapeva che niente faceva a caso; mala prossima festa gli parve una ragione sufficiente diquel cambiamento, e poi ripetè a se medesimo il prover-bio de' vecchi: — lascia fare al tempo: la mia figliuolaavrà fatto senno, e avrà pensato a piacere a qualcun al-tro. — Ma l'Amalia pensava invece al suo Adolfo, e nonad altro uomo, e non sapeva come intavolarne il discor-so col burbero padre. Fortunatamente egli fu il primo aparlare.

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Page 57: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

— Tu mi se' ringiovanita, figliuola mia. Così va bene!Tu cominci a conoscere che nè l'amore nè il dolore han-no ad essere eterni.

— Ah, padre mio, voi dite il vero! il dolore non puòessere eterno: a lungo andare egli ne ucciderebbe; ed ioconfido molto nel vostro buon cuore che me ne vorràabbreviare la durata.

— Che vuoi tu dire, figlia mia? — riprese il vecchiocominciando già a sospettare l'intenzione della fanciulla.

— Mio caro babbo, — diss'ella con tuono di voce ti-mido e carezzevole: — non è vero che voi amate moltola vostra Amalia?

— Sì certo, e credo avertelo provato abbastanza.

— Babbo mio, io spero che vorrete darmene un'altraprova più grande e più significante di tutte.

— Sarebbe a dire?...

— Caro babbo, non v'adirate: io non posso vivere[Pg41] senza Adolfo. Perchè dovrebbe portar la pena dellefollie e della ostinazione del padre suo? Perchè vorretevoi, babbo mio, che ci vada di mezzo la mia tranquillità,la mia vita? Babbo, ve lo dichiaro: la vostra Amalia saràmorta fra pochi mesi se voi non la consolate.

— Eh! via, ragazza; non rimettere in campo i tuoi so-

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— Tu mi se' ringiovanita, figliuola mia. Così va bene!Tu cominci a conoscere che nè l'amore nè il dolore han-no ad essere eterni.

— Ah, padre mio, voi dite il vero! il dolore non puòessere eterno: a lungo andare egli ne ucciderebbe; ed ioconfido molto nel vostro buon cuore che me ne vorràabbreviare la durata.

— Che vuoi tu dire, figlia mia? — riprese il vecchiocominciando già a sospettare l'intenzione della fanciulla.

— Mio caro babbo, — diss'ella con tuono di voce ti-mido e carezzevole: — non è vero che voi amate moltola vostra Amalia?

— Sì certo, e credo avertelo provato abbastanza.

— Babbo mio, io spero che vorrete darmene un'altraprova più grande e più significante di tutte.

— Sarebbe a dire?...

— Caro babbo, non v'adirate: io non posso vivere[Pg41] senza Adolfo. Perchè dovrebbe portar la pena dellefollie e della ostinazione del padre suo? Perchè vorretevoi, babbo mio, che ci vada di mezzo la mia tranquillità,la mia vita? Babbo, ve lo dichiaro: la vostra Amalia saràmorta fra pochi mesi se voi non la consolate.

— Eh! via, ragazza; non rimettere in campo i tuoi so-

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liti piagnistei. Fra pochi mesi tu ti sarai consolata da te.Il tempo è un gran medico: credilo al tuo babbo che hasettantaquattr'anni di esperienza.

— Babbo mio caro, il tempo non ha avuto nessunaforza nè anche per voi. Oh! non veggo io forse che voisoffrite assai per quello sciagurato accidente! Quantosiete diverso da quello d'anno! Voi vi annojate mortal-mente, vi siete fatto pallido e quasi giallo. Babbo mio,se non ripigliate le vostre interrotte consuetudini, voidarete il più grande di tutti i dolori alla vostra figliuola!

— Ma che, ma che? dovrei io forse essere il primo amuovermi per andare a trovare il pregiatissimo signorcugino?

— Oh! il primo no certamente.... ma.... egli non osaforse di presentarsi....

— Ed ha ragione!...

— Caro babbo, oggi è la vigilia di Natale: è un giornosanto, un giorno solenne per tutti. Noi andremo a fare lasolita visita....

— A chi?

— Alla mia buona zia Vittoria! Forse vi troveremo làil marchese vostro cugino con Adolfo, voi non ricusere-te di entrare e la pace sarà fatta, non è vero?

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liti piagnistei. Fra pochi mesi tu ti sarai consolata da te.Il tempo è un gran medico: credilo al tuo babbo che hasettantaquattr'anni di esperienza.

— Babbo mio caro, il tempo non ha avuto nessunaforza nè anche per voi. Oh! non veggo io forse che voisoffrite assai per quello sciagurato accidente! Quantosiete diverso da quello d'anno! Voi vi annojate mortal-mente, vi siete fatto pallido e quasi giallo. Babbo mio,se non ripigliate le vostre interrotte consuetudini, voidarete il più grande di tutti i dolori alla vostra figliuola!

— Ma che, ma che? dovrei io forse essere il primo amuovermi per andare a trovare il pregiatissimo signorcugino?

— Oh! il primo no certamente.... ma.... egli non osaforse di presentarsi....

— Ed ha ragione!...

— Caro babbo, oggi è la vigilia di Natale: è un giornosanto, un giorno solenne per tutti. Noi andremo a fare lasolita visita....

— A chi?

— Alla mia buona zia Vittoria! Forse vi troveremo làil marchese vostro cugino con Adolfo, voi non ricusere-te di entrare e la pace sarà fatta, non è vero?

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— Eh! signorina, non ve la credete sì facile!... —

Non daremo il resto del dialogo; Amalia e i nostri let-tori s'accorsero già dalle parole del vecchio che l'animosuo non era alieno da por termine a quello stato di guer-ra in cui si trovava. Egli stesso aveva dovuto[Pg 42] riflet-tere sulla poca importanza dei fatti dai quali era nata unatal disunione; perchè invitato più volte a manifestarli,biascicava le parole e non trovava espressioni abbastan-za chiare per ispiegarsi. Terminava col dire: — Insom-ma, io ho le mie buone ragioni, e non opero senza unperchè... — Parole che sono, come tutti sanno, la salva-guardia solita di chi vuol nascondere i veri motivi d'unarisoluzione già presa, o non li trova sufficienti a giustifi-carla.

Dal canto suo Adolfo aveva posto dinanzi agli occhidel padre tutte le ragioni che dovevano persuaderlo arappattumarsi, anche a costo di dover muovere il primopasso. — Se lasciate passare — diceva egli — questaoccasione delle feste, aggiugnete un'esca di piùall'avversione del conte Filippo, e la riconciliazione di-verrà più difficile, anzi impossibile. Andiamo oggi comeil solito a visitarlo; andiamo colla solita compagnia de-gli anni passati; v'assicuro ch'egli non ci farà nessunosgarbo; vi bacerete, e tutto sarà terminato. D'altronde viprego a riflettere: voi non troverete mai un più bel parti-to di matrimonio per me, ed io non consentirò a sposaremai nessun'altra donna che l'Amalia. Rinuncierete voi

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— Eh! signorina, non ve la credete sì facile!... —

Non daremo il resto del dialogo; Amalia e i nostri let-tori s'accorsero già dalle parole del vecchio che l'animosuo non era alieno da por termine a quello stato di guer-ra in cui si trovava. Egli stesso aveva dovuto[Pg 42] riflet-tere sulla poca importanza dei fatti dai quali era nata unatal disunione; perchè invitato più volte a manifestarli,biascicava le parole e non trovava espressioni abbastan-za chiare per ispiegarsi. Terminava col dire: — Insom-ma, io ho le mie buone ragioni, e non opero senza unperchè... — Parole che sono, come tutti sanno, la salva-guardia solita di chi vuol nascondere i veri motivi d'unarisoluzione già presa, o non li trova sufficienti a giustifi-carla.

Dal canto suo Adolfo aveva posto dinanzi agli occhidel padre tutte le ragioni che dovevano persuaderlo arappattumarsi, anche a costo di dover muovere il primopasso. — Se lasciate passare — diceva egli — questaoccasione delle feste, aggiugnete un'esca di piùall'avversione del conte Filippo, e la riconciliazione di-verrà più difficile, anzi impossibile. Andiamo oggi comeil solito a visitarlo; andiamo colla solita compagnia de-gli anni passati; v'assicuro ch'egli non ci farà nessunosgarbo; vi bacerete, e tutto sarà terminato. D'altronde viprego a riflettere: voi non troverete mai un più bel parti-to di matrimonio per me, ed io non consentirò a sposaremai nessun'altra donna che l'Amalia. Rinuncierete voi

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Page 60: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

alla compiacenza di stringervi fra le braccia un figlio de'vostri figli? Padre mio, ve ne scongiuro: lasciatevi unavolta guidare dal vostro Adolfo, il quale non vorrebbecerto esporvi a nessuna mortificazione. Togliamo unavolta questo scandalo che ha dato occasione a tanteciance maligne e ci ha resi la favola del paese. —

Il marchese Nicolò ascoltava senza interrompere il di-scorso del figlio, e comprendeva bene, ancorchè non vo-lesse confessarlo, tutta la solidità di queste ragioni, e laconvenienza di un tal passo verso il conte Filippo.

Potrebbe forse taluno meravigliarsi di codesta im-provvisa arrendevolezza de' due nemici parenti, ma ces-serà[Pg 43] la sua maraviglia se vorrà por mente alle cir-costanze in cui si trovavano. Lasciamo stare l'amore cheportavano a' propri figli sì l'uno che l'altro; lasciamo sta-re la forza delle ragioni onde aveano cercato di vincereuna tale ritrosìa. Vi sono alcuni astii, alcune inimicizieche nascono dai motivi più frivoli, e terminerebbero to-sto se venisse una buona occasione di potersi parlare dinuovo senza sacrificio dell'orgoglio e del puntigliosoamor proprio. A questo solo giovano talora i compli-menti che i giorni onomastici e natalizii, le principali fe-ste, e il rinnovarsi dell'anno comandano per lunga con-suetudine agli uomini, offerendo un appicco per rompe-re, come si dice, il ghiaccio, e rannodare le interrotteamicizie. In queste occasioni una parola che si può pro-ferire senza compromettersi, è più eloquente di un for-

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alla compiacenza di stringervi fra le braccia un figlio de'vostri figli? Padre mio, ve ne scongiuro: lasciatevi unavolta guidare dal vostro Adolfo, il quale non vorrebbecerto esporvi a nessuna mortificazione. Togliamo unavolta questo scandalo che ha dato occasione a tanteciance maligne e ci ha resi la favola del paese. —

Il marchese Nicolò ascoltava senza interrompere il di-scorso del figlio, e comprendeva bene, ancorchè non vo-lesse confessarlo, tutta la solidità di queste ragioni, e laconvenienza di un tal passo verso il conte Filippo.

Potrebbe forse taluno meravigliarsi di codesta im-provvisa arrendevolezza de' due nemici parenti, ma ces-serà[Pg 43] la sua maraviglia se vorrà por mente alle cir-costanze in cui si trovavano. Lasciamo stare l'amore cheportavano a' propri figli sì l'uno che l'altro; lasciamo sta-re la forza delle ragioni onde aveano cercato di vincereuna tale ritrosìa. Vi sono alcuni astii, alcune inimicizieche nascono dai motivi più frivoli, e terminerebbero to-sto se venisse una buona occasione di potersi parlare dinuovo senza sacrificio dell'orgoglio e del puntigliosoamor proprio. A questo solo giovano talora i compli-menti che i giorni onomastici e natalizii, le principali fe-ste, e il rinnovarsi dell'anno comandano per lunga con-suetudine agli uomini, offerendo un appicco per rompe-re, come si dice, il ghiaccio, e rannodare le interrotteamicizie. In queste occasioni una parola che si può pro-ferire senza compromettersi, è più eloquente di un for-

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male trattato di riconciliazione; gli è come un tempo ditregua fra le potenze belligeranti, durante il quale, mas-sime a' tempi antichi, i due campi nemici potevano ac-comunarsi e bevere alla salute gli uni degli altri.

Dall'altra parte, nel caso nostro, v'era la qualità delgiorno, che perorava di molto a pro della pace edell'amore. Mi appello anche per questo ai villaggi e allecittà di provincia. Quell'allegro scampanìo delle vigilie,quel suonare a distesa la mattina del dì festivo, quel ve-der tutto il popolo, vestito di nuovo e de' migliori suoiabiti, abbandonar le faccende per riposare un poco dallafatica, e per concorrere alla parrocchia a udire la vocedel buon pievano; la stessa infrequenza di codesti ritisolenni li rende più cari e più venerabili. Una sola paro-la, un solo pensiero li accorda e li anima tutti. Le memo-rie degli anni andati si riannodano a queste principalisolennità, e allora si formano i presagi della futura pro-sperità dell'annata. Vedete i proverbi rurali: partono tuttida un santo e da una festa primaria. Le feste[Pg 44] di Na-tale poi, che sono poste come una specie di ponte fral'anno che va e l'altro che sta per venire, il pranzo ritualedella vigilia, gl'inviti che raccolgono tutti gli individuiad una sola mensa comune; tutto ciò concorre mirabil-mente a porre gli animi in una certa armonia di pensierie di sentimenti, la quale è parte principalissima della re-ligione: giacchè la religione è appunto un vincolo di fra-tellanza fra gli uomini e l'accordo de' loro animi in gran-de unità.

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male trattato di riconciliazione; gli è come un tempo ditregua fra le potenze belligeranti, durante il quale, mas-sime a' tempi antichi, i due campi nemici potevano ac-comunarsi e bevere alla salute gli uni degli altri.

Dall'altra parte, nel caso nostro, v'era la qualità delgiorno, che perorava di molto a pro della pace edell'amore. Mi appello anche per questo ai villaggi e allecittà di provincia. Quell'allegro scampanìo delle vigilie,quel suonare a distesa la mattina del dì festivo, quel ve-der tutto il popolo, vestito di nuovo e de' migliori suoiabiti, abbandonar le faccende per riposare un poco dallafatica, e per concorrere alla parrocchia a udire la vocedel buon pievano; la stessa infrequenza di codesti ritisolenni li rende più cari e più venerabili. Una sola paro-la, un solo pensiero li accorda e li anima tutti. Le memo-rie degli anni andati si riannodano a queste principalisolennità, e allora si formano i presagi della futura pro-sperità dell'annata. Vedete i proverbi rurali: partono tuttida un santo e da una festa primaria. Le feste[Pg 44] di Na-tale poi, che sono poste come una specie di ponte fral'anno che va e l'altro che sta per venire, il pranzo ritualedella vigilia, gl'inviti che raccolgono tutti gli individuiad una sola mensa comune; tutto ciò concorre mirabil-mente a porre gli animi in una certa armonia di pensierie di sentimenti, la quale è parte principalissima della re-ligione: giacchè la religione è appunto un vincolo di fra-tellanza fra gli uomini e l'accordo de' loro animi in gran-de unità.

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Quando fu presso il mezzogiorno, il conte Filippo,ancorchè non fosse molto contento della propria salute,uscì colla figlia per visitare la zia Vittoria. Ivi dovevatrovarsi il Marchese, ed era stabilito ch'ei fosse il primoa porger la mano, lasciando al caso la cura del resto. Idue giovani poi s'arrogavano il diritto di dirigere il caso.

Ma il caso questa volta non si lasciò comandare daigiovani. Il conte e la figliuola rimasero lungamentepresso la zia, nè il marchese si vedeva mai comparire.Vi lascio pensare l'impazienza e l'inquietudine della po-vera Amalia la quale non sapeva a che attribuire talecontrattempo. Ella era tutta occhi alle finestre che guar-davano sulla via, tutta orecchi al più piccolo rumore chepotesse parere quello di persona che si avvinasse: ri-spondeva a balzi ora sbadata, alla buona parente, ora af-fettuosa per prolungare la visita, e affettava avere qual-che cosa a comunicarle. Il conte era un po' rannuvolatoperchè gli pareva d'essere stato un'altra volta leso nellasua dignità. Dieci volte s'era levato per partire, e allafine, essendo già corsa un'ora che si trovavano lì, disseseveramente alla figlia: — O venite, o vado! —

Alla poveretta bisognò rassegnarsi e partire, benchè leparesse sfuggirle di pugno, partendo, il buon esito delsuo progetto. Cominciò a scendere lentamente la scala,e[Pg 45] finse d'aver dimenticato il fazzoletto, tanto perindugiarsi un momento di più. Raggiunto il padre chepestava i piedi, sperava pure che gli avrebbero trovati

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Quando fu presso il mezzogiorno, il conte Filippo,ancorchè non fosse molto contento della propria salute,uscì colla figlia per visitare la zia Vittoria. Ivi dovevatrovarsi il Marchese, ed era stabilito ch'ei fosse il primoa porger la mano, lasciando al caso la cura del resto. Idue giovani poi s'arrogavano il diritto di dirigere il caso.

Ma il caso questa volta non si lasciò comandare daigiovani. Il conte e la figliuola rimasero lungamentepresso la zia, nè il marchese si vedeva mai comparire.Vi lascio pensare l'impazienza e l'inquietudine della po-vera Amalia la quale non sapeva a che attribuire talecontrattempo. Ella era tutta occhi alle finestre che guar-davano sulla via, tutta orecchi al più piccolo rumore chepotesse parere quello di persona che si avvinasse: ri-spondeva a balzi ora sbadata, alla buona parente, ora af-fettuosa per prolungare la visita, e affettava avere qual-che cosa a comunicarle. Il conte era un po' rannuvolatoperchè gli pareva d'essere stato un'altra volta leso nellasua dignità. Dieci volte s'era levato per partire, e allafine, essendo già corsa un'ora che si trovavano lì, disseseveramente alla figlia: — O venite, o vado! —

Alla poveretta bisognò rassegnarsi e partire, benchè leparesse sfuggirle di pugno, partendo, il buon esito delsuo progetto. Cominciò a scendere lentamente la scala,e[Pg 45] finse d'aver dimenticato il fazzoletto, tanto perindugiarsi un momento di più. Raggiunto il padre chepestava i piedi, sperava pure che gli avrebbero trovati

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nell'andito. Nes-suno. Almeno si fossero incontrati pervia! v'era ancora mezzo di salvare le convenienze. Nes-suno, nè anche per via. Giunsero a casa senza che il pa-dre le rivolgesse una parola, senza che rispondesse purealle sue molte domande; ambidue col cuore raggruppa-to, l'uno dalla bile, l'altra da un misto di dolore e di stiz-za ch'era lì lì per prorompere in pianto.

Ma nel salire in fretta le scale della propria abitazio-ne, le parve di sentire gente nella stanza da ricevimento:una nuova speranza, come per una intuizione dell'anima,le sorrise al pensiero; la cameriera dall'alto della scala les'affacciò imbarazzata e premurosa per avvertirla di unastrana visita che si trovava da mezz'ora là sopra.... Era ilmarchese Nicolò con Adolfo, i quali avevano credutopiù opportuno andar direttamente dal Conte che sapeva-no indisposto, e segnare col nome di Dio la loro transa-zione colà piuttosto che in casa d'un terzo. La figlia tor-nò indietro a precipizio; raggiunse il padre ch'era restatoin cucina a dare i suoi ordini al cuoco; e con poche paro-le lo persuase a salire informandolo dell'accaduto, e pre-sentandogli nel miglior aspetto codesta prévenance de'due visitatori.

— Da mezz'ora v'aspettano, caro babbo, e voglionoaugurarvi felici le sante feste! —

I due vecchi, apparentemente freddi, ma pure frenan-do a fatica la commozione dell'animo s'incontrarono

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nell'andito. Nes-suno. Almeno si fossero incontrati pervia! v'era ancora mezzo di salvare le convenienze. Nes-suno, nè anche per via. Giunsero a casa senza che il pa-dre le rivolgesse una parola, senza che rispondesse purealle sue molte domande; ambidue col cuore raggruppa-to, l'uno dalla bile, l'altra da un misto di dolore e di stiz-za ch'era lì lì per prorompere in pianto.

Ma nel salire in fretta le scale della propria abitazio-ne, le parve di sentire gente nella stanza da ricevimento:una nuova speranza, come per una intuizione dell'anima,le sorrise al pensiero; la cameriera dall'alto della scala les'affacciò imbarazzata e premurosa per avvertirla di unastrana visita che si trovava da mezz'ora là sopra.... Era ilmarchese Nicolò con Adolfo, i quali avevano credutopiù opportuno andar direttamente dal Conte che sapeva-no indisposto, e segnare col nome di Dio la loro transa-zione colà piuttosto che in casa d'un terzo. La figlia tor-nò indietro a precipizio; raggiunse il padre ch'era restatoin cucina a dare i suoi ordini al cuoco; e con poche paro-le lo persuase a salire informandolo dell'accaduto, e pre-sentandogli nel miglior aspetto codesta prévenance de'due visitatori.

— Da mezz'ora v'aspettano, caro babbo, e voglionoaugurarvi felici le sante feste! —

I due vecchi, apparentemente freddi, ma pure frenan-do a fatica la commozione dell'animo s'incontrarono

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nell'anticamera, si strinsero la mano e a più riprese ri-cambiarono i loro augurii: — per molti anni, caro cugi-no! per molti anni! e voglia il Cielo che possiamo pas-sargli in buona armonia! — La povera Amalia ch'erastata fino allora perplessa fra la speranza e il timore, alvedere[Pg 46] i due vecchi stringersi a più riprese la destracon tutta l'apparenza d'una vera riconciliazione diede inun pianto dirotto e si gettò nelle braccia d'Adolfo cheaveva pure gli occhi rossi, e poco mancava non la imi-tasse. Sopraggiunsero altri visitatori, e fu bene, perchèliberarono tutti dall'imbarazzo di venire a spiegazioni eproteste che avrebbero forse recato più danno che altro.I cuori avevano parlato e bastava. I due giovani viderobene che la pace non si sarebbe fatta a metà.

Quel giorno fu consumato in discorsi; chè potete benpensare quante cose avevano a dirsi i due parenti ricon-ciliati. Giunse l'ora del pranzo, anzi pur della cena, e ilmarchese e il figlio dovettero rimanersene lì, perchèl'Amalia, sbadatamente, avea fatto preparare due posatedi più. Un buon bicchiere di vino stravecchio suggellò lapace perfettamente, e questo caso fece smentire in parteil proverbio, minestra riscaldata e amicizia rinnova-ta..... con quel che segue.

Ed ecco intanto le visite della sera: ecco portarsi ilumi, stendersi i tavolieri, trar fuori le carte e gli altrigiuochi consueti della giornata. In una vasta sala si pian-tò una dolce partita di tombola, mentre quattro persone

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nell'anticamera, si strinsero la mano e a più riprese ri-cambiarono i loro augurii: — per molti anni, caro cugi-no! per molti anni! e voglia il Cielo che possiamo pas-sargli in buona armonia! — La povera Amalia ch'erastata fino allora perplessa fra la speranza e il timore, alvedere[Pg 46] i due vecchi stringersi a più riprese la destracon tutta l'apparenza d'una vera riconciliazione diede inun pianto dirotto e si gettò nelle braccia d'Adolfo cheaveva pure gli occhi rossi, e poco mancava non la imi-tasse. Sopraggiunsero altri visitatori, e fu bene, perchèliberarono tutti dall'imbarazzo di venire a spiegazioni eproteste che avrebbero forse recato più danno che altro.I cuori avevano parlato e bastava. I due giovani viderobene che la pace non si sarebbe fatta a metà.

Quel giorno fu consumato in discorsi; chè potete benpensare quante cose avevano a dirsi i due parenti ricon-ciliati. Giunse l'ora del pranzo, anzi pur della cena, e ilmarchese e il figlio dovettero rimanersene lì, perchèl'Amalia, sbadatamente, avea fatto preparare due posatedi più. Un buon bicchiere di vino stravecchio suggellò lapace perfettamente, e questo caso fece smentire in parteil proverbio, minestra riscaldata e amicizia rinnova-ta..... con quel che segue.

Ed ecco intanto le visite della sera: ecco portarsi ilumi, stendersi i tavolieri, trar fuori le carte e gli altrigiuochi consueti della giornata. In una vasta sala si pian-tò una dolce partita di tombola, mentre quattro persone

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mature e assennate, fra le quali i nostri due campioni, siposero a rinnovare il classico e troppo a lungo interrottotressette. Di mano in mano che la varia fortuna agitavagli animi fra l'intervallo delle partite, ricorrevano nellamente de' giuocatori i casi memorandi ed incredibili del-la passata carriera, e il marchese Nicolò fece onore allasua memoria ricordando un cappotto dato due anni pri-ma, e indicando l'ordine con cui s'erano giuocate le car-te, e gli artifici finamente e coscienziosamente adoperatida una parte e dall'altra. Per buona sorte non ci furonosproporzionate vittorie nè di qua nè di là; sicchè gli ani-mi rimasero in pace, e tutti[Pg 47] celebrarono, prendendoil caffè, la restaurazione della sublime partita.

Dei casi della tombola non parlerò: dirò solamenteche Adolfo ed Amalia furono sfortunatissimi. Mai nonaccadde che vincessero nè punto nè poco: anzi non sa-prei dire perchè i loro numeri non venivano coperti mai.O l'uno o l'altro gridava tombola, ed essi non avevanoancora fatto quintina.

Ma erano però tanto contenti dell'ambo!

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mature e assennate, fra le quali i nostri due campioni, siposero a rinnovare il classico e troppo a lungo interrottotressette. Di mano in mano che la varia fortuna agitavagli animi fra l'intervallo delle partite, ricorrevano nellamente de' giuocatori i casi memorandi ed incredibili del-la passata carriera, e il marchese Nicolò fece onore allasua memoria ricordando un cappotto dato due anni pri-ma, e indicando l'ordine con cui s'erano giuocate le car-te, e gli artifici finamente e coscienziosamente adoperatida una parte e dall'altra. Per buona sorte non ci furonosproporzionate vittorie nè di qua nè di là; sicchè gli ani-mi rimasero in pace, e tutti[Pg 47] celebrarono, prendendoil caffè, la restaurazione della sublime partita.

Dei casi della tombola non parlerò: dirò solamenteche Adolfo ed Amalia furono sfortunatissimi. Mai nonaccadde che vincessero nè punto nè poco: anzi non sa-prei dire perchè i loro numeri non venivano coperti mai.O l'uno o l'altro gridava tombola, ed essi non avevanoancora fatto quintina.

Ma erano però tanto contenti dell'ambo!

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I DUE CASTELLI IN ARIA.

I.

La Camelia.

Matilde, quando io la vidi la prima volta, poteva ave-re tutt'al più sedici anni. Ella era l'unica figlia del conteRinaldo di Susans, una delle più ricche e nobili case del-la provincia. Venuta alla luce assai tardi, quando il padree la madre aveano già perduto la speranza d'aver un frut-to della loro unione, fu circondata fin dalle fasce di tuttele cure che la tenerezza materna e l'orgoglio patriziopossono suggerire. Padre e madre erano fino allora vis-suti per se medesimi; ora rivolsero entrambi il loro divi-so egoismo in lei sola, e non vissero che per lei. Se crea-tura al mondo potesse essere un modello di perfezione ecentro di tutte le umane felicità, questa creatura parevadovesse esser Matilde. Lei ricca, lei bella, lei nobile, leifornita di naturale ingegno e di tutti i mezzi più validi asvilupparlo. Il padre e la madre vagheggiavano codestoidolo, fabbricavano nella loro immaginazione il suo av-venire; la vedevano amata, ammirata, fatta segno d'unaspecie di culto a tutto il paese. Oh! se avessero potutofabbricarle anche un compagno degno di lei! Questasola idea, questo solo dubbio intorbidava[Pg 49] le loroserene fantasie, e interrompeva il corso de' loro amore-

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I DUE CASTELLI IN ARIA.

I.

La Camelia.

Matilde, quando io la vidi la prima volta, poteva ave-re tutt'al più sedici anni. Ella era l'unica figlia del conteRinaldo di Susans, una delle più ricche e nobili case del-la provincia. Venuta alla luce assai tardi, quando il padree la madre aveano già perduto la speranza d'aver un frut-to della loro unione, fu circondata fin dalle fasce di tuttele cure che la tenerezza materna e l'orgoglio patriziopossono suggerire. Padre e madre erano fino allora vis-suti per se medesimi; ora rivolsero entrambi il loro divi-so egoismo in lei sola, e non vissero che per lei. Se crea-tura al mondo potesse essere un modello di perfezione ecentro di tutte le umane felicità, questa creatura parevadovesse esser Matilde. Lei ricca, lei bella, lei nobile, leifornita di naturale ingegno e di tutti i mezzi più validi asvilupparlo. Il padre e la madre vagheggiavano codestoidolo, fabbricavano nella loro immaginazione il suo av-venire; la vedevano amata, ammirata, fatta segno d'unaspecie di culto a tutto il paese. Oh! se avessero potutofabbricarle anche un compagno degno di lei! Questasola idea, questo solo dubbio intorbidava[Pg 49] le loroserene fantasie, e interrompeva il corso de' loro amore-

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voli sogni.

Appena Matilde cominciò a muovere i primi passi,appena la sua lingua balbettò le prime parole, si pensò algenere di educazione che si sarebbe adottato per questaprivilegiata creatura. Il conte e la contessa erano statieducati come usava al lor tempo, in quel tempo in cui sidiceva: — Tu sei nobile, tu sei ricco, che bisogno hai tudi studiare? Il povero che non ha terre al sole, studii e siaffatichi per te. — Aveano imparato, una il ballo in con-vento, l'altro la scherma in un collegio di Gesuiti: sape-vano scrivere, essa un viglietto d'invito, egli una rimo-stranza al fattore: quella avea letto la Clarissa di Ri-chardson per tenersi in guardia dai Lovelace, questi ilCandido di Voltaire per imparare a prendere il mondocon una certa superiorità: del resto avevano ubbidito aiconsigli tradizionali ch'io dissi, senza pensare più là:anzi quando sentivano parlare di nuovi metodi educato-rj, di nuovi istituti e di una farragine di libri che s'anda-vano stampando a tal uopo, ridevano cordialmente echiamavano col titolo di novatori e di filosofi modernitutta quella buona gente, veri don Desiderj disperati pereccesso di buon cuore.

Ma quando ebbero questa figlia si trovarono non socome cambiati. Le nuove idee erano loro entrate nelsangue senza che se ne avvedessero, anzi malgrado loro.Molte cose, che si sogliono biasimare finchè si conside-rano così in astratto, fuori del caso di metterle in pratica,

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voli sogni.

Appena Matilde cominciò a muovere i primi passi,appena la sua lingua balbettò le prime parole, si pensò algenere di educazione che si sarebbe adottato per questaprivilegiata creatura. Il conte e la contessa erano statieducati come usava al lor tempo, in quel tempo in cui sidiceva: — Tu sei nobile, tu sei ricco, che bisogno hai tudi studiare? Il povero che non ha terre al sole, studii e siaffatichi per te. — Aveano imparato, una il ballo in con-vento, l'altro la scherma in un collegio di Gesuiti: sape-vano scrivere, essa un viglietto d'invito, egli una rimo-stranza al fattore: quella avea letto la Clarissa di Ri-chardson per tenersi in guardia dai Lovelace, questi ilCandido di Voltaire per imparare a prendere il mondocon una certa superiorità: del resto avevano ubbidito aiconsigli tradizionali ch'io dissi, senza pensare più là:anzi quando sentivano parlare di nuovi metodi educato-rj, di nuovi istituti e di una farragine di libri che s'anda-vano stampando a tal uopo, ridevano cordialmente echiamavano col titolo di novatori e di filosofi modernitutta quella buona gente, veri don Desiderj disperati pereccesso di buon cuore.

Ma quando ebbero questa figlia si trovarono non socome cambiati. Le nuove idee erano loro entrate nelsangue senza che se ne avvedessero, anzi malgrado loro.Molte cose, che si sogliono biasimare finchè si conside-rano così in astratto, fuori del caso di metterle in pratica,

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si mostrano poi sotto un aspetto diverso quando l'adot-tarle o il respingerle può in qualche modo influire sulnostro ben essere. Ciò avvenne appunto ai genitori diMatilde. Cominciarono a dirsi fra loro: — Che fossevero? Che abbiano ragione costoro? Che una miglioreeducazione possa proprio concorrere alla maggior felici-tà di[Pg 50] Matilde? Bisogna provare: non foss'altro per-chè il mondo non abbia a dire che si è trascurata alcunacosa per lei. — Persuasione o vanità che fosse, fu stabi-lito fino da quel momento che la bambina sarebbe edu-cata secondo i metodi, non dirò migliori, ma più moder-ni. E forse il conte e la contessa, facendo un esame dicoscienza un po' più scrupoloso del solito, si saranno sti-mati per quello ch'erano, non per ciò che si sforzavanod'apparire. — Ella dev'essere più colta e più felice dinoi! — si dissero i due conjugi, concludendo un diver-bio in cui s'erano immersi un bel dopo pranzo, il giornoche la loro bambina era tornata da balia.

Povera bambina, da quel momento la tua sentenza fuirrevocabile. Tu dovevi riuscire perfetta e felice a lormodo!

Il metodo di educazione adottato dal conte e dallacontessa divideva l'educanda in tre parti: corpo, spirito ecuore; il corpo doveva riuscire sano ed elegante; lo spi-rito ornato di tutte le cognizioni che piacciono nelladonna; il cuore poi bisognava preservarlo da tutte le for-ti emozioni di qualunque genere fossero — perchè —

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si mostrano poi sotto un aspetto diverso quando l'adot-tarle o il respingerle può in qualche modo influire sulnostro ben essere. Ciò avvenne appunto ai genitori diMatilde. Cominciarono a dirsi fra loro: — Che fossevero? Che abbiano ragione costoro? Che una miglioreeducazione possa proprio concorrere alla maggior felici-tà di[Pg 50] Matilde? Bisogna provare: non foss'altro per-chè il mondo non abbia a dire che si è trascurata alcunacosa per lei. — Persuasione o vanità che fosse, fu stabi-lito fino da quel momento che la bambina sarebbe edu-cata secondo i metodi, non dirò migliori, ma più moder-ni. E forse il conte e la contessa, facendo un esame dicoscienza un po' più scrupoloso del solito, si saranno sti-mati per quello ch'erano, non per ciò che si sforzavanod'apparire. — Ella dev'essere più colta e più felice dinoi! — si dissero i due conjugi, concludendo un diver-bio in cui s'erano immersi un bel dopo pranzo, il giornoche la loro bambina era tornata da balia.

Povera bambina, da quel momento la tua sentenza fuirrevocabile. Tu dovevi riuscire perfetta e felice a lormodo!

Il metodo di educazione adottato dal conte e dallacontessa divideva l'educanda in tre parti: corpo, spirito ecuore; il corpo doveva riuscire sano ed elegante; lo spi-rito ornato di tutte le cognizioni che piacciono nelladonna; il cuore poi bisognava preservarlo da tutte le for-ti emozioni di qualunque genere fossero — perchè —

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diceva il conte — le nostre passioni devono servire aiveri interessi della famiglia, — e perchè — aggiungevala contessa — chi ha un cuore troppo sensibile, è allafine infelice, ed io lo so per prova. — I due nobili conju-gi si guardarono in volto, parvero voler dirsi non so chealtro, ma poi si tacquero per prudenza. Il conte si con-tentò di grattarsi la tempia col dito mignolo, la contessasi morse un pochino il labbro inferiore e s'accostò allafinestra per pigliar aria.

La grand'opera intanto fu cominciata. Un medicoamico di casa, esaminata la fisica costituzione dellabambina, gracile anzi che no, ordinò che si dovesseguardarla dalle infreddature, coprirla bene, esporlaall'aria meno che si potesse, trattarla, in una parola,come una[Pg 51] pianta esotica che si fa vegetare nel cali-dario. Ogni giorno c'era qualcosa da fare, qualcosa daprendere; ora il calomelano pei vermini, ora l'ipecacua-na pei denti, or la manna, or la magnesia caustica per al-tri malori infantili. Povero fiorellino! a cui si voleva dartutto, fuori che il latte materno, l'aria, la luce e la libertà!

Quanto allo spirito ci si pensò subito. Si fece venireun'aja svizzera per insegnarle la lingua francese e la te-desca. — Già l'italiana — diceva il conte — s'impara dasè; — e poi — soggiungeva la contessa — l'italiano nonpotrebbe servirle a nulla nel bel mondo dov'è chiamata abrillare; tutt'al più a cantare un'arietta o una romanzaquando se ne presenti l'occasione. — Allo studio delle

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diceva il conte — le nostre passioni devono servire aiveri interessi della famiglia, — e perchè — aggiungevala contessa — chi ha un cuore troppo sensibile, è allafine infelice, ed io lo so per prova. — I due nobili conju-gi si guardarono in volto, parvero voler dirsi non so chealtro, ma poi si tacquero per prudenza. Il conte si con-tentò di grattarsi la tempia col dito mignolo, la contessasi morse un pochino il labbro inferiore e s'accostò allafinestra per pigliar aria.

La grand'opera intanto fu cominciata. Un medicoamico di casa, esaminata la fisica costituzione dellabambina, gracile anzi che no, ordinò che si dovesseguardarla dalle infreddature, coprirla bene, esporlaall'aria meno che si potesse, trattarla, in una parola,come una[Pg 51] pianta esotica che si fa vegetare nel cali-dario. Ogni giorno c'era qualcosa da fare, qualcosa daprendere; ora il calomelano pei vermini, ora l'ipecacua-na pei denti, or la manna, or la magnesia caustica per al-tri malori infantili. Povero fiorellino! a cui si voleva dartutto, fuori che il latte materno, l'aria, la luce e la libertà!

Quanto allo spirito ci si pensò subito. Si fece venireun'aja svizzera per insegnarle la lingua francese e la te-desca. — Già l'italiana — diceva il conte — s'impara dasè; — e poi — soggiungeva la contessa — l'italiano nonpotrebbe servirle a nulla nel bel mondo dov'è chiamata abrillare; tutt'al più a cantare un'arietta o una romanzaquando se ne presenti l'occasione. — Allo studio delle

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lingue straniere tenne dietro il disegno, il ricamo e l'ine-vitabile pianoforte. Bisognava dai primi anni educare ledita alla flessibilità che domanda quell'istrumento. Piùtardi poi si svolgerà l'organo della voce, si passerà dalsuono al canto, com'è costume. Ogni giorno era divisoin piccoli frammenti: ogni giorno aveva la sua lezione dilingua, di disegno, di ricamo, di danza, di musica. Pove-ro spirito! se non riuscivi un modello di perfezione, cer-to non era per difetto di cure.

Resta il cuore. Che cosa è il cuore? — s'era domanda-to il conte. Il cuore è un muscolo, un organo, un pezzodi carne e nulla più. Ma la contessa l'avea fatto tacere,citando madama di Genlis e non so quali altre chiarissi-me chiacchierone francesi che non hanno altra cosa inbocca se non il cuore. — Il cuore è tutto; e chi non neha, non ne parli. — Il conte tornò a grattarsi la tempia eabbandonò alla contessa e al suo venerabile direttorel'educazione di questa parte della sua diletta unigenita. Ilvenerabile direttore insegnò alla fanciullina di sett'anniil catechismo, le spiegò il libro dell'Imitazione, le incul-cò l'obbedienza, l'umiltà, la rassegnazione,[Pg 52] la vera-cità, la pietà e tutte le altre virtù. Questi insegnamentierano utili e santi, ma la poverina li trovava spesso con-tradetti dalle massime che le venivano inculcando il pa-dre, la madre, l'aja e le altre buone e savie persone chele facevan corona. — Questo è bene in sè — dicevano— ma non conviene al tuo grado. Fare la carità è cosasanta, ma non bisogna farla a persone sfaccendate e vi-

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lingue straniere tenne dietro il disegno, il ricamo e l'ine-vitabile pianoforte. Bisognava dai primi anni educare ledita alla flessibilità che domanda quell'istrumento. Piùtardi poi si svolgerà l'organo della voce, si passerà dalsuono al canto, com'è costume. Ogni giorno era divisoin piccoli frammenti: ogni giorno aveva la sua lezione dilingua, di disegno, di ricamo, di danza, di musica. Pove-ro spirito! se non riuscivi un modello di perfezione, cer-to non era per difetto di cure.

Resta il cuore. Che cosa è il cuore? — s'era domanda-to il conte. Il cuore è un muscolo, un organo, un pezzodi carne e nulla più. Ma la contessa l'avea fatto tacere,citando madama di Genlis e non so quali altre chiarissi-me chiacchierone francesi che non hanno altra cosa inbocca se non il cuore. — Il cuore è tutto; e chi non neha, non ne parli. — Il conte tornò a grattarsi la tempia eabbandonò alla contessa e al suo venerabile direttorel'educazione di questa parte della sua diletta unigenita. Ilvenerabile direttore insegnò alla fanciullina di sett'anniil catechismo, le spiegò il libro dell'Imitazione, le incul-cò l'obbedienza, l'umiltà, la rassegnazione,[Pg 52] la vera-cità, la pietà e tutte le altre virtù. Questi insegnamentierano utili e santi, ma la poverina li trovava spesso con-tradetti dalle massime che le venivano inculcando il pa-dre, la madre, l'aja e le altre buone e savie persone chele facevan corona. — Questo è bene in sè — dicevano— ma non conviene al tuo grado. Fare la carità è cosasanta, ma non bisogna farla a persone sfaccendate e vi-

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ziose. Questo è un dovere dinanzi a Dio, ma ti esporreb-be alle beffe dinanzi al mondo. Il decoro, il decoro, fi-gliuola mia! Tutto sta nel distinguere. Altro è la teoria,altro la pratica. Da ciò si vede che il conte, non contentodella triplice divisione, avrebbe voluto suddividere laeducazione del cuore in due parti: il bene e il convenien-te, la virtù e il decoro, la coscienza e il bon ton. — S'iosapessi scrivere — diss'egli — la vorrei inculcare a tuttiquesta necessaria distinzione. Ne parlerò al direttore. Iogli darò le idee, egli le metterà in carta, e porteremo lanostra pietra al grande edifizio della educazione sociale.—

Povero cuore! e che colpa ne avrai tu, se pel conflittodel dovere e della moda ti lascerai trasportare dalla cor-rente? —

Ospite, per un accidente che non importa narrare, incasa del conte, fui invitato ad ammirare i miracolettidell'unigenita, che aveva, come vi dissi già, sedici anni.Vidi immersa in un soffice seggiolone una biondina pal-lida, magra, tutta occhi, che al mio entrare fece le vistedi alzarsi, e ricadde a un cenno della madre sull'elasticosuo cuscino. Aveva una cuffietta annodata sotto al men-to da un nastrino celeste, un elegante accappatojo le av-volgeva le gracili forme, i piedini erano mezzo vestitid'una pantofola ricamata. Doppie impannate impedivanoall'aria di penetrare in quel santuario: e la luce del solegiugneva attraverso i ricchi cortinaggi che l'attenuava-

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ziose. Questo è un dovere dinanzi a Dio, ma ti esporreb-be alle beffe dinanzi al mondo. Il decoro, il decoro, fi-gliuola mia! Tutto sta nel distinguere. Altro è la teoria,altro la pratica. Da ciò si vede che il conte, non contentodella triplice divisione, avrebbe voluto suddividere laeducazione del cuore in due parti: il bene e il convenien-te, la virtù e il decoro, la coscienza e il bon ton. — S'iosapessi scrivere — diss'egli — la vorrei inculcare a tuttiquesta necessaria distinzione. Ne parlerò al direttore. Iogli darò le idee, egli le metterà in carta, e porteremo lanostra pietra al grande edifizio della educazione sociale.—

Povero cuore! e che colpa ne avrai tu, se pel conflittodel dovere e della moda ti lascerai trasportare dalla cor-rente? —

Ospite, per un accidente che non importa narrare, incasa del conte, fui invitato ad ammirare i miracolettidell'unigenita, che aveva, come vi dissi già, sedici anni.Vidi immersa in un soffice seggiolone una biondina pal-lida, magra, tutta occhi, che al mio entrare fece le vistedi alzarsi, e ricadde a un cenno della madre sull'elasticosuo cuscino. Aveva una cuffietta annodata sotto al men-to da un nastrino celeste, un elegante accappatojo le av-volgeva le gracili forme, i piedini erano mezzo vestitid'una pantofola ricamata. Doppie impannate impedivanoall'aria di penetrare in quel santuario: e la luce del solegiugneva attraverso i ricchi cortinaggi che l'attenuava-

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no[Pg 53] e raddolcivano all'occhio. Molli tappeti copriva-no il pavimento, serici arazzi le pareti, tutto era fatto perallontanare dalla delicata personcina le impressioni trop-po vive che potessero ferirne i sensi. Il mondo fisico e ilmondo morale non dovevano giugnere a lei se non mo-dificati dall'arte.

Mentre il conte, la contessa e la bonne mi mostravanoa gara chi un ricamo, chi un acquerello, chi un tema dili-gentemente ricopiato, chi l'albo pieno dei più smaccatielogi, la giovinetta si sforzava di sorridere con una gen-tile smorfietta, non saprei dire se di modestia o d'orgo-glio, secondo il sistema anfibologico della educazionepaterna. Ma la sua fronte cerea apparve solcata da unaruga obliqua tra i sopraccigli, e gli angoli della boccapresentavano una linea d'una espressione indefinibiled'amarezza e di pena. Era una malattia fisica o moraleche si manifestava in quel sintomo? Non saprei dire.Forse l'una e l'altra insieme.

Uscendo da quella camera mi disse il conte: — Oh!mia figlia, quando sarà lanciata nel mondo, farà onoreall'educazione che ha ricevuta. Un bel nome, dugento-mila scudi di dote, e un'educazione così compìta! Checosa le manca per essere perfetta e felice!

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no[Pg 53] e raddolcivano all'occhio. Molli tappeti copriva-no il pavimento, serici arazzi le pareti, tutto era fatto perallontanare dalla delicata personcina le impressioni trop-po vive che potessero ferirne i sensi. Il mondo fisico e ilmondo morale non dovevano giugnere a lei se non mo-dificati dall'arte.

Mentre il conte, la contessa e la bonne mi mostravanoa gara chi un ricamo, chi un acquerello, chi un tema dili-gentemente ricopiato, chi l'albo pieno dei più smaccatielogi, la giovinetta si sforzava di sorridere con una gen-tile smorfietta, non saprei dire se di modestia o d'orgo-glio, secondo il sistema anfibologico della educazionepaterna. Ma la sua fronte cerea apparve solcata da unaruga obliqua tra i sopraccigli, e gli angoli della boccapresentavano una linea d'una espressione indefinibiled'amarezza e di pena. Era una malattia fisica o moraleche si manifestava in quel sintomo? Non saprei dire.Forse l'una e l'altra insieme.

Uscendo da quella camera mi disse il conte: — Oh!mia figlia, quando sarà lanciata nel mondo, farà onoreall'educazione che ha ricevuta. Un bel nome, dugento-mila scudi di dote, e un'educazione così compìta! Checosa le manca per essere perfetta e felice!

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II.

La Rosa.

Alcuni mesi prima che venisse alla luce l'amabile eprivilegiata creatura che descrissi alla meglio, in un vil-laggio tre leghe discosto dalla città, nasceva un'altrabambina che doveva dividere con essa il latte materno.Nasceva senza aspettazioni, senza complimenti, quasiquasi senza levatrice; fu battezzata col nome di Maria,[Pg 54] e il padre e la madre, buoni mezzajuoli del contedi Susans, vedendola vegeta e tarchiatella si dissero fraloro: — In pochi anni ci aiuterà al campo, e si farà ilcorredo filando. — Fu spoppata di sei mesi, perchè met-teva già i denti ed appetiva altro cibo, e la Margheritas'offerse per balia alla bambina della propria padronanata a quei giorni. Questa approfittò dell'occasione, di-menticò i libri che raccomandano alle madri questo pri-mo dovere d'allattare i propri figli, consultò il medico dicasa, il quale, interrogati prima gli occhi di lei, dichiaròche la sua salute non permetteva l'allattamento, e quieta-ta così la coscienza, si mandò la figliuola a balia dallaMargherita. Chi vedeva quelle due bambine non potevatrattenersi dal paragonarle fra loro. Quella era vera figliadel campo, piena di vigore e di sangue, un bel boccinodi primavera; questa era languida, sparutella; somigliavaad una di quelle roselline tardive che nascono alla se-conda vegetazione d'autunno, e sentono già il verno im-

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II.

La Rosa.

Alcuni mesi prima che venisse alla luce l'amabile eprivilegiata creatura che descrissi alla meglio, in un vil-laggio tre leghe discosto dalla città, nasceva un'altrabambina che doveva dividere con essa il latte materno.Nasceva senza aspettazioni, senza complimenti, quasiquasi senza levatrice; fu battezzata col nome di Maria,[Pg 54] e il padre e la madre, buoni mezzajuoli del contedi Susans, vedendola vegeta e tarchiatella si dissero fraloro: — In pochi anni ci aiuterà al campo, e si farà ilcorredo filando. — Fu spoppata di sei mesi, perchè met-teva già i denti ed appetiva altro cibo, e la Margheritas'offerse per balia alla bambina della propria padronanata a quei giorni. Questa approfittò dell'occasione, di-menticò i libri che raccomandano alle madri questo pri-mo dovere d'allattare i propri figli, consultò il medico dicasa, il quale, interrogati prima gli occhi di lei, dichiaròche la sua salute non permetteva l'allattamento, e quieta-ta così la coscienza, si mandò la figliuola a balia dallaMargherita. Chi vedeva quelle due bambine non potevatrattenersi dal paragonarle fra loro. Quella era vera figliadel campo, piena di vigore e di sangue, un bel boccinodi primavera; questa era languida, sparutella; somigliavaad una di quelle roselline tardive che nascono alla se-conda vegetazione d'autunno, e sentono già il verno im-

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minente. Non avevano di comune che il latte della villa-na, e anche questo per puro accidente.

Questo accidente non fu però inutile alla Maria. Lamadre, dal punto che fu assunta all'onore d'allattare lafiglia della contessa padrona, divenne oggetto di milleattenzioni. Le fu dato agio di ben nutrirsi, perchè il lattescorresse più salubre e sostanzioso nelle vene aristocra-tiche della bambina; le furono ripetuti e dalla dama e dalmedico non so quanti avvertimenti d'igiene, dei quali labuona donna non aveva mai udito parlare al villaggio,ma che pure le parvero comodi e buoni a seguire. Cono-sciuta l'utilità di queste norme, le usò del pari per la pro-pria figliuola che per l'altrui, e dei buoni brodi che le ve-nivano amministrati godeva più la figlia naturale chel'adottiva, o almeno giovavano più alla prima che allaseconda. Tratto tratto la contessa faceva[Pg 55] una corsaal villaggio e non dissimulava l'invidia che quella dispa-rità le svegliava nell'animo. Anzi talora le spuntò il rim-provero, quasi che Margherita trascurasse la bambina alei confidata per badare alla propria. Poi si racconsolavadicendo: — Si vede bene che codesto è sangue villano,mentre nei delicati lineamenti di mia figlia traspare lanobiltà del lignaggio! — Così, dato un bacio alla pro-pria, e un pizzicotto all'altrui figliuola, rimontava in car-rozza, e accompagnata dai suoi staffieri e dal medico, sene tornava in città.

Mentre i due nobili parenti almanaccavano sulla edu-

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minente. Non avevano di comune che il latte della villa-na, e anche questo per puro accidente.

Questo accidente non fu però inutile alla Maria. Lamadre, dal punto che fu assunta all'onore d'allattare lafiglia della contessa padrona, divenne oggetto di milleattenzioni. Le fu dato agio di ben nutrirsi, perchè il lattescorresse più salubre e sostanzioso nelle vene aristocra-tiche della bambina; le furono ripetuti e dalla dama e dalmedico non so quanti avvertimenti d'igiene, dei quali labuona donna non aveva mai udito parlare al villaggio,ma che pure le parvero comodi e buoni a seguire. Cono-sciuta l'utilità di queste norme, le usò del pari per la pro-pria figliuola che per l'altrui, e dei buoni brodi che le ve-nivano amministrati godeva più la figlia naturale chel'adottiva, o almeno giovavano più alla prima che allaseconda. Tratto tratto la contessa faceva[Pg 55] una corsaal villaggio e non dissimulava l'invidia che quella dispa-rità le svegliava nell'animo. Anzi talora le spuntò il rim-provero, quasi che Margherita trascurasse la bambina alei confidata per badare alla propria. Poi si racconsolavadicendo: — Si vede bene che codesto è sangue villano,mentre nei delicati lineamenti di mia figlia traspare lanobiltà del lignaggio! — Così, dato un bacio alla pro-pria, e un pizzicotto all'altrui figliuola, rimontava in car-rozza, e accompagnata dai suoi staffieri e dal medico, sene tornava in città.

Mentre i due nobili parenti almanaccavano sulla edu-

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Page 75: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

cazione da darsi al proprio sangue, i due genitori delcontado pensavano a Maria un po' meno che ai bachi daseta di cui solevano tenere una bella partita a metà. Ellaveniva su come la mal'erba nell'orto, senza l'opera dellavanga nè della zappa. Ma l'aria aperta, il sole, gli ali-menti semplici e sani, svolgevano mirabilmente la suabuona natura, e fino da quei teneri anni si poteva augu-rare assai bene della futura rosa del contado.

Era davvero un bel bottoncino di rosa; paffutella, ver-miglia, begli occhi neri, capelli folti, vispa come una an-guilla, voce intonata e vibrante; correva, sguizzava fra leanitre e le galline, senza cuffia e quasi senza abiti, alsole e alla pioggia, senza timore d'infreddature, senzabisogno di magnesia nè d'altro.

Certo non sapea nè la Bibbia nè il Kempis. La madrele aveva insegnato l'orazione domenicale e l'Ave Maria,non senza qualche storpiatura inevitabile di pronuncia.Di tre anni fu mandata all'Asilo che proprio inquell'anno era stato aperto nel villaggio, secondo il me-todo dell'Aporti. Quivi imparò a leggere, a filare, a can-tare, mentre il padre e la madre badavano alle loro fac-cende, e si tenevano felici d'esser dispensati da quelpensiero. Quando la sera la rivedevano pulita, composti-na,[Pg 56] e più sveglia di prima, si sogguardavano fraloro con tacita compiacenza e benedivano la carità delbuon fondatore. — Se avessimo avuto questa fortuna a'dì nostri! — dicevano — adesso non avremmo bisogno

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cazione da darsi al proprio sangue, i due genitori delcontado pensavano a Maria un po' meno che ai bachi daseta di cui solevano tenere una bella partita a metà. Ellaveniva su come la mal'erba nell'orto, senza l'opera dellavanga nè della zappa. Ma l'aria aperta, il sole, gli ali-menti semplici e sani, svolgevano mirabilmente la suabuona natura, e fino da quei teneri anni si poteva augu-rare assai bene della futura rosa del contado.

Era davvero un bel bottoncino di rosa; paffutella, ver-miglia, begli occhi neri, capelli folti, vispa come una an-guilla, voce intonata e vibrante; correva, sguizzava fra leanitre e le galline, senza cuffia e quasi senza abiti, alsole e alla pioggia, senza timore d'infreddature, senzabisogno di magnesia nè d'altro.

Certo non sapea nè la Bibbia nè il Kempis. La madrele aveva insegnato l'orazione domenicale e l'Ave Maria,non senza qualche storpiatura inevitabile di pronuncia.Di tre anni fu mandata all'Asilo che proprio inquell'anno era stato aperto nel villaggio, secondo il me-todo dell'Aporti. Quivi imparò a leggere, a filare, a can-tare, mentre il padre e la madre badavano alle loro fac-cende, e si tenevano felici d'esser dispensati da quelpensiero. Quando la sera la rivedevano pulita, composti-na,[Pg 56] e più sveglia di prima, si sogguardavano fraloro con tacita compiacenza e benedivano la carità delbuon fondatore. — Se avessimo avuto questa fortuna a'dì nostri! — dicevano — adesso non avremmo bisogno

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di ricorrere ad altri per una lettera e per un conto! —Quella buona gente riconosceva con queste parole labontà dell'istituzione che fino dal suo nascere ebbe tantecalunnie e tante opposizioni dagli illuminati del secolo edella Chiesa.

All'età di sette anni cambiò i denti e mutò d'occupa-zione. Andò ai campi, falciò l'erba, aiutò la madre inmolte faccenduole domestiche, e così snodò le membrae divenne svelta ed aitante della persona. La sua musicasi limitava al cantare la preghiera domenicale e l'AveMaria colla semplice cantilena che aveva imparataall'Asilo; ma quando si trovava nei prati, o girava l'arco-laio dinanzi alla porta della casa, canterellava i patriistornelli senza bisogno di maestro e senza cercarnel'intonazione sul pianoforte. Il ballo lo avrebbe imparatopiù tardi senz'altro insegnamento che l'esempio dellecompagne: il disegno poi.... il disegno lo lasciava ai pit-tori, ed il dono delle lingue agli apostoli.

Questa è l'educazione fisica, spirituale e morale dellaMaria. Felice lei se non avesse pensato più in là, se lasua vita come quella di sua madre, fosse potuta scorrerefra l'angusta sfera delle idee d'una contadina!

Ciò sarebbe forse avvenuto senza l'accidente che poseper alcun tempo a contatto la figliuola del povero conquella del ricco. La contessa, anche dopo aver ritirato lasua bambina, ebbe più volte la degnazione di visitare la

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di ricorrere ad altri per una lettera e per un conto! —Quella buona gente riconosceva con queste parole labontà dell'istituzione che fino dal suo nascere ebbe tantecalunnie e tante opposizioni dagli illuminati del secolo edella Chiesa.

All'età di sette anni cambiò i denti e mutò d'occupa-zione. Andò ai campi, falciò l'erba, aiutò la madre inmolte faccenduole domestiche, e così snodò le membrae divenne svelta ed aitante della persona. La sua musicasi limitava al cantare la preghiera domenicale e l'AveMaria colla semplice cantilena che aveva imparataall'Asilo; ma quando si trovava nei prati, o girava l'arco-laio dinanzi alla porta della casa, canterellava i patriistornelli senza bisogno di maestro e senza cercarnel'intonazione sul pianoforte. Il ballo lo avrebbe imparatopiù tardi senz'altro insegnamento che l'esempio dellecompagne: il disegno poi.... il disegno lo lasciava ai pit-tori, ed il dono delle lingue agli apostoli.

Questa è l'educazione fisica, spirituale e morale dellaMaria. Felice lei se non avesse pensato più in là, se lasua vita come quella di sua madre, fosse potuta scorrerefra l'angusta sfera delle idee d'una contadina!

Ciò sarebbe forse avvenuto senza l'accidente che poseper alcun tempo a contatto la figliuola del povero conquella del ricco. La contessa, anche dopo aver ritirato lasua bambina, ebbe più volte la degnazione di visitare la

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Page 77: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

donna che aveva adempite presso di quella le funzionidi madre; fosse per bontà di cuore, o perchè quella spe-cie di trasfusione di un sangue nell'altro[Pg 57] avesse in-nalzato a' suoi occhi l'umile Margherita. E questa, pienadi riconoscenza per tali atti di bontà, ed incoraggiatadall'affetto quasi materno che aveva concepito per la suafiglia di latte, recavasi qualche volta al palazzo colla suabimba, e vedeva con gioia e con orgoglio assai perdona-bile, quel resto di dimestichezza che regnava ancora fraquelle due creature destinate più tardi ad una vita cosìdifferente. Queste visite continuarono, benchè più rare,anche in seguito: cosicchè le due fanciulline ebbero agiodi parlare insieme, di comunicarsi senza saperlo unaparte delle loro idee, dei loro istinti e delle loro abitudi-ni. Matilde mostrava alla villanella i suoi balocchi, lesue stampe, i suoi libri, tutti quei nonnulla di cui la cir-condavano i suoi genitori e gli amici di casa, nel Capod'anno, nel Natalizio e nel giorno onomastico. La Rosaapriva tanto d'occhi, lodava questo, toccava quello,s'acconciava per celia e per contentare la padroncina glismanigli e le altre cianfrusaglie di cui aveva piena lastanza: avrebbe voluto ella pure far pompa di qualchecosa, ma, poverina! che poteva mostrare di suo alla ric-ca damigella, se non qualche fiore cresciuto nell'orto,qualche volgare garofano, qualche mammola primatic-cia. Questi erano i suoi tesori, e non mancava di recarealla sorellina di latte i più bei fiori che sbocciavano inaf-fiati dalle sue mani e destinati a quell'uso. Era appuntoin queste occasioni ch'ella pregava la madre a volerla

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donna che aveva adempite presso di quella le funzionidi madre; fosse per bontà di cuore, o perchè quella spe-cie di trasfusione di un sangue nell'altro[Pg 57] avesse in-nalzato a' suoi occhi l'umile Margherita. E questa, pienadi riconoscenza per tali atti di bontà, ed incoraggiatadall'affetto quasi materno che aveva concepito per la suafiglia di latte, recavasi qualche volta al palazzo colla suabimba, e vedeva con gioia e con orgoglio assai perdona-bile, quel resto di dimestichezza che regnava ancora fraquelle due creature destinate più tardi ad una vita cosìdifferente. Queste visite continuarono, benchè più rare,anche in seguito: cosicchè le due fanciulline ebbero agiodi parlare insieme, di comunicarsi senza saperlo unaparte delle loro idee, dei loro istinti e delle loro abitudi-ni. Matilde mostrava alla villanella i suoi balocchi, lesue stampe, i suoi libri, tutti quei nonnulla di cui la cir-condavano i suoi genitori e gli amici di casa, nel Capod'anno, nel Natalizio e nel giorno onomastico. La Rosaapriva tanto d'occhi, lodava questo, toccava quello,s'acconciava per celia e per contentare la padroncina glismanigli e le altre cianfrusaglie di cui aveva piena lastanza: avrebbe voluto ella pure far pompa di qualchecosa, ma, poverina! che poteva mostrare di suo alla ric-ca damigella, se non qualche fiore cresciuto nell'orto,qualche volgare garofano, qualche mammola primatic-cia. Questi erano i suoi tesori, e non mancava di recarealla sorellina di latte i più bei fiori che sbocciavano inaf-fiati dalle sue mani e destinati a quell'uso. Era appuntoin queste occasioni ch'ella pregava la madre a volerla

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Page 78: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

condurre dalla Matilde, la quale faceva buon viso aldono ed alla donatrice, sebbene che cosa erano quei fioriper lei che possedeva nei sontuosi stanzoni le piante piùrare che l'industria del giardiniere aveva raccolto in piùclimi per essa? — Un giorno, non so se per orgoglio oper leggerezza, Matilde condusse la contadinella là den-tro, tenendo ancora in mano il volgar[Pg 58] mazzolino dimammole che aveva colto per lei frugando e rifrugandotutte le siepi del vicinato.

Quando Rosa vide quei fiori mirabili di forme e ditinte così peregrine, rimase mortificata del suo dono edera lì lì per piangere. Matilde non si accorse di ciò, equand'anche se ne fosse accorta, poteva essa indovinarela causa di quelle lagrime?

Avrei io forse fatto torto al suo cuore con questa sup-posizione? Avrei io, senza volerlo, data la preferenzaalla figlia dei campi per istrazio dell'altra? Questa nonera la mia intenzione. Entrambe avevano avuto qualchecosa più di comune che il primo alimento. S'amavano ledue fanciulle quanto possono amarsi due esseri apparte-nenti alle due opposte estremità della scala sociale. Que-sto contatto fortuito aveva aumentato il capitale delleloro idee e delle loro affezioni. Se la villanella avessepotuto comunicare all'altra il semplice gusto per la cam-pagna e non più, avrebbe contribuito alla educazione delsuo cuore: così se la damina si fosse accontentata d'ispi-rare alla forosetta il sentimento della dignità e del deco-

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condurre dalla Matilde, la quale faceva buon viso aldono ed alla donatrice, sebbene che cosa erano quei fioriper lei che possedeva nei sontuosi stanzoni le piante piùrare che l'industria del giardiniere aveva raccolto in piùclimi per essa? — Un giorno, non so se per orgoglio oper leggerezza, Matilde condusse la contadinella là den-tro, tenendo ancora in mano il volgar[Pg 58] mazzolino dimammole che aveva colto per lei frugando e rifrugandotutte le siepi del vicinato.

Quando Rosa vide quei fiori mirabili di forme e ditinte così peregrine, rimase mortificata del suo dono edera lì lì per piangere. Matilde non si accorse di ciò, equand'anche se ne fosse accorta, poteva essa indovinarela causa di quelle lagrime?

Avrei io forse fatto torto al suo cuore con questa sup-posizione? Avrei io, senza volerlo, data la preferenzaalla figlia dei campi per istrazio dell'altra? Questa nonera la mia intenzione. Entrambe avevano avuto qualchecosa più di comune che il primo alimento. S'amavano ledue fanciulle quanto possono amarsi due esseri apparte-nenti alle due opposte estremità della scala sociale. Que-sto contatto fortuito aveva aumentato il capitale delleloro idee e delle loro affezioni. Se la villanella avessepotuto comunicare all'altra il semplice gusto per la cam-pagna e non più, avrebbe contribuito alla educazione delsuo cuore: così se la damina si fosse accontentata d'ispi-rare alla forosetta il sentimento della dignità e del deco-

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Page 79: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

ro, e non altro, avrebbe avuto un diritto alla sua gratitu-dine. Ma non vediamo i beni altrui senza che in unmodo o nell'altro non nasca nel nostro cuore, se nonl'invidia, almeno un inutile desiderio di quelli. Di qui ledue fanciulle cominciarono a fabbricare ciascuna nelsuo segreto i loro castelli in aria. Gentili lettrici, uditelientrambi, e poi mi saprete dire qual è il più bello.

[Pg 59]

III.

Se io fossi villanella!

Io non so se Matilde abbia mai formulato così netta-mente il suo desiderio; ma educata com'era fra le muradella sua camera, schiava delle convenienze, e più anco-ra di quella tenerezza guardinga dei genitori, che può es-sere anch'essa una specie di tirannia, trovando sempreun limite determinato ai movimenti del suo corpo, delsuo spirito, del suo cuore, si può facilmente comprende-re come dovesse aspirare ad una vita più libera, qualun-que ella fosse. Il medico aveva un bel dire ch'ella si do-vesse guardare dall'aria, dagli odori troppo forti, dallasoverchia luce del sole, dall'umidità della notte. Questeprescrizioni le acuivano il desiderio di ciò che le venivainterdetto: e mancandole il coraggio di protestare, sicontentava d'invidiar la sorte di quelle che potevano aloro bell'agio mirare le stelle, dar la caccia alle fuggenti

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ro, e non altro, avrebbe avuto un diritto alla sua gratitu-dine. Ma non vediamo i beni altrui senza che in unmodo o nell'altro non nasca nel nostro cuore, se nonl'invidia, almeno un inutile desiderio di quelli. Di qui ledue fanciulle cominciarono a fabbricare ciascuna nelsuo segreto i loro castelli in aria. Gentili lettrici, uditelientrambi, e poi mi saprete dire qual è il più bello.

[Pg 59]

III.

Se io fossi villanella!

Io non so se Matilde abbia mai formulato così netta-mente il suo desiderio; ma educata com'era fra le muradella sua camera, schiava delle convenienze, e più anco-ra di quella tenerezza guardinga dei genitori, che può es-sere anch'essa una specie di tirannia, trovando sempreun limite determinato ai movimenti del suo corpo, delsuo spirito, del suo cuore, si può facilmente comprende-re come dovesse aspirare ad una vita più libera, qualun-que ella fosse. Il medico aveva un bel dire ch'ella si do-vesse guardare dall'aria, dagli odori troppo forti, dallasoverchia luce del sole, dall'umidità della notte. Questeprescrizioni le acuivano il desiderio di ciò che le venivainterdetto: e mancandole il coraggio di protestare, sicontentava d'invidiar la sorte di quelle che potevano aloro bell'agio mirare le stelle, dar la caccia alle fuggenti

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farfalle, abbandonare al venticello di primavera la lievecapellatura, e aspirare il profumo della tuberosa e dellacardenia senza temere una nevralgia.

— S'io fossi villanella! — Se così non cantava il suolabbro, quando, assisa dinanzi al suo piano, addestravala voce ai difficili gorgheggi che le venivano prescrittidal metodo, certo così avrà mormorato il suo cuore,quando dalle socchiuse persiane vedeva gli alberi e icampi, quando pensava alla sua sorella di latte, allaRosa, che, a parer suo, doveva essere la più felice crea-tura del mondo. — S'io fossi villanella! —

— Di grazia, se foste villanella, che cosa fareste voi,signorina? — Oh, s'io lo fossi! Vorrei alzarmi primadell'alba, vorrei visitare le mucche quando allattano i[Pg60] vitellini a cui spuntano appena appena le corna: vor-rei cogliere i fiori del campo stillanti ancora della rugia-da notturna, adornarmene il seno e la fronte, farne unmazzetto de' più belli per regalarli alla mamma e a tuttiquelli che mi vogliono bene.

— Che fa a me la musica di Liszt con quei salti ster-minati che mi rompono le dita? E quando son giunta insei giorni a suonarne una pagina, non n'ho acquistatoche un'emicrania? E quella di Thalberg e di Moschelesche, a dire del maestro medesimo, non ha sugo se non èsuonata con quella perfezione alla quale, dic'egli, io nongiugnerò mai? E perchè mi dovrò annojare mesi e mesi

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farfalle, abbandonare al venticello di primavera la lievecapellatura, e aspirare il profumo della tuberosa e dellacardenia senza temere una nevralgia.

— S'io fossi villanella! — Se così non cantava il suolabbro, quando, assisa dinanzi al suo piano, addestravala voce ai difficili gorgheggi che le venivano prescrittidal metodo, certo così avrà mormorato il suo cuore,quando dalle socchiuse persiane vedeva gli alberi e icampi, quando pensava alla sua sorella di latte, allaRosa, che, a parer suo, doveva essere la più felice crea-tura del mondo. — S'io fossi villanella! —

— Di grazia, se foste villanella, che cosa fareste voi,signorina? — Oh, s'io lo fossi! Vorrei alzarmi primadell'alba, vorrei visitare le mucche quando allattano i[Pg60] vitellini a cui spuntano appena appena le corna: vor-rei cogliere i fiori del campo stillanti ancora della rugia-da notturna, adornarmene il seno e la fronte, farne unmazzetto de' più belli per regalarli alla mamma e a tuttiquelli che mi vogliono bene.

— Che fa a me la musica di Liszt con quei salti ster-minati che mi rompono le dita? E quando son giunta insei giorni a suonarne una pagina, non n'ho acquistatoche un'emicrania? E quella di Thalberg e di Moschelesche, a dire del maestro medesimo, non ha sugo se non èsuonata con quella perfezione alla quale, dic'egli, io nongiugnerò mai? E perchè mi dovrò annojare mesi e mesi

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Page 81: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

sul pianoforte, se non c'è speranza ch'io possa riuscire atanto? Per me mi sembra che i trilli dell'usignuolo, cheascolto talvolta dalla finestra, fra i carpini del giardino,valgano bene le stravaganze del re de' pianisti; e le cica-le che s'accordano fra loro la state, hanno anch'esse illoro merito, e quasi quasi, giacchè il maestro non misente, vorrei dire che mi piacciono più del trillo di Dö-hler.

— Dover consumarmi gli occhi per disegnare e rica-mare qui questi fiori che non hanno nè odore nè elegan-za nè senso comune, mentre laggiù ve ne sono tanti checrescono senza coltura nei prati, e così belli che il pitto-re più bravo del mondo non potrebbe imitarli? Non par-lo di quelli che crescono e sbocciano a tutte le stagioninelle conserve del babbo. Che stravaganza! Aver lì tuttele meraviglie del regno vegetabile, sempre pronte a'miei comandi, e dover logorarmi la vista qui per fare de-gli sgorbi per l'onomastico del tale, e per il giorno nata-lizio di un altro! Non sarebbe meglio darglieli questi fio-ri belli e freschi come sono in natura? Oh! io per me,quando sarà la festa del signor Antonio, penso che glifarò un bel mazzo di fiori freschi piuttosto che obbligar-lo[Pg 61] a lodare i miei scarabocchi. Il signor Antonio,che ha tanta buona grazia, mi saprà grado del cambio!—

Il signor Antonio era un giovane medico che avevaappena terminati i suoi studj, ed era stato presentato al

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sul pianoforte, se non c'è speranza ch'io possa riuscire atanto? Per me mi sembra che i trilli dell'usignuolo, cheascolto talvolta dalla finestra, fra i carpini del giardino,valgano bene le stravaganze del re de' pianisti; e le cica-le che s'accordano fra loro la state, hanno anch'esse illoro merito, e quasi quasi, giacchè il maestro non misente, vorrei dire che mi piacciono più del trillo di Dö-hler.

— Dover consumarmi gli occhi per disegnare e rica-mare qui questi fiori che non hanno nè odore nè elegan-za nè senso comune, mentre laggiù ve ne sono tanti checrescono senza coltura nei prati, e così belli che il pitto-re più bravo del mondo non potrebbe imitarli? Non par-lo di quelli che crescono e sbocciano a tutte le stagioninelle conserve del babbo. Che stravaganza! Aver lì tuttele meraviglie del regno vegetabile, sempre pronte a'miei comandi, e dover logorarmi la vista qui per fare de-gli sgorbi per l'onomastico del tale, e per il giorno nata-lizio di un altro! Non sarebbe meglio darglieli questi fio-ri belli e freschi come sono in natura? Oh! io per me,quando sarà la festa del signor Antonio, penso che glifarò un bel mazzo di fiori freschi piuttosto che obbligar-lo[Pg 61] a lodare i miei scarabocchi. Il signor Antonio,che ha tanta buona grazia, mi saprà grado del cambio!—

Il signor Antonio era un giovane medico che avevaappena terminati i suoi studj, ed era stato presentato al

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castello da una vecchia zia che voleva lanciarlo,com'ella diceva, nel gran mondo, perchè avesse a meri-tare la ricca eredità che alla sua morte gli spetterebbe.Fra tutte le persone che Matilde aveva veduto, il giovinedottore le era parso il men lontano da quel tipo idealeche ne' suoi sogni la fantasia verginale le dipingeva.Egli l'avea guarita di un'emicrania con certe pasticchesoavi, ben diverse dai beveraggi che gli altri medici laobbligavano ad ingollare. E poi egli non era stato cosìsevero ad interdirle l'accesso negli stanzoni: insomma ildottorino le avea fatto una impressione se non profondaalmeno gradita. Non ch'ella andasse più là! Sapeva beneche la vanità de' suoi genitori e le convenienze di fami-glia non le avrebbero mai permesso d'amarlo. Sì davve-ro! il nobile stemma di Susans inquartarsi colla laureadottorale del signor Antonio! Sarebbe stato un orrore!

Ma tra il sonno e la veglia, quando codeste idee diconvenienza e di gentilizio decoro si presentanoall'immaginazione attenuate dall'istinto involontario del-la natura, allora Matilde faceva il più bell'appartamentodel suo castello in aria a proposito del dottore. — S'iofossi villanella! — tornava a cantare fra sè. — Egli m'hadetto l'altra sera che, ad onta della volontà della zia,pensa di lasciar la capitale e di accettare una condotta inun povero villaggio. Che nobili sentimenti! Egli non in-tende d'essere a carico di nessuno, nè anche della suaparente di cui dev'esser erede! Egli vuole farsi un'esi-stenza da sè, bastare, in una parola, a se stesso! Sapessi

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castello da una vecchia zia che voleva lanciarlo,com'ella diceva, nel gran mondo, perchè avesse a meri-tare la ricca eredità che alla sua morte gli spetterebbe.Fra tutte le persone che Matilde aveva veduto, il giovinedottore le era parso il men lontano da quel tipo idealeche ne' suoi sogni la fantasia verginale le dipingeva.Egli l'avea guarita di un'emicrania con certe pasticchesoavi, ben diverse dai beveraggi che gli altri medici laobbligavano ad ingollare. E poi egli non era stato cosìsevero ad interdirle l'accesso negli stanzoni: insomma ildottorino le avea fatto una impressione se non profondaalmeno gradita. Non ch'ella andasse più là! Sapeva beneche la vanità de' suoi genitori e le convenienze di fami-glia non le avrebbero mai permesso d'amarlo. Sì davve-ro! il nobile stemma di Susans inquartarsi colla laureadottorale del signor Antonio! Sarebbe stato un orrore!

Ma tra il sonno e la veglia, quando codeste idee diconvenienza e di gentilizio decoro si presentanoall'immaginazione attenuate dall'istinto involontario del-la natura, allora Matilde faceva il più bell'appartamentodel suo castello in aria a proposito del dottore. — S'iofossi villanella! — tornava a cantare fra sè. — Egli m'hadetto l'altra sera che, ad onta della volontà della zia,pensa di lasciar la capitale e di accettare una condotta inun povero villaggio. Che nobili sentimenti! Egli non in-tende d'essere a carico di nessuno, nè anche della suaparente di cui dev'esser erede! Egli vuole farsi un'esi-stenza da sè, bastare, in una parola, a se stesso! Sapessi

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almeno il villaggio dov'egli intende di confinarsi! Misembra[Pg 62] già di vederlo recarsi volontario, nella cru-da notte, alla capanna del povero, restituire quasi permiracolo i perduti colori alla figlia del campo. Io la invi-dio! Credo che vorrei sopportare di buon grado qualchelieve incomodo per dargli il piacere e il trionfo di libe-rarmene! Che compiacenza essere a lui debitrice dellasalute! Che dolce ricambio di affetto nascerebbenell'animo nostro! E chi sa! forse egli potrebbe amare lavillanella che avesse salvata da morte, e legata a se stes-so col saldo vincolo della gratitudine. Ed io gli direi co-gli occhi, perchè non oserei colle labbra: Io sarò la vo-stra compagna per tutta la vita. —

Ma qui i suoi pensieri, i bei sogni pastorali di Matildeprendevano un'altra via. Ella tornava nella realtà del suostato, e diceva a sè stessa: — Pure, questa dichiarazione,che non compromette, potrei fargliela addirittura! Unabuona dote non guasta. Ma e' saprei allora se egli accet-tasse la mia proposta per riguardo a me o non piuttostoper amor delle mie ricchezze! La povera villanella sa-rebbe certa che l'amor solo lo indurrebbe a darle lamano: mentre io sono qui fatta segno alle smancerie diquattro o cinque aspiranti, che, ne son certa, fanno lacorte a' miei denari e non altro. —

E restava pensando alla sua posizione, e cercandopure di acquetarsi alla grande infelicità d'aver una dotedi dugentomila scudi. — Io li ho, tutti questi denari, io li

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almeno il villaggio dov'egli intende di confinarsi! Misembra[Pg 62] già di vederlo recarsi volontario, nella cru-da notte, alla capanna del povero, restituire quasi permiracolo i perduti colori alla figlia del campo. Io la invi-dio! Credo che vorrei sopportare di buon grado qualchelieve incomodo per dargli il piacere e il trionfo di libe-rarmene! Che compiacenza essere a lui debitrice dellasalute! Che dolce ricambio di affetto nascerebbenell'animo nostro! E chi sa! forse egli potrebbe amare lavillanella che avesse salvata da morte, e legata a se stes-so col saldo vincolo della gratitudine. Ed io gli direi co-gli occhi, perchè non oserei colle labbra: Io sarò la vo-stra compagna per tutta la vita. —

Ma qui i suoi pensieri, i bei sogni pastorali di Matildeprendevano un'altra via. Ella tornava nella realtà del suostato, e diceva a sè stessa: — Pure, questa dichiarazione,che non compromette, potrei fargliela addirittura! Unabuona dote non guasta. Ma e' saprei allora se egli accet-tasse la mia proposta per riguardo a me o non piuttostoper amor delle mie ricchezze! La povera villanella sa-rebbe certa che l'amor solo lo indurrebbe a darle lamano: mentre io sono qui fatta segno alle smancerie diquattro o cinque aspiranti, che, ne son certa, fanno lacorte a' miei denari e non altro. —

E restava pensando alla sua posizione, e cercandopure di acquetarsi alla grande infelicità d'aver una dotedi dugentomila scudi. — Io li ho, tutti questi denari, io li

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Page 84: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

ho certo: tutti me lo dicono con invidia. Ma intanto ionon posso servirmi della più lieve somma senza passareper una trafila di domande e risposte che mi fanno ri-nunciare a una moltitudine di piccoli bisogni e di piccolidesiderj. Almeno la povera villanella che ha vegliato al-cune notti torcendo il fuso, è padrona assoluta delle po-che lire che busca, e può servirsene a suo talento! Ella èpiù ricca di me che passo per milionaria, e non[Pg 63]posso comperarmi uno spillo senza dire il perchè. —Ella va al mercato, sceglie un corsettino aggiustato allapersona come quello della Rosa, e la domenica allachiesa o alla festa di ballo tutti gli occhi sono rivolti alei, e tutti l'ammirano. E se l'è fatto co' suoi guadagni!

Io invece non vado mai al ballo: hanno paura ch'io pi-gli un reumatismo. Oh! vorrei sapere perchè m'hannofatto dare tante lezioni di ballo da quel brutto monsieurMoulin! Veramente un bel gusto a ballare il valzer e lapolka con quello stupido scimmiotto! Ecco la Rosa cheballa meglio di me, e non ha mai preso lezione di sorta.Davvero ch'io la invidio, la Rosa! Voglio assolutamenteandarmene a stare un mese con lei, al villaggio. Oh sì!Coglierò il momento che il babbo è di buon umore; glisalterò al collo e gli dirò: Babbo mio, se non volete ve-dermi morire, lasciatemi andare due settimane in com-pagnia della Rosa. E piangerò tanto che me lo dovrannopermettere perch'io non ammali davvero. Quando saròcolla Rosa, mi comprerò un gonnellino corto come ilsuo, m'aggiusterò un corsetto verde con bei nastri color

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ho certo: tutti me lo dicono con invidia. Ma intanto ionon posso servirmi della più lieve somma senza passareper una trafila di domande e risposte che mi fanno ri-nunciare a una moltitudine di piccoli bisogni e di piccolidesiderj. Almeno la povera villanella che ha vegliato al-cune notti torcendo il fuso, è padrona assoluta delle po-che lire che busca, e può servirsene a suo talento! Ella èpiù ricca di me che passo per milionaria, e non[Pg 63]posso comperarmi uno spillo senza dire il perchè. —Ella va al mercato, sceglie un corsettino aggiustato allapersona come quello della Rosa, e la domenica allachiesa o alla festa di ballo tutti gli occhi sono rivolti alei, e tutti l'ammirano. E se l'è fatto co' suoi guadagni!

Io invece non vado mai al ballo: hanno paura ch'io pi-gli un reumatismo. Oh! vorrei sapere perchè m'hannofatto dare tante lezioni di ballo da quel brutto monsieurMoulin! Veramente un bel gusto a ballare il valzer e lapolka con quello stupido scimmiotto! Ecco la Rosa cheballa meglio di me, e non ha mai preso lezione di sorta.Davvero ch'io la invidio, la Rosa! Voglio assolutamenteandarmene a stare un mese con lei, al villaggio. Oh sì!Coglierò il momento che il babbo è di buon umore; glisalterò al collo e gli dirò: Babbo mio, se non volete ve-dermi morire, lasciatemi andare due settimane in com-pagnia della Rosa. E piangerò tanto che me lo dovrannopermettere perch'io non ammali davvero. Quando saròcolla Rosa, mi comprerò un gonnellino corto come ilsuo, m'aggiusterò un corsetto verde con bei nastri color

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di rosa, e farò conto d'esser una villanella.... Oh, se il si-gnor Antonio venisse a far il medico in quel villaggio!Che bella improvvisata gli vorrei fare! —

— Madamigella Matilde, sapete voi quante scioc-chezze avete pensato in questo quarto d'ora? Se fostevillanella! E sapete voi, signorina, che cosa significhivegliar più notti di seguito torcendo il fuso? Sapete voiche fa la povera filatrice delle poche lire che busca? Sa-pete voi?... Voi non sapete nulla, Matilde. Entro il vostrosplendido appartamento voi vedete il mondo esteriorecome a traverso d'un prisma che ve lo dipinge di tintebrillanti che esistono forse, ma non si scernono ad oc-chio nudo. Voi sognate un mondo ben diverso dal[Pg 64]vero: e se il caso avverasse i vostri desiderj, pochi mo-menti basterebbero a trarvi d'inganno. Io non dirò chesiate molto felice nel vostro stato; ma so che non regge-reste ne' panni della povera Rosa.

IV.

S'io fossi damigella!

Rosa girando l'arcolaio dinanzi all'uscio della sua mo-desta casetta vedeva tramontar il sole di là dai pioppiche ombreggiavano il cortiletto, e cantava questa canzo-ne senza temere il critico che le rimproverasse le rimeassonanti, nè la madre che la trattasse di pazzerella.

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di rosa, e farò conto d'esser una villanella.... Oh, se il si-gnor Antonio venisse a far il medico in quel villaggio!Che bella improvvisata gli vorrei fare! —

— Madamigella Matilde, sapete voi quante scioc-chezze avete pensato in questo quarto d'ora? Se fostevillanella! E sapete voi, signorina, che cosa significhivegliar più notti di seguito torcendo il fuso? Sapete voiche fa la povera filatrice delle poche lire che busca? Sa-pete voi?... Voi non sapete nulla, Matilde. Entro il vostrosplendido appartamento voi vedete il mondo esteriorecome a traverso d'un prisma che ve lo dipinge di tintebrillanti che esistono forse, ma non si scernono ad oc-chio nudo. Voi sognate un mondo ben diverso dal[Pg 64]vero: e se il caso avverasse i vostri desiderj, pochi mo-menti basterebbero a trarvi d'inganno. Io non dirò chesiate molto felice nel vostro stato; ma so che non regge-reste ne' panni della povera Rosa.

IV.

S'io fossi damigella!

Rosa girando l'arcolaio dinanzi all'uscio della sua mo-desta casetta vedeva tramontar il sole di là dai pioppiche ombreggiavano il cortiletto, e cantava questa canzo-ne senza temere il critico che le rimproverasse le rimeassonanti, nè la madre che la trattasse di pazzerella.

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S'io fossi damigellaSignora d'un castel,Vorrei montare in sellaA un nobile destrier.Vorrei vestir un mantoStellato come il ciel,Ed un cappel piumatoAl par d'un cavalier.Caracollando intornoPer ville e per città,Farei stupir il mondoDi tanta nobiltà.Vorrei, dovunque andassi,Gettar argento ed ôr — La gente su' miei passiSeminerebbe i fior....

Ella cantava questi versi in parte improvvisati, in par-te tolti da un'antica ballata, con una cadenza malinconi-ca conveniente più all'ora del giorno e allo stato del suocuore che al senso delle parole. Dissi allo stato[Pg 65] delsuo cuore, perchè la giovanetta non era punto allegracome avrebbe creduto Matilde, ma dal timbro della suavoce, dal pallore del suo viso, e più dai suoi sguardi tra-pelava una secreta tristezza. Ella cantava nondimenoperchè il canto è per il popolo uno sfogo alla passione,al dolore, e fino alla collera. Tutto ad un tratto ella inter-ruppe la sua ballata, o perchè non rammentasse piùavanti, o perchè i pensieri le si facessero d'altra specie etroppo dissonanti dal tenore delle sue strofe. Ma cessan-do dal canto, nella fantasia seguì a costruire il suo ca-stello in aria, d'un'architettura assai diversa da quellodella sorella di latte. Gli è forse che si desidera al mon-

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S'io fossi damigellaSignora d'un castel,Vorrei montare in sellaA un nobile destrier.Vorrei vestir un mantoStellato come il ciel,Ed un cappel piumatoAl par d'un cavalier.Caracollando intornoPer ville e per città,Farei stupir il mondoDi tanta nobiltà.Vorrei, dovunque andassi,Gettar argento ed ôr — La gente su' miei passiSeminerebbe i fior....

Ella cantava questi versi in parte improvvisati, in par-te tolti da un'antica ballata, con una cadenza malinconi-ca conveniente più all'ora del giorno e allo stato del suocuore che al senso delle parole. Dissi allo stato[Pg 65] delsuo cuore, perchè la giovanetta non era punto allegracome avrebbe creduto Matilde, ma dal timbro della suavoce, dal pallore del suo viso, e più dai suoi sguardi tra-pelava una secreta tristezza. Ella cantava nondimenoperchè il canto è per il popolo uno sfogo alla passione,al dolore, e fino alla collera. Tutto ad un tratto ella inter-ruppe la sua ballata, o perchè non rammentasse piùavanti, o perchè i pensieri le si facessero d'altra specie etroppo dissonanti dal tenore delle sue strofe. Ma cessan-do dal canto, nella fantasia seguì a costruire il suo ca-stello in aria, d'un'architettura assai diversa da quellodella sorella di latte. Gli è forse che si desidera al mon-

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do ciò che ci manca; o piuttosto, afflitti dai dolori inse-parabili d'ogni stato, invece di pensare che ogni condi-zione ha i suoi proprj, si pensa che la felicità stia di casamolto lontano e sia il retaggio degli altri che si trovanoo più alto o più basso di noi. Per questo Matilde, sui ric-chi arazzi della sua camera, desiderava lo smalto de'prati, e Rosa pensava con invidia agli agi e alle mille su-perfluità della sua nobile amica. Chi mi sa dire se i po-chi mesi passati insieme non avevano influito a codesto?Chi sa se l'amor della natura non era entrato nel sanguea Matilde col latte della villana, e se l'ambizione dellaricchezza non era stata alla Rosa inoculata per gli occhiquando entrava nei ricchi appartamenti della padrona?

Checchè ne sia, Rosa fabbricava anche essa il suo ca-stello in aria, ed era davvero un castello. Sognava coc-chi volanti per le vie popolose, ricchi addobbi, splendidevesti, e tutto ciò che il lusso e la ricchezza può dare.

— S'io fossi damigella — pensava fra sè — vorreiben vedere io se mi terrebbero in catene come tengonola padroncina! Povero il mio arcolajo, fa' pur conto cheio[Pg 66] non vorrei toccarti nè pure per giuoco. È unmese che ti giro e non sono ancora giunta a mettere in-sieme tanto da farmi una gonnella nuova. Sempre c'èqualcosa che mia madre mi fa toccar con mano comepiù necessaria. Trista condizione del contadino! lottarecontinuamente contro i bisogni, e mai poter mettere daparte una sommerella che basti a soddisfare un capric-

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do ciò che ci manca; o piuttosto, afflitti dai dolori inse-parabili d'ogni stato, invece di pensare che ogni condi-zione ha i suoi proprj, si pensa che la felicità stia di casamolto lontano e sia il retaggio degli altri che si trovanoo più alto o più basso di noi. Per questo Matilde, sui ric-chi arazzi della sua camera, desiderava lo smalto de'prati, e Rosa pensava con invidia agli agi e alle mille su-perfluità della sua nobile amica. Chi mi sa dire se i po-chi mesi passati insieme non avevano influito a codesto?Chi sa se l'amor della natura non era entrato nel sanguea Matilde col latte della villana, e se l'ambizione dellaricchezza non era stata alla Rosa inoculata per gli occhiquando entrava nei ricchi appartamenti della padrona?

Checchè ne sia, Rosa fabbricava anche essa il suo ca-stello in aria, ed era davvero un castello. Sognava coc-chi volanti per le vie popolose, ricchi addobbi, splendidevesti, e tutto ciò che il lusso e la ricchezza può dare.

— S'io fossi damigella — pensava fra sè — vorreiben vedere io se mi terrebbero in catene come tengonola padroncina! Povero il mio arcolajo, fa' pur conto cheio[Pg 66] non vorrei toccarti nè pure per giuoco. È unmese che ti giro e non sono ancora giunta a mettere in-sieme tanto da farmi una gonnella nuova. Sempre c'èqualcosa che mia madre mi fa toccar con mano comepiù necessaria. Trista condizione del contadino! lottarecontinuamente contro i bisogni, e mai poter mettere daparte una sommerella che basti a soddisfare un capric-

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Page 88: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

cio! Ecco: quel povero Marcello dovrà marciare per laGermania, e abbandonare la sua famiglia fra pochi gior-ni. Mille lire basterebbero a trovargli un cambio, ed eglipotrebbe restare al paese, lavorare i suoi campi, e man-tenere la sua parola!.... —

Qui la Rosa restava sopra pensiero, e una lagrimagrossa le rigava il pallido viso senza ch'ella pensasse adasciugarla. Ad un tratto diede una spinta più rapidaall'arcolaio, il quale girò, girò, portando seco nelle suerabbiose giravolte il sogno della fanciulla. Voi v'imma-ginate già, mie care leggitrici, che codesto Marcello nonera straniero alla povera Rosa. Ella lo amava nel secretodel suo cuore, assai più che Matilde non avrà amato ilgiovane medico: ed anche Marcello, passandole vicino ocon un pretesto o con l'altro, le aveva fatto intendere piùper cenni che per parole che le voleva tutto il suo bene.Al villaggio non si parla per ordinario d'amore se nonc'è la possibilità di santificarlo col matrimonio. Ivi si co-noscono molto meno quelle dichiarazioni vaghe che noncompromettono, e intanto aprono l'adito a sì spiacevolidisinganni. Marcello non aveva al mondo che le suebraccia, e la Rosa nulla di più; ma le braccia sono unabuona dote per un contadino, e il giovanotto non avreb-be esitato un momento a fare la sua domanda in regola,se non avesse avuto il pensiero della coscrizione che loperseguitava siccome un incubo. Avrebbe egli impegna-to la sua fede colla giovane, senza[Pg 67] esser certo dipoter accasarsi con lei?... Infatti il pericolo ch'ei temeva

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cio! Ecco: quel povero Marcello dovrà marciare per laGermania, e abbandonare la sua famiglia fra pochi gior-ni. Mille lire basterebbero a trovargli un cambio, ed eglipotrebbe restare al paese, lavorare i suoi campi, e man-tenere la sua parola!.... —

Qui la Rosa restava sopra pensiero, e una lagrimagrossa le rigava il pallido viso senza ch'ella pensasse adasciugarla. Ad un tratto diede una spinta più rapidaall'arcolaio, il quale girò, girò, portando seco nelle suerabbiose giravolte il sogno della fanciulla. Voi v'imma-ginate già, mie care leggitrici, che codesto Marcello nonera straniero alla povera Rosa. Ella lo amava nel secretodel suo cuore, assai più che Matilde non avrà amato ilgiovane medico: ed anche Marcello, passandole vicino ocon un pretesto o con l'altro, le aveva fatto intendere piùper cenni che per parole che le voleva tutto il suo bene.Al villaggio non si parla per ordinario d'amore se nonc'è la possibilità di santificarlo col matrimonio. Ivi si co-noscono molto meno quelle dichiarazioni vaghe che noncompromettono, e intanto aprono l'adito a sì spiacevolidisinganni. Marcello non aveva al mondo che le suebraccia, e la Rosa nulla di più; ma le braccia sono unabuona dote per un contadino, e il giovanotto non avreb-be esitato un momento a fare la sua domanda in regola,se non avesse avuto il pensiero della coscrizione che loperseguitava siccome un incubo. Avrebbe egli impegna-to la sua fede colla giovane, senza[Pg 67] esser certo dipoter accasarsi con lei?... Infatti il pericolo ch'ei temeva

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Page 89: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

s'era avverato a que' giorni. Egli tirò a sorte un numeroche non oltrepassava il contingente richiesto. Sano e ro-busto com'era e non soggetto ad alcuna eccezione, do-vette rassegnarsi a passare i più begli anni della sua vitain una caserma, sa il cielo in qual clima. La Venezia inquel tempo era ancora governata dai caporali di Vienna.Il giorno che, ritenuto per buono, ritornava per l'ultimavolta a dormire a casa, colse uno de' soliti pretesti perpassare dinanzi al cortile della Rosa. Questa, come lovide un po' stralunato, capì subito di che si trattava, enon osò aprir bocca per accertarsene. Egli avvicinandositimidamente alla villanella, le prese per la prima volta lamano, e sforzandosi a sorridere mestamente, come seavesse seco lei un'antica famigliarità: — Rosa, — disse— a rivederci fra ott'anni, se saremo vivi. — La fanciul-la rivolse gli occhi gonfi di lagrime, e non rispose. — Senon era questa disgrazia — soggiunse l'altro — forse iovi avrei parlato d'un mio progetto.... ma io non ero de-gno di questa fortuna. Perdonate, Rosa, state sana, e ri-cordatevi qualche volta di chi vi vuol bene. — Rosa se-guitava a tacere, perchè sentiva stringersi il cuore ognorpiù; raccolse una bianca pratellina che vide poco lungifra l'erba, e la porse al coscritto per tutta risposta. E am-bedue si lasciarono frettolosi, quasi per vincere collaviolenza un sentimento che involontariamente s'impa-droniva dei loro cuori. Il pallore e la tristezza che abbia-mo notato nella giovane poco fa, derivavano da questacausa.

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s'era avverato a que' giorni. Egli tirò a sorte un numeroche non oltrepassava il contingente richiesto. Sano e ro-busto com'era e non soggetto ad alcuna eccezione, do-vette rassegnarsi a passare i più begli anni della sua vitain una caserma, sa il cielo in qual clima. La Venezia inquel tempo era ancora governata dai caporali di Vienna.Il giorno che, ritenuto per buono, ritornava per l'ultimavolta a dormire a casa, colse uno de' soliti pretesti perpassare dinanzi al cortile della Rosa. Questa, come lovide un po' stralunato, capì subito di che si trattava, enon osò aprir bocca per accertarsene. Egli avvicinandositimidamente alla villanella, le prese per la prima volta lamano, e sforzandosi a sorridere mestamente, come seavesse seco lei un'antica famigliarità: — Rosa, — disse— a rivederci fra ott'anni, se saremo vivi. — La fanciul-la rivolse gli occhi gonfi di lagrime, e non rispose. — Senon era questa disgrazia — soggiunse l'altro — forse iovi avrei parlato d'un mio progetto.... ma io non ero de-gno di questa fortuna. Perdonate, Rosa, state sana, e ri-cordatevi qualche volta di chi vi vuol bene. — Rosa se-guitava a tacere, perchè sentiva stringersi il cuore ognorpiù; raccolse una bianca pratellina che vide poco lungifra l'erba, e la porse al coscritto per tutta risposta. E am-bedue si lasciarono frettolosi, quasi per vincere collaviolenza un sentimento che involontariamente s'impa-droniva dei loro cuori. Il pallore e la tristezza che abbia-mo notato nella giovane poco fa, derivavano da questacausa.

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Chi mi domandasse qual risoluzione prendesse nelsuo cuore la giovinetta, risponderò che una sola risolu-zione le era possibile: quella di aspettare. Rosa aspetta-va, la poverina, aspettava che passassero quegli ottoanni, che le sarebbero parsi sì lunghi, che potevano[Pg 68]essere così pieni d'avvenimenti, ogni giorno de' qualipoteva distruggere quel tenue filo che legava oggimai lasua vita a quella del giovine soldato. Questa era la riso-luzione seria: del resto la fantasia vivace della fanciullatrascorreva talvolta in sogni chimerici, architettava lepiù assurde combinazioni che avrebbero potuto abbre-viare quella lunga separazione. — Ecco che cosa èl'esser poveri! — diceva la Rosa. — S'io fossi ricca,venderei tutte le mie gemme, tutti i miei poderi per ren-dere al povero Marcello la sua libertà. Mille lire! M'han-no detto che questo basterebbe a mettere un cambio.Che cosa sono alfine mille lire? — diceva la Rosa chenon n'aveva vedute mai più di venti ad un tratto. Ma ellaera in questo diversa dalla gente della sua condizione,per la quale mille lire sarebbero una somma favolosa, unnon plus ultra. Rosa aveva l'istinto della ricchezza, etutto era niente per lei, quando la sua immaginazione pi-gliava il volo per gli spazi aerei ch'era abituata a trascor-rere.

In questi sogni d'oro ella pensava sempre a Matilde, ediceva: — S'io fossi in lei! — Povera Rosa! E chi ti as-sicura che colle ricchezze non ti fosse saltato addossoanche l'egoismo che per lo più le accompagna! Chi ti as-

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Chi mi domandasse qual risoluzione prendesse nelsuo cuore la giovinetta, risponderò che una sola risolu-zione le era possibile: quella di aspettare. Rosa aspetta-va, la poverina, aspettava che passassero quegli ottoanni, che le sarebbero parsi sì lunghi, che potevano[Pg 68]essere così pieni d'avvenimenti, ogni giorno de' qualipoteva distruggere quel tenue filo che legava oggimai lasua vita a quella del giovine soldato. Questa era la riso-luzione seria: del resto la fantasia vivace della fanciullatrascorreva talvolta in sogni chimerici, architettava lepiù assurde combinazioni che avrebbero potuto abbre-viare quella lunga separazione. — Ecco che cosa èl'esser poveri! — diceva la Rosa. — S'io fossi ricca,venderei tutte le mie gemme, tutti i miei poderi per ren-dere al povero Marcello la sua libertà. Mille lire! M'han-no detto che questo basterebbe a mettere un cambio.Che cosa sono alfine mille lire? — diceva la Rosa chenon n'aveva vedute mai più di venti ad un tratto. Ma ellaera in questo diversa dalla gente della sua condizione,per la quale mille lire sarebbero una somma favolosa, unnon plus ultra. Rosa aveva l'istinto della ricchezza, etutto era niente per lei, quando la sua immaginazione pi-gliava il volo per gli spazi aerei ch'era abituata a trascor-rere.

In questi sogni d'oro ella pensava sempre a Matilde, ediceva: — S'io fossi in lei! — Povera Rosa! E chi ti as-sicura che colle ricchezze non ti fosse saltato addossoanche l'egoismo che per lo più le accompagna! Chi ti as-

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sicura che l'adempimento di tutti i tuoi desiderj nont'avesse ad inaridire quei nobili impulsi del cuore? Asentir lei, avrebbe fatto felice tutto il villaggio. Tutti ibambini e le bambine avrebbero imparato a leggere e ascrivere, tutte le fanciulle avrebbero avuto un po' di doteper facilitare il lor matrimonio. A quella vedova che abi-tava laggiù in un casolare aperto alle intemperie, ellaavrebbe fatto trovare un buon letto in luogo dell'umidocanile dove passava gli ultimi giorni della sua vita.Quella famiglia di coloni, ch'era stata licenziata da unpodere che teneva a fitto, perchè i bachi erano iti a male,e non aveva potuto pagare puntualmente la[Pg 69] rata,avrebbe trovato nella madia, o in un cantuccio dellacasa, la somma che non aveva potuto raggranellare eche l'avrebbe consolata. Ella assisteva dal buco dellachiave alla sorpresa di quella buona gente, ne vedeva lagioja, e gustava un piacere più grande ancora del loro. EMarcello! Essa gli avrebbe pagato il cambio senza ch'eilo sapesse, e all'indomani, recandosi al Distretto, gli sa-rebbe risposto che il numero era saldato, e ch'egli potevatornarsene al suo villaggio. Immaginava la sua meravi-glia, la sua allegrezza, e con qual animo sarebbe venutoa ritrovarla e a raccontarle la sua fortuna, ignorando chela gli venisse da lei. Ella gli dava la mano, si rinnovava-no le promesse, e si stabiliva d'accordo il dì delle nozze:— S'io fossi damigella! — diceva la Rosa.

— E se foste damigella, mia buona Rosa, conservere-ste voi per Marcello quel cordiale affetto che gli porta-

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sicura che l'adempimento di tutti i tuoi desiderj nont'avesse ad inaridire quei nobili impulsi del cuore? Asentir lei, avrebbe fatto felice tutto il villaggio. Tutti ibambini e le bambine avrebbero imparato a leggere e ascrivere, tutte le fanciulle avrebbero avuto un po' di doteper facilitare il lor matrimonio. A quella vedova che abi-tava laggiù in un casolare aperto alle intemperie, ellaavrebbe fatto trovare un buon letto in luogo dell'umidocanile dove passava gli ultimi giorni della sua vita.Quella famiglia di coloni, ch'era stata licenziata da unpodere che teneva a fitto, perchè i bachi erano iti a male,e non aveva potuto pagare puntualmente la[Pg 69] rata,avrebbe trovato nella madia, o in un cantuccio dellacasa, la somma che non aveva potuto raggranellare eche l'avrebbe consolata. Ella assisteva dal buco dellachiave alla sorpresa di quella buona gente, ne vedeva lagioja, e gustava un piacere più grande ancora del loro. EMarcello! Essa gli avrebbe pagato il cambio senza ch'eilo sapesse, e all'indomani, recandosi al Distretto, gli sa-rebbe risposto che il numero era saldato, e ch'egli potevatornarsene al suo villaggio. Immaginava la sua meravi-glia, la sua allegrezza, e con qual animo sarebbe venutoa ritrovarla e a raccontarle la sua fortuna, ignorando chela gli venisse da lei. Ella gli dava la mano, si rinnovava-no le promesse, e si stabiliva d'accordo il dì delle nozze:— S'io fossi damigella! — diceva la Rosa.

— E se foste damigella, mia buona Rosa, conservere-ste voi per Marcello quel cordiale affetto che gli porta-

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te? Non aspirereste voi a qualche partito più splendido?Non sognereste voi un cavaliere, con un bel pennacchiosull'elmo, o qualcheduno di quei signorini che stancanoi loro cavalli inglesi nei viali, o passano lungo il corsonei loro cocchi lucenti?

V.

Confidenze.

Non erano passati due mesi dacchè le due fanciulleaveano fabbricato ciascuna il proprio castello, quandoun bel giorno la Rosa sentì lo scalpito di due cavalli, ealzando gli occhi dall'arcolajo vide arrivare Matilde inabito d'amazzone assisa sopra un bel ginetto a scorza dicastagna, accompagnata da un suo cugino che aveva as-sunto l'incarico d'insegnarle l'arte del cavalcare. Poco[Pg70] dopo giunsero in carrozza i suoi genitori, i quali lefurono tosto d'attorno inquieti per la cara sua vita. Ave-vano dovuto arrendersi al capriccio di lei, ed anche alleistanze del suo maestro sul quale m'avverrà in seguito difar qualche parola: ma vi potete figurare con quante re-strizioni, con quanti consigli, con quanti timori! La fan-ciulla alla fine l'aveva vinta, o piuttosto essi avevano do-vuto cedere al suo desiderio, per paura che il contrastar-vi a lungo non recasse più danno alla sua salute che unacavalcata di poche miglia.

Matilde spiccò un salto dal suo palafreno, e lesta

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te? Non aspirereste voi a qualche partito più splendido?Non sognereste voi un cavaliere, con un bel pennacchiosull'elmo, o qualcheduno di quei signorini che stancanoi loro cavalli inglesi nei viali, o passano lungo il corsonei loro cocchi lucenti?

V.

Confidenze.

Non erano passati due mesi dacchè le due fanciulleaveano fabbricato ciascuna il proprio castello, quandoun bel giorno la Rosa sentì lo scalpito di due cavalli, ealzando gli occhi dall'arcolajo vide arrivare Matilde inabito d'amazzone assisa sopra un bel ginetto a scorza dicastagna, accompagnata da un suo cugino che aveva as-sunto l'incarico d'insegnarle l'arte del cavalcare. Poco[Pg70] dopo giunsero in carrozza i suoi genitori, i quali lefurono tosto d'attorno inquieti per la cara sua vita. Ave-vano dovuto arrendersi al capriccio di lei, ed anche alleistanze del suo maestro sul quale m'avverrà in seguito difar qualche parola: ma vi potete figurare con quante re-strizioni, con quanti consigli, con quanti timori! La fan-ciulla alla fine l'aveva vinta, o piuttosto essi avevano do-vuto cedere al suo desiderio, per paura che il contrastar-vi a lungo non recasse più danno alla sua salute che unacavalcata di poche miglia.

Matilde spiccò un salto dal suo palafreno, e lesta

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come una gazzella, senza depor lo scudiscio, s'accostòalla sua sorella di latte e l'abbracciò con insolita effusio-ne di tenerezza. La Rosa attonita lasciava l'aspo e l'acco-glieva con un misto d'imbarazzo, d'affetto e di meravi-glia.

Le mie lettrici potrebbero qui domandarmi s'io voles-si addirittura por mano alla doppia trasmigrazione diquelle due anime. — Che sì — diranno — che fra pocovedremo la Rosa inurbarsi a cavallo, e la Matilde, no-vella Erminia, travestirsi da villanella e girar l'arcolajoin luogo d'affaticare gli abbandonati suoi tasti? — No,signorine; io non ho l'intenzione di soddisfarvi. Dal det-to al fatto c'è un gran tratto. V'ho già detto sul principiodi questo capitolo che erano corsi due mesi d'intervallo,e voi vi dareste a credere che codesti edifizj regganotanto? Oibò! La Matilde s'era fatta una ragione; avea giàconsiderato la differenza delle due condizioni, e benchènon potesse convenire della propria felicità, pure avevasmesso il singolar desiderio di farsi villana. Anzi, comevedrete fra poco, avea cambiati altri desiderj annessi aquel primo: avea rinunciato, in una parola, a quel sognopastorale, accontentandosi di far quella gita. Ora peròabbracciando la semplice villanella, le era rifluito nel[Pg71] cuore un resto di quel capriccio, e si ricordò del suosogno, quanto la Rosa del proprio. Anzi, a dire il vero,quest'ultima, anima più schietta e più affettuosa, daquella insolita visita avea preso argomento a non diffi-dare interamente de' suoi progetti.

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come una gazzella, senza depor lo scudiscio, s'accostòalla sua sorella di latte e l'abbracciò con insolita effusio-ne di tenerezza. La Rosa attonita lasciava l'aspo e l'acco-glieva con un misto d'imbarazzo, d'affetto e di meravi-glia.

Le mie lettrici potrebbero qui domandarmi s'io voles-si addirittura por mano alla doppia trasmigrazione diquelle due anime. — Che sì — diranno — che fra pocovedremo la Rosa inurbarsi a cavallo, e la Matilde, no-vella Erminia, travestirsi da villanella e girar l'arcolajoin luogo d'affaticare gli abbandonati suoi tasti? — No,signorine; io non ho l'intenzione di soddisfarvi. Dal det-to al fatto c'è un gran tratto. V'ho già detto sul principiodi questo capitolo che erano corsi due mesi d'intervallo,e voi vi dareste a credere che codesti edifizj regganotanto? Oibò! La Matilde s'era fatta una ragione; avea giàconsiderato la differenza delle due condizioni, e benchènon potesse convenire della propria felicità, pure avevasmesso il singolar desiderio di farsi villana. Anzi, comevedrete fra poco, avea cambiati altri desiderj annessi aquel primo: avea rinunciato, in una parola, a quel sognopastorale, accontentandosi di far quella gita. Ora peròabbracciando la semplice villanella, le era rifluito nel[Pg71] cuore un resto di quel capriccio, e si ricordò del suosogno, quanto la Rosa del proprio. Anzi, a dire il vero,quest'ultima, anima più schietta e più affettuosa, daquella insolita visita avea preso argomento a non diffi-dare interamente de' suoi progetti.

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Page 94: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

Le due fanciulle ebbero un lungo colloquio aquattr'occhi, mentre il conte, la contessa, il cugino e duestaffieri sopraintendevano ad ammannire un pranzocampestre in compagnia della madre di Rosa. Non è bi-sogno ch'io dica che avevano trasportato in carrozzaun'intera dispensa. Lascio lì questi preparativi gastrono-mici, e mi nascondo dietro una vite per assistere non ve-duto al dialogo delle due cervelline.

— Sai tu — diceva Matilde — sai tu ch'io invidio latua condizione?

— Oh! che dice mai?... Contessina!

— Sì davvero. Se tu sapessi, cara sorella, quante nojenel nostro palazzo, quante cerimonie, quanti riguardiche opprimono l'anima e c'impediscono quasi di respira-re. Qui tu sei felice, non ti manca nulla; se vuoi, lavori eti pigli di bei quattrini: se non vuoi lavorare, corri peicampi senza cappello, e senza timore che si trovi a ridiresul fatto tuo. Parli con chi ti piace, fai all'amore con chiti va a genio: insomma più ci penso, e più mi confermoche la vera felicità sta di casa fra i boschi e fra le capan-ne.

— Ma.... lei certo vuol scherzare, signorina....

— Come, io voglio scherzare?... Non ne sei tu per-suasa?

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Le due fanciulle ebbero un lungo colloquio aquattr'occhi, mentre il conte, la contessa, il cugino e duestaffieri sopraintendevano ad ammannire un pranzocampestre in compagnia della madre di Rosa. Non è bi-sogno ch'io dica che avevano trasportato in carrozzaun'intera dispensa. Lascio lì questi preparativi gastrono-mici, e mi nascondo dietro una vite per assistere non ve-duto al dialogo delle due cervelline.

— Sai tu — diceva Matilde — sai tu ch'io invidio latua condizione?

— Oh! che dice mai?... Contessina!

— Sì davvero. Se tu sapessi, cara sorella, quante nojenel nostro palazzo, quante cerimonie, quanti riguardiche opprimono l'anima e c'impediscono quasi di respira-re. Qui tu sei felice, non ti manca nulla; se vuoi, lavori eti pigli di bei quattrini: se non vuoi lavorare, corri peicampi senza cappello, e senza timore che si trovi a ridiresul fatto tuo. Parli con chi ti piace, fai all'amore con chiti va a genio: insomma più ci penso, e più mi confermoche la vera felicità sta di casa fra i boschi e fra le capan-ne.

— Ma.... lei certo vuol scherzare, signorina....

— Come, io voglio scherzare?... Non ne sei tu per-suasa?

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— Io veramente non mi lagno del mio stato, ma non-dimeno, veda, ci corre assai dal quadro che me ne fa....Per esempio, ella dice ch'io busco di bei denari, e inveceil lavoro ci manca assai di frequente, e si guadagna sem-pre meno di quel che bisogna. Ho fatto[Pg 72] un contoche per guadagnare la somma di mille lire che mi sareb-be necessaria, dovrei lavorare dodici anni.... anche ve-gliando la metà della notte.

— Mille lire! Ma che vuoi tu fare di mille lire?

— Ma, non dico per me.... — e qui senza ch'io lo ri-peta per filo, la Rosa mezzo arrossendo, mezzo inter-rompendosi, con certe sue originali parafrasi, raccontòalla ricca damigella l'affare del cambio, e come qual-mente ella avrebbe voluto fare una grata sorpresa al po-vero vignajuolo.

Matilde si ricordò allora del dottore, ma non credettepunto necessario di farne la confidenza alla Rosa. Que-sto episodio della sua storia ideale avea già dato luogoad altri episodii. Onde tra per evitare quella coincidenza,tra per l'affezione che portava alla villanella, volle sape-re lo stato preciso della faccenda. Il coscritto si trovavagià al capoluogo aspettando il momento d'indossar l'uni-forme, e cominciare i primi elementi del tirocinio mili-tare.

— Signora — seguiva la Rosa — incoraggiata dallasollecitudine che mostravale la damina, io ho fatto pro-

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— Io veramente non mi lagno del mio stato, ma non-dimeno, veda, ci corre assai dal quadro che me ne fa....Per esempio, ella dice ch'io busco di bei denari, e inveceil lavoro ci manca assai di frequente, e si guadagna sem-pre meno di quel che bisogna. Ho fatto[Pg 72] un contoche per guadagnare la somma di mille lire che mi sareb-be necessaria, dovrei lavorare dodici anni.... anche ve-gliando la metà della notte.

— Mille lire! Ma che vuoi tu fare di mille lire?

— Ma, non dico per me.... — e qui senza ch'io lo ri-peta per filo, la Rosa mezzo arrossendo, mezzo inter-rompendosi, con certe sue originali parafrasi, raccontòalla ricca damigella l'affare del cambio, e come qual-mente ella avrebbe voluto fare una grata sorpresa al po-vero vignajuolo.

Matilde si ricordò allora del dottore, ma non credettepunto necessario di farne la confidenza alla Rosa. Que-sto episodio della sua storia ideale avea già dato luogoad altri episodii. Onde tra per evitare quella coincidenza,tra per l'affezione che portava alla villanella, volle sape-re lo stato preciso della faccenda. Il coscritto si trovavagià al capoluogo aspettando il momento d'indossar l'uni-forme, e cominciare i primi elementi del tirocinio mili-tare.

— Signora — seguiva la Rosa — incoraggiata dallasollecitudine che mostravale la damina, io ho fatto pro-

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prio un castello in aria contrario al suo. S'io fossi in lei,diceva fra me, in lei ch'è così ricca, che ha tanti aderenti,che può comandare a bacchetta, vorrei farmi sentire! Equando avessi trovati inutili gli altri mezzi per ottenernel'esenzione, avrei fatto un fascio dei miei giojelli, en'avrei impiegato l'importo a mettergli un cambio senzach'ei sapesse da qual parte fosse venuta la libertà....

— Senza ch'ei lo sapesse! — pensò Matilde. — Eccouna bella idea, cara Rosa. Questo si chiama aver dellagenerosità e della delicatezza....

— Oh! che dice mai! È naturale. Sarebbe lo stessoche volersi comprare l'amor suo a contanti!

— Benissimo, cara Rosa. Questo tuo sentimento[Pg 73]val più di mille lire, vale più di tutte le gemme del mon-do! — E l'ammirazione della damigella era vera e cor-diale; ma pure non l'era ancora balenato in mente ch'ellapoteva avverare quel sogno senza suo incomodo. Il con-te avea bene speso oltre a tremila lire per comperarle ilsuo cavallo inglese. Il terzo di quella somma sarebbe ba-stato a redimere un uomo, e il pensiero di codesta azio-ne generosa avrebbe fruttato a Matilde una serie di com-piacenze molto più profonde che non facesse il possessodel suo cavallo. — Ma pure questa idea così facile nonle poteva entrare in mente. La Rosa che formulandoquel suo desiderio l'avea battezzato per sogno, guardavatimidamente la damigella, la vedeva con gioja secreta

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prio un castello in aria contrario al suo. S'io fossi in lei,diceva fra me, in lei ch'è così ricca, che ha tanti aderenti,che può comandare a bacchetta, vorrei farmi sentire! Equando avessi trovati inutili gli altri mezzi per ottenernel'esenzione, avrei fatto un fascio dei miei giojelli, en'avrei impiegato l'importo a mettergli un cambio senzach'ei sapesse da qual parte fosse venuta la libertà....

— Senza ch'ei lo sapesse! — pensò Matilde. — Eccouna bella idea, cara Rosa. Questo si chiama aver dellagenerosità e della delicatezza....

— Oh! che dice mai! È naturale. Sarebbe lo stessoche volersi comprare l'amor suo a contanti!

— Benissimo, cara Rosa. Questo tuo sentimento[Pg 73]val più di mille lire, vale più di tutte le gemme del mon-do! — E l'ammirazione della damigella era vera e cor-diale; ma pure non l'era ancora balenato in mente ch'ellapoteva avverare quel sogno senza suo incomodo. Il con-te avea bene speso oltre a tremila lire per comperarle ilsuo cavallo inglese. Il terzo di quella somma sarebbe ba-stato a redimere un uomo, e il pensiero di codesta azio-ne generosa avrebbe fruttato a Matilde una serie di com-piacenze molto più profonde che non facesse il possessodel suo cavallo. — Ma pure questa idea così facile nonle poteva entrare in mente. La Rosa che formulandoquel suo desiderio l'avea battezzato per sogno, guardavatimidamente la damigella, la vedeva con gioja secreta

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infervorarsi; ma poi accorgendosi che non s'andava piùlà, abbassava gli occhi vergognosa o d'aver detto troppoo d'aver troppo sperato.

A questo punto del loro colloquio sopraggiunse unaparte della comitiva che già cominciava ad inquietarsidell'assenza di Matilde. Rosa si levò tutta rossa, e si recòpresso alla madre per dar mano agli ultimi preparatividel pranzo. Matilde presa in mezzo dal cugino e dal pa-dre la seguì lentamente senza più pensare al dialogo dipoc'anzi.

Mezz'ora dopo sotto il porticato dinanzi alla poveracasa colonica, sedettero a mensa i quattro ospiti illustri.I due staffieri in livrea stavano ritti dietro alle seggioleprovvedendo al servizio del pranzo improvvisato allameglio; Rosa e sua madre tutte rosse e trafelate per lainsolita faccenda portavano fuori le vivande nella signo-rile majolica che non s'era mancato di trasportare dallacittà.

La ricca damigella, seduta come una principessinasulla povera scranna (le scranne non s'era pensato a por-tarle), s'affisò una volta nel viso rubicondo e mesto[Pg 74]ad un tempo della sua sorella di latte, ridotta alloraall'umile ufficio di serva. Non vo' dire che si passassenell'animo suo. Forse un sentimento d'orgoglio di tro-varsi collocata a tanta distanza da quella a cui poco pri-ma avea degnato parlare come a sua pari, forse anche un

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infervorarsi; ma poi accorgendosi che non s'andava piùlà, abbassava gli occhi vergognosa o d'aver detto troppoo d'aver troppo sperato.

A questo punto del loro colloquio sopraggiunse unaparte della comitiva che già cominciava ad inquietarsidell'assenza di Matilde. Rosa si levò tutta rossa, e si recòpresso alla madre per dar mano agli ultimi preparatividel pranzo. Matilde presa in mezzo dal cugino e dal pa-dre la seguì lentamente senza più pensare al dialogo dipoc'anzi.

Mezz'ora dopo sotto il porticato dinanzi alla poveracasa colonica, sedettero a mensa i quattro ospiti illustri.I due staffieri in livrea stavano ritti dietro alle seggioleprovvedendo al servizio del pranzo improvvisato allameglio; Rosa e sua madre tutte rosse e trafelate per lainsolita faccenda portavano fuori le vivande nella signo-rile majolica che non s'era mancato di trasportare dallacittà.

La ricca damigella, seduta come una principessinasulla povera scranna (le scranne non s'era pensato a por-tarle), s'affisò una volta nel viso rubicondo e mesto[Pg 74]ad un tempo della sua sorella di latte, ridotta alloraall'umile ufficio di serva. Non vo' dire che si passassenell'animo suo. Forse un sentimento d'orgoglio di tro-varsi collocata a tanta distanza da quella a cui poco pri-ma avea degnato parlare come a sua pari, forse anche un

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Page 98: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

po' di gratitudine al vederla così affaccendata per farlepiacere. Quello ch'io vi so dire, lettrici mie care, si è chein quel momento la contessina non avrebbe canterellatofra' denti: — S'io fossi villanella! — E pure quante cir-costanze più gravi, più dolorose, più umilianti di questadovevano contrassegnare la vita di Rosa!

Certo in quel momento non era codesto che spargevadi tanta amarezza i lineamenti di Rosa. La povera fan-ciulla era stata crudelmente disingannata sul conto dellanobile sua sorella. Nella sua poetica semplicità ellas'imaginava che Matilde all'intendere la storia di Mar-cello non avrebbe esitato un momento a dire: — Eccoun giojello del valore di mille lire: va' dal giojelliere elibera il tuo promesso dalla trista necessità che lo atten-de. — Vedremo però che la Rosa non s'era tanto ingan-nata sull'animo di Matilde, quanto sul potere che le attri-buiva di disporre a suo talento dei propri giojelli. Lacolpa di Matilde era quella di non avere inteso di lancioil bene che poteva fare, e che la villanella osava sperareda lei. Ciò prova che, ornando il suo spirito, non s'erapensato a svolgere le nobili facoltà del suo cuore. È veroche al cuore basta sovente l'istinto; ma se l'educazionenostra è fatta appunto per ammorzare gl'istinti e per so-stituirvi i calcoli dell'interesse e dell'egoismo?

Ma in che razza di riflessioni mi vado io perdendo?Ecco il pranzo al suo termine: ecco gli staffieri in motoper allestire i cavalli e la carrozza. Si disputa una

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po' di gratitudine al vederla così affaccendata per farlepiacere. Quello ch'io vi so dire, lettrici mie care, si è chein quel momento la contessina non avrebbe canterellatofra' denti: — S'io fossi villanella! — E pure quante cir-costanze più gravi, più dolorose, più umilianti di questadovevano contrassegnare la vita di Rosa!

Certo in quel momento non era codesto che spargevadi tanta amarezza i lineamenti di Rosa. La povera fan-ciulla era stata crudelmente disingannata sul conto dellanobile sua sorella. Nella sua poetica semplicità ellas'imaginava che Matilde all'intendere la storia di Mar-cello non avrebbe esitato un momento a dire: — Eccoun giojello del valore di mille lire: va' dal giojelliere elibera il tuo promesso dalla trista necessità che lo atten-de. — Vedremo però che la Rosa non s'era tanto ingan-nata sull'animo di Matilde, quanto sul potere che le attri-buiva di disporre a suo talento dei propri giojelli. Lacolpa di Matilde era quella di non avere inteso di lancioil bene che poteva fare, e che la villanella osava sperareda lei. Ciò prova che, ornando il suo spirito, non s'erapensato a svolgere le nobili facoltà del suo cuore. È veroche al cuore basta sovente l'istinto; ma se l'educazionenostra è fatta appunto per ammorzare gl'istinti e per so-stituirvi i calcoli dell'interesse e dell'egoismo?

Ma in che razza di riflessioni mi vado io perdendo?Ecco il pranzo al suo termine: ecco gli staffieri in motoper allestire i cavalli e la carrozza. Si disputa una

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mezz'ora se Matilde sarebbe ritornata a cavallo o nelcocchio. Ma il suo giovane maestro fece avvertire che[Pg75] la sera era fresca, che la bestia era tranquilla e fatta abella posta per una damigella che voglia addestrarsiall'equitazione; onde fu risoluto che la carrozza segui-rebbe l'ambio delle due cavalcature, per esser pronta aun bisogno.

Giunta l'ora della partenza, Matilde chiamò la Rosaper salutarla. Questa le si accostò; ma men lieta e menconfidente del solito. Invece del cordiale abbracciamen-to che era solita ricambiare, le fece un umile inchino, ele cadde una lagrima. Matilde volle chiederle la cagionedi tal cambiamento, ma il suo ginetto raspava per desi-derio d'aver sul dorso sì nobile peso. Le due sorelle sisepararono senza più, e chi sa con qual animo si rive-dranno!

VI.

Conclusione.

Mentre Matilde cavalcava a bell'agio verso la città, illento e monotono passo, l'ora del vespro, e sa Iddio qua-li altre circostanze, influivano per modo sull'animo suo,che si mostrava più mesta che mai. Alle galanti rimo-stranze del cugino che le cavalcava da presso, o nondava risposta, o le risposte eran tali che gli toglievano ildesiderio di replicare. Matilde aveva sempre dinanzi

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mezz'ora se Matilde sarebbe ritornata a cavallo o nelcocchio. Ma il suo giovane maestro fece avvertire che[Pg75] la sera era fresca, che la bestia era tranquilla e fatta abella posta per una damigella che voglia addestrarsiall'equitazione; onde fu risoluto che la carrozza segui-rebbe l'ambio delle due cavalcature, per esser pronta aun bisogno.

Giunta l'ora della partenza, Matilde chiamò la Rosaper salutarla. Questa le si accostò; ma men lieta e menconfidente del solito. Invece del cordiale abbracciamen-to che era solita ricambiare, le fece un umile inchino, ele cadde una lagrima. Matilde volle chiederle la cagionedi tal cambiamento, ma il suo ginetto raspava per desi-derio d'aver sul dorso sì nobile peso. Le due sorelle sisepararono senza più, e chi sa con qual animo si rive-dranno!

VI.

Conclusione.

Mentre Matilde cavalcava a bell'agio verso la città, illento e monotono passo, l'ora del vespro, e sa Iddio qua-li altre circostanze, influivano per modo sull'animo suo,che si mostrava più mesta che mai. Alle galanti rimo-stranze del cugino che le cavalcava da presso, o nondava risposta, o le risposte eran tali che gli toglievano ildesiderio di replicare. Matilde aveva sempre dinanzi

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agli occhi quella lagrima sfuggita alla Rosa, ripensava alcolloquio avuto con essa, e cerca, cerca, finalmente leparve di scoprire la vera causa della subitanea freddezzache era in lei succeduta alla ingenua espansione dellamattina. Dico le parve, perchè in Matilde non era piùche un sospetto. — S'io verificassi il suo sogno —diss'ella fra sè — S'io le consegnassi questi braccialettida vendere? A mio padre dirò d'averli perduti,[Pg 76] chemi sono stati rubati, che so io? Una scusa la troverò.Anzi vo' dirgli la verità; gli chiederò le mille lire permettere il cambio allo sposo della mia sorella di latte:mio padre non mi negherà di fare una buona azione.Egli ne ha spesi ben più per comperarmi il cavallo. —Ella diceva così perchè la cosa infatti non avrebbe dovu-to parer differente nè pure al conte: ma egli avea taloracerte ragioni inaspettate per opporsi ai desiderj della fi-gliuola, che questa non era senza inquietudine intornoall'adesione di lui nel caso presente. Ci pensò alquanto,poi conchiuse fra sè: — E s'egli mi negherà queste millelire, io ricuserò di dar la mano a costui!...

Questo costui era poco lontano da lei: era il cuginoche le aveva posto in capo il grillo di cavalcare. Noi nonentreremo nelle ragioni di famiglia che potevano indurreil conte di Susans a preferire a tutti gli altri questo parti-to. Forse sarà stato il nobile desiderio di condensare inuna sola famiglia la dote della figliuola e il ricco patri-monio di lui. Dico nobile nel senso stretto della parola.E forse la ragione che lo induceva era un'altra. Il conte

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agli occhi quella lagrima sfuggita alla Rosa, ripensava alcolloquio avuto con essa, e cerca, cerca, finalmente leparve di scoprire la vera causa della subitanea freddezzache era in lei succeduta alla ingenua espansione dellamattina. Dico le parve, perchè in Matilde non era piùche un sospetto. — S'io verificassi il suo sogno —diss'ella fra sè — S'io le consegnassi questi braccialettida vendere? A mio padre dirò d'averli perduti,[Pg 76] chemi sono stati rubati, che so io? Una scusa la troverò.Anzi vo' dirgli la verità; gli chiederò le mille lire permettere il cambio allo sposo della mia sorella di latte:mio padre non mi negherà di fare una buona azione.Egli ne ha spesi ben più per comperarmi il cavallo. —Ella diceva così perchè la cosa infatti non avrebbe dovu-to parer differente nè pure al conte: ma egli avea taloracerte ragioni inaspettate per opporsi ai desiderj della fi-gliuola, che questa non era senza inquietudine intornoall'adesione di lui nel caso presente. Ci pensò alquanto,poi conchiuse fra sè: — E s'egli mi negherà queste millelire, io ricuserò di dar la mano a costui!...

Questo costui era poco lontano da lei: era il cuginoche le aveva posto in capo il grillo di cavalcare. Noi nonentreremo nelle ragioni di famiglia che potevano indurreil conte di Susans a preferire a tutti gli altri questo parti-to. Forse sarà stato il nobile desiderio di condensare inuna sola famiglia la dote della figliuola e il ricco patri-monio di lui. Dico nobile nel senso stretto della parola.E forse la ragione che lo induceva era un'altra. Il conte

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s'era avveduto dell'inclinazione nascente della Matildeper il giovane medico. Ho detto ch'egli s'era assentatodalla città per farsi uno stato da sè: ma io dubito inveceche le mene secrete del conte ci avessero alcuna parte.Checchè ne sia, non giova diffondersi, giacchè ho presol'obbligo di conchiudere. Dirò solo che la Matilde ne fuammalata per alcuni giorni, poi cominciò a pigliar aria,a rasserenarsi, a dimenticare. Già fin dal primo momen-to quel partito le era parso impossibile secondo le ideegentilizie della famiglia. Onde s'acquetò, transigendocol padre e con se medesima con questa restrizionementale: — S'io non posso maritarmi a voglia mia, al-meno non isperi maritarmi alla sua. — Questa[Pg 77] riso-luzione era troppo recente perchè non pensasse a metter-la in atto nell'occasione che le si offerse pochi dì appres-so. Il conte le parlò alla lontana del cugino, delle sueamabili maniere, delle sue ricchezze, delle sue aderenze,ecc., ecc. Matilde intese, e finse dapprima di non inten-dere; ma poi, dichiarata la cosa, trovò il coraggio di ri-spondere al conte: — Padre mio, voi non vorrete, spero,sacrificarmi: io non amo il cugino, e non sarò sua sposain eterno. — Capite che nel piano educativo del signorconte padre dovea essere ammessa o almeno tollerata lalettura di qualche dramma o romanzo di bella stampa.Non era un mese che quella parola sacramentale in eter-no era stata proferita da Matilde, e già l'eternità comin-ciava ad accorciarsi contro l'avviso dei metafisici. Al-meno in questo caso il capriccio che eccitava Matilde avenir a patti col tempo e colla sua parola, era un capric-

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s'era avveduto dell'inclinazione nascente della Matildeper il giovane medico. Ho detto ch'egli s'era assentatodalla città per farsi uno stato da sè: ma io dubito inveceche le mene secrete del conte ci avessero alcuna parte.Checchè ne sia, non giova diffondersi, giacchè ho presol'obbligo di conchiudere. Dirò solo che la Matilde ne fuammalata per alcuni giorni, poi cominciò a pigliar aria,a rasserenarsi, a dimenticare. Già fin dal primo momen-to quel partito le era parso impossibile secondo le ideegentilizie della famiglia. Onde s'acquetò, transigendocol padre e con se medesima con questa restrizionementale: — S'io non posso maritarmi a voglia mia, al-meno non isperi maritarmi alla sua. — Questa[Pg 77] riso-luzione era troppo recente perchè non pensasse a metter-la in atto nell'occasione che le si offerse pochi dì appres-so. Il conte le parlò alla lontana del cugino, delle sueamabili maniere, delle sue ricchezze, delle sue aderenze,ecc., ecc. Matilde intese, e finse dapprima di non inten-dere; ma poi, dichiarata la cosa, trovò il coraggio di ri-spondere al conte: — Padre mio, voi non vorrete, spero,sacrificarmi: io non amo il cugino, e non sarò sua sposain eterno. — Capite che nel piano educativo del signorconte padre dovea essere ammessa o almeno tollerata lalettura di qualche dramma o romanzo di bella stampa.Non era un mese che quella parola sacramentale in eter-no era stata proferita da Matilde, e già l'eternità comin-ciava ad accorciarsi contro l'avviso dei metafisici. Al-meno in questo caso il capriccio che eccitava Matilde avenir a patti col tempo e colla sua parola, era un capric-

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cio di buon genere. — Io sposerò — diss'ella — unuomo che non amo, ma almeno avrò contribuito alla fe-licità della Rosa. — Quell'apparenza d'eroismo che c'erain questa proposizione sedusse l'animo cavalleresco del-la fanciulla; spronò il ginetto, e in preda all'entusiasmodi questo progetto non si fermò che nel cortile del suopalazzo, rubiconda le guancie e animata gli sguardid'una nuova e gentile alterezza. Porse graziosamente lamano al cugino ch'era smontato prima di lei, ed entròbalzelloni nell'appartamento che, sia detto fra noi, leparve più bello e agiato della capanna di Rosa.

Non erano passati alcuni giorni da questa memorabilecavalcata, che Rosa si vide comparire dinanzi Marcello.Povera Rosa, fu per trasecolare quando seppe da lui cheaveva potuto sottrarsi alla coscrizione e mettere un cam-bio. Ma come? In qual modo? Come aveva trovata lasomma enorme che si chiedeva? Questa somma[Pg 78]oggimai pareva enorme alla Rosa, perchè il recente suodisinganno le aveva mostrato che c'è quasi altrettantadifficoltà ad averla in dono dai ricchi, quanto a raggra-nellarla col cotidiano lavoro. Marcello le raccontò comeun maggiordomo incognito fosse venuto a trovarlo nellacaserma, gli avesse consegnata la somma necessaria adun cambio, e l'assenso della Commissione di leva a rila-sciarlo in libertà, tosto che avesse presentato personache lo rappresentasse nel numero. Il maggiordomo ave-va fatto entrare un soldato che aveva pochi dì prima ter-minata la sua capitolazione, e il quale, per la somma

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cio di buon genere. — Io sposerò — diss'ella — unuomo che non amo, ma almeno avrò contribuito alla fe-licità della Rosa. — Quell'apparenza d'eroismo che c'erain questa proposizione sedusse l'animo cavalleresco del-la fanciulla; spronò il ginetto, e in preda all'entusiasmodi questo progetto non si fermò che nel cortile del suopalazzo, rubiconda le guancie e animata gli sguardid'una nuova e gentile alterezza. Porse graziosamente lamano al cugino ch'era smontato prima di lei, ed entròbalzelloni nell'appartamento che, sia detto fra noi, leparve più bello e agiato della capanna di Rosa.

Non erano passati alcuni giorni da questa memorabilecavalcata, che Rosa si vide comparire dinanzi Marcello.Povera Rosa, fu per trasecolare quando seppe da lui cheaveva potuto sottrarsi alla coscrizione e mettere un cam-bio. Ma come? In qual modo? Come aveva trovata lasomma enorme che si chiedeva? Questa somma[Pg 78]oggimai pareva enorme alla Rosa, perchè il recente suodisinganno le aveva mostrato che c'è quasi altrettantadifficoltà ad averla in dono dai ricchi, quanto a raggra-nellarla col cotidiano lavoro. Marcello le raccontò comeun maggiordomo incognito fosse venuto a trovarlo nellacaserma, gli avesse consegnata la somma necessaria adun cambio, e l'assenso della Commissione di leva a rila-sciarlo in libertà, tosto che avesse presentato personache lo rappresentasse nel numero. Il maggiordomo ave-va fatto entrare un soldato che aveva pochi dì prima ter-minata la sua capitolazione, e il quale, per la somma

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proposta era pronto a riprendere l'uniforme. — Io crede-vo di sognare — soggiunse Marcello — ed ebbi appenail tempo di chiedere da chi mi veniva l'inaspettata bene-ficenza. Il maggiordomo sorrise, e mi disse che venivada voi; e prima che mi riavessi dalla sorpresa era giàsparito, lasciandomi nelle mani il denaro e la prova dellamia libertà. Ora mi direte voi la parola di questo miste-ro. —

La Rosa non la sapeva questa parola, ma non tardò aimmaginarsela. Ella riconobbe l'opera di Matilde, equest'opera le parve tanto più nobile e generosa, che erastata eseguita prima che promessa, prima che chiesta;anzi oggimai fuori di ogni aspettazione e d'ogni speran-za. Raccontarono alla famiglia l'avvenuto, e come si puòcredere, si stabilirono su due piedi le nozze.

Di lì a pochi giorni i due sposi, seguiti dalla madre diRosa, giunsero al castello per ringraziare la loro bene-fattrice. Ella stava soscrivendo il contratto nuziale che ladoveva legare al cugino, e ne pareva contenta. Certa-mente, se il merito d'una buona azione può influire sullanostra felicità, Matilde non avrà a pentirsi di ciò che hafatto. — Ma i castelli in aria?

E se erano fabbricati in aria, mie buone lettrici, dove-vano presto o tardi dileguarsi in seno d'un elemento[Pg79] così mutabile ed incostante. Ma tutto almeno nonisvanì. Rosa vide avverarsi la parte più essenziale del

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proposta era pronto a riprendere l'uniforme. — Io crede-vo di sognare — soggiunse Marcello — ed ebbi appenail tempo di chiedere da chi mi veniva l'inaspettata bene-ficenza. Il maggiordomo sorrise, e mi disse che venivada voi; e prima che mi riavessi dalla sorpresa era giàsparito, lasciandomi nelle mani il denaro e la prova dellamia libertà. Ora mi direte voi la parola di questo miste-ro. —

La Rosa non la sapeva questa parola, ma non tardò aimmaginarsela. Ella riconobbe l'opera di Matilde, equest'opera le parve tanto più nobile e generosa, che erastata eseguita prima che promessa, prima che chiesta;anzi oggimai fuori di ogni aspettazione e d'ogni speran-za. Raccontarono alla famiglia l'avvenuto, e come si puòcredere, si stabilirono su due piedi le nozze.

Di lì a pochi giorni i due sposi, seguiti dalla madre diRosa, giunsero al castello per ringraziare la loro bene-fattrice. Ella stava soscrivendo il contratto nuziale che ladoveva legare al cugino, e ne pareva contenta. Certa-mente, se il merito d'una buona azione può influire sullanostra felicità, Matilde non avrà a pentirsi di ciò che hafatto. — Ma i castelli in aria?

E se erano fabbricati in aria, mie buone lettrici, dove-vano presto o tardi dileguarsi in seno d'un elemento[Pg79] così mutabile ed incostante. Ma tutto almeno nonisvanì. Rosa vide avverarsi la parte più essenziale del

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suo bel sogno, senza cavalcare all'amazzone per le villee per le città; e Matilde si riconciliò colla sua ricchezzache se, inoperosa, le aveva dato più noia che altro, leaveva procurata la più gran compiacenza della sua vitaquando aveva cominciato ad usarne.

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suo bel sogno, senza cavalcare all'amazzone per le villee per le città; e Matilde si riconciliò colla sua ricchezzache se, inoperosa, le aveva dato più noia che altro, leaveva procurata la più gran compiacenza della sua vitaquando aveva cominciato ad usarne.

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IL DIRITTO E IL TORTO.

PROEMIO.

Questi due nomi, o meglio le due idee, i due giudiciiche esprimono, si alternano, si intrecciano, si confondo-no nel mondo morale, come il filo bianco e il nero inque' tessuti misti che sono il più volgare indumento de-gli uomini che vestono panni.

Il diritto non è mai solo nè assoluto in questa bassavalle di lagrime, di soprusi, d'interessi reciproci, di pas-sioni accanite. Quando vi si pianta arrogante dinanzi,guardategli subito intorno, e vedrete far capolino una fi-gura storta e gobba che è l'antitesi del diritto; lo seguepasso a passo, gli attraversa il cammino, gli dà il gam-betto, lo prende a mezzo il corpo, lotta con lui, e gli siavvinghia alle gambe e alle braccia sì strettamente, chegli amici della pace si affaticano invano a dirimerli e aporli d'accordo.

Sia nel campo politico che nel sociale, diritto e tortonon vanno mai scompagnati. Vi sono uomini rigidi e pu-ritani che assumono l'ufficio di giudici, e sono sempre lìper sentenziare: codesto è il diritto. Ce ne sono altri dinatura benevola, che continuano le allucinazioni di DonChisciotte, e si affannano a raddrizzare[Pg 81] i torti. Cene sono finalmente di quelli che a forza di veder confuse

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IL DIRITTO E IL TORTO.

PROEMIO.

Questi due nomi, o meglio le due idee, i due giudiciiche esprimono, si alternano, si intrecciano, si confondo-no nel mondo morale, come il filo bianco e il nero inque' tessuti misti che sono il più volgare indumento de-gli uomini che vestono panni.

Il diritto non è mai solo nè assoluto in questa bassavalle di lagrime, di soprusi, d'interessi reciproci, di pas-sioni accanite. Quando vi si pianta arrogante dinanzi,guardategli subito intorno, e vedrete far capolino una fi-gura storta e gobba che è l'antitesi del diritto; lo seguepasso a passo, gli attraversa il cammino, gli dà il gam-betto, lo prende a mezzo il corpo, lotta con lui, e gli siavvinghia alle gambe e alle braccia sì strettamente, chegli amici della pace si affaticano invano a dirimerli e aporli d'accordo.

Sia nel campo politico che nel sociale, diritto e tortonon vanno mai scompagnati. Vi sono uomini rigidi e pu-ritani che assumono l'ufficio di giudici, e sono sempre lìper sentenziare: codesto è il diritto. Ce ne sono altri dinatura benevola, che continuano le allucinazioni di DonChisciotte, e si affannano a raddrizzare[Pg 81] i torti. Cene sono finalmente di quelli che a forza di veder confuse

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quelle due idee, e l'una pigliar lo aspetto dell'altra, sonodivenuti scettici e indifferenti, e chiamati a decidere chiabbia ragione fra l'assassino e la vittima, fra il giudice el'accusato, si stringono nelle spalle e rispondono: — chilo sa? —

Voi mi domanderete, lettori, a quale di queste tre clas-si appartenga lo scrittore di queste righe. La domanda èimbarazzante e forse indiscreta: onde io penso di scher-mirmene come si suole, rispondendo nè all'una nèall'altra. Io riconosco e adoro il diritto nelle serene einaccessibili sfere della ragion pura. In questo basso e li-maccioso fondo non intendo spaccarla da puritano.Homo sum: humani nihil a me alienum puto. Pigliate ilmotto di Terenzio in questo volgare significato che nonè il vero. Cito il poeta latino, come la più parte dei pre-dicatori la Bibbia. Vo' dire che l'uso del mondo e degliuomini mi ha fatto piuttosto cauto a proferire il giudiciodel diritto e del torto; cauto, dico, non indifferente nèscettico. Ciò del resto sarà chiarito nell'indole stessa delracconto che sottopongo alla vostra benigna considera-zione.

Qualche curioso vorrà qui sapere se il fatto ch'ioprendo a narrare sia vero o falso. È sempre la stessa sto-ria. Il vero e il falso s'intrecciano anch'essi come il dirit-to e il torto. Leggete e guardate da voi. Io lo raccontocome lo trovo in certe mie note raccolte nel tempo ch'iodimoravo a Trieste.

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quelle due idee, e l'una pigliar lo aspetto dell'altra, sonodivenuti scettici e indifferenti, e chiamati a decidere chiabbia ragione fra l'assassino e la vittima, fra il giudice el'accusato, si stringono nelle spalle e rispondono: — chilo sa? —

Voi mi domanderete, lettori, a quale di queste tre clas-si appartenga lo scrittore di queste righe. La domanda èimbarazzante e forse indiscreta: onde io penso di scher-mirmene come si suole, rispondendo nè all'una nèall'altra. Io riconosco e adoro il diritto nelle serene einaccessibili sfere della ragion pura. In questo basso e li-maccioso fondo non intendo spaccarla da puritano.Homo sum: humani nihil a me alienum puto. Pigliate ilmotto di Terenzio in questo volgare significato che nonè il vero. Cito il poeta latino, come la più parte dei pre-dicatori la Bibbia. Vo' dire che l'uso del mondo e degliuomini mi ha fatto piuttosto cauto a proferire il giudiciodel diritto e del torto; cauto, dico, non indifferente nèscettico. Ciò del resto sarà chiarito nell'indole stessa delracconto che sottopongo alla vostra benigna considera-zione.

Qualche curioso vorrà qui sapere se il fatto ch'ioprendo a narrare sia vero o falso. È sempre la stessa sto-ria. Il vero e il falso s'intrecciano anch'essi come il dirit-to e il torto. Leggete e guardate da voi. Io lo raccontocome lo trovo in certe mie note raccolte nel tempo ch'iodimoravo a Trieste.

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Avrei potuto, per quella facoltà che hanno tutti i ro-manzieri, trasportare in altro luogo i fatti e le persone;ma dal tempo che mi avvenne di raccogliere questi ap-punti, corse un intervallo abbastanza lungo perchè nonsia necessario ricorrere a questo palliativo. Lasciamodunque le cose e le persone al loro posto: e i miei letto-ri[Pg 82] si dieno la pena di prendere un passaporto perquella città che va demeritando ogni giorno l'antico tito-lo di fedelissima, e viene accostandosi al resto d'Italia,non so bene se per forza di repulsione dall'Austria, o diattrazione per noi. Forse sarà anche qui l'uno o l'altro.Lasciamo il giudizio agli avvenimenti. Se non è il parti-to più coraggioso, è il più cauto.

Parlando di Trieste io lascio da parte la popolazioneavventizia o cosmopolitica, che è la schiuma delle cittàcommerciali. I miei eroi appartengono alla classe indi-gena, alla città vecchia, alla moltitudine anonima chevegeta come la gramigna sul nudo terreno.

Cominciamo dal basso, se non fosse altro per farla inbarba all'antico adagio: ab Jove principium. Del restobarba Giove sta nell'alto e nel mezzo, cioè da per tutto.Abbiate indulgenza e carità per le povere creature chesto per mettervi innanzi.

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Avrei potuto, per quella facoltà che hanno tutti i ro-manzieri, trasportare in altro luogo i fatti e le persone;ma dal tempo che mi avvenne di raccogliere questi ap-punti, corse un intervallo abbastanza lungo perchè nonsia necessario ricorrere a questo palliativo. Lasciamodunque le cose e le persone al loro posto: e i miei letto-ri[Pg 82] si dieno la pena di prendere un passaporto perquella città che va demeritando ogni giorno l'antico tito-lo di fedelissima, e viene accostandosi al resto d'Italia,non so bene se per forza di repulsione dall'Austria, o diattrazione per noi. Forse sarà anche qui l'uno o l'altro.Lasciamo il giudizio agli avvenimenti. Se non è il parti-to più coraggioso, è il più cauto.

Parlando di Trieste io lascio da parte la popolazioneavventizia o cosmopolitica, che è la schiuma delle cittàcommerciali. I miei eroi appartengono alla classe indi-gena, alla città vecchia, alla moltitudine anonima chevegeta come la gramigna sul nudo terreno.

Cominciamo dal basso, se non fosse altro per farla inbarba all'antico adagio: ab Jove principium. Del restobarba Giove sta nell'alto e nel mezzo, cioè da per tutto.Abbiate indulgenza e carità per le povere creature chesto per mettervi innanzi.

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I.

Il Magazzino.

Il magazzino è la più splendida parte delle cose diTrieste; è per così dire l'appartamento di prima necessi-tà; gli altri piani sono men vasti, meno apprezzati, mencari, e s'intende il perchè. Il magazzino è come a dire ilfondamento morale dell'edifizio; là si vagliano, si am-massano, si conservano le merci d'ogni clima e di ognimaniera che a tempo vendute, a tempo cambiate, faran-no circolare nella città commerciale quello spirito di vitache la sostiene e l'anima. Questo in generale: l'attentoosservatore però, solo che passi dinanzi a codesti[Pg 83]fondachi, riconoscerà a colpo d'occhio quanto l'uno siadiverso dall'altro, e serbi per così dire il carattere dellamerce che contiene, dell'attività del padrone, della puli-tezza degl'inservienti maggiori o minori. C'è fra questiultimi una specie di gerarchia; il direttore del magazzi-no, o semplicemente magazziniere, è un uomo di grandeimportanza, riceve una grossa paga e risponde per lo piùdella giornaliera amministrazione. Dopo di lui vengonogli scrivani; poi il capo facchino co' suoi nerboruti com-pagni; in ultimo luogo le donne che sono di giorno ingiorno chiamate secondo il bisogno a mondare la merce,a sceverare la prima qualità dalle meno perfette, a pre-stare in una parola quell'opera diligente e tediosa a cuisembrano più adatte degli uomini. Seggono in due o più

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I.

Il Magazzino.

Il magazzino è la più splendida parte delle cose diTrieste; è per così dire l'appartamento di prima necessi-tà; gli altri piani sono men vasti, meno apprezzati, mencari, e s'intende il perchè. Il magazzino è come a dire ilfondamento morale dell'edifizio; là si vagliano, si am-massano, si conservano le merci d'ogni clima e di ognimaniera che a tempo vendute, a tempo cambiate, faran-no circolare nella città commerciale quello spirito di vitache la sostiene e l'anima. Questo in generale: l'attentoosservatore però, solo che passi dinanzi a codesti[Pg 83]fondachi, riconoscerà a colpo d'occhio quanto l'uno siadiverso dall'altro, e serbi per così dire il carattere dellamerce che contiene, dell'attività del padrone, della puli-tezza degl'inservienti maggiori o minori. C'è fra questiultimi una specie di gerarchia; il direttore del magazzi-no, o semplicemente magazziniere, è un uomo di grandeimportanza, riceve una grossa paga e risponde per lo piùdella giornaliera amministrazione. Dopo di lui vengonogli scrivani; poi il capo facchino co' suoi nerboruti com-pagni; in ultimo luogo le donne che sono di giorno ingiorno chiamate secondo il bisogno a mondare la merce,a sceverare la prima qualità dalle meno perfette, a pre-stare in una parola quell'opera diligente e tediosa a cuisembrano più adatte degli uomini. Seggono in due o più

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file, chine sopra la merce che tengono in grembo, e dallamattina alla sera ripetono l'atto medesimo qualche voltaciarlando tra loro, assai di rado cantando per non scema-re la tenue mercede che riceveranno alla fine della gior-nata. Queste donne, dall'arnese che adoperano, si chia-mano sessolotte o sessole,4 nome che le pareggia ad unostrumento affatto materiale e positivo, e mostra quantopoco conto si faccia della loro speciale abilità. Infattitutte le altre arti, gli altri mestieri si apprendono per am-maestramento o almeno per esercizio: una tal quale atti-tudine è necessaria anche per cucinare, per pulire unascranna, per ordinare una stanza; quindi si può fare sìgran differenza fra cuoca e cuoca, fra serva e serva. Maper l'opera della sessolotta non si domanda che occhio epazienza: è un'arte nella quale si può farsi eccellente inun'ora; quindi, s'intende, è[Pg 84] l'infima condizione incui devono necessariamente trovarsi siffatte femmine: sipigliano, si adoprano, si rimandano senza scelta, senzadomandare nè nome, nè età, nè condizione, nè altro. Sivuole una macchina semovente, dotata d'occhi e dimani, e basta così. La professione di cui parliamo è dun-que l'ultima fra le industrie che si confessano senza ros-sore e senza giri di frase: è l'operaia ridotta a' suoi mini-mi termini che dà tanta parte del suo tempo per tanti sol-di, senza che si domandi se ha fatto meglio o peggiodelle altre.

Non crediate però che il loro guadagno sia tanto mi-4

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file, chine sopra la merce che tengono in grembo, e dallamattina alla sera ripetono l'atto medesimo qualche voltaciarlando tra loro, assai di rado cantando per non scema-re la tenue mercede che riceveranno alla fine della gior-nata. Queste donne, dall'arnese che adoperano, si chia-mano sessolotte o sessole,4 nome che le pareggia ad unostrumento affatto materiale e positivo, e mostra quantopoco conto si faccia della loro speciale abilità. Infattitutte le altre arti, gli altri mestieri si apprendono per am-maestramento o almeno per esercizio: una tal quale atti-tudine è necessaria anche per cucinare, per pulire unascranna, per ordinare una stanza; quindi si può fare sìgran differenza fra cuoca e cuoca, fra serva e serva. Maper l'opera della sessolotta non si domanda che occhio epazienza: è un'arte nella quale si può farsi eccellente inun'ora; quindi, s'intende, è[Pg 84] l'infima condizione incui devono necessariamente trovarsi siffatte femmine: sipigliano, si adoprano, si rimandano senza scelta, senzadomandare nè nome, nè età, nè condizione, nè altro. Sivuole una macchina semovente, dotata d'occhi e dimani, e basta così. La professione di cui parliamo è dun-que l'ultima fra le industrie che si confessano senza ros-sore e senza giri di frase: è l'operaia ridotta a' suoi mini-mi termini che dà tanta parte del suo tempo per tanti sol-di, senza che si domandi se ha fatto meglio o peggiodelle altre.

Non crediate però che il loro guadagno sia tanto mi-4

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sero, o la condizione sì universalmente abbietta, comepotrebbero credere quelli che hanno visitato gli opificidella Francia, della Germania e dell'Inghilterra. A Trie-ste, grazie alla sua posizione, a' suoi privilegi, ad unacerta liberalità degli indigeni, qualunque presti un'operaha una mercede che basta a vivere: semprechè l'opera sicolleghi a quella vasta macchina che domandiamo com-mercio. Queste povere donne traggono dunque un pro-fitto che, se fosse durevole, e in certo modo assicuratoper tutti i giorni dell'anno, potrebbe rendere la loro con-dizione invidiabile alle stesse modiste e alle sarte chesono così altiere dell'arte loro, e se ne fanno una speciedi vanto. Una lira o due, che è l'ordinaria giornata cheguadagnano, nelle mani di una donna economa e buonamassaia, basta a provvederla sufficientemente perchènon accatti, e non ricorra ad altre fonti di sudicio lucro.Intesi dire che le femmine che si dànno a simile indu-stria non sono tutte spregevoli; che c'è fra loro qualchemadre di famiglia la quale con quella tenue mercedesaggiamente usata potè nutrire più figlie, farle ammae-strare in altre arti e onestamente accasarle: prova chenon c'è stato sì povero dove sia impossibile l'eserciziodei primi sociali doveri.

[Pg 85]

In uno di questi fondachi sedevano una ventina o piùdi queste operaie, occupate a mondare non so bene segomma o caffè: sedevano come dissi, in due file, sopra

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sero, o la condizione sì universalmente abbietta, comepotrebbero credere quelli che hanno visitato gli opificidella Francia, della Germania e dell'Inghilterra. A Trie-ste, grazie alla sua posizione, a' suoi privilegi, ad unacerta liberalità degli indigeni, qualunque presti un'operaha una mercede che basta a vivere: semprechè l'opera sicolleghi a quella vasta macchina che domandiamo com-mercio. Queste povere donne traggono dunque un pro-fitto che, se fosse durevole, e in certo modo assicuratoper tutti i giorni dell'anno, potrebbe rendere la loro con-dizione invidiabile alle stesse modiste e alle sarte chesono così altiere dell'arte loro, e se ne fanno una speciedi vanto. Una lira o due, che è l'ordinaria giornata cheguadagnano, nelle mani di una donna economa e buonamassaia, basta a provvederla sufficientemente perchènon accatti, e non ricorra ad altre fonti di sudicio lucro.Intesi dire che le femmine che si dànno a simile indu-stria non sono tutte spregevoli; che c'è fra loro qualchemadre di famiglia la quale con quella tenue mercedesaggiamente usata potè nutrire più figlie, farle ammae-strare in altre arti e onestamente accasarle: prova chenon c'è stato sì povero dove sia impossibile l'eserciziodei primi sociali doveri.

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In uno di questi fondachi sedevano una ventina o piùdi queste operaie, occupate a mondare non so bene segomma o caffè: sedevano come dissi, in due file, sopra

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sgabelli assai bassi, intente all'opera senza parlare, senzaguardarsi, rivolte verso l'ingresso del magazzino per ri-cevere da quell'unica apertura quanto di luce bastasse allavoro. Erano tutte di Trieste, tranne due sole, madre efiglia, le quali all'aria del volto, al bruno pallor delle car-ni si sarebbero dette di un altro clima. Erano infattidell'Italia di là, non dirò di qual paese, ma la cadenzaprolungata della parola le mostrava nate sul mare. Lapiù attempata guardava spesso la figlia, sedutale allato,in aria di compassione e d'affettuoso rimprovero e pun-zecchiavala tratto tratto col gomito, quando alcuno deisorveglianti le passava da presso, perchè la giovine di-menticava talvolta il lavoro, e restavasi sopra pensierocolle dita conserte in attitudine dolorosa. Una lagrima dicui la poverina non si accorgeva, le rigava di quando inquando la guancia pallida, e cadevale sulla merce chedoveva sceverare dalla mondiglia. Scossa dalle parole odal gesto della sua vigilante vicina riprendeva l'opera, siaffrettava come volesse riparare all'indugio, o togliersicol moto accelerato ai crucciosi pensieri che l'occupava-no. Ma questi riacquistavano tosto il primo dominio,onde la misera obbediva senza avvedersene a due forzediverse: tutta l'anima sua era volta ad altra parte, e lemani compiendo meccanicamente il lavoro a cui s'eranoabituate, per difetto di attenzione rigettavano il grano, etenevano in serbo le bucce. La madre che non la perde-va d'occhio, se ne avvedeva, ma dissimulava, e rimedia-va ella stessa al disordine, tanto che gli scrivani o il ma-gazziniere non avessero ad escludere la figliuola nei dì

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sgabelli assai bassi, intente all'opera senza parlare, senzaguardarsi, rivolte verso l'ingresso del magazzino per ri-cevere da quell'unica apertura quanto di luce bastasse allavoro. Erano tutte di Trieste, tranne due sole, madre efiglia, le quali all'aria del volto, al bruno pallor delle car-ni si sarebbero dette di un altro clima. Erano infattidell'Italia di là, non dirò di qual paese, ma la cadenzaprolungata della parola le mostrava nate sul mare. Lapiù attempata guardava spesso la figlia, sedutale allato,in aria di compassione e d'affettuoso rimprovero e pun-zecchiavala tratto tratto col gomito, quando alcuno deisorveglianti le passava da presso, perchè la giovine di-menticava talvolta il lavoro, e restavasi sopra pensierocolle dita conserte in attitudine dolorosa. Una lagrima dicui la poverina non si accorgeva, le rigava di quando inquando la guancia pallida, e cadevale sulla merce chedoveva sceverare dalla mondiglia. Scossa dalle parole odal gesto della sua vigilante vicina riprendeva l'opera, siaffrettava come volesse riparare all'indugio, o togliersicol moto accelerato ai crucciosi pensieri che l'occupava-no. Ma questi riacquistavano tosto il primo dominio,onde la misera obbediva senza avvedersene a due forzediverse: tutta l'anima sua era volta ad altra parte, e lemani compiendo meccanicamente il lavoro a cui s'eranoabituate, per difetto di attenzione rigettavano il grano, etenevano in serbo le bucce. La madre che non la perde-va d'occhio, se ne avvedeva, ma dissimulava, e rimedia-va ella stessa al disordine, tanto che gli scrivani o il ma-gazziniere non avessero ad escludere la figliuola nei dì

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seguenti.

Il sole intanto, tramontando sereno, tingeva il fonda-co[Pg 86] ed il viso delle operaie di quella rosea tinta delnostro vivace crepuscolo: poi la luce a poco a poco ve-niva meno: ai giovani del magazzino pareva mille annidi poter uscire di catena, e andare a zonzo per le contra-de: stromenti e merci si riponevano per l'indomani, e ledonne, ricevuta la loro paga, tutte quelle che non eranoin caso di lasciarla ammassata per la domenica, sfilaro-no a due a due, a tre a tre dalla porta, e s'incamminaronoai loro tugurii verso la barriera vecchia, quartiere che lericovera a più tenue prezzo che non potrebbero altrove.

II.

Madre e figlia.

— Marta, — diceva la più attempata delle due donne— Marta, tu vuoi che finalmente ti tolgano quest'ultimopane che ci resta. Ho paura che il capo facchino si siaaccorto della tua sbadataggine. Sai che a loro poco im-porta la persona: una o l'altra è lo stesso.

— Magari domani! così andrò a vivere con lui! —Queste parole uscirono rapidamente e come un sin-ghiozzo dalla bocca della ragazza che avrebbe voluto ri-chiamarle, sapendo bene quale ne sarebbe stata la con-seguenza. La madre non rappiccò il discorso per tutta la

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seguenti.

Il sole intanto, tramontando sereno, tingeva il fonda-co[Pg 86] ed il viso delle operaie di quella rosea tinta delnostro vivace crepuscolo: poi la luce a poco a poco ve-niva meno: ai giovani del magazzino pareva mille annidi poter uscire di catena, e andare a zonzo per le contra-de: stromenti e merci si riponevano per l'indomani, e ledonne, ricevuta la loro paga, tutte quelle che non eranoin caso di lasciarla ammassata per la domenica, sfilaro-no a due a due, a tre a tre dalla porta, e s'incamminaronoai loro tugurii verso la barriera vecchia, quartiere che lericovera a più tenue prezzo che non potrebbero altrove.

II.

Madre e figlia.

— Marta, — diceva la più attempata delle due donne— Marta, tu vuoi che finalmente ti tolgano quest'ultimopane che ci resta. Ho paura che il capo facchino si siaaccorto della tua sbadataggine. Sai che a loro poco im-porta la persona: una o l'altra è lo stesso.

— Magari domani! così andrò a vivere con lui! —Queste parole uscirono rapidamente e come un sin-ghiozzo dalla bocca della ragazza che avrebbe voluto ri-chiamarle, sapendo bene quale ne sarebbe stata la con-seguenza. La madre non rappiccò il discorso per tutta la

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via. Passarono lungo il Corso tutte e due taciturne, e co-gli occhi abbassati, proseguirono il loro cammino sinpresso la barriera, e ad un punto volsero a dritta, e sali-rono la contrada che mette al castello. A metà del pen-dìo, entrarono in uno di quei vicoli senza nome e sichiusero nella loro povera stanza.

Non vi farò una lunga descrizione di questa. Immagi-nate[Pg 87] una topaia, mal difesa dal vento, colla portasconnessa sui gangheri, uno di quegli asili della miseria,che la miseria sola conosce, e che gli uomini bennatinon hanno mai veduto, se non nel più stretto incognito,e per fini da tacersi: noti al più a qualche dilettante di fi-lantropia o all'agente del proprietario che vi bussa due oquattro volte all'anno per esigervi la pigione. Un odoretutto suo, che questi soli conoscono, ti nauseava appenaentrato, ad onta che la finestra fosse stata aperta dallamattina. Un pajo di seggiole, un rozzo tavolino, un let-tuccio, povero ma pulito, erano tutte le masserizie; soprail letto pendeva un'immagine della Madonna di Loreto,e accanto a quella due candele di cera già state accese,come mostrava il lucignolo, e là serbate si vedrà più tar-di a qual uso.

Marta avrebbe voluto che la madre fosse la prima arappiccare il discorso: sentiva la necessità di spiegare inun senso men tristo le parole che le erano sfuggite pervia, ma non sapeva da qual parte entrare in proposito.La vecchia taceva, o perchè volesse rimproverarle alla

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via. Passarono lungo il Corso tutte e due taciturne, e co-gli occhi abbassati, proseguirono il loro cammino sinpresso la barriera, e ad un punto volsero a dritta, e sali-rono la contrada che mette al castello. A metà del pen-dìo, entrarono in uno di quei vicoli senza nome e sichiusero nella loro povera stanza.

Non vi farò una lunga descrizione di questa. Immagi-nate[Pg 87] una topaia, mal difesa dal vento, colla portasconnessa sui gangheri, uno di quegli asili della miseria,che la miseria sola conosce, e che gli uomini bennatinon hanno mai veduto, se non nel più stretto incognito,e per fini da tacersi: noti al più a qualche dilettante di fi-lantropia o all'agente del proprietario che vi bussa due oquattro volte all'anno per esigervi la pigione. Un odoretutto suo, che questi soli conoscono, ti nauseava appenaentrato, ad onta che la finestra fosse stata aperta dallamattina. Un pajo di seggiole, un rozzo tavolino, un let-tuccio, povero ma pulito, erano tutte le masserizie; soprail letto pendeva un'immagine della Madonna di Loreto,e accanto a quella due candele di cera già state accese,come mostrava il lucignolo, e là serbate si vedrà più tar-di a qual uso.

Marta avrebbe voluto che la madre fosse la prima arappiccare il discorso: sentiva la necessità di spiegare inun senso men tristo le parole che le erano sfuggite pervia, ma non sapeva da qual parte entrare in proposito.La vecchia taceva, o perchè volesse rimproverarle alla

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figlia col suo silenzio, o perchè l'avessero tocca troppoaspramente. Dopo alcuni minuti di silenzio, la giovine lesi gettò al collo piangendo, e le chiese perdono. Il per-dono, come si può credere, le fu prima accordato chechiesto: la povera madre sapeva bene che il desiderioespresso in quelle parole non era desiderio di abbando-narla, sapeva bene che al punto di effettuarlo, il cuor disua figlia vi avrebbe repugnato invincibilmente. Andròa stare con lui. Son poche sillabe che udite in quel mo-mento, proferite con quel gemito doloroso, bastarono arilevare tutta una storia di amore, di rimorso, di rasse-gnazione!

Chi però non amasse di vagare ne' campi dell'induzio-ne, sappia da questo momento che lui era la persona[Pg88] più cara alla giovine, dopo la madre; sappia ch'eglinon era uno di quei signorini che s'impadroniscono abuon mercato del corpo, dell'anima e dei pensieri d'unacredula giovanetta, della quale dopo un mese sono an-noiati. La persona che Marta indicava con quel prono-me, era un giovine che le s'era profferto a marito; maentrambi poveri e sprovveduti di uno stato, se aveanoceduto al primo impulso del cuore per amarsi e per dir-selo, avevano dovuto arrendersi al consiglio della pru-denza che dissuadeva tali nozze immature, finchè il gio-vine non avesse tra mani un mestiere che bastasse allasussistenza d'entrambi. Marta non aveva al mondo chela sua tenera madre; Federico, così chiamavasi lui, nonaveva più genitori: era nipote di un barbiere che non gli

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figlia col suo silenzio, o perchè l'avessero tocca troppoaspramente. Dopo alcuni minuti di silenzio, la giovine lesi gettò al collo piangendo, e le chiese perdono. Il per-dono, come si può credere, le fu prima accordato chechiesto: la povera madre sapeva bene che il desiderioespresso in quelle parole non era desiderio di abbando-narla, sapeva bene che al punto di effettuarlo, il cuor disua figlia vi avrebbe repugnato invincibilmente. Andròa stare con lui. Son poche sillabe che udite in quel mo-mento, proferite con quel gemito doloroso, bastarono arilevare tutta una storia di amore, di rimorso, di rasse-gnazione!

Chi però non amasse di vagare ne' campi dell'induzio-ne, sappia da questo momento che lui era la persona[Pg88] più cara alla giovine, dopo la madre; sappia ch'eglinon era uno di quei signorini che s'impadroniscono abuon mercato del corpo, dell'anima e dei pensieri d'unacredula giovanetta, della quale dopo un mese sono an-noiati. La persona che Marta indicava con quel prono-me, era un giovine che le s'era profferto a marito; maentrambi poveri e sprovveduti di uno stato, se aveanoceduto al primo impulso del cuore per amarsi e per dir-selo, avevano dovuto arrendersi al consiglio della pru-denza che dissuadeva tali nozze immature, finchè il gio-vine non avesse tra mani un mestiere che bastasse allasussistenza d'entrambi. Marta non aveva al mondo chela sua tenera madre; Federico, così chiamavasi lui, nonaveva più genitori: era nipote di un barbiere che non gli

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Page 115: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

aveva lasciato in eredità che una mezza dozzina di rasoi,altrettanti asciugatoi rattoppati, due testiere da parrucca,e la scienza molto superficiale di radere i peli del mentosenza intaccare la pelle. Sono gl'istrumenti materiali diun Figaro, ma senza l'altro corredo accessorio che è in-dispensabile ad un barbiere di qualità, si può ben pensa-re che il povero Federico non avrebbe potuto campare aTrieste. Le due donne gli fecero coi loro risparmi unamodesta scorta, ed egli aveva cercato fortuna in una pic-cola terra lungo il littorale dell'Istria. Prima di partireegli aveva dovuto giurare alla giovine di sposarla appe-na egli potesse dirsi fondato nell'arte sua e solidamentecollocato in qualche luogo. Le due candele erano stateaccese in quella occasione dinanzi alla Madonna, giac-chè madre e figlia aveano creduto così render più solen-ne la promessa, e inviolabile il giuramento. Proferitoquesto, in quella cameretta medesima, Marta e Federicosi riguardarono come congiunti da indissolubile nodo,come fidanzati dinanzi a Dio. Federico, fatto un fardellodelle sue robe, si era[Pg 89] accomiatato piangendo dallafanciulla, la quale dovea rimaner colla madre finchè fos-se giunto il giorno desiderato nel quale avessero potutoricongiungersi tutti e tre.

Intanto ch'io vi spiego alla buona il senso di quel mi-sterioso monosillabo lui, le due donne strettamente ab-bracciate in un dolce empito di amor filiale e materno,s'erano dette assai cose che non si potrebbero significarea parole. Quelle due donne, l'una vedova da gran tempo,

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aveva lasciato in eredità che una mezza dozzina di rasoi,altrettanti asciugatoi rattoppati, due testiere da parrucca,e la scienza molto superficiale di radere i peli del mentosenza intaccare la pelle. Sono gl'istrumenti materiali diun Figaro, ma senza l'altro corredo accessorio che è in-dispensabile ad un barbiere di qualità, si può ben pensa-re che il povero Federico non avrebbe potuto campare aTrieste. Le due donne gli fecero coi loro risparmi unamodesta scorta, ed egli aveva cercato fortuna in una pic-cola terra lungo il littorale dell'Istria. Prima di partireegli aveva dovuto giurare alla giovine di sposarla appe-na egli potesse dirsi fondato nell'arte sua e solidamentecollocato in qualche luogo. Le due candele erano stateaccese in quella occasione dinanzi alla Madonna, giac-chè madre e figlia aveano creduto così render più solen-ne la promessa, e inviolabile il giuramento. Proferitoquesto, in quella cameretta medesima, Marta e Federicosi riguardarono come congiunti da indissolubile nodo,come fidanzati dinanzi a Dio. Federico, fatto un fardellodelle sue robe, si era[Pg 89] accomiatato piangendo dallafanciulla, la quale dovea rimaner colla madre finchè fos-se giunto il giorno desiderato nel quale avessero potutoricongiungersi tutti e tre.

Intanto ch'io vi spiego alla buona il senso di quel mi-sterioso monosillabo lui, le due donne strettamente ab-bracciate in un dolce empito di amor filiale e materno,s'erano dette assai cose che non si potrebbero significarea parole. Quelle due donne, l'una vedova da gran tempo,

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l'altra priva del padre che non aveva potuto conoscere,aveano concentrato in questo solo affetto tutta la poten-za del loro cuore. Le comuni disgrazie, le comuni angu-stie, il lavoro assiduo e monotono al quale doveano dar-si, le aveva fatte per così dire necessarie l'una all'altra; eil nuovo amore che da qualche tempo si venìa radicandonell'anima della fanciulla, pareva alla madre, e forse an-che alla figlia, una specie di usurpazione sull'antico in-diviso affetto di entrambe. Quindi il rimorso di Martaper aver profferito quelle parole, e la rassegnata tristezzadella povera madre. Ma, come dissi, in pochi istanti idue cuori s'erano ravvicinati, e s'amavano più di prima.

— Abbandonarvi per lui! — disse Marta — per luiche da quattro lunghi mesi non mi ha dato segno di vita!— e si tergeva una lagrima, che non avea saputo repri-mere.

— Quante volte non te l'ho io detto che alla fine....Già gli uomini sono fatti tutti ad un modo.

— E dire che Federico pareva tanto diverso dagli al-tri! Pareva davvero un buon figliuolo, gentile con voipiù ancora che con me, si sarebbe detto non avesse vo-lontà diversa dalla vostra. Ma la lontananza! Io non homai potuto approvarla questa idea. Lontano dagli occhi,lontano dal cuore. Se fosse restato a Trieste, la città ègrande, ci sarebbe stato pane anche per lui....

[Pg 90]

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l'altra priva del padre che non aveva potuto conoscere,aveano concentrato in questo solo affetto tutta la poten-za del loro cuore. Le comuni disgrazie, le comuni angu-stie, il lavoro assiduo e monotono al quale doveano dar-si, le aveva fatte per così dire necessarie l'una all'altra; eil nuovo amore che da qualche tempo si venìa radicandonell'anima della fanciulla, pareva alla madre, e forse an-che alla figlia, una specie di usurpazione sull'antico in-diviso affetto di entrambe. Quindi il rimorso di Martaper aver profferito quelle parole, e la rassegnata tristezzadella povera madre. Ma, come dissi, in pochi istanti idue cuori s'erano ravvicinati, e s'amavano più di prima.

— Abbandonarvi per lui! — disse Marta — per luiche da quattro lunghi mesi non mi ha dato segno di vita!— e si tergeva una lagrima, che non avea saputo repri-mere.

— Quante volte non te l'ho io detto che alla fine....Già gli uomini sono fatti tutti ad un modo.

