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E-book campione Liber Liber · Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:...

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Virginia WoolfOrlando

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: OrlandoAUTORE: Woolf, VirginiaTRADUTTORE: Scalero, AlessandraCURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA:

TRATTO DA: Orlando / Virginia Woolf ; traduzione enote di Grazia Scalero* ; introduzione di GraziaLivi. - Milano : A. Mondadori, 1986. - 319 p. ; 19cm. - (Oscar. Narrativa ; 800).

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 28 settembre 2017

* Si tratta di un refuso; la traduzione è di Alessandra Scalero[nota per l’edizione elettronica Manuzio].

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: OrlandoAUTORE: Woolf, VirginiaTRADUTTORE: Scalero, AlessandraCURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA:

TRATTO DA: Orlando / Virginia Woolf ; traduzione enote di Grazia Scalero* ; introduzione di GraziaLivi. - Milano : A. Mondadori, 1986. - 319 p. ; 19cm. - (Oscar. Narrativa ; 800).

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 28 settembre 2017

* Si tratta di un refuso; la traduzione è di Alessandra Scalero[nota per l’edizione elettronica Manuzio].

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC019000 FICTION / Letterario

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Paolo Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:FIC019000 FICTION / Letterario

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Paolo Oliva, [email protected]

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Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Orlando...........................................................................6

PREFAZIONE DELL’AUTRICE...............................8I.................................................................................11II................................................................................63III............................................................................118IV............................................................................151V.............................................................................225VI............................................................................260

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Orlando...........................................................................6

PREFAZIONE DELL’AUTRICE...............................8I.................................................................................11II................................................................................63III............................................................................118IV............................................................................151V.............................................................................225VI............................................................................260

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VirginiaWoolf

Orlando

Traduzione e notedi Alessandra1 Scalero

1 Nell’edizione di riferimento è erroneamente riportato il nome “Grazia” [notaper l’edizione elettronica Manuzio].

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VirginiaWoolf

Orlando

Traduzione e notedi Alessandra1 Scalero

1 Nell’edizione di riferimento è erroneamente riportato il nome “Grazia” [notaper l’edizione elettronica Manuzio].

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a V. Sackville-West

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a V. Sackville-West

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PREFAZIONE DELL’AUTRICE

Molti sono gli amici che mi aiutarono a scrivere questolibro. Alcuni sono morti, e di tale fama, che appena osonominarli; ma quale lettore o scrittore non si sentiràeternamente in debito verso Defoe, Sir Thomas Browne,Sterne, Sir Walter Scott, Lord Macaulay, Emily Brontë,De Quincey, e Walter Pater, per citare soltanto i primiche la memoria mi suggerisce? Altri sono vivi, e perquesta sola ragione, benché a modo loro altrettanto cele-bri, appaiono meno formidabili. La mia riconoscenza vain special modo a C. P. Sanger, senza la cui competenzain fatto di leggi sulla proprietà questo mio libro nonavrebbe mai potuto esser scritto. La vasta e singolareerudizione di Sydney Turner m’avrà evitato, spero,qualche errore deplorevole. Ho potuto godere i vantaggi– io sola so quanto grandi – della conoscenza che ArthurWaley ha della lingua cinese. Madame Lopokova (la si-gnora Keynes) mi ha usato il favore di correggere il miorusso. All’incomparabile indulgenza, alla fantasia di Ro-ger Fry debbo tutta la comprensione che ho della pittu-ra: così come ugualmente spero d’aver fatto tesoro, sepure in altro campo, delle critiche singolarmente acute,anche se severe, di mio nipote Julian Bell. Le infaticabi-