— E dire che Federico pareva tanto diverso dagli al-tri! Pareva davvero un buon figliuolo, gentile con voipiù ancora che con me, si sarebbe detto non avesse vo-lontà diversa dalla vostra. Ma la lontananza! Io non homai potuto approvarla questa idea. Lontano dagli occhi,lontano dal cuore. Se fosse restato a Trieste, la città ègrande, ci sarebbe stato pane anche per lui....

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— Intanto Dio sa dove saranno andati i cento cin-quanta fiorini ch'io aveva messi da parte per la tua dote?

— Povera madre, a forza di stenti e di lavori con-tinui!... Ma questi almeno non saranno perduti: abbiamola sua lettera che ce li garantisce abbastanza.

— La lettera! Un pezzo di carta! Se l'obbligazionenon è più scritta nel suo cuore, io fo giusto conto diaverli perduti.

— Oh madre mia! Questo poi non posso crederlo! Liavrebbe rubati a voi stessa! Credetemi non posso sup-porlo così scellerato.

— E già tu l'hai sempre nel cuore.... sempre sei lì perdifenderlo! —

Marta taceva chinando la testa sul petto in attitudinedolorosa. La madre pentita alla sua volta d'averla toccatroppo sul vivo, modificò in tal guisa le sue parole:

— Via, non facciamo giudizi temerari. Aspettiamoancora questi pochi giorni; le prossime feste poi faremouna scappatina fin laggiù! Si potrebbe intanto scrivere....

— Oh! scrivere.... s'io sapessi scrivere! ma quel doverfidarsi ad un terzo, e poi.... Ci vuol altro che una lettera!Sì, madre mia, voi dite bene: anderemo a trovarlo laprossima Pentecoste: voglio vederlo in faccia: oh! io me

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— Intanto Dio sa dove saranno andati i cento cin-quanta fiorini ch'io aveva messi da parte per la tua dote?

— Povera madre, a forza di stenti e di lavori con-tinui!... Ma questi almeno non saranno perduti: abbiamola sua lettera che ce li garantisce abbastanza.

— La lettera! Un pezzo di carta! Se l'obbligazionenon è più scritta nel suo cuore, io fo giusto conto diaverli perduti.

— Oh madre mia! Questo poi non posso crederlo! Liavrebbe rubati a voi stessa! Credetemi non posso sup-porlo così scellerato.

— E già tu l'hai sempre nel cuore.... sempre sei lì perdifenderlo! —

Marta taceva chinando la testa sul petto in attitudinedolorosa. La madre pentita alla sua volta d'averla toccatroppo sul vivo, modificò in tal guisa le sue parole:

— Via, non facciamo giudizi temerari. Aspettiamoancora questi pochi giorni; le prossime feste poi faremouna scappatina fin laggiù! Si potrebbe intanto scrivere....

— Oh! scrivere.... s'io sapessi scrivere! ma quel doverfidarsi ad un terzo, e poi.... Ci vuol altro che una lettera!Sì, madre mia, voi dite bene: anderemo a trovarlo laprossima Pentecoste: voglio vederlo in faccia: oh! io me

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ne accorgerò bene se mi ha dimenticata.

— Due paroline ti avranno già bella e persuasa....

— Oh! non sarò più così facile. Lo guarderò negli oc-chi, lo guarderò: vedremo se saprà darmi ad intendereciò che non è!

— Ma non sarebbe meglio avvisarlo?

— No, dobbiamo fargli una sorpresa. Tanto meglio segiungeremo improvvise: così sapremo tutto per lungo eper largo.

— Ebbene: ma intanto datti pace: perchè vuoi[Pg 91]angustiarti come stasera? Credi tu che quelle altre là nont'abbiano veduta piangere? Le buone lingue che sono! Aquest'ora si saranno al certo sussurrate all'orecchio cheegli ti ha piantata, che sposa un'altra, e chi sa quante si-mili fandonie!...

— Oh madre mia, che dite voi? Se sapeste! Questaidea mi è passata propriamente per la testa tutta stasera.Se fosse un presentimento! Guai, Federico, guai, vedi!Un'altra!... Non te ne lascerò il tempo! — E qui il visodi Marta, fino a quel punto pallido e rassegnato, prende-va un'espressione d'ira e di gelosia: le sue labbra malin-coniche si affilarono e si contrassero, gli occhi le brilla-rono d'insolita luce. Era un altro lato del suo carattereche i lettori conosceranno meglio nel seguito del raccon-

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ne accorgerò bene se mi ha dimenticata.

— Due paroline ti avranno già bella e persuasa....

— Oh! non sarò più così facile. Lo guarderò negli oc-chi, lo guarderò: vedremo se saprà darmi ad intendereciò che non è!

— Ma non sarebbe meglio avvisarlo?

— No, dobbiamo fargli una sorpresa. Tanto meglio segiungeremo improvvise: così sapremo tutto per lungo eper largo.

— Ebbene: ma intanto datti pace: perchè vuoi[Pg 91]angustiarti come stasera? Credi tu che quelle altre là nont'abbiano veduta piangere? Le buone lingue che sono! Aquest'ora si saranno al certo sussurrate all'orecchio cheegli ti ha piantata, che sposa un'altra, e chi sa quante si-mili fandonie!...

— Oh madre mia, che dite voi? Se sapeste! Questaidea mi è passata propriamente per la testa tutta stasera.Se fosse un presentimento! Guai, Federico, guai, vedi!Un'altra!... Non te ne lascerò il tempo! — E qui il visodi Marta, fino a quel punto pallido e rassegnato, prende-va un'espressione d'ira e di gelosia: le sue labbra malin-coniche si affilarono e si contrassero, gli occhi le brilla-rono d'insolita luce. Era un altro lato del suo carattereche i lettori conosceranno meglio nel seguito del raccon-

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to.

III.

Di chi la colpa?

I giudizi del mondo sulle colpe e sui meriti umanisono il più delle volte falsi e crudeli. La nobiltà dei nata-li, il grado elevato, lo splendore delle ricchezze abba-gliano per così dire i nostri occhi e ci rendono indulgentiper tutto ciò che commettono i grandi di male, mentre leminime loro virtù, i minimi pregi, strombazzati dalle fa-cili bocche dei cortigiani, vengono decantati come me-raviglie, come portenti. Le azioni dei poveri invece, sesono buone, non trovano un'eco, sono cose ordinarie, èil loro dovere: se sono triste, son degne di forca. Nè sibada se non sieno spesse volte imputabili alla miseria,alla fame, all'ignoranza, alle vessazioni che soffrono,all'occasione che spesso tira l'uomo pei capelli e lo con-duce ove da sè non andrebbe, massime se fin da[Pg 92]fanciullo fosse educato all'onore, alla onestà, a quella re-ligione ch'è maestra del bene, e possente preservatricedal male. Non si bada alle diverse condizioni delle per-sone, ai mestieri che diffondono tanto spesso il conta-gio, e, mentre sono inseparabili dalla società, qual è co-stituita finora, imprimono ciò non ostante una specied'infamia al misero che li esercita, e lo pongono senzasua colpa sotto il peso di una sinistra e invincibile pre-

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to.

III.

Di chi la colpa?

I giudizi del mondo sulle colpe e sui meriti umanisono il più delle volte falsi e crudeli. La nobiltà dei nata-li, il grado elevato, lo splendore delle ricchezze abba-gliano per così dire i nostri occhi e ci rendono indulgentiper tutto ciò che commettono i grandi di male, mentre leminime loro virtù, i minimi pregi, strombazzati dalle fa-cili bocche dei cortigiani, vengono decantati come me-raviglie, come portenti. Le azioni dei poveri invece, sesono buone, non trovano un'eco, sono cose ordinarie, èil loro dovere: se sono triste, son degne di forca. Nè sibada se non sieno spesse volte imputabili alla miseria,alla fame, all'ignoranza, alle vessazioni che soffrono,all'occasione che spesso tira l'uomo pei capelli e lo con-duce ove da sè non andrebbe, massime se fin da[Pg 92]fanciullo fosse educato all'onore, alla onestà, a quella re-ligione ch'è maestra del bene, e possente preservatricedal male. Non si bada alle diverse condizioni delle per-sone, ai mestieri che diffondono tanto spesso il conta-gio, e, mentre sono inseparabili dalla società, qual è co-stituita finora, imprimono ciò non ostante una specied'infamia al misero che li esercita, e lo pongono senzasua colpa sotto il peso di una sinistra e invincibile pre-

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venzione. Andate a dire alla gente del mondo, che la talecameriera è onesta al pari che bella; che il tal parruc-chiere che va di casa in casa non s'occupa più in là deicapelli; che la crestaia non dà retta ad alcuno di queglizerbini che le ronzano intorno! La gente del mondo sicrederà tosto in diritto, e quasi quasi in dovere di riderviin faccia, e vi accuserà per lo meno d'innocenza e didabbenaggine.

Premisi quest'esordio perchè non si cerchi più oltre laragione del titolo Di chi la colpa? Io vorrei che il beni-gno lettore tenesse un po' conto dell'onestà di quelle duedonne, e vorrei dall'altra parte che imputasse all'arte cheesercitava Federico una buona porzione de' suoi difetti.

Federico, com'ho detto, era barbiere, non per volonta-ria scelta, nè per vocazione, ma perchè nipote di un Fi-garo, ed erede de' suoi strumenti. Fin da bambino nonavea veduto far altro, non avea appreso che a far la sa-ponata e a menar il rasoio: cosa gli restava di meglioche succedere nel mestiere al suo defunto parente?Sventuratamente coll'arte materiale s'era tinto senza sa-perlo delle consuetudini di suo zio, e ciarlava di tutto ecredeva il peggio delle novelle che alla sua bottegaspacciavansi, e non vedeva l'ora di essere iniziato inquei misteri che gli parevano cosa non punto pericolosa,ma lepida e lucrativa. In una parola, in poco tempo ei[Pg93] fu tale da giustificare la volgar prevenzione, e quan-do conobbe Marta, era già mariuolo matricolato e per-

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venzione. Andate a dire alla gente del mondo, che la talecameriera è onesta al pari che bella; che il tal parruc-chiere che va di casa in casa non s'occupa più in là deicapelli; che la crestaia non dà retta ad alcuno di queglizerbini che le ronzano intorno! La gente del mondo sicrederà tosto in diritto, e quasi quasi in dovere di riderviin faccia, e vi accuserà per lo meno d'innocenza e didabbenaggine.

Premisi quest'esordio perchè non si cerchi più oltre laragione del titolo Di chi la colpa? Io vorrei che il beni-gno lettore tenesse un po' conto dell'onestà di quelle duedonne, e vorrei dall'altra parte che imputasse all'arte cheesercitava Federico una buona porzione de' suoi difetti.

Federico, com'ho detto, era barbiere, non per volonta-ria scelta, nè per vocazione, ma perchè nipote di un Fi-garo, ed erede de' suoi strumenti. Fin da bambino nonavea veduto far altro, non avea appreso che a far la sa-ponata e a menar il rasoio: cosa gli restava di meglioche succedere nel mestiere al suo defunto parente?Sventuratamente coll'arte materiale s'era tinto senza sa-perlo delle consuetudini di suo zio, e ciarlava di tutto ecredeva il peggio delle novelle che alla sua bottegaspacciavansi, e non vedeva l'ora di essere iniziato inquei misteri che gli parevano cosa non punto pericolosa,ma lepida e lucrativa. In una parola, in poco tempo ei[Pg93] fu tale da giustificare la volgar prevenzione, e quan-do conobbe Marta, era già mariuolo matricolato e per-

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fettissimo Figaro. Povera donna!

Non voglio dire con questo che fin da principio egli siproponesse d'usarne a mal fine, nè che l'amor suo per lagiovane fosse tutto finzione. Non voglio calunniare al-cuna condizione, per abbietta che sia, nè intendo che ibarbieri debbano avere sul cuore il pelo che radono dal-le gote. Il barbierino l'amava: Marta era una bella ragaz-za, di forme piuttosto quadre, pallida ma non sparuta,colla testa incoronata dalla più bella capellatura che Fi-garo avesse mai trafficata alla sua bottega. Essa lo ama-va, e amor chiama amore. Se il matrimonio si fosse con-chiuso al momento, se i due sposi avessero potuto acca-sarsi e vivere insieme, la sarebbe stata una famiglia dipiù, nè più nè meno felice di tante altre. Ma il letto, ladote, la previdenza materna, gl'indugi imprevisti, la spe-ranza di un terno al lotto o di un'altra eredità, l'eldoradoche sognano gli innamorati per l'indomani, tutto ciò ave-va fatto differire le nozze, e persuaso il giovane a fare ilsuo tirocinio in una città dove avesse un minor numerodi rivali e di concorrenti. Intanto il diavolo ebbe tutta lacomodità di mettere la sua coda fra i due fidanzati comefurono un dieci miglia distanti l'uno dall'altro. Federicoportò in una piccola città dell'Istria le idee di Trieste:volle fin da principio abbagliare colla ricchezza degliaddobbi, e cattivarsi un buon numero d'avventori. Presea pigione una vasta bottega che volle nominare Stabili-mento, parola magica, ma per ordinario di poca stabilità.Fece venire da Trieste quattro capaci poltrone, due fode-

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fettissimo Figaro. Povera donna!

Non voglio dire con questo che fin da principio egli siproponesse d'usarne a mal fine, nè che l'amor suo per lagiovane fosse tutto finzione. Non voglio calunniare al-cuna condizione, per abbietta che sia, nè intendo che ibarbieri debbano avere sul cuore il pelo che radono dal-le gote. Il barbierino l'amava: Marta era una bella ragaz-za, di forme piuttosto quadre, pallida ma non sparuta,colla testa incoronata dalla più bella capellatura che Fi-garo avesse mai trafficata alla sua bottega. Essa lo ama-va, e amor chiama amore. Se il matrimonio si fosse con-chiuso al momento, se i due sposi avessero potuto acca-sarsi e vivere insieme, la sarebbe stata una famiglia dipiù, nè più nè meno felice di tante altre. Ma il letto, ladote, la previdenza materna, gl'indugi imprevisti, la spe-ranza di un terno al lotto o di un'altra eredità, l'eldoradoche sognano gli innamorati per l'indomani, tutto ciò ave-va fatto differire le nozze, e persuaso il giovane a fare ilsuo tirocinio in una città dove avesse un minor numerodi rivali e di concorrenti. Intanto il diavolo ebbe tutta lacomodità di mettere la sua coda fra i due fidanzati comefurono un dieci miglia distanti l'uno dall'altro. Federicoportò in una piccola città dell'Istria le idee di Trieste:volle fin da principio abbagliare colla ricchezza degliaddobbi, e cattivarsi un buon numero d'avventori. Presea pigione una vasta bottega che volle nominare Stabili-mento, parola magica, ma per ordinario di poca stabilità.Fece venire da Trieste quattro capaci poltrone, due fode-

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rate di marrocchino, due di stoffa rabescata e superba,per le pratiche più distinte. Le pareti sfolgoravano di va-sti specchi, a ciascun lato dei quali sporgevano doppieridi bronzo dorato.[Pg 94] Dal soffitto pendea una lumiera atre becchi, elegante di forme, e sospesa per modo chepoteva girarsi e illuminare il più ritroso pelo che fossesfuggito al rasoio. Tra gli specchi figuravano parecchielitografie colorate, per dar materia a parlare e a pensarea quelli che, secondo i suoi calcoli, avrebbero dovutoannoiarsi aspettando che si spedissero i primi venuti.Prese un paio di garzoni al suo servizio, li volle ben ve-stiti e ben disposti della persona, perchè nulla d'inele-gante avesse a ferir l'occhio in un tempio destinato allamoda e alla gentilezza. Non mancavano sugli stipi intar-siati nè i giornali di Parigi, nè gli indispensabili figuriniche prescrivessero la foggia e quasi il color dei capelli.Non conosceva a dir vero l'arte di architettare un fronti-no, una parrucca che ingannasse l'occhio, e potesse dile-guare il sospetto di prematura calvizie: ma s'avvisò difare una scorreria nei dintorni per comperare a buonmercato dalle povere villane la spontanea ricchezza del-le loro trecce, le quali con minor fatica accomodate epulite, potevano riparare ai danni del tempo o dellatoilette nelle attempate matrone di quella città. Una ric-ca suppellettile di rasoi, di pettini, di variopinte pomate,d'olii odoriferi e portentosi completavano questa offici-na che sarebbe stata meraviglia a Trieste; figuratevi poiche spicco dovesse fare in provincia!

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rate di marrocchino, due di stoffa rabescata e superba,per le pratiche più distinte. Le pareti sfolgoravano di va-sti specchi, a ciascun lato dei quali sporgevano doppieridi bronzo dorato.[Pg 94] Dal soffitto pendea una lumiera atre becchi, elegante di forme, e sospesa per modo chepoteva girarsi e illuminare il più ritroso pelo che fossesfuggito al rasoio. Tra gli specchi figuravano parecchielitografie colorate, per dar materia a parlare e a pensarea quelli che, secondo i suoi calcoli, avrebbero dovutoannoiarsi aspettando che si spedissero i primi venuti.Prese un paio di garzoni al suo servizio, li volle ben ve-stiti e ben disposti della persona, perchè nulla d'inele-gante avesse a ferir l'occhio in un tempio destinato allamoda e alla gentilezza. Non mancavano sugli stipi intar-siati nè i giornali di Parigi, nè gli indispensabili figuriniche prescrivessero la foggia e quasi il color dei capelli.Non conosceva a dir vero l'arte di architettare un fronti-no, una parrucca che ingannasse l'occhio, e potesse dile-guare il sospetto di prematura calvizie: ma s'avvisò difare una scorreria nei dintorni per comperare a buonmercato dalle povere villane la spontanea ricchezza del-le loro trecce, le quali con minor fatica accomodate epulite, potevano riparare ai danni del tempo o dellatoilette nelle attempate matrone di quella città. Una ric-ca suppellettile di rasoi, di pettini, di variopinte pomate,d'olii odoriferi e portentosi completavano questa offici-na che sarebbe stata meraviglia a Trieste; figuratevi poiche spicco dovesse fare in provincia!

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Ma chiederete voi, dove trovò Federico il danaro pertutte codeste masserizie, per tutti codesti addobbi? Voiricorderete che egli aveva ricevuto dalla sua futura suo-cera centocinquanta fiorini; ricorderete ch'egli era cono-sciuto a Trieste, dove si può indebitarsi per sei mesi conmolta facilità, massime chi vuol piantare stabilimenti, eha una dose sufficiente di ciarlataneria e di fiducia in sestesso. — In sei mesi — diceva egli — io avrò pagato imiei mobili, la mia pigione, i miei garzoni, e[Pg 95] potròrestituire alla Marta i suoi danari.... e forse la sua pro-messa. — Io non so se dicesse quest'ultimo, ma lo pen-sava. Le sue speranze gli avevano piena la testa d'alba-gia. — Marta forse mi converrebbe oggidì, ma fra seimesi, quando mi farò chiamare monsieur, quando saròpadrone di uno stabilimento, quando non potrò bastareal numero crescente dei miei avventori! Ci penseremo.A buon conto, il matrimonio non è celebrato, e se miverrà fuori un miglior partito costì fra quei Vandali, ionon sono già schiavo d'una parola senza conseguenza.— Così pensava Federico, fondato su quella fragile e in-certa base che voi sapete; base che doveva in poco tem-po mancargli sotto e lasciarlo cadere nel precipizio contutte le sue folli speranze.

Le grandi città, specialmente se commerciali, aprendoun libero varco alla concorrenza, nè avendo il tempo perdiscernere l'oro dall'orpello, possono talora avverarequesti calcoli, e favorire chi sa più destramente abba-gliarle coll'apparenza. Ma la bisogna non va così nelle

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Ma chiederete voi, dove trovò Federico il danaro pertutte codeste masserizie, per tutti codesti addobbi? Voiricorderete che egli aveva ricevuto dalla sua futura suo-cera centocinquanta fiorini; ricorderete ch'egli era cono-sciuto a Trieste, dove si può indebitarsi per sei mesi conmolta facilità, massime chi vuol piantare stabilimenti, eha una dose sufficiente di ciarlataneria e di fiducia in sestesso. — In sei mesi — diceva egli — io avrò pagato imiei mobili, la mia pigione, i miei garzoni, e[Pg 95] potròrestituire alla Marta i suoi danari.... e forse la sua pro-messa. — Io non so se dicesse quest'ultimo, ma lo pen-sava. Le sue speranze gli avevano piena la testa d'alba-gia. — Marta forse mi converrebbe oggidì, ma fra seimesi, quando mi farò chiamare monsieur, quando saròpadrone di uno stabilimento, quando non potrò bastareal numero crescente dei miei avventori! Ci penseremo.A buon conto, il matrimonio non è celebrato, e se miverrà fuori un miglior partito costì fra quei Vandali, ionon sono già schiavo d'una parola senza conseguenza.— Così pensava Federico, fondato su quella fragile e in-certa base che voi sapete; base che doveva in poco tem-po mancargli sotto e lasciarlo cadere nel precipizio contutte le sue folli speranze.

Le grandi città, specialmente se commerciali, aprendoun libero varco alla concorrenza, nè avendo il tempo perdiscernere l'oro dall'orpello, possono talora avverarequesti calcoli, e favorire chi sa più destramente abba-gliarle coll'apparenza. Ma la bisogna non va così nelle

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piccole. In queste la gente è meno occupata de' propriifatti, e quindi bada più a quelli degli altri: l'occhio lin-ceo del provinciale penetra i più secreti misteri delle fa-miglie, vede per entro alle muraglie, entro agli scrigni,come se fossero di cristallo, e se non c'è una realtà chegiustifichi l'apparenza, il ciarlatano è sbertato in due set-timane, e non c'è più chi lo salvi dalle beffe e dal danno.Nelle grandi città il segreto di guadagnare molto è quel-lo di saper perdere a tempo: nelle piccole la più strettaeconomia è necessaria ad ammassare, quattrino perquattrino, un povero capitaluccio che basti appena pernon soccombere ai casi emergenti. Per venire al concre-to, Federico avrebbe potuto redimere se stesso a Trieste,dove la barba si rade ogni giorno, e i capelli dei giovanieleganti si scompigliano così spesso:[Pg 96] ma nell'Istriala cosa è diversa. Quivi non c'è penuria di quelli che siradon da sè, e pochi son quelli che pagano il barbiere amoneta sonante; e le donne hanno gran cura dei loro ca-pelli, e non li affiderebbero per tutto l'oro del mondoalle mani di un parrucchiere. Le sue trecce comperate acontanti non passarono mica, come ei si credeva, dallanuca delle villane alla fronte delle matrone, ma rimaseroad ornare le vetrine del suo negozio, invecchiando senzaprofitto. In una parola, bastarono due mesi ad esaurire icapitali e le speranze di Federico. La sua bottega nonpotè mai divenire un fondaco di grandi guadagni: diven-ne un convegno di gente sfaccendata che trovava meglioil suo conto ad oziare costì le lunghe sere su quelle sof-fici poltrone, che ad acculattare le sedie di un caffè,

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piccole. In queste la gente è meno occupata de' propriifatti, e quindi bada più a quelli degli altri: l'occhio lin-ceo del provinciale penetra i più secreti misteri delle fa-miglie, vede per entro alle muraglie, entro agli scrigni,come se fossero di cristallo, e se non c'è una realtà chegiustifichi l'apparenza, il ciarlatano è sbertato in due set-timane, e non c'è più chi lo salvi dalle beffe e dal danno.Nelle grandi città il segreto di guadagnare molto è quel-lo di saper perdere a tempo: nelle piccole la più strettaeconomia è necessaria ad ammassare, quattrino perquattrino, un povero capitaluccio che basti appena pernon soccombere ai casi emergenti. Per venire al concre-to, Federico avrebbe potuto redimere se stesso a Trieste,dove la barba si rade ogni giorno, e i capelli dei giovanieleganti si scompigliano così spesso:[Pg 96] ma nell'Istriala cosa è diversa. Quivi non c'è penuria di quelli che siradon da sè, e pochi son quelli che pagano il barbiere amoneta sonante; e le donne hanno gran cura dei loro ca-pelli, e non li affiderebbero per tutto l'oro del mondoalle mani di un parrucchiere. Le sue trecce comperate acontanti non passarono mica, come ei si credeva, dallanuca delle villane alla fronte delle matrone, ma rimaseroad ornare le vetrine del suo negozio, invecchiando senzaprofitto. In una parola, bastarono due mesi ad esaurire icapitali e le speranze di Federico. La sua bottega nonpotè mai divenire un fondaco di grandi guadagni: diven-ne un convegno di gente sfaccendata che trovava meglioil suo conto ad oziare costì le lunghe sere su quelle sof-fici poltrone, che ad acculattare le sedie di un caffè,

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dove l'urbana ospitalità del garzone non avrebbe tardatomolto a porre a contribuzione la borsa. A farla breve,nella bottega di Federico si tagliavano più panni che nonsi radessero peli, si vendevano più scandali che parruc-che, si spacciavano più avventure che pomate odorose.E il padrone? Ei lucrava talvolta il titolo di faceto, lalode di smaliziato, ma non ricattava le spese della suasplendida illuminazione.

In capo a due mesi i suoi poveri fondi furono al ver-de: provò a indebitarsi anche là, ma non trovò quel cre-dito che s'aspettava: le scadenze cominciarono a parerglipiù prossime, più irreparabili, più ruinose; ai centocin-quanta fiorini di Marta appena volgeva un pensiero: lagiovine, la promessa, il matrimonio gli sembravano coseassurde. Voleva scriverle, ma che mai? Perchè versare inquel cuore, che lo amava sì caldamente, quel principiodi disperazione che già lo rodeva? E poi.... E poi.... for-za è dirlo. Egli aveva già mancato a que' giuramenti:un'altra donna s'era impadronita dell'amor[Pg 97] suo, eavea contribuito per la sua parte a sciupargli quel po' discorta. Se si fosse conservato fedele alle sue promesse,avrebbe forse trovata la forza di domandar consiglio allavecchia che dovea fargli da madre, i cui consigli avreb-bero forse, se non impedita, almeno resa meno fatale lasua rovina. Ma egli non poteva gittar tutta la colpa sullafortuna; sentiva quanta parte glie ne toccasse e quandoquesti pensieri venivano a molestarlo, li affogava nelvino.

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dove l'urbana ospitalità del garzone non avrebbe tardatomolto a porre a contribuzione la borsa. A farla breve,nella bottega di Federico si tagliavano più panni che nonsi radessero peli, si vendevano più scandali che parruc-che, si spacciavano più avventure che pomate odorose.E il padrone? Ei lucrava talvolta il titolo di faceto, lalode di smaliziato, ma non ricattava le spese della suasplendida illuminazione.

In capo a due mesi i suoi poveri fondi furono al ver-de: provò a indebitarsi anche là, ma non trovò quel cre-dito che s'aspettava: le scadenze cominciarono a parerglipiù prossime, più irreparabili, più ruinose; ai centocin-quanta fiorini di Marta appena volgeva un pensiero: lagiovine, la promessa, il matrimonio gli sembravano coseassurde. Voleva scriverle, ma che mai? Perchè versare inquel cuore, che lo amava sì caldamente, quel principiodi disperazione che già lo rodeva? E poi.... E poi.... for-za è dirlo. Egli aveva già mancato a que' giuramenti:un'altra donna s'era impadronita dell'amor[Pg 97] suo, eavea contribuito per la sua parte a sciupargli quel po' discorta. Se si fosse conservato fedele alle sue promesse,avrebbe forse trovata la forza di domandar consiglio allavecchia che dovea fargli da madre, i cui consigli avreb-bero forse, se non impedita, almeno resa meno fatale lasua rovina. Ma egli non poteva gittar tutta la colpa sullafortuna; sentiva quanta parte glie ne toccasse e quandoquesti pensieri venivano a molestarlo, li affogava nelvino.

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IV.

Delusione.

Abbiamo lasciato il nostro Figaro ad annegar nel vinoil pensiero delle imminenti scadenze, e quel resto diamore e di gratitudine che ancor lo legava alla poveraMarta. Lo sciagurato non era solo; un'altra donna gli se-deva accanto nella remota taverna, dove sciupava la seragli scarsi guadagni della giornata. Non siate sì presti agiudicarne sinistramente. Era una giovane di 25 anni,fantesca, cuoca, cameriera, governante e padrona, comevi piace meglio, di un ricco possidente di quella terra:una donna onesta, come ella diceva ad ogni dieci parole,che amava il vantaggio del suo padrone come suo pro-prio, che lo aiutava a vestirsi la mattina, a spogliarsi lasera, perchè era vecchio e gottoso, gli ammanniva i boc-coni più ghiotti, gli augurava cent'anni di vita....nell'altro mondo, semprechè morendo si ricordasse di leie dei lunghi e vari servigi che gli aveva reso con una de-licatezza e un disinteresse impareggiabile e degno delpiù generoso compenso. Sono parole sue. A quell'ora(erano trascorse le dieci) dopo aver messo a letto[Pg 98] ilsuo caro padrone, e spento il fuoco nella cucina, e udito-lo russare nel suo letto tranquillamente, a un cenno diFederico era uscita di casa pian piano, e andata con lui aesilararsi un po' dopo le fatiche del giorno; e questo, giàs'intende, senza che nessuno avesse a dir nulla sul fatto

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IV.

Delusione.

Abbiamo lasciato il nostro Figaro ad annegar nel vinoil pensiero delle imminenti scadenze, e quel resto diamore e di gratitudine che ancor lo legava alla poveraMarta. Lo sciagurato non era solo; un'altra donna gli se-deva accanto nella remota taverna, dove sciupava la seragli scarsi guadagni della giornata. Non siate sì presti agiudicarne sinistramente. Era una giovane di 25 anni,fantesca, cuoca, cameriera, governante e padrona, comevi piace meglio, di un ricco possidente di quella terra:una donna onesta, come ella diceva ad ogni dieci parole,che amava il vantaggio del suo padrone come suo pro-prio, che lo aiutava a vestirsi la mattina, a spogliarsi lasera, perchè era vecchio e gottoso, gli ammanniva i boc-coni più ghiotti, gli augurava cent'anni di vita....nell'altro mondo, semprechè morendo si ricordasse di leie dei lunghi e vari servigi che gli aveva reso con una de-licatezza e un disinteresse impareggiabile e degno delpiù generoso compenso. Sono parole sue. A quell'ora(erano trascorse le dieci) dopo aver messo a letto[Pg 98] ilsuo caro padrone, e spento il fuoco nella cucina, e udito-lo russare nel suo letto tranquillamente, a un cenno diFederico era uscita di casa pian piano, e andata con lui aesilararsi un po' dopo le fatiche del giorno; e questo, giàs'intende, senza che nessuno avesse a dir nulla sul fatto

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suo. Essa era libera; egli era libero (s'era ben guardato didirle quanto innanzi fossero andate le sue relazioni conMarta); potevano un giorno divenire marito e moglie,solo che quel vecchio rantoloso del suo amato padrones'imbarcasse un bel mattino per l'altro mondo. Intantoera giusto che si trovassero un poco assieme per cono-scere reciprocamente il loro carattere, e non contrarrecerti legami colla testa nel sacco, come si suol dire fra lagente giudiziosa. Questi erano i loro discorsi, quandodovevano respingere o preoccupare qualche indiscretasupposizione.

Tal è la facile morale delle sue pari; e qui ancora sia-mo costretti a ripetere: Di chi la colpa?

Sedevano ad un piccolo desco l'uno rimpetto l'altra,guardandosi tratto tratto in aria carezzevole, e scambian-dosi fra loro alcuna di quelle frasi onde la gente volgaresuole significarsi il reciproco attaccamento. Dico attac-camento e non amore. Federico e Giustina erano più at-taccati l'uno all'altra che amanti. Egli vagheggiava in leigli orecchini d'oro, la collana, i buoni scudi che avevamesso da parte, e più di tutto l'influenza che esercitavasul suo padrone, tra i più facoltosi della città.

Ma dopo aver sacrificato i più begli anni al servizio diun vecchio celibatario, sfidando da una parte le noie, lefatiche, le veglie, dall'altra le maldicenze e i giudicii te-merari del mondo, avea bisogno di riposare il pensiero

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suo. Essa era libera; egli era libero (s'era ben guardato didirle quanto innanzi fossero andate le sue relazioni conMarta); potevano un giorno divenire marito e moglie,solo che quel vecchio rantoloso del suo amato padrones'imbarcasse un bel mattino per l'altro mondo. Intantoera giusto che si trovassero un poco assieme per cono-scere reciprocamente il loro carattere, e non contrarrecerti legami colla testa nel sacco, come si suol dire fra lagente giudiziosa. Questi erano i loro discorsi, quandodovevano respingere o preoccupare qualche indiscretasupposizione.

Tal è la facile morale delle sue pari; e qui ancora sia-mo costretti a ripetere: Di chi la colpa?

Sedevano ad un piccolo desco l'uno rimpetto l'altra,guardandosi tratto tratto in aria carezzevole, e scambian-dosi fra loro alcuna di quelle frasi onde la gente volgaresuole significarsi il reciproco attaccamento. Dico attac-camento e non amore. Federico e Giustina erano più at-taccati l'uno all'altra che amanti. Egli vagheggiava in leigli orecchini d'oro, la collana, i buoni scudi che avevamesso da parte, e più di tutto l'influenza che esercitavasul suo padrone, tra i più facoltosi della città.

Ma dopo aver sacrificato i più begli anni al servizio diun vecchio celibatario, sfidando da una parte le noie, lefatiche, le veglie, dall'altra le maldicenze e i giudicii te-merari del mondo, avea bisogno di riposare il pensiero

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nell'idea di un marito che un giorno potesse riabilitarlaai proprii occhi e far tacere le male lingue. I debiti e uninteresse pecuniario tenevano le veci d'amore in Federi-co:[Pg 99] un interesse morale, men turpe dell'altro, avevafatto gradire a Giustina le galanterie del barbiere. Chiavesse letto nei loro cuori questa miserabile pagina,avrebbe riso alle calde proteste d'amore, alle improvvi-sate espansioni dei due innamorati. Ma che vado io ap-plicando al caso nostro questa ipotesi trista e divenutagià sì comune? Nel nostro c'erano due ragioni che scu-savano una tale dubbiezza: i debiti da una parte, e il bi-sogno di migliorare la propria riputazione dall'altra.Checchè ne fosse, i due amanti erano ancora nella feliceillusione, ignoravano il secondo fine che dettava quelleparole e quelle carezze, e forse anche non avevano con-fessato a se medesimi la propria frode. Aveano ancorapiù buona fede che non suol trovarsi in persone più altein simili casi. Ma era giunto il momento della grande ri-velazione.

— Giustina, — disse Federico alla sua compagna,dopo aver biascicato la parola per un buon tratto, e spe-rimentato nella sua mente almen dieci maniere per en-trarle in materia — Giustina, voi mi andate assicurandoche mi volete bene. Da due mesi che ci conosciamo mel'avete detto più di cento volte, ed io.... io ve l'ho semprecreduto sulla parola.

— Ebbene che cosa vorreste dire? Che non ho detto

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nell'idea di un marito che un giorno potesse riabilitarlaai proprii occhi e far tacere le male lingue. I debiti e uninteresse pecuniario tenevano le veci d'amore in Federi-co:[Pg 99] un interesse morale, men turpe dell'altro, avevafatto gradire a Giustina le galanterie del barbiere. Chiavesse letto nei loro cuori questa miserabile pagina,avrebbe riso alle calde proteste d'amore, alle improvvi-sate espansioni dei due innamorati. Ma che vado io ap-plicando al caso nostro questa ipotesi trista e divenutagià sì comune? Nel nostro c'erano due ragioni che scu-savano una tale dubbiezza: i debiti da una parte, e il bi-sogno di migliorare la propria riputazione dall'altra.Checchè ne fosse, i due amanti erano ancora nella feliceillusione, ignoravano il secondo fine che dettava quelleparole e quelle carezze, e forse anche non avevano con-fessato a se medesimi la propria frode. Aveano ancorapiù buona fede che non suol trovarsi in persone più altein simili casi. Ma era giunto il momento della grande ri-velazione.

— Giustina, — disse Federico alla sua compagna,dopo aver biascicato la parola per un buon tratto, e spe-rimentato nella sua mente almen dieci maniere per en-trarle in materia — Giustina, voi mi andate assicurandoche mi volete bene. Da due mesi che ci conosciamo mel'avete detto più di cento volte, ed io.... io ve l'ho semprecreduto sulla parola.

— Ebbene che cosa vorreste dire? Che non ho detto

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la verità? Voi piuttosto....

— Mi guardi il Cielo di farvi questo rimprovero. Anziio sono tanto sicuro dell'amor vostro che questa serasono risoluto di metterlo alla prova.

— Oh! questo poi!... interruppe la donna con quelladose di ritrosia che era conveniente alla sua posizione.Questo poi!...

— Un po' di pazienza; non date una sinistra interpre-tazione alle mie parole. Voi sapete quante spese ho do-vuto incontrare per metter su il mio stabilimento con[Pg100] quel decoro e con quel lusso che sapete. Io speravoche gli affari avessero a prosperare fin dai primi mo-menti. Se ne sono vedute tante delle fortune! Ma tutti ipaesi non sono uguali, e debbo confessarvi che finora ilfatto non ha giustificato i miei calcoli. —

Giustina lo ascoltava con una cert'aria tra la perplessi-tà e l'impazienza. Non sapeva ben vedere a che parassequesto bel ragionamento di Federico; ma la sua naturaleaccortezza le fece intravedere che l'esordio non dovevacondurre nè ad un regalo nè ad altra cosa di buono perlei. Tuttavia dissimulò e lasciò che l'amico tirasse innan-zi.

— Voi m'intendete — soggiunse Federico.

— Intendo, — rispose Giustina sbadatamente; come

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la verità? Voi piuttosto....

— Mi guardi il Cielo di farvi questo rimprovero. Anziio sono tanto sicuro dell'amor vostro che questa serasono risoluto di metterlo alla prova.

— Oh! questo poi!... interruppe la donna con quelladose di ritrosia che era conveniente alla sua posizione.Questo poi!...

— Un po' di pazienza; non date una sinistra interpre-tazione alle mie parole. Voi sapete quante spese ho do-vuto incontrare per metter su il mio stabilimento con[Pg100] quel decoro e con quel lusso che sapete. Io speravoche gli affari avessero a prosperare fin dai primi mo-menti. Se ne sono vedute tante delle fortune! Ma tutti ipaesi non sono uguali, e debbo confessarvi che finora ilfatto non ha giustificato i miei calcoli. —

Giustina lo ascoltava con una cert'aria tra la perplessi-tà e l'impazienza. Non sapeva ben vedere a che parassequesto bel ragionamento di Federico; ma la sua naturaleaccortezza le fece intravedere che l'esordio non dovevacondurre nè ad un regalo nè ad altra cosa di buono perlei. Tuttavia dissimulò e lasciò che l'amico tirasse innan-zi.

— Voi m'intendete — soggiunse Federico.

— Intendo, — rispose Giustina sbadatamente; come

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quella che non aveva inteso nulla, o non voleva intende-re più in là.

— Dunque, ho contratto degli impegni. Per non mo-strare, come si dice, il lato debole, bisogna che fra pochigiorni io sia in istato di pagare il semestre a quel satirodel padrone, e dare almeno un acconto a quello di Trie-ste, che mi ha venduto le mobiglie.

— Sicuro — soggiunse Giustina.

— Dunque, — conchiudeva sempre l'amico, — se ionon trovo alcuno che mi dia la mano in questa circostan-za, dovrò sfigurare.

— Eh certo!

— Mi consolo che voi stessa ne convenite, mia buonaGiustina, e non dubito che....

Giustina restava immobile e alquanto imbarazzata aquesta interpellazione fatta direttamente a lei.

— Già — seguiva Federico — presto o tardi noi dob-biamo fare una casa sola.... Se è vero che siate dispostaa darmi la mano di sposa, i vostri interessi sono fino daquesto momento una cosa comune....

[Pg 101]

— Eh! ma.... bisogna vedere....

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quella che non aveva inteso nulla, o non voleva intende-re più in là.

— Dunque, ho contratto degli impegni. Per non mo-strare, come si dice, il lato debole, bisogna che fra pochigiorni io sia in istato di pagare il semestre a quel satirodel padrone, e dare almeno un acconto a quello di Trie-ste, che mi ha venduto le mobiglie.

— Sicuro — soggiunse Giustina.

— Dunque, — conchiudeva sempre l'amico, — se ionon trovo alcuno che mi dia la mano in questa circostan-za, dovrò sfigurare.

— Eh certo!

— Mi consolo che voi stessa ne convenite, mia buonaGiustina, e non dubito che....

Giustina restava immobile e alquanto imbarazzata aquesta interpellazione fatta direttamente a lei.

— Già — seguiva Federico — presto o tardi noi dob-biamo fare una casa sola.... Se è vero che siate dispostaa darmi la mano di sposa, i vostri interessi sono fino daquesto momento una cosa comune....

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— Eh! ma.... bisogna vedere....

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— Che cosa?

— Perchè.... come volete ch'io possa?... Sapete pureche sono una povera serva....

— Se poi mi cambiate parola....

— Io no, ma alfine....

— Voi mi avete detto d'aver messo da parte qualchecosa, e che alfine non vi sposerei senza dote.

— Quando saremo al momento.... Dirò.... io non homesso da parte nulla.... ma il padrone m'ha promessoche quando mi fossi maritata, quando avessi trovato unbuon partito, un giovine solido, come egli dice, non miavrebbe abbandonata.

— Ebbene il vostro padrone sa che noi ci vogliamobene....

— Che dite voi? Meschina me se lo sapesse!M'avrebbe già scacciata dalla sua casa.

— Giustina, voi mi scambiate le carte in mano. Nonsono quindici giorni che voi mi assicuraste di avernefatto parola al vecchio.

— Io? Ah sì! Adesso me ne ricordo.... ma così all'ariasenza dire nè chi nè quando. Gli ho detto che ogni annopassa un anno, e ch'era tempo ch'io mi accasassi. Che

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— Che cosa?

— Perchè.... come volete ch'io possa?... Sapete pureche sono una povera serva....

— Se poi mi cambiate parola....

— Io no, ma alfine....

— Voi mi avete detto d'aver messo da parte qualchecosa, e che alfine non vi sposerei senza dote.

— Quando saremo al momento.... Dirò.... io non homesso da parte nulla.... ma il padrone m'ha promessoche quando mi fossi maritata, quando avessi trovato unbuon partito, un giovine solido, come egli dice, non miavrebbe abbandonata.

— Ebbene il vostro padrone sa che noi ci vogliamobene....

— Che dite voi? Meschina me se lo sapesse!M'avrebbe già scacciata dalla sua casa.

— Giustina, voi mi scambiate le carte in mano. Nonsono quindici giorni che voi mi assicuraste di avernefatto parola al vecchio.

— Io? Ah sì! Adesso me ne ricordo.... ma così all'ariasenza dire nè chi nè quando. Gli ho detto che ogni annopassa un anno, e ch'era tempo ch'io mi accasassi. Che

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v'era un tale....

— Ebbene?

— Ma non gli ho mica detto il nome, sapete! Povera ame! E ora tanto peggio: perchè egli vuole un uomo soli-do, che abbia qualche cosa. Vedete bene....

— Io veggo bene, — soggiunse Federico senza per-dersi di coraggio — veggo bene che voi cercate pretestiper mancare al vostro impegno. Veggo bene Giustinache voi non mi amate punto.

— Io? anzi vi ho sempre voluto bene.

— A parole, ma ora che siamo venuti al fatto vi tira-te[Pg 102] un passo indietro, e fate quel conto di me chefareste di un estranio. Sia come non detto.

— Ma no, Federico, credetemi, s'io potessi....

— Potete benissimo, ma vi manca la volontà, vi man-ca l'amore. Conosco un'altra persona che nel caso vostronon avrebbe aspettata la domanda per darmi aiuto, equasi quasi sento rimorso di averla trattata....

— Eh già! Voi parlate di quella di Trieste, della vostraprima fiamma. Andate da lei dunque; perchè mi venite aseccar me?

— Perchè io sono un pazzo a prestarvi fede; perchè

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v'era un tale....

— Ebbene?

— Ma non gli ho mica detto il nome, sapete! Povera ame! E ora tanto peggio: perchè egli vuole un uomo soli-do, che abbia qualche cosa. Vedete bene....

— Io veggo bene, — soggiunse Federico senza per-dersi di coraggio — veggo bene che voi cercate pretestiper mancare al vostro impegno. Veggo bene Giustinache voi non mi amate punto.

— Io? anzi vi ho sempre voluto bene.

— A parole, ma ora che siamo venuti al fatto vi tira-te[Pg 102] un passo indietro, e fate quel conto di me chefareste di un estranio. Sia come non detto.

— Ma no, Federico, credetemi, s'io potessi....

— Potete benissimo, ma vi manca la volontà, vi man-ca l'amore. Conosco un'altra persona che nel caso vostronon avrebbe aspettata la domanda per darmi aiuto, equasi quasi sento rimorso di averla trattata....

— Eh già! Voi parlate di quella di Trieste, della vostraprima fiamma. Andate da lei dunque; perchè mi venite aseccar me?

— Perchè io sono un pazzo a prestarvi fede; perchè

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sono stato ingannato dalle vostre belle parole. Niente,niente. Sia per non detto. Domani saprò che cosa devofare....

— Ma sentite, Federico, fidatevi ancora. Ditemi al-meno quanto vi occorrerebbe....

— Una miseria.... con duecento fiorini io potrei fareuna buona figura e tirar innanzi altri sei mesi....

— Duecento fiorini! — gridò Giustina spaventata. —Duecento fiorini! Sapete che fanno seicento svanziche?Se mi vendo tutta coi miei abiti e col mio oro non tirotanto.... Voi siete dunque rovinato?

— Rovinato per questa bagattella? Questa somma ioconosco molti che la guadagnano in quindici giorni. Seio avessi ascoltata la Marta, e fossi restato colà in quali-tà di primo giovine, a quest'ora li avrei guadagnati intante mancie.

— Ma se la cosa è in questo modo, non so che dire....

— Se voi ne parlaste al vostro padrone? Mi dite chevi ama tanto.... Si coglie un buon momento: una carezzadi più, e il colpo è fatto.

— Sì, sì, altro che carezze! Duecento fiorini! Voi nonlo conoscete il mio padrone. Sentite questa. Una sera fa-ceva i pediluvj per guarire dal suo solito reuma.[Pg 103]

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sono stato ingannato dalle vostre belle parole. Niente,niente. Sia per non detto. Domani saprò che cosa devofare....

— Ma sentite, Federico, fidatevi ancora. Ditemi al-meno quanto vi occorrerebbe....

— Una miseria.... con duecento fiorini io potrei fareuna buona figura e tirar innanzi altri sei mesi....

— Duecento fiorini! — gridò Giustina spaventata. —Duecento fiorini! Sapete che fanno seicento svanziche?Se mi vendo tutta coi miei abiti e col mio oro non tirotanto.... Voi siete dunque rovinato?

— Rovinato per questa bagattella? Questa somma ioconosco molti che la guadagnano in quindici giorni. Seio avessi ascoltata la Marta, e fossi restato colà in quali-tà di primo giovine, a quest'ora li avrei guadagnati intante mancie.

— Ma se la cosa è in questo modo, non so che dire....

— Se voi ne parlaste al vostro padrone? Mi dite chevi ama tanto.... Si coglie un buon momento: una carezzadi più, e il colpo è fatto.

— Sì, sì, altro che carezze! Duecento fiorini! Voi nonlo conoscete il mio padrone. Sentite questa. Una sera fa-ceva i pediluvj per guarire dal suo solito reuma.[Pg 103]

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Colgo il momento, e gli propongo di comprarmi questiorecchini d'oro — non mica di regalarmeli, vedete, maperchè la Margherita che me li ha venduti, aveva biso-gno di denari, ed io non ne aveva. Mi pensai di doman-dare dieci fiorini a prestito al mio caro padrone. Voletecredere? Al sentire nominare dieci fiorini, si dimenticòdel bagno, e saltò in piedi con tanta furia che rovesciò laconca, e l'acqua allagò tutto il tappeto....

— E allora...?

— Allora io corsi fuori di camera e lo lasciai strillarea sua voglia per più d'un'ora. Eh! se lo conosceste!...

— Ma poi ha dovuto comprarveli....

— Credo!

— Dunque.... un'altra strillata e....

— Un'altra strillata, volete dire, e poi fuori di casa persempre.... Duecento fiorini! se si trattasse di dieci o do-dici....

— Dieci o dodici non bastano neanche a pagare ilmerciaio per quell'abito....

— Avete fatto un debito per quell'abito?...

— Sicuro! che serve? Volevo mostrarvi col fatto chevi amavo....

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Colgo il momento, e gli propongo di comprarmi questiorecchini d'oro — non mica di regalarmeli, vedete, maperchè la Margherita che me li ha venduti, aveva biso-gno di denari, ed io non ne aveva. Mi pensai di doman-dare dieci fiorini a prestito al mio caro padrone. Voletecredere? Al sentire nominare dieci fiorini, si dimenticòdel bagno, e saltò in piedi con tanta furia che rovesciò laconca, e l'acqua allagò tutto il tappeto....

— E allora...?

— Allora io corsi fuori di camera e lo lasciai strillarea sua voglia per più d'un'ora. Eh! se lo conosceste!...

— Ma poi ha dovuto comprarveli....

— Credo!

— Dunque.... un'altra strillata e....

— Un'altra strillata, volete dire, e poi fuori di casa persempre.... Duecento fiorini! se si trattasse di dieci o do-dici....

— Dieci o dodici non bastano neanche a pagare ilmerciaio per quell'abito....

— Avete fatto un debito per quell'abito?...

— Sicuro! che serve? Volevo mostrarvi col fatto chevi amavo....

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— Male, malissimo! Chi ve l'ha domandato? Tantopeggio per voi! Io non avevo bisogno dei vostri regali.Domani ve lo restituisco.

— Ah voi m'intendete così? Voi mi ringraziate inquesta maniera?

— Se siete pazzo!...

— Sì, io sono un pazzo, e voi un'ingrata. Addio, ad-dio per sempre. Non mi aspettavo che la nostra relazio-ne avesse a terminare in questa maniera....

— Oh! questo poi non potevo immaginarmelo nem-meno io!

[Pg 104]

— Meglio tardi che mai! —

Dicendo queste parole Federico pagò il conto, con-dusse la donna sino alla porta della sua casa, e tornòall'osteria a smaltire il dispetto di tanta resistenza. Maquesto dispetto era tale da non potersi smaltire così fa-cilmente. Fino dal primo momento che l'improvvido Fe-derico avea pensato a' suoi debiti, e quasi nel tempostesso avea disperato di poterli mai soddisfare per le vieordinarie, tormentato da questa inquietudine cercava diriposarsi nel pensiero di Giustina, e nel soccorso cheavrebbe potuto porgergli all'uopo co' suoi risparmi. Eper tenue che fosse il filo a cui raccomandava la sua

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— Male, malissimo! Chi ve l'ha domandato? Tantopeggio per voi! Io non avevo bisogno dei vostri regali.Domani ve lo restituisco.

— Ah voi m'intendete così? Voi mi ringraziate inquesta maniera?

— Se siete pazzo!...

— Sì, io sono un pazzo, e voi un'ingrata. Addio, ad-dio per sempre. Non mi aspettavo che la nostra relazio-ne avesse a terminare in questa maniera....

— Oh! questo poi non potevo immaginarmelo nem-meno io!

[Pg 104]

— Meglio tardi che mai! —

Dicendo queste parole Federico pagò il conto, con-dusse la donna sino alla porta della sua casa, e tornòall'osteria a smaltire il dispetto di tanta resistenza. Maquesto dispetto era tale da non potersi smaltire così fa-cilmente. Fino dal primo momento che l'improvvido Fe-derico avea pensato a' suoi debiti, e quasi nel tempostesso avea disperato di poterli mai soddisfare per le vieordinarie, tormentato da questa inquietudine cercava diriposarsi nel pensiero di Giustina, e nel soccorso cheavrebbe potuto porgergli all'uopo co' suoi risparmi. Eper tenue che fosse il filo a cui raccomandava la sua

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speranza, siccome era il solo che avesse, così gli venneogni dì sembrando più solido e sicuro. Operava in lui latrista abitudine già contratta. Guai a coloro che si sonoaccostumati a trovar sempre pronta l'altrui beneficenzanelle angustie in cui cadono! Guai a coloro che sprovve-duti di mezzi proprii, e disperando poter bastare a sestessi col lavoro e colla cotidiana fatica, sperano nelleimpreviste fortune dell'oscuro domani! Essi sono conti-nuamente lusingati dalle non probabili contingenze, e almancare di queste, non sanno più dove rivolgersi, e di-sperano di se stessi e d'altrui. Il volgo degli accattoni, etutta quella schiera di scioperati che si credono in dirittodegli altrui benefizi, si sono venuti formando in talmodo, passando dalla speranza improvvida al disingan-no, e da questo a quella abituale indolenza che non hapiù rimedio.

Federico non sapeva più dove battere il capo. Aveafatti, a suo dire, tanti sacrifizi per raggiungere la suamèta e per nutrire quella speranza, e trovarsi così ad untratto deluso! Il pensiero di Marta e della sua spontaneagenerosità gli si presentava ora più cruccioso che mai.Averla dimenticata, aver mancato alle sue promesse,[Pg105] a' suoi giuramenti, aver simulato con una serva unamore che non sentiva, solo per trarla nella rete, e farse-ne una scala alla propria ambizione, e vedersi tolta ognisperanza di ricevere il premio della sua infedeltà, dellasua doppiezza, della sua infamia! E fosse la verità chegli parlasse dal fondo dei vuotati bicchieri, fosse il ri-

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speranza, siccome era il solo che avesse, così gli venneogni dì sembrando più solido e sicuro. Operava in lui latrista abitudine già contratta. Guai a coloro che si sonoaccostumati a trovar sempre pronta l'altrui beneficenzanelle angustie in cui cadono! Guai a coloro che sprovve-duti di mezzi proprii, e disperando poter bastare a sestessi col lavoro e colla cotidiana fatica, sperano nelleimpreviste fortune dell'oscuro domani! Essi sono conti-nuamente lusingati dalle non probabili contingenze, e almancare di queste, non sanno più dove rivolgersi, e di-sperano di se stessi e d'altrui. Il volgo degli accattoni, etutta quella schiera di scioperati che si credono in dirittodegli altrui benefizi, si sono venuti formando in talmodo, passando dalla speranza improvvida al disingan-no, e da questo a quella abituale indolenza che non hapiù rimedio.

Federico non sapeva più dove battere il capo. Aveafatti, a suo dire, tanti sacrifizi per raggiungere la suamèta e per nutrire quella speranza, e trovarsi così ad untratto deluso! Il pensiero di Marta e della sua spontaneagenerosità gli si presentava ora più cruccioso che mai.Averla dimenticata, aver mancato alle sue promesse,[Pg105] a' suoi giuramenti, aver simulato con una serva unamore che non sentiva, solo per trarla nella rete, e farse-ne una scala alla propria ambizione, e vedersi tolta ognisperanza di ricevere il premio della sua infedeltà, dellasua doppiezza, della sua infamia! E fosse la verità chegli parlasse dal fondo dei vuotati bicchieri, fosse il ri-

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morso che venisse, come giusta punizione, a pungerlopiù fieramente, e il confronto della donna amata e tradi-ta con quest'altra nè amante, nè amata, e non di menopreferita alla prima; o fosse finalmente che i sentimentidella morale mandassero ancora qualche tenue baglioreall'anima sua, codesto sciagurato non esitava in quelmomento a chiamarsi coi nomi più umilianti. Egli era untristo e sentiva di esserlo, sentiva che l'abusare delleesterne sembianze dell'amore per fine d'interesse era unignobile mercato, era una vera infamia. Ma dopo averpensato alcuni minuti a levarsi di dosso quella macchia,non trovando alcun espediente che fosse agevole ed effi-cace, bevette l'ultimo bicchiere di vino, e s'addormentò.

Dopo alcuni giorni lo stato delle sue cose, già subo-dorato anche prima dai più curiosi, non fu più un miste-ro per la città. Il proprietario della sua bottega che gliaveva creduto sulla parola, lo chiamò a sè, e dichiarò divoler essere pagato all'istante. Federico balbettò qualchescusa, promise per l'indomani, senza pensare che l'indo-mani verrebbe presto, e non gli porterebbe una signoria.Volle sofisticare sul conto, ripigliare la sua burbanza,ma non potè far altro che dare a conoscere più chiara-mente al locatore ch'ei non lo avrebbe potuto pagare.Questi fece il giorno stesso i suoi passi alla pretura, epochi dì appresso un usciere si recò co' suoi uomini dibel mezzogiorno alla bottega di Federico, e pose sottosequestro i mobili e gli arnesi tutti di qualche valore perconto del proprietario.

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morso che venisse, come giusta punizione, a pungerlopiù fieramente, e il confronto della donna amata e tradi-ta con quest'altra nè amante, nè amata, e non di menopreferita alla prima; o fosse finalmente che i sentimentidella morale mandassero ancora qualche tenue baglioreall'anima sua, codesto sciagurato non esitava in quelmomento a chiamarsi coi nomi più umilianti. Egli era untristo e sentiva di esserlo, sentiva che l'abusare delleesterne sembianze dell'amore per fine d'interesse era unignobile mercato, era una vera infamia. Ma dopo averpensato alcuni minuti a levarsi di dosso quella macchia,non trovando alcun espediente che fosse agevole ed effi-cace, bevette l'ultimo bicchiere di vino, e s'addormentò.

Dopo alcuni giorni lo stato delle sue cose, già subo-dorato anche prima dai più curiosi, non fu più un miste-ro per la città. Il proprietario della sua bottega che gliaveva creduto sulla parola, lo chiamò a sè, e dichiarò divoler essere pagato all'istante. Federico balbettò qualchescusa, promise per l'indomani, senza pensare che l'indo-mani verrebbe presto, e non gli porterebbe una signoria.Volle sofisticare sul conto, ripigliare la sua burbanza,ma non potè far altro che dare a conoscere più chiara-mente al locatore ch'ei non lo avrebbe potuto pagare.Questi fece il giorno stesso i suoi passi alla pretura, epochi dì appresso un usciere si recò co' suoi uomini dibel mezzogiorno alla bottega di Federico, e pose sottosequestro i mobili e gli arnesi tutti di qualche valore perconto del proprietario.

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[Pg 106]

Federico non aveva potuto inghiottire uno smacco sìgrande, e vedendosi sulle bocche di tutti, e assediato dauna torma di piccoli creditori che s'erano desti all'esem-pio e che non poteva pagare, chiuse il negozio e sparìdal paese.

Una bella sera, Marta e la madre se lo videro compa-rire dinanzi nella modesta loro cameretta a Trieste.

V.

Vecchia e Giovane.

Era quella medesima cameretta dove sei mesi prima,innanzi ad un'immagine della Madonna di Loreto, Fede-rico e Marta s'erano giurati una fede eterna, chiamandoil cielo in testimonio della promessa e vindice dell'infra-zione. Ardevano innanzi al pio simulacro le due candelebenedette, che sospese là sopra il letto, attestavano an-cora quel rito, invalido al cospetto delle leggi, ma nelcuore delle due donne venerabile e sacro, siccome quel-le che nulla sapevano di codice, poco di religione, e cre-devano il giuramento per sè più potente d'ogni altra le-gale formalità. Federico vi s'era prestato senza malizia,senza determinata volontà di mancare, ma non curantedell'avvenire e non animato da quel sentimento di fedeche nelle due femmine teneva luogo di culto. Quella

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Federico non aveva potuto inghiottire uno smacco sìgrande, e vedendosi sulle bocche di tutti, e assediato dauna torma di piccoli creditori che s'erano desti all'esem-pio e che non poteva pagare, chiuse il negozio e sparìdal paese.

Una bella sera, Marta e la madre se lo videro compa-rire dinanzi nella modesta loro cameretta a Trieste.

V.

Vecchia e Giovane.

Era quella medesima cameretta dove sei mesi prima,innanzi ad un'immagine della Madonna di Loreto, Fede-rico e Marta s'erano giurati una fede eterna, chiamandoil cielo in testimonio della promessa e vindice dell'infra-zione. Ardevano innanzi al pio simulacro le due candelebenedette, che sospese là sopra il letto, attestavano an-cora quel rito, invalido al cospetto delle leggi, ma nelcuore delle due donne venerabile e sacro, siccome quel-le che nulla sapevano di codice, poco di religione, e cre-devano il giuramento per sè più potente d'ogni altra le-gale formalità. Federico vi s'era prestato senza malizia,senza determinata volontà di mancare, ma non curantedell'avvenire e non animato da quel sentimento di fedeche nelle due femmine teneva luogo di culto. Quella

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stanzuccia era ancora nel medesimo stato. Marta e suamadre sedevano lì sulle povere scranne agucchiando alfioco lume d'un lanternino. Soltanto la prima più pallidaassai di quel giorno e solcata la fronte da una tenue rugache annunciava la pertinacia d'un pensiero cruccioso,d'un amaro presentimento. La madre la guardava trattotratto accuorata e crollava il capo dolorosamente.

[Pg 107]

Udirono bussare alla porta, e mentre la madre andavafantasticando chi potesse venire a quell'ora, Marta, quasiavvertita da una voce interiore, era balzata in piedi, aveagettato il lavoro, e aperto rapidamente il chiavistello siera precipitata nelle braccia di Federico con un gridoineffabile di sorpresa e di gioja. Federico non s'aspettavaquell'impeto d'un vero affetto, egli che non n'avea cono-sciuta la forza; e pur tenendosi fra le braccia la giovanetutta in lagrime, se ne stava come trasecolato senza tro-var nè una carezza, nè una parola.

— Voi qui, Federico? Voi a Trieste? — chiese la vec-chia. — Non vi s'aspettava sì presto: ma tanto meglio!— E movevagli incontro verso la porta dove egli era re-stato perplesso ed immobile.

— Tanto meglio! — mormorò egli a cui l'amore nonavea potuto sospendere la memoria della triste sua con-dizione: ma per non dir tutto così d'un tratto, trasse laMarta presso la scranna e ve l'adagiò, volgendosi nello

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stanzuccia era ancora nel medesimo stato. Marta e suamadre sedevano lì sulle povere scranne agucchiando alfioco lume d'un lanternino. Soltanto la prima più pallidaassai di quel giorno e solcata la fronte da una tenue rugache annunciava la pertinacia d'un pensiero cruccioso,d'un amaro presentimento. La madre la guardava trattotratto accuorata e crollava il capo dolorosamente.

[Pg 107]

Udirono bussare alla porta, e mentre la madre andavafantasticando chi potesse venire a quell'ora, Marta, quasiavvertita da una voce interiore, era balzata in piedi, aveagettato il lavoro, e aperto rapidamente il chiavistello siera precipitata nelle braccia di Federico con un gridoineffabile di sorpresa e di gioja. Federico non s'aspettavaquell'impeto d'un vero affetto, egli che non n'avea cono-sciuta la forza; e pur tenendosi fra le braccia la giovanetutta in lagrime, se ne stava come trasecolato senza tro-var nè una carezza, nè una parola.

— Voi qui, Federico? Voi a Trieste? — chiese la vec-chia. — Non vi s'aspettava sì presto: ma tanto meglio!— E movevagli incontro verso la porta dove egli era re-stato perplesso ed immobile.

— Tanto meglio! — mormorò egli a cui l'amore nonavea potuto sospendere la memoria della triste sua con-dizione: ma per non dir tutto così d'un tratto, trasse laMarta presso la scranna e ve l'adagiò, volgendosi nello

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stesso tempo alla madre, e stringendole la mano con do-lorosa espressione.

— Come state, Federico? — diss'ella.

— Eh! così così: la salute non va male.

— Sia ringraziato Dio! Almeno questa! Ora starà me-glio anche la mia povera figliuola.

— È stata ammalata? — domandò Federico, guardan-dola sbadatamente: — mi pare in fatti più sparuta delsolito. La febbre, neh?

— La febbre? no grazie al Cielo; ma potete ben cre-dere, sei lunghi mesi senza ricevere vostre nuove! Scu-sate Federico, potevate ben scrivermi una riga, o man-darci a dire qualche cosa.

— Che cosa potevo mandarti a dire?...

— Che cosa? — domandò Marta fissandolo tra losdegno e la meraviglia. — Non avevi tu niente dadirmi?...

[Pg 108]

Federico non intese il senso di queste parole, e rispo-se materialmente: — affeddeddio non avevo niente dibuono da scrivervi: tutte le disgrazie mi sono piombateaddosso: io son rovinato. Ecco tutto, se lo volete sapere.

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stesso tempo alla madre, e stringendole la mano con do-lorosa espressione.

— Come state, Federico? — diss'ella.

— Eh! così così: la salute non va male.

— Sia ringraziato Dio! Almeno questa! Ora starà me-glio anche la mia povera figliuola.

— È stata ammalata? — domandò Federico, guardan-dola sbadatamente: — mi pare in fatti più sparuta delsolito. La febbre, neh?

— La febbre? no grazie al Cielo; ma potete ben cre-dere, sei lunghi mesi senza ricevere vostre nuove! Scu-sate Federico, potevate ben scrivermi una riga, o man-darci a dire qualche cosa.

— Che cosa potevo mandarti a dire?...

— Che cosa? — domandò Marta fissandolo tra losdegno e la meraviglia. — Non avevi tu niente dadirmi?...

[Pg 108]

Federico non intese il senso di queste parole, e rispo-se materialmente: — affeddeddio non avevo niente dibuono da scrivervi: tutte le disgrazie mi sono piombateaddosso: io son rovinato. Ecco tutto, se lo volete sapere.

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— A queste parole le due donne provarono una fitta nelcuore, ma per due diverse punture. La vecchia presentìperduti i suoi poveri cencinquanta fiorini, la giovane siconfermò nel suo presentimento che non era più amata.Ella chinò il capo, come se queste parole l'avessero pie-namente avverato.

— E la vostra bottega — chiese la madre della fan-ciulla — a chi l'avete voi confidata?

— A nessuno: l'ho chiusa.

— Chiusa!

— Nè più nè meno: e Dio sa quando potrò riaprirla.Ci han posto i suggelli. Io sono un uomo rovinato.

— Ah! disgraziato, che dite voi? — gridò la vecchiaspaventata balzando in piedi e lanciandosi contro di lui.— E i miei denari, che cosa avete fatto dei mieidenari?...

— In fumo, come gli altri — rispose Federico, facen-do scorrere un soffio sulla palma aperta della sua mano.

La vecchia rimase interdetta per la rabbia che soffocòla parola nelle sue fauci.

— Che cosa volete che faccia io? — insistè lo stordi-to. — Se tutto ha congiurato contro di me! Anch'io sonostato tradito, si vede che non ho fortuna....

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— A queste parole le due donne provarono una fitta nelcuore, ma per due diverse punture. La vecchia presentìperduti i suoi poveri cencinquanta fiorini, la giovane siconfermò nel suo presentimento che non era più amata.Ella chinò il capo, come se queste parole l'avessero pie-namente avverato.

— E la vostra bottega — chiese la madre della fan-ciulla — a chi l'avete voi confidata?

— A nessuno: l'ho chiusa.

— Chiusa!

— Nè più nè meno: e Dio sa quando potrò riaprirla.Ci han posto i suggelli. Io sono un uomo rovinato.

— Ah! disgraziato, che dite voi? — gridò la vecchiaspaventata balzando in piedi e lanciandosi contro di lui.— E i miei denari, che cosa avete fatto dei mieidenari?...

— In fumo, come gli altri — rispose Federico, facen-do scorrere un soffio sulla palma aperta della sua mano.

La vecchia rimase interdetta per la rabbia che soffocòla parola nelle sue fauci.

— Che cosa volete che faccia io? — insistè lo stordi-to. — Se tutto ha congiurato contro di me! Anch'io sonostato tradito, si vede che non ho fortuna....

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— Se non hai fortuna — interruppe la vecchia — do-vevi avere prudenza, dovevi avere onestà. Ma io mi faròsentire, sciagurato: ho lì la tua carta, mi faranno giusti-zia.

Federico si strinse nelle spalle come volesse dire: —Che cosa possono farmi? Non si trae sangue da una[Pg109] rapa, — ma ritenne queste parole che stavano lì lìper uscirgli di bocca.

— Ma ditemi — l'altra insistette — ditemi tutto: tuttii vostri bei mobili, quella pazza spesa che avete fatto....

— Spesa? No veramente, perchè non sono pagati, e ilmercante li vuole indietro....

— E voi dateglieli. —

Federico rispose anche qui con un goffo sorriso chevoleva dire: — non è più tempo: gabbato anche lui; —ma non proferì la parola.

— Vendiamoli — disse la vecchia; — se uno deveperdere, sia piuttosto il mercante che è ricco....

— Ma non capite, che sono sotto sequestro? che il pa-dron di casa li ritiene per conto dell'affitto che non hopotuto pagare?... Ve l'ho pur detto, mi pare. —

Un nuovo eccesso di collera tolse la voce alla poveravecchia, che vide impossibile anche il disonesto partito

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— Se non hai fortuna — interruppe la vecchia — do-vevi avere prudenza, dovevi avere onestà. Ma io mi faròsentire, sciagurato: ho lì la tua carta, mi faranno giusti-zia.

Federico si strinse nelle spalle come volesse dire: —Che cosa possono farmi? Non si trae sangue da una[Pg109] rapa, — ma ritenne queste parole che stavano lì lìper uscirgli di bocca.

— Ma ditemi — l'altra insistette — ditemi tutto: tuttii vostri bei mobili, quella pazza spesa che avete fatto....

— Spesa? No veramente, perchè non sono pagati, e ilmercante li vuole indietro....

— E voi dateglieli. —

Federico rispose anche qui con un goffo sorriso chevoleva dire: — non è più tempo: gabbato anche lui; —ma non proferì la parola.

— Vendiamoli — disse la vecchia; — se uno deveperdere, sia piuttosto il mercante che è ricco....

— Ma non capite, che sono sotto sequestro? che il pa-dron di casa li ritiene per conto dell'affitto che non hopotuto pagare?... Ve l'ho pur detto, mi pare. —

Un nuovo eccesso di collera tolse la voce alla poveravecchia, che vide impossibile anche il disonesto partito

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che proponeva. Ella tremava tutta come colta da subita-nea paralisi, e non sapeva persuadersi di tanta disgrazia.— Povere noi! — proruppe finalmente cacciandosi lemani nei grigi capelli — in sei mesi hai sciupati i rispar-mi di quindici anni. Scellerato! ti domando il mio san-gue, la dote della mia povera figlia.... Sai tu che ognunodi quei fiorini mi è costato una settimana di sudore e distenti?

— Oh, sapete ch'io non so che dirvi! — rispose l'altroalterato. — Pigliatevela colla sorte, pigliatevela!...

— Ma io....

— Fate pure i vostri passi, già ve l'ho detto!... Vi salu-to, e me ne lavo le mani.

— Magari non ci foste mai venuto qua dentro! E tu?che fai lì come una marmotta? — soggiunse rivolta allafiglia.

[Pg 110]

Marta durante questo dialogo era rimasta taciturna,come se si trattasse di cosa pertinente a tutt'altri che alei. Non era la questione de' fiorini che l'agitasse, eral'uso che colui ne poteva aver fatto. Le donne che ama-no hanno un sesto senso che da' più lievi indizi le fa in-dovinare le cose lontane, le cose segrete, e quelle chenon sono seguite per anco. Onde per tutto quel tempo

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che proponeva. Ella tremava tutta come colta da subita-nea paralisi, e non sapeva persuadersi di tanta disgrazia.— Povere noi! — proruppe finalmente cacciandosi lemani nei grigi capelli — in sei mesi hai sciupati i rispar-mi di quindici anni. Scellerato! ti domando il mio san-gue, la dote della mia povera figlia.... Sai tu che ognunodi quei fiorini mi è costato una settimana di sudore e distenti?

— Oh, sapete ch'io non so che dirvi! — rispose l'altroalterato. — Pigliatevela colla sorte, pigliatevela!...

— Ma io....

— Fate pure i vostri passi, già ve l'ho detto!... Vi salu-to, e me ne lavo le mani.

— Magari non ci foste mai venuto qua dentro! E tu?che fai lì come una marmotta? — soggiunse rivolta allafiglia.

[Pg 110]

Marta durante questo dialogo era rimasta taciturna,come se si trattasse di cosa pertinente a tutt'altri che alei. Non era la questione de' fiorini che l'agitasse, eral'uso che colui ne poteva aver fatto. Le donne che ama-no hanno un sesto senso che da' più lievi indizi le fa in-dovinare le cose lontane, le cose segrete, e quelle chenon sono seguite per anco. Onde per tutto quel tempo

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avea tenuta china la testa, senza guardarli, senza sentirli,come se interrogasse il suo spirito su qualche più impor-tante rivelazione. Quando le parole a lei rivolte dallamadre la scossero, levò la fronte come si svegliasse daun leggero assopimento, e la guardò trasognata. Poi, ve-dendo Federico che s'accostava all'uscio, calcandosi ilcappello sugli occhi, si slanciò verso di lui colla elastici-tà d'una tigre, e afferrandolo per un braccio: — Doveandate, Federico? — gli domandò con un tuono di vocepieno di vivacità e di fermezza.

— Non vedete? Esco di qua per non accapigliarmicon quella donna che non intende ragione....

— Senti, veh! Federico, rispetta mia madre, sai,perch'ella ha ragione da vendere, e non sei degno di al-zare gli occhi dinanzi a lei!

— Gli è per questo ch'io me ne vado....

— Per questo? venite qua, Federico, rispondetemicon sincerità. —

— Non v'ho io detto abbastanza?...

— Voi non m'avete detto nulla, o almeno io non hointeso nulla di quanto diceste. Uditemi, e giurate di direil vero....

Federico non sapeva che fare, e rimaneva lì balordo e

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avea tenuta china la testa, senza guardarli, senza sentirli,come se interrogasse il suo spirito su qualche più impor-tante rivelazione. Quando le parole a lei rivolte dallamadre la scossero, levò la fronte come si svegliasse daun leggero assopimento, e la guardò trasognata. Poi, ve-dendo Federico che s'accostava all'uscio, calcandosi ilcappello sugli occhi, si slanciò verso di lui colla elastici-tà d'una tigre, e afferrandolo per un braccio: — Doveandate, Federico? — gli domandò con un tuono di vocepieno di vivacità e di fermezza.

— Non vedete? Esco di qua per non accapigliarmicon quella donna che non intende ragione....

— Senti, veh! Federico, rispetta mia madre, sai,perch'ella ha ragione da vendere, e non sei degno di al-zare gli occhi dinanzi a lei!

— Gli è per questo ch'io me ne vado....

— Per questo? venite qua, Federico, rispondetemicon sincerità. —

— Non v'ho io detto abbastanza?...

— Voi non m'avete detto nulla, o almeno io non hointeso nulla di quanto diceste. Uditemi, e giurate di direil vero....

Federico non sapeva che fare, e rimaneva lì balordo e

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irresoluto. Marta con voce ferma, come quella di un giu-dice che vuol leggere nel cuore del malfattore, gli disse:— Sono sei mesi che tu sei lontano da me: non ho rice-vuto nè nuova, nè ambasciata. Avrei[Pg 111] potuto infor-marmene; ho un'amica costì la quale, s'io l'avessi fattapregare, avrebbe contato i tuoi passi senza che tu lo sa-pessi, e m'avrebbe tenuta in giorno di tutto. Ma io.... ioho preferito fidarmene; onde io non so che cosa tu abbiafatto nè con chi sei vissuto finora. Ora rispondimi chia-ro: mi ami tu come prima?

— Potete voi dubitarne? — domandò Federico.

— Mi ami tu come prima?

— Sì, mia cara Marta, credetemelo....

— Guardami bene negli occhi. Hai tu parlato con al-tre donne in quel paese?

— Scusatemi: anche voi avrete parlato con altri uomi-ni, io credo.

— Non andarmi di sbieco, ti prego. Hai tu sprecato idenari di mia madre con altre donne?...

— Chi v'ha detto?... chi v'ha contato queste falsità!...

— Nessuno m'ha detto niente. Mi conosci così poco?Mi credi tu capace di manifestare ad un altro un similedubbio? Da te voglio saperlo: rispondimi! — e così di-

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irresoluto. Marta con voce ferma, come quella di un giu-dice che vuol leggere nel cuore del malfattore, gli disse:— Sono sei mesi che tu sei lontano da me: non ho rice-vuto nè nuova, nè ambasciata. Avrei[Pg 111] potuto infor-marmene; ho un'amica costì la quale, s'io l'avessi fattapregare, avrebbe contato i tuoi passi senza che tu lo sa-pessi, e m'avrebbe tenuta in giorno di tutto. Ma io.... ioho preferito fidarmene; onde io non so che cosa tu abbiafatto nè con chi sei vissuto finora. Ora rispondimi chia-ro: mi ami tu come prima?

— Potete voi dubitarne? — domandò Federico.

— Mi ami tu come prima?

— Sì, mia cara Marta, credetemelo....

— Guardami bene negli occhi. Hai tu parlato con al-tre donne in quel paese?

— Scusatemi: anche voi avrete parlato con altri uomi-ni, io credo.

— Non andarmi di sbieco, ti prego. Hai tu sprecato idenari di mia madre con altre donne?...

— Chi v'ha detto?... chi v'ha contato queste falsità!...

— Nessuno m'ha detto niente. Mi conosci così poco?Mi credi tu capace di manifestare ad un altro un similedubbio? Da te voglio saperlo: rispondimi! — e così di-

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Page 146: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

cendo lo fissava con due occhi da inquisitore, lucidi,freddi, che parevano scendergli nel profondo dell'anima.

Federico non potè sostenere quello sguardo. Benchèavvezzo a mentire (e non era l'ultimo de' suoi difetti),sentì corrersi un brivido per le vene, abbassò il capo emormorò un no che avrebbe bastato a chiarirlo colpevo-le anche innanzi ad un'altra meno accorta e meno preve-nuta di Marta. Essa comprese tutto, lasciò la mano di luiche teneva stretta tra le sue, rimase muta, come se quelmonosillabo proferito a quel modo l'avesse tolta d'ognisperanza.

— No? No? — riprese dopo un momento di pausa. —Giuralo, giuralo dinanzi a quella immagine che accolsele nostre promesse solenni sei mesi fa....

[Pg 112]

— Lo giuro — rispose Federico, che s'era rimesso, echiamato a ripetere quella sacra formula, così abusatanel mondo, non dubitò di pronunciarla con quella fer-mezza che non avea trovata poc'anzi per rispondere unsemplice no.

Marta lo fissò nuovamente, e rimase sopraffatta daquella faccia tosta. Ella era superstiziosa, e non potevamanco immaginare che uno potesse giurare il falso inquel modo senza che la terra s'aprisse sotto a' suoi piediper ingoiarlo. Ella certo, quanto a lei, avrebbe commes-

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cendo lo fissava con due occhi da inquisitore, lucidi,freddi, che parevano scendergli nel profondo dell'anima.

Federico non potè sostenere quello sguardo. Benchèavvezzo a mentire (e non era l'ultimo de' suoi difetti),sentì corrersi un brivido per le vene, abbassò il capo emormorò un no che avrebbe bastato a chiarirlo colpevo-le anche innanzi ad un'altra meno accorta e meno preve-nuta di Marta. Essa comprese tutto, lasciò la mano di luiche teneva stretta tra le sue, rimase muta, come se quelmonosillabo proferito a quel modo l'avesse tolta d'ognisperanza.

— No? No? — riprese dopo un momento di pausa. —Giuralo, giuralo dinanzi a quella immagine che accolsele nostre promesse solenni sei mesi fa....

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— Lo giuro — rispose Federico, che s'era rimesso, echiamato a ripetere quella sacra formula, così abusatanel mondo, non dubitò di pronunciarla con quella fer-mezza che non avea trovata poc'anzi per rispondere unsemplice no.

Marta lo fissò nuovamente, e rimase sopraffatta daquella faccia tosta. Ella era superstiziosa, e non potevamanco immaginare che uno potesse giurare il falso inquel modo senza che la terra s'aprisse sotto a' suoi piediper ingoiarlo. Ella certo, quanto a lei, avrebbe commes-

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so qualunque delitto piuttosto che spergiurare. Onde lasua perspicacia cedette a' suoi pregiudizi, ed aprì nuova-mente l'animo alla speranza. — Basta così — sog-giuns'ella — se tu m'ami ancora, se non hai parlatod'amore con altra donna, io non cambierò sentimentoverso di te.

— Come? — prese qui a dire la vecchia: — egli hamangiato il nostro.

— Zitta, madre mia. Le disgrazie non guardano infaccia ad alcuno. Il cuore val più di tutto l'oro del mon-do. Non ti perder d'animo, Federico; se hai avuto delledisgrazie, a tutto c'è rimedio. Il Signore ci provvedrà.Siedi qui con noi, contaci tutto. — Così dicendo, lo fe'sedere tra sè e la madre, facendo mille carezze aquest'ultima, perchè temperasse la sua collera e il suorancore. Federico che forse avrebbe desiderato svignar-sela, e lavarsi, come avea detto, le mani, non ebbe il co-raggio di resistere a quell'improvvisa riconciliazione, einfilzò un centinaio di disgrazie una più bella dell'altra,tanto che le due donne non solamente gli prestaronofede, ma lo compiansero e sentirono un dolore vero pe-gli improvvisati contrattempi del mariuolo. Si terminòcoll'intavolare qualche progetto che riparasse a' disordi-ni. Federico dichiarò d'essere disposto a[Pg 113] rimanerea Trieste, a porsi come giovine presso un dei primi par-rucchieri della città, e vivendo alla meglio, metter daparte il salario che ne trarrebbe per riscattare se stesso, i

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so qualunque delitto piuttosto che spergiurare. Onde lasua perspicacia cedette a' suoi pregiudizi, ed aprì nuova-mente l'animo alla speranza. — Basta così — sog-giuns'ella — se tu m'ami ancora, se non hai parlatod'amore con altra donna, io non cambierò sentimentoverso di te.

— Come? — prese qui a dire la vecchia: — egli hamangiato il nostro.

— Zitta, madre mia. Le disgrazie non guardano infaccia ad alcuno. Il cuore val più di tutto l'oro del mon-do. Non ti perder d'animo, Federico; se hai avuto delledisgrazie, a tutto c'è rimedio. Il Signore ci provvedrà.Siedi qui con noi, contaci tutto. — Così dicendo, lo fe'sedere tra sè e la madre, facendo mille carezze aquest'ultima, perchè temperasse la sua collera e il suorancore. Federico che forse avrebbe desiderato svignar-sela, e lavarsi, come avea detto, le mani, non ebbe il co-raggio di resistere a quell'improvvisa riconciliazione, einfilzò un centinaio di disgrazie una più bella dell'altra,tanto che le due donne non solamente gli prestaronofede, ma lo compiansero e sentirono un dolore vero pe-gli improvvisati contrattempi del mariuolo. Si terminòcoll'intavolare qualche progetto che riparasse a' disordi-ni. Federico dichiarò d'essere disposto a[Pg 113] rimanerea Trieste, a porsi come giovine presso un dei primi par-rucchieri della città, e vivendo alla meglio, metter daparte il salario che ne trarrebbe per riscattare se stesso, i

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suoi mobili, e porsi nuovamente in istato di aprir bottegada sè. Stabilite fra loro queste cose, ei prese congedo daquelle due donne, un po' riconciliato con se medesimo, everamente disposto a mettere ad esecuzione quel nuovodisegno.

La madre, all'istanza di Marta, si mise all'indomanicolle mani e co' piedi; interpose la mediazione del suopadrone presso uno de' barbieri che erano più in voga aque' giorni, e ottenne che Federico si acconciasse con luiin qualità di primo giovane con discreto salario. La po-vera Marta respirò, ma per poco. Federico non era de-gno di lei.

VI.

Fisiologia.

Federico, io diceva, non era degno di tanto affetto:non era degno di Marta. Frivolo, incerto in ogni azione,schiavo dell'ultimo impulso che riceveva dall'ambientein cui si trovava, non poteva corrispondere a quell'amo-re, perchè non poteva sentirlo nè immaginarselo. Egliera una di quelle macchine umane che abbondano inogni luogo, che non hanno volontà propria, buone senzaentusiasmo, triste senza scusa, perplesse tra il sì e il no,come il pendolo tra le pile voltaiche, capaci di far tuttomediocremente, e nulla di perfetto, o che si accosti allaperfezione. Prendono la vita alla leggiera, o la vendono

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suoi mobili, e porsi nuovamente in istato di aprir bottegada sè. Stabilite fra loro queste cose, ei prese congedo daquelle due donne, un po' riconciliato con se medesimo, everamente disposto a mettere ad esecuzione quel nuovodisegno.

La madre, all'istanza di Marta, si mise all'indomanicolle mani e co' piedi; interpose la mediazione del suopadrone presso uno de' barbieri che erano più in voga aque' giorni, e ottenne che Federico si acconciasse con luiin qualità di primo giovane con discreto salario. La po-vera Marta respirò, ma per poco. Federico non era de-gno di lei.

VI.

Fisiologia.

Federico, io diceva, non era degno di tanto affetto:non era degno di Marta. Frivolo, incerto in ogni azione,schiavo dell'ultimo impulso che riceveva dall'ambientein cui si trovava, non poteva corrispondere a quell'amo-re, perchè non poteva sentirlo nè immaginarselo. Egliera una di quelle macchine umane che abbondano inogni luogo, che non hanno volontà propria, buone senzaentusiasmo, triste senza scusa, perplesse tra il sì e il no,come il pendolo tra le pile voltaiche, capaci di far tuttomediocremente, e nulla di perfetto, o che si accosti allaperfezione. Prendono la vita alla leggiera, o la vendono

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al minuto, senza curar l'indomani. Questi caratteri hannouna grande facilità[Pg 114] ad assumere tutti gli aspetti, afingere tutti i sentimenti, appunto perchè sprovvedutidel proprio; e quindi per alcun tratto ingannano gl'ine-sperti, e possono passare per uomini di squisito sentire,di forte ingegno, d'indole generosa. In amore sono per lopiù preferiti, perchè non dimenticano alcuna di quellepiccole cure di cui si nutre la vanità femminile. Guaiperò se viene il momento che un cuore profondamenteappassionato dimandi da loro un ricambio d'affetto, unodi quei sacrifici che sono lo scandaglio dell'anima! Allo-ra codesti uomini restano lì sbalorditi, e svelano dinanzigli occhi della delusa amante la propria nullità e la pro-pria indifferenza, senza sentirne rimorso. Tal era il no-stro povero Federico, e meglio per lui se fosse stato co-nosciuto fin da principio per quello ch'egli era!

Marta invece era uno di que' caratteri fermi che ab-bracciata un'idea, e presa una risoluzione, la tengono di-nanzi siccome bussola, e a quella riferiscono ogni azio-ne della vita, ogni sentimento dell'anima. Siffatti caratte-ri, più rari a trovarsi, possono, a chi ne sfiora solo la su-perficie, sembrar insipidi o freddi; perchè pieni diquell'idea che li occupa, vivono come stranieri a tuttociò che a quella non s'appartiene: simili agli amatori en-tusiastici della botanica, dell'archeologia o di qualche al-tra specialità, i quali darebbero il mondo per quellapianta rara, per quel pezzo di lapide, per un bulbo di da-lia azzurra, se mai l'industria de' giardinieri giungerà ad

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al minuto, senza curar l'indomani. Questi caratteri hannouna grande facilità[Pg 114] ad assumere tutti gli aspetti, afingere tutti i sentimenti, appunto perchè sprovvedutidel proprio; e quindi per alcun tratto ingannano gl'ine-sperti, e possono passare per uomini di squisito sentire,di forte ingegno, d'indole generosa. In amore sono per lopiù preferiti, perchè non dimenticano alcuna di quellepiccole cure di cui si nutre la vanità femminile. Guaiperò se viene il momento che un cuore profondamenteappassionato dimandi da loro un ricambio d'affetto, unodi quei sacrifici che sono lo scandaglio dell'anima! Allo-ra codesti uomini restano lì sbalorditi, e svelano dinanzigli occhi della delusa amante la propria nullità e la pro-pria indifferenza, senza sentirne rimorso. Tal era il no-stro povero Federico, e meglio per lui se fosse stato co-nosciuto fin da principio per quello ch'egli era!

Marta invece era uno di que' caratteri fermi che ab-bracciata un'idea, e presa una risoluzione, la tengono di-nanzi siccome bussola, e a quella riferiscono ogni azio-ne della vita, ogni sentimento dell'anima. Siffatti caratte-ri, più rari a trovarsi, possono, a chi ne sfiora solo la su-perficie, sembrar insipidi o freddi; perchè pieni diquell'idea che li occupa, vivono come stranieri a tuttociò che a quella non s'appartiene: simili agli amatori en-tusiastici della botanica, dell'archeologia o di qualche al-tra specialità, i quali darebbero il mondo per quellapianta rara, per quel pezzo di lapide, per un bulbo di da-lia azzurra, se mai l'industria de' giardinieri giungerà ad

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ottenerla. Di questa pasta si formano i genii ed i pazzi, imartiri della virtù e della verità, e i grandi scellerati, cheavendo proposto a se medesimi un fine a cui non posso-no pervenire per la diretta via, vogliono ad ogni costoraggiungerlo per l'obliqua, dovessero lasciarvi la pelle, oinsanguinarsi le mani.

Uno sbaglio di vocazione, un primo errore che non[Pg115] si potè prevedere nè riparare, un sopruso patito, unagiustizia negata bastano sovente a determinare al malepiù che al bene un uomo o una donna di tal indole; e fat-to il primo passo, posta o gittata la maschera, non v'èpiù mezzo a ritrarsene; una serie di casi fortuiti, e per sestessi agevoli a vincere, pigliano l'aspetto di una sinistrafatalità che c'incalza alle spalle e ci spinge nel precipi-zio. A questo male, se l'educazione non sa prevenirlo,non v'ha rimedio più tardi: l'errore non è più nel domi-nio della libera volontà; ha invaso l'intelletto, ha perver-tito il cuore, è divenuto una vera pazzia, che l'ospitalenon cura, e la carcere non reprime. Si rise di quelli chesi sono posti a raccogliere e ad educare di preferenza ipiù mariuoli tra i figli del povero che ingombravano iltrivio: ma quei filantropi avevano ragione. Le cure piùgrandi e più assidue si devono consacrare a costoro, sìperchè non vada perduto quel tesoro di forza moraleonde sono dotate le indoli più riottose, sì perchè, trascu-rate sul bel principio, per difetto di un conveniente eser-cizio non si volgano al peggio, sprecando l'esuberantevigore fuor del diritto cammino. Se ognuno avesse fin

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ottenerla. Di questa pasta si formano i genii ed i pazzi, imartiri della virtù e della verità, e i grandi scellerati, cheavendo proposto a se medesimi un fine a cui non posso-no pervenire per la diretta via, vogliono ad ogni costoraggiungerlo per l'obliqua, dovessero lasciarvi la pelle, oinsanguinarsi le mani.

Uno sbaglio di vocazione, un primo errore che non[Pg115] si potè prevedere nè riparare, un sopruso patito, unagiustizia negata bastano sovente a determinare al malepiù che al bene un uomo o una donna di tal indole; e fat-to il primo passo, posta o gittata la maschera, non v'èpiù mezzo a ritrarsene; una serie di casi fortuiti, e per sestessi agevoli a vincere, pigliano l'aspetto di una sinistrafatalità che c'incalza alle spalle e ci spinge nel precipi-zio. A questo male, se l'educazione non sa prevenirlo,non v'ha rimedio più tardi: l'errore non è più nel domi-nio della libera volontà; ha invaso l'intelletto, ha perver-tito il cuore, è divenuto una vera pazzia, che l'ospitalenon cura, e la carcere non reprime. Si rise di quelli chesi sono posti a raccogliere e ad educare di preferenza ipiù mariuoli tra i figli del povero che ingombravano iltrivio: ma quei filantropi avevano ragione. Le cure piùgrandi e più assidue si devono consacrare a costoro, sìperchè non vada perduto quel tesoro di forza moraleonde sono dotate le indoli più riottose, sì perchè, trascu-rate sul bel principio, per difetto di un conveniente eser-cizio non si volgano al peggio, sprecando l'esuberantevigore fuor del diritto cammino. Se ognuno avesse fin

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da' primi anni libera la scelta della professione odell'arte, se i primi impeti dell'affetto non fossero delusio traditi, ci sarebbe più copia d'uomini fermi ed intieri, enon vi sarebbe luogo a chiedere: di chi è la colpa? alfrequente ricorrere dei delitti e dei dolori che ci funesta-no. Una di queste nature era Marta.

Ognun vede che quei due cuori, venuti un tempo acontatto l'un dell'altro, avrebbero corsa la sorte dei duevasi della favola, l'uno di ferro, l'altro di creta, che sbat-tuti fortemente insieme diedero tosto a conoscere la ma-teria differente ond'erano fatti. Quello di creta rimase in-franto.

[Pg 116]

VII.

Da Scilla a Cariddi.

Sul principio le cose si presentavano nel più prosperoaspetto. Federico, collocato presso uno de' più accredita-ti barbieri, pratico dell'arte sua, e piacevole delle manie-re, della persona, giunse a cattivarsi il favore di tutti, fupreferito a' suoi pari e ricompensato più largamente.Memore di dovere alle due donne questa picciola fortu-na, e uscito appunto dalle angustie che lo stringevano,tra per gratitudine, tra per amore, passava presso diMarta le poche ore di libertà che gli erano date, e ri-

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da' primi anni libera la scelta della professione odell'arte, se i primi impeti dell'affetto non fossero delusio traditi, ci sarebbe più copia d'uomini fermi ed intieri, enon vi sarebbe luogo a chiedere: di chi è la colpa? alfrequente ricorrere dei delitti e dei dolori che ci funesta-no. Una di queste nature era Marta.

Ognun vede che quei due cuori, venuti un tempo acontatto l'un dell'altro, avrebbero corsa la sorte dei duevasi della favola, l'uno di ferro, l'altro di creta, che sbat-tuti fortemente insieme diedero tosto a conoscere la ma-teria differente ond'erano fatti. Quello di creta rimase in-franto.

[Pg 116]

VII.

Da Scilla a Cariddi.

Sul principio le cose si presentavano nel più prosperoaspetto. Federico, collocato presso uno de' più accredita-ti barbieri, pratico dell'arte sua, e piacevole delle manie-re, della persona, giunse a cattivarsi il favore di tutti, fupreferito a' suoi pari e ricompensato più largamente.Memore di dovere alle due donne questa picciola fortu-na, e uscito appunto dalle angustie che lo stringevano,tra per gratitudine, tra per amore, passava presso diMarta le poche ore di libertà che gli erano date, e ri-

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spondeva colle più tenere dimostrazioni allo schietto eprofondo amore della fanciulla. Qualche volta sullasera, terminate le giornaliere occupazioni d'entrambi erassettati alla meglio, si trovavano insieme, e in compa-gnia della madre, o soli, che già risguardavansi comesposi, s'incamminavano verso il Boschetto, o alcun altrodei passeggi suburbani, contenti l'un dell'altro, senza bi-sticciarsi, e terminavano all'osteria, nella quale Federicobeveva per due, e Marta lo stava guardando, mal con-tenta di quell'abitudine e di quello spendio, ma ben lon-tana da lasciar trasparire il suo malumore. — Col tem-po, — diceva ella a se stessa — col tempo egli lasceràquesti vizi, e troverà nella sua casa, vicino a me, qual-che cosa che lo farà più felice. — Qual è quella donnache ami veramente, e non s'abbandoni a siffatta illusio-ne? Ella misura l'anima dell'amante col proprio modulo,e crede tanto più facili quei sacrifizi, quanto sarebbe di-sposta a farne di simili e di maggiori, senza difficoltà esenza venirne richiesta, pur che fossero accetti.

[Pg 117]

Era una di queste sere. I due promessi s'avviavanoverso la barriera vecchia, intertenendosi quietamente deiloro progetti avvenire. Fabbricavano la loro casa,l'addobbavano con quel modesto lusso che convenissealla loro condizione, e ci vivevano in dolce armonia,colla madre, e coi loro figli nascituri, a cui la Provviden-za si sarebbe incaricata di fornire il pan cotidiano, mercè

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spondeva colle più tenere dimostrazioni allo schietto eprofondo amore della fanciulla. Qualche volta sullasera, terminate le giornaliere occupazioni d'entrambi erassettati alla meglio, si trovavano insieme, e in compa-gnia della madre, o soli, che già risguardavansi comesposi, s'incamminavano verso il Boschetto, o alcun altrodei passeggi suburbani, contenti l'un dell'altro, senza bi-sticciarsi, e terminavano all'osteria, nella quale Federicobeveva per due, e Marta lo stava guardando, mal con-tenta di quell'abitudine e di quello spendio, ma ben lon-tana da lasciar trasparire il suo malumore. — Col tem-po, — diceva ella a se stessa — col tempo egli lasceràquesti vizi, e troverà nella sua casa, vicino a me, qual-che cosa che lo farà più felice. — Qual è quella donnache ami veramente, e non s'abbandoni a siffatta illusio-ne? Ella misura l'anima dell'amante col proprio modulo,e crede tanto più facili quei sacrifizi, quanto sarebbe di-sposta a farne di simili e di maggiori, senza difficoltà esenza venirne richiesta, pur che fossero accetti.

[Pg 117]

Era una di queste sere. I due promessi s'avviavanoverso la barriera vecchia, intertenendosi quietamente deiloro progetti avvenire. Fabbricavano la loro casa,l'addobbavano con quel modesto lusso che convenissealla loro condizione, e ci vivevano in dolce armonia,colla madre, e coi loro figli nascituri, a cui la Provviden-za si sarebbe incaricata di fornire il pan cotidiano, mercè

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le loro comuni fatiche. Marta che in questi piacevoli so-gni poneva più fiducia, e se li dipingeva al pensiero conpiù verità, mostrava sul viso l'interna compiacenzaond'era compresa. I suoi occhi raggiavano, il suo pallidovolto tingevasi allora di un lieve color di rosa, che larendeva più bella che mai. Camminava al fianco di Fe-derico appoggiata mollemente al braccio di lui, conquella gentil superbia d'una fanciulla che si mostra laprima volta al mondo sostenuta da quello che può dirsuo, contenta d'esser veduta dagli altri, e nel medesimotempo non di altro occupata che dell'uomo che le stapresso.

Io credo che poche situazioni concorrano più di que-sta a imprimere sui lineamenti di una giovane donnaquella ineffabile armonia che è la bellezza dell'animapropagata al di fuori.

In questi momenti ella fu occhiata dal signor B., unodei ricchi avventori di Federico, il quale per aver agio acontemplare la ragazza, si degnò, con una discretezza dagrande, dirigere un saluto al suo parrucchiere e darglinon so qual commissione per l'indomani. Egli parlava aFederico, ma nel medesimo tempo fissò la fanciulla contale un'occhiata che le fece abbassar le pupille tra imba-razzata e vergognosa dell'altrui inverecondia.

Il signor B. era un destro ed assiduo cacciatore diquella selvaggina umana, che va per le vie vestita[Pg 118]

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le loro comuni fatiche. Marta che in questi piacevoli so-gni poneva più fiducia, e se li dipingeva al pensiero conpiù verità, mostrava sul viso l'interna compiacenzaond'era compresa. I suoi occhi raggiavano, il suo pallidovolto tingevasi allora di un lieve color di rosa, che larendeva più bella che mai. Camminava al fianco di Fe-derico appoggiata mollemente al braccio di lui, conquella gentil superbia d'una fanciulla che si mostra laprima volta al mondo sostenuta da quello che può dirsuo, contenta d'esser veduta dagli altri, e nel medesimotempo non di altro occupata che dell'uomo che le stapresso.

Io credo che poche situazioni concorrano più di que-sta a imprimere sui lineamenti di una giovane donnaquella ineffabile armonia che è la bellezza dell'animapropagata al di fuori.

In questi momenti ella fu occhiata dal signor B., unodei ricchi avventori di Federico, il quale per aver agio acontemplare la ragazza, si degnò, con una discretezza dagrande, dirigere un saluto al suo parrucchiere e darglinon so qual commissione per l'indomani. Egli parlava aFederico, ma nel medesimo tempo fissò la fanciulla contale un'occhiata che le fece abbassar le pupille tra imba-razzata e vergognosa dell'altrui inverecondia.

Il signor B. era un destro ed assiduo cacciatore diquella selvaggina umana, che va per le vie vestita[Pg 118]

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in gonnella, e sembra men curante dell'altra di schermir-si dalle insidie e dai lacciuoli de' dilettanti. Vi sono uo-mini che vivono di siffatta caccia, e profondono in essapiù denari e più tempo che gli antichi castellani non so-levano in altre. Hanno i loro falchi, i loro veltri, che cer-cano la preda desiderata nelle tane e nei covi più secreti,e sanno snidarnela o in un modo o nell'altro,quand'anche fosse custodita dall'argo più vigilante e da'Cerberi più susurroni che esistano al mondo.

Il signor B. non si fidava però tanto a codesta genìa,che non tentasse qualche colpo felice da sè medesimo;anzi in questo ei metteva più interesse e più gusto, tantopiù se l'animale fosse ritroso, e recalcitrasse alle lusin-ghe e alle promesse dell'amatore. Già m'intendete. È unarazza privilegiata che non venne mai meno nel mondo; ese alcuno osasse diriger loro qualche rimostranza, hannouna risposta che val per tutte: — per qualche cosa si èricchi! — Infatti essi credono far del bene all'umanità,gettando per un piacere frivolo e passeggiero i loro fio-rini. È un lusso come tutti gli altri, è un contratto dicompra e vendita, dei più nobili e più disinteressati chemai. E se alcuno avverte come il mercato è simoniaco, e'dicono che l'anima è un accessorio, una regalìa affattoincalcolabile nell'affare. Su di che, vi prego o lettori,qual dubbio vorreste muovere? Se avete qualche cosa asoggiungere, rivolgetevi al sullodato signor B. e fatevoi.

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in gonnella, e sembra men curante dell'altra di schermir-si dalle insidie e dai lacciuoli de' dilettanti. Vi sono uo-mini che vivono di siffatta caccia, e profondono in essapiù denari e più tempo che gli antichi castellani non so-levano in altre. Hanno i loro falchi, i loro veltri, che cer-cano la preda desiderata nelle tane e nei covi più secreti,e sanno snidarnela o in un modo o nell'altro,quand'anche fosse custodita dall'argo più vigilante e da'Cerberi più susurroni che esistano al mondo.

Il signor B. non si fidava però tanto a codesta genìa,che non tentasse qualche colpo felice da sè medesimo;anzi in questo ei metteva più interesse e più gusto, tantopiù se l'animale fosse ritroso, e recalcitrasse alle lusin-ghe e alle promesse dell'amatore. Già m'intendete. È unarazza privilegiata che non venne mai meno nel mondo; ese alcuno osasse diriger loro qualche rimostranza, hannouna risposta che val per tutte: — per qualche cosa si èricchi! — Infatti essi credono far del bene all'umanità,gettando per un piacere frivolo e passeggiero i loro fio-rini. È un lusso come tutti gli altri, è un contratto dicompra e vendita, dei più nobili e più disinteressati chemai. E se alcuno avverte come il mercato è simoniaco, e'dicono che l'anima è un accessorio, una regalìa affattoincalcolabile nell'affare. Su di che, vi prego o lettori,qual dubbio vorreste muovere? Se avete qualche cosa asoggiungere, rivolgetevi al sullodato signor B. e fatevoi.

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La mattina susseguente Federico, all'ora assegnata,non mancò di trovarsi al convegno. Introdotto nella ca-mera del suo ricco avventore, si pose col miglior garbodel mondo a raderlo, a pettinarlo e trasformarlo in Ado-ne, intertenendolo intanto delle novelle più recenti checorrevano per la città. Il signor B. le ascoltava per com-piacenza,[Pg 119] mostrando coll'aria del viso d'essernegià informato, e che sapeva la cosa meglio di Figaro.Pareva che volesse cantargli il falsetto: Un viglietto?Eccolo qua!

Quando gli parve tempo di poter arrischiare la do-manda senza compromettersi, interpellò Federico sullasua compagna della sera antecedente.

— È un'istriana? — disse con un tuono tra il negativoe l'affermativo.

— No, signore. È una forestiera.... che dimora a Trie-ste da qualche tempo.

— Vuoi darmela ad intendere, buffone che sei?...

— Dio mi guardi, signore. Le pare? Ella può infor-marsi....

— Oh! che importa a me di lei e di te, e di tutti i tuoipari?

— Grazie.

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La mattina susseguente Federico, all'ora assegnata,non mancò di trovarsi al convegno. Introdotto nella ca-mera del suo ricco avventore, si pose col miglior garbodel mondo a raderlo, a pettinarlo e trasformarlo in Ado-ne, intertenendolo intanto delle novelle più recenti checorrevano per la città. Il signor B. le ascoltava per com-piacenza,[Pg 119] mostrando coll'aria del viso d'essernegià informato, e che sapeva la cosa meglio di Figaro.Pareva che volesse cantargli il falsetto: Un viglietto?Eccolo qua!

Quando gli parve tempo di poter arrischiare la do-manda senza compromettersi, interpellò Federico sullasua compagna della sera antecedente.

— È un'istriana? — disse con un tuono tra il negativoe l'affermativo.

— No, signore. È una forestiera.... che dimora a Trie-ste da qualche tempo.

— Vuoi darmela ad intendere, buffone che sei?...

— Dio mi guardi, signore. Le pare? Ella può infor-marsi....

— Oh! che importa a me di lei e di te, e di tutti i tuoipari?

— Grazie.

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— Però devo confessare che non sei di pessimo gu-sto. La sposi neh?

— Ma signore, sposarla, veramente.... a questi tempi iguadagni sono sì scarsi....

— Che non ti pago io forse? indiscreto!

— Oh! se tutti somigliassero a lei.... ma sono rari, rarii signori che distinguono il merito.... cioè.... non so spie-garmi come vorrei.

— Bel merito in fatti! — soggiunse il signore ironica-mente. — Bel merito! Ma bisogna sposarla quella ra-gazza: io amo la gente di buona morale. M'intendi? bi-sogna sposarla.

— Eh! signore, — replicò Federico — io non deside-ro altro, e anche la fanciulla; anzi ci siamo promessi....

— E volevi infingerti? mariuolo che sei. Io ho buonnaso, vedi, e non si può nascondermi nulla. Scommettoche siete un poco più che promessi.

— Oh per questo poi mi fa torto....

[Pg 120]

— Ti fo torto eh! innocentino.... fammi ridere.

— Non dico a me, veda, ma alla ragazza che è una

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— Però devo confessare che non sei di pessimo gu-sto. La sposi neh?

— Ma signore, sposarla, veramente.... a questi tempi iguadagni sono sì scarsi....

— Che non ti pago io forse? indiscreto!

— Oh! se tutti somigliassero a lei.... ma sono rari, rarii signori che distinguono il merito.... cioè.... non so spie-garmi come vorrei.

— Bel merito in fatti! — soggiunse il signore ironica-mente. — Bel merito! Ma bisogna sposarla quella ra-gazza: io amo la gente di buona morale. M'intendi? bi-sogna sposarla.

— Eh! signore, — replicò Federico — io non deside-ro altro, e anche la fanciulla; anzi ci siamo promessi....

— E volevi infingerti? mariuolo che sei. Io ho buonnaso, vedi, e non si può nascondermi nulla. Scommettoche siete un poco più che promessi.

— Oh per questo poi mi fa torto....

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— Ti fo torto eh! innocentino.... fammi ridere.

— Non dico a me, veda, ma alla ragazza che è una

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vera perla nel suo genere, una schifiltosa che non si la-scerebbe toccare un dito. Romana, e tanto basta.

— Già, già s'intende. Tutte così!... E di dove l'hai tira-ta fuori questa fenice?

— È la figlia d'una vecchia sessolotta che va spesso agiornata nel magazzino del signor N. N.

— In compagnia della figliuola?

— Sissignore; ma se io la sposo, non farà più quelmestiere.

— Già, se tu la sposi farà la dama.... Ti porterà unadote di cento mila fiorini.... E tu diventerai principe ocavaliere.... non è vero?

— Ella scherza, signore. Noi siamo povera gente, mai nostri buoni padroni ci ajuteranno. E poi la ragazzanon ha capricci, è buona massaja e non mi sarà di granpeso, se non vengono figli.

— Se fosse veramente tale come me la descrivi, ionon mi scorderò di te nel giorno delle tue nozze. Mavorrei conoscerla prima. Io ho buon naso, e saprò se me-rita la tua mano e i miei benefizii. —

Così il signor B. gittò i fondamenti della sua avventu-ra. Federico, che conosceva l'uomo, capì bene le secreteintenzioni del suo protettore, ma dissimulò da uomo

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vera perla nel suo genere, una schifiltosa che non si la-scerebbe toccare un dito. Romana, e tanto basta.

— Già, già s'intende. Tutte così!... E di dove l'hai tira-ta fuori questa fenice?

— È la figlia d'una vecchia sessolotta che va spesso agiornata nel magazzino del signor N. N.

— In compagnia della figliuola?

— Sissignore; ma se io la sposo, non farà più quelmestiere.

— Già, se tu la sposi farà la dama.... Ti porterà unadote di cento mila fiorini.... E tu diventerai principe ocavaliere.... non è vero?

— Ella scherza, signore. Noi siamo povera gente, mai nostri buoni padroni ci ajuteranno. E poi la ragazzanon ha capricci, è buona massaja e non mi sarà di granpeso, se non vengono figli.

— Se fosse veramente tale come me la descrivi, ionon mi scorderò di te nel giorno delle tue nozze. Mavorrei conoscerla prima. Io ho buon naso, e saprò se me-rita la tua mano e i miei benefizii. —

Così il signor B. gittò i fondamenti della sua avventu-ra. Federico, che conosceva l'uomo, capì bene le secreteintenzioni del suo protettore, ma dissimulò da uomo

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Page 158: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

prudente, e lasciò correre la cosa senza darsi fastidio delcome sarebbe andata a finire. Egli era uno di quelli chedicono: — vengano danari, e al resto ci pensi chi ci hada pensare. —

Marta intanto avea dimenticato quello sguardo, e tuttachiusa nella sua secreta felicità, non pensava alle insidieche l'attendevano, perchè non le credeva possibili, o per-chè, forte dell'amor suo, si credeva capace di resisteread ogni tentazione d'infedeltà. Due giorni dopo[Pg 121]però nel tornarsene a casa in compagnia della madres'incontrò nel signor B., e per un movimento d'involon-tario ribrezzo, si volse da un'altra parte e finse di nonvederlo. Ma egli la seguì da lontano, notò la sua casa, eritirossi contento d'aver avviato l'affare senza il soccorsod'alcuno. Egli credeva d'esser giunto in porto, solo peraver scoperto il covo della sua preda. Ma ben prestos'accorse che non era sì innanzi come credeva: alle pri-me parole che s'arrischiò di rivolgere alla ragazza ebbeuna di quelle risposte ferme e perentorie che lo infervo-rarono più che mai nella impresa. Poichè codesti signorisomigliano ai cacciatori anche in questo: una facile pre-da non li lusinga: vogliono la difficoltà, amano l'ostaco-lo: per far illusione a se stessi, per aver la misera gloriadi vincere, di conquistare, di rivendicare la potenza deiloro fiorini. Respinto in persona, tentò la vanità e l'ava-rizia di Marta per mezzo d'uno de' più accorti mediatoriche corrano frugando il paese. Ma il veltro non trovòmiglior trattamento del suo padrone, fu cacciato di casa

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prudente, e lasciò correre la cosa senza darsi fastidio delcome sarebbe andata a finire. Egli era uno di quelli chedicono: — vengano danari, e al resto ci pensi chi ci hada pensare. —

Marta intanto avea dimenticato quello sguardo, e tuttachiusa nella sua secreta felicità, non pensava alle insidieche l'attendevano, perchè non le credeva possibili, o per-chè, forte dell'amor suo, si credeva capace di resisteread ogni tentazione d'infedeltà. Due giorni dopo[Pg 121]però nel tornarsene a casa in compagnia della madres'incontrò nel signor B., e per un movimento d'involon-tario ribrezzo, si volse da un'altra parte e finse di nonvederlo. Ma egli la seguì da lontano, notò la sua casa, eritirossi contento d'aver avviato l'affare senza il soccorsod'alcuno. Egli credeva d'esser giunto in porto, solo peraver scoperto il covo della sua preda. Ma ben prestos'accorse che non era sì innanzi come credeva: alle pri-me parole che s'arrischiò di rivolgere alla ragazza ebbeuna di quelle risposte ferme e perentorie che lo infervo-rarono più che mai nella impresa. Poichè codesti signorisomigliano ai cacciatori anche in questo: una facile pre-da non li lusinga: vogliono la difficoltà, amano l'ostaco-lo: per far illusione a se stessi, per aver la misera gloriadi vincere, di conquistare, di rivendicare la potenza deiloro fiorini. Respinto in persona, tentò la vanità e l'ava-rizia di Marta per mezzo d'uno de' più accorti mediatoriche corrano frugando il paese. Ma il veltro non trovòmiglior trattamento del suo padrone, fu cacciato di casa

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come un ladro, e se non se la dava a gambe, avrebbeavuto una senseria che non s'aspettava. Tornò al signorB., dicendo che le due donne erano intrattabili come duefiere selvaggie, che egli disperava di poter trarle alla ra-gione, e per rendere al suo mandante men dolorosa quel-la sconfitta, non mancò di soggiugnere che non c'eraprezzo dell'opera, e che l'oggetto non meritava l'onoreche voleva farle.

Ma, come è da credere, il dilettante non s'acchetò aqueste scuse: anzi pigliò fuoco ognor più, e scacciò dasè l'imbecille con un pagamento poco diverso da quelloche avea ricevuto dalle due donne. Il signor B. pensò diservirsi del medesimo Federico, e rimproverò se mede-simo d'aver quasi guasto l'affare per troppa fretta.

[Pg 122]

Chiamatolo a sè nuovamente, lo interrogò con moltabenignità sul suo matrimonio, e volle sapere il suo stato,e a qual segno erano le sue trattative con Marta. Il Figa-ro che non voleva altro, si fece dal principio, e sciorinòtutta la storia del suo negozio, dei cencinquanta fiorinitruffati alle due donne, (del qual tiro il signor B. fece unsuo cotal risolino d'approvazione) narrò delle sue spe-ranze tradite, dell'indiscrezione de' suoi creditori, dellaingiustizia del tribunale, ecc., come i miei lettori posso-no figurarsi. Quanto al presente, egli avea messo da par-te qualche fiorino, le due donne avrebbero dati i loro re-centi risparmi, ma tuttociò non bastava nè anche a redi-

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come un ladro, e se non se la dava a gambe, avrebbeavuto una senseria che non s'aspettava. Tornò al signorB., dicendo che le due donne erano intrattabili come duefiere selvaggie, che egli disperava di poter trarle alla ra-gione, e per rendere al suo mandante men dolorosa quel-la sconfitta, non mancò di soggiugnere che non c'eraprezzo dell'opera, e che l'oggetto non meritava l'onoreche voleva farle.

Ma, come è da credere, il dilettante non s'acchetò aqueste scuse: anzi pigliò fuoco ognor più, e scacciò dasè l'imbecille con un pagamento poco diverso da quelloche avea ricevuto dalle due donne. Il signor B. pensò diservirsi del medesimo Federico, e rimproverò se mede-simo d'aver quasi guasto l'affare per troppa fretta.

[Pg 122]

Chiamatolo a sè nuovamente, lo interrogò con moltabenignità sul suo matrimonio, e volle sapere il suo stato,e a qual segno erano le sue trattative con Marta. Il Figa-ro che non voleva altro, si fece dal principio, e sciorinòtutta la storia del suo negozio, dei cencinquanta fiorinitruffati alle due donne, (del qual tiro il signor B. fece unsuo cotal risolino d'approvazione) narrò delle sue spe-ranze tradite, dell'indiscrezione de' suoi creditori, dellaingiustizia del tribunale, ecc., come i miei lettori posso-no figurarsi. Quanto al presente, egli avea messo da par-te qualche fiorino, le due donne avrebbero dati i loro re-centi risparmi, ma tuttociò non bastava nè anche a redi-

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mere i suoi mobili sequestrati, e si reputava perduto, senon trovava qualche benefattore che volesse ajutarlo, efar cauzione per lui al mercante che glieli avea venduti eal proprietario della bottega. Aggiunse che veramente einon potea lagnarsi del suo collocamento presente, maavvezzo ad esser padrone, era da pensare che non poteadarsi pace d'esser dipendente da un altro che ne sapevameno di lui, e lo trattava come un garzone: onde, trovatoquesto sussidio e questa garanzia, sarebbe tornato inIstria, avrebbe sposata la Marta, e insieme avrebbero be-nedetto il loro protettore e fatto ogni sforzo per ricom-pensare la sua bontà. Il signor B. mostrò d'esser com-mosso da questa eloquente perorazione, e parve nonlontano dal secondare la domanda di Federico: solo av-vertì che non voleva gittare i suoi danari così alla cieca,e mostrò desiderio di voler conoscere personalmente lasua futura clientela. — Mandamela qui, — soggiunseegli — mandamela qui domattina. Io le parlerò, e se latroverò meritevole del sacrificio che ho l'intenzione difare, la incaricherò di risponderti definitivamente in pro-posito. — Federico gli baciò reverentemente le mani,piangendo quasi di contentezza e di gratitudine, e lasera[Pg 123] corse dalle due donne, narrò l'accaduto, e rac-comandò loro di recarsi nell'ora assegnata a fare la visitarichiesta al loro benefattore.

La vecchia non sospettò di nulla; ma un secreto pre-sentimento avvertì Marta del suo pericolo. Fece milledomande a Federico intorno a quell'uomo filantropo; e

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mere i suoi mobili sequestrati, e si reputava perduto, senon trovava qualche benefattore che volesse ajutarlo, efar cauzione per lui al mercante che glieli avea venduti eal proprietario della bottega. Aggiunse che veramente einon potea lagnarsi del suo collocamento presente, maavvezzo ad esser padrone, era da pensare che non poteadarsi pace d'esser dipendente da un altro che ne sapevameno di lui, e lo trattava come un garzone: onde, trovatoquesto sussidio e questa garanzia, sarebbe tornato inIstria, avrebbe sposata la Marta, e insieme avrebbero be-nedetto il loro protettore e fatto ogni sforzo per ricom-pensare la sua bontà. Il signor B. mostrò d'esser com-mosso da questa eloquente perorazione, e parve nonlontano dal secondare la domanda di Federico: solo av-vertì che non voleva gittare i suoi danari così alla cieca,e mostrò desiderio di voler conoscere personalmente lasua futura clientela. — Mandamela qui, — soggiunseegli — mandamela qui domattina. Io le parlerò, e se latroverò meritevole del sacrificio che ho l'intenzione difare, la incaricherò di risponderti definitivamente in pro-posito. — Federico gli baciò reverentemente le mani,piangendo quasi di contentezza e di gratitudine, e lasera[Pg 123] corse dalle due donne, narrò l'accaduto, e rac-comandò loro di recarsi nell'ora assegnata a fare la visitarichiesta al loro benefattore.

La vecchia non sospettò di nulla; ma un secreto pre-sentimento avvertì Marta del suo pericolo. Fece milledomande a Federico intorno a quell'uomo filantropo; e

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vedendo avverati i suoi sospetti, negò assolutamente divoler accettare que' benefizii, nè tampoco recarsi da lui.La madre restò sorpresa di tale dichiarazione, ma nelcuor suo l'approvò. Federico invece die' nelle furie, enon volle credere una parola di quanto gli diceva laMarta. Ella era una visionaria: il signore non era tale dafar il bene con sinistre intenzioni: egli lo conosceva, eraun fiore di galantuomo, una persona per bene che non sidegna di far all'amore colla povera gente: ch'ella sba-gliava per certo, e che doveva andare ad ogni modo, al-trimenti egli si sarebbe separato per sempre da lei. Mar-ta si lasciò sedurre da queste parole e più da questa mi-naccia, e, dall'altra parte sicura del fatto suo, e fermanella sua risoluzione, promise d'andarvi, e si diedero labuona notte rappacificati del tutto.

La mattina seguente ella e sua madre si trovarono incamera del signor B., il quale si mostrò sorpreso di rico-noscerle per quelle stesse da cui era stato sì male accoltopochi dì prima. Poi fece il benevolo, prese la sua solitaaria di protezione, disse che aveva sentito con piacere ilsuo matrimonio, ed era ben lieto di averla trovata virtuo-sa e degna della sua stima. In una parola la volpe vec-chia le lasciò edificate e sorprese della sua bontà e dellasua cortesia. La gente del popolo è così facile a crederealle buone intenzioni dei ricchi! Il signor B. le assicuròdi voler darsi pensiero del matrimonio e pel reintegra-mento di Federico nella sua bottega nell'Istria. Si mostròpronto a garantire per esso lui[Pg 124] presso il negoziante

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vedendo avverati i suoi sospetti, negò assolutamente divoler accettare que' benefizii, nè tampoco recarsi da lui.La madre restò sorpresa di tale dichiarazione, ma nelcuor suo l'approvò. Federico invece die' nelle furie, enon volle credere una parola di quanto gli diceva laMarta. Ella era una visionaria: il signore non era tale dafar il bene con sinistre intenzioni: egli lo conosceva, eraun fiore di galantuomo, una persona per bene che non sidegna di far all'amore colla povera gente: ch'ella sba-gliava per certo, e che doveva andare ad ogni modo, al-trimenti egli si sarebbe separato per sempre da lei. Mar-ta si lasciò sedurre da queste parole e più da questa mi-naccia, e, dall'altra parte sicura del fatto suo, e fermanella sua risoluzione, promise d'andarvi, e si diedero labuona notte rappacificati del tutto.

La mattina seguente ella e sua madre si trovarono incamera del signor B., il quale si mostrò sorpreso di rico-noscerle per quelle stesse da cui era stato sì male accoltopochi dì prima. Poi fece il benevolo, prese la sua solitaaria di protezione, disse che aveva sentito con piacere ilsuo matrimonio, ed era ben lieto di averla trovata virtuo-sa e degna della sua stima. In una parola la volpe vec-chia le lasciò edificate e sorprese della sua bontà e dellasua cortesia. La gente del popolo è così facile a crederealle buone intenzioni dei ricchi! Il signor B. le assicuròdi voler darsi pensiero del matrimonio e pel reintegra-mento di Federico nella sua bottega nell'Istria. Si mostròpronto a garantire per esso lui[Pg 124] presso il negoziante

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di mobili, e ad aggiungere quanto denaro fosse necessa-rio per pagare il fitto arretrato al proprietario della casapresa a pigione costì — purchè, — aggiunse egli quasisbadatamente — purchè voi rispondiate a me di questasomma...

— Noi, eccellenza, — rispose la vecchia — noi sia-mo povere donne, su cosa possiamo guarentire?

— Sulla vostra onestà, — soggiunse l'ipocrita. — Iovi conosco, sono bene informato de' fatti vostri, e mifido alla vostra parola. Andate, mandatemi il giovane, edentro la giornata tutto sarà disposto per la sua partenza.

— Per la sua partenza? — domandò Marta.

— Sì, — rispose il protettore — Federico si recheràcostà per quindici giorni per riaprire il suo stabilimento,e poi celebreremo lo nozze...

— Scusi, eccellenza, non si potrebbero far prima que-ste nozze? — disse la madre.

— E partirsene insieme — soggiunse Marta arrossen-do.

— Come volete: ma sarebbe meglio dispor prima gliaffari; e poi bisogna che seguano le pubblicazioni...

— Vossignoria pensa bene, — disse la vecchia inchi-nandosi; e Marta non trovò parola di replicare.

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di mobili, e ad aggiungere quanto denaro fosse necessa-rio per pagare il fitto arretrato al proprietario della casapresa a pigione costì — purchè, — aggiunse egli quasisbadatamente — purchè voi rispondiate a me di questasomma...

— Noi, eccellenza, — rispose la vecchia — noi sia-mo povere donne, su cosa possiamo guarentire?

— Sulla vostra onestà, — soggiunse l'ipocrita. — Iovi conosco, sono bene informato de' fatti vostri, e mifido alla vostra parola. Andate, mandatemi il giovane, edentro la giornata tutto sarà disposto per la sua partenza.

— Per la sua partenza? — domandò Marta.

— Sì, — rispose il protettore — Federico si recheràcostà per quindici giorni per riaprire il suo stabilimento,e poi celebreremo lo nozze...

— Scusi, eccellenza, non si potrebbero far prima que-ste nozze? — disse la madre.

— E partirsene insieme — soggiunse Marta arrossen-do.

— Come volete: ma sarebbe meglio dispor prima gliaffari; e poi bisogna che seguano le pubblicazioni...

— Vossignoria pensa bene, — disse la vecchia inchi-nandosi; e Marta non trovò parola di replicare.

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Onde il cortese signor B. le congedò con tutta la dol-cezza, soddisfattissimo d'aver ordito con tanta sapienzaquella tela d'infamia che preparavasi a tesserenell'assenza di Federico.

VIII.

Nuovi indugi.

Lasciamo la povera Marta, vedova un'altra volta, aTrieste. Federico era ito nell'Istria a riaprire il suo[Pg 125]stabilimento. Corsero presto i quindici giorni dopo iquali dovea ritornarsene per celebrare le nozze; ma daiquindici s'andò presto ai venti, ai trenta, a due mesi, atre, nè mai cessavano gli indugi e i pretesti che tendeva-no a giustificarli. La ragazza crucciavasi, la madre bor-bottava fra' denti le solite querele, i vecchi sospetti, e nemartoriava la figlia, com'ella fosse colpevole, non giàvittima, della mala condotta di Federico. — Ma qui nonistava tutta la disgrazia.

Per aver novelle di Federico le due donne dovevanospesso rivolgersi al signor B., giacchè questi s'era in cer-to modo costituito tutore di entrambi. Questi serbò perqualche tempo la maschera che aveva preso; ma la pri-ma volta che si trovò a quattro occhi colla sua pupilla,così avea incominciato a chiamarla, passò dall'affettatocontegno alle più lusinghevoli smancerie; volle entrarecon Marta in certi particolari della sua relazione con Fe-

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Onde il cortese signor B. le congedò con tutta la dol-cezza, soddisfattissimo d'aver ordito con tanta sapienzaquella tela d'infamia che preparavasi a tesserenell'assenza di Federico.

VIII.

Nuovi indugi.

Lasciamo la povera Marta, vedova un'altra volta, aTrieste. Federico era ito nell'Istria a riaprire il suo[Pg 125]stabilimento. Corsero presto i quindici giorni dopo iquali dovea ritornarsene per celebrare le nozze; ma daiquindici s'andò presto ai venti, ai trenta, a due mesi, atre, nè mai cessavano gli indugi e i pretesti che tendeva-no a giustificarli. La ragazza crucciavasi, la madre bor-bottava fra' denti le solite querele, i vecchi sospetti, e nemartoriava la figlia, com'ella fosse colpevole, non giàvittima, della mala condotta di Federico. — Ma qui nonistava tutta la disgrazia.

Per aver novelle di Federico le due donne dovevanospesso rivolgersi al signor B., giacchè questi s'era in cer-to modo costituito tutore di entrambi. Questi serbò perqualche tempo la maschera che aveva preso; ma la pri-ma volta che si trovò a quattro occhi colla sua pupilla,così avea incominciato a chiamarla, passò dall'affettatocontegno alle più lusinghevoli smancerie; volle entrarecon Marta in certi particolari della sua relazione con Fe-

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derico, che fecero arrossire e allarmarono la ragazza, giàinsospettita delle intenzioni di lui. Allora il protettoreprese a guardarla con occhio di compassione, fece le vi-ste di compiangerla sulla cattiva scelta che avea fatto.Quegli che avea fino allora fatto l'elogio di Federico, co-minciò ad accusarlo alla sua fidanzata: le disse conquelle pessime reticenze che sono l'arme più terribiledella calunnia, perchè la elaborano senza compromette-re l'accusatore, le disse che Federico era uno scapestra-to, un uomo senza carattere, un donnaiuolo di primaclasse, che a quest'ora doveva esserle stato le cento volteinfedele.... ch'egli sapeva.... cioè gli era stato raccontatoper vero di una certa tresca con una ricca vedova di co-stì, e via via di tal passo, aggiungendo ciarla a ciarla, al-ternando le accuse alle scuse, e sempre in aria di paternaprotezione verso la povera fanciulla. Questa sulle primenon volle creder nulla, poi[Pg 126] cominciò a dubitare, efinì coll'essere persuasa e convinta che codesto lungosoggiorno nell'Istria non doveva essere senza un perchè.

Il perchè c'era bene, ma la causa principale di sì lungoindugio non era nell'Istria: era a Trieste. Il signor B.avea contato su questa lontananza, e sui dissapori che nesarebbero insorti. Perciò non avea mancato di frapporreostacoli al ritorno di Federico; l'avea consigliato a rima-nersene lì finchè le sue cose si fossero alquanto avviateal meglio: che già del matrimonio non c'era fretta; cheMarta non se ne dava gran pena, ed anzi era bene pro-varla, era bene avvezzarla a sottomettersi a quelle pru-

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derico, che fecero arrossire e allarmarono la ragazza, giàinsospettita delle intenzioni di lui. Allora il protettoreprese a guardarla con occhio di compassione, fece le vi-ste di compiangerla sulla cattiva scelta che avea fatto.Quegli che avea fino allora fatto l'elogio di Federico, co-minciò ad accusarlo alla sua fidanzata: le disse conquelle pessime reticenze che sono l'arme più terribiledella calunnia, perchè la elaborano senza compromette-re l'accusatore, le disse che Federico era uno scapestra-to, un uomo senza carattere, un donnaiuolo di primaclasse, che a quest'ora doveva esserle stato le cento volteinfedele.... ch'egli sapeva.... cioè gli era stato raccontatoper vero di una certa tresca con una ricca vedova di co-stì, e via via di tal passo, aggiungendo ciarla a ciarla, al-ternando le accuse alle scuse, e sempre in aria di paternaprotezione verso la povera fanciulla. Questa sulle primenon volle creder nulla, poi[Pg 126] cominciò a dubitare, efinì coll'essere persuasa e convinta che codesto lungosoggiorno nell'Istria non doveva essere senza un perchè.

Il perchè c'era bene, ma la causa principale di sì lungoindugio non era nell'Istria: era a Trieste. Il signor B.avea contato su questa lontananza, e sui dissapori che nesarebbero insorti. Perciò non avea mancato di frapporreostacoli al ritorno di Federico; l'avea consigliato a rima-nersene lì finchè le sue cose si fossero alquanto avviateal meglio: che già del matrimonio non c'era fretta; cheMarta non se ne dava gran pena, ed anzi era bene pro-varla, era bene avvezzarla a sottomettersi a quelle pru-

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denti disposizioni che alfine erano dirette al suo mag-gior bene. — C'è sempre tempo di rompersi il collo —scriveva il signor B. che usurpava quel detto proverbialea proposito di matrimonio e di pagare i suoi debiti. E ilsignor B. ottenne più che non aspirava, ottenne che Fe-derico s'ingolfasse nuovamente ne' suoi vecchi legamicolla Giustina, e dimenticasse un'altra volta sè stesso, isuoi giuramenti, e il suo amore per Marta.

Tutte queste manovre erano riuscite a dividere persempre quei due cuori che stavano per unirsi, ma nonper questo il signor B. si trovava a miglior partito. Eglifremeva d'essersi adoperato sì a lungo senza profitto,fremeva d'aver gittato inutilmente le sue parole, il suodenaro, il suo tempo. Codesta resistenza di Marta a' suoitentativi, egli non poteva ad altro attribuirla che ad unamore sincero per Federico, e alla ferma speranza di unmatrimonio. Perchè il signor B. non credeva alla fer-mezza d'una fanciulla del popolo, non credeva alla suaonestà, e persistendo nella presa risoluzione tanto piùostinato quanto era maggiore l'ostacolo, ingannavasisempre sulla vera natura di questo, ed assaliva la fortez-za dal lato ov'era meglio agguerrita.

[Pg 127]

Un bel giorno pensò di finirla. Comunicò alle duedonne che Federico non pensava più ad esse, che ritrae-vasi da' suoi impegni, che anzi le sue circostanze pre-senti gli consigliavano un altro legame costì. Vi lascio

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denti disposizioni che alfine erano dirette al suo mag-gior bene. — C'è sempre tempo di rompersi il collo —scriveva il signor B. che usurpava quel detto proverbialea proposito di matrimonio e di pagare i suoi debiti. E ilsignor B. ottenne più che non aspirava, ottenne che Fe-derico s'ingolfasse nuovamente ne' suoi vecchi legamicolla Giustina, e dimenticasse un'altra volta sè stesso, isuoi giuramenti, e il suo amore per Marta.

Tutte queste manovre erano riuscite a dividere persempre quei due cuori che stavano per unirsi, ma nonper questo il signor B. si trovava a miglior partito. Eglifremeva d'essersi adoperato sì a lungo senza profitto,fremeva d'aver gittato inutilmente le sue parole, il suodenaro, il suo tempo. Codesta resistenza di Marta a' suoitentativi, egli non poteva ad altro attribuirla che ad unamore sincero per Federico, e alla ferma speranza di unmatrimonio. Perchè il signor B. non credeva alla fer-mezza d'una fanciulla del popolo, non credeva alla suaonestà, e persistendo nella presa risoluzione tanto piùostinato quanto era maggiore l'ostacolo, ingannavasisempre sulla vera natura di questo, ed assaliva la fortez-za dal lato ov'era meglio agguerrita.

[Pg 127]

Un bel giorno pensò di finirla. Comunicò alle duedonne che Federico non pensava più ad esse, che ritrae-vasi da' suoi impegni, che anzi le sue circostanze pre-senti gli consigliavano un altro legame costì. Vi lascio

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pensare lo sdegno e le lacrime delle meschine. Sul prin-cipio non volevano prestar fede, ma il signor B. mostròdi prendere siffatta parte alle loro disgrazie, che terminòdi convincerle. Egli nominò la persona, trasse fuori unalettera di Federico ed altre prove della verità dell'asser-to. La vecchia soffocata dalla collera si teneva in silen-zio: ma la Marta, levandosi ritta, colla destra alzata inatto minaccioso, pallida e scarmigliata: — E bene, —disse — se è vero ciò che mi dite, guai a Federico! O ioo nessuna! Le leggi ci saranno anche per me: le leggi mifaranno giustizia! —

Il signor B. si strinse nelle spalle.

— Ah! no? voi non lo credete? — ripigliò Marta. —Son dunque un nulla le promesse, i giuramenti degli uo-mini? Egli ha giurato di sposarmi dinanzi alla Madonnadi Loreto: sono lì ancora nella mia camera le due cande-le che ardevano dinanzi all'immagine della Beata. Guaia lui, guai a lui se mi manca! —

Il signor B. sempre seduto sul suo seggiolone, segui-tava a guardarla con occhi di compassione. — Le leggi!le leggi! — diceva. — Le leggi, o ragazza, hanno benaltro a fare che a proteggere gl'innamorati. Che cosa sail giudice di que' giuramenti? Federico risponderà chenon ne sa nulla, che non t'ha mai conosciuta, che non haalcun impegno con te, e basta così.

— Basta così? Oh! signore, non basta. Ve lo dico io,

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pensare lo sdegno e le lacrime delle meschine. Sul prin-cipio non volevano prestar fede, ma il signor B. mostròdi prendere siffatta parte alle loro disgrazie, che terminòdi convincerle. Egli nominò la persona, trasse fuori unalettera di Federico ed altre prove della verità dell'asser-to. La vecchia soffocata dalla collera si teneva in silen-zio: ma la Marta, levandosi ritta, colla destra alzata inatto minaccioso, pallida e scarmigliata: — E bene, —disse — se è vero ciò che mi dite, guai a Federico! O ioo nessuna! Le leggi ci saranno anche per me: le leggi mifaranno giustizia! —

Il signor B. si strinse nelle spalle.

— Ah! no? voi non lo credete? — ripigliò Marta. —Son dunque un nulla le promesse, i giuramenti degli uo-mini? Egli ha giurato di sposarmi dinanzi alla Madonnadi Loreto: sono lì ancora nella mia camera le due cande-le che ardevano dinanzi all'immagine della Beata. Guaia lui, guai a lui se mi manca! —

Il signor B. sempre seduto sul suo seggiolone, segui-tava a guardarla con occhi di compassione. — Le leggi!le leggi! — diceva. — Le leggi, o ragazza, hanno benaltro a fare che a proteggere gl'innamorati. Che cosa sail giudice di que' giuramenti? Federico risponderà chenon ne sa nulla, che non t'ha mai conosciuta, che non haalcun impegno con te, e basta così.

— Basta così? Oh! signore, non basta. Ve lo dico io,

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che non basta. E poi... non v'ho detto tutto...

— Ditemi dunque...

— Io non sono solamente la sua promessa... io sonosua moglie!... Madre mia, perdonatemi! — Così dicen-do[Pg 128] la povera Marta gettavasi quasi svenuta nellebraccia dell'attonita vecchia. Il signor B. guardava quel-la scena dolorosa senza intenderla o senza commuover-si. Egli scuoteva con leggeri colpi dell'indice gli atomidi polvere che s'erano posati sulla sua vestaglia rabesca-ta.

Passarono così alcuni momenti, senza che nessunodei tre proferisse parola. Alfine la madre, raccogliendole sue idee, e lontana dall'immaginare quanta parte quelbel signore avesse avuto in tal contrattempo, credetteben fatto di rivolgersi a lui, e pregarlo a interporsi per-chè Federico tornasse a' suoi doveri colle buone, senzaportare dinanzi alla giustizia una tale querela. Il signoreesitò, disse alcuni se, alcuni ma, alcuni forse che nonconchiudevano nulla, e le congedò promettendo se nedarebbe pensiero... vedrebbe... se fosse ancora tempo dirimediare. Ma la povera Marta riavutasi da quella speciedi stordimento, e indovinando qualche parte di quellatrama, si volse a sua madre, e: — Tacete, le disse, tace-te, madre mia; non incomodate il signore più oltre. Cisiamo fidate anche troppo.

— Che vorreste dire? — interruppe il signor B. secco,

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che non basta. E poi... non v'ho detto tutto...

— Ditemi dunque...

— Io non sono solamente la sua promessa... io sonosua moglie!... Madre mia, perdonatemi! — Così dicen-do[Pg 128] la povera Marta gettavasi quasi svenuta nellebraccia dell'attonita vecchia. Il signor B. guardava quel-la scena dolorosa senza intenderla o senza commuover-si. Egli scuoteva con leggeri colpi dell'indice gli atomidi polvere che s'erano posati sulla sua vestaglia rabesca-ta.

Passarono così alcuni momenti, senza che nessunodei tre proferisse parola. Alfine la madre, raccogliendole sue idee, e lontana dall'immaginare quanta parte quelbel signore avesse avuto in tal contrattempo, credetteben fatto di rivolgersi a lui, e pregarlo a interporsi per-chè Federico tornasse a' suoi doveri colle buone, senzaportare dinanzi alla giustizia una tale querela. Il signoreesitò, disse alcuni se, alcuni ma, alcuni forse che nonconchiudevano nulla, e le congedò promettendo se nedarebbe pensiero... vedrebbe... se fosse ancora tempo dirimediare. Ma la povera Marta riavutasi da quella speciedi stordimento, e indovinando qualche parte di quellatrama, si volse a sua madre, e: — Tacete, le disse, tace-te, madre mia; non incomodate il signore più oltre. Cisiamo fidate anche troppo.

— Che vorreste dire? — interruppe il signor B. secco,

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secco.

— Che voglio dire? Che la vostra, signore, è stata unacarità pelosa: che Federico m'avrebbe sposata definitiva-mente, se non erano i vostri consigli. Voi gli avete postoin capo di tornare colà a sciupare quei pochi quattriniche gli restavano.

— Quei quattrini! Non sono forse miei quei denari?Così presto avete dimenticato i miei benefizi?

— No, signore, non dimentico i vostri benefizii nè levostre parole, nè tuttociò che avete fatto per indurmi amal fare. Ah! mi credete una grulla? So tutto, signore.Basta così. Andiamo, madre mia: andiamo noi stesse atrovare quel disgraziato. Egli non avrà cuore di[Pg 129]abbandonarmi quando vedrà il mio stato, quando sapràch'io sono sua, sua per sempre!... che non è più tempo diretrocedere. —

Così dicendo le due donne uscirono da quella casadove non avrebbero dovuto entrar mai. Ma che colpa neavevano esse? Chi le aveva tratte costì?

Il signor B. restò seduto sulla sua poltrona mezzo in-terdetto dal tuono di quelle parole, mezzo confuso pervedersi sfuggire, forse per sempre, la preda desiderata, ilfrutto delle sue gloriose fatiche.

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secco.

— Che voglio dire? Che la vostra, signore, è stata unacarità pelosa: che Federico m'avrebbe sposata definitiva-mente, se non erano i vostri consigli. Voi gli avete postoin capo di tornare colà a sciupare quei pochi quattriniche gli restavano.

— Quei quattrini! Non sono forse miei quei denari?Così presto avete dimenticato i miei benefizi?

— No, signore, non dimentico i vostri benefizii nè levostre parole, nè tuttociò che avete fatto per indurmi amal fare. Ah! mi credete una grulla? So tutto, signore.Basta così. Andiamo, madre mia: andiamo noi stesse atrovare quel disgraziato. Egli non avrà cuore di[Pg 129]abbandonarmi quando vedrà il mio stato, quando sapràch'io sono sua, sua per sempre!... che non è più tempo diretrocedere. —

Così dicendo le due donne uscirono da quella casadove non avrebbero dovuto entrar mai. Ma che colpa neavevano esse? Chi le aveva tratte costì?

Il signor B. restò seduto sulla sua poltrona mezzo in-terdetto dal tuono di quelle parole, mezzo confuso pervedersi sfuggire, forse per sempre, la preda desiderata, ilfrutto delle sue gloriose fatiche.

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IX.

Crisi.

La sciagura, il disinganno di Marta erano giuntiall'estremo. Benchè avesse in sospetto le asserzionidell'ipocrita suo protettore, una voce interna, un funestopresentimento le veniva dicendo che tutto era vero. Tut-te le azioni di Federico, tutte le sue parole, la doppiezzadel suo carattere, quella eterna perplessità che prova piùche altro il difetto di forza e di sentimento, tuttociò laconfermava nella dolorosa certezza ch'ella era tradita,che tutte le sue speranze erano ite al vento, che la suasventura non avea più rimedio. Il suo piccolo tesoro,frutto dei materni risparmi, irreparabilmente perdutonon dava a lei tanto cruccio quanto alla vecchia; ma latormentava l'ingratitudine di quell'uomo, l'abuso che nedoveva aver fatto, l'idea della propria credulità, dellapropria confidenza così indegnamente delusa.

Quanto al suo amore per Federico, esso avea datoluogo alla indifferenza, al disinganno, al rimorso. Com-prese[Pg 130] in quel momento ch'egli non l'avea amatagiammai, comprese ch'ella avea sprecato i tesori del suocuore ad un uomo che non era fatto per lei. Vide crollaretutt'ad un tratto quel bell'edifizio di rosei sogni, di chi-merica felicità che nel secreto dell'anima avea fabbrica-to. Il sentimento che la comprese in quel punto, era unamaro disprezzo della vita. Avrebbe voluto rifarsi da

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Crisi.

La sciagura, il disinganno di Marta erano giuntiall'estremo. Benchè avesse in sospetto le asserzionidell'ipocrita suo protettore, una voce interna, un funestopresentimento le veniva dicendo che tutto era vero. Tut-te le azioni di Federico, tutte le sue parole, la doppiezzadel suo carattere, quella eterna perplessità che prova piùche altro il difetto di forza e di sentimento, tuttociò laconfermava nella dolorosa certezza ch'ella era tradita,che tutte le sue speranze erano ite al vento, che la suasventura non avea più rimedio. Il suo piccolo tesoro,frutto dei materni risparmi, irreparabilmente perdutonon dava a lei tanto cruccio quanto alla vecchia; ma latormentava l'ingratitudine di quell'uomo, l'abuso che nedoveva aver fatto, l'idea della propria credulità, dellapropria confidenza così indegnamente delusa.

Quanto al suo amore per Federico, esso avea datoluogo alla indifferenza, al disinganno, al rimorso. Com-prese[Pg 130] in quel momento ch'egli non l'avea amatagiammai, comprese ch'ella avea sprecato i tesori del suocuore ad un uomo che non era fatto per lei. Vide crollaretutt'ad un tratto quel bell'edifizio di rosei sogni, di chi-merica felicità che nel secreto dell'anima avea fabbrica-to. Il sentimento che la comprese in quel punto, era unamaro disprezzo della vita. Avrebbe voluto rifarsi da

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capo, e ammaestrata della propria esperienza, vivere so-litaria e senza amore, piuttostochè incorrere in sì funestiinganni.

Ma non era più tempo di annullare il passato; non erapiù tempo di retrocedere. Questa parola che le era sfug-gita dinanzi al suo tentatore in un momento d'angoscia edi collera, era un'orribile verità. I suoi legami con Fede-rico avevano la sanzione della maternità. Era questo unmistero per tutti fuor che per lei. La madre, Federicomedesimo non n'aveano che un lontano sentore. Ellaavea ceduto ad un momento di debolezza, avea cedutoalle istanze, alle preghiere, alle minaccie del suo pro-messo. Forse avea creduto di suggellare così quei lega-mi non ancora consecrati dalla legge, e di renderli indis-solubili. Chi può dir nulla di quel conflitto tra il doveree la natura, tra la verecondia e la passione? Chi può ana-lizzar quei momenti nei quali i sensi offuscano l'intellet-to, e la misera donna lotta contro due forze una esterna,l'altra interna che concorrono a perderla? E Marta s'eradavvero perduta.

Ritornata alla sua cameretta, lo sguardo materno lainterrogò sul senso di quella parola che le era sfuggita, elo sguardo della povera fanciulla avea rivelato il miste-ro. Poche ore prima ella avrebbe temuto i rimproveridella madre severa, ora ella avea a temere qualche cosadi più grave e di più irreparabile. La vecchia medesimanon trovò parola per inveire contro di lei, per[Pg 131] bia-

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capo, e ammaestrata della propria esperienza, vivere so-litaria e senza amore, piuttostochè incorrere in sì funestiinganni.

Ma non era più tempo di annullare il passato; non erapiù tempo di retrocedere. Questa parola che le era sfug-gita dinanzi al suo tentatore in un momento d'angoscia edi collera, era un'orribile verità. I suoi legami con Fede-rico avevano la sanzione della maternità. Era questo unmistero per tutti fuor che per lei. La madre, Federicomedesimo non n'aveano che un lontano sentore. Ellaavea ceduto ad un momento di debolezza, avea cedutoalle istanze, alle preghiere, alle minaccie del suo pro-messo. Forse avea creduto di suggellare così quei lega-mi non ancora consecrati dalla legge, e di renderli indis-solubili. Chi può dir nulla di quel conflitto tra il doveree la natura, tra la verecondia e la passione? Chi può ana-lizzar quei momenti nei quali i sensi offuscano l'intellet-to, e la misera donna lotta contro due forze una esterna,l'altra interna che concorrono a perderla? E Marta s'eradavvero perduta.

Ritornata alla sua cameretta, lo sguardo materno lainterrogò sul senso di quella parola che le era sfuggita, elo sguardo della povera fanciulla avea rivelato il miste-ro. Poche ore prima ella avrebbe temuto i rimproveridella madre severa, ora ella avea a temere qualche cosadi più grave e di più irreparabile. La vecchia medesimanon trovò parola per inveire contro di lei, per[Pg 131] bia-

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simarla dell'accaduto. Tutte e due si trovarono abbrac-ciate e piansero amaramente. Tutte e due sentirono lagravezza del male, e non videro come porvi riparo. Sicoricarono senza parlare, aspettando dalla luce del gior-no un più sereno consiglio.

Ma la giovane non chiuse occhio. Ella passò la nottechiamando l'uno dopo l'altro ad esame i più estremi par-titi. — E se fosse un'invenzione di costui? — si sforzò lamisera di pensare: ma non fu lungamente blandita daquesta speranza. Immaginò di ricorrere ai tribunali, dipalesare il suo stato, di citare il tristo a mantenere lapromessa: ma oltrechè poco potea consolarla una ripara-zione avuta per quella via, ella sapeva abbastanza dimondo, e conosceva parecchie storie di povere vittimecolle quali s'era trovata a contatto, per non lusingarsid'ottenere quella riparazione ch'ella voleva, o quellavendetta che le pareva giusta.

Dissi non a caso vendetta. Giunta a questo punto dellesue riflessioni, sentì l'amore deluso cambiarsi in odio.La vita disonorata che l'attendeva l'era venuta in orrore:se in quel momento avesse potuto sprofondarsi sotterrae spegnere l'anima e la memoria, l'avrebbe fatto. L'avve-nire, che in altro tempo le si presentava roseo e sereno,era adesso tutto tenebre e tutto guai. La madre stessa, ilsuo affetto tenero ed efficace non rischiarava quell'oriz-zonte: ricordava quel suo sguardo severo, quel rimpro-vero muto che le sarebbe stato eternamente dinanzi e al

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simarla dell'accaduto. Tutte e due si trovarono abbrac-ciate e piansero amaramente. Tutte e due sentirono lagravezza del male, e non videro come porvi riparo. Sicoricarono senza parlare, aspettando dalla luce del gior-no un più sereno consiglio.

Ma la giovane non chiuse occhio. Ella passò la nottechiamando l'uno dopo l'altro ad esame i più estremi par-titi. — E se fosse un'invenzione di costui? — si sforzò lamisera di pensare: ma non fu lungamente blandita daquesta speranza. Immaginò di ricorrere ai tribunali, dipalesare il suo stato, di citare il tristo a mantenere lapromessa: ma oltrechè poco potea consolarla una ripara-zione avuta per quella via, ella sapeva abbastanza dimondo, e conosceva parecchie storie di povere vittimecolle quali s'era trovata a contatto, per non lusingarsid'ottenere quella riparazione ch'ella voleva, o quellavendetta che le pareva giusta.

Dissi non a caso vendetta. Giunta a questo punto dellesue riflessioni, sentì l'amore deluso cambiarsi in odio.La vita disonorata che l'attendeva l'era venuta in orrore:se in quel momento avesse potuto sprofondarsi sotterrae spegnere l'anima e la memoria, l'avrebbe fatto. L'avve-nire, che in altro tempo le si presentava roseo e sereno,era adesso tutto tenebre e tutto guai. La madre stessa, ilsuo affetto tenero ed efficace non rischiarava quell'oriz-zonte: ricordava quel suo sguardo severo, quel rimpro-vero muto che le sarebbe stato eternamente dinanzi e al

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quale non avrebbe trovata risposta. La madre! E nonaveva ella perduto i poveri frutti di tante fatiche per col-pa sua? E la miseria che sovrastava a' suoi vecchi giorni,non doveva imputarsi a lei? Tutte queste riflessioni era-no esagerate, più tetre forse che non doveano; ma nonpertanto erano men tormentose e meno reali alla infermaimmaginazione dell'infelice.[Pg 132] E il loro peso fu in-sopportabile alla sua mente: il suo povero intelletto fupervertito in quell'ore tremende: allora seguì la crisi chela doveva portare al delitto. Il giorno, anzichè recare unpo' di calma in quella cupa tempesta, non fece che raf-fermare una risoluzione che le era sembrata inevitabile,necessaria.

— Madre mia, — diss'ella con accento risoluto e so-lenne — madre mia, ho pensato tutta la notte: ho avutauna ispirazione alla quale devo obbedire. Lasciatemi an-dare: io voglio vederlo, voglio saper di che morte s'hada morire. — La madre le mosse qualche dubbio, tentòstornarla da quel viaggio, ma fu vinta dalle istanze dilei. Volle però accompagnarla. Benchè da queste parolenon avesse potuto indovinare il disegno della figliuola,non era prudenza lasciarla andar così sola ad affrontareforse una ripulsa, un insulto, e la fatale certezza dellasua disgrazia. Marta fece un fardello d'alcune sue robe,e tutte e due s'avviarono verso l'Istria.

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quale non avrebbe trovata risposta. La madre! E nonaveva ella perduto i poveri frutti di tante fatiche per col-pa sua? E la miseria che sovrastava a' suoi vecchi giorni,non doveva imputarsi a lei? Tutte queste riflessioni era-no esagerate, più tetre forse che non doveano; ma nonpertanto erano men tormentose e meno reali alla infermaimmaginazione dell'infelice.[Pg 132] E il loro peso fu in-sopportabile alla sua mente: il suo povero intelletto fupervertito in quell'ore tremende: allora seguì la crisi chela doveva portare al delitto. Il giorno, anzichè recare unpo' di calma in quella cupa tempesta, non fece che raf-fermare una risoluzione che le era sembrata inevitabile,necessaria.

— Madre mia, — diss'ella con accento risoluto e so-lenne — madre mia, ho pensato tutta la notte: ho avutauna ispirazione alla quale devo obbedire. Lasciatemi an-dare: io voglio vederlo, voglio saper di che morte s'hada morire. — La madre le mosse qualche dubbio, tentòstornarla da quel viaggio, ma fu vinta dalle istanze dilei. Volle però accompagnarla. Benchè da queste parolenon avesse potuto indovinare il disegno della figliuola,non era prudenza lasciarla andar così sola ad affrontareforse una ripulsa, un insulto, e la fatale certezza dellasua disgrazia. Marta fece un fardello d'alcune sue robe,e tutte e due s'avviarono verso l'Istria.

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X.

Le due candele.

Cammin facendo poche volte ruppero il silenzio percambiare fra loro qualche parola. Marta precedeva sem-pre di due passi la madre, non già perchè quest'ultimafosse dall'età ritardata; ma non era stimolata come la fi-glia da un interno pungolo che le faceva divorare la via.Quel po' di speranza, o meglio, quel po' d'incertezza chele restava sulla sua sorte, anzichè mitigarle l'angoscia,gliela rendeva più tormentosa. Avrebbe voluto saperetutto ad un tratto che non le rimaneva nulla a sperare.Questa certezza, per dura che fosse, le sarebbe statameno insopportabile della presente inquietudine; comeil[Pg 133] condannato che non può chiuder occhio la notteche precede la sua sentenza, e suole dormire tranquillola vigilia del suo supplizio. La infelice giovane anelavaa codesto termine qualunque fosse, del dubbio presente,e camminava spedita su per le frequenti salite, come an-dasse alla festa. Dopo alcune ore di viaggio giunsero alluogo fissato, e si fermarono ad un'osteria suburbana,per far colazione e concertarsi fra loro. Marta a questomomento avea perduta la fretta, onde non s'opposeall'indugio, benchè pensasse a tutt'altro che a prendercibo. Una fante della taverna recò loro del pane, del ca-cio, e una mezzina di vino. Mentre la vecchia mangiava,Marta accostava macchinalmente alle labbra qualche

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Le due candele.

Cammin facendo poche volte ruppero il silenzio percambiare fra loro qualche parola. Marta precedeva sem-pre di due passi la madre, non già perchè quest'ultimafosse dall'età ritardata; ma non era stimolata come la fi-glia da un interno pungolo che le faceva divorare la via.Quel po' di speranza, o meglio, quel po' d'incertezza chele restava sulla sua sorte, anzichè mitigarle l'angoscia,gliela rendeva più tormentosa. Avrebbe voluto saperetutto ad un tratto che non le rimaneva nulla a sperare.Questa certezza, per dura che fosse, le sarebbe statameno insopportabile della presente inquietudine; comeil[Pg 133] condannato che non può chiuder occhio la notteche precede la sua sentenza, e suole dormire tranquillola vigilia del suo supplizio. La infelice giovane anelavaa codesto termine qualunque fosse, del dubbio presente,e camminava spedita su per le frequenti salite, come an-dasse alla festa. Dopo alcune ore di viaggio giunsero alluogo fissato, e si fermarono ad un'osteria suburbana,per far colazione e concertarsi fra loro. Marta a questomomento avea perduta la fretta, onde non s'opposeall'indugio, benchè pensasse a tutt'altro che a prendercibo. Una fante della taverna recò loro del pane, del ca-cio, e una mezzina di vino. Mentre la vecchia mangiava,Marta accostava macchinalmente alle labbra qualche

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minuzzolo, ma si vedeva chiaramente che lo faceva percompiacenza e per non farsi scorgere alla fantesca. Levenne intanto il pensiero di chieder conto a quest'ultimadi Federico; e le domandò senza più se conoscesse ungiovane parrucchiere venuto di recente a stabilirsi costì.

— Il signor Federico? — chiese la fante — quello diTrieste che si fa sposo?

— Che si fa sposo? — ridomandò tutta pallida la po-vera Marta.

— Appunto, — rispose l'interrogata.

— Con chi?

— Non lo sapete? siete forestiere voi altre. Si fa spo-so colla Giustina, una governante del signor S... ma delresto un buon matrimonio. È una donna ancora fresca,benchè non aspetti più i trenta, e il padrone, capperi! leha fatto del bene, come era suo debito.

— Siete voi ben sicura di questo? — domandò la ma-dre di Marta.

— Capperi! sicurissima. Lo sa tutto il paese. È unavecchia tresca del barbierino... perchè non è già la primavolta che viene in questa città; c'è stato ancora, ma in[Pg134] quel tempo era sempre vivo il padrone della Giusti-na, ed ha trovato pan per focaccia. Ora poi il vecchio è

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minuzzolo, ma si vedeva chiaramente che lo faceva percompiacenza e per non farsi scorgere alla fantesca. Levenne intanto il pensiero di chieder conto a quest'ultimadi Federico; e le domandò senza più se conoscesse ungiovane parrucchiere venuto di recente a stabilirsi costì.

— Il signor Federico? — chiese la fante — quello diTrieste che si fa sposo?

— Che si fa sposo? — ridomandò tutta pallida la po-vera Marta.

— Appunto, — rispose l'interrogata.

— Con chi?

— Non lo sapete? siete forestiere voi altre. Si fa spo-so colla Giustina, una governante del signor S... ma delresto un buon matrimonio. È una donna ancora fresca,benchè non aspetti più i trenta, e il padrone, capperi! leha fatto del bene, come era suo debito.

— Siete voi ben sicura di questo? — domandò la ma-dre di Marta.

— Capperi! sicurissima. Lo sa tutto il paese. È unavecchia tresca del barbierino... perchè non è già la primavolta che viene in questa città; c'è stato ancora, ma in[Pg134] quel tempo era sempre vivo il padrone della Giusti-na, ed ha trovato pan per focaccia. Ora poi il vecchio è

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morto, e non vi sono più impedimenti. —

Marta ascoltava sbadatamente, come pensasse atutt'altro, scherzava col coltello appuntato che la fanteaveva recato col cacio, e affettava il pane che le stavadinanzi. Tutt'ad un tratto si volse alla fantesca con unpajo d'occhi da spiritata e le disse: — Basta, basta, nonvogliamo saper più in là! — La fante, così ricisamenteinterrotta, fece una smorfia e se n'andò pe' fatti suoi.

Rimaste sole, la madre a cui non era sfuggito il turba-mento della figliuola, procurò di calmarla, e le proposedi ritornarsene a casa.

— Ritornare a casa? Povera mamma! ritornare a casaprima di conoscere la sposa, prima di offrire a Federicole nostre felicitazioni! Mai no. Senti, madre mia. Hoportato con me le due candele benedette che sai. Andia-mo alla chiesa. Pregherò il sacrestano che le accenda di-nanzi alla Madonna. La Beata Vergine sa il mio stato, enon vorrà permettere ch'io muoja così....

— Ma che dici tu di morire? — soggiunse spaventatala madre, che non aveva mai sentita la figlia a formularquella idea.

— Mia cara mamma, — soggiunse Marta con un tuo-no di malinconica tenerezza insolita in lei. — Mia caramamma! Che cosa s'ha da fare a questo mondo, e fragente così malvagia? meglio finirla una volta, credete-

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morto, e non vi sono più impedimenti. —

Marta ascoltava sbadatamente, come pensasse atutt'altro, scherzava col coltello appuntato che la fanteaveva recato col cacio, e affettava il pane che le stavadinanzi. Tutt'ad un tratto si volse alla fantesca con unpajo d'occhi da spiritata e le disse: — Basta, basta, nonvogliamo saper più in là! — La fante, così ricisamenteinterrotta, fece una smorfia e se n'andò pe' fatti suoi.

Rimaste sole, la madre a cui non era sfuggito il turba-mento della figliuola, procurò di calmarla, e le proposedi ritornarsene a casa.

— Ritornare a casa? Povera mamma! ritornare a casaprima di conoscere la sposa, prima di offrire a Federicole nostre felicitazioni! Mai no. Senti, madre mia. Hoportato con me le due candele benedette che sai. Andia-mo alla chiesa. Pregherò il sacrestano che le accenda di-nanzi alla Madonna. La Beata Vergine sa il mio stato, enon vorrà permettere ch'io muoja così....

— Ma che dici tu di morire? — soggiunse spaventatala madre, che non aveva mai sentita la figlia a formularquella idea.

— Mia cara mamma, — soggiunse Marta con un tuo-no di malinconica tenerezza insolita in lei. — Mia caramamma! Che cosa s'ha da fare a questo mondo, e fragente così malvagia? meglio finirla una volta, credete-

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mi. Io ci ho già pensato. Iddio abbia compassione di me!

— Tu sei fur di te medesima, Marta! Tu non parli cer-to da senno! Alla fine poi tutto questo può essere unaciancia, una favola inventata dalle male lingue.

— Oh! no, mamma. Era destino, vedete. Voi stessa nesiete persuasa nel vostro interno. Oh! sono stata benpazza a non prestar fede alle vostre parole, quando mi[Pg135] poneste in guardia sul carattere di Federico. Ora loconosco assai bene! Da quell'uomo là non poteva venir-mi che male. Andiamo, andiamo in chiesa. Pregate perme, madre mia! pregate per la vostra povera Marta! —Così dicendo la sventurata diede in un pianto dirotto, enon proferì più parola.

La vecchia voleva chiamar la fante per pagare il suoconto; poi pensò meglio di non darle occasione di ciarle,e si recò ella medesima al banco, dicendo alla figliuolache l'attendesse costì. Marta, come si vide sola, si scos-se, asciugò le lagrime, bevette un bicchiere di vino quasivolesse reagire contro la sua debolezza, e nascose de-stramente il coltello entro la manica del vestito. A qualfine precisamente, nol so; forse non lo sapeva in quelpunto ella stessa.

Quando tornò la madre, ella era già sulla porta, e tuttee due s'avviarono frettolose alla chiesa.

Quivi preso a parte il vecchio sacrestano, la povera

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mi. Io ci ho già pensato. Iddio abbia compassione di me!

— Tu sei fur di te medesima, Marta! Tu non parli cer-to da senno! Alla fine poi tutto questo può essere unaciancia, una favola inventata dalle male lingue.

— Oh! no, mamma. Era destino, vedete. Voi stessa nesiete persuasa nel vostro interno. Oh! sono stata benpazza a non prestar fede alle vostre parole, quando mi[Pg135] poneste in guardia sul carattere di Federico. Ora loconosco assai bene! Da quell'uomo là non poteva venir-mi che male. Andiamo, andiamo in chiesa. Pregate perme, madre mia! pregate per la vostra povera Marta! —Così dicendo la sventurata diede in un pianto dirotto, enon proferì più parola.

La vecchia voleva chiamar la fante per pagare il suoconto; poi pensò meglio di non darle occasione di ciarle,e si recò ella medesima al banco, dicendo alla figliuolache l'attendesse costì. Marta, come si vide sola, si scos-se, asciugò le lagrime, bevette un bicchiere di vino quasivolesse reagire contro la sua debolezza, e nascose de-stramente il coltello entro la manica del vestito. A qualfine precisamente, nol so; forse non lo sapeva in quelpunto ella stessa.

Quando tornò la madre, ella era già sulla porta, e tuttee due s'avviarono frettolose alla chiesa.

Quivi preso a parte il vecchio sacrestano, la povera

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Marta trasse fuori le due candele, e gli ordinò di collo-carle dinanzi all'altare della Madonna. Vi aggiunse unrotolo di denaro per una messa da celebrarsi all'istante,secondo la sua intenzione. Il sacrestano prese le candelee il denaro e se ne andò senza aggiungere parola. Le duedonne s'inginocchiarono dinanzi all'altare indicato, estettero lungamente aspettando. Uscì finalmente il pretee cominciò a celebrare la messa. Marta stette tutto queltempo immobile, cogli occhi fissi all'altare, come traso-gnata ed estatica. Il suo pallido volto era suffuso d'unrossore febbrile, e chi l'avesse attentamente considerata,avrebbe letto ne' suoi lineamenti le traccie di un grandolore che tormentava quell'anima profondamente.

Levatesi finalmente di là, s'incamminarono per usci-re. Incontrato sulla porta della chiesa il sagrestano, la[Pg136] giovane gli si accostò e gli chiese l'abitazione diquel parrucchiere triestino che dovea ammogliarsi trabreve. Il vecchio gliela insegnò. — E quando seguiran-no le nozze? — domandò Marta, come per semplice cu-riosità.

— Credo domenica, — rispose l'altro. — Le pubbli-cazioni sono già fatte. Sareste voi sorella di quel buongiovane? Che sì che indovino? Andate, andate, gli fareteuna grata sorpresa. La sua bottega è già aperta.

— Grazie — disse Marta, dissimulando profonda-mente la sua emozione. — A rivederci fra poco. Badate

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Marta trasse fuori le due candele, e gli ordinò di collo-carle dinanzi all'altare della Madonna. Vi aggiunse unrotolo di denaro per una messa da celebrarsi all'istante,secondo la sua intenzione. Il sacrestano prese le candelee il denaro e se ne andò senza aggiungere parola. Le duedonne s'inginocchiarono dinanzi all'altare indicato, estettero lungamente aspettando. Uscì finalmente il pretee cominciò a celebrare la messa. Marta stette tutto queltempo immobile, cogli occhi fissi all'altare, come traso-gnata ed estatica. Il suo pallido volto era suffuso d'unrossore febbrile, e chi l'avesse attentamente considerata,avrebbe letto ne' suoi lineamenti le traccie di un grandolore che tormentava quell'anima profondamente.

Levatesi finalmente di là, s'incamminarono per usci-re. Incontrato sulla porta della chiesa il sagrestano, la[Pg136] giovane gli si accostò e gli chiese l'abitazione diquel parrucchiere triestino che dovea ammogliarsi trabreve. Il vecchio gliela insegnò. — E quando seguiran-no le nozze? — domandò Marta, come per semplice cu-riosità.

— Credo domenica, — rispose l'altro. — Le pubbli-cazioni sono già fatte. Sareste voi sorella di quel buongiovane? Che sì che indovino? Andate, andate, gli fareteuna grata sorpresa. La sua bottega è già aperta.

— Grazie — disse Marta, dissimulando profonda-mente la sua emozione. — A rivederci fra poco. Badate

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Page 178: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

che le due candele devono ardere fin che ce n'è. Gli èvoto.

— Non dubitate, buona ragazza. Andate con Dio. —

Così dicendo egli rientrò nella Chiesa, e le due donnesi mossero difilate verso la bottega del parrucchiere. Pervia, la madre maravigliata del nuovo contegno della fan-ciulla, le domandò che cosa intendesse di fare.

— Non lo so, madre mia: ma il Signore m'inspirerà.Intanto io voglio vederlo: voglio vedere che cosa sapràrispondermi. Oh certo! il sagrestano dice bene: gli dob-biamo fare una grata sorpresa.

— Ma tu farai qualche scandalo: tu ti lasci trasportaredalla passione. Abbi riguardo. Non ci facciamo scorgerein questo paese. Già non si guadagna nulla a codesto.

— Oh! io credo che guadagneremo, mamma! Lascia-te fare a me! — Così dicendo le due donne entrarononella bottega di Federico. Egli stava accomodando i ca-pelli a se stesso per non perdere il tempo, finchè capitas-se alcun avventore. Viste le due donne, restò sbalordito.Egli non s'aspettava per certo codesta visita importuna.Passarono alcuni istanti senza che nessuno[Pg 137] dei trepronunciasse parola. Il primo a rimettersi fu il barbiere,e fissando gli occhi sul volto di Marta, le domandò bru-talmente: — A che venite voi qui? — Ma non appenaebbe proferita codesta frase, s'arrestò spaventato e ab-

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che le due candele devono ardere fin che ce n'è. Gli èvoto.

— Non dubitate, buona ragazza. Andate con Dio. —

Così dicendo egli rientrò nella Chiesa, e le due donnesi mossero difilate verso la bottega del parrucchiere. Pervia, la madre maravigliata del nuovo contegno della fan-ciulla, le domandò che cosa intendesse di fare.

— Non lo so, madre mia: ma il Signore m'inspirerà.Intanto io voglio vederlo: voglio vedere che cosa sapràrispondermi. Oh certo! il sagrestano dice bene: gli dob-biamo fare una grata sorpresa.

— Ma tu farai qualche scandalo: tu ti lasci trasportaredalla passione. Abbi riguardo. Non ci facciamo scorgerein questo paese. Già non si guadagna nulla a codesto.

— Oh! io credo che guadagneremo, mamma! Lascia-te fare a me! — Così dicendo le due donne entrarononella bottega di Federico. Egli stava accomodando i ca-pelli a se stesso per non perdere il tempo, finchè capitas-se alcun avventore. Viste le due donne, restò sbalordito.Egli non s'aspettava per certo codesta visita importuna.Passarono alcuni istanti senza che nessuno[Pg 137] dei trepronunciasse parola. Il primo a rimettersi fu il barbiere,e fissando gli occhi sul volto di Marta, le domandò bru-talmente: — A che venite voi qui? — Ma non appenaebbe proferita codesta frase, s'arrestò spaventato e ab-

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bassò gli occhi, non potendo sostenere lo sguardo di lei.

Successe un altro momento di silenzio, finchè la gio-vane simulando una grande tranquillità ed un tuono divoce amorevole, rivolse all'attonito barbiere queste pa-role: — Federico, tu mi dimandi che vengo a far qui? Ionon saprei risponderti bene. Io non lo so. Ma tu devi dir-mi se sono vere le voci che corrono. M'hanno fatto cre-dere che tu ti mariti presto, che sono già fatte le pubbli-cazioni, e che la sposa si chiama Giustina, non Marta;ch'ella è stata finora la serva o altro d'un signore di que-sta città, non l'onesta operaja che viveva a fianco dellasua vecchia madre a Trieste. Sono vere, Federico, questenovelle?

— Io non devo render conto ad alcuno de' fattimiei....

— T'inganni. Tu devi render conto ad una personache non intende rinunciare ai propri diritti. Sappi ch'iosono venuta per questo.

— Tutto è finito fra voi e me: non ve l'ha già detto ilsignor B.?

— Il signor B.? Io non ho a fare nulla col signor B. Iovoglio sapere dalle tue labbra medesime se tu hai di-menticato, non dico i tuoi doveri verso la mia poveramadre, ma i tuoi giuramenti verso di me. Ah! tu credich'io sia per soffrire che un'altra donna si chiami tua

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bassò gli occhi, non potendo sostenere lo sguardo di lei.

Successe un altro momento di silenzio, finchè la gio-vane simulando una grande tranquillità ed un tuono divoce amorevole, rivolse all'attonito barbiere queste pa-role: — Federico, tu mi dimandi che vengo a far qui? Ionon saprei risponderti bene. Io non lo so. Ma tu devi dir-mi se sono vere le voci che corrono. M'hanno fatto cre-dere che tu ti mariti presto, che sono già fatte le pubbli-cazioni, e che la sposa si chiama Giustina, non Marta;ch'ella è stata finora la serva o altro d'un signore di que-sta città, non l'onesta operaja che viveva a fianco dellasua vecchia madre a Trieste. Sono vere, Federico, questenovelle?

— Io non devo render conto ad alcuno de' fattimiei....

— T'inganni. Tu devi render conto ad una personache non intende rinunciare ai propri diritti. Sappi ch'iosono venuta per questo.

— Tutto è finito fra voi e me: non ve l'ha già detto ilsignor B.?

— Il signor B.? Io non ho a fare nulla col signor B. Iovoglio sapere dalle tue labbra medesime se tu hai di-menticato, non dico i tuoi doveri verso la mia poveramadre, ma i tuoi giuramenti verso di me. Ah! tu credich'io sia per soffrire che un'altra donna si chiami tua

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moglie? No! Federico. La tua moglie son io.

— Voi? In qual chiesa vi ho dato la mano? — chieselo sfrontato parrucchiere con ironia.

— Tu mi chiedi in qual chiesa? Iddio ha forse biso-gno[Pg 138] di chiese per ascoltare le promesse e i giura-menti delle sue creature? Io sono tua moglie, Federico,io porto meco un documento irrefragabile de' nostri le-gami: io son madre! — Ella proferì quest'ultima frasecon voce bassa e soffocata. Federico impallidìnell'ascoltarla, ma si ricompose tosto, e si sforzò di fareun cotal riso beffardo e bestiale che mostrò tuttal'abbiettezza dell'anima sua. — Madre? — egli disse. —Me ne consolo assai! Così non vi mancherà un appoggionel padre del vostro figliuolo, qualunque egli sia.... Il si-gnor B. v'aiuterà a ritrovarlo. —

Le due donne inorridirono. Marta non potè parlare,chè la rabbia e l'angoscia le soffocò la parola. Ma lavecchia che avea taciuto fin allora, s'avventò come unafuria sul barbiere, e lo fece indietreggiare verso un an-golo della stanza. — Infame — gridò. — Ricorreresti tualla calunnia? Chi ci ha fatto conoscere, dì, quel tuo si-gnor B. degno complice delle tue scelleraggini?

— Se ve l'ho fatto conoscere, non v'ho mica ordinatoche vostra figlia dovesse frequentar la sua casa. Però ionon voglio ora farvene carico. Ognuno è padrone di fareciò che gli aggrada. Vuol dire che voi ci avrete trovato il

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moglie? No! Federico. La tua moglie son io.

— Voi? In qual chiesa vi ho dato la mano? — chieselo sfrontato parrucchiere con ironia.

— Tu mi chiedi in qual chiesa? Iddio ha forse biso-gno[Pg 138] di chiese per ascoltare le promesse e i giura-menti delle sue creature? Io sono tua moglie, Federico,io porto meco un documento irrefragabile de' nostri le-gami: io son madre! — Ella proferì quest'ultima frasecon voce bassa e soffocata. Federico impallidìnell'ascoltarla, ma si ricompose tosto, e si sforzò di fareun cotal riso beffardo e bestiale che mostrò tuttal'abbiettezza dell'anima sua. — Madre? — egli disse. —Me ne consolo assai! Così non vi mancherà un appoggionel padre del vostro figliuolo, qualunque egli sia.... Il si-gnor B. v'aiuterà a ritrovarlo. —

Le due donne inorridirono. Marta non potè parlare,chè la rabbia e l'angoscia le soffocò la parola. Ma lavecchia che avea taciuto fin allora, s'avventò come unafuria sul barbiere, e lo fece indietreggiare verso un an-golo della stanza. — Infame — gridò. — Ricorreresti tualla calunnia? Chi ci ha fatto conoscere, dì, quel tuo si-gnor B. degno complice delle tue scelleraggini?

— Se ve l'ho fatto conoscere, non v'ho mica ordinatoche vostra figlia dovesse frequentar la sua casa. Però ionon voglio ora farvene carico. Ognuno è padrone di fareciò che gli aggrada. Vuol dire che voi ci avrete trovato il

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tornaconto.

— Taci, vile calunniatore! — saltò su Marta che s'erariavuta. — Taci! Non inventare dei torti che rendanomeno infame la tua condotta. Tu sai bene che menti! tusai bene che non sei degno di guardarmi in faccia!

— Ebbene! sì! So che non son degno di voi, e perquesto ho pensato di lasciarvi in libertà e di dar la manoad un'altra. Andate via ve ne prego. Può essere ch'ellacapiti qui, e capite bene.... siamo in un paese piccolo. Ionon ho bisogno di scandali. Andate colle buone....

— E s'io non me ne vo' colle buone?...

— Ci anderete per forza. Orsù...

[Pg 139]

— Guarda qual conto io fo delle tue parole! Così di-cendo s'adagiò sopra uno dei seggioloni che occupavanoil mezzo della bottega. — Ella verrà qui, tu dici? Tantomeglio! Io voglio vederla in viso questa perla, questa ri-vale che tu mi dài. Sedete, madre mia, sedete anche voi.Sarete stanca, povera mamma, approfittate dell'ospitalitàdi vostro genero. —

Federico fremeva di rabbia. Non potendo sostenerel'aspetto di Marta, tornò ad inveire contro la vecchia, fa-cendosi verso la porta, sia per evadere, sia per chiamareman forte. Ma la vecchia robusta lo afferrò per un brac-

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tornaconto.

— Taci, vile calunniatore! — saltò su Marta che s'erariavuta. — Taci! Non inventare dei torti che rendanomeno infame la tua condotta. Tu sai bene che menti! tusai bene che non sei degno di guardarmi in faccia!

— Ebbene! sì! So che non son degno di voi, e perquesto ho pensato di lasciarvi in libertà e di dar la manoad un'altra. Andate via ve ne prego. Può essere ch'ellacapiti qui, e capite bene.... siamo in un paese piccolo. Ionon ho bisogno di scandali. Andate colle buone....

— E s'io non me ne vo' colle buone?...

— Ci anderete per forza. Orsù...

[Pg 139]

— Guarda qual conto io fo delle tue parole! Così di-cendo s'adagiò sopra uno dei seggioloni che occupavanoil mezzo della bottega. — Ella verrà qui, tu dici? Tantomeglio! Io voglio vederla in viso questa perla, questa ri-vale che tu mi dài. Sedete, madre mia, sedete anche voi.Sarete stanca, povera mamma, approfittate dell'ospitalitàdi vostro genero. —

Federico fremeva di rabbia. Non potendo sostenerel'aspetto di Marta, tornò ad inveire contro la vecchia, fa-cendosi verso la porta, sia per evadere, sia per chiamareman forte. Ma la vecchia robusta lo afferrò per un brac-

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cio e lo scagliò nuovamente verso il fondo della bottega.In quel momento una donna di circa trent'anni, s'affac-ciò alla porta. Era Giustina. Il sagrestano l'aveva avver-tita di due parenti di Federico venute espressamente pervisitarlo, onde s'affrettò a farsi riconoscere per la futurasposa di lui. Un suo cugino e futuro compare dell'anellol'accompagnava. Visto il parapiglia, s'arrestarono unpoco, poi tra per curiosità, tra per difendere il barbiereche pareva avesse la peggio, entrarono e chiesero la ra-gione della contesa.

— La ragione? — gridò la vecchia inferocita dallaviolenza dell'atto: — la ragione? —

— Non le credete nulla! ella è una pazza, una ubriaca,— sclamò Federico riavuto dal suo sbalordimento.

— A chi dici tu pazza? — gridò Marta rizzandosi inpiedi. — Rispetta mia madre, Federico, rispetta mia ma-dre, che potrebbe farti cacciare in prigione con una solaparola. — Poi volgendosi alla Giustina; — ah! — dissecon un sorriso pieno d'ironia, voi sarete la sua sposa?...io vi faccio sapere, buona donna, che costui non puòprender impegni con altri. Egli è mio marito.

— Giustina, non prestate fede alle loro parole. Anda-te[Pg 140] via di qua, pregate qualcheduno che venga a li-berarci da queste pazze.

— Se vai via di qua, sarà meglio per te — disse Mar-

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cio e lo scagliò nuovamente verso il fondo della bottega.In quel momento una donna di circa trent'anni, s'affac-ciò alla porta. Era Giustina. Il sagrestano l'aveva avver-tita di due parenti di Federico venute espressamente pervisitarlo, onde s'affrettò a farsi riconoscere per la futurasposa di lui. Un suo cugino e futuro compare dell'anellol'accompagnava. Visto il parapiglia, s'arrestarono unpoco, poi tra per curiosità, tra per difendere il barbiereche pareva avesse la peggio, entrarono e chiesero la ra-gione della contesa.

— La ragione? — gridò la vecchia inferocita dallaviolenza dell'atto: — la ragione? —

— Non le credete nulla! ella è una pazza, una ubriaca,— sclamò Federico riavuto dal suo sbalordimento.

— A chi dici tu pazza? — gridò Marta rizzandosi inpiedi. — Rispetta mia madre, Federico, rispetta mia ma-dre, che potrebbe farti cacciare in prigione con una solaparola. — Poi volgendosi alla Giustina; — ah! — dissecon un sorriso pieno d'ironia, voi sarete la sua sposa?...io vi faccio sapere, buona donna, che costui non puòprender impegni con altri. Egli è mio marito.

— Giustina, non prestate fede alle loro parole. Anda-te[Pg 140] via di qua, pregate qualcheduno che venga a li-berarci da queste pazze.

— Se vai via di qua, sarà meglio per te — disse Mar-

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ta alla sua sbigottita rivale. — Va via di qua, e non tor-narci mai più, proverai che cosa può fare una pazza! —Così dicendo mosse due passi verso di lei con piglio mi-naccioso, e risoluta di venire alle vie di fatto. Giustinanon se lo fece dire due volte, e se ne andò strascinandocon sè il suo compagno. Federico rimase nuovamentesolo colle due prime venute. Tanta era la violenza dellapassione in tutti e tre, che una lunga pausa successe aquesta scena bizzarra e terribile.

Marta si ricordò in quel momento dell'arme che aveaportata seco nella manica del vestito: se ne ricordòquando concepì il disegno di venire alle mani colla riva-le. Una specie di vertigine occupò la sua mente. Tuttociò che v'era stato di più provocante nel dialogo corsotra lei e Federico le passò dinanzi al pensiero comeun'orrenda visione. Ella perdette la coscienza di se me-desima, e divenne come sonnambula. Immaginò che tut-te le autorità del paese, convocate da costei, sopravve-nissero là, e la traessero a forza lungi da quel luogo. Im-maginò di vedersi condotta come una pazza per le con-trade di quella città fra le grida e gli scherni del popo-laccio. Non potè sostenere quest'idea, ed anzichè preve-nir questo fatto, pensò a vendicare l'oltraggio che le pa-rea inevitabile. Abbracciò strettamente la madre senzapiangere, senza parlare, come uscita di senno. Poi spic-catasi da lei si volse tutta mansuetudine a Federico —Non aver paura, — gli disse — non aver paura di me,Federico. Se la sorte ha destinato che tu sposi un'altra,

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ta alla sua sbigottita rivale. — Va via di qua, e non tor-narci mai più, proverai che cosa può fare una pazza! —Così dicendo mosse due passi verso di lei con piglio mi-naccioso, e risoluta di venire alle vie di fatto. Giustinanon se lo fece dire due volte, e se ne andò strascinandocon sè il suo compagno. Federico rimase nuovamentesolo colle due prime venute. Tanta era la violenza dellapassione in tutti e tre, che una lunga pausa successe aquesta scena bizzarra e terribile.

Marta si ricordò in quel momento dell'arme che aveaportata seco nella manica del vestito: se ne ricordòquando concepì il disegno di venire alle mani colla riva-le. Una specie di vertigine occupò la sua mente. Tuttociò che v'era stato di più provocante nel dialogo corsotra lei e Federico le passò dinanzi al pensiero comeun'orrenda visione. Ella perdette la coscienza di se me-desima, e divenne come sonnambula. Immaginò che tut-te le autorità del paese, convocate da costei, sopravve-nissero là, e la traessero a forza lungi da quel luogo. Im-maginò di vedersi condotta come una pazza per le con-trade di quella città fra le grida e gli scherni del popo-laccio. Non potè sostenere quest'idea, ed anzichè preve-nir questo fatto, pensò a vendicare l'oltraggio che le pa-rea inevitabile. Abbracciò strettamente la madre senzapiangere, senza parlare, come uscita di senno. Poi spic-catasi da lei si volse tutta mansuetudine a Federico —Non aver paura, — gli disse — non aver paura di me,Federico. Se la sorte ha destinato che tu sposi un'altra,

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sposala pure. Ti domando perdono delle mie furie dipoco fa. Separiamoci in pace, Federico, separiamoci inpace, prima che venga gente. Oh! non vorrai tu darminemmeno[Pg 141] un abbraccio prima ch'io ti lasci persempre? — E così dicendo accostavasi a lui che non sa-peva rendersi ragione di un tal cambiamento, e se nestava perplesso e balordo in fondo alla stanza.

Marta avvicinandosi a lui, senza far motto gli gettò lebraccia al collo, e lo strinse fortemente come convulsa.In quel momento sentì accorrer gente alla porta dellabottega. La madre che era stata fino allora attonitaaspettando l'esito di quella scena, la chiamò a nome. Fucome un lampo. Senza ritirar le braccia incrocicchiatedietro al collo di Federico, Marta aveva brandito il col-tello nascosto, come dissi, entro la manica sinistradell'abito, e gridando: — traditore! — con un movimen-to improvviso l'avea cacciato nel cuore del suo promes-so, che gettò uno strido e cadde rovescio. Era morto.Marta senza più curarsi di lui, e brandendo ancora il pu-gnale insanguinato, si volse alla gente che affollavasiall'uscio e cercò qualcheduno cogli occhi stralunati e fu-renti. La vecchia mezza morta dallo spavento afferravainvano il braccio della figliuola: questa non vi ponevamente, non la vedeva. Pallida, le gote tremanti, chiama-va un'altra donna che non era presente, chiamava Giusti-na. — È spenta, è spenta, — gridava — una delle duecandele che ardeva innanzi a Maria... una è spenta! vedoil lucignolo che fuma ancora!.. L'altra... l'altra arde an-

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sposala pure. Ti domando perdono delle mie furie dipoco fa. Separiamoci in pace, Federico, separiamoci inpace, prima che venga gente. Oh! non vorrai tu darminemmeno[Pg 141] un abbraccio prima ch'io ti lasci persempre? — E così dicendo accostavasi a lui che non sa-peva rendersi ragione di un tal cambiamento, e se nestava perplesso e balordo in fondo alla stanza.

Marta avvicinandosi a lui, senza far motto gli gettò lebraccia al collo, e lo strinse fortemente come convulsa.In quel momento sentì accorrer gente alla porta dellabottega. La madre che era stata fino allora attonitaaspettando l'esito di quella scena, la chiamò a nome. Fucome un lampo. Senza ritirar le braccia incrocicchiatedietro al collo di Federico, Marta aveva brandito il col-tello nascosto, come dissi, entro la manica sinistradell'abito, e gridando: — traditore! — con un movimen-to improvviso l'avea cacciato nel cuore del suo promes-so, che gettò uno strido e cadde rovescio. Era morto.Marta senza più curarsi di lui, e brandendo ancora il pu-gnale insanguinato, si volse alla gente che affollavasiall'uscio e cercò qualcheduno cogli occhi stralunati e fu-renti. La vecchia mezza morta dallo spavento afferravainvano il braccio della figliuola: questa non vi ponevamente, non la vedeva. Pallida, le gote tremanti, chiama-va un'altra donna che non era presente, chiamava Giusti-na. — È spenta, è spenta, — gridava — una delle duecandele che ardeva innanzi a Maria... una è spenta! vedoil lucignolo che fuma ancora!.. L'altra... l'altra arde an-

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cora, ma per poco. Dove sei, scellerata donna? Oh! tuhai paura, non è vero? Non aver paura, no! Non è già latua vita che dipende da quella candela, è la mia!.. Ellamuore. — Così dicendo rivolse contro il suo petto il col-tello, e due o tre volte tentò di trafiggersi: ma la steccadel corsetto deviò la punta micidiale e le impedì di finir-si. Sentendo che non riusciva nel suo disegno e veden-dosi circondata, cambiò improvvisamente pensiero, e al-zando il pugnale contro i più vicini[Pg 142] si fece largofra la folla e uscì furibonda nella contrada. Il popolo leschiamazzava dietro: — ferma, ferma, — ed ella tantopiù accelerava il passo lungo la via, senza guardarsi maidietro. La contrada metteva al mare. Un piccolo moloper uso de' pescatori stendevasi alquanto fra l'acqua.Ella l'occupò prima che alcuno potesse impedirglielo, epigliando la rincorsa si lanciò nel mare gridando: — èspenta anche l'altra! —

Un vecchio pescatore che rattoppava le reti nella suatartana, levandosi al tumulto e al tonfo che avea sentitonell'acqua non lontano da lui, si gettò prestamente anuoto, e riuscì ad afferrare la veste della sciagurata gio-vane, la trasse a riva affatto priva di sensi, e solo dopoalcune ore, ebbero effetto i pronti soccorsi che le furonoprestati. Ella si risentì vicino alla madre, nella camerastessa del pescatore che l'aveva salvata, ma non parevaserbasse alcuna memoria dell'accaduto. Vedendo sulproprio seno l'apparecchio che il chirurgo aveva applica-to alle due non mortali ferite che s'era fatte, ne chiese

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cora, ma per poco. Dove sei, scellerata donna? Oh! tuhai paura, non è vero? Non aver paura, no! Non è già latua vita che dipende da quella candela, è la mia!.. Ellamuore. — Così dicendo rivolse contro il suo petto il col-tello, e due o tre volte tentò di trafiggersi: ma la steccadel corsetto deviò la punta micidiale e le impedì di finir-si. Sentendo che non riusciva nel suo disegno e veden-dosi circondata, cambiò improvvisamente pensiero, e al-zando il pugnale contro i più vicini[Pg 142] si fece largofra la folla e uscì furibonda nella contrada. Il popolo leschiamazzava dietro: — ferma, ferma, — ed ella tantopiù accelerava il passo lungo la via, senza guardarsi maidietro. La contrada metteva al mare. Un piccolo moloper uso de' pescatori stendevasi alquanto fra l'acqua.Ella l'occupò prima che alcuno potesse impedirglielo, epigliando la rincorsa si lanciò nel mare gridando: — èspenta anche l'altra! —

Un vecchio pescatore che rattoppava le reti nella suatartana, levandosi al tumulto e al tonfo che avea sentitonell'acqua non lontano da lui, si gettò prestamente anuoto, e riuscì ad afferrare la veste della sciagurata gio-vane, la trasse a riva affatto priva di sensi, e solo dopoalcune ore, ebbero effetto i pronti soccorsi che le furonoprestati. Ella si risentì vicino alla madre, nella camerastessa del pescatore che l'aveva salvata, ma non parevaserbasse alcuna memoria dell'accaduto. Vedendo sulproprio seno l'apparecchio che il chirurgo aveva applica-to alle due non mortali ferite che s'era fatte, ne chiese

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conto alla madre, accusando un dolore a quel luogo, ecredendo d'esser precipitata giù da una scala. Corseroalquanti giorni prima che riacquistasse davvero la co-scienza del suo delitto....

Delitto?

Certo che fu delitto dinanzi al Codice. L'equità umanaperò che distribuisce con altra legge il diritto ed il torto,farà più mite giudicio di quella misera.

Il Tribunale di Trieste riconobbe anch'esso molte cir-costanze attenuanti, e la povera Marta non fu condanna-ta che a qualche anno di carcere, abbreviato anch'essoda una grazia sovrana.

Credo che ai lettori basterà questo. Gli altri personag-gi di questa istoria non sono tali da ispirare nessun inte-resse, e nessuna curiosità.

[Pg 143]

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conto alla madre, accusando un dolore a quel luogo, ecredendo d'esser precipitata giù da una scala. Corseroalquanti giorni prima che riacquistasse davvero la co-scienza del suo delitto....

Delitto?

Certo che fu delitto dinanzi al Codice. L'equità umanaperò che distribuisce con altra legge il diritto ed il torto,farà più mite giudicio di quella misera.

Il Tribunale di Trieste riconobbe anch'esso molte cir-costanze attenuanti, e la povera Marta non fu condanna-ta che a qualche anno di carcere, abbreviato anch'essoda una grazia sovrana.

Credo che ai lettori basterà questo. Gli altri personag-gi di questa istoria non sono tali da ispirare nessun inte-resse, e nessuna curiosità.

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IL BERRETTO DI PEL DI LUPO.

I.

Il mare che varia in cento guise la costa occidentaledell'Istria, ora lambendone le sponde selvose, ora adden-trandosi con seni profondi: qui largo e diffuso, là frasta-gliato da isolette e da scogli verdi d'ulivi e di mirti, a po-che miglia dalla rada di Trieste circonda Capo d'Istriacome di due braccia amorose, e ne farebbe un'isola se lamano degli uomini non l'avesse qua e là congiunta allaterra. Quel braccio che la limita a mezzodì è tagliato daun sentiero che conduce all'oratorio della Madonna diSemitella, forse diminutivo del nome latino semita.

La terza domenica dopo Pasqua ha luogo la solennitàdi quella chiesetta; e quando la stagione il permette,gl'Istriani delle terre vicine vi concorrono in folla, e nonpochi cittadini della stessa Trieste vi prendono parte. Al-cuni anni sono, il vapore gettava l'àncora alle nove delmattino in mezzo alla rada, e scaricava nella lieta cittàoltre a cento allegri pellegrini che andavano al Santuarioa sciogliere un voto, preparandosi intanto divotamentechi in qualche casa ospitale, chi nelle affaccendate oste-rie.

[Pg 144]

Fra questi una brigatella d'amici, della quale io facevo

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IL BERRETTO DI PEL DI LUPO.

I.

Il mare che varia in cento guise la costa occidentaledell'Istria, ora lambendone le sponde selvose, ora adden-trandosi con seni profondi: qui largo e diffuso, là frasta-gliato da isolette e da scogli verdi d'ulivi e di mirti, a po-che miglia dalla rada di Trieste circonda Capo d'Istriacome di due braccia amorose, e ne farebbe un'isola se lamano degli uomini non l'avesse qua e là congiunta allaterra. Quel braccio che la limita a mezzodì è tagliato daun sentiero che conduce all'oratorio della Madonna diSemitella, forse diminutivo del nome latino semita.

La terza domenica dopo Pasqua ha luogo la solennitàdi quella chiesetta; e quando la stagione il permette,gl'Istriani delle terre vicine vi concorrono in folla, e nonpochi cittadini della stessa Trieste vi prendono parte. Al-cuni anni sono, il vapore gettava l'àncora alle nove delmattino in mezzo alla rada, e scaricava nella lieta cittàoltre a cento allegri pellegrini che andavano al Santuarioa sciogliere un voto, preparandosi intanto divotamentechi in qualche casa ospitale, chi nelle affaccendate oste-rie.

[Pg 144]

Fra questi una brigatella d'amici, della quale io facevo

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parte, appena il calor del meriggio ebbe dato luogo allafresca temperatura del vespro, s'incamminava per quellaviuzza al luogo della Sagra, frequente ancora dei man-driani e dei villici dei contorni, mezzo brilli di vino, diamore e di danza. Sopra il dolce ed erboso declivio dellacollina, distinti alquanto, ma non separati, dalla follabaccante si spiegò la tovaglia, e si celebrò la festa a mo'del paese, facendo onore alle abbondanti provvigioniche avevamo recate con noi. Bello il vedere da quellaeminenza la rosea mandriana contornata il viso dal can-dido e ricamato mesero ascoltare con cedente riserbo leproteste dell'innamorato Paulano. Così chiamansi colà iterrazzani, stirpe tra italiana ed illirica, che veste ancorale brache larghe, sciolte al ginocchio, e il fulvo berrettodi pel di lupo, parte integrante dell'abbigliamento nazio-nale, quando non cuoprono il capo coll'immenso cappel-lo di feltro, che è la divisa solenne.

Terminato il pasto rituale, frenato dall'imbrunir dellanotte il divagamento degli occhi, i motti e i discorsi pia-cevoli cominciarono ad intrecciarsi con vena inesauribi-le. Si parlò di tutti e di tutto, non omettendo i baffi e labarba, che cominciava allora a ricrescere sul mento deigiovani aspiranti alla gloria di gagliardi e di liberali. —Il più erudito fra noi, benchè per la dignità del caratterenon avesse ancora lasciato crescere il folto onore delmento, cominciò a tessere la cronologia delle barbe, eriscontrò una coincidenza curiosa tra le barbe lunghe e ilculto alla musa di Dante. — Quando gli uomini, ei disse

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parte, appena il calor del meriggio ebbe dato luogo allafresca temperatura del vespro, s'incamminava per quellaviuzza al luogo della Sagra, frequente ancora dei man-driani e dei villici dei contorni, mezzo brilli di vino, diamore e di danza. Sopra il dolce ed erboso declivio dellacollina, distinti alquanto, ma non separati, dalla follabaccante si spiegò la tovaglia, e si celebrò la festa a mo'del paese, facendo onore alle abbondanti provvigioniche avevamo recate con noi. Bello il vedere da quellaeminenza la rosea mandriana contornata il viso dal can-dido e ricamato mesero ascoltare con cedente riserbo leproteste dell'innamorato Paulano. Così chiamansi colà iterrazzani, stirpe tra italiana ed illirica, che veste ancorale brache larghe, sciolte al ginocchio, e il fulvo berrettodi pel di lupo, parte integrante dell'abbigliamento nazio-nale, quando non cuoprono il capo coll'immenso cappel-lo di feltro, che è la divisa solenne.

Terminato il pasto rituale, frenato dall'imbrunir dellanotte il divagamento degli occhi, i motti e i discorsi pia-cevoli cominciarono ad intrecciarsi con vena inesauribi-le. Si parlò di tutti e di tutto, non omettendo i baffi e labarba, che cominciava allora a ricrescere sul mento deigiovani aspiranti alla gloria di gagliardi e di liberali. —Il più erudito fra noi, benchè per la dignità del caratterenon avesse ancora lasciato crescere il folto onore delmento, cominciò a tessere la cronologia delle barbe, eriscontrò una coincidenza curiosa tra le barbe lunghe e ilculto alla musa di Dante. — Quando gli uomini, ei disse

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— ebbero il mento vestito di barba, amarono sempre ecoltivarono la Divina Commedia. All'epoca invece deimenti rasi e della cipria, voi sapete che Dante era tenutoper barbaro, e appena si chiamava poeta. —

[Pg 145]

Questa peregrina erudizione fece un po' sorridere lenostre donne, le quali non furono mal paghe di potergiustificare coll'esempio di Dante le loro simpatie per labarba. Peccato che Dante non la portasse lunga quantoPietro Bembo e Leonardo da Vinci! Tutto considerato,le nostre gioviali compagne non avevano torto a predili-gere quell'ornamento virile. Non può negarsi che la bar-ba lunga non doni alla fisonomia dell'uomo un'aria ma-schia ed austera, che piace e piacerà sempre alla donna.Quelle che si compiacciono di certi tisicuzzi sbarbatelli,credete pure che nel loro interno se ne fanno beffe, o liamano come si ama un cagnolino, un gattino, un pappa-gallo. La donna non ama davvero se non l'uomo che puòdifenderla: l'ama robusto, ardito, terribile. La donna nonvuol guardare dall'alto al basso il suo eroe. S'inganna ta-lora, perchè sotto l'aspetto del lione può celarsi anchel'asino, e il coraggio non abita sempre nelle membra piùvaste. Volete udire una storiella a questo proposito?

— Si tratta sempre di barbe?

— Non precisamente di barbe, ma sibbene di pelo. Èl'origine di quel berretto di pel di lupo che vedete porta-

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— ebbero il mento vestito di barba, amarono sempre ecoltivarono la Divina Commedia. All'epoca invece deimenti rasi e della cipria, voi sapete che Dante era tenutoper barbaro, e appena si chiamava poeta. —

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Questa peregrina erudizione fece un po' sorridere lenostre donne, le quali non furono mal paghe di potergiustificare coll'esempio di Dante le loro simpatie per labarba. Peccato che Dante non la portasse lunga quantoPietro Bembo e Leonardo da Vinci! Tutto considerato,le nostre gioviali compagne non avevano torto a predili-gere quell'ornamento virile. Non può negarsi che la bar-ba lunga non doni alla fisonomia dell'uomo un'aria ma-schia ed austera, che piace e piacerà sempre alla donna.Quelle che si compiacciono di certi tisicuzzi sbarbatelli,credete pure che nel loro interno se ne fanno beffe, o liamano come si ama un cagnolino, un gattino, un pappa-gallo. La donna non ama davvero se non l'uomo che puòdifenderla: l'ama robusto, ardito, terribile. La donna nonvuol guardare dall'alto al basso il suo eroe. S'inganna ta-lora, perchè sotto l'aspetto del lione può celarsi anchel'asino, e il coraggio non abita sempre nelle membra piùvaste. Volete udire una storiella a questo proposito?

— Si tratta sempre di barbe?

— Non precisamente di barbe, ma sibbene di pelo. Èl'origine di quel berretto di pel di lupo che vedete porta-

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re a quasi tutti gli abitanti dell'Istria.

— Sarà una delle tue.

— Anzi è un fatto che dev'essere conosciuto in paese,e forse alcuno l'avrà udito raccontare altre volte.Quest'oggi, signora mia, mentre voi mi credevate smar-rito in qualche giardino d'Armida, io andava invece acaccia d'anticaglie, e m'ingegnavo di raccapezzare dallabocca di questa brava gente le tradizioni più singolaridella popolazione istriana. Ed ecco quanto mi venne fat-to d'intendere da un vecchio pescatore intorno a quelberretto tradizionale.

[Pg 146]

II.

— Codesto berretto — continuai, — sia esso vera-mente formato colla pelle d'un lupo, o con quella d'altrianimali che gli somiglino, non divenne già sì comuneper semplice volontà della moda, come alcuna di voi,belle donne, potrebbe credere. Esso è una specie di tro-feo, nè più nè meno com'è stata per Ercole la pelle dellione Nemèo. Vi fu un tempo, m'ha detto il mio pescato-re, che nessun Istriano avrebbe potuto ornarsi di quelberretto, senza essersene procacciata la pelle col propriovalore, purgando la penisola istriana d'alcuna di quellebelve. Sapete che i lupi sono ancora abbastanza frequen-ti nell'Istria, e udii raccontare di certe caccie solenni e

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re a quasi tutti gli abitanti dell'Istria.

— Sarà una delle tue.

— Anzi è un fatto che dev'essere conosciuto in paese,e forse alcuno l'avrà udito raccontare altre volte.Quest'oggi, signora mia, mentre voi mi credevate smar-rito in qualche giardino d'Armida, io andava invece acaccia d'anticaglie, e m'ingegnavo di raccapezzare dallabocca di questa brava gente le tradizioni più singolaridella popolazione istriana. Ed ecco quanto mi venne fat-to d'intendere da un vecchio pescatore intorno a quelberretto tradizionale.

[Pg 146]

II.

— Codesto berretto — continuai, — sia esso vera-mente formato colla pelle d'un lupo, o con quella d'altrianimali che gli somiglino, non divenne già sì comuneper semplice volontà della moda, come alcuna di voi,belle donne, potrebbe credere. Esso è una specie di tro-feo, nè più nè meno com'è stata per Ercole la pelle dellione Nemèo. Vi fu un tempo, m'ha detto il mio pescato-re, che nessun Istriano avrebbe potuto ornarsi di quelberretto, senza essersene procacciata la pelle col propriovalore, purgando la penisola istriana d'alcuna di quellebelve. Sapete che i lupi sono ancora abbastanza frequen-ti nell'Istria, e udii raccontare di certe caccie solenni e

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strepitose, a cui prendevano parte tutti i cacciatori diqueste terre: i quali cominciavano a battere il paese dal-la radice del monte maggiore, avanzandosi grado a gra-do verso il mezzodì come in linea di battaglia non inter-rotta, finchè, ricacciati codesti voraci animali all'estre-mità del capo promontore, ne facevano una vera carnefi-cina. Fino a memoria del mio vecchio istorico, l'averammazzato un lupo, vuoi con una palla di moschettoben aggiustato, vuoi con un colpo di randello, era unaspecie di vanto patriottico fra' pastori, e chi non avesseavuto intorno alla fronte codesta spoglia, testimonio ir-refragabile del proprio coraggio, non poteva nè anchesperar fortuna in amore. In quell'epoca, o gentili donne,il coraggio era ancora un requisito necessario per ottene-re i vostri favori. Il Morlacco non era reputato degnodella sua sposa se non la rapiva dalla casa paterna: enelle cerimonie nuziali di quella stirpe c'è ancora un si-mulacro di battaglia che ricorda quell'uso.

[Pg 147]

Ivo Milovich era un antico proavo della famiglia delpescatore sopra lodato. Egli non m'ha detto l'epoca incui fiorì: ma da certi miei dati, mi azzardo a conchiude-re che saranno presso a poco due secoli. Del resto mi ri-servo ad accertare la data ogni qual volta fosse per sor-gerne un dubbio. Figlio unico di donna veneziana, avearicevuto nascendo l'indole dolce e timida della madre, laquale educata a Venezia, al solo nome d'un lupo, trema-

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strepitose, a cui prendevano parte tutti i cacciatori diqueste terre: i quali cominciavano a battere il paese dal-la radice del monte maggiore, avanzandosi grado a gra-do verso il mezzodì come in linea di battaglia non inter-rotta, finchè, ricacciati codesti voraci animali all'estre-mità del capo promontore, ne facevano una vera carnefi-cina. Fino a memoria del mio vecchio istorico, l'averammazzato un lupo, vuoi con una palla di moschettoben aggiustato, vuoi con un colpo di randello, era unaspecie di vanto patriottico fra' pastori, e chi non avesseavuto intorno alla fronte codesta spoglia, testimonio ir-refragabile del proprio coraggio, non poteva nè anchesperar fortuna in amore. In quell'epoca, o gentili donne,il coraggio era ancora un requisito necessario per ottene-re i vostri favori. Il Morlacco non era reputato degnodella sua sposa se non la rapiva dalla casa paterna: enelle cerimonie nuziali di quella stirpe c'è ancora un si-mulacro di battaglia che ricorda quell'uso.

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Ivo Milovich era un antico proavo della famiglia delpescatore sopra lodato. Egli non m'ha detto l'epoca incui fiorì: ma da certi miei dati, mi azzardo a conchiude-re che saranno presso a poco due secoli. Del resto mi ri-servo ad accertare la data ogni qual volta fosse per sor-gerne un dubbio. Figlio unico di donna veneziana, avearicevuto nascendo l'indole dolce e timida della madre, laquale educata a Venezia, al solo nome d'un lupo, trema-

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va tutta come se n'avesse avuto il morso alla gola. Sic-come da bambino egli era un po' troppo vispo e bizzar-ro, la madre non avea miglior mezzo a farlo star chetoche minacciarlo del lupo: di che il giovanetto, comesuole accadere, n'ebbe a ricevere una impressione sì for-te nella tenera fantasia, che impallidiva ogni qual voltasentisse parlare di lupi. I suoi compagni, senza pietà perquesti involontari movimenti dell'immaginazione, si di-vertivano alle sue spalle e lo spaventavano spesso, ap-postandosi la notte dov'ei doveva passare, e urlandoglidietro come sogliono i lupi. Il povero Ivo era un verotribolatello: ei non capitava mai un po' mal disposto del-la salute in una brigata d'amici che alcuno, e spesso permaggiore strazio una donna, non gli chiedesse: — Chehai, Ivo, che mi sei sì basito? Hai visto il lupo? — E aqueste parole si levava un riso a cui non c'era risposta.

III.

Tra i beffatori del povero Ivo il più implacabile era unsuo cugino chiamato Stiepo, giovinaccio atticciato e ro-busto, il quale era andato a caccia fino da fanciullino,condottovi dal proprio padre, e di tredici anni avea giàguadagnato il berretto. Il qual berretto stava pur bene[Pg148] alla fronte maschia e alla bieca fisonomia di quel ra-gazzone dalle folte basette fulve e dai fulvi capelli checadevangli in due arruffate treccie, a mo' de' Morlacchi,sopra le spalle.

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va tutta come se n'avesse avuto il morso alla gola. Sic-come da bambino egli era un po' troppo vispo e bizzar-ro, la madre non avea miglior mezzo a farlo star chetoche minacciarlo del lupo: di che il giovanetto, comesuole accadere, n'ebbe a ricevere una impressione sì for-te nella tenera fantasia, che impallidiva ogni qual voltasentisse parlare di lupi. I suoi compagni, senza pietà perquesti involontari movimenti dell'immaginazione, si di-vertivano alle sue spalle e lo spaventavano spesso, ap-postandosi la notte dov'ei doveva passare, e urlandoglidietro come sogliono i lupi. Il povero Ivo era un verotribolatello: ei non capitava mai un po' mal disposto del-la salute in una brigata d'amici che alcuno, e spesso permaggiore strazio una donna, non gli chiedesse: — Chehai, Ivo, che mi sei sì basito? Hai visto il lupo? — E aqueste parole si levava un riso a cui non c'era risposta.

III.

Tra i beffatori del povero Ivo il più implacabile era unsuo cugino chiamato Stiepo, giovinaccio atticciato e ro-busto, il quale era andato a caccia fino da fanciullino,condottovi dal proprio padre, e di tredici anni avea giàguadagnato il berretto. Il qual berretto stava pur bene[Pg148] alla fronte maschia e alla bieca fisonomia di quel ra-gazzone dalle folte basette fulve e dai fulvi capelli checadevangli in due arruffate treccie, a mo' de' Morlacchi,sopra le spalle.

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Questi due cugini avevano già il seme d'una cordialeantipatia fra di loro, e non ci voleva più che una rivalitàd'amore per renderli nemici davvero l'uno dell'altro. El'occasione, come potete credere, non tardò.

Era venuta ad abitar Capo d'Istria una fanciulla chia-mata Matilde, figlia del capo-caccia de' conti di Pisino,natagli nel castello e lì allevata quasi signorilmente colledamigelle della contessa. Avvezza al piglio soldatescodel padre, vecchio cacciatore, e degli amici di casa, erapiù inclinata a ridere della timidezza d'Ivo, che a pren-derlo in affezione. Ma dall'altra parte nè anche il caratte-re rozzo e bestiale di Stiepo poteva far breccia nell'ani-mo suo: poichè l'educazione, o meglio la consuetudinedel castello l'avea resa un po' delicata, e non amava i co-stumi selvaggi del giovane bieco, benchè si accordassedi sovente con esso nel farsi beffe dell'altro.

Rimasta orfana da poco, viveva come padrona pressouna vecchia parente. Il conte di Pisino in benemerenzade' paterni servigi le aveva assegnata una modesta pen-sione a titolo di dote, sicchè ell'era un partito assai desi-derabile per la gioventù del paese.

— Stiepo, — disse una sera Matilde, — bisogna ave-re un po' di compassione al povero Ivo. Egli ha forsepaura dei lupi perchè non si è mai trovato al cimento.Conducetelo fuori a caccia con voi: addestratemelo unpo' quel caro ragazzo. — Ivo era presente e arrossì fino

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Questi due cugini avevano già il seme d'una cordialeantipatia fra di loro, e non ci voleva più che una rivalitàd'amore per renderli nemici davvero l'uno dell'altro. El'occasione, come potete credere, non tardò.

Era venuta ad abitar Capo d'Istria una fanciulla chia-mata Matilde, figlia del capo-caccia de' conti di Pisino,natagli nel castello e lì allevata quasi signorilmente colledamigelle della contessa. Avvezza al piglio soldatescodel padre, vecchio cacciatore, e degli amici di casa, erapiù inclinata a ridere della timidezza d'Ivo, che a pren-derlo in affezione. Ma dall'altra parte nè anche il caratte-re rozzo e bestiale di Stiepo poteva far breccia nell'ani-mo suo: poichè l'educazione, o meglio la consuetudinedel castello l'avea resa un po' delicata, e non amava i co-stumi selvaggi del giovane bieco, benchè si accordassedi sovente con esso nel farsi beffe dell'altro.

Rimasta orfana da poco, viveva come padrona pressouna vecchia parente. Il conte di Pisino in benemerenzade' paterni servigi le aveva assegnata una modesta pen-sione a titolo di dote, sicchè ell'era un partito assai desi-derabile per la gioventù del paese.

— Stiepo, — disse una sera Matilde, — bisogna ave-re un po' di compassione al povero Ivo. Egli ha forsepaura dei lupi perchè non si è mai trovato al cimento.Conducetelo fuori a caccia con voi: addestratemelo unpo' quel caro ragazzo. — Ivo era presente e arrossì fino

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agli occhi.

— Matilde, — diss'egli, — comandate ch'io espongala mia vita in vostra difesa, e vedrete se il coraggio mimancherà.

— Bel difensore che avrebbe trovato! — soggiunse[Pg149] Stiepo: — un giovane di ventidue anni che non si èancora procurato un berretto. Comperategliene uno, —diss'egli a Matilde, — comperategliene uno voi che ave-te denari. Oppure senti, Ivo, cugino mio. Io ho vedutoun bel gatto che ruzzava ier sera qui dattorno. Cacciagliuna palla ne' fianchi quando ei si sarà accovacciato. Di-remo ch'è stato il lupo, e non porterai più quel vigliaccoberrettino di lana. —

La fanciulla cervellina si mise a ridere sguaiatamente,poi tornò sulla prima idea, e persuase colle buone i duecugini ad andarsene insieme alla caccia del lupo che siprogettava a quei giorni.

Ivo non mancava veramente di qualche coraggio, nèaccresceva coll'immaginazione, come sogliono i pauro-si, la realtà del pericolo. Più volte l'avea affrontato consufficiente calma e n'era uscito sano e salvo. Ciò chemancavagli era quel sangue freddo che non si lascia so-praffare da un accidente improvviso, quella dote chenon è sempre coraggio, che non dipende dalla forza delvolere, ma è dono libero della natura, o conseguenzadelle prime impressioni infantili: quel colpo d'occhio si-

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agli occhi.

— Matilde, — diss'egli, — comandate ch'io espongala mia vita in vostra difesa, e vedrete se il coraggio mimancherà.

— Bel difensore che avrebbe trovato! — soggiunse[Pg149] Stiepo: — un giovane di ventidue anni che non si èancora procurato un berretto. Comperategliene uno, —diss'egli a Matilde, — comperategliene uno voi che ave-te denari. Oppure senti, Ivo, cugino mio. Io ho vedutoun bel gatto che ruzzava ier sera qui dattorno. Cacciagliuna palla ne' fianchi quando ei si sarà accovacciato. Di-remo ch'è stato il lupo, e non porterai più quel vigliaccoberrettino di lana. —

La fanciulla cervellina si mise a ridere sguaiatamente,poi tornò sulla prima idea, e persuase colle buone i duecugini ad andarsene insieme alla caccia del lupo che siprogettava a quei giorni.

Ivo non mancava veramente di qualche coraggio, nèaccresceva coll'immaginazione, come sogliono i pauro-si, la realtà del pericolo. Più volte l'avea affrontato consufficiente calma e n'era uscito sano e salvo. Ciò chemancavagli era quel sangue freddo che non si lascia so-praffare da un accidente improvviso, quella dote chenon è sempre coraggio, che non dipende dalla forza delvolere, ma è dono libero della natura, o conseguenzadelle prime impressioni infantili: quel colpo d'occhio si-

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curo che vede in un attimo ciò che è da farsi e lo fa.Questa facoltà preziosa ei non l'avea mai potuta acqui-stare per quanto cercasse d'abituarcisi. Un colpo di fuci-le, un tuono non preceduto dal lampo, un cane che glicorresse tra' piedi, lo facea trasalire. Bisognava avvisar-lo di tenersi all'erta; allora egli diveniva un uomo. Quin-di consentì di prender parte alla caccia, preparò il fucile,le munizioni, ed era apparecchiato ad affrontarsi nonsolo co' lupi, ma co' leoni, se fosse stato mestieri.

Se non che il suo rivale aveva risoluto di farne stra-zio, d'esporlo a nuove risate, di perderlo affatto nell'ani-mo di Matilde. Fatto il suo progetto, gli si pose a' fian-chi, volle visitare la carica coll'intenzione di sottrarvi[Pg150] le palle: ma l'altro se n'avvide e ricaricò. Di lì a nonmolto, al primo braccare de' cani, Stiepo si diede a gri-dare: — Al lupo! — e cominciò a ridere vedendo il cu-gino impallidire, e spianare il fucile prima di scorgerecosa alcuna. Più tardi i lupi si mostrarono davvero: tuttiscaricarono l'arma: ma non restò ferito che un cane, unbel bracco della Matilde, memoria del padre suo. Eradifficile a dire chi l'avesse colpito: ma come ben potetepensare la colpa fu addossata ad Ivo, il quale costretto adissimulare, sentì versarsi nell'anima quanto aveva difiele. Accorse al povero Lampo ferito, e si pose a medi-carlo. Intanto ch'egli si occupava di questo, un altro luposnidato dalla sua tana veniva a lui difilato. Egli balzò inpiedi, ma non fu a tempo d'imbracciare il fucile. —All'erta! — gridò Stiepo — occhio alle spalle! — e

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curo che vede in un attimo ciò che è da farsi e lo fa.Questa facoltà preziosa ei non l'avea mai potuta acqui-stare per quanto cercasse d'abituarcisi. Un colpo di fuci-le, un tuono non preceduto dal lampo, un cane che glicorresse tra' piedi, lo facea trasalire. Bisognava avvisar-lo di tenersi all'erta; allora egli diveniva un uomo. Quin-di consentì di prender parte alla caccia, preparò il fucile,le munizioni, ed era apparecchiato ad affrontarsi nonsolo co' lupi, ma co' leoni, se fosse stato mestieri.

Se non che il suo rivale aveva risoluto di farne stra-zio, d'esporlo a nuove risate, di perderlo affatto nell'ani-mo di Matilde. Fatto il suo progetto, gli si pose a' fian-chi, volle visitare la carica coll'intenzione di sottrarvi[Pg150] le palle: ma l'altro se n'avvide e ricaricò. Di lì a nonmolto, al primo braccare de' cani, Stiepo si diede a gri-dare: — Al lupo! — e cominciò a ridere vedendo il cu-gino impallidire, e spianare il fucile prima di scorgerecosa alcuna. Più tardi i lupi si mostrarono davvero: tuttiscaricarono l'arma: ma non restò ferito che un cane, unbel bracco della Matilde, memoria del padre suo. Eradifficile a dire chi l'avesse colpito: ma come ben potetepensare la colpa fu addossata ad Ivo, il quale costretto adissimulare, sentì versarsi nell'anima quanto aveva difiele. Accorse al povero Lampo ferito, e si pose a medi-carlo. Intanto ch'egli si occupava di questo, un altro luposnidato dalla sua tana veniva a lui difilato. Egli balzò inpiedi, ma non fu a tempo d'imbracciare il fucile. —All'erta! — gridò Stiepo — occhio alle spalle! — e

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mentre Ivo volgevasi dalla parte che gli era indicata,Stiepo gli aveva colpito il lupo sui piedi. Il feroce ani-male rotolò due volte sul terreno. Immaginate la confu-sione del giovane. Egli rimase impietrito, mentre gli al-tri cacciatori furono tutti sopra la belva, e stavano per fi-nirla. Stiepo vedendo che aveva solo le gambe infrante,gli gettò un laccio scorsoio e risolvette di condursela acasa vivente — ognuno può immaginarsi a qual fine.

Ritornando dalla caccia, i due rivali si trovarono in-sieme non lontani dalla barella dove con gli altri arnesida caccia stava il cane ferito, e il lupo colla musolieraalla bocca. Ei metteva sovente un urlo represso di doloree di rabbia che nel silenzio della notte poteva metterpaura anche a' men timidi.

— Ivo, — prese a dire il suo instancabile beffatore:— tu sei stato assai poco fortunato alla caccia: la Matil-de sarà adirata con te che le hai ferito il suo Lampo.Affè, era meglio assai risparmiare la polvere.

— Stiepo, — rispose quegli seriamente. — Io nonho[Pg 151] ferito il cane. Non dirò chi l'abbia fatto.... per-chè.... ma voi dovete sapere meglio d'ogni altro ch'ionon lo feci.

— Io? Non so niente, io! Ad ogni modo ei guariràforse della ferita. Senti, Ivo, giacchè ti deve importare lavita del bracco, dovresti montar tu pure sulla barellaperchè il lupo non rompa a caso la musoliera. Senti, sen-

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mentre Ivo volgevasi dalla parte che gli era indicata,Stiepo gli aveva colpito il lupo sui piedi. Il feroce ani-male rotolò due volte sul terreno. Immaginate la confu-sione del giovane. Egli rimase impietrito, mentre gli al-tri cacciatori furono tutti sopra la belva, e stavano per fi-nirla. Stiepo vedendo che aveva solo le gambe infrante,gli gettò un laccio scorsoio e risolvette di condursela acasa vivente — ognuno può immaginarsi a qual fine.

Ritornando dalla caccia, i due rivali si trovarono in-sieme non lontani dalla barella dove con gli altri arnesida caccia stava il cane ferito, e il lupo colla musolieraalla bocca. Ei metteva sovente un urlo represso di doloree di rabbia che nel silenzio della notte poteva metterpaura anche a' men timidi.

— Ivo, — prese a dire il suo instancabile beffatore:— tu sei stato assai poco fortunato alla caccia: la Matil-de sarà adirata con te che le hai ferito il suo Lampo.Affè, era meglio assai risparmiare la polvere.

— Stiepo, — rispose quegli seriamente. — Io nonho[Pg 151] ferito il cane. Non dirò chi l'abbia fatto.... per-chè.... ma voi dovete sapere meglio d'ogni altro ch'ionon lo feci.

— Io? Non so niente, io! Ad ogni modo ei guariràforse della ferita. Senti, Ivo, giacchè ti deve importare lavita del bracco, dovresti montar tu pure sulla barellaperchè il lupo non rompa a caso la musoliera. Senti, sen-

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ti come freme! Povero Lampo, s'ei mette i denti in liber-tà. —

La pazienza del giovane toccava gli estremi, ma puredissimulò finchè giunsero a Capo d'Istria. Qui ei trasseStiepo in disparte, e guardandolo con freddo e risolutopiglio: — Cugino — gli disse — io ti prego di non per-metterti un solo motteggio sulla caccia di ieri. Ricordatiche se alcuno riderà alle mie spalle, tutti non riderannougualmente.

— Come sarebbe a dire? pretendi tu minacciarmi?

— Io non minaccio alcuno: ti prego a porre un limitealle tue beffe.

— E s'io non volessi ascoltar la preghiera?

— Stiepo, ella non è altrimenti preghiera: è un co-mando. Tu non dirai nè anco una parola sul conto mio!— E così dicendo lo fissava con quel guardo che annun-zia una ferma risoluzione e la forza morale per porla adeffetto. Stiepo ne fu involontariamente un po' sconcerta-to, e volle sottrarsi all'influenza che quello sguardo eser-citava per la prima volta sopra di lui. Cambiò discorso, esoggiunse: — Tu non avrai la Matilde. Ella è figliuolad'un bravo cacciatore, e sceglierà uno sposo degno dilei.

— Non si tratta ora nè di Matilde, nè della sua scelta.

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ti come freme! Povero Lampo, s'ei mette i denti in liber-tà. —

La pazienza del giovane toccava gli estremi, ma puredissimulò finchè giunsero a Capo d'Istria. Qui ei trasseStiepo in disparte, e guardandolo con freddo e risolutopiglio: — Cugino — gli disse — io ti prego di non per-metterti un solo motteggio sulla caccia di ieri. Ricordatiche se alcuno riderà alle mie spalle, tutti non riderannougualmente.

— Come sarebbe a dire? pretendi tu minacciarmi?

— Io non minaccio alcuno: ti prego a porre un limitealle tue beffe.

— E s'io non volessi ascoltar la preghiera?

— Stiepo, ella non è altrimenti preghiera: è un co-mando. Tu non dirai nè anco una parola sul conto mio!— E così dicendo lo fissava con quel guardo che annun-zia una ferma risoluzione e la forza morale per porla adeffetto. Stiepo ne fu involontariamente un po' sconcerta-to, e volle sottrarsi all'influenza che quello sguardo eser-citava per la prima volta sopra di lui. Cambiò discorso, esoggiunse: — Tu non avrai la Matilde. Ella è figliuolad'un bravo cacciatore, e sceglierà uno sposo degno dilei.

— Non si tratta ora nè di Matilde, nè della sua scelta.

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Si tratta della tua vita! —

Stiepo voleva ridere, ma l'occhio fiso ed immobile delsuo cugino gliene tolse la voglia. Ei gli voltò le spalle eandò a collocare il suo lupo in una stalla deserta[Pg 152]in fondo al cortile della sua casa. Là gli trasse destra-mente la musoliera senza slegarlo però dal laccio che loteneva assicurato a un grosso anello di ferro fitto nelmuro.

IV.

Matilde intanto, come seppe del cane, cominciò astrillare e domandava il nome del feritore. Non so qualede' cacciatori si lasciò sfuggire il nome del disgraziatogiovane. — Già doveva esser lui! — gridò la fanciullairritata. — È stato Ivo veramente? — domandò essa aStiepo che soprarrivò in quell'istante.

— Ma! — rispose egli imbarazzato. Tutti lo dicono.— Matilde si prese in braccio il suo Lampo, e cominciòad accarezzarlo e a compiangerlo senza ripigliare il di-scorso.

Stiepo gioì nel suo interno, perchè credette perduto ilsuo rivale nel cuore di lei. — Io vi ho condotto un bellupo vivo in iscambio, — seguiva egli. — Non ha cheuna gamba rotta; del resto è un bell'animale. Verrete voia vederlo, Matilde? Voi non siete già donna da pigliarne

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Si tratta della tua vita! —

Stiepo voleva ridere, ma l'occhio fiso ed immobile delsuo cugino gliene tolse la voglia. Ei gli voltò le spalle eandò a collocare il suo lupo in una stalla deserta[Pg 152]in fondo al cortile della sua casa. Là gli trasse destra-mente la musoliera senza slegarlo però dal laccio che loteneva assicurato a un grosso anello di ferro fitto nelmuro.

IV.

Matilde intanto, come seppe del cane, cominciò astrillare e domandava il nome del feritore. Non so qualede' cacciatori si lasciò sfuggire il nome del disgraziatogiovane. — Già doveva esser lui! — gridò la fanciullairritata. — È stato Ivo veramente? — domandò essa aStiepo che soprarrivò in quell'istante.

— Ma! — rispose egli imbarazzato. Tutti lo dicono.— Matilde si prese in braccio il suo Lampo, e cominciòad accarezzarlo e a compiangerlo senza ripigliare il di-scorso.

Stiepo gioì nel suo interno, perchè credette perduto ilsuo rivale nel cuore di lei. — Io vi ho condotto un bellupo vivo in iscambio, — seguiva egli. — Non ha cheuna gamba rotta; del resto è un bell'animale. Verrete voia vederlo, Matilde? Voi non siete già donna da pigliarne

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spavento. Aspetteremo il cugino che se l'è lasciato veni-re addosso così goffamente. Se il mio fucile fosse statomen pronto, guai alle sue gambe! Ivo sarebbe ora incura come il povero Lampo. Ma voi me l'avevate racco-mandato, ed io non l'ho perduto d'occhio un momento.

— Lo credo, — disse Matilde ironica. Ella conoscevagià l'umore dell'uomo feroce. Troppo buona per farsenecomplice, non era che spensierata, e rideva spesso senzapensare che quelle risa amareggiavano troppo profonda-mente chi n'era l'oggetto. — Sì, sì, — soggiunse: —aspettiamo Ivo, e andremo a fare una visita al lupo.Già[Pg 153] sarà ben legato, eh? che alcuno non abbia aspaventarsene un'altra volta. —

In questo mezzo sopraggiunse Ivo serio serio: salutòMatilde e contenne nuovamente il cugino collo sguardoincisivo di poco prima. Matilde, senza far mostrad'accorgersene, lo comprese. — Voi mi avete ferito ilcane — gli disse con aria dubbiosa fra la stizza e il rim-provero.

— No, Matilde, — rispose: — vi giuro ch'io non l'hoferito. Qui Stiepo può assicurarvene, — e lo interrogòcogli occhi.

Stiepo non rispose parola.

— Chi tace conferma, — disse Matilde. — Orsù iospero che la ferita non sarà grave. Andiamo a vedere il

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spavento. Aspetteremo il cugino che se l'è lasciato veni-re addosso così goffamente. Se il mio fucile fosse statomen pronto, guai alle sue gambe! Ivo sarebbe ora incura come il povero Lampo. Ma voi me l'avevate racco-mandato, ed io non l'ho perduto d'occhio un momento.

— Lo credo, — disse Matilde ironica. Ella conoscevagià l'umore dell'uomo feroce. Troppo buona per farsenecomplice, non era che spensierata, e rideva spesso senzapensare che quelle risa amareggiavano troppo profonda-mente chi n'era l'oggetto. — Sì, sì, — soggiunse: —aspettiamo Ivo, e andremo a fare una visita al lupo.Già[Pg 153] sarà ben legato, eh? che alcuno non abbia aspaventarsene un'altra volta. —

In questo mezzo sopraggiunse Ivo serio serio: salutòMatilde e contenne nuovamente il cugino collo sguardoincisivo di poco prima. Matilde, senza far mostrad'accorgersene, lo comprese. — Voi mi avete ferito ilcane — gli disse con aria dubbiosa fra la stizza e il rim-provero.

— No, Matilde, — rispose: — vi giuro ch'io non l'hoferito. Qui Stiepo può assicurarvene, — e lo interrogòcogli occhi.

Stiepo non rispose parola.

— Chi tace conferma, — disse Matilde. — Orsù iospero che la ferita non sarà grave. Andiamo a vedere il

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lupo del nostro amico. Voglio provare s'egli ha faccia daspaventarmi, quel brutto animale. — Detto questo, pas-sò il suo braccio sotto quello d'Ivo, e mossero tutti insie-me verso la casa di Stiepo contigua a quella di lei. Sifermarono dinanzi al forte cancello che chiudeva la stal-la dove la irritata belva stava fremendo. Quando ellavide appressarsi la gente, urlò più forte, e si slanciò ver-so l'uscio con occhi di bragia. Quivi s'accosciò perchè legambe ferite non la reggevano, ma mostrava i denti e ar-ruffava il pelo del collo in modo da metter paura.

La figlia del cacciatore tremava tutta, ma volle fare lacoraggiosa, e cominciò a stuzzicarlo agitando il grem-biale, di che l'animale urlava e guatava più torvo chemai. Stiepo si trasse il suo berretto: — Forse e' conosce-rà il pelo del suo fratello — diss'egli, e l'accostava allosteccato. Matilde sbadatamente prese il berretto e losporse verso la bestia. Il lupo diede un salto e l'addentò.Matilde fu per caderne svenuta.

— Imprudente! — gridò Ivo.

[Pg 154]

— Il mio berretto! — disse Stiepo, e si volse per cer-care qualche istrumento per riacquistarlo.

— Ah! tu se' in pensiero per il berretto, cugino mio!— Così dicendo una felice idea balenò alla mente d'Ivo:guardò Matilde quasi volesse attingere nel suo sguardo

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lupo del nostro amico. Voglio provare s'egli ha faccia daspaventarmi, quel brutto animale. — Detto questo, pas-sò il suo braccio sotto quello d'Ivo, e mossero tutti insie-me verso la casa di Stiepo contigua a quella di lei. Sifermarono dinanzi al forte cancello che chiudeva la stal-la dove la irritata belva stava fremendo. Quando ellavide appressarsi la gente, urlò più forte, e si slanciò ver-so l'uscio con occhi di bragia. Quivi s'accosciò perchè legambe ferite non la reggevano, ma mostrava i denti e ar-ruffava il pelo del collo in modo da metter paura.

La figlia del cacciatore tremava tutta, ma volle fare lacoraggiosa, e cominciò a stuzzicarlo agitando il grem-biale, di che l'animale urlava e guatava più torvo chemai. Stiepo si trasse il suo berretto: — Forse e' conosce-rà il pelo del suo fratello — diss'egli, e l'accostava allosteccato. Matilde sbadatamente prese il berretto e losporse verso la bestia. Il lupo diede un salto e l'addentò.Matilde fu per caderne svenuta.

— Imprudente! — gridò Ivo.

[Pg 154]

— Il mio berretto! — disse Stiepo, e si volse per cer-care qualche istrumento per riacquistarlo.

— Ah! tu se' in pensiero per il berretto, cugino mio!— Così dicendo una felice idea balenò alla mente d'Ivo:guardò Matilde quasi volesse attingere nel suo sguardo

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il coraggio necessario all'impresa, pose la sinistra sullatraversa delle sbarre, e saltò dentro col coltello sguaina-to nell'altra mano. In un lampo fu sopra il lupo, il quale,lasciato il berretto che teneva ancora fra' denti, si slanciòal petto del giovane, ma questi lo afferrò al collo collamano manca, e gli cacciò nel cuore due volte lo stile. Labelva cadde riverso. Ivo afferrò il berretto, se lo calcòsulla fronte, e col petto sanguinoso pel morso del lupo,balzò fra gli attoniti spettatori d'un altro salto.

Tutto ciò fu l'affare di due minuti.

Matilde avea gittato un grido che mostrava chiaro lasecreta disposizione dell'animo suo verso il giovane.Appena lo vide salvo, gli s'appiccò al braccio insangui-nato con ansia affannosa. Stiepo taceva pallido ed umi-liato.

— Cugino Stiepo, — gli disse Ivo con calma. — Spe-ro che non vorrai contendermi il berretto che ho conqui-stato senza bisogno d'uncino. Hai là una pelle di lupoche ti regalo per fartene un altro. —

Il giovane Ivo era sublime in quell'atto. C'era sul suovolto l'alterezza d'una nobile vendetta: le sue labbra sot-tili s'agitavano sotto l'ombra dei baffi nascenti. Nessunadonna avrebbe dubitato allora a quale dei due cugini do-vesse dare il proprio affetto; e Matilde prese fin da quelmomento la ferma risoluzione di darsi a lui. —

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il coraggio necessario all'impresa, pose la sinistra sullatraversa delle sbarre, e saltò dentro col coltello sguaina-to nell'altra mano. In un lampo fu sopra il lupo, il quale,lasciato il berretto che teneva ancora fra' denti, si slanciòal petto del giovane, ma questi lo afferrò al collo collamano manca, e gli cacciò nel cuore due volte lo stile. Labelva cadde riverso. Ivo afferrò il berretto, se lo calcòsulla fronte, e col petto sanguinoso pel morso del lupo,balzò fra gli attoniti spettatori d'un altro salto.

Tutto ciò fu l'affare di due minuti.

Matilde avea gittato un grido che mostrava chiaro lasecreta disposizione dell'animo suo verso il giovane.Appena lo vide salvo, gli s'appiccò al braccio insangui-nato con ansia affannosa. Stiepo taceva pallido ed umi-liato.

— Cugino Stiepo, — gli disse Ivo con calma. — Spe-ro che non vorrai contendermi il berretto che ho conqui-stato senza bisogno d'uncino. Hai là una pelle di lupoche ti regalo per fartene un altro. —

Il giovane Ivo era sublime in quell'atto. C'era sul suovolto l'alterezza d'una nobile vendetta: le sue labbra sot-tili s'agitavano sotto l'ombra dei baffi nascenti. Nessunadonna avrebbe dubitato allora a quale dei due cugini do-vesse dare il proprio affetto; e Matilde prese fin da quelmomento la ferma risoluzione di darsi a lui. —

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[Pg 155]

V.

A questo punto della narrazione, uno de' miei barbutiuditori uscì a domandarmi come il feroce Stiepo avessetollerato l'affronto. — Io, nel suo caso — aggiunse egli— avrei menato del randello sul capo del mio rivale, ecosì avrei riguadagnato il berretto, e il cuor di Matilde.

— La prima delle due sarà probabilmente avvenuta,io risposi. Anzi il pronipote d'Ivo Milovich non mi dissi-mulò che il suo proavo fu segno di molte violenze. Loirritato cugino tentò più volte strappargli di fronte ilbene usurpato trofeo: più volte lo assalì a mano armata,e tentò la riscossa. Ma l'altro era uomo avvisato, e comesuol dirsi, mezzo armato: e la metà della forza che peravventura mancavagli, gl'infondeva l'amor di Matilde laquale oggimai sospirava il momento che il conte di Pisi-no suo protettore consentisse al suo matrimonio con lui.Con ciò ella seguiva l'istinto della donna, e dava la pre-ferenza al più coraggioso dell'animo. Tra la forza moralee la fisica a lungo andare non v'è chi non s'affidi meglioalla prima. Il coraggio materiale di Stiepo avea cedutoall'ostacolo; la forza vera, la tenacità del proposito, lainstancabile volontà è onnipotente nel mondo. Ivo eracomparso agli occhi di Matilde un eroe e avea saputomantenerla in quest'opinione. Ella lo amò tanto quantoprima s'era divertita a beffarlo: perchè s'accorse che lo

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[Pg 155]

V.

A questo punto della narrazione, uno de' miei barbutiuditori uscì a domandarmi come il feroce Stiepo avessetollerato l'affronto. — Io, nel suo caso — aggiunse egli— avrei menato del randello sul capo del mio rivale, ecosì avrei riguadagnato il berretto, e il cuor di Matilde.

— La prima delle due sarà probabilmente avvenuta,io risposi. Anzi il pronipote d'Ivo Milovich non mi dissi-mulò che il suo proavo fu segno di molte violenze. Loirritato cugino tentò più volte strappargli di fronte ilbene usurpato trofeo: più volte lo assalì a mano armata,e tentò la riscossa. Ma l'altro era uomo avvisato, e comesuol dirsi, mezzo armato: e la metà della forza che peravventura mancavagli, gl'infondeva l'amor di Matilde laquale oggimai sospirava il momento che il conte di Pisi-no suo protettore consentisse al suo matrimonio con lui.Con ciò ella seguiva l'istinto della donna, e dava la pre-ferenza al più coraggioso dell'animo. Tra la forza moralee la fisica a lungo andare non v'è chi non s'affidi meglioalla prima. Il coraggio materiale di Stiepo avea cedutoall'ostacolo; la forza vera, la tenacità del proposito, lainstancabile volontà è onnipotente nel mondo. Ivo eracomparso agli occhi di Matilde un eroe e avea saputomantenerla in quest'opinione. Ella lo amò tanto quantoprima s'era divertita a beffarlo: perchè s'accorse che lo

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scherno era ingiusto, e voleva giustificare se stessa ecompensarlo a prezzo d'affetto.

Il vecchio pescatore di Capo d'Istria conserva ancorail berretto del suo fortunato trisavolo: quel berretto chefu per più generazioni argomento d'uno di[Pg 156] quegliodii morlacchi che si propagano di padre in figlio. Oggi-mai della stirpe di Stiepo non resta più che una donna, equesta è appunto la moglie del mio cronista.

Sulla fine del racconto, Semitella era già deserta: tuttala gente era ritornata alle proprie dimore: e da lungi ilmare rifletteva il chiaror de' fanali che precedevano aCapo d'Istria le ultime brigatelle d'amici, i quali proba-bilmente avranno meglio impiegato il loro tempo.

[Pg 157]

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scherno era ingiusto, e voleva giustificare se stessa ecompensarlo a prezzo d'affetto.

Il vecchio pescatore di Capo d'Istria conserva ancorail berretto del suo fortunato trisavolo: quel berretto chefu per più generazioni argomento d'uno di[Pg 156] quegliodii morlacchi che si propagano di padre in figlio. Oggi-mai della stirpe di Stiepo non resta più che una donna, equesta è appunto la moglie del mio cronista.

Sulla fine del racconto, Semitella era già deserta: tuttala gente era ritornata alle proprie dimore: e da lungi ilmare rifletteva il chiaror de' fanali che precedevano aCapo d'Istria le ultime brigatelle d'amici, i quali proba-bilmente avranno meglio impiegato il loro tempo.

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LA VALLE DI RESIA.

I.

Un pazzo.

Io rivedeva la mia diletta penisola dopo dieci anni divario pellegrinaggio. Ad ognuno che abbia cuore credoinutile il dire s'io la ritrovassi più bella. A quelli che nonhanno patria, a quelli che amano tutto ciò ch'è straniero,per ciò solamente ch'è straniero; a quelli che s'attaccanosenza discernimento all'ultima cosa che veggono, sola-mente perchè è l'ultima; a tutti gli uomini, dico, che ap-partengono a codeste tre classi, io non dirigo per ora lemie parole.

Salutata dunque la terra natale, vi cercai gli amici del-la mia gioventù, e fra questi Antonio M., valente pittore,e veramente artista dell'anima, il quale m'aveva cinqueanni prima lasciato a Parigi, e del quale non m'era giun-ta alcuna notizia in appresso.

Il primo a cui ne chiesi conto, fu il marchese del Rio,nostro comune amico, e mecenate d'un tempo. Egli miguardava ed esitava a rispondermi come chi avesse adare una trista notizia.

— Buon Dio! — sclamai — sarebbe morto?

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LA VALLE DI RESIA.

I.

Un pazzo.

Io rivedeva la mia diletta penisola dopo dieci anni divario pellegrinaggio. Ad ognuno che abbia cuore credoinutile il dire s'io la ritrovassi più bella. A quelli che nonhanno patria, a quelli che amano tutto ciò ch'è straniero,per ciò solamente ch'è straniero; a quelli che s'attaccanosenza discernimento all'ultima cosa che veggono, sola-mente perchè è l'ultima; a tutti gli uomini, dico, che ap-partengono a codeste tre classi, io non dirigo per ora lemie parole.

Salutata dunque la terra natale, vi cercai gli amici del-la mia gioventù, e fra questi Antonio M., valente pittore,e veramente artista dell'anima, il quale m'aveva cinqueanni prima lasciato a Parigi, e del quale non m'era giun-ta alcuna notizia in appresso.

Il primo a cui ne chiesi conto, fu il marchese del Rio,nostro comune amico, e mecenate d'un tempo. Egli miguardava ed esitava a rispondermi come chi avesse adare una trista notizia.

— Buon Dio! — sclamai — sarebbe morto?

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— Morto dell'intelletto — rispose. — Da quattro anniegli è pazzo.

[Pg 158]

— Pazzo...! Oh! egli non doveva mai rivederla. Per-chè non ascoltò i miei consigli? perchè non rimase conme? Oh! povero amico! — Così dicendo proruppi in la-grime; dimenticai il marchese; non gli chiesi i particola-ri di questa sciagura, ed egli ebbe la discrezione di an-darsene senza congedo.

Dirò perchè questa trista novella non mi sembrassepunto inverosimile.

Antonio M. era nato per essere artista, benchè le cir-costanze in cui si trovò nell'infanzia non fossero le piùfavorevoli all'arte. Egli era figlio di un fortunato nego-ziante, e secondo tutte le apparenze doveva ereditarneuno stato agiato e tranquillo. Gli agi e le ricchezze so-gliono giovare a tutt'altro fuorchè all'educazione di unartista. Egli fu accarezzato, lusingato, applaudito da'suoi precettori, ogni suo scarabocchio aveva l'improntadel genio: egli era senza più un Raffaele risorto. —Buon per lui che la provvida mano della sventura vennein tempo a soccorrerlo. Le speculazioni del padre corse-ro il loro stadio; decaddero; ruinarono. Egli dovette fal-lire a molti suoi creditori. Antonio rimase a vent'anniricco di molte speranze, di molta presunzione, di molteabitudini molli e delicate, povero di tutt'altro: ma egli

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— Morto dell'intelletto — rispose. — Da quattro anniegli è pazzo.

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— Pazzo...! Oh! egli non doveva mai rivederla. Per-chè non ascoltò i miei consigli? perchè non rimase conme? Oh! povero amico! — Così dicendo proruppi in la-grime; dimenticai il marchese; non gli chiesi i particola-ri di questa sciagura, ed egli ebbe la discrezione di an-darsene senza congedo.

Dirò perchè questa trista novella non mi sembrassepunto inverosimile.

Antonio M. era nato per essere artista, benchè le cir-costanze in cui si trovò nell'infanzia non fossero le piùfavorevoli all'arte. Egli era figlio di un fortunato nego-ziante, e secondo tutte le apparenze doveva ereditarneuno stato agiato e tranquillo. Gli agi e le ricchezze so-gliono giovare a tutt'altro fuorchè all'educazione di unartista. Egli fu accarezzato, lusingato, applaudito da'suoi precettori, ogni suo scarabocchio aveva l'improntadel genio: egli era senza più un Raffaele risorto. —Buon per lui che la provvida mano della sventura vennein tempo a soccorrerlo. Le speculazioni del padre corse-ro il loro stadio; decaddero; ruinarono. Egli dovette fal-lire a molti suoi creditori. Antonio rimase a vent'anniricco di molte speranze, di molta presunzione, di molteabitudini molli e delicate, povero di tutt'altro: ma egli

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era artista, cercò nell'arte un sollievo contro l'avversità,e di meschino dilettante che era, si mise sulla via per di-venire pittore. E lo divenne. Gli dolse certo dover ab-bandonare le consuetudini fra cui era stato allevato: glidolse sentir mutate in biasimi le prime lodi che riceve-va; ma gli giovò la sua naturale noncuranza, e d'altraparte i proprii disinganni non arrivarono a farlo sconfi-dare di se medesimo. A ventidue anni egli dipingevapassabilmente la figura, coloriva un ritratto con moltogarbo, e viveva modestamente del suo.

Ma il cuore non è impunemente poetico. Antonio[Pg159] doveva amare, amare passionatamente, infelicemen-te, come suole accadere agli artisti: egli doveva imbat-tersi in una donna che non era fatta per lui; ed amarla,idoleggiarla, adorarla quanto meno ella mostrava com-prendere questa poetica idolatria, da cui si trovava per-seguitata.

La contessa Sofia di V. era del bel numero una diquelle fredde creature, in cui le arti e le consuetudini so-ciali distruggono molte doti ingenue della natura, surro-gandovi l'affettazione di tutte. Ella aveva imparato lavirtù dalle opere di Ma. de Genlis, la grazia dal maestrodi ballo, il contegno dalla sua governante, lo spirito dal-le conversazioni e dai dizionari, le lingue, non so quantefossero, da' suoi precettori, la musica dalle note. E tuttoquesto sapeva passabilmente e brillava fra tutte, perchèera ricca, nobile e bella: tre splendide prerogative che

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era artista, cercò nell'arte un sollievo contro l'avversità,e di meschino dilettante che era, si mise sulla via per di-venire pittore. E lo divenne. Gli dolse certo dover ab-bandonare le consuetudini fra cui era stato allevato: glidolse sentir mutate in biasimi le prime lodi che riceve-va; ma gli giovò la sua naturale noncuranza, e d'altraparte i proprii disinganni non arrivarono a farlo sconfi-dare di se medesimo. A ventidue anni egli dipingevapassabilmente la figura, coloriva un ritratto con moltogarbo, e viveva modestamente del suo.

Ma il cuore non è impunemente poetico. Antonio[Pg159] doveva amare, amare passionatamente, infelicemen-te, come suole accadere agli artisti: egli doveva imbat-tersi in una donna che non era fatta per lui; ed amarla,idoleggiarla, adorarla quanto meno ella mostrava com-prendere questa poetica idolatria, da cui si trovava per-seguitata.

La contessa Sofia di V. era del bel numero una diquelle fredde creature, in cui le arti e le consuetudini so-ciali distruggono molte doti ingenue della natura, surro-gandovi l'affettazione di tutte. Ella aveva imparato lavirtù dalle opere di Ma. de Genlis, la grazia dal maestrodi ballo, il contegno dalla sua governante, lo spirito dal-le conversazioni e dai dizionari, le lingue, non so quantefossero, da' suoi precettori, la musica dalle note. E tuttoquesto sapeva passabilmente e brillava fra tutte, perchèera ricca, nobile e bella: tre splendide prerogative che

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non hanno sempre lo stesso valore prese separatamente,ma in cumulo non possono mancare di un successo nelmondo.

Antonio M. non nobile per natali, non d'altro ricco senon della sua onestà e della sua tavolozza, la vide al tea-tro, l'ammirò ad una veglia, le parlò ad una pubblicaesposizione di belle arti dinanzi ad un proprio quadroche ella e tutti lodavano. In quel momento parvegli dipoter innalzarsi fino a lei e sperò di ottenerla. Prima chefosse chiusa la pubblica mostra, egli espose sotto le for-me della Speranza un ritratto parlante di Sofia, operaimprovvisata sotto l'influenza di un amore vulcanico. Ilpadre di lei comperò questo quadro, ed ebbe l'impruden-za di dar per maestro di pittura alla figlia il mio poveroartista. Dico povero, ed egli ringraziava la fortuna comeavesse tocco il cielo col dito.

Non racconterò la storia del suo amore. Progredìcome doveva in lui, vero, ardente, indomabile; in lei[Pg160] dapprima civetteria, poi vanità, poi niente. Egli osòdomandarne la mano. Gli si rise in faccia. La fanciullaebbe l'ordine di non più vederlo; fece un po' l'afflitta, lofu anche; ma obbedì da buona figliuola, e accettò congioia i doni e le carezze paterne, premio della sua figlia-le docilità. Antonio ammalò, ebbe un lungo delirio assaiprossimo alla pazzia. Risanato partiva da quel luogo almio fianco, inconsolabile sempre, ma però rinsavito.Tutto questo racconto era necessario, o lettore, accioc-

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non hanno sempre lo stesso valore prese separatamente,ma in cumulo non possono mancare di un successo nelmondo.

Antonio M. non nobile per natali, non d'altro ricco senon della sua onestà e della sua tavolozza, la vide al tea-tro, l'ammirò ad una veglia, le parlò ad una pubblicaesposizione di belle arti dinanzi ad un proprio quadroche ella e tutti lodavano. In quel momento parvegli dipoter innalzarsi fino a lei e sperò di ottenerla. Prima chefosse chiusa la pubblica mostra, egli espose sotto le for-me della Speranza un ritratto parlante di Sofia, operaimprovvisata sotto l'influenza di un amore vulcanico. Ilpadre di lei comperò questo quadro, ed ebbe l'impruden-za di dar per maestro di pittura alla figlia il mio poveroartista. Dico povero, ed egli ringraziava la fortuna comeavesse tocco il cielo col dito.

Non racconterò la storia del suo amore. Progredìcome doveva in lui, vero, ardente, indomabile; in lei[Pg160] dapprima civetteria, poi vanità, poi niente. Egli osòdomandarne la mano. Gli si rise in faccia. La fanciullaebbe l'ordine di non più vederlo; fece un po' l'afflitta, lofu anche; ma obbedì da buona figliuola, e accettò congioia i doni e le carezze paterne, premio della sua figlia-le docilità. Antonio ammalò, ebbe un lungo delirio assaiprossimo alla pazzia. Risanato partiva da quel luogo almio fianco, inconsolabile sempre, ma però rinsavito.Tutto questo racconto era necessario, o lettore, accioc-

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Page 208: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

chè intendessi come all'annunzio ch'egli era impazzato,io mostrassi più dolore che maraviglia. Egli era statoquattro anni in mia compagnia senza dar segno di smar-rimento, ma un carattere come il suo, per natura bollen-te, quando ha sofferto ne' suoi primi anni una scossa ter-ribile come questa che ho raccontato, ne resta con unatinta di tristezza per tutta la vita. Volsi subito il pensieroad informarmi di tutte le particolarità di tale ricaduta,per vedere se l'amicizia potesse un'altra volta porvi ri-medio.

II.

Fatti e parole.

Ma dove si trovava questo povero amico, e di qualgenere era la sua nuova pazzia? Queste domande io ave-vo dovuto rivolgere al terzo ed al quarto per desumere,se fosse possibile, il vero dalla opinione dei più.

Mi fu risposto ch'egli trovavasi nella valle di Resia,un paese, a quanto mi dicevano, abbastanza salubre; mainameno e inospitale, circondato da monti sterili e altis-simi, ove non si poteva penetrare che per difficili e sca-brosi sentieri; abitato da un'orda di barbari, d'origine, aquanto dicevasi, slava; luoghi e genti, in una parola,[Pg161] che solo un pazzo poteva scegliere per dimorarvi.Non avevo per anco veduta la valle di Resia, e non pote-vo trovare molto improbabile la pittura che me ne face-

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chè intendessi come all'annunzio ch'egli era impazzato,io mostrassi più dolore che maraviglia. Egli era statoquattro anni in mia compagnia senza dar segno di smar-rimento, ma un carattere come il suo, per natura bollen-te, quando ha sofferto ne' suoi primi anni una scossa ter-ribile come questa che ho raccontato, ne resta con unatinta di tristezza per tutta la vita. Volsi subito il pensieroad informarmi di tutte le particolarità di tale ricaduta,per vedere se l'amicizia potesse un'altra volta porvi ri-medio.

II.

Fatti e parole.

Ma dove si trovava questo povero amico, e di qualgenere era la sua nuova pazzia? Queste domande io ave-vo dovuto rivolgere al terzo ed al quarto per desumere,se fosse possibile, il vero dalla opinione dei più.

Mi fu risposto ch'egli trovavasi nella valle di Resia,un paese, a quanto mi dicevano, abbastanza salubre; mainameno e inospitale, circondato da monti sterili e altis-simi, ove non si poteva penetrare che per difficili e sca-brosi sentieri; abitato da un'orda di barbari, d'origine, aquanto dicevasi, slava; luoghi e genti, in una parola,[Pg161] che solo un pazzo poteva scegliere per dimorarvi.Non avevo per anco veduta la valle di Resia, e non pote-vo trovare molto improbabile la pittura che me ne face-

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vano.

Quanto al mio povero amico, egli era ritornato nellasua patria oppresso da una specie di nostalgia; sia che ilsolo amore del suo paese ve lo richiamasse, o un restodella sua infelice passione. Egli ritornava in Italia riccodi un bel nome e di non mediocre peculio. Quando cor-remmo in compagnia la Germania, l'Inghilterra e laFrancia egli s'accorse non meno di me qual fosse il ge-nere dominante in quelle nazioni, e pensò bene di trarneprofitto. La pittura storica era caduta in dispregio perchèpochi oggimai la trattavano con quella coscienza e quel-la dignità che domanda. D'altronde non si tratta già piùdi ornare vaste gallerie e magnifiche sale: le ambizionidell'età nostra sono di raccogliere molte cose in pocospazio: vogliamo più verità che poesia, e una verità piùfisica che morale: quadri di genere, prospettive, paesag-gi, ritratti. Antonio M. sapeva bene che la poesia dellapittura non si trovava in queste fedeli rappresentazionidella realtà. Sapeva bene che le prove fotografiche nonsono quadri, e che l'artista deve, per così dire, fonderenel suo cuore gli elementi del vero che la natura glisomministra prima di riprodurli potentemente sulla tela.Ma vedendo gli uomini per lo più incapaci di tale di-scernimento, anteporre un magro paesaggio ed una pro-spettiva a quei quadri ch'ei s'ingegnava di trar dalla sto-ria e di animare col soffio creatore dell'arte, sdegnosoper natura, e non abbastanza artista per comandare alsuo secolo, venne ad una non nobile, ma utile transazio-

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vano.

Quanto al mio povero amico, egli era ritornato nellasua patria oppresso da una specie di nostalgia; sia che ilsolo amore del suo paese ve lo richiamasse, o un restodella sua infelice passione. Egli ritornava in Italia riccodi un bel nome e di non mediocre peculio. Quando cor-remmo in compagnia la Germania, l'Inghilterra e laFrancia egli s'accorse non meno di me qual fosse il ge-nere dominante in quelle nazioni, e pensò bene di trarneprofitto. La pittura storica era caduta in dispregio perchèpochi oggimai la trattavano con quella coscienza e quel-la dignità che domanda. D'altronde non si tratta già piùdi ornare vaste gallerie e magnifiche sale: le ambizionidell'età nostra sono di raccogliere molte cose in pocospazio: vogliamo più verità che poesia, e una verità piùfisica che morale: quadri di genere, prospettive, paesag-gi, ritratti. Antonio M. sapeva bene che la poesia dellapittura non si trovava in queste fedeli rappresentazionidella realtà. Sapeva bene che le prove fotografiche nonsono quadri, e che l'artista deve, per così dire, fonderenel suo cuore gli elementi del vero che la natura glisomministra prima di riprodurli potentemente sulla tela.Ma vedendo gli uomini per lo più incapaci di tale di-scernimento, anteporre un magro paesaggio ed una pro-spettiva a quei quadri ch'ei s'ingegnava di trar dalla sto-ria e di animare col soffio creatore dell'arte, sdegnosoper natura, e non abbastanza artista per comandare alsuo secolo, venne ad una non nobile, ma utile transazio-

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ne col gusto dei più, e dipinse prospettive, paesaggi, al-beri e case, nevi e rupi, e specchi d'acque e torrenti, emarine e burrasche, e tutto ciò che la natura gli offerivanon dirò[Pg 162] di più bello, ma di più singolare, cercan-do non già l'espressione e la vita, ma i contrasti i più sa-glienti e più inverosimili.

In tre anni egli collocò in tutte le gallerie, in tutti glialbum, in tutti i gabinetti alcuni di questi quadri che eglischizzava a vapore e ricopiava secondo che gli venivanocommessi da questo e da quello. Le sue maniere nobili edisinvolte, quell'à plomb, ossia quella tinta d'imperti-nenza che il primo suo stato gli aveva lasciate, lo face-vano accetto nelle brillanti conversazioni. Le commis-sioni e i quattrini fioccarono per lungo tempo, e sel'avesse desiderato, avrebbe potuto far pompa d'una me-daglia, d'un titolo, o d'un nastro all'occhiello del suo ve-stito.

Ricco e celebre egli mi significò il desiderio di ritor-narsi in Italia, per cercarvi, mi disse, nuove ispirazioni,e per dipingere secondo il suo gusto, dopo avere adulatol'altrui. Ci accomiatammo a Parigi, e partì. Giunto allaterra natale, cominciarono le sue stravaganze e le suepazzie, le quali, per quanto ho potuto raccogliere, si ri-ducevano a tre principali. Una mattina egli ricevette lavisita dell'avv. B., il quale gli comunicò come il padresuo nell'ultimo fallimento avesse voluto provvedereall'onesta sussistenza di lui, sottraendo cautamente agli

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ne col gusto dei più, e dipinse prospettive, paesaggi, al-beri e case, nevi e rupi, e specchi d'acque e torrenti, emarine e burrasche, e tutto ciò che la natura gli offerivanon dirò[Pg 162] di più bello, ma di più singolare, cercan-do non già l'espressione e la vita, ma i contrasti i più sa-glienti e più inverosimili.

In tre anni egli collocò in tutte le gallerie, in tutti glialbum, in tutti i gabinetti alcuni di questi quadri che eglischizzava a vapore e ricopiava secondo che gli venivanocommessi da questo e da quello. Le sue maniere nobili edisinvolte, quell'à plomb, ossia quella tinta d'imperti-nenza che il primo suo stato gli aveva lasciate, lo face-vano accetto nelle brillanti conversazioni. Le commis-sioni e i quattrini fioccarono per lungo tempo, e sel'avesse desiderato, avrebbe potuto far pompa d'una me-daglia, d'un titolo, o d'un nastro all'occhiello del suo ve-stito.

Ricco e celebre egli mi significò il desiderio di ritor-narsi in Italia, per cercarvi, mi disse, nuove ispirazioni,e per dipingere secondo il suo gusto, dopo avere adulatol'altrui. Ci accomiatammo a Parigi, e partì. Giunto allaterra natale, cominciarono le sue stravaganze e le suepazzie, le quali, per quanto ho potuto raccogliere, si ri-ducevano a tre principali. Una mattina egli ricevette lavisita dell'avv. B., il quale gli comunicò come il padresuo nell'ultimo fallimento avesse voluto provvedereall'onesta sussistenza di lui, sottraendo cautamente agli

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avidi creditori un capitale di 150,000 lire. Egli avevacreduto bene non confidarlo alla sua giovane età e aquei principii di morale poetica di cui lo sapeva invaso,l'aveva quindi depositato in mani prudenti e sicure; edora ritornato dai suoi viaggi egli poteva prevalersenesenza suscitare sospetto alcuno, e senza concitare controdi sè le insaziabili pretensioni di mille arpie che nonavrebbero mancato di porre in campo diritti sopra diritti.Antonio M. accettò il portafoglio dove erano raccolti ititoli della sua nuova ricchezza;[Pg 163] compensò l'avv.B. del servigio fedele che aveva prestato, e la mattinaappresso fece convocare i creditori del padre, perchèavessero ad essere soddisfatti, per quanto bastasse lasomma sopraccennata, e quella di che l'avevano arric-chito i propri lavori ch'ei voleva pure consacrare aquest'uso.

Alcuni giorni prima di questo avvenimento egli avevatrovato, rientrando, una carta da visita dal conte di V. Èfacile a immaginare quanto ei dovesse meravigliarsene.Seppe che la bella Sofia rimaneva ancora nubile nellacasa paterna, avendo o essa o i parenti suoi rifiutati pa-recchi partiti di matrimonio, che non erano sembrati ab-bastanza convenienti alla vanità degli uni, o alla capric-ciosa ambizione dell'altra. Ei non mancò di restituire lavisita al conte, rivide la sua pericolosa allieva in tutta lapompa della sua bellezza, s'accorse in breve che cinqueanni di più, la sua fama e le sue ricchezze, avevano mo-dificato le disposizioni del padre e della figliuola, e su-

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avidi creditori un capitale di 150,000 lire. Egli avevacreduto bene non confidarlo alla sua giovane età e aquei principii di morale poetica di cui lo sapeva invaso,l'aveva quindi depositato in mani prudenti e sicure; edora ritornato dai suoi viaggi egli poteva prevalersenesenza suscitare sospetto alcuno, e senza concitare controdi sè le insaziabili pretensioni di mille arpie che nonavrebbero mancato di porre in campo diritti sopra diritti.Antonio M. accettò il portafoglio dove erano raccolti ititoli della sua nuova ricchezza;[Pg 163] compensò l'avv.B. del servigio fedele che aveva prestato, e la mattinaappresso fece convocare i creditori del padre, perchèavessero ad essere soddisfatti, per quanto bastasse lasomma sopraccennata, e quella di che l'avevano arric-chito i propri lavori ch'ei voleva pure consacrare aquest'uso.

Alcuni giorni prima di questo avvenimento egli avevatrovato, rientrando, una carta da visita dal conte di V. Èfacile a immaginare quanto ei dovesse meravigliarsene.Seppe che la bella Sofia rimaneva ancora nubile nellacasa paterna, avendo o essa o i parenti suoi rifiutati pa-recchi partiti di matrimonio, che non erano sembrati ab-bastanza convenienti alla vanità degli uni, o alla capric-ciosa ambizione dell'altra. Ei non mancò di restituire lavisita al conte, rivide la sua pericolosa allieva in tutta lapompa della sua bellezza, s'accorse in breve che cinqueanni di più, la sua fama e le sue ricchezze, avevano mo-dificato le disposizioni del padre e della figliuola, e su-

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bodorò la facile adesione che una sua nuova domandaavrebbe ottenuto. Ma egli vedeva con altra lente quellasuperba bellezza d'un tempo, e prima di cedere alla ten-tazione, volle sottoporla ad una dura esperienza.

Entrò in trattative direttamente col conte, e le condi-zioni ch'ei voleva porre ad un contratto matrimoniale fu-rono tali che il padre ricusò sempre di palesarle aperta-mente contentandosi di chiamarle non solo stravagantima pazze. Pochi giorni dopo si seppe la nobile risoluzio-ne di Antonio, e il conte si lodò di averla scappata bellaniegando nuovamente la sua creatura a quel mentecatto.

Intanto la transazione co' creditori era avvenuta. An-tonio si gloriava di non conservare altra ricchezza che ilsuo pennello, e noiato di vivere in mezzo a uominiche[Pg 164] parlando o tacendo lo battezzavano per imbe-cille, determinò di fare un giro pe' contorni, e giuntonella valle di Resia, comperatovi un poderetto colle mo-deste reliquie de' suoi tesori, vi si accasò.

Nessuno l'avea più veduto da ben quattr'anni. Si dice-va bene ch'egli s'era lasciata crescere la barba, che vesti-va alla foggia di que' valligiani, che aveva sposata unaragazza di Resia già madre d'un figlio e vedova primache moglie; che eccitato da' suoi amici a ripigliare la suatavolozza, l'avea sempre negato, sdegnando di dipingerequelle stesse prospettive che aveva d'intorno e che glisarebbero state largamente pagate da' committenti.

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bodorò la facile adesione che una sua nuova domandaavrebbe ottenuto. Ma egli vedeva con altra lente quellasuperba bellezza d'un tempo, e prima di cedere alla ten-tazione, volle sottoporla ad una dura esperienza.

Entrò in trattative direttamente col conte, e le condi-zioni ch'ei voleva porre ad un contratto matrimoniale fu-rono tali che il padre ricusò sempre di palesarle aperta-mente contentandosi di chiamarle non solo stravagantima pazze. Pochi giorni dopo si seppe la nobile risoluzio-ne di Antonio, e il conte si lodò di averla scappata bellaniegando nuovamente la sua creatura a quel mentecatto.

Intanto la transazione co' creditori era avvenuta. An-tonio si gloriava di non conservare altra ricchezza che ilsuo pennello, e noiato di vivere in mezzo a uominiche[Pg 164] parlando o tacendo lo battezzavano per imbe-cille, determinò di fare un giro pe' contorni, e giuntonella valle di Resia, comperatovi un poderetto colle mo-deste reliquie de' suoi tesori, vi si accasò.

Nessuno l'avea più veduto da ben quattr'anni. Si dice-va bene ch'egli s'era lasciata crescere la barba, che vesti-va alla foggia di que' valligiani, che aveva sposata unaragazza di Resia già madre d'un figlio e vedova primache moglie; che eccitato da' suoi amici a ripigliare la suatavolozza, l'avea sempre negato, sdegnando di dipingerequelle stesse prospettive che aveva d'intorno e che glisarebbero state largamente pagate da' committenti.

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Quanto al conte di V. e a madamigella Sofia, il primone parlava sempre con affettata compassione; l'altra os-servava sul conto di lui un ostinato silenzio. Le trattativech'erano corse ultimamente fra loro rimanevano un mi-stero e davano argomento a molte e diverse congetture;nelle quali se il nostro pazzo faceva una triste figura,madamigella non ne faceva una migliore. Per dicifrarequesto arcano mi determinai di farle una visita dallaquale speravo i necessari schiarimenti, giacchè io pensa-vo pur sempre che la strana risoluzione di Antonio o inun modo o nell'altro doveva ripetere l'origine da quelladonna.

III.

Un colloquio ad un ballo.

Presa questa risoluzione non mancai di porla ad effet-to, e mi feci annunziare al conte e alla contessa di V.M'intrattenni lungamente con essi de' miei viaggi, e[Pg165] di que' nonnulla che ognuno può figurarsi. M'infor-mai della salute di madamigella Sofia, e mi fu detto che,tranne un po' di malinconia, ella era perfettamente feli-ce. Nessuno mi fece parola di Antonio, ed io non dove-va parlarne con esso loro; cosicchè dovetti congedarmisenza aver potuto incarnare il mio disegno. Alcuni gior-ni dopo ricevetti un viglietto d'invito ad una soiréedansante ch'erano soliti bandire di tratto in tratto per

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Quanto al conte di V. e a madamigella Sofia, il primone parlava sempre con affettata compassione; l'altra os-servava sul conto di lui un ostinato silenzio. Le trattativech'erano corse ultimamente fra loro rimanevano un mi-stero e davano argomento a molte e diverse congetture;nelle quali se il nostro pazzo faceva una triste figura,madamigella non ne faceva una migliore. Per dicifrarequesto arcano mi determinai di farle una visita dallaquale speravo i necessari schiarimenti, giacchè io pensa-vo pur sempre che la strana risoluzione di Antonio o inun modo o nell'altro doveva ripetere l'origine da quelladonna.

III.

Un colloquio ad un ballo.

Presa questa risoluzione non mancai di porla ad effet-to, e mi feci annunziare al conte e alla contessa di V.M'intrattenni lungamente con essi de' miei viaggi, e[Pg165] di que' nonnulla che ognuno può figurarsi. M'infor-mai della salute di madamigella Sofia, e mi fu detto che,tranne un po' di malinconia, ella era perfettamente feli-ce. Nessuno mi fece parola di Antonio, ed io non dove-va parlarne con esso loro; cosicchè dovetti congedarmisenza aver potuto incarnare il mio disegno. Alcuni gior-ni dopo ricevetti un viglietto d'invito ad una soiréedansante ch'erano soliti bandire di tratto in tratto per

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farvi brillare la fanciulla, e v'andai colla speranza di co-gliere questa volta un momento opportuno per favellar-le.

Ella comparve infatti in tutta la pompa di una disin-volta civetteria; raccolse i complimenti, i baci, le strettedi mano dalle amiche invitate, raggiante di vanità soddi-sfatta. Le fui presentato, e sulle prime non fece attenzio-ne al mio nome e mi balbettò le solite frasi insignifican-ti. Io disperava di lei. Quando nel riposo di un vals ebbiil destro di nominarle la valle di Resia, ella mi guardòfiso, ed io lei. Impallidì e senza rispondere una parolacercò cogli occhi una sedia per adagiarvisi. Io la con-dussi a un divano segregato dalla folla, e le sedetti ac-canto.

Sofia non ignorava l'antica amicizia che mi legavaall'infelice Antonio, e capì bene ch'io non aveva proferi-to a caso il nome del luogo dov'egli s'era ricoverato. Lapregai di rinunciare alla prossima quadriglia e di conce-dermi quel quarto d'ora di colloquio ch'io non avrei sa-puto come ottenere in altra occasione. Assentì.

— Voi sola, — le dissi — voi sola potete spiegarmi leragioni che indussero l'infelice mio amico a quella stra-na risoluzione. Ho sentito raccontare mille stravaganzeda lui commesse, le quali potrebbero non essere tuttepazzie. Ma quanto al nuovo congedo ch'egli ebbe dallavostra famiglia, madamigella, non ho inteso parlarne[Pg

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farvi brillare la fanciulla, e v'andai colla speranza di co-gliere questa volta un momento opportuno per favellar-le.

Ella comparve infatti in tutta la pompa di una disin-volta civetteria; raccolse i complimenti, i baci, le strettedi mano dalle amiche invitate, raggiante di vanità soddi-sfatta. Le fui presentato, e sulle prime non fece attenzio-ne al mio nome e mi balbettò le solite frasi insignifican-ti. Io disperava di lei. Quando nel riposo di un vals ebbiil destro di nominarle la valle di Resia, ella mi guardòfiso, ed io lei. Impallidì e senza rispondere una parolacercò cogli occhi una sedia per adagiarvisi. Io la con-dussi a un divano segregato dalla folla, e le sedetti ac-canto.

Sofia non ignorava l'antica amicizia che mi legavaall'infelice Antonio, e capì bene ch'io non aveva proferi-to a caso il nome del luogo dov'egli s'era ricoverato. Lapregai di rinunciare alla prossima quadriglia e di conce-dermi quel quarto d'ora di colloquio ch'io non avrei sa-puto come ottenere in altra occasione. Assentì.

— Voi sola, — le dissi — voi sola potete spiegarmi leragioni che indussero l'infelice mio amico a quella stra-na risoluzione. Ho sentito raccontare mille stravaganzeda lui commesse, le quali potrebbero non essere tuttepazzie. Ma quanto al nuovo congedo ch'egli ebbe dallavostra famiglia, madamigella, non ho inteso parlarne[Pg

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Page 215: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

166] in modo soddisfacente. Oh! egli è bene infelice sel'amor lungo che vi portò, i sagrifici, i miracoli che feceper sollevarsi fin presso a voi non valsero ad ottenergliun qualche ricambio di affetto....

— Signore, — ella m'interruppe — voi mi conosceteassai poco, se credete ch'io non fossi disposta a riamar-lo. Ma io sono figlia, e mio padre è inflessibile ne' suoivoleri. D'altronde poteva egli vedere la sua unica figliacongiunta ad un miserabile?

— Ad un miserabile? che dite mai? madamigella: An-tonio era ricco: aveva fatto immensi guadagni coll'artesua. Voi avreste trovati in casa dell'artista tutti gli agidella casa paterna.

— Voi dunque ignorate le condizioni ch'ei proponevaal contratto matrimoniale?

— Quali condizioni?

— Ch'io avrei consentito a seguirlo immediatamentenella Resia dov'egli aveva stabilito di dimorare. Quantoalle sue ricchezze, egli le aveva tutte disposte a pagare idebiti paterni, contro i consigli di tutti gli uomini di sen-no, e di mio padre medesimo che non credevano puntonecessario quel passo. Egli rimaneva colla sua tavoloz-za, e con l'incerta speranza che la fortuna avesse segui-tato a favorirlo. La mia dote avrebbe potuto guarentircidalla miseria, ma egli la ricusava: egli voleva trarmi lun-

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166] in modo soddisfacente. Oh! egli è bene infelice sel'amor lungo che vi portò, i sagrifici, i miracoli che feceper sollevarsi fin presso a voi non valsero ad ottenergliun qualche ricambio di affetto....

— Signore, — ella m'interruppe — voi mi conosceteassai poco, se credete ch'io non fossi disposta a riamar-lo. Ma io sono figlia, e mio padre è inflessibile ne' suoivoleri. D'altronde poteva egli vedere la sua unica figliacongiunta ad un miserabile?

— Ad un miserabile? che dite mai? madamigella: An-tonio era ricco: aveva fatto immensi guadagni coll'artesua. Voi avreste trovati in casa dell'artista tutti gli agidella casa paterna.

— Voi dunque ignorate le condizioni ch'ei proponevaal contratto matrimoniale?

— Quali condizioni?

— Ch'io avrei consentito a seguirlo immediatamentenella Resia dov'egli aveva stabilito di dimorare. Quantoalle sue ricchezze, egli le aveva tutte disposte a pagare idebiti paterni, contro i consigli di tutti gli uomini di sen-no, e di mio padre medesimo che non credevano puntonecessario quel passo. Egli rimaneva colla sua tavoloz-za, e con l'incerta speranza che la fortuna avesse segui-tato a favorirlo. La mia dote avrebbe potuto guarentircidalla miseria, ma egli la ricusava: egli voleva trarmi lun-

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Page 216: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

gi dalla mia famiglia, lungi dall'Italia, e le sue maniereerano tali che pareano giustificare le voci che s'eranosparse ch'egli avesse ancora il cervello disordinato. Ionon vi dirò se, abbandonata a me stessa, sarei stata capa-ce di accettare la sorte ch'ei mi offeriva; ma voi poteteben pensare che mio padre non l'avrebbe permessogiammai. Quando ricevette la nostra dichiarazione, die-de nelle più pazze escandescenze contro mio padre econtro di me. Chiamò lui avaro, e[Pg 167] me vana. Disseche l'amor vero non si trova più che fra le selve, e fra ibarbari, e ch'egli sarebbe andato a cercarlo colà. Così di-cendo scosse la polvere da' suoi piedi, e dichiarò ch'einon avrebbe mai più riveduta la nostra casa. Qualchemese dopo ci fu riferito ch'egli si trovava nella valle diResia, dove avea dato la mano alla vedova di un bandi-to, e commesse mille altre pazzie.

— Ma il vostro cuore? madamigella...

— Oh! non insultate al mio cuore, signore!... Iol'amavo quell'infelice, e sa Iddio a quali sagrifici sapreisottopormi per renderlo alla società.

— Io voglio credervi perchè siete donna alfine e nonpotete essere estrania a una giusta e nobile compassione.Io confidavo, madamigella, nel vostro cuore: speravoche voi m'avreste dato mano a restituire al mio poveroAntonio il senno smarrito.

— Oh fosse pure! ma non è più tempo s'egli è vero

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gi dalla mia famiglia, lungi dall'Italia, e le sue maniereerano tali che pareano giustificare le voci che s'eranosparse ch'egli avesse ancora il cervello disordinato. Ionon vi dirò se, abbandonata a me stessa, sarei stata capa-ce di accettare la sorte ch'ei mi offeriva; ma voi poteteben pensare che mio padre non l'avrebbe permessogiammai. Quando ricevette la nostra dichiarazione, die-de nelle più pazze escandescenze contro mio padre econtro di me. Chiamò lui avaro, e[Pg 167] me vana. Disseche l'amor vero non si trova più che fra le selve, e fra ibarbari, e ch'egli sarebbe andato a cercarlo colà. Così di-cendo scosse la polvere da' suoi piedi, e dichiarò ch'einon avrebbe mai più riveduta la nostra casa. Qualchemese dopo ci fu riferito ch'egli si trovava nella valle diResia, dove avea dato la mano alla vedova di un bandi-to, e commesse mille altre pazzie.

— Ma il vostro cuore? madamigella...

— Oh! non insultate al mio cuore, signore!... Iol'amavo quell'infelice, e sa Iddio a quali sagrifici sapreisottopormi per renderlo alla società.

— Io voglio credervi perchè siete donna alfine e nonpotete essere estrania a una giusta e nobile compassione.Io confidavo, madamigella, nel vostro cuore: speravoche voi m'avreste dato mano a restituire al mio poveroAntonio il senno smarrito.

— Oh fosse pure! ma non è più tempo s'egli è vero

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ch'egli sia legato ad un'altra donna.

— Forse potrebbe non esserlo. Io me ne chiarirò benpresto. Forse egli non v'ha per anco dimenticata. Un pri-mo amore non si dimentica mai. Promettetemi, madami-gella, che voi coopererete con me.

— Ma come?

— Io parto domani per la valle di Resia; vi rivedrò almio ritorno: datemi la vostra parola che vi presteretealla sua guarigione.

— Io sono certa che voi non vorrete compromettermi.Vi do la mia parola. —

Così dicendo per dissimulare la verità, ossia la qualitàdel discorso che ci aveva occupati, entrammo nel ballo egirammo a tondo cogli altri finchè la danza venne a fini-re. Allora io le strinsi la mano quasi per rammentarle lasua promessa, e lasciai la casa del conte di V. contentodella buona piega che la cosa pareva prendere.

[Pg 168]

IV.

La nomina del Cameraro.

L'indomani io mi posi in viaggio tutto solo per la val-

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ch'egli sia legato ad un'altra donna.

— Forse potrebbe non esserlo. Io me ne chiarirò benpresto. Forse egli non v'ha per anco dimenticata. Un pri-mo amore non si dimentica mai. Promettetemi, madami-gella, che voi coopererete con me.

— Ma come?

— Io parto domani per la valle di Resia; vi rivedrò almio ritorno: datemi la vostra parola che vi presteretealla sua guarigione.

— Io sono certa che voi non vorrete compromettermi.Vi do la mia parola. —

Così dicendo per dissimulare la verità, ossia la qualitàdel discorso che ci aveva occupati, entrammo nel ballo egirammo a tondo cogli altri finchè la danza venne a fini-re. Allora io le strinsi la mano quasi per rammentarle lasua promessa, e lasciai la casa del conte di V. contentodella buona piega che la cosa pareva prendere.

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IV.

La nomina del Cameraro.

L'indomani io mi posi in viaggio tutto solo per la val-

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le di Resia.

Questa convalle che s'apre circa venticinque migliada Udine, e si stende per una buona lega circondata damontagne altissime come da forti antimurali, segna ilconfine dell'Italia al nord-est. Quirico Viviani l'avea fat-ta argomento d'una poetica descrizione in un romanzettoche pubblicò, intitolato: Gli ospiti di Resia. La lettura diquesto libretto può forse aver indotto il mio povero ami-co a cercare un asilo in quella valle segregata dall'Italia,e pure rinchiusa fra la sua cinta, e fra quella popolazionesemplice e più presto slava che italica. L'arte che profes-sava, il suo amore per il paesaggio potevano avervi con-tribuito. Io era sul punto di vederlo e Dio sa in quale sta-to! Perciò mi avviavo con animo perplesso e pure ansio-so a quella volta, come chi teme un pericolo e pures'affretta ad affrontarlo perchè inevitabile.

Giunto al luogo dove la Fella sgorga vorticosa dallegole de' monti e si scarica nel Tagliamento, lasciai a si-nistra la via da me più volte percorsa, che conduce nelcentro della Carnia, e mi volsi a destra seguendo i tor-tuosi meandri della montagna.

Avevo a sinistra il torrente assai povero d'acqua, male diffuse ghiaie e gli sterpi sparsi qua e là, i massi diru-pati dall'alte cime, attestavano il suo furore, come uncampo di battaglia, cessata la mischia, serba le prove delmiserando conflitto. Le spalle dei monti[Pg 169] che sor-

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le di Resia.

Questa convalle che s'apre circa venticinque migliada Udine, e si stende per una buona lega circondata damontagne altissime come da forti antimurali, segna ilconfine dell'Italia al nord-est. Quirico Viviani l'avea fat-ta argomento d'una poetica descrizione in un romanzettoche pubblicò, intitolato: Gli ospiti di Resia. La lettura diquesto libretto può forse aver indotto il mio povero ami-co a cercare un asilo in quella valle segregata dall'Italia,e pure rinchiusa fra la sua cinta, e fra quella popolazionesemplice e più presto slava che italica. L'arte che profes-sava, il suo amore per il paesaggio potevano avervi con-tribuito. Io era sul punto di vederlo e Dio sa in quale sta-to! Perciò mi avviavo con animo perplesso e pure ansio-so a quella volta, come chi teme un pericolo e pures'affretta ad affrontarlo perchè inevitabile.

Giunto al luogo dove la Fella sgorga vorticosa dallegole de' monti e si scarica nel Tagliamento, lasciai a si-nistra la via da me più volte percorsa, che conduce nelcentro della Carnia, e mi volsi a destra seguendo i tor-tuosi meandri della montagna.

Avevo a sinistra il torrente assai povero d'acqua, male diffuse ghiaie e gli sterpi sparsi qua e là, i massi diru-pati dall'alte cime, attestavano il suo furore, come uncampo di battaglia, cessata la mischia, serba le prove delmiserando conflitto. Le spalle dei monti[Pg 169] che sor-

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gevano quasi a perpendicolo da ogni parte dove mi vol-gessi, erano affatto infeconde. Benchè sul principiodell'estate, le più alte cime erano coperte ancora di neve,e i più bassi declivi mostravano poche traccie di vegeta-zione, macchie ed eriche di fredda ed inamena verzura.Non pareva già quello il vestibolo d'un Eden, ed io co-minciavo a credere che fosse stata una vera follia abban-donare i colli del Friuli per cercare questi orrori selvagginon desiderabili ad altri per avventura che ai banditi, o acoloro che vi fossero nati e cresciuti.

Di mano in mano però che mi venivo accostando aResiutta, penultima porta d'Italia verso Pontebba, il pen-dìo della montagna andava animandosi di più forte e ri-gogliosa vegetazione; si alternavano gli abeti ed i faggi,le macchie nerastre si facevano più larghe e più morbidee l'occhio poteva arrestarsi senza spavento sulle altemura di granito che fiancheggiavano quella via.

A Resiutta intesi che poche miglia mi separavano dalvillaggio principale della Resia, e lasciato il calessem'avviai a quella volta, che già il sole precipitavaall'occidente.

In poco d'ora la meravigliosa convalle mi si aperse di-nanzi come una scena teatrale quando si leva il sipario.Non era già una vallata della Svizzera; non era nem-manco una delle più belle ed amene della Carnia e dellaCarintia. Da per tutto appariva la mano del cataclisma

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gevano quasi a perpendicolo da ogni parte dove mi vol-gessi, erano affatto infeconde. Benchè sul principiodell'estate, le più alte cime erano coperte ancora di neve,e i più bassi declivi mostravano poche traccie di vegeta-zione, macchie ed eriche di fredda ed inamena verzura.Non pareva già quello il vestibolo d'un Eden, ed io co-minciavo a credere che fosse stata una vera follia abban-donare i colli del Friuli per cercare questi orrori selvagginon desiderabili ad altri per avventura che ai banditi, o acoloro che vi fossero nati e cresciuti.

Di mano in mano però che mi venivo accostando aResiutta, penultima porta d'Italia verso Pontebba, il pen-dìo della montagna andava animandosi di più forte e ri-gogliosa vegetazione; si alternavano gli abeti ed i faggi,le macchie nerastre si facevano più larghe e più morbidee l'occhio poteva arrestarsi senza spavento sulle altemura di granito che fiancheggiavano quella via.

A Resiutta intesi che poche miglia mi separavano dalvillaggio principale della Resia, e lasciato il calessem'avviai a quella volta, che già il sole precipitavaall'occidente.

In poco d'ora la meravigliosa convalle mi si aperse di-nanzi come una scena teatrale quando si leva il sipario.Non era già una vallata della Svizzera; non era nem-manco una delle più belle ed amene della Carnia e dellaCarintia. Da per tutto appariva la mano del cataclisma

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ch'era passata, sa il cielo in qual'epoca, su quel paese.Sporgevano qua e là vasti ed enormi macigni, forse fra-nati dai monti, forse lasciati scoperti ed ignudi dalle ac-que che rapirono nel loro corso la vegetabile terra. Maciò non ostante una molle e delicata verzura apparivaqua e là. I meli fiorivano, l'immaturo frumento s'alterna-va ai macchioni di pini e di larici, la mano del coltivato-re lottava colla natura e vinceva.[Pg 170] Il mite clima,l'aere trasparente, la qualità delle piante, tutto annunzia-va l'Italia, ma l'ultimo suo confine. A levante s'elevava ilmonte Canino per ben 8000 piedi sul mare, nuda rocciae bianca d'eterna neve. A tramontana avresti potuto no-tare il rapido passaggio onde la natura compiacquesi se-gregare la terra italiana dalla germanica. Di qua le casesono costrutte di pietra, coi tetti mollemente inchinati:dieci passi più lungi non odi più parola italiana, nonvedi più vestigio di vegetazione, le case elevano i lorotetti acuminati come nelle terre settentrionali. Vi sonoluoghi dove potresti toccare colla destra l'Italia, e laGermania colla sinistra.

Io ero penetrato fino al principale villaggio. Avrei vo-luto abbattermi in alcuno di que' valligiani e chiedergliconto del mio povero amico: ma le capanne e le caseerano tutte deserte o abbandonate alla guardia di piccolifanciulletti dai quali non potevo sperarne alcuna infor-mazione sicura. Il sole cadeva in mezzo a larghi flutti dinuvole porporine; e dirimpetto le campane di Resia so-navano a distesa come intendessero salutarlo. M'avviai

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ch'era passata, sa il cielo in qual'epoca, su quel paese.Sporgevano qua e là vasti ed enormi macigni, forse fra-nati dai monti, forse lasciati scoperti ed ignudi dalle ac-que che rapirono nel loro corso la vegetabile terra. Maciò non ostante una molle e delicata verzura apparivaqua e là. I meli fiorivano, l'immaturo frumento s'alterna-va ai macchioni di pini e di larici, la mano del coltivato-re lottava colla natura e vinceva.[Pg 170] Il mite clima,l'aere trasparente, la qualità delle piante, tutto annunzia-va l'Italia, ma l'ultimo suo confine. A levante s'elevava ilmonte Canino per ben 8000 piedi sul mare, nuda rocciae bianca d'eterna neve. A tramontana avresti potuto no-tare il rapido passaggio onde la natura compiacquesi se-gregare la terra italiana dalla germanica. Di qua le casesono costrutte di pietra, coi tetti mollemente inchinati:dieci passi più lungi non odi più parola italiana, nonvedi più vestigio di vegetazione, le case elevano i lorotetti acuminati come nelle terre settentrionali. Vi sonoluoghi dove potresti toccare colla destra l'Italia, e laGermania colla sinistra.

Io ero penetrato fino al principale villaggio. Avrei vo-luto abbattermi in alcuno di que' valligiani e chiedergliconto del mio povero amico: ma le capanne e le caseerano tutte deserte o abbandonate alla guardia di piccolifanciulletti dai quali non potevo sperarne alcuna infor-mazione sicura. Il sole cadeva in mezzo a larghi flutti dinuvole porporine; e dirimpetto le campane di Resia so-navano a distesa come intendessero salutarlo. M'avviai

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alla chiesa della valle dove tutto il popolo doveva essereraccolto per qualche solennità. Mi sovvenni ch'era ap-punto il giorno dedicato a san Marco, e mi passarono ra-pidamente nella memoria altri tempi ed altre feste; e perun momento m'illusi, pensando che questa valle potesseessere stata preservata dai terribili avvenimenti che se-gnalarono la fine dell'ultimo secolo e il principio del no-stro.

Giunto dinanzi alla chiesa assistetti ad uno spettacoloinaspettato. Tutta la popolazione, composta di duemilatra uomini e donne, stavano schierati dinanzi alla porta.Il vecchio parroco sostenuto a destra e a sinistra da duegiovani sacerdoti s'avanzò fino alla gradinata esternadella chiesa, e in una lingua non molto[Pg 171] dissimiledalla slava arringò i circostanti, poi bevendo un sorso dauna gran coppa che gli fu presentata, la porse ai notabilidella valle che gli stavano più d'appresso gridando nelsuo linguaggio: — Viva il vecchio Cameraro! — Tuttoil popolo ad una voce rispose a quel viva. Codesto Ca-meraro uscì allora dalla folla, si presentò alla popolazio-ne acclamante, e la ringraziò con brevissimo compli-mento dopo avere bevuto dalla medesima coppa che gi-rava di mano in mano. Il parroco dichiarò com'egli aves-se presentato la sua resa di conti annuale, e fosse statoriconosciuto irreprensibile per ogni rispetto. Il popolotornava alle acclamazioni.

In questo venne presentata al venerando pastore una

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alla chiesa della valle dove tutto il popolo doveva essereraccolto per qualche solennità. Mi sovvenni ch'era ap-punto il giorno dedicato a san Marco, e mi passarono ra-pidamente nella memoria altri tempi ed altre feste; e perun momento m'illusi, pensando che questa valle potesseessere stata preservata dai terribili avvenimenti che se-gnalarono la fine dell'ultimo secolo e il principio del no-stro.

Giunto dinanzi alla chiesa assistetti ad uno spettacoloinaspettato. Tutta la popolazione, composta di duemilatra uomini e donne, stavano schierati dinanzi alla porta.Il vecchio parroco sostenuto a destra e a sinistra da duegiovani sacerdoti s'avanzò fino alla gradinata esternadella chiesa, e in una lingua non molto[Pg 171] dissimiledalla slava arringò i circostanti, poi bevendo un sorso dauna gran coppa che gli fu presentata, la porse ai notabilidella valle che gli stavano più d'appresso gridando nelsuo linguaggio: — Viva il vecchio Cameraro! — Tuttoil popolo ad una voce rispose a quel viva. Codesto Ca-meraro uscì allora dalla folla, si presentò alla popolazio-ne acclamante, e la ringraziò con brevissimo compli-mento dopo avere bevuto dalla medesima coppa che gi-rava di mano in mano. Il parroco dichiarò com'egli aves-se presentato la sua resa di conti annuale, e fosse statoriconosciuto irreprensibile per ogni rispetto. Il popolotornava alle acclamazioni.

In questo venne presentata al venerando pastore una

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Page 222: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

scheda, e compresi ch'essa doveva portare il nome delcandidato, cioè del nuovo Cameraro che si doveva eleg-gere. Il parroco spiegò gravemente la scheda e declinòal popolo ansioso e perplesso il nome di Antonio M.

Lascio pensare ai lettori che cosa si passasse nell'ani-mo mio quando mi venne inteso quel nome. Non ero an-cora riavuto dal mio sbalordimento ch'io vidi il mioamico vestito colla casacca resiana avanzarsi a lenti pas-si alla volta del parroco. Una salva di applausi risonaro-no da ogni parte; a cui mi fu forza aggiungere un gridonon saprei dire se di sorpresa o di gioia.

Intanto l'antico Cameraro traeva una grande tabac-chiera d'argento, e la consegnava rispettosamente nellemani del suo successore, come fosse l'emblema dellasua dignità. E questi con pari rispetto la riceveva pro-strato in ginocchi e ricambiava un bacio di pace col par-roco, e coll'antecessore già decaduto.

Fatto questo, si fece girare nuovamente la coppa, etutti libavano, e il popolo rispondeva sonoramente conapplausi sempre crescenti. — Quand'ecco il nuovo di-gnitario domandò la parola e con molta unzione e conelegante[Pg 172] maniera dichiarò agli astanti che accetta-va l'incarico che gli veniva conferito; che, quanto era inlui, non avrebbe mancato di adempierlo con zelo e confedeltà, che implorava l'assistenza del Cielo e la sua be-nedizione sopra se stesso e sulla intiera popolazione.

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scheda, e compresi ch'essa doveva portare il nome delcandidato, cioè del nuovo Cameraro che si doveva eleg-gere. Il parroco spiegò gravemente la scheda e declinòal popolo ansioso e perplesso il nome di Antonio M.

Lascio pensare ai lettori che cosa si passasse nell'ani-mo mio quando mi venne inteso quel nome. Non ero an-cora riavuto dal mio sbalordimento ch'io vidi il mioamico vestito colla casacca resiana avanzarsi a lenti pas-si alla volta del parroco. Una salva di applausi risonaro-no da ogni parte; a cui mi fu forza aggiungere un gridonon saprei dire se di sorpresa o di gioia.

Intanto l'antico Cameraro traeva una grande tabac-chiera d'argento, e la consegnava rispettosamente nellemani del suo successore, come fosse l'emblema dellasua dignità. E questi con pari rispetto la riceveva pro-strato in ginocchi e ricambiava un bacio di pace col par-roco, e coll'antecessore già decaduto.

Fatto questo, si fece girare nuovamente la coppa, etutti libavano, e il popolo rispondeva sonoramente conapplausi sempre crescenti. — Quand'ecco il nuovo di-gnitario domandò la parola e con molta unzione e conelegante[Pg 172] maniera dichiarò agli astanti che accetta-va l'incarico che gli veniva conferito; che, quanto era inlui, non avrebbe mancato di adempierlo con zelo e confedeltà, che implorava l'assistenza del Cielo e la sua be-nedizione sopra se stesso e sulla intiera popolazione.

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Proferì questa breve arringa nella lingua del paese, contanta franchezza e disinvoltura come se l'avesse appresadalla nutrice; e mi pareva di vedere Lord Byron quandosulla tomba di M. Bozzari fu ammesso alla greca cittadi-nanza, ed accettò il comando del suo reggimento. Com-piuta la cerimonia io volevo lanciarmi al collo dell'ami-co mio, ma egli non m'aveva punto riconosciuto, e s'eradileguato alla clamorosa gioia de' circostanti che noncessavano di festeggiarlo.

Intesi allora da uno di quegli abitanti qual fosse l'uffi-cio del Cameraro. Il Cameraro non era gran fatto moltodiverso del nostro amministratore dei beni ecclesiastici,o fabbriciere. Ma nella valle di Resia ad un simile offi-cio andava aggiunta una specie di protettorato che il Ca-meraro accordava alla chiesa. La tabacchiera, insegnadella sua dignità, era il gazofilacio ove venivano depo-ste le volontarie oblazioni dei devoti a pro' del culto di-vino. Di tali oblazioni il Cameraro dovea rendere unconto assai rigoroso allo spirare dell'anno, e non menodegli usi a cui erano state adoperate. Siccome però cotaldignità non veniva conferita se non a quelli che godeva-no la stima di tutti, così il Cameraro esercitava unagrande e benefica autorità per tutto il tempo del suo reg-gimento, il quale cominciava e finiva colla descritta so-lennità.

Io ne trassi una conseguenza, che Antonio non dove-va essere sì pazzo quanto mi si voleva far credere. Io

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Proferì questa breve arringa nella lingua del paese, contanta franchezza e disinvoltura come se l'avesse appresadalla nutrice; e mi pareva di vedere Lord Byron quandosulla tomba di M. Bozzari fu ammesso alla greca cittadi-nanza, ed accettò il comando del suo reggimento. Com-piuta la cerimonia io volevo lanciarmi al collo dell'ami-co mio, ma egli non m'aveva punto riconosciuto, e s'eradileguato alla clamorosa gioia de' circostanti che noncessavano di festeggiarlo.

Intesi allora da uno di quegli abitanti qual fosse l'uffi-cio del Cameraro. Il Cameraro non era gran fatto moltodiverso del nostro amministratore dei beni ecclesiastici,o fabbriciere. Ma nella valle di Resia ad un simile offi-cio andava aggiunta una specie di protettorato che il Ca-meraro accordava alla chiesa. La tabacchiera, insegnadella sua dignità, era il gazofilacio ove venivano depo-ste le volontarie oblazioni dei devoti a pro' del culto di-vino. Di tali oblazioni il Cameraro dovea rendere unconto assai rigoroso allo spirare dell'anno, e non menodegli usi a cui erano state adoperate. Siccome però cotaldignità non veniva conferita se non a quelli che godeva-no la stima di tutti, così il Cameraro esercitava unagrande e benefica autorità per tutto il tempo del suo reg-gimento, il quale cominciava e finiva colla descritta so-lennità.

Io ne trassi una conseguenza, che Antonio non dove-va essere sì pazzo quanto mi si voleva far credere. Io

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non do fede mica alla infallibilità delle popolari elezio-ni, ma pure come si poteva pensare che un tale incaricofosse a pieni voti confidato ad un mentecatto? Così ral-legrato[Pg 173] da una buona speranza, m'avviai alla casadel parroco per abbracciare l'amico mio.

V.

È pazzo?

A pochi passi dalla canonica m'imbattei in uno di que'giovani preti che avevo veduti al fianco del parroco, ilquale veniva appunto a nome di esso e del Cameraro adinvitarmi ad una piccola refezione. Trovai sulla portaquest'ultimo, che mi si gettò al collo, e mi abbracciò conuna straordinaria effusione di allegrezza. — Io t'avevoben riconosciuto, — mi diss'egli — ma non ho volutointerrompere una pubblica solennità per lasciare liberocorso all'espansioni dell'amicizia. Ed ho voluto provartianche un po'! — Provarmi? — Perdonami. Ho osservatoalcuni venuti per curiosità a vedere codesta funzione, ri-derne fra loro come d'una pazzia. Imbecilli che non san-no vedere altro che la corteccia delle cose! Ti confessoche se ti fossi trovato fra costoro, io.... avrei avuto mi-nor desiderio di rivederti! Ora entriamo che siamoaspettati. —

Entrammo insieme, e presi parte al banchetto rituale,ordinaria appendice d'ogni solennità, massimamente fra

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non do fede mica alla infallibilità delle popolari elezio-ni, ma pure come si poteva pensare che un tale incaricofosse a pieni voti confidato ad un mentecatto? Così ral-legrato[Pg 173] da una buona speranza, m'avviai alla casadel parroco per abbracciare l'amico mio.

V.

È pazzo?

A pochi passi dalla canonica m'imbattei in uno di que'giovani preti che avevo veduti al fianco del parroco, ilquale veniva appunto a nome di esso e del Cameraro adinvitarmi ad una piccola refezione. Trovai sulla portaquest'ultimo, che mi si gettò al collo, e mi abbracciò conuna straordinaria effusione di allegrezza. — Io t'avevoben riconosciuto, — mi diss'egli — ma non ho volutointerrompere una pubblica solennità per lasciare liberocorso all'espansioni dell'amicizia. Ed ho voluto provartianche un po'! — Provarmi? — Perdonami. Ho osservatoalcuni venuti per curiosità a vedere codesta funzione, ri-derne fra loro come d'una pazzia. Imbecilli che non san-no vedere altro che la corteccia delle cose! Ti confessoche se ti fossi trovato fra costoro, io.... avrei avuto mi-nor desiderio di rivederti! Ora entriamo che siamoaspettati. —

Entrammo insieme, e presi parte al banchetto rituale,ordinaria appendice d'ogni solennità, massimamente fra

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i popoli d'origine slava. Alcune ore dopo il mio amicoed io fummo accompagnati alla modesta sua casa. Ionon potevo a quando a quando non domandare a mestesso: è pazzo? Non voglio aggiungere per ora la rispo-sta. I miei lettori saranno in istato di darla liberamenteper se medesimi.

Risposi in brevi parole alle interrogazioni dell'amicomio sulle vicende che avevo corse dopo la sua parten-za[Pg 174] dalla Francia, sulle ragioni del mio ritorno,ecc., ecc., cose tutte che interessavano a lui, ma che nonsi legano al mio racconto. Soddisfatto ch'io l'ebbi, mo-strai desiderio di sapere dalla sua bocca medesima quan-to m'era stato svisato dalle pubbliche ciarle.

— Hai veduto, cominciò egli, madamigella Sofia diV.? — Mi fece questa domanda con aria sì tranquilla eindifferente che non dubitai di rispondere il vero. —Ringrazio il Cielo — egli soggiunse — di non averlaobbligata ad essere la moglie del Cameraro di Resia.Ella ne sarebbe restata molto mortificata stasera! e forsesi sarebbe beffata del fatto mio, come la figlia di Saulquando vide il suo sposo Davidde ballare ed arpeggiaredinanzi all'arca.

— N'hai tu così trista opinione?

— La scuserei: perchè coll'educazione che ha ricevu-to, ella non sa distinguere il bene dal male, se non dietrola pubblica opinione. T'è noto ciò che costituisce la ripu-

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i popoli d'origine slava. Alcune ore dopo il mio amicoed io fummo accompagnati alla modesta sua casa. Ionon potevo a quando a quando non domandare a mestesso: è pazzo? Non voglio aggiungere per ora la rispo-sta. I miei lettori saranno in istato di darla liberamenteper se medesimi.

Risposi in brevi parole alle interrogazioni dell'amicomio sulle vicende che avevo corse dopo la sua parten-za[Pg 174] dalla Francia, sulle ragioni del mio ritorno,ecc., ecc., cose tutte che interessavano a lui, ma che nonsi legano al mio racconto. Soddisfatto ch'io l'ebbi, mo-strai desiderio di sapere dalla sua bocca medesima quan-to m'era stato svisato dalle pubbliche ciarle.

— Hai veduto, cominciò egli, madamigella Sofia diV.? — Mi fece questa domanda con aria sì tranquilla eindifferente che non dubitai di rispondere il vero. —Ringrazio il Cielo — egli soggiunse — di non averlaobbligata ad essere la moglie del Cameraro di Resia.Ella ne sarebbe restata molto mortificata stasera! e forsesi sarebbe beffata del fatto mio, come la figlia di Saulquando vide il suo sposo Davidde ballare ed arpeggiaredinanzi all'arca.

— N'hai tu così trista opinione?

— La scuserei: perchè coll'educazione che ha ricevu-to, ella non sa distinguere il bene dal male, se non dietrola pubblica opinione. T'è noto ciò che costituisce la ripu-

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Page 226: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

tazione d'un uomo secondo lei e secondo i suoi pari. Sa-per sottrarsi al ridicolo. Io invece ripongo qualche voltala grandezza nel saperlo affrontare.

— Mi consolo che tu la giudichi con tanta severità enel tempo stesso con tanta indulgenza. Da ciò m'accorgoche t'è perfettamente uscita dal cuore.

— Mio buon amico, a trarmela affatto dal cuore nonsarebbe bastato il conoscerla. Io m'ero accorto già chenon mi avrebbe mai fatto pienamente felice; e purel'amavo: l'amavo per abitudine, per necessità, per punti-glio. Le donne del suo carattere, le donne fredde e civet-te, sono terribili, amico mio. Possono maltrattarci unmese, usarci ogni sgarbo, mancarci di fede, farsi giocodi ciò che v'ha di più santo... e poi farci dimenticar tuttocon uno sguardo, con un sorriso! Ti ripeto ch'io la cono-sceva già quando partii per la Russia, e contuttociò tusai perchè lavorassi, perchè ammucchiassi i denari,[Pg175] perchè ambissi una decorazione ed un titolo. Io ri-tornai in Italia tutto pieno di lei, e fui sul punto di sagri-ficare l'onor mio, la riputazione di mio padre, i miei gu-sti, la mia vita..... ad una che non mi amava, ad una chenon avrebbe fatto il più piccolo sagrifizio per me.

— Ma ora non saresti forse troppo severo?

— No, mio caro amico; io l'ho messa alla prova. Lasua casa mi fu aperta quando si seppe ch'io era stato in-signito di un ordine, ch'io tornava ricco d'oro e di gloria,

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tazione d'un uomo secondo lei e secondo i suoi pari. Sa-per sottrarsi al ridicolo. Io invece ripongo qualche voltala grandezza nel saperlo affrontare.

— Mi consolo che tu la giudichi con tanta severità enel tempo stesso con tanta indulgenza. Da ciò m'accorgoche t'è perfettamente uscita dal cuore.

— Mio buon amico, a trarmela affatto dal cuore nonsarebbe bastato il conoscerla. Io m'ero accorto già chenon mi avrebbe mai fatto pienamente felice; e purel'amavo: l'amavo per abitudine, per necessità, per punti-glio. Le donne del suo carattere, le donne fredde e civet-te, sono terribili, amico mio. Possono maltrattarci unmese, usarci ogni sgarbo, mancarci di fede, farsi giocodi ciò che v'ha di più santo... e poi farci dimenticar tuttocon uno sguardo, con un sorriso! Ti ripeto ch'io la cono-sceva già quando partii per la Russia, e contuttociò tusai perchè lavorassi, perchè ammucchiassi i denari,[Pg175] perchè ambissi una decorazione ed un titolo. Io ri-tornai in Italia tutto pieno di lei, e fui sul punto di sagri-ficare l'onor mio, la riputazione di mio padre, i miei gu-sti, la mia vita..... ad una che non mi amava, ad una chenon avrebbe fatto il più piccolo sagrifizio per me.

— Ma ora non saresti forse troppo severo?

— No, mio caro amico; io l'ho messa alla prova. Lasua casa mi fu aperta quando si seppe ch'io era stato in-signito di un ordine, ch'io tornava ricco d'oro e di gloria,

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e che il mio patrimonio si poteva sottrarre dalle mani de'creditori di mio padre. Allora non c'erano carezze ch'ellanon mi prodigasse; non c'era esitazione; il suo cuore eramio, era sempre stato mio; ella non aveva aspettato cheme! Ma quando seppe ch'io doveva rinunziare al mio ti-tolo, ch'io voleva rinunziare alle mie ricchezze, ch'ionon poteva offrirle che il cuore e la vita errante e ventu-rosa dell'artista, ella si fece scudo del dissenso paterno;e forte una seconda volta della sua sommissione, si ritirònelle sue stanze, e fui congedato per sempre da quellacasa. Allora apersi gli occhi, ascoltai il comandodell'onore e del dovere; mi chiusi nella mia onesta po-vertà, giurando di non ammogliarmi finchè non avessitrovato una donna che avesse pregiato nel povero artistale ricchezze del pensiero e del sentimento... una donnacom'io l'ho trovata!

— Trovata! Nella valle di Resia?

— Nella valle di Resia.

— E da qual tempo data la tua fortuna? — chiesi, nondissimulando una certa aria di dubbio e d'incredulità.

— Io sono padre da un mese, soggiunse tranquilla-mente Antonio. Or ora vedrai la mia sposa. — Così di-cendo rientrammo nella casa, dalla quale ci eravamo[Pg176] allontanati durante questo colloquio, passeggiandoall'incerto lume del crepuscolo che si protraeva vivace efantastico dietro i monti, indorati sull'orlo da' suoi ultimi

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e che il mio patrimonio si poteva sottrarre dalle mani de'creditori di mio padre. Allora non c'erano carezze ch'ellanon mi prodigasse; non c'era esitazione; il suo cuore eramio, era sempre stato mio; ella non aveva aspettato cheme! Ma quando seppe ch'io doveva rinunziare al mio ti-tolo, ch'io voleva rinunziare alle mie ricchezze, ch'ionon poteva offrirle che il cuore e la vita errante e ventu-rosa dell'artista, ella si fece scudo del dissenso paterno;e forte una seconda volta della sua sommissione, si ritirònelle sue stanze, e fui congedato per sempre da quellacasa. Allora apersi gli occhi, ascoltai il comandodell'onore e del dovere; mi chiusi nella mia onesta po-vertà, giurando di non ammogliarmi finchè non avessitrovato una donna che avesse pregiato nel povero artistale ricchezze del pensiero e del sentimento... una donnacom'io l'ho trovata!

— Trovata! Nella valle di Resia?

— Nella valle di Resia.

— E da qual tempo data la tua fortuna? — chiesi, nondissimulando una certa aria di dubbio e d'incredulità.

— Io sono padre da un mese, soggiunse tranquilla-mente Antonio. Or ora vedrai la mia sposa. — Così di-cendo rientrammo nella casa, dalla quale ci eravamo[Pg176] allontanati durante questo colloquio, passeggiandoall'incerto lume del crepuscolo che si protraeva vivace efantastico dietro i monti, indorati sull'orlo da' suoi ultimi

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Page 228: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

raggi. Ci venne incontro sul limitare della modesta di-mora una bella e svelta figura di donna, portante fra lebraccia un bamboletto. Come ci vide ci salutò abbassan-do leggermente il capo, o piuttosto gli occhi sotto lenere e lunghe ciglia che li segnavano, e silenziosa sitrasse in disparte, senza ch'apparisse però alcun indiziodi imbarazzo sopra i tranquilli e severi lineamenti dellasua faccia. Portava intorno alla testa ed al collo un faz-zoletto non molto dissimile dal costume lombardo, e ilrestante del suo abbigliamento non s'allontanavadall'usanza resiana se non nel colore. Una gonna scen-dente fino alla noce del piede, una tunica più corta esenza maniche, che la moda si compiace di raccomanda-re sotto altro nome alle nostre dame, e un giubbettinoabbottonato dinanzi fino alla cintura, e assettato al colloe alle braccia fino ai polsi. Tale è il costume universaledelle donne resiane, le quali però non l'usano se nonbruno, mentre la moglie di Antonio l'indossava di colorbianco.

Una fiammicella brillante ardeva sul largo focolare eci consigliava a sederci d'appresso, poichè il nostro col-loquio a cielo aperto non ci aveva permesso d'avvertirel'irrigidire dell'aria dopo il tramonto. Antonio mi fe' por-tare il vispo mammoletto il quale diede in improvvisopianto al vedere una faccia straniera, per cui la madre fupronta a raccorselo al seno, e si ritrasse altrove per cal-marne gli incessanti vagiti. Restati soli, Antonio così ri-pigliò il suo racconto:

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raggi. Ci venne incontro sul limitare della modesta di-mora una bella e svelta figura di donna, portante fra lebraccia un bamboletto. Come ci vide ci salutò abbassan-do leggermente il capo, o piuttosto gli occhi sotto lenere e lunghe ciglia che li segnavano, e silenziosa sitrasse in disparte, senza ch'apparisse però alcun indiziodi imbarazzo sopra i tranquilli e severi lineamenti dellasua faccia. Portava intorno alla testa ed al collo un faz-zoletto non molto dissimile dal costume lombardo, e ilrestante del suo abbigliamento non s'allontanavadall'usanza resiana se non nel colore. Una gonna scen-dente fino alla noce del piede, una tunica più corta esenza maniche, che la moda si compiace di raccomanda-re sotto altro nome alle nostre dame, e un giubbettinoabbottonato dinanzi fino alla cintura, e assettato al colloe alle braccia fino ai polsi. Tale è il costume universaledelle donne resiane, le quali però non l'usano se nonbruno, mentre la moglie di Antonio l'indossava di colorbianco.

Una fiammicella brillante ardeva sul largo focolare eci consigliava a sederci d'appresso, poichè il nostro col-loquio a cielo aperto non ci aveva permesso d'avvertirel'irrigidire dell'aria dopo il tramonto. Antonio mi fe' por-tare il vispo mammoletto il quale diede in improvvisopianto al vedere una faccia straniera, per cui la madre fupronta a raccorselo al seno, e si ritrasse altrove per cal-marne gli incessanti vagiti. Restati soli, Antonio così ri-pigliò il suo racconto:

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— Io mi partivo dalla città noiato, stomacato delleciarle che correvano sul mio conto, e degli stolti giudiciionde erano state interpretate le mie risoluzioni. Il contedi V. e la sua società avevano dipinto coi più lepidi[Pg177] colori la mia condotta. Credi tu ch'io non sappiad'essere stato battezzato per pazzo? Pazzo sarei stato, si-gnori, se avessi rinunciato a questa tranquillità pei vostrifumi, e per le vostre nobili consuetudini!

Io non visitava la Resia se non per osservarne i costu-mi, per trarne qualche quadro di paesaggio, per toglier-mi alla beffarda compassione ch'io leggeva sul volto dichi mi incontrava per via, per essere solo. Le case diquesta vallata bastano appena alla numerosa tribù, ed ioebbi albergo in una di esse che da pochi giorni era resta-ta senza padrone. Egli era perito in una gola delle vicinemontagne, e avea lasciato un vecchio padre e una giova-ne vedova sprovveduta d'ogni soccorso. Quest'ultima tula conosci. Il vecchio non sopravvisse molto a suo fi-glio, e morì pochi giorni dopo di avermi offerta l'ospita-lità ed ottenuti i miei vani conforti. Al suo letto di morteegli mi raccomandò caldamente la desolata nuora, e pas-sò.

Ullania soffrì queste due sventure con un dolor mutoe profondo che sarebbe stato preso per indifferenza nellenostre città dove le apparenze son tutto, e dove un vesti-to bruno dispensa da ogni altro officio di condoglianza.Ella non pianse; solamente le sue palpebre si tinsero di

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— Io mi partivo dalla città noiato, stomacato delleciarle che correvano sul mio conto, e degli stolti giudiciionde erano state interpretate le mie risoluzioni. Il contedi V. e la sua società avevano dipinto coi più lepidi[Pg177] colori la mia condotta. Credi tu ch'io non sappiad'essere stato battezzato per pazzo? Pazzo sarei stato, si-gnori, se avessi rinunciato a questa tranquillità pei vostrifumi, e per le vostre nobili consuetudini!

Io non visitava la Resia se non per osservarne i costu-mi, per trarne qualche quadro di paesaggio, per toglier-mi alla beffarda compassione ch'io leggeva sul volto dichi mi incontrava per via, per essere solo. Le case diquesta vallata bastano appena alla numerosa tribù, ed ioebbi albergo in una di esse che da pochi giorni era resta-ta senza padrone. Egli era perito in una gola delle vicinemontagne, e avea lasciato un vecchio padre e una giova-ne vedova sprovveduta d'ogni soccorso. Quest'ultima tula conosci. Il vecchio non sopravvisse molto a suo fi-glio, e morì pochi giorni dopo di avermi offerta l'ospita-lità ed ottenuti i miei vani conforti. Al suo letto di morteegli mi raccomandò caldamente la desolata nuora, e pas-sò.

Ullania soffrì queste due sventure con un dolor mutoe profondo che sarebbe stato preso per indifferenza nellenostre città dove le apparenze son tutto, e dove un vesti-to bruno dispensa da ogni altro officio di condoglianza.Ella non pianse; solamente le sue palpebre si tinsero di

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vermiglio, e non proferì parola. Io mi provai ad usarecon essa le solite formule e a ripeterle le ordinarie con-solazioni. Ella mi ascoltava con un mesto e dolorososorriso che qualche volta mi fe' sospettare ch'ella pen-sasse ad una fiera risoluzione. Seppi dappoi ch'io nonm'era ingannato, e che ella pensava veramente a gittarsida un altissimo picco, per troncare una esistenza sì mi-serabile. I consigli del confessore, o altro che fosse, mi-tigarono a lungo andare la sua tristezza, ed ascoltò piùvolentieri le mie parole. Io le parlavo talora in italiano,talora in russo (avrai osservato[Pg 178] che il dialetto diquesta tribù slava ha molta somiglianza col russo): maciò che le rese più intelligibili le mie parole fu un princi-pio di simpatia che andava di giorno in giorno ravvici-nando le anime nostre. Una circostanza la rinforzò. Ellaera rimasta, come t'ho detto, priva di tutto. Morto il vec-chio, non restava alla povera donna che la sua casa e ilbreve orticello che la circonda. Com'io m'accorsi dellestrette in cui si trovava, volli largheggiare nel fitto ch'ionon aveva pattuito, e la invitai a dividere la mia mensa.

Ella stette lungamente sul niego, e un giorno mi di-chiarò non esservi che un mezzo solo che potesse indur-la ad accettare i miei benefizi: acquistarne il diritto. Dalì ad un mese il parroco benedì il nostro matrimonio:ella mi portò in dote la sua casa, il suo orticello, il suocuore e tutto l'amor suo. Io non ti farò l'elogio di Ulla-nia, nè ti dirò quanto sia felice con essa. Un paio di gior-ni che tu passi in nostra compagnia, basteranno a con-

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vermiglio, e non proferì parola. Io mi provai ad usarecon essa le solite formule e a ripeterle le ordinarie con-solazioni. Ella mi ascoltava con un mesto e dolorososorriso che qualche volta mi fe' sospettare ch'ella pen-sasse ad una fiera risoluzione. Seppi dappoi ch'io nonm'era ingannato, e che ella pensava veramente a gittarsida un altissimo picco, per troncare una esistenza sì mi-serabile. I consigli del confessore, o altro che fosse, mi-tigarono a lungo andare la sua tristezza, ed ascoltò piùvolentieri le mie parole. Io le parlavo talora in italiano,talora in russo (avrai osservato[Pg 178] che il dialetto diquesta tribù slava ha molta somiglianza col russo): maciò che le rese più intelligibili le mie parole fu un princi-pio di simpatia che andava di giorno in giorno ravvici-nando le anime nostre. Una circostanza la rinforzò. Ellaera rimasta, come t'ho detto, priva di tutto. Morto il vec-chio, non restava alla povera donna che la sua casa e ilbreve orticello che la circonda. Com'io m'accorsi dellestrette in cui si trovava, volli largheggiare nel fitto ch'ionon aveva pattuito, e la invitai a dividere la mia mensa.

Ella stette lungamente sul niego, e un giorno mi di-chiarò non esservi che un mezzo solo che potesse indur-la ad accettare i miei benefizi: acquistarne il diritto. Dalì ad un mese il parroco benedì il nostro matrimonio:ella mi portò in dote la sua casa, il suo orticello, il suocuore e tutto l'amor suo. Io non ti farò l'elogio di Ulla-nia, nè ti dirò quanto sia felice con essa. Un paio di gior-ni che tu passi in nostra compagnia, basteranno a con-

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vincertene.

— Non dubito punto di quanto mi dici, e tutto ciò an-drà bene fino a che tu rimarrai nella Resia. Ma come sitroverà la tua bella sposa, quando sarà fuori dal suo ele-mento? La società non potrà mai perdonarti questa scel-ta.

— Oh! quanto alla società, io farò di bei quadri peressa. Mia moglie l'ho sposata per me non per gli altri.

— S'intende.

— D'altronde mia moglie non temerebbe già il con-fronto delle tue belle contesse. Anzi non vi ha luogo adalcun paragone. Ella sa l'arte difficile di tacere quandonon importa che parli, e chiamata a rispondere, possiedeun dono che la più fina educazione non può sempre in-segnare: il buon senso.

[Pg 179]

— Pure tu non vorresti esporla a' sarcasmi delle no-stre pietose damine. Gli hai provati tu stesso se pungo-no. Credimi, mio buon amico, il mondo ti avrebbe loda-to se l'avessi tenuta come modella, ma non ti perdoneràmai d'averla presa per moglie.

— Pur troppo: ma che cosa ha più a fare il mondo conme? Ecco il mio mondo; ecco il mio universo: ecco lamia famiglia. Io n'ho abbastanza di tutto il resto. Voglio

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vincertene.

— Non dubito punto di quanto mi dici, e tutto ciò an-drà bene fino a che tu rimarrai nella Resia. Ma come sitroverà la tua bella sposa, quando sarà fuori dal suo ele-mento? La società non potrà mai perdonarti questa scel-ta.

— Oh! quanto alla società, io farò di bei quadri peressa. Mia moglie l'ho sposata per me non per gli altri.

— S'intende.

— D'altronde mia moglie non temerebbe già il con-fronto delle tue belle contesse. Anzi non vi ha luogo adalcun paragone. Ella sa l'arte difficile di tacere quandonon importa che parli, e chiamata a rispondere, possiedeun dono che la più fina educazione non può sempre in-segnare: il buon senso.

[Pg 179]

— Pure tu non vorresti esporla a' sarcasmi delle no-stre pietose damine. Gli hai provati tu stesso se pungo-no. Credimi, mio buon amico, il mondo ti avrebbe loda-to se l'avessi tenuta come modella, ma non ti perdoneràmai d'averla presa per moglie.

— Pur troppo: ma che cosa ha più a fare il mondo conme? Ecco il mio mondo; ecco il mio universo: ecco lamia famiglia. Io n'ho abbastanza di tutto il resto. Voglio

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vedere se io posso verificare una pagina de' nostri ro-manzi: voglio comporre un'egloga di tutta la vita che mirimane.

— Avrai tu il coraggio di rinunciare agli onori chepotresti procacciarti coll'arte tua?

— L'arte mia mi procaccerà qualche cosa di più nobi-le e di più piacevole ancora. Io la coltiverò d'ora innanzisecondo il mio gusto, non secondo la moda. Le mie pit-ture saranno una manifestazione della vita intima. Io vo'dipingere la mia felicità; e quelli che vedranno i mieiquadri, si risolveranno forse ad imitare l'esempio mio, arischio di passare per pazzi. —

Il nostro dialogo fu interrotto dall'amabile Ullania chevenne ad invitarci alla cena. Sedemmo a un deschettoparcamente imbandito d'erbaggi, di cacio e di burro, equi fui presentato per nome alla padrona di casa che nefaceva schiettamente gli onori. Ella mi ringraziò di nonaver dimenticato l'amico. — Egli m'ha più volte parlatodi voi — soggiungeva: — ma diffidava di rivedervi,giacchè voi eravate così lontano, e mio marito non pen-sa ad abbandonare la sua nuova patria.

— Non lo condanno più — le risposi — dacchè cono-sco le ragioni che ve lo legano. —

Così terminata la cena, mi ritrassi in una graziosa ca-meretta che mi era stata assegnata, e mi coricai doman-

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vedere se io posso verificare una pagina de' nostri ro-manzi: voglio comporre un'egloga di tutta la vita che mirimane.

— Avrai tu il coraggio di rinunciare agli onori chepotresti procacciarti coll'arte tua?

— L'arte mia mi procaccerà qualche cosa di più nobi-le e di più piacevole ancora. Io la coltiverò d'ora innanzisecondo il mio gusto, non secondo la moda. Le mie pit-ture saranno una manifestazione della vita intima. Io vo'dipingere la mia felicità; e quelli che vedranno i mieiquadri, si risolveranno forse ad imitare l'esempio mio, arischio di passare per pazzi. —

Il nostro dialogo fu interrotto dall'amabile Ullania chevenne ad invitarci alla cena. Sedemmo a un deschettoparcamente imbandito d'erbaggi, di cacio e di burro, equi fui presentato per nome alla padrona di casa che nefaceva schiettamente gli onori. Ella mi ringraziò di nonaver dimenticato l'amico. — Egli m'ha più volte parlatodi voi — soggiungeva: — ma diffidava di rivedervi,giacchè voi eravate così lontano, e mio marito non pen-sa ad abbandonare la sua nuova patria.

— Non lo condanno più — le risposi — dacchè cono-sco le ragioni che ve lo legano. —

Così terminata la cena, mi ritrassi in una graziosa ca-meretta che mi era stata assegnata, e mi coricai doman-

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dandomi: è pazzo?

[Pg 180]

VI.

Un quadro.

— E dove sono i tuoi nuovi dipinti? ho gran desideriodi vederli — diss'io la mattina seguente ad Antonio. —Questa vallata è magnifica! mi dà il prurito di por manoalla tavolozza. Che paesaggi! che frondeggi! che monta-gne! Tutto qui deve ispirare il pittore.

— Hai ragione; — risposemi — ma tu non ti figuril'effetto che mi produssero questi grandiosi prospetti.

— E quale?

— Mi persuasi a poco a poco che il paesaggio è piùdifficile che ogni altro genere di pittura, che queste sce-ne magnifiche non ponno restringersi a una breve corni-ce senza perdere la loro espressione, e che un quadrosenza espressione manca di quell'elemento che è la pri-ma condizione dell'arte.

— Ma tu condanni dunque tutto il nostro secolo cheva pazzo per il paesaggio?

— Ben detto: va pazzo. Ma non però condanno colo-

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dandomi: è pazzo?

[Pg 180]

VI.

Un quadro.

— E dove sono i tuoi nuovi dipinti? ho gran desideriodi vederli — diss'io la mattina seguente ad Antonio. —Questa vallata è magnifica! mi dà il prurito di por manoalla tavolozza. Che paesaggi! che frondeggi! che monta-gne! Tutto qui deve ispirare il pittore.

— Hai ragione; — risposemi — ma tu non ti figuril'effetto che mi produssero questi grandiosi prospetti.

— E quale?

— Mi persuasi a poco a poco che il paesaggio è piùdifficile che ogni altro genere di pittura, che queste sce-ne magnifiche non ponno restringersi a una breve corni-ce senza perdere la loro espressione, e che un quadrosenza espressione manca di quell'elemento che è la pri-ma condizione dell'arte.

— Ma tu condanni dunque tutto il nostro secolo cheva pazzo per il paesaggio?

— Ben detto: va pazzo. Ma non però condanno colo-

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ro che amano il paesaggio: li compiango piuttosto. Co-loro che vivono nelle capitali, che non escono dalla lorocasa, che vogliono trovarci tutti gli agi della vita, tutto ilmondo rinchiuso fra quattro mura, questi hanno ragioned'amare il paesaggio. È sì spontaneo nell'uomo il deside-rio di respirare l'aria aperta de' cieli, e di vivere in senodella natura, che non può rinunciarvi senza averne sottogli occhi una immagine che lo illuda un momento e loinganni. Il paesaggio è per i cittadini: ma per noi, perme che veggo le grandi scene della natura in tutta la loropompa, che cosa è mai[Pg 181] una tela impiastricciata diverde? Oh! io amo l'aria che respiro, l'acqua che si muo-ve, gli alberi agitati dal vento, e i monti praticabili da'miei piedi!

— Addio dunque pennelli e colori.

— Al contrario. Mi sentii qui rinascere il mio primogusto per la pittura storica. L'uomo e la donna possonoancora somministrar materia al pittore, e sempre più lopotranno, quanto la nostra vita andrà perdendo della suaprimitiva e spontanea poesia. Abbiamo a dipingere gliaffetti umani, per quelli che gli vanno dimenticando: ab-biamo a dipingere la vita intima, la vita domestica, per-chè questa sola non cesse a quelle maniere convenziona-li che hanno già tolto ogni fisonomia all'uomo dinanziagli altri uomini. Le arti devono una volta intendere laloro missione, devono ammaestrare, non esser paghe delsolo diletto, del solo sterile diletto degli occhi. Sali

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ro che amano il paesaggio: li compiango piuttosto. Co-loro che vivono nelle capitali, che non escono dalla lorocasa, che vogliono trovarci tutti gli agi della vita, tutto ilmondo rinchiuso fra quattro mura, questi hanno ragioned'amare il paesaggio. È sì spontaneo nell'uomo il deside-rio di respirare l'aria aperta de' cieli, e di vivere in senodella natura, che non può rinunciarvi senza averne sottogli occhi una immagine che lo illuda un momento e loinganni. Il paesaggio è per i cittadini: ma per noi, perme che veggo le grandi scene della natura in tutta la loropompa, che cosa è mai[Pg 181] una tela impiastricciata diverde? Oh! io amo l'aria che respiro, l'acqua che si muo-ve, gli alberi agitati dal vento, e i monti praticabili da'miei piedi!

— Addio dunque pennelli e colori.

— Al contrario. Mi sentii qui rinascere il mio primogusto per la pittura storica. L'uomo e la donna possonoancora somministrar materia al pittore, e sempre più lopotranno, quanto la nostra vita andrà perdendo della suaprimitiva e spontanea poesia. Abbiamo a dipingere gliaffetti umani, per quelli che gli vanno dimenticando: ab-biamo a dipingere la vita intima, la vita domestica, per-chè questa sola non cesse a quelle maniere convenziona-li che hanno già tolto ogni fisonomia all'uomo dinanziagli altri uomini. Le arti devono una volta intendere laloro missione, devono ammaestrare, non esser paghe delsolo diletto, del solo sterile diletto degli occhi. Sali

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Page 235: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

meco alcuni scalini e vedrai il mio piccolo studio. —

Il quadro ch'io mi vidi dinanzi rappresentava un com-battimento fra un contrabbandiere e tre doganieri nellagola di un monte. Il pover'uomo aveva forse volutoschermirsene, ed era caduto sotto ai loro colpi. Una don-na bellissima nel suo fiero dolore si era posta fra il cor-po dello sposo, ed eccitava gli assalitori a finirla insiemecon lui. Com'era potente l'espressione di questa figura!Ella stringeva una pistola della quale aveva disarmato ilconsorte, e la gettava sdegnosamente a' loro piedi. Nonera già una delle solite aggressioni di assassini, le qualinon sono per ordinario che una rappresentazione inutiled'un orribile fatto. Qui un'idea morale ti parlava alta-mente, e compiangevi l'avidità di quel misero il qualeper desiderio d'un lucro illegale, aveva esposto la pro-pria vita non solo, ma quella di una donna amante, d'unamoglie, forse di una madre.

— La conosco questa donna — diss'io.

[Pg 182]

— Povera Ullania! — rispose Antonio: — dopo di es-sersi lungamente opposta alla spedizione del marito (nèlo aveva sposato se non a condizione che lasciasse il pe-riglioso mestiere), dopo di avere adoperato invano leminaccie, le preghiere, le lagrime per distornelo, ellaaveva voluto accompagnarlo. Pareva che un funesto pre-sentimento l'avesse avvertita della sventura che l'atten-

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meco alcuni scalini e vedrai il mio piccolo studio. —

Il quadro ch'io mi vidi dinanzi rappresentava un com-battimento fra un contrabbandiere e tre doganieri nellagola di un monte. Il pover'uomo aveva forse volutoschermirsene, ed era caduto sotto ai loro colpi. Una don-na bellissima nel suo fiero dolore si era posta fra il cor-po dello sposo, ed eccitava gli assalitori a finirla insiemecon lui. Com'era potente l'espressione di questa figura!Ella stringeva una pistola della quale aveva disarmato ilconsorte, e la gettava sdegnosamente a' loro piedi. Nonera già una delle solite aggressioni di assassini, le qualinon sono per ordinario che una rappresentazione inutiled'un orribile fatto. Qui un'idea morale ti parlava alta-mente, e compiangevi l'avidità di quel misero il qualeper desiderio d'un lucro illegale, aveva esposto la pro-pria vita non solo, ma quella di una donna amante, d'unamoglie, forse di una madre.

— La conosco questa donna — diss'io.

[Pg 182]

— Povera Ullania! — rispose Antonio: — dopo di es-sersi lungamente opposta alla spedizione del marito (nèlo aveva sposato se non a condizione che lasciasse il pe-riglioso mestiere), dopo di avere adoperato invano leminaccie, le preghiere, le lagrime per distornelo, ellaaveva voluto accompagnarlo. Pareva che un funesto pre-sentimento l'avesse avvertita della sventura che l'atten-

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Page 236: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

deva. Quando furono sorpresi dai doganieri, ella s'ingi-nocchiò dinanzi al marito che si preparava a difendersi,e lo volle obbligare alla fuga. Non era più tempo. Alloraella si collocò dinanzi a lui come per essergli scudo, e fusfiorata dalla stessa palla che ferì lui mortalmente. Sta-vano per ammanettarla e condurla in prigione; ma men-tre se ne schermiva, ed essi esitavano dinanzi ad un do-lore ed una ferocia sì disperata, sopravvenne alcuno e idoganieri avevano pigliato il più prudente partito fug-gendo. Ella restò lì accoccolata senza parola, finchè do-vette accompagnare alla sepoltura il cadavere dell'estin-to consorte.

— Ha ella veduto questo quadro?

— L'ha veduto, e fu dinanzi a questa tela ch'ella pian-se dirottamente per la prima volta, e il suo cuore sentìsollevarsi dal peso che l'avrebbe forse condotta a qual-che terribile fatto. Ora ella lo vede talora con una mestatenerezza, e mi perdonò d'averlo dipinto, perchè essopuò servire d'esempio a coloro che antepongono quellavita avventurosa alla pacifica cultura de' campi.

— Certo è una buona lezione.

— E non è la sola ch'io m'affatico di dare a questi ar-diti valligiani. Ho comperato a vilissimo prezzo alcuniritagli di terreno che rimanevano incolti e selvaggi qua elà nella valle. Li ho fatti sgomberare da' macigniond'erano sparsi: li ho seminati di gelsi, di viti, e d'altre

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deva. Quando furono sorpresi dai doganieri, ella s'ingi-nocchiò dinanzi al marito che si preparava a difendersi,e lo volle obbligare alla fuga. Non era più tempo. Alloraella si collocò dinanzi a lui come per essergli scudo, e fusfiorata dalla stessa palla che ferì lui mortalmente. Sta-vano per ammanettarla e condurla in prigione; ma men-tre se ne schermiva, ed essi esitavano dinanzi ad un do-lore ed una ferocia sì disperata, sopravvenne alcuno e idoganieri avevano pigliato il più prudente partito fug-gendo. Ella restò lì accoccolata senza parola, finchè do-vette accompagnare alla sepoltura il cadavere dell'estin-to consorte.

— Ha ella veduto questo quadro?

— L'ha veduto, e fu dinanzi a questa tela ch'ella pian-se dirottamente per la prima volta, e il suo cuore sentìsollevarsi dal peso che l'avrebbe forse condotta a qual-che terribile fatto. Ora ella lo vede talora con una mestatenerezza, e mi perdonò d'averlo dipinto, perchè essopuò servire d'esempio a coloro che antepongono quellavita avventurosa alla pacifica cultura de' campi.

— Certo è una buona lezione.

— E non è la sola ch'io m'affatico di dare a questi ar-diti valligiani. Ho comperato a vilissimo prezzo alcuniritagli di terreno che rimanevano incolti e selvaggi qua elà nella valle. Li ho fatti sgomberare da' macigniond'erano sparsi: li ho seminati di gelsi, di viti, e d'altre

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Page 237: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

piante fruttifere. N'ho confidata la cura ai più poveri abi-tanti[Pg 183] della vallata, e me li coltiveranno a metà fin-chè colla loro diligenza si rendano degni di possederliper intiero. Alcuni cominciano già a fare altrettanto perse medesimi, perchè con questa povera gente più valel'esempio che le parole, onde ho speranza che tutti di-stingueranno a poco a poco i propri vantaggi. Vedrai frapoco le belle viti che in un anno han rampicato su peimacigni che servono loro di appoggio. E i mori, questafonte novella di prosperità per le vicine provincie, vesti-ranno in breve tutto il pendìo meridionale di questo val-lone. Io n'ho fatti già dispensare oltre a diecimila a tuttiquelli che me gli hanno chiesti. —

Io guardava il mio amico con meraviglia e non poteirestarmi dall'esclamare: — E questo è l'uomo che si bat-tezza per pazzo! —

— Oh! — rispose egli — il nome di pazzo non famale a nessuna riputazione. Da gran tempo il mondo siostina a darlo a tutti quelli che ripongono il loro piacerenel far bene al prossimo, e sacrificano un godimentopersonale alla pubblica utilità. Ma questi pazzi, pour lebonheur du genre humain, come dice un poeta francese,questi pazzi continueranno ancora ad esistere finchè lavera virtù non sia sbandita affatto dal mondo. Perdona-mi queste altere parole, e piuttosto l'applicazione ch'io tisembrerò farne a me stesso: perdonale all'amicizia. Per-chè, per quanto sia vero che il bene dee farsi per sè, tut-

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piante fruttifere. N'ho confidata la cura ai più poveri abi-tanti[Pg 183] della vallata, e me li coltiveranno a metà fin-chè colla loro diligenza si rendano degni di possederliper intiero. Alcuni cominciano già a fare altrettanto perse medesimi, perchè con questa povera gente più valel'esempio che le parole, onde ho speranza che tutti di-stingueranno a poco a poco i propri vantaggi. Vedrai frapoco le belle viti che in un anno han rampicato su peimacigni che servono loro di appoggio. E i mori, questafonte novella di prosperità per le vicine provincie, vesti-ranno in breve tutto il pendìo meridionale di questo val-lone. Io n'ho fatti già dispensare oltre a diecimila a tuttiquelli che me gli hanno chiesti. —

Io guardava il mio amico con meraviglia e non poteirestarmi dall'esclamare: — E questo è l'uomo che si bat-tezza per pazzo! —

— Oh! — rispose egli — il nome di pazzo non famale a nessuna riputazione. Da gran tempo il mondo siostina a darlo a tutti quelli che ripongono il loro piacerenel far bene al prossimo, e sacrificano un godimentopersonale alla pubblica utilità. Ma questi pazzi, pour lebonheur du genre humain, come dice un poeta francese,questi pazzi continueranno ancora ad esistere finchè lavera virtù non sia sbandita affatto dal mondo. Perdona-mi queste altere parole, e piuttosto l'applicazione ch'io tisembrerò farne a me stesso: perdonale all'amicizia. Per-chè, per quanto sia vero che il bene dee farsi per sè, tut-

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tavia ci è forte eccitamento l'approvazione di quelli checi amano. Finora io non avevo che un cuore che mi in-tendesse, quello d'Ullania: ora ne avrò due finchè tu re-sterai nella Resia.

— Ne avrai mille perchè mi farò banditore....

— Di che? Lascia lascia che ignorino questi fatti co-loro che non farebbero che beffarsene, o almeno sareb-bero convinti ch'io non sono condotto che dall'ambizio-ne[Pg 184] o dall'interesse. Guai chi aspira all'approvazio-ne universale! —

Egli terminava queste parole quando Ullania compa-riva sulla porta dello studio tenendosi fra le braccia ilbambino. Ricambiato un semplice ed affettuoso saluto,io feci avvertire ad Antonio come codesto quadro abbi-sognasse di un riscontro, ed io, soggiunsi, ne propongol'argomento. Dipingerei te stesso nell'atto di piantare ungelso monumentale destinato a ricordare la nascita deltuo figlio. Il gelso per quanto cresca in poco tempo, nonpotrà che in capo a molti anni spandere un'ombra abba-stanza larga, e significherà che l'agricoltore è ancoraquello che pensa a quelli che verranno, che prepara aisuoi figli uno stabile domicilio, e una povera, ma placi-da vita e operosa. Una donna ti starà d'accanto e annaf-fierà la pianticella....

— E questa donna sarà vestita alla resiana senza dub-bio.

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tavia ci è forte eccitamento l'approvazione di quelli checi amano. Finora io non avevo che un cuore che mi in-tendesse, quello d'Ullania: ora ne avrò due finchè tu re-sterai nella Resia.

— Ne avrai mille perchè mi farò banditore....

— Di che? Lascia lascia che ignorino questi fatti co-loro che non farebbero che beffarsene, o almeno sareb-bero convinti ch'io non sono condotto che dall'ambizio-ne[Pg 184] o dall'interesse. Guai chi aspira all'approvazio-ne universale! —

Egli terminava queste parole quando Ullania compa-riva sulla porta dello studio tenendosi fra le braccia ilbambino. Ricambiato un semplice ed affettuoso saluto,io feci avvertire ad Antonio come codesto quadro abbi-sognasse di un riscontro, ed io, soggiunsi, ne propongol'argomento. Dipingerei te stesso nell'atto di piantare ungelso monumentale destinato a ricordare la nascita deltuo figlio. Il gelso per quanto cresca in poco tempo, nonpotrà che in capo a molti anni spandere un'ombra abba-stanza larga, e significherà che l'agricoltore è ancoraquello che pensa a quelli che verranno, che prepara aisuoi figli uno stabile domicilio, e una povera, ma placi-da vita e operosa. Una donna ti starà d'accanto e annaf-fierà la pianticella....

— E questa donna sarà vestita alla resiana senza dub-bio.

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— Cosa insolita per un pittore, ch'ei possa conservareil costume ad un quadro contemporaneo senza offenderel'arte.

— E se vuoi dipingere me stesso, non mi dipingere, tene prego, vestito alla francese, che farei ridere gli spet-tatori, ma prestami una delle tue giubbe che sono piùcomode e più ragionevoli....

— Ma intanto, signori, — soggiunse Ullania — si po-trebbe anche far colazione! Mi spiace interrompere levostre ispirazioni.

— Oh! no, ripres'io. Una buona colazione inquest'aria benedetta, non è cosa profana come sarebbealtrove.

— E poi dov'è l'amicizia e l'amore e la virtù, la ispira-zione non manca mai!

[Pg 185]

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— Cosa insolita per un pittore, ch'ei possa conservareil costume ad un quadro contemporaneo senza offenderel'arte.

— E se vuoi dipingere me stesso, non mi dipingere, tene prego, vestito alla francese, che farei ridere gli spet-tatori, ma prestami una delle tue giubbe che sono piùcomode e più ragionevoli....

— Ma intanto, signori, — soggiunse Ullania — si po-trebbe anche far colazione! Mi spiace interrompere levostre ispirazioni.

— Oh! no, ripres'io. Una buona colazione inquest'aria benedetta, non è cosa profana come sarebbealtrove.

— E poi dov'è l'amicizia e l'amore e la virtù, la ispira-zione non manca mai!

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ISTORIA DI UNA CASA.

DAL GIORNALE DI UN MEDICO.

UN PO' DI PROEMIO.

Io non corro la città in una superba carrozza magnifi-cando ai nobili malati e alle isteriche dame i misteri del-la omeopatia, o consigliando loro le terme degli Euga-nei, le acque di Recoaro o di Biarriz. Avendomi una sin-cera esperienza insegnato a confidare nella virtù di po-chi e volgari rimedi, i farmacisti non m'hanno volutocreare un'alta riputazione e sono sempre restato medicodella povera gente. La cosa che più mi grava dacchè di-venni vecchio, è salir nei soffitti a pericolo sempre dirompermi le gambe, o la testa, a trovarvi ammalatisquallidi, e senza quattrini, a cui la ricetta migliore sa-rebbe un cibo più sano e più sostanzioso.

Jer l'altro, 13 ottobre, fui pregato da una povera don-na a visitare una sua buona amica che giaceva grave-mente ammalata. Non esitai punto e mi rassegnai a sali-re ben cento e venti scalini, finchè in un quinto piano,sopra un miserabile cuccio vidi le sparute sembianze[Pg186] d'una vecchia settuagenaria alla quale si poteva ap-plicare quel verso di Byron:

Guancia di pergamena, occhio di pietra.

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ISTORIA DI UNA CASA.

DAL GIORNALE DI UN MEDICO.

UN PO' DI PROEMIO.

Io non corro la città in una superba carrozza magnifi-cando ai nobili malati e alle isteriche dame i misteri del-la omeopatia, o consigliando loro le terme degli Euga-nei, le acque di Recoaro o di Biarriz. Avendomi una sin-cera esperienza insegnato a confidare nella virtù di po-chi e volgari rimedi, i farmacisti non m'hanno volutocreare un'alta riputazione e sono sempre restato medicodella povera gente. La cosa che più mi grava dacchè di-venni vecchio, è salir nei soffitti a pericolo sempre dirompermi le gambe, o la testa, a trovarvi ammalatisquallidi, e senza quattrini, a cui la ricetta migliore sa-rebbe un cibo più sano e più sostanzioso.

Jer l'altro, 13 ottobre, fui pregato da una povera don-na a visitare una sua buona amica che giaceva grave-mente ammalata. Non esitai punto e mi rassegnai a sali-re ben cento e venti scalini, finchè in un quinto piano,sopra un miserabile cuccio vidi le sparute sembianze[Pg186] d'una vecchia settuagenaria alla quale si poteva ap-plicare quel verso di Byron:

Guancia di pergamena, occhio di pietra.

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Ella si sforzava a parlare e a spiegarmi i sintomi dellasua malattia, ma dopo poche parole la prese una tosseostinata, sì ch'io l'ho consigliata a tacere. Assiso accantoa lei, procurai di congetturare la qualità del suo male daifenomeni che si alternavano sulla sua faccia. Ho potutosaperne abbastanza quanto alla malattia; ma avvezzo acercar qualche cosa di più, mi parve di ravvisare suquelle sembianze le traccie d'un'antica bellezza e tutti isintomi d'una vita avventurosa, o come direbbero i mo-derni, drammatica. Quel giorno non era cosa prudenteinterrogarla; ma l'indomani, essendosi calmata la tosse,e un po' eccitate le forze vitali, gittai sbadatamente unadomanda sulla passata sua condizione, e le domandai daquanto tempo trovavasi in quella casa.

— Vi nacqui — rispose — e da settant'anni non nesono uscita mai. — Potete credere s'io rimasi balordotrovandomi ingannato a tal segno nelle mie congetture;e fui per mandare al diavolo Lavater e Gall, e la lungamia pratica a indovinare dai lineamenti esterni, le inter-ne rughe dell'animo.

— Nata e vissuta in questa soffitta? — ripresi.

— No signore, — sospirò la vecchia — nacqui nelpian terreno, sotto una scala, e non venni a morire quas-sù, se non passando per una serie di sventure e di guai.Tal quale mi vedete ho avuto anch'io la mia storia, e s'iopotessi narrarvela, la credereste un romanzo. —

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Ella si sforzava a parlare e a spiegarmi i sintomi dellasua malattia, ma dopo poche parole la prese una tosseostinata, sì ch'io l'ho consigliata a tacere. Assiso accantoa lei, procurai di congetturare la qualità del suo male daifenomeni che si alternavano sulla sua faccia. Ho potutosaperne abbastanza quanto alla malattia; ma avvezzo acercar qualche cosa di più, mi parve di ravvisare suquelle sembianze le traccie d'un'antica bellezza e tutti isintomi d'una vita avventurosa, o come direbbero i mo-derni, drammatica. Quel giorno non era cosa prudenteinterrogarla; ma l'indomani, essendosi calmata la tosse,e un po' eccitate le forze vitali, gittai sbadatamente unadomanda sulla passata sua condizione, e le domandai daquanto tempo trovavasi in quella casa.

— Vi nacqui — rispose — e da settant'anni non nesono uscita mai. — Potete credere s'io rimasi balordotrovandomi ingannato a tal segno nelle mie congetture;e fui per mandare al diavolo Lavater e Gall, e la lungamia pratica a indovinare dai lineamenti esterni, le inter-ne rughe dell'animo.

— Nata e vissuta in questa soffitta? — ripresi.

— No signore, — sospirò la vecchia — nacqui nelpian terreno, sotto una scala, e non venni a morire quas-sù, se non passando per una serie di sventure e di guai.Tal quale mi vedete ho avuto anch'io la mia storia, e s'iopotessi narrarvela, la credereste un romanzo. —

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Udendo queste parole restituii nel mio pensiero al fi-sionomo e al frenologo la loro reputazione; e giacchènon aveva alcun'altra visita che mi premesse, e le miegambe sentivano il bisogno di riposarsi, la pregai voles-se mettermi a parte di queste strane avventure, aggiun-gendo,[Pg 187] per celare d'una maschera filosofica la miacuriosità, che forse la conoscenza della sua vita mi gio-verebbe a fare una diagnosi più giusta della sua malattia.

CAPITOLO I.

Pian terreno.

— Quell'oscuro ricettacolo ove abita il portinajo, e vitiene la sua bottega di ciabattino, e vi mangia e vi dormetranquillo finchè gl'inquilini più girandoloni vengano arisvegliarlo, quello mi vide nascere, signor mio, e fu ilteatro della mia giovinezza. Perdetti di cinque anni lamadre, buona donna, di cui conservo un'oscura remini-scenza, e che per bene della sua figlia avrebbe dovutomorire qualche anno più tardi. Restai dunque sotto lacustodia del mio povero padre, che avea bisogno diubriacarsi tutti i giorni, e sotto quella di tutti i servitoridegli appartamenti superiori che andavano e venivanoper quell'andito. Vivace, petulante e facile ad appassio-narmi di tutto, a ridere e a piangere in un minuto, iostuzzicava l'uno, teneva broncio all'altro, danzava sulleginocchia del maggiordomo, e mi avvinghiava colle

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Udendo queste parole restituii nel mio pensiero al fi-sionomo e al frenologo la loro reputazione; e giacchènon aveva alcun'altra visita che mi premesse, e le miegambe sentivano il bisogno di riposarsi, la pregai voles-se mettermi a parte di queste strane avventure, aggiun-gendo,[Pg 187] per celare d'una maschera filosofica la miacuriosità, che forse la conoscenza della sua vita mi gio-verebbe a fare una diagnosi più giusta della sua malattia.

CAPITOLO I.

Pian terreno.

— Quell'oscuro ricettacolo ove abita il portinajo, e vitiene la sua bottega di ciabattino, e vi mangia e vi dormetranquillo finchè gl'inquilini più girandoloni vengano arisvegliarlo, quello mi vide nascere, signor mio, e fu ilteatro della mia giovinezza. Perdetti di cinque anni lamadre, buona donna, di cui conservo un'oscura remini-scenza, e che per bene della sua figlia avrebbe dovutomorire qualche anno più tardi. Restai dunque sotto lacustodia del mio povero padre, che avea bisogno diubriacarsi tutti i giorni, e sotto quella di tutti i servitoridegli appartamenti superiori che andavano e venivanoper quell'andito. Vivace, petulante e facile ad appassio-narmi di tutto, a ridere e a piangere in un minuto, iostuzzicava l'uno, teneva broncio all'altro, danzava sulleginocchia del maggiordomo, e mi avvinghiava colle

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Page 243: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

braccia carezzevoli intorno al suo collo.

Giunta ai dodici anni m'accorsi che tutti mi portavanoun certo affetto; e guardandomi d'attorno io medesima,mi vergognai per la prima volta dei luridi cenci che mivestivano. Io non avea una madre che mi assettasse i ca-pelli e andasse superba di pormi addosso una gonnellanuova ed un nastro intorno alla vita. E vedeva tutti igiorni andar su e giù le fanti e le cameriere[Pg 188] delledame che albergavano nel palazzo tutte linde, tutte ele-ganti da non invidiare le loro padrone. Ne provai una in-dicibile gelosia e posi in opera tutti i mezzi per miglio-rare il mio abbigliamento. Pregai per un fazzoletto, diediun bacio per un vestito, sparsi una lagrima per un grem-biule: ma senza pensare che i vezzi di una donna posso-no formare il suo capitale.

Così passai il terzo lustro della mia vita, divenutal'oggetto di vivaci persecuzioni ai lacchè, di rapida ma-raviglia ai passeggieri, di frivola compiacenza a mio pa-dre, e di sterile compassione alle vecchie dame che mivedevano sulla porta del loro palazzo, e prevedevano lamia perdizione senza darsi pensiero di prevenirla.

Mio padre cedè al soverchio uso del vino, divenneimbecille e morì. Io non avevo pensato mai ch'ei doves-se mancare; e quando lo vidi freddo e inanimato sopra ilsuo letto, potevo appena credere alla realtà della mia di-sgrazia. Quando poi ne fui certa, diedi in dirotte lagrime

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braccia carezzevoli intorno al suo collo.

Giunta ai dodici anni m'accorsi che tutti mi portavanoun certo affetto; e guardandomi d'attorno io medesima,mi vergognai per la prima volta dei luridi cenci che mivestivano. Io non avea una madre che mi assettasse i ca-pelli e andasse superba di pormi addosso una gonnellanuova ed un nastro intorno alla vita. E vedeva tutti igiorni andar su e giù le fanti e le cameriere[Pg 188] delledame che albergavano nel palazzo tutte linde, tutte ele-ganti da non invidiare le loro padrone. Ne provai una in-dicibile gelosia e posi in opera tutti i mezzi per miglio-rare il mio abbigliamento. Pregai per un fazzoletto, diediun bacio per un vestito, sparsi una lagrima per un grem-biule: ma senza pensare che i vezzi di una donna posso-no formare il suo capitale.

Così passai il terzo lustro della mia vita, divenutal'oggetto di vivaci persecuzioni ai lacchè, di rapida ma-raviglia ai passeggieri, di frivola compiacenza a mio pa-dre, e di sterile compassione alle vecchie dame che mivedevano sulla porta del loro palazzo, e prevedevano lamia perdizione senza darsi pensiero di prevenirla.

Mio padre cedè al soverchio uso del vino, divenneimbecille e morì. Io non avevo pensato mai ch'ei doves-se mancare; e quando lo vidi freddo e inanimato sopra ilsuo letto, potevo appena credere alla realtà della mia di-sgrazia. Quando poi ne fui certa, diedi in dirotte lagrime

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e avrei sinceramente desiderato di seguirlo nel suo se-polcro. Povero padre mio. Solamente allora conobbid'aver avuto in te l'unico sostegno della mia vita! Soloallora sentii d'amarti, e forse le lagrime che versai, furo-no il primo tributo della mia tenerezza, che ricevestiquando tu non potevi più goderne.

Viveva al primo piano una vecchia signora mezzocieca la quale aveva bisogno d'una fanciulla chel'accompagnasse alla chiesa. Credette di fare un atto dibeneficenza verso di me che non le fosse infruttuoso deltutto, e m'offerse di prendermi seco. Così di quindicianni io abbandonai il mio giaciglio sotto la scala, e posipiede in un agiato appartamento, abitato dalla mia bene-fattrice e da un nipote erede futuro delle sue ricchezze.Ecco il primo passo che la mia disgrazia, o la mia fortu-na, come vorrete chiamarla, mi fece fare. Io appresi[Pg189] un po' a leggere, a scrivere un vigliettino d'amore:ebbi migliori alimenti, migliori vestiti, e fui salvadall'impertinenze dei venti o trenta servitori che alberga-vano nei cinque piani di questa casa.

CAPITOLO II.

Primo piano.

Ernesto, così chiamavasi il nipote della mia benefat-trice, era un bel giovane biondo, di una salute fievole edelicata, alla quale non avea recato alcun giovamento la

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e avrei sinceramente desiderato di seguirlo nel suo se-polcro. Povero padre mio. Solamente allora conobbid'aver avuto in te l'unico sostegno della mia vita! Soloallora sentii d'amarti, e forse le lagrime che versai, furo-no il primo tributo della mia tenerezza, che ricevestiquando tu non potevi più goderne.

Viveva al primo piano una vecchia signora mezzocieca la quale aveva bisogno d'una fanciulla chel'accompagnasse alla chiesa. Credette di fare un atto dibeneficenza verso di me che non le fosse infruttuoso deltutto, e m'offerse di prendermi seco. Così di quindicianni io abbandonai il mio giaciglio sotto la scala, e posipiede in un agiato appartamento, abitato dalla mia bene-fattrice e da un nipote erede futuro delle sue ricchezze.Ecco il primo passo che la mia disgrazia, o la mia fortu-na, come vorrete chiamarla, mi fece fare. Io appresi[Pg189] un po' a leggere, a scrivere un vigliettino d'amore:ebbi migliori alimenti, migliori vestiti, e fui salvadall'impertinenze dei venti o trenta servitori che alberga-vano nei cinque piani di questa casa.

CAPITOLO II.

Primo piano.

Ernesto, così chiamavasi il nipote della mia benefat-trice, era un bel giovane biondo, di una salute fievole edelicata, alla quale non avea recato alcun giovamento la

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Page 245: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

vita metodica del collegio. La buona zia l'avea richiama-to presso di sè, e lo circondava di tante cure che il pove-ro giovine non avrebbe potuto dimenticare neppure unmomento la sua infermità. Quando io gli ministrava losciloppo di lichene, o il suo bicchiere di latte d'asina,egli fisava sopra di me quei suoi grandi languidi occhiazzurri come aspettasse la sua salute piuttosto dalla miavista, che dalla medicina ch'io gli apprestava. Era im-possibile che non sorgesse negli animi nostri una reci-proca simpatia. Non vi dirò già ch'io l'amassi com'ei miamava: credo anzi che la compassione, l'interesse, laconsuetudine più che l'amor vero m'inducesse a sofferirepazientemente le sue carezze e i suoi giovanili attentati.

Non si maravigli, signor mio, s'io mi servo di questaparola: sofferire. Trasportata da quel misero bugigattoloin un ricco appartamento, io aveva assunto involontaria-mente quel contegno circospetto e schifiltoso ch'io ve-deva prendere alle damigelle di qualità: contegno[Pg 190]che non mi fu difficile conservare, giacchè, come dissi,il mio cuore non era tocco. A questo modo io martoriavasenza saperlo o senza pensarci il povero Ernesto, il qua-le vittima de' miei capricci passava dall'eliso all'abissoin poco volger d'ore, ora credendosi amato, ora accor-gendosi della mia indifferenza per tornar ad illudersiquando mi fosse piaciuto di lusingarlo con uno sguardoo con una dolce parola. Io era ben trista, non è vero?..Ne sono stata severamente punita più tardi, come ledirò, se le piacerà d'ascoltarmi.

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vita metodica del collegio. La buona zia l'avea richiama-to presso di sè, e lo circondava di tante cure che il pove-ro giovine non avrebbe potuto dimenticare neppure unmomento la sua infermità. Quando io gli ministrava losciloppo di lichene, o il suo bicchiere di latte d'asina,egli fisava sopra di me quei suoi grandi languidi occhiazzurri come aspettasse la sua salute piuttosto dalla miavista, che dalla medicina ch'io gli apprestava. Era im-possibile che non sorgesse negli animi nostri una reci-proca simpatia. Non vi dirò già ch'io l'amassi com'ei miamava: credo anzi che la compassione, l'interesse, laconsuetudine più che l'amor vero m'inducesse a sofferirepazientemente le sue carezze e i suoi giovanili attentati.

Non si maravigli, signor mio, s'io mi servo di questaparola: sofferire. Trasportata da quel misero bugigattoloin un ricco appartamento, io aveva assunto involontaria-mente quel contegno circospetto e schifiltoso ch'io ve-deva prendere alle damigelle di qualità: contegno[Pg 190]che non mi fu difficile conservare, giacchè, come dissi,il mio cuore non era tocco. A questo modo io martoriavasenza saperlo o senza pensarci il povero Ernesto, il qua-le vittima de' miei capricci passava dall'eliso all'abissoin poco volger d'ore, ora credendosi amato, ora accor-gendosi della mia indifferenza per tornar ad illudersiquando mi fosse piaciuto di lusingarlo con uno sguardoo con una dolce parola. Io era ben trista, non è vero?..Ne sono stata severamente punita più tardi, come ledirò, se le piacerà d'ascoltarmi.

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Questa specie di altalena alla quale i miei capricci e lamia civetteria condannavano il povero Ernesto, dovetteinfluire sinistramente sulla debole sua salute, cosicchèdopo alcuni mesi ei fu costretto dai medici a mettersi inletto, dal quale non doveva uscire che per passare al se-polcro. Egli abbandonava il languido capo sul suo cusci-no, e le sue guancie pallide si soffondevano tratto trattodi quella porpora che annuncia già prossimo lo stadiofatale. La sua zia pregava assiduamente perchè egli po-tesse sopravviverle, ereditare i suoi beni, trasmettere ilsuo nome ad altre generazioni. Povera signora! Le suepreghiere non dovevano essere esaudite.

Quanto ad Ernesto, egli non conosceva, come accade,il suo stato; anzi sperava sempre nell'indomani, e perse-verando sempre ad amarmi, gli pareva che s'io l'avessiriamato, avrebbe in un momento ripigliato le forze e lasanità. Un giorno comunicò alla zia l'amore che mi por-tava, e il progetto di unirsi meco in matrimonio. La vec-chia trattò sulle prime questa dichiarazione come uno diquei vaghi e mutabili desiderii che assalgono i tisici, etemporeggiò. Questa misura accrebbe i tormenti del gio-vine e spinse agli estremi la sua malattia: cosicchè lavecchia, quando non fu più tempo, vinta dai suoi scru-poli e dalla forte affezione che gli portava,[Pg 191] condi-scese ch'io fossi dichiarata sua sposa; ed egli mi posel'anello nuziale alla sponda di quel medesimo letto, sulquale due giorni dopo giaceva freddo cadavere.

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Questa specie di altalena alla quale i miei capricci e lamia civetteria condannavano il povero Ernesto, dovetteinfluire sinistramente sulla debole sua salute, cosicchèdopo alcuni mesi ei fu costretto dai medici a mettersi inletto, dal quale non doveva uscire che per passare al se-polcro. Egli abbandonava il languido capo sul suo cusci-no, e le sue guancie pallide si soffondevano tratto trattodi quella porpora che annuncia già prossimo lo stadiofatale. La sua zia pregava assiduamente perchè egli po-tesse sopravviverle, ereditare i suoi beni, trasmettere ilsuo nome ad altre generazioni. Povera signora! Le suepreghiere non dovevano essere esaudite.

Quanto ad Ernesto, egli non conosceva, come accade,il suo stato; anzi sperava sempre nell'indomani, e perse-verando sempre ad amarmi, gli pareva che s'io l'avessiriamato, avrebbe in un momento ripigliato le forze e lasanità. Un giorno comunicò alla zia l'amore che mi por-tava, e il progetto di unirsi meco in matrimonio. La vec-chia trattò sulle prime questa dichiarazione come uno diquei vaghi e mutabili desiderii che assalgono i tisici, etemporeggiò. Questa misura accrebbe i tormenti del gio-vine e spinse agli estremi la sua malattia: cosicchè lavecchia, quando non fu più tempo, vinta dai suoi scru-poli e dalla forte affezione che gli portava,[Pg 191] condi-scese ch'io fossi dichiarata sua sposa; ed egli mi posel'anello nuziale alla sponda di quel medesimo letto, sulquale due giorni dopo giaceva freddo cadavere.

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Eccomi dunque vedova prima che moglie, ed obbliga-ta a vestire il lutto per la morte del marito, prima che laghirlanda nuziale avesse incoronato il mio capo.

Non le dirò di non aver sentita nell'animo mio questaperdita. A sedici anni, non può fare che un fondo di bon-tà non tenga il luogo dell'amore nell'animo di una fan-ciulla. Io piansi anche, ma non tanto che le lagrime nuo-cessero alla freschezza de' miei colori. Mi trovai fattasegno a mille discorsi; e questa specie di celebrità migiovò a progredire nella mia carriera, finchè mi trovai,di là a pochi mesi, nel piano superiore fidanzata al vec-chio marchese di Roccabruna.

CAPITOLO III.

Secondo piano.

— Ella è forestiero, signor dottore, e mi conviene rac-contarle un po' per le lunghe alcune circostanze dellamia vita che per un tratto di tempo misero in faccendatutte le lingue della nostra città. Io vestiva ancora a bru-no per la mia singolare vedovanza, quando ricevetti lavisita del marchese Alfredo di Roccabruna, nobile sici-liano, che avea da un anno preso a pigione l'appartamen-to più ricco di questa casa. Quando io dovetti restituirela visita rimasi abbagliata dal lusso che vi regnava, dailucidi mobili di bois de rose, dai tappeti di Persia ondeerano coperti i pavimenti di quelle[Pg 192] stanze. Il vec-

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Eccomi dunque vedova prima che moglie, ed obbliga-ta a vestire il lutto per la morte del marito, prima che laghirlanda nuziale avesse incoronato il mio capo.

Non le dirò di non aver sentita nell'animo mio questaperdita. A sedici anni, non può fare che un fondo di bon-tà non tenga il luogo dell'amore nell'animo di una fan-ciulla. Io piansi anche, ma non tanto che le lagrime nuo-cessero alla freschezza de' miei colori. Mi trovai fattasegno a mille discorsi; e questa specie di celebrità migiovò a progredire nella mia carriera, finchè mi trovai,di là a pochi mesi, nel piano superiore fidanzata al vec-chio marchese di Roccabruna.

CAPITOLO III.

Secondo piano.

— Ella è forestiero, signor dottore, e mi conviene rac-contarle un po' per le lunghe alcune circostanze dellamia vita che per un tratto di tempo misero in faccendatutte le lingue della nostra città. Io vestiva ancora a bru-no per la mia singolare vedovanza, quando ricevetti lavisita del marchese Alfredo di Roccabruna, nobile sici-liano, che avea da un anno preso a pigione l'appartamen-to più ricco di questa casa. Quando io dovetti restituirela visita rimasi abbagliata dal lusso che vi regnava, dailucidi mobili di bois de rose, dai tappeti di Persia ondeerano coperti i pavimenti di quelle[Pg 192] stanze. Il vec-

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chio furbo, il quale conosceva la vanità femminile edaveva imparato qual sia la porta per cui diamo accessoall'amore, non mancò di far pompa di tutti quei ricchi eseducenti apparati. Alle corte: egli mi offerì la suamano. Io chiusi gli occhi alle grinze che lo coprivano,alle sue narici corrose, diceva, da' suoi viaggi di mare, etenendoli volti a quei candelabri, a quegli arazzi, a quellusso delicato ed elegante, strinsi quella mano chem'offeriva, e condiscesi ad esser sua moglie, quando iltempo che le convenienze prescrivono al lutto, fossepassato. D'altronde egli pure doveva aspettar certi docu-menti dal suo governo, senza i quali non potevano averluogo le nunziali formalità.

Intanto egli mi presentò alla società col titolo di suasposa, mi trovai fatta segno di onori, di adorazione: nonc'era festa a cui non fossi invitata: tutte le barriere ari-stocratiche cederono all'onnipossente forza dell'oro. Leassicuro che quando il mio cocchio scorreva strepitandonell'atrio della mia casa, io sentiva in me stessa un certoche di strano e d'indefinibile che non è agevole a imagi-nare. In pochi anni la ruota della fortuna m'aveva tra-sportata dal posto più infimo al più sublime. Io avrei vo-luto allontanarmi da quel luogo che mi ricordava la bas-sa mia origine: ma parea che il destino mi condannassead averlo sempre presente! Me felice se avessi saputoapprofittarne.

Dalla loggia più nobile io assisteva sovente ai pubbli-

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chio furbo, il quale conosceva la vanità femminile edaveva imparato qual sia la porta per cui diamo accessoall'amore, non mancò di far pompa di tutti quei ricchi eseducenti apparati. Alle corte: egli mi offerì la suamano. Io chiusi gli occhi alle grinze che lo coprivano,alle sue narici corrose, diceva, da' suoi viaggi di mare, etenendoli volti a quei candelabri, a quegli arazzi, a quellusso delicato ed elegante, strinsi quella mano chem'offeriva, e condiscesi ad esser sua moglie, quando iltempo che le convenienze prescrivono al lutto, fossepassato. D'altronde egli pure doveva aspettar certi docu-menti dal suo governo, senza i quali non potevano averluogo le nunziali formalità.

Intanto egli mi presentò alla società col titolo di suasposa, mi trovai fatta segno di onori, di adorazione: nonc'era festa a cui non fossi invitata: tutte le barriere ari-stocratiche cederono all'onnipossente forza dell'oro. Leassicuro che quando il mio cocchio scorreva strepitandonell'atrio della mia casa, io sentiva in me stessa un certoche di strano e d'indefinibile che non è agevole a imagi-nare. In pochi anni la ruota della fortuna m'aveva tra-sportata dal posto più infimo al più sublime. Io avrei vo-luto allontanarmi da quel luogo che mi ricordava la bas-sa mia origine: ma parea che il destino mi condannassead averlo sempre presente! Me felice se avessi saputoapprofittarne.

Dalla loggia più nobile io assisteva sovente ai pubbli-

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ci spettacoli, e all'opera più volentieri: sia che mi allet-tasse la novità, sia perchè l'opera è quel genere di rap-presentazione che esige minor coltura ad essere gustato.Ed io, comecchè sostenuta da un po' di spirito naturale,era pur sempre la figlia del calzolaio. Cantava negliOrazi di Cimarosa il basso Ferrari. M'innamorai pazza-mente del suo fare, della sua voce, forse delle sue[Pg 193]vesti. Colsi il momento che il marchese s'era allontanatodalla città, e rientrai una sera in compagnia dell'amante.

Entrando fragorosamente nell'atrio, una ruota del coc-chio urtò nell'angolo della baracca dov'ero nata. Un geli-do presentimento m'entrò nel cuore, ma una carezzad'Orazio rassicurommi, e sostenuta dal suo braccio saliivolando le scale, e i piedi d'un cantante calcarono i tap-peti del mio nobile sposo.

Egli lo seppe. Volle rimproverarmene: non era piùtempo. Io era invasata, impazzita, innamorata. Il terzopiano di quella casa medesima era appigionabile: io su-perai altri dieci scalini, e mi parve di toccar il cielo coldito, quando libera da ogni riguardo, ho potuto abbando-narmi in braccio alla mia passione. —

Qui sopraggiunse alla vecchia avventuriera un forteaccesso di tosse che minacciò di distruggere ogni mi-glioramento. Io non le permisi di seguitare il suo rac-conto, e ne fu rimessa la fine al domani.

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ci spettacoli, e all'opera più volentieri: sia che mi allet-tasse la novità, sia perchè l'opera è quel genere di rap-presentazione che esige minor coltura ad essere gustato.Ed io, comecchè sostenuta da un po' di spirito naturale,era pur sempre la figlia del calzolaio. Cantava negliOrazi di Cimarosa il basso Ferrari. M'innamorai pazza-mente del suo fare, della sua voce, forse delle sue[Pg 193]vesti. Colsi il momento che il marchese s'era allontanatodalla città, e rientrai una sera in compagnia dell'amante.

Entrando fragorosamente nell'atrio, una ruota del coc-chio urtò nell'angolo della baracca dov'ero nata. Un geli-do presentimento m'entrò nel cuore, ma una carezzad'Orazio rassicurommi, e sostenuta dal suo braccio saliivolando le scale, e i piedi d'un cantante calcarono i tap-peti del mio nobile sposo.

Egli lo seppe. Volle rimproverarmene: non era piùtempo. Io era invasata, impazzita, innamorata. Il terzopiano di quella casa medesima era appigionabile: io su-perai altri dieci scalini, e mi parve di toccar il cielo coldito, quando libera da ogni riguardo, ho potuto abbando-narmi in braccio alla mia passione. —

Qui sopraggiunse alla vecchia avventuriera un forteaccesso di tosse che minacciò di distruggere ogni mi-glioramento. Io non le permisi di seguitare il suo rac-conto, e ne fu rimessa la fine al domani.

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CAPITOLO IV.

Terzo piano.

La notte avea calmato il dolor fisico che aggravava ilpetto alla mia singolare ammalata: ma il racconto dellesue avventure incominciato il giorno innanzi, benchènon era probabile ch'io ne fossi il primo depositario, leavea lasciato sul volto le tracce d'un profondo abbatti-mento morale. Ella mi espose il suo stato e come avessepassato la notte, ma pareva disposta a lasciarmi partiresenza riprendere il filo del suo discorso. Nè io certamen-te[Pg 194] l'avrei forzata a seguire, non volendo per tuttol'oro del mondo ritentare la piaga che non sembrava an-cora cicatrizzata. Nessun maggior dolore che ricordarsidel tempo felice nelle miserie.... se pure poteva dirsi fe-lice quel tempo che ella s'era vista trabalzare dalla fortu-na in sì rapida vicenda di condizioni.

Quando fui per congedarmi, e prendevo il cappello ela mazza in un angolo di quell'oscura soffitta, ella mi se-guì collo sguardo, e quasi se ne fosse ricordata in quelpunto: — Non volete — disse — udire il seguito dellamia storia?

— Io credeva d'esser troppo indiscreto a domandarve-ne, buona donna. D'altronde non mancherà tempo.

— No, no, riprese, io voglio dirvi tutto, e se ne pro-

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CAPITOLO IV.

Terzo piano.

La notte avea calmato il dolor fisico che aggravava ilpetto alla mia singolare ammalata: ma il racconto dellesue avventure incominciato il giorno innanzi, benchènon era probabile ch'io ne fossi il primo depositario, leavea lasciato sul volto le tracce d'un profondo abbatti-mento morale. Ella mi espose il suo stato e come avessepassato la notte, ma pareva disposta a lasciarmi partiresenza riprendere il filo del suo discorso. Nè io certamen-te[Pg 194] l'avrei forzata a seguire, non volendo per tuttol'oro del mondo ritentare la piaga che non sembrava an-cora cicatrizzata. Nessun maggior dolore che ricordarsidel tempo felice nelle miserie.... se pure poteva dirsi fe-lice quel tempo che ella s'era vista trabalzare dalla fortu-na in sì rapida vicenda di condizioni.

Quando fui per congedarmi, e prendevo il cappello ela mazza in un angolo di quell'oscura soffitta, ella mi se-guì collo sguardo, e quasi se ne fosse ricordata in quelpunto: — Non volete — disse — udire il seguito dellamia storia?

— Io credeva d'esser troppo indiscreto a domandarve-ne, buona donna. D'altronde non mancherà tempo.

— No, no, riprese, io voglio dirvi tutto, e se ne pro-

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vassi qualche acerba trafittura, la risguarderò come unasalutare espiazione delle mie follie, e de' miei travia-menti. —

Io mi sedetti, e senza aggiunger parola mi posi adascoltare.

— Quel tristo presagio che mi colpì ritornando dalteatro, s'avverò nella maniera la più crudele.

La morte del povero Ernesto che forse era stata affret-tata da' miei capricci voleva una vendetta, ed io la pro-vai condannata ad amare, alla mia volta, con tutta la for-za dell'anima, con la piena certezza di profondere i teso-ri della mia tenerezza ad un uomo che non sapeva, e for-se non poteva apprezzarla. Io aveva sacrificato al nuovomio amante un ricco e splendido collocamento: egli nondovea pagarmi ben presto che della più nera ingratitudi-ne. Io vissi con esso lui più mesi bevendo nei suoi occhil'amore e inebriandomi degli applausi che il pubblicotributava al suo canto: non avrei cangiato la mia sortecon chicchessia. Mi avvenne allora di fare la conoscen-za della celebre Catalani, la quale nella prima[Pg 195] au-rora della sua gloria, divideva i trionfi del mio tiranno.Io aveva sortito dalla natura una buona voce. Sedotta dalclamoroso successo che la musica cominciava a ottene-re, lusingata dalla speranza di parteciparne i trionfi, in-coraggiata dalla medesima Catalani, forzata da colui, lacui volontà m'era divenuta comando, io presi alquante

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vassi qualche acerba trafittura, la risguarderò come unasalutare espiazione delle mie follie, e de' miei travia-menti. —

Io mi sedetti, e senza aggiunger parola mi posi adascoltare.

— Quel tristo presagio che mi colpì ritornando dalteatro, s'avverò nella maniera la più crudele.

La morte del povero Ernesto che forse era stata affret-tata da' miei capricci voleva una vendetta, ed io la pro-vai condannata ad amare, alla mia volta, con tutta la for-za dell'anima, con la piena certezza di profondere i teso-ri della mia tenerezza ad un uomo che non sapeva, e for-se non poteva apprezzarla. Io aveva sacrificato al nuovomio amante un ricco e splendido collocamento: egli nondovea pagarmi ben presto che della più nera ingratitudi-ne. Io vissi con esso lui più mesi bevendo nei suoi occhil'amore e inebriandomi degli applausi che il pubblicotributava al suo canto: non avrei cangiato la mia sortecon chicchessia. Mi avvenne allora di fare la conoscen-za della celebre Catalani, la quale nella prima[Pg 195] au-rora della sua gloria, divideva i trionfi del mio tiranno.Io aveva sortito dalla natura una buona voce. Sedotta dalclamoroso successo che la musica cominciava a ottene-re, lusingata dalla speranza di parteciparne i trionfi, in-coraggiata dalla medesima Catalani, forzata da colui, lacui volontà m'era divenuta comando, io presi alquante

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lezioni di canto, ed apersi una soirée settimanale nellemie stanze, nella quale doveva dar saggio delle mie for-ze e della mia virtù musicale.

Alcuni ricchi inglesi dilettanti di canto e splendidi do-natori vennero a tributare alla mia voce e più forse allamia bellezza i loro omaggi. In pochi mesi io mi trovairicca quanto bastava a poter condurre tranquillamente ilresto della mia vita con lui. Ma non era già questo il suopensiero. Egli voleva ch'io battessi assolutamente il tea-tro; m'indusse a realizzare tutto quello ch'io possedevain virtù del primo mio matrimonio, ed io mi lasciai in-durre ad affrontare il giudizio d'un pubblico, il quale eragià reso difficile dal merito eminente della Catalani.Quel mostro al quale m'abbandonavo colla più spensie-rata fiducia, dovea certamente aver preveduto l'obbro-brio a cui i suoi consigli m'avevano esposta. Io non fuirisparmiata dal pubblico; ho raccolto fin dalla primasera una larga mèsse di fischi, ben dovuti alla mia pre-sunzione. Chiusa nella carrozza io me ne ritornava almio terzo piano, e aveva bisogno di nascondere il miocapo avvilito in seno dell'amicizia e dell'amore. Delusa!L'appartamento era stato improvvisamente spogliato deipiù ricchi ornamenti; le mie gemme, i miei tesori, tuttom'era stato rapito. Voi v'immaginate da chi. Una naveche stava alla vela trasportava per l'alto mare tutte lemie ricchezze, tutte le mie speranze, l'ultimo filo che milegava ancora alla vita, e che avrebbe forse potuto con-durmi a salvamento.

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lezioni di canto, ed apersi una soirée settimanale nellemie stanze, nella quale doveva dar saggio delle mie for-ze e della mia virtù musicale.

Alcuni ricchi inglesi dilettanti di canto e splendidi do-natori vennero a tributare alla mia voce e più forse allamia bellezza i loro omaggi. In pochi mesi io mi trovairicca quanto bastava a poter condurre tranquillamente ilresto della mia vita con lui. Ma non era già questo il suopensiero. Egli voleva ch'io battessi assolutamente il tea-tro; m'indusse a realizzare tutto quello ch'io possedevain virtù del primo mio matrimonio, ed io mi lasciai in-durre ad affrontare il giudizio d'un pubblico, il quale eragià reso difficile dal merito eminente della Catalani.Quel mostro al quale m'abbandonavo colla più spensie-rata fiducia, dovea certamente aver preveduto l'obbro-brio a cui i suoi consigli m'avevano esposta. Io non fuirisparmiata dal pubblico; ho raccolto fin dalla primasera una larga mèsse di fischi, ben dovuti alla mia pre-sunzione. Chiusa nella carrozza io me ne ritornava almio terzo piano, e aveva bisogno di nascondere il miocapo avvilito in seno dell'amicizia e dell'amore. Delusa!L'appartamento era stato improvvisamente spogliato deipiù ricchi ornamenti; le mie gemme, i miei tesori, tuttom'era stato rapito. Voi v'immaginate da chi. Una naveche stava alla vela trasportava per l'alto mare tutte lemie ricchezze, tutte le mie speranze, l'ultimo filo che milegava ancora alla vita, e che avrebbe forse potuto con-durmi a salvamento.

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[Pg 196]

Non mi fu possibile aver più contezza di quell'infame.L'avvilimento e l'obbrobrio mi circondavano; il puntofavorevole della mia fortuna era passato per non tornarpiù. Mi gittai di là a pochi giorni sul letto deserto doveuna lunga malattia distrusse le reliquie della mia bellez-za, e quel poco di denaro che lo scellerato non avevaavuto il tempo di portar seco. Convalescente ancora do-vetti sloggiare da quell'appartamento ed ebbi un ricove-ro presso una vedova che viveva con due figliuole nelquarto piano di questa medesima casa: qui sotto, signormio, sotto questo miserabile granaio che mi aspettavanell'ultimo stadio della mia vita.

CAPITOLO V.

Quarto piano.

Il mio soggiorno nel primo, nel secondo e nel terzopiano di questa casa, non può chiamarsi che un rapidopassaggio; e queste splendide reminiscenze passano nel-la mia immaginazione come una veloce fantasmagoria.Il quarto piano doveva offerirmi un asilo più modesto epiù lungo, tanto che rispondesse ai primi quindici annid'innocenza e di noncuranza; quando avevo un padre, unpadre come ve lo descrissi, ma pure un padre. Oh! vel'assicuro, signor dottore, io darei tutta la mia vita, com-prese quell'epoche più venturose, per un solo di quei

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Non mi fu possibile aver più contezza di quell'infame.L'avvilimento e l'obbrobrio mi circondavano; il puntofavorevole della mia fortuna era passato per non tornarpiù. Mi gittai di là a pochi giorni sul letto deserto doveuna lunga malattia distrusse le reliquie della mia bellez-za, e quel poco di denaro che lo scellerato non avevaavuto il tempo di portar seco. Convalescente ancora do-vetti sloggiare da quell'appartamento ed ebbi un ricove-ro presso una vedova che viveva con due figliuole nelquarto piano di questa medesima casa: qui sotto, signormio, sotto questo miserabile granaio che mi aspettavanell'ultimo stadio della mia vita.

CAPITOLO V.

Quarto piano.

Il mio soggiorno nel primo, nel secondo e nel terzopiano di questa casa, non può chiamarsi che un rapidopassaggio; e queste splendide reminiscenze passano nel-la mia immaginazione come una veloce fantasmagoria.Il quarto piano doveva offerirmi un asilo più modesto epiù lungo, tanto che rispondesse ai primi quindici annid'innocenza e di noncuranza; quando avevo un padre, unpadre come ve lo descrissi, ma pure un padre. Oh! vel'assicuro, signor dottore, io darei tutta la mia vita, com-prese quell'epoche più venturose, per un solo di quei

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Page 254: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

giorni, tutte le gioie inebrianti dell'amore e dell'ambizio-ne, per una di quelle carezze infantili; tutte le gemmeche circondarono le mie braccia e la mia fronte per unodi quei nastri ch'io ricevevo senza rimorso![Pg 197] Nelquarto piano mi trovai inopinatamente madre di quelledue sfortunate le quali perdettero da lì a poco tempo lapropria. Vi lascio immaginare quali tristi esperienze delmondo e della società io doveva comunicare alle due so-relle le quali avendo esercitato il mestiere di crestaie,erano pur troppo disposte a trarne profitto.... Non sistanchi la vostra pazienza d'ascoltare lo stadio più com-passionevole della mia carriera, la storia dei vent'annich'io passai con esse e poi.... resterà libero al vostro cuo-re di concedermi una lagrima di pietà o l'ultima esecra-zione che aggraverà la miavita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Quando io fui a questo punto del giornale manoscrittoche per caso m'era capitato alle mani, e cominciavo aprovare un vivo interesse, voltai carta, desideroso di co-noscere la fine di questa storia o romanzo che fosse. Mail foglio susseguente era stracciato, e misi invano sosso-pra tutto quello scartafaccio, e tutto lo scrittoio del buondottore per rinvenirlo. Dovetti starmi contento a formarele mie supposizioni, e a completare colla fantasia la lun-ga lacuna. Ma siccome io posso aver fatto qualche giu-dizio temerario, non vorrei rendermene responsabilepresso i miei lettori, e lascio all'immaginazione di cia-scheduno la libertà d'indovinare ciò che manca.

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giorni, tutte le gioie inebrianti dell'amore e dell'ambizio-ne, per una di quelle carezze infantili; tutte le gemmeche circondarono le mie braccia e la mia fronte per unodi quei nastri ch'io ricevevo senza rimorso![Pg 197] Nelquarto piano mi trovai inopinatamente madre di quelledue sfortunate le quali perdettero da lì a poco tempo lapropria. Vi lascio immaginare quali tristi esperienze delmondo e della società io doveva comunicare alle due so-relle le quali avendo esercitato il mestiere di crestaie,erano pur troppo disposte a trarne profitto.... Non sistanchi la vostra pazienza d'ascoltare lo stadio più com-passionevole della mia carriera, la storia dei vent'annich'io passai con esse e poi.... resterà libero al vostro cuo-re di concedermi una lagrima di pietà o l'ultima esecra-zione che aggraverà la miavita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Quando io fui a questo punto del giornale manoscrittoche per caso m'era capitato alle mani, e cominciavo aprovare un vivo interesse, voltai carta, desideroso di co-noscere la fine di questa storia o romanzo che fosse. Mail foglio susseguente era stracciato, e misi invano sosso-pra tutto quello scartafaccio, e tutto lo scrittoio del buondottore per rinvenirlo. Dovetti starmi contento a formarele mie supposizioni, e a completare colla fantasia la lun-ga lacuna. Ma siccome io posso aver fatto qualche giu-dizio temerario, non vorrei rendermene responsabilepresso i miei lettori, e lascio all'immaginazione di cia-scheduno la libertà d'indovinare ciò che manca.

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Il giornale ripigliava con queste parole ch'io pongoreligiosamente come leritrovai. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . c'ingiunse di lasciar liberequelle stanze ch'egli aveva intenzione di purgar da ognimal odore, affittandole a un povero ritrattista che sareb-be venuto ad abitarvi fra otto giorni in compagnia dellasua onesta e virtuosa famiglia.

— E così — soggiunsi io — voi saliste ancora al-quanti gradini e veniste ad abitare il soffitto di questacasa.

[Pg 198]

— Appunto signore, — rispose la vecchia — e qui di-moro fin da quel tempo, guadagnando il pane colle miemani, un pane scarso ed incerto, bagnato dai miei sudorie dalle mie lagrime, le quali se basteranno mai ad espiarle mie colpe, non potranno così facilmente eguagliar lagravezza delle mie miserie. Io ho l'ufficio di spazzar tut-ti i giorni quei cento e venti scalini che voi aveste labontà di salire per recarmi i vostri conforti, e che perquanto gravi vi siano parsi, non potrebbero mai suscitar-vi la centesima parte dell'amarezza che risveglianonell'anima della povera Margherita.

— Consolatevi — io dissi: — meglio un pane guada-gnato colle proprie fatiche, che una ricca fortuna da do-versi scontare co' rimorsi. Finalmente questa casa non

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Il giornale ripigliava con queste parole ch'io pongoreligiosamente come leritrovai. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . c'ingiunse di lasciar liberequelle stanze ch'egli aveva intenzione di purgar da ognimal odore, affittandole a un povero ritrattista che sareb-be venuto ad abitarvi fra otto giorni in compagnia dellasua onesta e virtuosa famiglia.

— E così — soggiunsi io — voi saliste ancora al-quanti gradini e veniste ad abitare il soffitto di questacasa.

[Pg 198]

— Appunto signore, — rispose la vecchia — e qui di-moro fin da quel tempo, guadagnando il pane colle miemani, un pane scarso ed incerto, bagnato dai miei sudorie dalle mie lagrime, le quali se basteranno mai ad espiarle mie colpe, non potranno così facilmente eguagliar lagravezza delle mie miserie. Io ho l'ufficio di spazzar tut-ti i giorni quei cento e venti scalini che voi aveste labontà di salire per recarmi i vostri conforti, e che perquanto gravi vi siano parsi, non potrebbero mai suscitar-vi la centesima parte dell'amarezza che risveglianonell'anima della povera Margherita.

— Consolatevi — io dissi: — meglio un pane guada-gnato colle proprie fatiche, che una ricca fortuna da do-versi scontare co' rimorsi. Finalmente questa casa non

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ha alcun piano superiore che vi resti a salire.

— Tranne il cielo — rispose piangendo la vecchiacon una tal aria di compunzione che poteva renderla de-gna di questa novissima delle umane speranze.

POSCRITTO.

C'era nel giornale una data assai posteriore che suo-nava così: Margherita B. nata nel 1712 in una baraccaposta al pian terreno d'una casa di questa città, passatasuccessivamente al primo, al secondo, al terzo ed alquarto piano della medesima, cessava di vivere nel 1770per una lenta febbre cagionata non tanto dalle assiduefatiche, quanto da una condizione morale che si può de-sumere dalla sua storia. Le mie cure e i soccorsi d'unamano benefica sconosciuta poterono protrarre d'alcunianni la sua vita che veniva meno ogni giorno, finchè[Pg199] chiuse gli occhi più tranquillamente che forse nonavrebbe potuto sperare. Era stata vittima di un vivacecarattere, lasciata in balìa dei suoi capricci, senza alcunaeducazione, e senza la tutela d'una madre che potessesupplirvi colle virtù dell'esempio e dell'affetto. Un amo-re corrisposto per civetteria, un altro tradito per egoismofurono i due fatti che la sospinsero nell'abisso. La manodella sventura e la voce dei rimorsi aggravarono gli ulti-mi anni della sua vita, restituendole però quella placidarassegnazione che la rese meno infelice. Le sue stranevicende ebbero teatro, e si legano per modo ai varii ap-

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ha alcun piano superiore che vi resti a salire.

— Tranne il cielo — rispose piangendo la vecchiacon una tal aria di compunzione che poteva renderla de-gna di questa novissima delle umane speranze.

POSCRITTO.

C'era nel giornale una data assai posteriore che suo-nava così: Margherita B. nata nel 1712 in una baraccaposta al pian terreno d'una casa di questa città, passatasuccessivamente al primo, al secondo, al terzo ed alquarto piano della medesima, cessava di vivere nel 1770per una lenta febbre cagionata non tanto dalle assiduefatiche, quanto da una condizione morale che si può de-sumere dalla sua storia. Le mie cure e i soccorsi d'unamano benefica sconosciuta poterono protrarre d'alcunianni la sua vita che veniva meno ogni giorno, finchè[Pg199] chiuse gli occhi più tranquillamente che forse nonavrebbe potuto sperare. Era stata vittima di un vivacecarattere, lasciata in balìa dei suoi capricci, senza alcunaeducazione, e senza la tutela d'una madre che potessesupplirvi colle virtù dell'esempio e dell'affetto. Un amo-re corrisposto per civetteria, un altro tradito per egoismofurono i due fatti che la sospinsero nell'abisso. La manodella sventura e la voce dei rimorsi aggravarono gli ulti-mi anni della sua vita, restituendole però quella placidarassegnazione che la rese meno infelice. Le sue stranevicende ebbero teatro, e si legano per modo ai varii ap-

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partamenti ch'ella abitò, che la sua storia può chiamarsisenza stranezza: la storia d'una casa.

[Pg 200]

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partamenti ch'ella abitò, che la sua storia può chiamarsisenza stranezza: la storia d'una casa.

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LA GIARDINIERA DELLE MALE ERBE.

I.

Chi di voi, cari amici, non è stato testimonio d'alcunodi quegli atti di spensierata crudeltà onde i fanciulli so-gliono aggravar la disgrazia di un loro compagno mal-trattato dalla sorte o dalla natura?

Non sono molti anni mi accadde di trovarmi presentead una di queste scene. Un povero nanino contraffattodella persona, mentre passava per la via frettoloso,s'imbattè in uno stormo di scolarucci che, come uccellifuggiti di gabbia, scorrazzavano per la via. Urtato nonso se a caso o per beffa da alcuno di quegli storditi, silasciò cadere di mano un boccettino ch'era ito a cercarealla farmacia. Il dolore e la collera che ne provò si mani-festarono con modi così grotteschi, che i monelli, anzi-chè prenderne compassione, cominciarono a riderne e amotteggiarlo. Non era la prima volta che si divertivanoalle sue spalle, poichè alcuno di que' tristarelli lo inter-pellò come una vecchia sua conoscenza. — Che hai,Squasimo'? — disse questi, storpiando per ischerno ilnome del gobbino, che, come seppi, era Cosimo. —Gran disgrazia per guaire sì alto! O che c'era nell'orcio?— Nulla, nulla: — soggiunse un altro — t'aiuteremo araccogliere i cocci: — e così dicendo, l'urtava e gittava aterra.

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LA GIARDINIERA DELLE MALE ERBE.

I.

Chi di voi, cari amici, non è stato testimonio d'alcunodi quegli atti di spensierata crudeltà onde i fanciulli so-gliono aggravar la disgrazia di un loro compagno mal-trattato dalla sorte o dalla natura?

Non sono molti anni mi accadde di trovarmi presentead una di queste scene. Un povero nanino contraffattodella persona, mentre passava per la via frettoloso,s'imbattè in uno stormo di scolarucci che, come uccellifuggiti di gabbia, scorrazzavano per la via. Urtato nonso se a caso o per beffa da alcuno di quegli storditi, silasciò cadere di mano un boccettino ch'era ito a cercarealla farmacia. Il dolore e la collera che ne provò si mani-festarono con modi così grotteschi, che i monelli, anzi-chè prenderne compassione, cominciarono a riderne e amotteggiarlo. Non era la prima volta che si divertivanoalle sue spalle, poichè alcuno di que' tristarelli lo inter-pellò come una vecchia sua conoscenza. — Che hai,Squasimo'? — disse questi, storpiando per ischerno ilnome del gobbino, che, come seppi, era Cosimo. —Gran disgrazia per guaire sì alto! O che c'era nell'orcio?— Nulla, nulla: — soggiunse un altro — t'aiuteremo araccogliere i cocci: — e così dicendo, l'urtava e gittava aterra.

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— La mia medicina! — strillava il misero — la miamedicina!

— Ci vuole altro che una medicina per raddrizzarti lereni! — E qui uno scroscio di risa generali, quasi a nes-suno potesse venire in mente il vero motivo di quella di-sperazione.

— Consolati, Cosimodo! Tanto e tanto morresti gob-bo. —

Il povero tribolatello, avvezzo senza dubbio a queglischerni, guardava immobile, trasognato la boccia infran-ta senza badare alle beffe crescenti di quegli sgarbati.Ma tutt'ad un tratto perdè la pazienza, e mutando attitu-dine ed espressione: — Bene! — esclamò: — l'aveterotta: affè di Dio, la pagherete. Fuori tutti i quattrini cheavete in tasca! Voi siete ricchi, voi. Datemi il denaro perprenderne un'altra, e presto; se no, vi mostrerò che lemie mani son sane. —

L'improvviso mutamento e la strana pretesa del nanofurono accolti, come è da credere, con nuove risa.

— Piglia, Cosimo. Quanto vuoi? — disse il più ma-riuolo, e sporgendogli il pugno chiuso come per darglialcun che, gli assestò un sorgozzone di sotto al mento.Fu il segno di una mischia inuguale fra cinque o sei de'

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— La mia medicina! — strillava il misero — la miamedicina!

— Ci vuole altro che una medicina per raddrizzarti lereni! — E qui uno scroscio di risa generali, quasi a nes-suno potesse venire in mente il vero motivo di quella di-sperazione.

— Consolati, Cosimodo! Tanto e tanto morresti gob-bo. —

Il povero tribolatello, avvezzo senza dubbio a queglischerni, guardava immobile, trasognato la boccia infran-ta senza badare alle beffe crescenti di quegli sgarbati.Ma tutt'ad un tratto perdè la pazienza, e mutando attitu-dine ed espressione: — Bene! — esclamò: — l'aveterotta: affè di Dio, la pagherete. Fuori tutti i quattrini cheavete in tasca! Voi siete ricchi, voi. Datemi il denaro perprenderne un'altra, e presto; se no, vi mostrerò che lemie mani son sane. —

L'improvviso mutamento e la strana pretesa del nanofurono accolti, come è da credere, con nuove risa.

— Piglia, Cosimo. Quanto vuoi? — disse il più ma-riuolo, e sporgendogli il pugno chiuso come per darglialcun che, gli assestò un sorgozzone di sotto al mento.Fu il segno di una mischia inuguale fra cinque o sei de'

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più scapestrati, e il povero Cosimo che, tra per la perditafatta, tra per l'ingiustizia di quegli oltraggi, era venutouna furia.

Un pittore ch'era con me, dilettante di quelle scenem'aveva trattenuto dall'intervenire a tempo fra que' mo-nelli. Qui però l'istinto la vinse, e mi mossi in aiuto delpovero gobbino mal capitato.

Era troppo tardi. Egli aveva già trovato una difesa piùpronta e migliore in un'amabile giovanetta che passavadi là in quel momento. Rapida come un lampo, si erastaccata da una vecchia dama che l'accompagnava, e[Pg202] slanciata fra la mischia. D'un colpo d'occhio il suocuore aveva giudicato da qual parte stava la ragione, daquale il torto. Prendendo la mano del meschinello, e co-prendolo fieramente della sua persona, colla sola attitu-dine e colla nobile espressione del volto impose silenzioa que' mariuoli, e li volse in fuga. Il mio amico pittore seavesse il dono di percepir l'ideale della bellezza, comeha quello di cogliere la brutta realtà, avrebbe avuto costìl'argomento di un magnifico quadro. Ma egli tirava a fardenari e adulava il gusto corrente.

Quella giovanetta poteva avere tutt'al più quindicianni. I capelli biondi, gli occhi azzurri, e più l'espressio-ne morale della fisionomia la faceva somigliante ad unangelo: ad uno di quegli angeli costodi che i pittori to-scani immaginarono così divini.

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più scapestrati, e il povero Cosimo che, tra per la perditafatta, tra per l'ingiustizia di quegli oltraggi, era venutouna furia.

Un pittore ch'era con me, dilettante di quelle scenem'aveva trattenuto dall'intervenire a tempo fra que' mo-nelli. Qui però l'istinto la vinse, e mi mossi in aiuto delpovero gobbino mal capitato.

Era troppo tardi. Egli aveva già trovato una difesa piùpronta e migliore in un'amabile giovanetta che passavadi là in quel momento. Rapida come un lampo, si erastaccata da una vecchia dama che l'accompagnava, e[Pg202] slanciata fra la mischia. D'un colpo d'occhio il suocuore aveva giudicato da qual parte stava la ragione, daquale il torto. Prendendo la mano del meschinello, e co-prendolo fieramente della sua persona, colla sola attitu-dine e colla nobile espressione del volto impose silenzioa que' mariuoli, e li volse in fuga. Il mio amico pittore seavesse il dono di percepir l'ideale della bellezza, comeha quello di cogliere la brutta realtà, avrebbe avuto costìl'argomento di un magnifico quadro. Ma egli tirava a fardenari e adulava il gusto corrente.

Quella giovanetta poteva avere tutt'al più quindicianni. I capelli biondi, gli occhi azzurri, e più l'espressio-ne morale della fisionomia la faceva somigliante ad unangelo: ad uno di quegli angeli costodi che i pittori to-scani immaginarono così divini.

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Il povero Cosimo, tutto stupefatto di questo ajuto, do-vette prenderla anch'egli per una apparizione celeste,poichè si lasciò cadere in ginocchio, e pallido ancora perle diverse emozioni che aveva provato, la fissava cogliocchi brillanti di lagrime, con un sentimento ineffabiledi adorazione e di gratitudine.

La vecchia signora richiamava a sè la fanciulla conaria severa, e volgendosi a' circostanti, pareva volessescusare l'atto indecoroso a cui s'era lasciata indurre dalsuo buon cuore. Ma la giovinetta non badava nè al croc-chio che s'era fatto d'intorno a lei, nè ai rimproveri dellazia. Fatto alzare il suo protetto, gli asciugava la frontecol suo fazzoletto ricamato, e gli domandava la causadella contesa. Il garzoncello le additò la boccetta infran-ta, e le spiegò tutto, dicendo che conteneva una medici-na per sua madre ammalata, nè aveva più denaro per ri-parare alla perdita. C'era nella sua voce e nel gesto undolore sì vero che nessuno, nè anche il mio amico pitto-re, potè pensare al pretesto. Più di uno pose la mano intasca,[Pg 203] ma anche in questo la giovanetta fu piùpronta di noi lasciando in mano al poveretto il suo bor-sellino.

Intanto la vecchia dama, sempre più malcontenta delcontegno della fanciulla a lei confidata, era riuscita adafferrarla per un braccio e a strascinarsela via borbottan-do.

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Il povero Cosimo, tutto stupefatto di questo ajuto, do-vette prenderla anch'egli per una apparizione celeste,poichè si lasciò cadere in ginocchio, e pallido ancora perle diverse emozioni che aveva provato, la fissava cogliocchi brillanti di lagrime, con un sentimento ineffabiledi adorazione e di gratitudine.

La vecchia signora richiamava a sè la fanciulla conaria severa, e volgendosi a' circostanti, pareva volessescusare l'atto indecoroso a cui s'era lasciata indurre dalsuo buon cuore. Ma la giovinetta non badava nè al croc-chio che s'era fatto d'intorno a lei, nè ai rimproveri dellazia. Fatto alzare il suo protetto, gli asciugava la frontecol suo fazzoletto ricamato, e gli domandava la causadella contesa. Il garzoncello le additò la boccetta infran-ta, e le spiegò tutto, dicendo che conteneva una medici-na per sua madre ammalata, nè aveva più denaro per ri-parare alla perdita. C'era nella sua voce e nel gesto undolore sì vero che nessuno, nè anche il mio amico pitto-re, potè pensare al pretesto. Più di uno pose la mano intasca,[Pg 203] ma anche in questo la giovanetta fu piùpronta di noi lasciando in mano al poveretto il suo bor-sellino.

Intanto la vecchia dama, sempre più malcontenta delcontegno della fanciulla a lei confidata, era riuscita adafferrarla per un braccio e a strascinarsela via borbottan-do.

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— Un'altra delle tue! — le diceva. — Quante volte tel'ho a ripetere! Codeste cose si lasciano fare agli uomini.—

La giovanetta intanto aveva ripreso il suo contegnomansueto, e si scusava arrossendo dell'atto generoso,come altri si scuserebbe di un'azione imprudente e de-gna di biasimo.

Il suo cuore però le diceva che aveva compiuto un do-vere.

II.

Angela, così chiamavasi la giovanetta, era una diquelle nature piene di bontà e di giustizia che farebberocredere alle incarnazioni platoniche degli spiriti puri. Fi-glia unica, amata fin troppo, come accade, da' suoi geni-tori, aveva potuto abbandonarsi a tutta la ingenuità delsuo istinto. Ma questa libertà, che in altri caratteri suoleaprir l'adito a tante cattive abitudini, non avea fatto chesvolgere in lei la ricchezza esuberante di un'anima gene-rosa e gentile.

A sett'anni avea perduto la madre. La vecchia damache abbiam veduto con lei, era una sorella del padre suo,buona donna nel fondo, ma d'un'indole assai diversa dal-la nipote, ch'ella avea preso ad istruire in quei doveri ein quei modi che una damigella ricca e ben nata non può

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— Un'altra delle tue! — le diceva. — Quante volte tel'ho a ripetere! Codeste cose si lasciano fare agli uomini.—

La giovanetta intanto aveva ripreso il suo contegnomansueto, e si scusava arrossendo dell'atto generoso,come altri si scuserebbe di un'azione imprudente e de-gna di biasimo.

Il suo cuore però le diceva che aveva compiuto un do-vere.

II.

Angela, così chiamavasi la giovanetta, era una diquelle nature piene di bontà e di giustizia che farebberocredere alle incarnazioni platoniche degli spiriti puri. Fi-glia unica, amata fin troppo, come accade, da' suoi geni-tori, aveva potuto abbandonarsi a tutta la ingenuità delsuo istinto. Ma questa libertà, che in altri caratteri suoleaprir l'adito a tante cattive abitudini, non avea fatto chesvolgere in lei la ricchezza esuberante di un'anima gene-rosa e gentile.

A sett'anni avea perduto la madre. La vecchia damache abbiam veduto con lei, era una sorella del padre suo,buona donna nel fondo, ma d'un'indole assai diversa dal-la nipote, ch'ella avea preso ad istruire in quei doveri ein quei modi che una damigella ricca e ben nata non può

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impunemente trascurare nella società de' suoi pari.

La giovanetta era docile e attenta, tanto ai consigli[Pg204] paterni, quanto alle ammonizioni troppo frequentidell'amorevole zia, tutte le volte che questi consigli equeste ammonizioni non le parevano contraddireagl'invincibili istinti dell'animo suo.

Codesta inclinazione, codesto istinto che era la basedel suo carattere, la chiave di tutte le sue azioni, di tutti isuoi sentimenti, la induceva a sposare la parte del debo-le e dell'oppresso in qualunque ordine d'esseri si trovas-se. Il fatto di cui fummo testimoni non era punto nuovonè straordinario per lei. Non poteva uscire una voltasenza farsi l'avvocata e la tutrice di qualche animalemaltrattato, di qualche povero respinto con troppa du-rezza, di qualche creatura insomma men favorita dallanascita o dalla sorte. Angela era nata suora di carità, ele-mosiniera universale, raddrizzatrice dei torti di tutti isuoi simili. Era stata una fortuna per lei nascere riccaabbastanza per asciugar qualche lagrima, ed esaudirequalche preghiera. Ma guai se il padre e la zia non met-tevano freno a questa tendenza, e non le misuravano ildenaro di cui poteva disporre. Ella avrebbe dato fondoin un anno, nonchè alla sua dote, a tutto il patrimoniopaterno.

Qui però non v'è nulla che possa fare gran meraviglia.Su dieci giovani abbandonati al loro istinto naturale,

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impunemente trascurare nella società de' suoi pari.

La giovanetta era docile e attenta, tanto ai consigli[Pg204] paterni, quanto alle ammonizioni troppo frequentidell'amorevole zia, tutte le volte che questi consigli equeste ammonizioni non le parevano contraddireagl'invincibili istinti dell'animo suo.

Codesta inclinazione, codesto istinto che era la basedel suo carattere, la chiave di tutte le sue azioni, di tutti isuoi sentimenti, la induceva a sposare la parte del debo-le e dell'oppresso in qualunque ordine d'esseri si trovas-se. Il fatto di cui fummo testimoni non era punto nuovonè straordinario per lei. Non poteva uscire una voltasenza farsi l'avvocata e la tutrice di qualche animalemaltrattato, di qualche povero respinto con troppa du-rezza, di qualche creatura insomma men favorita dallanascita o dalla sorte. Angela era nata suora di carità, ele-mosiniera universale, raddrizzatrice dei torti di tutti isuoi simili. Era stata una fortuna per lei nascere riccaabbastanza per asciugar qualche lagrima, ed esaudirequalche preghiera. Ma guai se il padre e la zia non met-tevano freno a questa tendenza, e non le misuravano ildenaro di cui poteva disporre. Ella avrebbe dato fondoin un anno, nonchè alla sua dote, a tutto il patrimoniopaterno.

Qui però non v'è nulla che possa fare gran meraviglia.Su dieci giovani abbandonati al loro istinto naturale,

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nove almeno si mostrano generosi e compassionevoliverso gli altri. Pochi sono i caratteri naturalmente avarie impassibili alle altrui sofferenze: ma bene spesso laloro bontà si direbbe frutto d'orgoglio, e le loro largizio-ni non hanno altro scopo che di sottrarsi all'aspetto dellamiseria presente.

Angela operava per un sentimento più puro e profon-do. Permettetemi di scendere a qualche particolare cheho potuto osservare e studiare più da vicino.

Nata nell'agiatezza, sana ed aitante della persona,[Pg205] circondata fin da bambina di tutte le cure, di tuttol'affetto, il suo cuore s'era aperto alla felicità, come isuoi occhi alla luce. La vita era per lei sì dolce, sì lieta,sì facile, che ogni suo desiderio, prima quasi che nato,era pago. Ella non conobbe per lungo tempo il dolore,nè fisico, nè morale. Allontanata per cura de' suoi da tut-to ciò che potesse dargliene l'impressione e l'idea, ellacredeva che tutti i viventi, tutta la natura uscita dallemani di Dio non potesse essere e non fosse che un con-certo di lodi e di benedizioni al Creatore, immensamen-te giusto, misericordioso e benefico.

La perdita della madre, morta nel dare alla luce unbambino che non potè sopravviverle, fece uscire dal suosogno beato la giovanetta. Come! Nel momento ch'ellasi aspettava di avere un fratello, un altro oggettodell'amor suo, la poverina s'era veduta innanzi due spo-

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nove almeno si mostrano generosi e compassionevoliverso gli altri. Pochi sono i caratteri naturalmente avarie impassibili alle altrui sofferenze: ma bene spesso laloro bontà si direbbe frutto d'orgoglio, e le loro largizio-ni non hanno altro scopo che di sottrarsi all'aspetto dellamiseria presente.

Angela operava per un sentimento più puro e profon-do. Permettetemi di scendere a qualche particolare cheho potuto osservare e studiare più da vicino.

Nata nell'agiatezza, sana ed aitante della persona,[Pg205] circondata fin da bambina di tutte le cure, di tuttol'affetto, il suo cuore s'era aperto alla felicità, come isuoi occhi alla luce. La vita era per lei sì dolce, sì lieta,sì facile, che ogni suo desiderio, prima quasi che nato,era pago. Ella non conobbe per lungo tempo il dolore,nè fisico, nè morale. Allontanata per cura de' suoi da tut-to ciò che potesse dargliene l'impressione e l'idea, ellacredeva che tutti i viventi, tutta la natura uscita dallemani di Dio non potesse essere e non fosse che un con-certo di lodi e di benedizioni al Creatore, immensamen-te giusto, misericordioso e benefico.

La perdita della madre, morta nel dare alla luce unbambino che non potè sopravviverle, fece uscire dal suosogno beato la giovanetta. Come! Nel momento ch'ellasi aspettava di avere un fratello, un altro oggettodell'amor suo, la poverina s'era veduta innanzi due spo-

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glie inanimate, due tristi trofei della morte! La morte!Ella non aveva ancora saputo che fosse morire! Qualisevere lezioni ricevette la poverina ad un tratto! Avevaappreso che tutto non era nel mondo gioja, vita ed amo-re. Avea veduto soffrire e morire!

Questa dura esperienza non alterò punto l'indole sua,ma diede una nuova piega al suo cuore, e vi fe' nascereun sentimento di pietà che ancora non conosceva.

Più tardi le occasioni di esercitar quest'affetto si fece-ro più frequenti. Affidata a mani straniere, benchè amo-revoli, uscita da quell'atmosfera di luce e d'amore in cuiera cresciuta fino allora, venne a conoscere che il mon-do è tutt'altro che una terra promessa, che gli uominisono tutt'altro che fratelli tra loro, che il concerto che silevava d'intorno a lei non era punto un inno di lode e dibenedizione all'Eterno.

Non dirò per quali fatti e per quali successive espe-rienze ella facesse un'altra dolorosa scoperta. Vide, o[Pg206] le parve vedere, che la lotta e la guerra sono da pertutto; che il mondo è diviso in due campi: umili e prepo-tenti, oppressori ed oppressi, felici e sventurati. Perchèquesta sì gran differenza, perchè questo eterno conflittod'interessi, di desiderij, d'idee? Ella non poteva formula-re, nè risolvere quest'ardua questione; ma il suo cuore lasentiva e ne serbò l'impressione la più dolorosa.

Evvi un momento nella vita in cui il cuore s'apre ad

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glie inanimate, due tristi trofei della morte! La morte!Ella non aveva ancora saputo che fosse morire! Qualisevere lezioni ricevette la poverina ad un tratto! Avevaappreso che tutto non era nel mondo gioja, vita ed amo-re. Avea veduto soffrire e morire!

Questa dura esperienza non alterò punto l'indole sua,ma diede una nuova piega al suo cuore, e vi fe' nascereun sentimento di pietà che ancora non conosceva.

Più tardi le occasioni di esercitar quest'affetto si fece-ro più frequenti. Affidata a mani straniere, benchè amo-revoli, uscita da quell'atmosfera di luce e d'amore in cuiera cresciuta fino allora, venne a conoscere che il mon-do è tutt'altro che una terra promessa, che gli uominisono tutt'altro che fratelli tra loro, che il concerto che silevava d'intorno a lei non era punto un inno di lode e dibenedizione all'Eterno.

Non dirò per quali fatti e per quali successive espe-rienze ella facesse un'altra dolorosa scoperta. Vide, o[Pg206] le parve vedere, che la lotta e la guerra sono da pertutto; che il mondo è diviso in due campi: umili e prepo-tenti, oppressori ed oppressi, felici e sventurati. Perchèquesta sì gran differenza, perchè questo eterno conflittod'interessi, di desiderij, d'idee? Ella non poteva formula-re, nè risolvere quest'ardua questione; ma il suo cuore lasentiva e ne serbò l'impressione la più dolorosa.

Evvi un momento nella vita in cui il cuore s'apre ad

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Page 266: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

una rivelazione interiore; in cui un pensiero si leva nellanotte profonda dell'anima, come un sole che illumina ilmondo, e le dà l'intelligenza di tutto ciò che prima erapassato dinanzi a noi, come i colori dinanzi ad un cieco,e i mille suoni della natura ad un sordo.

Una volta che la bambina ebbe l'intuizione di questalotta tra i deboli e i forti, tra i felici ed i miseri, guardò ela vide ripetersi ad ogni momento, dovunque volgesse losguardo. Chiese un giorno a sua zia perchè distruggessei bruchi che rodevano le foglie degli alberi; domandò algiardiniere perchè strappasse con tanta ferocia le pianteche sorgevano spontanee fra i suoi garofani. Non hannoessi quei bruchi tanto diritto di vivere quanto gli uccellidell'aria? E che colpa hanno codeste povere piante peresser chiamate male erbe e sterminate dal suolo, dove lamano di Dio le avea seminate?

Questo sentimento, per difetto di una risposta soddi-sfacente, diveniva a poco a poco un tormento per l'ani-mo della strana fanciulla. E nella sua bizzarria credevacompiere un atto di giustizia prendendo sotto la sua spe-cial protezione i bruchi più ispidi, i ragni più mostruosi,i cardi e le ortiche del suo giardino.

Non già ch'ella non sapesse apprezzar la bellezza. Ibei fiori, le variopinte farfalle, i bei cavalli che correva-no per la via, tutto ciò che vedea di leggiadro, di nobile,di luminoso, la empiva di gioja e d'entusiasmo: ma[Pg

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una rivelazione interiore; in cui un pensiero si leva nellanotte profonda dell'anima, come un sole che illumina ilmondo, e le dà l'intelligenza di tutto ciò che prima erapassato dinanzi a noi, come i colori dinanzi ad un cieco,e i mille suoni della natura ad un sordo.

Una volta che la bambina ebbe l'intuizione di questalotta tra i deboli e i forti, tra i felici ed i miseri, guardò ela vide ripetersi ad ogni momento, dovunque volgesse losguardo. Chiese un giorno a sua zia perchè distruggessei bruchi che rodevano le foglie degli alberi; domandò algiardiniere perchè strappasse con tanta ferocia le pianteche sorgevano spontanee fra i suoi garofani. Non hannoessi quei bruchi tanto diritto di vivere quanto gli uccellidell'aria? E che colpa hanno codeste povere piante peresser chiamate male erbe e sterminate dal suolo, dove lamano di Dio le avea seminate?

Questo sentimento, per difetto di una risposta soddi-sfacente, diveniva a poco a poco un tormento per l'ani-mo della strana fanciulla. E nella sua bizzarria credevacompiere un atto di giustizia prendendo sotto la sua spe-cial protezione i bruchi più ispidi, i ragni più mostruosi,i cardi e le ortiche del suo giardino.

Non già ch'ella non sapesse apprezzar la bellezza. Ibei fiori, le variopinte farfalle, i bei cavalli che correva-no per la via, tutto ciò che vedea di leggiadro, di nobile,di luminoso, la empiva di gioja e d'entusiasmo: ma[Pg

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Page 267: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

207] quando vedeva tutti gli omaggi, tutte le ammirazionipiover su questi, e gli altri oggetti fatti segno, senza lorcolpa, d'odio e disprezzo, il suo cuore si ribellava controsiffatti giudicj, e diveniva ingiusta verso le cose belle, aforza di pietà per le brutte. Quindi il padre, la zia, e lepersone che frequentavano la sua casa, le avevano datoper celia il nome di giardiniera delle male erbe.

— Ogni simile ama il suo simile, — le diceva talorala zia. — Tu devi crescere come un'ortica, e innamorartidi un ragno. —

Ma la nostra amica non si adontava di questi motteg-gi. Rispondeva alla zia con altri proverbj, la eccitava anon disputare dei gusti, e a rispettare i bruchi per amordelle farfalle. Quanto alle male erbe, voleva persuaderlache, vedute colla lente, erano cento volte più belle dellecamelie e dei rododendri che costavano tante cure e tan-ti quattrini.

Tutto questo vi spiegherà facilmente com'essa accor-resse con tanta alacrità in difesa del povero Cosimo. Lazia, come potete credere, non mancò di raccontarl'avventura, ed eccoci alle solite celie sulle sue singolaripredilezioni. Angela sulle prime non vi badò, poi simise a difendere quel poveretto con tanto fuoco, che leburle cessarono.

Ma le cose non dovevano finir lì. Un medico amico dicasa, che s'era trovato presente alla mischia, recò la no-

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207] quando vedeva tutti gli omaggi, tutte le ammirazionipiover su questi, e gli altri oggetti fatti segno, senza lorcolpa, d'odio e disprezzo, il suo cuore si ribellava controsiffatti giudicj, e diveniva ingiusta verso le cose belle, aforza di pietà per le brutte. Quindi il padre, la zia, e lepersone che frequentavano la sua casa, le avevano datoper celia il nome di giardiniera delle male erbe.

— Ogni simile ama il suo simile, — le diceva talorala zia. — Tu devi crescere come un'ortica, e innamorartidi un ragno. —

Ma la nostra amica non si adontava di questi motteg-gi. Rispondeva alla zia con altri proverbj, la eccitava anon disputare dei gusti, e a rispettare i bruchi per amordelle farfalle. Quanto alle male erbe, voleva persuaderlache, vedute colla lente, erano cento volte più belle dellecamelie e dei rododendri che costavano tante cure e tan-ti quattrini.

Tutto questo vi spiegherà facilmente com'essa accor-resse con tanta alacrità in difesa del povero Cosimo. Lazia, come potete credere, non mancò di raccontarl'avventura, ed eccoci alle solite celie sulle sue singolaripredilezioni. Angela sulle prime non vi badò, poi simise a difendere quel poveretto con tanto fuoco, che leburle cessarono.

Ma le cose non dovevano finir lì. Un medico amico dicasa, che s'era trovato presente alla mischia, recò la no-

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Page 268: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

vella, pochi dì dopo, che la madre del povero nano eramorta. Angela impallidì come si trattasse di una personacognita e cara. Si accusò di non essere accorsa al lettodell'inferma per assisterla e consolarla. Tutta quella serafu malinconica: la notte non potè chiudere occhio, fin-chè non ebbe proposto a se stessa di cercar notiziedell'orfano. — Chi sa — pensava — che la Provvidenzanon me l'abbia fatto capitare sott'occhio perchè nonmanchi[Pg 208] di un appoggio e di una difesa. Il dottore— soggiunse — m'ajuterà a rintracciarlo, e poi, se il Si-gnore m'ha destinata ad essere l'istrumento della suabontà, e' saprà bene condurmelo innanzi! —

Fatto con se stessa questo proponimento, la buonaAngela potè prender sonno, e dormì tranquillamentesino a giorno.

III.

Il sole di una bella mattina di giugno la risvegliò.Benchè si fosse addormentata più tardi del solito, eavesse dormito un sonno agitato da mille sogni fantasti-ci, non mancò di fare una visita assai sollecita al suogiardino particolare.

Il giardino del sig. B., senz'essere un vasto parco diquelli che sogliono chiamarsi all'inglese, adunava inbreve spazio tutte le delizie che una ricca natura e unafertile immaginazione possono dare. Lo Iapelli[5] vi avea

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vella, pochi dì dopo, che la madre del povero nano eramorta. Angela impallidì come si trattasse di una personacognita e cara. Si accusò di non essere accorsa al lettodell'inferma per assisterla e consolarla. Tutta quella serafu malinconica: la notte non potè chiudere occhio, fin-chè non ebbe proposto a se stessa di cercar notiziedell'orfano. — Chi sa — pensava — che la Provvidenzanon me l'abbia fatto capitare sott'occhio perchè nonmanchi[Pg 208] di un appoggio e di una difesa. Il dottore— soggiunse — m'ajuterà a rintracciarlo, e poi, se il Si-gnore m'ha destinata ad essere l'istrumento della suabontà, e' saprà bene condurmelo innanzi! —

Fatto con se stessa questo proponimento, la buonaAngela potè prender sonno, e dormì tranquillamentesino a giorno.

III.

Il sole di una bella mattina di giugno la risvegliò.Benchè si fosse addormentata più tardi del solito, eavesse dormito un sonno agitato da mille sogni fantasti-ci, non mancò di fare una visita assai sollecita al suogiardino particolare.

Il giardino del sig. B., senz'essere un vasto parco diquelli che sogliono chiamarsi all'inglese, adunava inbreve spazio tutte le delizie che una ricca natura e unafertile immaginazione possono dare. Lo Iapelli[5] vi avea

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Page 269: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

fatto prova del suo buon gusto e della sua splendida fan-tasia. Un lungo calidario rinserrava le più belle piantede' tropici. Una collina, un laghetto, alcune macchied'alberi rigogliosi e di varia verdura s'alternavano a va-ghi compartimenti seminati di piante vivaci d'ogni ma-niera. Più lontano si stendeva un verziere ricco di alberifruttiferi e di squisiti legumi. Tutto questo era sparsocon vago disordine, sì che ad ogni svolta dei sentieri pu-liti, l'occhio si trovava dinanzi una prospettiva tanto piùamena quanto meno aspettata.

L'angolo più disadorno di questo gentil paradiso ri-spondeva alla via vicinale, e metteva nei campi per un[Pg209] cancello di ferro. Una capannuccia di paglia con untavolino e due scranne d'orno piegate a graziosi arabe-schi sorgeva accanto al cancello. Era dapprima un caniledove s'accovacciava incatenato un robusto molosso cheavea terminato la sua ringhiosa carriera senza lasciarsuccessori nè eredi. Angela aveva ottenuto dal padre chequella casuccia fosse disposta per lei, e le fosse dato ilpezzo di terreno inculto che giaceva d'attorno in assolutae special proprietà. Voi v'immaginerete che la graziosagiovanetta vi coltivasse i fiori più peregrini, e vi spie-gasse quel buon gusto e quella eleganza, che al solo ve-derla si sarebbero dette a lei famigliari. Nulla di tuttoquesto. Quello spazio di terreno rimase abbandonato ase stesso, anzi si sarebbe detto che fosse stato ingombroa bello studio delle piante più vulgari e più disprezzatedai botanici e dai giardinieri. Le ortiche, i tarassaci, ed

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fatto prova del suo buon gusto e della sua splendida fan-tasia. Un lungo calidario rinserrava le più belle piantede' tropici. Una collina, un laghetto, alcune macchied'alberi rigogliosi e di varia verdura s'alternavano a va-ghi compartimenti seminati di piante vivaci d'ogni ma-niera. Più lontano si stendeva un verziere ricco di alberifruttiferi e di squisiti legumi. Tutto questo era sparsocon vago disordine, sì che ad ogni svolta dei sentieri pu-liti, l'occhio si trovava dinanzi una prospettiva tanto piùamena quanto meno aspettata.

L'angolo più disadorno di questo gentil paradiso ri-spondeva alla via vicinale, e metteva nei campi per un[Pg209] cancello di ferro. Una capannuccia di paglia con untavolino e due scranne d'orno piegate a graziosi arabe-schi sorgeva accanto al cancello. Era dapprima un caniledove s'accovacciava incatenato un robusto molosso cheavea terminato la sua ringhiosa carriera senza lasciarsuccessori nè eredi. Angela aveva ottenuto dal padre chequella casuccia fosse disposta per lei, e le fosse dato ilpezzo di terreno inculto che giaceva d'attorno in assolutae special proprietà. Voi v'immaginerete che la graziosagiovanetta vi coltivasse i fiori più peregrini, e vi spie-gasse quel buon gusto e quella eleganza, che al solo ve-derla si sarebbero dette a lei famigliari. Nulla di tuttoquesto. Quello spazio di terreno rimase abbandonato ase stesso, anzi si sarebbe detto che fosse stato ingombroa bello studio delle piante più vulgari e più disprezzatedai botanici e dai giardinieri. Le ortiche, i tarassaci, ed

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altre consimili piante, che gli orticultori battezzano colnome generico di male erbe, si erano date convegno evegetavano in quel cantuccio in piena tranquillità. Ilgiardiniere di casa e gli altri famigli lo chiamavano talo-ra l'orto della signorina, e talora il vivaio delle maleerbe. Di che Angela non si reputava punto offesa, anzifinì col designarlo anch'essa ora con uno di quei nomi,ora coll'altro.

Per solito era a questo che riserbava l'ultima visita,ma questa visita era più lunga e più affettuosa delle al-tre. Indossato un semplice accappatoio, e postosi sullabionda testa un largo cappello di Firenze, scendeva dallesue stanze in giardino, che appena l'ortolano cominciavale sue cotidiane faccende. Entrava nella serra, s'inebria-va di quelle fragranze meridionali, dimandava il nome ela patria di questa o di quella pianta, ne ammirava le for-me e i colori, ma per lo più conchiudeva: — Poverina!quanto saresti più vegeta e più contenta ne' tuoi paesi!—

[Pg 210]

Il giardiniere scuoteva il capo, quasi offeso da taleesclamazione. Sosteneva che la pianta in istato selvag-gio non sarebbe sì bella, e che doveva alle sue cure in-telligenti lo splendor de' colori e la ricchezza della co-rolla. Forse era vero: ma la signorina non pareva sempredisposta a concederlo. Ella aveva un culto particolareper la natura semplice e primitiva. Di più, come ho già

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altre consimili piante, che gli orticultori battezzano colnome generico di male erbe, si erano date convegno evegetavano in quel cantuccio in piena tranquillità. Ilgiardiniere di casa e gli altri famigli lo chiamavano talo-ra l'orto della signorina, e talora il vivaio delle maleerbe. Di che Angela non si reputava punto offesa, anzifinì col designarlo anch'essa ora con uno di quei nomi,ora coll'altro.

Per solito era a questo che riserbava l'ultima visita,ma questa visita era più lunga e più affettuosa delle al-tre. Indossato un semplice accappatoio, e postosi sullabionda testa un largo cappello di Firenze, scendeva dallesue stanze in giardino, che appena l'ortolano cominciavale sue cotidiane faccende. Entrava nella serra, s'inebria-va di quelle fragranze meridionali, dimandava il nome ela patria di questa o di quella pianta, ne ammirava le for-me e i colori, ma per lo più conchiudeva: — Poverina!quanto saresti più vegeta e più contenta ne' tuoi paesi!—

[Pg 210]

Il giardiniere scuoteva il capo, quasi offeso da taleesclamazione. Sosteneva che la pianta in istato selvag-gio non sarebbe sì bella, e che doveva alle sue cure in-telligenti lo splendor de' colori e la ricchezza della co-rolla. Forse era vero: ma la signorina non pareva sempredisposta a concederlo. Ella aveva un culto particolareper la natura semplice e primitiva. Di più, come ho già

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accennato, quei fiori rigogliosi e superbi le parevanoun'aristocrazia prepotente che usurpava l'aria, la terra, lecure e gli omaggi alle altre produzioni più umili, ma nonmeno perfette. Quindi, pur ammirando quei morbidi gi-gli, quelle superbe ipomèe, quelle fantastiche parassitedei tropici, i cui fiori bizzarri somigliano a strani insetti,a peregrine farfalle, vi passava sovente dinanzi con unaspecie d'indignazione, e credeva compiere un atto digiustizia accordando la sua preferenza all'erbe più mo-deste e ai fiori più negletti da' dilettanti. Allora si ritira-va nella sua capannuccia, e s'intrecciava un mazzolinocogli occhi di bue e colle volgari pratelline, che cresce-vano a dovizia nel suo vivajo delle male erbe.

Quella mattina era proprio di tale umore. I pensieri e isogni della notte ve l'avevano predisposta. Ma quale nonfu la sua sorpresa quando, cogliendo certi fiorellini diparietaria che coprivano i pilastri del cancello, vide ac-covacciato al di fuori il povero nano. Gittò un grido dimaraviglia, che il miserello reputò di paura, tanto ches'affrettò di chiederle scusa.

Come era egli costì? Era caso o pretesto? Ella nonisperava di rivederlo sì tosto, benchè sì vivamente lo de-siderasse. Pensò senz'altro che la provvidenza gliel'aves-se mandato.

Cosimo però non v'era venuto a caso. Gli era riuscitosapere il nome e l'abitazione della sua protettrice, e[Pg

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accennato, quei fiori rigogliosi e superbi le parevanoun'aristocrazia prepotente che usurpava l'aria, la terra, lecure e gli omaggi alle altre produzioni più umili, ma nonmeno perfette. Quindi, pur ammirando quei morbidi gi-gli, quelle superbe ipomèe, quelle fantastiche parassitedei tropici, i cui fiori bizzarri somigliano a strani insetti,a peregrine farfalle, vi passava sovente dinanzi con unaspecie d'indignazione, e credeva compiere un atto digiustizia accordando la sua preferenza all'erbe più mo-deste e ai fiori più negletti da' dilettanti. Allora si ritira-va nella sua capannuccia, e s'intrecciava un mazzolinocogli occhi di bue e colle volgari pratelline, che cresce-vano a dovizia nel suo vivajo delle male erbe.

Quella mattina era proprio di tale umore. I pensieri e isogni della notte ve l'avevano predisposta. Ma quale nonfu la sua sorpresa quando, cogliendo certi fiorellini diparietaria che coprivano i pilastri del cancello, vide ac-covacciato al di fuori il povero nano. Gittò un grido dimaraviglia, che il miserello reputò di paura, tanto ches'affrettò di chiederle scusa.

Come era egli costì? Era caso o pretesto? Ella nonisperava di rivederlo sì tosto, benchè sì vivamente lo de-siderasse. Pensò senz'altro che la provvidenza gliel'aves-se mandato.

Cosimo però non v'era venuto a caso. Gli era riuscitosapere il nome e l'abitazione della sua protettrice, e[Pg

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211] avendo una commissione per lei, s'era avvisato di at-tenderla a quel cancello, non osando picchiare alla portadel suo palazzo.

— Povero Cosimo! — disse Angela. — Ho saputo latua disgrazia. M'immagino, sai, quanto debba dolertene.Anch'io ho perduto mia madre! —

Il garzoncello, serio e commosso, voleva rispondere enon sapeva. Trasse di sotto alla veste il borsellino di An-gela, avvolto diligentemente in un foglio, e glielo porsesenza parlare attraverso il cancello.

— Che è ciò? — disse Angela. — Rifiuteresti il miodono?

— Oh! — rispose il fanciullo — che dice mai! La po-vera mamma, poco prima di spirare, sapendo la sua cari-tà, vi ha posto dentro una carta molto importante el'anello che teneva in dito, e mi ordinò di portarglielo,appena fosse passata in vita migliore. Io non ardivo pre-sentarmi al suo palazzo, e da due giorni l'aspetto qui. —

Angela aprì frettolosa il borsellino, lesse un foglioche era una promessa di matrimonio scritta e firmatadieci anni innanzi, e dentro al foglio trovò un cerchielli-no d'oro che non esitò punto a mettersi in dito. Quantoalla carta, ignorandone l'importanza, la ripose nel bor-sellino, aspettando un altro momento a chiarirsene.

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211] avendo una commissione per lei, s'era avvisato di at-tenderla a quel cancello, non osando picchiare alla portadel suo palazzo.

— Povero Cosimo! — disse Angela. — Ho saputo latua disgrazia. M'immagino, sai, quanto debba dolertene.Anch'io ho perduto mia madre! —

Il garzoncello, serio e commosso, voleva rispondere enon sapeva. Trasse di sotto alla veste il borsellino di An-gela, avvolto diligentemente in un foglio, e glielo porsesenza parlare attraverso il cancello.

— Che è ciò? — disse Angela. — Rifiuteresti il miodono?

— Oh! — rispose il fanciullo — che dice mai! La po-vera mamma, poco prima di spirare, sapendo la sua cari-tà, vi ha posto dentro una carta molto importante el'anello che teneva in dito, e mi ordinò di portarglielo,appena fosse passata in vita migliore. Io non ardivo pre-sentarmi al suo palazzo, e da due giorni l'aspetto qui. —

Angela aprì frettolosa il borsellino, lesse un foglioche era una promessa di matrimonio scritta e firmatadieci anni innanzi, e dentro al foglio trovò un cerchielli-no d'oro che non esitò punto a mettersi in dito. Quantoalla carta, ignorandone l'importanza, la ripose nel bor-sellino, aspettando un altro momento a chiarirsene.

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— Il suo dono — riprese Cosimo — mi bastò a pre-starle gli estremi soccorsi, a farle dire una messa di re-quie e a collocare una croce sulla sua fossa. Mi resta unamoneta che starà sempre sospesa intorno al mio collo inmemoria della sua bontà... e della povera madre mia.Addio, madamigella! Iddio le dia tutto il bene che meri-ta. —

E in così dire si allontanò per andarsene.

— Fermati — gridò Angela. — Dove vai ora, poveroorfano? —

Il fanciullo s'arrestò perplesso, ma non rispose.

[Pg 212]

— Tu hai però il babbo, n'è vero? —

Cosimo chinò il capo e negò.

— Un fratello, un parente?

— Nessuno, signora.

— E come vivrai? Chi avrà cura di te? —

Il fanciullo girò gli occhi al cielo quasi dicesse: Dioc'è per tutti. Procurerò di guadagnarmi il pane.

— La mamma mi mandava all'asilo, e vi ho imparatoa leggere e a scrivere... ma un mestiere... alfine ce n'è

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— Il suo dono — riprese Cosimo — mi bastò a pre-starle gli estremi soccorsi, a farle dire una messa di re-quie e a collocare una croce sulla sua fossa. Mi resta unamoneta che starà sempre sospesa intorno al mio collo inmemoria della sua bontà... e della povera madre mia.Addio, madamigella! Iddio le dia tutto il bene che meri-ta. —

E in così dire si allontanò per andarsene.

— Fermati — gridò Angela. — Dove vai ora, poveroorfano? —

Il fanciullo s'arrestò perplesso, ma non rispose.

[Pg 212]

— Tu hai però il babbo, n'è vero? —

Cosimo chinò il capo e negò.

— Un fratello, un parente?

— Nessuno, signora.

— E come vivrai? Chi avrà cura di te? —

Il fanciullo girò gli occhi al cielo quasi dicesse: Dioc'è per tutti. Procurerò di guadagnarmi il pane.

— La mamma mi mandava all'asilo, e vi ho imparatoa leggere e a scrivere... ma un mestiere... alfine ce n'è

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tanti dei mestieri. Farò il cenciajuolo.

— Il cenciajuolo?

— O quello o un altro: tanto ch'io viva... e se non po-tessi riuscire... laggiù dove sta ora mia madre, c'è luogoanche per me. Perdonate, signora, se vi attristo con que-ste idee.

— Vuoi tu venire da noi? Abbiamo tanta gente percasa. Uno più, uno meno... dirò al babbo che ti prenda.

— Io non saprò far nulla.

— Sì, sì, ajuterai il giardiniere ad annaffiare le piante.Aspettami, ch'io ritorno. —

Angela, come potete pensarlo, andò difilata dal padreche stava appunto vestendosi, gli raccontò la cosa e ot-tenne senza fatica la grazia. Senza aggiunger parola,cercò le chiavi del cancello, corse giuliva ad aprirlo, edintrodusse il povero Cosimo che, come trasognato, ob-bediva macchinalmente alla sua salvatrice.

IV.

— Mancava questo coso al vivaio di mia nipote! —disse la zia tra la beffa e la stizza.

Tutti i famigli, massime le serve, fecero eco con una

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tanti dei mestieri. Farò il cenciajuolo.

— Il cenciajuolo?

— O quello o un altro: tanto ch'io viva... e se non po-tessi riuscire... laggiù dove sta ora mia madre, c'è luogoanche per me. Perdonate, signora, se vi attristo con que-ste idee.

— Vuoi tu venire da noi? Abbiamo tanta gente percasa. Uno più, uno meno... dirò al babbo che ti prenda.

— Io non saprò far nulla.

— Sì, sì, ajuterai il giardiniere ad annaffiare le piante.Aspettami, ch'io ritorno. —

Angela, come potete pensarlo, andò difilata dal padreche stava appunto vestendosi, gli raccontò la cosa e ot-tenne senza fatica la grazia. Senza aggiunger parola,cercò le chiavi del cancello, corse giuliva ad aprirlo, edintrodusse il povero Cosimo che, come trasognato, ob-bediva macchinalmente alla sua salvatrice.

IV.

— Mancava questo coso al vivaio di mia nipote! —disse la zia tra la beffa e la stizza.

Tutti i famigli, massime le serve, fecero eco con una

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risata all'osservazione della signora, riservandosi[Pg 213]a lodare la carità della padroncina quando l'occasionefosse venuta di poterlo fare senza dar torto alla dama.

Angela intanto era ita in traccia del giardiniere che ar-meggiava tra i vasi delle sue serre. Cominciò dal lodar-gli alcune delle piante più nuove e più peregrine; poi glifece rimprovero di non averle preparato il solito mazzet-to odoroso che accettava da lui. Giacinto si scusò seccosecco, colle molte faccende, colla stagione che non an-dava a suo genio, colla pioggia che tardava a venire, ec.,ec. E cominciò tuttavia a raccogliere qualche violetta diParma, qualche eliotropia, qualche verbena per rispon-der col fatto al rimprovero della padroncina.

— Ebbene, per ringraziarvi del vostro mazzolino, eper mostrarvi che non sono la vostra nemica, vi ho pro-curato un allievo, un garzonetto che vi darà una manonelle cose più facili, vi scriverà correttamente i titolidelle piante, e vi aiuterà ad annaffiarle. Siete contento?

— Come! Un altro giardiniere! Oibò, signorina. Ungiardiniere deve esser solo. Noi abbiamo i nostri segreti,e non vogliamo cedere ad altri il frutto delle nostre espe-rienze.

— Via, via. Questo poveretto non vi ruberà certo ilmestiere — soggiunse Angela sorridendo. — È un po-vero gobbino, un orfanello che ho preso sotto la miaprotezione. Riguardatelo come uno di quei fusti quasi

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risata all'osservazione della signora, riservandosi[Pg 213]a lodare la carità della padroncina quando l'occasionefosse venuta di poterlo fare senza dar torto alla dama.

Angela intanto era ita in traccia del giardiniere che ar-meggiava tra i vasi delle sue serre. Cominciò dal lodar-gli alcune delle piante più nuove e più peregrine; poi glifece rimprovero di non averle preparato il solito mazzet-to odoroso che accettava da lui. Giacinto si scusò seccosecco, colle molte faccende, colla stagione che non an-dava a suo genio, colla pioggia che tardava a venire, ec.,ec. E cominciò tuttavia a raccogliere qualche violetta diParma, qualche eliotropia, qualche verbena per rispon-der col fatto al rimprovero della padroncina.

— Ebbene, per ringraziarvi del vostro mazzolino, eper mostrarvi che non sono la vostra nemica, vi ho pro-curato un allievo, un garzonetto che vi darà una manonelle cose più facili, vi scriverà correttamente i titolidelle piante, e vi aiuterà ad annaffiarle. Siete contento?

— Come! Un altro giardiniere! Oibò, signorina. Ungiardiniere deve esser solo. Noi abbiamo i nostri segreti,e non vogliamo cedere ad altri il frutto delle nostre espe-rienze.

— Via, via. Questo poveretto non vi ruberà certo ilmestiere — soggiunse Angela sorridendo. — È un po-vero gobbino, un orfanello che ho preso sotto la miaprotezione. Riguardatelo come uno di quei fusti quasi

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secchi per cui raddoppiate le vostre cure. Ve ne sarò gra-ta, e visiterò più spesso le vostre orchidee. Siamo intesi!Or ora ve lo conduco. —

Il giardiniere in sostanza non era malcontento di ave-re una persona che lo aiutasse nelle faccende che gli an-davano crescendo sotto le mani. Ma quando vide quelmeschinello pensò che non avrebbe potuto fare granconto dell'opera sua. Tuttavia la padroncina l'aveva sìrabbonito,[Pg 214] che non trovò nulla a ridire, e gli diedesubito a ripulir certi arbusti dalle foglie gialle di cui liaveva screziati l'inverno.

La natura avea voluto dare un esempio di giustizia di-stributiva compensando le forme disgraziate del giova-netto con una intelligenza pronta ed una rara felicità dimemoria.

Il dolore avea maturato assai per tempo quel poverofanciullo, tanto che a dieci anni aveva i caratteri d'unadulto. Il suo pallore e l'espressione indefinibile dellesue labbra dicevano già la sua storia e rivelavano l'ani-ma sua. La sua fronte ampia e prominente gli attiraval'attenzione e la benevolenza di tutti quelli che l'osserva-vano.

Egli menava la sua vita nel giardino e negli stanzonidelle piante. Mostravasi di un'attività e di una docilità atutte prove col giardiniere, non tanto per cattivarsenel'animo, quanto per corrispondere all'intenzione della

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secchi per cui raddoppiate le vostre cure. Ve ne sarò gra-ta, e visiterò più spesso le vostre orchidee. Siamo intesi!Or ora ve lo conduco. —

Il giardiniere in sostanza non era malcontento di ave-re una persona che lo aiutasse nelle faccende che gli an-davano crescendo sotto le mani. Ma quando vide quelmeschinello pensò che non avrebbe potuto fare granconto dell'opera sua. Tuttavia la padroncina l'aveva sìrabbonito,[Pg 214] che non trovò nulla a ridire, e gli diedesubito a ripulir certi arbusti dalle foglie gialle di cui liaveva screziati l'inverno.

La natura avea voluto dare un esempio di giustizia di-stributiva compensando le forme disgraziate del giova-netto con una intelligenza pronta ed una rara felicità dimemoria.

Il dolore avea maturato assai per tempo quel poverofanciullo, tanto che a dieci anni aveva i caratteri d'unadulto. Il suo pallore e l'espressione indefinibile dellesue labbra dicevano già la sua storia e rivelavano l'ani-ma sua. La sua fronte ampia e prominente gli attiraval'attenzione e la benevolenza di tutti quelli che l'osserva-vano.

Egli menava la sua vita nel giardino e negli stanzonidelle piante. Mostravasi di un'attività e di una docilità atutte prove col giardiniere, non tanto per cattivarsenel'animo, quanto per corrispondere all'intenzione della

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sua benefattrice. Chi ha un po' di pratica del giardinag-gio, sa che quest'arte non lascia un momento disoccupa-to. Ma sia che Giacinto non si fidasse della di lui abilità,o non volesse arrischiargli qualche operazione un po'delicata, Cosimo aveva qualche ora di libertà. Prendevaallora in mano i cataloghi e i manuali di botanica ed'orticoltura che Angela gli avea confidato, e in pochimesi, raffrontando i titoli ai soggetti, s'era impadronitodi tutta quella strana e ridicola nomenclatura. Giacintotrasecolava di tanta memoria, e cominciò a guardarlocon gelosia: tanto più ch'egli era uomo di pratica più chedi scienza, e spesso gli avveniva di storpiare quei nomiin modo da far ridere fino la sua padroncina.

Guardate ingiustizia della fortuna! Il povero Cosimoche si era fatto perdonare la sua forma sgraziata, trovavaora nei proprj meriti un'altra sorgente di tribolazione.[Pg215] S'egli non avesse saputo leggere o non avesse avutoalcun desiderio d'apprendere, il giardiniere non avrebbepensato a perseguitarlo: ora invece non lasciava passareoccasione per rendergli più amara la vita. I titoli ch'egliscriveva erano mal fatti, perchè erano scritti come vole-va il catalogo, non come il giardiniere li pronunciava! Equando Cosimo gli metteva sotto gli occhi il libro perconvincerlo del suo errore, il giardiniere tutto ingrogna-to borbottava: — Novità, novità! Non sanno crearepiante nuove e si dilettano di mutare i nomi. Gran sa-pienti del cavolo! — E quest'ironia cadeva non tanto su-gli autori dei libri, quanto sul capo innocente del nostro

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sua benefattrice. Chi ha un po' di pratica del giardinag-gio, sa che quest'arte non lascia un momento disoccupa-to. Ma sia che Giacinto non si fidasse della di lui abilità,o non volesse arrischiargli qualche operazione un po'delicata, Cosimo aveva qualche ora di libertà. Prendevaallora in mano i cataloghi e i manuali di botanica ed'orticoltura che Angela gli avea confidato, e in pochimesi, raffrontando i titoli ai soggetti, s'era impadronitodi tutta quella strana e ridicola nomenclatura. Giacintotrasecolava di tanta memoria, e cominciò a guardarlocon gelosia: tanto più ch'egli era uomo di pratica più chedi scienza, e spesso gli avveniva di storpiare quei nomiin modo da far ridere fino la sua padroncina.

Guardate ingiustizia della fortuna! Il povero Cosimoche si era fatto perdonare la sua forma sgraziata, trovavaora nei proprj meriti un'altra sorgente di tribolazione.[Pg215] S'egli non avesse saputo leggere o non avesse avutoalcun desiderio d'apprendere, il giardiniere non avrebbepensato a perseguitarlo: ora invece non lasciava passareoccasione per rendergli più amara la vita. I titoli ch'egliscriveva erano mal fatti, perchè erano scritti come vole-va il catalogo, non come il giardiniere li pronunciava! Equando Cosimo gli metteva sotto gli occhi il libro perconvincerlo del suo errore, il giardiniere tutto ingrogna-to borbottava: — Novità, novità! Non sanno crearepiante nuove e si dilettano di mutare i nomi. Gran sa-pienti del cavolo! — E quest'ironia cadeva non tanto su-gli autori dei libri, quanto sul capo innocente del nostro

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Page 278: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

tribolatello.

Egli non avrebbe però pensato a richiamarsene. Eragià avvezzo a rassegnarsi a strapazzi più forti. Ma ungiorno Angela si trovò presente ad uno di questi litigi, enon si potè astenere da prender le parti del suo protetto.Il giardiniere si ostinò nel torto, e nel suo stolto orgogliochiese la sua licenza, adducendo che già non c'era biso-gno di lui, dacchè v'era in casa quel sapientone.

Angela non volle prender la cosa sul serio, ma dichia-rò al giardiniere che da quel giorno Cosimo era addettoal suo servigio particolare.

— Egli lascerà le vostre serre, e non si occuperà chedel mio compartimento.

— Tanto meglio! — replicò il giardiniere. — Così sa-prà arricchire il catalogo di nuovi tesori! —

Angela, che non avea tollerato l'insulto fatto a Cosi-mo, tollerò colla solita sua bontà le sciocche parole di-rette a lei stessa. — Appunto, appunto, — soggiunse. —Hai inteso, Cosimo. Vieni meco laggiù. Noi faremo ilcatalogo delle male erbe, e t'insegnerò a disegnarle e aclassificarle! —

Detto, fatto. Cosimo seguì la sua protettrice inquell'angolo remoto del parco ch'essa prediligeva,dove[Pg 216] egli, s'era appostato ad attenderla. La bizzar-

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tribolatello.

Egli non avrebbe però pensato a richiamarsene. Eragià avvezzo a rassegnarsi a strapazzi più forti. Ma ungiorno Angela si trovò presente ad uno di questi litigi, enon si potè astenere da prender le parti del suo protetto.Il giardiniere si ostinò nel torto, e nel suo stolto orgogliochiese la sua licenza, adducendo che già non c'era biso-gno di lui, dacchè v'era in casa quel sapientone.

Angela non volle prender la cosa sul serio, ma dichia-rò al giardiniere che da quel giorno Cosimo era addettoal suo servigio particolare.

— Egli lascerà le vostre serre, e non si occuperà chedel mio compartimento.

— Tanto meglio! — replicò il giardiniere. — Così sa-prà arricchire il catalogo di nuovi tesori! —

Angela, che non avea tollerato l'insulto fatto a Cosi-mo, tollerò colla solita sua bontà le sciocche parole di-rette a lei stessa. — Appunto, appunto, — soggiunse. —Hai inteso, Cosimo. Vieni meco laggiù. Noi faremo ilcatalogo delle male erbe, e t'insegnerò a disegnarle e aclassificarle! —

Detto, fatto. Cosimo seguì la sua protettrice inquell'angolo remoto del parco ch'essa prediligeva,dove[Pg 216] egli, s'era appostato ad attenderla. La bizzar-

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ra fanciulla non l'aveva ancora messo a parte della veracagione che l'avea mossa a quella singolare coltura. Nonandò molto però che il suo discepolo indovinò l'istintodella sua protettrice.

— Bada bene, Cosimo, — gli avea detto — non vor-rei che tu avessi imparato dal giardiniere l'arte di di-struggere le piante meno privilegiate. Queste, figliuolomio, sono tutte male erbe, secondo lui: anchequell'occhio di Venere, anche quella callistegia, anchequel grazioso lupino, tutte male erbe! E ciò perchè cre-scono spontanee e senza coltura, perchè nascono in ogniluogo, e s'arrampicano su tutte le vecchie muraglie!Male erbe! Quanto a me, vedi, ho un gusto affatto diver-so, e trovo che quel fioretto di malva, quella parietaria,quel licopodio sono mille volte più belli de' suoi tulipanie delle sue maravigliose gloxinie! E poi ti dirò: tum'intenderai, spero. Che diritto abbiam noi di strappardalla terra che le vide nascere e le produsse, quelle po-vere pianticelle? Se si trattasse di sgombrare un terrenoincolto per seminarvi il frumento e l'orzo necessari allavita dell'uomo, non parlerei: ma cacciare in esilio questecreature indigene per cuoprir la terra di ghiaja, o persurrogarvi altre piante di lusso che non hanno spesso al-tro merito che la rarità, capisci bene che è una vera usur-pazione, una specie di tirannia. Gli Spagnuoli e gli In-glesi che sterminarono i primi abitatori dell'America pertrapiantarvi i coloni europei, o gli schiavi dell'Africa,partivano dallo stesso principio, e commettevano la me-

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ra fanciulla non l'aveva ancora messo a parte della veracagione che l'avea mossa a quella singolare coltura. Nonandò molto però che il suo discepolo indovinò l'istintodella sua protettrice.

— Bada bene, Cosimo, — gli avea detto — non vor-rei che tu avessi imparato dal giardiniere l'arte di di-struggere le piante meno privilegiate. Queste, figliuolomio, sono tutte male erbe, secondo lui: anchequell'occhio di Venere, anche quella callistegia, anchequel grazioso lupino, tutte male erbe! E ciò perchè cre-scono spontanee e senza coltura, perchè nascono in ogniluogo, e s'arrampicano su tutte le vecchie muraglie!Male erbe! Quanto a me, vedi, ho un gusto affatto diver-so, e trovo che quel fioretto di malva, quella parietaria,quel licopodio sono mille volte più belli de' suoi tulipanie delle sue maravigliose gloxinie! E poi ti dirò: tum'intenderai, spero. Che diritto abbiam noi di strappardalla terra che le vide nascere e le produsse, quelle po-vere pianticelle? Se si trattasse di sgombrare un terrenoincolto per seminarvi il frumento e l'orzo necessari allavita dell'uomo, non parlerei: ma cacciare in esilio questecreature indigene per cuoprir la terra di ghiaja, o persurrogarvi altre piante di lusso che non hanno spesso al-tro merito che la rarità, capisci bene che è una vera usur-pazione, una specie di tirannia. Gli Spagnuoli e gli In-glesi che sterminarono i primi abitatori dell'America pertrapiantarvi i coloni europei, o gli schiavi dell'Africa,partivano dallo stesso principio, e commettevano la me-

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desima iniquità! Tu non puoi comprendere ancora tuttoil mio pensiero: ma un giorno m'intenderai meglio. In-tanto si va d'accordo nel fatto. Tu devi rispettare tutte lepiante che vedi qui. Io le ho ricoverate in quest'angolo,perchè possano vegetare e fiorire tranquille.[Pg 217] Tuttidicono ch'è una pazzia: non importa. È una pazzia inno-cente, n'è vero, Cosimo? Vedo che tu hai più buon sensodegli altri! —

Non so quanto il fanciullo avesse compreso di questograzioso paradosso della sua padrona: ma certo non lotrovò tanto strano nè tanto ridicolo quanto gli altri. Ri-flettendo, quando fu solo, alle parole della damigella, glibalenò nella mente una singolare analogia, alla qualeforse Angela non avea fatto allusione. — Anch'io —pensò Cosimo, — sono una mala erba, ed è forse a que-sto titolo ch'ella m'ha raccolto presso di sè e mi trattacon tanta bontà! —

Questa riflessione servì a svolgere sempre più il senti-mento e l'ingegno del giovanetto. In poco tempo avevaannaffiate e ripulite le ajuole del giardinuccio a lui con-fidato. Di giorno in giorno vedeva sbocciar qualche ne-gletto fiorellino, che guardato d'appresso giustificava lapredilezione della fanciulla. Egli cercò tanto nel suotrattato di botanica finchè pervenne a ordinare la mag-gior parte di quelle piante inedite pe' giardinieri; e gio-vandosi dei disegni ch'erano sparsi qua e là nel volume,cominciò a delinearne le foglie ed i fiori. A poco a poco

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desima iniquità! Tu non puoi comprendere ancora tuttoil mio pensiero: ma un giorno m'intenderai meglio. In-tanto si va d'accordo nel fatto. Tu devi rispettare tutte lepiante che vedi qui. Io le ho ricoverate in quest'angolo,perchè possano vegetare e fiorire tranquille.[Pg 217] Tuttidicono ch'è una pazzia: non importa. È una pazzia inno-cente, n'è vero, Cosimo? Vedo che tu hai più buon sensodegli altri! —

Non so quanto il fanciullo avesse compreso di questograzioso paradosso della sua padrona: ma certo non lotrovò tanto strano nè tanto ridicolo quanto gli altri. Ri-flettendo, quando fu solo, alle parole della damigella, glibalenò nella mente una singolare analogia, alla qualeforse Angela non avea fatto allusione. — Anch'io —pensò Cosimo, — sono una mala erba, ed è forse a que-sto titolo ch'ella m'ha raccolto presso di sè e mi trattacon tanta bontà! —

Questa riflessione servì a svolgere sempre più il senti-mento e l'ingegno del giovanetto. In poco tempo avevaannaffiate e ripulite le ajuole del giardinuccio a lui con-fidato. Di giorno in giorno vedeva sbocciar qualche ne-gletto fiorellino, che guardato d'appresso giustificava lapredilezione della fanciulla. Egli cercò tanto nel suotrattato di botanica finchè pervenne a ordinare la mag-gior parte di quelle piante inedite pe' giardinieri; e gio-vandosi dei disegni ch'erano sparsi qua e là nel volume,cominciò a delinearne le foglie ed i fiori. A poco a poco

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rettificò quei disegni col confronto del vero che avevasott'occhio, e un bel giorno fece vedere ad Angela il pri-mo saggio dell'opera sua. La giovanetta arrossì di piace-re e si applaudì della disposizione che mostrava il suoalunno ad imitare la grazia del vero. Gli diede allorapennelli e colori, ed un album dove potesse scaraboc-chiare a sua posta.

Cosimo aveva davvero l'istinto, come dicono, del co-lore, e la percezione rapida e giusta della bellezza. Inpochi mesi fece meraviglie, e il giorno natalizio dellasua benefattrice le presentò la collezione completa dellepiante del suo giardino particolare. Egli l'aveva lavora-to[Pg 218] in segreto, e fu una sorpresa non solo per la fa-miglia, ma per Angela stessa. Tutti fecero le meraviglie,e il padre che era uomo d'ingegno e di gusto squisitonon mancò di notare quello che vi era di veramente sin-golare e pregevole in quegli abbozzi.

C'era infatti di che stupire vedendo come il sempliceistinto e l'osservazione del vero potessero aver fatto co-tanto. Gli uomini così detti dell'arte, i pittori d'accade-mia avrebbero certamente trovato molto a ridire, ma ilpadre di Angela giudicava coi propri occhi e non colleregole della scuola.

Cosimo non si era limitato alle piante ed ai fiori. Ave-va imitato anche gli insetti che vedeva sovente d'intornoa quelli. Nell'ultimo foglio dell'album, sotto alcune fo-

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rettificò quei disegni col confronto del vero che avevasott'occhio, e un bel giorno fece vedere ad Angela il pri-mo saggio dell'opera sua. La giovanetta arrossì di piace-re e si applaudì della disposizione che mostrava il suoalunno ad imitare la grazia del vero. Gli diede allorapennelli e colori, ed un album dove potesse scaraboc-chiare a sua posta.

Cosimo aveva davvero l'istinto, come dicono, del co-lore, e la percezione rapida e giusta della bellezza. Inpochi mesi fece meraviglie, e il giorno natalizio dellasua benefattrice le presentò la collezione completa dellepiante del suo giardino particolare. Egli l'aveva lavora-to[Pg 218] in segreto, e fu una sorpresa non solo per la fa-miglia, ma per Angela stessa. Tutti fecero le meraviglie,e il padre che era uomo d'ingegno e di gusto squisitonon mancò di notare quello che vi era di veramente sin-golare e pregevole in quegli abbozzi.

C'era infatti di che stupire vedendo come il sempliceistinto e l'osservazione del vero potessero aver fatto co-tanto. Gli uomini così detti dell'arte, i pittori d'accade-mia avrebbero certamente trovato molto a ridire, ma ilpadre di Angela giudicava coi propri occhi e non colleregole della scuola.

Cosimo non si era limitato alle piante ed ai fiori. Ave-va imitato anche gli insetti che vedeva sovente d'intornoa quelli. Nell'ultimo foglio dell'album, sotto alcune fo-

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glie di parietaria, il giovane pittore s'era divertito a di-pingere un ragno de' giardini, e gli era riuscito sì veroche la zia diede in un grido vedendolo, e retrocedè spa-ventata.

Fu un vero trionfo per Cosimo, che con bel garbochiese perdono alla dama della paura che le avea fatta.

Tutti risero di cuore dell'accidente, anche la zia quan-do si fu un poco rimessa dello spavento, non senza insi-nuare che c'erano tante belle farfalle da dipingere senzasprecare il tempo e i colori a raffigurare un sì brutto eschifoso animale qual era il ragno.

Cosimo si scusò un'altra volta dicendo che quello erail luogo della soscrizione, e che nessuno avrebbe ravvi-sato in una farfalla il simbolo del suo nome.

Il garbo che traluceva in queste parole e la modestaallusione alla propria deformità, terminò di guadagnareal giovanetto l'animo del padre di Angela, che da quelmomento pensò seriamente a coltivare un ingegno che simanifestava con sintomi sì felici.

[Pg 219]

V.

Il ragno!

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glie di parietaria, il giovane pittore s'era divertito a di-pingere un ragno de' giardini, e gli era riuscito sì veroche la zia diede in un grido vedendolo, e retrocedè spa-ventata.

Fu un vero trionfo per Cosimo, che con bel garbochiese perdono alla dama della paura che le avea fatta.

Tutti risero di cuore dell'accidente, anche la zia quan-do si fu un poco rimessa dello spavento, non senza insi-nuare che c'erano tante belle farfalle da dipingere senzasprecare il tempo e i colori a raffigurare un sì brutto eschifoso animale qual era il ragno.

Cosimo si scusò un'altra volta dicendo che quello erail luogo della soscrizione, e che nessuno avrebbe ravvi-sato in una farfalla il simbolo del suo nome.

Il garbo che traluceva in queste parole e la modestaallusione alla propria deformità, terminò di guadagnareal giovanetto l'animo del padre di Angela, che da quelmomento pensò seriamente a coltivare un ingegno che simanifestava con sintomi sì felici.

[Pg 219]

V.

Il ragno!

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Che fatalità inesplicabile pesa su questo povero inset-to! Tutti lo fuggono, tutti lo abborrono, tutti lo schiac-ciano. Al solo suo nome le labbra più gentili e benevolesi torcono ad un atto di ribrezzo e di odio. Un ragno! Sidirebbe che il Creatore l'abbia maledetto nell'ira sua incompagnia del serpente, ponendo un'eterna ed implaca-bile inimicizia fra esso e la donna! Eppure il ragno nonha, ch'io sappia, tentato nè la madre Eva, nè alcuna dellesue figlie. La mitologia ha ben raccontato la storia dellasuperba ricamatrice mutata in ragno da Pallade: ma cer-to l'avversione che ispira generalmente quel povero tes-sitore, non potrebbe derivare dalla vendetta ingenerosadella gran Dea.

È egli più brutto e più malefico degli altri animali? Ilragno è tutt'altro che brutto, o almeno non tutti i ragnison brutti. Quello de' giardini, per esempio, è distinto dicolori vivissimi, e ingrandito colla lente spiega una sim-metria di disegni e un'eleganza di tinte che noi racco-manderemmo alle nostre lettrici. Quanto alla sua naturavelenosa e malefica, non vi è un fatto, cred'io, che laprovi. La stessa tarantola, sul morso della quale si scris-sero libri e trattati, è ora dichiarata pressochè inoffensi-va. L'opinione comune è dunque affatto gratuita: èun'ingiustizia, una calunnia sociale. Fosse anche brutto,fosse anche venefico veramente, non è certo la bruttezzanè la malignità che lo costituisce come il paria del regnoanimale.

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Che fatalità inesplicabile pesa su questo povero inset-to! Tutti lo fuggono, tutti lo abborrono, tutti lo schiac-ciano. Al solo suo nome le labbra più gentili e benevolesi torcono ad un atto di ribrezzo e di odio. Un ragno! Sidirebbe che il Creatore l'abbia maledetto nell'ira sua incompagnia del serpente, ponendo un'eterna ed implaca-bile inimicizia fra esso e la donna! Eppure il ragno nonha, ch'io sappia, tentato nè la madre Eva, nè alcuna dellesue figlie. La mitologia ha ben raccontato la storia dellasuperba ricamatrice mutata in ragno da Pallade: ma cer-to l'avversione che ispira generalmente quel povero tes-sitore, non potrebbe derivare dalla vendetta ingenerosadella gran Dea.

È egli più brutto e più malefico degli altri animali? Ilragno è tutt'altro che brutto, o almeno non tutti i ragnison brutti. Quello de' giardini, per esempio, è distinto dicolori vivissimi, e ingrandito colla lente spiega una sim-metria di disegni e un'eleganza di tinte che noi racco-manderemmo alle nostre lettrici. Quanto alla sua naturavelenosa e malefica, non vi è un fatto, cred'io, che laprovi. La stessa tarantola, sul morso della quale si scris-sero libri e trattati, è ora dichiarata pressochè inoffensi-va. L'opinione comune è dunque affatto gratuita: èun'ingiustizia, una calunnia sociale. Fosse anche brutto,fosse anche venefico veramente, non è certo la bruttezzanè la malignità che lo costituisce come il paria del regnoanimale.

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Sarebbe forse perchè vive d'insidia, perchè tende lesue reti, perchè vi accalappia la preda di che nutre sestesso e la innumerabile sua famiglia?

[Pg 220]

La ragione onorerebbe il sentimento della mia pietosainterlocutrice, ma non mi sembra calzante. Ogni anima-le nasce Nemrod nella sua sfera particolare.

Tal quaggiù dell'altrui vita si pasce,Altre a nutrirne condannata l'egraVita mortal che il ciel parco dispensa!

Nè voi, gentil damigella, sarete punto disposta a di-fendere la mosca che spesso incappa tra quelle reti insi-diose, benchè la mosca sia molto più bella del ragno, enella scala degli esseri forse più perfetta di lui. Non vi èdunque alcuna buona ragione che giustifichi o scusil'odio generale che pesa sul ragno, e il bando che si vor-rebbe infliggere a questo infelice insetto dal vasto regnodella natura.

Angela, voi lo indovinate, non subiva nè anche inquesto il giogo della comune opinione. Il ragno era peressa un animale industrioso e paziente, e l'amava ancheprima che Vittor Ugo avesse scritto nelle sue Contem-plazioni:

J'aime l'araignée et l'ortieParce qu'on les hait.

Ella si guardava bene dal lacerar la sua tela, che si po-

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Sarebbe forse perchè vive d'insidia, perchè tende lesue reti, perchè vi accalappia la preda di che nutre sestesso e la innumerabile sua famiglia?

[Pg 220]

La ragione onorerebbe il sentimento della mia pietosainterlocutrice, ma non mi sembra calzante. Ogni anima-le nasce Nemrod nella sua sfera particolare.

Tal quaggiù dell'altrui vita si pasce,Altre a nutrirne condannata l'egraVita mortal che il ciel parco dispensa!

Nè voi, gentil damigella, sarete punto disposta a di-fendere la mosca che spesso incappa tra quelle reti insi-diose, benchè la mosca sia molto più bella del ragno, enella scala degli esseri forse più perfetta di lui. Non vi èdunque alcuna buona ragione che giustifichi o scusil'odio generale che pesa sul ragno, e il bando che si vor-rebbe infliggere a questo infelice insetto dal vasto regnodella natura.

Angela, voi lo indovinate, non subiva nè anche inquesto il giogo della comune opinione. Il ragno era peressa un animale industrioso e paziente, e l'amava ancheprima che Vittor Ugo avesse scritto nelle sue Contem-plazioni:

J'aime l'araignée et l'ortieParce qu'on les hait.

Ella si guardava bene dal lacerar la sua tela, che si po-

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Page 285: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

teva ammirare in tutta la sua integrità e simmetria inquell'angolo del giardino dove l'ortica medesima avevaottenuto un asilo. L'ortica poi, giacchè il poeta francesel'ha messa insieme col ragno e la onora dell'amor suo, lanostra eroina la favoriva anch'essa per due ragioni chesfuggirono al poeta de' paradossi: la prima perchè nutrecolle sue foglie una delle più belle farfalle che volinoper l'aria, la piccola pavonia, che spiega nelle ali leggie-re tutta la magnificenza dell'uccello caro a Giunone: laseconda, perchè aveva osservato che l'ortica[Pg 221] cessadi pungere quando mette fuori i suoi fiorellini e s'appre-sta a celebrar le sue nozze.

Tutto questo però parlava alla ragione più cheall'istinto. L'istinto di Angela è mirabilmente riassuntoin quei due versetti. Ella amava le creature di Dio in ra-gione dell'odio ingiusto onde le vedeva aggravate.

Queste idee sorte naturalmente l'una dall'altra aveanoformato il fondo della conversazione che animò i pochiamici raccolti la sera del giorno stesso presso il padre diAngela.

Ella compiva in quel giorno diciassette anni, e la zia,legislatrice suprema negli affari di convenienza, avevaautorizzato quella sera qualche invito speciale per cele-brare l'ammissione della nipote alle feste della pubertà.Oggimai Angela sarebbe condotta ai balli, ai teatri, aipasseggi dove si legano le relazioni sociali, e si ordisco-

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teva ammirare in tutta la sua integrità e simmetria inquell'angolo del giardino dove l'ortica medesima avevaottenuto un asilo. L'ortica poi, giacchè il poeta francesel'ha messa insieme col ragno e la onora dell'amor suo, lanostra eroina la favoriva anch'essa per due ragioni chesfuggirono al poeta de' paradossi: la prima perchè nutrecolle sue foglie una delle più belle farfalle che volinoper l'aria, la piccola pavonia, che spiega nelle ali leggie-re tutta la magnificenza dell'uccello caro a Giunone: laseconda, perchè aveva osservato che l'ortica[Pg 221] cessadi pungere quando mette fuori i suoi fiorellini e s'appre-sta a celebrar le sue nozze.

Tutto questo però parlava alla ragione più cheall'istinto. L'istinto di Angela è mirabilmente riassuntoin quei due versetti. Ella amava le creature di Dio in ra-gione dell'odio ingiusto onde le vedeva aggravate.

Queste idee sorte naturalmente l'una dall'altra aveanoformato il fondo della conversazione che animò i pochiamici raccolti la sera del giorno stesso presso il padre diAngela.

Ella compiva in quel giorno diciassette anni, e la zia,legislatrice suprema negli affari di convenienza, avevaautorizzato quella sera qualche invito speciale per cele-brare l'ammissione della nipote alle feste della pubertà.Oggimai Angela sarebbe condotta ai balli, ai teatri, aipasseggi dove si legano le relazioni sociali, e si ordisco-

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Page 286: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

no quelle tele di ragno che accalappiano non moscherinio farfalle, ma uomini e donne coi loro titoli rispettivi ecolle lor doti.

Immaginate un elegante salotto non già microscopicocome nei paesi settentrionali, dove si economizza lospazio per economizzare la materia da riscaldarlo: maun salotto ampio ed arioso alla veneziana, con un belfuoco acceso nel camminetto frankliniano incrostato diporcellana, tutto quadri e stampe appese in bell'ordinealle pareti, e qualche pianta fiorita e odorifera sui mas-sicci armadi degli angoli. Non mancava da un cantol'inevitabile Piano di Erhart, ma quella sera, grazie alcielo non venne ad imporre un silenzio forzato alla brio-sa conversazione che occupò la piacevole radunanza.

Dovrei ora descrivere ad una ad una e classificare ledieci o dodici persone che vi ebbero parte, e vi porreicon questo dinanzi agli occhi un bel quadro fiammingo.Ma io non amo i quadri fiamminghi dove si pretende di-pingere[Pg 222] tutto e tutti. Mi contenterò dunque diesporre che la brigata era composta d'uomini e donne: ilsignor Lanzoni, che s'intende, vo' dire, il padrone dicasa: l'angelo della festa, la zia, il medico che ho accen-nato altre volte, l'istitutore della fanciulla, ex-abate chenon avea ritenuto delle antiche abitudini se non l'abitoscuro ed una indomabile inclinazione per le discussioniteologiche: uomo probo del resto e d'animo liberale, cheinsegnava alla giovanetta la lingua latina e la geometria,

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no quelle tele di ragno che accalappiano non moscherinio farfalle, ma uomini e donne coi loro titoli rispettivi ecolle lor doti.

Immaginate un elegante salotto non già microscopicocome nei paesi settentrionali, dove si economizza lospazio per economizzare la materia da riscaldarlo: maun salotto ampio ed arioso alla veneziana, con un belfuoco acceso nel camminetto frankliniano incrostato diporcellana, tutto quadri e stampe appese in bell'ordinealle pareti, e qualche pianta fiorita e odorifera sui mas-sicci armadi degli angoli. Non mancava da un cantol'inevitabile Piano di Erhart, ma quella sera, grazie alcielo non venne ad imporre un silenzio forzato alla brio-sa conversazione che occupò la piacevole radunanza.

Dovrei ora descrivere ad una ad una e classificare ledieci o dodici persone che vi ebbero parte, e vi porreicon questo dinanzi agli occhi un bel quadro fiammingo.Ma io non amo i quadri fiamminghi dove si pretende di-pingere[Pg 222] tutto e tutti. Mi contenterò dunque diesporre che la brigata era composta d'uomini e donne: ilsignor Lanzoni, che s'intende, vo' dire, il padrone dicasa: l'angelo della festa, la zia, il medico che ho accen-nato altre volte, l'istitutore della fanciulla, ex-abate chenon avea ritenuto delle antiche abitudini se non l'abitoscuro ed una indomabile inclinazione per le discussioniteologiche: uomo probo del resto e d'animo liberale, cheinsegnava alla giovanetta la lingua latina e la geometria,

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Page 287: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

per contentare il di lei genio bizzarro.

Le signore erano parenti più o meno lontane della fa-miglia, tranne la contessa d'Andria che vi era venutaquella sera per presentarvi il contino suo figlio reduce aque' giorni da un lungo viaggio, che dicevasi d'istruzio-ne, nei vari paesi d'Europa. Era un bell'uomo di circatrent'anni, degno rappresentante di quella vegeta e gio-conda razza lombarda, che quando è un po' navigata hapochi rivali nel mondo per l'accordo delle qualità fisichee delle morali.

Il conte Alberto era stato navigato un po' troppo. Lamadre, per sottrarlo al contagio delle idee politiche chereputava troppo compromettenti, e alle conseguenze diqualche scappatella di gioventù, l'avea mandato a viag-giar la Germania, l'Inghilterra e la Francia. Aveva quindiappreso tre lingue, una farragine di cose e d'idee, senzaperdere nè la salute, nè il tempo, nè l'allegria. Tutt'al piùavea fatti certi larghi salassi alle rendite avite, special-mente nelle stagioni de' bagni. La madre non avea man-cato di fargliene le dovute rimostranze, ma alfine pensa-va che una buona dote avrebbe rimesso in ordine le par-tite. Chi sa che quella brava e provvida signora non ve-nisse a tendere la sua rete quella sera medesima! Ange-la, come ho già detto, era figlia unica e possedeva unafortuna assai ragguardevole, anche per un[Pg 223] conted'Andria che si fosse mezzo rovinato ai giuochi di Spa.

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per contentare il di lei genio bizzarro.

Le signore erano parenti più o meno lontane della fa-miglia, tranne la contessa d'Andria che vi era venutaquella sera per presentarvi il contino suo figlio reduce aque' giorni da un lungo viaggio, che dicevasi d'istruzio-ne, nei vari paesi d'Europa. Era un bell'uomo di circatrent'anni, degno rappresentante di quella vegeta e gio-conda razza lombarda, che quando è un po' navigata hapochi rivali nel mondo per l'accordo delle qualità fisichee delle morali.

Il conte Alberto era stato navigato un po' troppo. Lamadre, per sottrarlo al contagio delle idee politiche chereputava troppo compromettenti, e alle conseguenze diqualche scappatella di gioventù, l'avea mandato a viag-giar la Germania, l'Inghilterra e la Francia. Aveva quindiappreso tre lingue, una farragine di cose e d'idee, senzaperdere nè la salute, nè il tempo, nè l'allegria. Tutt'al piùavea fatti certi larghi salassi alle rendite avite, special-mente nelle stagioni de' bagni. La madre non avea man-cato di fargliene le dovute rimostranze, ma alfine pensa-va che una buona dote avrebbe rimesso in ordine le par-tite. Chi sa che quella brava e provvida signora non ve-nisse a tendere la sua rete quella sera medesima! Ange-la, come ho già detto, era figlia unica e possedeva unafortuna assai ragguardevole, anche per un[Pg 223] conted'Andria che si fosse mezzo rovinato ai giuochi di Spa.

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Page 288: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

Ho detto che la conversazione s'era lungamente aggi-rata sui ragni, insetti ed uomini, che tendono le loro retinel mondo. Cosimo, col suo disegno sempre là presentesulla tavola rotonda, aveva dato, senza saperlo e senzavolerlo, un tale indirizzo alle idee. Egli, come potetecredere, non assisteva alla conversazione se nonnell'emblema che aveva adottato quel giorno, ma nonper questo era rimasto estraneo a quanto si disse dagliuni e dagli altri.

Angela avea fatto ammirare la bizzarria del suo spiri-to ampliando la tesi del suo protetto e istituendo i piùgraziosi e piccanti confronti fra vari animali e variepiante e certi caratteri e certe fisonomie sociali. Il sog-getto non era nuovo, ma le applicazioni erano impronta-te di una finezza e di una grazia singolare. La buonagiovanetta rispondeva con questo indirettamente a quelliche avevano accolto con un sorriso troppo crudele l'ana-logia del ragno di Cosimo.

— Tu confondi due cose molto diverse — disse lazia. — Voglio concedere che il signor maestro somigliad un formicone, e il contino Alberto alla rondine viag-giatrice, e tu all'ortica che è più celebre per le sue punteche per la bellezza de' fiori. Il tuo protetto però non so-miglia ad un ragno per le sue qualità naturali, ma per lafatalità che lo ha fatto nascere gibboso e deforme. —

L'osservazione era vera, ma poco cortese e poco cari-

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Ho detto che la conversazione s'era lungamente aggi-rata sui ragni, insetti ed uomini, che tendono le loro retinel mondo. Cosimo, col suo disegno sempre là presentesulla tavola rotonda, aveva dato, senza saperlo e senzavolerlo, un tale indirizzo alle idee. Egli, come potetecredere, non assisteva alla conversazione se nonnell'emblema che aveva adottato quel giorno, ma nonper questo era rimasto estraneo a quanto si disse dagliuni e dagli altri.

Angela avea fatto ammirare la bizzarria del suo spiri-to ampliando la tesi del suo protetto e istituendo i piùgraziosi e piccanti confronti fra vari animali e variepiante e certi caratteri e certe fisonomie sociali. Il sog-getto non era nuovo, ma le applicazioni erano impronta-te di una finezza e di una grazia singolare. La buonagiovanetta rispondeva con questo indirettamente a quelliche avevano accolto con un sorriso troppo crudele l'ana-logia del ragno di Cosimo.

— Tu confondi due cose molto diverse — disse lazia. — Voglio concedere che il signor maestro somigliad un formicone, e il contino Alberto alla rondine viag-giatrice, e tu all'ortica che è più celebre per le sue punteche per la bellezza de' fiori. Il tuo protetto però non so-miglia ad un ragno per le sue qualità naturali, ma per lafatalità che lo ha fatto nascere gibboso e deforme. —

L'osservazione era vera, ma poco cortese e poco cari-

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Page 289: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

tatevole. Ella volle forse dar sulla voce alla nipotina, emettere un freno a quello spirito un po' troppo franco edisinvolto per una giovane che fa il suo primo ingressonel mondo. Angela capì la lezione, e un po' mortificata,si pose a squadernare il suo album, senza più prenderparte al discorso.

[Pg 224]

La conversazione prese allora un'altra piega. Il conteAlberto, avendo inteso che si trattava di un povero gob-bo che interessava sì vivamente la famiglia per le suebuone qualità d'intelletto e di cuore, si mise a narrar ma-raviglie di un istituto ortopedico che avea visitato a Pa-rigi, e che dava risultati mirabili.

— Nulla è più impossibile alla scienza — disse il no-stro viaggiatore. — Il dottore di casa, e l'abate, che sole-va leggere le riviste scientifiche del tempo, appoggiaro-no entrambi le parole del conte, tanto che il signor Lan-zoni lasciò intravedere la sua intenzione di confidare ilpovero trovatello ad uno di quegli Stabilimenti.

Il padre di Angela aveva un cuore che teneva molto diquello della figliuola. Potendo fare il bene, non lo face-va a metà. Fu stabilito che il conte avrebbe esaminato ilfanciullo, e ne avrebbe scritto al direttore dell'istitutoche avea visitato, per sapere se la qualità del difetto el'età dell'infermo lasciassero qualche speranza di guari-gione.

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tatevole. Ella volle forse dar sulla voce alla nipotina, emettere un freno a quello spirito un po' troppo franco edisinvolto per una giovane che fa il suo primo ingressonel mondo. Angela capì la lezione, e un po' mortificata,si pose a squadernare il suo album, senza più prenderparte al discorso.

[Pg 224]

La conversazione prese allora un'altra piega. Il conteAlberto, avendo inteso che si trattava di un povero gob-bo che interessava sì vivamente la famiglia per le suebuone qualità d'intelletto e di cuore, si mise a narrar ma-raviglie di un istituto ortopedico che avea visitato a Pa-rigi, e che dava risultati mirabili.

— Nulla è più impossibile alla scienza — disse il no-stro viaggiatore. — Il dottore di casa, e l'abate, che sole-va leggere le riviste scientifiche del tempo, appoggiaro-no entrambi le parole del conte, tanto che il signor Lan-zoni lasciò intravedere la sua intenzione di confidare ilpovero trovatello ad uno di quegli Stabilimenti.

Il padre di Angela aveva un cuore che teneva molto diquello della figliuola. Potendo fare il bene, non lo face-va a metà. Fu stabilito che il conte avrebbe esaminato ilfanciullo, e ne avrebbe scritto al direttore dell'istitutoche avea visitato, per sapere se la qualità del difetto el'età dell'infermo lasciassero qualche speranza di guari-gione.

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VI.

Angela aveva inteso con visibile emozione il progettodi sottoporre il suo allievo ad una cura ortopedica: manon avea preso parte al discorso, ignorando affatto l'esi-stenza e l'efficacia di questo metodo. Ella non avea maiconsiderata come curabile la strana conformazione diCosimo, nè vi pensava che per deplorare la crudel biz-zarria della sorte che l'avea così condannato ad essere illudibrio delle altrui beffe o dell'altrui compassione. Orale sue idee presero naturalmente una nuova piega, e poi-chè l'arte umana poteva liberare da quello stato infeliceil povero infermo, si diede tutta a sollecitarne l'effetto.

[Pg 225]

La mattina susseguente sorprese Cosimo affaccendatonelle sue consuete occupazioni, e dopo averlo ringrazia-to con affetto de' suoi disegni, lo informò del progettoche si era intavolato sul conto suo.

Cosimo l'ascoltò come trasognato senza comprenderbene di che parlasse. Anch'egli, al pari di lei, avea ri-sguardato sempre la propria deformità come un malesenza rimedio, e si era rassegnato a sopportarlo per tuttala vita. Non diremo che non sentisse con qualche ama-rezza le sconce risa che suonavano intorno a lui, e le ce-lie poco decenti che gli fioccavano addosso, ma vi si eragià accostumato per modo che non ne faceva più caso.Cercava di prevenirle e di evitarle quando poteva, ren-

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VI.

Angela aveva inteso con visibile emozione il progettodi sottoporre il suo allievo ad una cura ortopedica: manon avea preso parte al discorso, ignorando affatto l'esi-stenza e l'efficacia di questo metodo. Ella non avea maiconsiderata come curabile la strana conformazione diCosimo, nè vi pensava che per deplorare la crudel biz-zarria della sorte che l'avea così condannato ad essere illudibrio delle altrui beffe o dell'altrui compassione. Orale sue idee presero naturalmente una nuova piega, e poi-chè l'arte umana poteva liberare da quello stato infeliceil povero infermo, si diede tutta a sollecitarne l'effetto.

[Pg 225]

La mattina susseguente sorprese Cosimo affaccendatonelle sue consuete occupazioni, e dopo averlo ringrazia-to con affetto de' suoi disegni, lo informò del progettoche si era intavolato sul conto suo.

Cosimo l'ascoltò come trasognato senza comprenderbene di che parlasse. Anch'egli, al pari di lei, avea ri-sguardato sempre la propria deformità come un malesenza rimedio, e si era rassegnato a sopportarlo per tuttala vita. Non diremo che non sentisse con qualche ama-rezza le sconce risa che suonavano intorno a lui, e le ce-lie poco decenti che gli fioccavano addosso, ma vi si eragià accostumato per modo che non ne faceva più caso.Cercava di prevenirle e di evitarle quando poteva, ren-

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dendosi caro ed utile a tutti colle sue buone parole e coimille piccoli servigi che procurava di rendere a quantipotesse. E quando pensava che, senza quel difetto, nonavrebbe forse mai conosciuta la sua benefattrice, eraquasi tentato di ringraziar la natura e la fortuna di averloconcio a quel modo. Ora vedendo la possibilità di rigua-dagnare il suo posto nel numero degli esseri regolari eben naturati, restava perplesso, come quegli che si trovadinanzi una prospettiva che non si aspettava nè immagi-nava vedere. Una folla di idee e di desiderii nuovi gli siaffacciavano alla mente e gli agitavano il cuore: mal'abito del dolore e il suo naturale buon senso lo ritenne-ro dall'abbandonarsi a troppo lusinghiere speranze.

D'altronde gli corse subito al pensiero che, a volertentare siffatta cura, bisognava lasciar Milano, bisogna-va abbandonar quella casa e quelle persone così affet-tuose e così care, quell'angelo che aveva dinanzi agli oc-chi, e che non osava di riguardare. Non più vederla, nonpiù udir la soave sua voce, ciò gli pareva gran sacrifizio,anche se avessegli a fruttare la felice metamorfosi chegli era promessa.

[Pg 226]

Queste riflessioni traversarono come lampo l'animasua, ma non osò palesarle alla sua protettrice per una ra-gione più facile a immaginare che a dire. Si contentòdunque di crollare il capo in aria d'incredulità, e risposecon mesto sorriso: — Perchè il ragno si lagnerà egli del-

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dendosi caro ed utile a tutti colle sue buone parole e coimille piccoli servigi che procurava di rendere a quantipotesse. E quando pensava che, senza quel difetto, nonavrebbe forse mai conosciuta la sua benefattrice, eraquasi tentato di ringraziar la natura e la fortuna di averloconcio a quel modo. Ora vedendo la possibilità di rigua-dagnare il suo posto nel numero degli esseri regolari eben naturati, restava perplesso, come quegli che si trovadinanzi una prospettiva che non si aspettava nè immagi-nava vedere. Una folla di idee e di desiderii nuovi gli siaffacciavano alla mente e gli agitavano il cuore: mal'abito del dolore e il suo naturale buon senso lo ritenne-ro dall'abbandonarsi a troppo lusinghiere speranze.

D'altronde gli corse subito al pensiero che, a volertentare siffatta cura, bisognava lasciar Milano, bisogna-va abbandonar quella casa e quelle persone così affet-tuose e così care, quell'angelo che aveva dinanzi agli oc-chi, e che non osava di riguardare. Non più vederla, nonpiù udir la soave sua voce, ciò gli pareva gran sacrifizio,anche se avessegli a fruttare la felice metamorfosi chegli era promessa.

[Pg 226]

Queste riflessioni traversarono come lampo l'animasua, ma non osò palesarle alla sua protettrice per una ra-gione più facile a immaginare che a dire. Si contentòdunque di crollare il capo in aria d'incredulità, e risposecon mesto sorriso: — Perchè il ragno si lagnerà egli del-

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la sua figura, specialmente quando voi ne prendete le di-fese, come avete fatto jer sera? —

Angela arrossì alla sua volta senza ben sapere il per-chè: ma, ricomponendosi tosto, seppe trovare tante buo-ne ragioni, che Cosimo non potè più insistere nella suanegativa, e si mostrò pronto a fare la volontà dei suoibenefattori e padroni.

Il signor Lanzoni non pose tempo in mezzo a procu-rarsi le notizie più necessarie intorno agli istituti ortope-dici di Parigi. Il medico di casa e il conte Albertod'Andria, prima origine del progetto, l'avevano coadju-vato. Tutti erano lieti di poter ridonare la sua sanità e di-rittura delle membra ad un giovanetto che mostravasicosì sano dello spirito e così dritto d'ingegno. I più con-tenti parvero il giardiniere e la zia, pei quali quell'indivi-duo così contraffatto era uno spino negli occhi: all'unoperchè era troppo sapiente, all'altra perchè avevaun'invincibile avversione per gli uomini malfatti, e li ab-borriva come segnati da Dio.

Angela, dal canto suo, si pose senz'altro a mettere in-sieme gli abiti e la biancheria necessaria per un sì lungoviaggio, e per un'assenza che poteva durare più mesi epiù anni. In quest'occasione si vede più che mai che nonlo considerava come un servo, ma, quasi direi come unfiglio. Non era ella successa alla madre? non ne avevaella fatte le veci? non ne aveva adempiuti i doveri? Sen-

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la sua figura, specialmente quando voi ne prendete le di-fese, come avete fatto jer sera? —

Angela arrossì alla sua volta senza ben sapere il per-chè: ma, ricomponendosi tosto, seppe trovare tante buo-ne ragioni, che Cosimo non potè più insistere nella suanegativa, e si mostrò pronto a fare la volontà dei suoibenefattori e padroni.

Il signor Lanzoni non pose tempo in mezzo a procu-rarsi le notizie più necessarie intorno agli istituti ortope-dici di Parigi. Il medico di casa e il conte Albertod'Andria, prima origine del progetto, l'avevano coadju-vato. Tutti erano lieti di poter ridonare la sua sanità e di-rittura delle membra ad un giovanetto che mostravasicosì sano dello spirito e così dritto d'ingegno. I più con-tenti parvero il giardiniere e la zia, pei quali quell'indivi-duo così contraffatto era uno spino negli occhi: all'unoperchè era troppo sapiente, all'altra perchè avevaun'invincibile avversione per gli uomini malfatti, e li ab-borriva come segnati da Dio.

Angela, dal canto suo, si pose senz'altro a mettere in-sieme gli abiti e la biancheria necessaria per un sì lungoviaggio, e per un'assenza che poteva durare più mesi epiù anni. In quest'occasione si vede più che mai che nonlo considerava come un servo, ma, quasi direi come unfiglio. Non era ella successa alla madre? non ne avevaella fatte le veci? non ne aveva adempiuti i doveri? Sen-

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za di lei il povero nano avrebbe continuato ad essere lozimbello de' suoi compagni, forse sarebbe morto di mi-seria e di crepacuore, certo poi non si sarebbe[Pg 227] le-vato a sì nobili sensi, e non avrebbe aperto l'intelletto el'animo a quelle idee e a quelle attitudini che gli merita-vano la benevolenza di tutti.

Prese dunque le informazioni, e fatti i necessari pre-parativi, si dispose a partire per Parigi, raccomandatodal padre di Angela e dal conte d'Andria al direttore delprimo istituto ortopedico di quella città. La cura che in-traprendeva non doveva distorlo dagli studi che avea in-cominciato. Angela l'aveva fornito a dovizia di disegni,di colori, di trattati di botanica e delle flore più ricche ecomplete che avesse trovato nella paterna biblioteca enelle librerie di Milano. A Parigi poi avrebbe visitato ilGiardino delle piante, ove ammirerebbe per la primavolta la splendida vegetazione de' tropici, le collezionipiù complete di storia naturale, tanto da farsi un'ideacomplessiva delle varie produzioni dei due emisferi. Ilpadre la vedeva fare e sorrideva compiacendosi diquell'affetto quasi materno che mostrava per quell'infeli-ce.

Il momento della partenza raddoppiò l'emozione. Co-simo impallidì e fu sul punto di cadere in deliquio. Nes-suno comprese la vera cagione di quel turbamento, nem-meno Angela ch'era presente, nemmeno egli stesso. Eraun presentimento di qualche sventura, era il terrore di

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za di lei il povero nano avrebbe continuato ad essere lozimbello de' suoi compagni, forse sarebbe morto di mi-seria e di crepacuore, certo poi non si sarebbe[Pg 227] le-vato a sì nobili sensi, e non avrebbe aperto l'intelletto el'animo a quelle idee e a quelle attitudini che gli merita-vano la benevolenza di tutti.

Prese dunque le informazioni, e fatti i necessari pre-parativi, si dispose a partire per Parigi, raccomandatodal padre di Angela e dal conte d'Andria al direttore delprimo istituto ortopedico di quella città. La cura che in-traprendeva non doveva distorlo dagli studi che avea in-cominciato. Angela l'aveva fornito a dovizia di disegni,di colori, di trattati di botanica e delle flore più ricche ecomplete che avesse trovato nella paterna biblioteca enelle librerie di Milano. A Parigi poi avrebbe visitato ilGiardino delle piante, ove ammirerebbe per la primavolta la splendida vegetazione de' tropici, le collezionipiù complete di storia naturale, tanto da farsi un'ideacomplessiva delle varie produzioni dei due emisferi. Ilpadre la vedeva fare e sorrideva compiacendosi diquell'affetto quasi materno che mostrava per quell'infeli-ce.

Il momento della partenza raddoppiò l'emozione. Co-simo impallidì e fu sul punto di cadere in deliquio. Nes-suno comprese la vera cagione di quel turbamento, nem-meno Angela ch'era presente, nemmeno egli stesso. Eraun presentimento di qualche sventura, era il terrore di

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affrontare nuovi pericoli? Noi non sapremmo ben dirlo.Il cuore umano, anche quello di un povero paria dellanatura e della società, cela misteri profondi che è mala-gevole scrutinare. Se fosse stato solo, forse avrebbe pro-rotto in lagrime, e nello sfogo avrebbe sollevato il suocuore. In presenza di Angela, del padre di lei, e di unaparte della famiglia, avea voluto comprimere la suaemozione, e riuscì a farla più manifesta malgrado suo.Ma il calesse era pronto, e vi montò precipitosamenteprima che le forze gli venissero meno del tutto.

[Pg 228]

VII.

Quest'affare di Cosimo avea dato occasione al conted'Andria di venire più d'una volta in casa Lanzoni, oraper communicare una risposta ricevuta da Parigi, ora peresaminare il soggetto, come si dice in istile dell'arte, eriferirne al direttore dell'istituto ortopedico.

Si sarebbe detto a prima vista che il conte prendeva ilpiù vivo interesse per quel disgraziato, ma un occhio piùsagace avrebbe di leggieri scoperto, sotto questa singo-lare benevolenza, un altro fine secreto che non era caritàdel prossimo. Il conte aveva gittato gli occhi sull'avve-nente fanciulla, ne aveva conosciute le simpatie, e pa-rendogli un partito non disprezzabile, avea fatto così sudue piedi il suo piano di battaglia. La sua sagace tattica

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affrontare nuovi pericoli? Noi non sapremmo ben dirlo.Il cuore umano, anche quello di un povero paria dellanatura e della società, cela misteri profondi che è mala-gevole scrutinare. Se fosse stato solo, forse avrebbe pro-rotto in lagrime, e nello sfogo avrebbe sollevato il suocuore. In presenza di Angela, del padre di lei, e di unaparte della famiglia, avea voluto comprimere la suaemozione, e riuscì a farla più manifesta malgrado suo.Ma il calesse era pronto, e vi montò precipitosamenteprima che le forze gli venissero meno del tutto.

[Pg 228]

VII.

Quest'affare di Cosimo avea dato occasione al conted'Andria di venire più d'una volta in casa Lanzoni, oraper communicare una risposta ricevuta da Parigi, ora peresaminare il soggetto, come si dice in istile dell'arte, eriferirne al direttore dell'istituto ortopedico.

Si sarebbe detto a prima vista che il conte prendeva ilpiù vivo interesse per quel disgraziato, ma un occhio piùsagace avrebbe di leggieri scoperto, sotto questa singo-lare benevolenza, un altro fine secreto che non era caritàdel prossimo. Il conte aveva gittato gli occhi sull'avve-nente fanciulla, ne aveva conosciute le simpatie, e pa-rendogli un partito non disprezzabile, avea fatto così sudue piedi il suo piano di battaglia. La sua sagace tattica

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avea sortito l'effetto: egli avea parlato più volte alla gio-vane, le avea dato prova della bontà dell'animo suo,avea contribuito al benessere del suo protetto, s'era aper-to una via ad intertenersi con lei ogni qual volta l'avessedesiderato.

Angela, semplice e buona com'era, non aveva pensatoa secondi fini. Fu grata alla cooperazione dell'interessatovicino per ciò che credeva poter esser utile al giovanet-to, ma non andò più oltre nè pur col pensiero. Il suocuore non s'era per anco aperto all'amore. Se il contel'avesse amata davvero, un pari sentimento sarebbe sortospontaneamente nell'animo suo: i cuori s'indovinano e sirispondono. Ma ciò non avvenne. Ella prese le premuredel conte Alberto come semplici atti di cortesia, e rispo-se con altrettanti. Il conte d'Andria non aveva l'onored'essere una mala erba per provocare sull'istante le suesimpatie. S'era presentato in[Pg 229] casa di lei colla fran-ca disinvoltura che suole ispirare un'idea esagerata delproprio merito personale e la memoria dei molti trionfiottenuti. L'aver veduto il bel mondo di quasi tuttal'Europa non contribuiva per poco a codesto. Ma senzaciò, il conte era grande della persona, d'aspetto avvenen-te, occhi neri, capelli neri, tinta bruno-vermiglia: unvero modello per rappresentar l'italiano in una galleriaetnografico-pittoresca. Angela l'aveva ammirato come siammira una bella statua, come ammirava i più bei fioridelle serre paterne, ma il suo cuore era restato chiuso adogni sentimento più tenero. Egli, dal canto suo, non ave-

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avea sortito l'effetto: egli avea parlato più volte alla gio-vane, le avea dato prova della bontà dell'animo suo,avea contribuito al benessere del suo protetto, s'era aper-to una via ad intertenersi con lei ogni qual volta l'avessedesiderato.

Angela, semplice e buona com'era, non aveva pensatoa secondi fini. Fu grata alla cooperazione dell'interessatovicino per ciò che credeva poter esser utile al giovanet-to, ma non andò più oltre nè pur col pensiero. Il suocuore non s'era per anco aperto all'amore. Se il contel'avesse amata davvero, un pari sentimento sarebbe sortospontaneamente nell'animo suo: i cuori s'indovinano e sirispondono. Ma ciò non avvenne. Ella prese le premuredel conte Alberto come semplici atti di cortesia, e rispo-se con altrettanti. Il conte d'Andria non aveva l'onored'essere una mala erba per provocare sull'istante le suesimpatie. S'era presentato in[Pg 229] casa di lei colla fran-ca disinvoltura che suole ispirare un'idea esagerata delproprio merito personale e la memoria dei molti trionfiottenuti. L'aver veduto il bel mondo di quasi tuttal'Europa non contribuiva per poco a codesto. Ma senzaciò, il conte era grande della persona, d'aspetto avvenen-te, occhi neri, capelli neri, tinta bruno-vermiglia: unvero modello per rappresentar l'italiano in una galleriaetnografico-pittoresca. Angela l'aveva ammirato come siammira una bella statua, come ammirava i più bei fioridelle serre paterne, ma il suo cuore era restato chiuso adogni sentimento più tenero. Egli, dal canto suo, non ave-

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va nessun interesse a concludere. Era avvezzo, in fattod'amore, a lasciar correre l'acqua alla china. Forse è ilpartito migliore quando non si tratti di sorprendere exabrupto un assenso, e prendere, come si dice, la piazzad'assalto. D'altronde Angela era ancora sì giovane d'annie di spirito!

Dopo la partenza di Cosimo, ella s'era trovata sola ederelitta. La casa, il giardino, le parevano vuoti e deser-ti. Le più belle camelie la trovavano indifferente: il suorecinto particolare si risentiva delle prime brine, e piùancora della lontananza del suo cultore. Il novembreaveva disseccato metà delle piante. Le altre si restringe-vano in sè stesse per tener fronte alla rigida stagione, eprepararsi al riposo invernale. Ella guardava malinconi-camente quell'erbe e quei fiori, divagando col pensieroad altre idee, ad altri mondi.

Specialmente quando era sola la sera, e agucchiavapresso la zia, o squadernava distratta qualche volume,due immagini le stavano innanzi, due immagini ben di-verse. Cosimo colla sua faccia pallida e malinconica, ilpovero Cosimo infermo, contraffatto, schernito da tutti,e il conte Alberto d'Andria in tutta la pompa[Pg 230] dellasua bellezza virile, forte e robusto della persona, amatoo invidiato da tutti. Ci affrettiamo a dirlo per non indur-re i nostri lettori a impronti e falsi giudizi. Angela nonamava d'amore nè l'uno nè l'altro. Ho già detto che nonera ancora sonata per essa quell'ora che cambia e tra-

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va nessun interesse a concludere. Era avvezzo, in fattod'amore, a lasciar correre l'acqua alla china. Forse è ilpartito migliore quando non si tratti di sorprendere exabrupto un assenso, e prendere, come si dice, la piazzad'assalto. D'altronde Angela era ancora sì giovane d'annie di spirito!

Dopo la partenza di Cosimo, ella s'era trovata sola ederelitta. La casa, il giardino, le parevano vuoti e deser-ti. Le più belle camelie la trovavano indifferente: il suorecinto particolare si risentiva delle prime brine, e piùancora della lontananza del suo cultore. Il novembreaveva disseccato metà delle piante. Le altre si restringe-vano in sè stesse per tener fronte alla rigida stagione, eprepararsi al riposo invernale. Ella guardava malinconi-camente quell'erbe e quei fiori, divagando col pensieroad altre idee, ad altri mondi.

Specialmente quando era sola la sera, e agucchiavapresso la zia, o squadernava distratta qualche volume,due immagini le stavano innanzi, due immagini ben di-verse. Cosimo colla sua faccia pallida e malinconica, ilpovero Cosimo infermo, contraffatto, schernito da tutti,e il conte Alberto d'Andria in tutta la pompa[Pg 230] dellasua bellezza virile, forte e robusto della persona, amatoo invidiato da tutti. Ci affrettiamo a dirlo per non indur-re i nostri lettori a impronti e falsi giudizi. Angela nonamava d'amore nè l'uno nè l'altro. Ho già detto che nonera ancora sonata per essa quell'ora che cambia e tra-

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Page 297: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

sforma ad un tratto l'essere d'una donna. Dinanziall'amore nessun confronto sarebbe stato possibile fraquei due. Il povero Cosimo poteva eccitare la pietà piùsincera e più viva, ma non quel sentimento che dominatutta la vita. La bizzarra fantasia della giovane si com-piaceva di paragonarli sott'altro aspetto. Angela era unodi quegli spiriti che domandano il perchè d'ogni cosa.Perchè dunque Alberto sì grande e sì bello, e Cosimocosì sformato e ridicolo? Se il corpo non è che l'organodell'anima, perchè quella di Cosimo non era pervenuta aformarsi un corpo più perfetto ed armonico? Questioniinsolubili che tormentavano la sua intelligenza, e la fa-cevano divagare sovente nel mondo delle chimere. Ellanon s'era già lasciata abbagliare dalle lusinghiere appa-renze d'Alberto: il suo giudizio s'era già formato soprale qualità morali dell'uomo. Giammai, posto nelle condi-zioni di Cosimo, ei sarebbe giunto a educare se stesso ea sollevarsi ai graziosi concetti dell'arte. Pensava dun-que all'ingiustizia della fortuna, a un poter capriccioso,che agli uni prodiga tutto, grazia, ricchezza, avvenenza,vantaggi sociali; agli altri tutto ricusa, e li condanna aservire come d'ombra o di contrasto ai loro fratelli privi-legiati.

Era sempre lo stesso tema, sempre la stessa curiositàche le presentava il morale sotto questo punto di vista, ela spingeva a cercare una soluzione soddisfacente: ma itermini del suo confronto, che fino allora erano stati va-ghi ed incerti, ora si venivano incarnando in quei due. Il

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sforma ad un tratto l'essere d'una donna. Dinanziall'amore nessun confronto sarebbe stato possibile fraquei due. Il povero Cosimo poteva eccitare la pietà piùsincera e più viva, ma non quel sentimento che dominatutta la vita. La bizzarra fantasia della giovane si com-piaceva di paragonarli sott'altro aspetto. Angela era unodi quegli spiriti che domandano il perchè d'ogni cosa.Perchè dunque Alberto sì grande e sì bello, e Cosimocosì sformato e ridicolo? Se il corpo non è che l'organodell'anima, perchè quella di Cosimo non era pervenuta aformarsi un corpo più perfetto ed armonico? Questioniinsolubili che tormentavano la sua intelligenza, e la fa-cevano divagare sovente nel mondo delle chimere. Ellanon s'era già lasciata abbagliare dalle lusinghiere appa-renze d'Alberto: il suo giudizio s'era già formato soprale qualità morali dell'uomo. Giammai, posto nelle condi-zioni di Cosimo, ei sarebbe giunto a educare se stesso ea sollevarsi ai graziosi concetti dell'arte. Pensava dun-que all'ingiustizia della fortuna, a un poter capriccioso,che agli uni prodiga tutto, grazia, ricchezza, avvenenza,vantaggi sociali; agli altri tutto ricusa, e li condanna aservire come d'ombra o di contrasto ai loro fratelli privi-legiati.

Era sempre lo stesso tema, sempre la stessa curiositàche le presentava il morale sotto questo punto di vista, ela spingeva a cercare una soluzione soddisfacente: ma itermini del suo confronto, che fino allora erano stati va-ghi ed incerti, ora si venivano incarnando in quei due. Il

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conte d'Andria era per lei l'usurpatore, il tiranno,[Pg 231]l'enfant gâté della natura; Cosimo, il paria, l'oppresso, illudibrio d'un iniquo destino. Non occorre aggiungereche in questi momenti, e sotto il martello di queste ri-flessioni, ella sentiva una segreta avversione per il belcavaliere, e parteggiava per il suo antagonista. Fino idue nomi partecipavano a questa lotta. Alberto d'Andria,uno dei più bei nomi di Lombardia, e Cosimo, che ave-va udito la prima volta alterato per beffa crudele, quan-do i monelli ne facevano Quasimodo!

— Alberto d'Andria! Eppure io ho veduto o intesoquesto nome altre volte, — diceva a se stessa la giova-ne. — Alberto d'Andria! Certo la zia me ne deve averdetto qualche cosa per il passato, per cui m'è restato nel-la memoria senza ch'io me ne rammenti nè il come nè ilquando! —

E così dicendo cercava pure di richiamarsi alla mentedove avesse letto quel nome, e perchè si unisse semprenel suo pensiero con quello di Cosimo. Tutto ad un trat-to, quasi rischiarata da una subita luce, corre allo stipodove avea riposto il borsellino che Cosimo le aveva re-stituito: si ricordò della carta che le era stata affidata,l'aperse e la lesse. Era, come accennammo, una promes-sa di matrimonio, una promessa formale sottoscritta intutte lettere:

Alberto d'Andria.

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conte d'Andria era per lei l'usurpatore, il tiranno,[Pg 231]l'enfant gâté della natura; Cosimo, il paria, l'oppresso, illudibrio d'un iniquo destino. Non occorre aggiungereche in questi momenti, e sotto il martello di queste ri-flessioni, ella sentiva una segreta avversione per il belcavaliere, e parteggiava per il suo antagonista. Fino idue nomi partecipavano a questa lotta. Alberto d'Andria,uno dei più bei nomi di Lombardia, e Cosimo, che ave-va udito la prima volta alterato per beffa crudele, quan-do i monelli ne facevano Quasimodo!

— Alberto d'Andria! Eppure io ho veduto o intesoquesto nome altre volte, — diceva a se stessa la giova-ne. — Alberto d'Andria! Certo la zia me ne deve averdetto qualche cosa per il passato, per cui m'è restato nel-la memoria senza ch'io me ne rammenti nè il come nè ilquando! —

E così dicendo cercava pure di richiamarsi alla mentedove avesse letto quel nome, e perchè si unisse semprenel suo pensiero con quello di Cosimo. Tutto ad un trat-to, quasi rischiarata da una subita luce, corre allo stipodove avea riposto il borsellino che Cosimo le aveva re-stituito: si ricordò della carta che le era stata affidata,l'aperse e la lesse. Era, come accennammo, una promes-sa di matrimonio, una promessa formale sottoscritta intutte lettere:

Alberto d'Andria.

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Angela restò come stupida, colla carta spiegata dinan-zi agli occhi, e non credeva a se stessa, non sapeva sevedesse il vero, o se fosse qualche strana allucinazione.Alberto d'Andria! Una promessa di matrimonio alla...madre di Cosimo! Questa scoperta le parve così impor-tante, e il mistero che intravedeva, sì tenebroso, che nonosò decifrarlo, e non volle nemmeno affrettarsi[Pg 232] afarne parte agli altri della famiglia. Ripose la carta nelborsellino, e lo rinchiuse nell'angolo più riposto del suostipetto. Prima che ad altri il cuore le diceva di doverlocomunicare a quello che aveva un maggiore interesse asaperlo. Risolse di scriverne a Cosimo, ma non si affret-tò temendo che l'emozione che ne proverebbe non aves-se a compromettere la cura che intraprendeva, e sullaquale aveva fondato tanta speranza.

Aspettò dunque consiglio dal tempo, e chiuse in sèmedesima il suo segreto.

VIII.

Il nostro Cosimo fece il suo viaggio fino a Parigi inuna di quell'enormi macchine, che, prima dell'invenzio-ne delle ferrovie, servivano al trasporto ordinariod'uomini e cose, e si chiamavano, per eufonia o ironia,diligenze, velociferi, corriere, ec. Da venti a ventiquat-tro esseri umani venivano insaccati in una vettura dadue, da tre, da quattro piani o compartimenti, dal postoprivilegiato al più economico, chiamato per la stessa

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Angela restò come stupida, colla carta spiegata dinan-zi agli occhi, e non credeva a se stessa, non sapeva sevedesse il vero, o se fosse qualche strana allucinazione.Alberto d'Andria! Una promessa di matrimonio alla...madre di Cosimo! Questa scoperta le parve così impor-tante, e il mistero che intravedeva, sì tenebroso, che nonosò decifrarlo, e non volle nemmeno affrettarsi[Pg 232] afarne parte agli altri della famiglia. Ripose la carta nelborsellino, e lo rinchiuse nell'angolo più riposto del suostipetto. Prima che ad altri il cuore le diceva di doverlocomunicare a quello che aveva un maggiore interesse asaperlo. Risolse di scriverne a Cosimo, ma non si affret-tò temendo che l'emozione che ne proverebbe non aves-se a compromettere la cura che intraprendeva, e sullaquale aveva fondato tanta speranza.

Aspettò dunque consiglio dal tempo, e chiuse in sèmedesima il suo segreto.

VIII.

Il nostro Cosimo fece il suo viaggio fino a Parigi inuna di quell'enormi macchine, che, prima dell'invenzio-ne delle ferrovie, servivano al trasporto ordinariod'uomini e cose, e si chiamavano, per eufonia o ironia,diligenze, velociferi, corriere, ec. Da venti a ventiquat-tro esseri umani venivano insaccati in una vettura dadue, da tre, da quattro piani o compartimenti, dal postoprivilegiato al più economico, chiamato per la stessa

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metafora, il paradiso. Uomini e donne, preti e frati contutte le loro attinenze erano posti alla rinfusa, dove for-tuna li balestrava, o piuttosto il conduttore per sue buo-ne ragioni li collocava. O per fortuna o per altra provvi-denza che vi lascio immaginare, Cosimo si trovò agliavamposti, assiso comodamente accanto al conduttoredel popolato veicolo. E fu bene per lui, giacchè se sifosse trovato nel corpo della carrozza in mezzo a dieci ododici annoiati, vi so dire che la sua singolare configu-razione sarebbe stata il tema delle inevitabili beffe, ondel'uno o l'altro della brigata l'avrebbe fatto segno per pas-satempo.

[Pg 233]

Cosa singolare! Egli non aveva mai pensato alla pro-pria infermità se non da quindici giorni, dall'epoca ap-punto che aveva veduto il conte Alberto, e gli era statasvegliata nell'anima la lusinga di raddrizzarsi le reni.Una disgrazia irreparabile si sopporta senza pensarvi. Sisa che il condannato a morte suol riposare la notte cheprecede il supplizio: ma se tutto ad un tratto gli fossefatta sperare la grazia, non chiuderebbe più gli occhisotto il pungolo delle nuove speranze.

Quanto fu lungo il viaggio, e fu di tre giorni e duenotti, non pensò ad altro che alla propria deformità, eper via di contrasto gli sorgeva incessantemente dinanzila svelta e maestosa figura del conte d'Andria. Quelnome e quell'aspetto non gli parevano nuovi, ma non

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metafora, il paradiso. Uomini e donne, preti e frati contutte le loro attinenze erano posti alla rinfusa, dove for-tuna li balestrava, o piuttosto il conduttore per sue buo-ne ragioni li collocava. O per fortuna o per altra provvi-denza che vi lascio immaginare, Cosimo si trovò agliavamposti, assiso comodamente accanto al conduttoredel popolato veicolo. E fu bene per lui, giacchè se sifosse trovato nel corpo della carrozza in mezzo a dieci ododici annoiati, vi so dire che la sua singolare configu-razione sarebbe stata il tema delle inevitabili beffe, ondel'uno o l'altro della brigata l'avrebbe fatto segno per pas-satempo.

[Pg 233]

Cosa singolare! Egli non aveva mai pensato alla pro-pria infermità se non da quindici giorni, dall'epoca ap-punto che aveva veduto il conte Alberto, e gli era statasvegliata nell'anima la lusinga di raddrizzarsi le reni.Una disgrazia irreparabile si sopporta senza pensarvi. Sisa che il condannato a morte suol riposare la notte cheprecede il supplizio: ma se tutto ad un tratto gli fossefatta sperare la grazia, non chiuderebbe più gli occhisotto il pungolo delle nuove speranze.

Quanto fu lungo il viaggio, e fu di tre giorni e duenotti, non pensò ad altro che alla propria deformità, eper via di contrasto gli sorgeva incessantemente dinanzila svelta e maestosa figura del conte d'Andria. Quelnome e quell'aspetto non gli parevano nuovi, ma non

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potè rammentarsi dove e quando ne avesse avuto con-tezza. Da una o da un'altra ragione che fosse mosso, ilgentiluomo si era mostrato verso il povero nano diun'amorevolezza e d'una bontà singolare. A lui doveva inuovi tratti di beneficenza che riceveva dal signor Lan-zoni e da Angela; a lui la speranza di poter trasformarsicome il bruco nella farfalla, ed essere classificato in al-tra categoria della storia naturale che non fosse quellade' ragni. Eppure egli era ben lontano dal provar per ilconte quella tenera gratitudine che avea sempre sentitoper la sua protettrice e per il padre di lei. Il sentimentoche nutriva per lui, se non era avversione, era almenosospetto, era un'antipatia misteriosa che non sapevaspiegare, e della quale sentiva vergogna e quasi rimorso.

Avvezzo ad analizzare le proprie impressioni, comesogliono gli animi riflessivi e gli ingegni osservatoricom'era il suo, si domandò se codesta contrarietà cheprovava per quel tipo di bellezza virile, non avesse peravventura il suo fondamento in una inescusabile gelosia,in quella livida invidia che ci fa risguardare sovente[Pg234] come nemici quelli che sono stati dalla natura o dal-la sorte privilegiati su tutti gli altri.

Ma Cosimo era troppo umile e troppo nobile per ave-re quel brutto difetto. Tale qual era, egli amava le bellecose e i begli uomini. Era poeta. La bellezza, l'armoniadelle forme, sotto qualunque aspetto si offerisse ai suoiocchi, gli pareva un lampo della divinità, un raggio

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potè rammentarsi dove e quando ne avesse avuto con-tezza. Da una o da un'altra ragione che fosse mosso, ilgentiluomo si era mostrato verso il povero nano diun'amorevolezza e d'una bontà singolare. A lui doveva inuovi tratti di beneficenza che riceveva dal signor Lan-zoni e da Angela; a lui la speranza di poter trasformarsicome il bruco nella farfalla, ed essere classificato in al-tra categoria della storia naturale che non fosse quellade' ragni. Eppure egli era ben lontano dal provar per ilconte quella tenera gratitudine che avea sempre sentitoper la sua protettrice e per il padre di lei. Il sentimentoche nutriva per lui, se non era avversione, era almenosospetto, era un'antipatia misteriosa che non sapevaspiegare, e della quale sentiva vergogna e quasi rimorso.

Avvezzo ad analizzare le proprie impressioni, comesogliono gli animi riflessivi e gli ingegni osservatoricom'era il suo, si domandò se codesta contrarietà cheprovava per quel tipo di bellezza virile, non avesse peravventura il suo fondamento in una inescusabile gelosia,in quella livida invidia che ci fa risguardare sovente[Pg234] come nemici quelli che sono stati dalla natura o dal-la sorte privilegiati su tutti gli altri.

Ma Cosimo era troppo umile e troppo nobile per ave-re quel brutto difetto. Tale qual era, egli amava le bellecose e i begli uomini. Era poeta. La bellezza, l'armoniadelle forme, sotto qualunque aspetto si offerisse ai suoiocchi, gli pareva un lampo della divinità, un raggio

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dell'eterno bello. Aveva udito l'abate Arnaldo, il maestrodi Angela, rimproverare al Foscolo d'aver ordinato, innon so quale delle sue opere, i beni della vita per modoche prima veniva la bellezza, poi la ricchezza, per ulti-mo la virtù. Pensandoci sopra, Cosimo si era pronuncia-to in favor del poeta. — La ricchezza e la virtù, pensavaegli, si possono acquistare per forza d'ingegno e per co-stanza di volontà, ma la bellezza è un dono gratuito diDio, è il sigillo onde il Creatore contrassegna i suoi pre-diletti. — Vero è che allora Cosimo non pensava che adAngela, la quale alla bellezza veramente angelica, univala bontà e la ricchezza di cui sapeva fare un uso sì de-gno. In tutte queste riflessioni che gli venivano soventeal pensiero, ei non aveva mai risguardato a se stesso. Siconsiderava come semplice spettatore della bellezza al-trui, abbastanza fortunato per saperla distinguere ed ap-prezzare.

Ma ora per la prima volta non poteva pensare al conteAlberto senza confrontarlo con sè: e un tale ravvicina-mento lo umiliava, lo mortificava, lo irritava malgradosuo....

Il moto monotono della diligenza che saliva lenta len-ta le oblique svolte dell'alpe favoriva questa specie disonnambulismo nel nostro Cosimo. Il conduttore son-necchiava abbandonando alle guide sperimentate e aipostiglioni il governo del suo piccolo mondo. Alcuniviandanti erano scesi per superare a piedi una parte[Pg

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dell'eterno bello. Aveva udito l'abate Arnaldo, il maestrodi Angela, rimproverare al Foscolo d'aver ordinato, innon so quale delle sue opere, i beni della vita per modoche prima veniva la bellezza, poi la ricchezza, per ulti-mo la virtù. Pensandoci sopra, Cosimo si era pronuncia-to in favor del poeta. — La ricchezza e la virtù, pensavaegli, si possono acquistare per forza d'ingegno e per co-stanza di volontà, ma la bellezza è un dono gratuito diDio, è il sigillo onde il Creatore contrassegna i suoi pre-diletti. — Vero è che allora Cosimo non pensava che adAngela, la quale alla bellezza veramente angelica, univala bontà e la ricchezza di cui sapeva fare un uso sì de-gno. In tutte queste riflessioni che gli venivano soventeal pensiero, ei non aveva mai risguardato a se stesso. Siconsiderava come semplice spettatore della bellezza al-trui, abbastanza fortunato per saperla distinguere ed ap-prezzare.

Ma ora per la prima volta non poteva pensare al conteAlberto senza confrontarlo con sè: e un tale ravvicina-mento lo umiliava, lo mortificava, lo irritava malgradosuo....

Il moto monotono della diligenza che saliva lenta len-ta le oblique svolte dell'alpe favoriva questa specie disonnambulismo nel nostro Cosimo. Il conduttore son-necchiava abbandonando alle guide sperimentate e aipostiglioni il governo del suo piccolo mondo. Alcuniviandanti erano scesi per superare a piedi una parte[Pg

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Page 303: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

235] dell'erta. Cosimo s'era dimenticato nel suo angolo,perduto nelle sue fantasie, passando dalla veglia a quelsonno leggiero e pieno di visioni che ci sorprende alcu-na volta in viaggio.

Ebbe un sogno assai strano, che doveva lasciare unatraccia profonda nella sua immaginazione. Gli pareva diassistere alla creazione del mondo. Un vecchio veneran-do, come sogliono rappresentare nelle Bibbie illustrate,il Dio di Mosè, plasmava colle sue dita medesime il pri-mo uomo, il quale di mano in mano che prendeva formae figura, assumeva un aspetto che gli parea di conosce-re. Quando il Signore, compiuta l'opera sua, gli soffiò lospirito vitale, e quella statua meravigliosa aprì gli occhie la bocca, Cosimo ravvisò le dignitose e leggiadre sem-bianze del conte d'Andria. Per naturale associazioned'idee, codesto nuovo Adamo mangiava il suo pomo epeccava. E Cosimo udì una voce gridare al colpevole:«Poichè non obbedisti a' miei comandi e abusasti delletue facoltà contro gli ordini miei, io ti punirò ne' tuoi di-scendenti. Quelli che nasceranno da te non porterannopiù l'impronta delle mie mani, ma obbediranno al fortui-to accozzamento della materia.» Il colpevole restavaperplesso al suono di queste parole, ma si riaveva bentosto; e come per isfidare l'Altissimo, raccolta la cretache era rimasta, si provò a formare colle proprie maniun altro uomo a immagine sua. Ma l'argilla molle estemperata non rispondea all'idea. La statua non sorgevadritta e disinvolta come quella ch'era stata plasmata da

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235] dell'erta. Cosimo s'era dimenticato nel suo angolo,perduto nelle sue fantasie, passando dalla veglia a quelsonno leggiero e pieno di visioni che ci sorprende alcu-na volta in viaggio.

Ebbe un sogno assai strano, che doveva lasciare unatraccia profonda nella sua immaginazione. Gli pareva diassistere alla creazione del mondo. Un vecchio veneran-do, come sogliono rappresentare nelle Bibbie illustrate,il Dio di Mosè, plasmava colle sue dita medesime il pri-mo uomo, il quale di mano in mano che prendeva formae figura, assumeva un aspetto che gli parea di conosce-re. Quando il Signore, compiuta l'opera sua, gli soffiò lospirito vitale, e quella statua meravigliosa aprì gli occhie la bocca, Cosimo ravvisò le dignitose e leggiadre sem-bianze del conte d'Andria. Per naturale associazioned'idee, codesto nuovo Adamo mangiava il suo pomo epeccava. E Cosimo udì una voce gridare al colpevole:«Poichè non obbedisti a' miei comandi e abusasti delletue facoltà contro gli ordini miei, io ti punirò ne' tuoi di-scendenti. Quelli che nasceranno da te non porterannopiù l'impronta delle mie mani, ma obbediranno al fortui-to accozzamento della materia.» Il colpevole restavaperplesso al suono di queste parole, ma si riaveva bentosto; e come per isfidare l'Altissimo, raccolta la cretache era rimasta, si provò a formare colle proprie maniun altro uomo a immagine sua. Ma l'argilla molle estemperata non rispondea all'idea. La statua non sorgevadritta e disinvolta come quella ch'era stata plasmata da

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Page 304: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

Dio. La faccia avea bene qualche vestigio della primacreazione, ma il basso era sconcio e contorto in miseromodo. Ne naque infatti un aborto, quest'essere deformeprendeva anch'esso una faccia non nuova. Il poverettoravvisava in quel mostro informe se stesso!

[Pg 236]

Fu preso da tale spavento che si svegliò.

La carrozza era giunta sulla sommità del Cenisio. Labrezza del mattino svegliò i viaggiatori ch'erano rimastial loro posto. Gli altri giungevano trafelati dai sentierilaterali che avevano preso. Il moto, le grida, la magnifi-ca prospettiva che si apriva allo sguardo, tutto ciò venneopportunamente a interrompere le tristi allucinazioni delgiovanetto.

Il sole vestiva d'una luce rosea le vette de' monti cir-costanti. Cosimo salutò quella luce consolatrice, e vedu-to in un seno della montagna una selvetta di rododendri,ne colse un ramoscello fiorito per offerirlo in dono alsuo angelo tutelare. Era tanto preoccupato dei suoi pen-sieri e delle sue fantasie, che avea dimenticato di trovar-si a tanta distanza da lei, e in procinto di abbandonarel'Italia. Gli cadde di mano quel ramo e risalì tutto acco-rato in vettura.

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Dio. La faccia avea bene qualche vestigio della primacreazione, ma il basso era sconcio e contorto in miseromodo. Ne naque infatti un aborto, quest'essere deformeprendeva anch'esso una faccia non nuova. Il poverettoravvisava in quel mostro informe se stesso!

[Pg 236]

Fu preso da tale spavento che si svegliò.

La carrozza era giunta sulla sommità del Cenisio. Labrezza del mattino svegliò i viaggiatori ch'erano rimastial loro posto. Gli altri giungevano trafelati dai sentierilaterali che avevano preso. Il moto, le grida, la magnifi-ca prospettiva che si apriva allo sguardo, tutto ciò venneopportunamente a interrompere le tristi allucinazioni delgiovanetto.

Il sole vestiva d'una luce rosea le vette de' monti cir-costanti. Cosimo salutò quella luce consolatrice, e vedu-to in un seno della montagna una selvetta di rododendri,ne colse un ramoscello fiorito per offerirlo in dono alsuo angelo tutelare. Era tanto preoccupato dei suoi pen-sieri e delle sue fantasie, che avea dimenticato di trovar-si a tanta distanza da lei, e in procinto di abbandonarel'Italia. Gli cadde di mano quel ramo e risalì tutto acco-rato in vettura.

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IX.

Lasciamo per un momento la parola ai nostri dueamici. Ci spiace solo non aver ritrovato la prima letterache Cosimo scrisse, appena giunto a Parigi, rendendoconto delle accoglienze che ricevette all'Istituto ortope-dico, e delle buone speranze che il direttore gli avevadate. Queste notizie avevano rallegrata tutta la famigliaLanzoni, ed Angela s'era assunta l'incarico di risponderea Cosimo. Ecco la sua lettera tale e quale:

«Milano, 15 settembre 185...

»Fratello mio,

»Il babbo mi fece leggere la tua bella lettera, e mi la-sciò il piacere di risponderti. Siamo tutti in festa per[Pg237] le buone accoglienze che ti furono fatte dal direttoredell'Istituto che mi sembra già di vedere, e che io amoda questo momento per la cura che prende di te. Dio vo-glia, mio caro Cosimo, che le nostre speranze non ab-biano a restare deluse, e che tu possa uscire al più prestoda cotesta casa più forte e più diritto della persona.Quanto al cuore e alla mente, ci basta che tu conservi lanatural rettitudine che mostri fin qui!

»Questa è la risposta ufficiale ch'io ti fo, come segre-taria della famiglia, ed anche, vedi onore! del signorconte d'Andria, che continua a prendere il più vivo inte-resse per la tua guarigione. Sul conto di questo signore

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IX.

Lasciamo per un momento la parola ai nostri dueamici. Ci spiace solo non aver ritrovato la prima letterache Cosimo scrisse, appena giunto a Parigi, rendendoconto delle accoglienze che ricevette all'Istituto ortope-dico, e delle buone speranze che il direttore gli avevadate. Queste notizie avevano rallegrata tutta la famigliaLanzoni, ed Angela s'era assunta l'incarico di risponderea Cosimo. Ecco la sua lettera tale e quale:

«Milano, 15 settembre 185...

»Fratello mio,

»Il babbo mi fece leggere la tua bella lettera, e mi la-sciò il piacere di risponderti. Siamo tutti in festa per[Pg237] le buone accoglienze che ti furono fatte dal direttoredell'Istituto che mi sembra già di vedere, e che io amoda questo momento per la cura che prende di te. Dio vo-glia, mio caro Cosimo, che le nostre speranze non ab-biano a restare deluse, e che tu possa uscire al più prestoda cotesta casa più forte e più diritto della persona.Quanto al cuore e alla mente, ci basta che tu conservi lanatural rettitudine che mostri fin qui!

»Questa è la risposta ufficiale ch'io ti fo, come segre-taria della famiglia, ed anche, vedi onore! del signorconte d'Andria, che continua a prendere il più vivo inte-resse per la tua guarigione. Sul conto di questo signore

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avrei anzi a communicarti qualche altra cosa che ti ri-sguarda più da vicino, ma preferisco parlartene a vocepiù tardi.

»Ora bisogna ch'io ti dica un po' delle cose nostre, delnostro giardino, delle nostre povere piante che sono oraimmerse in quello stato di sonno e d'inerzia a cui le con-danna l'inverno. Hai tu pensato, Cosimo, tu che cerchisempre il perchè delle cose, hai tu ben pensato a questoperiodo della vita vegetativa, e ai vari fenomeni che lodistinguono? Si suol dire che codesta è la stagione mor-ta. Forse è morta per noi, che siamo privi del graditospettacolo che presenta la natura nella pienezza dellasua efflorescenza. Ma per le piante, a mio credere, ètutt'altro che morta. È un riposo apparente e necessarioai grandi misteri della germinazione e della trasforma-zione degli esseri. Come si può chiamar sonno e letargoquello del germe che dentro al suo duro guscio e allesue molte membrane supera l'abisso che divide la sem-plice cristallizzazione dalla vita organica, e quello delbruco che nella oscura tomba in cui si è sepolto, fabbri-ca lentamente le sue ali, e le screzia di sì vivi colori perpassare dalla vita di rettile a quella più nobile di farfal-la?[Pg 238] Tu che sei solito applicare all'uomo tutte lefasi della vita delle piante e degli animali, quale analo-gia trovi tu fra il sonno degli alberi e il nostro, fra la lun-ga letargia del verme che si prepara alla seconda suavita, e le vicissitudini a cui ci condanna l'età? Qual è ilnostro inverno, quale la nostra primavera? Perchè la

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avrei anzi a communicarti qualche altra cosa che ti ri-sguarda più da vicino, ma preferisco parlartene a vocepiù tardi.

»Ora bisogna ch'io ti dica un po' delle cose nostre, delnostro giardino, delle nostre povere piante che sono oraimmerse in quello stato di sonno e d'inerzia a cui le con-danna l'inverno. Hai tu pensato, Cosimo, tu che cerchisempre il perchè delle cose, hai tu ben pensato a questoperiodo della vita vegetativa, e ai vari fenomeni che lodistinguono? Si suol dire che codesta è la stagione mor-ta. Forse è morta per noi, che siamo privi del graditospettacolo che presenta la natura nella pienezza dellasua efflorescenza. Ma per le piante, a mio credere, ètutt'altro che morta. È un riposo apparente e necessarioai grandi misteri della germinazione e della trasforma-zione degli esseri. Come si può chiamar sonno e letargoquello del germe che dentro al suo duro guscio e allesue molte membrane supera l'abisso che divide la sem-plice cristallizzazione dalla vita organica, e quello delbruco che nella oscura tomba in cui si è sepolto, fabbri-ca lentamente le sue ali, e le screzia di sì vivi colori perpassare dalla vita di rettile a quella più nobile di farfal-la?[Pg 238] Tu che sei solito applicare all'uomo tutte lefasi della vita delle piante e degli animali, quale analo-gia trovi tu fra il sonno degli alberi e il nostro, fra la lun-ga letargia del verme che si prepara alla seconda suavita, e le vicissitudini a cui ci condanna l'età? Qual è ilnostro inverno, quale la nostra primavera? Perchè la

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pianta si rinnova e si ringiovanisce ogni anno, e noi nonsiamo giovani che una volta? Ho un bel domandare almaestro la ragione di queste cose. Egli non fa che ri-spondermi: misteri, misteri! Il dottore, che non vede al-tro che materia nel mondo, non ha una risposta più chia-ra da darmi. Vorrei ben sapere che cosa ne pensi tu.Quante volte non abbiamo noi trovato una spiegazioneche gli altri non avevano saputo indicarci! Pensaci sunelle lunghe ore d'ozio e d'immobilità a cui ti condannala cura intrapresa, e dimmi il tuo pensiero che s'incon-trerà probabilmente col mio. Intanto eccoti le notizieche chiedi.

»Giacinto ha già ritirato ne' suoi stanzoni tutte le suepiante. È tutto intento ad esaminare il termometro, e amisurar loro il grado di calore che chieggono, a ventilar-le, ad annaffiarle, a muoverle di sito perchè abbiano laluce e l'esposizione più conveniente a ciascuna. PoveroGiacinto! Io non lo condanno. Egli cerca di render mentrista la deportazione e l'esiglio a quelle povere vite av-vezze ad espandersi sotto lo splendido cielo de' tropici,tra le folte foreste primitive del Messico, nelle acquido-se convalli dell'Orenoco e del Gange. Mi sono proprioriconciliata con lui dacchè penso che quelle povere ra-minghe non viverebbero senza le sue cure, senza le suestufe, senza l'aria tiepida che tratto tratto fa penetrarenelle serre più calde. Comprendo ora che egli pure allasua maniera si presta ad un'opera di carità verso questiesseri innocenti e sfortunati, a questi re dell'Asia in esi-

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pianta si rinnova e si ringiovanisce ogni anno, e noi nonsiamo giovani che una volta? Ho un bel domandare almaestro la ragione di queste cose. Egli non fa che ri-spondermi: misteri, misteri! Il dottore, che non vede al-tro che materia nel mondo, non ha una risposta più chia-ra da darmi. Vorrei ben sapere che cosa ne pensi tu.Quante volte non abbiamo noi trovato una spiegazioneche gli altri non avevano saputo indicarci! Pensaci sunelle lunghe ore d'ozio e d'immobilità a cui ti condannala cura intrapresa, e dimmi il tuo pensiero che s'incon-trerà probabilmente col mio. Intanto eccoti le notizieche chiedi.

»Giacinto ha già ritirato ne' suoi stanzoni tutte le suepiante. È tutto intento ad esaminare il termometro, e amisurar loro il grado di calore che chieggono, a ventilar-le, ad annaffiarle, a muoverle di sito perchè abbiano laluce e l'esposizione più conveniente a ciascuna. PoveroGiacinto! Io non lo condanno. Egli cerca di render mentrista la deportazione e l'esiglio a quelle povere vite av-vezze ad espandersi sotto lo splendido cielo de' tropici,tra le folte foreste primitive del Messico, nelle acquido-se convalli dell'Orenoco e del Gange. Mi sono proprioriconciliata con lui dacchè penso che quelle povere ra-minghe non viverebbero senza le sue cure, senza le suestufe, senza l'aria tiepida che tratto tratto fa penetrarenelle serre più calde. Comprendo ora che egli pure allasua maniera si presta ad un'opera di carità verso questiesseri innocenti e sfortunati, a questi re dell'Asia in esi-

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glio.[Pg 239] S'egli ammalasse, o se lo prendesse un'altravolta l'estro di andarsene, bisognerebbe pure ch'io ripi-gliassi l'opera sua, e sa il cielo se io saprei conoscere lanatura e i bisogni di tutte queste piante così diverse.Rendiamogli dunque giustizia e facciamo pace con lui.

»Quanto al nostro giardino, esso è in vero molto mu-tato, e non presenta il gaio aspetto di prima. Non ha piùfiori d'alcuna specie e d'alcun colore. Solo la parietaria,prima di perdere le sue foglie, le colora, come la vite,delle più belle tinte di porpora e d'oro che mai si vedes-sero in pianta. È l'ultimo addio che dà alla natura, èl'ultima bellezza che sfoggia prima di spandere i suoigranellini e prepararsi con essi una vita novella.

»Le altre piante abbandonano le loro foglie inutili cheserviranno a preparare un soffice letto e il primo alimen-to alla giovane generazione. Ma non hanno bisogno nèdi stufa, nè d'acqua, nè d'altro aiuto dell'arte. Sopportanola rigidezza del clima, la neve, la bruma, e il gelo stessosenza pericolo. Si direbbe che si stringano l'una control'altra, e si scaldino fraternamente a vicenda. Deggiopensarlo, poichè tutto il resto del giardino è coperto dineve come di un funebre drappo; quell'angolo solo èverde, e la neve si è dovuta squagliare per lasciare il re-spiro alle nostre povere pianticelle. Io credo che cia-scheduna a parte non sarebbe bastata a vincere quellostrato di ghiaccio: ma tutte insieme, cooperando brava-mente, vinsero la neve e si procurarono la vista del cie-

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glio.[Pg 239] S'egli ammalasse, o se lo prendesse un'altravolta l'estro di andarsene, bisognerebbe pure ch'io ripi-gliassi l'opera sua, e sa il cielo se io saprei conoscere lanatura e i bisogni di tutte queste piante così diverse.Rendiamogli dunque giustizia e facciamo pace con lui.

»Quanto al nostro giardino, esso è in vero molto mu-tato, e non presenta il gaio aspetto di prima. Non ha piùfiori d'alcuna specie e d'alcun colore. Solo la parietaria,prima di perdere le sue foglie, le colora, come la vite,delle più belle tinte di porpora e d'oro che mai si vedes-sero in pianta. È l'ultimo addio che dà alla natura, èl'ultima bellezza che sfoggia prima di spandere i suoigranellini e prepararsi con essi una vita novella.

»Le altre piante abbandonano le loro foglie inutili cheserviranno a preparare un soffice letto e il primo alimen-to alla giovane generazione. Ma non hanno bisogno nèdi stufa, nè d'acqua, nè d'altro aiuto dell'arte. Sopportanola rigidezza del clima, la neve, la bruma, e il gelo stessosenza pericolo. Si direbbe che si stringano l'una control'altra, e si scaldino fraternamente a vicenda. Deggiopensarlo, poichè tutto il resto del giardino è coperto dineve come di un funebre drappo; quell'angolo solo èverde, e la neve si è dovuta squagliare per lasciare il re-spiro alle nostre povere pianticelle. Io credo che cia-scheduna a parte non sarebbe bastata a vincere quellostrato di ghiaccio: ma tutte insieme, cooperando brava-mente, vinsero la neve e si procurarono la vista del cie-

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lo. Osservo che le piante indigene solamente, le cosìdette male erbe, hanno il coraggio e la forza di lottarecontro il rigore della stagione. Quelle piante forestiere acui demmo un asilo, sono già ite, e non è ben certo se levedremo ripullulare più tardi. Così è, caro Cosimo. Ogniterra ha il suo germe particolare, e, benchè si presti so-vente a nutrire figli non suoi, tuttavia conserva la sua[Pg240] predilezione pei proprii. Ti ricorda di quel rosajo delBengala, che Giacinto, per farci una burla, aveva inne-stato al piede di una rosa canina? Il rovo ha fatto la bur-la a lui. Il nobile straniero seccò, e dal ceppo sorserodue o tre polle selvatiche che daran presto delle belle ro-sacce semplici, ma gentili più delle sue.

»L'altr'ieri recandomi a salutare quel luogo che ver-deggiava solo come un'oasi in mezzo al deserto, ho tro-vato la nostra capanna abitata. Indovina da chi? Te lo doin cento.

»Tu non hai certo dimenticato quella povera gattamagra, spelata, tutta piaghe, che hai salvata dalle manidi quei tristanzuoli che la tormentavano, e veniva poi aruzzarci d'intorno come per gratitudine? Ebbene, miocaro amico, l'altr'ieri, guardando nella capanna, vidi dueocchi gialli che splendevano nell'angolo più remoto, eudii un miagolìo che mi fece riconoscere la nostra vec-chia cliente. Appena mi vide, mi venne incontro circon-data da tre gattini vispi e scherzosi. Dapprima pareva insospetto; ma poi, come mi ebbe ravvisata, si rabbonì, e

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lo. Osservo che le piante indigene solamente, le cosìdette male erbe, hanno il coraggio e la forza di lottarecontro il rigore della stagione. Quelle piante forestiere acui demmo un asilo, sono già ite, e non è ben certo se levedremo ripullulare più tardi. Così è, caro Cosimo. Ogniterra ha il suo germe particolare, e, benchè si presti so-vente a nutrire figli non suoi, tuttavia conserva la sua[Pg240] predilezione pei proprii. Ti ricorda di quel rosajo delBengala, che Giacinto, per farci una burla, aveva inne-stato al piede di una rosa canina? Il rovo ha fatto la bur-la a lui. Il nobile straniero seccò, e dal ceppo sorserodue o tre polle selvatiche che daran presto delle belle ro-sacce semplici, ma gentili più delle sue.

»L'altr'ieri recandomi a salutare quel luogo che ver-deggiava solo come un'oasi in mezzo al deserto, ho tro-vato la nostra capanna abitata. Indovina da chi? Te lo doin cento.

»Tu non hai certo dimenticato quella povera gattamagra, spelata, tutta piaghe, che hai salvata dalle manidi quei tristanzuoli che la tormentavano, e veniva poi aruzzarci d'intorno come per gratitudine? Ebbene, miocaro amico, l'altr'ieri, guardando nella capanna, vidi dueocchi gialli che splendevano nell'angolo più remoto, eudii un miagolìo che mi fece riconoscere la nostra vec-chia cliente. Appena mi vide, mi venne incontro circon-data da tre gattini vispi e scherzosi. Dapprima pareva insospetto; ma poi, come mi ebbe ravvisata, si rabbonì, e

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mi permise di accarezzare i suoi figliuolini. Essa è anco-ra lì, e vi si è accasata comodamente. Vado tratto tratto avederla e le porto qualche vivanda per la sua famigliuo-la. Lo faccio non tanto per amore di questi nuovi ospitiche cercarono un asilo presso di noi, quanto perchè nonvorrei che la necessità la spingesse a dar la caccia a duepoveri pettirossi che svolazzano sul tetto della casuccia,e sembrano disposti a collocarvi il loro nido.

»Quanto agl'insetti che un tempo popolavano il nostrocompartimento, non li veggo più. Certamente hannocercato un ricovero sotto la terra o nei crepacci dellamuraglia. Negli angoli interni ci sono più di cento crisa-lidi che aspettano i primi tepori di primavera per[Pg 241]rompere la loro prigione e spiegare il volo. Un istintosecreto deve avvertirle che l'aria è ancor troppo rigida, eche le piante hanno perduto i lor fiori.

»Addio, caro Cosimo. Vorrei ora parlarti degli uomi-ni, ma che potrei dirti di nuovo? Noi non abbiamo nètrasformazioni, nè mutamenti sensibili. Si ciarla, sigiuoca, si danza, si cerca di prolungare il giorno, ed'ingannar la stagione in mille maniere. Ma tutto questonon ha alcuna influenza sulla natura esteriore. Tutt'al piùarriviamo ad illuderci e a crearci nell'appartamento unostato fittizio, una primavera esotica a forza di studio e dispesa. Con qual frutto? Non oso dirlo. Quanto a me, midiverto qualche volta a sfidare il freddo e la neve peraver la mia parte d'inverno e sentire più tardi tutta la vo-

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mi permise di accarezzare i suoi figliuolini. Essa è anco-ra lì, e vi si è accasata comodamente. Vado tratto tratto avederla e le porto qualche vivanda per la sua famigliuo-la. Lo faccio non tanto per amore di questi nuovi ospitiche cercarono un asilo presso di noi, quanto perchè nonvorrei che la necessità la spingesse a dar la caccia a duepoveri pettirossi che svolazzano sul tetto della casuccia,e sembrano disposti a collocarvi il loro nido.

»Quanto agl'insetti che un tempo popolavano il nostrocompartimento, non li veggo più. Certamente hannocercato un ricovero sotto la terra o nei crepacci dellamuraglia. Negli angoli interni ci sono più di cento crisa-lidi che aspettano i primi tepori di primavera per[Pg 241]rompere la loro prigione e spiegare il volo. Un istintosecreto deve avvertirle che l'aria è ancor troppo rigida, eche le piante hanno perduto i lor fiori.

»Addio, caro Cosimo. Vorrei ora parlarti degli uomi-ni, ma che potrei dirti di nuovo? Noi non abbiamo nètrasformazioni, nè mutamenti sensibili. Si ciarla, sigiuoca, si danza, si cerca di prolungare il giorno, ed'ingannar la stagione in mille maniere. Ma tutto questonon ha alcuna influenza sulla natura esteriore. Tutt'al piùarriviamo ad illuderci e a crearci nell'appartamento unostato fittizio, una primavera esotica a forza di studio e dispesa. Con qual frutto? Non oso dirlo. Quanto a me, midiverto qualche volta a sfidare il freddo e la neve peraver la mia parte d'inverno e sentire più tardi tutta la vo-

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luttà della bella stagione....»

X.

Cosimo ad Angela.«La vostra lettera, angelo della mia vita, mi ha fatto

rivivere in un mondo migliore. Voi mi parlate del rigordell'inverno, di quel riposo fecondo della natura, diquella lotta delle piante, riunite per vincere lo strato dineve che ricopre la terra, e riuscire a respirare l'aria, a ri-vedere la luce del cielo. Veggo dal mio letto di dolore lapovera micia ricoverata colla sua famigliuola nella ca-pannuccia del cancello. Voi avete provveduto senza sa-perlo ai bisogni di una madre, come io, senza saperlo,l'ho conservata alla nuova generazione che doveva na-scer da lei. Tutte le volte che obbediamo a un impulso dibenevolenza verso quelli che soffrono, secondiamo unalegge misteriosa in virtù della quale tutti i fatti e[Pg 242]tutti gli accidenti si collegano con reciproca dipendenza.

»Vorrei potervi descrivere uno spettacolo altrettantogradevole, ma io sono in un istituto speciale dove si rac-colgono e si curano gli esseri più maltrattati dalla natu-ra.

»Non so s'io dica bene accusando la natura di quelloche forse è colpa dell'uomo e della società dove nasce.La natura, abbandonata a se stessa, non suol produrre nè

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luttà della bella stagione....»

X.

Cosimo ad Angela.«La vostra lettera, angelo della mia vita, mi ha fatto

rivivere in un mondo migliore. Voi mi parlate del rigordell'inverno, di quel riposo fecondo della natura, diquella lotta delle piante, riunite per vincere lo strato dineve che ricopre la terra, e riuscire a respirare l'aria, a ri-vedere la luce del cielo. Veggo dal mio letto di dolore lapovera micia ricoverata colla sua famigliuola nella ca-pannuccia del cancello. Voi avete provveduto senza sa-perlo ai bisogni di una madre, come io, senza saperlo,l'ho conservata alla nuova generazione che doveva na-scer da lei. Tutte le volte che obbediamo a un impulso dibenevolenza verso quelli che soffrono, secondiamo unalegge misteriosa in virtù della quale tutti i fatti e[Pg 242]tutti gli accidenti si collegano con reciproca dipendenza.

»Vorrei potervi descrivere uno spettacolo altrettantogradevole, ma io sono in un istituto speciale dove si rac-colgono e si curano gli esseri più maltrattati dalla natu-ra.

»Non so s'io dica bene accusando la natura di quelloche forse è colpa dell'uomo e della società dove nasce.La natura, abbandonata a se stessa, non suol produrre nè

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storpi, nè gobbi, nè mostri. Codeste anomalie sono raris-sime fra gli animali selvaggi, divengono men rare fra'domestici, e sono frequenti fra gli uomini, massime nel-le grandi città dove fermentano i vizii che la miseriaproduce e alimenta. Ho letto questa osservazione nel li-bro del Leopardi che mi avete dato partendo. È un libromalinconico, ma pieno di sapienza. Quell'uomo dovevaavere l'anima bella, quanto il corpo imperfetto e defor-me, come si legge nella sua vita.

»Perdonate il disordine delle mie idee. Voi mi cono-scete. Quando un pensiero mi pullula nella mente ne tiramille, ed io non riesco a raccapezzarne più il filo. Checosa voleva io dirvi? Ora mi rammento. Faceva il con-fronto tra lo spettacolo che voi mi dipingete e quelloch'io devo descrivervi per obbedire al vostro comando.Se sarà tristo e malinconico, non è mia colpa. D'altrondevoi non fuggite le sensazioni dolorose, anzi ne andate intraccia per bontà d'animo e per desiderio di mitigarle inaltrui. Ah! quanti dolori avreste a consolar qui, quantidisinganni a raddolcire, quanti animi a raddrizzare!

»Il direttore di questo Istituto, è un uomo di un carat-tere aperto e benevolo. Non ha più di cinquant'anni, mala sua bella ed ampia fronte è già calva, e tutti i capellicanuti anzi tempo. Sarebbe un bel modello per un profe-ta o per un apostolo co' suoi occhi profondi, col suosguardo affascinatore, colla dolcezza severa de' suoi li-neamenti.[Pg 243] Ei mi sembra intimamente convinto

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storpi, nè gobbi, nè mostri. Codeste anomalie sono raris-sime fra gli animali selvaggi, divengono men rare fra'domestici, e sono frequenti fra gli uomini, massime nel-le grandi città dove fermentano i vizii che la miseriaproduce e alimenta. Ho letto questa osservazione nel li-bro del Leopardi che mi avete dato partendo. È un libromalinconico, ma pieno di sapienza. Quell'uomo dovevaavere l'anima bella, quanto il corpo imperfetto e defor-me, come si legge nella sua vita.

»Perdonate il disordine delle mie idee. Voi mi cono-scete. Quando un pensiero mi pullula nella mente ne tiramille, ed io non riesco a raccapezzarne più il filo. Checosa voleva io dirvi? Ora mi rammento. Faceva il con-fronto tra lo spettacolo che voi mi dipingete e quelloch'io devo descrivervi per obbedire al vostro comando.Se sarà tristo e malinconico, non è mia colpa. D'altrondevoi non fuggite le sensazioni dolorose, anzi ne andate intraccia per bontà d'animo e per desiderio di mitigarle inaltrui. Ah! quanti dolori avreste a consolar qui, quantidisinganni a raddolcire, quanti animi a raddrizzare!

»Il direttore di questo Istituto, è un uomo di un carat-tere aperto e benevolo. Non ha più di cinquant'anni, mala sua bella ed ampia fronte è già calva, e tutti i capellicanuti anzi tempo. Sarebbe un bel modello per un profe-ta o per un apostolo co' suoi occhi profondi, col suosguardo affascinatore, colla dolcezza severa de' suoi li-neamenti.[Pg 243] Ei mi sembra intimamente convinto

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dell'arte sua, e pieno di fede nei miracoli che ne attende.

»L'Ospizio dove alloggiamo ha due compartimenti,l'uno destinato alle donne, l'altro a noi uomini. Ciascuncompartimento ha parecchie stanze distinte per quelliche, per la qualità della cura, preferiscono l'isolamento,ed una clinica comune per gli altri che sono sottopostiad un regime analogo. Nel compartimento dove io mitrovo, siamo in quattordici. Ignoro quante sieno le fan-ciulle che aspirano nell'altro a riacquistare il dono dellabellezza e di una forma migliore.

»Nella sala comune vi sono dieci letti, ed otto soltan-to sono occupati. Siamo otto infelici: una galleria disciancati, di rachitici che espiamo probabilmente non soqual peccato d'origine, e aspiriamo a correggere le ossadeviate dalla loro natural direzione, e a rendere la sim-metria perduta ai muscoli del nostro corpo. Ci riuscire-mo noi? Non sono ancora in grado di affermarlo nè dinegarlo. Il direttore ci va consolando con esempi di gua-rigioni meravigliose: ma per lo più si tratta di fanciullipresi a curare fin dall'infanzia, mentre io e la maggiorparte de' miei compagni abbiamo tra quattordici e sedicianni. Le ossa sono dunque alquanto più dure, e la malaconformazione già inveterata. Ci vorrebbe proprio unmiracolo a rifarci un corpo valido e sano.

»Quanto a me, voi sapete che venni per obbedire allavostra volontà, e per non essere ingrato al nuovo tratto

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dell'arte sua, e pieno di fede nei miracoli che ne attende.

»L'Ospizio dove alloggiamo ha due compartimenti,l'uno destinato alle donne, l'altro a noi uomini. Ciascuncompartimento ha parecchie stanze distinte per quelliche, per la qualità della cura, preferiscono l'isolamento,ed una clinica comune per gli altri che sono sottopostiad un regime analogo. Nel compartimento dove io mitrovo, siamo in quattordici. Ignoro quante sieno le fan-ciulle che aspirano nell'altro a riacquistare il dono dellabellezza e di una forma migliore.

»Nella sala comune vi sono dieci letti, ed otto soltan-to sono occupati. Siamo otto infelici: una galleria disciancati, di rachitici che espiamo probabilmente non soqual peccato d'origine, e aspiriamo a correggere le ossadeviate dalla loro natural direzione, e a rendere la sim-metria perduta ai muscoli del nostro corpo. Ci riuscire-mo noi? Non sono ancora in grado di affermarlo nè dinegarlo. Il direttore ci va consolando con esempi di gua-rigioni meravigliose: ma per lo più si tratta di fanciullipresi a curare fin dall'infanzia, mentre io e la maggiorparte de' miei compagni abbiamo tra quattordici e sedicianni. Le ossa sono dunque alquanto più dure, e la malaconformazione già inveterata. Ci vorrebbe proprio unmiracolo a rifarci un corpo valido e sano.

»Quanto a me, voi sapete che venni per obbedire allavostra volontà, e per non essere ingrato al nuovo tratto

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Page 314: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

di benevolenza del padre vostro. Mi sottometto pazien-temente alla cura lunga e dolorosa che mi è prescritta,non tanto perch'io speri approfittarne in me stesso,quanto perchè l'esperienza, buona o trista che sia, torniutile all'arte e profittevole agli altri.

»Figuratevi come io debbo trovarmi, avvezzo com'eraalla vita attiva e varia della vostra casa, disteso,[Pg 244]per lunghi tratti di cinque o sei ore, sopra un letto, che èun vero letto di Procuste, senza poter muovermi nè adritta nè a manca. Sono precisamente nello stato di quel-le povere piante che Giacinto sforza per mezzo di pali edi vinchi a prendere una forma per cui non son nate.Oggi mi si permette l'uso libero delle braccia, onde pos-so consacrare una parte della giornata a scrivere e a di-segnare. È dunque un giorno di vita attiva: mentre i dìscorsi non vivevo se non col pensiero, e mi nutriva dinon so quali strane fantasie, che a voler dirvele tutte vifarebbero ridere e piangere. Sapete che tante volte iom'immergo così profondamente in una idea, che mi pardi vedere e di toccare la cosa che immagino! Temo qual-che volta di divenire un visionario ed un pazzo! Non vimettete però in apprensione. Ho il mio talismano sicuroe infallibile contro le divagazioni del mio cervello. Ba-sta ch'io pensi a voi, e mi richiami il vostro bel nome.Così continuate ad essere l'angelo della mia mente, an-che a tanta distanza. La vostra graziosa immagine sorri-de a miei pensieri, come la candida stella polare al navi-gante smarrito nelle immense solitudini dell'oceano. A

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di benevolenza del padre vostro. Mi sottometto pazien-temente alla cura lunga e dolorosa che mi è prescritta,non tanto perch'io speri approfittarne in me stesso,quanto perchè l'esperienza, buona o trista che sia, torniutile all'arte e profittevole agli altri.

»Figuratevi come io debbo trovarmi, avvezzo com'eraalla vita attiva e varia della vostra casa, disteso,[Pg 244]per lunghi tratti di cinque o sei ore, sopra un letto, che èun vero letto di Procuste, senza poter muovermi nè adritta nè a manca. Sono precisamente nello stato di quel-le povere piante che Giacinto sforza per mezzo di pali edi vinchi a prendere una forma per cui non son nate.Oggi mi si permette l'uso libero delle braccia, onde pos-so consacrare una parte della giornata a scrivere e a di-segnare. È dunque un giorno di vita attiva: mentre i dìscorsi non vivevo se non col pensiero, e mi nutriva dinon so quali strane fantasie, che a voler dirvele tutte vifarebbero ridere e piangere. Sapete che tante volte iom'immergo così profondamente in una idea, che mi pardi vedere e di toccare la cosa che immagino! Temo qual-che volta di divenire un visionario ed un pazzo! Non vimettete però in apprensione. Ho il mio talismano sicuroe infallibile contro le divagazioni del mio cervello. Ba-sta ch'io pensi a voi, e mi richiami il vostro bel nome.Così continuate ad essere l'angelo della mia mente, an-che a tanta distanza. La vostra graziosa immagine sorri-de a miei pensieri, come la candida stella polare al navi-gante smarrito nelle immense solitudini dell'oceano. A

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voi devo la vita dell'intelletto, a voi quelle serene fanta-sie che mi trasportano in un mondo migliore! Mia ma-dre mi ha dato un corpo imperfetto e deforme; voi miavete spirato un'anima giovane e forte, e lieta e magnifi-ca nelle sue idee. Il mondo dove ella vive e si spazia èaltrettanto bello e perfetto, quanto la società degli uomi-ni che vivono sulla terra è ingrata ed amara. Grazie a voiche mi svegliaste alla vita del pensiero! Quind'innanzinon vi chiamerò più sorella come mi avete comandatodi fare. Voglio chiamarvi madre. Sorella non esprimeche l'affetto reciproco. Ho bisogno di un nome che indi-chi meglio i nostri veri rapporti. Voi siete la madredell'anima mia.

[Pg 245]

»Non mi domandate dunque quali progressi abbia fat-to la cura, e di quanti pollici si sia raddrizzata la miapersona. Parliamo d'altro. Parliamo dello spirito che hameno ostacoli a superare. In questi quattro mesi mi sonoun po' esercitato nella lingua francese. A forza di sentir-la parlare, m'ingegno di spiegarmi alla meglio tanto chegià cominciano a intendermi. Finora ho sempre letto ilLeopardi sul quale ho fatto un mondo di riflessioni, chemi riservo a comunicarvi a voce. Ora assisto alla letturadi qualche libro francese che il direttore medesimo o unassistente ci vien facendo per occupare e divertire il no-stro spirito durante l'inerzia forzata e l'attitudine disage-vole del nostro corpo.

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voi devo la vita dell'intelletto, a voi quelle serene fanta-sie che mi trasportano in un mondo migliore! Mia ma-dre mi ha dato un corpo imperfetto e deforme; voi miavete spirato un'anima giovane e forte, e lieta e magnifi-ca nelle sue idee. Il mondo dove ella vive e si spazia èaltrettanto bello e perfetto, quanto la società degli uomi-ni che vivono sulla terra è ingrata ed amara. Grazie a voiche mi svegliaste alla vita del pensiero! Quind'innanzinon vi chiamerò più sorella come mi avete comandatodi fare. Voglio chiamarvi madre. Sorella non esprimeche l'affetto reciproco. Ho bisogno di un nome che indi-chi meglio i nostri veri rapporti. Voi siete la madredell'anima mia.

[Pg 245]

»Non mi domandate dunque quali progressi abbia fat-to la cura, e di quanti pollici si sia raddrizzata la miapersona. Parliamo d'altro. Parliamo dello spirito che hameno ostacoli a superare. In questi quattro mesi mi sonoun po' esercitato nella lingua francese. A forza di sentir-la parlare, m'ingegno di spiegarmi alla meglio tanto chegià cominciano a intendermi. Finora ho sempre letto ilLeopardi sul quale ho fatto un mondo di riflessioni, chemi riservo a comunicarvi a voce. Ora assisto alla letturadi qualche libro francese che il direttore medesimo o unassistente ci vien facendo per occupare e divertire il no-stro spirito durante l'inerzia forzata e l'attitudine disage-vole del nostro corpo.

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»Da otto giorni ci vien letto un libro nuovo scritto daun sansimonista chiamato Giovanni Reynaud. È un libronuovo davvero, almeno per me, e credo anche per voi. Ilsuo titolo è: Terre et ciel; e, contro il vezzo moderno cheimpone alle opere i titoli più stravaganti, quest'operaparla davvero del cielo e della terra, ma sotto un puntodi vista affatto straordinario. Non posso dire d'intendertutto, perchè il libro è molto scientifico, ed è scritto inuno stile molto sublime: ma quello che non intendo, aforza di pensarci, riesco a intravederlo e a indovinarloda me medesimo nel silenzio della notte.

»Questo libro mi dà la chiave di molti dubbi che han-no finora tormentato e affaticato il mio spirito; e mipone in grado di soddisfare assai meglio ai nostri per-chè. Non ardisco ancora entrare nell'argomento, perchètante idee nuove e meravigliose mi fanno come nuotarein un'atmosfera insolita e sconosciuta. Sono come abba-gliato da una luce più forte che gli occhi non valgono asopportare. Ma appena mi sarò avvezzato a questo nuo-vo elemento, vi scriverò una lunga lettera che vi apriràun nuovo mondo.

[Pg 246]

»Per oggi restiamo ancora nel vecchio, che la vostrabontà mi renderà sempre più caro d'ogni altro.»

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»Da otto giorni ci vien letto un libro nuovo scritto daun sansimonista chiamato Giovanni Reynaud. È un libronuovo davvero, almeno per me, e credo anche per voi. Ilsuo titolo è: Terre et ciel; e, contro il vezzo moderno cheimpone alle opere i titoli più stravaganti, quest'operaparla davvero del cielo e della terra, ma sotto un puntodi vista affatto straordinario. Non posso dire d'intendertutto, perchè il libro è molto scientifico, ed è scritto inuno stile molto sublime: ma quello che non intendo, aforza di pensarci, riesco a intravederlo e a indovinarloda me medesimo nel silenzio della notte.

»Questo libro mi dà la chiave di molti dubbi che han-no finora tormentato e affaticato il mio spirito; e mipone in grado di soddisfare assai meglio ai nostri per-chè. Non ardisco ancora entrare nell'argomento, perchètante idee nuove e meravigliose mi fanno come nuotarein un'atmosfera insolita e sconosciuta. Sono come abba-gliato da una luce più forte che gli occhi non valgono asopportare. Ma appena mi sarò avvezzato a questo nuo-vo elemento, vi scriverò una lunga lettera che vi apriràun nuovo mondo.

[Pg 246]

»Per oggi restiamo ancora nel vecchio, che la vostrabontà mi renderà sempre più caro d'ogni altro.»

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XI.

Il giorno che questa lettera fu ricevuta in casa Lanzo-ni, fu giorno di festa per Angela.

Quel tenero nome di madre, che il povero nano aveatrovato nel fondo del suo cuore per esprimere l'immensoaffetto di gratitudine che sentiva per lei, la commosse einorgoglì al tempo stesso. Quel nome rivelò a lei mede-sima la natura del sentimento che provava per esso. Ebenchè pochi anni corressero fra l'età sua e quella delsuo pupillo, ed ei sapesse sovente trovare col suo natu-rale ingegno e col suo istinto meditabondo certe ragionich'erano sfuggite a lei stessa e al suo precettore, pure sisentì degna di questo titolo, perchè aveva realmenteesercitato l'ufficio di madre verso il povero trovatello di-seredato dal mondo e dalla natura.

Quella bizzarra predilezione per ciò che gli altri di-sprezzano a torto, quell'amore per le creature meno pri-vilegiate, trovò la sua più nobile espressione nell'affettoche sentiva per Cosimo. Da questo momento tutte lecure che soleva prodigare ai varj vegetabili ed animalimen favoriti, si concentrarono in uno. Ella divenne tuttoad un tratto più seria, passò dalla puerizia all'adolescen-za del cuore, assunse una gravità che, senza nulla toglie-re alle sue grazie native, le dava la dolce maestà delladonna sollevata al grado di sposa e di madre.

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XI.

Il giorno che questa lettera fu ricevuta in casa Lanzo-ni, fu giorno di festa per Angela.

Quel tenero nome di madre, che il povero nano aveatrovato nel fondo del suo cuore per esprimere l'immensoaffetto di gratitudine che sentiva per lei, la commosse einorgoglì al tempo stesso. Quel nome rivelò a lei mede-sima la natura del sentimento che provava per esso. Ebenchè pochi anni corressero fra l'età sua e quella delsuo pupillo, ed ei sapesse sovente trovare col suo natu-rale ingegno e col suo istinto meditabondo certe ragionich'erano sfuggite a lei stessa e al suo precettore, pure sisentì degna di questo titolo, perchè aveva realmenteesercitato l'ufficio di madre verso il povero trovatello di-seredato dal mondo e dalla natura.

Quella bizzarra predilezione per ciò che gli altri di-sprezzano a torto, quell'amore per le creature meno pri-vilegiate, trovò la sua più nobile espressione nell'affettoche sentiva per Cosimo. Da questo momento tutte lecure che soleva prodigare ai varj vegetabili ed animalimen favoriti, si concentrarono in uno. Ella divenne tuttoad un tratto più seria, passò dalla puerizia all'adolescen-za del cuore, assunse una gravità che, senza nulla toglie-re alle sue grazie native, le dava la dolce maestà delladonna sollevata al grado di sposa e di madre.

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La sera, quella lettera dovette essere letta nel picciolocrocchio d'amici che frequentavano casa Lanzoni. Ilconte v'era presente e non mancò di congratularsi conAngela del buon esito delle sue cure verso il povero or-fano.

[Pg 247]

La conversazione s'aggirò, com'è da pensarlo, sulcontrasto tra un sì bello e sì pronto ingegno e una con-formazione sì difettosa, sulle cause probabili del male esull'efficacia dei mezzi adoperati alla guarigione. Il dot-tore non isperava molto dalla cura ortopedica a cui Co-simo si era assoggettato sì tardi. Il conte raccontava casimirabili e stravaganti di guarigioni ottenute anche in unaetà più provetta. Angela stava in fra due, ma non osavaabbandonarsi a troppe speranze. Del resto, ella lo aveapreso a proteggere così malconcio, e pensava che se lefosse comparso dinanzi trasfigurato, certo ne avrebbegoduto, ma non le sarebbe parso più quello. Il suo uffi-cio di madre avrebbe fatto luogo ad altri rapporti ch'ellanon potea prevedere. Nè la sua immaginazione, nè il suocuore poteva dunque imaginarselo differente.

Le diverse opinioni che si esprimevano sul suo conto,l'interesse che tutti mostravano avere per lui, lo sviluppoprecoce della sua intelligenza, la lettera singolare di cuisi era fatta lettura, tutto ciò avea concentrato l'attenzionesul povero nano assente, e il conte d'Andria non potè ameno di chiedere ad Angela il tempo e il modo onde lo

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La sera, quella lettera dovette essere letta nel picciolocrocchio d'amici che frequentavano casa Lanzoni. Ilconte v'era presente e non mancò di congratularsi conAngela del buon esito delle sue cure verso il povero or-fano.

[Pg 247]

La conversazione s'aggirò, com'è da pensarlo, sulcontrasto tra un sì bello e sì pronto ingegno e una con-formazione sì difettosa, sulle cause probabili del male esull'efficacia dei mezzi adoperati alla guarigione. Il dot-tore non isperava molto dalla cura ortopedica a cui Co-simo si era assoggettato sì tardi. Il conte raccontava casimirabili e stravaganti di guarigioni ottenute anche in unaetà più provetta. Angela stava in fra due, ma non osavaabbandonarsi a troppe speranze. Del resto, ella lo aveapreso a proteggere così malconcio, e pensava che se lefosse comparso dinanzi trasfigurato, certo ne avrebbegoduto, ma non le sarebbe parso più quello. Il suo uffi-cio di madre avrebbe fatto luogo ad altri rapporti ch'ellanon potea prevedere. Nè la sua immaginazione, nè il suocuore poteva dunque imaginarselo differente.

Le diverse opinioni che si esprimevano sul suo conto,l'interesse che tutti mostravano avere per lui, lo sviluppoprecoce della sua intelligenza, la lettera singolare di cuisi era fatta lettura, tutto ciò avea concentrato l'attenzionesul povero nano assente, e il conte d'Andria non potè ameno di chiedere ad Angela il tempo e il modo onde lo

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sfortunato avea chiesto e ottenuto asilo e protezionepresso di lei.

Angela rispose senza pensare: — Orfano, abbandona-to da sua madre per morte, da suo padre per colpevoleincuria, bisognava bene che alcuno s'incaricasse di lui. IlSignore, diss'ella, provvede ai pulcini della rondine: manon sempre agli orfani della razza d'Adamo. —

Il conte sorrise all'arguta e vivace risposta della fan-ciulla, e le augurò la forza e la costanza di adempiere aquesto magnanimo ufficio. — E come probabilmente —soggiunse — il numero degli orfani sarà sempre piùgrande del numero dei tutori, vi prego a volermi asso-ciare all'opera degna. —

[Pg 248]

Egli non pensava, dicendo queste parole, che a farleuno de' soliti complimenti: ma Angela le prese sul serio,e si propose di mettere alla prova a suo tempo le buonedisposizioni del vicino.

Questi però apparteneva al numero di quegli uominiche, larghi a parole, sono difficili a confermarle co' fatti,e trovano sempre una ragione o un pretesto per trarsid'impaccio. Egli aveva adottato un'ammirabile scappato-ja per ischermirsi dall'incommodo d'esser coerente a sestesso: la morale. Guardate dove andava a cacciarsil'ipocrisia! Un tempo fa, un uomo che avesse viaggiato

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sfortunato avea chiesto e ottenuto asilo e protezionepresso di lei.

Angela rispose senza pensare: — Orfano, abbandona-to da sua madre per morte, da suo padre per colpevoleincuria, bisognava bene che alcuno s'incaricasse di lui. IlSignore, diss'ella, provvede ai pulcini della rondine: manon sempre agli orfani della razza d'Adamo. —

Il conte sorrise all'arguta e vivace risposta della fan-ciulla, e le augurò la forza e la costanza di adempiere aquesto magnanimo ufficio. — E come probabilmente —soggiunse — il numero degli orfani sarà sempre piùgrande del numero dei tutori, vi prego a volermi asso-ciare all'opera degna. —

[Pg 248]

Egli non pensava, dicendo queste parole, che a farleuno de' soliti complimenti: ma Angela le prese sul serio,e si propose di mettere alla prova a suo tempo le buonedisposizioni del vicino.

Questi però apparteneva al numero di quegli uominiche, larghi a parole, sono difficili a confermarle co' fatti,e trovano sempre una ragione o un pretesto per trarsid'impaccio. Egli aveva adottato un'ammirabile scappato-ja per ischermirsi dall'incommodo d'esser coerente a sestesso: la morale. Guardate dove andava a cacciarsil'ipocrisia! Un tempo fa, un uomo che avesse viaggiato

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l'Europa si piccava d'aver lasciato qua e là i pregiudizinativi. Ora i viaggi sogliono dare un'altra piega allo spi-rito. L'uso del mondo, il conversare con ogni genere dipersone, la necessità di non cozzare con le opinioni di-vergenti del prossimo sparge le parole del viaggiatored'una tinta di pedanteria che innamora. A forza d'appro-var tutto e tutti, ei perde la propria opinione individuale,e dissimula questo pratico scetticismo con una vernicedi moralità che serve di condimento ad ogni genere didiscorsi. Il conte d'Andria lasciò l'Italia stordito, e vi tor-nò moralista. Ei s'era posto nella categoria di quelli chesi professano i salvatori della morale, della religione,della famiglia. Non vo' dire che fosse profondamentecorrotto e pensatamente ipocrita come i creatori di que-sta formula; ma la ripeteva così per bon-ton, e la trovavaassai comoda per darsi un'aria d'importanza e di singola-rità fra' suoi concittadini. Era una specie di diplomaziasociale, divenuta alla moda fra i nobili, un argot dellepersone distinte.

Dopo aver data dunque un'approvazione la più cor-diale alle generose parole di Angela, trovò il modo, par-lando agli altri, di versare un po' d'acqua sul fuoco e dielevarsi di un grado, spacciando le solite topiche[Pg 249]sulla miseria crescente, sulla cancrena che divorava lasocietà, sulla corruzione de' costumi presenti, sulla im-moralità che corre le vie e si predica su' teatri, ec., ec. —Se si volesse — diss'egli — prendere sotto la propria tu-tela tutte le femmine di mal affare e tutti i trovatelli del-

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l'Europa si piccava d'aver lasciato qua e là i pregiudizinativi. Ora i viaggi sogliono dare un'altra piega allo spi-rito. L'uso del mondo, il conversare con ogni genere dipersone, la necessità di non cozzare con le opinioni di-vergenti del prossimo sparge le parole del viaggiatored'una tinta di pedanteria che innamora. A forza d'appro-var tutto e tutti, ei perde la propria opinione individuale,e dissimula questo pratico scetticismo con una vernicedi moralità che serve di condimento ad ogni genere didiscorsi. Il conte d'Andria lasciò l'Italia stordito, e vi tor-nò moralista. Ei s'era posto nella categoria di quelli chesi professano i salvatori della morale, della religione,della famiglia. Non vo' dire che fosse profondamentecorrotto e pensatamente ipocrita come i creatori di que-sta formula; ma la ripeteva così per bon-ton, e la trovavaassai comoda per darsi un'aria d'importanza e di singola-rità fra' suoi concittadini. Era una specie di diplomaziasociale, divenuta alla moda fra i nobili, un argot dellepersone distinte.

Dopo aver data dunque un'approvazione la più cor-diale alle generose parole di Angela, trovò il modo, par-lando agli altri, di versare un po' d'acqua sul fuoco e dielevarsi di un grado, spacciando le solite topiche[Pg 249]sulla miseria crescente, sulla cancrena che divorava lasocietà, sulla corruzione de' costumi presenti, sulla im-moralità che corre le vie e si predica su' teatri, ec., ec. —Se si volesse — diss'egli — prendere sotto la propria tu-tela tutte le femmine di mal affare e tutti i trovatelli del-

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la città, quale posto rimarrebbe ai poveri virtuosi edonesti? Quanto più si studia la società — conchiuse ilnostro filosofo — tanto più si divien fatalista. Bisognaavere il coraggio di applicare alle miserie umane il fa-moso adagio degli economisti: lasciar correre, lasciarfare. Chi muore a vent'anni e chi nasce colla spina dor-sale fuor d'equilibrio, certamente aveva ad espiare qual-che peccato d'origine. Io dico che, in massima, gli uomi-ni di senno hanno a pensare ai sani e agli onesti, lascian-do alle anime eroiche, ai cuori angelici, come il vostro,madamigella, la virtù evangelica di correr dietroall'agnella errante, e di raddrizzare le gambe ai cani. —

Angela non era donna da lasciarsi allucinare dalle for-me più o meno garbate di questo ragionamento. Ellasentì come per istinto l'egoismo che si copriva sottoquesto mantello d'ipocrisia, e non mancò di replicare alsignor moralista: — Ma quando la miseria e l'infermitànon dipendono da vizio originale, ma da vizio effettivodi qualche padre, dimentico dei propri doveri e dellapropria parola? —

Il conte era ben lontano dall'immaginare che questafosse un'allusione a lui stesso. Rispose dunque senzaesitare, che in questo caso chi era l'autore del male do-vea ripararvi. E qui giù un altro squarcio di morale sullaresponsabilità personale e sulla santità del dovere. Que-sto però non distolse la giovanetta dal suo proposito, etornato il discorso sul povero Cosimo, trovò modo di

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la città, quale posto rimarrebbe ai poveri virtuosi edonesti? Quanto più si studia la società — conchiuse ilnostro filosofo — tanto più si divien fatalista. Bisognaavere il coraggio di applicare alle miserie umane il fa-moso adagio degli economisti: lasciar correre, lasciarfare. Chi muore a vent'anni e chi nasce colla spina dor-sale fuor d'equilibrio, certamente aveva ad espiare qual-che peccato d'origine. Io dico che, in massima, gli uomi-ni di senno hanno a pensare ai sani e agli onesti, lascian-do alle anime eroiche, ai cuori angelici, come il vostro,madamigella, la virtù evangelica di correr dietroall'agnella errante, e di raddrizzare le gambe ai cani. —

Angela non era donna da lasciarsi allucinare dalle for-me più o meno garbate di questo ragionamento. Ellasentì come per istinto l'egoismo che si copriva sottoquesto mantello d'ipocrisia, e non mancò di replicare alsignor moralista: — Ma quando la miseria e l'infermitànon dipendono da vizio originale, ma da vizio effettivodi qualche padre, dimentico dei propri doveri e dellapropria parola? —

Il conte era ben lontano dall'immaginare che questafosse un'allusione a lui stesso. Rispose dunque senzaesitare, che in questo caso chi era l'autore del male do-vea ripararvi. E qui giù un altro squarcio di morale sullaresponsabilità personale e sulla santità del dovere. Que-sto però non distolse la giovanetta dal suo proposito, etornato il discorso sul povero Cosimo, trovò modo di

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dire al conte che il nome della madre era Teresa:[Pg 250]una povera guantaja morta probabilmente d'inedia e dicrepacuore pochi anni prima.

Il conte arrossì, ma si ricompose all'istante. I viaggisono eccellenti per dare una certa disinvoltura nei casidifficili. E la contessa d'Andria, che fino allora avea ba-dato all'arazzo che trapungeva, venne in soccorso del fi-glio, chiamando Angela a sè per consultare il suo gustosopra una tinta delle sue lane.

Così destramente fu rimessa ad altro momento una ri-velazione di cui Angela sola avea il segreto, e che unoscuro presentimento la persuase a rimettere a miglioreoccasione.

Intanto passavano i giorni ed i mesi, senza che nullavenisse a portare la luce in questo mistero. Le lettereche Angela inviava al prigioniero dell'istituto ortopedicoerano sempre affettuose, lettere di sorella e di madre adun tempo. Ci duole non poter offerire alle nostre lettricitutta questa corrispondenza come fu scritta. Ciò prolun-gherebbe di troppo il nostro racconto, e ne muterebbe ilcarattere. Non resistiamo però alla tentazione di riporta-re due lunghi frammenti del giornale di Cosimo, cheservono mirabilmente a indicare lo sviluppo della suaintelligenza, e per quali gradazioni insensibili la sua fan-tasia lo traeva a dare al problema della sua esistenza unasoluzione che ognuno apprezzerà colla indulgenza che

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dire al conte che il nome della madre era Teresa:[Pg 250]una povera guantaja morta probabilmente d'inedia e dicrepacuore pochi anni prima.

Il conte arrossì, ma si ricompose all'istante. I viaggisono eccellenti per dare una certa disinvoltura nei casidifficili. E la contessa d'Andria, che fino allora avea ba-dato all'arazzo che trapungeva, venne in soccorso del fi-glio, chiamando Angela a sè per consultare il suo gustosopra una tinta delle sue lane.

Così destramente fu rimessa ad altro momento una ri-velazione di cui Angela sola avea il segreto, e che unoscuro presentimento la persuase a rimettere a miglioreoccasione.

Intanto passavano i giorni ed i mesi, senza che nullavenisse a portare la luce in questo mistero. Le lettereche Angela inviava al prigioniero dell'istituto ortopedicoerano sempre affettuose, lettere di sorella e di madre adun tempo. Ci duole non poter offerire alle nostre lettricitutta questa corrispondenza come fu scritta. Ciò prolun-gherebbe di troppo il nostro racconto, e ne muterebbe ilcarattere. Non resistiamo però alla tentazione di riporta-re due lunghi frammenti del giornale di Cosimo, cheservono mirabilmente a indicare lo sviluppo della suaintelligenza, e per quali gradazioni insensibili la sua fan-tasia lo traeva a dare al problema della sua esistenza unasoluzione che ognuno apprezzerà colla indulgenza che

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merita un organismo imperfetto e lottante contro unadura fatalità.

XII.

Cosimo ad Angela.. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«Giorni sono una famiglia inglese venne a visitare[Pg251] lo stabilimento, non per semplice curiosità, comesogliono, ma per esaminare la realtà di certe cure mara-vigliose.

»La famiglia era composta di un vecchio gentiluomo,di un giovanetto vispo e ben disposto, e di due giovanimisses alte e snelle della persona, come la gentile levrie-ra che le seguiva legata al guinzaglio.

»Una di esse, che parea la più giovane, portava il visoscoperto, uno di quei visi britannici che somigliano allecamelie. L'altra copriva la faccia di un denso velo azzur-ro che ne celava interamente le forme. Mi corse tosto alpensiero che quella bella damina celasse sotto il suovelo qualche deformità, e non andò guari ch'io potei sin-cerarmene. Passando vicino al mio letto di Procuste,quella bella e nobile giovanetta si fermò per guardarmi,e parve prendere il più vivo interesse alla mia posizione.Mi chiese di qual paese fossi, e inteso ch'io era italiano,mi domandò con puro accento toscano, e con un tuono

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merita un organismo imperfetto e lottante contro unadura fatalità.

XII.

Cosimo ad Angela.. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«Giorni sono una famiglia inglese venne a visitare[Pg251] lo stabilimento, non per semplice curiosità, comesogliono, ma per esaminare la realtà di certe cure mara-vigliose.

»La famiglia era composta di un vecchio gentiluomo,di un giovanetto vispo e ben disposto, e di due giovanimisses alte e snelle della persona, come la gentile levrie-ra che le seguiva legata al guinzaglio.

»Una di esse, che parea la più giovane, portava il visoscoperto, uno di quei visi britannici che somigliano allecamelie. L'altra copriva la faccia di un denso velo azzur-ro che ne celava interamente le forme. Mi corse tosto alpensiero che quella bella damina celasse sotto il suovelo qualche deformità, e non andò guari ch'io potei sin-cerarmene. Passando vicino al mio letto di Procuste,quella bella e nobile giovanetta si fermò per guardarmi,e parve prendere il più vivo interesse alla mia posizione.Mi chiese di qual paese fossi, e inteso ch'io era italiano,mi domandò con puro accento toscano, e con un tuono

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di voce soavissimo, da quanto tempo io fossi sottopostoa quella cura, se provassi molto disagio a quella postura,e se ne sperassi un buon risultato. Risposi che la curaera men dolorosa che non paresse, poichè l'attitudineforzata in cui mi vedeva non durava molto, ed anche inquesto intervallo, la lettura e il pensare temperava lanoja di quella dura immobilità. Quanto all'esito, non losperava molto felice, nè me ne preoccupavo gran fatto.Dissi che mi trovavo lì più per altrui volere che per ilmio, e che non credevo di tanta importanza la forma delcorpo, da doverle sacrificare a lungo l'attività dello spi-rito e l'aria libera della campagna.

»La mia visitatrice chinò il capo a queste parole, e miparve che sospirasse sotto il suo velo. Dopo qualcheistante di silenzio e di esitazione, prese il partito di[Pg252] scoprirsi il volto, e compresi la ragione di quel so-spiro. La povera signorina avea deturpata la guancia si-nistra d'un enorme macchia bruna che avea portata na-scendo. — Siamo stati — mi disse — assai maltrattatientrambi dalla natura. Non so quale de' due sia più dacompiangere. Tu almeno puoi lusingarti, di risanare, edhai libera da ogni deformità quella parte dell'uomo dovel'anima ha impresso il suo sigillo divino: io non potròmai guardare alcuno, ed esser veduta, senza eccitare ilriso o la pietà. Tutti i medici di Londra e di Parigi mi di-chiararono essere affatto impossibile levare dal voltoquesta macchia originale che mi deforma. —

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di voce soavissimo, da quanto tempo io fossi sottopostoa quella cura, se provassi molto disagio a quella postura,e se ne sperassi un buon risultato. Risposi che la curaera men dolorosa che non paresse, poichè l'attitudineforzata in cui mi vedeva non durava molto, ed anche inquesto intervallo, la lettura e il pensare temperava lanoja di quella dura immobilità. Quanto all'esito, non losperava molto felice, nè me ne preoccupavo gran fatto.Dissi che mi trovavo lì più per altrui volere che per ilmio, e che non credevo di tanta importanza la forma delcorpo, da doverle sacrificare a lungo l'attività dello spi-rito e l'aria libera della campagna.

»La mia visitatrice chinò il capo a queste parole, e miparve che sospirasse sotto il suo velo. Dopo qualcheistante di silenzio e di esitazione, prese il partito di[Pg252] scoprirsi il volto, e compresi la ragione di quel so-spiro. La povera signorina avea deturpata la guancia si-nistra d'un enorme macchia bruna che avea portata na-scendo. — Siamo stati — mi disse — assai maltrattatientrambi dalla natura. Non so quale de' due sia più dacompiangere. Tu almeno puoi lusingarti, di risanare, edhai libera da ogni deformità quella parte dell'uomo dovel'anima ha impresso il suo sigillo divino: io non potròmai guardare alcuno, ed esser veduta, senza eccitare ilriso o la pietà. Tutti i medici di Londra e di Parigi mi di-chiararono essere affatto impossibile levare dal voltoquesta macchia originale che mi deforma. —

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»Io la guardava fisso, senza poter trovarmi una paroladi consolazione che credessi efficace. Ella riprese: —Addio, mio caro compagno d'infortunio: intendo checosa vuoi tu dirmi con quella lacrima che brilla ne' tuoiocchi. Mi ricorderò sempre di quanto m'hai detto intor-no all'efficacia del pensiero e della lettura. Sarà una con-solazione nella mia solitudine.

»Detto questo calò rapidamente il suo velo, mi strinseforte la mano ch'io le porsi, e raggiunse la sua famigliache intrattenevasi col direttore all'altra estremità dellasala.

»La vista di quella sfortunata giovane, e le sue mesteparole mi lasciarono nell'anima una grande tristezza. Hosempre dinanzi agli occhi l'espressione malinconica delsuo sguardo; mi sembra d'udire la sua voce affettuosa ela grazia ineffabile delle sue parole.

»Intesi dire ch'ella era venuta a Parigi per consultare ipiù celebri medici della Francia intorno alla possibilitàdi una cura; e che, nel caso probabile di una risposta ne-gativa, si proponeva di farsi cattolica e prendere il veloin un monastero. Il padre e la sorella n'erano desolati,ma la risoluzione della sfortunata parea irrevocabile.[Pg253] Compresi allora che cosa aveva inteso di dirmi ac-cennandomi la consolazione della solitudine, e ne fuipiù che mai rattristato. Non è la solitudine e il perpetuoriflettere sopra se stessa che potrà consolarla: ma la vita

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»Io la guardava fisso, senza poter trovarmi una paroladi consolazione che credessi efficace. Ella riprese: —Addio, mio caro compagno d'infortunio: intendo checosa vuoi tu dirmi con quella lacrima che brilla ne' tuoiocchi. Mi ricorderò sempre di quanto m'hai detto intor-no all'efficacia del pensiero e della lettura. Sarà una con-solazione nella mia solitudine.

»Detto questo calò rapidamente il suo velo, mi strinseforte la mano ch'io le porsi, e raggiunse la sua famigliache intrattenevasi col direttore all'altra estremità dellasala.

»La vista di quella sfortunata giovane, e le sue mesteparole mi lasciarono nell'anima una grande tristezza. Hosempre dinanzi agli occhi l'espressione malinconica delsuo sguardo; mi sembra d'udire la sua voce affettuosa ela grazia ineffabile delle sue parole.

»Intesi dire ch'ella era venuta a Parigi per consultare ipiù celebri medici della Francia intorno alla possibilitàdi una cura; e che, nel caso probabile di una risposta ne-gativa, si proponeva di farsi cattolica e prendere il veloin un monastero. Il padre e la sorella n'erano desolati,ma la risoluzione della sfortunata parea irrevocabile.[Pg253] Compresi allora che cosa aveva inteso di dirmi ac-cennandomi la consolazione della solitudine, e ne fuipiù che mai rattristato. Non è la solitudine e il perpetuoriflettere sopra se stessa che potrà consolarla: ma la vita

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attiva e l'esercizio di qualche arte che le sollevi il pen-siero, e lo storni dalla propria infermità.

»Ora intendo, mia cara amica, il pregio della bellezza,massime in una donna. Povera giovane! Ella dovetteprovare ben duro lo scherno, e ben crudele la compas-sione del mondo! Troverà ella un'anima angelica, comela vostra, per offerirle quelle consolazioni che partonodal cuore, e scendono ad esso?

»Dacchè vidi quella povera damina, mi torna in men-te quella celebre questione agitata fra il dottore e l'abate,intorno al passo di Foscolo che, classificando i beni del-la terra, attribuiva alla bellezza il primato sopra la virtùe le ricchezze. La virtù infatti dipende da noi, la ricchez-za non è sempre necessaria per esser felici, e ad ognimodo la fortuna può essere il frutto della perseveranza:ma la bellezza è un dono gratuito di Dio che possiamoperdere ed abusare, ma non potremmo mai procurarcicon tutti i tesori di Creso e tutti gli sforzi dell'ingegno edell'arte. La bellezza è proprio un raggio della divinità.Io me ne accorsi quando vi vidi, o madre mia; quandoquel vostro divino sentimento di compassione e d'affettoera così bene espresso e significato dalla soavità dellevostre sembianze!

»Ringraziate Dio, madre mia, di quella perfetta corri-spondenza che passa tra le doti del vostro spirito e leforme del vostro corpo. Non veggo perchè gli uomini e

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attiva e l'esercizio di qualche arte che le sollevi il pen-siero, e lo storni dalla propria infermità.

»Ora intendo, mia cara amica, il pregio della bellezza,massime in una donna. Povera giovane! Ella dovetteprovare ben duro lo scherno, e ben crudele la compas-sione del mondo! Troverà ella un'anima angelica, comela vostra, per offerirle quelle consolazioni che partonodal cuore, e scendono ad esso?

»Dacchè vidi quella povera damina, mi torna in men-te quella celebre questione agitata fra il dottore e l'abate,intorno al passo di Foscolo che, classificando i beni del-la terra, attribuiva alla bellezza il primato sopra la virtùe le ricchezze. La virtù infatti dipende da noi, la ricchez-za non è sempre necessaria per esser felici, e ad ognimodo la fortuna può essere il frutto della perseveranza:ma la bellezza è un dono gratuito di Dio che possiamoperdere ed abusare, ma non potremmo mai procurarcicon tutti i tesori di Creso e tutti gli sforzi dell'ingegno edell'arte. La bellezza è proprio un raggio della divinità.Io me ne accorsi quando vi vidi, o madre mia; quandoquel vostro divino sentimento di compassione e d'affettoera così bene espresso e significato dalla soavità dellevostre sembianze!

»Ringraziate Dio, madre mia, di quella perfetta corri-spondenza che passa tra le doti del vostro spirito e leforme del vostro corpo. Non veggo perchè gli uomini e

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le donne ne vadano tanto orgogliose. È un dono gratuitodella natura, al quale non ebbero alcuna parte, come nonhanno colpa i deformi dei difetti che hanno portato na-scendo....

[Pg 254]

»Povera miss! qual colpa d'origine, o qual dura fatali-tà la condannava, prima che nascesse, a portare quellastimmata obbrobriosa! Ecco un altro di quei perchè checi tormentano senza pro! Ho letto qualche libro per sa-pere la causa di queste macchie mostruose, ma le milleragioni che ne danno non mi sembrano concludenti.

»È caso, dicono i medici: ma questo non è rispondere.La mente umana insiste a voler trovare la causa di ognieffetto e il fine d'ogni cosa. E dove la ragione e l'espe-rienza non danno una soluzione plausibile, è lecito do-mandarla alla tradizione, alla fantasia, e creare un'ipote-si.

»Sarebbe ella condannata quella povera inglese adespiare una colpa de' suoi genitori? Qual colpa? E chegiustizia è codesta che punisce i figli per la colpa de' pa-dri?

»Il libro che vanno leggendoci, e di cui vi ho parlatoaltre volte, ha una risposta soddisfacente, ammessa chesia la sua dottrina della trasmigrazione. L'autore di Terreet Ciel pretende che la vita de' nostri maggiori si ripro-

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le donne ne vadano tanto orgogliose. È un dono gratuitodella natura, al quale non ebbero alcuna parte, come nonhanno colpa i deformi dei difetti che hanno portato na-scendo....

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»Povera miss! qual colpa d'origine, o qual dura fatali-tà la condannava, prima che nascesse, a portare quellastimmata obbrobriosa! Ecco un altro di quei perchè checi tormentano senza pro! Ho letto qualche libro per sa-pere la causa di queste macchie mostruose, ma le milleragioni che ne danno non mi sembrano concludenti.

»È caso, dicono i medici: ma questo non è rispondere.La mente umana insiste a voler trovare la causa di ognieffetto e il fine d'ogni cosa. E dove la ragione e l'espe-rienza non danno una soluzione plausibile, è lecito do-mandarla alla tradizione, alla fantasia, e creare un'ipote-si.

»Sarebbe ella condannata quella povera inglese adespiare una colpa de' suoi genitori? Qual colpa? E chegiustizia è codesta che punisce i figli per la colpa de' pa-dri?

»Il libro che vanno leggendoci, e di cui vi ho parlatoaltre volte, ha una risposta soddisfacente, ammessa chesia la sua dottrina della trasmigrazione. L'autore di Terreet Ciel pretende che la vita de' nostri maggiori si ripro-

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duca in noi stessi, e che le anime umane passino per dif-ferenti corpi, modificate dai meriti e dai demeriti dellavita anteriore. Non so se si possa ammettere questa ipo-tesi in buona coscienza: ma quanto al caso presente, sidee confessare che si avrebbe una base per conciliarlacolla provvidenza e colla giustizia suprema.

»Il male che uno sopporta non sarebbe da considerar-si come un vero male, ma come un'occasione e uno sti-molo al bene. Per esempio, la giovane di cui parlo, po-trebbe espiare in questa vita la colpa della vanità edell'orgoglio a cui l'anima sua sarà soggiaciuta nelle fasiprecedenti, per cui passò. La espia imparando a sue spe-se, come le altrui sventure e gli altrui difetti si[Pg 255] de-vono compatire, non dileggiare. Questo sentimento dipietà che prima le mancava, perfeziona ora l'anima sua ela rende degna di riprendere, dopo questo periodo diprova e di educazione, la bellezza di prima, resa più pre-gevole per la nobiltà de' pensieri e la bontà degli affetti.

»Compiango il Leopardi di non aver considerato lemiserie umane sotto questo aspetto, certo più consolan-te, e forse più vero. Se vi è un Dio, non può essere certa-mente autore del male. Infinitamente giusto e infinita-mente buono, non potrebbe permettere il male nè purcome pena dei tristi, se questa pena non tende e non gio-va a farli migliori. Il male dunque non è che un ostacoloal bene ed uno stimolo a conseguirlo, un appoggio aprocedere innanzi nella via della perfezione. È come

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duca in noi stessi, e che le anime umane passino per dif-ferenti corpi, modificate dai meriti e dai demeriti dellavita anteriore. Non so se si possa ammettere questa ipo-tesi in buona coscienza: ma quanto al caso presente, sidee confessare che si avrebbe una base per conciliarlacolla provvidenza e colla giustizia suprema.

»Il male che uno sopporta non sarebbe da considerar-si come un vero male, ma come un'occasione e uno sti-molo al bene. Per esempio, la giovane di cui parlo, po-trebbe espiare in questa vita la colpa della vanità edell'orgoglio a cui l'anima sua sarà soggiaciuta nelle fasiprecedenti, per cui passò. La espia imparando a sue spe-se, come le altrui sventure e gli altrui difetti si[Pg 255] de-vono compatire, non dileggiare. Questo sentimento dipietà che prima le mancava, perfeziona ora l'anima sua ela rende degna di riprendere, dopo questo periodo diprova e di educazione, la bellezza di prima, resa più pre-gevole per la nobiltà de' pensieri e la bontà degli affetti.

»Compiango il Leopardi di non aver considerato lemiserie umane sotto questo aspetto, certo più consolan-te, e forse più vero. Se vi è un Dio, non può essere certa-mente autore del male. Infinitamente giusto e infinita-mente buono, non potrebbe permettere il male nè purcome pena dei tristi, se questa pena non tende e non gio-va a farli migliori. Il male dunque non è che un ostacoloal bene ed uno stimolo a conseguirlo, un appoggio aprocedere innanzi nella via della perfezione. È come

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l'acqua che resiste più o meno alla barca che la va sol-cando: ma senza la resistenza che oppone, il remo nonavrebbe appoggio, nè la barca medesima l'equilibrio. Ioconsidero il male come un'inerzia. Bisogna vincerla: eper questo è necessario di agire, di muoversi, di combat-tere e svolgere nella lotta continua, le nostre facoltà na-turali che, senza questo esercizio, languirebbero inerti.

»Mi spiace che non potrò più rivedere quella bellagiovane. Vorrei farle parte di queste riflessioni e persua-derla a levare il suo velo, ad affrontare arditamente loscherno del mondo, a porgere consolazione e soccorso atutti quelli che sono più disgraziati di lei, a farsi un'ani-ma bella e perfetta per l'abito della carità, onde riviverein seguito felice di doppio merito e di doppia virtù!» . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

[Pg 256]

XIII.

Cosimo ad Angela.«Voi esigete ch'io vi scriva, e intanto mi raccomanda-

te di non abbandonarmi alle mie visioni, alle mie fanta-sie, alle mie stravaganze. Ma come posso io fare altri-menti? Io non ho qui un giardino a mia disposizione, nèun gabinetto di storia naturale, nè un piccolo pezzetto diterra di mia proprietà per dare un asilo alle male erbe

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l'acqua che resiste più o meno alla barca che la va sol-cando: ma senza la resistenza che oppone, il remo nonavrebbe appoggio, nè la barca medesima l'equilibrio. Ioconsidero il male come un'inerzia. Bisogna vincerla: eper questo è necessario di agire, di muoversi, di combat-tere e svolgere nella lotta continua, le nostre facoltà na-turali che, senza questo esercizio, languirebbero inerti.

»Mi spiace che non potrò più rivedere quella bellagiovane. Vorrei farle parte di queste riflessioni e persua-derla a levare il suo velo, ad affrontare arditamente loscherno del mondo, a porgere consolazione e soccorso atutti quelli che sono più disgraziati di lei, a farsi un'ani-ma bella e perfetta per l'abito della carità, onde riviverein seguito felice di doppio merito e di doppia virtù!» . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

[Pg 256]

XIII.

Cosimo ad Angela.«Voi esigete ch'io vi scriva, e intanto mi raccomanda-

te di non abbandonarmi alle mie visioni, alle mie fanta-sie, alle mie stravaganze. Ma come posso io fare altri-menti? Io non ho qui un giardino a mia disposizione, nèun gabinetto di storia naturale, nè un piccolo pezzetto diterra di mia proprietà per dare un asilo alle male erbe

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che gli altri calpestano! M'è d'uopo adunque di rivolgerela mia attenzione su questo intricato gineprajo de' mieipensieri, e coltivare e classificare le male erbe che ger-mogliano nel mio spirito. Voi deste asilo e conforto allaparte di me materiale e deforme: siate altrettanto indul-gente alle allucinazioni strane che formano la mia vitainteriore. Buone o triste che siano, non sono esse alfinela parte più nobile di me stesso? Che cosa è il mio corpose non l'organo spesse volte inetto ad esprimerle? Voiche amate il profumo, qualunque, dei fiori che dite esserl'anima loro, e vi affaticate a interpretare il canto degliuccelli e i suoni inarticolati degli animali, non disprez-zate, vi prego, o madre mia, questi vaghi sogni incoe-renti che possono essere il primo balbettare di un'animainfante in cerca della verità e della giustizia. Vorrestech'io mi limitassi a darvi conto del mio stato di salute edei progressi che va facendo la cura? Il medico è moltosoddisfatto, e mi assicura che in qualche anno di letto diProcuste io mi farò dritto e bello come un Apollo!Quanto a me, malgrado la sentenza di Foscolo che con-sidera la bellezza come il primo de' doni e la più invi-diabile prerogativa dell'uomo, non posso[Pg 257] persua-dermi che tale vantaggio meriti di essere conquistato asì caro prezzo. Io ho le mie idee su questo argomento, ese non temessi che aveste a darmi sulla voce un'altravolta, sarei tentato a comunicarvele. Ebbene! perdonate-mi, e ascoltatemi. Sarà l'ultima volta ch'io vi trascino aqueste indagini stravaganti e temerarie.

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che gli altri calpestano! M'è d'uopo adunque di rivolgerela mia attenzione su questo intricato gineprajo de' mieipensieri, e coltivare e classificare le male erbe che ger-mogliano nel mio spirito. Voi deste asilo e conforto allaparte di me materiale e deforme: siate altrettanto indul-gente alle allucinazioni strane che formano la mia vitainteriore. Buone o triste che siano, non sono esse alfinela parte più nobile di me stesso? Che cosa è il mio corpose non l'organo spesse volte inetto ad esprimerle? Voiche amate il profumo, qualunque, dei fiori che dite esserl'anima loro, e vi affaticate a interpretare il canto degliuccelli e i suoni inarticolati degli animali, non disprez-zate, vi prego, o madre mia, questi vaghi sogni incoe-renti che possono essere il primo balbettare di un'animainfante in cerca della verità e della giustizia. Vorrestech'io mi limitassi a darvi conto del mio stato di salute edei progressi che va facendo la cura? Il medico è moltosoddisfatto, e mi assicura che in qualche anno di letto diProcuste io mi farò dritto e bello come un Apollo!Quanto a me, malgrado la sentenza di Foscolo che con-sidera la bellezza come il primo de' doni e la più invi-diabile prerogativa dell'uomo, non posso[Pg 257] persua-dermi che tale vantaggio meriti di essere conquistato asì caro prezzo. Io ho le mie idee su questo argomento, ese non temessi che aveste a darmi sulla voce un'altravolta, sarei tentato a comunicarvele. Ebbene! perdonate-mi, e ascoltatemi. Sarà l'ultima volta ch'io vi trascino aqueste indagini stravaganti e temerarie.

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»Io credo, madre mia, che non riacquisterò mai nè laforza nè l'avvenenza. La mia infermità non è effetto d'unaccidente: è un vizio di conformazione che ho portatonascendo. L'anima mia non ha saputo o non ha volutofabbricarsi un corpo più sano e più bello. Ciò non puòessere un effetto del caso, nè il decreto d'una cieca fata-lità. Una legge giusta, universale, severa deve presiederea questi fenomeni. L'anima nostra sceglie forzatamentegli elementi del suo corpo, e li sigilla della propria im-pronta, li configura ad imagine e similitudine sua, nonsecondo il capriccio del caso, ma secondo un istinto digiustizia che la ritiene in quelle condizioni che ha meri-tato nella vita anteriore, e che potranno meglio servirla aprogredire nel bene.

»Poniamo il caso. L'uomo che mi ha generato era do-minato da una smisurata vanità, da un orgoglio colpevo-le de' suoi vantaggi personali unito a un disprezzo ingiu-sto delle altrui infermità sì fisiche che morali. Egli ripro-dusse se stesso trasmettendo il fiore dell'anima propriaad un figlio. Questa parte di lui che si stacca dal cespo,improntata di questa viziosa abitudine, si assimila e sicostruisce un corpo in armonia de' suoi proprj appetiti. Ilpadre è punito nel figlio in quella parte di lui che sop-pravvive al sepolcro.

»Se la punizione fosse sterile e dettata dalla vendetta,sarebbe ingiusta. Ma quest'anima, dotata d'un istintoprogressivo, ha la facoltà di migliorare le sue propensio-

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»Io credo, madre mia, che non riacquisterò mai nè laforza nè l'avvenenza. La mia infermità non è effetto d'unaccidente: è un vizio di conformazione che ho portatonascendo. L'anima mia non ha saputo o non ha volutofabbricarsi un corpo più sano e più bello. Ciò non puòessere un effetto del caso, nè il decreto d'una cieca fata-lità. Una legge giusta, universale, severa deve presiederea questi fenomeni. L'anima nostra sceglie forzatamentegli elementi del suo corpo, e li sigilla della propria im-pronta, li configura ad imagine e similitudine sua, nonsecondo il capriccio del caso, ma secondo un istinto digiustizia che la ritiene in quelle condizioni che ha meri-tato nella vita anteriore, e che potranno meglio servirla aprogredire nel bene.

»Poniamo il caso. L'uomo che mi ha generato era do-minato da una smisurata vanità, da un orgoglio colpevo-le de' suoi vantaggi personali unito a un disprezzo ingiu-sto delle altrui infermità sì fisiche che morali. Egli ripro-dusse se stesso trasmettendo il fiore dell'anima propriaad un figlio. Questa parte di lui che si stacca dal cespo,improntata di questa viziosa abitudine, si assimila e sicostruisce un corpo in armonia de' suoi proprj appetiti. Ilpadre è punito nel figlio in quella parte di lui che sop-pravvive al sepolcro.

»Se la punizione fosse sterile e dettata dalla vendetta,sarebbe ingiusta. Ma quest'anima, dotata d'un istintoprogressivo, ha la facoltà di migliorare le sue propensio-

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ni, espia i trascorsi paterni che sono i suoi proprj[Pg 258]trascorsi, e impara a sue spese la pietà delle altrui sven-ture, meritando così di essere assunta in una condizionemigliore in un'altra fase della vita individua, legata allemisteriose evoluzioni della specie umana.

»In questa ipotesi, io non sarei dunque che un abboz-zo destinato a perire o a riprodursi con altri organi, econ un corpo migliore, quando lo avrò meritato collamia rassegnazione, colla mia pietà, colla mia carità ver-so gli altri.

»Non so se questa opinione sia ortodossa. Sottopone-tela al senno teologico di don Arnaldo, il quale troverànelle Scritture o nei Santi Padri, o almeno nei libri degliantichi filosofi qualche traccia di queste mie fantasie.Voi sapete ch'io sono docile a' suoi responsi, e mi sotto-metto volentieri a' suoi buoni consigli. Nel caso ch'eglitrovi che la mia opinione sia conciliabile colla dottrinacristiana, o almeno con quella di Pitagora e di Platone,vi prego a comunicarmelo per mio conforto. Questa miaipotesi mi sembra molto consolante per quegli infeliciche sono costretti a portar la pena di colpe che in appa-renza non hanno commesse.

»Tornando a me stesso, io mi considero dunque comeun abbozzo, come uno sgorbio del mio spirito che, pervirtù de' contrasti, e per propria dolorosa esperienza,s'addestra e si affatica a rendersi degno di scegliere e

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ni, espia i trascorsi paterni che sono i suoi proprj[Pg 258]trascorsi, e impara a sue spese la pietà delle altrui sven-ture, meritando così di essere assunta in una condizionemigliore in un'altra fase della vita individua, legata allemisteriose evoluzioni della specie umana.

»In questa ipotesi, io non sarei dunque che un abboz-zo destinato a perire o a riprodursi con altri organi, econ un corpo migliore, quando lo avrò meritato collamia rassegnazione, colla mia pietà, colla mia carità ver-so gli altri.

»Non so se questa opinione sia ortodossa. Sottopone-tela al senno teologico di don Arnaldo, il quale troverànelle Scritture o nei Santi Padri, o almeno nei libri degliantichi filosofi qualche traccia di queste mie fantasie.Voi sapete ch'io sono docile a' suoi responsi, e mi sotto-metto volentieri a' suoi buoni consigli. Nel caso ch'eglitrovi che la mia opinione sia conciliabile colla dottrinacristiana, o almeno con quella di Pitagora e di Platone,vi prego a comunicarmelo per mio conforto. Questa miaipotesi mi sembra molto consolante per quegli infeliciche sono costretti a portar la pena di colpe che in appa-renza non hanno commesse.

»Tornando a me stesso, io mi considero dunque comeun abbozzo, come uno sgorbio del mio spirito che, pervirtù de' contrasti, e per propria dolorosa esperienza,s'addestra e si affatica a rendersi degno di scegliere e

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scolpirsi in avvenire un corpo migliore. Lasciatemi dun-que subir la mia sorte. Questo periodo della mia esisten-za sarà forse destinato a compiersi in pochi anni, forsein pochi mesi, e si compierà forse tanto più presto,quanto più avrò perfezionato me stesso, e meritato di ri-nascere sotto forme migliori.

»Mi torna involontariamente al pensiero la poveragiovane inglese che ho veduto pochi dì sono. Vi scrissinell'altra mia ch'io non reputava la solitudine di un[Pg259] chiostro il miglior partito a cui potesse appigliarsi.Altre considerazioni più mature mi fanno mutar pensie-ro.

»Mi sono domandato: E s'ella, vivendo nel mondo etrovandosi a contatto colla società, s'innamorasse diqualche giovane, che non apprezzasse le sue qualità mo-rali, e rifuggisse dall'idea di corrispondere all'amor suo?Se avesse una rivale più avvenente di lei, o almeno noncondannata a portar sulla fronte quella specie di stigma,oggetto di compassione e di riso? Se, nel conflitto diquesti eventi ella venisse a disperare di se medesima ede' suoi fratelli, e l'anima sua, invece di prendere argo-mento dal suo difetto ad affrettarne il riscatto, si lascias-se trascinare a passioni irose, a colpevoli invidie, adamare e sterili recriminazioni? Forse quella buona missavrà misurato nel suo pensiero tutta la profondità diquesto abisso, e diffidando delle sue forze per lottare nelmondo contro questi pericoli, avrà preferito di passare

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scolpirsi in avvenire un corpo migliore. Lasciatemi dun-que subir la mia sorte. Questo periodo della mia esisten-za sarà forse destinato a compiersi in pochi anni, forsein pochi mesi, e si compierà forse tanto più presto,quanto più avrò perfezionato me stesso, e meritato di ri-nascere sotto forme migliori.

»Mi torna involontariamente al pensiero la poveragiovane inglese che ho veduto pochi dì sono. Vi scrissinell'altra mia ch'io non reputava la solitudine di un[Pg259] chiostro il miglior partito a cui potesse appigliarsi.Altre considerazioni più mature mi fanno mutar pensie-ro.

»Mi sono domandato: E s'ella, vivendo nel mondo etrovandosi a contatto colla società, s'innamorasse diqualche giovane, che non apprezzasse le sue qualità mo-rali, e rifuggisse dall'idea di corrispondere all'amor suo?Se avesse una rivale più avvenente di lei, o almeno noncondannata a portar sulla fronte quella specie di stigma,oggetto di compassione e di riso? Se, nel conflitto diquesti eventi ella venisse a disperare di se medesima ede' suoi fratelli, e l'anima sua, invece di prendere argo-mento dal suo difetto ad affrettarne il riscatto, si lascias-se trascinare a passioni irose, a colpevoli invidie, adamare e sterili recriminazioni? Forse quella buona missavrà misurato nel suo pensiero tutta la profondità diquesto abisso, e diffidando delle sue forze per lottare nelmondo contro questi pericoli, avrà preferito di passare

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Page 334: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

nella solitudine questa fase effimera di una esistenza im-mortale, che sa per istinto dover essere riservata ad as-sumere forme migliori.

»Mi astengo dunque dal condannare la sua risoluzio-ne, almeno finchè non ne conosca i motivi. Deh! perchènon potete voi conoscerla, parlarle, consolarla, consi-gliarla? Forse a voi confiderebbe il secreto dell'animasua, vi confiderebbe le sue illusioni, i suoi disinganni.Domanderò al direttore il suo nome e il suo domicilio.Chi sa? Il nostro incontro medesimo potrebbe non esserfortuito. Noi forse ci ritroveremo, e potremo consolarcie consigliarci a vicenda o in questa vita o nell'altra!

»Iddio le perdoni la terribile prova di amare senza es-sere amata! Meglio chiudere sterilmente questa esisten-za interinale, e liberarsi da un corpo che non serve ai bi-sogni e agli istinti dell'anima nostra, lasciarlo dissolvere,[Pg 260] e passare, nell'ora stabilita dalla provvidenza, adinformare un'argilla migliore.

»Non fate leggere, vi prego, questi miei sogni d'infer-mo al vostro circolo. Leggeteli solo al maestro, che nonriderà delle mie fantasie. E se credete ch'egli ne rida,non comunicatele nemmeno a lui. Leggetele da sola esul serio. Per ridicole che possano parere, vi assicuroche non le ho meditate ridendo. Non so perchè: ma dopola visita di quella inglese, i miei pensieri, che si svolge-vano senza pena nell'animo mio, e, non riferendosi che a

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nella solitudine questa fase effimera di una esistenza im-mortale, che sa per istinto dover essere riservata ad as-sumere forme migliori.

»Mi astengo dunque dal condannare la sua risoluzio-ne, almeno finchè non ne conosca i motivi. Deh! perchènon potete voi conoscerla, parlarle, consolarla, consi-gliarla? Forse a voi confiderebbe il secreto dell'animasua, vi confiderebbe le sue illusioni, i suoi disinganni.Domanderò al direttore il suo nome e il suo domicilio.Chi sa? Il nostro incontro medesimo potrebbe non esserfortuito. Noi forse ci ritroveremo, e potremo consolarcie consigliarci a vicenda o in questa vita o nell'altra!

»Iddio le perdoni la terribile prova di amare senza es-sere amata! Meglio chiudere sterilmente questa esisten-za interinale, e liberarsi da un corpo che non serve ai bi-sogni e agli istinti dell'anima nostra, lasciarlo dissolvere,[Pg 260] e passare, nell'ora stabilita dalla provvidenza, adinformare un'argilla migliore.

»Non fate leggere, vi prego, questi miei sogni d'infer-mo al vostro circolo. Leggeteli solo al maestro, che nonriderà delle mie fantasie. E se credete ch'egli ne rida,non comunicatele nemmeno a lui. Leggetele da sola esul serio. Per ridicole che possano parere, vi assicuroche non le ho meditate ridendo. Non so perchè: ma dopola visita di quella inglese, i miei pensieri, che si svolge-vano senza pena nell'animo mio, e, non riferendosi che a

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Page 335: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

voi, erano impressi di quella serenità che voi portate sul-la fronte e nel cuore, ora invece pigliano una tinta piùscura e più dolorosa.

»Non avevo mai pensato all'amore. Ora ci penso, aproposito di quella bella e sfortunata creatura, che forseè destinata a sentirlo senza poter ispirarlo. Che dura fa-talità! Ma non vo' rattristarvi di più con queste supposi-zioni, e fo punto per oggi.

»P.S. Il direttore ignora il nome e l'abitazione di quel-la giovane. Onde forse non ci vedremo più, nè voi potre-te conoscerla. Vivrà e morrà ignorata in qualche conven-to cattolico, aspettando la sua metamorfosi. Non ci pen-siamo più. La sua visita e il breve colloquio avuto conlei mi avrà almeno servito a considerare più a fondoquesta pagina della vita umana, e a mettermi forse sullavia di sciogliere un problema che resta ancora insoluto.Leggete, Angela, il libro che vi spedisco. Esso vi mo-strerà l'origine di queste mie fantasie, ed aprirà forse unnuovo orizzonte anche al vostro pensiero.»

[Pg 261]

XIV.

Angela a Cosimo.«Mio caro Cosimo,

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voi, erano impressi di quella serenità che voi portate sul-la fronte e nel cuore, ora invece pigliano una tinta piùscura e più dolorosa.

»Non avevo mai pensato all'amore. Ora ci penso, aproposito di quella bella e sfortunata creatura, che forseè destinata a sentirlo senza poter ispirarlo. Che dura fa-talità! Ma non vo' rattristarvi di più con queste supposi-zioni, e fo punto per oggi.

»P.S. Il direttore ignora il nome e l'abitazione di quel-la giovane. Onde forse non ci vedremo più, nè voi potre-te conoscerla. Vivrà e morrà ignorata in qualche conven-to cattolico, aspettando la sua metamorfosi. Non ci pen-siamo più. La sua visita e il breve colloquio avuto conlei mi avrà almeno servito a considerare più a fondoquesta pagina della vita umana, e a mettermi forse sullavia di sciogliere un problema che resta ancora insoluto.Leggete, Angela, il libro che vi spedisco. Esso vi mo-strerà l'origine di queste mie fantasie, ed aprirà forse unnuovo orizzonte anche al vostro pensiero.»

[Pg 261]

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Angela a Cosimo.«Mio caro Cosimo,

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»Entra, ti prego, nel mondo reale, nel mondo presenteper leggere questa lettera, e per darmi chiara e netta latua opinione intorno ai fatti e ai disegni che ti comunico.

»Non si tratta del mio giardino, nè delle mie piante,nè del piccolo mondo che nasce, cresce e si trasformacon esse. Si tratta di me stessa, si tratta di te e di un'altrapersona che fu finora quasi straniera a noi due, e chepuò divenire o un vincolo di unione più intima, o unacausa di guai per entrambi.

»Tu non t'imagini ch'io parli del conte Alberto. —Che ha egli di comune con noi? chiederai tu. Egli ebbequalche parte, e fu occasione della mia venuta a Parigi edella cura a cui mi son sottoposto; ma non veggo che al-tri vincoli mi leghino a lui! —

»Sì, mio caro Cosimo, tu hai con esso rapporti stret-tissimi: rapporti che ignori, che forse sarebbe meglio perte l'ignorare, ma che le circostanze mi fanno un doveredi rivelarti. Volevo aspettare a manifestarti a voce unmistero che deve avere una grande influenza sulla tuavita: ma il maestro che ho consultato mi consiglia a scri-vertene senza indugio, e, dopo matura riflessione, mi cisono risolta.

»Ricorderai di avermi consegnato da parte della tuapovera madre un cerchiellino d'oro che ho sempre porta-to in dito, ed un foglio piegato diligentemente nel mioborsellino che mi rendesti al cancello del parco.[Pg 262]

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»Entra, ti prego, nel mondo reale, nel mondo presenteper leggere questa lettera, e per darmi chiara e netta latua opinione intorno ai fatti e ai disegni che ti comunico.

»Non si tratta del mio giardino, nè delle mie piante,nè del piccolo mondo che nasce, cresce e si trasformacon esse. Si tratta di me stessa, si tratta di te e di un'altrapersona che fu finora quasi straniera a noi due, e chepuò divenire o un vincolo di unione più intima, o unacausa di guai per entrambi.

»Tu non t'imagini ch'io parli del conte Alberto. —Che ha egli di comune con noi? chiederai tu. Egli ebbequalche parte, e fu occasione della mia venuta a Parigi edella cura a cui mi son sottoposto; ma non veggo che al-tri vincoli mi leghino a lui! —

»Sì, mio caro Cosimo, tu hai con esso rapporti stret-tissimi: rapporti che ignori, che forse sarebbe meglio perte l'ignorare, ma che le circostanze mi fanno un doveredi rivelarti. Volevo aspettare a manifestarti a voce unmistero che deve avere una grande influenza sulla tuavita: ma il maestro che ho consultato mi consiglia a scri-vertene senza indugio, e, dopo matura riflessione, mi cisono risolta.

»Ricorderai di avermi consegnato da parte della tuapovera madre un cerchiellino d'oro che ho sempre porta-to in dito, ed un foglio piegato diligentemente nel mioborsellino che mi rendesti al cancello del parco.[Pg 262]

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Non so se tu sappia che foglio è codesto. Tu eri troppogiovane quando rimanesti orfano, e forse tua madre, latua prima madre, non ha creduto doverti palesare find'allora il secreto della tua origine. Ora sappi che quelfoglio contiene una promessa di matrimonio e il ricono-scimento anticipato di un figlio. Quel figlio probabil-mente sei tu: il nome segnato a tutte lettere appiè diquest'atto, è quello del conte Alberto d'Andria.

»Io non vi ho fatto attenzione al momento che gittaigli occhi la prima volta su quella carta, nè potevo imagi-nare con qual disegno la povera moribonda mi avesseconfidato quel documento. La contessa d'Andria venivaqualche rara volta a visitare mia zia, ma io sapevo appe-na ch'ella avesse un figlio che viaggiava da molti anni inlontani paesi. Più tardi, dopo la tua partenza, quel nomemi colpì, cercai nella mia mente dove l'avessi inteso oveduto, e mi risovvenne del foglio che mi avevi affidato.Compresi confusamente di che si trattasse, e ne feci pa-rola a don Arnaldo, che rischiarò i miei dubbj e mi per-suase allora a tacere, aspettando consiglio dal tempo edalle circostanze.

»Ora il tempo e le circostanze m'impongono di dirtiogni cosa. Il conte d'Andria mi ha domandata in isposa.Mio padre non ha ancora risposto affermativamente, di-cendo di volermi lasciar libera nella scelta: ma la ziatrova convenientissimo questo partito, e fra lei e la con-tessa mi circondano di un vero assedio perch'io mi deci-

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Non so se tu sappia che foglio è codesto. Tu eri troppogiovane quando rimanesti orfano, e forse tua madre, latua prima madre, non ha creduto doverti palesare find'allora il secreto della tua origine. Ora sappi che quelfoglio contiene una promessa di matrimonio e il ricono-scimento anticipato di un figlio. Quel figlio probabil-mente sei tu: il nome segnato a tutte lettere appiè diquest'atto, è quello del conte Alberto d'Andria.

»Io non vi ho fatto attenzione al momento che gittaigli occhi la prima volta su quella carta, nè potevo imagi-nare con qual disegno la povera moribonda mi avesseconfidato quel documento. La contessa d'Andria venivaqualche rara volta a visitare mia zia, ma io sapevo appe-na ch'ella avesse un figlio che viaggiava da molti anni inlontani paesi. Più tardi, dopo la tua partenza, quel nomemi colpì, cercai nella mia mente dove l'avessi inteso oveduto, e mi risovvenne del foglio che mi avevi affidato.Compresi confusamente di che si trattasse, e ne feci pa-rola a don Arnaldo, che rischiarò i miei dubbj e mi per-suase allora a tacere, aspettando consiglio dal tempo edalle circostanze.

»Ora il tempo e le circostanze m'impongono di dirtiogni cosa. Il conte d'Andria mi ha domandata in isposa.Mio padre non ha ancora risposto affermativamente, di-cendo di volermi lasciar libera nella scelta: ma la ziatrova convenientissimo questo partito, e fra lei e la con-tessa mi circondano di un vero assedio perch'io mi deci-

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da pel sì.

»Io non ho pensato mai fino ad ora al matrimonio. Lemie piante, i miei studj, le mie fantasie, l'amore che hoper mio padre e dirò ancora per te, riempirono finora ilmio cuore, e non mi lasciarono nè tempo nè spazio perpensare a scegliere, come dicono, uno stato. Sono statafino a quest'oggi felice: chi mi assicura se lo sarò in av-venire?

[Pg 263]

»Quanto al conte Alberto, pur convenendo de' suoipregi personali e della sua varia cultura, non ebbi da pri-ma alcuna propensione per lui. Esso è troppo facile aburlarsi di tutto e di tutti, troppo lontano dalle mie abitu-dini per andarmi a genio. Imaginandomi ch'egli avesseper me quella stessa indifferenza ch'io aveva per lui, erolontana le mille miglia dal credere che le frequenti suevisite in casa nostra, e l'interesse che mostrava per te,tendessero a preparare il mio cuore a questo disegno.Dal momento ch'io seppi ch'egli aveva conosciuto edamato la donna a cui tu devi la vita, la mia indifferenzafece luogo ad un altro sentimento ch'io non so ben defi-nire. Talora mi sembra odiarlo come quello che potè ab-bandonare nella miseria la povera donna che ti fu ma-dre: talora cerco nel mio cuore mille ragioni e mille scu-se per attenuare la responsabilità di un tal fatto: l'età ine-sperta, l'orgoglio materno, mille altre circostanze più omeno probabili, e mi sembra ch'io potrei perdonargli ed

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da pel sì.

»Io non ho pensato mai fino ad ora al matrimonio. Lemie piante, i miei studj, le mie fantasie, l'amore che hoper mio padre e dirò ancora per te, riempirono finora ilmio cuore, e non mi lasciarono nè tempo nè spazio perpensare a scegliere, come dicono, uno stato. Sono statafino a quest'oggi felice: chi mi assicura se lo sarò in av-venire?

[Pg 263]

»Quanto al conte Alberto, pur convenendo de' suoipregi personali e della sua varia cultura, non ebbi da pri-ma alcuna propensione per lui. Esso è troppo facile aburlarsi di tutto e di tutti, troppo lontano dalle mie abitu-dini per andarmi a genio. Imaginandomi ch'egli avesseper me quella stessa indifferenza ch'io aveva per lui, erolontana le mille miglia dal credere che le frequenti suevisite in casa nostra, e l'interesse che mostrava per te,tendessero a preparare il mio cuore a questo disegno.Dal momento ch'io seppi ch'egli aveva conosciuto edamato la donna a cui tu devi la vita, la mia indifferenzafece luogo ad un altro sentimento ch'io non so ben defi-nire. Talora mi sembra odiarlo come quello che potè ab-bandonare nella miseria la povera donna che ti fu ma-dre: talora cerco nel mio cuore mille ragioni e mille scu-se per attenuare la responsabilità di un tal fatto: l'età ine-sperta, l'orgoglio materno, mille altre circostanze più omeno probabili, e mi sembra ch'io potrei perdonargli ed

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amarlo ad una condizione che tu facilmente comprende-rai.

»Sa egli che tu sei figlio della donna che amò, sa eglid'essere autore de' giorni tuoi? E in questo caso, è eglidisposto a mantenere la sua parola e a riconoscerti perfigliuolo? Il documento ch'io tengo in deposito nonavrebbe gran forza, giacchè essendo fatto in età minore,il maestro sostiene che non sarebbe considerato comevalido innanzi alla legge. Ma innanzi all'onore, innanzialla coscienza, innanzi alla croce che cuopre il sepolcrodella povera derelitta? Dinanzi a te finalmente, che conquel foglio in mano potresti chiedergli un nome, unostato, una posizione nel mondo?

»Mio caro Cosimo, eccoti informato di tutto. Tu seiora in grado di riflettere su questo fatto, ed è perciò chemi sono determinata a mandarti il documento che[Pg 264]è divenuto un prezioso retaggio per te. Pensaci seria-mente, e fammi sapere il partito che pensi di prendere.

»Io avrò la forza di resistere al doppio assedio che mihanno posto d'attorno e domanderò tempo a risolvere.Terrò in guardia il mio cuore contro ogni avversione edogni affetto, finchè non sappia che cosa tu abbia risoltodi fare. Senza il consiglio del maestro, alla cui prudenzaho creduto dover conformarmi, saprei a quest'ora checosa pensare del conte Alberto. Gli avrei mostrato quelfoglio, e gli avrei letto in volto, se il suo cuore è onesto

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amarlo ad una condizione che tu facilmente comprende-rai.

»Sa egli che tu sei figlio della donna che amò, sa eglid'essere autore de' giorni tuoi? E in questo caso, è eglidisposto a mantenere la sua parola e a riconoscerti perfigliuolo? Il documento ch'io tengo in deposito nonavrebbe gran forza, giacchè essendo fatto in età minore,il maestro sostiene che non sarebbe considerato comevalido innanzi alla legge. Ma innanzi all'onore, innanzialla coscienza, innanzi alla croce che cuopre il sepolcrodella povera derelitta? Dinanzi a te finalmente, che conquel foglio in mano potresti chiedergli un nome, unostato, una posizione nel mondo?

»Mio caro Cosimo, eccoti informato di tutto. Tu seiora in grado di riflettere su questo fatto, ed è perciò chemi sono determinata a mandarti il documento che[Pg 264]è divenuto un prezioso retaggio per te. Pensaci seria-mente, e fammi sapere il partito che pensi di prendere.

»Io avrò la forza di resistere al doppio assedio che mihanno posto d'attorno e domanderò tempo a risolvere.Terrò in guardia il mio cuore contro ogni avversione edogni affetto, finchè non sappia che cosa tu abbia risoltodi fare. Senza il consiglio del maestro, alla cui prudenzaho creduto dover conformarmi, saprei a quest'ora checosa pensare del conte Alberto. Gli avrei mostrato quelfoglio, e gli avrei letto in volto, se il suo cuore è onesto

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e degno d'amarmi. Una sera che la conversazione era ca-duta sulla misera sorte di certe persone, egli si lasciò an-dare ad un giudizio, che mi parve troppo duro e crudeleverso le donne. Presa da un sentimento d'indignazione,io pronunciai il nome di tua madre, e gli chiesi che opi-nione avesse di lei. Egli impallidì e rimase un poco per-plesso. Ma si rimise ben tosto e mutò discorso. Sua ma-dre, che se n'era avveduta, colse il momento opportunoe si alzò per andarsene. Le cose restarono lì. Ma non ri-marrò certo a lungo con questo dubbio sul cuore. Nonaspetto che la tua risposta per domandargli una spiega-zione sul tuo conto, e saprò allora qual giudizio potròformare di quei sentimenti di probità che ha sempre sullabbro.

»Quante novità, caro Cosimo! Tu puoi diventare frapochi giorni il figlio, ed io la moglie del conte d'Andria.Quel dolce nome di madre che tu sei solito a darmi, tisarebbe egli stato ispirato da un sentimento profeticodell'avvenire? Non ti pare che in tutto questo risplendala mano della provvidenza? Non basterebbero questi fat-ti per convincer d'errore il nostro medico che attribuiscequasi tutti gli avvenimenti al caso e ad una cieca fatali-tà? — M'incontro fortuitamente in un povero bimbomaltrattato da' suoi compagni: mi pongo in sua[Pg 265] di-fesa, gli do i mezzi per soccorrere la sua povera madreammalata. Questa muore, e mi fa depositaria del poveroorfano e del documento che ne attesta l'origine. Il babboti riceve in casa, tu cresci con me, ed una singolar sim-

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e degno d'amarmi. Una sera che la conversazione era ca-duta sulla misera sorte di certe persone, egli si lasciò an-dare ad un giudizio, che mi parve troppo duro e crudeleverso le donne. Presa da un sentimento d'indignazione,io pronunciai il nome di tua madre, e gli chiesi che opi-nione avesse di lei. Egli impallidì e rimase un poco per-plesso. Ma si rimise ben tosto e mutò discorso. Sua ma-dre, che se n'era avveduta, colse il momento opportunoe si alzò per andarsene. Le cose restarono lì. Ma non ri-marrò certo a lungo con questo dubbio sul cuore. Nonaspetto che la tua risposta per domandargli una spiega-zione sul tuo conto, e saprò allora qual giudizio potròformare di quei sentimenti di probità che ha sempre sullabbro.

»Quante novità, caro Cosimo! Tu puoi diventare frapochi giorni il figlio, ed io la moglie del conte d'Andria.Quel dolce nome di madre che tu sei solito a darmi, tisarebbe egli stato ispirato da un sentimento profeticodell'avvenire? Non ti pare che in tutto questo risplendala mano della provvidenza? Non basterebbero questi fat-ti per convincer d'errore il nostro medico che attribuiscequasi tutti gli avvenimenti al caso e ad una cieca fatali-tà? — M'incontro fortuitamente in un povero bimbomaltrattato da' suoi compagni: mi pongo in sua[Pg 265] di-fesa, gli do i mezzi per soccorrere la sua povera madreammalata. Questa muore, e mi fa depositaria del poveroorfano e del documento che ne attesta l'origine. Il babboti riceve in casa, tu cresci con me, ed una singolar sim-

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patia ci rende l'uno all'altro sì cari. Più tardi tuo padre,guidato da un intento che lascio ad altri l'incarico diqualificare, ci capita in casa, ti vede, e senza chiederconto di te, senza saper chi tu sia, contribuisce forse arenderti la salute, e certo a svolgere la tua intelligenza incodesto istituto. Un progetto di matrimonio sta per lega-re per sempre i nostri destini: e tutto ciò dipende da te,da una tua parola, dal modo onde sarà ricevuta! Ci sa-rebbe da perdere la ragione, se non vedessimo in questoconcorso di circostanze una mano invisibile che condu-ce gli umani destini, e li subordina ad un fine benefico.

»Ad ogni modo, qualunque sia per essere la soluzionedi questo nodo, vi è una cosa che resterà: l'affetto ch'ioho per te, e il conforto di aver obbedito all'istinto che miparlò in tuo favore.

»Tu mi hai dato il nome di madre, e tua madre iosarò, quand'anche il sentimento di padre mancasse incolui che te lo deve per obbligo di natura. Sì, Cosimomio, tu mi sarai fratello, amico e figliuolo, come vorrai,sotto qualunque nome ti piacerà di chiamarmi.

»Prendi dunque la tua risoluzione senza preoccupartidel tuo avvenire. Sia che tu risani, sia che resti nella si-tuazione di prima, io ti ho posto nel numero degli esserisfortunati ai quali ho consacrato le mie più tenere cure;e questo solo titolo, ancorchè altri tu non ne avessi, mi tifarà sempre caro sopra gli uomini più ricchi e più acca-

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patia ci rende l'uno all'altro sì cari. Più tardi tuo padre,guidato da un intento che lascio ad altri l'incarico diqualificare, ci capita in casa, ti vede, e senza chiederconto di te, senza saper chi tu sia, contribuisce forse arenderti la salute, e certo a svolgere la tua intelligenza incodesto istituto. Un progetto di matrimonio sta per lega-re per sempre i nostri destini: e tutto ciò dipende da te,da una tua parola, dal modo onde sarà ricevuta! Ci sa-rebbe da perdere la ragione, se non vedessimo in questoconcorso di circostanze una mano invisibile che condu-ce gli umani destini, e li subordina ad un fine benefico.

»Ad ogni modo, qualunque sia per essere la soluzionedi questo nodo, vi è una cosa che resterà: l'affetto ch'ioho per te, e il conforto di aver obbedito all'istinto che miparlò in tuo favore.

»Tu mi hai dato il nome di madre, e tua madre iosarò, quand'anche il sentimento di padre mancasse incolui che te lo deve per obbligo di natura. Sì, Cosimomio, tu mi sarai fratello, amico e figliuolo, come vorrai,sotto qualunque nome ti piacerà di chiamarmi.

»Prendi dunque la tua risoluzione senza preoccupartidel tuo avvenire. Sia che tu risani, sia che resti nella si-tuazione di prima, io ti ho posto nel numero degli esserisfortunati ai quali ho consacrato le mie più tenere cure;e questo solo titolo, ancorchè altri tu non ne avessi, mi tifarà sempre caro sopra gli uomini più ricchi e più acca-

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rezzati dal mondo.»

[Pg 266]

XV.

Non è difficile imaginare l'impressione che questa let-tera ebbe a fare sull'animo mobile e sui nervi delicati diCosimo. Le rivelazioni ch'essa conteneva erano tali dascuotere fortemente anche il carattere più tetragono.L'orfano, il trovatello ritrovava impensatamente l'autorde' suoi giorni: il povero paria si risvegliava figlio di unuomo ricco, nobile, ragguardevole. Dinanzi alla natura,se non dinanzi alla legge, egli era Cosimo d'Andria!

Una fiamma d'orgoglio e di gioia balenò ne' suoi oc-chi, e suffuse d'improvviso rossore le sue guance e lafronte. Steso sul suo letto di clinica, si trovò tutto bagna-to di sudore, e così fuor di sè che non sentiva e non ri-cordava nè manco la steccatura e la posizione forzata eviolenta in cui era.

Rilesse più volte la lettera del suo angelo tutelare, e ildocumento importante che vi era unito. Ad ogni letturanuovi lumi sprizzavano e nuove idee germogliavano nelsuo cervello. Tutto ad un tratto, chi fosse stato presente,avrebbe veduto quel vivo colore far luogo ad una subitae mortal pallidezza. Alla gioia di aver trovato un padre,succedeva il timore che quest'uomo potesse ricusare diriconoscerlo. Non aveva egli abbandonata la madre, non

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rezzati dal mondo.»

[Pg 266]

XV.

Non è difficile imaginare l'impressione che questa let-tera ebbe a fare sull'animo mobile e sui nervi delicati diCosimo. Le rivelazioni ch'essa conteneva erano tali dascuotere fortemente anche il carattere più tetragono.L'orfano, il trovatello ritrovava impensatamente l'autorde' suoi giorni: il povero paria si risvegliava figlio di unuomo ricco, nobile, ragguardevole. Dinanzi alla natura,se non dinanzi alla legge, egli era Cosimo d'Andria!

Una fiamma d'orgoglio e di gioia balenò ne' suoi oc-chi, e suffuse d'improvviso rossore le sue guance e lafronte. Steso sul suo letto di clinica, si trovò tutto bagna-to di sudore, e così fuor di sè che non sentiva e non ri-cordava nè manco la steccatura e la posizione forzata eviolenta in cui era.

Rilesse più volte la lettera del suo angelo tutelare, e ildocumento importante che vi era unito. Ad ogni letturanuovi lumi sprizzavano e nuove idee germogliavano nelsuo cervello. Tutto ad un tratto, chi fosse stato presente,avrebbe veduto quel vivo colore far luogo ad una subitae mortal pallidezza. Alla gioia di aver trovato un padre,succedeva il timore che quest'uomo potesse ricusare diriconoscerlo. Non aveva egli abbandonata la madre, non

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l'aveva lasciata morire d'inedia e di vergogna sul suo let-to di dolore? Non s'era egli forse allontanato dal paeseper isfuggire alle conseguenze di questo legame? Oraqual probabilità che, reduce da sì lunghi viaggi, e secca-toglisi il cuore fra tante avventure e fra lo spettacolo de'vizj umani, fosse per venire a migliori sentimenti, e vo-lesse abbracciar come figlio in faccia[Pg 267] alla societàun povero gobbo, ludibrio della natura e della fortuna?

E tuttavia ei non poteva metter in dubbio nè pur unistante d'essergli figlio. Tutto ad un tratto gli tornavanoin mente certe tronche parole udite di tempo in tempodalla sua povera madre. Quando l'aveva mandato all'asi-lo perchè imparasse a leggere, gli aveva detto che a suotempo gli avrebbe fatto conoscere una scritta da cui po-teva dipendere il suo destino. Evidentemente la carta dicui la povera donna intendeva parlare era quella che glistava allora dinanzi agli occhi. E non gliel'aveva mostra-ta prima, poichè all'età in cui trovavasi quando morì,non aveva notizia alcuna del conte, e non lo credeva an-cora maturo per comprenderne l'importanza. La buonadonna, consegnandola ad Angela, era stata ispirata da unistinto quasi divino.

Un animo portato a risalire sempre alle cause miste-riose dei più piccoli fatti, non poteva non ravvisare inquesta catena di eventi l'azione d'una provvidenza su-prema. — Mi farò ben riconoscere, — gridò egli — mifarò ben riconoscere! Egli troverà, se non nelle mie fat-

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l'aveva lasciata morire d'inedia e di vergogna sul suo let-to di dolore? Non s'era egli forse allontanato dal paeseper isfuggire alle conseguenze di questo legame? Oraqual probabilità che, reduce da sì lunghi viaggi, e secca-toglisi il cuore fra tante avventure e fra lo spettacolo de'vizj umani, fosse per venire a migliori sentimenti, e vo-lesse abbracciar come figlio in faccia[Pg 267] alla societàun povero gobbo, ludibrio della natura e della fortuna?

E tuttavia ei non poteva metter in dubbio nè pur unistante d'essergli figlio. Tutto ad un tratto gli tornavanoin mente certe tronche parole udite di tempo in tempodalla sua povera madre. Quando l'aveva mandato all'asi-lo perchè imparasse a leggere, gli aveva detto che a suotempo gli avrebbe fatto conoscere una scritta da cui po-teva dipendere il suo destino. Evidentemente la carta dicui la povera donna intendeva parlare era quella che glistava allora dinanzi agli occhi. E non gliel'aveva mostra-ta prima, poichè all'età in cui trovavasi quando morì,non aveva notizia alcuna del conte, e non lo credeva an-cora maturo per comprenderne l'importanza. La buonadonna, consegnandola ad Angela, era stata ispirata da unistinto quasi divino.

Un animo portato a risalire sempre alle cause miste-riose dei più piccoli fatti, non poteva non ravvisare inquesta catena di eventi l'azione d'una provvidenza su-prema. — Mi farò ben riconoscere, — gridò egli — mifarò ben riconoscere! Egli troverà, se non nelle mie fat-

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Page 344: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

tezze, certo nell'anima mia la traccia di un'origine nonvolgare. —

Ma qui un'altra serie di pensieri si avvicendava nellasua mente. Ricordava sua madre ridotta alla miseria, allasolitudine, obbligata a sopportare l'insulto della genteonesta per aver creduto alla lealtà di un alto personag-gio, per averlo amato, per essere divenuta la madre delfiglio di lui! E il suo viso cominciò a rinfiammarsi, maquesta volta di collera e d'indignazione. — Io lo condur-rò — diss'egli — sulla fossa dove riposa la benedettaspoglia della madre mia, ve lo farò inginocchiare,l'obbligherò a domandarle perdono e a dichiarare suquella croce d'averla sposata dinanzi a Dio. E[Pg 268] viscriverò sopra una pietra: «Qui giace la contessa Teresad'Andria, morta di dolore sul fior dell'età!» —

Poi tornava alla lettera d'Angela, la rileggeva e cerca-va d'indovinare quello che non v'era espresso abbastan-za chiaro: cioè la maniera con cui consideravaquest'uomo. — L'amava ella? Poteva ella amarlo e dar-gli amnistia del passato, quand'anche egli avesse volutoe potuto mitigarne le conseguenze? Ma egli era sì gran-de e sì bello! Aveva un'aria di dignità e di bontà che co-mandava il rispetto e l'amore. Egli è fatto, pensava Cosi-mo, per non temere, per non trovare rivali nel mondo.—

Ma qui un sentimento ancora più amaro, un sentimen-

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tezze, certo nell'anima mia la traccia di un'origine nonvolgare. —

Ma qui un'altra serie di pensieri si avvicendava nellasua mente. Ricordava sua madre ridotta alla miseria, allasolitudine, obbligata a sopportare l'insulto della genteonesta per aver creduto alla lealtà di un alto personag-gio, per averlo amato, per essere divenuta la madre delfiglio di lui! E il suo viso cominciò a rinfiammarsi, maquesta volta di collera e d'indignazione. — Io lo condur-rò — diss'egli — sulla fossa dove riposa la benedettaspoglia della madre mia, ve lo farò inginocchiare,l'obbligherò a domandarle perdono e a dichiarare suquella croce d'averla sposata dinanzi a Dio. E[Pg 268] viscriverò sopra una pietra: «Qui giace la contessa Teresad'Andria, morta di dolore sul fior dell'età!» —

Poi tornava alla lettera d'Angela, la rileggeva e cerca-va d'indovinare quello che non v'era espresso abbastan-za chiaro: cioè la maniera con cui consideravaquest'uomo. — L'amava ella? Poteva ella amarlo e dar-gli amnistia del passato, quand'anche egli avesse volutoe potuto mitigarne le conseguenze? Ma egli era sì gran-de e sì bello! Aveva un'aria di dignità e di bontà che co-mandava il rispetto e l'amore. Egli è fatto, pensava Cosi-mo, per non temere, per non trovare rivali nel mondo.—

Ma qui un sentimento ancora più amaro, un sentimen-

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Page 345: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

to ch'egli provava per la prima volta, s'impadroniva ditutto lui. Era un sentimento che teneva dell'avversione,dell'odio, un sentimento d'invidia e di gelosia. Nonch'egli potesse qualificarlo per tale, non che fosse ingrado di confessarlo nè pure a se stesso. No. Il poveroCosimo non aveva ancora coscienza di aver per Angelaaltro affetto che quello di fratello e di figlio. Or comeavrebbe potuto riconoscere e odiare un rivale nell'uomoche tutto ad un tratto gli si presentava qual padre? Tutta-via, chi volesse dare un nome a quel misto di sospetto edi ripulsione che sentiva nell'animo e turbava la suaimaginazione, non potrebbe chiamarlo altrimenti chegelosia. L'unione possibile di suo padre con quella chenominava con sì soave espressione d'affetto la madredell'anima sua, doveva parergli il sommo della sua feli-cità, la suprema delle sue speranze: eppure questa com-binazione non gli era mai venuta alla mente. Egli odiaval'uomo che stava per usurpare nell'animo di Angela unaffetto al quale s'era abituato per modo da considerarlocome un suo dritto. Quel vago sentimento di simpatiache aveva risentito per quella bella straniera[Pg 269] chegli era apparsa, trovava ora il suo compimento. L'imagi-ne di quella giovanetta e quella di Angela si confonde-vano in uno come il profumo di due fiori diversi in unasola fragranza. Gli è che tutta la sua natura si era risenti-ta a questa subita rivelazione, e tutti gli affetti, fino allo-ra confusi e come nuotanti in un'atmosfera ideale, avea-no acquistato nome e realtà. Egli usciva dal mondo deisogni per urtarsi contro le scabrosità della vita effettiva:

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to ch'egli provava per la prima volta, s'impadroniva ditutto lui. Era un sentimento che teneva dell'avversione,dell'odio, un sentimento d'invidia e di gelosia. Nonch'egli potesse qualificarlo per tale, non che fosse ingrado di confessarlo nè pure a se stesso. No. Il poveroCosimo non aveva ancora coscienza di aver per Angelaaltro affetto che quello di fratello e di figlio. Or comeavrebbe potuto riconoscere e odiare un rivale nell'uomoche tutto ad un tratto gli si presentava qual padre? Tutta-via, chi volesse dare un nome a quel misto di sospetto edi ripulsione che sentiva nell'animo e turbava la suaimaginazione, non potrebbe chiamarlo altrimenti chegelosia. L'unione possibile di suo padre con quella chenominava con sì soave espressione d'affetto la madredell'anima sua, doveva parergli il sommo della sua feli-cità, la suprema delle sue speranze: eppure questa com-binazione non gli era mai venuta alla mente. Egli odiaval'uomo che stava per usurpare nell'animo di Angela unaffetto al quale s'era abituato per modo da considerarlocome un suo dritto. Quel vago sentimento di simpatiache aveva risentito per quella bella straniera[Pg 269] chegli era apparsa, trovava ora il suo compimento. L'imagi-ne di quella giovanetta e quella di Angela si confonde-vano in uno come il profumo di due fiori diversi in unasola fragranza. Gli è che tutta la sua natura si era risenti-ta a questa subita rivelazione, e tutti gli affetti, fino allo-ra confusi e come nuotanti in un'atmosfera ideale, avea-no acquistato nome e realtà. Egli usciva dal mondo deisogni per urtarsi contro le scabrosità della vita effettiva:

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Page 346: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

era come un ente fantastico che prendesse ad un trattoconsistenza e figura, moto e passione.

Questa trasformazione di Cosimo, preparata lenta-mente dalle sue letture, dalle sue riflessioni, dal progres-so medesimo dell'età, doveva compiersi e manifestarsialla lettura di quei fogli, come al tocco d'un magico tali-smano. Egli era, un'ora prima, fanciullo: ora si sentivagià uomo. Domandò che gli fossero tolte le fasciature:balzò dal letto, gli parve d'essere cresciuto d'un palmo,d'esser forte e robusto, e capace di difendere i suoi dirittie le sue ragioni. I suoi compagni di clinica furono tuttimaravigliati di codesta insolita vivacità che mostrava.Lo credettero sulle prime in preda al delirio, perchè par-lava ad alta voce, in italiano, come avesse presente qual-che persona. Il sorvegliante della sala ne avvisò il diret-tore che accorse e gli chiese perchè avesse abbandonatoil letto più presto del solito. Cosimo rientrò allora in sestesso e rispose con calma che certe notizie che avevaricevute d'Italia l'avevano commosso e turbato, sì cheavea sentito il bisogno di levarsi e di muoversi.

Si pose allora alla sua scrivania per rispondere allalettera d'Angela. Ma credendo di ravviare il filo de' suoipensieri, la febbre sopita si ravvivò. Non fu possibileche trovasse parola da mettere in carta. Si levò da sede-re, si pose a misurare a gran passi la camera, e tutto[Pg270] ad un tratto, come avesse preso una risoluzione,esclamò: — Bisogna andare! Che scrivere? che scrive-

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era come un ente fantastico che prendesse ad un trattoconsistenza e figura, moto e passione.

Questa trasformazione di Cosimo, preparata lenta-mente dalle sue letture, dalle sue riflessioni, dal progres-so medesimo dell'età, doveva compiersi e manifestarsialla lettura di quei fogli, come al tocco d'un magico tali-smano. Egli era, un'ora prima, fanciullo: ora si sentivagià uomo. Domandò che gli fossero tolte le fasciature:balzò dal letto, gli parve d'essere cresciuto d'un palmo,d'esser forte e robusto, e capace di difendere i suoi dirittie le sue ragioni. I suoi compagni di clinica furono tuttimaravigliati di codesta insolita vivacità che mostrava.Lo credettero sulle prime in preda al delirio, perchè par-lava ad alta voce, in italiano, come avesse presente qual-che persona. Il sorvegliante della sala ne avvisò il diret-tore che accorse e gli chiese perchè avesse abbandonatoil letto più presto del solito. Cosimo rientrò allora in sestesso e rispose con calma che certe notizie che avevaricevute d'Italia l'avevano commosso e turbato, sì cheavea sentito il bisogno di levarsi e di muoversi.

Si pose allora alla sua scrivania per rispondere allalettera d'Angela. Ma credendo di ravviare il filo de' suoipensieri, la febbre sopita si ravvivò. Non fu possibileche trovasse parola da mettere in carta. Si levò da sede-re, si pose a misurare a gran passi la camera, e tutto[Pg270] ad un tratto, come avesse preso una risoluzione,esclamò: — Bisogna andare! Che scrivere? che scrive-

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re? Bisogna andare. —

XVI.

Questa irruzione di pensieri, di affetti, di sentimentidiversi ed insoliti, non venne meno un istante nell'animodi Cosimo, finchè non fu giunto a Milano.

Nel primo viaggio che fece, due anni innanzi, fanciul-lo ancora, inconscio, per dir così, di se stesso, passavadolcemente dalle realtà della veglia alle tranquille allu-cinazioni de' sogni: ora ei tentò inutilmente di prendersonno. Allora egli era come sospeso nel vago, come lan-ciato nell'azzurra libertà de' cieli senza alcun legame disangue che lo tenesse avvinto alla terra: ora egli sapevadi avervi radice, ora conosceva suo padre, l'autore de'giorni suoi, dal quale però non potea prevedere come sa-rebbe accolto fra poco.

Come gli parvero lunghi quei due giorni e quelle duenotti che spese in viaggio! Quanto maledì la catena delleAlpi e le altre circostanze che aveano ritardato all'Italiail vantaggio delle strade di ferro! L'anima sua avrebbevoluto isolarsi dagli organi materiali e volare, comel'elettrico in un istante lungo le fila metalliche, alla suamèta! Passate le Alpi, passate le pianure subalpine, eivide il Po, rivide il Ticino! Attraversò sull'imperiale del-la tardigrada diligenza i verdi ed irrigui prati lombardi.Ma invano cercava cogli occhi Milano, invano sperava

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re? Bisogna andare. —

XVI.

Questa irruzione di pensieri, di affetti, di sentimentidiversi ed insoliti, non venne meno un istante nell'animodi Cosimo, finchè non fu giunto a Milano.

Nel primo viaggio che fece, due anni innanzi, fanciul-lo ancora, inconscio, per dir così, di se stesso, passavadolcemente dalle realtà della veglia alle tranquille allu-cinazioni de' sogni: ora ei tentò inutilmente di prendersonno. Allora egli era come sospeso nel vago, come lan-ciato nell'azzurra libertà de' cieli senza alcun legame disangue che lo tenesse avvinto alla terra: ora egli sapevadi avervi radice, ora conosceva suo padre, l'autore de'giorni suoi, dal quale però non potea prevedere come sa-rebbe accolto fra poco.

Come gli parvero lunghi quei due giorni e quelle duenotti che spese in viaggio! Quanto maledì la catena delleAlpi e le altre circostanze che aveano ritardato all'Italiail vantaggio delle strade di ferro! L'anima sua avrebbevoluto isolarsi dagli organi materiali e volare, comel'elettrico in un istante lungo le fila metalliche, alla suamèta! Passate le Alpi, passate le pianure subalpine, eivide il Po, rivide il Ticino! Attraversò sull'imperiale del-la tardigrada diligenza i verdi ed irrigui prati lombardi.Ma invano cercava cogli occhi Milano, invano sperava

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discernere fra la densa atmosfera gli aerei pinnacoli delpoetico Duomo!

Alla fine, dopo averlo cercato da lungi, se lo trovòdappresso. Milano non è, come alcune città d'Italia, fab-bricato sopra un piano eminente. Ti sorge improvviso[Pg271] dinanzi agli occhi, come un'oasi dell'arte e della ci-viltà. Ecco Milano! Ecco Milano! fu il grido unanime ditutti i Lombardi che si trovavano nei varj scompartimen-ti della vettura. Chi si soffregò gli occhi, chi rassettò isuoi vestiti, chi cercò il suo cappello, chi raccolse il ba-gaglio per non perdere un minuto all'arrivo: tutti ravvi-varono, rasserenarono il viso, come segue dopo un lun-go e nojoso viaggio, quando ci avviciniamo al luogo de-siderato.

Cosimo divise cogli altri per un momento l'ansietàdella gioja. Ma tutto ad un tratto si rabbrunì. Dove an-drebbe egli? Dove dirigerebbe i suoi passi? A qual portapicchierebbe a quell'ora così d'improvviso? Egli nonaveva annunziato il suo ritorno ad alcuno, nè pure adAngela. Non era probabile che il direttore dell'istitutoortopedico si fosse affrettato a darne conto alla famigliaLanzoni: nè, se pure l'avesse fatto, la lettera sarebbe po-tuta giungere prima di lui. L'idea fissa che l'avea domi-nato era quella di andar difilato a suo padre, di farglisiconoscere, di abbracciarlo con infinito amore, o giudi-carlo con tutta la severità di un orfano a cui si ricusa ildiritto più sacro. Ora, al momento di presentarsi al conte

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discernere fra la densa atmosfera gli aerei pinnacoli delpoetico Duomo!

Alla fine, dopo averlo cercato da lungi, se lo trovòdappresso. Milano non è, come alcune città d'Italia, fab-bricato sopra un piano eminente. Ti sorge improvviso[Pg271] dinanzi agli occhi, come un'oasi dell'arte e della ci-viltà. Ecco Milano! Ecco Milano! fu il grido unanime ditutti i Lombardi che si trovavano nei varj scompartimen-ti della vettura. Chi si soffregò gli occhi, chi rassettò isuoi vestiti, chi cercò il suo cappello, chi raccolse il ba-gaglio per non perdere un minuto all'arrivo: tutti ravvi-varono, rasserenarono il viso, come segue dopo un lun-go e nojoso viaggio, quando ci avviciniamo al luogo de-siderato.

Cosimo divise cogli altri per un momento l'ansietàdella gioja. Ma tutto ad un tratto si rabbrunì. Dove an-drebbe egli? Dove dirigerebbe i suoi passi? A qual portapicchierebbe a quell'ora così d'improvviso? Egli nonaveva annunziato il suo ritorno ad alcuno, nè pure adAngela. Non era probabile che il direttore dell'istitutoortopedico si fosse affrettato a darne conto alla famigliaLanzoni: nè, se pure l'avesse fatto, la lettera sarebbe po-tuta giungere prima di lui. L'idea fissa che l'avea domi-nato era quella di andar difilato a suo padre, di farglisiconoscere, di abbracciarlo con infinito amore, o giudi-carlo con tutta la severità di un orfano a cui si ricusa ildiritto più sacro. Ora, al momento di presentarsi al conte

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d'Andria, al momento di squadernargli dinanzi agli oc-chi quel documento che stringeva nelle mani convulse,l'animo, prima così risoluto, esitò. La diligenza si arre-stò nel vasto cortile della stazione: tutti erano discesi, es'avviavano in direzioni diverse: egli restava ancora in-certo e come trasecolato al suo posto. Riscosso alla vocedel conduttore, discese, e domandò se la famiglia Lan-zoni dimorasse molto lontano. Nessuno gliene seppedare contezza. Lasciò il suo fardello nell'officio del cor-riere, ed uscì alla ventura. Raccapezzando le vecchie re-miniscenze, riuscì ad orientarsi: dico vecchie remini-scenze, poichè nei due anni che[Pg 272] stette assente, eglierasi fatto più adulto di sei: tanto i sentimenti e le idees'erano svolte e mutate in quella sua rapida pubescenza.Alla risoluzione che avea presa d'indirizzarsi alla casadel conte, era succeduta, immediatamente la volontàistintiva di bussare a quella casa, dov'era già stato accol-to qual figlio. Quasi senza saperlo, seguendo una guidainteriore, si trovò dinanzi al cancello delle male erbe.Sperava vedervi il suo angelo, ma trovò il loco deserto.Stette alcun tempo come smemorato guardando, senzavedere alcuno, senza udire alcuna voce, nè alcun rumo-re. Era infatti troppo tardi, perchè alcuno si ritrovasse ingiardino senza un motivo. Girò allora a sinistra, e riuscìalla porta anteriore della casa. La portinaja durò fatica aravvisarlo, ma com'egli l'ebbe chiamata per nome, co-nobbe la voce, e gittò un grido di meraviglia. Salite pre-cipitosamente le scale, la porta dell'appartamento si spa-lancò, e il povero orfano si trovò quasi svenuto nelle

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d'Andria, al momento di squadernargli dinanzi agli oc-chi quel documento che stringeva nelle mani convulse,l'animo, prima così risoluto, esitò. La diligenza si arre-stò nel vasto cortile della stazione: tutti erano discesi, es'avviavano in direzioni diverse: egli restava ancora in-certo e come trasecolato al suo posto. Riscosso alla vocedel conduttore, discese, e domandò se la famiglia Lan-zoni dimorasse molto lontano. Nessuno gliene seppedare contezza. Lasciò il suo fardello nell'officio del cor-riere, ed uscì alla ventura. Raccapezzando le vecchie re-miniscenze, riuscì ad orientarsi: dico vecchie remini-scenze, poichè nei due anni che[Pg 272] stette assente, eglierasi fatto più adulto di sei: tanto i sentimenti e le idees'erano svolte e mutate in quella sua rapida pubescenza.Alla risoluzione che avea presa d'indirizzarsi alla casadel conte, era succeduta, immediatamente la volontàistintiva di bussare a quella casa, dov'era già stato accol-to qual figlio. Quasi senza saperlo, seguendo una guidainteriore, si trovò dinanzi al cancello delle male erbe.Sperava vedervi il suo angelo, ma trovò il loco deserto.Stette alcun tempo come smemorato guardando, senzavedere alcuno, senza udire alcuna voce, nè alcun rumo-re. Era infatti troppo tardi, perchè alcuno si ritrovasse ingiardino senza un motivo. Girò allora a sinistra, e riuscìalla porta anteriore della casa. La portinaja durò fatica aravvisarlo, ma com'egli l'ebbe chiamata per nome, co-nobbe la voce, e gittò un grido di meraviglia. Salite pre-cipitosamente le scale, la porta dell'appartamento si spa-lancò, e il povero orfano si trovò quasi svenuto nelle

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braccia di Angela, che, a caso, o per un presentimentosecreto, era venuta ad aprire.

Egli non arrivava inatteso. Il direttore avea scritto e lalettera era giunta fin dal mattino. Angela non si era pun-to maravigliata del partito che aveva preso, e fu contentadi saperlo a tempo per prevenire il padre e la zia dellacausa vera di quel repentino ritorno. Il padre si fece se-rio, e rimproverò la fanciulla di avergli celata fino allorauna circostanza sì grave. La zia andò sulle furie, vollenegare o porre in dubbio la realtà di quel documento.Poco dopo era uscita di casa, per interpellare il conte ela contessa sopra questo imbroglio che veniva improvvi-samente ad attraversare i suoi fini, o almeno a complica-re la situazione. Checchè ne fosse, dopo una mezz'oraappena, ecco giugnere la contessa in casa Lanzoni, epoco appresso il conte Alberto medesimo. Il padre e lazia di Angela volevano tener celato[Pg 273] il ritorno diCosimo, tanto per tastare il terreno, e vedere qual fosseil consiglio migliore. Ma Angela insistette presso il pa-dre, perchè si venisse in chiaro senza indugio della veri-tà della cosa, e si sapesse a dirittura la risoluzione delconte. Codesta era, diceva ella, la pietra del paragonealla quale voleva sottometterlo prima di dichiararsi peril sì o per il no. Il signor Lanzoni non volle però accon-discendere a tanta precipitazione. Egli conosceva un po'meglio le cose del mondo, e nell'interesse stesso di Co-simo riserbò a se medesimo la cura di trattar quest'affarea quel tempo e a quel modo che avrebbe giudicato mi-

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braccia di Angela, che, a caso, o per un presentimentosecreto, era venuta ad aprire.

Egli non arrivava inatteso. Il direttore avea scritto e lalettera era giunta fin dal mattino. Angela non si era pun-to maravigliata del partito che aveva preso, e fu contentadi saperlo a tempo per prevenire il padre e la zia dellacausa vera di quel repentino ritorno. Il padre si fece se-rio, e rimproverò la fanciulla di avergli celata fino allorauna circostanza sì grave. La zia andò sulle furie, vollenegare o porre in dubbio la realtà di quel documento.Poco dopo era uscita di casa, per interpellare il conte ela contessa sopra questo imbroglio che veniva improvvi-samente ad attraversare i suoi fini, o almeno a complica-re la situazione. Checchè ne fosse, dopo una mezz'oraappena, ecco giugnere la contessa in casa Lanzoni, epoco appresso il conte Alberto medesimo. Il padre e lazia di Angela volevano tener celato[Pg 273] il ritorno diCosimo, tanto per tastare il terreno, e vedere qual fosseil consiglio migliore. Ma Angela insistette presso il pa-dre, perchè si venisse in chiaro senza indugio della veri-tà della cosa, e si sapesse a dirittura la risoluzione delconte. Codesta era, diceva ella, la pietra del paragonealla quale voleva sottometterlo prima di dichiararsi peril sì o per il no. Il signor Lanzoni non volle però accon-discendere a tanta precipitazione. Egli conosceva un po'meglio le cose del mondo, e nell'interesse stesso di Co-simo riserbò a se medesimo la cura di trattar quest'affarea quel tempo e a quel modo che avrebbe giudicato mi-

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gliore. Cosimo dunque dovette rassegnarsi, ed Angela,dopo di essersi lungamente intertenuta con lui, anzichèprender parte, come soleva, alla conversazione, si ritirònella sua stanza, meditò qualche istante, e si pose a scri-vere al conte la lettera seguente:

«Signor conte,

»Ho promesso a mio padre di non trovarmi presentealle spiegazioni che questa sera probabilmente vi sareb-bero chieste intorno al povero giovanetto che vi deve lavita. Se non mi aveste fatto l'onore di domandarmi inisposa, mi rimarrei forse straniera a questa dilicata que-stione. Ma non avendo risposto con un rifiuto, e nonavendo ancora preso un partito definitivo intorno allaproposizione che mi faceste, crederei mancar di fran-chezza lasciando ad altri la cura di palesarvi l'animomio.

»Io credo, signor conte, alla provvidenza. Credo aduna legge suprema che collega fra loro i casi e le azioniche pajono più fortuite. Il secreto dunque che venni aconoscere, i sentimenti di affezione che mi stringono aquesto infelice che mi fu confidato, l'essermi da una par-te trovata sua protettrice e sua madre,[Pg 274] mentre voimi proponevate, forse senza saperlo, di unire i vostri de-stini co' miei, tutto ciò mi sembra condotto dalla manodi Dio, e preparato ad un fine ch'io rispetto prima ancordi conoscerlo pienamente.

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gliore. Cosimo dunque dovette rassegnarsi, ed Angela,dopo di essersi lungamente intertenuta con lui, anzichèprender parte, come soleva, alla conversazione, si ritirònella sua stanza, meditò qualche istante, e si pose a scri-vere al conte la lettera seguente:

«Signor conte,

»Ho promesso a mio padre di non trovarmi presentealle spiegazioni che questa sera probabilmente vi sareb-bero chieste intorno al povero giovanetto che vi deve lavita. Se non mi aveste fatto l'onore di domandarmi inisposa, mi rimarrei forse straniera a questa dilicata que-stione. Ma non avendo risposto con un rifiuto, e nonavendo ancora preso un partito definitivo intorno allaproposizione che mi faceste, crederei mancar di fran-chezza lasciando ad altri la cura di palesarvi l'animomio.

»Io credo, signor conte, alla provvidenza. Credo aduna legge suprema che collega fra loro i casi e le azioniche pajono più fortuite. Il secreto dunque che venni aconoscere, i sentimenti di affezione che mi stringono aquesto infelice che mi fu confidato, l'essermi da una par-te trovata sua protettrice e sua madre,[Pg 274] mentre voimi proponevate, forse senza saperlo, di unire i vostri de-stini co' miei, tutto ciò mi sembra condotto dalla manodi Dio, e preparato ad un fine ch'io rispetto prima ancordi conoscerlo pienamente.

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Page 352: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

»Da quattr'anni e più io porto in dito un anello, pove-ra e dolorosa eredità che mi venne da una donna cheamaste, e che certo vi amò. Con questo anello, che do-vette essere pegno e sacramento d'affetto, io ebbi in miamano un foglio sottoscritto da voi in un'epoca, nellaquale la prudenza mondana non aveva soffocatogl'impeti generosi del cuore. Questa carta e il secretoche cela, furono un mistero anche per me fino a questiultimi giorni, in cui, per una strana associazione d'idee,il vostro nome mi balenò alla memoria, e mi trovai de-positaria di un documento che vi risguarda sì davvicino.

»Non so qual sia la forza legale di questa promessa,nè credo che Cosimo, il mio figlio adottivo, sia dispostoa prevalersene dinanzi alla legge. La sua prima idea,com'egli stesso mi ha detto, era quella di presentarsi avoi senz'altro contrassegno che il nome della sua poveramadre. Poco gl'importa di acquistar un nome nel mondo,ed uno stato più comodo e indipendente. Quello chegl'importa, quello che è condizione di vita per l'animasua, gli è d'aver trovato il cuore e l'affetto d'un padre, edi poter abbracciare senza vergogna e senza rancorel'autor de' suoi giorni. Io credo, conte Alberto, ch'eglinon s'inganni nella sua aspettazione. Io medesima nesono così certa, che non credo necessario d'aggiungerele mie preghiere, nè di porre il pronto riconoscimento diquesto povero sfortunato come condizione ad un vinco-lo, dal quale voi dite dipendere la vostra felicità.

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»Da quattr'anni e più io porto in dito un anello, pove-ra e dolorosa eredità che mi venne da una donna cheamaste, e che certo vi amò. Con questo anello, che do-vette essere pegno e sacramento d'affetto, io ebbi in miamano un foglio sottoscritto da voi in un'epoca, nellaquale la prudenza mondana non aveva soffocatogl'impeti generosi del cuore. Questa carta e il secretoche cela, furono un mistero anche per me fino a questiultimi giorni, in cui, per una strana associazione d'idee,il vostro nome mi balenò alla memoria, e mi trovai de-positaria di un documento che vi risguarda sì davvicino.

»Non so qual sia la forza legale di questa promessa,nè credo che Cosimo, il mio figlio adottivo, sia dispostoa prevalersene dinanzi alla legge. La sua prima idea,com'egli stesso mi ha detto, era quella di presentarsi avoi senz'altro contrassegno che il nome della sua poveramadre. Poco gl'importa di acquistar un nome nel mondo,ed uno stato più comodo e indipendente. Quello chegl'importa, quello che è condizione di vita per l'animasua, gli è d'aver trovato il cuore e l'affetto d'un padre, edi poter abbracciare senza vergogna e senza rancorel'autor de' suoi giorni. Io credo, conte Alberto, ch'eglinon s'inganni nella sua aspettazione. Io medesima nesono così certa, che non credo necessario d'aggiungerele mie preghiere, nè di porre il pronto riconoscimento diquesto povero sfortunato come condizione ad un vinco-lo, dal quale voi dite dipendere la vostra felicità.

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Page 353: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

»Aggiungo solo che non potrei mai riporre la mia nellegarmi ad un uomo che potesse esitare un istante acompiere un dovere sì sacrosanto.

[Pg 275]

»Qualunque sia la piega che avrà preso o sarà perprendere il colloquio di questa sera, io non volli atten-derne l'esito, prima di aprirvi tutto intiero l'animo mio.Iddio voglia ch'io non abbia a pentirmi di aver seconda-to un primo istinto dell'animo. Ora aspetterò con calmala vostra risposta.

»ANGELA LANZONI.»

XVII.

Il signor Lanzoni era uno di quegli uomini buoni cheriserbano la loro energia alle circostanze un po' gravidella vita, diversi in questo da certi faccendieri che, asentirli, sono tutti fuoco e tutti cordialità; ma ne usano eabusano tanto nelle occasioni più frivole, che ne manca-no poi sul più bello. Codesto è fuoco di paglia che pocodura e poco riscalda; mentre l'altro è la fiamma viva edurevole di un ceppo verde, che è un po' lento ad accen-dersi, ma poi ti consola a lungo e ti giova.

Non appena vide entrare il conte Alberto, se gli acco-stò con aria franca e severa, e lo pregò di passare nelsuo gabinetto dove aveva a intertenerlo di cosa impor-

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»Aggiungo solo che non potrei mai riporre la mia nellegarmi ad un uomo che potesse esitare un istante acompiere un dovere sì sacrosanto.

[Pg 275]

»Qualunque sia la piega che avrà preso o sarà perprendere il colloquio di questa sera, io non volli atten-derne l'esito, prima di aprirvi tutto intiero l'animo mio.Iddio voglia ch'io non abbia a pentirmi di aver seconda-to un primo istinto dell'animo. Ora aspetterò con calmala vostra risposta.

»ANGELA LANZONI.»

XVII.

Il signor Lanzoni era uno di quegli uomini buoni cheriserbano la loro energia alle circostanze un po' gravidella vita, diversi in questo da certi faccendieri che, asentirli, sono tutti fuoco e tutti cordialità; ma ne usano eabusano tanto nelle occasioni più frivole, che ne manca-no poi sul più bello. Codesto è fuoco di paglia che pocodura e poco riscalda; mentre l'altro è la fiamma viva edurevole di un ceppo verde, che è un po' lento ad accen-dersi, ma poi ti consola a lungo e ti giova.

Non appena vide entrare il conte Alberto, se gli acco-stò con aria franca e severa, e lo pregò di passare nelsuo gabinetto dove aveva a intertenerlo di cosa impor-

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tante.

Il conte rispose con un semplice inchino contegnosoed affabile, e passarono entrambi in uno stanzino appar-tato, dove il padre di Angela soleva rinchiudersi pe' suoistudj ed affari. Il conte non ignorava nè il ritorno di Co-simo, nè i sospetti che pesavano sopra di sè: sapeva chepresto o tardi una spiegazione diveniva necessaria. Eradunque preparato alla lotta, e piuttosto che rimetterla adaltro tempo, accettò volentieri il colloquio che dovevarisolverla. Aspettò dunque la prima parola del suo inter-locutore senza inquietudine e senza curiosità.

[Pg 276]

Questi entrò senza esitazione nell'argomento. Rifecein poche parole la storia del povero orfano, per qual ac-cidente, orfano e sconosciuto, l'aveva accolto in suacasa, educato e curato fino allora a sue spese. — Voistesso — disse — vi avete contribuito coi vostri consi-gli, colle vostre commendatizie a Parigi. L'interesse,l'affetto che mostraste per un incognito, per un trovatel-lo, non verrà meno, io spero, quando saprete che questogiovanetto vanta qualche attinenza più intima con voi....—

Il conte Alberto affettò una certa sorpresa, e fissò gliocchi in aria d'interrogazione nel signor Lanzoni.

— Il giovanetto — continuò questi — avea perduto la

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tante.

Il conte rispose con un semplice inchino contegnosoed affabile, e passarono entrambi in uno stanzino appar-tato, dove il padre di Angela soleva rinchiudersi pe' suoistudj ed affari. Il conte non ignorava nè il ritorno di Co-simo, nè i sospetti che pesavano sopra di sè: sapeva chepresto o tardi una spiegazione diveniva necessaria. Eradunque preparato alla lotta, e piuttosto che rimetterla adaltro tempo, accettò volentieri il colloquio che dovevarisolverla. Aspettò dunque la prima parola del suo inter-locutore senza inquietudine e senza curiosità.

[Pg 276]

Questi entrò senza esitazione nell'argomento. Rifecein poche parole la storia del povero orfano, per qual ac-cidente, orfano e sconosciuto, l'aveva accolto in suacasa, educato e curato fino allora a sue spese. — Voistesso — disse — vi avete contribuito coi vostri consi-gli, colle vostre commendatizie a Parigi. L'interesse,l'affetto che mostraste per un incognito, per un trovatel-lo, non verrà meno, io spero, quando saprete che questogiovanetto vanta qualche attinenza più intima con voi....—

Il conte Alberto affettò una certa sorpresa, e fissò gliocchi in aria d'interrogazione nel signor Lanzoni.

— Il giovanetto — continuò questi — avea perduto la

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Page 355: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

madre in quei giorni medesimi ch'io lo raccolsi. Questadisgraziata si chiamava Teresa, una guantaja che voi nonavrete certamente dimenticata. Essa lasciò per solo te-stamento e retaggio all'infelice fanciullo un cerchiellinod'oro, e un documento sottoscritto Alberto d'Andria...una promessa di matrimonio quando aveste raggiuntal'età maggiore... —

Il conte non potè impedire che il sangue gli colorassedi subito rossore la fronte: ma nel medesimo tempo sistrinse nelle spalle, e sorridendo nell'imbarazzo visibiledella sua posizione: — Mio caro suocero, — rispose —voi siete un uomo di mondo: foste giovane voi stesso edesposto a tutte le seduzioni, a tutti i pericoli della gio-ventù. Non crederei che voleste dare più d'importanza,che non ne merita, ad una scapataggine da fanciullo.D'altronde, quella povera donna è morta da oltre aquattr'anni, e non veggo a che si volesse o potesse invo-care una lettera scritta in un momento di passione e....

— Conosco il mondo — riprese il signor Lanzoni —e sono stato giovane anch'io, come dite. Ho imparatopur troppo, non per mia propria esperienza, grazie aDio![Pg 277] ho imparato che le povere donne hanno tortoa fidarsi alle parole e alle promesse dei loro amanti,massime se minorenni. Ma questo non giustifica e noniscusa l'abuso che si fa della loro credulità. Se la poveraTeresa conservò con tanta cura quel foglio, e lo lasciavacon tanta solennità all'infelice orfanello, certo ella avea

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madre in quei giorni medesimi ch'io lo raccolsi. Questadisgraziata si chiamava Teresa, una guantaja che voi nonavrete certamente dimenticata. Essa lasciò per solo te-stamento e retaggio all'infelice fanciullo un cerchiellinod'oro, e un documento sottoscritto Alberto d'Andria...una promessa di matrimonio quando aveste raggiuntal'età maggiore... —

Il conte non potè impedire che il sangue gli colorassedi subito rossore la fronte: ma nel medesimo tempo sistrinse nelle spalle, e sorridendo nell'imbarazzo visibiledella sua posizione: — Mio caro suocero, — rispose —voi siete un uomo di mondo: foste giovane voi stesso edesposto a tutte le seduzioni, a tutti i pericoli della gio-ventù. Non crederei che voleste dare più d'importanza,che non ne merita, ad una scapataggine da fanciullo.D'altronde, quella povera donna è morta da oltre aquattr'anni, e non veggo a che si volesse o potesse invo-care una lettera scritta in un momento di passione e....

— Conosco il mondo — riprese il signor Lanzoni —e sono stato giovane anch'io, come dite. Ho imparatopur troppo, non per mia propria esperienza, grazie aDio![Pg 277] ho imparato che le povere donne hanno tortoa fidarsi alle parole e alle promesse dei loro amanti,massime se minorenni. Ma questo non giustifica e noniscusa l'abuso che si fa della loro credulità. Se la poveraTeresa conservò con tanta cura quel foglio, e lo lasciavacon tanta solennità all'infelice orfanello, certo ella avea

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preso sul serio una tale scrittura, e voi non gliel'avreterilasciata senza un perchè.

— Ma in fine.... non veggo bene a che tendono le vo-stre parole, mio caro signor Lanzoni....

— Dite davvero? — ripigliò questi. — Io sperava in-vece che mi avreste compreso senza attendere più lun-ghi discorsi. Speravo che il cuore vi avrebbe posto sullabbro una parola affettuosa e onorevole.... speravo chemi avreste domandato di vedere quello sfortunato, chel'avreste stretto al seno come figliuolo, riparando, co-mecchè tardi, con questo riconoscimento, l'incomprensi-bile abbandono in cui lasciaste la madre sua!... Se misono ingannato... ditelo... Io non intendo farmi il procu-ratore legale di questo infelice, e cesso all'istante daogni ingerenza in un affare che non m'appartiene. Perdo-nate l'imbarazzo e il fastidio che vi recai, se non allaqualità di suocero che mi avete prematuramente attribui-ta, almeno all'affetto quasi paterno che questo poveroorfano mi aveva ispirato, prima di saperlo vostro fi-gliuolo....

— Mio figliuolo! Questa è una supposizione chemanca affatto di fondamento. La madre sola, se fosse ingrado di parlare, potrebbe avere un qualche titolo ad at-testarlo. Non veggo ch'egli abbia gran somiglianza conme, nè il sangue si fece sentire, ch'io sappia, nè in me nèin lui, quando ci siamo incontrati la prima volta qui in

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preso sul serio una tale scrittura, e voi non gliel'avreterilasciata senza un perchè.

— Ma in fine.... non veggo bene a che tendono le vo-stre parole, mio caro signor Lanzoni....

— Dite davvero? — ripigliò questi. — Io sperava in-vece che mi avreste compreso senza attendere più lun-ghi discorsi. Speravo che il cuore vi avrebbe posto sullabbro una parola affettuosa e onorevole.... speravo chemi avreste domandato di vedere quello sfortunato, chel'avreste stretto al seno come figliuolo, riparando, co-mecchè tardi, con questo riconoscimento, l'incomprensi-bile abbandono in cui lasciaste la madre sua!... Se misono ingannato... ditelo... Io non intendo farmi il procu-ratore legale di questo infelice, e cesso all'istante daogni ingerenza in un affare che non m'appartiene. Perdo-nate l'imbarazzo e il fastidio che vi recai, se non allaqualità di suocero che mi avete prematuramente attribui-ta, almeno all'affetto quasi paterno che questo poveroorfano mi aveva ispirato, prima di saperlo vostro fi-gliuolo....

— Mio figliuolo! Questa è una supposizione chemanca affatto di fondamento. La madre sola, se fosse ingrado di parlare, potrebbe avere un qualche titolo ad at-testarlo. Non veggo ch'egli abbia gran somiglianza conme, nè il sangue si fece sentire, ch'io sappia, nè in me nèin lui, quando ci siamo incontrati la prima volta qui in

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questa casa medesima... quando non voleste interpretarein questo senso l'interesse affatto gratuito che ho mo-strato per esso. Buon Dio! Non vorrei farmi[Pg 278] accu-satore d'una donna che potè per qualche momento otte-nere la mia affezione.... ma alfine, io non vantavo alcundiritto all'esclusivo amor suo... e altri padri potrebberoforse reclamare con egual titolo....

— Basta — interruppe il sig. Lanzoni; — veggo ch'iomi sono ingannato sulle vostre disposizioni e sul vostrocarattere. Io non conobbi la madre del mio pupillo: manon mi dà l'animo di sentirne insultata la memoriadall'uomo che si dichiarava pronto a farla sua sposa ap-pena le leggi glielo avessero consentito!...

— Voi siete ingiusto, signor Lanzoni. Voi spingete lecose agli estremi. Vediamo. Vi sono legami che possonoparer naturali e indispensabili in certi momenti dellavita, ma che un po' di esperienza e di riflessione ci di-mostra impossibili. Dareste voi la vostra Angela al pri-mo pezzente che si presentasse alla vostra porta, a quel-lo, per esempio, che mi vorreste appioppare per figlio?Codeste sono utopie. Mi guardi però il Cielo dal voleraffatto abbandonare questo infelice. Sono pronto a divi-dere con voi l'ufficio e la spesa della sua educazione. Glitroveremo un ricovero....

— Un'educazione, un ricovero egli lo ha già trovatosenza di voi. Ma egli vuole un nome, vuole un padre,

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questa casa medesima... quando non voleste interpretarein questo senso l'interesse affatto gratuito che ho mo-strato per esso. Buon Dio! Non vorrei farmi[Pg 278] accu-satore d'una donna che potè per qualche momento otte-nere la mia affezione.... ma alfine, io non vantavo alcundiritto all'esclusivo amor suo... e altri padri potrebberoforse reclamare con egual titolo....

— Basta — interruppe il sig. Lanzoni; — veggo ch'iomi sono ingannato sulle vostre disposizioni e sul vostrocarattere. Io non conobbi la madre del mio pupillo: manon mi dà l'animo di sentirne insultata la memoriadall'uomo che si dichiarava pronto a farla sua sposa ap-pena le leggi glielo avessero consentito!...

— Voi siete ingiusto, signor Lanzoni. Voi spingete lecose agli estremi. Vediamo. Vi sono legami che possonoparer naturali e indispensabili in certi momenti dellavita, ma che un po' di esperienza e di riflessione ci di-mostra impossibili. Dareste voi la vostra Angela al pri-mo pezzente che si presentasse alla vostra porta, a quel-lo, per esempio, che mi vorreste appioppare per figlio?Codeste sono utopie. Mi guardi però il Cielo dal voleraffatto abbandonare questo infelice. Sono pronto a divi-dere con voi l'ufficio e la spesa della sua educazione. Glitroveremo un ricovero....

— Un'educazione, un ricovero egli lo ha già trovatosenza di voi. Ma egli vuole un nome, vuole un padre,

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vuole riabilitare la dubbia riputazione che il vostro ab-bandono ha fatto a sua madre!... Egli ha lasciato Parigiper questo, voleva correre a casa vostra con quel docu-mento alla mano, e gettarsi nelle vostre braccia, nella fi-ducia di trovare in voi l'affetto e il cuore di un padre. Ionon volli permetterlo: ho voluto prima parlarvene. Oraconosco che ho fatto bene: ho evitato uno scandalo, esalvato quel povero visionario dalle dolorose conse-guenze di un subito disinganno. Andate pure, signorconte. Tutto è rotto fra noi.

— No, signor Lanzoni. I nostri rapporti, i nostri[Pg 279]disegni non ponno rompersi per questo incidente. Vedre-mo qual forza daranno i tribunali a quel documento. Ioson pronto a rassegnarmi alla legge: se pure, riflettendopiù maturamente alla cosa, non vedrete voi stesso laconvenienza ch'io provvegga in altro modo alla sorte diquesto infelice, senza pregiudicare alla prole legittimach'io speravo e spero ancora ottenere da vostra figlia.

— Mia figlia! Non v'illudete, signore. Quand'anche iopotessi transigere su questo punto, voi la conoscete benpoco, se v'imaginate di trovarla più condiscendente dime. D'altronde, io l'ho lasciata libera di se stessa. Nondisporrò mai nè del suo cuore nè della sua mano senzaconsultare la sua volontà. Ma io la conosco più di voi.S'ella fosse stata presente, come voleva, al nostro collo-quio, sapreste a quest'ora la sua risoluzione.

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vuole riabilitare la dubbia riputazione che il vostro ab-bandono ha fatto a sua madre!... Egli ha lasciato Parigiper questo, voleva correre a casa vostra con quel docu-mento alla mano, e gettarsi nelle vostre braccia, nella fi-ducia di trovare in voi l'affetto e il cuore di un padre. Ionon volli permetterlo: ho voluto prima parlarvene. Oraconosco che ho fatto bene: ho evitato uno scandalo, esalvato quel povero visionario dalle dolorose conse-guenze di un subito disinganno. Andate pure, signorconte. Tutto è rotto fra noi.

— No, signor Lanzoni. I nostri rapporti, i nostri[Pg 279]disegni non ponno rompersi per questo incidente. Vedre-mo qual forza daranno i tribunali a quel documento. Ioson pronto a rassegnarmi alla legge: se pure, riflettendopiù maturamente alla cosa, non vedrete voi stesso laconvenienza ch'io provvegga in altro modo alla sorte diquesto infelice, senza pregiudicare alla prole legittimach'io speravo e spero ancora ottenere da vostra figlia.

— Mia figlia! Non v'illudete, signore. Quand'anche iopotessi transigere su questo punto, voi la conoscete benpoco, se v'imaginate di trovarla più condiscendente dime. D'altronde, io l'ho lasciata libera di se stessa. Nondisporrò mai nè del suo cuore nè della sua mano senzaconsultare la sua volontà. Ma io la conosco più di voi.S'ella fosse stata presente, come voleva, al nostro collo-quio, sapreste a quest'ora la sua risoluzione.

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— Ma insomma, vorrebbe ella mai consentire a rice-vere in casa come figliuolo quel povero contraffatto?

— Ella gli fu madre finora di fatto. Essa medesimaera depositaria di quella lettera di cui mi fece un misterosin qui. Ella la rimise giorni sono a Cosimo senza con-sultarmi. La sua intenzione non può dunque esser dub-bia ad alcuno....

— È dunque un rifiuto mascherato?...

— Forse non è che una prova a cui volle sottomettereil vostro cuore. Il vostro cuore ha parlato.

— No, signor Lanzoni. Non è il mio cuore che haparlato finora. È la ragione, la fredda ragione. Lasciate-mi riflettere; riflettete voi pure alle conseguenze di que-sto fatto. Vedremo domani. —

Il padre di Angela crollò il capo, ma non volle chiu-dere ogni adito ad una miglior conclusione di questavertenza. Entrarono ambedue nella sala dove le due vec-chie signore stavano intertenendosi sul soggetto medesi-mo,[Pg 280] mentre il dottore e don Arnaldo giuocavanoin disparte agli scacchi.

Rimasero un quarto d'ora prendendo il tè, senza aprir-si nè da una parte nè dall'altra, e senza trovare un altrosoggetto alla conversazione. La contessa fissava ora ilsignor Lanzoni, ora il conte Alberto per indovinare il ri-

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— Ma insomma, vorrebbe ella mai consentire a rice-vere in casa come figliuolo quel povero contraffatto?

— Ella gli fu madre finora di fatto. Essa medesimaera depositaria di quella lettera di cui mi fece un misterosin qui. Ella la rimise giorni sono a Cosimo senza con-sultarmi. La sua intenzione non può dunque esser dub-bia ad alcuno....

— È dunque un rifiuto mascherato?...

— Forse non è che una prova a cui volle sottomettereil vostro cuore. Il vostro cuore ha parlato.

— No, signor Lanzoni. Non è il mio cuore che haparlato finora. È la ragione, la fredda ragione. Lasciate-mi riflettere; riflettete voi pure alle conseguenze di que-sto fatto. Vedremo domani. —

Il padre di Angela crollò il capo, ma non volle chiu-dere ogni adito ad una miglior conclusione di questavertenza. Entrarono ambedue nella sala dove le due vec-chie signore stavano intertenendosi sul soggetto medesi-mo,[Pg 280] mentre il dottore e don Arnaldo giuocavanoin disparte agli scacchi.

Rimasero un quarto d'ora prendendo il tè, senza aprir-si nè da una parte nè dall'altra, e senza trovare un altrosoggetto alla conversazione. La contessa fissava ora ilsignor Lanzoni, ora il conte Alberto per indovinare il ri-

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sultato del loro colloquio: ma non essendo riuscita adappagare la sua curiosità, domandò il cappello e lo scial-le, e invocò il solito pretesto dell'emicrania per ritirarsiprima del tempo.

Il conte le diede il braccio e partirono.

XVIII.

Mentre da una parte e dall'altra si tentava di preparareuna soluzione soddisfacente all'intricato viluppo, Cosi-mo, che n'era divenuto il protagonista, non poteva per-donare a se stesso di aver affidato ad altri la cura ditroncare il difficile nodo.

Chiuso nella sua stanza, con quel documento preziosospiegato dinanzi a sè, non poteva risolversi a coricarsi,non isperava di prender sonno, non potea riposare ilpensiero in un'idea, in un partito qualunque. Sapeva chein quel momento medesimo si trattava del suo destino,che una parola del conte Alberto stava per decidere, oaveva forse deciso una questione che oggimai era dive-nuta vitale per lui.

Misurando a gran passi la camera, tentava di richia-marsi le oscure rimembranze dell'infanzia, evocava nel-la sua immaginazione le sembianze, le parole, gli attidell'infelice sua madre. Vi fu un momento che questaevocazione divenne per esso quasi reale: vedeva sul suo

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sultato del loro colloquio: ma non essendo riuscita adappagare la sua curiosità, domandò il cappello e lo scial-le, e invocò il solito pretesto dell'emicrania per ritirarsiprima del tempo.

Il conte le diede il braccio e partirono.

XVIII.

Mentre da una parte e dall'altra si tentava di preparareuna soluzione soddisfacente all'intricato viluppo, Cosi-mo, che n'era divenuto il protagonista, non poteva per-donare a se stesso di aver affidato ad altri la cura ditroncare il difficile nodo.

Chiuso nella sua stanza, con quel documento preziosospiegato dinanzi a sè, non poteva risolversi a coricarsi,non isperava di prender sonno, non potea riposare ilpensiero in un'idea, in un partito qualunque. Sapeva chein quel momento medesimo si trattava del suo destino,che una parola del conte Alberto stava per decidere, oaveva forse deciso una questione che oggimai era dive-nuta vitale per lui.

Misurando a gran passi la camera, tentava di richia-marsi le oscure rimembranze dell'infanzia, evocava nel-la sua immaginazione le sembianze, le parole, gli attidell'infelice sua madre. Vi fu un momento che questaevocazione divenne per esso quasi reale: vedeva sul suo

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letticciuolo la povera donna estenuata e morente;[Pg 281]udiva le sue raccomandazioni, i suoi consigli supremi!Tutto ciò gli avea fatto in quell'epoca un'impressione ab-bastanza profonda: ma non aveva allora che dieci anni, ela vita del pensiero era appena per lui un leggiero barlu-me. La natura risparmia all'età prima dell'uomo l'intensi-tà dei dolori morali che soverchierebbero le sue forze. Apoco a poco quell'impressione s'era attenuata nell'animosuo. Entrato nella casa di Angela, la vista delle nuovecose, lo studio, le occupazioni svariate aprirono alla suamente un orizzonte più vasto. L'immagine della madregli si presentava bensì tratto tratto, ma senza distorlodalle sue solite cure. Ora, nello stato febrile in cui si tro-vava, in quella forzata solitudine, con quella lettera fata-le dinanzi agli occhi, l'illusione fu sì completa, che su-però l'effetto che aveva un dì risentito dalla realtà. Ingi-nocchiato alla sponda del letto, si coperse colle palmegli occhi e restò lungamente immerso in una specie diassopimento: si riscosse inondato di lagrime, in uno sta-to di esaltazione difficile a descriversi. Fra i singhiozziche scuotevano profondamente il suo petto, proferivatronche parole di doloroso affetto. Si sarebbe detto cheavesse perduto la madre in quel momento medesimo, oche almeno in quel momento sentisse per la prima voltala grandezza della perdita fatta.

Tutto ad un tratto si alzò, si asciugò gli occhi, mutòpensiero, come si vergognasse della debolezza chel'avea sopraffatto. — Piangere? — sclamò, — piangere?

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letticciuolo la povera donna estenuata e morente;[Pg 281]udiva le sue raccomandazioni, i suoi consigli supremi!Tutto ciò gli avea fatto in quell'epoca un'impressione ab-bastanza profonda: ma non aveva allora che dieci anni, ela vita del pensiero era appena per lui un leggiero barlu-me. La natura risparmia all'età prima dell'uomo l'intensi-tà dei dolori morali che soverchierebbero le sue forze. Apoco a poco quell'impressione s'era attenuata nell'animosuo. Entrato nella casa di Angela, la vista delle nuovecose, lo studio, le occupazioni svariate aprirono alla suamente un orizzonte più vasto. L'immagine della madregli si presentava bensì tratto tratto, ma senza distorlodalle sue solite cure. Ora, nello stato febrile in cui si tro-vava, in quella forzata solitudine, con quella lettera fata-le dinanzi agli occhi, l'illusione fu sì completa, che su-però l'effetto che aveva un dì risentito dalla realtà. Ingi-nocchiato alla sponda del letto, si coperse colle palmegli occhi e restò lungamente immerso in una specie diassopimento: si riscosse inondato di lagrime, in uno sta-to di esaltazione difficile a descriversi. Fra i singhiozziche scuotevano profondamente il suo petto, proferivatronche parole di doloroso affetto. Si sarebbe detto cheavesse perduto la madre in quel momento medesimo, oche almeno in quel momento sentisse per la prima voltala grandezza della perdita fatta.

Tutto ad un tratto si alzò, si asciugò gli occhi, mutòpensiero, come si vergognasse della debolezza chel'avea sopraffatto. — Piangere? — sclamò, — piangere?

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Mia madre è morta: le mie lagrime non potrebbero giàrichiamarla alla vita. D'altronde, io ho un padre, ho unpadre da qualche giorno. Io lo conosco, io voglio darmia conoscere a lui come figlio. Perchè mi sono lasciatopersuadere a commettere ad altri questa prima rivelazio-ne di due cuori? Questa non può essere materia di tratta-tive, non può essere argomento di transazioni legali.[Pg282] Questa lettera! Ah! se i miei diritti non avessero al-tro fondamento che questo, se i miei rapporti coll'autorde' miei giorni non fossero che un diritto dinanzi allalegge, che m'importerebbe oggimai? O il cuore parleràal cuore, e la voce della natura si farà sentire in entram-bi, o noi resteremo stranieri, ed io morrò orfano comevissi, e non tarderò molto a raggiungere la sventuratache mi portò nel suo seno. — Andiamo.... — E si levòper uscire dalla sua stanza. Ma nell'aprire la portas'accorse che la lucerna ardeva ancora, e ch'egli aveapassato la notte senza coricarsi. Aprì la finestra. Eral'alba. Spense allora il lume e stette a guardare i primialbori dell'orizzonte. Il parco avvolto ancora di una neb-bia trasparente si spiegava dinanzi al suo sguardo. Rico-nobbe e salutò ogni albero, ogni macchia, ogni cespo dirose. Una lieve brezza, che gli spirava nel volto, rinfre-scò le sue guance e la fronte accesa dal bollor della feb-bre. Quella calma ineffabile della natura si propagò apoco a poco nell'animo suo. La fantasia diede luogo allariflessione, e s'accorse che bisognava attendere qualcheora prima di potersi recare alla casa del conte. Si gettòadunque così vestito sul suo letticciuolo, e gustò un'ora

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Mia madre è morta: le mie lagrime non potrebbero giàrichiamarla alla vita. D'altronde, io ho un padre, ho unpadre da qualche giorno. Io lo conosco, io voglio darmia conoscere a lui come figlio. Perchè mi sono lasciatopersuadere a commettere ad altri questa prima rivelazio-ne di due cuori? Questa non può essere materia di tratta-tive, non può essere argomento di transazioni legali.[Pg282] Questa lettera! Ah! se i miei diritti non avessero al-tro fondamento che questo, se i miei rapporti coll'autorde' miei giorni non fossero che un diritto dinanzi allalegge, che m'importerebbe oggimai? O il cuore parleràal cuore, e la voce della natura si farà sentire in entram-bi, o noi resteremo stranieri, ed io morrò orfano comevissi, e non tarderò molto a raggiungere la sventuratache mi portò nel suo seno. — Andiamo.... — E si levòper uscire dalla sua stanza. Ma nell'aprire la portas'accorse che la lucerna ardeva ancora, e ch'egli aveapassato la notte senza coricarsi. Aprì la finestra. Eral'alba. Spense allora il lume e stette a guardare i primialbori dell'orizzonte. Il parco avvolto ancora di una neb-bia trasparente si spiegava dinanzi al suo sguardo. Rico-nobbe e salutò ogni albero, ogni macchia, ogni cespo dirose. Una lieve brezza, che gli spirava nel volto, rinfre-scò le sue guance e la fronte accesa dal bollor della feb-bre. Quella calma ineffabile della natura si propagò apoco a poco nell'animo suo. La fantasia diede luogo allariflessione, e s'accorse che bisognava attendere qualcheora prima di potersi recare alla casa del conte. Si gettòadunque così vestito sul suo letticciuolo, e gustò un'ora

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di un sonno leggiero e balsamico che ristorò le sue forzee calmò l'eccitamento febrile che l'avea scosso.

Svegliatosi a giorno chiaro, non attese il parere nè ilconsiglio degli ospiti suoi, temette non ponessero osta-coli impreveduti alla sua determinazione, uscì, s'avviòsenza più a casa d'Andria. Bussò, gli fu aperto, salì lescale, chiese del conte Alberto. Gli fu risposto essereancora nel suo appartamento: tornasse più tardi se voles-se alcuna cosa da lui. Chiese d'attendere, dicendo cheaveva una cosa importante a communicargli, quanto pri-ma il potesse. Il domestico non aveva, a quanto pare,[Pg283] alcuna istruzione in contrario; onde gli fu permessodi rimanere e di attendere nel vestibolo interno dellacasa. Mezz'ora dopo fu chiamato e introdotto nell'appar-tamento del conte Alberto che l'aspettava, preparato piùo meno alla scena che non poteva evitare.

Il conte se ne stava seduto in veste da camera dinanzia un leggìo. La sua faccia era o pareva tranquilla comed'uomo che avesse preso già il suo partito. Cosimo gettòper istinto un rapido sguardo sopra quel volto, e sentìcome una mano fredda stringergli il cuore. Il suo primomovimento era stato quello di gettarsi alle ginocchia, trale braccia di colui che sperava poter nominare col piùsacro dei nomi: ma il suo aspetto freddo e impassibile loarrestò. Pallido, perplesso, tremante, trovò appena laforza di balbettare il nome di padre, e cadde semivivosulle ginocchia. Il conte non avea preveduto questo

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di un sonno leggiero e balsamico che ristorò le sue forzee calmò l'eccitamento febrile che l'avea scosso.

Svegliatosi a giorno chiaro, non attese il parere nè ilconsiglio degli ospiti suoi, temette non ponessero osta-coli impreveduti alla sua determinazione, uscì, s'avviòsenza più a casa d'Andria. Bussò, gli fu aperto, salì lescale, chiese del conte Alberto. Gli fu risposto essereancora nel suo appartamento: tornasse più tardi se voles-se alcuna cosa da lui. Chiese d'attendere, dicendo cheaveva una cosa importante a communicargli, quanto pri-ma il potesse. Il domestico non aveva, a quanto pare,[Pg283] alcuna istruzione in contrario; onde gli fu permessodi rimanere e di attendere nel vestibolo interno dellacasa. Mezz'ora dopo fu chiamato e introdotto nell'appar-tamento del conte Alberto che l'aspettava, preparato piùo meno alla scena che non poteva evitare.

Il conte se ne stava seduto in veste da camera dinanzia un leggìo. La sua faccia era o pareva tranquilla comed'uomo che avesse preso già il suo partito. Cosimo gettòper istinto un rapido sguardo sopra quel volto, e sentìcome una mano fredda stringergli il cuore. Il suo primomovimento era stato quello di gettarsi alle ginocchia, trale braccia di colui che sperava poter nominare col piùsacro dei nomi: ma il suo aspetto freddo e impassibile loarrestò. Pallido, perplesso, tremante, trovò appena laforza di balbettare il nome di padre, e cadde semivivosulle ginocchia. Il conte non avea preveduto questo

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esordio: il suo cuore ne fu scosso suo malgrado, si alzò,si avanzò verso Cosimo, e lo sollevò da terra visibil-mente commosso. La natura avea parlato e sconcertatiinopinatamente i calcoli dell'egoismo. Il giovanetto,aprendo gli occhi, s'incontrò con quelli del padre suo, ediede in un pianto dirotto che compì l'opera e fu per de-cidere del suo destino.

Ma improvvisamente la contessa, avvertita senzadubbio di questa visita, entrò nella stanza. Arrossì dicollera e di dispetto vedendo l'attitudine e indovinandole disposizioni del conte. — E voi — prese a dire — evoi, figlio mio, vi lasciate sorprendere dagli intrighi dicodesto visionario? Davvero che non metteva conto diviaggiare per tanti anni l'Europa, per prestarsi con tantabonarietà ad una tale commedia. Non abbiamo noi fattoabbastanza per questo povero aborto? —

Cosimo si levò impetuosamente a queste parole e sta-va per rispondere alla nobile donna: ma Alberto[Pg 284]non gliene lasciò il tempo. Pregò la madre a lasciarlisoli un istante, e l'assicurò che nulla avrebbe fatto o ri-solto senza dipender da lei. La contessa non osò insiste-re, e gettando su Cosimo uno sguardo minaccioso esprezzante, si ritirò nella stanza vicina, lasciando soc-chiusa la porta.

Cosimo s'accorse dell'impressione sfavorevole chequesto incidente aveva lasciato nel conte Alberto; ma

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esordio: il suo cuore ne fu scosso suo malgrado, si alzò,si avanzò verso Cosimo, e lo sollevò da terra visibil-mente commosso. La natura avea parlato e sconcertatiinopinatamente i calcoli dell'egoismo. Il giovanetto,aprendo gli occhi, s'incontrò con quelli del padre suo, ediede in un pianto dirotto che compì l'opera e fu per de-cidere del suo destino.

Ma improvvisamente la contessa, avvertita senzadubbio di questa visita, entrò nella stanza. Arrossì dicollera e di dispetto vedendo l'attitudine e indovinandole disposizioni del conte. — E voi — prese a dire — evoi, figlio mio, vi lasciate sorprendere dagli intrighi dicodesto visionario? Davvero che non metteva conto diviaggiare per tanti anni l'Europa, per prestarsi con tantabonarietà ad una tale commedia. Non abbiamo noi fattoabbastanza per questo povero aborto? —

Cosimo si levò impetuosamente a queste parole e sta-va per rispondere alla nobile donna: ma Alberto[Pg 284]non gliene lasciò il tempo. Pregò la madre a lasciarlisoli un istante, e l'assicurò che nulla avrebbe fatto o ri-solto senza dipender da lei. La contessa non osò insiste-re, e gettando su Cosimo uno sguardo minaccioso esprezzante, si ritirò nella stanza vicina, lasciando soc-chiusa la porta.

Cosimo s'accorse dell'impressione sfavorevole chequesto incidente aveva lasciato nel conte Alberto; ma

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non si perdette d'animo, e tratta di tasca la lettera sotto-scritta dal conte: — In nome di mia madre — sclamò,permettetemi di chiamarvi padre; chiamatemi figlio unavolta, e tutto sarà dimenticato. Mia madre vi perdoneràdal cielo, ed io vi adorerò sulla terra senza esigere, sen-za chiedere, senza desiderare altra cosa.

— Calmatevi, — rispose il conte. — Io son disposto afare per voi le parti di padre. Non ho aspettato la presen-tazione di quel documento per darvi qualche provadell'interesse che sento per voi. Quel documento nonpotrebbe conferirvi alcun titolo nuovo alla mia benevo-lenza. Io ho conosciuto la sfortunata che vi ha dato allaluce; non vo' negare di aver avuto per essa un attacca-mento che mi potè indurre ad un passo irriflessivo... apromettere una cosa che non dipendeva da me il mante-nere. Vi hanno forse fatto credere che la legge avrebbericonosciuta la validità di quella promessa...

— No, no — interruppe Cosimo. — Nessuno mi hafatto credere questo. S'io non ho alcun diritto sul vostrocuore, non ne spero, non ne imploro altri. Prendete, si-gnore: ecco il testamento della povera madre mia: eccola lettera che mi ha fatto conoscer mio padre. Che voimi riconosciate o no come figlio, i miei sentimenti nonpossono esser diversi da quel che sono. Credetemi, pa-dre mio, non vengo a chieder da voi nè titoli, nè fortuna.Fossero anche scritti nel modo più valido e[Pg 285] più le-gale su questo foglio i diritti più sacri e più incontrasta-

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non si perdette d'animo, e tratta di tasca la lettera sotto-scritta dal conte: — In nome di mia madre — sclamò,permettetemi di chiamarvi padre; chiamatemi figlio unavolta, e tutto sarà dimenticato. Mia madre vi perdoneràdal cielo, ed io vi adorerò sulla terra senza esigere, sen-za chiedere, senza desiderare altra cosa.

— Calmatevi, — rispose il conte. — Io son disposto afare per voi le parti di padre. Non ho aspettato la presen-tazione di quel documento per darvi qualche provadell'interesse che sento per voi. Quel documento nonpotrebbe conferirvi alcun titolo nuovo alla mia benevo-lenza. Io ho conosciuto la sfortunata che vi ha dato allaluce; non vo' negare di aver avuto per essa un attacca-mento che mi potè indurre ad un passo irriflessivo... apromettere una cosa che non dipendeva da me il mante-nere. Vi hanno forse fatto credere che la legge avrebbericonosciuta la validità di quella promessa...

— No, no — interruppe Cosimo. — Nessuno mi hafatto credere questo. S'io non ho alcun diritto sul vostrocuore, non ne spero, non ne imploro altri. Prendete, si-gnore: ecco il testamento della povera madre mia: eccola lettera che mi ha fatto conoscer mio padre. Che voimi riconosciate o no come figlio, i miei sentimenti nonpossono esser diversi da quel che sono. Credetemi, pa-dre mio, non vengo a chieder da voi nè titoli, nè fortuna.Fossero anche scritti nel modo più valido e[Pg 285] più le-gale su questo foglio i diritti più sacri e più incontrasta-

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bili, ecco il conto che ne farei. — Così dicendo lo laceròin cento pezzi e lo gettò dall'aperta finestra. — Ora nonvi è più — riprese — nessun indizio, nessuna prova del-la mia nascita, dei nostri rapporti. Per questo io sono ve-nuto nella vostra presenza, eludendo la vigilanza e op-ponendomi forse alla volontà de' miei protettori. Ho la-sciato parlare il mio cuore. Mi appello al vostro, e aspet-to ai vostri piedi, qualunque sia per essere, la parola chefarà di me o un figlio felice o un orfano sventurato. —

Il conte non resistette alla toccante eloquenza diquest'atto e di queste parole. Sollevò un'altra volta daterra il povero Cosimo, lo strinse carezzevolmente fra lebraccia, e le sue labbra mormorarono involontariamenteil nome di figlio.

La contessa era stata spettatrice di questa scena dallaporta socchiusa. Ella aveva veduto con gioja fatto a bra-ni quel foglio ch'ella avrebbe comperato a prezzo d'oro.Oggimai le pareva d'esser sicura da ogni pericolo, daogni scandalo, da ogni processo. Non pensò dunque adintervenire un'altra volta in quel colloquio che credevasenza conseguenza.

Ma ella s'ingannava di tutto punto. Cosimo, obbeden-do a un impulso del cuore, ad un istinto di generositànaturale, avea tocco sul vivo l'animo impreparato delconte. Questi si era munito di tutte le ragioni e di tutti icavilli per ribattere una domanda legale: ma non avea

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bili, ecco il conto che ne farei. — Così dicendo lo laceròin cento pezzi e lo gettò dall'aperta finestra. — Ora nonvi è più — riprese — nessun indizio, nessuna prova del-la mia nascita, dei nostri rapporti. Per questo io sono ve-nuto nella vostra presenza, eludendo la vigilanza e op-ponendomi forse alla volontà de' miei protettori. Ho la-sciato parlare il mio cuore. Mi appello al vostro, e aspet-to ai vostri piedi, qualunque sia per essere, la parola chefarà di me o un figlio felice o un orfano sventurato. —

Il conte non resistette alla toccante eloquenza diquest'atto e di queste parole. Sollevò un'altra volta daterra il povero Cosimo, lo strinse carezzevolmente fra lebraccia, e le sue labbra mormorarono involontariamenteil nome di figlio.

La contessa era stata spettatrice di questa scena dallaporta socchiusa. Ella aveva veduto con gioja fatto a bra-ni quel foglio ch'ella avrebbe comperato a prezzo d'oro.Oggimai le pareva d'esser sicura da ogni pericolo, daogni scandalo, da ogni processo. Non pensò dunque adintervenire un'altra volta in quel colloquio che credevasenza conseguenza.

Ma ella s'ingannava di tutto punto. Cosimo, obbeden-do a un impulso del cuore, ad un istinto di generositànaturale, avea tocco sul vivo l'animo impreparato delconte. Questi si era munito di tutte le ragioni e di tutti icavilli per ribattere una domanda legale: ma non avea

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saputo resistere al grido della natura, alla voce arcanadel sangue, a quella prima fonte di bontà che l'amor diTeresa gli avea aperto nel cuore. Tornò per un momentogiovane, affettuoso, immemore della vanità e delle fred-de convenienze sociali. Trovò nella fronte, negli occhi,nel nobile atteggiamento di Cosimo una reminiscenzatoccante[Pg 286] della donna che aveva amato, e un lampodi somiglianza con se medesimo. Non pensò, nons'accorse che aveva dinanzi, che stringeva fra le bracciaun povero contraffatto che la cura ortopedica avea resopoco diverso da quel di prima. In una parola il ghiaccioera rotto: Cosimo avea vinto.

— Vanne — gli disse il conte, — ritorna a' tuoi pro-tettori. Di' loro come t'ho accolto. Oggi verrò a trovarticolà, e c'intenderemo d'accordo sul partito da prendersiper l'avvenire. —

XIX.

Reduce a casa Lanzoni, Cosimo, fuor di sè per la gio-ja, domandò di Angela. Era nel suo giardino, nel giardi-no delle male erbe. Corse a lei difilato, e tutto acceso involto e raggiante per l'ottenuto trionfo, le gridò da lungi,appena la vide: — Madre mia, madre mia! Ho un padre;ho ritrovato mio padre! —

Entrarono entrambi nella capannuccia di paglia chesorgeva presso al cancello di ferro e sedettero. Egli ne

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saputo resistere al grido della natura, alla voce arcanadel sangue, a quella prima fonte di bontà che l'amor diTeresa gli avea aperto nel cuore. Tornò per un momentogiovane, affettuoso, immemore della vanità e delle fred-de convenienze sociali. Trovò nella fronte, negli occhi,nel nobile atteggiamento di Cosimo una reminiscenzatoccante[Pg 286] della donna che aveva amato, e un lampodi somiglianza con se medesimo. Non pensò, nons'accorse che aveva dinanzi, che stringeva fra le bracciaun povero contraffatto che la cura ortopedica avea resopoco diverso da quel di prima. In una parola il ghiaccioera rotto: Cosimo avea vinto.

— Vanne — gli disse il conte, — ritorna a' tuoi pro-tettori. Di' loro come t'ho accolto. Oggi verrò a trovarticolà, e c'intenderemo d'accordo sul partito da prendersiper l'avvenire. —

XIX.

Reduce a casa Lanzoni, Cosimo, fuor di sè per la gio-ja, domandò di Angela. Era nel suo giardino, nel giardi-no delle male erbe. Corse a lei difilato, e tutto acceso involto e raggiante per l'ottenuto trionfo, le gridò da lungi,appena la vide: — Madre mia, madre mia! Ho un padre;ho ritrovato mio padre! —

Entrarono entrambi nella capannuccia di paglia chesorgeva presso al cancello di ferro e sedettero. Egli ne

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avea ben mestieri. La novità e la grandezza delle emo-zioni aveano soverchiato le sue deboli forze. Stette unbuon quarto d'ora senza poter raccontar chiaramente allasua madre adottiva ciò che aveva ottenuto. Quando nar-rò del documento lacerato e gittato dalla finestra, Ange-la lasciò cadere due grosse lagrime, ed abbracciò il po-vero e generoso suo allievo con tutta l'energia dell'affet-to. Egli l'avea indovinata, avea giustificato le sue spe-ranze, le sue previsioni; era degno di lei!

Quel bacio, quell'amplesso, quella tenera e vivaespansione della bella giovanetta posero al colmo, rad-doppiarono la gioja, la felicità dell'orfano fino allora di-seredato, e che ora tutt'ad un tratto toccava l'apice[Pg 287]dei suoi desiderii. Questa nuova febbre di giubilo checommosse l'anima sua, insueta a tali emozioni, si dipin-se negli sguardi, nella fronte, in tutti i lineamenti delviso, sì che in quel momento ei brillò di una bellezzamorale, di un'espressione così ineffabile, che sorprese lasua protettrice medesima, avvezza pure a considerarloattraverso il prisma della sua materna benevolenza. Ah!l'umana natura ha bisogno della felicità per manifestarsinella sua vera sembianza!

Cosimo taceva guardando la sua giardiniera, quellache l'avea coltivato, con una tale espressione di tenerez-za, che tutti gli affetti più dolci di figlio, di fratello, diamante vi apparivano e splendevano insieme.

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avea ben mestieri. La novità e la grandezza delle emo-zioni aveano soverchiato le sue deboli forze. Stette unbuon quarto d'ora senza poter raccontar chiaramente allasua madre adottiva ciò che aveva ottenuto. Quando nar-rò del documento lacerato e gittato dalla finestra, Ange-la lasciò cadere due grosse lagrime, ed abbracciò il po-vero e generoso suo allievo con tutta l'energia dell'affet-to. Egli l'avea indovinata, avea giustificato le sue spe-ranze, le sue previsioni; era degno di lei!

Quel bacio, quell'amplesso, quella tenera e vivaespansione della bella giovanetta posero al colmo, rad-doppiarono la gioja, la felicità dell'orfano fino allora di-seredato, e che ora tutt'ad un tratto toccava l'apice[Pg 287]dei suoi desiderii. Questa nuova febbre di giubilo checommosse l'anima sua, insueta a tali emozioni, si dipin-se negli sguardi, nella fronte, in tutti i lineamenti delviso, sì che in quel momento ei brillò di una bellezzamorale, di un'espressione così ineffabile, che sorprese lasua protettrice medesima, avvezza pure a considerarloattraverso il prisma della sua materna benevolenza. Ah!l'umana natura ha bisogno della felicità per manifestarsinella sua vera sembianza!

Cosimo taceva guardando la sua giardiniera, quellache l'avea coltivato, con una tale espressione di tenerez-za, che tutti gli affetti più dolci di figlio, di fratello, diamante vi apparivano e splendevano insieme.

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Fu il punto culminante della sua vita. Vi è nel succes-sivo sviluppo di un fiore un istante brevissimo in cui lesue foglie, i suoi stami, il suo profumo prendonoun'armonia di forme, un'intensità di vita ineffabile. Unmomento dopo tutta quella grazia, quella freschezza,quella espansione declinano. Quel fiore ha vissuto. Lostesso avvenne di Cosimo.

Giacinto venne a interrompere questa breve felicitàrecando alla padroncina una lettera che era stata portatapoc'anzi.

Era una lettera, come ognuno facilmente indovina,del conte Alberto.

È facile presupporre che la lettera di Angela non erastata straniera all'accoglienza che Cosimo aveva ottenu-to quella mattina. Ma, pur lasciando alla natura il meritoprincipale di quel risultato, il conte non era tale da la-sciarsi sfuggire una buona occasione per farsi un meritopresso alla desiderata fanciulla. Le scriveva dunque cheil foglio che avea trovato rientrando la sera antecedenteavea mutate le disposizioni in cui l'aveva lasciato il col-loquio avuto col padre di lei. Come non riconoscer[Pg288] per figlio un essere qualunque ch'ella avea risguar-dato ed amato per tale? Chiedeva dunque il permesso diconsiderare quel giovanetto come un vincolo comune,come un'arra della sua adesione all'adempimento deisuoi più vivi desiderii. Nella giornata egli si proponeva

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Fu il punto culminante della sua vita. Vi è nel succes-sivo sviluppo di un fiore un istante brevissimo in cui lesue foglie, i suoi stami, il suo profumo prendonoun'armonia di forme, un'intensità di vita ineffabile. Unmomento dopo tutta quella grazia, quella freschezza,quella espansione declinano. Quel fiore ha vissuto. Lostesso avvenne di Cosimo.

Giacinto venne a interrompere questa breve felicitàrecando alla padroncina una lettera che era stata portatapoc'anzi.

Era una lettera, come ognuno facilmente indovina,del conte Alberto.

È facile presupporre che la lettera di Angela non erastata straniera all'accoglienza che Cosimo aveva ottenu-to quella mattina. Ma, pur lasciando alla natura il meritoprincipale di quel risultato, il conte non era tale da la-sciarsi sfuggire una buona occasione per farsi un meritopresso alla desiderata fanciulla. Le scriveva dunque cheil foglio che avea trovato rientrando la sera antecedenteavea mutate le disposizioni in cui l'aveva lasciato il col-loquio avuto col padre di lei. Come non riconoscer[Pg288] per figlio un essere qualunque ch'ella avea risguar-dato ed amato per tale? Chiedeva dunque il permesso diconsiderare quel giovanetto come un vincolo comune,come un'arra della sua adesione all'adempimento deisuoi più vivi desiderii. Nella giornata egli si proponeva

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venire per prendere, d'accordo col signor Lanzoni, le ne-cessarie misure intorno al formale riconoscimento diCosimo; gradisse intanto l'omaggio che a lei ne faceva,e l'espressione rispettosa de' suoi sentimenti. La letteraera garbata e piena di quella eleganza di forme che l'usodella società sa trovare; pure, in quel momento non po-teva che far discendere dal loro cielo quei due cuoripoetici. Ella fece ad Angela l'effetto che farebbe su noiuna polizza da pagare dopo un breve ed effimero godi-mento.

Angela parve rassegnarsi alle conseguenze che preve-deva, e cercare negli occhi di Cosimo e nella espressio-ne della sua felicità la ricompensa di un sacrificio cheprevedeva inevitabile in un tempo più o meno lontano.

Ma gli occhi di Cosimo dimostravano in quel mo-mento una ben diversa emozione. Un'idea che fino allo-ra non si era formulata nella sua mente, un'idea che lesperanze e i timori di quei giorni avevano soffocatanell'animo suo, brillò allora come un lampo sinistro allasua fantasia. Egli non osò pronunciare una sola parola:ma il mortal pallore che coprì le sue gote, il sudor fred-do che bagnò la sua fronte spaventarono la povera An-gela che, senza vedere il fondo della cosa, ne intese ab-bastanza per sentirne ella stessa un brivido involontarioper tutte l'ossa.

Tutte queste emozioni così diverse, così straordinarie

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venire per prendere, d'accordo col signor Lanzoni, le ne-cessarie misure intorno al formale riconoscimento diCosimo; gradisse intanto l'omaggio che a lei ne faceva,e l'espressione rispettosa de' suoi sentimenti. La letteraera garbata e piena di quella eleganza di forme che l'usodella società sa trovare; pure, in quel momento non po-teva che far discendere dal loro cielo quei due cuoripoetici. Ella fece ad Angela l'effetto che farebbe su noiuna polizza da pagare dopo un breve ed effimero godi-mento.

Angela parve rassegnarsi alle conseguenze che preve-deva, e cercare negli occhi di Cosimo e nella espressio-ne della sua felicità la ricompensa di un sacrificio cheprevedeva inevitabile in un tempo più o meno lontano.

Ma gli occhi di Cosimo dimostravano in quel mo-mento una ben diversa emozione. Un'idea che fino allo-ra non si era formulata nella sua mente, un'idea che lesperanze e i timori di quei giorni avevano soffocatanell'animo suo, brillò allora come un lampo sinistro allasua fantasia. Egli non osò pronunciare una sola parola:ma il mortal pallore che coprì le sue gote, il sudor fred-do che bagnò la sua fronte spaventarono la povera An-gela che, senza vedere il fondo della cosa, ne intese ab-bastanza per sentirne ella stessa un brivido involontarioper tutte l'ossa.

Tutte queste emozioni così diverse, così straordinarie

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avrebbero sopraffatto una più forte natura che non eraquella di Cosimo. Ei soccombette. Angela, spaventata,dovette richiamare Giacinto che lavorava poco lontano,e tutti e due sorressero Cosimo, e lo condussero[Pg 289]nella sua stanza in uno stato di crisi nervosa che duròlungo tempo prima di permettergli l'uso de' sensi. Il si-gnor Lanzoni ne fu avvertito, e informato della visitache avea fatta e delle conseguenze felici che ne avevaottenute, attribuì quel deliquio alla gioia improvvisa,allo sforzo fatto, alla notte vegliata. Obbligò il giovanet-to a coricarsi, a prender riposo, e riporre in calma i suoispiriti. Permise ad Angela di rimanere presso all'infer-mo, finchè avesse mostrata disposizione a dormire, e,senza dirlo, mandò a chiamare il dottore.

Non andò molto che Cosimo si assopì, ma non fu giàquesto quel sonno benefico che ristaura e risana. Fu unnuovo periodo, una nuova fase della crisi che l'avea col-to. Angela, che per un momento lo credette addormenta-to davvero, si dispose sulla punta de' piedi a lasciare lastanza. Ma un gemito sordo e straziante partì dal pettoprofondo dell'ammalato. — Non partire, non lasciarmi,Angela della mia vita. Pochi momenti mi restano a vive-re sotto queste forme disgraziate e già prossime a scio-gliersi. Rimani! Tu sola mi potresti comprendere! Tusola attenuare la pena del mio passaggio a una nuovaesistenza.... —

Angela si fermò come fosse sotto l'influenza di un co-

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avrebbero sopraffatto una più forte natura che non eraquella di Cosimo. Ei soccombette. Angela, spaventata,dovette richiamare Giacinto che lavorava poco lontano,e tutti e due sorressero Cosimo, e lo condussero[Pg 289]nella sua stanza in uno stato di crisi nervosa che duròlungo tempo prima di permettergli l'uso de' sensi. Il si-gnor Lanzoni ne fu avvertito, e informato della visitache avea fatta e delle conseguenze felici che ne avevaottenute, attribuì quel deliquio alla gioia improvvisa,allo sforzo fatto, alla notte vegliata. Obbligò il giovanet-to a coricarsi, a prender riposo, e riporre in calma i suoispiriti. Permise ad Angela di rimanere presso all'infer-mo, finchè avesse mostrata disposizione a dormire, e,senza dirlo, mandò a chiamare il dottore.

Non andò molto che Cosimo si assopì, ma non fu giàquesto quel sonno benefico che ristaura e risana. Fu unnuovo periodo, una nuova fase della crisi che l'avea col-to. Angela, che per un momento lo credette addormenta-to davvero, si dispose sulla punta de' piedi a lasciare lastanza. Ma un gemito sordo e straziante partì dal pettoprofondo dell'ammalato. — Non partire, non lasciarmi,Angela della mia vita. Pochi momenti mi restano a vive-re sotto queste forme disgraziate e già prossime a scio-gliersi. Rimani! Tu sola mi potresti comprendere! Tusola attenuare la pena del mio passaggio a una nuovaesistenza.... —

Angela si fermò come fosse sotto l'influenza di un co-

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mando magnetico. Si assise accanto al letto di Cosimosenza parlare, e pose la sua mano fresca e lieve sullafronte di lui secca e ardente per febbre. A poco a poco ilineamenti dell'ammalato si ricomposero in una calmaserena. La pelle sotto la mano di Angela si coprì di undolce madore. Quella specie di catalessi divenne sonno,ma il viso e la bocca continuarono ad atteggiarsi a variaespressione, come uno specchio dinanzi al quale passas-sero varie e diverse prospettive, ora amene e ridenti, oraselvagge ed ingrate.

Cosimo continuò a parlare come sognando, ma[Pg 290]senza dirigere il discorso alla sua suora di carità. Ei ve-deva certamente nei suoi sogni la bella inglese dellaquale avea tenuto parola in una delle sue lettere, e pareal'esortasse alla solitudine. — No, Evelina, — diceva —voi non potreste mai esser riamata dell'amore che meri-tate. Quella macchia originale lo impedirà. Rassegnatevia passare la fase presente del viver vostro senza le divi-ne consolazioni di un amor corrisposto. Che fa? Se avre-te espiato con opere degne il peccato materno, rivivretepresto più bella ed immacolata un nuovo periodo vitale:avrete uno sposo che v'ami, e figli sani e leggiadri adimagine vostra. Vivere senza amore.... non è vivere....ma amare senza poter esser riamato è un inferno. Dio viguardi dalla disperazione!... — Qui ci fu un'altra pausadurante la quale il sonnambulismo di Cosimo s'interrup-pe, o almeno non si manifestò con modi e con parole sìlucide.

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mando magnetico. Si assise accanto al letto di Cosimosenza parlare, e pose la sua mano fresca e lieve sullafronte di lui secca e ardente per febbre. A poco a poco ilineamenti dell'ammalato si ricomposero in una calmaserena. La pelle sotto la mano di Angela si coprì di undolce madore. Quella specie di catalessi divenne sonno,ma il viso e la bocca continuarono ad atteggiarsi a variaespressione, come uno specchio dinanzi al quale passas-sero varie e diverse prospettive, ora amene e ridenti, oraselvagge ed ingrate.

Cosimo continuò a parlare come sognando, ma[Pg 290]senza dirigere il discorso alla sua suora di carità. Ei ve-deva certamente nei suoi sogni la bella inglese dellaquale avea tenuto parola in una delle sue lettere, e pareal'esortasse alla solitudine. — No, Evelina, — diceva —voi non potreste mai esser riamata dell'amore che meri-tate. Quella macchia originale lo impedirà. Rassegnatevia passare la fase presente del viver vostro senza le divi-ne consolazioni di un amor corrisposto. Che fa? Se avre-te espiato con opere degne il peccato materno, rivivretepresto più bella ed immacolata un nuovo periodo vitale:avrete uno sposo che v'ami, e figli sani e leggiadri adimagine vostra. Vivere senza amore.... non è vivere....ma amare senza poter esser riamato è un inferno. Dio viguardi dalla disperazione!... — Qui ci fu un'altra pausadurante la quale il sonnambulismo di Cosimo s'interrup-pe, o almeno non si manifestò con modi e con parole sìlucide.

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Angela assisteva con un profondo accoramento a que-ste involontarie rivelazioni di una passione, che in istatodi veglia il povero Cosimo non avrebbe mai palesata.Credette che il contatto della sua mano fosse causa diquella specie di allucinazione, e si provò a ritirarla. Ma ilineamenti dell'infermo si contrassero tosto dolorosa-mente, onde la buona giovanetta non osò insistere, e tor-nò alla prima attitudine. Da lì a un istante i primi feno-meni di calma si riprodussero, e il sonniloquo rivolse alei la parola quasi vegliando, ma senza aprir le palpebre,e senza aver coscienza del proprio stato. — Ascoltatemi— disse — ascoltatemi bene. Vi racconterò una storiameravigliosa. Avete voi conosciuto mia madre? La chia-mavano nella contrada la bella Teresa. Era guantaja diprofessione, ma meritava di essere una regina. Tuttiquelli che la vedevano n'erano presi d'ammirazione ed'amore. Fra questi.... un giorno.... una domenica[Pg 291]la vide il contino. Erano fatti l'uno per l'altra: giovani ebelli ambidue. Il conte diceva nel suo cuore: Oh! se tufossi nata nobile e ricca! La Teresa diceva dal canto suo:Oh! se tu fossi un buono ed onesto operajo! Ebbene: ilconte divenne operajo e la sposò. Ma non potè cambiarel'animo suo. L'animo rimase sempre orgoglioso, e si ver-gognò ben presto di aver potuto amare e sposare una po-vera guantaja! Egli era tutto pieno di sè, e superbo sopratutto della propria bellezza. Un giorno che il suo animoera più che mai compreso da un ingiusto disprezzo ver-so l'umanità.... gli nacque un figliuolo, che fu il figliuolodel suo disprezzo, e lo animò del suo spirito impregnato

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Angela assisteva con un profondo accoramento a que-ste involontarie rivelazioni di una passione, che in istatodi veglia il povero Cosimo non avrebbe mai palesata.Credette che il contatto della sua mano fosse causa diquella specie di allucinazione, e si provò a ritirarla. Ma ilineamenti dell'infermo si contrassero tosto dolorosa-mente, onde la buona giovanetta non osò insistere, e tor-nò alla prima attitudine. Da lì a un istante i primi feno-meni di calma si riprodussero, e il sonniloquo rivolse alei la parola quasi vegliando, ma senza aprir le palpebre,e senza aver coscienza del proprio stato. — Ascoltatemi— disse — ascoltatemi bene. Vi racconterò una storiameravigliosa. Avete voi conosciuto mia madre? La chia-mavano nella contrada la bella Teresa. Era guantaja diprofessione, ma meritava di essere una regina. Tuttiquelli che la vedevano n'erano presi d'ammirazione ed'amore. Fra questi.... un giorno.... una domenica[Pg 291]la vide il contino. Erano fatti l'uno per l'altra: giovani ebelli ambidue. Il conte diceva nel suo cuore: Oh! se tufossi nata nobile e ricca! La Teresa diceva dal canto suo:Oh! se tu fossi un buono ed onesto operajo! Ebbene: ilconte divenne operajo e la sposò. Ma non potè cambiarel'animo suo. L'animo rimase sempre orgoglioso, e si ver-gognò ben presto di aver potuto amare e sposare una po-vera guantaja! Egli era tutto pieno di sè, e superbo sopratutto della propria bellezza. Un giorno che il suo animoera più che mai compreso da un ingiusto disprezzo ver-so l'umanità.... gli nacque un figliuolo, che fu il figliuolodel suo disprezzo, e lo animò del suo spirito impregnato

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di questa mala e perversa abitudine. Ne nacque unamala erba, una euforbia velenosa, uno sterpo infecondonel quale i succhi vitali circolavano a stento, e il germeimbozzacchito non poteva svolgersi nè in fiore nè infrutto. Il conte arrossì dell'opera sua, e si vergognò delladonna che senza saperlo gli avea dato mano a compir-la.... La donna morì, il figlio morì.... Sì, ve lo giuro,morì! Che poteva egli fare sulla terra? Egli non potevanè amare, nè essere amato. Le sue labbra non avrebberomai potuto proferire la parola amore.... —

Dicendo queste parole gli occhi del povero delirantes'impregnarono di lagrime: nè queste lagrime furonosole. Angela pianse anch'essa silenziosamente, guardan-do con soave espressione d'amore l'essere straordinarioche avea da canto.

Noi non oseremo commentare nè quello sguardo, nèquelle lagrime. La compassione d'un'anima delicata egentile è così vicina all'amore! Ma se nello stato di ten-sione magnetica, le anime si comunicano mutuamente ilor sentimenti, Cosimo dovette aver avuto in quel mo-mento, se non la certezza, almeno una consolante spe-ranza d'essere amato. Checchè ne fosse, la posizionedi[Pg 292] Angela cominciava ad essere imbarazzante.Non ci avea pensato fino a quel punto, ma dopo i singo-lari vaneggiamenti del giovanetto, il natural pudore del-la buona fanciulla cominciava a colorar le sue gote e arenderla più perplessa che mai.

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di questa mala e perversa abitudine. Ne nacque unamala erba, una euforbia velenosa, uno sterpo infecondonel quale i succhi vitali circolavano a stento, e il germeimbozzacchito non poteva svolgersi nè in fiore nè infrutto. Il conte arrossì dell'opera sua, e si vergognò delladonna che senza saperlo gli avea dato mano a compir-la.... La donna morì, il figlio morì.... Sì, ve lo giuro,morì! Che poteva egli fare sulla terra? Egli non potevanè amare, nè essere amato. Le sue labbra non avrebberomai potuto proferire la parola amore.... —

Dicendo queste parole gli occhi del povero delirantes'impregnarono di lagrime: nè queste lagrime furonosole. Angela pianse anch'essa silenziosamente, guardan-do con soave espressione d'amore l'essere straordinarioche avea da canto.

Noi non oseremo commentare nè quello sguardo, nèquelle lagrime. La compassione d'un'anima delicata egentile è così vicina all'amore! Ma se nello stato di ten-sione magnetica, le anime si comunicano mutuamente ilor sentimenti, Cosimo dovette aver avuto in quel mo-mento, se non la certezza, almeno una consolante spe-ranza d'essere amato. Checchè ne fosse, la posizionedi[Pg 292] Angela cominciava ad essere imbarazzante.Non ci avea pensato fino a quel punto, ma dopo i singo-lari vaneggiamenti del giovanetto, il natural pudore del-la buona fanciulla cominciava a colorar le sue gote e arenderla più perplessa che mai.

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Fortunatamente il dottore sopraggiunse, accompagna-to dal signor Lanzoni e dal conte Alberto. Cosimo, ben-chè assopito, se ne accorse, prima ancora che Angelaudisse i lor passi sopra le scale. Entrati che furono nellastanza, chiesero ad Angela come avesse riposato l'infer-mo. — Da oltre un'ora — rispose — è assopito a quelmodo. Ma non è un sonno tranquillo. Delira sovente eparla fra sè. —

Il medico lo guardò attentamente, gli sentì la fronte,gli tastò il polso, senza che l'infermo aprisse gli occhi ofacesse il più piccolo movimento. Era una vera catalessi.Senza essere soverchiamente credulo alle meraviglie delmagnetismo animale, il dottore aveva avuto sovente oc-casione di esaminarne i fenomeni, e li avea creduti de-gni di studio coscienzioso e profondo. Era stato infor-mato dal conte Alberto dello stato di esaltazione in cuil'avea posto il colloquio della mattina: e benchè ignoras-se i particolari del fatto, non durò fatica a farsi una dia-gnosi esatta della condizione dell'ammalato. Gli fece re-spirare dell'etere, e ben presto lo scosse da quel morbosoassopimento in cui lo vedeva.

Risentitosi il poveretto girò intorno gli occhi spaven-tati come colui che fino allora non aveva avuta coscien-za di sè, nè del luogo dove giaceva, nè delle persone cheavea dattorno. Domandò che ora fosse, e veduto il solealto, ebbe un'idea di aver dormito e sognato fino dallasera antecedente. Ma la presenza del conte Alberto lo

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Fortunatamente il dottore sopraggiunse, accompagna-to dal signor Lanzoni e dal conte Alberto. Cosimo, ben-chè assopito, se ne accorse, prima ancora che Angelaudisse i lor passi sopra le scale. Entrati che furono nellastanza, chiesero ad Angela come avesse riposato l'infer-mo. — Da oltre un'ora — rispose — è assopito a quelmodo. Ma non è un sonno tranquillo. Delira sovente eparla fra sè. —

Il medico lo guardò attentamente, gli sentì la fronte,gli tastò il polso, senza che l'infermo aprisse gli occhi ofacesse il più piccolo movimento. Era una vera catalessi.Senza essere soverchiamente credulo alle meraviglie delmagnetismo animale, il dottore aveva avuto sovente oc-casione di esaminarne i fenomeni, e li avea creduti de-gni di studio coscienzioso e profondo. Era stato infor-mato dal conte Alberto dello stato di esaltazione in cuil'avea posto il colloquio della mattina: e benchè ignoras-se i particolari del fatto, non durò fatica a farsi una dia-gnosi esatta della condizione dell'ammalato. Gli fece re-spirare dell'etere, e ben presto lo scosse da quel morbosoassopimento in cui lo vedeva.

Risentitosi il poveretto girò intorno gli occhi spaven-tati come colui che fino allora non aveva avuta coscien-za di sè, nè del luogo dove giaceva, nè delle persone cheavea dattorno. Domandò che ora fosse, e veduto il solealto, ebbe un'idea di aver dormito e sognato fino dallasera antecedente. Ma la presenza del conte Alberto lo

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rassicurò. Gli tese la mano, che quegli strinse affettuosa-mente nella sua. Ma entrato nella realtà[Pg 293] della vita,sentì più forte il suo male, e i sintomi della febbre cere-brale si mostrarono sì manifesti, che il medico ordinòtosto un'emissione di sangue.

Cosimo si prestò a questo e agli altri trattamenti ener-gici a cui fu sottoposto con una rassegnazione affatto in-dolente e passiva. Si sarebbe detto, ch'ei fosse già prepa-rato a soccombere al morbo improvviso che l'avea colto.

XX.

Abbrevieremo più che si possa questa parte dolorosadel nostro racconto. Che giova insistere sui particolari diun'agonia di cui tutti oggimai possono prevedere lo scio-glimento!

Il nostro povero amico rappresenta in se stesso la lot-ta di quei due principj che continueremo a nominare lospirito e la materia. Questa misteriosa antinomìa che simanifesta più o meno in tutti gli esseri senzienti, eragiunta in lui al massimo grado di tensione e di violenza.

Seguendo a chiamare le cose coi nomi che tutti inten-dono, la battaglia dell'anima e del corpo era in esso unatrista ed ereditaria fatalità. Svolgete in un organismo di-fettoso e viziato la forza morale: questa, non potendogiugnere a crearsi organi nuovi, o frangerà il suo vaso

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rassicurò. Gli tese la mano, che quegli strinse affettuosa-mente nella sua. Ma entrato nella realtà[Pg 293] della vita,sentì più forte il suo male, e i sintomi della febbre cere-brale si mostrarono sì manifesti, che il medico ordinòtosto un'emissione di sangue.

Cosimo si prestò a questo e agli altri trattamenti ener-gici a cui fu sottoposto con una rassegnazione affatto in-dolente e passiva. Si sarebbe detto, ch'ei fosse già prepa-rato a soccombere al morbo improvviso che l'avea colto.

XX.

Abbrevieremo più che si possa questa parte dolorosadel nostro racconto. Che giova insistere sui particolari diun'agonia di cui tutti oggimai possono prevedere lo scio-glimento!

Il nostro povero amico rappresenta in se stesso la lot-ta di quei due principj che continueremo a nominare lospirito e la materia. Questa misteriosa antinomìa che simanifesta più o meno in tutti gli esseri senzienti, eragiunta in lui al massimo grado di tensione e di violenza.

Seguendo a chiamare le cose coi nomi che tutti inten-dono, la battaglia dell'anima e del corpo era in esso unatrista ed ereditaria fatalità. Svolgete in un organismo di-fettoso e viziato la forza morale: questa, non potendogiugnere a crearsi organi nuovi, o frangerà il suo vaso

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d'argilla, o imprigionata, suo malgrado, ritorcerà la suaenergia sopra se stessa, esagererà il suo principio, e pro-romperà in delirio e in pazzia.

Se quella fatal lettera non fosse mai caduta nelle manidi Angela, e Cosimo avesse continuato ad ignorar la suanascita, egli sarebbe rimasto contento nell'umile suacondizione, o forse, a forza d'ingegno, di studio e[Pg 294]d'amore, sarebbe giunto a crearsi un'esistenza poetica incui la stessa singolarità avrebbe avuto le sue gioje e lesue secrete consolazioni.

La sua sventura, quella che fece più duro e fatale ilconflitto, fu di trovare nel proprio padre un rivale, un ri-vale che non potea confessare, e contro cui non poteva enon voleva combattere. Si rassegnò dunque a cedere illuogo, e a morire.

Angela era troppo inesperta della vita, troppo sempli-ce e buona per prevedere le conseguenze di questa lotta.Sentì coll'istinto del cuore di che si trattava, e più voltefu sul punto di dire al povero nano: — Consolati, iot'amo, io sarò quello che tu vorrai, madre, sorella, mo-glie, amica, la compagna in una parola della tua vita,l'angelo ispiratore de' tuoi pensieri e de' tuoi sentimenti.— Ma l'arrestava il timore che una tale rivelazione aves-se a creare nel povero infermo speranze ed affetti im-possibili. Suo padre, sua zia avrebbero essi mai consen-tito a questa unione stravagante e contraria ad ogni con-

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d'argilla, o imprigionata, suo malgrado, ritorcerà la suaenergia sopra se stessa, esagererà il suo principio, e pro-romperà in delirio e in pazzia.

Se quella fatal lettera non fosse mai caduta nelle manidi Angela, e Cosimo avesse continuato ad ignorar la suanascita, egli sarebbe rimasto contento nell'umile suacondizione, o forse, a forza d'ingegno, di studio e[Pg 294]d'amore, sarebbe giunto a crearsi un'esistenza poetica incui la stessa singolarità avrebbe avuto le sue gioje e lesue secrete consolazioni.

La sua sventura, quella che fece più duro e fatale ilconflitto, fu di trovare nel proprio padre un rivale, un ri-vale che non potea confessare, e contro cui non poteva enon voleva combattere. Si rassegnò dunque a cedere illuogo, e a morire.

Angela era troppo inesperta della vita, troppo sempli-ce e buona per prevedere le conseguenze di questa lotta.Sentì coll'istinto del cuore di che si trattava, e più voltefu sul punto di dire al povero nano: — Consolati, iot'amo, io sarò quello che tu vorrai, madre, sorella, mo-glie, amica, la compagna in una parola della tua vita,l'angelo ispiratore de' tuoi pensieri e de' tuoi sentimenti.— Ma l'arrestava il timore che una tale rivelazione aves-se a creare nel povero infermo speranze ed affetti im-possibili. Suo padre, sua zia avrebbero essi mai consen-tito a questa unione stravagante e contraria ad ogni con-

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venienza sociale? D'altronde, ella aveva implicitamenteofferta la sua mano al conte Alberto, come condizione,come premio al riconoscimento di Cosimo; riconosci-mento ch'ella credeva fino allora l'unico desiderio delsuo allievo, l'unico bisogno dell'anima sua. La sua ma-lattia, i fenomeni bizzarri che l'accompagnarono, le sco-prirono un altro dolore, un altro ostacolo alla felicità diCosimo, nè a questi sapeva trovare rimedio efficace,nemmeno col sacrificio di tutta se stessa.

Esitò a lungo se dovesse astenersi da ogni espansioneaffettuosa, o se fosse più utile far conoscere a quellosventurato che il di lei cuore avea indovinata la sua pas-sione, e non era lontano dal corrispondervi. Così passa-rono i primi giorni senza ch'ella potesse risolversi a nul-la, e la malattia, malgrado tutte le cure de' medici,[Pg 295]s'aggravò per modo che si disperava oggimai di potercombatterla e vincerla.

Il conte Alberto era assiduo al letto dell'ammalatocome un padre verso l'unico e ben amato figliuolo.L'affetto di Angela era stato d'esempio e di stimolo alsuo. Essi lo amavano come fosse davvero un frutto delloro amore reciproco. Cosimo accettava con eguali di-mostrazioni di gratitudine le cure di entrambi: mal'occhio di Angela non avea tardato a scoprire una invo-lontaria amarezza nello sguardo e nell'accento di Cosi-mo, quando il conte accostavasi a lei e le parlavadell'avvenire che li attendeva.

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venienza sociale? D'altronde, ella aveva implicitamenteofferta la sua mano al conte Alberto, come condizione,come premio al riconoscimento di Cosimo; riconosci-mento ch'ella credeva fino allora l'unico desiderio delsuo allievo, l'unico bisogno dell'anima sua. La sua ma-lattia, i fenomeni bizzarri che l'accompagnarono, le sco-prirono un altro dolore, un altro ostacolo alla felicità diCosimo, nè a questi sapeva trovare rimedio efficace,nemmeno col sacrificio di tutta se stessa.

Esitò a lungo se dovesse astenersi da ogni espansioneaffettuosa, o se fosse più utile far conoscere a quellosventurato che il di lei cuore avea indovinata la sua pas-sione, e non era lontano dal corrispondervi. Così passa-rono i primi giorni senza ch'ella potesse risolversi a nul-la, e la malattia, malgrado tutte le cure de' medici,[Pg 295]s'aggravò per modo che si disperava oggimai di potercombatterla e vincerla.

Il conte Alberto era assiduo al letto dell'ammalatocome un padre verso l'unico e ben amato figliuolo.L'affetto di Angela era stato d'esempio e di stimolo alsuo. Essi lo amavano come fosse davvero un frutto delloro amore reciproco. Cosimo accettava con eguali di-mostrazioni di gratitudine le cure di entrambi: mal'occhio di Angela non avea tardato a scoprire una invo-lontaria amarezza nello sguardo e nell'accento di Cosi-mo, quando il conte accostavasi a lei e le parlavadell'avvenire che li attendeva.

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Questa scoperta la determinò ad aprire a Cosimo tuttol'animo suo. Un giorno ch'era sola con lui, e lo vedevameno abbattuto del solito, gli entrò a parlare del proget-to di matrimonio che pareva così sorridere al conte, glidisse che questa unione le pareva accettabile solo perchèavrebbe continuato ad essergli madre, e a prestargli tuttele cure di cui abbisognava il suo stato.

Cosimo sospirò, e non rispose.

— Perchè non rispondi? — soggiunse Angela. — Tusai bene ch'io mi son consecrata tutta intera alla tua feli-cità: tu sai bene che il conte Alberto non sarebbe mai di-venuto mio sposo, se non a patto di accettarti qual figlio.E se un altro nome, che quel di madre, ti fosse sembratopiù desiderabile, il mio cuore non avrebbe avuto alcunaripulsa, alcuna ripugnanza a dartene un altro. Tu sai, Co-simo, che le anime nostre si sono intese fino dal primomomento, e che nessun desiderio potrebbe sorgere nellatua, che non avesse un'eco nell'anima mia. Io sono per-fettamente libera, o Cosimo, e non consentirò ad alcunlegame, se non a patto ch'esso possa contribuire alla tuafelicità. —

Cosimo fissò i suoi grandi occhi malinconici sopra[Pg296] Angela, aspirò con tutti i sensi queste parole che ri-velavano ad un tempo il suo segreto, e realizzavano ilpiù vivo de' suoi desiderii. — Angela, è egli vero ciòche mi dici? Non lusinghi tu forse con queste parole le

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Questa scoperta la determinò ad aprire a Cosimo tuttol'animo suo. Un giorno ch'era sola con lui, e lo vedevameno abbattuto del solito, gli entrò a parlare del proget-to di matrimonio che pareva così sorridere al conte, glidisse che questa unione le pareva accettabile solo perchèavrebbe continuato ad essergli madre, e a prestargli tuttele cure di cui abbisognava il suo stato.

Cosimo sospirò, e non rispose.

— Perchè non rispondi? — soggiunse Angela. — Tusai bene ch'io mi son consecrata tutta intera alla tua feli-cità: tu sai bene che il conte Alberto non sarebbe mai di-venuto mio sposo, se non a patto di accettarti qual figlio.E se un altro nome, che quel di madre, ti fosse sembratopiù desiderabile, il mio cuore non avrebbe avuto alcunaripulsa, alcuna ripugnanza a dartene un altro. Tu sai, Co-simo, che le anime nostre si sono intese fino dal primomomento, e che nessun desiderio potrebbe sorgere nellatua, che non avesse un'eco nell'anima mia. Io sono per-fettamente libera, o Cosimo, e non consentirò ad alcunlegame, se non a patto ch'esso possa contribuire alla tuafelicità. —

Cosimo fissò i suoi grandi occhi malinconici sopra[Pg296] Angela, aspirò con tutti i sensi queste parole che ri-velavano ad un tempo il suo segreto, e realizzavano ilpiù vivo de' suoi desiderii. — Angela, è egli vero ciòche mi dici? Non lusinghi tu forse con queste parole le

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ultime e assurde aspirazioni di un moribondo? Amarti,sapermi amato da te! . . . . . . . . . Come hai tu saputo in-dovinare questo secreto, ch'io sarei morto mille voltepiuttosto di lasciartelo intravedere?

— Io lo so perchè amo non meno di te . . .

— Ah! taci, taci per carità . . . che nessuno lo sappia,che nessuno lo immagini mai! I miei voti sono soddi-sfatti, io ho raggiunto il fine della mia vita! . . . È troppotardi, è troppo tardi! . . . — E qui si abbandonò ad unpianto dirotto che non lasciò più luogo alla voce, ed eglinon potè più articolare parola.

Dopo un lungo intervallo, raccogliendo con supremosforzo i proprj pensieri, e prendendo un tuono grave esolenne: — Angela — soggiunse — tu dài ora l'ultimaprova alla nuova dottrina dell'immortalità di cui ti hoscritto e parlato sovente. Io son vicino più che non credia toccare le soglie di quel mondo sconosciuto che ri-schiarerà una nuova fase della nostra esistenza. Postofra il confine d'una vita che mi sfugge, e di un'altra chem'attende, io non posso più dubitare d'una giustizia futu-ra che completerà la presente. La terra è un purgatorio,ove noi scontiamo le colpe passate, e ci affiniamo permeritare un migliore destino. Vi sono vite che compionoarmonicamente la loro carriera, quando l'anima e i suoiorgani esterni si corrispondono mutuamente. Sono queigermi ben naturati che fioriscono e fruttificano secondo

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ultime e assurde aspirazioni di un moribondo? Amarti,sapermi amato da te! . . . . . . . . . Come hai tu saputo in-dovinare questo secreto, ch'io sarei morto mille voltepiuttosto di lasciartelo intravedere?

— Io lo so perchè amo non meno di te . . .

— Ah! taci, taci per carità . . . che nessuno lo sappia,che nessuno lo immagini mai! I miei voti sono soddi-sfatti, io ho raggiunto il fine della mia vita! . . . È troppotardi, è troppo tardi! . . . — E qui si abbandonò ad unpianto dirotto che non lasciò più luogo alla voce, ed eglinon potè più articolare parola.

Dopo un lungo intervallo, raccogliendo con supremosforzo i proprj pensieri, e prendendo un tuono grave esolenne: — Angela — soggiunse — tu dài ora l'ultimaprova alla nuova dottrina dell'immortalità di cui ti hoscritto e parlato sovente. Io son vicino più che non credia toccare le soglie di quel mondo sconosciuto che ri-schiarerà una nuova fase della nostra esistenza. Postofra il confine d'una vita che mi sfugge, e di un'altra chem'attende, io non posso più dubitare d'una giustizia futu-ra che completerà la presente. La terra è un purgatorio,ove noi scontiamo le colpe passate, e ci affiniamo permeritare un migliore destino. Vi sono vite che compionoarmonicamente la loro carriera, quando l'anima e i suoiorgani esterni si corrispondono mutuamente. Sono queigermi ben naturati che fioriscono e fruttificano secondo

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la loro specie crescendo d'anno in anno in forza e in bel-lezza. Ma ve ne sono altri che, per mancanza d'opportu-no alimento, e per cause che l'occhio umano non può di-scernere, abbozzano e muojono prima di avere il loro[Pg297] completo sviluppo. Io sono uno di questi ultimi.L'uomo è un germe che ha la coscienza di se medesimo,che ha un principio libero e attivo di cui deve renderconto a se stesso e al supremo ordinatore della natura.Tu hai elevato l'anima mia a tanta nobiltà di sentimenti,di pensieri e d'affetti, che non potevano più svilupparsinegli organi difettosi che ho sortito nascendo. Qualun-que sia la legge misteriosa che mi condanna ad una mor-te immatura, io non me ne lagno e non accuso l'ingiusti-zia della fortuna. Sento che io non posso morir tutto in-tero. Una parte di me, la parte migliore, sopravviveràalla presente esistenza, e si creerà un corpo più acconcioad elevarsi e progredire nell'immensa scala degli esseriumani. Questa fu per me fino ad ora un'ipotesi consolan-te: ora è divenuta una fede. Il tuo amore mi mancava apersuadermi di quest'alta e universale giustizia: tu me loaccordi.... ebbene! io muoio contento e sicuro di rina-scere migliore! —

Non era la prima volta che Angela udiva ragionare diquesta palingenesi umana. Ella vi prestava attenzionecome ad una graziosa e soave ipotesi, come ad una spie-gazione razionale del dogma della vita avvenire. Magiammai fino allora Cosimo aveva fatta una professionecosì esplicita della sua fede. Ella la udì col rispetto che

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la loro specie crescendo d'anno in anno in forza e in bel-lezza. Ma ve ne sono altri che, per mancanza d'opportu-no alimento, e per cause che l'occhio umano non può di-scernere, abbozzano e muojono prima di avere il loro[Pg297] completo sviluppo. Io sono uno di questi ultimi.L'uomo è un germe che ha la coscienza di se medesimo,che ha un principio libero e attivo di cui deve renderconto a se stesso e al supremo ordinatore della natura.Tu hai elevato l'anima mia a tanta nobiltà di sentimenti,di pensieri e d'affetti, che non potevano più svilupparsinegli organi difettosi che ho sortito nascendo. Qualun-que sia la legge misteriosa che mi condanna ad una mor-te immatura, io non me ne lagno e non accuso l'ingiusti-zia della fortuna. Sento che io non posso morir tutto in-tero. Una parte di me, la parte migliore, sopravviveràalla presente esistenza, e si creerà un corpo più acconcioad elevarsi e progredire nell'immensa scala degli esseriumani. Questa fu per me fino ad ora un'ipotesi consolan-te: ora è divenuta una fede. Il tuo amore mi mancava apersuadermi di quest'alta e universale giustizia: tu me loaccordi.... ebbene! io muoio contento e sicuro di rina-scere migliore! —

Non era la prima volta che Angela udiva ragionare diquesta palingenesi umana. Ella vi prestava attenzionecome ad una graziosa e soave ipotesi, come ad una spie-gazione razionale del dogma della vita avvenire. Magiammai fino allora Cosimo aveva fatta una professionecosì esplicita della sua fede. Ella la udì col rispetto che

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Page 382: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

si deve alle parole supreme d'un essere amato che staper trovarsi al cospetto del misterioso avvenire. Si con-tentò di consigliare a Cosimo di non abbandonarsi piùche non convenisse a queste divinazioni dell'infinito chestancano la mente e tolgono al cuore il necessario ripo-so. Non pensasse ad abbreviare la presente esistenza pri-ma del tempo...

— No, no — riprese Cosimo. — Vedi, io sono oggi-mai tranquillissimo. Aspetterò senza dolore e senza im-pazienza la legge del tempo. Dammi quella pozioneamara[Pg 298] che ho ricusato finora di prendere. Ora nonne sentirò più l'amarezza. Vo' prolungare quanto potròquesta fase della mia vita che tu hai sparso di tanta dol-cezza e di tanti conforti! —

Malgrado questa calma apparente, il medico soprav-venuto più tardi trovò cresciuta la febbre, e indebolita lafibra dell'ammalato. Egli non lo diceva ancora, ma erafacile leggere ne' suoi sguardi accigliati che poca spe-ranza oggimai più restava di guarigione.

Così passarono ancora parecchi giorni. Cosimo avevaottenuto di lasciare il letto, e di coricarsi sopra di unseggiolone che faceva collocare dinanzi alla finestra delgiardino, per vedere le cime degli alberi e gli uccellisvolazzare di frasca in frasca pieni di quella vita che alui veniva insensibilmente mancando.

Una sera, mentre il sole tramontava sereno, e colora-

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si deve alle parole supreme d'un essere amato che staper trovarsi al cospetto del misterioso avvenire. Si con-tentò di consigliare a Cosimo di non abbandonarsi piùche non convenisse a queste divinazioni dell'infinito chestancano la mente e tolgono al cuore il necessario ripo-so. Non pensasse ad abbreviare la presente esistenza pri-ma del tempo...

— No, no — riprese Cosimo. — Vedi, io sono oggi-mai tranquillissimo. Aspetterò senza dolore e senza im-pazienza la legge del tempo. Dammi quella pozioneamara[Pg 298] che ho ricusato finora di prendere. Ora nonne sentirò più l'amarezza. Vo' prolungare quanto potròquesta fase della mia vita che tu hai sparso di tanta dol-cezza e di tanti conforti! —

Malgrado questa calma apparente, il medico soprav-venuto più tardi trovò cresciuta la febbre, e indebolita lafibra dell'ammalato. Egli non lo diceva ancora, ma erafacile leggere ne' suoi sguardi accigliati che poca spe-ranza oggimai più restava di guarigione.

Così passarono ancora parecchi giorni. Cosimo avevaottenuto di lasciare il letto, e di coricarsi sopra di unseggiolone che faceva collocare dinanzi alla finestra delgiardino, per vedere le cime degli alberi e gli uccellisvolazzare di frasca in frasca pieni di quella vita che alui veniva insensibilmente mancando.

Una sera, mentre il sole tramontava sereno, e colora-

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va dei caldi suoi raggi le bianche e leggiere nuvoletteche vagavano sull'orizzonte, Cosimo chiese di vedere ilconte Alberto. Egli venne in compagnia del padre diAngela. Prendendo allora la mano di questa che oggimainon l'abbandonava che per brevissimi istanti: — Miamadre — disse — mi vi ha lasciato in eredità. Io nonsono stato un tesoro per voi, ma voi siete stata un tesoroinapprezzabile per me. Io me ne vado consolato dallevostre cure, dal vostro affetto. Ma mi resta ancora acompiere una parte della mia missione su questa terra.— Così dicendo pose la mano di Angela che stringevain quella del padre suo. — Ecco — egli disse — il testa-mento del povero Cosimo. Amatevi, e come mi fostemadre e padre finora o d'affetto o di sangue, conservateentrambi questo carattere anche dopo la mia partenza.Chi sa? Io rinascerò sulla terra per completare la miaesistenza. Forse rinascerò vostro figlio, e il primo fruttodella vostra unione sarà forse una riproduzione dellamia vita sotto[Pg 299] auspicj e con elementi migliori.Chiamatelo Cosimo in memoria di quello che oggi vi la-scia. A rivederci! —

Angela piangeva dirottamente. Il conte Alberto e il si-gnor Lanzoni avevano anch'essi umidi gli occhi di pian-to. Le due mani che il moribondo aveva congiunte rima-sero strette, ed egli spirò di lì a poco contemplandoquell'unione come un pegno delle nuove speranze che lamorte vicina facea germinare nell'anima sua!

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va dei caldi suoi raggi le bianche e leggiere nuvoletteche vagavano sull'orizzonte, Cosimo chiese di vedere ilconte Alberto. Egli venne in compagnia del padre diAngela. Prendendo allora la mano di questa che oggimainon l'abbandonava che per brevissimi istanti: — Miamadre — disse — mi vi ha lasciato in eredità. Io nonsono stato un tesoro per voi, ma voi siete stata un tesoroinapprezzabile per me. Io me ne vado consolato dallevostre cure, dal vostro affetto. Ma mi resta ancora acompiere una parte della mia missione su questa terra.— Così dicendo pose la mano di Angela che stringevain quella del padre suo. — Ecco — egli disse — il testa-mento del povero Cosimo. Amatevi, e come mi fostemadre e padre finora o d'affetto o di sangue, conservateentrambi questo carattere anche dopo la mia partenza.Chi sa? Io rinascerò sulla terra per completare la miaesistenza. Forse rinascerò vostro figlio, e il primo fruttodella vostra unione sarà forse una riproduzione dellamia vita sotto[Pg 299] auspicj e con elementi migliori.Chiamatelo Cosimo in memoria di quello che oggi vi la-scia. A rivederci! —

Angela piangeva dirottamente. Il conte Alberto e il si-gnor Lanzoni avevano anch'essi umidi gli occhi di pian-to. Le due mani che il moribondo aveva congiunte rima-sero strette, ed egli spirò di lì a poco contemplandoquell'unione come un pegno delle nuove speranze che lamorte vicina facea germinare nell'anima sua!

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NOTE.[5] Iapelli, celebre architetto padovano, autore del caffè Pedrocchi, e

ordinatore di parecchi giardini all'inglese, che si ammirano ancora nelVeneto.

[Pg 300]

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NOTE.[5] Iapelli, celebre architetto padovano, autore del caffè Pedrocchi, e

ordinatore di parecchi giardini all'inglese, che si ammirano ancora nelVeneto.

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LA FIDANZATA DEL MONTENEGRO.

I.

Il Vladica.

Ho conosciuto, non sono molti anni, a Trieste questosingolar personaggio. Principe e vescovo della monta-gna nera, riuniva in sè i due poteri, spirituale e civiledella repubblica; e com'era il miglior tiratore del paese,e viaggiava armato come un aiduco, si potrebbe diresenza esagerazione che cumulava cogli altri il poter mi-litare. Giammai capo d'uno Stato fu più assoluto e piùcompiuto di lui.

Aggiungasi che la natura pareva l'avesse fatto a bellaposta per ciò. Ei superava di tutto il capo i begli uominiche l'attorniavano: qualità ragguardevolissima in drittoprincipesco, poichè la Storia Santa ci dice di Saule ch'eidovette a cotale procerità della persona d'esser eletto red'Israele. Egli era un asinajo della tribù di Beniamino inquell'epoca che il popolo di Dio, volendo, come le raned'Esopo, esser retto da un re, scelse, d'accordo con Sa-muele, il più grande e più robusto uomo della tribù.

Ignoro se la cosa si passasse a quel modo, quando larepubblica del Montenegro si mutò in principato, e co-minciò la dinastia dei Petrovich. Dirò solo che il Vladi-

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LA FIDANZATA DEL MONTENEGRO.

I.

Il Vladica.

Ho conosciuto, non sono molti anni, a Trieste questosingolar personaggio. Principe e vescovo della monta-gna nera, riuniva in sè i due poteri, spirituale e civiledella repubblica; e com'era il miglior tiratore del paese,e viaggiava armato come un aiduco, si potrebbe diresenza esagerazione che cumulava cogli altri il poter mi-litare. Giammai capo d'uno Stato fu più assoluto e piùcompiuto di lui.

Aggiungasi che la natura pareva l'avesse fatto a bellaposta per ciò. Ei superava di tutto il capo i begli uominiche l'attorniavano: qualità ragguardevolissima in drittoprincipesco, poichè la Storia Santa ci dice di Saule ch'eidovette a cotale procerità della persona d'esser eletto red'Israele. Egli era un asinajo della tribù di Beniamino inquell'epoca che il popolo di Dio, volendo, come le raned'Esopo, esser retto da un re, scelse, d'accordo con Sa-muele, il più grande e più robusto uomo della tribù.

Ignoro se la cosa si passasse a quel modo, quando larepubblica del Montenegro si mutò in principato, e co-minciò la dinastia dei Petrovich. Dirò solo che il Vladi-

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ca[Pg 301] ch'io conobbi, era ad un tempo il Saule e il Sa-muele di quei paesi, e univa a' due caratteri sopraddettialcun'altra qualità che forse mancava al primo re d'Israe-le, poichè egli era oratore e poeta egregio, e parlava ilpiù puro illirico della costa. Inoltre, siccome nelle suefrequenti escursioni in Europa aveva esperimentato ivantaggi della civiltà moderna, gli era nata in mente lasingolare idea di farne partecipi coloro di cui governaval'anima e il corpo.

L'impresa non era delle più facili: ma pure, se dob-biam credere a lui, ci riuscì mettendo in opera certi ar-gomenti ch'io non vo' giudicare. Prima di tutto ei pensòa circondarsi di un senato che lo aiutasse nell'opera. Poi,vedendo i paesi nostri riboccar di giornali e di libri, chegovernavano l'opinion pubblica, ei comperò una stam-peria e la installò nel suo palazzo medesimo. Quivi si fe'giornalista e editor responsabile d'un giornale politico eletterario destinato a spandere pel paese i fiumi dell'elo-quenza e i lumi della civilizzazione. Credo che fosse ilprimo libro stampato in quei paraggi. Il Vladica credevaaver raggiunto il suo scopo, ma non tardò ad avvedersiche mancava una cosa: mancava cioè nei montenegriniil potere e la volontà di approfittarne. Pochissimi di essisapevano leggere.

Che poteva egli fare il povero Vladica? Trovar mae-stri che volessero recarsi costà per fondarvi un collegio,costava troppo per le sue finanze. Onde cambiò d'idea.

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ca[Pg 301] ch'io conobbi, era ad un tempo il Saule e il Sa-muele di quei paesi, e univa a' due caratteri sopraddettialcun'altra qualità che forse mancava al primo re d'Israe-le, poichè egli era oratore e poeta egregio, e parlava ilpiù puro illirico della costa. Inoltre, siccome nelle suefrequenti escursioni in Europa aveva esperimentato ivantaggi della civiltà moderna, gli era nata in mente lasingolare idea di farne partecipi coloro di cui governaval'anima e il corpo.

L'impresa non era delle più facili: ma pure, se dob-biam credere a lui, ci riuscì mettendo in opera certi ar-gomenti ch'io non vo' giudicare. Prima di tutto ei pensòa circondarsi di un senato che lo aiutasse nell'opera. Poi,vedendo i paesi nostri riboccar di giornali e di libri, chegovernavano l'opinion pubblica, ei comperò una stam-peria e la installò nel suo palazzo medesimo. Quivi si fe'giornalista e editor responsabile d'un giornale politico eletterario destinato a spandere pel paese i fiumi dell'elo-quenza e i lumi della civilizzazione. Credo che fosse ilprimo libro stampato in quei paraggi. Il Vladica credevaaver raggiunto il suo scopo, ma non tardò ad avvedersiche mancava una cosa: mancava cioè nei montenegriniil potere e la volontà di approfittarne. Pochissimi di essisapevano leggere.

Che poteva egli fare il povero Vladica? Trovar mae-stri che volessero recarsi costà per fondarvi un collegio,costava troppo per le sue finanze. Onde cambiò d'idea.

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Pregò i principi suoi mecenati, l'imperator delle Russie,l'imperatore d'Austria e il re di Baviera a voler ammette-re qualche dozzina di giovani montenegrini ne' lor colle-gi di Vienna, di Monaco, di Pietroburgo. Credo infattiche ne ottenesse alcun che, e forse questi giovani mis-sionarj indigeni avranno portato nella montagna nera glielementi della letteratura e della filosofia[Pg 302] cosaccae tedesca. Per disgrazia il Vladica non campò tanto daraccogliere il frutto dell'opera sua.

Ma non fu questo il solo espediente a cui ricorressementre fu in vita. Egli avea riconosciuto la grande utilitàdei viaggi: e come non poteva far viaggiare tutto il suopopolo in persona, si limitò a farlo viaggiare in figura.Voglio dire che viaggiò egli stesso per sè e per altri.Ogni anno a Trieste, ogni due anni a Vienna, ogni tre aPietroburgo. Riuscì per tal modo a far conoscere inquelle tre capitali i pregi e i difetti del suo principato,sul quale correvano e corrono ancora idee così storte.Quanto a lui, convien dire che ne traesse profitto. Egliritornava sempre più gentile e aggraziato; mercè alledame di quei paesi che s'erano incaricate di educare ilsuo cuore a' più nobili affetti.

Io lo conobbi al teatro una sera che madamigella Fitz-James ballò la Gisella. Il principe vescovo andò in visi-bilio e compose in onor della silfide parigina un grazio-so ditirambo ch'io tradussi subito in versi italiani, e pub-blicai ne' giornali, ciò che mi valse l'amicizia e la stima

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Pregò i principi suoi mecenati, l'imperator delle Russie,l'imperatore d'Austria e il re di Baviera a voler ammette-re qualche dozzina di giovani montenegrini ne' lor colle-gi di Vienna, di Monaco, di Pietroburgo. Credo infattiche ne ottenesse alcun che, e forse questi giovani mis-sionarj indigeni avranno portato nella montagna nera glielementi della letteratura e della filosofia[Pg 302] cosaccae tedesca. Per disgrazia il Vladica non campò tanto daraccogliere il frutto dell'opera sua.

Ma non fu questo il solo espediente a cui ricorressementre fu in vita. Egli avea riconosciuto la grande utilitàdei viaggi: e come non poteva far viaggiare tutto il suopopolo in persona, si limitò a farlo viaggiare in figura.Voglio dire che viaggiò egli stesso per sè e per altri.Ogni anno a Trieste, ogni due anni a Vienna, ogni tre aPietroburgo. Riuscì per tal modo a far conoscere inquelle tre capitali i pregi e i difetti del suo principato,sul quale correvano e corrono ancora idee così storte.Quanto a lui, convien dire che ne traesse profitto. Egliritornava sempre più gentile e aggraziato; mercè alledame di quei paesi che s'erano incaricate di educare ilsuo cuore a' più nobili affetti.

Io lo conobbi al teatro una sera che madamigella Fitz-James ballò la Gisella. Il principe vescovo andò in visi-bilio e compose in onor della silfide parigina un grazio-so ditirambo ch'io tradussi subito in versi italiani, e pub-blicai ne' giornali, ciò che mi valse l'amicizia e la stima

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dell'illustre poeta. Credo che m'avrebbe decorato d'unordine, ma non ce n'era alcuno nel principato. Pocomale per esso e per me. Io mi ricorderò sempre della suaaffabilità, del suo brio, della sua nobile alterezza, e delpiacer che provava a parlarmi del suo paese e de' suoidisegni filantropici. — Voglio — ei diceva — che lamontagna nera divenga uno Stato modello.

— Come farete voi, monsignore — diss'io. — Voisiete solo, e non avete a' vostri ordini tutti i mezzi di cuidispongono gli altri sovrani.

— Farò ciò che posso — rispose. — Tirerò al segnocolla mia gente, beverò con essi, mi farò un poco similea loro, per piegarli alla mia volontà, e impadronirmi delloro spirito. Così ho fatto finora, e così son pervenuto[Pg303] ad ammansare i più fieri. Se insorgeranno difficoltàtroppo gravi, farò un viaggio, e piglierò nuova forza percontinuar nell'impresa. —

Devo a questi colloqui col Vladica quel poco ch'io sosulla natura e sui costumi del Montenegro. Noi siamocosì uniformi e fatti a stampo in Europa, che c'è moltoda guadagnare a conoscere certe razze primitive e sel-vagge; se non altro per variare i nostri racconti, e usciredalla consueta monotonia. Noi siamo come le medagliee le monete, che a forza di passare di mano in mano e ditasca in tasca, hanno perduta l'impronta. Di qui nasceche ci annojamo, e diventiam nojosi ognor più. Un gior-

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dell'illustre poeta. Credo che m'avrebbe decorato d'unordine, ma non ce n'era alcuno nel principato. Pocomale per esso e per me. Io mi ricorderò sempre della suaaffabilità, del suo brio, della sua nobile alterezza, e delpiacer che provava a parlarmi del suo paese e de' suoidisegni filantropici. — Voglio — ei diceva — che lamontagna nera divenga uno Stato modello.

— Come farete voi, monsignore — diss'io. — Voisiete solo, e non avete a' vostri ordini tutti i mezzi di cuidispongono gli altri sovrani.

— Farò ciò che posso — rispose. — Tirerò al segnocolla mia gente, beverò con essi, mi farò un poco similea loro, per piegarli alla mia volontà, e impadronirmi delloro spirito. Così ho fatto finora, e così son pervenuto[Pg303] ad ammansare i più fieri. Se insorgeranno difficoltàtroppo gravi, farò un viaggio, e piglierò nuova forza percontinuar nell'impresa. —

Devo a questi colloqui col Vladica quel poco ch'io sosulla natura e sui costumi del Montenegro. Noi siamocosì uniformi e fatti a stampo in Europa, che c'è moltoda guadagnare a conoscere certe razze primitive e sel-vagge; se non altro per variare i nostri racconti, e usciredalla consueta monotonia. Noi siamo come le medagliee le monete, che a forza di passare di mano in mano e ditasca in tasca, hanno perduta l'impronta. Di qui nasceche ci annojamo, e diventiam nojosi ognor più. Un gior-

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no ch'io deplorava questa disgrazia e declamava conmaggior fuoco contro la monotonia della vita prosaica,il buon prelato ghignò sotto i baffi piacevolmente e pro-mise di darmi un saggio di quella poesia primitiva e unpo' selvaggia di che gli parevo sì vago.

Ed ecco l'origine del racconto arcivero ed arcimonte-negrino che ho l'onore di sottomettere alla cortese atten-zione dei lettori.

II.

La camicia insanguinata.

Il Vladica non era punto socialista.

C'era però un'eredità che avrebbe volentieri abolitafra la sua gente. Vo' dire l'eredità del sangue. Mi spiego.Presso alcune tribù slave, ed anche in qualche isola ita-liana, come la Corsica e la Sardegna, l'antica legge deltaglione si considera tuttavia come giusta. Mano permano, piede per piede, testa per testa. È la giustizia delpopolo ebreo. Se non che Mosè sottopose la costumanzaa certe regole, e in ogni modo c'era un tribunale,[Pg 304]un'assemblea, un sinedrio più o men numeroso chel'applicava.

Presso i Morlacchi, gli Albanesi e altre tribù semibar-bare si fa poco conto di questa formalità. Supposto che

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no ch'io deplorava questa disgrazia e declamava conmaggior fuoco contro la monotonia della vita prosaica,il buon prelato ghignò sotto i baffi piacevolmente e pro-mise di darmi un saggio di quella poesia primitiva e unpo' selvaggia di che gli parevo sì vago.

Ed ecco l'origine del racconto arcivero ed arcimonte-negrino che ho l'onore di sottomettere alla cortese atten-zione dei lettori.

II.

La camicia insanguinata.

Il Vladica non era punto socialista.

C'era però un'eredità che avrebbe volentieri abolitafra la sua gente. Vo' dire l'eredità del sangue. Mi spiego.Presso alcune tribù slave, ed anche in qualche isola ita-liana, come la Corsica e la Sardegna, l'antica legge deltaglione si considera tuttavia come giusta. Mano permano, piede per piede, testa per testa. È la giustizia delpopolo ebreo. Se non che Mosè sottopose la costumanzaa certe regole, e in ogni modo c'era un tribunale,[Pg 304]un'assemblea, un sinedrio più o men numeroso chel'applicava.

Presso i Morlacchi, gli Albanesi e altre tribù semibar-bare si fa poco conto di questa formalità. Supposto che

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vi sia tagliata la testa, tocca al vostro fratello, a vostrofiglio, a un vostro parente qualunque, l'obbligo di vendi-carvi applicando la legge del taglione, e pigliandosi,quando glie ne venga il destro, il capo del vostro avver-sario. Così si risparmia la spesa del processo e la custo-dia del prigioniero.

Capirete che il Vladica dopo aver percorsa l'Europacivilizzata non poteva più tollerare questo stato di cose.Egli si adoperò dunque a tutt'uomo per sopprimere unagiustizia sì spicciativa, e porre un po' di norma ne' giudi-zj e nelle pene. Non so quanto vi sia riuscito; poichècerti pregiudizj e certe tradizioni secolari sono difficili asradicare, non solamente sulla montagna nera, ma nellepianure più fertili e più fiorenti del mondo.

Che ne sappiamo noi, popoli civili e morali, dell'effet-to che può produrre sugli animi la vista di una camiciainsanguinata, sospesa come una reliquia nella nostrasala, nella nostra camera, nel luogo più intimo dellacasa? Quella camicia tinta del sangue di nostro padre, diun nostro fratello, di un figlio, esposta dì e notte dinanzia' nostri occhi, come avviene fra quelle tribù primitive,avrebbe la virtù di scuotere e d'irritare le indoli più mitie i caratteri più temperati del nostro secolo e del nostropaese medesimo.

Il Vladica volse dunque il pensiero a raccogliere queisanguinosi trofei, e ne fece un auto-da-fé, più cristiano e

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vi sia tagliata la testa, tocca al vostro fratello, a vostrofiglio, a un vostro parente qualunque, l'obbligo di vendi-carvi applicando la legge del taglione, e pigliandosi,quando glie ne venga il destro, il capo del vostro avver-sario. Così si risparmia la spesa del processo e la custo-dia del prigioniero.

Capirete che il Vladica dopo aver percorsa l'Europacivilizzata non poteva più tollerare questo stato di cose.Egli si adoperò dunque a tutt'uomo per sopprimere unagiustizia sì spicciativa, e porre un po' di norma ne' giudi-zj e nelle pene. Non so quanto vi sia riuscito; poichècerti pregiudizj e certe tradizioni secolari sono difficili asradicare, non solamente sulla montagna nera, ma nellepianure più fertili e più fiorenti del mondo.

Che ne sappiamo noi, popoli civili e morali, dell'effet-to che può produrre sugli animi la vista di una camiciainsanguinata, sospesa come una reliquia nella nostrasala, nella nostra camera, nel luogo più intimo dellacasa? Quella camicia tinta del sangue di nostro padre, diun nostro fratello, di un figlio, esposta dì e notte dinanzia' nostri occhi, come avviene fra quelle tribù primitive,avrebbe la virtù di scuotere e d'irritare le indoli più mitie i caratteri più temperati del nostro secolo e del nostropaese medesimo.

Il Vladica volse dunque il pensiero a raccogliere queisanguinosi trofei, e ne fece un auto-da-fé, più cristiano e

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più meritorio degli altri. Fu un colpo di Stato, al quale sipuò accordare una pienissima approvazione.

Non vo' dire con questo che l'atto del Vladica fosseapprovato da tutti. Si gridò, come sempre, alla novità,[Pg305] al sacrilegio, alla violazione dei diritti acquisiti e deicostumi degli avi. Tolta la camicia, non fu tolta la cosa.Il giuramento fu osservato e posto ad esecuzione comeper lo innanzi: ma il primo passo era fatto, e la supersti-zione avea perduto il suo idolo.

In una capanna posta sull'estrema frontiera del Mon-tenegro, non lungi da Cattaro, le guardie incaricate diraccogliere le camicie insanguinate, ebbero molto dafare prima di strapparne una dalle mani di due poveredonne. Esse la riguardavano come una santa reliquia,come un talismano prezioso.

— È di mio marito — diceva la vecchia.

— È di mio padre — soggiungeva la più giovane sin-ghiozzando.

— Me l'hanno ucciso al di là della frontiera, e glihanno tagliata la testa.

— È la nostra sola eredità, e guai a quello che la toc-cherà, prima che l'omicidio sia vendicato, e il colpevoleabbia pagato colla sua testa quella del padre mio. —

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più meritorio degli altri. Fu un colpo di Stato, al quale sipuò accordare una pienissima approvazione.

Non vo' dire con questo che l'atto del Vladica fosseapprovato da tutti. Si gridò, come sempre, alla novità,[Pg305] al sacrilegio, alla violazione dei diritti acquisiti e deicostumi degli avi. Tolta la camicia, non fu tolta la cosa.Il giuramento fu osservato e posto ad esecuzione comeper lo innanzi: ma il primo passo era fatto, e la supersti-zione avea perduto il suo idolo.

In una capanna posta sull'estrema frontiera del Mon-tenegro, non lungi da Cattaro, le guardie incaricate diraccogliere le camicie insanguinate, ebbero molto dafare prima di strapparne una dalle mani di due poveredonne. Esse la riguardavano come una santa reliquia,come un talismano prezioso.

— È di mio marito — diceva la vecchia.

— È di mio padre — soggiungeva la più giovane sin-ghiozzando.

— Me l'hanno ucciso al di là della frontiera, e glihanno tagliata la testa.

— È la nostra sola eredità, e guai a quello che la toc-cherà, prima che l'omicidio sia vendicato, e il colpevoleabbia pagato colla sua testa quella del padre mio. —

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Era una scena tragica. I due militi esitavano dinanzi aldolore di quelle due sventurate, prive d'ogni sostegno, einasprite dalla miseria.

— Voi non potreste vendicare il vostr'uomo, — dice-vano. — Lasciate questa cura alla giustizia. Ci sono giu-dici e tribunali al di là del confine. Il Vladica si farà sen-tire, e il reo pagherà le pene del suo delitto.

— No: — gridava la vedova. — Non è già al di là dalconfine ch'ei deve pagarmi la testa di mio marito. Qui,qui, ci faremo giustizia noi stesse.

— Come? Voi non avete parenti, voi siete due poveredonne!

— Non mancheremo per questo d'un vendicatore —soggiunse la vecchia implacabile. — Io non darò[Pg 306]la mano della mia Yella se non a quello che mi porterà ilcapo di Stenovich.

— Io non ho fratelli di sangue, — disse la giovane —ma ho un fratel d'amore che compirà tal dovere. Ei mel'ha promesso. Portate pur via la camicia, non per questomio padre resterà senza vendetta. —

La madre fece un nuovo sforzo per impedir la confi-sca del suo retaggio: si appellò alla religione dei dueesecutori. — Voi siete Montenegrini, — diss'ella — voisapete che cosa voglia dire una testa recisa a tradimento,

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Era una scena tragica. I due militi esitavano dinanzi aldolore di quelle due sventurate, prive d'ogni sostegno, einasprite dalla miseria.

— Voi non potreste vendicare il vostr'uomo, — dice-vano. — Lasciate questa cura alla giustizia. Ci sono giu-dici e tribunali al di là del confine. Il Vladica si farà sen-tire, e il reo pagherà le pene del suo delitto.

— No: — gridava la vedova. — Non è già al di là dalconfine ch'ei deve pagarmi la testa di mio marito. Qui,qui, ci faremo giustizia noi stesse.

— Come? Voi non avete parenti, voi siete due poveredonne!

— Non mancheremo per questo d'un vendicatore —soggiunse la vecchia implacabile. — Io non darò[Pg 306]la mano della mia Yella se non a quello che mi porterà ilcapo di Stenovich.

— Io non ho fratelli di sangue, — disse la giovane —ma ho un fratel d'amore che compirà tal dovere. Ei mel'ha promesso. Portate pur via la camicia, non per questomio padre resterà senza vendetta. —

La madre fece un nuovo sforzo per impedir la confi-sca del suo retaggio: si appellò alla religione dei dueesecutori. — Voi siete Montenegrini, — diss'ella — voisapete che cosa voglia dire una testa recisa a tradimento,

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e data in pascolo ai corvi. Che fareste voi, se vi trovastenel mio caso? —

I due militi non sapevano che rispondere a siffatta in-terpellanza. Essi avevano comune la patria con quelleinfelici. Ma gli ordini erano precisi e assoluti, e li ese-guirono ad ogni costo.

Solamente il più giovane dei due s'avvicinò alla ra-gazza, e le disse. — Se il tuo fratel d'amore mancassealla sua promessa, ricorri a me. Io mi chiamo Gregorio.Domanda di me a Cettigne, ed io vendicherò tuo padre.Ciò basta. Ora lasciaci eseguire gli ordini del nostrocapo. Qua la camicia: voi avete la mia parola! —

III.

I fratelli d'anima.

Ho dimenticato d'informarmi chi fosse l'infelice mon-tenegrino che si volea vendicare, e qual fosse stata lacausa della sua morte: ma Yella era una bella e degna fi-glia della montagna, dai lunghi capelli d'ebano, daigrandi occhi neri, dalle forme svelte e robuste. Ella por-tava altieramente il suo berretto rosso, ornamento parti-colare[Pg 307] della vergine slava, fino al dì delle nozze.L'abbigliamento della montenegrina è ricco e sfarzoso;tutto ricamato a musaico, fin la camicia e le calze. Lasua dalmatica, aperta ai due lati, è tessuta a mille colori,

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e data in pascolo ai corvi. Che fareste voi, se vi trovastenel mio caso? —

I due militi non sapevano che rispondere a siffatta in-terpellanza. Essi avevano comune la patria con quelleinfelici. Ma gli ordini erano precisi e assoluti, e li ese-guirono ad ogni costo.

Solamente il più giovane dei due s'avvicinò alla ra-gazza, e le disse. — Se il tuo fratel d'amore mancassealla sua promessa, ricorri a me. Io mi chiamo Gregorio.Domanda di me a Cettigne, ed io vendicherò tuo padre.Ciò basta. Ora lasciaci eseguire gli ordini del nostrocapo. Qua la camicia: voi avete la mia parola! —

III.

I fratelli d'anima.

Ho dimenticato d'informarmi chi fosse l'infelice mon-tenegrino che si volea vendicare, e qual fosse stata lacausa della sua morte: ma Yella era una bella e degna fi-glia della montagna, dai lunghi capelli d'ebano, daigrandi occhi neri, dalle forme svelte e robuste. Ella por-tava altieramente il suo berretto rosso, ornamento parti-colare[Pg 307] della vergine slava, fino al dì delle nozze.L'abbigliamento della montenegrina è ricco e sfarzoso;tutto ricamato a musaico, fin la camicia e le calze. Lasua dalmatica, aperta ai due lati, è tessuta a mille colori,

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e coi più bizzarri arabeschi. Le opanche intrecciate disottili liste di cuojo, somigliano ai sandali antichi; e cintie collane, e un arsenale intero di ninnoli di stagno ed'argento la cuoprono quasi tutta. Il suo berretto rosso èguernito di zecchini d'oro, infilzati e applicati all'intor-no. Il patrimonio della ragazza si trova così esposto agliocchi di tutti, e ognuno sa la donna e la dote che sposa.

Yella aveva le vesti assai belle ed ornate, ma gli zec-chini del suo berretto non erano molti. Suo padre nonaveva avuto il tempo necessario per compiere la sua co-rona; quindi gli sposi non si facevano innanzi, e la gio-vanetta correva risico di conservare il suo berretto rossopiù a lungo che non avrebbe desiderato.

Non crediate però che non ispirasse qualche simpatianel paese. Ella aveva un fratello d'anima, un pobratimo,come lo chiamano in lingua slava. Noi civilizzati nonsappiamo punto che specie di parentela sia questa. Nonabbiamo nè pobratimi, nè posestrime, cioè a dire sorelled'anima, sorelle adottive.

Questo che accenno è un costume ancora vigente fra'dalmati, fra i morlacchi, fra i serbi. Due giovanotti, duefanciulle, e spesso ancora un giovane ed una giovanecontraggono questa specie d'unione fraterna che il pretebenedice all'altare, e consacra dinanzi a Dio, come unvero matrimonio dell'anima. È un patto d'affetto e di di-fesa reciproca in caso di pericolo e di bisogno. L'amore

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e coi più bizzarri arabeschi. Le opanche intrecciate disottili liste di cuojo, somigliano ai sandali antichi; e cintie collane, e un arsenale intero di ninnoli di stagno ed'argento la cuoprono quasi tutta. Il suo berretto rosso èguernito di zecchini d'oro, infilzati e applicati all'intor-no. Il patrimonio della ragazza si trova così esposto agliocchi di tutti, e ognuno sa la donna e la dote che sposa.

Yella aveva le vesti assai belle ed ornate, ma gli zec-chini del suo berretto non erano molti. Suo padre nonaveva avuto il tempo necessario per compiere la sua co-rona; quindi gli sposi non si facevano innanzi, e la gio-vanetta correva risico di conservare il suo berretto rossopiù a lungo che non avrebbe desiderato.

Non crediate però che non ispirasse qualche simpatianel paese. Ella aveva un fratello d'anima, un pobratimo,come lo chiamano in lingua slava. Noi civilizzati nonsappiamo punto che specie di parentela sia questa. Nonabbiamo nè pobratimi, nè posestrime, cioè a dire sorelled'anima, sorelle adottive.

Questo che accenno è un costume ancora vigente fra'dalmati, fra i morlacchi, fra i serbi. Due giovanotti, duefanciulle, e spesso ancora un giovane ed una giovanecontraggono questa specie d'unione fraterna che il pretebenedice all'altare, e consacra dinanzi a Dio, come unvero matrimonio dell'anima. È un patto d'affetto e di di-fesa reciproca in caso di pericolo e di bisogno. L'amore

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non ha che fare in codesti legami. È raro che un pobra-timo richiegga d'amore la sua posestrima: sarebbe unafellonia, un sacrilegio, un abuso di confidenza indegnodi perdono e di scusa. Il fratello si[Pg 308] consacra allasorella per la vita e per la morte, la protegge, la difendecontro le male lingue, contro i pericoli che potrebberominacciarla. Le porterà, se fia d'uopo, la testa di quelloche le ha fatto oltraggio, e dividerà con essa l'ultimopane. La sorella alcuna volta rinuncia ad ogni altro af-fetto, e si consacra per tutta la vita al suo fratello d'amo-re.

C'è in codesto matrimonio delle anime un profumo dipoesia primitiva che si crederebbe perduto, se le tribùdell'Illirio non ce ne conservassero qualche esempio.

Yella, dopo la morte del padre, avea scelto il suo po-bratimo. Fra parecchi giovani della parrocchia che aspi-ravano a quest'onore, Vlado l'era sembrato il più degnoe il più valoroso. Era troppo giovane ancora, e troppopovero per pensare ad accasarsi; e poi correva fra Yellae lui un grado di parentela, non molto prossimo, ma chesarebbe stato un impedimento canonico in quei paesi or-todossi. Furono dunque fratello e sorella, e la povera or-fana potè asciugare le lagrime e affrontar più sicura i pe-ricoli del suo stato.

Ahimè! I bei giorni passarono presto. Vlado non fudegno a lungo della sua confidenza. Il Vladica era molto

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non ha che fare in codesti legami. È raro che un pobra-timo richiegga d'amore la sua posestrima: sarebbe unafellonia, un sacrilegio, un abuso di confidenza indegnodi perdono e di scusa. Il fratello si[Pg 308] consacra allasorella per la vita e per la morte, la protegge, la difendecontro le male lingue, contro i pericoli che potrebberominacciarla. Le porterà, se fia d'uopo, la testa di quelloche le ha fatto oltraggio, e dividerà con essa l'ultimopane. La sorella alcuna volta rinuncia ad ogni altro af-fetto, e si consacra per tutta la vita al suo fratello d'amo-re.

C'è in codesto matrimonio delle anime un profumo dipoesia primitiva che si crederebbe perduto, se le tribùdell'Illirio non ce ne conservassero qualche esempio.

Yella, dopo la morte del padre, avea scelto il suo po-bratimo. Fra parecchi giovani della parrocchia che aspi-ravano a quest'onore, Vlado l'era sembrato il più degnoe il più valoroso. Era troppo giovane ancora, e troppopovero per pensare ad accasarsi; e poi correva fra Yellae lui un grado di parentela, non molto prossimo, ma chesarebbe stato un impedimento canonico in quei paesi or-todossi. Furono dunque fratello e sorella, e la povera or-fana potè asciugare le lagrime e affrontar più sicura i pe-ricoli del suo stato.

Ahimè! I bei giorni passarono presto. Vlado non fudegno a lungo della sua confidenza. Il Vladica era molto

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mortificato di dovermelo confessare. Egli avrebbe volu-to citarmi un miglior esempio dei costumi montenegrini,e provarmi col fatto che l'antica fraterna amicizia diNiso e d'Eurialo, d'Oreste e di Pilade, non era spenta nelmondo, e che sussisteva ancora nel Montenegro, anchetra fratello e sorella adottiva.

Io partecipo al dolore del buon prelato e vorrei potersopprimere questa pagina della mia storia: ma la veritàha i suoi diritti, ed io intendo di rispettarli, per quantomi costi. Del rimanente: non tutti i pobratimi somiglia-no a Vlado, e l'eccezione non distrugge la regola.

Vlado dimenticò dunque assai presto che la sua[Pg 309]posestrima doveva essere tanto sacra ed inviolabile perlui, quanto una sorella carnale. Ella era giovane, bella,confidente fin troppo. Il vincolo contratto permettevaloro di vedersi, di parlarsi sovente, e in casa, e fuori inmezzo ai boschi ed ai campi impregnati delle vive fra-granze di quelle valli. Questa dolce consuetudine presea poco a poco un altro carattere. Si amarono non comefratelli, ma come fidanzati, e come sposi prima d'averconsultato e i parenti, e il sacerdote. — Non fu già labianca colomba — disse il Vladica, — che palesò i loroamori; fu il nero corvo dalle male nuove che ne die'l'annunzio al villaggio. —

Sulle prime non si prestò piena fede alla dicerìa. Yellaera sì buona e sì modesta che avrebbero sospettato di

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mortificato di dovermelo confessare. Egli avrebbe volu-to citarmi un miglior esempio dei costumi montenegrini,e provarmi col fatto che l'antica fraterna amicizia diNiso e d'Eurialo, d'Oreste e di Pilade, non era spenta nelmondo, e che sussisteva ancora nel Montenegro, anchetra fratello e sorella adottiva.

Io partecipo al dolore del buon prelato e vorrei potersopprimere questa pagina della mia storia: ma la veritàha i suoi diritti, ed io intendo di rispettarli, per quantomi costi. Del rimanente: non tutti i pobratimi somiglia-no a Vlado, e l'eccezione non distrugge la regola.

Vlado dimenticò dunque assai presto che la sua[Pg 309]posestrima doveva essere tanto sacra ed inviolabile perlui, quanto una sorella carnale. Ella era giovane, bella,confidente fin troppo. Il vincolo contratto permettevaloro di vedersi, di parlarsi sovente, e in casa, e fuori inmezzo ai boschi ed ai campi impregnati delle vive fra-granze di quelle valli. Questa dolce consuetudine presea poco a poco un altro carattere. Si amarono non comefratelli, ma come fidanzati, e come sposi prima d'averconsultato e i parenti, e il sacerdote. — Non fu già labianca colomba — disse il Vladica, — che palesò i loroamori; fu il nero corvo dalle male nuove che ne die'l'annunzio al villaggio. —

Sulle prime non si prestò piena fede alla dicerìa. Yellaera sì buona e sì modesta che avrebbero sospettato di

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tutt'altri che di lei. Ma l'invidia e la gelosia hanno gli oc-chi aguzzi, e, non che scoprire l'altrui difetto, se lo figu-rano dove non è. Una ragazza del paese men bella dellealtre, e forse anche meno pudica, fu lieta di poter con-fermare la voce corsa, e denunciò la povera Yella allaindignazione e alla vendetta delle altre. — Udrete unuso crudele che vige ancora fra noi — disse il Vladica.— Io vorrei poterlo abolire, come quello della camiciadi sangue; ma la cosa è d'un'indole più dilicata, e temofar peggio! —

IV.

Il berretto rosso.

Parlo di quello che le vergini slave sogliono portarefino al dì delle nozze.

Questo berretto, guernito di monete d'oro, non è peresse un semplice ornamento. È un distintivo d'onore, adun tempo, e una dote. Chi vuol trovare gli ultimi[Pg 310]zecchini di San Marco, non ha che a recarsi nel Monte-negro, e li vedrà ancora infilzati intorno al collo, o intor-no al berretto rosso delle giovani da marito.

La Montenegrina è altera del suo berretto, e lo consi-dera come sacro. Guai a quella che continuasse a portar-lo, quando ne ha perduto il diritto! Sarebbe un'usurpa-zione, un sacrilegio.

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tutt'altri che di lei. Ma l'invidia e la gelosia hanno gli oc-chi aguzzi, e, non che scoprire l'altrui difetto, se lo figu-rano dove non è. Una ragazza del paese men bella dellealtre, e forse anche meno pudica, fu lieta di poter con-fermare la voce corsa, e denunciò la povera Yella allaindignazione e alla vendetta delle altre. — Udrete unuso crudele che vige ancora fra noi — disse il Vladica.— Io vorrei poterlo abolire, come quello della camiciadi sangue; ma la cosa è d'un'indole più dilicata, e temofar peggio! —

IV.

Il berretto rosso.

Parlo di quello che le vergini slave sogliono portarefino al dì delle nozze.

Questo berretto, guernito di monete d'oro, non è peresse un semplice ornamento. È un distintivo d'onore, adun tempo, e una dote. Chi vuol trovare gli ultimi[Pg 310]zecchini di San Marco, non ha che a recarsi nel Monte-negro, e li vedrà ancora infilzati intorno al collo, o intor-no al berretto rosso delle giovani da marito.

La Montenegrina è altera del suo berretto, e lo consi-dera come sacro. Guai a quella che continuasse a portar-lo, quando ne ha perduto il diritto! Sarebbe un'usurpa-zione, un sacrilegio.

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Yella era pur troppo in questo caso. Quel berretto lepesava sulla fronte, e avrebbe voluto deporlo, quando imaligni sorrisi delle compagne l'avvertirono, come av-venne alla Margherita del Faust, che il corvo avea fattosentire il suo grido sinistro, e che il suo fallo non era piùun secreto per il paese.

Povera Yella! Ella non osava gittare uno sguardo nelsuo avvenire. Amava Vlado: ma una voce secreta leaveva già detto che non era riamata con pari affetto.Dopo quel giorno in cui gli avea dato l'ultima provadell'amor suo, ella non lo vedeva già più come innanzi.Sulle prime ei cercava una ragione, un pretesto per giu-stificare l'indugio. Ora non si dava più pensiero di que-sto: e le settimane e i mesi passavano, e la sventuratasentiva avvicinarsi la fatale epoca in cui le sorde vociche circolavano non si potrebbero più smentire, in cui lasua povera madre avrebbe conosciuto il suo fallo e lasua vergogna.

La vecchia Montenegrina non ne sapeva ancor nulla.Era una donna dei vecchi tempi: carattere duro ed auste-ro, inasprito viepiù dalla solitudine e dai disastri. Amaval'unica sua figlia, come l'orso della montagna il suo par-to: ma l'avrebbe piuttosto veduta morire, che macchiarsidi un fallo.

Yella, dal canto suo, avrebbe anch'essa anteposta lamorte ad una rivelazione che pure diveniva ogni dì più

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Yella era pur troppo in questo caso. Quel berretto lepesava sulla fronte, e avrebbe voluto deporlo, quando imaligni sorrisi delle compagne l'avvertirono, come av-venne alla Margherita del Faust, che il corvo avea fattosentire il suo grido sinistro, e che il suo fallo non era piùun secreto per il paese.

Povera Yella! Ella non osava gittare uno sguardo nelsuo avvenire. Amava Vlado: ma una voce secreta leaveva già detto che non era riamata con pari affetto.Dopo quel giorno in cui gli avea dato l'ultima provadell'amor suo, ella non lo vedeva già più come innanzi.Sulle prime ei cercava una ragione, un pretesto per giu-stificare l'indugio. Ora non si dava più pensiero di que-sto: e le settimane e i mesi passavano, e la sventuratasentiva avvicinarsi la fatale epoca in cui le sorde vociche circolavano non si potrebbero più smentire, in cui lasua povera madre avrebbe conosciuto il suo fallo e lasua vergogna.

La vecchia Montenegrina non ne sapeva ancor nulla.Era una donna dei vecchi tempi: carattere duro ed auste-ro, inasprito viepiù dalla solitudine e dai disastri. Amaval'unica sua figlia, come l'orso della montagna il suo par-to: ma l'avrebbe piuttosto veduta morire, che macchiarsidi un fallo.

Yella, dal canto suo, avrebbe anch'essa anteposta lamorte ad una rivelazione che pure diveniva ogni dì più

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irreparabile e più vicina. Intanto ella conservava il[Pg 311]suo berretto virginale, preferendo mentire a se stessa edal mondo, anzichè portare l'ultimo colpo alla sua poveramadre. Così passavano i giorni senza prendere un parti-to, senza cercare un rimedio, senza rendersi contodell'indomani. Vlado poteva e doveva riparare il suo fal-lo: ma debole e irresoluto temporeggiava egli ancora, easpettava l'acqua alla gola, senza fare un passo per pre-venire il pericolo.

Povera Yella! Ella aveva scelto assai male il suo fra-tello d'anima e il compagno de' giorni suoi. Aveva spe-rato un protettore, e non avea trovato che un uomo danulla, incapace di sacrificio.

Il Vladica lo designò nella sua lingua con una parolapiù energica che non sapremmo tradurre.

Intanto, una nuova umiliazione pendeva sul capo diYella. Le sue compagne, più di lei vereconde e guardin-ghe, soffrivano a malincuore ch'ella osasse comparirealla chiesa col distintivo delle fanciulle. Vige ancora nelMontenegro, e presso le tribù slave circonvicine una tra-dizione antichissima, secondo la quale le vergini di unaparrocchia s'arrogano il diritto di strappare il berrettorosso dalla fronte di quella che avesse notoriamentemancato alle leggi della verecondia. Una specie di tribu-nale si aduna in secreto, e proferisce la sua sentenza.Fatto ciò, le giovani più virtuose del paese aspettano

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irreparabile e più vicina. Intanto ella conservava il[Pg 311]suo berretto virginale, preferendo mentire a se stessa edal mondo, anzichè portare l'ultimo colpo alla sua poveramadre. Così passavano i giorni senza prendere un parti-to, senza cercare un rimedio, senza rendersi contodell'indomani. Vlado poteva e doveva riparare il suo fal-lo: ma debole e irresoluto temporeggiava egli ancora, easpettava l'acqua alla gola, senza fare un passo per pre-venire il pericolo.

Povera Yella! Ella aveva scelto assai male il suo fra-tello d'anima e il compagno de' giorni suoi. Aveva spe-rato un protettore, e non avea trovato che un uomo danulla, incapace di sacrificio.

Il Vladica lo designò nella sua lingua con una parolapiù energica che non sapremmo tradurre.

Intanto, una nuova umiliazione pendeva sul capo diYella. Le sue compagne, più di lei vereconde e guardin-ghe, soffrivano a malincuore ch'ella osasse comparirealla chiesa col distintivo delle fanciulle. Vige ancora nelMontenegro, e presso le tribù slave circonvicine una tra-dizione antichissima, secondo la quale le vergini di unaparrocchia s'arrogano il diritto di strappare il berrettorosso dalla fronte di quella che avesse notoriamentemancato alle leggi della verecondia. Una specie di tribu-nale si aduna in secreto, e proferisce la sua sentenza.Fatto ciò, le giovani più virtuose del paese aspettano

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sulla porta della chiesa la povera vittima, e quivi la spo-gliano a forza dell'ornamento virginale che più non me-rita. Questa terribile cerimonia era già quasi dimenticatain quei luoghi. Yella non vi aveva posto pensiero, e for-se non ne aveva contezza. Ma le disgrazie non vengonomai sole, e la poverina, già abbastanza punita del fallo,era destinata a vederselo rinfacciare pubblicamente inun modo sì atroce.

Era la domenica delle Palme. La chiesa era gremita[Pg312] di gente. Yella non avea potuto trovare un pretestoper non venirci. Ella ci venne infatti col suo berrettorosso in compagnia della madre, e si pose in un angolodella chiesa, quasi avesse un presentimento della provache l'attendeva. Ella pregava e piangeva in silenzio, col-la faccia nascosta fra le palme, umiliata dinanzi a Dio edinanzi al mondo più implacabile ancora per certe colpepur degne più di pietà che di pena.

— Il Salvatore non era lì — disse il Vladica — perdire a quelle disgraziate: Chi di voi non è senza colpa,non getti la pietra alla sorella caduta! — Esse uscironodalla chiesa, e si adunarono sulla porta in aspettazionedella povera Yella. Questa uscì l'ultima cogli occhi bassie col rosario tra le mani. Fu arrestata, fu presa per lebraccia, mentre la più brutta e robusta del crocchio letolse il berretto dal capo, e gittatolo a terra, lo calpestòcon feroce dispetto.

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sulla porta della chiesa la povera vittima, e quivi la spo-gliano a forza dell'ornamento virginale che più non me-rita. Questa terribile cerimonia era già quasi dimenticatain quei luoghi. Yella non vi aveva posto pensiero, e for-se non ne aveva contezza. Ma le disgrazie non vengonomai sole, e la poverina, già abbastanza punita del fallo,era destinata a vederselo rinfacciare pubblicamente inun modo sì atroce.

Era la domenica delle Palme. La chiesa era gremita[Pg312] di gente. Yella non avea potuto trovare un pretestoper non venirci. Ella ci venne infatti col suo berrettorosso in compagnia della madre, e si pose in un angolodella chiesa, quasi avesse un presentimento della provache l'attendeva. Ella pregava e piangeva in silenzio, col-la faccia nascosta fra le palme, umiliata dinanzi a Dio edinanzi al mondo più implacabile ancora per certe colpepur degne più di pietà che di pena.

— Il Salvatore non era lì — disse il Vladica — perdire a quelle disgraziate: Chi di voi non è senza colpa,non getti la pietra alla sorella caduta! — Esse uscironodalla chiesa, e si adunarono sulla porta in aspettazionedella povera Yella. Questa uscì l'ultima cogli occhi bassie col rosario tra le mani. Fu arrestata, fu presa per lebraccia, mentre la più brutta e robusta del crocchio letolse il berretto dal capo, e gittatolo a terra, lo calpestòcon feroce dispetto.

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Yella si sentì mancare, e per la prima volta della suavita cadde priva di sensi. La povera madre impallidì perla collera, volle gittarsi sulla esecutrice della fiera sen-tenza: ma la trista verità brillò come un lampo sinistrodinanzi alla sua mente, e le tolse il coraggio e le forze.Le spietate fanciulle non perdonarono all'infelice madrei rimbrotti e gli oltraggi. — Voi avreste dovuto avernepiù cura — le dissero. — Riconducetela a casa: ella haavuto il trattamento che meritava. —

Yella aprì gli occhi e li volse lentamente d'intorno.Ella cercava alcuno nella folla, ma invano. Vlado nonera presente. Forse, se fosse stato testimonio dell'orribilepunizione, o l'avrebbe impedita, o si sarebbe presentatocome sposo della tradita. — Sarebbe stato il suo dovere— soggiunse il Vladica — e mal per lui so non l'avessecompiuto. Vi hanno vigliaccherie che non si commetto-no impunemente nelle nostre montagne. Yella[Pg 313]avrebbe trovato un vendicatore nel tempo stesso cheavea subìta la sua condanna. Ma Vlado non era lì, e lapoverina non osò nominarlo! —

V.

Di là dal confine.

— Noi pure abbiamo una frontiera ad ogni piè so-spinto — diceva il Vladica. — Qui la Turchia, là la Ser-via, costì l'Austria. Una volta c'era San Marco, antico

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Yella si sentì mancare, e per la prima volta della suavita cadde priva di sensi. La povera madre impallidì perla collera, volle gittarsi sulla esecutrice della fiera sen-tenza: ma la trista verità brillò come un lampo sinistrodinanzi alla sua mente, e le tolse il coraggio e le forze.Le spietate fanciulle non perdonarono all'infelice madrei rimbrotti e gli oltraggi. — Voi avreste dovuto avernepiù cura — le dissero. — Riconducetela a casa: ella haavuto il trattamento che meritava. —

Yella aprì gli occhi e li volse lentamente d'intorno.Ella cercava alcuno nella folla, ma invano. Vlado nonera presente. Forse, se fosse stato testimonio dell'orribilepunizione, o l'avrebbe impedita, o si sarebbe presentatocome sposo della tradita. — Sarebbe stato il suo dovere— soggiunse il Vladica — e mal per lui so non l'avessecompiuto. Vi hanno vigliaccherie che non si commetto-no impunemente nelle nostre montagne. Yella[Pg 313]avrebbe trovato un vendicatore nel tempo stesso cheavea subìta la sua condanna. Ma Vlado non era lì, e lapoverina non osò nominarlo! —

V.

Di là dal confine.

— Noi pure abbiamo una frontiera ad ogni piè so-spinto — diceva il Vladica. — Qui la Turchia, là la Ser-via, costì l'Austria. Una volta c'era San Marco, antico

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nostro alleato. Abbiamo avuto molti secoli di gloria altempo de' Veneziani. Il Turco non osava imbizzarrire,perchè sapeva che toccare il Montenegro, era tirarsi ad-dosso le galere della repubblica. I Dalmati erano alloranostri fratelli, correvano gli stessi rischi ed avevano glistessi privilegi con noi.

Ora le cose sono alquanto mutate. I Dalmati sono an-cora fratelli nostri, ma non obbediscono alle stesse leggie alla stessa politica. Noi siamo ancora fratelli, ma c'èun cordone di doganieri che ci divide e ci rende stranierigli uni agli altri. —

Ricordino i lettori che queste cose si dicevano untempo fa, che non prendessero il mio racconto per unapagina di storia contemporanea. Del resto, se le cose re-stano ancora qua e là nello stato medesimo, non è miacolpa.

La famiglia che doveva ragione a Yella del sangueversato, viveva al di là del confine: al di là di quel cor-done doganale che dava tanta noja al buon Vladica. Erauna famiglia ricca e potente per quei paesi. Il capo dicasa, autore dell'omicidio, se ne viveva tranquillo, e sifaceva beffe della camicia insanguinata che era statastrappata dal corpo della sua vittima, come pegno[Pg 314]ed arra di una prossima rappresaglia. Egli era riuscito adassopire l'affare, e non aveva avuto molestie col propriogoverno. Quanto a' parenti dell'ucciso, non se ne dava

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nostro alleato. Abbiamo avuto molti secoli di gloria altempo de' Veneziani. Il Turco non osava imbizzarrire,perchè sapeva che toccare il Montenegro, era tirarsi ad-dosso le galere della repubblica. I Dalmati erano alloranostri fratelli, correvano gli stessi rischi ed avevano glistessi privilegi con noi.

Ora le cose sono alquanto mutate. I Dalmati sono an-cora fratelli nostri, ma non obbediscono alle stesse leggie alla stessa politica. Noi siamo ancora fratelli, ma c'èun cordone di doganieri che ci divide e ci rende stranierigli uni agli altri. —

Ricordino i lettori che queste cose si dicevano untempo fa, che non prendessero il mio racconto per unapagina di storia contemporanea. Del resto, se le cose re-stano ancora qua e là nello stato medesimo, non è miacolpa.

La famiglia che doveva ragione a Yella del sangueversato, viveva al di là del confine: al di là di quel cor-done doganale che dava tanta noja al buon Vladica. Erauna famiglia ricca e potente per quei paesi. Il capo dicasa, autore dell'omicidio, se ne viveva tranquillo, e sifaceva beffe della camicia insanguinata che era statastrappata dal corpo della sua vittima, come pegno[Pg 314]ed arra di una prossima rappresaglia. Egli era riuscito adassopire l'affare, e non aveva avuto molestie col propriogoverno. Quanto a' parenti dell'ucciso, non se ne dava

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Page 403: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

pensiero. Egli non pensava a superare il confine, e nelcaso che alcuno di essi l'avesse a passare, aveva preso leopportune intelligenze co' doganieri, amici suoi, peraverne a tempo l'avviso. D'altronde, le due donne eranosole, e senza parenti assai prossimi che avessero interes-se a sposare i loro rancori, almeno finchè la fanciullanon andasse a marito.

Noi sappiamo ora a che ne fosse il matrimonio di Yel-la. Vlado l'avea promesso, l'avea giurato; ma come ave-va tradito il suo giuramento di pobratimo, poteva tradireanche l'altro da cui dipendeva oggimai l'onore e la vitadella sua fidanzata.

Quando egli venne a vederla, dopo lo scandalo delberretto rosso, ebbe luogo una scena straziante più faci-le a immaginare che a descrivere. Yella era ancora am-malata, onde il giovinastro fu accolto dalla madre chel'attendeva in un'attitudine piena di rimprovero e di mi-naccia. Ella gli narrò ciò ch'era seguìto, e prima ancoradi rinfacciargli la sua mala fede, gli domandò dov'egliera quel giorno, e perchè, dopo aver esposta la sua sorel-la d'anima a tanta vergogna, non si fosse trovato sul luo-go per prenderne le difese. Egli solo poteva prenderlafra le braccia, rialzarla da terra, e dichiarare innanzi alpopolo ch'essa era la sua fidanzata e la sua sposa.

Vlado ascoltò queste parole in cupo silenzio. Egliignorava l'accaduto, e l'aspetto di quella povera madre

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pensiero. Egli non pensava a superare il confine, e nelcaso che alcuno di essi l'avesse a passare, aveva preso leopportune intelligenze co' doganieri, amici suoi, peraverne a tempo l'avviso. D'altronde, le due donne eranosole, e senza parenti assai prossimi che avessero interes-se a sposare i loro rancori, almeno finchè la fanciullanon andasse a marito.

Noi sappiamo ora a che ne fosse il matrimonio di Yel-la. Vlado l'avea promesso, l'avea giurato; ma come ave-va tradito il suo giuramento di pobratimo, poteva tradireanche l'altro da cui dipendeva oggimai l'onore e la vitadella sua fidanzata.

Quando egli venne a vederla, dopo lo scandalo delberretto rosso, ebbe luogo una scena straziante più faci-le a immaginare che a descrivere. Yella era ancora am-malata, onde il giovinastro fu accolto dalla madre chel'attendeva in un'attitudine piena di rimprovero e di mi-naccia. Ella gli narrò ciò ch'era seguìto, e prima ancoradi rinfacciargli la sua mala fede, gli domandò dov'egliera quel giorno, e perchè, dopo aver esposta la sua sorel-la d'anima a tanta vergogna, non si fosse trovato sul luo-go per prenderne le difese. Egli solo poteva prenderlafra le braccia, rialzarla da terra, e dichiarare innanzi alpopolo ch'essa era la sua fidanzata e la sua sposa.

Vlado ascoltò queste parole in cupo silenzio. Egliignorava l'accaduto, e l'aspetto di quella povera madre

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di cui aveva tradita la confidenza, non poteva non desta-re nell'animo suo, per freddo che fosse, un senso di pietàe di rimorso.

Egli tacque, perchè non poteva rispondere alla do-manda che gli era fatta, se non rivelando un'altra viltà.[Pg 315] Egli era stato al di là della frontiera, presso allafamiglia dell'uccisore, non per compiere un atto di giu-stizia, ma per ordirvi una nuova infamia.

Eravi in quella casa un'altra fanciulla, una bionda av-venente ed accorta, che avea saputo attirare nella suarete il fidanzato di Yella, e farselo amante. Mariskaignorava il delitto di suo padre e i disegni di vendettache Vlado poteva aver concepito. Ma il padre di lei neaveva sospetto, e prima di respingere la forza colla for-za, s'era provato a scongiurare il pericolo per altra via.Egli accolse il giovane montenegrino con affettata bene-volenza, e lo fece sedere alla propria mensa. Era il modopiù ovvio di conciliarsi l'animo suo, e di fargli caderel'armi di mano. — Noi non ammazziamo mai — dicevail Vladica — un uomo che ha diviso il pane ed il salecon noi. —

Vlado si lasciò accalappiare assai facilmente, siccomequegli che non aveva una grande disposizione per le im-prese arrischiate, e preferiva amoreggiare colla figliuola,anzichè attentare alla vita del padre.

Incalzato dunque dalla vecchia implacabile, e atterrito

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di cui aveva tradita la confidenza, non poteva non desta-re nell'animo suo, per freddo che fosse, un senso di pietàe di rimorso.

Egli tacque, perchè non poteva rispondere alla do-manda che gli era fatta, se non rivelando un'altra viltà.[Pg 315] Egli era stato al di là della frontiera, presso allafamiglia dell'uccisore, non per compiere un atto di giu-stizia, ma per ordirvi una nuova infamia.

Eravi in quella casa un'altra fanciulla, una bionda av-venente ed accorta, che avea saputo attirare nella suarete il fidanzato di Yella, e farselo amante. Mariskaignorava il delitto di suo padre e i disegni di vendettache Vlado poteva aver concepito. Ma il padre di lei neaveva sospetto, e prima di respingere la forza colla for-za, s'era provato a scongiurare il pericolo per altra via.Egli accolse il giovane montenegrino con affettata bene-volenza, e lo fece sedere alla propria mensa. Era il modopiù ovvio di conciliarsi l'animo suo, e di fargli caderel'armi di mano. — Noi non ammazziamo mai — dicevail Vladica — un uomo che ha diviso il pane ed il salecon noi. —

Vlado si lasciò accalappiare assai facilmente, siccomequegli che non aveva una grande disposizione per le im-prese arrischiate, e preferiva amoreggiare colla figliuola,anzichè attentare alla vita del padre.

Incalzato dunque dalla vecchia implacabile, e atterrito

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dal grido della coscienza, Vlado non seppe rispondereche una menzogna. — Era lontano — rispose — fuor dipaese, al di là del confine... Voi sapete bene... se cercosempre una buona occasione per soddisfare al mio im-pegno, e meritarmi la mano di vostra figlia. —

Lo sguardo acuto e terribile della vecchia si fissò so-pra Vlado per sapere quanto vi era di vero inquest'asserzione. — Or bene — diss'ella — hai tu soddi-sfatto al tuo impegno? Hai tu meritato di dare il tuonome alla figlia di Dragonich? Dov'è la testa del suo as-sassino?

— Non l'ho ancora colto — balbettò Vlado — ma lacoglierò, ve lo giuro.

— Tu hai giurato troppe volte, e promesso troppe[Pg316] cose, perch'io possa fidarmi alla tua parola. Tu seiun traditore, tu hai abusato della mia fiducia, hai traditola tua posestrima, e l'hai abbandonata all'obbrobrio ealla disperazione. Tu non la vedrai, finchè non abbi ven-dicato davvero il sangue di mio marito, e datomi un pe-gno della tua fede! —

Vlado si disponeva a partire per evitare nuove do-mande: quando tutt'ad un tratto Yella, che dalla stanzavicina aveva inteso questo colloquio, si strascinò pallidae quasi morente dinanzi a lui, e gl'impedì di partire. —Madre mia — gridò essa con voce soffocata — voi do-mandate la morte di un altro, e non vedete che sto per

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dal grido della coscienza, Vlado non seppe rispondereche una menzogna. — Era lontano — rispose — fuor dipaese, al di là del confine... Voi sapete bene... se cercosempre una buona occasione per soddisfare al mio im-pegno, e meritarmi la mano di vostra figlia. —

Lo sguardo acuto e terribile della vecchia si fissò so-pra Vlado per sapere quanto vi era di vero inquest'asserzione. — Or bene — diss'ella — hai tu soddi-sfatto al tuo impegno? Hai tu meritato di dare il tuonome alla figlia di Dragonich? Dov'è la testa del suo as-sassino?

— Non l'ho ancora colto — balbettò Vlado — ma lacoglierò, ve lo giuro.

— Tu hai giurato troppe volte, e promesso troppe[Pg316] cose, perch'io possa fidarmi alla tua parola. Tu seiun traditore, tu hai abusato della mia fiducia, hai traditola tua posestrima, e l'hai abbandonata all'obbrobrio ealla disperazione. Tu non la vedrai, finchè non abbi ven-dicato davvero il sangue di mio marito, e datomi un pe-gno della tua fede! —

Vlado si disponeva a partire per evitare nuove do-mande: quando tutt'ad un tratto Yella, che dalla stanzavicina aveva inteso questo colloquio, si strascinò pallidae quasi morente dinanzi a lui, e gl'impedì di partire. —Madre mia — gridò essa con voce soffocata — voi do-mandate la morte di un altro, e non vedete che sto per

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morire io medesima! — La povera fanciulla diceva purtroppo il vero: poichè, proferite appena queste parole, silasciò cadere ai piedi di Vlado, che non osò raccoglierlatra le sue braccia.

— Ecco l'opera tua — gridò la madre. — Ecco ciòche hai fatto della tua sorella d'anima. Perchè non finisciuna volta di ucciderla? Compisci l'opera tua; avrai forseil coraggio di toglierle il resto di vita che le rimane,giacchè non ne avesti abbastanza per vendicarla!

— Voi non mi conoscete — esclamò Vlado irritato daqueste parole, e dal tuono sprezzante con cui la vecchiale avea proferite... — Lasciatemi andare. Voi avrete frapoco nuove di me. — E svincolandosi dalle mani di Yel-la che si era aggrappata alle sue ginocchia, prese la por-ta, e abbandonò quella casa che non doveva più rivede-re.

La madre di Yella riportò sul suo letto la figlia, e siassise dappresso a lei: tutte e due si guardavano in silen-zio, senza trovare nè una parola, nè una lagrima, tanto ildolore e la disperazione le avea sopraffatte.

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morire io medesima! — La povera fanciulla diceva purtroppo il vero: poichè, proferite appena queste parole, silasciò cadere ai piedi di Vlado, che non osò raccoglierlatra le sue braccia.

— Ecco l'opera tua — gridò la madre. — Ecco ciòche hai fatto della tua sorella d'anima. Perchè non finisciuna volta di ucciderla? Compisci l'opera tua; avrai forseil coraggio di toglierle il resto di vita che le rimane,giacchè non ne avesti abbastanza per vendicarla!

— Voi non mi conoscete — esclamò Vlado irritato daqueste parole, e dal tuono sprezzante con cui la vecchiale avea proferite... — Lasciatemi andare. Voi avrete frapoco nuove di me. — E svincolandosi dalle mani di Yel-la che si era aggrappata alle sue ginocchia, prese la por-ta, e abbandonò quella casa che non doveva più rivede-re.

La madre di Yella riportò sul suo letto la figlia, e siassise dappresso a lei: tutte e due si guardavano in silen-zio, senza trovare nè una parola, nè una lagrima, tanto ildolore e la disperazione le avea sopraffatte.

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VI.

Marco e Madonna.

Vlado abitava non lungi dalla frontiera, e bazzicandoco' trafficanti che andavano da un paese all'altro pei loroaffari, avea perduto la primitiva impronta montenegrina,senza migliorare nè i suoi costumi, nè i suoi sentimenti.Era una natura perplessa, arrendevole alle prime impres-sioni che riceveva, senza darsi pensiero delle conse-guenze che ne verrebbero. Il caso era la sua ragione e lasua provvidenza.

Uscendo dalla casa di Yella, irritato dalle parole dellasuocera, e commosso dallo stato in cui sapeva di averposto la sua fidanzata, prese il cammino del suo villag-gio, entrò nella sua casuccia, si armò delle pistole e delcangiaro, e valicò a gran passi quella specie di landa,irta di cespugli e di roveti che separa il Montenegro dalterritorio soggetto all'Austria.

Dove andava costui?

Era chiaro che si dirigeva verso la casa maladetta:ma difficile a prevedere con quali intenzioni vi andasse.La sua mente era più confusa e più incerta che mai. Abi-tava quella casa un uomo ch'egli avea giurato di uccide-re; e una bella fanciulla che ve lo attirava colle sue peri-colose lusinghe. Non era già questa la lotta consueta fra

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VI.

Marco e Madonna.

Vlado abitava non lungi dalla frontiera, e bazzicandoco' trafficanti che andavano da un paese all'altro pei loroaffari, avea perduto la primitiva impronta montenegrina,senza migliorare nè i suoi costumi, nè i suoi sentimenti.Era una natura perplessa, arrendevole alle prime impres-sioni che riceveva, senza darsi pensiero delle conse-guenze che ne verrebbero. Il caso era la sua ragione e lasua provvidenza.

Uscendo dalla casa di Yella, irritato dalle parole dellasuocera, e commosso dallo stato in cui sapeva di averposto la sua fidanzata, prese il cammino del suo villag-gio, entrò nella sua casuccia, si armò delle pistole e delcangiaro, e valicò a gran passi quella specie di landa,irta di cespugli e di roveti che separa il Montenegro dalterritorio soggetto all'Austria.

Dove andava costui?

Era chiaro che si dirigeva verso la casa maladetta:ma difficile a prevedere con quali intenzioni vi andasse.La sua mente era più confusa e più incerta che mai. Abi-tava quella casa un uomo ch'egli avea giurato di uccide-re; e una bella fanciulla che ve lo attirava colle sue peri-colose lusinghe. Non era già questa la lotta consueta fra

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il bene e il male: era una lotta fra due impulsi, fra dueordini d'idee che mettevano da un lato e dall'altro aun'azione colpevole. Poichè se l'omicidio era un delitto,l'abbandono di Yella e i suoi amori coll'altra non eranouna virtù.

Ei s'assise sopra un tronco d'albero rovesciatodall'uragano,[Pg 318] alla vista di quella casa, a cui lospingevano due cause così diverse.

Egli era stanco non tanto del lungo cammino, quantodella lotta interna che scuoteva la sua coscienza. Dopoun lungo ruminare ed almanaccare così fra sè, trasse ditasca una picciola moneta di rame già fuor di corso, ech'egli serbava evidentemente ad altr'uso che a quello dispenderla. Era un quattrinello dei tempi della repubbli-ca, che allora denominavasi un marcolino, per il leonedi San Marco che portava rozzamente impresso da unafaccia, mentre dall'altra mostrava l'immagine di NostraDonna: Marco e Madonna, come sta scritto in fronte aquesto capitolo. I monelli, e spesse volte anche gli adul-ti, se ne servivano per un giuoco che prese il nome daquelle due impronte. Era una variante de' dadi antichi emoderni: uno dei mille modi d'interrogare e tentar lafortuna.

Ma Vlado era solo. Ei guardava con occhio torvoquella moneta; la scuoteva fra le due palme sovrappostel'una all'altra prima di lanciarla in aria e spiare l'impron-

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il bene e il male: era una lotta fra due impulsi, fra dueordini d'idee che mettevano da un lato e dall'altro aun'azione colpevole. Poichè se l'omicidio era un delitto,l'abbandono di Yella e i suoi amori coll'altra non eranouna virtù.

Ei s'assise sopra un tronco d'albero rovesciatodall'uragano,[Pg 318] alla vista di quella casa, a cui lospingevano due cause così diverse.

Egli era stanco non tanto del lungo cammino, quantodella lotta interna che scuoteva la sua coscienza. Dopoun lungo ruminare ed almanaccare così fra sè, trasse ditasca una picciola moneta di rame già fuor di corso, ech'egli serbava evidentemente ad altr'uso che a quello dispenderla. Era un quattrinello dei tempi della repubbli-ca, che allora denominavasi un marcolino, per il leonedi San Marco che portava rozzamente impresso da unafaccia, mentre dall'altra mostrava l'immagine di NostraDonna: Marco e Madonna, come sta scritto in fronte aquesto capitolo. I monelli, e spesse volte anche gli adul-ti, se ne servivano per un giuoco che prese il nome daquelle due impronte. Era una variante de' dadi antichi emoderni: uno dei mille modi d'interrogare e tentar lafortuna.

Ma Vlado era solo. Ei guardava con occhio torvoquella moneta; la scuoteva fra le due palme sovrappostel'una all'altra prima di lanciarla in aria e spiare l'impron-

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ta che avrebbe mostrato ricadendo sulla sua palma aper-ta a riceverla.

Il disgraziato stava per giuocare a Marco e Madonnala vita d'un uomo e l'onor d'una povera giovane chel'amava. Egli non aveva trovato un mezzo migliore perilluminare la sua coscienza. — Se verrà Marco — dice-va — egli sarà la morte: il leone non perdona. Se sarà laSanta Vergine, allora sarà tutt'altro. Ella non vuol lamorte del peccatore: io sposerò Mariska, e tutto sarà fi-nito. Yella non potrà pigliarsela che colla Provvidenza,che avrà deciso della sua sorte. —

Ma parve che la Provvidenza non volesse prestarsi asimile prova. La moneta lanciata in aria cadde a terra esi smarrì in una profonda fenditura del suolo.[Pg 319] Vla-do avrebbe potuto ricercarla, o rinnovare il giuoco conaltra moneta: ma egli era superstizioso, e prese l'acci-dente per un avviso del Cielo che non volea farsi com-plice di una simile alternativa.

— Tanto peggio! — sclamò Vlado alzandosi. — Mene andrò difilato alla casa: la prima persona che incon-trerò farà piegar la bilancia. Se sarà il vecchio, l'uccide-rò; se sarà la ragazza, l'abbraccerò, e quello che faròsarà fatto. —

Presa questa risoluzione, si mosse, e senza guardarenè a dritta nè a sinistra giunse alla porta. Bussò: Mariskavenne ad aprire, e accolse il giovanotto colle solite moi-

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ta che avrebbe mostrato ricadendo sulla sua palma aper-ta a riceverla.

Il disgraziato stava per giuocare a Marco e Madonnala vita d'un uomo e l'onor d'una povera giovane chel'amava. Egli non aveva trovato un mezzo migliore perilluminare la sua coscienza. — Se verrà Marco — dice-va — egli sarà la morte: il leone non perdona. Se sarà laSanta Vergine, allora sarà tutt'altro. Ella non vuol lamorte del peccatore: io sposerò Mariska, e tutto sarà fi-nito. Yella non potrà pigliarsela che colla Provvidenza,che avrà deciso della sua sorte. —

Ma parve che la Provvidenza non volesse prestarsi asimile prova. La moneta lanciata in aria cadde a terra esi smarrì in una profonda fenditura del suolo.[Pg 319] Vla-do avrebbe potuto ricercarla, o rinnovare il giuoco conaltra moneta: ma egli era superstizioso, e prese l'acci-dente per un avviso del Cielo che non volea farsi com-plice di una simile alternativa.

— Tanto peggio! — sclamò Vlado alzandosi. — Mene andrò difilato alla casa: la prima persona che incon-trerò farà piegar la bilancia. Se sarà il vecchio, l'uccide-rò; se sarà la ragazza, l'abbraccerò, e quello che faròsarà fatto. —

Presa questa risoluzione, si mosse, e senza guardarenè a dritta nè a sinistra giunse alla porta. Bussò: Mariskavenne ad aprire, e accolse il giovanotto colle solite moi-

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ne.

— Il Cielo ha parlato — pensò quel tristo. — Questabella ragazza sarà mia moglie. —

VII.

La terza pubblicazione.

Parecchi giorni eran già passati dacchè Vlado avea la-sciato la capanna di Yella. Ognuno può immaginarsi lostato della povera derelitta. Che era avvenuto di lui?Dove indugiavasi? Perchè non tornava a mantenere lasua parola?

Il modo ond'era partito poteva lasciar luogo ad ognisorte di congetture. Aveva egli tentato il colpo? Era riu-scito nell'attentato, o era caduto egli stesso vittima delsuo forte avversario? Era questa l'idea che tormentava lapovera giovane, inchiodata pur sempre sul suo lettuccio.Si può ben pensare che la scena che abbiam raccontatonon avea contribuito a renderle la salute.

Sua madre non l'abbandonava giammai: ma che[Pg 320]poteva ella dirle per mettere in calma l'anima sua? Essamedesima avea posto quello sciagurato nella terribile al-ternativa colle sue dure parole e co' suoi rimproveri. Ellatacevasi dunque, ed aspettava in cupo silenzio la volontàdel destino.

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ne.

— Il Cielo ha parlato — pensò quel tristo. — Questabella ragazza sarà mia moglie. —

VII.

La terza pubblicazione.

Parecchi giorni eran già passati dacchè Vlado avea la-sciato la capanna di Yella. Ognuno può immaginarsi lostato della povera derelitta. Che era avvenuto di lui?Dove indugiavasi? Perchè non tornava a mantenere lasua parola?

Il modo ond'era partito poteva lasciar luogo ad ognisorte di congetture. Aveva egli tentato il colpo? Era riu-scito nell'attentato, o era caduto egli stesso vittima delsuo forte avversario? Era questa l'idea che tormentava lapovera giovane, inchiodata pur sempre sul suo lettuccio.Si può ben pensare che la scena che abbiam raccontatonon avea contribuito a renderle la salute.

Sua madre non l'abbandonava giammai: ma che[Pg 320]poteva ella dirle per mettere in calma l'anima sua? Essamedesima avea posto quello sciagurato nella terribile al-ternativa colle sue dure parole e co' suoi rimproveri. Ellatacevasi dunque, ed aspettava in cupo silenzio la volontàdel destino.

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Ma Yella non durò lungamente in quello stato di per-plessità e d'incertezza. Colse il momento che sua madreera assente, e così debole com'era, e non ancor liberadalla febbre, prese la via de' campi. La febbre più chealtro la sostenne, e le die' l'energia necessaria a compie-re il suo disegno.

Volle domandare alla gente che incontrava per via sesapessero nulla di Vlado: ma non osò proferire quelnome, e tirò diritto senza aprir bocca. Evitando le stradebattute, andò, andò, dove il suo destino la sospingeva,senza arrestarsi, senza guardarsi intorno, fino al momen-to in cui la capanna di Vlado si scoprì innanzi a lei. Ellanon v'era stata se non un'altra volta — quel giorno fataleche, presa da una strana vertigine, s'era abbandonata frale braccia del suo fratello d'anima, e avea consentito adesser la sua sposa dinanzi a Dio.

Ella bussò a quella porta, ma nessuno rispose. I vicinile dissero che Vlado era assente da molti giorni, e cheprobabilmente non vi sarebbe tornato che dopo celebra-te le nozze. — Le nozze? — La povera Yella impallidì aquella risposta. Quali nozze eran queste di cui si parla-va? Ella non poteva indovinarlo. — Sarà un pretesto —pensò la disgraziata. — Sarà per certo un rumore ch'eglistesso avrà fatto correre per celare il vero scopo del suoviaggio. Dovrò attenderlo qui, o ritornerò senza costrut-to al paese? No: è necessario ch'io lo vegga: è necessa-rio ch'io sappia che accade di lui. Andrò io stessa di là

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Ma Yella non durò lungamente in quello stato di per-plessità e d'incertezza. Colse il momento che sua madreera assente, e così debole com'era, e non ancor liberadalla febbre, prese la via de' campi. La febbre più chealtro la sostenne, e le die' l'energia necessaria a compie-re il suo disegno.

Volle domandare alla gente che incontrava per via sesapessero nulla di Vlado: ma non osò proferire quelnome, e tirò diritto senza aprir bocca. Evitando le stradebattute, andò, andò, dove il suo destino la sospingeva,senza arrestarsi, senza guardarsi intorno, fino al momen-to in cui la capanna di Vlado si scoprì innanzi a lei. Ellanon v'era stata se non un'altra volta — quel giorno fataleche, presa da una strana vertigine, s'era abbandonata frale braccia del suo fratello d'anima, e avea consentito adesser la sua sposa dinanzi a Dio.

Ella bussò a quella porta, ma nessuno rispose. I vicinile dissero che Vlado era assente da molti giorni, e cheprobabilmente non vi sarebbe tornato che dopo celebra-te le nozze. — Le nozze? — La povera Yella impallidì aquella risposta. Quali nozze eran queste di cui si parla-va? Ella non poteva indovinarlo. — Sarà un pretesto —pensò la disgraziata. — Sarà per certo un rumore ch'eglistesso avrà fatto correre per celare il vero scopo del suoviaggio. Dovrò attenderlo qui, o ritornerò senza costrut-to al paese? No: è necessario ch'io lo vegga: è necessa-rio ch'io sappia che accade di lui. Andrò io stessa di là

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dal confine, dove forse si trattiene aspettando il momen-to opportuno per soddisfare all'obbligo suo, e mettersiin[Pg 321] grazia di mia madre. Per certo l'accuso a torto:a torto sospetto di lui. Egli non osa tornare senza avereseguita la condizione che gli fu imposta. Egli non pen-sa che a me, e corre i più gravi pericoli per cagion mia.—

Ella s'ingannava, la poverina, e si nutriva di nuove il-lusioni. Se non che quelle nozze venivano pur sempre aturbarla, come una parola di sinistro augurio, come unoscuro presagio di nuovi guai. Ella si rimise in camminoinconscia del dove dirigersi: e non so come, si ritrovòper l'appunto sulla linea di frontiera tra le provincie illi-riche e il Montenegro. Ella non aveva mai passato queilimiti, ed esitò lungamente prima d'avventurarsi su quel-la terra infausta che le parea rosseggiare del sangue pa-terno.

Al momento di oltrepassar la dogana ella s'imbattè inuno de' suoi compaesani che avea veduto altre volte. Eraquel milite venuto tempo fa da parte del principe a con-fiscare la camicia insanguinata e che, sul punto di con-gedarsi, le si era profferto in così strana maniera. —Conta su di me — le avea detto — se avrai bisogno d'unamico o d'un fratello. — Il milite ebbe qualche difficoltàa ravvisarla, tanto era mutata per la malattia sofferta, eper le angustie terribili ond'era oppressa. Ma appena ri-conosciutala, si rammentò la promessa fatta, e s'accostò

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dal confine, dove forse si trattiene aspettando il momen-to opportuno per soddisfare all'obbligo suo, e mettersiin[Pg 321] grazia di mia madre. Per certo l'accuso a torto:a torto sospetto di lui. Egli non osa tornare senza avereseguita la condizione che gli fu imposta. Egli non pen-sa che a me, e corre i più gravi pericoli per cagion mia.—

Ella s'ingannava, la poverina, e si nutriva di nuove il-lusioni. Se non che quelle nozze venivano pur sempre aturbarla, come una parola di sinistro augurio, come unoscuro presagio di nuovi guai. Ella si rimise in camminoinconscia del dove dirigersi: e non so come, si ritrovòper l'appunto sulla linea di frontiera tra le provincie illi-riche e il Montenegro. Ella non aveva mai passato queilimiti, ed esitò lungamente prima d'avventurarsi su quel-la terra infausta che le parea rosseggiare del sangue pa-terno.

Al momento di oltrepassar la dogana ella s'imbattè inuno de' suoi compaesani che avea veduto altre volte. Eraquel milite venuto tempo fa da parte del principe a con-fiscare la camicia insanguinata e che, sul punto di con-gedarsi, le si era profferto in così strana maniera. —Conta su di me — le avea detto — se avrai bisogno d'unamico o d'un fratello. — Il milite ebbe qualche difficoltàa ravvisarla, tanto era mutata per la malattia sofferta, eper le angustie terribili ond'era oppressa. Ma appena ri-conosciutala, si rammentò la promessa fatta, e s'accostò

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per sapere ove andasse.

— Questo paese non è sicuro per te — le disse.

— Non importa — rispose Yella. — Io devo passare.Ho un affare pressante di là dal confine.

— Lo so bene — replicò l'altro — lo so bene. Ma tan-to e tanto faresti meglio a ritornartene a casa. Segui ilconsiglio d'un amico.

— Grazie, — diss'ella — grazie de' vostri buoni con-sigli. Ma io devo sapere ad ogni costo dov'è il mio pro-messo.

[Pg 322]

— Il tuo promesso, ragazza mia? —

Ella chinò la testa, ed arrossì fino agli occhi.

— Il tuo promesso è un traditore — riprese il milite.— Cattivo fratello, e pessimo compagno per te. Indietro,indietro, non cercar di vederlo: e caccialo dal tuo pen-siero, se puoi.

— Egli è morto! — mormorò Yella. — Egli è mortonella intrapresa che s'è addossato. L'assassino di mio pa-dre ha trionfato un'altra volta di noi. Ditelo chiaro. Lasua morte sarà la mia morte, ma pure mi sarà menoamara di un tradimento da parte sua. —

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per sapere ove andasse.

— Questo paese non è sicuro per te — le disse.

— Non importa — rispose Yella. — Io devo passare.Ho un affare pressante di là dal confine.

— Lo so bene — replicò l'altro — lo so bene. Ma tan-to e tanto faresti meglio a ritornartene a casa. Segui ilconsiglio d'un amico.

— Grazie, — diss'ella — grazie de' vostri buoni con-sigli. Ma io devo sapere ad ogni costo dov'è il mio pro-messo.

[Pg 322]

— Il tuo promesso, ragazza mia? —

Ella chinò la testa, ed arrossì fino agli occhi.

— Il tuo promesso è un traditore — riprese il milite.— Cattivo fratello, e pessimo compagno per te. Indietro,indietro, non cercar di vederlo: e caccialo dal tuo pen-siero, se puoi.

— Egli è morto! — mormorò Yella. — Egli è mortonella intrapresa che s'è addossato. L'assassino di mio pa-dre ha trionfato un'altra volta di noi. Ditelo chiaro. Lasua morte sarà la mia morte, ma pure mi sarà menoamara di un tradimento da parte sua. —

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— Povera donna — disse il rozzo e buon montanaro.— Mi è duro dovertelo dire: ma il male non ha rimedio,e nulla gioverebbe nasconderlo. Già presto o tardi do-vresti saperlo. Su via! ragazza: coraggio, sorella mia. Èd'uopo prendere il tuo partito. Vlado si è seduto allamensa dell'assassino, ha diviso il pane e il sale con lui, einvece di vendicare il sangue di tuo padre e riscattarel'onore della tua famiglia, egli ti sacrificò da vigliacco,accettando la mano d'una sua figlia.

— Voi mentite...: È impossibile! — gridò Yella.

— Io non mento punto, ragazza. Io ti dico la veritàper quanto mi sia grave doverti affliggere colla trista no-vella. Tu hai collocato assai male il tuo amore e la tuafiducia. —

Yella, bianca come un cadavare cadde al suolo privadi sensi. Il rozzo cacciatore che le avea dato, senza ap-parecchiarvela, un annuncio così crudele, la prese nellesue braccia e cercò di richiamarla alla vita. — No, non èvero, non può essere — diceva la misera rinvenendo. —È un sogno, è un sogno orribile, ma finirà presto. Non èvero che è un sogno? —

Il cacciatore, spaventato dall'impressione che le sueparole avevano prodotto sulla povera donna, non[Pg 323]sapea che rispondere. Egli si tacque, guardandola conun'espressione di pietà affatto nuova per lui.

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— Povera donna — disse il rozzo e buon montanaro.— Mi è duro dovertelo dire: ma il male non ha rimedio,e nulla gioverebbe nasconderlo. Già presto o tardi do-vresti saperlo. Su via! ragazza: coraggio, sorella mia. Èd'uopo prendere il tuo partito. Vlado si è seduto allamensa dell'assassino, ha diviso il pane e il sale con lui, einvece di vendicare il sangue di tuo padre e riscattarel'onore della tua famiglia, egli ti sacrificò da vigliacco,accettando la mano d'una sua figlia.

— Voi mentite...: È impossibile! — gridò Yella.

— Io non mento punto, ragazza. Io ti dico la veritàper quanto mi sia grave doverti affliggere colla trista no-vella. Tu hai collocato assai male il tuo amore e la tuafiducia. —

Yella, bianca come un cadavare cadde al suolo privadi sensi. Il rozzo cacciatore che le avea dato, senza ap-parecchiarvela, un annuncio così crudele, la prese nellesue braccia e cercò di richiamarla alla vita. — No, non èvero, non può essere — diceva la misera rinvenendo. —È un sogno, è un sogno orribile, ma finirà presto. Non èvero che è un sogno? —

Il cacciatore, spaventato dall'impressione che le sueparole avevano prodotto sulla povera donna, non[Pg 323]sapea che rispondere. Egli si tacque, guardandola conun'espressione di pietà affatto nuova per lui.

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— Perchè, ingannarmi? — gli diss'ella. — Voi sapetebene che Vlado non può sposare un'altra donna. Sono iola sua sposa dinanzi a Dio. Ogni altro matrimonio è im-possibile.

— Va dunque — replicò il cacciatore. — Forse è tem-po ancora, perchè tu faccia valere i tuoi diritti. Va a pre-sentarti al curato del paese, e metti impedimento a que-sto matrimonio. Tutte le pubblicazioni non sono ancorfatte. —

Questa volta, Yella prese la cosa sul serio. — Mostra-temi il cammino — diss'ella.

— Segui questo sentiero — rispose il cacciatore. —Tu vedrai presto comparire il villaggio. Domanda di ve-dere il curato. Domani è domenica. Egli sarà per certoalla parrocchia. Checchè ti avvenga, vieni a raggiunger-mi. Io non mi muovo di qua, e se posso ajutarti, sai cheti ho dato la mia parola, ed io non mancherò. —

Yella partì come una freccia dall'arco senza pur rin-graziarlo della sua offerta. Passò il confine, seguì il sen-tiero che le era stato indicato, e in capo ad un'ora videsorgere all'orizzonte il campanile del paesuccio a cuis'avviava.

Il sole era già tramontato; onde, malgrado il vivo suodesiderio, la povera giovane non osò picchiare ad ora sìtarda alla porta del parroco. Chiese ospitalità alla prima

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— Perchè, ingannarmi? — gli diss'ella. — Voi sapetebene che Vlado non può sposare un'altra donna. Sono iola sua sposa dinanzi a Dio. Ogni altro matrimonio è im-possibile.

— Va dunque — replicò il cacciatore. — Forse è tem-po ancora, perchè tu faccia valere i tuoi diritti. Va a pre-sentarti al curato del paese, e metti impedimento a que-sto matrimonio. Tutte le pubblicazioni non sono ancorfatte. —

Questa volta, Yella prese la cosa sul serio. — Mostra-temi il cammino — diss'ella.

— Segui questo sentiero — rispose il cacciatore. —Tu vedrai presto comparire il villaggio. Domanda di ve-dere il curato. Domani è domenica. Egli sarà per certoalla parrocchia. Checchè ti avvenga, vieni a raggiunger-mi. Io non mi muovo di qua, e se posso ajutarti, sai cheti ho dato la mia parola, ed io non mancherò. —

Yella partì come una freccia dall'arco senza pur rin-graziarlo della sua offerta. Passò il confine, seguì il sen-tiero che le era stato indicato, e in capo ad un'ora videsorgere all'orizzonte il campanile del paesuccio a cuis'avviava.

Il sole era già tramontato; onde, malgrado il vivo suodesiderio, la povera giovane non osò picchiare ad ora sìtarda alla porta del parroco. Chiese ospitalità alla prima

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casa che vide aperta, e fu accolta amorevolmente senzasubire alcuna domanda indiscreta. L'ospitalità è una del-le virtù tradizionali dei popoli slavi.

Ella avrebbe voluto informarsi del fatto ed uscire ad-dirittura d'ogni dubbio, ma non osò dire una sola parola.All'indomani, giorno di festa, si recò cogli altri allachiesa per ascoltare la messa.

[Pg 324]

Dopo l'evangelio, il curato, rivolto ai fedeli, proclamòper la terza volta il matrimonio di Vlado e di Mariska.

Un grido acuto coprì queste parole.

Tutti si rivolsero al canto della chiesa da cui s'era le-vato quel grido.

Non è necessario ch'io dica chi l'aveva gittato.

La certezza della sua sventura avea colpito come fol-gore la povera Yella. Ella non morì sul colpo — ma per-dè la luce della ragione!

VIII.

Un difensore insperato.

Il cacciatore che aveva annunciato a Yella la dolorosa

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casa che vide aperta, e fu accolta amorevolmente senzasubire alcuna domanda indiscreta. L'ospitalità è una del-le virtù tradizionali dei popoli slavi.

Ella avrebbe voluto informarsi del fatto ed uscire ad-dirittura d'ogni dubbio, ma non osò dire una sola parola.All'indomani, giorno di festa, si recò cogli altri allachiesa per ascoltare la messa.

[Pg 324]

Dopo l'evangelio, il curato, rivolto ai fedeli, proclamòper la terza volta il matrimonio di Vlado e di Mariska.

Un grido acuto coprì queste parole.

Tutti si rivolsero al canto della chiesa da cui s'era le-vato quel grido.

Non è necessario ch'io dica chi l'aveva gittato.

La certezza della sua sventura avea colpito come fol-gore la povera Yella. Ella non morì sul colpo — ma per-dè la luce della ragione!

VIII.

Un difensore insperato.

Il cacciatore che aveva annunciato a Yella la dolorosa

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notizia, non vedendola ritornare, avea preso la via delvillaggio e la stava aspettando fuor della chiesa.

L'onesto Gregorio era ben lungi dall'immaginarsi unasì trista conseguenza. Era un uomo di cuore, come ve-dremo, ma d'una tempra troppo rozza per poter prevede-re gli effetti di una tale rivelazione sull'animo di unadonna. Vi lascio dunque pensare come restasse quandola vide uscir dalla chiesa, accompagnata e quasi portatadalla ospitale famiglia che l'aveva ricoverata. Attonito efremente s'unì senza dir nulla al tristo corteo, e datosi aconoscere al capo di casa, s'incaricò di ricondurre pressoalla madre la disgraziata fanciulla. Era il partito miglio-re, l'unico partito che rimanesse.

Yella si lasciò condur via senza opporre la minima re-sistenza, e senza pronunciare una sola parola. Gregoriosi teneva anch'egli in silenzio, credendo inutili i suoiconforti. Egli vedeva bene che nello stato in cui si trova-va,[Pg 325] la povera Yella non poteva più mettere ad ese-cuzione il disegno che le avea suggerito. Ricondusse in-tanto alla vecchia madre la sua figliuola, raccontò nellamiglior maniera che seppe ciò che era avvenuto, e se neandò pe' fatti suoi.

Ma il rozzo montanaro non era uomo da dimenticarela sua promessa. Ei non aveva parole ma fatti. L'aspettodi quella misera, lo stato deplorabile in che l'aveva la-sciata, l'ingiustizia e il tradimento di che era vittima, tut-

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notizia, non vedendola ritornare, avea preso la via delvillaggio e la stava aspettando fuor della chiesa.

L'onesto Gregorio era ben lungi dall'immaginarsi unasì trista conseguenza. Era un uomo di cuore, come ve-dremo, ma d'una tempra troppo rozza per poter prevede-re gli effetti di una tale rivelazione sull'animo di unadonna. Vi lascio dunque pensare come restasse quandola vide uscir dalla chiesa, accompagnata e quasi portatadalla ospitale famiglia che l'aveva ricoverata. Attonito efremente s'unì senza dir nulla al tristo corteo, e datosi aconoscere al capo di casa, s'incaricò di ricondurre pressoalla madre la disgraziata fanciulla. Era il partito miglio-re, l'unico partito che rimanesse.

Yella si lasciò condur via senza opporre la minima re-sistenza, e senza pronunciare una sola parola. Gregoriosi teneva anch'egli in silenzio, credendo inutili i suoiconforti. Egli vedeva bene che nello stato in cui si trova-va,[Pg 325] la povera Yella non poteva più mettere ad ese-cuzione il disegno che le avea suggerito. Ricondusse in-tanto alla vecchia madre la sua figliuola, raccontò nellamiglior maniera che seppe ciò che era avvenuto, e se neandò pe' fatti suoi.

Ma il rozzo montanaro non era uomo da dimenticarela sua promessa. Ei non aveva parole ma fatti. L'aspettodi quella misera, lo stato deplorabile in che l'aveva la-sciata, l'ingiustizia e il tradimento di che era vittima, tut-

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to ciò l'aveva profondamente indignato e commosso. Daquel momento egli considerò la povera abbandonatacome fosse sua sorella o sua figlia, e giurò seco stesso,che se non poteva rimediare a tanta disgrazia, almenoavrebbe vendicato l'oltraggio da lei indegnamente sof-ferto.

Presa ch'egli ebbe una tale risoluzione, la chiuse in sestesso, aspettando il tempo e il luogo di metterla ad ef-fetto. Tuttavia non volle lasciar intentato ogni mezzo le-gale, e senza ben rendersi conto del suo progetto,s'avviò un'altra volta al villaggio ch'era stato teatro deltristo avvenimento.

Ei si recò difilato dal parroco, e dopo avergli espostoin poche parole la dolorosa storia, dichiarò che il nuovomatrimonio era impossibile e nullo, e ch'egli veniva ap-punto per mettere l'impedimento.

Il parroco lo ascoltò senza punto sconciarsi. Disgra-ziatamente non era uomo di molto ingegno. Pusillanimee mal compreso della santità e dei doveri del suo mini-stero, si contentò di domandare a Gregorio con qual di-ritto, e in virtù di qual titolo si presentasse per impedireun tal matrimonio. Era egli il fratello, il cugino, un con-giunto qualunque della ragazza? — Le cose non si fan-no punto a questo modo nella mia parrocchia, — sog-giunse il curato. — Vlado è libero: non esiste alcun[Pg326] matrimonio anteriore contratto dinanzi alla Chiesa:

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to ciò l'aveva profondamente indignato e commosso. Daquel momento egli considerò la povera abbandonatacome fosse sua sorella o sua figlia, e giurò seco stesso,che se non poteva rimediare a tanta disgrazia, almenoavrebbe vendicato l'oltraggio da lei indegnamente sof-ferto.

Presa ch'egli ebbe una tale risoluzione, la chiuse in sestesso, aspettando il tempo e il luogo di metterla ad ef-fetto. Tuttavia non volle lasciar intentato ogni mezzo le-gale, e senza ben rendersi conto del suo progetto,s'avviò un'altra volta al villaggio ch'era stato teatro deltristo avvenimento.

Ei si recò difilato dal parroco, e dopo avergli espostoin poche parole la dolorosa storia, dichiarò che il nuovomatrimonio era impossibile e nullo, e ch'egli veniva ap-punto per mettere l'impedimento.

Il parroco lo ascoltò senza punto sconciarsi. Disgra-ziatamente non era uomo di molto ingegno. Pusillanimee mal compreso della santità e dei doveri del suo mini-stero, si contentò di domandare a Gregorio con qual di-ritto, e in virtù di qual titolo si presentasse per impedireun tal matrimonio. Era egli il fratello, il cugino, un con-giunto qualunque della ragazza? — Le cose non si fan-no punto a questo modo nella mia parrocchia, — sog-giunse il curato. — Vlado è libero: non esiste alcun[Pg326] matrimonio anteriore contratto dinanzi alla Chiesa:

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le tre pubblicazioni sono state fatte regolarmente comeprescrive la legge civile e canonica. Voi vedete dunqueche la vostra opposizione è affatto intempestiva, illega-le. I due sposi sono gente per bene e timorata di Dio:sembrano fatti proprio l'uno per l'altro. La ragazza è nonsolo mia parrocchiana, ma mia figlioccia. Ha una doteassai ragguardevole, e voi v'ingannereste a partito sepretendeste mandare a monte una unione sì bene assorti-ta.

— Ma l'altra, — rispose Gregorio — l'altra disgrazia-ta che è già sua sposa dinanzi a Dio, e che sarà perdutasenza rimedio, s'egli manca alla sua promessa, e dà lamano a questa donna?

— Deploro la sua disgrazia — soggiunse il parroco,— deploro la sua disgrazia, ma non so che fare per lei.Alfine è una forastiera che non è nemmeno cattolica, eche non posso considerare come una mia pecorella. Delresto se si tratterà di una qualche indennità, la famiglia èassai ricca, e non vorrà negarle qualche soccorso, se neha bisogno. M'incarico io stesso di presentare la sua do-manda, e sarò lieto di terminar quest'affare alla buona,senza scandali inutili e senza ricorrere ai tribunali. —

Queste parole fecero sorgere un'altra idea nel cervellodel nostro Gregorio. Egli pensò al Commissario, e ve-dendo che non poteva ottener nulla di buono da questaparte, si dispose a fare una visita a un avvocato di sua

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le tre pubblicazioni sono state fatte regolarmente comeprescrive la legge civile e canonica. Voi vedete dunqueche la vostra opposizione è affatto intempestiva, illega-le. I due sposi sono gente per bene e timorata di Dio:sembrano fatti proprio l'uno per l'altro. La ragazza è nonsolo mia parrocchiana, ma mia figlioccia. Ha una doteassai ragguardevole, e voi v'ingannereste a partito sepretendeste mandare a monte una unione sì bene assorti-ta.

— Ma l'altra, — rispose Gregorio — l'altra disgrazia-ta che è già sua sposa dinanzi a Dio, e che sarà perdutasenza rimedio, s'egli manca alla sua promessa, e dà lamano a questa donna?

— Deploro la sua disgrazia — soggiunse il parroco,— deploro la sua disgrazia, ma non so che fare per lei.Alfine è una forastiera che non è nemmeno cattolica, eche non posso considerare come una mia pecorella. Delresto se si tratterà di una qualche indennità, la famiglia èassai ricca, e non vorrà negarle qualche soccorso, se neha bisogno. M'incarico io stesso di presentare la sua do-manda, e sarò lieto di terminar quest'affare alla buona,senza scandali inutili e senza ricorrere ai tribunali. —

Queste parole fecero sorgere un'altra idea nel cervellodel nostro Gregorio. Egli pensò al Commissario, e ve-dendo che non poteva ottener nulla di buono da questaparte, si dispose a fare una visita a un avvocato di sua

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conoscenza per consultarlo su questa faccenda.

L'avvocato, com'era facile a prevedersi, s'informò im-mediatamente se vi fosse nulla di scritto dalla parte diVlado. Gregorio non ne sapeva nulla, ma non si usamolto scrivere in quei paesi, e Vlado poteva ben essereilletterato del tutto.

[Pg 327]

— In tal caso — disse l'avvocato — non c'è molto dafare nè da sperare. Il Commissario non suol ammetterefacilmente la prova verbale: non giudica che sui docu-menti scritti e firmati. Vi consiglio a risparmiarvi il di-sturbo e la spesa.

— Dunque non c'è più giustizia al mondo? — sclamòGregorio. — Si può dunque tradire e abbandonare im-punemente una poverina che s'è fidata sulla parola?Pazziavira! Le cose non passano a questo modo fra noi!—

Egli proferì questa interiezione tradizionale con taleaccento, che l'avvocato n'ebbe paura. — Dio vi salvi,avvocato mio — disse Gregorio, ricomponendosi a sten-to. — Dio vi salvi! Avrete nuove di me! — Così dicen-do rimise in testa il suo colpacco e partì maledicendo altempo e alle parole perdute senza costrutto.

Senza mettere tempo in mezzo se ne andò difilato alla

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conoscenza per consultarlo su questa faccenda.

L'avvocato, com'era facile a prevedersi, s'informò im-mediatamente se vi fosse nulla di scritto dalla parte diVlado. Gregorio non ne sapeva nulla, ma non si usamolto scrivere in quei paesi, e Vlado poteva ben essereilletterato del tutto.

[Pg 327]

— In tal caso — disse l'avvocato — non c'è molto dafare nè da sperare. Il Commissario non suol ammetterefacilmente la prova verbale: non giudica che sui docu-menti scritti e firmati. Vi consiglio a risparmiarvi il di-sturbo e la spesa.

— Dunque non c'è più giustizia al mondo? — sclamòGregorio. — Si può dunque tradire e abbandonare im-punemente una poverina che s'è fidata sulla parola?Pazziavira! Le cose non passano a questo modo fra noi!—

Egli proferì questa interiezione tradizionale con taleaccento, che l'avvocato n'ebbe paura. — Dio vi salvi,avvocato mio — disse Gregorio, ricomponendosi a sten-to. — Dio vi salvi! Avrete nuove di me! — Così dicen-do rimise in testa il suo colpacco e partì maledicendo altempo e alle parole perdute senza costrutto.

Senza mettere tempo in mezzo se ne andò difilato alla

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casa della sposa. Chiese del padre di lei, dicendo d'avera parlargli di cosa importante.

Ei non poteva scegliere un momento migliore. Il futu-ro suocero stava ancora seduto a mensa col nuovo spo-so. Avevano desinato insieme, e fumavano tranquilla-mente la loro pipa della digestione. La vecchia madre, ela vispa Mariska erano occupate a sparecchiare. Le don-ne non si mettono a tavola fra gli Slavi di que' paesi, so-prattutto quando ci sono ospiti in casa.

Gregorio non era conosciuto, ma secondo il costumedel luogo, gli fu recato un bicchiere e una lunga pipa digelsomino. Egli non volle toccare nè l'uno nè l'altra.Permettetemi — disse — che prima di accettare il bic-chiere dell'ospitalità, io vi esponga l'oggetto della miavisita.

— Parla — disse seccamente il capo di casa.

— Io sono Gregorio Marcovich di Cettigne, cacciato-re[Pg 328] di professione, e proprietario di parecchi campie di una casa. Vengo a domandarvi la vostra figliuola inmatrimonio.

— Non ho altre figliuole che quella — rispose il pa-dre di Mariska. — Mi spiace che tu venga troppo tardi.Ella è già maritata, ed ecco il suo sposo.

— Maritata? — chiese con tuono di sorpresa Grego-

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casa della sposa. Chiese del padre di lei, dicendo d'avera parlargli di cosa importante.

Ei non poteva scegliere un momento migliore. Il futu-ro suocero stava ancora seduto a mensa col nuovo spo-so. Avevano desinato insieme, e fumavano tranquilla-mente la loro pipa della digestione. La vecchia madre, ela vispa Mariska erano occupate a sparecchiare. Le don-ne non si mettono a tavola fra gli Slavi di que' paesi, so-prattutto quando ci sono ospiti in casa.

Gregorio non era conosciuto, ma secondo il costumedel luogo, gli fu recato un bicchiere e una lunga pipa digelsomino. Egli non volle toccare nè l'uno nè l'altra.Permettetemi — disse — che prima di accettare il bic-chiere dell'ospitalità, io vi esponga l'oggetto della miavisita.

— Parla — disse seccamente il capo di casa.

— Io sono Gregorio Marcovich di Cettigne, cacciato-re[Pg 328] di professione, e proprietario di parecchi campie di una casa. Vengo a domandarvi la vostra figliuola inmatrimonio.

— Non ho altre figliuole che quella — rispose il pa-dre di Mariska. — Mi spiace che tu venga troppo tardi.Ella è già maritata, ed ecco il suo sposo.

— Maritata? — chiese con tuono di sorpresa Grego-

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rio.

— Le gride sono fatte, e non manca più che la ceri-monia.

— Manca dunque qualche cosa — osservò Gregorio.— La cerimonia non si può fare, perchè il vostro generoha un'altra moglie.

— Un'altra moglie? — domandarono nel medesimotempo quattro voci meravigliate.

— Sì, un'altra moglie — replicò con voce ferma Gre-gorio. — Mio cugino Vlado, che vedete qui, ha un'altramoglie al Montenegro. Non so se il matrimonio sia statocelebrato dinanzi al prete, ma so di certo che è sacro edinviolabile dinanzi a Dio.

— Come si chiama questa moglie? — domandò Ma-riska con una cert'aria d'incredulità e di malizia.

— Si chiama Yella — disse Gregorio. — Domandaloal tuo promesso, che la conosce meglio di me.

— Con qual diritto t'impicci tu de' fatti miei — saltòsu Vlado. — Tu faresti meglio, cugino Gregorio, a le-varti di là.

— Non parlo con te — replicò Gregorio. — Vengo adomandare la mano di questa ragazza che mi piace; esiccome son libero d'ogni impegno anteriore, ho qualche

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rio.

— Le gride sono fatte, e non manca più che la ceri-monia.

— Manca dunque qualche cosa — osservò Gregorio.— La cerimonia non si può fare, perchè il vostro generoha un'altra moglie.

— Un'altra moglie? — domandarono nel medesimotempo quattro voci meravigliate.

— Sì, un'altra moglie — replicò con voce ferma Gre-gorio. — Mio cugino Vlado, che vedete qui, ha un'altramoglie al Montenegro. Non so se il matrimonio sia statocelebrato dinanzi al prete, ma so di certo che è sacro edinviolabile dinanzi a Dio.

— Come si chiama questa moglie? — domandò Ma-riska con una cert'aria d'incredulità e di malizia.

— Si chiama Yella — disse Gregorio. — Domandaloal tuo promesso, che la conosce meglio di me.

— Con qual diritto t'impicci tu de' fatti miei — saltòsu Vlado. — Tu faresti meglio, cugino Gregorio, a le-varti di là.

— Non parlo con te — replicò Gregorio. — Vengo adomandare la mano di questa ragazza che mi piace; esiccome son libero d'ogni impegno anteriore, ho qualche

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speranza d'essere preferito. Ad ogni modo non tocca a tedi rispondere. Tocca alla giovane qui presente, e a' suoigenitori.

— Codesto è uno scherzo indecente — disse il padredi Mariska. — Se c'è impedimento legale, dirigetevial[Pg 329] signor curato. Il sant'uomo vedrà nella sua sag-gezza che sia da fare. Quanto a me, io mantengo la miapromessa, e non muto parere. Io non so chi sia questadonna di cui mi parli, e se non hai altra cosa a soggiun-gere, quella è la porta.

— Possibile! — disse Gregorio — levandosi dallascranna. — Possibile, che tu non conosca codesta don-na: ma certamente devi avere conosciuto il padre di lei!Mio cugino Vlado potrà informartene meglio.

— Tu vieni in casa mia per provocarmi — disse ilvecchio, alzandosi anch'egli, e gittando fiamme dagliocchi.

Tutti si alzarono, e qualche cosa di serio stava periscoppiare: ma le due donne s'interposero, e Mariskach'era la vera padrona di casa, riuscì colle sue moine acalmare la collera del padre e a rimetterlo sulla scranna.— Non veggo la ragione di tanto strepito — disse la ci-vettuola senza cuore e senza carattere. — Ecco un nuo-vo partito che si presenta. Sia il benvenuto come gli al-tri. Noi non siamo Montenegrini, ma non per questo ab-biamo dimenticato il costume de' nostri antichi. È per-

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speranza d'essere preferito. Ad ogni modo non tocca a tedi rispondere. Tocca alla giovane qui presente, e a' suoigenitori.

— Codesto è uno scherzo indecente — disse il padredi Mariska. — Se c'è impedimento legale, dirigetevial[Pg 329] signor curato. Il sant'uomo vedrà nella sua sag-gezza che sia da fare. Quanto a me, io mantengo la miapromessa, e non muto parere. Io non so chi sia questadonna di cui mi parli, e se non hai altra cosa a soggiun-gere, quella è la porta.

— Possibile! — disse Gregorio — levandosi dallascranna. — Possibile, che tu non conosca codesta don-na: ma certamente devi avere conosciuto il padre di lei!Mio cugino Vlado potrà informartene meglio.

— Tu vieni in casa mia per provocarmi — disse ilvecchio, alzandosi anch'egli, e gittando fiamme dagliocchi.

Tutti si alzarono, e qualche cosa di serio stava periscoppiare: ma le due donne s'interposero, e Mariskach'era la vera padrona di casa, riuscì colle sue moine acalmare la collera del padre e a rimetterlo sulla scranna.— Non veggo la ragione di tanto strepito — disse la ci-vettuola senza cuore e senza carattere. — Ecco un nuo-vo partito che si presenta. Sia il benvenuto come gli al-tri. Noi non siamo Montenegrini, ma non per questo ab-biamo dimenticato il costume de' nostri antichi. È per-

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Page 424: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

messo di disputarsi la mano di una donzella fino al dìdelle nozze. Chi non la sa conquistare sui suoi rivali,non è degno di lei. Io accetto dunque questo giovane nelnumero di quelli che aspirano alla mia mano, e si vedràal paragone s'egli n'è degno. In ogni caso egli siederà alconvito nuziale, e fino a quel giorno, vada con Dio.

— Grazie, ragazza — disse Gregorio con voce ferma.— A rivederci, cugino. Il destino deciderà. —

Dicendo queste parole, salutò gravemente, ed uscì.

[Pg 330]

IX.

Il torneo nuziale.

— Bisogna ch'io vi spieghi, mio caro, — mi disse ilVladica — che cosa intendesse la bionda Mariska,quando ammise Gregorio alla prova del paragone.

Fra i popoli slavi che non hanno adottato i vostri co-stumi, i due avvenimenti più notabili della vita sono lenozze e i funerali. Le une e gli altri si festeggiano conbanchetti omerici che durano parecchi giorni, e ai qualiprende parte quasi tutto il comune: perchè tutti qual piùqual meno, sono congiunti di sangue o d'affinità, quandosi tratta di far baldoria.

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messo di disputarsi la mano di una donzella fino al dìdelle nozze. Chi non la sa conquistare sui suoi rivali,non è degno di lei. Io accetto dunque questo giovane nelnumero di quelli che aspirano alla mia mano, e si vedràal paragone s'egli n'è degno. In ogni caso egli siederà alconvito nuziale, e fino a quel giorno, vada con Dio.

— Grazie, ragazza — disse Gregorio con voce ferma.— A rivederci, cugino. Il destino deciderà. —

Dicendo queste parole, salutò gravemente, ed uscì.

[Pg 330]

IX.

Il torneo nuziale.

— Bisogna ch'io vi spieghi, mio caro, — mi disse ilVladica — che cosa intendesse la bionda Mariska,quando ammise Gregorio alla prova del paragone.

Fra i popoli slavi che non hanno adottato i vostri co-stumi, i due avvenimenti più notabili della vita sono lenozze e i funerali. Le une e gli altri si festeggiano conbanchetti omerici che durano parecchi giorni, e ai qualiprende parte quasi tutto il comune: perchè tutti qual piùqual meno, sono congiunti di sangue o d'affinità, quandosi tratta di far baldoria.

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Passo sotto silenzio le cerimonie funebri che qui noncadono, ma vi dirò in due parole come sono celebrate lenozze. È una usanza assai pittoresca. Voi che dovete co-noscere la vostra letteratura classica, vi riscontrerete conpiacere qualche traccia della storia di Piritoo fra' Cen-tuari. Il giorno del matrimonio, lo sposo ne' suoi abiti dafesta, armato di tutto punto, si presenta alla casa dellasua fidanzata. Egli è montato sopra un cavallo bizzarro,e accompagnato da tutto il parentado, e da quanti amicie compagni possa trovare. Questi prendono dalla circo-stanza il nome di Svati, che significa compare, testimo-nio, padrino. Gli antichi dicevano paraninfo.

La sposa dal canto suo è circondata anch'essa dai suoiDiveri; parola slava che ha lo stesso significato. I Diverisono i suoi parenti, fratelli, cugini, ec., corteggio assainumeroso, e non meno solenne. La domanda è fatta, orinnovata in gran ceremonia dinanzi alla porta dellacasa. Il padre o il capo della famiglia fa[Pg 331] qualcheopposizione, o in un senso o nell'altro. Ora la giovane ètroppo selvaggia, ora è poco laboriosa, or non ancoramatura pel matrimonio. Tutti questi ostacoli non riten-gono lo sposo, che dichiara volerla sposare malgradociò. Allora il capo di casa finge di rassegnarsi, e si ritira:ma il corteggio dei Diveri si avanza e fa mostra di voler-si opporre alla sua volta, non già colle parole, ma collaforza aperta. Lo sposo si ritira fra' suoi Svati; si consultacon essi, e ritorna all'assalto. Ne sorge una specie di lot-ta, un torneo per lo più inoffensivo, a colpi di pistola o

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Passo sotto silenzio le cerimonie funebri che qui noncadono, ma vi dirò in due parole come sono celebrate lenozze. È una usanza assai pittoresca. Voi che dovete co-noscere la vostra letteratura classica, vi riscontrerete conpiacere qualche traccia della storia di Piritoo fra' Cen-tuari. Il giorno del matrimonio, lo sposo ne' suoi abiti dafesta, armato di tutto punto, si presenta alla casa dellasua fidanzata. Egli è montato sopra un cavallo bizzarro,e accompagnato da tutto il parentado, e da quanti amicie compagni possa trovare. Questi prendono dalla circo-stanza il nome di Svati, che significa compare, testimo-nio, padrino. Gli antichi dicevano paraninfo.

La sposa dal canto suo è circondata anch'essa dai suoiDiveri; parola slava che ha lo stesso significato. I Diverisono i suoi parenti, fratelli, cugini, ec., corteggio assainumeroso, e non meno solenne. La domanda è fatta, orinnovata in gran ceremonia dinanzi alla porta dellacasa. Il padre o il capo della famiglia fa[Pg 331] qualcheopposizione, o in un senso o nell'altro. Ora la giovane ètroppo selvaggia, ora è poco laboriosa, or non ancoramatura pel matrimonio. Tutti questi ostacoli non riten-gono lo sposo, che dichiara volerla sposare malgradociò. Allora il capo di casa finge di rassegnarsi, e si ritira:ma il corteggio dei Diveri si avanza e fa mostra di voler-si opporre alla sua volta, non già colle parole, ma collaforza aperta. Lo sposo si ritira fra' suoi Svati; si consultacon essi, e ritorna all'assalto. Ne sorge una specie di lot-ta, un torneo per lo più inoffensivo, a colpi di pistola o

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di moschetto carichi a polvere. La lotta ha la fine che èfacile a prevedere. Lo sposo riman padrone del campo,si piglia la fanciulla, rimonta a cavallo con essa, e sislancia a tutta corsa per la campagna. Svati e Diveri fan-no la pace e batton le mani, e seggono insieme allo stes-so convito. Mi son trovato parecchie volte a simili festenell'Erzegovina.

— Voi comprendete ora — riprese il Vladica — leparole di Mariska, e indovinate il progetto di Gregorio.Vedrete fra poco se la storditella ebbe a lodarsi del fattosuo.

Il matrimonio era stato rimesso alla seguente domeni-ca. Era una bellissima giornata di giugno. Il cielo erachiaro e sereno: la campagna ubertosa e olezzante di tut-te le fragranze estive. Le spiagge e le isole di que' parag-gi sono stipate di maggiorana e di mirti, come le isoledell'Arcipelago. Non occorre dirvi che le giovinette gre-che tessevano di codeste piante la lor corona nuziale allefeste di Afrodite.

Le spose del nostro tempo, benchè cristiane, conser-vano tuttavia qualche traccia del vecchio culto. Sola-mente l'abbigliamento è meno semplice e meno elegan-te. Mariska aveva aggiunto alla tunica tradizionale delsuo paese, un mondo di ninnoli e di cianfrusaglie[Pg 332]comperate a Trieste nei viaggi che vi aveva fatto. Il suoberretto rosso era lucente di molte filze di monete d'oro.

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di moschetto carichi a polvere. La lotta ha la fine che èfacile a prevedere. Lo sposo riman padrone del campo,si piglia la fanciulla, rimonta a cavallo con essa, e sislancia a tutta corsa per la campagna. Svati e Diveri fan-no la pace e batton le mani, e seggono insieme allo stes-so convito. Mi son trovato parecchie volte a simili festenell'Erzegovina.

— Voi comprendete ora — riprese il Vladica — leparole di Mariska, e indovinate il progetto di Gregorio.Vedrete fra poco se la storditella ebbe a lodarsi del fattosuo.

Il matrimonio era stato rimesso alla seguente domeni-ca. Era una bellissima giornata di giugno. Il cielo erachiaro e sereno: la campagna ubertosa e olezzante di tut-te le fragranze estive. Le spiagge e le isole di que' parag-gi sono stipate di maggiorana e di mirti, come le isoledell'Arcipelago. Non occorre dirvi che le giovinette gre-che tessevano di codeste piante la lor corona nuziale allefeste di Afrodite.

Le spose del nostro tempo, benchè cristiane, conser-vano tuttavia qualche traccia del vecchio culto. Sola-mente l'abbigliamento è meno semplice e meno elegan-te. Mariska aveva aggiunto alla tunica tradizionale delsuo paese, un mondo di ninnoli e di cianfrusaglie[Pg 332]comperate a Trieste nei viaggi che vi aveva fatto. Il suoberretto rosso era lucente di molte filze di monete d'oro.

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Un gran velo bianco la copriva da capo a piedi. L'avrestidetta una Madonna di Loreto, ornata per la sua festa. Isuoi lunghi capelli biondi e la sua carnagione delicata,qualità straordinarie fra i Dalmati, le davano un'aria pe-regrina e cittadinesca che attirava tutti gli sguardi.

Vlado n'era sì affascinato che non fece caso della vi-sita e delle parole sinistre del cugino Gregorio. Egli cre-devasi aver toccato il cielo col dito. — Avrà voluto far-mi paura, — pensava — ma ora vedrà che non gli torne-rebbe di trescare con noi. — Quanto a Yella, egli non cipensava nemmeno. Era divenuta pazza: tanto peggio perlei!

Vlado era un giovanotto aitante e forte della persona.Era codesto il solo pregio che avesse, e a questo non adaltro doveva la mano di Mariska. Procurò quindi dicomparirle dinanzi il dì delle nozze nel miglior arnesepossibile. Aveva armi lucenti e bellissime alla cintura, ecavalcava un brioso cavallo che caracollava e sbuffava ameraviglia. Vestiva il costume dalmatico che par fatto aposta per mettere in evidenza la forza e la leggiadriadelle membra: calzoni di panno bianco stretti alla gam-ba, una specie di giubbetto o caftan, ornato di mille ghi-rigori di stagno argentato, un cangiaro col manico cesel-lato, una carabina ad armacollo, che sapeva maneggiarecon molta destrezza. I suoi lunghi capelli neri intrecciatidietro la nuca gli pendevano fino alla sella, e una piccio-la calotta azzurra, ornata di parecchie penne di pavone,

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Un gran velo bianco la copriva da capo a piedi. L'avrestidetta una Madonna di Loreto, ornata per la sua festa. Isuoi lunghi capelli biondi e la sua carnagione delicata,qualità straordinarie fra i Dalmati, le davano un'aria pe-regrina e cittadinesca che attirava tutti gli sguardi.

Vlado n'era sì affascinato che non fece caso della vi-sita e delle parole sinistre del cugino Gregorio. Egli cre-devasi aver toccato il cielo col dito. — Avrà voluto far-mi paura, — pensava — ma ora vedrà che non gli torne-rebbe di trescare con noi. — Quanto a Yella, egli non cipensava nemmeno. Era divenuta pazza: tanto peggio perlei!

Vlado era un giovanotto aitante e forte della persona.Era codesto il solo pregio che avesse, e a questo non adaltro doveva la mano di Mariska. Procurò quindi dicomparirle dinanzi il dì delle nozze nel miglior arnesepossibile. Aveva armi lucenti e bellissime alla cintura, ecavalcava un brioso cavallo che caracollava e sbuffava ameraviglia. Vestiva il costume dalmatico che par fatto aposta per mettere in evidenza la forza e la leggiadriadelle membra: calzoni di panno bianco stretti alla gam-ba, una specie di giubbetto o caftan, ornato di mille ghi-rigori di stagno argentato, un cangiaro col manico cesel-lato, una carabina ad armacollo, che sapeva maneggiarecon molta destrezza. I suoi lunghi capelli neri intrecciatidietro la nuca gli pendevano fino alla sella, e una piccio-la calotta azzurra, ornata di parecchie penne di pavone,

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gli copriva appena la sommità della testa. Tale era finoagli ultimi anni la moda dei Montenegrini e dei Dalmati.

Il suo parentado non era molto numeroso, perchè[Pg333] il matrimonio seguiva al di là del confine, dove mol-ti de' suoi parenti non avevano osato seguirlo per lororagioni particolari. Dieci o dodici Svati formavano tuttoil corteggio. Mariska aveva una comitiva più numerosadel doppio. Suo padre era il più ricco dei contorni, eaveva parenti ed amici quanti volesse: di che la ragazzamenava più vanto che non convenisse.

Lo scoppio delle pistole e de' moschetti si fece udirda lontano. Il corteggio della sposa fece una risposta an-cor più clamorosa. Il suo cuore balzava di gioja ed'orgoglio all'avvicinarsi del suo fidanzato: poichè essalo amava alla sua maniera, in ragione degli ostacoli cheavea sormontati per rapirlo alla sua rivale.

Vlado entrò nel cortile col suo magro accompagna-mento, dove stavano già disposte le tavole del banchet-to. Le accoglienze usuali si scambiavano da una parte edall'altra quando tutt'ad un tratto si udirono altri colpiecheggiare per l'aria. — Saranno altri Svati che soprag-giungono — dissero fra loro i pochi compagni di Vlado.— Ma questi sapeva di non poter attendere alcuno fuor-chè il cugino Gregorio. — Eh! bene — diss'egli fra sè,colla sua spensieratezza ordinaria. — Se viene da ami-co, troverà un posto preparato per lui: se viene da rivale,

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gli copriva appena la sommità della testa. Tale era finoagli ultimi anni la moda dei Montenegrini e dei Dalmati.

Il suo parentado non era molto numeroso, perchè[Pg333] il matrimonio seguiva al di là del confine, dove mol-ti de' suoi parenti non avevano osato seguirlo per lororagioni particolari. Dieci o dodici Svati formavano tuttoil corteggio. Mariska aveva una comitiva più numerosadel doppio. Suo padre era il più ricco dei contorni, eaveva parenti ed amici quanti volesse: di che la ragazzamenava più vanto che non convenisse.

Lo scoppio delle pistole e de' moschetti si fece udirda lontano. Il corteggio della sposa fece una risposta an-cor più clamorosa. Il suo cuore balzava di gioja ed'orgoglio all'avvicinarsi del suo fidanzato: poichè essalo amava alla sua maniera, in ragione degli ostacoli cheavea sormontati per rapirlo alla sua rivale.

Vlado entrò nel cortile col suo magro accompagna-mento, dove stavano già disposte le tavole del banchet-to. Le accoglienze usuali si scambiavano da una parte edall'altra quando tutt'ad un tratto si udirono altri colpiecheggiare per l'aria. — Saranno altri Svati che soprag-giungono — dissero fra loro i pochi compagni di Vlado.— Ma questi sapeva di non poter attendere alcuno fuor-chè il cugino Gregorio. — Eh! bene — diss'egli fra sè,colla sua spensieratezza ordinaria. — Se viene da ami-co, troverà un posto preparato per lui: se viene da rivale,

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troverà pane per i suoi denti. — Era proprio Gregorio.Aveva indossato anch'egli il suo vestito delle feste: madi un colore più cupo; e appena entrato nel cortile, si di-resse alla volta di Vlado, e gli domandò se volesse ser-virgli di paraninfo.

— Ciò tocca a te — disse Vlado. — Tu giugni oppor-tuno per accrescere il numero de' miei Svati: quanto ame, non sono il paraninfo d'alcuno: io sono lo sposo, eguai a quello che si mettesse in capo di intorbidare la fe-sta.

— Che hai tu fatto di Yella? — chiese Gregorio.

[Pg 334]

— Tu non hai dunque finito di gettarmi in faccia ilnome di quella donna? Se ti sta tanto a cuore perchè nonla sposi? Io non ti metterò impedimento: puoi star sicu-ro!

— Tu sei un vigliacco, un falso fratello, un traditoreche non merita d'aver alcun rapporto colla nostra fami-glia!

— Ah! tu cerchi briga con me? — disse Vlado, — etraendo senz'altro una pistola dalla cintura, l'appuntò alpetto di Gregorio. Ma questi, rapido come un lampo, sislanciò sull'assalitore, lo afferrò per la treccia, e rove-sciandolo sulla groppa del suo cavallo, gli segò netto il

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troverà pane per i suoi denti. — Era proprio Gregorio.Aveva indossato anch'egli il suo vestito delle feste: madi un colore più cupo; e appena entrato nel cortile, si di-resse alla volta di Vlado, e gli domandò se volesse ser-virgli di paraninfo.

— Ciò tocca a te — disse Vlado. — Tu giugni oppor-tuno per accrescere il numero de' miei Svati: quanto ame, non sono il paraninfo d'alcuno: io sono lo sposo, eguai a quello che si mettesse in capo di intorbidare la fe-sta.

— Che hai tu fatto di Yella? — chiese Gregorio.

[Pg 334]

— Tu non hai dunque finito di gettarmi in faccia ilnome di quella donna? Se ti sta tanto a cuore perchè nonla sposi? Io non ti metterò impedimento: puoi star sicu-ro!

— Tu sei un vigliacco, un falso fratello, un traditoreche non merita d'aver alcun rapporto colla nostra fami-glia!

— Ah! tu cerchi briga con me? — disse Vlado, — etraendo senz'altro una pistola dalla cintura, l'appuntò alpetto di Gregorio. Ma questi, rapido come un lampo, sislanciò sull'assalitore, lo afferrò per la treccia, e rove-sciandolo sulla groppa del suo cavallo, gli segò netto il

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collo col filo del suo cangiaro. Ciò fu eseguito in menotempo ch'io non lo dico. Tutti gli astanti rimasero immo-bili e istupiditi. Mariska cadde svenuta nelle braccia del-la madre. I compagni di Vlado, e una parte del corteggiodella sposa si slanciarono sull'uccisore: ma questi eragià rimontato a cavallo, ed era scomparso dietro le siepie i cespugli che facevano ingombro al cammino.

X.

Gradisca.

Il Vladica interruppe qui il suo racconto e mi sog-guardò con un'aria di tranquilla ironia. — Voi non viaspettavate un simile scioglimento — diss'egli.

— Confesso, Monsignore, che mi sembra un po' bru-sco — risposi.

— Eppure è il più ragionevole che si potesse sperarein codesta atmosfera morale, sopraccarica di pregiudizisecolari, e di passioni tremende. Vlado era senza dubbioalcuno il più colpevole di tutti, e pure sarebbe sfuggitoal poter della legge. Gregorio si fece[Pg 335] giudice edesecutore ad un tempo. Non dico che facesse bene e chene avesse il diritto. La vita dell'uomo non appartiene chea Dio che può dargliela: ma finchè vi saranno popoli,presso i quali la giustizia è lasciata all'arbitrio dell'indi-viduo, bisognerà subirne tutte le conseguenze.

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collo col filo del suo cangiaro. Ciò fu eseguito in menotempo ch'io non lo dico. Tutti gli astanti rimasero immo-bili e istupiditi. Mariska cadde svenuta nelle braccia del-la madre. I compagni di Vlado, e una parte del corteggiodella sposa si slanciarono sull'uccisore: ma questi eragià rimontato a cavallo, ed era scomparso dietro le siepie i cespugli che facevano ingombro al cammino.

X.

Gradisca.

Il Vladica interruppe qui il suo racconto e mi sog-guardò con un'aria di tranquilla ironia. — Voi non viaspettavate un simile scioglimento — diss'egli.

— Confesso, Monsignore, che mi sembra un po' bru-sco — risposi.

— Eppure è il più ragionevole che si potesse sperarein codesta atmosfera morale, sopraccarica di pregiudizisecolari, e di passioni tremende. Vlado era senza dubbioalcuno il più colpevole di tutti, e pure sarebbe sfuggitoal poter della legge. Gregorio si fece[Pg 335] giudice edesecutore ad un tempo. Non dico che facesse bene e chene avesse il diritto. La vita dell'uomo non appartiene chea Dio che può dargliela: ma finchè vi saranno popoli,presso i quali la giustizia è lasciata all'arbitrio dell'indi-viduo, bisognerà subirne tutte le conseguenze.

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— E che avvenne di Gregorio, Monsignore?

— Il disgraziato Gregorio non potè raggiugnere lafrontiera. Il suo cavallo non era nè il più robusto nè ilpiù agile di quelli che lo seguivano. Il padre di Mariskaguadagnò presto terreno sopra il fuggiasco, e giunse atagliargli il passaggio al momento medesimo in cui toc-cava il confine. I doganieri austriaci erano all'erta, eGregorio dovette soccombere al numero, malgrado ilsuo coraggio e il suo ammirabile sangue freddo. Ei nonpotè negare il suo delitto. Dovette quindi costituirsi pri-gioniero, e subire l'applicazione delle leggi locali chesono assai severe, e dirò pure, assai giuste.

— Condannato a morte?

— Non precisamente a morte: ma a vent'anni di lavo-ri forzati. Io ho perduto un eccellente soggetto per colpasua, e per un eccesso di buona volontà mal compresa. Viho già detto che s'era prestato, comecchè a malincuore,all'esecuzione degli ordini miei per il sequestro delle ca-micie insanguinate. Ed eccolo caduto egli stesso nel de-litto che aveva contribuito a sopprimere nel principato.È una vera disgrazia! Ma alfine non si possono sradicarein un giorno nè in un mese gli antichi e inveterati pre-giudicj di un popolo. Ciò ch'è possibile si fa; ciò che èimpossibile si farà!

— Voi avete letto Macchiavello, Monsignore. Non sideve mai disperare dell'avvenire. E perchè non interpor-

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— E che avvenne di Gregorio, Monsignore?

— Il disgraziato Gregorio non potè raggiugnere lafrontiera. Il suo cavallo non era nè il più robusto nè ilpiù agile di quelli che lo seguivano. Il padre di Mariskaguadagnò presto terreno sopra il fuggiasco, e giunse atagliargli il passaggio al momento medesimo in cui toc-cava il confine. I doganieri austriaci erano all'erta, eGregorio dovette soccombere al numero, malgrado ilsuo coraggio e il suo ammirabile sangue freddo. Ei nonpotè negare il suo delitto. Dovette quindi costituirsi pri-gioniero, e subire l'applicazione delle leggi locali chesono assai severe, e dirò pure, assai giuste.

— Condannato a morte?

— Non precisamente a morte: ma a vent'anni di lavo-ri forzati. Io ho perduto un eccellente soggetto per colpasua, e per un eccesso di buona volontà mal compresa. Viho già detto che s'era prestato, comecchè a malincuore,all'esecuzione degli ordini miei per il sequestro delle ca-micie insanguinate. Ed eccolo caduto egli stesso nel de-litto che aveva contribuito a sopprimere nel principato.È una vera disgrazia! Ma alfine non si possono sradicarein un giorno nè in un mese gli antichi e inveterati pre-giudicj di un popolo. Ciò ch'è possibile si fa; ciò che èimpossibile si farà!

— Voi avete letto Macchiavello, Monsignore. Non sideve mai disperare dell'avvenire. E perchè non interpor-

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reste la vostra grande influenza per abbreviare la penadel vostro suddito?

[Pg 336]

— L'ho fatto, ed ho qualche speranza di riuscirvi.Vorreste vederlo? Mi propongo appunto di fargli domaniuna visita a Gradisca, per sincerarmi delle sue intenzio-ni. Venite con me: voi mi aiuterete nelle mie indagini.—

L'offerta era troppo cortese per non accettarla congioia. Ci siamo dunque recati nel dì susseguente all'anti-co castello dei Conti di Gradisca, che fu trasformato inergastolo. Il direttore aveva senza dubbio ricevuto le sueistruzioni in proposito, poichè ci aprì senza veruna op-posizione le porte della prigione. Voi mi dispenseretevolentieri dal farvi una descrizione che non avrebbe al-cun carattere originale. Tutte le prigioni si rassomiglia-no. Sono tutte, qual più qual meno, una riproduzionedell'Inferno di Dante, sulla porta del quale, stanno scrittele nere parole: Lasciate ogni speranza! Fosse almeno unpurgatorio! Sarebbe più cristiano e più umano!

Ci fecero venire Gregorio. Egli aveva già subìto dueanni di reclusione, e l'illustre prelato ebbe qualche diffi-coltà a riconoscerlo nell'orribile costume di galeotto cheportava. Il Montenegrino arrossì alla vista del suo prin-cipe e vescovo, e s'inchinò profondamente senza aprirbocca.

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reste la vostra grande influenza per abbreviare la penadel vostro suddito?

[Pg 336]

— L'ho fatto, ed ho qualche speranza di riuscirvi.Vorreste vederlo? Mi propongo appunto di fargli domaniuna visita a Gradisca, per sincerarmi delle sue intenzio-ni. Venite con me: voi mi aiuterete nelle mie indagini.—

L'offerta era troppo cortese per non accettarla congioia. Ci siamo dunque recati nel dì susseguente all'anti-co castello dei Conti di Gradisca, che fu trasformato inergastolo. Il direttore aveva senza dubbio ricevuto le sueistruzioni in proposito, poichè ci aprì senza veruna op-posizione le porte della prigione. Voi mi dispenseretevolentieri dal farvi una descrizione che non avrebbe al-cun carattere originale. Tutte le prigioni si rassomiglia-no. Sono tutte, qual più qual meno, una riproduzionedell'Inferno di Dante, sulla porta del quale, stanno scrittele nere parole: Lasciate ogni speranza! Fosse almeno unpurgatorio! Sarebbe più cristiano e più umano!

Ci fecero venire Gregorio. Egli aveva già subìto dueanni di reclusione, e l'illustre prelato ebbe qualche diffi-coltà a riconoscerlo nell'orribile costume di galeotto cheportava. Il Montenegrino arrossì alla vista del suo prin-cipe e vescovo, e s'inchinò profondamente senza aprirbocca.

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— Gregorio, figlio mio — disse il Vladica: — ho vo-luto farti una visita per mostrarti che non dimentico imiei confratelli nella loro disgrazia, e per vedere se po-tessi far qualche cosa in tuo favore. Tu sei fuori dellamia giurisdizione, e non posso nulla per me medesimo.Ma Sua Maestà l'imperatore ha qualche bontà per me, esarà forse disposto ad ascoltare le mie preghiere.

— Vorrei che poteste ottenermi una grazia, mio prin-cipe!

— Qual grazia — chiese Monsignore.

— La grazia di essere fucilato al mio paese, piuttostoche vivere nella condizione in cui mi vedete. — Eglidisse queste parole senz'enfasi e con l'aria più tranquil-la[Pg 337] e più sincera del mondo. Ciò s'intende assai fa-cilmente. Il Montenegrino non è gran fatto dissimile dalBeduino: vive essenzialmente d'aria, di luce, di libertà.Egli non ama il lavoro nè anche a casa sua, e per proprioprofitto. Si può pensare come gli sia insopportabile il la-voro forzato, improduttivo, eseguito a ore determinate,co' ceppi ai piedi, in luogo angusto e in compagnia dellapeggior feccia che esista. La morte doveva parergli mendura, sopra tutto dopo aver salutato la sua patria, e averrespirato, a pien polmone, l'aria viva e frizzante dellasua cara montagna.

— Vorrei ben ottenerti la grazia che chiedi — risposeil Vladica — non già per farti fucilare a casa tua, ma per

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— Gregorio, figlio mio — disse il Vladica: — ho vo-luto farti una visita per mostrarti che non dimentico imiei confratelli nella loro disgrazia, e per vedere se po-tessi far qualche cosa in tuo favore. Tu sei fuori dellamia giurisdizione, e non posso nulla per me medesimo.Ma Sua Maestà l'imperatore ha qualche bontà per me, esarà forse disposto ad ascoltare le mie preghiere.

— Vorrei che poteste ottenermi una grazia, mio prin-cipe!

— Qual grazia — chiese Monsignore.

— La grazia di essere fucilato al mio paese, piuttostoche vivere nella condizione in cui mi vedete. — Eglidisse queste parole senz'enfasi e con l'aria più tranquil-la[Pg 337] e più sincera del mondo. Ciò s'intende assai fa-cilmente. Il Montenegrino non è gran fatto dissimile dalBeduino: vive essenzialmente d'aria, di luce, di libertà.Egli non ama il lavoro nè anche a casa sua, e per proprioprofitto. Si può pensare come gli sia insopportabile il la-voro forzato, improduttivo, eseguito a ore determinate,co' ceppi ai piedi, in luogo angusto e in compagnia dellapeggior feccia che esista. La morte doveva parergli mendura, sopra tutto dopo aver salutato la sua patria, e averrespirato, a pien polmone, l'aria viva e frizzante dellasua cara montagna.

— Vorrei ben ottenerti la grazia che chiedi — risposeil Vladica — non già per farti fucilare a casa tua, ma per

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offerirti una miglior occasione di espiar la tua colpa. Sidomanda perciò che tu mostri di pentirti del fatto, e pro-metta di non più cadere nel peccato d'omicidio volonta-rio....

— Sempre la stessa canzone — disse Gregorio conun movimento di amaro dispetto che la presenza delVladica non potè raffrenare. — Io ho fatto male forse,secondo il codice austriaco: ma dinanzi a Dio, Monsi-gnore, non credo aver commesso un delitto sì grave.Vlado avea bene meritato la morte. Or come posso iopentirmi di avergli fatto buona e pronta giustizia?

— Voi lo vedete — mi disse il Vladica in lingua fran-cese, per non esser capito dal suo interlocutore. —L'abitudine è una seconda natura. Bisogna dare il tempoalla coscienza di rifare se stessa! — Poi rivolgendosi aGregorio: — Tu hai torto, fratello — gli disse. — Toccaa Dio a giudicare. Tu hai voluto punire il tuo simile, edeccoti punito per averlo fatto senz'ordine della legge.Non giudicate se non volete esser giudicato, dice il Si-gnore. — Tu dunque hai fatto il male, e quindi è giustoche te ne penta. —

[Pg 338]

Gregorio chinò la testa e tacque.

Il Vladica gli dette la sua benedizione e promised'interessarsi per lui. — Io vado a Vienna; — gli disse

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offerirti una miglior occasione di espiar la tua colpa. Sidomanda perciò che tu mostri di pentirti del fatto, e pro-metta di non più cadere nel peccato d'omicidio volonta-rio....

— Sempre la stessa canzone — disse Gregorio conun movimento di amaro dispetto che la presenza delVladica non potè raffrenare. — Io ho fatto male forse,secondo il codice austriaco: ma dinanzi a Dio, Monsi-gnore, non credo aver commesso un delitto sì grave.Vlado avea bene meritato la morte. Or come posso iopentirmi di avergli fatto buona e pronta giustizia?

— Voi lo vedete — mi disse il Vladica in lingua fran-cese, per non esser capito dal suo interlocutore. —L'abitudine è una seconda natura. Bisogna dare il tempoalla coscienza di rifare se stessa! — Poi rivolgendosi aGregorio: — Tu hai torto, fratello — gli disse. — Toccaa Dio a giudicare. Tu hai voluto punire il tuo simile, edeccoti punito per averlo fatto senz'ordine della legge.Non giudicate se non volete esser giudicato, dice il Si-gnore. — Tu dunque hai fatto il male, e quindi è giustoche te ne penta. —

[Pg 338]

Gregorio chinò la testa e tacque.

Il Vladica gli dette la sua benedizione e promised'interessarsi per lui. — Io vado a Vienna; — gli disse

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— ne parlerò all'Imperatore, e gli domanderò che ti ri-metta nelle mie mani. Intanto armati di pazienza, e do-manda perdono a Dio del sangue versato. —

Il Vladica era divenuto un vero vescovo pronuncian-do queste parole. Egli lasciò il prigioniero sottol'impressione favorevole che aveva prodotto, e uscì connoi da quel tristo albergo del delitto e della disperazio-ne.

XI.

La Pazza.

— Vi ringrazio, per parte mia, Monsignore, delle con-solanti parole che avete trovato per quell'infelice. Nondubito punto che riuscirete a salvarlo da quell'inferno, ea farlo rientrare nel suo paese.

— Sarebbe pericoloso — mi disse. — I parenti diVlado potrebbero usare sopra di lui le solite rappresa-glie. Il padre di Mariska è anch'egli irritato oltremodocontro di lui, perchè l'affare s'è divulgato, e divenneroesso ed il suo figliuolo, oggetti di disprezzo e di abbo-minio. Seppi che ha dovuto abbandonare il paese doveaveva il suo podere, perchè non trovava più colono chevolesse lavorare per lui, come sua figlia non aveva piùtrovato un galantuomo che consentisse a sposarla.

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— ne parlerò all'Imperatore, e gli domanderò che ti ri-metta nelle mie mani. Intanto armati di pazienza, e do-manda perdono a Dio del sangue versato. —

Il Vladica era divenuto un vero vescovo pronuncian-do queste parole. Egli lasciò il prigioniero sottol'impressione favorevole che aveva prodotto, e uscì connoi da quel tristo albergo del delitto e della disperazio-ne.

XI.

La Pazza.

— Vi ringrazio, per parte mia, Monsignore, delle con-solanti parole che avete trovato per quell'infelice. Nondubito punto che riuscirete a salvarlo da quell'inferno, ea farlo rientrare nel suo paese.

— Sarebbe pericoloso — mi disse. — I parenti diVlado potrebbero usare sopra di lui le solite rappresa-glie. Il padre di Mariska è anch'egli irritato oltremodocontro di lui, perchè l'affare s'è divulgato, e divenneroesso ed il suo figliuolo, oggetti di disprezzo e di abbo-minio. Seppi che ha dovuto abbandonare il paese doveaveva il suo podere, perchè non trovava più colono chevolesse lavorare per lui, come sua figlia non aveva piùtrovato un galantuomo che consentisse a sposarla.

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— E la povera Yella, che n'è di lei?

— Se noi fossimo padroni degli avvenimenti, e liberidi scegliere una soluzione al doloroso dramma, vi con-fesso che lo finirei con un buon matrimonio fra essa e ilsuo terribile difensore.

[Pg 339]

— Ella è madre oggimai — disse il Vladica — e paz-za, ma d'una pazzia tranquilla, innocente, che non lasciatemere di alcun sinistro.

— È una singolare follia quella in cui cadde la sven-turata. Figuratevi! Ella non vuol credere alla morte delsuo fidanzato, e sorride d'incredulità tutte le volte chegliene parlano per richiamarla alla coscienza di sè stessae del mondo reale. Aspetta sempre il suo fratello d'ani-ma, il suo sposo, il suo solo ed unico amore. — M'erastato detto che mi tradiva per una forestiera bellissima ericca che l'aveva preso nelle sue reti. È una menzogna!È una calunnia! Il mio Vlado non mi ha mai tradita nèabbandonata un istante. —

— Voi vedete bene — soggiunse il Vladica — code-sta follia non può dirsi una disgrazia per quella infelice.È forse un sollievo, un conforto che le manda il Signoreper raddolcire la sua sventura!

— Se verrete a trovarmi nel mio paese, come mi ave-

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— E la povera Yella, che n'è di lei?

— Se noi fossimo padroni degli avvenimenti, e liberidi scegliere una soluzione al doloroso dramma, vi con-fesso che lo finirei con un buon matrimonio fra essa e ilsuo terribile difensore.

[Pg 339]

— Ella è madre oggimai — disse il Vladica — e paz-za, ma d'una pazzia tranquilla, innocente, che non lasciatemere di alcun sinistro.

— È una singolare follia quella in cui cadde la sven-turata. Figuratevi! Ella non vuol credere alla morte delsuo fidanzato, e sorride d'incredulità tutte le volte chegliene parlano per richiamarla alla coscienza di sè stessae del mondo reale. Aspetta sempre il suo fratello d'ani-ma, il suo sposo, il suo solo ed unico amore. — M'erastato detto che mi tradiva per una forestiera bellissima ericca che l'aveva preso nelle sue reti. È una menzogna!È una calunnia! Il mio Vlado non mi ha mai tradita nèabbandonata un istante. —

— Voi vedete bene — soggiunse il Vladica — code-sta follia non può dirsi una disgrazia per quella infelice.È forse un sollievo, un conforto che le manda il Signoreper raddolcire la sua sventura!

— Se verrete a trovarmi nel mio paese, come mi ave-

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te promesso — aggiunse egli — vi farò vedere la poverapazza, come vi ho mostrato il suo vendicatore a Gradi-sca. È ancora una bella donna, un po' selvatica e strana,per effetto della sua allucinazione, ma un vero tipo dellaMontenegrina: occhi neri, chiome nere, carnagione ab-bronzata dal sole, snella e spigliata della persona comeuna figlia delle foreste.

Yella dimora in compagnia della madre che vive an-cora, e che fu messa in istato di provvedere alle primenecessità della vita.

Yella non ha punto a soffrire per altri riguardi. L'intol-leranza delle compagne ha dato luogo ad un migliorsentimento. Yella è ora considerata come la vedova diVlado, e la sua disgrazia, più grande ancora della suacolpa, non ispira che la compassione e l'affetto. —

[Pg 340]

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te promesso — aggiunse egli — vi farò vedere la poverapazza, come vi ho mostrato il suo vendicatore a Gradi-sca. È ancora una bella donna, un po' selvatica e strana,per effetto della sua allucinazione, ma un vero tipo dellaMontenegrina: occhi neri, chiome nere, carnagione ab-bronzata dal sole, snella e spigliata della persona comeuna figlia delle foreste.

Yella dimora in compagnia della madre che vive an-cora, e che fu messa in istato di provvedere alle primenecessità della vita.

Yella non ha punto a soffrire per altri riguardi. L'intol-leranza delle compagne ha dato luogo ad un migliorsentimento. Yella è ora considerata come la vedova diVlado, e la sua disgrazia, più grande ancora della suacolpa, non ispira che la compassione e l'affetto. —

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GENTILINA.

I.

I colli Euganei, che sono un vero paradiso della Vene-zia, ritornano sovente alla mia memoria coll'amara dol-cezza di un frutto vietato, di un Eden conteso ai mieipassi. Chi sa per quanto dovrò contentarmi di vederli epercorrerli colla fantasia, che mi dipinge i luoghi ameni,le persone vedute ed amate: i primi forse devastati dalsoldato straniero, le altre disperse, proscritte, o cadutesotto la falce della morte o il flagello della sventura!

Che è avvenuto di te, Gentilina, che da oltre atrent'anni non ho veduta, e forse non vedrò più sulla ter-ra?.... Non so se tu sia viva o morta, se hai creduto tupure alle sinistre fatalità che accerchiarono la tua vita: ose, vittoriosa degli altri e di te stessa, sei giunta a godereun'esistenza, se non lieta, almeno rassegnata e tranquil-la!

Rifrugando in questi giorni le mie vecchie carte hotrovato alcuni appunti che mi ricordano le traversìe dellatua gioventù, e cedo alla tentazione di ritessere quellevarie fila per diletto mio proprio e dei pochi che gitte-ranno uno sguardo su queste pagine.

Commetterò io un peccato d'indiscrezione? Se fosse,

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GENTILINA.

I.

I colli Euganei, che sono un vero paradiso della Vene-zia, ritornano sovente alla mia memoria coll'amara dol-cezza di un frutto vietato, di un Eden conteso ai mieipassi. Chi sa per quanto dovrò contentarmi di vederli epercorrerli colla fantasia, che mi dipinge i luoghi ameni,le persone vedute ed amate: i primi forse devastati dalsoldato straniero, le altre disperse, proscritte, o cadutesotto la falce della morte o il flagello della sventura!

Che è avvenuto di te, Gentilina, che da oltre atrent'anni non ho veduta, e forse non vedrò più sulla ter-ra?.... Non so se tu sia viva o morta, se hai creduto tupure alle sinistre fatalità che accerchiarono la tua vita: ose, vittoriosa degli altri e di te stessa, sei giunta a godereun'esistenza, se non lieta, almeno rassegnata e tranquil-la!

Rifrugando in questi giorni le mie vecchie carte hotrovato alcuni appunti che mi ricordano le traversìe dellatua gioventù, e cedo alla tentazione di ritessere quellevarie fila per diletto mio proprio e dei pochi che gitte-ranno uno sguardo su queste pagine.

Commetterò io un peccato d'indiscrezione? Se fosse,

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te ne chiedo anticipatamente perdono. Ma penso cheil[Pg 341] tempo ha già dovuto stendere su quei fatti unvelo pietoso, sì che gli scabri contorni saranno addolciti,e ciò che rimane prenderà il carattere d'una novella dapotersi leggere con piacere, anche da quelli che ne forni-rono l'argomento.

Figuratevi dunque, o lettori, una città degli Euganei;una di quelle graziose città che abbelliscono le pendicidi tanto vaghe colline: città popolate e gaie, almeno inquel tempo che è divenuto quasi antico per me, perchègli avvenimenti che si successero dal 1830 a' dì nostri,hanno accelerato, per così dire, il corso degli anni, e fat-te maturare più presto le generazioni che s'incalzarono.

Molte di quelle città si somigliano, nè io dirò il nomedi quella che fu teatro al dramma domestico che verròraccontando. Avrei voluto dissimulare anche i nomi del-le persone, ma non posso trovarne uno di più bello e dipiù caratteristico per la mia protagonista. Gentilinaesprime non tanto le forme della persona, quanto il ca-rattere e l'indole dell'animo suo. Fosse questo il nomeimpostole al sacro fonte, fosse un soprannome che le ve-nisse dato per le sue qualità, ella chiamavasi da tutticosì, e come io la conobbi sotto il nome di Gentilina,desidero pure che i miei lettori la chiamino nella stessamaniera.

Gentilina dunque era un'abitatrice dei colli Euganei,

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te ne chiedo anticipatamente perdono. Ma penso cheil[Pg 341] tempo ha già dovuto stendere su quei fatti unvelo pietoso, sì che gli scabri contorni saranno addolciti,e ciò che rimane prenderà il carattere d'una novella dapotersi leggere con piacere, anche da quelli che ne forni-rono l'argomento.

Figuratevi dunque, o lettori, una città degli Euganei;una di quelle graziose città che abbelliscono le pendicidi tanto vaghe colline: città popolate e gaie, almeno inquel tempo che è divenuto quasi antico per me, perchègli avvenimenti che si successero dal 1830 a' dì nostri,hanno accelerato, per così dire, il corso degli anni, e fat-te maturare più presto le generazioni che s'incalzarono.

Molte di quelle città si somigliano, nè io dirò il nomedi quella che fu teatro al dramma domestico che verròraccontando. Avrei voluto dissimulare anche i nomi del-le persone, ma non posso trovarne uno di più bello e dipiù caratteristico per la mia protagonista. Gentilinaesprime non tanto le forme della persona, quanto il ca-rattere e l'indole dell'animo suo. Fosse questo il nomeimpostole al sacro fonte, fosse un soprannome che le ve-nisse dato per le sue qualità, ella chiamavasi da tutticosì, e come io la conobbi sotto il nome di Gentilina,desidero pure che i miei lettori la chiamino nella stessamaniera.

Gentilina dunque era un'abitatrice dei colli Euganei,

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una giovane d'onesta nascita, di agiate abitudini, che sa-peva scriver bene una lettera nella sua lingua, conoscevaun poco la storia e la patria letteratura, ma senza darsenevanto, e senza cercar l'occasione di averne lode. Non sa-peva il francese, nè strimpellava il piano, ma quando erasola cantava una delle dolci cantilene del luogo, o qual-che romanza delle opere più conosciute che avea sentiteripetere per le vie. Tutt'al più, come[Pg 342] la sua casaera ricca di un vasto giardino, vi coltivava una numerosafamiglia di fiori d'ogni stagione, dei quali conosceva ilnome, l'indole e le qualità peregrine.

Erano tre sorelle. Le due maggiori maritate fuor delpaese, la madre morta. Gentilina era rimasta sola col pa-dre già vecchio; e benchè non avesse ancora venti anni,pensava talvolta, di rinunciare alle nozze, e consecrarsialle cure che il buon vecchio non poteva oggimai spera-re se non da lei.

La sua casa era sempre stata il convegno della partepiù eletta de' cittadini. I giovani ci venivano per conver-sare, per parlare di caccia e dei fatti del giorno: i vecchia fare il tressette, come dicevano, col padrone di casa, esorseggiare con voluttuosa lentezza l'eccellente caffèche la Gentilina preparava e dispensava colle sue mani.

Tra gli ospiti della sera c'era Gregorio, figlio d'un ric-co proprietario del paese, e Leopoldo giovane avvocatoforestiero che da due anni viveva in quella città. Questi

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una giovane d'onesta nascita, di agiate abitudini, che sa-peva scriver bene una lettera nella sua lingua, conoscevaun poco la storia e la patria letteratura, ma senza darsenevanto, e senza cercar l'occasione di averne lode. Non sa-peva il francese, nè strimpellava il piano, ma quando erasola cantava una delle dolci cantilene del luogo, o qual-che romanza delle opere più conosciute che avea sentiteripetere per le vie. Tutt'al più, come[Pg 342] la sua casaera ricca di un vasto giardino, vi coltivava una numerosafamiglia di fiori d'ogni stagione, dei quali conosceva ilnome, l'indole e le qualità peregrine.

Erano tre sorelle. Le due maggiori maritate fuor delpaese, la madre morta. Gentilina era rimasta sola col pa-dre già vecchio; e benchè non avesse ancora venti anni,pensava talvolta, di rinunciare alle nozze, e consecrarsialle cure che il buon vecchio non poteva oggimai spera-re se non da lei.

La sua casa era sempre stata il convegno della partepiù eletta de' cittadini. I giovani ci venivano per conver-sare, per parlare di caccia e dei fatti del giorno: i vecchia fare il tressette, come dicevano, col padrone di casa, esorseggiare con voluttuosa lentezza l'eccellente caffèche la Gentilina preparava e dispensava colle sue mani.

Tra gli ospiti della sera c'era Gregorio, figlio d'un ric-co proprietario del paese, e Leopoldo giovane avvocatoforestiero che da due anni viveva in quella città. Questi

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due, come potete credere, facevano un poco la corte alladamigella di casa, mossi da medesima inclinazione. Delresto Gregorio era di un carattere subitaneo, manesco,insofferente d'ogni ostacolo, altiero di possedere, comesuol dirsi, la sua fortuna al sole, bello e forte della per-sona, e sprezzatore di tutti gli altri o men ricchi o menforti di lui. L'avvocato lo vinceva di cultura e di quellaeducazione sociale che consiste nello attemperare de-stramente le proprie maniere secondo l'indole delle per-sone a cui v'importa di andare a versi. Aveva compiuti isuoi studi legali e presa la laurea da parecchi anni, cono-sceva il francese e il tedesco, era ben veduto da tutti per-chè sapeva guardarsi dall'urtare di fronte le molteplicisuscettività del paese. Garbato, officioso, amorevole,avrebbe trascurato una buona ventura per[Pg 343] nonuscire di casa la sera coi calzoni che portava abitual-mente all'ufficio, e gli avrebbe poi sciupati senza esitareper raccogliere cavallerescamente il ventaglio della pa-drona di casa. Era nato di buona famiglia, godeva lasimpatia de' suoi capi, e non poteva mancargli una bril-lante carriera nella linea ascendente degli impieghi.

Di questi due giovani, pretendenti così alla lontanaalla mano della bella padroncina di casa, non dureretefatica a persuadervi che il primo andava a genio dellaGentilina, il secondo invece a suo padre. Ancora non viera stata alcuna trattativa, anzi nè pure alcuna dichiara-zione formale. Parlavano gli occhi, parlavano i cuori inmille occasioni, ma non era per anco uscito il primo: io

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due, come potete credere, facevano un poco la corte alladamigella di casa, mossi da medesima inclinazione. Delresto Gregorio era di un carattere subitaneo, manesco,insofferente d'ogni ostacolo, altiero di possedere, comesuol dirsi, la sua fortuna al sole, bello e forte della per-sona, e sprezzatore di tutti gli altri o men ricchi o menforti di lui. L'avvocato lo vinceva di cultura e di quellaeducazione sociale che consiste nello attemperare de-stramente le proprie maniere secondo l'indole delle per-sone a cui v'importa di andare a versi. Aveva compiuti isuoi studi legali e presa la laurea da parecchi anni, cono-sceva il francese e il tedesco, era ben veduto da tutti per-chè sapeva guardarsi dall'urtare di fronte le molteplicisuscettività del paese. Garbato, officioso, amorevole,avrebbe trascurato una buona ventura per[Pg 343] nonuscire di casa la sera coi calzoni che portava abitual-mente all'ufficio, e gli avrebbe poi sciupati senza esitareper raccogliere cavallerescamente il ventaglio della pa-drona di casa. Era nato di buona famiglia, godeva lasimpatia de' suoi capi, e non poteva mancargli una bril-lante carriera nella linea ascendente degli impieghi.

Di questi due giovani, pretendenti così alla lontanaalla mano della bella padroncina di casa, non dureretefatica a persuadervi che il primo andava a genio dellaGentilina, il secondo invece a suo padre. Ancora non viera stata alcuna trattativa, anzi nè pure alcuna dichiara-zione formale. Parlavano gli occhi, parlavano i cuori inmille occasioni, ma non era per anco uscito il primo: io

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t'amo nè da una bocca nè dall'altra.

Nelle lunghe sere d'inverno, l'avvocato sedevasi al ta-volino, e faceva con una pazienza ed una compitezzaesemplare la sua partita col vecchio. Gregorio stancava-si dopo la prima mezz'ora, e parlava invece di agricoltu-ra, di caccia, di cavalli cogli altri che non giocavano.Quando era solo passeggiava su e giù per la stanza, edu-cava, cioè tormentava il suo bel cane da ferma, e trattotratto arrestandosi dinanzi alla Gentilina che attendeva acucire o a ricamare, le fisava negli occhi i suoi occhieloquenti, senza trarne però nessuna risposta che glisembrasse soddisfacente. Più tardi, quando al tavolieredel padre s'annunziavano i due ultimi giri, ella si levava,accostavasi alle finestre ornate dai fioriti suoi vasi, esceglieva un mazzolino da regalare a quelli degli ospitiche le parevano amici dei fiori. Consegnando il mazzet-to, ella indicava il nome delle piante, e li condiva taloradi qualche piccante o gentile allusione. Una sera, nonimporta ch'io vi dica la data, ella aveva composto duegraziosi bouquets, e quando la compagnia cominciò acongedarsi, porse a Leopoldo il suo, composto di mu-ghetti e di primule, accompagnando[Pg 344] il dono conalcune parole, che parvero a Gregorio un po' troppo si-gnificative. Per cui, quando venne la sua volta, e la gen-tile botanica gli porse il mazzettino di eriche fiorite e dimammole, egli tra lo sdegnato e l'ironico — voi sietetroppo amante dei fiori — le disse — per restarvenesenza: se vi date tanto pensiero di noi tutti, è giusto ch'io

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t'amo nè da una bocca nè dall'altra.

Nelle lunghe sere d'inverno, l'avvocato sedevasi al ta-volino, e faceva con una pazienza ed una compitezzaesemplare la sua partita col vecchio. Gregorio stancava-si dopo la prima mezz'ora, e parlava invece di agricoltu-ra, di caccia, di cavalli cogli altri che non giocavano.Quando era solo passeggiava su e giù per la stanza, edu-cava, cioè tormentava il suo bel cane da ferma, e trattotratto arrestandosi dinanzi alla Gentilina che attendeva acucire o a ricamare, le fisava negli occhi i suoi occhieloquenti, senza trarne però nessuna risposta che glisembrasse soddisfacente. Più tardi, quando al tavolieredel padre s'annunziavano i due ultimi giri, ella si levava,accostavasi alle finestre ornate dai fioriti suoi vasi, esceglieva un mazzolino da regalare a quelli degli ospitiche le parevano amici dei fiori. Consegnando il mazzet-to, ella indicava il nome delle piante, e li condiva taloradi qualche piccante o gentile allusione. Una sera, nonimporta ch'io vi dica la data, ella aveva composto duegraziosi bouquets, e quando la compagnia cominciò acongedarsi, porse a Leopoldo il suo, composto di mu-ghetti e di primule, accompagnando[Pg 344] il dono conalcune parole, che parvero a Gregorio un po' troppo si-gnificative. Per cui, quando venne la sua volta, e la gen-tile botanica gli porse il mazzettino di eriche fiorite e dimammole, egli tra lo sdegnato e l'ironico — voi sietetroppo amante dei fiori — le disse — per restarvenesenza: se vi date tanto pensiero di noi tutti, è giusto ch'io

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vi rinunzi questa sera il mazzetto. — Come vi piace —rispose Gentilina senza mostrare la minima alterazione,e si ripose i fiori da un lato della cintura che le annodavaleggiadramente la vita. — S'accommiatò con gentilezzaimparziale da entrambi, come non avesse avvertitol'affronto, o come vi fosse affatto insensibile. Non eraperò nè l'uno nè l'altro: ella aveva intesa l'ironia, e l'aveaperdonata. Non crediate che fosse dissimulatrice: macome un'acqua chiara e profonda, rare volte lasciava ve-dere l'interno dell'anima. Non era più l'ingenua giova-netta di tre lustri: contava ventiquattr'anni, e aveva giàprovate le prime amarezze della vita.

II.

Questo vuol dire che aveva amato: nè voglio farvi mi-stero di una circostanza che avea profondamente influitosul suo carattere. Gentilina avea accarezzato fin dai pri-mi anni una secreta speranza di unirsi in matrimonio adun altro giovane del paese che le pareva fatto per la pro-pria felicità. Dal canto suo Gustavo non avea per lei mi-nor affezione; anzi i loro cuori s'erano intesi in quel pri-mo crepuscolo del sentimento, quando le anime nonhanno mestieri della parola per aprirsi alla vita d'amore.Pari d'età, di condizione, di nascita, sembrava non vi do-vesse essere ostacolo alla loro unione: ma un importunolitigio avea messa tanta ruggine nell'animo[Pg 345] deiloro vecchi parenti, che improvvisamente fu troncataqualunque relazione fra le due famiglie, e ingiunto ai

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vi rinunzi questa sera il mazzetto. — Come vi piace —rispose Gentilina senza mostrare la minima alterazione,e si ripose i fiori da un lato della cintura che le annodavaleggiadramente la vita. — S'accommiatò con gentilezzaimparziale da entrambi, come non avesse avvertitol'affronto, o come vi fosse affatto insensibile. Non eraperò nè l'uno nè l'altro: ella aveva intesa l'ironia, e l'aveaperdonata. Non crediate che fosse dissimulatrice: macome un'acqua chiara e profonda, rare volte lasciava ve-dere l'interno dell'anima. Non era più l'ingenua giova-netta di tre lustri: contava ventiquattr'anni, e aveva giàprovate le prime amarezze della vita.

II.

Questo vuol dire che aveva amato: nè voglio farvi mi-stero di una circostanza che avea profondamente influitosul suo carattere. Gentilina avea accarezzato fin dai pri-mi anni una secreta speranza di unirsi in matrimonio adun altro giovane del paese che le pareva fatto per la pro-pria felicità. Dal canto suo Gustavo non avea per lei mi-nor affezione; anzi i loro cuori s'erano intesi in quel pri-mo crepuscolo del sentimento, quando le anime nonhanno mestieri della parola per aprirsi alla vita d'amore.Pari d'età, di condizione, di nascita, sembrava non vi do-vesse essere ostacolo alla loro unione: ma un importunolitigio avea messa tanta ruggine nell'animo[Pg 345] deiloro vecchi parenti, che improvvisamente fu troncataqualunque relazione fra le due famiglie, e ingiunto ai

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due sventurati giovani di non vedersi e di non parlarsimai più sotto pena della paterna maledizione. Vi lasciopensare le lagrime, le preghiere, la disperazione dei duedisgraziati, che mai non avevano creduto di amarsi tan-to, come allora che l'amarsi diveniva quasi un delitto.Dall'una parte e dall'altra non furono risparmiati i mezzipiù validi per riconciliare i due vecchi irritati: il parroco,le persone più autorevoli del luogo aveano esaurito in-vano i loro consigli: non si vedeva più nessuna possibi-lità di rappacificarli, tanto più che non mancarono i soli-ti mali uffici indiretti, le solite lagnanze riferite perfida-mente dai maligni che godono del male altrui, mentresembrano intenti a predicare la pace. Ogni giorno porta-va nuova esca all'avversione, all'odio reciproco. Le cosegiunsero a tale che gli amici più non osavano proferire ilnome d'una famiglia in presenza d'alcuno individuodell'altra. Gustavo tempestava, sciupava denari, stanca-va i cavalli dalla mattina alla sera quasi cercando di sfo-gare in questa guisa il proprio mal umore. Gentilina tan-to più profondamente addolorata quanto meno lo lascia-va trasparire al di fuori, pregava Iddio e la Vergine lavolessero esaudire, ed era divenuta più assidua, più te-nera, più affettuosa, quasi sperasse di ottenere colla dol-cezza quello che Gustavo si lusingava di estorcere dimal grado. Ma l'uno e l'altra non riuscirono a nulla.

Il padre del giovane, vedendo che non c'era via diguarirlo della sua ostinata passione, gli proponeva senzafrutto i più ricchi partiti di matrimonio, senza ottenere

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due sventurati giovani di non vedersi e di non parlarsimai più sotto pena della paterna maledizione. Vi lasciopensare le lagrime, le preghiere, la disperazione dei duedisgraziati, che mai non avevano creduto di amarsi tan-to, come allora che l'amarsi diveniva quasi un delitto.Dall'una parte e dall'altra non furono risparmiati i mezzipiù validi per riconciliare i due vecchi irritati: il parroco,le persone più autorevoli del luogo aveano esaurito in-vano i loro consigli: non si vedeva più nessuna possibi-lità di rappacificarli, tanto più che non mancarono i soli-ti mali uffici indiretti, le solite lagnanze riferite perfida-mente dai maligni che godono del male altrui, mentresembrano intenti a predicare la pace. Ogni giorno porta-va nuova esca all'avversione, all'odio reciproco. Le cosegiunsero a tale che gli amici più non osavano proferire ilnome d'una famiglia in presenza d'alcuno individuodell'altra. Gustavo tempestava, sciupava denari, stanca-va i cavalli dalla mattina alla sera quasi cercando di sfo-gare in questa guisa il proprio mal umore. Gentilina tan-to più profondamente addolorata quanto meno lo lascia-va trasparire al di fuori, pregava Iddio e la Vergine lavolessero esaudire, ed era divenuta più assidua, più te-nera, più affettuosa, quasi sperasse di ottenere colla dol-cezza quello che Gustavo si lusingava di estorcere dimal grado. Ma l'uno e l'altra non riuscirono a nulla.

Il padre del giovane, vedendo che non c'era via diguarirlo della sua ostinata passione, gli proponeva senzafrutto i più ricchi partiti di matrimonio, senza ottenere

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nessun'altra risposta che questa: — o Gentilina, o nes-sun'altra donna fino ch'io vivo. — Allora il vecchio ri-corse ad altri espedienti: propose al figlio di fare un[Pg346] viaggio nella Svizzera, nell'Alemagna, dove avevaimprese, forse a quest'uopo, alcune speculazioni. Gusta-vo partì, che già poco gli giovava restare: passò più didue anni lontano dalla sua terra nativa: ma la lontananzache mette in calma lo spirito, in lui non aveva fatto cheaggiugnere fuoco a fuoco. Gentilina gli era oggimai ne-cessaria, avrebbe aspettato quattro, cinque, dieci anni,finchè fosse vinto ogni ostacolo. Che cosa sono diecianni e più d'intervallo a chi ama davvero, a chi ama perla prima volta? La vita sembra allora composta di duemomenti, quello in cui fu accolta la nostra prima parolad'amore, e quello in cui speriamo di vederla, quando chesia, soddisfatta.

Io vorrei passare sotto silenzio l'ultimo espediente chefu adoperato per vincere al suo ritorno l'ostinata passio-ne del giovane: ma cada la vergogna su quelli che vi ri-corsero! Fu calunniata la virtù della povera Gentilina, sicontraffece la sua scrittura, si provò la sua infedeltà, lefu tolto ogni mezzo di potersi giustificare. Gustavo cad-de nell'agguato ordito con quella perfida finezza chesuol porsi ne' piccoli paesi in simili intrighi: credetteinutile ogni discolpa della fanciulla, e non la cercò. Traper vendetta e per istanchezza obbedì al comando de'suoi, si legò in matrimonio ad una donna ch'ei non ama-va, e credette aver dimenticata Gentilina. Ma un primo

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nessun'altra risposta che questa: — o Gentilina, o nes-sun'altra donna fino ch'io vivo. — Allora il vecchio ri-corse ad altri espedienti: propose al figlio di fare un[Pg346] viaggio nella Svizzera, nell'Alemagna, dove avevaimprese, forse a quest'uopo, alcune speculazioni. Gusta-vo partì, che già poco gli giovava restare: passò più didue anni lontano dalla sua terra nativa: ma la lontananzache mette in calma lo spirito, in lui non aveva fatto cheaggiugnere fuoco a fuoco. Gentilina gli era oggimai ne-cessaria, avrebbe aspettato quattro, cinque, dieci anni,finchè fosse vinto ogni ostacolo. Che cosa sono diecianni e più d'intervallo a chi ama davvero, a chi ama perla prima volta? La vita sembra allora composta di duemomenti, quello in cui fu accolta la nostra prima parolad'amore, e quello in cui speriamo di vederla, quando chesia, soddisfatta.

Io vorrei passare sotto silenzio l'ultimo espediente chefu adoperato per vincere al suo ritorno l'ostinata passio-ne del giovane: ma cada la vergogna su quelli che vi ri-corsero! Fu calunniata la virtù della povera Gentilina, sicontraffece la sua scrittura, si provò la sua infedeltà, lefu tolto ogni mezzo di potersi giustificare. Gustavo cad-de nell'agguato ordito con quella perfida finezza chesuol porsi ne' piccoli paesi in simili intrighi: credetteinutile ogni discolpa della fanciulla, e non la cercò. Traper vendetta e per istanchezza obbedì al comando de'suoi, si legò in matrimonio ad una donna ch'ei non ama-va, e credette aver dimenticata Gentilina. Ma un primo

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amore deluso e tradito si cambia in odio: egli covavanell'animo suo tutta l'indignazione che la supposta infe-deltà di Gentilina gli aveva destato.

Ed ella? — Ella aveva saputo troppo tardi l'insidia:avea cercato di giustificarsi, quando le sue discolpe pa-revano interessate: oltracciò le sue lettere erano intercet-te tanto più facilmente, quanto le due famiglie nemicheconvenivano sulla necessità di rompere quei legami.

Oh! vecchi! vecchi! Di quanti mali è sovente colpe-vole[Pg 347] ciò che voi chiamate prudenza! Voi credetepoter adoperare ogni mezzo impunemente per isradicareun affetto dal cuore dei vostri figli, e non badate chespesso, sradicandone uno di bello e generoso, gettate ilseme d'un altro tristo e infelice! Voi non pensate che alfuturo benessere de' vostri figli, e non sapete che il futu-ro si fabbrica sul presente, e non si fa più rivivere uncuore quando vi si spegne un affetto che gli dava percosì dire la vita!

Io mi dilungo un po' troppo in questi antefatti, perchèil mio racconto comincia in un'epoca posteriore di benquattro anni. Ma l'animo di Gentilina non s'era puntocangiato per sì lungo intervallo: ella non avea più vedu-to Gustavo dopo il suo matrimonio di dispetto. Questol'aveva in parte guarita, l'aveva resa, non tranquilla, nonlieta, ma più rassegnata; e se amava forse egualmente ilsuo primo amante, certo lo stimava assai meno. Ella,

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amore deluso e tradito si cambia in odio: egli covavanell'animo suo tutta l'indignazione che la supposta infe-deltà di Gentilina gli aveva destato.

Ed ella? — Ella aveva saputo troppo tardi l'insidia:avea cercato di giustificarsi, quando le sue discolpe pa-revano interessate: oltracciò le sue lettere erano intercet-te tanto più facilmente, quanto le due famiglie nemicheconvenivano sulla necessità di rompere quei legami.

Oh! vecchi! vecchi! Di quanti mali è sovente colpe-vole[Pg 347] ciò che voi chiamate prudenza! Voi credetepoter adoperare ogni mezzo impunemente per isradicareun affetto dal cuore dei vostri figli, e non badate chespesso, sradicandone uno di bello e generoso, gettate ilseme d'un altro tristo e infelice! Voi non pensate che alfuturo benessere de' vostri figli, e non sapete che il futu-ro si fabbrica sul presente, e non si fa più rivivere uncuore quando vi si spegne un affetto che gli dava percosì dire la vita!

Io mi dilungo un po' troppo in questi antefatti, perchèil mio racconto comincia in un'epoca posteriore di benquattro anni. Ma l'animo di Gentilina non s'era puntocangiato per sì lungo intervallo: ella non avea più vedu-to Gustavo dopo il suo matrimonio di dispetto. Questol'aveva in parte guarita, l'aveva resa, non tranquilla, nonlieta, ma più rassegnata; e se amava forse egualmente ilsuo primo amante, certo lo stimava assai meno. Ella,

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Page 447: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

nella situazione di lui, avrebbe, o almeno le pareva, co-nosciuto l'inganno; avrebbe trovato nell'amor suo il co-raggio necessario a resistere ad ogni umana potenza, atrionfar d'ogni ostacolo. L'uomo che avea saputo dubita-re di lei non l'amava abbastanza per farla felice; l'uomoche s'era lasciato vincere suo malgrado dall'altrui volon-tà, non corrispondeva più a quel tipo ideale di forza e dicostanza a cui ella intendeva donarsi. Dotata di tantaenergia, ella voleva un marito più energico ancora, vole-va poter riconoscere la superiorità morale dell'uomosuo. — Tal era il carattere, tale la situazione di Gentili-na, quando si trovava costretta ad ascoltare le parole ap-passionate dei due nuovi suoi pretendenti. Nè l'uno nèl'altro era tale da poter riempiere il vuoto che l'era resta-to nel cuore: nessuno dei due poteva farle dimenticareGustavo, ancorchè tanto scaduto nell'opinione di lei.Gregorio, impetuoso, iracondo, geloso,[Pg 348] intolleran-te non le sembrava sprovveduto di quella energia ch'ellavagheggiava, ma egli era sovente rozzo, incoerente, bru-tale. L'altro ella soleva paragonarlo ad una rosa del Ben-gala: di maniere e di forme eleganti, ma senza odore.Avrebbe voluto congiungere in un solo individuo quelledue nature incomplete: ma vedeva bene essere cosa im-possibile il farlo. Perciò, non osando congedarli, tempo-reggiava, come fanno le donne, e si lasciava amare sen-za prevedere le conseguenze di questa innocente e passi-va civetteria.

Quanto ai due giovani che s'erano chiariti rivali nella

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nella situazione di lui, avrebbe, o almeno le pareva, co-nosciuto l'inganno; avrebbe trovato nell'amor suo il co-raggio necessario a resistere ad ogni umana potenza, atrionfar d'ogni ostacolo. L'uomo che avea saputo dubita-re di lei non l'amava abbastanza per farla felice; l'uomoche s'era lasciato vincere suo malgrado dall'altrui volon-tà, non corrispondeva più a quel tipo ideale di forza e dicostanza a cui ella intendeva donarsi. Dotata di tantaenergia, ella voleva un marito più energico ancora, vole-va poter riconoscere la superiorità morale dell'uomosuo. — Tal era il carattere, tale la situazione di Gentili-na, quando si trovava costretta ad ascoltare le parole ap-passionate dei due nuovi suoi pretendenti. Nè l'uno nèl'altro era tale da poter riempiere il vuoto che l'era resta-to nel cuore: nessuno dei due poteva farle dimenticareGustavo, ancorchè tanto scaduto nell'opinione di lei.Gregorio, impetuoso, iracondo, geloso,[Pg 348] intolleran-te non le sembrava sprovveduto di quella energia ch'ellavagheggiava, ma egli era sovente rozzo, incoerente, bru-tale. L'altro ella soleva paragonarlo ad una rosa del Ben-gala: di maniere e di forme eleganti, ma senza odore.Avrebbe voluto congiungere in un solo individuo quelledue nature incomplete: ma vedeva bene essere cosa im-possibile il farlo. Perciò, non osando congedarli, tempo-reggiava, come fanno le donne, e si lasciava amare sen-za prevedere le conseguenze di questa innocente e passi-va civetteria.

Quanto ai due giovani che s'erano chiariti rivali nella

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sera del mazzolino, le loro disposizioni d'animo eranomolto diverse. Nell'amor di Leopoldo c'entrava per piùdi un terzo di vanità: la Gentilina era la più bella fan-ciulla del paese, era sulle bocche di tutti per le sue pas-sate sventure, e ciò che le scemava pregio agli occhi diGregorio, gliene accresceva per lui. Egli avea gustato lavita della capitale, guardava l'amore come un trionfo,non vedeva il matrimonio che ad una grande distanza,nè domandava conto a se stesso quali ostacoli avrebbeincontrati per via, e come gli sarebbe stato possibile su-perarli. — Gregorio non avea pensieri così raffinati: eglinon amava per pura galanteria: s'era preso della fanciul-la pe' suoi pregi personali; avrebbe voluto averla trovataancora libera da ogni altra inclinazione, perchè il passa-to medesimo era una specie di rivale per lui, e mille vol-te al giorno faceva proponimento di torsela dal pensiero:ma poi vi tornava per abitudine, la trovava sì pura, sìtranquilla, sì bella, che le perdonava la prima passione, ecredeva d'essere abbastanza felice, se fosse giunto aconquistare un affetto provato a tale cimento.

Ma ora, oltre al rivale passato, se ne vedeva a fiancoun altro, un rivale presente, al quale nel suo fòro internonon poteva negare una certa eleganza di modi,[Pg 349]una certa superiorità di cultura. Gli passò per la menteche Gentilina, così gentile e garbata come era, potevabene dare la preferenza al profumato vagheggino dellacapitale. Avvampò di sdegno a questa sola idea: sentì lasua forza, unico punto di vantaggio ch'egli avea sopra

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sera del mazzolino, le loro disposizioni d'animo eranomolto diverse. Nell'amor di Leopoldo c'entrava per piùdi un terzo di vanità: la Gentilina era la più bella fan-ciulla del paese, era sulle bocche di tutti per le sue pas-sate sventure, e ciò che le scemava pregio agli occhi diGregorio, gliene accresceva per lui. Egli avea gustato lavita della capitale, guardava l'amore come un trionfo,non vedeva il matrimonio che ad una grande distanza,nè domandava conto a se stesso quali ostacoli avrebbeincontrati per via, e come gli sarebbe stato possibile su-perarli. — Gregorio non avea pensieri così raffinati: eglinon amava per pura galanteria: s'era preso della fanciul-la pe' suoi pregi personali; avrebbe voluto averla trovataancora libera da ogni altra inclinazione, perchè il passa-to medesimo era una specie di rivale per lui, e mille vol-te al giorno faceva proponimento di torsela dal pensiero:ma poi vi tornava per abitudine, la trovava sì pura, sìtranquilla, sì bella, che le perdonava la prima passione, ecredeva d'essere abbastanza felice, se fosse giunto aconquistare un affetto provato a tale cimento.

Ma ora, oltre al rivale passato, se ne vedeva a fiancoun altro, un rivale presente, al quale nel suo fòro internonon poteva negare una certa eleganza di modi,[Pg 349]una certa superiorità di cultura. Gli passò per la menteche Gentilina, così gentile e garbata come era, potevabene dare la preferenza al profumato vagheggino dellacapitale. Avvampò di sdegno a questa sola idea: sentì lasua forza, unico punto di vantaggio ch'egli avea sopra

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l'altro, affrettò il passo per raggiungerlo: lo raggiunseche andava zufolando a passo spedito come l'uomo con-tento di se medesimo: ebbe la tentazione di strappargli ilmazzetto dall'occhiello, e di dargli una stretta di manoall'inglese che lo facesse allibire: ma fortunatamentel'avvocato s'avvenne nel Podestà del paese che piglian-dolo a braccio l'avea sottratto all'insulto imminentech'era ben lontano dall'aspettarsi.

III.

In uno stato di alterazione che si può facilmente im-maginare da chi s'è formato un'idea del suo caratterevulcanico, Gregorio si mise a battere, come si dice, laluna, misurando tutte le contrade della città a passi con-citati, senza scopo e senza disegno, come se desse lacaccia al proprio dispetto. Sentì sonare due tocchiall'orologio di piazza, e risentendosi improvvisamentedomandò a se medesimo che cosa avesse fatto per benquattr'ore. Si ritirò a casa e volle dormire, ma non potèsoffocare l'acre pensiero che l'avea inseguito: onde pas-sò la notte voltandosi come febbricitante or sopra unfianco, or sull'altro, facendo ad ogni girata un progettodi vendetta, e una risoluzione che abbandonava ben to-sto. Si alzò col sole, senz'aver chiuso occhio: si pose ascrivere alla Gentilina dieci lettere, che lacerò senza fi-nirle: pensò di spedire invece un biglietto insolente alsuo rivale, poi si pentì ripigliando se stesso di pusillani-mità. A quattr'occhi, a quattr'occhi, pensava, ci trovere-

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l'altro, affrettò il passo per raggiungerlo: lo raggiunseche andava zufolando a passo spedito come l'uomo con-tento di se medesimo: ebbe la tentazione di strappargli ilmazzetto dall'occhiello, e di dargli una stretta di manoall'inglese che lo facesse allibire: ma fortunatamentel'avvocato s'avvenne nel Podestà del paese che piglian-dolo a braccio l'avea sottratto all'insulto imminentech'era ben lontano dall'aspettarsi.

III.

In uno stato di alterazione che si può facilmente im-maginare da chi s'è formato un'idea del suo caratterevulcanico, Gregorio si mise a battere, come si dice, laluna, misurando tutte le contrade della città a passi con-citati, senza scopo e senza disegno, come se desse lacaccia al proprio dispetto. Sentì sonare due tocchiall'orologio di piazza, e risentendosi improvvisamentedomandò a se medesimo che cosa avesse fatto per benquattr'ore. Si ritirò a casa e volle dormire, ma non potèsoffocare l'acre pensiero che l'avea inseguito: onde pas-sò la notte voltandosi come febbricitante or sopra unfianco, or sull'altro, facendo ad ogni girata un progettodi vendetta, e una risoluzione che abbandonava ben to-sto. Si alzò col sole, senz'aver chiuso occhio: si pose ascrivere alla Gentilina dieci lettere, che lacerò senza fi-nirle: pensò di spedire invece un biglietto insolente alsuo rivale, poi si pentì ripigliando se stesso di pusillani-mità. A quattr'occhi, a quattr'occhi, pensava, ci trovere-

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mo e.... ci parleremo.[Pg 350] Bisogna dire che una tale ri-soluzione gli sembrasse per ogni riguardo preferibileall'altra, giacchè quando fu la mattina un po' avanzata,prese il cappello e n'andò difilato alla casa di Gentilina.Ella era in giardino che visitava le sue piante, e vedevacon piacere spuntare qualche gemma ai primi influssidella nascente primavera. Egli non era mai penetrato ingiardino a quell'ora: pure non esitò. Gentilina era sola,lo accolse con un movimento involontario di meraviglia,ma tosto si ricompose prima ch'egli potesse avvertirlo.

— Vedete — diss'ella — come il verno ha rispettatole mie piante! Ne sono veramente contenta.

— Senza dubbio pensando alla contentezza di quelliche riceveranno i vostri mazzetti.

— Perchè no? — diss'ella con aria fina ed ingenua —vorrei sperare che non saranno sempre rifiutati comeiersera. —

Gregorio avvampò di collera e proruppe con impeto.— Prego Iddio a voler versare tutta la sua gragnuola su'vostri fiori! Prego Iddio a sterminare.... — Uno sguardotranquillo e severo di Gentilina lo arrestò d'improvviso,e rimasero alcuni minuti in silenzio. — Gentilina! — ri-prese egli al fine — voi non sapete il male che m'avetefatto ieri sera: voi non sapete a qual pericolo avete espo-sta la vita del vostro caro!... — Che dite mai? — risposeella infingendosi. — L'odore troppo forte dei mughetti

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mo e.... ci parleremo.[Pg 350] Bisogna dire che una tale ri-soluzione gli sembrasse per ogni riguardo preferibileall'altra, giacchè quando fu la mattina un po' avanzata,prese il cappello e n'andò difilato alla casa di Gentilina.Ella era in giardino che visitava le sue piante, e vedevacon piacere spuntare qualche gemma ai primi influssidella nascente primavera. Egli non era mai penetrato ingiardino a quell'ora: pure non esitò. Gentilina era sola,lo accolse con un movimento involontario di meraviglia,ma tosto si ricompose prima ch'egli potesse avvertirlo.

— Vedete — diss'ella — come il verno ha rispettatole mie piante! Ne sono veramente contenta.

— Senza dubbio pensando alla contentezza di quelliche riceveranno i vostri mazzetti.

— Perchè no? — diss'ella con aria fina ed ingenua —vorrei sperare che non saranno sempre rifiutati comeiersera. —

Gregorio avvampò di collera e proruppe con impeto.— Prego Iddio a voler versare tutta la sua gragnuola su'vostri fiori! Prego Iddio a sterminare.... — Uno sguardotranquillo e severo di Gentilina lo arrestò d'improvviso,e rimasero alcuni minuti in silenzio. — Gentilina! — ri-prese egli al fine — voi non sapete il male che m'avetefatto ieri sera: voi non sapete a qual pericolo avete espo-sta la vita del vostro caro!... — Che dite mai? — risposeella infingendosi. — L'odore troppo forte dei mughetti

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gli avrebbe forse procurata l'emicrania? Mi dispiacereb-be, povero Leopoldo! Procureremo di dargli dei fiorimeno odorosi. Voi foste più cauto di lui lasciandomi ilmio bouquet. Vedete, io l'ho ancora qui, e lo conservo inmemoria della vostra.... compitezza.

— Gentilina, bisogna dichiararsi. Io non sono uomoda soffrire che quel Monsù mi pesti sui piedi. Voi lo pre-ferite già apertamente a tutti gli altri che sospiranoalla[Pg 351] vostra mano. Non è giusto lusingare troppesperanze ad un tratto: ditemi il vostro pensiero: siatesincera e franca una volta.

— Il mio pensiero? Ho bisogno di dirvelo? — chieseGentilina con tuono ambiguo quasi volendo schermirse-ne. — Ve l'ho detto ieri sera, e ve lo ripeto, se occorre,questa mattina perchè mi crediate sincera. Io trovo assaicompìto quel giovane, e se voi dite il vero ch'ei sospirialla mia mano, avrebbe torto a dubitare d'un rifiuto. Chene dite voi, che dovete intendervene? Che mi consiglie-reste di fare? —

Gregorio rimase interdetto e non comprese la secretaironia di queste parole. Gentilina infatti pensava atutt'altro che ad accettare Leopoldo per marito; ma vole-va vendicarsi da donna dello sgarbo ricevuto la sera pri-ma, e dare una lezione di pazienza e di gentilezza al ge-loso suo pretendente. Il giovane prese la risposta allalettera, e soggiunse: — Giacchè lo volete, pigliatevelo:

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gli avrebbe forse procurata l'emicrania? Mi dispiacereb-be, povero Leopoldo! Procureremo di dargli dei fiorimeno odorosi. Voi foste più cauto di lui lasciandomi ilmio bouquet. Vedete, io l'ho ancora qui, e lo conservo inmemoria della vostra.... compitezza.

— Gentilina, bisogna dichiararsi. Io non sono uomoda soffrire che quel Monsù mi pesti sui piedi. Voi lo pre-ferite già apertamente a tutti gli altri che sospiranoalla[Pg 351] vostra mano. Non è giusto lusingare troppesperanze ad un tratto: ditemi il vostro pensiero: siatesincera e franca una volta.

— Il mio pensiero? Ho bisogno di dirvelo? — chieseGentilina con tuono ambiguo quasi volendo schermirse-ne. — Ve l'ho detto ieri sera, e ve lo ripeto, se occorre,questa mattina perchè mi crediate sincera. Io trovo assaicompìto quel giovane, e se voi dite il vero ch'ei sospirialla mia mano, avrebbe torto a dubitare d'un rifiuto. Chene dite voi, che dovete intendervene? Che mi consiglie-reste di fare? —

Gregorio rimase interdetto e non comprese la secretaironia di queste parole. Gentilina infatti pensava atutt'altro che ad accettare Leopoldo per marito; ma vole-va vendicarsi da donna dello sgarbo ricevuto la sera pri-ma, e dare una lezione di pazienza e di gentilezza al ge-loso suo pretendente. Il giovane prese la risposta allalettera, e soggiunse: — Giacchè lo volete, pigliatevelo:

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io non porrò più piede sulla soglia della vostra casa. —Gentilina lo guardò e non dubitò di rispondergli secca-mente: — siete padrone.

— Ma egli non mi sfuggirà sempre! Non godrà lun-gamente del suo trionfo!

— Io credo che saprà difendere la sua vita — diss'ellasorridendo — quando saprà ch'io ne faccio così granconto.

— Gentilina!

— Signor Gregorio!

— Badate!

— Vi prego di lasciarmi ai miei fiori: essi m'intendo-no meglio di voi. —

Gregorio non aggiunse parola, e dopo essere restatocome balordo per alcuni momenti, col cuore aggruppa-to, se ne partì mulinando nella sua mente non[Pg 352] soquali pazzi disegni. Gentilina gli guardò dietro, e le di-spiacque che avesse preso la cosa così a rovescio: purenon fece un cenno per arrestarlo. — Non mancherà tem-po — diss'ella tra sè — e continuò a recidere i rami ina-riditi delle sue piante, col pensiero rivolto ad altro. Ellanon si sarebbe giammai figurata quali serie conseguenzedovevano derivare da quel capriccio di donna, ai due ge-

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io non porrò più piede sulla soglia della vostra casa. —Gentilina lo guardò e non dubitò di rispondergli secca-mente: — siete padrone.

— Ma egli non mi sfuggirà sempre! Non godrà lun-gamente del suo trionfo!

— Io credo che saprà difendere la sua vita — diss'ellasorridendo — quando saprà ch'io ne faccio così granconto.

— Gentilina!

— Signor Gregorio!

— Badate!

— Vi prego di lasciarmi ai miei fiori: essi m'intendo-no meglio di voi. —

Gregorio non aggiunse parola, e dopo essere restatocome balordo per alcuni momenti, col cuore aggruppa-to, se ne partì mulinando nella sua mente non[Pg 352] soquali pazzi disegni. Gentilina gli guardò dietro, e le di-spiacque che avesse preso la cosa così a rovescio: purenon fece un cenno per arrestarlo. — Non mancherà tem-po — diss'ella tra sè — e continuò a recidere i rami ina-riditi delle sue piante, col pensiero rivolto ad altro. Ellanon si sarebbe giammai figurata quali serie conseguenzedovevano derivare da quel capriccio di donna, ai due ge-

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losi rivali, e a lei stessa.

Gregorio mantenne la sua malaccorta parola. Egli erarozzo, collerico, orgoglioso, e si pose subito sopra unavia falsa che doveva trarlo di passo in passo più semprelontano dalla sua mèta. Egli aveva fraintesi i sentimentidi Gentilina, e invece di pensare a chiarirsene meglio,cominciò a sparlarne a questo e a codesto: asserì ch'ellaera una lusinghiera, una civettuola; che Gustavo avevafatto bene a trarsela dal pensiero e sposarne un'altra; chele voci che l'avevano indotto ad abbandonarla non do-veano essere punto calunnie, ma verità e così via via, fa-cendogli eco tutti coloro che trovavano il tornaconto adar ragione a lui presente, piuttosto che a prendere le di-fese di Gentilina lontana. Le donne specialmente eranotutte del suo parere.

Leopoldo intanto era tronfio e vano del suo suppostotrionfo. Raddoppiò le sue attenzioni alla fanciulla ed alpadre di lei: e non mancava mai di mostrare a Gregorioquando lo incontrava per via qualche fiore appiccicatoal vestito, foss'egli o no un presente della Gentilina e uncontrassegno della riportata vittoria sul cuore di lei. Unavolta, uscendo ad ora più tarda del solito da quella casa,vide il suo sfortunato rivale rimpetto alla porta. Si fermòvedendolo avanzare alla sua volta, immaginandositutt'altro che un incontro apertamente ostile. Gregorio loagguantò senza cerimonie per una spalla, e gli disse convoce soffocata dall'ira: — Ebbene![Pg 353] v'ha fatto ella

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losi rivali, e a lei stessa.

Gregorio mantenne la sua malaccorta parola. Egli erarozzo, collerico, orgoglioso, e si pose subito sopra unavia falsa che doveva trarlo di passo in passo più semprelontano dalla sua mèta. Egli aveva fraintesi i sentimentidi Gentilina, e invece di pensare a chiarirsene meglio,cominciò a sparlarne a questo e a codesto: asserì ch'ellaera una lusinghiera, una civettuola; che Gustavo avevafatto bene a trarsela dal pensiero e sposarne un'altra; chele voci che l'avevano indotto ad abbandonarla non do-veano essere punto calunnie, ma verità e così via via, fa-cendogli eco tutti coloro che trovavano il tornaconto adar ragione a lui presente, piuttosto che a prendere le di-fese di Gentilina lontana. Le donne specialmente eranotutte del suo parere.

Leopoldo intanto era tronfio e vano del suo suppostotrionfo. Raddoppiò le sue attenzioni alla fanciulla ed alpadre di lei: e non mancava mai di mostrare a Gregorioquando lo incontrava per via qualche fiore appiccicatoal vestito, foss'egli o no un presente della Gentilina e uncontrassegno della riportata vittoria sul cuore di lei. Unavolta, uscendo ad ora più tarda del solito da quella casa,vide il suo sfortunato rivale rimpetto alla porta. Si fermòvedendolo avanzare alla sua volta, immaginandositutt'altro che un incontro apertamente ostile. Gregorio loagguantò senza cerimonie per una spalla, e gli disse convoce soffocata dall'ira: — Ebbene![Pg 353] v'ha fatto ella

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felice stasera? — Che diritto ha lei di farmi una tale do-manda? — rispose Leopoldo ritraendosi d'un passo, pal-lido per la sorpresa e forse per altro. — Diritto o no —soggiunse Gregorio — voi mi risponderete, spero. Dovel'avete lasciata a quest'ora? — Io credo nella sua stan-za.... o in giardino, — rispose Leopoldo esitando forsecoll'intenzione secreta di far credere all'altro qualchecosa che fosse delicatezza il nascondere. — Voi siete di-screto — disse Gregorio — e meritate una ricompensa:accettate da un leale amico il consiglio di non porre maipiù il piede in quella casa.

— Ella scherza! — disse l'altro impaurito dal tuonoserio e perentorio di queste parole.

— Io non ischerzo punto, — soggiunse Gregorio —m'apposterò tutte le sere in quel luogo medesimo; e laprima volta ch'io vedrò uscire di là una persona che visomigli, vi giuro per la.... gli trarrò di corpo per semprela voglia di ritornarvi. Badate che nel nostro paese que-sto non si suol dire due volte! — Dopo queste paroles'allontanò senza curare l'effetto che avrebbero prodottonell'altro. Questi restò immobile per un tratto, poi sistrinse nelle spalle, e, provandosi a zufolare la sua solitaarietta, si ritirò a casa sua tutto sconcertato, confortan-dosi però che v'erano mezzi per far tener d'occhio il suorivale e per sottrarre se stesso ad ogni pericolo.

Contuttociò per le tre sere che susseguirono a questa

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felice stasera? — Che diritto ha lei di farmi una tale do-manda? — rispose Leopoldo ritraendosi d'un passo, pal-lido per la sorpresa e forse per altro. — Diritto o no —soggiunse Gregorio — voi mi risponderete, spero. Dovel'avete lasciata a quest'ora? — Io credo nella sua stan-za.... o in giardino, — rispose Leopoldo esitando forsecoll'intenzione secreta di far credere all'altro qualchecosa che fosse delicatezza il nascondere. — Voi siete di-screto — disse Gregorio — e meritate una ricompensa:accettate da un leale amico il consiglio di non porre maipiù il piede in quella casa.

— Ella scherza! — disse l'altro impaurito dal tuonoserio e perentorio di queste parole.

— Io non ischerzo punto, — soggiunse Gregorio —m'apposterò tutte le sere in quel luogo medesimo; e laprima volta ch'io vedrò uscire di là una persona che visomigli, vi giuro per la.... gli trarrò di corpo per semprela voglia di ritornarvi. Badate che nel nostro paese que-sto non si suol dire due volte! — Dopo queste paroles'allontanò senza curare l'effetto che avrebbero prodottonell'altro. Questi restò immobile per un tratto, poi sistrinse nelle spalle, e, provandosi a zufolare la sua solitaarietta, si ritirò a casa sua tutto sconcertato, confortan-dosi però che v'erano mezzi per far tener d'occhio il suorivale e per sottrarre se stesso ad ogni pericolo.

Contuttociò per le tre sere che susseguirono a questa

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minaccia Leopoldo pensò di rientrare nella sua stanzaper tempo ostentando d'aver qualche affare d'ufficio chelo pressasse. Gregorio non mancò di recarsi a notte fittadinanzi alla casa di Gentilina per vedere l'effetto deisuoi consigli, e cominciava a congratularsi nel suo inter-no del proprio trionfo. Non sapeva però render ragione ase stesso di una persona o due che lo seguivano[Pg 354] aqualche distanza nel buio. Una sera non potè resisterealla propria curiosità, e mosse loro incontro. Un uomoben conosciuto, ma al quale ei non aveva mai parlato,gli domandò che facesse costì. — Fo all'amore collaluna — rispose Gregorio — avete qualche cosa a dire incontrario? — Potrebbe darsi, — ripigliò l'incognito. —Uomo avvisato!... Ella m'intende! — e senza aspettarerisposta finse d'andarsene. — Gregorio però non si mos-se di là, persuaso che ciò non doveva essere avvenutosenza un perchè. Infatti da lì a mezz'ora la porta dellacasa di Gentilina s'aprì. Un uomo avvolto in un mantellon'usciva, dopo d'aver scambiato qualche parola con al-cuno che l'aveva accompagnato fin là. Era l'avvocato.Gregorio riconoscendolo, sbucò dal suo nascondiglio, es'avventò contro il malarrivato. Questi si guardò intornoe volle gridare: ma Gregorio gli pose una mano alla boc-ca, e senza dargli tempo nè a difendersi nè a fuggire, logittò a terra, gli piantò nel cuore uno stiletto che trassedalla ferita, e in un lampo s'allontanò. Di lì a pochi mi-nuti tutta la famiglia di Gentilina, e la persona che avevapoco prima parlato a Gregorio s'erano raccolti intorno aLeopoldo che nuotava nel proprio sangue.

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minaccia Leopoldo pensò di rientrare nella sua stanzaper tempo ostentando d'aver qualche affare d'ufficio chelo pressasse. Gregorio non mancò di recarsi a notte fittadinanzi alla casa di Gentilina per vedere l'effetto deisuoi consigli, e cominciava a congratularsi nel suo inter-no del proprio trionfo. Non sapeva però render ragione ase stesso di una persona o due che lo seguivano[Pg 354] aqualche distanza nel buio. Una sera non potè resisterealla propria curiosità, e mosse loro incontro. Un uomoben conosciuto, ma al quale ei non aveva mai parlato,gli domandò che facesse costì. — Fo all'amore collaluna — rispose Gregorio — avete qualche cosa a dire incontrario? — Potrebbe darsi, — ripigliò l'incognito. —Uomo avvisato!... Ella m'intende! — e senza aspettarerisposta finse d'andarsene. — Gregorio però non si mos-se di là, persuaso che ciò non doveva essere avvenutosenza un perchè. Infatti da lì a mezz'ora la porta dellacasa di Gentilina s'aprì. Un uomo avvolto in un mantellon'usciva, dopo d'aver scambiato qualche parola con al-cuno che l'aveva accompagnato fin là. Era l'avvocato.Gregorio riconoscendolo, sbucò dal suo nascondiglio, es'avventò contro il malarrivato. Questi si guardò intornoe volle gridare: ma Gregorio gli pose una mano alla boc-ca, e senza dargli tempo nè a difendersi nè a fuggire, logittò a terra, gli piantò nel cuore uno stiletto che trassedalla ferita, e in un lampo s'allontanò. Di lì a pochi mi-nuti tutta la famiglia di Gentilina, e la persona che avevapoco prima parlato a Gregorio s'erano raccolti intorno aLeopoldo che nuotava nel proprio sangue.

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IV.

Gentilina per uno di quegli istinti di donna che nons'ingannano mai, aveva indovinato il tutto, e tocca daquesto presentimento come da un fulmine, era cadutafra le braccia d'uno dei circostanti. Si parlò di portare ilferito al suo domicilio, ma era lontano, e si poteva ra-gionevolmente temere che vi fosse pericolo sì nell'indu-gio che nel trasporto. Le farmacie erano tutte chiuse,chiuse tutte le botteghe e le case vicine, la notte[Pg 355]fosca e la città tutta in calma. Il padre di Gentilina ac-corso sul luogo, offerse la propria casa per prestargli iprimi soccorsi, e il corpo immobile dell'avvocato fu po-sto nella prima camera a cui metteva la scala. Era la ca-mera di Gentilina. Mentre alcuni accorrevano a risve-gliare un chirurgo, la coraggiosa giovane, riavuta dalsuo svenimento, scoprì la ferita aperta sul petto, es'ingegnò d'arrestarne il sangue co' pannilini. Di lì apoco Leopoldo aperse gli occhi gravi e smarriti, e parvericonoscere quelli che lo circondavano. Fissò la Gentili-na con un sentimento di gratitudine, ma tosto il suosguardo si rannuvolò e si volse tristamente altrove. Eglinon proferse una sola parola. Venne il medico, esaminòla ferita, crollò il capo in segno di tristo presagio, consi-gliò le fasciature e le cure che credette opportune, e ri-mise all'indomani il decidere sulla gravità del caso. Vilascio pensare qual notte passò la fanciulla riconoscendoin se stessa la causa di tale avvenimento e prevedendo legravi conseguenze che ne potevano sorgere. Persuasa,

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IV.

Gentilina per uno di quegli istinti di donna che nons'ingannano mai, aveva indovinato il tutto, e tocca daquesto presentimento come da un fulmine, era cadutafra le braccia d'uno dei circostanti. Si parlò di portare ilferito al suo domicilio, ma era lontano, e si poteva ra-gionevolmente temere che vi fosse pericolo sì nell'indu-gio che nel trasporto. Le farmacie erano tutte chiuse,chiuse tutte le botteghe e le case vicine, la notte[Pg 355]fosca e la città tutta in calma. Il padre di Gentilina ac-corso sul luogo, offerse la propria casa per prestargli iprimi soccorsi, e il corpo immobile dell'avvocato fu po-sto nella prima camera a cui metteva la scala. Era la ca-mera di Gentilina. Mentre alcuni accorrevano a risve-gliare un chirurgo, la coraggiosa giovane, riavuta dalsuo svenimento, scoprì la ferita aperta sul petto, es'ingegnò d'arrestarne il sangue co' pannilini. Di lì apoco Leopoldo aperse gli occhi gravi e smarriti, e parvericonoscere quelli che lo circondavano. Fissò la Gentili-na con un sentimento di gratitudine, ma tosto il suosguardo si rannuvolò e si volse tristamente altrove. Eglinon proferse una sola parola. Venne il medico, esaminòla ferita, crollò il capo in segno di tristo presagio, consi-gliò le fasciature e le cure che credette opportune, e ri-mise all'indomani il decidere sulla gravità del caso. Vilascio pensare qual notte passò la fanciulla riconoscendoin se stessa la causa di tale avvenimento e prevedendo legravi conseguenze che ne potevano sorgere. Persuasa,

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pregata a voler ritirarsi dal triste spettacolo, non vollemai abbandonare quel letto; spiava ogni sintomo favore-vole nel giacente, ma non osava interrogarlo: avrebbedata la metà del suo sangue perchè la ferita fosse leggie-ra e sanabile: ma chi potrebbe scendere nel suo cuore ediscernervi tutti i motivi di un tal desiderio e di un talespavento? Ella medesima non avrebbe potuto renderneconto a se stessa; del resto le cure ch'ella prodigava alferito, le avrebbe prestate ad uno straniero, ad un poveroper solo istinto di umanità. Ma in questo caso la solapietà naturale non l'animava; un mortal pallore ricoprivail suo volto, e un secreto rimorso pingevasi nei suoisguardi smarriti.

Intanto Gregorio, riposto lo stiletto con apparentetranquillità, con fermi e sonanti passi aveva continua-to[Pg 356] per la sua via. Ma a mano mano che s'avanzavaalla volta della sua abitazione, tutta la sua persona agita-vasi, il passo si accelerava, oltrepassò la sua casa senzaavvedersene, uscì dal circuito delle mura e si trovònell'aperta campagna quasi in aspetto di fuggitivo. Infat-ti egli poteva ben essere inseguìto: ma non pensava acodesto, e pure fuggiva senza riflettere a quanto aveafatto, fuggiva dal rimorso che assale subito l'omicida. Lecagioni che l'aveano indotto a bagnarsi le mani nel san-gue del suo rivale erano così frivole, che il fatto stessoparevagli un sogno. Vi fu un momento che si volse in-dietro quasi per accertarsene, quasi per revocare collavolontà il corso dell'avvenuto. Ma quando fu per rientra-

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pregata a voler ritirarsi dal triste spettacolo, non vollemai abbandonare quel letto; spiava ogni sintomo favore-vole nel giacente, ma non osava interrogarlo: avrebbedata la metà del suo sangue perchè la ferita fosse leggie-ra e sanabile: ma chi potrebbe scendere nel suo cuore ediscernervi tutti i motivi di un tal desiderio e di un talespavento? Ella medesima non avrebbe potuto renderneconto a se stessa; del resto le cure ch'ella prodigava alferito, le avrebbe prestate ad uno straniero, ad un poveroper solo istinto di umanità. Ma in questo caso la solapietà naturale non l'animava; un mortal pallore ricoprivail suo volto, e un secreto rimorso pingevasi nei suoisguardi smarriti.

Intanto Gregorio, riposto lo stiletto con apparentetranquillità, con fermi e sonanti passi aveva continua-to[Pg 356] per la sua via. Ma a mano mano che s'avanzavaalla volta della sua abitazione, tutta la sua persona agita-vasi, il passo si accelerava, oltrepassò la sua casa senzaavvedersene, uscì dal circuito delle mura e si trovònell'aperta campagna quasi in aspetto di fuggitivo. Infat-ti egli poteva ben essere inseguìto: ma non pensava acodesto, e pure fuggiva senza riflettere a quanto aveafatto, fuggiva dal rimorso che assale subito l'omicida. Lecagioni che l'aveano indotto a bagnarsi le mani nel san-gue del suo rivale erano così frivole, che il fatto stessoparevagli un sogno. Vi fu un momento che si volse in-dietro quasi per accertarsene, quasi per revocare collavolontà il corso dell'avvenuto. Ma quando fu per rientra-

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Page 458: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

re nella città e nasceva già l'alba e le case cominciavanoad aprirsi qua e là, la coscienza del suo delitto lo assalìchiara e terribile: sentì il pericolo che gli soprastava,corse a casa, sellò un cavallo e via prima che si potesse-ro dare gli ordini per arrestarlo. Due giorni dopo Leo-poldo, sempre in pericolo di vita, avea svelato il nomedell'omicida, e Gregorio, arrestato in un suo podere,avea subìto un primo esame, niegando il fatto e inge-gnandosi di schermirsi coll'alibi: ma troppo certi indiziistavano contro di lui, perchè potesse sperare di uscirneper mancanza di prove.

V.

Mentre Leopoldo era in lotta colla morte, e l'altro col-la giustizia, Gentilina trovavasi affranta sotto il peso delproprio rimorso. Ella non era colpevole dell'avvenuto:perchè chi mai, anche conoscendo il carattere focoso diGregorio, chi mai poteva prevedere codesto eccesso?Pure quell'anima onesta e delicata non sapeva perdonarea se stessa d'aver suscitata spensieratamente[Pg 357] quel-la fatal gelosia. Nel paese la povera giovane per poconon si trovò sotto il peso della pubblica esecrazione. Chinon conosce la carità delle brigate in simili circostanze?Il mondo è lì sempre per compiangere i morti, per assol-vere gli accusati, per calunniare i meno colpevoli. Lestesse cure affettuose ch'ella prestava al malato, le sueistanze perchè non venisse tolto dalla sua casa le furonoattribuite a colpa. — Ella è innamorata di lui — diceva-

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re nella città e nasceva già l'alba e le case cominciavanoad aprirsi qua e là, la coscienza del suo delitto lo assalìchiara e terribile: sentì il pericolo che gli soprastava,corse a casa, sellò un cavallo e via prima che si potesse-ro dare gli ordini per arrestarlo. Due giorni dopo Leo-poldo, sempre in pericolo di vita, avea svelato il nomedell'omicida, e Gregorio, arrestato in un suo podere,avea subìto un primo esame, niegando il fatto e inge-gnandosi di schermirsi coll'alibi: ma troppo certi indiziistavano contro di lui, perchè potesse sperare di uscirneper mancanza di prove.

V.

Mentre Leopoldo era in lotta colla morte, e l'altro col-la giustizia, Gentilina trovavasi affranta sotto il peso delproprio rimorso. Ella non era colpevole dell'avvenuto:perchè chi mai, anche conoscendo il carattere focoso diGregorio, chi mai poteva prevedere codesto eccesso?Pure quell'anima onesta e delicata non sapeva perdonarea se stessa d'aver suscitata spensieratamente[Pg 357] quel-la fatal gelosia. Nel paese la povera giovane per poconon si trovò sotto il peso della pubblica esecrazione. Chinon conosce la carità delle brigate in simili circostanze?Il mondo è lì sempre per compiangere i morti, per assol-vere gli accusati, per calunniare i meno colpevoli. Lestesse cure affettuose ch'ella prestava al malato, le sueistanze perchè non venisse tolto dalla sua casa le furonoattribuite a colpa. — Ella è innamorata di lui — diceva-

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no alcuni — le preme di risanarsi un marito e vincolar-selo colle sue premure. — Ella è presa di Gregorio —dicevano gli altri — e vorrebbe salvo il ferito, per la sal-vezza dell'uccisore. — Così la sua stessa pietà venivatacciata d'interesse, di doppiezza, d'ipocrisia. Questemaligne supposizioni non tardarono a giungere a lei: ilpadre medesimo gliene parlò per indurla a lasciar tra-sportare altrove il ferito, or che si poteva farlo senza au-mentare il pericolo: ma la generosa giovane non si la-sciò smuovere dal suo proposito. — È forse la primavolta — disse ella — che sono segno delle altrui maldi-cenze? Mi ci sono assuefatta: non è più tempo di evitar-le, bisogna vincerle, bisogna affrontarle. Questo sventu-rato deve risanare per le mie cure, o morire fra le miabraccia. —

Leopoldo dal canto suo non avea potuto resistere atante attenzioni più che materne che Gentilina gli anda-va usando di giorno e di notte. Quell'amore che primanon era forse che vanità, si andava cambiando nell'ani-mo suo in un affetto vero e profondo. Benchè non aves-se fondate speranze di risanare, chè quelli dell'arte nonosavano dargliene, vi furono momenti che l'abbandonarela vita gli sembrava più doloroso per doversi staccare dalei, per non poter condurre tutti i suoi giorni in sua com-pagnia. Gentilina sentì queste proteste arrossendo e fa-cendosi pallida tutt'ad un tratto: ella non l'amava, ella neamava un altro, ella amava l'uccisore medesimo.[Pg 358]Benchè colpevole, benchè delinquente, accusato, forse

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no alcuni — le preme di risanarsi un marito e vincolar-selo colle sue premure. — Ella è presa di Gregorio —dicevano gli altri — e vorrebbe salvo il ferito, per la sal-vezza dell'uccisore. — Così la sua stessa pietà venivatacciata d'interesse, di doppiezza, d'ipocrisia. Questemaligne supposizioni non tardarono a giungere a lei: ilpadre medesimo gliene parlò per indurla a lasciar tra-sportare altrove il ferito, or che si poteva farlo senza au-mentare il pericolo: ma la generosa giovane non si la-sciò smuovere dal suo proposito. — È forse la primavolta — disse ella — che sono segno delle altrui maldi-cenze? Mi ci sono assuefatta: non è più tempo di evitar-le, bisogna vincerle, bisogna affrontarle. Questo sventu-rato deve risanare per le mie cure, o morire fra le miabraccia. —

Leopoldo dal canto suo non avea potuto resistere atante attenzioni più che materne che Gentilina gli anda-va usando di giorno e di notte. Quell'amore che primanon era forse che vanità, si andava cambiando nell'ani-mo suo in un affetto vero e profondo. Benchè non aves-se fondate speranze di risanare, chè quelli dell'arte nonosavano dargliene, vi furono momenti che l'abbandonarela vita gli sembrava più doloroso per doversi staccare dalei, per non poter condurre tutti i suoi giorni in sua com-pagnia. Gentilina sentì queste proteste arrossendo e fa-cendosi pallida tutt'ad un tratto: ella non l'amava, ella neamava un altro, ella amava l'uccisore medesimo.[Pg 358]Benchè colpevole, benchè delinquente, accusato, forse

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condannato al patibolo, essa lo amava! Tra l'uno cheavea perduto la vita per lei, e l'altro che le avea sagrifi-cato la propria innocenza, il suo cuore rimaneva attacca-to al secondo. Io non l'accuso e non la condanno: vogliorispettare, senza esaminarli, i secreti di quell'anima sin-golare. Dirò solo che non le sofferse l'animo di seguitarea mentire. Interrogata dal giovane di cui s'era fatta infer-miera se veramente l'amasse, ella dopo aver tentato sot-trarsi alla necessità di rispondere, presa alle strette, glidichiarò che ella non amava alcuno; che essendo stata lavittima di tante fatalità, sarebbe andata a chiudersi in unconvento per espiare nella solitudine tutta la colpach'ella potesse averne dinanzi a Dio. Dicendo queste pa-role ella forse illudevasi, forse mentiva a se stessa e adaltrui per rendere meno amara la negativa all'infermo.Questi intanto peggiorava di giorno in giorno visibil-mente: la ferita avea fatto sacco, e promossa una suppu-razione che assorbita nel sangue, spegneva lentamentela vita dell'infelice. Il suo stato non avea pur anco per-messo che fosse sottoposto a un processo verbale da cuidoveva dipendere la sorte dell'imputato. Tutte le volteche il nome di lui veniva proferito alla sua presenza,egli fissava Gentilina e la vedeva impallidire e tremare.Egli s'appose al vero: lesse nell'animo della giovane conpiù di chiarezza forse di lei medesima; vide ch'ella erapresa di Gregorio, e al momento in cui una tale scopertagli balenò nella mente, strinse i denti e li odiò tutti edue.

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condannato al patibolo, essa lo amava! Tra l'uno cheavea perduto la vita per lei, e l'altro che le avea sagrifi-cato la propria innocenza, il suo cuore rimaneva attacca-to al secondo. Io non l'accuso e non la condanno: vogliorispettare, senza esaminarli, i secreti di quell'anima sin-golare. Dirò solo che non le sofferse l'animo di seguitarea mentire. Interrogata dal giovane di cui s'era fatta infer-miera se veramente l'amasse, ella dopo aver tentato sot-trarsi alla necessità di rispondere, presa alle strette, glidichiarò che ella non amava alcuno; che essendo stata lavittima di tante fatalità, sarebbe andata a chiudersi in unconvento per espiare nella solitudine tutta la colpach'ella potesse averne dinanzi a Dio. Dicendo queste pa-role ella forse illudevasi, forse mentiva a se stessa e adaltrui per rendere meno amara la negativa all'infermo.Questi intanto peggiorava di giorno in giorno visibil-mente: la ferita avea fatto sacco, e promossa una suppu-razione che assorbita nel sangue, spegneva lentamentela vita dell'infelice. Il suo stato non avea pur anco per-messo che fosse sottoposto a un processo verbale da cuidoveva dipendere la sorte dell'imputato. Tutte le volteche il nome di lui veniva proferito alla sua presenza,egli fissava Gentilina e la vedeva impallidire e tremare.Egli s'appose al vero: lesse nell'animo della giovane conpiù di chiarezza forse di lei medesima; vide ch'ella erapresa di Gregorio, e al momento in cui una tale scopertagli balenò nella mente, strinse i denti e li odiò tutti edue.

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Li odiò: ma per poco. Il naturale del giovane non eramalvagio. Egli alfine sapeva di aver provocato quel col-po a cui soccombeva. D'altronde poteva egli odiarequella donna che da due mesi lo curava, lo vegliava, an-dava sensibilmente deperendo sotto il peso di quelle[Pg359] cure e di quelle circostanze che funestavano l'animasua anche nel pietoso esercizio? — Gentilina — eglidisse — non seguitate ad infingervi: voi amate Grego-rio, ed io.... io son sul punto di trarlo meco nell'eternitàper un cammino forse più doloroso del mio! Se l'avessipreveduto, il suo nome non sarebbe uscito dalle mie lab-bra, ed ora sarebbe già lasciato in libertà per insufficien-za di prove. Gentilina io ve lo perdono: anzi mi è dop-piamente duro il morire, perchè la mia morte porrà ingrave pericolo la sua testa. Pensai com'io potessi dimi-nuire questo pericolo, e voglio consecrare a quest'operadi pietà, e forse di giustizia le poche forze che mi riman-gono. Badate che non entri nessuno: prendete un foglio,scrivete ciò ch'io vi detto. — Gentilina, confusa e tre-mante, senza sapere che cosa avrebbe scritto nè qualiconseguenze ne potrebbero derivare, sentì dettarsi que-ste parole:

— «Dichiaro di aver io medesimo provocato il miouccisore: dichiaro di averlo insultato più volte, di averloingannato infiammando in mille guise la sua gelosia.Dichiaro di averlo percosso, e che solo in difesa dellapropria vita mi portò il colpo mortale al quale soccom-bo. Sul punto di presentarmi a quel Giudice che vede

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Li odiò: ma per poco. Il naturale del giovane non eramalvagio. Egli alfine sapeva di aver provocato quel col-po a cui soccombeva. D'altronde poteva egli odiarequella donna che da due mesi lo curava, lo vegliava, an-dava sensibilmente deperendo sotto il peso di quelle[Pg359] cure e di quelle circostanze che funestavano l'animasua anche nel pietoso esercizio? — Gentilina — eglidisse — non seguitate ad infingervi: voi amate Grego-rio, ed io.... io son sul punto di trarlo meco nell'eternitàper un cammino forse più doloroso del mio! Se l'avessipreveduto, il suo nome non sarebbe uscito dalle mie lab-bra, ed ora sarebbe già lasciato in libertà per insufficien-za di prove. Gentilina io ve lo perdono: anzi mi è dop-piamente duro il morire, perchè la mia morte porrà ingrave pericolo la sua testa. Pensai com'io potessi dimi-nuire questo pericolo, e voglio consecrare a quest'operadi pietà, e forse di giustizia le poche forze che mi riman-gono. Badate che non entri nessuno: prendete un foglio,scrivete ciò ch'io vi detto. — Gentilina, confusa e tre-mante, senza sapere che cosa avrebbe scritto nè qualiconseguenze ne potrebbero derivare, sentì dettarsi que-ste parole:

— «Dichiaro di aver io medesimo provocato il miouccisore: dichiaro di averlo insultato più volte, di averloingannato infiammando in mille guise la sua gelosia.Dichiaro di averlo percosso, e che solo in difesa dellapropria vita mi portò il colpo mortale al quale soccom-bo. Sul punto di presentarmi a quel Giudice che vede

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Page 462: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

tutto, rilascio spontaneamente questa protesta, la quale iltribunale prenderà in considerazione, per non prendercontro l'accusato misure troppo severe e contrarie allenorme della giustizia.» Ora, o Gentilina, datemi quel fo-glio ch'io mi sforzerò di apporvi il mio nome. — Genti-lina piangendo e singhiozzando presentogli il foglio e lapenna, e cadde in ginocchio alla sponda del letto, sfo-gando con larghe lagrime la piena dei mille affetti che legonfiavano il cuore. Leopoldo era sublime in quel mo-mento. Segnò con mano tremante il suo nome sottoquelle parole, e porgendo a Gentilina la carta: — pren-dete — disse — ringrazio Iddio che mi è concesso anco-ra poter rimeritare[Pg 360] le vostre cure, e riparare in par-te al male che ho fatto.

Dopo due ore egli non era più.

VI.

Lasciamo il letto dove giace il corpo esanimedell'avvocato per visitare entro la sua carcere l'uccisoredi lui. Egli avea lungamente negato, perchè gli amici e iparenti lo consigliavano a questo. Ma il giudice un gior-no, dopo aver indarno esauriti tutti i soliti artifizi peristrappare la sua confessione, s'era avvisato di tentareuna corda non ancor tocca. — Il giovane — disse — cherimase ferito sulla porta della famiglia M. v'accusò di-stintamente d'avergli dato la morte. Non potendo mover-si dal suo letto, che non potrà certamente cambiare se

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tutto, rilascio spontaneamente questa protesta, la quale iltribunale prenderà in considerazione, per non prendercontro l'accusato misure troppo severe e contrarie allenorme della giustizia.» Ora, o Gentilina, datemi quel fo-glio ch'io mi sforzerò di apporvi il mio nome. — Genti-lina piangendo e singhiozzando presentogli il foglio e lapenna, e cadde in ginocchio alla sponda del letto, sfo-gando con larghe lagrime la piena dei mille affetti che legonfiavano il cuore. Leopoldo era sublime in quel mo-mento. Segnò con mano tremante il suo nome sottoquelle parole, e porgendo a Gentilina la carta: — pren-dete — disse — ringrazio Iddio che mi è concesso anco-ra poter rimeritare[Pg 360] le vostre cure, e riparare in par-te al male che ho fatto.

Dopo due ore egli non era più.

VI.

Lasciamo il letto dove giace il corpo esanimedell'avvocato per visitare entro la sua carcere l'uccisoredi lui. Egli avea lungamente negato, perchè gli amici e iparenti lo consigliavano a questo. Ma il giudice un gior-no, dopo aver indarno esauriti tutti i soliti artifizi peristrappare la sua confessione, s'era avvisato di tentareuna corda non ancor tocca. — Il giovane — disse — cherimase ferito sulla porta della famiglia M. v'accusò di-stintamente d'avergli dato la morte. Non potendo mover-si dal suo letto, che non potrà certamente cambiare se

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Page 463: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

non col sepolcro, domandò che gli siate condotto dinan-zi. Domani vedremo con quanta impudenza saprete so-stenere la vostra negativa in presenza della vostra vitti-ma, in presenza di quella famiglia che, come ben sapete,non è straniera agli antecedenti che vi portarono aquell'eccesso! Andatevene: domattina alle nove tenetevipronto al cimento. — Gregorio impallidì. Egli non erapreparato a questa proposizione. L'idea sola di trovarsidinanzi al suo nemico nella camera di Gentilina, in pre-senza di lei, gli fu insopportabile. Domandò la parola econfessò a parte a parte l'accaduto, senza pensare a scu-sarsi, senza aggiungere nessuna di quelle circostanzeche dovevano attenuare la sua colpa e mitigare la suacondanna.

Gregorio sarebbe morto piuttosto che rivedere Genti-lina, non aveano mancato i caritatevoli amici d'infor-marlo delle sue cure per Leopoldo, delle sue istanze perritenerlo presso di sè, delle buone ragioni che il mondole[Pg 361] attribuiva. Nella persuasione in cui si trovavad'essergli stato posposto, non durò fatica a credere tuttoquesto e ancor più. Provò per qualche momento una fe-roce compiacenza di aver ferito due cuori con un solcolpo, d'essersi vendicato in un solo momento di tutti edue! Egli non pensava alla condanna che l'attendeva:non pensava che alla sua gelosia e al truce sentimentoche assorbiva per così dire tutto il suo essere. Un giornogli furono introdotte nell'angusta e lurida stanza dove sitrovava, due persone non aspettate: un vecchio e una

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non col sepolcro, domandò che gli siate condotto dinan-zi. Domani vedremo con quanta impudenza saprete so-stenere la vostra negativa in presenza della vostra vitti-ma, in presenza di quella famiglia che, come ben sapete,non è straniera agli antecedenti che vi portarono aquell'eccesso! Andatevene: domattina alle nove tenetevipronto al cimento. — Gregorio impallidì. Egli non erapreparato a questa proposizione. L'idea sola di trovarsidinanzi al suo nemico nella camera di Gentilina, in pre-senza di lei, gli fu insopportabile. Domandò la parola econfessò a parte a parte l'accaduto, senza pensare a scu-sarsi, senza aggiungere nessuna di quelle circostanzeche dovevano attenuare la sua colpa e mitigare la suacondanna.

Gregorio sarebbe morto piuttosto che rivedere Genti-lina, non aveano mancato i caritatevoli amici d'infor-marlo delle sue cure per Leopoldo, delle sue istanze perritenerlo presso di sè, delle buone ragioni che il mondole[Pg 361] attribuiva. Nella persuasione in cui si trovavad'essergli stato posposto, non durò fatica a credere tuttoquesto e ancor più. Provò per qualche momento una fe-roce compiacenza di aver ferito due cuori con un solcolpo, d'essersi vendicato in un solo momento di tutti edue! Egli non pensava alla condanna che l'attendeva:non pensava che alla sua gelosia e al truce sentimentoche assorbiva per così dire tutto il suo essere. Un giornogli furono introdotte nell'angusta e lurida stanza dove sitrovava, due persone non aspettate: un vecchio e una

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giovane donna coperta da un fitto velo. Il carceriere, ap-pena accompagnati costoro, si ritrasse. Gregorio chesonnacchiava tra' sanguinosi fantasmi di vendetta, diedeuna specie di ruggito vedendo innanzi a sè il padre diGentilina, e una donna che non durò fatica a riconosce-re. La sorpresa da una parte e la compassione dall'altratolse a tutti e tre l'uso della parola per pochi momenti.Gregorio fu il primo a rompere il silenzio dirigendosialla donna, ma senza guardarla. — Vi siete ricordata dime! Segno che l'altro non è più vivo! — Gentilina sisentì gli occhi pieni di lagrime a questa crudele interpel-lanza, ma pure le divorò, e rispose con calma e con di-gnità. — Sì, Gregorio, il vostro rivale è passato a vitamigliore: è morto perdonandovi, e mi comandò di an-nunziarvi colla mia bocca gli ultimi suoi sentimenti. —Ha scelto davvero un'interprete molto opportuna! Quan-do sarà proferita la mia sentenza (ora già non c'è più viadi evitarla), il tribunale farà bene a farmela annunciareper mezzo vostro. — Gentilina abbassò gli occhi e feceuno sforzo per vincersi, poi traendosi dal seno un fogliopiegato: — eccovi — disse — eccovi infatti la sentenzach'io vi presento. Leggete. — Gregorio lesse la generosadichiarazione del suo rivale, e stette per alcun tempo im-mobile ed avvilito. Il vecchio, che aveva taciuto fino[Pg362] allora, gli fece avvertire l'importanza di quel docu-mento; narrò quante difficoltà la Gentilina doveva aversuperate prima di possederlo, prima di farglielo perveni-re. — No, no — interruppe la Gentilina — nessuna dif-ficoltà ad ottenerlo: non me n'era nemmeno venuto il

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giovane donna coperta da un fitto velo. Il carceriere, ap-pena accompagnati costoro, si ritrasse. Gregorio chesonnacchiava tra' sanguinosi fantasmi di vendetta, diedeuna specie di ruggito vedendo innanzi a sè il padre diGentilina, e una donna che non durò fatica a riconosce-re. La sorpresa da una parte e la compassione dall'altratolse a tutti e tre l'uso della parola per pochi momenti.Gregorio fu il primo a rompere il silenzio dirigendosialla donna, ma senza guardarla. — Vi siete ricordata dime! Segno che l'altro non è più vivo! — Gentilina sisentì gli occhi pieni di lagrime a questa crudele interpel-lanza, ma pure le divorò, e rispose con calma e con di-gnità. — Sì, Gregorio, il vostro rivale è passato a vitamigliore: è morto perdonandovi, e mi comandò di an-nunziarvi colla mia bocca gli ultimi suoi sentimenti. —Ha scelto davvero un'interprete molto opportuna! Quan-do sarà proferita la mia sentenza (ora già non c'è più viadi evitarla), il tribunale farà bene a farmela annunciareper mezzo vostro. — Gentilina abbassò gli occhi e feceuno sforzo per vincersi, poi traendosi dal seno un fogliopiegato: — eccovi — disse — eccovi infatti la sentenzach'io vi presento. Leggete. — Gregorio lesse la generosadichiarazione del suo rivale, e stette per alcun tempo im-mobile ed avvilito. Il vecchio, che aveva taciuto fino[Pg362] allora, gli fece avvertire l'importanza di quel docu-mento; narrò quante difficoltà la Gentilina doveva aversuperate prima di possederlo, prima di farglielo perveni-re. — No, no — interruppe la Gentilina — nessuna dif-ficoltà ad ottenerlo: non me n'era nemmeno venuto il

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pensiero. Fu un'ispirazione spontanea di quel cuore cheera assai migliore che.... non si credeva.

Gregorio riarse di sdegno al sentire le lodi del suo ri-vale sulla bocca di lei, e non potè trattenersi dal dire: —Voi avrete le vostre ragioni per lodarvi di lui! Quanto ame.... piuttosto di dovere la mia vita e la mia liberazionealla sua generosità, al suo perdono.... voglio abbando-narmi al corso naturale della giustizia. Riprendete il vo-stro foglio, e lasciatemi! —

Gentilina non s'aspettava una risposta così brutale:sentì che Gregorio non era capace di un sentimento ge-neroso perchè non sapeva apprezzarlo in altrui: sentì chequell'uomo non l'amava, nè l'amerebbe mai: arrossì di sestessa e di lui, riprese il foglio, e passando dignitosa-mente il suo braccio sotto a quello del padre suo, calòcoll'altro il suo velo, ed uscì.

Il suo cuore fu cambiato fin da quel momento. L'ideadi legar la sua fede ad un uomo tale le parve assurda, eavendo perduta l'ultima illusione della sua vita, l'unicopremio che sperava ai suoi sacrificii, si sentì vedova edesolata nel mondo. Il padre suo non mancò di accresce-re lo stato d'abbattimento in cui si trovava, dicendolech'egli l'aveva già preveduto, ch'ella avrebbe dovuto ar-rendersi anche prima alla sua esperienza, ch'era tempodi levarsi dal pensiero e il morto ed il vivo, il quale giàmeritava la sorte che l'attendeva.

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pensiero. Fu un'ispirazione spontanea di quel cuore cheera assai migliore che.... non si credeva.

Gregorio riarse di sdegno al sentire le lodi del suo ri-vale sulla bocca di lei, e non potè trattenersi dal dire: —Voi avrete le vostre ragioni per lodarvi di lui! Quanto ame.... piuttosto di dovere la mia vita e la mia liberazionealla sua generosità, al suo perdono.... voglio abbando-narmi al corso naturale della giustizia. Riprendete il vo-stro foglio, e lasciatemi! —

Gentilina non s'aspettava una risposta così brutale:sentì che Gregorio non era capace di un sentimento ge-neroso perchè non sapeva apprezzarlo in altrui: sentì chequell'uomo non l'amava, nè l'amerebbe mai: arrossì di sestessa e di lui, riprese il foglio, e passando dignitosa-mente il suo braccio sotto a quello del padre suo, calòcoll'altro il suo velo, ed uscì.

Il suo cuore fu cambiato fin da quel momento. L'ideadi legar la sua fede ad un uomo tale le parve assurda, eavendo perduta l'ultima illusione della sua vita, l'unicopremio che sperava ai suoi sacrificii, si sentì vedova edesolata nel mondo. Il padre suo non mancò di accresce-re lo stato d'abbattimento in cui si trovava, dicendolech'egli l'aveva già preveduto, ch'ella avrebbe dovuto ar-rendersi anche prima alla sua esperienza, ch'era tempodi levarsi dal pensiero e il morto ed il vivo, il quale giàmeritava la sorte che l'attendeva.

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Gentilina però non era donna da questo. Qualunquefossero i suoi sentimenti verso Gregorio, ella non potevaabbandonarlo alla inflessibilità della legge umana.Quel[Pg 363] documento doveva dunque rimanerseneozioso ed inutile? Era dunque invano che sul momentodi possederlo, ella si stimava di stringere tra le sue manila vita e la salute d'un uomo? Leopoldo conosceva lalegge: non gliel'avrebbe dato con tanta solennità, se do-veva essere una cosa infruttuosa e illusoria. Ella presedunque una coraggiosa risoluzione, e senza consigliarsicon alcuno, senza domandare l'assenso del padre, simise in viaggio per Verona dove appunto in quei giornidoveva decidersi la sorte dello sciagurato Gregorio.

Giunta in quella città, cercò tutti i mezzi per averl'accesso al consigliere che avea tra le mani la causa dilui, e gli presentò la dichiarazione del moribondo Leo-poldo. Non farò molte parole. Il documento fu letto dalcriminalista con un certo sorriso d'incredula intelligen-za: lo restituì alla bella supplicante, dicendole che il soc-corso era già troppo tardi: che la condanna era sancitadal Senato, e che d'altronde una simile soscrizione nonriconosciuta da nessuna autorità, non attestata dai neces-sari testimoni, era affatto inutile e inattendibile. — Dun-que egli morrà? — chiese la poveretta fissando due oc-chi spaventati sulla impassibile faccia dell'impiegato. —Fra venti giorni, mia signorina, a meno che Sua Maestànon gli commuti graziosamente la pena di morte in ventianni di carcere. — Gentilina non insistette più a lungo,

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Gentilina però non era donna da questo. Qualunquefossero i suoi sentimenti verso Gregorio, ella non potevaabbandonarlo alla inflessibilità della legge umana.Quel[Pg 363] documento doveva dunque rimanerseneozioso ed inutile? Era dunque invano che sul momentodi possederlo, ella si stimava di stringere tra le sue manila vita e la salute d'un uomo? Leopoldo conosceva lalegge: non gliel'avrebbe dato con tanta solennità, se do-veva essere una cosa infruttuosa e illusoria. Ella presedunque una coraggiosa risoluzione, e senza consigliarsicon alcuno, senza domandare l'assenso del padre, simise in viaggio per Verona dove appunto in quei giornidoveva decidersi la sorte dello sciagurato Gregorio.

Giunta in quella città, cercò tutti i mezzi per averl'accesso al consigliere che avea tra le mani la causa dilui, e gli presentò la dichiarazione del moribondo Leo-poldo. Non farò molte parole. Il documento fu letto dalcriminalista con un certo sorriso d'incredula intelligen-za: lo restituì alla bella supplicante, dicendole che il soc-corso era già troppo tardi: che la condanna era sancitadal Senato, e che d'altronde una simile soscrizione nonriconosciuta da nessuna autorità, non attestata dai neces-sari testimoni, era affatto inutile e inattendibile. — Dun-que egli morrà? — chiese la poveretta fissando due oc-chi spaventati sulla impassibile faccia dell'impiegato. —Fra venti giorni, mia signorina, a meno che Sua Maestànon gli commuti graziosamente la pena di morte in ventianni di carcere. — Gentilina non insistette più a lungo,

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si congedò senza più, e prese un posto nella diligenzache partiva fra due ore per Vienna.

Tutto questo si dice in due versi. Ma per comprenderetutta la difficoltà e l'importanza del passo, bisogna ripor-tarsi coll'immaginazione a quel tempo e a quei luoghi.

Il 1848 non era ancora venuto a spalancare un abissotra l'Austria e l'Italia. Ma con tutto ciò gl'Italiani, e spe-cialmente i Veneti, non ricorrevano volentieri[Pg 364] allaCorte di Vienna per averne privilegi o favori. Regnavaancora l'imperatore Ferdinando che le circostanze nonavevano esacerbato; e l'imperatrice, italiana di nascita,contribuiva più che altro a temperare quello stato diostilità permanente che sussisteva pur sempre tra i do-minatori stranieri e la Venezia.

Ora pensate di quanto coraggio avesse bisogno unagiovane vissuta casalinga fino allora, ignara della linguae degli usi della città e della Corte dove intendeva recar-si per ottenere la grazia d'un omicida, al cui delitto ellanon era stata affatto straniera. Tuttavia la coraggiosagiovane non esitò. Chiese una lettera per una vecchiadama che doveva presentarla all'imperatrice. — Ella èitaliana — pensava Gentilina — ella è donna, e benchèimperatrice avrà forse provato che cosa sia la sventura.Mi crederà innamorata di lui.... mi farà arrossire chie-dendomi conto della mia famiglia e come io mi mettessiin viaggio senza domandarne l'assenso.... Non importa!

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si congedò senza più, e prese un posto nella diligenzache partiva fra due ore per Vienna.

Tutto questo si dice in due versi. Ma per comprenderetutta la difficoltà e l'importanza del passo, bisogna ripor-tarsi coll'immaginazione a quel tempo e a quei luoghi.

Il 1848 non era ancora venuto a spalancare un abissotra l'Austria e l'Italia. Ma con tutto ciò gl'Italiani, e spe-cialmente i Veneti, non ricorrevano volentieri[Pg 364] allaCorte di Vienna per averne privilegi o favori. Regnavaancora l'imperatore Ferdinando che le circostanze nonavevano esacerbato; e l'imperatrice, italiana di nascita,contribuiva più che altro a temperare quello stato diostilità permanente che sussisteva pur sempre tra i do-minatori stranieri e la Venezia.

Ora pensate di quanto coraggio avesse bisogno unagiovane vissuta casalinga fino allora, ignara della linguae degli usi della città e della Corte dove intendeva recar-si per ottenere la grazia d'un omicida, al cui delitto ellanon era stata affatto straniera. Tuttavia la coraggiosagiovane non esitò. Chiese una lettera per una vecchiadama che doveva presentarla all'imperatrice. — Ella èitaliana — pensava Gentilina — ella è donna, e benchèimperatrice avrà forse provato che cosa sia la sventura.Mi crederà innamorata di lui.... mi farà arrossire chie-dendomi conto della mia famiglia e come io mi mettessiin viaggio senza domandarne l'assenso.... Non importa!

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Si tratta della vita d'un uomo: si tratta di riparare ad unfatto che non sarebbe accaduto se io fossi stata piùschietta o più previdente!

Ciò diceva mentre la diligenza la traeva con sè, tuttachiusa nel suo velo, e assorta ne' suoi pensieri. Abbre-vierò il racconto. Ella giunse a Vienna, fu presentataall'imperatrice, e riuscì ad ottenere la sua intercessionepresso il sovrano, che solo aveva il potere di salvarquella vita.

La grazia fu domandata e concessa.

Quel giorno medesimo un rescritto di S.M. partì perVerona, e commutò la pena di Gregorio in pochi anni dicarcere.

Noi dobbiamo passare di volo questo tempo che perGregorio e per Gentilina non dovette scorrere così pre-sto. Quando si seppe nella città la risoluzione della bra-va[Pg 365] giovane, i sentimenti del paese mutarono. Imaldicenti erano stati costretti al silenzio da un fatto ab-bastanza singolare per imporre alla società. La Gentilinacessò d'essere il soggetto delle maligne supposizioni de'tristi: ella era divenuta un personaggio da romanzo, unavera eroina, e quella lode che era stata negata alle sueprivate virtù, veniva spontaneamente profusa ad un'azio-ne così brillante e così coraggiosa. — Ella se l'è ben me-ritato! — dicevano. — E quello scapestrato di Gregorionon sarà degno di nessuna compassione e di nessuna sti-

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Si tratta della vita d'un uomo: si tratta di riparare ad unfatto che non sarebbe accaduto se io fossi stata piùschietta o più previdente!

Ciò diceva mentre la diligenza la traeva con sè, tuttachiusa nel suo velo, e assorta ne' suoi pensieri. Abbre-vierò il racconto. Ella giunse a Vienna, fu presentataall'imperatrice, e riuscì ad ottenere la sua intercessionepresso il sovrano, che solo aveva il potere di salvarquella vita.

La grazia fu domandata e concessa.

Quel giorno medesimo un rescritto di S.M. partì perVerona, e commutò la pena di Gregorio in pochi anni dicarcere.

Noi dobbiamo passare di volo questo tempo che perGregorio e per Gentilina non dovette scorrere così pre-sto. Quando si seppe nella città la risoluzione della bra-va[Pg 365] giovane, i sentimenti del paese mutarono. Imaldicenti erano stati costretti al silenzio da un fatto ab-bastanza singolare per imporre alla società. La Gentilinacessò d'essere il soggetto delle maligne supposizioni de'tristi: ella era divenuta un personaggio da romanzo, unavera eroina, e quella lode che era stata negata alle sueprivate virtù, veniva spontaneamente profusa ad un'azio-ne così brillante e così coraggiosa. — Ella se l'è ben me-ritato! — dicevano. — E quello scapestrato di Gregorionon sarà degno di nessuna compassione e di nessuna sti-

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ma, se farà un torto manco col pensiero a quella che gliha salvata la vita e l'onore. —

Quanto a Gregorio non si deve pensare che non sen-tisse la grandezza del benefizio. Egli sfidava la mortequando la credeva le mille miglia lontana: ma ricorreanche qui l'antico proverbio: altro è parlar di morte, al-tro è morire. Quando gli fu intimata la sentenza fatale,cadde in un abbattimento da non potersi descrivere. Al-lora per la prima volta gli corse al pensiero il documentodi cui aveva ricusato servirsi, allora si pentì d'aver tratta-ta così duramente la povera giovane che gli aveva pre-sentato quell'àncora di salvezza. Ora immaginate checosa dovette pensare, quando gli fu annunziata l'inaspet-tata grazia, quando seppe da chi e in qual modo ei l'aveaottenuta! Domandò di vedere la sua salvatrice, volevacaderle ai piedi e pregarla ad accettare in dono tuttaquell'esistenza che a lei sola doveva oggimai, dopo Dio.Ma Gentilina non avea voluto mai presentarsi al suocarcere. Ella dissimulava i suoi sentimenti, e nessun oc-chio poteva leggerle in volto ciò che nascondevanell'interno dell'animo.

Passarono intanto i due anni della condanna, e Grego-rio scarno e molto cangiato da quel di prima, ma piùbello forse per quell'aria mansueta che aveva assunto,[Pg366] e che faceva un singolare contrasto col suo piglio ri-soluto ed altiero, Gregorio diresse, come si può credere,i suoi primi passi alla casa di Gentilina. Ella lo accolse

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ma, se farà un torto manco col pensiero a quella che gliha salvata la vita e l'onore. —

Quanto a Gregorio non si deve pensare che non sen-tisse la grandezza del benefizio. Egli sfidava la mortequando la credeva le mille miglia lontana: ma ricorreanche qui l'antico proverbio: altro è parlar di morte, al-tro è morire. Quando gli fu intimata la sentenza fatale,cadde in un abbattimento da non potersi descrivere. Al-lora per la prima volta gli corse al pensiero il documentodi cui aveva ricusato servirsi, allora si pentì d'aver tratta-ta così duramente la povera giovane che gli aveva pre-sentato quell'àncora di salvezza. Ora immaginate checosa dovette pensare, quando gli fu annunziata l'inaspet-tata grazia, quando seppe da chi e in qual modo ei l'aveaottenuta! Domandò di vedere la sua salvatrice, volevacaderle ai piedi e pregarla ad accettare in dono tuttaquell'esistenza che a lei sola doveva oggimai, dopo Dio.Ma Gentilina non avea voluto mai presentarsi al suocarcere. Ella dissimulava i suoi sentimenti, e nessun oc-chio poteva leggerle in volto ciò che nascondevanell'interno dell'animo.

Passarono intanto i due anni della condanna, e Grego-rio scarno e molto cangiato da quel di prima, ma piùbello forse per quell'aria mansueta che aveva assunto,[Pg366] e che faceva un singolare contrasto col suo piglio ri-soluto ed altiero, Gregorio diresse, come si può credere,i suoi primi passi alla casa di Gentilina. Ella lo accolse

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con calma, e si sottrasse ai vivi ringraziamenti di cui lacolmava. — Io non sono degno di voi, — disse Grego-rio prostrandosi quasi a' suoi piedi — io v'ho offesa,v'ho calunniata, v'ho respinta quando veniste a salvarmi.Ma voi non mi avete solamente liberato, voi m'avetecambiato il cuore, voi m'avete reso meno immeritevoledella vostra mano. L'offrirvi la mia non è già un com-penso a quanto avete fatto per me, è un bisogno perl'anima mia, è una grazia novella che imploro da voi. —Gentilina arrossì un poco ed esitò a rispondergli. —Gregorio — gli disse finalmente — la risposta che sareiper darvi tornerebbe forse inopportuna in questo mo-mento. Godiamo insieme senza alcuna mistura di assen-zio, la dolcezza di questi momenti. Nessuno certamenteè più contento di me di aver cooperato alla vostra libera-zione. Ringraziatene Iddio, e andate a consolare la vo-stra famiglia. Domani saprete la mia risoluzione sul ma-trimonio che mi proponete. —

L'indomani Gregorio ricevette una lettera così conce-pita:

«Caro Gregorio,

»Da lungo tempo noi dovevamo esser persuasi di nonesser fatti l'uno per l'altro. Le cose che successero dipoipossono aver cangiati i nostri sentimenti, ma non quantobasta per essere in quella perfetta armonia che sola puòrendere desiderabile lo stato matrimoniale. Se voi

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con calma, e si sottrasse ai vivi ringraziamenti di cui lacolmava. — Io non sono degno di voi, — disse Grego-rio prostrandosi quasi a' suoi piedi — io v'ho offesa,v'ho calunniata, v'ho respinta quando veniste a salvarmi.Ma voi non mi avete solamente liberato, voi m'avetecambiato il cuore, voi m'avete reso meno immeritevoledella vostra mano. L'offrirvi la mia non è già un com-penso a quanto avete fatto per me, è un bisogno perl'anima mia, è una grazia novella che imploro da voi. —Gentilina arrossì un poco ed esitò a rispondergli. —Gregorio — gli disse finalmente — la risposta che sareiper darvi tornerebbe forse inopportuna in questo mo-mento. Godiamo insieme senza alcuna mistura di assen-zio, la dolcezza di questi momenti. Nessuno certamenteè più contento di me di aver cooperato alla vostra libera-zione. Ringraziatene Iddio, e andate a consolare la vo-stra famiglia. Domani saprete la mia risoluzione sul ma-trimonio che mi proponete. —

L'indomani Gregorio ricevette una lettera così conce-pita:

«Caro Gregorio,

»Da lungo tempo noi dovevamo esser persuasi di nonesser fatti l'uno per l'altro. Le cose che successero dipoipossono aver cangiati i nostri sentimenti, ma non quantobasta per essere in quella perfetta armonia che sola puòrendere desiderabile lo stato matrimoniale. Se voi

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m'aveste amata, se m'aveste accordata la vostra stima,non avreste sacrificato un uomo innocente alla vostragelosia, e non vi sareste esposto alle tristi conseguen-ze[Pg 367] di un omicidio. Ringraziamo Iddio che non fu-rono così funeste quanto potevano. Quello che ho fatto,io lo doveva per debito. Non pretendo dissimulare i mieitorti. Ebbi torto certamente a lasciarvi travedere unamore ch'io poteva forse sentire per voi in altro tempo,ed ora non più! D'altronde io sono già troppo vecchia:voi troverete una sposa che saprà intendervi e farvi feli-ce. Io fui sventurata nell'unico affetto che poteva conso-lar la mia vita: voi lo sapete. Il mondo parlò già troppodi me, e potrà parlare ancora. Ma qualunque sia il giudi-cio che faranno in breve di me, son certa che avrò in voiun difensore. Addio, Gregorio: non andate in colleracolla vostra amica e sorella.

GENTILINA.»

Non so se la chiusa di questo racconto piacerà ai mieilettori; ma io narro una storia vera, e non mi è lecito in-ventare una più piacevole conclusione.

Gentilina fu irremovibile nel suo proposito.

[Pg 368]

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m'aveste amata, se m'aveste accordata la vostra stima,non avreste sacrificato un uomo innocente alla vostragelosia, e non vi sareste esposto alle tristi conseguen-ze[Pg 367] di un omicidio. Ringraziamo Iddio che non fu-rono così funeste quanto potevano. Quello che ho fatto,io lo doveva per debito. Non pretendo dissimulare i mieitorti. Ebbi torto certamente a lasciarvi travedere unamore ch'io poteva forse sentire per voi in altro tempo,ed ora non più! D'altronde io sono già troppo vecchia:voi troverete una sposa che saprà intendervi e farvi feli-ce. Io fui sventurata nell'unico affetto che poteva conso-lar la mia vita: voi lo sapete. Il mondo parlò già troppodi me, e potrà parlare ancora. Ma qualunque sia il giudi-cio che faranno in breve di me, son certa che avrò in voiun difensore. Addio, Gregorio: non andate in colleracolla vostra amica e sorella.

GENTILINA.»

Non so se la chiusa di questo racconto piacerà ai mieilettori; ma io narro una storia vera, e non mi è lecito in-ventare una più piacevole conclusione.

Gentilina fu irremovibile nel suo proposito.

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FANNY.

OGNI MALE NON VIEN PERNUOCERE.

Or son vent'anni, viveva in una città d'Italia una bellaragazza chiamata Francesca, o piuttosto com'ella voleva,Fanny. Il nome di Francesca le pareva così prosaico,così lungo, così insignificante! Ebbe vaghezza di mutar-gli terminazione e si fe' chiamare Fanny. Nulla è impos-sibile ad una bella fanciulla, nè pure cambiarsi il nome.Ella era modista, e aveva sperimentato quanto cresce diprezzo una stoffa nostrale quando si fa passar per fran-cese od inglese. Volle vedere se lo stesso accadesse d'unnome: si chiamò Fanny, e le parve d'essere nobilitata, edi valer per lo meno il doppio di prima.

Bisogna aggiugnere ch'ella era bella davvero: unamingherlina bionda di quindici anni con due begli occhicolor del lapislazzuli, con una carnagione di latte segna-ta di delicatissime vene azzurre: una di quelle figure chepassano per le vie e fanno girare le teste di tutti quelliche incontrano. Aveva un difetto, chè troppo sapead'esser bella: ma quante sono le donne che non preten-dano a questo titolo a dritto o a torto?

Mi domanderete se fosse anche amabile. — Sarei[Pg369] molto imbarazzato a rispondervi. La bellezza ha unacerta amabilità per se stessa: ma per lo più, quando

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FANNY.

OGNI MALE NON VIEN PERNUOCERE.

Or son vent'anni, viveva in una città d'Italia una bellaragazza chiamata Francesca, o piuttosto com'ella voleva,Fanny. Il nome di Francesca le pareva così prosaico,così lungo, così insignificante! Ebbe vaghezza di mutar-gli terminazione e si fe' chiamare Fanny. Nulla è impos-sibile ad una bella fanciulla, nè pure cambiarsi il nome.Ella era modista, e aveva sperimentato quanto cresce diprezzo una stoffa nostrale quando si fa passar per fran-cese od inglese. Volle vedere se lo stesso accadesse d'unnome: si chiamò Fanny, e le parve d'essere nobilitata, edi valer per lo meno il doppio di prima.

Bisogna aggiugnere ch'ella era bella davvero: unamingherlina bionda di quindici anni con due begli occhicolor del lapislazzuli, con una carnagione di latte segna-ta di delicatissime vene azzurre: una di quelle figure chepassano per le vie e fanno girare le teste di tutti quelliche incontrano. Aveva un difetto, chè troppo sapead'esser bella: ma quante sono le donne che non preten-dano a questo titolo a dritto o a torto?

Mi domanderete se fosse anche amabile. — Sarei[Pg369] molto imbarazzato a rispondervi. La bellezza ha unacerta amabilità per se stessa: ma per lo più, quando

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s'accoppia alla vanità non conserva più quel carattere.La nostra Fanny era da questo lato un po' vanesia e im-pertinente. Squadrava d'alto in basso le sue compagne,le compiangeva de' loro difetti, ma con quella superbacompassione che non mitiga nessuna ferita. Non c'eramacchia nel sole ch'ella non discernesse e non criticas-se; e dove non c'era macchia reale, la sospettava. Ellacalunniava il sole: non assolveva che se medesima repu-tandosi un modello di virtù, di bellezza, di cortesia. Diche le sue compagne l'odiavano tanto più cordialmente,quanto erano costrette a convenire de' suoi pregi esterio-ri. Cogli uomini poi, vi lascio pensarlo! Ora civetta, oravillana. Riuniva e alternava queste due qualità con unaoriginalità tutta sua. Pareva ch'ella avesse proposto a sestessa di guarir coll'una l'eccesso dell'altra. Voleva inna-morare gli uomini tutti, e darsi finalmente a quell'unoche si fosse mostrato degno di lei. Figuratevi qual uomodoveva esser colui! Per lo meno un re di corona. L'ima-ginazione d'una ragazza di quel carattere non ha limiti,rompe tutte le barriere, conquista il suo amante in senoalla gloria, lo strappa dalle braccia della regina di Gol-conda!

Il ritratto ch'io vi fo di Francesca, cioè di Fanny, nonè lusinghiero: ma io carico forse un po' troppo le tinteper un'antica antipatia che conservo per questo brutto di-fetto della civetteria. Del resto Fanny non era nè senzacuore nè senza ingegno. Con una buona educazione sa-rebbe divenuta un angelo: abbandonata a se stessa e alla

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s'accoppia alla vanità non conserva più quel carattere.La nostra Fanny era da questo lato un po' vanesia e im-pertinente. Squadrava d'alto in basso le sue compagne,le compiangeva de' loro difetti, ma con quella superbacompassione che non mitiga nessuna ferita. Non c'eramacchia nel sole ch'ella non discernesse e non criticas-se; e dove non c'era macchia reale, la sospettava. Ellacalunniava il sole: non assolveva che se medesima repu-tandosi un modello di virtù, di bellezza, di cortesia. Diche le sue compagne l'odiavano tanto più cordialmente,quanto erano costrette a convenire de' suoi pregi esterio-ri. Cogli uomini poi, vi lascio pensarlo! Ora civetta, oravillana. Riuniva e alternava queste due qualità con unaoriginalità tutta sua. Pareva ch'ella avesse proposto a sestessa di guarir coll'una l'eccesso dell'altra. Voleva inna-morare gli uomini tutti, e darsi finalmente a quell'unoche si fosse mostrato degno di lei. Figuratevi qual uomodoveva esser colui! Per lo meno un re di corona. L'ima-ginazione d'una ragazza di quel carattere non ha limiti,rompe tutte le barriere, conquista il suo amante in senoalla gloria, lo strappa dalle braccia della regina di Gol-conda!

Il ritratto ch'io vi fo di Francesca, cioè di Fanny, nonè lusinghiero: ma io carico forse un po' troppo le tinteper un'antica antipatia che conservo per questo brutto di-fetto della civetteria. Del resto Fanny non era nè senzacuore nè senza ingegno. Con una buona educazione sa-rebbe divenuta un angelo: abbandonata a se stessa e alla

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sua vanità poteva divenire tutt'altro. Apprese in pocotempo quanto le occorreva per l'arte sua, e non aveapensato più là. Leggere, scrivere, far di conto, esser dol-ce, compiacente, cortese non reputava[Pg 370] necessarioper nulla. Un valzer, una quadriglia sapeva ballarla. Se ilportamento de' suoi piedi non era nè grazioso nè regola-re, che le importava? Non bastava il suo volto, i suoi oc-chi, i suoi capelli a prometterle i primi onori d'un ballo?

A diciott'anni più d'uno se n'era invaghito: più d'unoavea sentito per lei una di quelle passioni nutrite e ingi-gantite dall'ostacolo d'una negata corrispondenza: pas-sioni effimere ma terribili che occupano intera la fanta-sia e traggono spesso l'incauto che vi si abbandona, aipiù deplorabili eccessi. Ella non era priva di colpa: per-chè codeste passioni, se non eccitate, le aveva almen lu-singate a pro della sua vanità. Una donna non suole farsialcuno scrupolo di qualche ingannevole compiacenza,della quale nel suo stato d'indifferenza non può prevede-re gli effetti. Ma non sempre resta impunita codesta ci-vetteria, e la punizione più grande che incolga la lusin-ghiera è quella di rimaner vittima alfine delle altrui se-duzioni. Contratta una volta la sua infelice abitudine,ella non sa più distinguere l'affetto vero dalla lusinga:ella trascura l'uomo che l'avrebbe amata tutta la vita, perdarsi in braccio ad un vagheggino che sarà infastidito dilei non appena avrà espugnata la sua ritrosia.

Un giovane farmacista di buona famiglia, venuto colà

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sua vanità poteva divenire tutt'altro. Apprese in pocotempo quanto le occorreva per l'arte sua, e non aveapensato più là. Leggere, scrivere, far di conto, esser dol-ce, compiacente, cortese non reputava[Pg 370] necessarioper nulla. Un valzer, una quadriglia sapeva ballarla. Se ilportamento de' suoi piedi non era nè grazioso nè regola-re, che le importava? Non bastava il suo volto, i suoi oc-chi, i suoi capelli a prometterle i primi onori d'un ballo?

A diciott'anni più d'uno se n'era invaghito: più d'unoavea sentito per lei una di quelle passioni nutrite e ingi-gantite dall'ostacolo d'una negata corrispondenza: pas-sioni effimere ma terribili che occupano intera la fanta-sia e traggono spesso l'incauto che vi si abbandona, aipiù deplorabili eccessi. Ella non era priva di colpa: per-chè codeste passioni, se non eccitate, le aveva almen lu-singate a pro della sua vanità. Una donna non suole farsialcuno scrupolo di qualche ingannevole compiacenza,della quale nel suo stato d'indifferenza non può prevede-re gli effetti. Ma non sempre resta impunita codesta ci-vetteria, e la punizione più grande che incolga la lusin-ghiera è quella di rimaner vittima alfine delle altrui se-duzioni. Contratta una volta la sua infelice abitudine,ella non sa più distinguere l'affetto vero dalla lusinga:ella trascura l'uomo che l'avrebbe amata tutta la vita, perdarsi in braccio ad un vagheggino che sarà infastidito dilei non appena avrà espugnata la sua ritrosia.

Un giovane farmacista di buona famiglia, venuto colà

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per fare i suoi anni di pratica, d'un carattere dolce e tran-quillo, ma che sotto un'apparenza un po' fredda coprivauna forza di sentimento tanto più grande quanto menopatente; uno di quelli che non fanno all'amore, ma ama-no, la vedeva passare dinanzi a sè tutti i giorni ad un'oramedesima. Senza avvedersene cominciò ad aspettarequest'ora; e terminò col non pensare che a quella per tut-te le ventitrè che correvano fra l'uno e l'altro momentoin cui poteva veder la Fanny. Egli non[Pg 371] le avea par-lato e l'amava. Ella se n'era accorta sino da' primi giorni,e non mancò d'aggiugnerlo nella sua mente al numero diquelli che spasimavano del fatto suo: ed ora con unosguardo soave, ora con uno sgarbo, ora con un sorriso afior di labbra, ora con una affettata severità non mancòdi tener vivo nel giovane Filippo il fuoco nascosto cheben presto dovea divampare.

Divampò: ma invano. Il giovane s'accorse che la ci-vettuola non sentiva per lui più che non sentisse per die-ci altri o più, che la vagheggiavano senza amarla. Cautoe riflessivo, dopo aver parlato due volte con lei, la co-nobbe; e se non potè disamarla del tutto, certo lasciò lasperanza di guadagnarne l'affetto. Uomini tali non sonofatti per le passioni d'un giorno. Fece uno sforzo e sipersuase di averla scordata.

Una donna del carattere di Fanny in simile congiuntu-ra non manca per ordinario di riguadagnare con nuovelusinghe il terreno perduto; e spesso ella sente alla sua

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per fare i suoi anni di pratica, d'un carattere dolce e tran-quillo, ma che sotto un'apparenza un po' fredda coprivauna forza di sentimento tanto più grande quanto menopatente; uno di quelli che non fanno all'amore, ma ama-no, la vedeva passare dinanzi a sè tutti i giorni ad un'oramedesima. Senza avvedersene cominciò ad aspettarequest'ora; e terminò col non pensare che a quella per tut-te le ventitrè che correvano fra l'uno e l'altro momentoin cui poteva veder la Fanny. Egli non[Pg 371] le avea par-lato e l'amava. Ella se n'era accorta sino da' primi giorni,e non mancò d'aggiugnerlo nella sua mente al numero diquelli che spasimavano del fatto suo: ed ora con unosguardo soave, ora con uno sgarbo, ora con un sorriso afior di labbra, ora con una affettata severità non mancòdi tener vivo nel giovane Filippo il fuoco nascosto cheben presto dovea divampare.

Divampò: ma invano. Il giovane s'accorse che la ci-vettuola non sentiva per lui più che non sentisse per die-ci altri o più, che la vagheggiavano senza amarla. Cautoe riflessivo, dopo aver parlato due volte con lei, la co-nobbe; e se non potè disamarla del tutto, certo lasciò lasperanza di guadagnarne l'affetto. Uomini tali non sonofatti per le passioni d'un giorno. Fece uno sforzo e sipersuase di averla scordata.

Una donna del carattere di Fanny in simile congiuntu-ra non manca per ordinario di riguadagnare con nuovelusinghe il terreno perduto; e spesso ella sente alla sua

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volta l'amore che l'altro non sente più. Ma era serbata adun castigo ancora più duro. Ella dovea perdere ad untratto quella bellezza alla quale avea sacrificato la pacedi tanti. Fu colta dal vajuolo e rimase deforme.

Il giovane farmacista lo seppe dal medico che la cura-va e gliene prese una compassione così profonda e sin-cera come se ancora l'amasse. Volle vederla; e non glimancò il mezzo di recarsi a quel letto in compagnia delmedico amico suo. La povera Fanny provò uno di queidolori che la parola non può descrivere, e Filippo s'avvi-de d'aver commesso un atto crudele senza saperlo. Pro-curò consolarla, ma i suoi conforti produssero un effettoaffatto contrario. Oh! se avesse potuto trovar tra' suoifarmachi alcuno che le restituisse la perduta bellezza!Egli sarebbe stato l'uomo più felice che[Pg 372] fosse mai!Ma le cicatrici erano troppo profonde, nè l'arte umanapoteva rimarginarle. Ella era condannata a rimanere unoggetto di compassione per tutta la vita! Se non fossestata lusingata da una secreta speranza di risanare, iocredo che, vana come era, avrebbe preferita la morte aduna esistenza che oggimai non sembrava dover promet-terle alcun trionfo.

Il medico aveva ordinato che le fosse tolto ogni spec-chio, e dissimulava alla giovane disgraziata la gravezzadel male, almeno fino a tanto che, rimessa in forze, po-tesse lottare contro il dispiacere d'aver perduto per sem-pre l'attributo della bellezza. Ella risanò. Le sordide sca-

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volta l'amore che l'altro non sente più. Ma era serbata adun castigo ancora più duro. Ella dovea perdere ad untratto quella bellezza alla quale avea sacrificato la pacedi tanti. Fu colta dal vajuolo e rimase deforme.

Il giovane farmacista lo seppe dal medico che la cura-va e gliene prese una compassione così profonda e sin-cera come se ancora l'amasse. Volle vederla; e non glimancò il mezzo di recarsi a quel letto in compagnia delmedico amico suo. La povera Fanny provò uno di queidolori che la parola non può descrivere, e Filippo s'avvi-de d'aver commesso un atto crudele senza saperlo. Pro-curò consolarla, ma i suoi conforti produssero un effettoaffatto contrario. Oh! se avesse potuto trovar tra' suoifarmachi alcuno che le restituisse la perduta bellezza!Egli sarebbe stato l'uomo più felice che[Pg 372] fosse mai!Ma le cicatrici erano troppo profonde, nè l'arte umanapoteva rimarginarle. Ella era condannata a rimanere unoggetto di compassione per tutta la vita! Se non fossestata lusingata da una secreta speranza di risanare, iocredo che, vana come era, avrebbe preferita la morte aduna esistenza che oggimai non sembrava dover promet-terle alcun trionfo.

Il medico aveva ordinato che le fosse tolto ogni spec-chio, e dissimulava alla giovane disgraziata la gravezzadel male, almeno fino a tanto che, rimessa in forze, po-tesse lottare contro il dispiacere d'aver perduto per sem-pre l'attributo della bellezza. Ella risanò. Le sordide sca-

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glie abbandonarono la sua pelle, gli occhi s'aprirono, ri-vide la luce, si sentì rivivere alla natura: ma un tremen-do sospetto la tormentava, un sospetto più insopportabi-le della certezza. Contro il divieto del medico, ella ebbetra le mani uno specchio: vi si guardò, e sentì mancarsi!

La disperazione e l'abbattimento in cui cadde la pove-ra giovane quando si vide spogliata di quella bellezzach'era suo unico vanto, non mancò di aggravare la suamalattia, e render più incerta e più tarda la guarigione.Ella s'era chiusa in abituale silenzio, che interrompevasoltanto quando era sola prorompendo in dirotte lagri-me. Ai conforti del medico, ai gioviali colloquii dellecompagne, che pur talora venivano a visitarla, mai nonfu vista sorridere. Riprese a poco a poco i suoi lavori, eli eseguiva indefessa quasi coll'opera assidua volesse as-sopire il doloroso pensiero che la pungeva. Ella non erapiù bella! Nessuno l'avrebbe più guardata se non percompiangerla! Condannata ad essere spettatrice deitrionfi delle amiche sue, già tanto inferiori a lei per bel-lezza! — Ogni donna comprenderà facilmente più ch'ionon dico, la qualità del suo cruccio.

[Pg 373]

Ma qui non doveva limitarsi la sua sventura. Richia-mandosi alla mente i passati trionfi, l'imagine del giova-ne Filippo le si presentava sempre più cara: comprese ladifferenza che correva tra l'affetto di lui e quello che glialtri le dimostravano: le parve ch'egli solo l'avesse ama-

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glie abbandonarono la sua pelle, gli occhi s'aprirono, ri-vide la luce, si sentì rivivere alla natura: ma un tremen-do sospetto la tormentava, un sospetto più insopportabi-le della certezza. Contro il divieto del medico, ella ebbetra le mani uno specchio: vi si guardò, e sentì mancarsi!

La disperazione e l'abbattimento in cui cadde la pove-ra giovane quando si vide spogliata di quella bellezzach'era suo unico vanto, non mancò di aggravare la suamalattia, e render più incerta e più tarda la guarigione.Ella s'era chiusa in abituale silenzio, che interrompevasoltanto quando era sola prorompendo in dirotte lagri-me. Ai conforti del medico, ai gioviali colloquii dellecompagne, che pur talora venivano a visitarla, mai nonfu vista sorridere. Riprese a poco a poco i suoi lavori, eli eseguiva indefessa quasi coll'opera assidua volesse as-sopire il doloroso pensiero che la pungeva. Ella non erapiù bella! Nessuno l'avrebbe più guardata se non percompiangerla! Condannata ad essere spettatrice deitrionfi delle amiche sue, già tanto inferiori a lei per bel-lezza! — Ogni donna comprenderà facilmente più ch'ionon dico, la qualità del suo cruccio.

[Pg 373]

Ma qui non doveva limitarsi la sua sventura. Richia-mandosi alla mente i passati trionfi, l'imagine del giova-ne Filippo le si presentava sempre più cara: comprese ladifferenza che correva tra l'affetto di lui e quello che glialtri le dimostravano: le parve ch'egli solo l'avesse ama-

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ta davvero, e a poco a poco si pentì di averlo sprezzato,e l'amò! L'amò in un momento in cui reputava impossi-bile averne ricambio. Avrebbe desiderato vederlo, e nel-lo stesso tempo paventava l'effetto che le sue fattezze al-terate doveano produrre sopra di lui. Egli dal canto suonon osava ritornare da lei, perchè non sapeva trovar pa-role valevoli a consolarla. D'altronde che cosa avrebbepiù amato in quella donna, che avea perduto il solo pre-gio che possedesse? Ma la onesta cortesia ch'ei non ces-sava di usarle aumentava intanto l'amore e il martiriodella sventurata Fanny. Ella perdeva lunghe ore dinanziallo specchio tentando tutti i mezzi per riparare coll'arteai guasti che il suo volto delicato aveva sofferti, e illude-vasi, la meschina, e sperava! Spesso per ore ed ore ellaaccomodava i suoi capelli, unico tesoro che le fosse re-stato pressochè illeso; e disponendoli quando ad unmodo quando ad un altro, tormentava se stessa e la suaimmaginazione, finchè malcontenta dell'esito e indispet-tita, vi cacciava dentro le mani, scompigliava l'operalunga, e dava in lagrime di sconforto e di vera dispera-zione.

Erano passati due mesi dacchè il medico le avea con-cesso d'uscire, ed ella non s'era mai risolta ad affrontarela vista degli uomini. Alfine dopo una lunga lotta parvesuperasse la sua avversione. Si ornò nella più squisitamaniera che seppe. Due folte ciocche di biondi ricci ca-denti dissimulavano in modo elegante metà della guan-cia. Un denso velo gittato sopra il grazioso cappello

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ta davvero, e a poco a poco si pentì di averlo sprezzato,e l'amò! L'amò in un momento in cui reputava impossi-bile averne ricambio. Avrebbe desiderato vederlo, e nel-lo stesso tempo paventava l'effetto che le sue fattezze al-terate doveano produrre sopra di lui. Egli dal canto suonon osava ritornare da lei, perchè non sapeva trovar pa-role valevoli a consolarla. D'altronde che cosa avrebbepiù amato in quella donna, che avea perduto il solo pre-gio che possedesse? Ma la onesta cortesia ch'ei non ces-sava di usarle aumentava intanto l'amore e il martiriodella sventurata Fanny. Ella perdeva lunghe ore dinanziallo specchio tentando tutti i mezzi per riparare coll'arteai guasti che il suo volto delicato aveva sofferti, e illude-vasi, la meschina, e sperava! Spesso per ore ed ore ellaaccomodava i suoi capelli, unico tesoro che le fosse re-stato pressochè illeso; e disponendoli quando ad unmodo quando ad un altro, tormentava se stessa e la suaimmaginazione, finchè malcontenta dell'esito e indispet-tita, vi cacciava dentro le mani, scompigliava l'operalunga, e dava in lagrime di sconforto e di vera dispera-zione.

Erano passati due mesi dacchè il medico le avea con-cesso d'uscire, ed ella non s'era mai risolta ad affrontarela vista degli uomini. Alfine dopo una lunga lotta parvesuperasse la sua avversione. Si ornò nella più squisitamaniera che seppe. Due folte ciocche di biondi ricci ca-denti dissimulavano in modo elegante metà della guan-cia. Un denso velo gittato sopra il grazioso cappello

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adombrava i suoi lineamenti. Consultò per oltre a[Pg 374]mezz'ora lo specchio, si pentì dieci volte della sua riso-luzione, poi facendo un ultimo sforzo, uscì di casa perrecarsi alla chiesa, e quindi al suo negozio di mode.

Passò, come ognuno può credere, dinanzi alla farma-cia. Vide Filippo senza ch'egli mostrasse vederla. Eglinon l'avea di fatti riconosciuta; ma come persuadere allapoverina ch'egli non l'avesse fatto a bello studio per to-glierle ogni speranza? Seguitò la sua via frettolosa conl'inferno nell'animo: giunse al negozio, ricevette le acco-glienze ambigue e crudelmente gentili delle compagne,le quali si vendicarono in cinque minuti dei cinque annianteriori durante i quali ella le avea tenute, per dir così,sotto a' piedi. Fece tutti i suoi sforzi per conservare uncontegno apparentemente tranquillo, ma le pareva milleanni di trovarsi sola nella sua stanza fuori di queglisguardi perfidamente pietosi. Giunta a casa, respirò nel-la solitudine; pianse, si gettò in ginocchio, pregò il Cieloa darle la forza di vincersi e ad ispirarle il partito mi-gliore.

Ella aveva una vecchia zia in un convento vicino, allaquale, per dire il vero, non avea pensato a' giorni dellasua gloria: ma nella presente umiliazione la buona pa-rente e la solitudine in cui viveva si associarono alle tri-sti sue idee, e per la prima volta la vita secreta e mono-tona d'un chiostro le parve cosa invidiabile. Pensò discrivere alla zia, poichè non s'attentava a farle una visita

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adombrava i suoi lineamenti. Consultò per oltre a[Pg 374]mezz'ora lo specchio, si pentì dieci volte della sua riso-luzione, poi facendo un ultimo sforzo, uscì di casa perrecarsi alla chiesa, e quindi al suo negozio di mode.

Passò, come ognuno può credere, dinanzi alla farma-cia. Vide Filippo senza ch'egli mostrasse vederla. Eglinon l'avea di fatti riconosciuta; ma come persuadere allapoverina ch'egli non l'avesse fatto a bello studio per to-glierle ogni speranza? Seguitò la sua via frettolosa conl'inferno nell'animo: giunse al negozio, ricevette le acco-glienze ambigue e crudelmente gentili delle compagne,le quali si vendicarono in cinque minuti dei cinque annianteriori durante i quali ella le avea tenute, per dir così,sotto a' piedi. Fece tutti i suoi sforzi per conservare uncontegno apparentemente tranquillo, ma le pareva milleanni di trovarsi sola nella sua stanza fuori di queglisguardi perfidamente pietosi. Giunta a casa, respirò nel-la solitudine; pianse, si gettò in ginocchio, pregò il Cieloa darle la forza di vincersi e ad ispirarle il partito mi-gliore.

Ella aveva una vecchia zia in un convento vicino, allaquale, per dire il vero, non avea pensato a' giorni dellasua gloria: ma nella presente umiliazione la buona pa-rente e la solitudine in cui viveva si associarono alle tri-sti sue idee, e per la prima volta la vita secreta e mono-tona d'un chiostro le parve cosa invidiabile. Pensò discrivere alla zia, poichè non s'attentava a farle una visita

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così improvvisa: ma come scriverle? chi scegliere perconfidente di questa nuova risoluzione? Nessuno megliodi Filippo. Lo fece pregare a voler recarsi da lei adun'ora determinata e l'aspettò — non senza aver primaquasi per consuetudine, ed ora per necessità, curato lasua toilette. Non già ch'ella avesse alcuna seconda inten-zione. L'anima sua s'era già rassegnata; se pure nellosceglierlo a depositario de' suoi progetti[Pg 375] era statamossa da un secreto pensiero, non era che il desiderio divedere quale impressione avrebbe egli ricevuto dal pas-so ch'ella intendeva di fare.

Egli venne premuroso, e procurò co' suoi modi affet-tuosi darle quella consolazione che parevagli più delica-ta: ma ella rimase fredda e severa. Gli spiegò la ragioneperchè avea desiderato vederlo; notò, non senza piacere,la meraviglia ch'ei ne mostrò. — Caro amico — diss'ella— il mondo non è più per me: questa malattia mi feceveder le cose sotto un aspetto molto diverso: io non po-trei più sperare un collocamento..... no, non m'illudo, Fi-lippo..... io non potrei far più felice un compagno. Vo-glio ritirarmi colla mia buona parente. In quella solitudi-ne imparerò a leggere, a scrivere, a disegnare, a soppor-tare pazientemente la mia disgrazia. Scrivete ciò checredete opportuno; voi non avete bisogno d'altre parole.— Filippo le scrisse la lettera. Egli volea sulle primestornarla dal suo proposito: ma soddisfatto a ciò che ri-teneva fosse obbligo di cortesia, lasciò correre. Pensòanch'egli che una tale risoluzione poteva tornar utile per

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così improvvisa: ma come scriverle? chi scegliere perconfidente di questa nuova risoluzione? Nessuno megliodi Filippo. Lo fece pregare a voler recarsi da lei adun'ora determinata e l'aspettò — non senza aver primaquasi per consuetudine, ed ora per necessità, curato lasua toilette. Non già ch'ella avesse alcuna seconda inten-zione. L'anima sua s'era già rassegnata; se pure nellosceglierlo a depositario de' suoi progetti[Pg 375] era statamossa da un secreto pensiero, non era che il desiderio divedere quale impressione avrebbe egli ricevuto dal pas-so ch'ella intendeva di fare.

Egli venne premuroso, e procurò co' suoi modi affet-tuosi darle quella consolazione che parevagli più delica-ta: ma ella rimase fredda e severa. Gli spiegò la ragioneperchè avea desiderato vederlo; notò, non senza piacere,la meraviglia ch'ei ne mostrò. — Caro amico — diss'ella— il mondo non è più per me: questa malattia mi feceveder le cose sotto un aspetto molto diverso: io non po-trei più sperare un collocamento..... no, non m'illudo, Fi-lippo..... io non potrei far più felice un compagno. Vo-glio ritirarmi colla mia buona parente. In quella solitudi-ne imparerò a leggere, a scrivere, a disegnare, a soppor-tare pazientemente la mia disgrazia. Scrivete ciò checredete opportuno; voi non avete bisogno d'altre parole.— Filippo le scrisse la lettera. Egli volea sulle primestornarla dal suo proposito: ma soddisfatto a ciò che ri-teneva fosse obbligo di cortesia, lasciò correre. Pensòanch'egli che una tale risoluzione poteva tornar utile per

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ogni conto alla disgraziata fanciulla, e risparmiarle mol-te amarezze che non le sarebbero risparmiate nel mon-do. Sicchè Fanny rimase nella prima incertezza; anzi netrasse la conseguenza che nella gentilezza del giovanenon entrasse oggimai più nulla del primo affetto. Lo rin-graziò del servigio prestato, e si congedò con brevi esecche parole da lui. Ah! la poveretta avea perdutoun'ultima secreta speranza che avea conservata nel cuo-re!

Dopo otto giorni venne a cercarla una vecchia pinzo-chera da parte della zia, e le disse in nome di lei ch'ellaera molto contenta della sua risoluzione, che l'aspettavaal convento dove le avrebbe tenuta compagnia e comin-ciato subito il suo noviziato. Aggiunse che[Pg 376] ellastessa l'avrebbe accompagnata, perchè non s'indugiasseaspettando una buona occasione. La fanciulla non futroppo sodisfatta di un così pronto adempimento alla suadomanda. Avrebbe voluto guadagnar tempo.... ma nonl'osò. Presa alle strette fece uno sforzo per far tacere tut-ti i suoi dubbi; e il giorno dopo partì colla vecchia.Quando vide la città che fuggiva, una tetra malinconias'impadronì del suo cuore. I bei giorni passati le ricorre-vano alla memoria; i castelli in aria sfumati come lanebbia al vento; gli amori offerti, provocati, respinti. Lepareva che ogni svolta della strada allontanandola dalcampo delle sue glorie e delle sue speranze, l'allontanas-se da tutto ciò che la vita aveva di più desiderabile ecaro. Il guardar fuori dallo sportello le divenne insop-

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ogni conto alla disgraziata fanciulla, e risparmiarle mol-te amarezze che non le sarebbero risparmiate nel mon-do. Sicchè Fanny rimase nella prima incertezza; anzi netrasse la conseguenza che nella gentilezza del giovanenon entrasse oggimai più nulla del primo affetto. Lo rin-graziò del servigio prestato, e si congedò con brevi esecche parole da lui. Ah! la poveretta avea perdutoun'ultima secreta speranza che avea conservata nel cuo-re!

Dopo otto giorni venne a cercarla una vecchia pinzo-chera da parte della zia, e le disse in nome di lei ch'ellaera molto contenta della sua risoluzione, che l'aspettavaal convento dove le avrebbe tenuta compagnia e comin-ciato subito il suo noviziato. Aggiunse che[Pg 376] ellastessa l'avrebbe accompagnata, perchè non s'indugiasseaspettando una buona occasione. La fanciulla non futroppo sodisfatta di un così pronto adempimento alla suadomanda. Avrebbe voluto guadagnar tempo.... ma nonl'osò. Presa alle strette fece uno sforzo per far tacere tut-ti i suoi dubbi; e il giorno dopo partì colla vecchia.Quando vide la città che fuggiva, una tetra malinconias'impadronì del suo cuore. I bei giorni passati le ricorre-vano alla memoria; i castelli in aria sfumati come lanebbia al vento; gli amori offerti, provocati, respinti. Lepareva che ogni svolta della strada allontanandola dalcampo delle sue glorie e delle sue speranze, l'allontanas-se da tutto ciò che la vita aveva di più desiderabile ecaro. Il guardar fuori dallo sportello le divenne insop-

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portabile angoscia. Si chiuse il viso fra i lembi delloscialle, e mentre la sua compagna girava fra le dita i gra-ni del suo rosario, ella piangeva tacitamente, in taleamaro alternarsi di pensieri e di imagini che lasceremoindovinare a quelli che si sono fatti un'idea del suo ca-rattere e della situazione in cui si trovava il cuore diFanny.

Nei primi giorni il convento le parve veramente unluogo d'asilo contro le amarezze paventate nel mondo.Accolta dalla buona parente con non infinta pietà, face-va nella sua mente il confronto tra quest'accoglienza equella che avea ricevuta dalle compagne. Quivi almenonon v'era chi l'avesse veduta prima della sua malattia. Ilavori, i discorsi, le pratiche religiose che si tenevano làdentro, impedivano al suo pensiero di fisarsi sopra il suostato. Passava la sua giornata in compagnia di suor An-gela, ed insegnava alcuni punti, alcuni ricami a parec-chie fanciullette educande, le quali cominciarono adamarla teneramente, sentendosi amate da lei. Depose isuoi vestiti galanti, e ne prese uno semplice e modesto;[Pg 377] onde perdute le abitudini antiche, si venne facen-do di giorno in giorno men trista.

Non pensate però che anche qui non avesse qualchemomento amaro. Doveva udire di tratto in tratto i consi-gli della zia e di qualche altra religiosa, le quali s'eranofitte in pensiero di compiere, come dicevano, la sua con-versione, e ritenerla definitivamente là dentro. Volevano

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portabile angoscia. Si chiuse il viso fra i lembi delloscialle, e mentre la sua compagna girava fra le dita i gra-ni del suo rosario, ella piangeva tacitamente, in taleamaro alternarsi di pensieri e di imagini che lasceremoindovinare a quelli che si sono fatti un'idea del suo ca-rattere e della situazione in cui si trovava il cuore diFanny.

Nei primi giorni il convento le parve veramente unluogo d'asilo contro le amarezze paventate nel mondo.Accolta dalla buona parente con non infinta pietà, face-va nella sua mente il confronto tra quest'accoglienza equella che avea ricevuta dalle compagne. Quivi almenonon v'era chi l'avesse veduta prima della sua malattia. Ilavori, i discorsi, le pratiche religiose che si tenevano làdentro, impedivano al suo pensiero di fisarsi sopra il suostato. Passava la sua giornata in compagnia di suor An-gela, ed insegnava alcuni punti, alcuni ricami a parec-chie fanciullette educande, le quali cominciarono adamarla teneramente, sentendosi amate da lei. Depose isuoi vestiti galanti, e ne prese uno semplice e modesto;[Pg 377] onde perdute le abitudini antiche, si venne facen-do di giorno in giorno men trista.

Non pensate però che anche qui non avesse qualchemomento amaro. Doveva udire di tratto in tratto i consi-gli della zia e di qualche altra religiosa, le quali s'eranofitte in pensiero di compiere, come dicevano, la sua con-versione, e ritenerla definitivamente là dentro. Volevano

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persuaderle, le pie monache, come ella dovesse ringra-ziare il Signore d'averla tolta dalla strada della vanità edella perdizione. — Che cosa è la bellezza del corpo, di-cevano, appetto alla bellezza dell'anima? Questa doves-se apprezzare, questa accrescere più che potesse. Conquella poteva piacere agli uomini: con questa avrebbepiaciuto a Dio. V'erano state molte sante che s'erano svi-sate a bella posta per togliersi ad ogni pericolo: perciò lereligiose facevano il sacrificio de' loro capelli; sacrificioch'ella stessa avrebbe dovuto fare. — Erano buoni e san-ti consigli, ma ancora intempestivi per la giovane cresta-ia. Ella non n'era punto capacitata nel suo interno, ben-chè si guardasse bene dall'opporvisi apertamente. Quan-to a' suoi capelli li avrebbe recisi quando fosse appienosicura di restar lì. E la priora ch'era donna erudita, osser-vando l'ingegno pronto della novizia, prese ad ammae-strarla nelle lettere, nelle quali fece progressi sì rapidi datrasecolar quelle religiose donne, che cominciarono atrovar pascolo alla loro innocente vanità nell'insegnare aFanny tutti quei lavori e quelle galanterie da conventoche fanno ammirar la pazienza di chi le fa. La giovaneche avea l'istinto della grazia e del buon gusto in pocotempo superava le maestre, e cominciò ad imitar collaseta e colle carte i più bei fiori che raccogliessenell'orto. Quelle occupazioni, quegli studii spandevanouna quiete ineffabile nel suo cuore. Le parole delle buo-ne suore facevano maggior[Pg 378] presa nell'animo pre-parato. Cominciava a pregare con maggior raccoglimen-to. Quella vita operosa e monotona cominciava a piacer-

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persuaderle, le pie monache, come ella dovesse ringra-ziare il Signore d'averla tolta dalla strada della vanità edella perdizione. — Che cosa è la bellezza del corpo, di-cevano, appetto alla bellezza dell'anima? Questa doves-se apprezzare, questa accrescere più che potesse. Conquella poteva piacere agli uomini: con questa avrebbepiaciuto a Dio. V'erano state molte sante che s'erano svi-sate a bella posta per togliersi ad ogni pericolo: perciò lereligiose facevano il sacrificio de' loro capelli; sacrificioch'ella stessa avrebbe dovuto fare. — Erano buoni e san-ti consigli, ma ancora intempestivi per la giovane cresta-ia. Ella non n'era punto capacitata nel suo interno, ben-chè si guardasse bene dall'opporvisi apertamente. Quan-to a' suoi capelli li avrebbe recisi quando fosse appienosicura di restar lì. E la priora ch'era donna erudita, osser-vando l'ingegno pronto della novizia, prese ad ammae-strarla nelle lettere, nelle quali fece progressi sì rapidi datrasecolar quelle religiose donne, che cominciarono atrovar pascolo alla loro innocente vanità nell'insegnare aFanny tutti quei lavori e quelle galanterie da conventoche fanno ammirar la pazienza di chi le fa. La giovaneche avea l'istinto della grazia e del buon gusto in pocotempo superava le maestre, e cominciò ad imitar collaseta e colle carte i più bei fiori che raccogliessenell'orto. Quelle occupazioni, quegli studii spandevanouna quiete ineffabile nel suo cuore. Le parole delle buo-ne suore facevano maggior[Pg 378] presa nell'animo pre-parato. Cominciava a pregare con maggior raccoglimen-to. Quella vita operosa e monotona cominciava a piacer-

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le. Le monache non dubitavano più ch'ella avesse a pro-ferire i suoi voti. Ma la buona parente, già vecchia e in-fermiccia, trascorsi appena dieci mesi dalla venuta dilei, passava a vita migliore, lasciando la povera giovaneorfana e straniera in quel luogo. Chiamatala al suo lettodi morte, le replicò i consigli che cento volte le avevadati, e si fece dar parola dinanzi ad alcuna di quelle ma-dri, che non avrebbe pensato ad abbandonare il conven-to. La povera Fanny versando larghe lagrime promisetutto, e la vecchia benedicendola spirò consolata.

La nipote però non tardò molto a pentirsi della pro-messa, o per dir meglio, non si tenne più obbligata adadempierla. La zia sentiva per essa un affetto vero, e sa-peva cogliere il momento opportuno per far breccia co'suoi consigli nell'animo suo. Codesta discrezione, code-sto discernimento mancava alle altre, e pressandola adogni ora, le fecero venir in uggia uno stato, che a poco apoco avrebbe forse abbracciato spontaneamente. Co-minciò a indispettirsi di quel fervore. Cominciò a dubi-tare del disinteresse di quelle donne; e convivendo conesse, vide anche là molti interessi e molte cure monda-ne. Educata in questi mesi di ritiro, imaginò un metododi vita ch'ella poteva condurre anche al secolo, senza es-sere men virtuosa e meno tranquilla. Gli scherni dellecompagne, la noncuranza del mondo le facevano menopaura. — Io mi renderò amabile, diceva fra sè, colla col-tura del mio spirito, colle mie maniere, con mille modiindipendenti dalla bellezza. — Questi pensieri e i consi-

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le. Le monache non dubitavano più ch'ella avesse a pro-ferire i suoi voti. Ma la buona parente, già vecchia e in-fermiccia, trascorsi appena dieci mesi dalla venuta dilei, passava a vita migliore, lasciando la povera giovaneorfana e straniera in quel luogo. Chiamatala al suo lettodi morte, le replicò i consigli che cento volte le avevadati, e si fece dar parola dinanzi ad alcuna di quelle ma-dri, che non avrebbe pensato ad abbandonare il conven-to. La povera Fanny versando larghe lagrime promisetutto, e la vecchia benedicendola spirò consolata.

La nipote però non tardò molto a pentirsi della pro-messa, o per dir meglio, non si tenne più obbligata adadempierla. La zia sentiva per essa un affetto vero, e sa-peva cogliere il momento opportuno per far breccia co'suoi consigli nell'animo suo. Codesta discrezione, code-sto discernimento mancava alle altre, e pressandola adogni ora, le fecero venir in uggia uno stato, che a poco apoco avrebbe forse abbracciato spontaneamente. Co-minciò a indispettirsi di quel fervore. Cominciò a dubi-tare del disinteresse di quelle donne; e convivendo conesse, vide anche là molti interessi e molte cure monda-ne. Educata in questi mesi di ritiro, imaginò un metododi vita ch'ella poteva condurre anche al secolo, senza es-sere men virtuosa e meno tranquilla. Gli scherni dellecompagne, la noncuranza del mondo le facevano menopaura. — Io mi renderò amabile, diceva fra sè, colla col-tura del mio spirito, colle mie maniere, con mille modiindipendenti dalla bellezza. — Questi pensieri e i consi-

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gli importuni che riceveva, non mancarono di produrreil loro effetto. La giovane, quando manco se l'aspettava-no, dichiarò alle monache e al padre direttore ch'ella nonsi[Pg 379] sentiva alcuna vocazione per lo stato monasti-co; e che pensava di ritornarsene al secolo. Potete ima-ginare che ne seguisse! I consigli raddoppiarono, e mendolci di prima. La vita del convento fin allora indiffe-rente, e sulle prime piacevole, le divenne un'orribile pri-gionia. Contava i giorni e l'ore che terminasse l'anno diprova, e appena terminato, fece il suo fardello ed uscì.

Il padre direttore, uomo di rara discrezione che s'eraadoperato perchè non fosse fatta violenza alcuna a' suoidesiderii, le trovò una buona occasione per tornare allapatria, e la raccomandò ad un'ottima donna che l'avreb-be ricevuta in sua casa. Fanny baciò, piangendo, lamano al buon sacerdote, e l'indomani, dopo un annod'assenza rivide la città che le parve più bella che mai esorridente quasi d'amore. Quell'anno di reclusione, lenon poche letture fatte, l'educazione interna che medi-tando s'era in lei compiuta, tuttociò le aveva aperto gliocchi ed ampliata l'immaginazione. La vista del marenon mai l'era parsa così bella, così imponente. Lo salutòcome imagine della sua libertà, e questo momento fu ilprimo di vera gioia ch'ella provasse dopo la sua guari-gione: perchè non era nata per quelle ascetiche e solita-rie aspirazioni del chiostro. Ella era nata per amar qual-cheduno nel mondo.

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gli importuni che riceveva, non mancarono di produrreil loro effetto. La giovane, quando manco se l'aspettava-no, dichiarò alle monache e al padre direttore ch'ella nonsi[Pg 379] sentiva alcuna vocazione per lo stato monasti-co; e che pensava di ritornarsene al secolo. Potete ima-ginare che ne seguisse! I consigli raddoppiarono, e mendolci di prima. La vita del convento fin allora indiffe-rente, e sulle prime piacevole, le divenne un'orribile pri-gionia. Contava i giorni e l'ore che terminasse l'anno diprova, e appena terminato, fece il suo fardello ed uscì.

Il padre direttore, uomo di rara discrezione che s'eraadoperato perchè non fosse fatta violenza alcuna a' suoidesiderii, le trovò una buona occasione per tornare allapatria, e la raccomandò ad un'ottima donna che l'avreb-be ricevuta in sua casa. Fanny baciò, piangendo, lamano al buon sacerdote, e l'indomani, dopo un annod'assenza rivide la città che le parve più bella che mai esorridente quasi d'amore. Quell'anno di reclusione, lenon poche letture fatte, l'educazione interna che medi-tando s'era in lei compiuta, tuttociò le aveva aperto gliocchi ed ampliata l'immaginazione. La vista del marenon mai l'era parsa così bella, così imponente. Lo salutòcome imagine della sua libertà, e questo momento fu ilprimo di vera gioia ch'ella provasse dopo la sua guari-gione: perchè non era nata per quelle ascetiche e solita-rie aspirazioni del chiostro. Ella era nata per amar qual-cheduno nel mondo.

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E finchè visse la sua buona parente, l'amava di cuore,e questo affetto bastava all'animo suo. E se avesse potu-to sperare pur un ricambio di sentimenti da Filippo, seavesse portato nel convento la persuasione d'esserneamata, io credo che quella solitudine le sarebbe parsamen dura. Amare non basta per una donna. Bisognach'ella creda, o almeno s'illuda d'essere amata: bisognach'ella abbia provato almeno un momento nell'animoquello stato d'intima soddisfazione che vien da un affet-to reciproco. Questo secreto, indistinto desiderio[Pg 380]ora la riconduceva nel mondo, la riconduceva a soffrire.

Quella prima battaglia, la battaglia della vanità edell'orgoglio mortificato, non la spaventava più. Oggi-mai aveva rinunciato al titolo di bella per sempre: avevaimparato a scherzare con grazia sulle sue fisiche imper-fezioni. Ella non lasciava tempo agli altri di dirigerle unfrizzo: si canzonava da sè, senza affettazione, e senza ilsecreto desiderio d'essere smentita dagli altri: scioccaabitudine di molte donne di fare certi atti di umiltà perprovocare un alimento alla celata superbia che le divora.Fanny non diceva d'essere brutta, perchè l'altrui genti-lezza dicesse il contrario: ma tutte le volte che ella eraposta ad un confronto pericoloso, sapeva con un tratto dispirito richiamar l'attenzione di chi era presente a qual-che cosa di più nobile della materiale bellezza. Così la-sciando alle sue rivali gli effimeri trionfi di quella, si fa-cea perdonare il vantaggio ch'ella aveva sopra di loro.

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E finchè visse la sua buona parente, l'amava di cuore,e questo affetto bastava all'animo suo. E se avesse potu-to sperare pur un ricambio di sentimenti da Filippo, seavesse portato nel convento la persuasione d'esserneamata, io credo che quella solitudine le sarebbe parsamen dura. Amare non basta per una donna. Bisognach'ella creda, o almeno s'illuda d'essere amata: bisognach'ella abbia provato almeno un momento nell'animoquello stato d'intima soddisfazione che vien da un affet-to reciproco. Questo secreto, indistinto desiderio[Pg 380]ora la riconduceva nel mondo, la riconduceva a soffrire.

Quella prima battaglia, la battaglia della vanità edell'orgoglio mortificato, non la spaventava più. Oggi-mai aveva rinunciato al titolo di bella per sempre: avevaimparato a scherzare con grazia sulle sue fisiche imper-fezioni. Ella non lasciava tempo agli altri di dirigerle unfrizzo: si canzonava da sè, senza affettazione, e senza ilsecreto desiderio d'essere smentita dagli altri: scioccaabitudine di molte donne di fare certi atti di umiltà perprovocare un alimento alla celata superbia che le divora.Fanny non diceva d'essere brutta, perchè l'altrui genti-lezza dicesse il contrario: ma tutte le volte che ella eraposta ad un confronto pericoloso, sapeva con un tratto dispirito richiamar l'attenzione di chi era presente a qual-che cosa di più nobile della materiale bellezza. Così la-sciando alle sue rivali gli effimeri trionfi di quella, si fa-cea perdonare il vantaggio ch'ella aveva sopra di loro.

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Per alcun tratto di tempo le cose procedettero bene.Rassegnata, dolce, insinuante, destra in ogni genere dilavori, ornata lo spirito di non poche cognizioni che lesue letture le procuravano, era giunta a guadagnare daun lato quella superiorità che avea perduto dall'altro. Manon le bastava. Tutte le volte che era testimonio alle fa-cili adorazioni che i giovani profondono alla più bella,tutte le volte che alcuna delle compagne le teneva di-scorso de' propri amori, uno sconforto amaro, una secre-ta e invincibile invidia la sorprendeva. Buona com'era,non avrebbe già tolto alle compagne l'ambita felicità:ma non le pareva giustizia che mentre era a tutte sì faci-le amare ed essere amate, non ci fosse un cuor solo chebattesse per lei, un cuor solo che sapesse comprendere ilsuo! Talora gli uomini le parevano[Pg 381] portenti di stol-tezza e di crudeltà. Prodigavano le loro idolatrie allamateria incapace d'intenderli, e lei lasciavano sola, ne-gletta, come un paria, come un essere degradato e privodi sentimento e di affetto. Eppure, con quali tesorid'affezione, con quai liberi sacrifizi la povera Fannyavrebbe ricompensato uno sguardo cortese, un cordialesaluto, una stretta di mano! Nessuno forse ha letto que-sta pagina degli umani dolori, questa continua violenzaper reprimere dentro al cuore le ricchezze d'un affettoche non ha una metà a cui consacrarsi! Per queste animedesolate non c'è che la fede nella vita futura: ma se nonriescono sante, c'è molta probabilità che convertano inodio quell'amore che non fu da nessuno curato.

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Per alcun tratto di tempo le cose procedettero bene.Rassegnata, dolce, insinuante, destra in ogni genere dilavori, ornata lo spirito di non poche cognizioni che lesue letture le procuravano, era giunta a guadagnare daun lato quella superiorità che avea perduto dall'altro. Manon le bastava. Tutte le volte che era testimonio alle fa-cili adorazioni che i giovani profondono alla più bella,tutte le volte che alcuna delle compagne le teneva di-scorso de' propri amori, uno sconforto amaro, una secre-ta e invincibile invidia la sorprendeva. Buona com'era,non avrebbe già tolto alle compagne l'ambita felicità:ma non le pareva giustizia che mentre era a tutte sì faci-le amare ed essere amate, non ci fosse un cuor solo chebattesse per lei, un cuor solo che sapesse comprendere ilsuo! Talora gli uomini le parevano[Pg 381] portenti di stol-tezza e di crudeltà. Prodigavano le loro idolatrie allamateria incapace d'intenderli, e lei lasciavano sola, ne-gletta, come un paria, come un essere degradato e privodi sentimento e di affetto. Eppure, con quali tesorid'affezione, con quai liberi sacrifizi la povera Fannyavrebbe ricompensato uno sguardo cortese, un cordialesaluto, una stretta di mano! Nessuno forse ha letto que-sta pagina degli umani dolori, questa continua violenzaper reprimere dentro al cuore le ricchezze d'un affettoche non ha una metà a cui consacrarsi! Per queste animedesolate non c'è che la fede nella vita futura: ma se nonriescono sante, c'è molta probabilità che convertano inodio quell'amore che non fu da nessuno curato.

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Page 488: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

Ma Fanny non era destinata a bere fino al fondo que-sto calice amaro. Ella non si credeva amata dal giovanefarmacista: ma e' l'amava davvero. E reduce a que' gior-ni dall'Università, dove era stato matricolato, non mancòdi chieder conto di lei, e seppe con sorpresa e con veropiacere il suo ritorno.

Era una bella sera di maggio. Egli l'aspettò nell'ora incui usciva dal suo negozio, e le propose di accompa-gnarla fino a casa. Ella conosceva sì bene i costumi delgiovane, aveva tanto desiderato di rivederlo, che senzaalcuna opposizione passò il suo braccio sotto quello dilui, e tutti e due poco parlando, ma dolcemente com-mossi, s'incamminarono verso l'abitazione della fanciul-la; e lì dovevano separarsi. Ma troppe cose lor rimane-vano a dire, e il desiderio d'espandersi reciprocamente sifaceva maggiore ad ogni momento. Onde una buonamezz'ora restarono appoggiati agli stipiti della porta,colle mani congiunte, perduti in uno di quei colloquiideliziosi che sono una felicità per tutti — e che si puòpensare se erano una beatitudine per Fanny.[Pg 382] Pove-ra fanciulla! Ella aveva per anni ed anni desiderato unmomento simile a quello, e quando meno se l'aspettava,Iddio glielo aveva concesso! Senza dirselo, senza pen-sarlo, invece di salire le scale, essi staccaronsi dalla por-ta e ripresero il sentiero della collina. E su, e su, senzaguardarsi d'attorno, senz'accorgersi dell'andare, senzafar attenzione alle magnifiche scene del cielo stellato,del mare immenso che lo rifletteva da lungi, degli alberi

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Ma Fanny non era destinata a bere fino al fondo que-sto calice amaro. Ella non si credeva amata dal giovanefarmacista: ma e' l'amava davvero. E reduce a que' gior-ni dall'Università, dove era stato matricolato, non mancòdi chieder conto di lei, e seppe con sorpresa e con veropiacere il suo ritorno.

Era una bella sera di maggio. Egli l'aspettò nell'ora incui usciva dal suo negozio, e le propose di accompa-gnarla fino a casa. Ella conosceva sì bene i costumi delgiovane, aveva tanto desiderato di rivederlo, che senzaalcuna opposizione passò il suo braccio sotto quello dilui, e tutti e due poco parlando, ma dolcemente com-mossi, s'incamminarono verso l'abitazione della fanciul-la; e lì dovevano separarsi. Ma troppe cose lor rimane-vano a dire, e il desiderio d'espandersi reciprocamente sifaceva maggiore ad ogni momento. Onde una buonamezz'ora restarono appoggiati agli stipiti della porta,colle mani congiunte, perduti in uno di quei colloquiideliziosi che sono una felicità per tutti — e che si puòpensare se erano una beatitudine per Fanny.[Pg 382] Pove-ra fanciulla! Ella aveva per anni ed anni desiderato unmomento simile a quello, e quando meno se l'aspettava,Iddio glielo aveva concesso! Senza dirselo, senza pen-sarlo, invece di salire le scale, essi staccaronsi dalla por-ta e ripresero il sentiero della collina. E su, e su, senzaguardarsi d'attorno, senz'accorgersi dell'andare, senzafar attenzione alle magnifiche scene del cielo stellato,del mare immenso che lo rifletteva da lungi, degli alberi

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che spandevano in seno alla notte i loro divini profumi.Forse il loro cuore sentiva queste armonie della natura;forse nell'estasi loro, negli affettuosi colloquii c'entravatutto codesto: ma erano troppo profondamente commos-si per avvertirlo e per dirselo.

Quando furono ad una svolta del sentiero che taglia asghembo il declivio della collina, sedettero sotto unaquercia, e stettero muti sempre colle mani strette a vi-cenda. Molte cose s'erano dette, ma più assai che la pa-rola non può definire, spiegava quel delicato e cordialecontatto. E nessuno avea fino allora parlato d'amore;nessuno di matrimonio. Filippo fu il primo a dare unatale direzione alle idee, e confidò alla fanciulla come aPadova gli era stato offerto un partito assai vantaggioso:una giovane avvenente, che aveva mostrata una decisainclinazione per lui. Aggiunse ch'egli avea pigliato tem-po a risolvere, ma ora....

— Ma ora.... che volete voi dire? — domandava Fan-ny.

— Ora — diss'egli — sarei meno che prima dispostoad accettare l'offerta. Voi sapete da quanto tempo hoconsecrato i miei affetti ad un'altra persona. Molte cosesono avvenute dappoi....

— Oh sì molte cose! — rispose rapidamente Fanny.— Per carità, Filippo, non pigliate sopra di me la[Pg 383]crudele vendetta di lusingarmi! Voi ricordate un tempo

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che spandevano in seno alla notte i loro divini profumi.Forse il loro cuore sentiva queste armonie della natura;forse nell'estasi loro, negli affettuosi colloquii c'entravatutto codesto: ma erano troppo profondamente commos-si per avvertirlo e per dirselo.

Quando furono ad una svolta del sentiero che taglia asghembo il declivio della collina, sedettero sotto unaquercia, e stettero muti sempre colle mani strette a vi-cenda. Molte cose s'erano dette, ma più assai che la pa-rola non può definire, spiegava quel delicato e cordialecontatto. E nessuno avea fino allora parlato d'amore;nessuno di matrimonio. Filippo fu il primo a dare unatale direzione alle idee, e confidò alla fanciulla come aPadova gli era stato offerto un partito assai vantaggioso:una giovane avvenente, che aveva mostrata una decisainclinazione per lui. Aggiunse ch'egli avea pigliato tem-po a risolvere, ma ora....

— Ma ora.... che volete voi dire? — domandava Fan-ny.

— Ora — diss'egli — sarei meno che prima dispostoad accettare l'offerta. Voi sapete da quanto tempo hoconsecrato i miei affetti ad un'altra persona. Molte cosesono avvenute dappoi....

— Oh sì molte cose! — rispose rapidamente Fanny.— Per carità, Filippo, non pigliate sopra di me la[Pg 383]crudele vendetta di lusingarmi! Voi ricordate un tempo

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molto diverso: una persona che è già tanto mutata! Udi-temi: uno dei miei più vivi desiderii era quello di rive-dervi, era quello.... di udire dalla vostra bocca che voisentite per me qualche cosa più che una sterile compas-sione. Ora io sono contenta.... voi potreste offerirmi lavostra mano: io mi sentirei, Filippo, il coraggio di rinun-ciarvi.

— Ma perchè? Mi sarei io dunque nuovamente ingan-nato?

— Non c'illudiamo, Filippo! La vostra amica non po-trebbe sempre avere a' suoi comandi quest'ora tenebrosae le dolci emozioni di questo momento.... no! Io nonm'esporrò mai a farvi pesare come un sacrificio il donoche potreste farmi della vostra mano. Pensate, amicomio, ch'io sono gelosa; ch'io so d'aver perduta quella in-felice bellezza di cui ero troppo superba: vedrei una ri-vale in ogni femmina che vi si appressasse.

— Avresti torto, Fanny; poche donne certamente po-trebbero gareggiare con te di sentimenti sì nobili e deli-cati. Oh! mi stimi tu così stolto da credere la bellezza ilpregio più importante della donna ch'io volessi far miacompagna per tutta la vita? La bellezza è così effimera epasseggera — tu stessa l'hai sperimentato — ma qualidoti più intime, quali grazie più apprezzabili non hai tusaputo acquistare! Oh Fanny! questo non è nè il temponè il luogo più conveniente per farti una proposizione sì

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molto diverso: una persona che è già tanto mutata! Udi-temi: uno dei miei più vivi desiderii era quello di rive-dervi, era quello.... di udire dalla vostra bocca che voisentite per me qualche cosa più che una sterile compas-sione. Ora io sono contenta.... voi potreste offerirmi lavostra mano: io mi sentirei, Filippo, il coraggio di rinun-ciarvi.

— Ma perchè? Mi sarei io dunque nuovamente ingan-nato?

— Non c'illudiamo, Filippo! La vostra amica non po-trebbe sempre avere a' suoi comandi quest'ora tenebrosae le dolci emozioni di questo momento.... no! Io nonm'esporrò mai a farvi pesare come un sacrificio il donoche potreste farmi della vostra mano. Pensate, amicomio, ch'io sono gelosa; ch'io so d'aver perduta quella in-felice bellezza di cui ero troppo superba: vedrei una ri-vale in ogni femmina che vi si appressasse.

— Avresti torto, Fanny; poche donne certamente po-trebbero gareggiare con te di sentimenti sì nobili e deli-cati. Oh! mi stimi tu così stolto da credere la bellezza ilpregio più importante della donna ch'io volessi far miacompagna per tutta la vita? La bellezza è così effimera epasseggera — tu stessa l'hai sperimentato — ma qualidoti più intime, quali grazie più apprezzabili non hai tusaputo acquistare! Oh Fanny! questo non è nè il temponè il luogo più conveniente per farti una proposizione sì

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seria quale è quella di unire i nostri destini. Potresti cre-dere ch'io volessi approfittare d'un momento d'ebbrezza.Scendiamo, mia buona amica: ripiglieremo questo di-scorso a miglior occasione. —

La povera Fanny era rapita in un'estasi deliziosa. Leparea di sognare ancora queste parole, come più volte leavea sognate senza sperare che s'avverassero mai![Pg 384]Scese a braccio di lui tutto il pendìo senza sentir sotto a'piedi la terra. Le acacie mosse dal vento spargevano dibianchi e odorosi fiori la via. Giunti sul limitare dellasua casa, si strinsero più strettamente la mano. Le labbraardenti del giovane sfiorarono le chiome di lei dalla not-turna rugiada inumidite e disciolte. Stettero alcuni mo-menti in quella affettuosa attitudine, e si separarono.

La fanciulla, oppressa dal peso della sua stessa felici-tà, non tardò a coricarsi; ma non dormì, come ognuno sipuò figurare. I suoi pensieri erano una preghiera, un rin-graziamento, un dubbio consolato dalla certezza, untrionfo dell'anima che poteva finalmente aspirare allepiù sublimi gioie della vita. — Ma la mattina seguentepensandovi a mente più riposata tornò seriamente al pri-mo proposito; e presa la penna cominciò a scrivere albuon Filippo una lettera in cui gli veniva esponendo isuoi dubbi, e la sua risoluzione di non legarsi con lui.«D'una cosa — diceva ella — io poveretta avevo biso-gno per non darmi alla disperazione: di sapermi non di-sprezzata, amata un poco da voi! Senza di questo la mia

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seria quale è quella di unire i nostri destini. Potresti cre-dere ch'io volessi approfittare d'un momento d'ebbrezza.Scendiamo, mia buona amica: ripiglieremo questo di-scorso a miglior occasione. —

La povera Fanny era rapita in un'estasi deliziosa. Leparea di sognare ancora queste parole, come più volte leavea sognate senza sperare che s'avverassero mai![Pg 384]Scese a braccio di lui tutto il pendìo senza sentir sotto a'piedi la terra. Le acacie mosse dal vento spargevano dibianchi e odorosi fiori la via. Giunti sul limitare dellasua casa, si strinsero più strettamente la mano. Le labbraardenti del giovane sfiorarono le chiome di lei dalla not-turna rugiada inumidite e disciolte. Stettero alcuni mo-menti in quella affettuosa attitudine, e si separarono.

La fanciulla, oppressa dal peso della sua stessa felici-tà, non tardò a coricarsi; ma non dormì, come ognuno sipuò figurare. I suoi pensieri erano una preghiera, un rin-graziamento, un dubbio consolato dalla certezza, untrionfo dell'anima che poteva finalmente aspirare allepiù sublimi gioie della vita. — Ma la mattina seguentepensandovi a mente più riposata tornò seriamente al pri-mo proposito; e presa la penna cominciò a scrivere albuon Filippo una lettera in cui gli veniva esponendo isuoi dubbi, e la sua risoluzione di non legarsi con lui.«D'una cosa — diceva ella — io poveretta avevo biso-gno per non darmi alla disperazione: di sapermi non di-sprezzata, amata un poco da voi! Senza di questo la mia

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vita mi sarebbe parsa una notte perpetua, e non avrei sa-puto affrontarla. Ora che voi avete detto d'amarmi.... iosono contenta.... La vostra mano riposò nella mia, il miocuore ha sentito il battito del vostro cuore: io posso rin-graziare il Signore di un tal benefizio. Questo pensieromi sarà sempre presente: questa rimembranza mi baste-rà. — Andate, caro Filippo, andate a Padova, date la vo-stra mano a quella d'una donna che unisca ai pregidell'animo, quelli ancora del corpo. Dio vi guardi dallostringere un vincolo di cui abbiate a pentirvi! Io ho pen-sato a questo nel monastero dove stetti un anno rinchiu-sa, e vi parlo per esperienza. Andate, Filippo, e se è pos-sibile, senza ch'io vi rivegga. Ora io posso ancora darviquesto consiglio: più tardi forse non[Pg 385] lo potrei. —Se sarete felice, pensate che una vostra parola bastò afar conoscere anche al mio cuore la felicità. Se saretesventurato, ricordatevi che avete un'amica nella vostra— Francesca.»

Quando Filippo ricevette questa lettera, ne aveva giàscritta un'altra al padre della fanciulla che gli era stataproposta — colla qual lettera, nella miglior maniera cheseppe, procurò di svincolarsi da ogni trattativa ulteriore.Impostata questa, corse dalla Francesca, e le disse ab-bracciandola che il suo foglio gli era giunto un po' trop-po tardi: che l'affare di Padova era già sciolto; ch'ellasola doveva essere la sua sposa. Aveva già fatto alcunipassi per avere un posto di direttore nella farmacia doveaveva fatto la pratica. Intanto pensava di recarsi a visita-

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vita mi sarebbe parsa una notte perpetua, e non avrei sa-puto affrontarla. Ora che voi avete detto d'amarmi.... iosono contenta.... La vostra mano riposò nella mia, il miocuore ha sentito il battito del vostro cuore: io posso rin-graziare il Signore di un tal benefizio. Questo pensieromi sarà sempre presente: questa rimembranza mi baste-rà. — Andate, caro Filippo, andate a Padova, date la vo-stra mano a quella d'una donna che unisca ai pregidell'animo, quelli ancora del corpo. Dio vi guardi dallostringere un vincolo di cui abbiate a pentirvi! Io ho pen-sato a questo nel monastero dove stetti un anno rinchiu-sa, e vi parlo per esperienza. Andate, Filippo, e se è pos-sibile, senza ch'io vi rivegga. Ora io posso ancora darviquesto consiglio: più tardi forse non[Pg 385] lo potrei. —Se sarete felice, pensate che una vostra parola bastò afar conoscere anche al mio cuore la felicità. Se saretesventurato, ricordatevi che avete un'amica nella vostra— Francesca.»

Quando Filippo ricevette questa lettera, ne aveva giàscritta un'altra al padre della fanciulla che gli era stataproposta — colla qual lettera, nella miglior maniera cheseppe, procurò di svincolarsi da ogni trattativa ulteriore.Impostata questa, corse dalla Francesca, e le disse ab-bracciandola che il suo foglio gli era giunto un po' trop-po tardi: che l'affare di Padova era già sciolto; ch'ellasola doveva essere la sua sposa. Aveva già fatto alcunipassi per avere un posto di direttore nella farmacia doveaveva fatto la pratica. Intanto pensava di recarsi a visita-

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re la sua famiglia per ottenere l'assenso al suo matrimo-nio. Fra due mesi sarebbe di ritorno.

Lascio qui la mia storia.... perchè mi mancano i docu-menti necessarii a continuarla. Ma tutti quelli che s'inte-ressano alla felicità della buona Francesca possono dor-mir tranquilli sul conto suo, ch'ella non si lagna più delvaiuolo che, alterando la purità de' suoi lineamenti,l'avea preservata da molti inganni e le aveva insegnatoche v'è qualche cosa di più durabile e di più possentedella bellezza esteriore nei pregi dello spirito e nei deli-cati sentimenti del cuore.

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re la sua famiglia per ottenere l'assenso al suo matrimo-nio. Fra due mesi sarebbe di ritorno.

Lascio qui la mia storia.... perchè mi mancano i docu-menti necessarii a continuarla. Ma tutti quelli che s'inte-ressano alla felicità della buona Francesca possono dor-mir tranquilli sul conto suo, ch'ella non si lagna più delvaiuolo che, alterando la purità de' suoi lineamenti,l'avea preservata da molti inganni e le aveva insegnatoche v'è qualche cosa di più durabile e di più possentedella bellezza esteriore nei pregi dello spirito e nei deli-cati sentimenti del cuore.

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IL PALAZZO DE' DIAVOLI.

I.

Sopra una delle porte di Siena sta scolpita questa bel-la iscrizione:

COR MAGIS TIBI SENA PANDIT

ch'io tradurrei a chi non sa di latino:Più largo t'apre il cor l'ospite Siena.

L'invito, come ognun vede, era seducente: ma, a po-chi passi di là, avevo letto un'altra iscrizione, che tenta-va ancor più la mia fantasia di poeta:

PALATIUM TURCARUM.

Io vado pazzo per le iscrizioni, massime per quelleche non intendo: onde lasciai da parte la prima, che nonpresentava alcun problema alla mia immaginazione, efui preso da una indomabile curiosità d'investigare l'ori-gine della seconda: Palazzo de' Turchi! I Turchi alleporte di Siena, città della Vergine! Civitas Virginis,come sta scritto sulle antiche monete della città ghibelli-na!

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Mentre ruminava nella mia mente una plausibile solu-zione a questo quesito, fui sopraggiunto, da un carbona-io, che guidava le sue mule cariche di carbone verso la

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IL PALAZZO DE' DIAVOLI.

I.

Sopra una delle porte di Siena sta scolpita questa bel-la iscrizione:

COR MAGIS TIBI SENA PANDIT

ch'io tradurrei a chi non sa di latino:Più largo t'apre il cor l'ospite Siena.

L'invito, come ognun vede, era seducente: ma, a po-chi passi di là, avevo letto un'altra iscrizione, che tenta-va ancor più la mia fantasia di poeta:

PALATIUM TURCARUM.

Io vado pazzo per le iscrizioni, massime per quelleche non intendo: onde lasciai da parte la prima, che nonpresentava alcun problema alla mia immaginazione, efui preso da una indomabile curiosità d'investigare l'ori-gine della seconda: Palazzo de' Turchi! I Turchi alleporte di Siena, città della Vergine! Civitas Virginis,come sta scritto sulle antiche monete della città ghibelli-na!

[Pg 387]

Mentre ruminava nella mia mente una plausibile solu-zione a questo quesito, fui sopraggiunto, da un carbona-io, che guidava le sue mule cariche di carbone verso la

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porta ospitale. — Amico carbonaio — diss'io col mi-glior garbo che seppi. Parlavo a un terrazzano del piùgarbato paese del mondo. — Amico carbonaio, saprestedirmi a chi appartenga questo palazzo?

— Codesto è il palazzo de' Diavoli, signore.

— De' Diavoli?

— Gnorsì, ed ora ci sta un canonico.

— Scusatemi, ma costì veggo scritto: Palazzo de' Tur-chi, Palatium Turcarum.

— Sarà benissimo come dice vossignoria. Io non sodi lettera, e mi rimetto. Già Turchi e Diavoli fa lo stes-so!

— E canonici — diss'io sottovoce.

Il carbonaio rispose con un certo sorriso senese, chevoleva dir tutto e nulla.

— Il canonico, signore, ci sta per convertire i Turchie per esorcizzare i diavoli. Gli è la più buona pastad'uomo che si conosca. Vede quella torre? Era mezzoruinata, non so se da' Turchi o dai diavoli, ed è lui chel'ha fatta ristaurare a sue spese, sì che par nuova di get-to. Ci dee avere speso di be' quattrini!

— E come bene spesi! — diss'io, dissimulando pure

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porta ospitale. — Amico carbonaio — diss'io col mi-glior garbo che seppi. Parlavo a un terrazzano del piùgarbato paese del mondo. — Amico carbonaio, saprestedirmi a chi appartenga questo palazzo?

— Codesto è il palazzo de' Diavoli, signore.

— De' Diavoli?

— Gnorsì, ed ora ci sta un canonico.

— Scusatemi, ma costì veggo scritto: Palazzo de' Tur-chi, Palatium Turcarum.

— Sarà benissimo come dice vossignoria. Io non sodi lettera, e mi rimetto. Già Turchi e Diavoli fa lo stes-so!

— E canonici — diss'io sottovoce.

Il carbonaio rispose con un certo sorriso senese, chevoleva dir tutto e nulla.

— Il canonico, signore, ci sta per convertire i Turchie per esorcizzare i diavoli. Gli è la più buona pastad'uomo che si conosca. Vede quella torre? Era mezzoruinata, non so se da' Turchi o dai diavoli, ed è lui chel'ha fatta ristaurare a sue spese, sì che par nuova di get-to. Ci dee avere speso di be' quattrini!

— E come bene spesi! — diss'io, dissimulando pure

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il mio pensiero su tutti i restauri in genere, e su codestoin ispecie.

La mia cara amica, Leopoldina Zanetti Barzino, hadisegnato per uso mio, e vorrei per vostro, o lettori, unaparte del palazzo anzidetto e la torricciuola che il buoncalonaco avea fatto tappare e intonacare di nuovo. Ba-date che la valente disegnatrice ha indovinato l'anticosotto il belletto canonicale, di che tutti gli amici dell'artele saranno tenuti.

[Pg 388]

Ma queste non erano osservazioni da farsi al buoncarbonaio. Onde ringraziandolo della sua cortesia, lo la-sciai proseguire colle sue mule. Rimasto solo, ricomin-ciai a guardare l'iscrizione, il palazzo, la torre rimpia-stricciata, e andava almanaccando fra me per raccapez-zare un legame, un rapporto qualunque fra l'epigrafe, latradizione ed il fatto. Mentre io me ne stavo così colmento all'aria, mi venne veduta la faccia rubizza e bene-vola del canonico ristauratore. Vedendomi così assorto,gli venne, credo, l'idea ch'io fossi edificato dell'operasua, e mi fece un cotal sorriso che equivaleva a un invi-to. Risposi io pure sorridendo e accettando.

Il canonico mandò la fante ad aprirmi la porta, e quasisenza pensarci, mi trovai nel suo salotto dinanzi a lui.

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il mio pensiero su tutti i restauri in genere, e su codestoin ispecie.

La mia cara amica, Leopoldina Zanetti Barzino, hadisegnato per uso mio, e vorrei per vostro, o lettori, unaparte del palazzo anzidetto e la torricciuola che il buoncalonaco avea fatto tappare e intonacare di nuovo. Ba-date che la valente disegnatrice ha indovinato l'anticosotto il belletto canonicale, di che tutti gli amici dell'artele saranno tenuti.

[Pg 388]

Ma queste non erano osservazioni da farsi al buoncarbonaio. Onde ringraziandolo della sua cortesia, lo la-sciai proseguire colle sue mule. Rimasto solo, ricomin-ciai a guardare l'iscrizione, il palazzo, la torre rimpia-stricciata, e andava almanaccando fra me per raccapez-zare un legame, un rapporto qualunque fra l'epigrafe, latradizione ed il fatto. Mentre io me ne stavo così colmento all'aria, mi venne veduta la faccia rubizza e bene-vola del canonico ristauratore. Vedendomi così assorto,gli venne, credo, l'idea ch'io fossi edificato dell'operasua, e mi fece un cotal sorriso che equivaleva a un invi-to. Risposi io pure sorridendo e accettando.

Il canonico mandò la fante ad aprirmi la porta, e quasisenza pensarci, mi trovai nel suo salotto dinanzi a lui.

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II.

Il canonico era di fatti il più dabbene e garbato uomodel mondo. Ancorchè avesse commesso quel malaugu-rato ristauro, e se ne vantasse colla maggior buona fedecome d'un'opera meritoria, era, come venni a conoscere,un diligente raccoglitore delle cronache patrie e di tuttele monete etrusche, com'ei diceva, che i contadini dis-sotterravano nei dintorni.

Fra le quali monete etrusche mi fece vedere egli stes-so la monetina senese colla leggenda: Sena vetus civitasVirginis, posteriore di certo alla battaglia di Mont'aperto,giacchè la città di Siena si diede appunto alla Vergine inquell'occasione. Il reverendo, facendomi osservare quel-la iscrizione, mi accennò la maligna interpretazione chene spacciavano i libertini, traducendo:

Siena vuota di citte. . . . .[Pg 389]

— Non so — egli disse — se sant'Orsola ci potesseora reclutare la sua legione di undicimila: ma profanarea questo modo le cose sante, per calunniare la virtù delbel sesso senese, questa è cosa che fa poco onoreall'intelligenza e alla moralità degli interpreti! —

Io scrollai il capo con santa indignazione, e disappro-vai, com'era di dovere, l'invereconda e maligna supposi-zione.

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II.

Il canonico era di fatti il più dabbene e garbato uomodel mondo. Ancorchè avesse commesso quel malaugu-rato ristauro, e se ne vantasse colla maggior buona fedecome d'un'opera meritoria, era, come venni a conoscere,un diligente raccoglitore delle cronache patrie e di tuttele monete etrusche, com'ei diceva, che i contadini dis-sotterravano nei dintorni.

Fra le quali monete etrusche mi fece vedere egli stes-so la monetina senese colla leggenda: Sena vetus civitasVirginis, posteriore di certo alla battaglia di Mont'aperto,giacchè la città di Siena si diede appunto alla Vergine inquell'occasione. Il reverendo, facendomi osservare quel-la iscrizione, mi accennò la maligna interpretazione chene spacciavano i libertini, traducendo:

Siena vuota di citte. . . . .[Pg 389]

— Non so — egli disse — se sant'Orsola ci potesseora reclutare la sua legione di undicimila: ma profanarea questo modo le cose sante, per calunniare la virtù delbel sesso senese, questa è cosa che fa poco onoreall'intelligenza e alla moralità degli interpreti! —

Io scrollai il capo con santa indignazione, e disappro-vai, com'era di dovere, l'invereconda e maligna supposi-zione.

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— Le donne di Siena, signore — riprese il canonico— furono sempre decantate per la loro bellezza e per laloro singolare modestia. — E qui mi sciorinò non soquante citazioni e storie e leggende, che a volerle ripete-re sarei troppo lungo, e porterei come dicevano i Greci,civette in Atene.

Fra i nomi che il galante calonaco mi citò, vi fu quel-lo della rossa Marsigli, che, rapita da' Turchi, e divenutasultana, serbò la sua fede e la sua virtù fino fra i bo-schetti profumati del Bosforo e fra le mura dipintedell'aremme imperiale.

— La rossa Marsigli! — diss'io. — Non intesi maiquesto nome, e vi sarei ben tenuto se vi piacesse infor-marmi de' fatti suoi. — Il cronacofilo si mostrò lietodella domanda, e superbo di poterla soddisfare all'istan-te. Corse ad uno scaffale della sua libreria, e ne trasse uncodice in pergamena, dove il suo occhio esercitato trovòin un attimo il nome della eroina e un commentario as-sai diffuso delle sue strane avventure. — Il libro noldice — soggiunse il calonaco, — ma io credo poter af-fermare che la rossa Marsigli non dovette essere stranie-ra a questo palazzo, e gli è fin d'allora che il vulgo mutòil nome de' Turchi in quello de' Diavoli.

In questo la fante, che aveva anch'essa i capelli di unbiondo ardente, forse in commemorazione della Marsi-gli, venne ad annunziare al padrone che la cena era le-

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— Le donne di Siena, signore — riprese il canonico— furono sempre decantate per la loro bellezza e per laloro singolare modestia. — E qui mi sciorinò non soquante citazioni e storie e leggende, che a volerle ripete-re sarei troppo lungo, e porterei come dicevano i Greci,civette in Atene.

Fra i nomi che il galante calonaco mi citò, vi fu quel-lo della rossa Marsigli, che, rapita da' Turchi, e divenutasultana, serbò la sua fede e la sua virtù fino fra i bo-schetti profumati del Bosforo e fra le mura dipintedell'aremme imperiale.

— La rossa Marsigli! — diss'io. — Non intesi maiquesto nome, e vi sarei ben tenuto se vi piacesse infor-marmi de' fatti suoi. — Il cronacofilo si mostrò lietodella domanda, e superbo di poterla soddisfare all'istan-te. Corse ad uno scaffale della sua libreria, e ne trasse uncodice in pergamena, dove il suo occhio esercitato trovòin un attimo il nome della eroina e un commentario as-sai diffuso delle sue strane avventure. — Il libro noldice — soggiunse il calonaco, — ma io credo poter af-fermare che la rossa Marsigli non dovette essere stranie-ra a questo palazzo, e gli è fin d'allora che il vulgo mutòil nome de' Turchi in quello de' Diavoli.

In questo la fante, che aveva anch'essa i capelli di unbiondo ardente, forse in commemorazione della Marsi-gli, venne ad annunziare al padrone che la cena era le-

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sta.

[Pg 390]

— Spero che vorrete dividerla meco, per modesta chesia, — diss'egli rivolgendosi a me con quella franca cor-tesia che non lascia luogo a rifiuto.

Accettai la cena per desiderio della leggenda. Ci siamdivisi una dozzina d'allodole egregiamente arrostite, pri-mizia del paretaio canonicale, e le seppellimmo cristia-namente, inaffiandole con abbondanti libazioni di squi-sitissimo vino di Chianti.

— Codesto — diss'egli — non viene dalla cantina delgovernatore generale della Toscana, barone Bettino Ri-casoli, miglior enologo che politico — aggiunse arguta-mente il calonaco: — ma benchè rosso, non arrossisceper la vergogna. Assaggiatelo e pronunciate. —

Io riunii le dita sul labbro, e manifestai con un baciola mia opinione sul vino, senza pronunciarmi sulla poli-tica del fiero castellano di Brolio.

III.

Vuotato il fiasco, si venne alla storia della rossa Mar-sigli. La fantesca faceva capolino tratto tratto dall'uscio,sospettando forse da quell'epiteto che si parlasse di lei:ma forse era una semplice curiosità femminina, molto

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sta.

[Pg 390]

— Spero che vorrete dividerla meco, per modesta chesia, — diss'egli rivolgendosi a me con quella franca cor-tesia che non lascia luogo a rifiuto.

Accettai la cena per desiderio della leggenda. Ci siamdivisi una dozzina d'allodole egregiamente arrostite, pri-mizia del paretaio canonicale, e le seppellimmo cristia-namente, inaffiandole con abbondanti libazioni di squi-sitissimo vino di Chianti.

— Codesto — diss'egli — non viene dalla cantina delgovernatore generale della Toscana, barone Bettino Ri-casoli, miglior enologo che politico — aggiunse arguta-mente il calonaco: — ma benchè rosso, non arrossisceper la vergogna. Assaggiatelo e pronunciate. —

Io riunii le dita sul labbro, e manifestai con un baciola mia opinione sul vino, senza pronunciarmi sulla poli-tica del fiero castellano di Brolio.

III.

Vuotato il fiasco, si venne alla storia della rossa Mar-sigli. La fantesca faceva capolino tratto tratto dall'uscio,sospettando forse da quell'epiteto che si parlasse di lei:ma forse era una semplice curiosità femminina, molto

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scusabile in lei, se io che non ho i capelli rossi e non ve-sto gonnella, avevo pur mostrato tanta vaghezza di saperquella storia.

Il canonico si asterse le labbra e la faccia rubiconda, eprese a parlare.

— Che i Turchi nemici acerrimi del nome cristiano,fossero a poche miglia di qua, nei secoli andati, non cre-do necessario di rammentarlo ad un uomo erudito, comeè senza dubbio la Signoria Vostra. —

Io chinai la testa, col doppio intendimento di mostrar-mi[Pg 391] informato delle incursioni ottomane, e ringra-ziare il canonico del complimento.

— Se Siena — riprese egli — fu illesa da quella pe-stifera irruzione, lo deve senz'altro ad una grazia specia-le della sua divina patrona, che la coperse una secondavolta del suo virginale paludamento. Senza questo, lamalevola interpretazione data dai libertini senesi allamoneta etrusca che vi ho mostrato testè, sarebbe statapur troppo una verità. Non sarebbe stata la prima voltache gl'infedeli ottomani levassero quell'osceno tributodai paesi infestati dalla loro impura presenza.

Viveva in quel tempo nella città di Siena una famigliaMarsigli, della quale era decoro grandissimo una fan-ciulla conosciuta nella città e ne' dintorni col sopranno-me di rossa. Era un colore di capelli assai pregiato in

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scusabile in lei, se io che non ho i capelli rossi e non ve-sto gonnella, avevo pur mostrato tanta vaghezza di saperquella storia.

Il canonico si asterse le labbra e la faccia rubiconda, eprese a parlare.

— Che i Turchi nemici acerrimi del nome cristiano,fossero a poche miglia di qua, nei secoli andati, non cre-do necessario di rammentarlo ad un uomo erudito, comeè senza dubbio la Signoria Vostra. —

Io chinai la testa, col doppio intendimento di mostrar-mi[Pg 391] informato delle incursioni ottomane, e ringra-ziare il canonico del complimento.

— Se Siena — riprese egli — fu illesa da quella pe-stifera irruzione, lo deve senz'altro ad una grazia specia-le della sua divina patrona, che la coperse una secondavolta del suo virginale paludamento. Senza questo, lamalevola interpretazione data dai libertini senesi allamoneta etrusca che vi ho mostrato testè, sarebbe statapur troppo una verità. Non sarebbe stata la prima voltache gl'infedeli ottomani levassero quell'osceno tributodai paesi infestati dalla loro impura presenza.

Viveva in quel tempo nella città di Siena una famigliaMarsigli, della quale era decoro grandissimo una fan-ciulla conosciuta nella città e ne' dintorni col sopranno-me di rossa. Era un colore di capelli assai pregiato in

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Page 501: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

quel tempo, come apparisce nei quadri dell'epoca, overicorre assai di frequente. Il Pinturicchio ha di molterosse ne' suoi dipinti, e noi abbiamo nella scuola senesemolti angeli e molte immagini di Nostra Donna colla ca-pigliatura più fulva che bionda.

La rossa Marsigli era dunque divenuta assai celebreper questa e per le terre vicine, tanto che la fama negiunse all'esercito dei Turchi, accampato nelle Marem-me.

A Siena non fu mai penuria di uomini vani e malizio-si, che postergano la dignità della patria ai loro partico-lari interessi e all'avidità di guadagno. La giovanettaMarsigli fu persuasa da cotestoro a girne a diporto unasera per questa via. La bella giovane vi andò, senza pen-sare al pericolo che le soprastava: quando giunta che fua questo luogo, fu circondata da alcuni uomini masche-rati, ch'ella prese per diavoli, e fu rapita e data in manoai Saracini. Quando i capitani dell'esercito turco viderotanta bellezza, vennero alle mani fra loro per disputarse-la, e molti di essi restarono vittime de' loro[Pg 392] malna-ti desiderii. La giovanetta assisteva più morta che viva aquelle contese, e pregava la Vergine di Siena che la vo-lesse salvare dalle loro mani e restituire alla sua fami-glia.

Ma il Signore la serbava ad altri destini. Un vecchioturco, credo fosse un sacerdote del falso profeta Mao-

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quel tempo, come apparisce nei quadri dell'epoca, overicorre assai di frequente. Il Pinturicchio ha di molterosse ne' suoi dipinti, e noi abbiamo nella scuola senesemolti angeli e molte immagini di Nostra Donna colla ca-pigliatura più fulva che bionda.

La rossa Marsigli era dunque divenuta assai celebreper questa e per le terre vicine, tanto che la fama negiunse all'esercito dei Turchi, accampato nelle Marem-me.

A Siena non fu mai penuria di uomini vani e malizio-si, che postergano la dignità della patria ai loro partico-lari interessi e all'avidità di guadagno. La giovanettaMarsigli fu persuasa da cotestoro a girne a diporto unasera per questa via. La bella giovane vi andò, senza pen-sare al pericolo che le soprastava: quando giunta che fua questo luogo, fu circondata da alcuni uomini masche-rati, ch'ella prese per diavoli, e fu rapita e data in manoai Saracini. Quando i capitani dell'esercito turco viderotanta bellezza, vennero alle mani fra loro per disputarse-la, e molti di essi restarono vittime de' loro[Pg 392] malna-ti desiderii. La giovanetta assisteva più morta che viva aquelle contese, e pregava la Vergine di Siena che la vo-lesse salvare dalle loro mani e restituire alla sua fami-glia.

Ma il Signore la serbava ad altri destini. Un vecchioturco, credo fosse un sacerdote del falso profeta Mao-

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Page 502: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

metto, sentenziò che una così divina bellezza doveva es-ser riserbata al serraglio dell'imperatore di Costantino-poli, che si chiamava Solimano II. Tale essere la volontàdel profeta, e nessuno osasse torcer un capello a quelladonzella.

Benchè ella non comprendesse il linguaggio del vec-chio musulmano, pure vedendo che i suoi rapitori si riti-ravano riverenti alle parole di lui, si sentì rincorare dauna voce interiore, e come da un secreto presentimentodi ciò che il Signore le riserbava negl'imperscrutabilisuoi disegni.

Ella fu condotta sana e salva a Costantinopoli, e pre-sentata al Sultano, che s'invaghì subitamente di lei, e lefece aprire il più splendido appartamento del suo serra-glio.

È fama che l'imperatore Solimano II, benchè infedele,fosse dotato d'animo gentile e di costumi assai tempe-ranti. La bella senese non tardò molto a cattivarsi l'ani-mo di quel principe, sia colla bellezza straordinaria delvolto e della persona, sia colle grazie dell'ingegno e del-la loquela. Ella gli parlava sovente della sua patria e del-le splendide chiese ond'era superba; e un giorno che ilSultano si mostrava più del solito benigno verso di lei, ela eccitava a domandare qualunque dono o favore le ta-lentasse, la sagace fanciulla lo prese in parola, e lo in-dusse a far costruire una chiesa cristiana, sul modello

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metto, sentenziò che una così divina bellezza doveva es-ser riserbata al serraglio dell'imperatore di Costantino-poli, che si chiamava Solimano II. Tale essere la volontàdel profeta, e nessuno osasse torcer un capello a quelladonzella.

Benchè ella non comprendesse il linguaggio del vec-chio musulmano, pure vedendo che i suoi rapitori si riti-ravano riverenti alle parole di lui, si sentì rincorare dauna voce interiore, e come da un secreto presentimentodi ciò che il Signore le riserbava negl'imperscrutabilisuoi disegni.

Ella fu condotta sana e salva a Costantinopoli, e pre-sentata al Sultano, che s'invaghì subitamente di lei, e lefece aprire il più splendido appartamento del suo serra-glio.

È fama che l'imperatore Solimano II, benchè infedele,fosse dotato d'animo gentile e di costumi assai tempe-ranti. La bella senese non tardò molto a cattivarsi l'ani-mo di quel principe, sia colla bellezza straordinaria delvolto e della persona, sia colle grazie dell'ingegno e del-la loquela. Ella gli parlava sovente della sua patria e del-le splendide chiese ond'era superba; e un giorno che ilSultano si mostrava più del solito benigno verso di lei, ela eccitava a domandare qualunque dono o favore le ta-lentasse, la sagace fanciulla lo prese in parola, e lo in-dusse a far costruire una chiesa cristiana, sul modello

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della cattedrale di Siena. In quella chiesa soltanto essaconsentirebbe a dargli la mano di sposa, poichè le sareb-be[Pg 393] sembrato di essere in patria e di legarsi in ma-trimonio con alcun principe della sua fede.

Il Sultano, o fosse benignità dell'animo suo, o il gran-de amore che portava alla giovanetta, o fosse tocco daun impulso secreto della grazia santificante, condiscesealla domanda della sagace donzella, e fece costruire inmezzo a Costantinopoli un magnifico tempio dedicatoalla Madre del gran profeta de' Cristiani.

Ivi il Sultano consentì a legarsi in matrimonio collafulva senese, non secondo il facile rito de' Turchi, masecondo il rito della santa Chiesa cattolica, promettendodi rispettare la fede della sua legittima sposa, e proteg-gere i Cristiani che volessero adorare il Signore in queltempio secondo il loro culto e le consuetudini de' mag-giori.

Questa fu la prima Sultana di Costantinopoli che fos-se e rimanesse cristiana, e se altre fossero state virtuosee prudenti al pari di lei, forse a quest'ora in cui siamo,molte contaminazioni e molte stragi sarebbero state ri-sparmiate, e la principale moschea di Bisanzio sarebbeancora la chiesa di Santa Sofia.

Qui finisce la storia della nobile donzella senese, co-nosciuta sotto il nome della rossa Marsigli, e questo val-ga a mostrare al mondo quanta sia la virtù e la prudenza

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della cattedrale di Siena. In quella chiesa soltanto essaconsentirebbe a dargli la mano di sposa, poichè le sareb-be[Pg 393] sembrato di essere in patria e di legarsi in ma-trimonio con alcun principe della sua fede.

Il Sultano, o fosse benignità dell'animo suo, o il gran-de amore che portava alla giovanetta, o fosse tocco daun impulso secreto della grazia santificante, condiscesealla domanda della sagace donzella, e fece costruire inmezzo a Costantinopoli un magnifico tempio dedicatoalla Madre del gran profeta de' Cristiani.

Ivi il Sultano consentì a legarsi in matrimonio collafulva senese, non secondo il facile rito de' Turchi, masecondo il rito della santa Chiesa cattolica, promettendodi rispettare la fede della sua legittima sposa, e proteg-gere i Cristiani che volessero adorare il Signore in queltempio secondo il loro culto e le consuetudini de' mag-giori.

Questa fu la prima Sultana di Costantinopoli che fos-se e rimanesse cristiana, e se altre fossero state virtuosee prudenti al pari di lei, forse a quest'ora in cui siamo,molte contaminazioni e molte stragi sarebbero state ri-sparmiate, e la principale moschea di Bisanzio sarebbeancora la chiesa di Santa Sofia.

Qui finisce la storia della nobile donzella senese, co-nosciuta sotto il nome della rossa Marsigli, e questo val-ga a mostrare al mondo quanta sia la virtù e la prudenza

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di che sono capaci le donne di Siena, quando sono ispi-rate alla grazia divina....

— E dotate di una bella capigliatura rossa — con-chiusi io.

Il mio narratore stette alquanto sospeso se doveva of-fendersi della mia celia: ma vedendomi quasi contritod'averlo interrotto a quel modo, si contentò di ridernemeco, bevendo alla salute del bel sesso senese, di qua-lunque colore egli sia. Io bevetti con esso del migliorcuore del mondo, facendo onorevole ammenda dellamia[Pg 394] improntitudine, e ci stringemmo la mano dabuoni amici e da buoni cristiani.

IV.

— Ma voi non mi lascerete a quest'ora — disse ilbuon canonico della Torre de' Diavoli. — Ho ancoramolte cose a mostrarvi, che sono degne della vostra at-tenzione. —

Io accennai la notte ch'era già scura, e aggiunsi nonso quali ragioni per andarmene a casa.

— A casa? — diss'egli: — è già molto tardi. Malgra-do la scritta incisa colà sul frontone, Siena non apre aquest'ora nè le porte nè il cuore.

— Dite il vero — soggiunse con una cert'aria di beffa

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di che sono capaci le donne di Siena, quando sono ispi-rate alla grazia divina....

— E dotate di una bella capigliatura rossa — con-chiusi io.

Il mio narratore stette alquanto sospeso se doveva of-fendersi della mia celia: ma vedendomi quasi contritod'averlo interrotto a quel modo, si contentò di ridernemeco, bevendo alla salute del bel sesso senese, di qua-lunque colore egli sia. Io bevetti con esso del migliorcuore del mondo, facendo onorevole ammenda dellamia[Pg 394] improntitudine, e ci stringemmo la mano dabuoni amici e da buoni cristiani.

IV.

— Ma voi non mi lascerete a quest'ora — disse ilbuon canonico della Torre de' Diavoli. — Ho ancoramolte cose a mostrarvi, che sono degne della vostra at-tenzione. —

Io accennai la notte ch'era già scura, e aggiunsi nonso quali ragioni per andarmene a casa.

— A casa? — diss'egli: — è già molto tardi. Malgra-do la scritta incisa colà sul frontone, Siena non apre aquest'ora nè le porte nè il cuore.

— Dite il vero — soggiunse con una cert'aria di beffa

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— voi non avete fegato che vi basti per passare la nottenel palazzo de' Diavoli.

— Voi mi sfidate — diss'io.

— Vi sfido — rispose col miglior garbo del mondo.— Mostratemi col fatto che siete quello spirito forte chevi vantate. C'è una cameruccia per voi appunto nella tor-ricciuola che ho ristaurato. L'avevo destinata alla mianipote che avete veduta: ma non ci fu caso che volessedormire costì tutta sola. Tocca a voi romper l'incanto, emostrare alla scioccherella che non c'è Turchi nè diavolia' tempi nostri.

— E se vi fossero? — diss'io sorridendo.

— Allora, non ve ne saranno più domattina, perchèvoi li avrete ridotti al dovere o gittati dalla finestra. —

Che avresti risposto, o lettore? — Io accettai di passa-re la notte dove avevo trovata una sì lepida cena.

La bionda fantesca, che il reverendo m'avea designataper sua nipote, a un cenno di lui si assentò, e[Pg 395] dopopoco ricomparve con una lucerna a tre becchi offerendo-si d'indicarmi la camera a me destinata.

Io strinsi la mano al mio ospite, e la seguii.

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— voi non avete fegato che vi basti per passare la nottenel palazzo de' Diavoli.

— Voi mi sfidate — diss'io.

— Vi sfido — rispose col miglior garbo del mondo.— Mostratemi col fatto che siete quello spirito forte chevi vantate. C'è una cameruccia per voi appunto nella tor-ricciuola che ho ristaurato. L'avevo destinata alla mianipote che avete veduta: ma non ci fu caso che volessedormire costì tutta sola. Tocca a voi romper l'incanto, emostrare alla scioccherella che non c'è Turchi nè diavolia' tempi nostri.

— E se vi fossero? — diss'io sorridendo.

— Allora, non ve ne saranno più domattina, perchèvoi li avrete ridotti al dovere o gittati dalla finestra. —

Che avresti risposto, o lettore? — Io accettai di passa-re la notte dove avevo trovata una sì lepida cena.

La bionda fantesca, che il reverendo m'avea designataper sua nipote, a un cenno di lui si assentò, e[Pg 395] dopopoco ricomparve con una lucerna a tre becchi offerendo-si d'indicarmi la camera a me destinata.

Io strinsi la mano al mio ospite, e la seguii.

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Page 506: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

V.

Ella posò la lucerna a tre becchi sullo sgabello dinoce intagliato, che stava accanto a un pulito e candidoletticciuolo. E auguratami appena la buona notte, uscìrapidamente, come avesse avuto paura di qualche appa-rizione diabolica.... o d'altra cosa che fosse.

Le lenzuola erano di bucato, e mandavano un delizio-so odore di rosa e di spigo. Sullo sgabello stava un ritua-le colle antiche formule cattoliche per esorcizzare glispiriti. Dalla parete pendeva un acquasantino di Lucadella Robbia, colla sua frasca indispensabile d'ulivo be-nedetto.

Spinsi l'imposta della finestra rotonda. Era uno stella-to magnifico. Gli astri scintillavano sopra una volta difitto azzurro, tanto che la lor luce bastava, anche senzala luna, a illuminare di un misterioso bagliore la circo-stante natura. Sorgeva a levante la snella e fantasticatorre del palazzo di città. Nessuna voce, nessun rumoreturbava quel profondo silenzio, tranne il modulato sin-gulto dell'assiolo. Se v'era notte in cui la fantasia d'unpoeta potesse evocare gli abitatori d'un mondo diversodal nostro, certo era quella.

Ma il vino di Chianti m'aveva infuso più volontà didormire che ispirazione per una ballata alla Goethe.Quindi richiusi la finestrina, e mi coricai senza pensare

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V.

Ella posò la lucerna a tre becchi sullo sgabello dinoce intagliato, che stava accanto a un pulito e candidoletticciuolo. E auguratami appena la buona notte, uscìrapidamente, come avesse avuto paura di qualche appa-rizione diabolica.... o d'altra cosa che fosse.

Le lenzuola erano di bucato, e mandavano un delizio-so odore di rosa e di spigo. Sullo sgabello stava un ritua-le colle antiche formule cattoliche per esorcizzare glispiriti. Dalla parete pendeva un acquasantino di Lucadella Robbia, colla sua frasca indispensabile d'ulivo be-nedetto.

Spinsi l'imposta della finestra rotonda. Era uno stella-to magnifico. Gli astri scintillavano sopra una volta difitto azzurro, tanto che la lor luce bastava, anche senzala luna, a illuminare di un misterioso bagliore la circo-stante natura. Sorgeva a levante la snella e fantasticatorre del palazzo di città. Nessuna voce, nessun rumoreturbava quel profondo silenzio, tranne il modulato sin-gulto dell'assiolo. Se v'era notte in cui la fantasia d'unpoeta potesse evocare gli abitatori d'un mondo diversodal nostro, certo era quella.

Ma il vino di Chianti m'aveva infuso più volontà didormire che ispirazione per una ballata alla Goethe.Quindi richiusi la finestrina, e mi coricai senza pensare

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nè ai Turchi, nè ai diavoli, nè alla rossa Marsigli, sultanacattolica di Costantinopoli e legittima sposa di SolimanoII. Solamente, per l'abitudine letterata che mi[Pg 396] per-segue, presi in mano il rituale, e lessi la formula degliesorcismi. La lessi a metà, poichè il sonno mi sorprese,e passai dal mondo reale a quello stato d'oblìo ch'èun'altra pagina misteriosa della nostra esistenza.

Soddisfatto al bisogno de' sensi con alcune ore di son-no tranquillo e profondo, la fantasia cominciò a risve-gliarsi, ricomponendo nel mio cervello le varie idee e levarie imagini che vi avevano lasciata una più viva im-pressione.

La prima apparizione ch'io vedessi sorgermi innanzi,fu la gentile fantesca che mi aveva augurata la buonanotte. Io la vedeva come l'avessi presente, co' suoi occhigrigi e co' suoi capegli d'un biondo acceso, graziosa-mente rilevati sopra la fronte. Poi la nipote del calonacoospitale mutava d'aspetto, e pur conservando il coloredegli occhi e de' capelli, prendeva l'aspetto d'una don-zella d'alto lignaggio, assisa su' suoi talloni secondo ilcostume orientale, in un chiosco elegante, rinfrescato dauno zampillo d'acqua sorgente, che ricadea mormorandoin una vasca d'alabastro purissimo. L'odalisca raccoglie-va le lunghe trecce de' suoi capelli fulvi entro una reti-cella azzurra tempestata di brillanti e di stellucce d'oro.Ella cantava, accompagnandosi con un liuto d'anticafoggia, alcuni brevi ed arguti stornellini senesi.

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nè ai Turchi, nè ai diavoli, nè alla rossa Marsigli, sultanacattolica di Costantinopoli e legittima sposa di SolimanoII. Solamente, per l'abitudine letterata che mi[Pg 396] per-segue, presi in mano il rituale, e lessi la formula degliesorcismi. La lessi a metà, poichè il sonno mi sorprese,e passai dal mondo reale a quello stato d'oblìo ch'èun'altra pagina misteriosa della nostra esistenza.

Soddisfatto al bisogno de' sensi con alcune ore di son-no tranquillo e profondo, la fantasia cominciò a risve-gliarsi, ricomponendo nel mio cervello le varie idee e levarie imagini che vi avevano lasciata una più viva im-pressione.

La prima apparizione ch'io vedessi sorgermi innanzi,fu la gentile fantesca che mi aveva augurata la buonanotte. Io la vedeva come l'avessi presente, co' suoi occhigrigi e co' suoi capegli d'un biondo acceso, graziosa-mente rilevati sopra la fronte. Poi la nipote del calonacoospitale mutava d'aspetto, e pur conservando il coloredegli occhi e de' capelli, prendeva l'aspetto d'una don-zella d'alto lignaggio, assisa su' suoi talloni secondo ilcostume orientale, in un chiosco elegante, rinfrescato dauno zampillo d'acqua sorgente, che ricadea mormorandoin una vasca d'alabastro purissimo. L'odalisca raccoglie-va le lunghe trecce de' suoi capelli fulvi entro una reti-cella azzurra tempestata di brillanti e di stellucce d'oro.Ella cantava, accompagnandosi con un liuto d'anticafoggia, alcuni brevi ed arguti stornellini senesi.

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Quando, tutt'ad un tratto, le porte del gineceo si spa-lancano. Alcuni paggi sfarzosamente vestiti si accostanoalla gentil trovatrice e l'invitano a recarsi alla vicina mo-schea. Un magnifico personaggio, vestito di ermellino eornato il capo d'un turbante di finissimo casimiro, la sta-va attendendo colle braccia aperte, porgendole un anellodi squisito lavoro. Due altri personaggi stavano in piedi,l'uno a destra del Sultano e l'altro a sinistra. L'uno era ilgran Muftì, primo interprete del Corano, l'altro il Pa-triarca di Costantinopoli. Il Muftì[Pg 397] prese la manodel principe, il primate della Chiesa orientale presequella della fanciulla, e tutti e due pronunciarono le pa-role sacramentali, l'uno invocando sui due sposi la pacedi Allah, l'altro tutte le benedizioni del Dio d'Israele.

Ma alcuni uomini mascherati da diavoli se ne stavanoin piedi dinanzi alla porta della moschea. Appena il Sul-tano ebbe passata la soglia, porgendo signorilmente lamano alla sua giovane sposa, quei manigoldi si gettaro-no sopra di lui e lo stesero morto sul suolo. Poi afferran-do brutalmente la donna svenuta per lo spavento, la tras-sero al porto vicino, e l'imbarcarono sopra una navepronta a salpare per l'Occidente.

Il mio sogno qui s'interruppe. Evidentemente la miafantasia non aveva voluto imbarcarsi colla fanciulla perquel lungo viaggio di mare. Ma passato un certo inter-vallo, ch'io non ho dati per misurare, ecco di nuovo ap-parire dinanzi a me la rossa Marsigli. Il buon canonico

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Quando, tutt'ad un tratto, le porte del gineceo si spa-lancano. Alcuni paggi sfarzosamente vestiti si accostanoalla gentil trovatrice e l'invitano a recarsi alla vicina mo-schea. Un magnifico personaggio, vestito di ermellino eornato il capo d'un turbante di finissimo casimiro, la sta-va attendendo colle braccia aperte, porgendole un anellodi squisito lavoro. Due altri personaggi stavano in piedi,l'uno a destra del Sultano e l'altro a sinistra. L'uno era ilgran Muftì, primo interprete del Corano, l'altro il Pa-triarca di Costantinopoli. Il Muftì[Pg 397] prese la manodel principe, il primate della Chiesa orientale presequella della fanciulla, e tutti e due pronunciarono le pa-role sacramentali, l'uno invocando sui due sposi la pacedi Allah, l'altro tutte le benedizioni del Dio d'Israele.

Ma alcuni uomini mascherati da diavoli se ne stavanoin piedi dinanzi alla porta della moschea. Appena il Sul-tano ebbe passata la soglia, porgendo signorilmente lamano alla sua giovane sposa, quei manigoldi si gettaro-no sopra di lui e lo stesero morto sul suolo. Poi afferran-do brutalmente la donna svenuta per lo spavento, la tras-sero al porto vicino, e l'imbarcarono sopra una navepronta a salpare per l'Occidente.

Il mio sogno qui s'interruppe. Evidentemente la miafantasia non aveva voluto imbarcarsi colla fanciulla perquel lungo viaggio di mare. Ma passato un certo inter-vallo, ch'io non ho dati per misurare, ecco di nuovo ap-parire dinanzi a me la rossa Marsigli. Il buon canonico

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la riceveva dalle mani de' suoi rapitori umiliati e confu-si, e la riconduceva fra le braccia de' suoi genitori, chela piangevano da molti anni come perduta.

Io assistetti agli abbracciamenti, ai baci, alle lagrimedi gioia che versavano i due vecchi e la giovane. Il so-gno era così vero e parlante, ch'io ne provai una com-mozione reale, e risvegliandomi a un tratto, mi trovai gliocchi molli di pianto.

Il fatto sta ch'era giorno. Il canonico, avvezzo a levar-si coll'alba per andare al paretaio, era venuto a sincerarsiche i diavoli avevano rispettato le leggi dell'ospitalità.

Gli raccontai il mio sogno, tale quale mi fu dato rac-capezzarlo, facendo a lui le mie scuse per non aver sa-puto connettere in miglior modo le fila della leggendach'ei m'avea raccontato la sera.

[Pg 398]

Lo stesso faccio con voi miei cortesi lettori, e con tespecialmente, gentile giovanetta dalle fulve chiome, chemeritavi d'ispirare sogni migliori e fantasie più leggia-dre che non sono le mie.

— Del resto, monsignore, questo è in parte l'operavostra. Perchè farmi trovare costì accanto al letto il vo-stro rituale degli esorcismi? Lo esorcismo chiama il dia-volo, più che nol cacci, e questa è la ragione dell'episo-

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la riceveva dalle mani de' suoi rapitori umiliati e confu-si, e la riconduceva fra le braccia de' suoi genitori, chela piangevano da molti anni come perduta.

Io assistetti agli abbracciamenti, ai baci, alle lagrimedi gioia che versavano i due vecchi e la giovane. Il so-gno era così vero e parlante, ch'io ne provai una com-mozione reale, e risvegliandomi a un tratto, mi trovai gliocchi molli di pianto.

Il fatto sta ch'era giorno. Il canonico, avvezzo a levar-si coll'alba per andare al paretaio, era venuto a sincerarsiche i diavoli avevano rispettato le leggi dell'ospitalità.

Gli raccontai il mio sogno, tale quale mi fu dato rac-capezzarlo, facendo a lui le mie scuse per non aver sa-puto connettere in miglior modo le fila della leggendach'ei m'avea raccontato la sera.

[Pg 398]

Lo stesso faccio con voi miei cortesi lettori, e con tespecialmente, gentile giovanetta dalle fulve chiome, chemeritavi d'ispirare sogni migliori e fantasie più leggia-dre che non sono le mie.

— Del resto, monsignore, questo è in parte l'operavostra. Perchè farmi trovare costì accanto al letto il vo-stro rituale degli esorcismi? Lo esorcismo chiama il dia-volo, più che nol cacci, e questa è la ragione dell'episo-

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dio incoerente e ridicolo che guastò la fine della miastoria.

— Il bello sta appunto nel fine — disse il canonico.— È molto più morale l'aver ricondotto a casa e in terracristiana la nostra eroina, che lasciarla costì nel serraglioin mezzo agl'infedeli e agli eunuchi.

— Ma quei diavoli che intervengono così a sproposi-to?

— Il diavolo mette sempre la sua coda dove gli piace.E se fa de' brutti tiri nel nostro mondo, può farne alcunodi buono nel mondo de' sogni e delle chimere. E badate,che forse non eran diavoli veri. Voi stesso mi ditech'erano maschere. Lasciamo dunque la cosa come sta, ese alcuno la vuole più bella, se la rifaccia.

[Pg 399]

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dio incoerente e ridicolo che guastò la fine della miastoria.

— Il bello sta appunto nel fine — disse il canonico.— È molto più morale l'aver ricondotto a casa e in terracristiana la nostra eroina, che lasciarla costì nel serraglioin mezzo agl'infedeli e agli eunuchi.

— Ma quei diavoli che intervengono così a sproposi-to?

— Il diavolo mette sempre la sua coda dove gli piace.E se fa de' brutti tiri nel nostro mondo, può farne alcunodi buono nel mondo de' sogni e delle chimere. E badate,che forse non eran diavoli veri. Voi stesso mi ditech'erano maschere. Lasciamo dunque la cosa come sta, ese alcuno la vuole più bella, se la rifaccia.

[Pg 399]

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UN VIAGGETTO NUZIALE.

I.

Il mare e la terra.

— S'io fossi in voi, mia cara Claudina, vorrei proprioabbandonarne il pensiero....

— Oibò, signorino! Ponetevi in mente una cosa: ionon cambio punto la mia risoluzione una volta presa.Appena sposati, in vapore, e via subito, lasciando la ter-ra a chi l'ama.

— Loda il mare e tienti al lido....

— Proverbio da conigli: io non mi lascio allucinareda codeste ciance de' nostri bisnonni.

— Ma, Claudina mia cara, lasciatemi dire: non man-cherà tempo: ma subito, appena sposati, affrontare i tur-bini, le tempeste, l'ira di Nettuno e di Teti.... Io per mecrederei preferibile una buona camera, un soffice letto,un sonno tranquillo, e.... e....

— Perdonatemi, caro Giorgio, voi siete alquanto....anzi troppo amico del riposo. Mi sono molto ingannatasul vostro carattere. Io speravo che un genovese, figliodi un marinaio, dovesse essere un po' più animoso, un

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UN VIAGGETTO NUZIALE.

I.

Il mare e la terra.

— S'io fossi in voi, mia cara Claudina, vorrei proprioabbandonarne il pensiero....

— Oibò, signorino! Ponetevi in mente una cosa: ionon cambio punto la mia risoluzione una volta presa.Appena sposati, in vapore, e via subito, lasciando la ter-ra a chi l'ama.

— Loda il mare e tienti al lido....

— Proverbio da conigli: io non mi lascio allucinareda codeste ciance de' nostri bisnonni.

— Ma, Claudina mia cara, lasciatemi dire: non man-cherà tempo: ma subito, appena sposati, affrontare i tur-bini, le tempeste, l'ira di Nettuno e di Teti.... Io per mecrederei preferibile una buona camera, un soffice letto,un sonno tranquillo, e.... e....

— Perdonatemi, caro Giorgio, voi siete alquanto....anzi troppo amico del riposo. Mi sono molto ingannatasul vostro carattere. Io speravo che un genovese, figliodi un marinaio, dovesse essere un po' più animoso, un

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Page 512: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

po' più portato alla vita venturosa del navigante. Ma vifarete, vi farete!

[Pg 400]

— Mi farò, mi farò, ma un poco alla volta, colla pa-zienza. Cominciamo dal fare una visita ai vostri laghi,andremo all'Isola Bella....

— Che laghi, che laghi! Non mi fate arrabbiare.

— Alfine poi che differenza ci corre tra un lago e ilmare?

— Che differenza! Ah! non mi fate dire....

— Dite quel che vi pare, ma già io potrò sempre ri-spondervi che voi parlate senza cognizione di causa. Voinon l'avete mai veduto il mare.

— Che importa questo? Appunto per ciò desidero divederlo. Sarebbe bella che non si dovesse desiderare senon ciò che si conosce! Desiderate pure anche voi di ve-der Roma e Firenze che non conoscete che di nome!

— Gli è ben differente....

— Punto, punto, vi dico. Io il mare, vedete, non l'homai veduto, ma l'amo: sento che deve essere il mio ele-mento. I miei sogni sono tutti marini.... venti, tempeste,uragani, pirati.... Benedetto il Balzac! Egli l'ha detto in

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po' più portato alla vita venturosa del navigante. Ma vifarete, vi farete!

[Pg 400]

— Mi farò, mi farò, ma un poco alla volta, colla pa-zienza. Cominciamo dal fare una visita ai vostri laghi,andremo all'Isola Bella....

— Che laghi, che laghi! Non mi fate arrabbiare.

— Alfine poi che differenza ci corre tra un lago e ilmare?

— Che differenza! Ah! non mi fate dire....

— Dite quel che vi pare, ma già io potrò sempre ri-spondervi che voi parlate senza cognizione di causa. Voinon l'avete mai veduto il mare.

— Che importa questo? Appunto per ciò desidero divederlo. Sarebbe bella che non si dovesse desiderare senon ciò che si conosce! Desiderate pure anche voi di ve-der Roma e Firenze che non conoscete che di nome!

— Gli è ben differente....

— Punto, punto, vi dico. Io il mare, vedete, non l'homai veduto, ma l'amo: sento che deve essere il mio ele-mento. I miei sogni sono tutti marini.... venti, tempeste,uragani, pirati.... Benedetto il Balzac! Egli l'ha detto in

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Page 513: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

una delle sue opere: tre sono le belle cose: una nave agolfo lanciato, un cavallo alla carriera, una donna alladanza.... lasciatemi dire! voi siete sempre lì per inter-rompermi. Io sono affatto d'accordo col signor di Bal-zac. Non già ch'io ponga quelle tre cose nella stessa ca-tegoria. Si vede che il Balzac non ha scritto romanzimarinareschi. Cooper e Maryat non avrebbero messe amazzo quelle tre cose. Oh! una nave a piene vele, unanave a tre ponti.... sublime spettacolo!

— Tutto ciò sarà vero: ma io vorrei che mi permette-ste un racconto: è una storia di cui sono stato testimoniooculare.

— Sentiamo.

— Si andava appunto in uno de' nostri piroscafi[Pg 401]fino alla Spezia: una gita di piacere e non altro, costeg-giando la bella riviera. Una vera delizia finchè il marefu piano e tranquillo. Si passeggiava sulla tolda a brac-cetto, cianciando, canterellando a due a due, a tre a tresenza pensare al futuro. Era fra noi una coppia d'inna-morati, proprio nella luna di miele, a quel che pareva.Nel loro egoismo collettivo, non ponevano attenzione acosa veruna, non pensavano forse che all'aria del Belli-ni: vieni cerchiam pe' mari, al nostro amore un porto....con quel che segue. Come colombe dal desìo portate,pareva non dovessero mai disunirsi, e passar la vita nel-la più stretta comunione delle gioje e de' guai....

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una delle sue opere: tre sono le belle cose: una nave agolfo lanciato, un cavallo alla carriera, una donna alladanza.... lasciatemi dire! voi siete sempre lì per inter-rompermi. Io sono affatto d'accordo col signor di Bal-zac. Non già ch'io ponga quelle tre cose nella stessa ca-tegoria. Si vede che il Balzac non ha scritto romanzimarinareschi. Cooper e Maryat non avrebbero messe amazzo quelle tre cose. Oh! una nave a piene vele, unanave a tre ponti.... sublime spettacolo!

— Tutto ciò sarà vero: ma io vorrei che mi permette-ste un racconto: è una storia di cui sono stato testimoniooculare.

— Sentiamo.

— Si andava appunto in uno de' nostri piroscafi[Pg 401]fino alla Spezia: una gita di piacere e non altro, costeg-giando la bella riviera. Una vera delizia finchè il marefu piano e tranquillo. Si passeggiava sulla tolda a brac-cetto, cianciando, canterellando a due a due, a tre a tresenza pensare al futuro. Era fra noi una coppia d'inna-morati, proprio nella luna di miele, a quel che pareva.Nel loro egoismo collettivo, non ponevano attenzione acosa veruna, non pensavano forse che all'aria del Belli-ni: vieni cerchiam pe' mari, al nostro amore un porto....con quel che segue. Come colombe dal desìo portate,pareva non dovessero mai disunirsi, e passar la vita nel-la più stretta comunione delle gioje e de' guai....

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— Ebbene! mi sembra che la storia sia favorevolealla mia causa.

— Sin qui sì: ma adesso viene il bello.... cioè il brut-to. Soffiò un po' di vento da scilocco: non mica grandeda metterci in pericolo di naufragio, ma quanto bastòper torci la voglia di passeggiare sulla coperta. I più co-raggiosi tennero duro, ma cominciarono a camminare azig zag, come si dipingono le saette: le ciere diventaro-no pallide pallide: il capo girava a tutti, lo stomaco si di-sponeva a fare la sua resa di conti col mare. — Io cerca-vo cogli occhi i due teneri ed amorosi colombi. Checosa credete voi che facessero?

— Oh bella! si saranno soccorsi scambievolmente....

— Voi lo credete, voi Claudina, che avete una forzadi spirito e una tenerezza di cuore veramente esemplare.Ma invece que' due inseparabili s'erano separati: unochinavasi a destra, l'altro a sinistra. Straniere mani cer-cavano di apprestar loro un qualche ajuto: ma essi eranodivenuti affatto stranieri l'un all'altro.

— Voi siete bravissimo da inventare storielle: io nonho mai posta in dubbio la vostra facoltà poetica: ma nonper questo recedo dal mio caro e vagheggiato disegno.

[Pg 402]

— Ah! Claudina, se tutt'ad un tratto voi doveste riti-

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— Ebbene! mi sembra che la storia sia favorevolealla mia causa.

— Sin qui sì: ma adesso viene il bello.... cioè il brut-to. Soffiò un po' di vento da scilocco: non mica grandeda metterci in pericolo di naufragio, ma quanto bastòper torci la voglia di passeggiare sulla coperta. I più co-raggiosi tennero duro, ma cominciarono a camminare azig zag, come si dipingono le saette: le ciere diventaro-no pallide pallide: il capo girava a tutti, lo stomaco si di-sponeva a fare la sua resa di conti col mare. — Io cerca-vo cogli occhi i due teneri ed amorosi colombi. Checosa credete voi che facessero?

— Oh bella! si saranno soccorsi scambievolmente....

— Voi lo credete, voi Claudina, che avete una forzadi spirito e una tenerezza di cuore veramente esemplare.Ma invece que' due inseparabili s'erano separati: unochinavasi a destra, l'altro a sinistra. Straniere mani cer-cavano di apprestar loro un qualche ajuto: ma essi eranodivenuti affatto stranieri l'un all'altro.

— Voi siete bravissimo da inventare storielle: io nonho mai posta in dubbio la vostra facoltà poetica: ma nonper questo recedo dal mio caro e vagheggiato disegno.

[Pg 402]

— Ah! Claudina, se tutt'ad un tratto voi doveste riti-

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rarvi da un canto ed io da un altro; proprio la notte de'nostri sponsali, proprio nella nostra desiderata luna delmiele, io ne sarei disperato, Claudina, e voi potrestepentirvi ma troppo tardi di non aver dato retta alle mieparole. —

Giorgio finì così la sua eloquente perorazione: guardòla sua amabile fidanzata spiando se apparisse ne' suoisguardi un raggio di speranza: ma invano. Ella fu irre-movibile. Le nozze dovevano seguire fra tre giorni, dibuon mattino: una carrozza doveva aspettarli alla portadella chiesa: la sera a Genova senza indugio per imbar-carsi sopra il vapore.

II.

Claudina e Giorgio.

Da questo dialogo voi sapete presso a poco quali era-no i miei personaggi.

Claudina era una ricca ereditiera milanese, orfana dipadre e di madre, vissuta sotto la tutela e la sorveglianzad'una discreta parente. Giovane colta come s'accostumaa' dì nostri, sapeva sonare un po' il cembalo, ballava congrazia, cinguettava il francese, lavorava poco, e leggevamolto. Leggeva, voi già l'immaginate, tutti i nuovi ro-manzi che la feconda Parigi di mese in mese, di giornoin giorno, originali o tradotti, manda fuori dai suoi tor-

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rarvi da un canto ed io da un altro; proprio la notte de'nostri sponsali, proprio nella nostra desiderata luna delmiele, io ne sarei disperato, Claudina, e voi potrestepentirvi ma troppo tardi di non aver dato retta alle mieparole. —

Giorgio finì così la sua eloquente perorazione: guardòla sua amabile fidanzata spiando se apparisse ne' suoisguardi un raggio di speranza: ma invano. Ella fu irre-movibile. Le nozze dovevano seguire fra tre giorni, dibuon mattino: una carrozza doveva aspettarli alla portadella chiesa: la sera a Genova senza indugio per imbar-carsi sopra il vapore.

II.

Claudina e Giorgio.

Da questo dialogo voi sapete presso a poco quali era-no i miei personaggi.

Claudina era una ricca ereditiera milanese, orfana dipadre e di madre, vissuta sotto la tutela e la sorveglianzad'una discreta parente. Giovane colta come s'accostumaa' dì nostri, sapeva sonare un po' il cembalo, ballava congrazia, cinguettava il francese, lavorava poco, e leggevamolto. Leggeva, voi già l'immaginate, tutti i nuovi ro-manzi che la feconda Parigi di mese in mese, di giornoin giorno, originali o tradotti, manda fuori dai suoi tor-

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chi e abbandona ai capricci della volubile moda. Milanogià su questo conto della letteratura è ancora diparti-mento francese, anzi ci scommetto che ci sono in Fran-cia parecchie provincie dove le novità letterarie della ca-pitale giungono più tardi assai che a Milano, e vi sonoaccolte con minor entusiasmo. Claudina dunque[Pg 403]era tra le più appassionate divoratrici di nuovi romanzi;e in quel tempo, parecchi anni sono, i romanzi marittimiaveano preso il sopravvento grazie a' viaggi del capitanoMaryat, e alle sue fantastiche scene marinaresche. Lafanciulla, dotata di vivacissima immaginazione erravacol romanziere sulla vasta superficie de' mari, affrontavanembi e naufragi standosi coricata sopra il suo letto, osdraiata sopra i suoi morbidi seggioloni. Chiamava lavita di Milano una vita stagnante e monotona, aspiravaal mare e si sentiva capace di dare al mondo l'esempiod'una marinaja ardita ed intrepida quanto i celebrati cor-sari di Cooper e di Eugenio Sue. Più volte avea pregatola vecchia zia a volerla condurre a Venezia od a Genova,non per ammirare la piazza di S. Marco, o il palazzo deiDoria, ma per vedere il mare in tempesta lanciarecom'ella diceva, i suoi flutti spumanti fino alle stelle.Ma la tutrice compiacentissima in tutto il resto; nonavea mai voluto appagare lo strano desiderio della nipo-te: al più, al più l'aveva condotta a vedere il lago diComo e s'era per la prima volta arrischiata a passarlo.Ma per disgrazia della Claudina il lago quel giorno eraplacido e terso come uno specchio. Non v'ebbe nulla chescuotesse la fantasia burrascosa della pazzerella; sicchè

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chi e abbandona ai capricci della volubile moda. Milanogià su questo conto della letteratura è ancora diparti-mento francese, anzi ci scommetto che ci sono in Fran-cia parecchie provincie dove le novità letterarie della ca-pitale giungono più tardi assai che a Milano, e vi sonoaccolte con minor entusiasmo. Claudina dunque[Pg 403]era tra le più appassionate divoratrici di nuovi romanzi;e in quel tempo, parecchi anni sono, i romanzi marittimiaveano preso il sopravvento grazie a' viaggi del capitanoMaryat, e alle sue fantastiche scene marinaresche. Lafanciulla, dotata di vivacissima immaginazione erravacol romanziere sulla vasta superficie de' mari, affrontavanembi e naufragi standosi coricata sopra il suo letto, osdraiata sopra i suoi morbidi seggioloni. Chiamava lavita di Milano una vita stagnante e monotona, aspiravaal mare e si sentiva capace di dare al mondo l'esempiod'una marinaja ardita ed intrepida quanto i celebrati cor-sari di Cooper e di Eugenio Sue. Più volte avea pregatola vecchia zia a volerla condurre a Venezia od a Genova,non per ammirare la piazza di S. Marco, o il palazzo deiDoria, ma per vedere il mare in tempesta lanciarecom'ella diceva, i suoi flutti spumanti fino alle stelle.Ma la tutrice compiacentissima in tutto il resto; nonavea mai voluto appagare lo strano desiderio della nipo-te: al più, al più l'aveva condotta a vedere il lago diComo e s'era per la prima volta arrischiata a passarlo.Ma per disgrazia della Claudina il lago quel giorno eraplacido e terso come uno specchio. Non v'ebbe nulla chescuotesse la fantasia burrascosa della pazzerella; sicchè

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ritornata a Milano s'indispettiva col bel tempo e collasua cattiva stella che non avea voluto procurarle il pia-cere di vedersi vicina al naufragio.

La ragazza era fertile di trovati. — Se questa benedet-ta vecchia — diceva — non mi vuol condur seco inqualche porto, io accetterò il primo marito che mi vengaofferto a condizione che faccia meco un viaggio dimare. La sorte le fu questa volta propizia. Un giovanegenovese, assai gentile poeta, avea pubblicato un'odealle tempeste, e tradotto per la decima volta, come usa[Pg404] di fare a' dì nostri, il primo canto del Corsaro di By-ron. Chiese di lui e venne a sapere ch'egli era figlio d'uncapitano di nave, unico figlio, e rimasto orfano da pa-recchi anni per un naufragio che gli avea tolto il padresulle rive del Baltico. Claudina non dubitò che il figliodi un marinajo non dovesse aver ereditato il genio pater-no: tanto più che i primi versi che avea mandati alla luceerano versi marinareschi. Fattosi il romanzo nella imma-ginazione, scrisse una lettera piena d'entusiasmo al poe-ta, e gittò con questo le prime fondamenta d'un buonmatrimonio. Giorgio Fioccardi ricevette codesta letteracolla compiacenza che è naturale ad un giovane autore;fece un viaggetto fino a Milano apparentemente per trat-tare d'una ristampa coll'Ubicini, ma nel fatto per cono-scere la sua musa futura, e dirle a voce quelle mille euna cose che il suo lusingato amor proprio gli avrebbedettate.

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ritornata a Milano s'indispettiva col bel tempo e collasua cattiva stella che non avea voluto procurarle il pia-cere di vedersi vicina al naufragio.

La ragazza era fertile di trovati. — Se questa benedet-ta vecchia — diceva — non mi vuol condur seco inqualche porto, io accetterò il primo marito che mi vengaofferto a condizione che faccia meco un viaggio dimare. La sorte le fu questa volta propizia. Un giovanegenovese, assai gentile poeta, avea pubblicato un'odealle tempeste, e tradotto per la decima volta, come usa[Pg404] di fare a' dì nostri, il primo canto del Corsaro di By-ron. Chiese di lui e venne a sapere ch'egli era figlio d'uncapitano di nave, unico figlio, e rimasto orfano da pa-recchi anni per un naufragio che gli avea tolto il padresulle rive del Baltico. Claudina non dubitò che il figliodi un marinajo non dovesse aver ereditato il genio pater-no: tanto più che i primi versi che avea mandati alla luceerano versi marinareschi. Fattosi il romanzo nella imma-ginazione, scrisse una lettera piena d'entusiasmo al poe-ta, e gittò con questo le prime fondamenta d'un buonmatrimonio. Giorgio Fioccardi ricevette codesta letteracolla compiacenza che è naturale ad un giovane autore;fece un viaggetto fino a Milano apparentemente per trat-tare d'una ristampa coll'Ubicini, ma nel fatto per cono-scere la sua musa futura, e dirle a voce quelle mille euna cose che il suo lusingato amor proprio gli avrebbedettate.

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Sulle prime il contegno di Giorgio non ismentì l'opi-nione che la Claudina ne avea concepita; o a parlare conpiù precisione, ei si piegò volontieri alle idee della gio-vane per quell'istinto di assentazione che è naturale inun amante e in un poeta. Ma l'indole sua non era nel fat-to quale appariva. Avea cantato il mare così per capric-cio, con quella coscienza da umanista che oggi lodal'inverno e domani l'estate, tanto per fare de' versi: am-mirabile docilità che i nostri maestri di rettorica giungo-no ad insegnarci a furia di temi non sentiti da chi li dà,nè tampoco da chi li tratta per obbligo di diligente disce-polo. Oh bei tempi! Giorgio, scusate la digressione, eraproprio uno di codesti versicolai, ma recitava con garbo,cacciava a tempo le mani ne' capelli, a tempo stralunavagli occhi da spiritato, voglio dir da ispirato, onde Clau-dina, senza che si possa tacciare di leggerezza, lo giudi-cò differente da quello ch'egli era.[Pg 405] Ed essa mede-sima, chi mi sa dire se fosse quella coraggiosa giovaneche voleva parere? — Lasceremo parlare la storia.

Intanto io dirò solamente che Giorgio amava la terra,adorava la calma, benediva la quiete de' campi, la lunaargentea, l'ozio, il ritiro, la felicità dell'idillio, le ottobeatitudini dell'Arcadia. Piacevagli la Claudina, ma nongià ne' momenti d'entusiasmo quando lanciavasi comecometa fuor della sfera ch'egli credeva segnata alle af-fettuose e calme consuetudini della donna: piacevagliperchè la sentiva appassionata della poesia, perchè erala prima incarnazione della sua giovanile e poetica idea,

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Sulle prime il contegno di Giorgio non ismentì l'opi-nione che la Claudina ne avea concepita; o a parlare conpiù precisione, ei si piegò volontieri alle idee della gio-vane per quell'istinto di assentazione che è naturale inun amante e in un poeta. Ma l'indole sua non era nel fat-to quale appariva. Avea cantato il mare così per capric-cio, con quella coscienza da umanista che oggi lodal'inverno e domani l'estate, tanto per fare de' versi: am-mirabile docilità che i nostri maestri di rettorica giungo-no ad insegnarci a furia di temi non sentiti da chi li dà,nè tampoco da chi li tratta per obbligo di diligente disce-polo. Oh bei tempi! Giorgio, scusate la digressione, eraproprio uno di codesti versicolai, ma recitava con garbo,cacciava a tempo le mani ne' capelli, a tempo stralunavagli occhi da spiritato, voglio dir da ispirato, onde Clau-dina, senza che si possa tacciare di leggerezza, lo giudi-cò differente da quello ch'egli era.[Pg 405] Ed essa mede-sima, chi mi sa dire se fosse quella coraggiosa giovaneche voleva parere? — Lasceremo parlare la storia.

Intanto io dirò solamente che Giorgio amava la terra,adorava la calma, benediva la quiete de' campi, la lunaargentea, l'ozio, il ritiro, la felicità dell'idillio, le ottobeatitudini dell'Arcadia. Piacevagli la Claudina, ma nongià ne' momenti d'entusiasmo quando lanciavasi comecometa fuor della sfera ch'egli credeva segnata alle af-fettuose e calme consuetudini della donna: piacevagliperchè la sentiva appassionata della poesia, perchè erala prima incarnazione della sua giovanile e poetica idea,

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perchè sperava poterla dire un giorno sua sposa e domi-nare i suoi capriccetti. Figuratevi qual albergo egli ar-chitettava nella sua mente per se stesso e per lei! Unapalazzina sul pendìo de' monti, mezzo nascosta tra gliulivi e gli aranci, fresca la state, tiepida nell'inverno,adorna di tutti gli agi che il proprio patrimonio, e la ric-ca dote di lei rendevano agevoli ad ottenere: una serie digiorni tranquilli, uno copiato dall'altro, tutti sereni, tuttiabbelliti dalla poesia e dall'amore. Ma era destino chenon dovessero intendersi che troppo tardi, come accadeil più delle volte nel mondo; e il matrimonio era già sta-bilito, già prefisso il dì delle nozze, quando il dialogo dacui comincia il racconto venne a rivelar l'uno all'altro idue diversi caratteri.

III.

Il romanzo dimenticato.

Io non son punto amico di quell'indiscreto tripudioonde in altri tempi si profanava il santo giorno del ma-trimonio. Quel banchetto nuziale, quelle cerimonie[Pg406] di parenti e d'amici, quelle allusioni aperte o semia-perte ad un fatto che la veneranda antichità copriva ditanto mistero, quei balli protratti alla sera, quei brindisie quei canti epitalamici che la sposa doveva sentirsi re-citare coronata della sua ghirlanda di fior d'arancio, colpensiero e col cuore volti naturalmente a qualche altra

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perchè sperava poterla dire un giorno sua sposa e domi-nare i suoi capriccetti. Figuratevi qual albergo egli ar-chitettava nella sua mente per se stesso e per lei! Unapalazzina sul pendìo de' monti, mezzo nascosta tra gliulivi e gli aranci, fresca la state, tiepida nell'inverno,adorna di tutti gli agi che il proprio patrimonio, e la ric-ca dote di lei rendevano agevoli ad ottenere: una serie digiorni tranquilli, uno copiato dall'altro, tutti sereni, tuttiabbelliti dalla poesia e dall'amore. Ma era destino chenon dovessero intendersi che troppo tardi, come accadeil più delle volte nel mondo; e il matrimonio era già sta-bilito, già prefisso il dì delle nozze, quando il dialogo dacui comincia il racconto venne a rivelar l'uno all'altro idue diversi caratteri.

III.

Il romanzo dimenticato.

Io non son punto amico di quell'indiscreto tripudioonde in altri tempi si profanava il santo giorno del ma-trimonio. Quel banchetto nuziale, quelle cerimonie[Pg406] di parenti e d'amici, quelle allusioni aperte o semia-perte ad un fatto che la veneranda antichità copriva ditanto mistero, quei balli protratti alla sera, quei brindisie quei canti epitalamici che la sposa doveva sentirsi re-citare coronata della sua ghirlanda di fior d'arancio, colpensiero e col cuore volti naturalmente a qualche altra

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cosa. Tutto ciò mi è parso sempre un controsenso e unassurdo, non dirò tanto grande quanto il convito che sifaceva subire alla giovane monaca nella vigilia della suavestizione, ma poco meno. Il vincolo conjugale è cosatroppo seria per esser fatta segno di tante frivolezze il dìche ci stringe per sempre; e le prime emozioni di duecuori innamorati, nel punto che vengono consecrate dal-la società e dalla religione, sono troppo elette e troppointime per essere esposte alle ciancie degli invitati, ed aimadrigali de' begli spiriti.

Ma, ammesse senza esame queste buone ragioni, am-messa la necessità di divezzare il mondo da' banchettinuziali, e i poeti da' sonetti epitalamici, si deve egli cre-dere che il miglior espediente sia quello di correr le po-ste appena proferita la parola sacramentale? — Io ne du-bito molto, ancorchè tra l'uno e l'altro costume non sipossa esitar nella preferenza. Claudina e Giorgio sposatila mattina in albis, e stretta la mano ai pochi amici econgiunti che ne furono fatti consapevoli, si misero inuna carrozza da posta, e presero la via di Genova. Il po-stiglione forse saprà i dolci colloqui coi quali s'aperse laloro luna di miele: io non posso riferirveli, equand'anche potessi immaginarmeli per l'appunto, non lidirei per quelle ragioni medesime che m'indussero a di-sapprovare l'antico baccano in cui seppellivasi per tantotempo il primo dì delle nozze. Vi dirò solo che non fudimenticato un libro da leggersi in compagnia, quando ilbrandire della carrozza l'avesse permesso, e quando[Pg

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cosa. Tutto ciò mi è parso sempre un controsenso e unassurdo, non dirò tanto grande quanto il convito che sifaceva subire alla giovane monaca nella vigilia della suavestizione, ma poco meno. Il vincolo conjugale è cosatroppo seria per esser fatta segno di tante frivolezze il dìche ci stringe per sempre; e le prime emozioni di duecuori innamorati, nel punto che vengono consecrate dal-la società e dalla religione, sono troppo elette e troppointime per essere esposte alle ciancie degli invitati, ed aimadrigali de' begli spiriti.

Ma, ammesse senza esame queste buone ragioni, am-messa la necessità di divezzare il mondo da' banchettinuziali, e i poeti da' sonetti epitalamici, si deve egli cre-dere che il miglior espediente sia quello di correr le po-ste appena proferita la parola sacramentale? — Io ne du-bito molto, ancorchè tra l'uno e l'altro costume non sipossa esitar nella preferenza. Claudina e Giorgio sposatila mattina in albis, e stretta la mano ai pochi amici econgiunti che ne furono fatti consapevoli, si misero inuna carrozza da posta, e presero la via di Genova. Il po-stiglione forse saprà i dolci colloqui coi quali s'aperse laloro luna di miele: io non posso riferirveli, equand'anche potessi immaginarmeli per l'appunto, non lidirei per quelle ragioni medesime che m'indussero a di-sapprovare l'antico baccano in cui seppellivasi per tantotempo il primo dì delle nozze. Vi dirò solo che non fudimenticato un libro da leggersi in compagnia, quando ilbrandire della carrozza l'avesse permesso, e quando[Pg

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407] i due nuovi sposi non avessero avuto qualche cosadi più interessante a comunicarsi. Questo libro era unromanzo, un romanzo come potete credere, marinare-sco, Le vaisseau fantôme del capitano Maryat. Quantoleggessero quel giorno non saprei dirvi, massime pen-sando a quel verso di Dante:

Quel giorno più non vi leggemmo avante.

Ma certo la Claudina ne avea scorso tanta parte dasentirsene tutta entusiastata. Giorgio benchè letterato eamico de' libri quanto un letterato può esserlo, n'aveaspesse volte mossa querela durante il giorno. Non midate così presto un rivale, mia cara — diceva egli ce-liando. — Potreste temerne, se si trattasse non del libroma dell'autore — rispose Claudina. — Chi scrisse que-sto libro è certo un uomo di mare, un vero pirata che po-trebbe far la conquista d'una corvetta....

— E anche d'un cuore — interruppe Giorgio ridendo:ma in questo videro svolgersi dinanzi indorato dal cre-puscolo della sera l'imponente spettacolo del Mediterra-neo. Claudina volle lasciar la carrozza, salire la vettad'un colle e salutare co' primi versi del Corsaro di Byronl'azzurra immensa superficie del mare. Giorgio parteci-pò all'entusiasmo, perchè quel giorno Claudina avevaspeciali diritti alla sua compiacenza, perchè quei versida lei proferiti erano stati da lui tradotti, perchè spessevolte, anche indipendentemente da sì forti motivi, la na-tura ci sembra più bella veduta attraverso il prisma

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407] i due nuovi sposi non avessero avuto qualche cosadi più interessante a comunicarsi. Questo libro era unromanzo, un romanzo come potete credere, marinare-sco, Le vaisseau fantôme del capitano Maryat. Quantoleggessero quel giorno non saprei dirvi, massime pen-sando a quel verso di Dante:

Quel giorno più non vi leggemmo avante.

Ma certo la Claudina ne avea scorso tanta parte dasentirsene tutta entusiastata. Giorgio benchè letterato eamico de' libri quanto un letterato può esserlo, n'aveaspesse volte mossa querela durante il giorno. Non midate così presto un rivale, mia cara — diceva egli ce-liando. — Potreste temerne, se si trattasse non del libroma dell'autore — rispose Claudina. — Chi scrisse que-sto libro è certo un uomo di mare, un vero pirata che po-trebbe far la conquista d'una corvetta....

— E anche d'un cuore — interruppe Giorgio ridendo:ma in questo videro svolgersi dinanzi indorato dal cre-puscolo della sera l'imponente spettacolo del Mediterra-neo. Claudina volle lasciar la carrozza, salire la vettad'un colle e salutare co' primi versi del Corsaro di Byronl'azzurra immensa superficie del mare. Giorgio parteci-pò all'entusiasmo, perchè quel giorno Claudina avevaspeciali diritti alla sua compiacenza, perchè quei versida lei proferiti erano stati da lui tradotti, perchè spessevolte, anche indipendentemente da sì forti motivi, la na-tura ci sembra più bella veduta attraverso il prisma

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dell'altrui entusiasmo. Infatti Giorgio che era nato sulmare, ch'era figlio, come dissi, d'un marinaio, ch'era allasua maniera poeta, non avea mai prima d'allora sentitatutta la magnificenza di quella vista. Claudina non man-cò di approfittare di quel trionfo per vincere con[Pg 408]una sola parola le ultime ritrosie del marito circa alviaggio da intraprendersi quella notte medesima sul bat-tello a vapore. Non ci fu tempo da perdere. Appena refi-ciato lo stomaco e disposto il bagaglio opportuno allagita, montarono sullo schifo, e in un attimo furono sullatolda del Carlomagno, vapor francese che fa per ordina-rio il tragitto da Genova a Livorno. Salpava quella seraanche il Dante, altro vapor genovese, ma Claudina ave-va prescelto l'altro come più capace e più imperatorio.Stavano per levar l'àncora quando la giovane entusiastache fino allora era restata attonita e fuor di se stessa am-mirando la notte stellata riflettuta nel bruno specchiodell'acque, discesa nella sua camera e guardando le suerobe, s'accorse che mancavale il romanzo prediletto cheavea lasciato all'albergo, e che doveva occuparla piace-volmente nell'ore più solitarie. Diede in un accesso distizza che teneva della disperazione. Il marito accorseper saper la cagione di tanto scalpore, e come la seppe,aggiunse freddamente che l'avrebbe letto al ritorno. —Che importa a me del ritorno! — gridò indispettitaClaudina. — Fareste meglio, giacchè ne abbiamo il tem-po, di andarmelo a prendere. Giorgio voleva replicare,ma temette una scena drammatica, e chiesto al capitanoquanto rimanesse prima di levar l'àncora, ritornò corren-

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dell'altrui entusiasmo. Infatti Giorgio che era nato sulmare, ch'era figlio, come dissi, d'un marinaio, ch'era allasua maniera poeta, non avea mai prima d'allora sentitatutta la magnificenza di quella vista. Claudina non man-cò di approfittare di quel trionfo per vincere con[Pg 408]una sola parola le ultime ritrosie del marito circa alviaggio da intraprendersi quella notte medesima sul bat-tello a vapore. Non ci fu tempo da perdere. Appena refi-ciato lo stomaco e disposto il bagaglio opportuno allagita, montarono sullo schifo, e in un attimo furono sullatolda del Carlomagno, vapor francese che fa per ordina-rio il tragitto da Genova a Livorno. Salpava quella seraanche il Dante, altro vapor genovese, ma Claudina ave-va prescelto l'altro come più capace e più imperatorio.Stavano per levar l'àncora quando la giovane entusiastache fino allora era restata attonita e fuor di se stessa am-mirando la notte stellata riflettuta nel bruno specchiodell'acque, discesa nella sua camera e guardando le suerobe, s'accorse che mancavale il romanzo prediletto cheavea lasciato all'albergo, e che doveva occuparla piace-volmente nell'ore più solitarie. Diede in un accesso distizza che teneva della disperazione. Il marito accorseper saper la cagione di tanto scalpore, e come la seppe,aggiunse freddamente che l'avrebbe letto al ritorno. —Che importa a me del ritorno! — gridò indispettitaClaudina. — Fareste meglio, giacchè ne abbiamo il tem-po, di andarmelo a prendere. Giorgio voleva replicare,ma temette una scena drammatica, e chiesto al capitanoquanto rimanesse prima di levar l'àncora, ritornò corren-

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do all'albergo. Cerca in un luogo, cerca nell'altro, il libronon si trovò. Corse ad acquistarne un altro esemplaredal primo librajo in cui s'abbattè e appena l'ebbe tra lemani, si pose la via tra le gambe, e corse al molo. Appe-na giunto udì da lungi il fischio della partenza. Il vaporeera già lontano. Appena scoccata l'ora, con una scortesepuntualità, malgrado le preghiere della desolata Claudi-na, il capitano salpò per non essere prevenuto dal Dante,suo formidabile rivale.

Giorgio rimase sul molo agitando il suo fazzolettoper[Pg 409] l'aria: nè gli rimase miglior partito che quellodi tener dietro al Carlomagno imbarcandosi sull'emulosuo.

IV.

Altro è parlar di morte, altro èmorire.

Che ne dite voi, cortesi lettori, di quei poeti i qualitrovano tanto piacere a contemplare il mare in burrascastandosi alle finestre del loro palazzo, o almeno in unangolo ben difeso della sicura spiaggia? Io per me li ten-ni sempre per egoisti, e non ho mai simpatizzato conessi. Non sono molti giorni che se ne parlava tra una bri-gatella d'amici, i quali ammiravano invece una di quellecalme serene che infondono nell'animo di chi le mirauna tranquilla voluttà, un interno riposo non turbato da

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do all'albergo. Cerca in un luogo, cerca nell'altro, il libronon si trovò. Corse ad acquistarne un altro esemplaredal primo librajo in cui s'abbattè e appena l'ebbe tra lemani, si pose la via tra le gambe, e corse al molo. Appe-na giunto udì da lungi il fischio della partenza. Il vaporeera già lontano. Appena scoccata l'ora, con una scortesepuntualità, malgrado le preghiere della desolata Claudi-na, il capitano salpò per non essere prevenuto dal Dante,suo formidabile rivale.

Giorgio rimase sul molo agitando il suo fazzolettoper[Pg 409] l'aria: nè gli rimase miglior partito che quellodi tener dietro al Carlomagno imbarcandosi sull'emulosuo.

IV.

Altro è parlar di morte, altro èmorire.

Che ne dite voi, cortesi lettori, di quei poeti i qualitrovano tanto piacere a contemplare il mare in burrascastandosi alle finestre del loro palazzo, o almeno in unangolo ben difeso della sicura spiaggia? Io per me li ten-ni sempre per egoisti, e non ho mai simpatizzato conessi. Non sono molti giorni che se ne parlava tra una bri-gatella d'amici, i quali ammiravano invece una di quellecalme serene che infondono nell'animo di chi le mirauna tranquilla voluttà, un interno riposo non turbato da

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alcun sinistro pensiero. Il mare era limpido come unospecchio, rifletteva capovolta la selva di navi che popolail nostro porto, e da lungi le barchette de' pescatori, chetenevano spiegata la dipinta vela non altro che per acco-gliere i lievi zeffiri della sera che vagano senza incre-spare la cheta superficie dell'onda. Da lontano le monta-gne del Friuli e della Carnia mostravano spiccatonell'orizzonte il variato contorno delle lor cime e gli ine-guali piani de' loro declivi, là tinti d'un bell'azzurro, co-stà bianchi per la neve caduta, dove illuminati dagli ulti-mi raggi del crepuscolo, dove oscuri per lo sbattimentodell'ombre. Era veramente una scena da contemplarsi insilenzio, e da benedirne l'autore della natura. Bel piacereinvero quello d'immaginare il pericolo altrui, congratu-landosi seco di non esservi esposto! Io non ricuso a chil'ama il godimento d'una sublime tempesta, purchè eglil'affronti cogli altri.

Claudina era tra questi, o almeno credeva di esserlo,[Pg 410] finchè non avea veduto burrasca se non sulle pa-gine de' suoi romanzi marittimi. Ella voleva davveroprovar qualche cosa di vero, voleva temprare la sua ani-ma, come diceva, tra le scosse della paura. Era forse undesiderio da pazzerella, ma non da egoista, e per questaconsiderazione supplico i lettori a menarglielo buono.—

Noi l'abbiamo lasciata sulla coperta del Carlomagno,sola tra gente straniera, la prima volta che assaggiava il

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alcun sinistro pensiero. Il mare era limpido come unospecchio, rifletteva capovolta la selva di navi che popolail nostro porto, e da lungi le barchette de' pescatori, chetenevano spiegata la dipinta vela non altro che per acco-gliere i lievi zeffiri della sera che vagano senza incre-spare la cheta superficie dell'onda. Da lontano le monta-gne del Friuli e della Carnia mostravano spiccatonell'orizzonte il variato contorno delle lor cime e gli ine-guali piani de' loro declivi, là tinti d'un bell'azzurro, co-stà bianchi per la neve caduta, dove illuminati dagli ulti-mi raggi del crepuscolo, dove oscuri per lo sbattimentodell'ombre. Era veramente una scena da contemplarsi insilenzio, e da benedirne l'autore della natura. Bel piacereinvero quello d'immaginare il pericolo altrui, congratu-landosi seco di non esservi esposto! Io non ricuso a chil'ama il godimento d'una sublime tempesta, purchè eglil'affronti cogli altri.

Claudina era tra questi, o almeno credeva di esserlo,[Pg 410] finchè non avea veduto burrasca se non sulle pa-gine de' suoi romanzi marittimi. Ella voleva davveroprovar qualche cosa di vero, voleva temprare la sua ani-ma, come diceva, tra le scosse della paura. Era forse undesiderio da pazzerella, ma non da egoista, e per questaconsiderazione supplico i lettori a menarglielo buono.—

Noi l'abbiamo lasciata sulla coperta del Carlomagno,sola tra gente straniera, la prima volta che assaggiava il

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mare, vedova il primo dì delle nozze per quel capricciodel romanzo dimenticato. Vedeva o le pareva vederesventolare da lungi il fazzoletto del suo Giorgio; udiva ole sembrava d'udire la sua voce chiamare indietro l'ine-sorato piroscafo. Il capitano che avea resistito alle suepreghiere, l'andava gentilmente racconsolando, dicendo-le che il signore sarebbe di certo partito coll'altro legno,e che la mattina seguente, permettendolo il tempo, si sa-rebbero riveduti a Livorno. Intanto si ritirasse nella suacabina, non s'abbandonasse a inutili escandescenze chela predisporrebbero troppo a sentire il disagio del mare;non v'essere alcuna cosa a temere, ancorchè il viaggionon avesse l'apparenza d'essere così tranquillo: si cori-casse, e stesse cheta ed immobile. La Claudina a questiconsigli del capitano che avrebbero messo paura ad unaltro, sentì risvegliarsi la sua suscettibilità di coraggio:rispose tra la stizza e l'alterezza che badasse a lui, e nonse ne prendesse pensiero. Il capitano pensò che le sgar-bate frasi provenissero dal contrattempo di trovarsi cosìderelitta, e non proferì più parola, perchè non aveva al-tro a soggiugnere. La Claudina avvolta nel suo mantellomontò sul cassero, si collocò vicino al piloto, e stava os-servando l'oscillazione dell'ago magnetico. Importunavail buon uomo con mille domande alle quali egli rispon-deva sbadatamente, rozzo com'era, e intento a ben go-vernare il timone. La donna[Pg 411] si consolò prestodell'accidente seguitole, dimenticò il romanzo di Maryate si rassegnò alla breve vedovanza d'una notte, giacchèpoteva consecrarla allo studio pratico dell'arte nautica.

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mare, vedova il primo dì delle nozze per quel capricciodel romanzo dimenticato. Vedeva o le pareva vederesventolare da lungi il fazzoletto del suo Giorgio; udiva ole sembrava d'udire la sua voce chiamare indietro l'ine-sorato piroscafo. Il capitano che avea resistito alle suepreghiere, l'andava gentilmente racconsolando, dicendo-le che il signore sarebbe di certo partito coll'altro legno,e che la mattina seguente, permettendolo il tempo, si sa-rebbero riveduti a Livorno. Intanto si ritirasse nella suacabina, non s'abbandonasse a inutili escandescenze chela predisporrebbero troppo a sentire il disagio del mare;non v'essere alcuna cosa a temere, ancorchè il viaggionon avesse l'apparenza d'essere così tranquillo: si cori-casse, e stesse cheta ed immobile. La Claudina a questiconsigli del capitano che avrebbero messo paura ad unaltro, sentì risvegliarsi la sua suscettibilità di coraggio:rispose tra la stizza e l'alterezza che badasse a lui, e nonse ne prendesse pensiero. Il capitano pensò che le sgar-bate frasi provenissero dal contrattempo di trovarsi cosìderelitta, e non proferì più parola, perchè non aveva al-tro a soggiugnere. La Claudina avvolta nel suo mantellomontò sul cassero, si collocò vicino al piloto, e stava os-servando l'oscillazione dell'ago magnetico. Importunavail buon uomo con mille domande alle quali egli rispon-deva sbadatamente, rozzo com'era, e intento a ben go-vernare il timone. La donna[Pg 411] si consolò prestodell'accidente seguitole, dimenticò il romanzo di Maryate si rassegnò alla breve vedovanza d'una notte, giacchèpoteva consecrarla allo studio pratico dell'arte nautica.

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Solamente dolevasi che il mare rimanesse tranquillo,che il viaggiar colla forza del fuoco fosse troppo sicuro,e invocava un po' di burrasca!

La burrasca invocata non si mostrò scortese alla vocedella coraggiosa Claudina: anzi il destino preparava piùforti godimenti alla sua fantasia.

Dopo due ore di tranquilla navigazione un vento ditramontana si diede a soffiare con forza sempre crescen-te, sicchè il vapore cominciò a declinar dalla linea e adessere dal vento e dalla corrente respinto in alto. I pas-seggeri che prima andavano a diporto sulla tolda si tras-sero sotto, e Claudina dopo aver tenuto duro un buonquarto d'ora, dovette imitarli. Il suo volto s'era improv-visamente fatto pallido, le mani e i piedi le s'irrigidivanocome sciolti nelle giunture, e un nuovo intronamentodallo stomaco le andava salendo alla testa, e di là riflui-va sopra lo stomaco rimescolandolo e travagliandolosempre più. Claudina si ricordò allora il discorso diGiorgio e ringraziò quasi il cielo ch'egli non fosse pre-sente, tanto ne paventava i rimproveri, e le sarebbe par-so grave giustificare col fatto le previsioni di lui.Coll'ajuto del cameriere discese nella sua cameretta, sigittò sdrajata sopra il lettuccio, e non pensò più nè a ro-manzi marittimi, nè a simili cose. Una dramma di realtàl'avea guarita delle sue fantasie. Non insisto a descrivereil suo stato, perchè i miei lettori qual più qual menoavranno provato codesto disagio, e chi non l'ha provato,

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Solamente dolevasi che il mare rimanesse tranquillo,che il viaggiar colla forza del fuoco fosse troppo sicuro,e invocava un po' di burrasca!

La burrasca invocata non si mostrò scortese alla vocedella coraggiosa Claudina: anzi il destino preparava piùforti godimenti alla sua fantasia.

Dopo due ore di tranquilla navigazione un vento ditramontana si diede a soffiare con forza sempre crescen-te, sicchè il vapore cominciò a declinar dalla linea e adessere dal vento e dalla corrente respinto in alto. I pas-seggeri che prima andavano a diporto sulla tolda si tras-sero sotto, e Claudina dopo aver tenuto duro un buonquarto d'ora, dovette imitarli. Il suo volto s'era improv-visamente fatto pallido, le mani e i piedi le s'irrigidivanocome sciolti nelle giunture, e un nuovo intronamentodallo stomaco le andava salendo alla testa, e di là riflui-va sopra lo stomaco rimescolandolo e travagliandolosempre più. Claudina si ricordò allora il discorso diGiorgio e ringraziò quasi il cielo ch'egli non fosse pre-sente, tanto ne paventava i rimproveri, e le sarebbe par-so grave giustificare col fatto le previsioni di lui.Coll'ajuto del cameriere discese nella sua cameretta, sigittò sdrajata sopra il lettuccio, e non pensò più nè a ro-manzi marittimi, nè a simili cose. Una dramma di realtàl'avea guarita delle sue fantasie. Non insisto a descrivereil suo stato, perchè i miei lettori qual più qual menoavranno provato codesto disagio, e chi non l'ha provato,

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ringrazi Dio, chè nel fatto è una brutta faccenda, massi-me la prima volta che se ne fa l'esperienza.

Il tramontano durò tutta la notte, e scemò di forza so-lamente sull'alba. Ma il vapore era già molto lungi[Pg 412]dalla sua mèta: la macchina non avea potuto resisterecontro all'onde grosse e irritate: spesso una sola ruota losospingeva, e il governarlo era cosa incerta e difficile.Sicchè quando il sole salutò de' primi suoi raggi l'azzur-ra superficie del mare, nè il porto di Livorno, nè al-cun'altra terra si poteva scorgere ad occhio nudo. Clau-dina non fu l'ultima a risentirsi da quella specie di torpo-re ch'era succeduto al travaglio; ricompose in fretta lescompigliate vesti e i capelli, e salì sulla tolda. Bello emaestoso spettacolo! Quello spazio senza limite e senzariva; quel cielo sottoposto come a specchio dell'altro; disopra l'unico sole che rischiarava l'immensità, di sottoquel fragile legno, come un punto impercettibile, comeun atomo perduto tra l'aria e l'onda! Claudina ritrovò aquella vista tutta la sua forza, tutta la sua poesia: si ver-gognò d'essersi lasciata così sopraffare durante la notte,ma poi consolossi alquanto ricordando aver letto cheNapoleone medesimo per ben quattro giorni fu trava-gliato dal mare quando s'avviava sulla fregata inglese aS. Elena. — Il capitano avea fatto intanto i suoi calcoli,il piloto avea dirizzata la prua verso il N.O. e si speravatra cinque o sei ore raggiugnere la Toscana. Già la bassacresta degli Appennini appariva sul limite estremodell'orizzonte.

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ringrazi Dio, chè nel fatto è una brutta faccenda, massi-me la prima volta che se ne fa l'esperienza.

Il tramontano durò tutta la notte, e scemò di forza so-lamente sull'alba. Ma il vapore era già molto lungi[Pg 412]dalla sua mèta: la macchina non avea potuto resisterecontro all'onde grosse e irritate: spesso una sola ruota losospingeva, e il governarlo era cosa incerta e difficile.Sicchè quando il sole salutò de' primi suoi raggi l'azzur-ra superficie del mare, nè il porto di Livorno, nè al-cun'altra terra si poteva scorgere ad occhio nudo. Clau-dina non fu l'ultima a risentirsi da quella specie di torpo-re ch'era succeduto al travaglio; ricompose in fretta lescompigliate vesti e i capelli, e salì sulla tolda. Bello emaestoso spettacolo! Quello spazio senza limite e senzariva; quel cielo sottoposto come a specchio dell'altro; disopra l'unico sole che rischiarava l'immensità, di sottoquel fragile legno, come un punto impercettibile, comeun atomo perduto tra l'aria e l'onda! Claudina ritrovò aquella vista tutta la sua forza, tutta la sua poesia: si ver-gognò d'essersi lasciata così sopraffare durante la notte,ma poi consolossi alquanto ricordando aver letto cheNapoleone medesimo per ben quattro giorni fu trava-gliato dal mare quando s'avviava sulla fregata inglese aS. Elena. — Il capitano avea fatto intanto i suoi calcoli,il piloto avea dirizzata la prua verso il N.O. e si speravatra cinque o sei ore raggiugnere la Toscana. Già la bassacresta degli Appennini appariva sul limite estremodell'orizzonte.

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V.

Il contrattempo.

Ma qui non era finita la storia. Non andò molto cheapparve a vista d'occhio un punto nero che tosto si rico-nobbe per un altro battello a vapore alla sottile colonnadi fumo che s'alzava dal centro di esso. Si pensò tostoche potesse essere il Dante, il quale dal furore dell'ura-gano,[Pg 413] fosse stato gittato più al largo. Ma il capita-no si disingannò presto, com'ebbe rivolto a quella voltail suo cannocchiale. Era un altro vapor francese, il qualelo chiamava a bordo e coi segnali spiegati sull'albero, ecol cannone che da lì a non molto si sentì rimbombareda lungi. Claudina avea sperato che fosse il Dante, aveasperato riabbracciare in esso il marito; che le parevaun'ora mille anni di fare con esso la pace, e domandargliperdono de' proprj capricci. Quando intese che non eraaltrimenti il legno che si credeva, sentì una stretta alcuore, e per la prima volta pensò al pericolo in cui Gior-gio s'era trovato per lei; pensò che forse, non sorrettodalla forza di spirito di cui si teneva fornita, avrebbesofferto una notte d'inferno. Ed ora sopravveniva questonuovo ritardo, e sa Iddio che ne doveva seguire!

Intanto i due vapori si raccostavano, il Carlomagnocon molta alacrità, l'altro assai lentamente, cosicchè nonci volle molto a indovinare che doveva far acqua, o averguasta la macchina e la manovra difficile. Era l'Hiron-

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V.

Il contrattempo.

Ma qui non era finita la storia. Non andò molto cheapparve a vista d'occhio un punto nero che tosto si rico-nobbe per un altro battello a vapore alla sottile colonnadi fumo che s'alzava dal centro di esso. Si pensò tostoche potesse essere il Dante, il quale dal furore dell'ura-gano,[Pg 413] fosse stato gittato più al largo. Ma il capita-no si disingannò presto, com'ebbe rivolto a quella voltail suo cannocchiale. Era un altro vapor francese, il qualelo chiamava a bordo e coi segnali spiegati sull'albero, ecol cannone che da lì a non molto si sentì rimbombareda lungi. Claudina avea sperato che fosse il Dante, aveasperato riabbracciare in esso il marito; che le parevaun'ora mille anni di fare con esso la pace, e domandargliperdono de' proprj capricci. Quando intese che non eraaltrimenti il legno che si credeva, sentì una stretta alcuore, e per la prima volta pensò al pericolo in cui Gior-gio s'era trovato per lei; pensò che forse, non sorrettodalla forza di spirito di cui si teneva fornita, avrebbesofferto una notte d'inferno. Ed ora sopravveniva questonuovo ritardo, e sa Iddio che ne doveva seguire!

Intanto i due vapori si raccostavano, il Carlomagnocon molta alacrità, l'altro assai lentamente, cosicchè nonci volle molto a indovinare che doveva far acqua, o averguasta la macchina e la manovra difficile. Era l'Hiron-

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delle che due giorni prima salpava da Marsiglia per lanuova colonia francese, incaricata di pressanti dispaccidel suo governo per l'Algeria. Ma volendo di troppo af-frettare il viaggio, e non ben misurando la forza dellesue macchine, avea dovuto desistere dall'usar la sinistra,e procedeva zoppicando più a forza di vele che di fuocoverso la mèta. Il forte tramontano della notte l'avea purmolestata, e il capitano prevedendo che il suo viaggiosarebbe stato men sicuro e men pronto che i suoi ordininon portavano, aspettava il momento d'abbattersi inqualche piroscafo della sua bandiera per imporgli anome dell'Imperatore d'incaricarsi de' suoi mandati, erecarli in Algeri senza ritardo in luogo di lui. Al Carlo-magno[Pg 414] toccò la sorte. Venuti a parlamento i duecapitani, si concertarono fra loro sui modi di una talemisura: l'Hirondelle prenderebbe a bordo i passeggeridel Carlomagno e li recherebbe come potesse meglio aLivorno, mentre questi coll'incaricato d'affari e coi ri-spettivi dispacci, avuto dall'altro quel di più che gli po-tesse occorrere di munizioni, dovrebbe immantinenti vi-rare per l'Africa. Potete credere se i passeggeri del Car-lomagno non reclamassero contro tal contrattempo! Tut-ti erano già annojati della burrasca notturna; or comedoveano rinunciare al loro diritto, per montare sopra unlegno malconcio, affrontare certo un novello indugio, eforse anche nuovi pericoli, e tutto ciò per far piacere aduno straniero, e per deferenza ad un governo cui nonerano astretti da nessun obbligo? Sopratutto la Claudinan'era dolente e sfoderando tutto il francese che sapeva si

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delle che due giorni prima salpava da Marsiglia per lanuova colonia francese, incaricata di pressanti dispaccidel suo governo per l'Algeria. Ma volendo di troppo af-frettare il viaggio, e non ben misurando la forza dellesue macchine, avea dovuto desistere dall'usar la sinistra,e procedeva zoppicando più a forza di vele che di fuocoverso la mèta. Il forte tramontano della notte l'avea purmolestata, e il capitano prevedendo che il suo viaggiosarebbe stato men sicuro e men pronto che i suoi ordininon portavano, aspettava il momento d'abbattersi inqualche piroscafo della sua bandiera per imporgli anome dell'Imperatore d'incaricarsi de' suoi mandati, erecarli in Algeri senza ritardo in luogo di lui. Al Carlo-magno[Pg 414] toccò la sorte. Venuti a parlamento i duecapitani, si concertarono fra loro sui modi di una talemisura: l'Hirondelle prenderebbe a bordo i passeggeridel Carlomagno e li recherebbe come potesse meglio aLivorno, mentre questi coll'incaricato d'affari e coi ri-spettivi dispacci, avuto dall'altro quel di più che gli po-tesse occorrere di munizioni, dovrebbe immantinenti vi-rare per l'Africa. Potete credere se i passeggeri del Car-lomagno non reclamassero contro tal contrattempo! Tut-ti erano già annojati della burrasca notturna; or comedoveano rinunciare al loro diritto, per montare sopra unlegno malconcio, affrontare certo un novello indugio, eforse anche nuovi pericoli, e tutto ciò per far piacere aduno straniero, e per deferenza ad un governo cui nonerano astretti da nessun obbligo? Sopratutto la Claudinan'era dolente e sfoderando tutto il francese che sapeva si

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mise a gridare contro all'arbitrio e all'inaudita angheria.Ma e' fu un predicare a' porri. I marinai senza badare aciance travasavano a bordo del Carlomagno il carbone ele vittuaglie dell'altro vapore, e aspettavano i passeggieriper tragittarli nell'Hirondelle. Quando si vide che eranovani i reclami, si fece tra loro una breve consulta, e qua-si tutti ricusarono andarvi. Erano pronti piuttosto a fareil viaggio d'Algeri sopra un legno sicuro, che esporsiall'eventualità di nuovi pericoli sulla Rondinella, che e'non potevano sapere in quanto fosse stata danneggiatadal fuoco e dal mare. Tranne alcuni negozianti cui trop-po importava esser presto a Livorno, tutti gli altri, comedissi, accompagnarono in Africa l'inviato. Fra questiClaudina, la quale da questo accidente fu presa in fradue contrari affetti. Rincuorata dalla novità della cosa,ella lasciava vagar volontieri la sua fantasia fra i rischi ele avventure probabili del protratto viaggio, dall'altranon sapeva darsi[Pg 415] pace del dispiacere che Giorgion'avrebbe provato. Ma a questo era facile recar sollievocon una lettera ch'ella scrisse in un attimo e consegnò alcomandante dell'Hirondelle, il quale galantemente inca-ricossi di farla pervenire a bordo del Dante, come primaavesse toccato terra. Questa lettera diceva:

«Caro il mio Giorgio. Non ho che due minuti per do-mandarvi perdono del mio capriccio di donna che ci hacosì disuniti. Saprete dagli altri per quali accidenti iodevo recarmi nell'Africa. Non so quanto dovrò rimanerein Algeri, aspettando un imbarco per Livorno o per Ge-

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mise a gridare contro all'arbitrio e all'inaudita angheria.Ma e' fu un predicare a' porri. I marinai senza badare aciance travasavano a bordo del Carlomagno il carbone ele vittuaglie dell'altro vapore, e aspettavano i passeggieriper tragittarli nell'Hirondelle. Quando si vide che eranovani i reclami, si fece tra loro una breve consulta, e qua-si tutti ricusarono andarvi. Erano pronti piuttosto a fareil viaggio d'Algeri sopra un legno sicuro, che esporsiall'eventualità di nuovi pericoli sulla Rondinella, che e'non potevano sapere in quanto fosse stata danneggiatadal fuoco e dal mare. Tranne alcuni negozianti cui trop-po importava esser presto a Livorno, tutti gli altri, comedissi, accompagnarono in Africa l'inviato. Fra questiClaudina, la quale da questo accidente fu presa in fradue contrari affetti. Rincuorata dalla novità della cosa,ella lasciava vagar volontieri la sua fantasia fra i rischi ele avventure probabili del protratto viaggio, dall'altranon sapeva darsi[Pg 415] pace del dispiacere che Giorgion'avrebbe provato. Ma a questo era facile recar sollievocon una lettera ch'ella scrisse in un attimo e consegnò alcomandante dell'Hirondelle, il quale galantemente inca-ricossi di farla pervenire a bordo del Dante, come primaavesse toccato terra. Questa lettera diceva:

«Caro il mio Giorgio. Non ho che due minuti per do-mandarvi perdono del mio capriccio di donna che ci hacosì disuniti. Saprete dagli altri per quali accidenti iodevo recarmi nell'Africa. Non so quanto dovrò rimanerein Algeri, aspettando un imbarco per Livorno o per Ge-

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nova. Fareste meglio a venirmi a trovar là, e così vedre-mo assieme quella fertile costa stata già nido de' barba-reschi, e così celebre nelle storie marittime. Da bravo,giacchè siamo in ballo, balliamo. Dolentissima per ve-dermi disgiunta da voi, non posso non adorare la provvi-denza che per vie così strane volle favorire la mia voca-zione. Io v'attendo a Costantina.... e non già sotto la ten-da d'Abd-el-Cader.

«La vostra CLAUDIA.»

VI.

A gatta cieca.

Il Dante aveva anch'egli provato la forza del vento,ma governato da comandante più esperto di que' mari,più acconciamente costrutto per superare la traversia, o,come sosteneva Giorgio, protetto dal nome e dalla in-fluenza del primo poeta italiano, avea meglio serbata lalinea, nè se n'era dipartito quanto il suo borioso rivale. Amezzogiorno del dì seguente avea già guadagnato il por-to e salutata Livorno mentre non s'era ancora saputa no-vella nè del Carlomagno nè d'altro. Giorgio[Pg 416] co-minciò ad inquietarsene, come potete ben figurarvelo.Spostato com'era dalle sue tranquille abitudini, in unpaese straniero per lui, giacchè ad un giovane dell'indolesua poco tratto di mare dovea sembrare un intervallograndissimo, con pochi denari in tasca, chè il corpo del

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nova. Fareste meglio a venirmi a trovar là, e così vedre-mo assieme quella fertile costa stata già nido de' barba-reschi, e così celebre nelle storie marittime. Da bravo,giacchè siamo in ballo, balliamo. Dolentissima per ve-dermi disgiunta da voi, non posso non adorare la provvi-denza che per vie così strane volle favorire la mia voca-zione. Io v'attendo a Costantina.... e non già sotto la ten-da d'Abd-el-Cader.

«La vostra CLAUDIA.»

VI.

A gatta cieca.

Il Dante aveva anch'egli provato la forza del vento,ma governato da comandante più esperto di que' mari,più acconciamente costrutto per superare la traversia, o,come sosteneva Giorgio, protetto dal nome e dalla in-fluenza del primo poeta italiano, avea meglio serbata lalinea, nè se n'era dipartito quanto il suo borioso rivale. Amezzogiorno del dì seguente avea già guadagnato il por-to e salutata Livorno mentre non s'era ancora saputa no-vella nè del Carlomagno nè d'altro. Giorgio[Pg 416] co-minciò ad inquietarsene, come potete ben figurarvelo.Spostato com'era dalle sue tranquille abitudini, in unpaese straniero per lui, giacchè ad un giovane dell'indolesua poco tratto di mare dovea sembrare un intervallograndissimo, con pochi denari in tasca, chè il corpo del

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capitale disposto per quella gita era restato a bordo delCarlomagno, senza conoscenti, senza lettera di racco-mandazione e di credito, senza la sposa, che con tutti isuoi capricci era, come di dovere, il più prezioso de'suoi tesori, travagliato dal burrascoso viaggio, inquietodella sorte di lei, vi lascio pensare in quale stato ei pas-seggiasse lungo il molo di Livorno, aspettando l'arrivodel sospirato vapore. Ma aspetta, aspetta, quella bene-detta colonna di fumo non si vedeva mai comparirenell'orizzonte. Interrogava tutti i bastimenti che di trattoin tratto prendevano terra, ma invano. Finalmente sul fardel vespro s'ebbe notizia che un vapor francese era in vi-sta, ma pareva malconcio, nè sarebbe giunto in tempoper aver pratica quella sera. Egli non dubitò più che fos-se quello ov'era imbarcata Claudina; ma stanco com'era,e rassegnato a non vederla prima della mattina vegnen-te, se ne andò a letto. Non vi dico se vegliò, se dormì, sesognò burrasche, naufragi e pirati. Salto a piè pari lanotte, e lo accompagno sul molo. Qui viene ad intendereche il vapor francese non è altrimenti il Carlomagno,ma l'Hirondelle. Impensierito del cambio, andò pur difi-lato a bordo colla speranza di ritrovarci la sua capriccio-sa metà. Trovò invece una lettera — quella lettera cheleggeste, molto concisa, la quale lo invitava in Africa,come se l'Africa fosse ad un miglio di distanza, come sesi trattasse di una giterella lungo la sua riviera. In Afri-ca, eterni Dei! in Algeri, dove sono i pirati, dove l'insur-rezione de' beduini tiene in continuo allarme le truppefrancesi! Immaginare la sua Claudina in[Pg 417] mezzo a

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capitale disposto per quella gita era restato a bordo delCarlomagno, senza conoscenti, senza lettera di racco-mandazione e di credito, senza la sposa, che con tutti isuoi capricci era, come di dovere, il più prezioso de'suoi tesori, travagliato dal burrascoso viaggio, inquietodella sorte di lei, vi lascio pensare in quale stato ei pas-seggiasse lungo il molo di Livorno, aspettando l'arrivodel sospirato vapore. Ma aspetta, aspetta, quella bene-detta colonna di fumo non si vedeva mai comparirenell'orizzonte. Interrogava tutti i bastimenti che di trattoin tratto prendevano terra, ma invano. Finalmente sul fardel vespro s'ebbe notizia che un vapor francese era in vi-sta, ma pareva malconcio, nè sarebbe giunto in tempoper aver pratica quella sera. Egli non dubitò più che fos-se quello ov'era imbarcata Claudina; ma stanco com'era,e rassegnato a non vederla prima della mattina vegnen-te, se ne andò a letto. Non vi dico se vegliò, se dormì, sesognò burrasche, naufragi e pirati. Salto a piè pari lanotte, e lo accompagno sul molo. Qui viene ad intendereche il vapor francese non è altrimenti il Carlomagno,ma l'Hirondelle. Impensierito del cambio, andò pur difi-lato a bordo colla speranza di ritrovarci la sua capriccio-sa metà. Trovò invece una lettera — quella lettera cheleggeste, molto concisa, la quale lo invitava in Africa,come se l'Africa fosse ad un miglio di distanza, come sesi trattasse di una giterella lungo la sua riviera. In Afri-ca, eterni Dei! in Algeri, dove sono i pirati, dove l'insur-rezione de' beduini tiene in continuo allarme le truppefrancesi! Immaginare la sua Claudina in[Pg 417] mezzo a

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tanti rischi, a tanta lontananza da' suoi, era una cosa dadarne il capo nelle muraglie. Il povero Giorgio non sa-peva a qual partito appigliarsi. Per un momento pensò,tanto il timore ci rende talora egoisti, pensò, dico, finoad abbandonare la capricciosa fanciulla, fino a lasciarlaviaggiare a sua posta in cerca di nuovi mondi, e tornar-sene a casa a scrivere un romanzo storico sulla curiosaavventura di quella gita. Ma poi il suo carattere onoratolo punse: l'amor di Claudina gli si risvegliò più vivo chemai: pensò che il suo illustre concittadino Colombo ave-va scoperta l'America senza avere uno scopo così senti-mentale, nè una via così definita; — s'arrese al più gene-roso consiglio d'imbarcarsi sul primo legno che salpasseper l'Africa, e andare a consumare il suo matrimonio inun oasi del deserto di Sahara.

Salpava quel giorno appunto un legno mercantile au-striaco per l'Africa, e tirando ancora il vento da maestro,prometteva in cinque o sei giorni di felice navigazioneraggiungere il porto d'Algeri. Non era la rapidità d'unvapore, ma l'occasione era buona, il capitano amico alpadre di Giorgio, sicchè il nostro tribolato raccoman-dandosi alla glauca Anfitrite, pose il piede sulla Con-cordia, così chiamavasi quella nave, che non avendotrovato da caricare a Livorno, andava a cercar fortuna inAlgeri. Ma anche la Concordia avea fatto male i suoiconti. Dopo due giorni di prospera navigazione, quandosi trovò ne' paraggi delle Baleari e della Sardegna, ilvento improvvisamente cambiò, e tirò uno scilocco così

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tanti rischi, a tanta lontananza da' suoi, era una cosa dadarne il capo nelle muraglie. Il povero Giorgio non sa-peva a qual partito appigliarsi. Per un momento pensò,tanto il timore ci rende talora egoisti, pensò, dico, finoad abbandonare la capricciosa fanciulla, fino a lasciarlaviaggiare a sua posta in cerca di nuovi mondi, e tornar-sene a casa a scrivere un romanzo storico sulla curiosaavventura di quella gita. Ma poi il suo carattere onoratolo punse: l'amor di Claudina gli si risvegliò più vivo chemai: pensò che il suo illustre concittadino Colombo ave-va scoperta l'America senza avere uno scopo così senti-mentale, nè una via così definita; — s'arrese al più gene-roso consiglio d'imbarcarsi sul primo legno che salpasseper l'Africa, e andare a consumare il suo matrimonio inun oasi del deserto di Sahara.

Salpava quel giorno appunto un legno mercantile au-striaco per l'Africa, e tirando ancora il vento da maestro,prometteva in cinque o sei giorni di felice navigazioneraggiungere il porto d'Algeri. Non era la rapidità d'unvapore, ma l'occasione era buona, il capitano amico alpadre di Giorgio, sicchè il nostro tribolato raccoman-dandosi alla glauca Anfitrite, pose il piede sulla Con-cordia, così chiamavasi quella nave, che non avendotrovato da caricare a Livorno, andava a cercar fortuna inAlgeri. Ma anche la Concordia avea fatto male i suoiconti. Dopo due giorni di prospera navigazione, quandosi trovò ne' paraggi delle Baleari e della Sardegna, ilvento improvvisamente cambiò, e tirò uno scilocco così

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ostinato e indomabile che il capitano dovette declinare aS.O., e prendere il porto di Valenza con un tempo cheteneva del fortunale. Giorgio che ne' due primi giornis'era riconciliato coi venti del Nord, questa volta sareb-be stato tentato di fare una invettiva poetica contro gliAustrali, se travagliato continuamente dal mal di[Pg 418]mare avesse potuto raccapezzare pur una rima. Al più,al più, in qualche lucido intervallo borbottava i versi diOrazio dove il terribile Africo si trova fatto segno dipaure o di preci.

Questo fatto venne attestato dal capitano d'un brik,che veleggiava in que' giorni dalle coste di Spagna perla Sicilia. Dopo questo nè i Giornali del Lloyd, nè al-cun'altra gazzetta commerciale parlarono più della Con-cordia per il corso d'oltre a otto mesi. Questo si sa dicerto che in tutto questo tempo non s'era mai veduta inAlgeri.

VII.

Il Convegno.

Nel punto in cui siamo, il povero narratore di questaveridica storia deve domandar perdono a' benigni lettoridella lunga lacuna che è costretto a lasciare. Se si trat-tasse di un romanzo, ei potrebbe assai facilmente inven-tare naufragi, tempeste, accidenti a sua posta, e riempie-re di fantastiche scene tutto questo lungo intervallo. Ma

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ostinato e indomabile che il capitano dovette declinare aS.O., e prendere il porto di Valenza con un tempo cheteneva del fortunale. Giorgio che ne' due primi giornis'era riconciliato coi venti del Nord, questa volta sareb-be stato tentato di fare una invettiva poetica contro gliAustrali, se travagliato continuamente dal mal di[Pg 418]mare avesse potuto raccapezzare pur una rima. Al più,al più, in qualche lucido intervallo borbottava i versi diOrazio dove il terribile Africo si trova fatto segno dipaure o di preci.

Questo fatto venne attestato dal capitano d'un brik,che veleggiava in que' giorni dalle coste di Spagna perla Sicilia. Dopo questo nè i Giornali del Lloyd, nè al-cun'altra gazzetta commerciale parlarono più della Con-cordia per il corso d'oltre a otto mesi. Questo si sa dicerto che in tutto questo tempo non s'era mai veduta inAlgeri.

VII.

Il Convegno.

Nel punto in cui siamo, il povero narratore di questaveridica storia deve domandar perdono a' benigni lettoridella lunga lacuna che è costretto a lasciare. Se si trat-tasse di un romanzo, ei potrebbe assai facilmente inven-tare naufragi, tempeste, accidenti a sua posta, e riempie-re di fantastiche scene tutto questo lungo intervallo. Ma

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come non si tratta già d'un romanzo, ma d'una storia,egli non vuole esporsi al pericolo d'essere smentito dallenotizie documentate che potrebbero in seguito pervenir-ci su questa singolare Odissea de' due fidanzati. Egli silimita dunque a dire ciò che ne sa, ed anche quel poco lodà come cosa probabile, non come cosa perfettamenteverificata. Si tratta d'avvenimenti quasi contemporanei;e troppi esempi, assai vicini, dimostrano, quanto si deveandar cauti nell'ammettere certe voci che corrono senzaprovarle al crogiuolo dell'esperienza.

Un nostro corrispondente, un triestino che da[Pg 419]poco trovavasi per affari commerciali in Algeri, ci scri-ve d'una bella milanese che avea fatto parlare tutti que'crocchi del suo spirito, del suo coraggio, e del viaggioinvolontario che avea dovuto affrontare la prima nottede' suoi sponsali. Questa non può essere che Claudina.Ma ciò non era più che un poscritto della sua lettera, eper lungo tempo ignorammo che ne seguisse. Pregato danoi a darci qualche notizia più circostanziata su quellagiovane, egli non ci seppe dir altro se non che stette co-stì più d'un mese aspettando sempre il marito, che mainon veniva. È ben vero che i venti soffiarono lungamen-te contrarj: ma qui, soggiunse egli, si tiene per certo chela signora non abbia punto marito, ma sia venuta a cer-carselo nella colonia francese, sa il cielo con quali dise-gni. Non avendolo trovato, era partita per Genova sul le-gno: Les deux frères.

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come non si tratta già d'un romanzo, ma d'una storia,egli non vuole esporsi al pericolo d'essere smentito dallenotizie documentate che potrebbero in seguito pervenir-ci su questa singolare Odissea de' due fidanzati. Egli silimita dunque a dire ciò che ne sa, ed anche quel poco lodà come cosa probabile, non come cosa perfettamenteverificata. Si tratta d'avvenimenti quasi contemporanei;e troppi esempi, assai vicini, dimostrano, quanto si deveandar cauti nell'ammettere certe voci che corrono senzaprovarle al crogiuolo dell'esperienza.

Un nostro corrispondente, un triestino che da[Pg 419]poco trovavasi per affari commerciali in Algeri, ci scri-ve d'una bella milanese che avea fatto parlare tutti que'crocchi del suo spirito, del suo coraggio, e del viaggioinvolontario che avea dovuto affrontare la prima nottede' suoi sponsali. Questa non può essere che Claudina.Ma ciò non era più che un poscritto della sua lettera, eper lungo tempo ignorammo che ne seguisse. Pregato danoi a darci qualche notizia più circostanziata su quellagiovane, egli non ci seppe dir altro se non che stette co-stì più d'un mese aspettando sempre il marito, che mainon veniva. È ben vero che i venti soffiarono lungamen-te contrarj: ma qui, soggiunse egli, si tiene per certo chela signora non abbia punto marito, ma sia venuta a cer-carselo nella colonia francese, sa il cielo con quali dise-gni. Non avendolo trovato, era partita per Genova sul le-gno: Les deux frères.

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Il discreto lettore sa bene che il nostro corrispondentecalunnia qui la Claudina senza saperlo.

Temevamo dover restarcene qui: ma ci pervenne aquesti giorni un giornale inglese il quale in data di Maltareca il seguente costituto sanitario:

«Jer l'altro, alle 4 e mezzo pomeridiane un Brik fran-cese denominato Les deux frères appariva in questi pa-raggi colla bandiera sanitaria e convogliato da un nostroScooner al più prossimo lazzaretto. Parlamentò con unanave a palo austriaca, la Concordia, ad istanza d'un pas-seggero che v'era a bordo. Furono osservate tutte le nor-me prescritte dai nostri regolamenti: ma sulla fine di unlungo colloquio che seguì tra il passeggiero suddetto, euna signora che viaggiava sul legno infetto, ebbe luogoun ricambio di carte scagliate reciprocamente da un bor-do all'altro, senza che i guardiani potessero impedirneloa tempo. Il comandante dello Scooner credette quindidover imporre anche alla Concordia di raggiugnere[Pg420] il lazzaretto, e vi compiono entrambe la quarantinalegale.»

I nostri lettori indovineranno senza fatica come i duepasseggeri non erano altri che Giorgio e Claudina, i qua-li dopo un anno di vicende s'erano alfine scontrati vicinoa Malta, ma senza poter abbracciarsi. Per l'infrazione so-vraccennata delle regole sanitarie dovettero rimaner se-questrati nel lazzaretto dove si saranno consolati reci-

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Il discreto lettore sa bene che il nostro corrispondentecalunnia qui la Claudina senza saperlo.

Temevamo dover restarcene qui: ma ci pervenne aquesti giorni un giornale inglese il quale in data di Maltareca il seguente costituto sanitario:

«Jer l'altro, alle 4 e mezzo pomeridiane un Brik fran-cese denominato Les deux frères appariva in questi pa-raggi colla bandiera sanitaria e convogliato da un nostroScooner al più prossimo lazzaretto. Parlamentò con unanave a palo austriaca, la Concordia, ad istanza d'un pas-seggero che v'era a bordo. Furono osservate tutte le nor-me prescritte dai nostri regolamenti: ma sulla fine di unlungo colloquio che seguì tra il passeggiero suddetto, euna signora che viaggiava sul legno infetto, ebbe luogoun ricambio di carte scagliate reciprocamente da un bor-do all'altro, senza che i guardiani potessero impedirneloa tempo. Il comandante dello Scooner credette quindidover imporre anche alla Concordia di raggiugnere[Pg420] il lazzaretto, e vi compiono entrambe la quarantinalegale.»

I nostri lettori indovineranno senza fatica come i duepasseggeri non erano altri che Giorgio e Claudina, i qua-li dopo un anno di vicende s'erano alfine scontrati vicinoa Malta, ma senza poter abbracciarsi. Per l'infrazione so-vraccennata delle regole sanitarie dovettero rimaner se-questrati nel lazzaretto dove si saranno consolati reci-

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procamente del loro viaggetto nuziale. Le carte ricam-biate erano le loro memorie, che varrebbero tant'oro pernoi, e ci darebbero di che riempire la lunga lacuna la-sciata nel nostro racconto. — Ma questo còmpito è con-fidato a mani migliori. Claudina, essendosi persuasa chelo scrivere un romanzo marittimo, è assai più piacevolech'esserne l'eroina, si occupa presentemente di metterein ordine quelle note e quelle impressioni, e non andràmolto che l'Italia potrà vantare un racconto di un generenuovo, che ancora ci manca.

[Pg 421]

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procamente del loro viaggetto nuziale. Le carte ricam-biate erano le loro memorie, che varrebbero tant'oro pernoi, e ci darebbero di che riempire la lunga lacuna la-sciata nel nostro racconto. — Ma questo còmpito è con-fidato a mani migliori. Claudina, essendosi persuasa chelo scrivere un romanzo marittimo, è assai più piacevolech'esserne l'eroina, si occupa presentemente di metterein ordine quelle note e quelle impressioni, e non andràmolto che l'Italia potrà vantare un racconto di un generenuovo, che ancora ci manca.

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L'ORA DEGLI SPIRITI.

FANTASIE NOTTURNE.

I.

La chiave di casa.

Aveva un bel frugarmi in tutte le tasche: la mia chiavenon c'era. O l'avevo lasciata a casa, o l'avevo perdutaper via.

Era la mezzanotte. Mi trovavo dinanzi a un forte can-cello di ferro, a guardia del quale non c'era nè cane nèportinaio. Nei tre piani della casa tutto taceva. Nessunlume appariva dalle finestre. Io conosceva per esperien-za le abitudini de' casigliani. Avrei potuto picchiare esuonare per un'ora, senza riuscire a farmi sentire, o sen-za indurre quelle donne a lasciare le coltrici. I monellidel quartiere che si divertono spesso a suonare per celia,le avevano rese incredule ed impassibili a chi facesseappello per vera urgenza al loro buon cuore.

Dunque io restava escluso per tutta la notte dalla miacamera e dal mio letto.

Aveva due espedienti dinanzi a me: o passeggiare levie di Firenze per altre sei o sette ore, o cercar ricove-ro[Pg 422] in un albergo. Nè l'una cosa nè l'altra mi garba-

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L'ORA DEGLI SPIRITI.

FANTASIE NOTTURNE.

I.

La chiave di casa.

Aveva un bel frugarmi in tutte le tasche: la mia chiavenon c'era. O l'avevo lasciata a casa, o l'avevo perdutaper via.

Era la mezzanotte. Mi trovavo dinanzi a un forte can-cello di ferro, a guardia del quale non c'era nè cane nèportinaio. Nei tre piani della casa tutto taceva. Nessunlume appariva dalle finestre. Io conosceva per esperien-za le abitudini de' casigliani. Avrei potuto picchiare esuonare per un'ora, senza riuscire a farmi sentire, o sen-za indurre quelle donne a lasciare le coltrici. I monellidel quartiere che si divertono spesso a suonare per celia,le avevano rese incredule ed impassibili a chi facesseappello per vera urgenza al loro buon cuore.

Dunque io restava escluso per tutta la notte dalla miacamera e dal mio letto.

Aveva due espedienti dinanzi a me: o passeggiare levie di Firenze per altre sei o sette ore, o cercar ricove-ro[Pg 422] in un albergo. Nè l'una cosa nè l'altra mi garba-

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va gran fatto. Passeggiavo da due ore, e non sono piùnell'età che la posizione verticale della persona mi sem-bri la più naturale.

Cercare un albergo.... avendo casa a Firenze, mi pare-va un espediente da riservarsi per ultimo, quando avessiperduta ogni speranza di stendere le mie membra sulproprio letto. Ora ogni speranza non era del tutto perdu-ta. Ogni zio possiede qualche nipote più o meno randa-gio: ed io ne ho uno che sento per ordinario salir le scaledopo di me. In quel momento desiderai ch'egli fosse an-cora a qualche veglia, o al caffè, moltiplicando le partitedi biliardo o di dominò. La sua finestra era ancora aper-ta, nè vi si scorgeva alcun lume. Era dunque fuori, e pre-sto o tardi sarebbe tornato colle sue chiavi. Mi rassegnaiad aspettarlo a piè fermo, facendo la sentinella sulla miaporta.

Il tempo, dissi fra me, non sarà lungo, e ad ogni modotroverò maniera di abbreviarlo, osservando l'eterne stel-le ed evocando gli spiriti che dalla mezzanotte fino altocco hanno facoltà di rispondere alla chiamata de' vivi.

II.

La scena.

La parte di Firenze ch'io aveva dinanzi, era una can-tonata nel sesto di San Miniato al monte.

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va gran fatto. Passeggiavo da due ore, e non sono piùnell'età che la posizione verticale della persona mi sem-bri la più naturale.

Cercare un albergo.... avendo casa a Firenze, mi pare-va un espediente da riservarsi per ultimo, quando avessiperduta ogni speranza di stendere le mie membra sulproprio letto. Ora ogni speranza non era del tutto perdu-ta. Ogni zio possiede qualche nipote più o meno randa-gio: ed io ne ho uno che sento per ordinario salir le scaledopo di me. In quel momento desiderai ch'egli fosse an-cora a qualche veglia, o al caffè, moltiplicando le partitedi biliardo o di dominò. La sua finestra era ancora aper-ta, nè vi si scorgeva alcun lume. Era dunque fuori, e pre-sto o tardi sarebbe tornato colle sue chiavi. Mi rassegnaiad aspettarlo a piè fermo, facendo la sentinella sulla miaporta.

Il tempo, dissi fra me, non sarà lungo, e ad ogni modotroverò maniera di abbreviarlo, osservando l'eterne stel-le ed evocando gli spiriti che dalla mezzanotte fino altocco hanno facoltà di rispondere alla chiamata de' vivi.

II.

La scena.

La parte di Firenze ch'io aveva dinanzi, era una can-tonata nel sesto di San Miniato al monte.

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Il quartiere, in quell'ora, era perfettamente silenziosoe deserto. Gli spiriti avrebbero potuto apparire senza ti-more di testimoni indiscreti. Le mie vicine avean chiusoermeticamente le finestre. Le due tessitore così indefes-se al telaio, non facevano più andare la spola, che co-mincia la mattina alle quattro il suo monotono via[Pg 423]vai. Anche le due fioraine, dopo aver messi in istrettoioi loro riccioli, aveano detto addio al mondo esterno, cheguardano dall'alto al basso aspettando di vederlo più davicino.

Non erano ancora quindici minuti che una frotta digiovanotti avevano fatta la loro ronda, camminando colpiè di feltro, per non turbare un concerto di chitarra e diarmonica, ai quali si alternava uno stornello paesanocantato da una voce argentina, a cui gli altri tenevanobordone a labbri chiusi, perchè la voce sola salisse inalto e andasse al suo indirizzo coi suoi intendimenti.Quella serenata era passata due volte, senza che alcunafinestra si aprisse come per rispondere: grazie.

Dopo la poesia, la prosa. Due guardie di città pertica-vano gravemente la via, alias fondaccio. Codesti vigilidel municipio non mancano mai quando non c'è bisognodi loro. Mi guardarono con occhio discreto, senza darsipensiero d'indovinare perch'io mi restassi ritto dinanzi aquella porta inflessibile. Avrei potuto essere un ladro,senza essere molestato, come segue il più delle volte.

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Il quartiere, in quell'ora, era perfettamente silenziosoe deserto. Gli spiriti avrebbero potuto apparire senza ti-more di testimoni indiscreti. Le mie vicine avean chiusoermeticamente le finestre. Le due tessitore così indefes-se al telaio, non facevano più andare la spola, che co-mincia la mattina alle quattro il suo monotono via[Pg 423]vai. Anche le due fioraine, dopo aver messi in istrettoioi loro riccioli, aveano detto addio al mondo esterno, cheguardano dall'alto al basso aspettando di vederlo più davicino.

Non erano ancora quindici minuti che una frotta digiovanotti avevano fatta la loro ronda, camminando colpiè di feltro, per non turbare un concerto di chitarra e diarmonica, ai quali si alternava uno stornello paesanocantato da una voce argentina, a cui gli altri tenevanobordone a labbri chiusi, perchè la voce sola salisse inalto e andasse al suo indirizzo coi suoi intendimenti.Quella serenata era passata due volte, senza che alcunafinestra si aprisse come per rispondere: grazie.

Dopo la poesia, la prosa. Due guardie di città pertica-vano gravemente la via, alias fondaccio. Codesti vigilidel municipio non mancano mai quando non c'è bisognodi loro. Mi guardarono con occhio discreto, senza darsipensiero d'indovinare perch'io mi restassi ritto dinanzi aquella porta inflessibile. Avrei potuto essere un ladro,senza essere molestato, come segue il più delle volte.

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Dopo le guardie municipali, passò l'ispettore dei fana-li. Non passò già per accendere quelli che si trovasserospenti, ma per ispegnere quelli che a suo credere brilla-vano inutilmente. Io ne abbracciava prima collo sguardootto o dieci: dopo la visita dell'ispettore, dovetti conten-tarmi di due.

Tanto meglio, dissi fra me. Ora verranno gli spiritiche amano l'ombra e il mistero.

Ma la prosa continuava. Un passo si avvicinava lenta-mente alla mia destra. Si avvicinava monotono e regola-re, come il passo di una sentinella tedesca. Giunto atrenta metri da me, mise la chiave nella toppa d'una por-ta, e sparì.

Fortunato te! esclamai fra me stesso. Tu almeno[Pg 424]non hai dimenticato la chiave. Non so chi fosse, nè se inquella casa avesse il suo domicilio legale. Capite beneche non me ne sono curato, per non parere più indiscre-to degli altri.

Di quando in quando un altro passo si udiva avvici-narsi or da una parte or dall'altra. Erano operai che ave-vano protratto il loro lavoro, o ne avevano scialato ilguadagno al caffè. Di altre cause dell'indugio non vo'parlare, perchè quella sera, trovandomi in una posizioneche poteva parere equivoca, non era disposto a commet-tere giudizii temerarii sul conto del prossimo. Anchequesti ultimi sintomi della vita e del lavoro umano di-

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Dopo le guardie municipali, passò l'ispettore dei fana-li. Non passò già per accendere quelli che si trovasserospenti, ma per ispegnere quelli che a suo credere brilla-vano inutilmente. Io ne abbracciava prima collo sguardootto o dieci: dopo la visita dell'ispettore, dovetti conten-tarmi di due.

Tanto meglio, dissi fra me. Ora verranno gli spiritiche amano l'ombra e il mistero.

Ma la prosa continuava. Un passo si avvicinava lenta-mente alla mia destra. Si avvicinava monotono e regola-re, come il passo di una sentinella tedesca. Giunto atrenta metri da me, mise la chiave nella toppa d'una por-ta, e sparì.

Fortunato te! esclamai fra me stesso. Tu almeno[Pg 424]non hai dimenticato la chiave. Non so chi fosse, nè se inquella casa avesse il suo domicilio legale. Capite beneche non me ne sono curato, per non parere più indiscre-to degli altri.

Di quando in quando un altro passo si udiva avvici-narsi or da una parte or dall'altra. Erano operai che ave-vano protratto il loro lavoro, o ne avevano scialato ilguadagno al caffè. Di altre cause dell'indugio non vo'parlare, perchè quella sera, trovandomi in una posizioneche poteva parere equivoca, non era disposto a commet-tere giudizii temerarii sul conto del prossimo. Anchequesti ultimi sintomi della vita e del lavoro umano di-

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Page 542: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

ventavano sempre più radi, e finalmente cessarono.

E mio nipote non ritornava. Dove trovavasi egli mai aquell'ora? Se avessi potuto immaginare da qual parte ve-nisse, gli sarei mosso incontro. Ma la fortuna e i nipotigirovaghi non si sa da qual parte ci vengano.

Rimasi solo.... aspettando. Non mai mi ricorse al pen-siero con più dispetto il proverbio veneziano:

Aspetar e no vegnirXe una cossa da morir.

III.

Gli spiriti delle tenebre.

Chi non ha avuto alcuna volta la curiosità di trovarsi acontatto del mondo secreto? Io l'ebbi questo desideriopiù o meno peccaminoso. Ma per quanti libri di magìabianca e negra mi avvenisse di scorrere, per quante ta-vole facessi girare, per quante invocazioni facessi, nondirò al diavolo in persona, ma agli dei pagani che do-vrebbero essere un quid simile, non mi avvenne mai divederne nè coda nè corno. Anzi la mia stimabile[Pg 425]amica Aretusa avendo evocato per me con tutta l'intensi-tà della fede lo spirito di Felice Orsini, si udì risponderech'io non era degno ancora di entrare in communicazio-ne colle anime sciolte dal corpo. E la causa è chiara persè: io non ho fede che basti per forzar la natura.

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ventavano sempre più radi, e finalmente cessarono.

E mio nipote non ritornava. Dove trovavasi egli mai aquell'ora? Se avessi potuto immaginare da qual parte ve-nisse, gli sarei mosso incontro. Ma la fortuna e i nipotigirovaghi non si sa da qual parte ci vengano.

Rimasi solo.... aspettando. Non mai mi ricorse al pen-siero con più dispetto il proverbio veneziano:

Aspetar e no vegnirXe una cossa da morir.

III.

Gli spiriti delle tenebre.

Chi non ha avuto alcuna volta la curiosità di trovarsi acontatto del mondo secreto? Io l'ebbi questo desideriopiù o meno peccaminoso. Ma per quanti libri di magìabianca e negra mi avvenisse di scorrere, per quante ta-vole facessi girare, per quante invocazioni facessi, nondirò al diavolo in persona, ma agli dei pagani che do-vrebbero essere un quid simile, non mi avvenne mai divederne nè coda nè corno. Anzi la mia stimabile[Pg 425]amica Aretusa avendo evocato per me con tutta l'intensi-tà della fede lo spirito di Felice Orsini, si udì risponderech'io non era degno ancora di entrare in communicazio-ne colle anime sciolte dal corpo. E la causa è chiara persè: io non ho fede che basti per forzar la natura.

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Ma questa sera, chi sa? Fosse il dispetto del mondovisibile, fosse quello stato di stanchezza e di sonnolenzain cui mi trovavo, ebbi un lampo, se non di fede, almenodi speranza. Non feci soffumigi di zolfo, non segnai sulterreno il magico segno di Salomone. Codeste sono coseda ciarlatani. Raccolsi tutta la forza della mia volontà, ecomandai mentalmente: venite! venite! venite!

Guardai intorno: tesi l'orecchie. Nessuno strepito,nessun fenomeno che mi avvisasse d'essere stato obbe-dito. Che è che non è, veggo uscire da un'apertura a fiordi terra, ch'io non avevo punto avvertita, un non so chedi semovente, nero nero, che allungando silenziosamen-te il passo e quasi strisciando se ne veniva alla mia vol-ta. Aveva due occhi fiammanti che lucevano nell'ombracome due topazi fosforici. Quei due occhi si affisavanonei miei, quasi volessero magnetizzarmi. Non era uncane, non era un gatto, o almeno mi pareva d'una strut-tura diversa. Era lungo, magro, smilzo come una donno-la, ma quattro volte più grande di quelle che mai vedes-si. Si avvicinava cauto, incerto, come tentasse il terreno,come volesse assicurarsi ch'io l'avessi veramente chia-mato.

Fosse anche quella la forma di una gatto, pensai frame, il diavolo non ha corpo, e per darmi prova della suacondiscendenza dee pur prendere la sembianza di unanimale. E aspettai di piè fermo, benchè a dir vero misentissi scorrere per le vene un involontario ribrezzo.

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Ma questa sera, chi sa? Fosse il dispetto del mondovisibile, fosse quello stato di stanchezza e di sonnolenzain cui mi trovavo, ebbi un lampo, se non di fede, almenodi speranza. Non feci soffumigi di zolfo, non segnai sulterreno il magico segno di Salomone. Codeste sono coseda ciarlatani. Raccolsi tutta la forza della mia volontà, ecomandai mentalmente: venite! venite! venite!

Guardai intorno: tesi l'orecchie. Nessuno strepito,nessun fenomeno che mi avvisasse d'essere stato obbe-dito. Che è che non è, veggo uscire da un'apertura a fiordi terra, ch'io non avevo punto avvertita, un non so chedi semovente, nero nero, che allungando silenziosamen-te il passo e quasi strisciando se ne veniva alla mia vol-ta. Aveva due occhi fiammanti che lucevano nell'ombracome due topazi fosforici. Quei due occhi si affisavanonei miei, quasi volessero magnetizzarmi. Non era uncane, non era un gatto, o almeno mi pareva d'una strut-tura diversa. Era lungo, magro, smilzo come una donno-la, ma quattro volte più grande di quelle che mai vedes-si. Si avvicinava cauto, incerto, come tentasse il terreno,come volesse assicurarsi ch'io l'avessi veramente chia-mato.

Fosse anche quella la forma di una gatto, pensai frame, il diavolo non ha corpo, e per darmi prova della suacondiscendenza dee pur prendere la sembianza di unanimale. E aspettai di piè fermo, benchè a dir vero misentissi scorrere per le vene un involontario ribrezzo.

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Page 544: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

[Pg 426]

E lo spirito si appressava, prendendo ad ora ad orauna figura più simile a quella di un gatto, ma di un gattostraordinario, stravagante, infernale. Ci siamo! dissi frame. E feci uno sforzo sopra me stesso per presentareallo spirito un contegno fermo e degno di un uomo.

Tutto ad un tratto dai tegoli della casa di rimpetto sifece udire un miagolìo di vero gatto: al quale rispose unaltro miagolìo più acuto, che pareva uscir dalla gola diun animale della medesima razza, ma di sesso diverso. Idue miagolii s'incontrarono come due sospiri d'amor fe-lino e felice, e si alternavano e crescevano a grado a gra-do, come due squilli di corde, come un cànone di musi-ca classica e sacra.

Mi rivolsi istintivamente al luogo donde scendevaquel mirabile duetto: ma non appena ebbi stornato losguardo dagli occhi della mia misteriosa visione, questaimmediatamente disparve e si rimpiattò sotto terra.

Ebbi un bell'evocarla di nuovo: non venne più. Forsel'accordo udito dall'alto la spaventò: forse temette il pa-ragone del vero: forse volle punirmi perchè m'ero lascia-to distrarre da quell'incidente d'ordine naturale e monda-no. Il fatto sta che anche in quest'occasione lo spiritoevitò il contatto dei corpi, e mi lasciò smagato e più dif-fidente ch'io non fossi prima, di potere mai entrare incommunicazione cogli spiriti elementari.

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E lo spirito si appressava, prendendo ad ora ad orauna figura più simile a quella di un gatto, ma di un gattostraordinario, stravagante, infernale. Ci siamo! dissi frame. E feci uno sforzo sopra me stesso per presentareallo spirito un contegno fermo e degno di un uomo.

Tutto ad un tratto dai tegoli della casa di rimpetto sifece udire un miagolìo di vero gatto: al quale rispose unaltro miagolìo più acuto, che pareva uscir dalla gola diun animale della medesima razza, ma di sesso diverso. Idue miagolii s'incontrarono come due sospiri d'amor fe-lino e felice, e si alternavano e crescevano a grado a gra-do, come due squilli di corde, come un cànone di musi-ca classica e sacra.

Mi rivolsi istintivamente al luogo donde scendevaquel mirabile duetto: ma non appena ebbi stornato losguardo dagli occhi della mia misteriosa visione, questaimmediatamente disparve e si rimpiattò sotto terra.

Ebbi un bell'evocarla di nuovo: non venne più. Forsel'accordo udito dall'alto la spaventò: forse temette il pa-ragone del vero: forse volle punirmi perchè m'ero lascia-to distrarre da quell'incidente d'ordine naturale e monda-no. Il fatto sta che anche in quest'occasione lo spiritoevitò il contatto dei corpi, e mi lasciò smagato e più dif-fidente ch'io non fossi prima, di potere mai entrare incommunicazione cogli spiriti elementari.

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Page 545: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

IV.

Le nozze sui tegoli.

La coppia innamorata continuava intanto il suo classi-co duetto sui tegoli. All'andante era succeduta la stretta,e la melodia si spezzava in certi suoni imitativi[Pg 427] damandare in visibilio il Wagner, e tutti i musicaroli dellascuola.

I suoni separati da intervalli sempre più lunghi, apoco a poco si perdettero in un silenzio espressivo, el'assiuolo della sovrastante collina intuonò il peana dinozze con quella sua voce fluida, che sembra un gemitomisterioso d'amore. Virgilio intendeva certo di questogemito, quando disse nel suo latino: et ulularunt summode vertice nymphæ.

Ulularunt non è la parola: ma si sa bene che la linguadi Virgilio non è obbligata ad esprimere per lo appuntoquella qualità di suono che manda l'assiuolo toscano,nelle placide notti d'estate. Chiu! chiu! Quasi vogliadire: basta così: sat prata biberunt!

Intanto io mi era staccato dalla soglia di casa, e mi ac-costava istintivamente a quella parte da cui pareva veni-re quel gemito amoroso e felice. L'avete voi mai vedutol'assiuolo? Io no certamente, e dubito molto che nessunol'abbia mai sorpreso nell'esercizio delle sue funzioni.

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IV.

Le nozze sui tegoli.

La coppia innamorata continuava intanto il suo classi-co duetto sui tegoli. All'andante era succeduta la stretta,e la melodia si spezzava in certi suoni imitativi[Pg 427] damandare in visibilio il Wagner, e tutti i musicaroli dellascuola.

I suoni separati da intervalli sempre più lunghi, apoco a poco si perdettero in un silenzio espressivo, el'assiuolo della sovrastante collina intuonò il peana dinozze con quella sua voce fluida, che sembra un gemitomisterioso d'amore. Virgilio intendeva certo di questogemito, quando disse nel suo latino: et ulularunt summode vertice nymphæ.

Ulularunt non è la parola: ma si sa bene che la linguadi Virgilio non è obbligata ad esprimere per lo appuntoquella qualità di suono che manda l'assiuolo toscano,nelle placide notti d'estate. Chiu! chiu! Quasi vogliadire: basta così: sat prata biberunt!

Intanto io mi era staccato dalla soglia di casa, e mi ac-costava istintivamente a quella parte da cui pareva veni-re quel gemito amoroso e felice. L'avete voi mai vedutol'assiuolo? Io no certamente, e dubito molto che nessunol'abbia mai sorpreso nell'esercizio delle sue funzioni.

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Tuttavia ne farò domanda al mio amico Antinori, il piùsapiente ornitologo dell'Europa, dell'Asia e dell'Affrica.

Io non conosco dell'assiuolo che la voce, la quale nons'inalza che al chiaro della luna e nel più alto silenziodella notte, specialmente lungo la salita di Poggio impe-riale, ovvero dagli ombrosi declivi di pian de' Giullari.

Vi sono di quelli che lo confondono col rauco gridodella civetta e del barbagianni. Tanto varrebbe confon-dere il flauto col clarino. Vi sono a questo mondo orga-nizzazioni così infelici, che sono condannate a preferirelo squittire del pappagallo ai melodiosi accordi dell'usi-gnuolo.

Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

Ed io infatti passavo, passavo innanzi. Quando[Pg 428]tutt'ad un tratto mi trovai circondato da un'atmosfera difragranze indistinte e soavi, come quelle che annunzia-vano ai poeti antichi la presenza di un nume.

Era un odore di olea fragrans. Pensai a Minerva o aVenere Urania; e queste soavi fragranze e le fantasiegreche che mi svegliarono nella mente, mi allontanaro-no come per incanto delle tetre visioni de' negromanti, emi levarono gli occhi e il pensiero agli spazi sereni delcielo.

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Tuttavia ne farò domanda al mio amico Antinori, il piùsapiente ornitologo dell'Europa, dell'Asia e dell'Affrica.

Io non conosco dell'assiuolo che la voce, la quale nons'inalza che al chiaro della luna e nel più alto silenziodella notte, specialmente lungo la salita di Poggio impe-riale, ovvero dagli ombrosi declivi di pian de' Giullari.

Vi sono di quelli che lo confondono col rauco gridodella civetta e del barbagianni. Tanto varrebbe confon-dere il flauto col clarino. Vi sono a questo mondo orga-nizzazioni così infelici, che sono condannate a preferirelo squittire del pappagallo ai melodiosi accordi dell'usi-gnuolo.

Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

Ed io infatti passavo, passavo innanzi. Quando[Pg 428]tutt'ad un tratto mi trovai circondato da un'atmosfera difragranze indistinte e soavi, come quelle che annunzia-vano ai poeti antichi la presenza di un nume.

Era un odore di olea fragrans. Pensai a Minerva o aVenere Urania; e queste soavi fragranze e le fantasiegreche che mi svegliarono nella mente, mi allontanaro-no come per incanto delle tetre visioni de' negromanti, emi levarono gli occhi e il pensiero agli spazi sereni delcielo.

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Page 547: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

V.

Le stelle.

Non c'è che dire. Quando la notte errando per le viedi Firenze, tu ti trovi in mezzo ad una di codeste nuvoleolezzanti, dimentichi le memorie e le impressioni diver-se e sgradite, per salutarla regina dei fiori. E quandoinalzi lo sguardo e lo affisi sul suo cielo azzurro e sere-no, riconosci la patria di Galileo, e ti rendi ragione dellemeravigliose scoperte ch'ei fece nei campi dell'aria.

Compresi allora quanto io fossi male avvisato, pen-sando di evocare gli spiriti dal fondo della terra.

Essi devono essersi ricoverati nel centro di qualchestella o di qualche pianeta, inaccessibili all'umana curio-sità.

Una volta entrato in questo pensiero, compresi ch'iodovevo rivolgermi all'alto. D'altronde nella mia qualitàdi poeta, si sa ch'io devo esser più abituato a guardare lestelle del cielo, che quelle della terra. Quel verso d'Ovi-dio: Os homini sublime dedit, cœlumque tueri Jussit, mista sempre impresso nella memoria; e quando non ho afar meglio, guardo il cielo e mi gratto il capo col ditomignolo.

Le stelle brillavano al loro posto, sopra un bel cielo[Pg

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V.

Le stelle.

Non c'è che dire. Quando la notte errando per le viedi Firenze, tu ti trovi in mezzo ad una di codeste nuvoleolezzanti, dimentichi le memorie e le impressioni diver-se e sgradite, per salutarla regina dei fiori. E quandoinalzi lo sguardo e lo affisi sul suo cielo azzurro e sere-no, riconosci la patria di Galileo, e ti rendi ragione dellemeravigliose scoperte ch'ei fece nei campi dell'aria.

Compresi allora quanto io fossi male avvisato, pen-sando di evocare gli spiriti dal fondo della terra.

Essi devono essersi ricoverati nel centro di qualchestella o di qualche pianeta, inaccessibili all'umana curio-sità.

Una volta entrato in questo pensiero, compresi ch'iodovevo rivolgermi all'alto. D'altronde nella mia qualitàdi poeta, si sa ch'io devo esser più abituato a guardare lestelle del cielo, che quelle della terra. Quel verso d'Ovi-dio: Os homini sublime dedit, cœlumque tueri Jussit, mista sempre impresso nella memoria; e quando non ho afar meglio, guardo il cielo e mi gratto il capo col ditomignolo.

Le stelle brillavano al loro posto, sopra un bel cielo[Pg

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429] turchino, tanto più lontano da noi quanto era piùpura l'atmosfera.

Come tutti i poeti, ho anch'io la mia stella. Non socome si chiami nella lingua moderna. Gli antichi lachiamavano stella mira variabilis; perchè varia meravi-gliosamente di grandezza e di aspetto. Ora è rossa comeMarte, ora bianca come Venere, ora verdognola comeSirio. Non so se il padre Secchi l'abbia ancora sottopostaal suo prisma. Poco m'importa di quali elementi chimiciconsti la sua sostanza. Preferisco chiamarla la stellad'Italia, o la stella di Beatrice, perchè alterna ai nostriocchi quei tre colori che tanto amiamo, e ci costano tan-to.

Chiunque tu sia, bella stella tricolore, io ti professoun culto particolare, e quando non posso salutarti primadi chiuder l'imposta, mi sembra che mi manchi qualchecosa, come in quel tempo che non poteva dormire senzaaver ricevuto il bacio materno.

Mi sono innamorato d'una stella!...

So bene che questo verso d'uno de' miei stornelli rice-vette una diversa interpretazione per piegarsi alla naturabeffarda dei benigni lettori: ma posso assicurarvi, così aquattr'occhi, che quando io feci quel verso, guardavadalla finestra la mia stella mira variabilis.

Il poeta Ponsard dovette avere qualche ubbia del miogenere quando pose quest'aspirazione in bocca alla fi-

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429] turchino, tanto più lontano da noi quanto era piùpura l'atmosfera.

Come tutti i poeti, ho anch'io la mia stella. Non socome si chiami nella lingua moderna. Gli antichi lachiamavano stella mira variabilis; perchè varia meravi-gliosamente di grandezza e di aspetto. Ora è rossa comeMarte, ora bianca come Venere, ora verdognola comeSirio. Non so se il padre Secchi l'abbia ancora sottopostaal suo prisma. Poco m'importa di quali elementi chimiciconsti la sua sostanza. Preferisco chiamarla la stellad'Italia, o la stella di Beatrice, perchè alterna ai nostriocchi quei tre colori che tanto amiamo, e ci costano tan-to.

Chiunque tu sia, bella stella tricolore, io ti professoun culto particolare, e quando non posso salutarti primadi chiuder l'imposta, mi sembra che mi manchi qualchecosa, come in quel tempo che non poteva dormire senzaaver ricevuto il bacio materno.

Mi sono innamorato d'una stella!...

So bene che questo verso d'uno de' miei stornelli rice-vette una diversa interpretazione per piegarsi alla naturabeffarda dei benigni lettori: ma posso assicurarvi, così aquattr'occhi, che quando io feci quel verso, guardavadalla finestra la mia stella mira variabilis.

Il poeta Ponsard dovette avere qualche ubbia del miogenere quando pose quest'aspirazione in bocca alla fi-

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Page 549: E-book campione Liber Liber · madre blanditi con queste favole. E pure, essendomi tro-vato sovente in luoghi e fra persone assai diverse, aven-do l'abitudine di studiare i vari caratteri[Pg

glia di Galileo:«Cerchiamo un cheto asiloIn quelle sfere luminose ed alteDove l'occhio di SirioSplende d'azzurra luce, dove suonaLa lira d'oro, dove nuota il biancoCigno sull'onde della Lattea via.Di quei lucidi mondi ospiti arcani,[Pg 430] Accoglieteci amici in mezzo a voi!Quante cose mirabili vedremoChe appena in sogno intraveder c'è dato.Anelli di rubinoCerchiano i nostri lucidi orizzonti,Cantano nuovi augei sui vostri monti.Un'aura fresca nelle notti estiveScote i cespugli ombrosi,Albergo delle fate. Ivi la lunaSempre piena e rotondaRischiara ed inargentaSui laghi azzurri il palpitar dell'onda.Scende dai dolci cliviUn effluvio soave e dilettoso,E il silenzio notturno ha mille suoniChe pajono sospiriD'anime erranti pegli eterei giri.»

Non so se questi versi sieno drammatici, e non socome saranno accolti dalla nostra platea e dalle eleganticapinere dei nostri palchetti. Il soffitto dei nostri teatri citoglie la vista del cielo, e ci rende insensibili a certeidee. Ma se il Galileo fosse mai recitato a ciel sereno,chi sa che codesta escursione pei campi del cielo trovas-se miglior accoglienza, come certo dovea trovarla l'apo-strofe al sole di Fedra nella tragedia di Euripide, nel tea-

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glia di Galileo:«Cerchiamo un cheto asiloIn quelle sfere luminose ed alteDove l'occhio di SirioSplende d'azzurra luce, dove suonaLa lira d'oro, dove nuota il biancoCigno sull'onde della Lattea via.Di quei lucidi mondi ospiti arcani,[Pg 430] Accoglieteci amici in mezzo a voi!Quante cose mirabili vedremoChe appena in sogno intraveder c'è dato.Anelli di rubinoCerchiano i nostri lucidi orizzonti,Cantano nuovi augei sui vostri monti.Un'aura fresca nelle notti estiveScote i cespugli ombrosi,Albergo delle fate. Ivi la lunaSempre piena e rotondaRischiara ed inargentaSui laghi azzurri il palpitar dell'onda.Scende dai dolci cliviUn effluvio soave e dilettoso,E il silenzio notturno ha mille suoniChe pajono sospiriD'anime erranti pegli eterei giri.»

Non so se questi versi sieno drammatici, e non socome saranno accolti dalla nostra platea e dalle eleganticapinere dei nostri palchetti. Il soffitto dei nostri teatri citoglie la vista del cielo, e ci rende insensibili a certeidee. Ma se il Galileo fosse mai recitato a ciel sereno,chi sa che codesta escursione pei campi del cielo trovas-se miglior accoglienza, come certo dovea trovarla l'apo-strofe al sole di Fedra nella tragedia di Euripide, nel tea-

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tro aperto d'Atene.

Mentre assorto in questi pensieri aveva dimenticato lastanchezza, il letto e la chiave, sentii suonar il tocco daltorrione del Palazzo Vecchio.

Addio spiriti, dissi! Addio spiriti dell'abisso e del cie-lo! Minerva e Venere Urania, stella mira e variabile, de-gna di rappresentare l'Italia!

Un passo regolare e affrettato mi venne nel medesimotempo agli orecchi ad una certa distanza. Il passo si ac-costava ognor più, e suonava più distinto e più forte ne-gli aprichi silenzii della notte.

Mi avviai dal mio lato verso la porta, mentre l'altra[Pg431] persona si avvicinava dal lato opposto alla medesi-ma direzione.

Era il mio caro nipote, al quale, come potete ben cre-dere, non feci rimprovero alcuno di non essere tornato acasa prima di me.

— Che v'è di nuovo? — gli chiesi.

— I fondi italiani si sono alzati di un punto e 17 cen-tesimi.

— Oh! vero figlio del secolo — gli dissi! — Vienich'io ti abbracci! Anzi da questo momento, dacchè timostri così bene informato della nostra situazione eco-

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tro aperto d'Atene.

Mentre assorto in questi pensieri aveva dimenticato lastanchezza, il letto e la chiave, sentii suonar il tocco daltorrione del Palazzo Vecchio.

Addio spiriti, dissi! Addio spiriti dell'abisso e del cie-lo! Minerva e Venere Urania, stella mira e variabile, de-gna di rappresentare l'Italia!

Un passo regolare e affrettato mi venne nel medesimotempo agli orecchi ad una certa distanza. Il passo si ac-costava ognor più, e suonava più distinto e più forte ne-gli aprichi silenzii della notte.

Mi avviai dal mio lato verso la porta, mentre l'altra[Pg431] persona si avvicinava dal lato opposto alla medesi-ma direzione.

Era il mio caro nipote, al quale, come potete ben cre-dere, non feci rimprovero alcuno di non essere tornato acasa prima di me.

— Che v'è di nuovo? — gli chiesi.

— I fondi italiani si sono alzati di un punto e 17 cen-tesimi.

— Oh! vero figlio del secolo — gli dissi! — Vienich'io ti abbracci! Anzi da questo momento, dacchè timostri così bene informato della nostra situazione eco-

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nomica e finanziaria, scambiamo nome ed officio.

Tu sarai lo zio: studierai il listino della borsa, provve-derai ai bisogni della famiglia, mentre io potrò dedicar-mi a guardare le stelle, e ad evocare i ridenti spiriti chealeggiano intorno!

FINE.

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nomica e finanziaria, scambiamo nome ed officio.

Tu sarai lo zio: studierai il listino della borsa, provve-derai ai bisogni della famiglia, mentre io potrò dedicar-mi a guardare le stelle, e ad evocare i ridenti spiriti chealeggiano intorno!

FINE.

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[Pg 432]

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INDICE DEL VOLUME.

A CHI LEGGE Pag. I

La Donna bianca dei Collalto 1I complimenti di Ceppo 33I due castelli in aria 48Il Diritto e il Torto 80Il berretto di pel di lupo 143La valle di Resia 157Istoria di una casa 185La giardiniera delle male erbe 200La fidanzata del Montenegro 300Gentilina 340Fanny 368Il palazzo de' Diavoli 386Un viaggetto nuziale 399L'ora degli Spiriti 421

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INDICE DEL VOLUME.

A CHI LEGGE Pag. I

La Donna bianca dei Collalto 1I complimenti di Ceppo 33I due castelli in aria 48Il Diritto e il Torto 80Il berretto di pel di lupo 143La valle di Resia 157Istoria di una casa 185La giardiniera delle male erbe 200La fidanzata del Montenegro 300Gentilina 340Fanny 368Il palazzo de' Diavoli 386Un viaggetto nuziale 399L'ora degli Spiriti 421

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NOTE DI TRASCRIZIONE:

- Ovvi errori di punteggiatura sono stati riparati;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«bon ton» e «bon-ton»;

- Sono state conservate le voci «communicazione»e «comunicazione» oltre ai termini da essi composti ederivati;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«danno» e «dànno»;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«inseguito» ed «inseguìto»;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«ritrosia» e «ritrosìa»;

- È mantenuto l'uso pratico editoriale del pronome«sè» senza l'accento quando seguito da stesso/a/i/e oda medesimo/a/i/e in molti dei casi;

- La nota a piè di pagina di pag. 19 è stata rimossaessendo semplicemente un rimando alle note di chiu-sura presenti al termine del racconto «La Donna bian-ca dei Collalto»;

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NOTE DI TRASCRIZIONE:

- Ovvi errori di punteggiatura sono stati riparati;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«bon ton» e «bon-ton»;

- Sono state conservate le voci «communicazione»e «comunicazione» oltre ai termini da essi composti ederivati;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«danno» e «dànno»;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«inseguito» ed «inseguìto»;

- Sono mantenute entrambe le forme per la voce«ritrosia» e «ritrosìa»;

- È mantenuto l'uso pratico editoriale del pronome«sè» senza l'accento quando seguito da stesso/a/i/e oda medesimo/a/i/e in molti dei casi;

- La nota a piè di pagina di pag. 19 è stata rimossaessendo semplicemente un rimando alle note di chiu-sura presenti al termine del racconto «La Donna bian-ca dei Collalto»;

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- L'errore di stampa «UN' PO» nel titolo di sezionedi pag. 185 del racconto «Istoria di una casa» è statocorretto;

- Le rimanenti note sono indicate dalle linee punti-nate sotto le correzioni. Scorri il mouse sopra la paro-la ed il testo originale apparirà.

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- L'errore di stampa «UN' PO» nel titolo di sezionedi pag. 185 del racconto «Istoria di una casa» è statocorretto;

- Le rimanenti note sono indicate dalle linee punti-nate sotto le correzioni. Scorri il mouse sopra la paro-la ed il testo originale apparirà.

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