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PREFAZIONE DELL’AUTRICE

Molti sono gli amici che mi aiutarono a scrivere questolibro. Alcuni sono morti, e di tale fama, che appena osonominarli; ma quale lettore o scrittore non si sentiràeternamente in debito verso Defoe, Sir Thomas Browne,Sterne, Sir Walter Scott, Lord Macaulay, Emily Brontë,De Quincey, e Walter Pater, per citare soltanto i primiche la memoria mi suggerisce? Altri sono vivi, e perquesta sola ragione, benché a modo loro altrettanto cele-bri, appaiono meno formidabili. La mia riconoscenza vain special modo a C. P. Sanger, senza la cui competenzain fatto di leggi sulla proprietà questo mio libro nonavrebbe mai potuto esser scritto. La vasta e singolareerudizione di Sydney Turner m’avrà evitato, spero,qualche errore deplorevole. Ho potuto godere i vantaggi– io sola so quanto grandi – della conoscenza che ArthurWaley ha della lingua cinese. Madame Lopokova (la si-gnora Keynes) mi ha usato il favore di correggere il miorusso. All’incomparabile indulgenza, alla fantasia di Ro-ger Fry debbo tutta la comprensione che ho della pittu-ra: così come ugualmente spero d’aver fatto tesoro, sepure in altro campo, delle critiche singolarmente acute,anche se severe, di mio nipote Julian Bell. Le infaticabi-

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li ricerche di Miss M. K. Snowdon negli archivi di Har-rogate e Cheltenham non furono meno ardue per esserstate vane. Altri amici ancora mi hanno aiutata, in moditroppo svariati per rammentarli qui, sì che debbo con-tentarmi di nominare Angus Davidson; Mrs. Cartwright;Miss Janet Case; Lord Berners (del quale m’è stata pre-ziosissima la conoscenza della musica elisabettiana);Francis Birrel; mio fratello, il dott. Adrian Stephen; F.L. Lucas; Mr. e Mrs. Desmond Maccarthy; mio cognatoClive Bell, il più incoraggiante fra tutti i critici; G. H.Rylands; Lady Colefax; Miss Nellie Boxall; J. M. Key-nes; Hugh Walpole; Miss Violet Dickinson; l’Hon. Ed-ward Sackville-West; Mr. e Mrs. St. John Hutchinson;Duncan Grant; Mr. e Mrs. Stephen Tomlin; Mr. e LadyOttoline Morrel; mia suocera, la signora Woolf; OsbertSitwell; Madame Jacques Raverat; il colonnello CoryBell; Miss Valerie Taylor; J. T. Sheppard; Mr. e Mrs. T.S. Eliot; Miss Ethel Sands; Miss Nan Hudson; mio nipo-te Quentin Bell (mio vecchio e apprezzato collaboratorenella narrativa); Raymond Mortimer; Lady Gerard Wel-lesley; Lytton Strachey; la viscontessa Cecil; Miss HopeMirrlees; E. M. Forster; e l’Hon. Harold Nicolson; e miasorella Vanessa Bell... Ma l’elenco minaccia di diventartroppo lungo, ed è già anche troppo cospicuo. Poiché,mentre risveglia in me i più cari ricordi, inevitabilmentesusciterà nel lettore speranze che il mio libro non potràfare a meno di frustrare. Perciò concluderò, non senzaringraziare i dirigenti del British Museum e del RecordOffice per la loro cortesia, cui sono ormai usa; mia nipo-

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li ricerche di Miss M. K. Snowdon negli archivi di Har-rogate e Cheltenham non furono meno ardue per esserstate vane. Altri amici ancora mi hanno aiutata, in moditroppo svariati per rammentarli qui, sì che debbo con-tentarmi di nominare Angus Davidson; Mrs. Cartwright;Miss Janet Case; Lord Berners (del quale m’è stata pre-ziosissima la conoscenza della musica elisabettiana);Francis Birrel; mio fratello, il dott. Adrian Stephen; F.L. Lucas; Mr. e Mrs. Desmond Maccarthy; mio cognatoClive Bell, il più incoraggiante fra tutti i critici; G. H.Rylands; Lady Colefax; Miss Nellie Boxall; J. M. Key-nes; Hugh Walpole; Miss Violet Dickinson; l’Hon. Ed-ward Sackville-West; Mr. e Mrs. St. John Hutchinson;Duncan Grant; Mr. e Mrs. Stephen Tomlin; Mr. e LadyOttoline Morrel; mia suocera, la signora Woolf; OsbertSitwell; Madame Jacques Raverat; il colonnello CoryBell; Miss Valerie Taylor; J. T. Sheppard; Mr. e Mrs. T.S. Eliot; Miss Ethel Sands; Miss Nan Hudson; mio nipo-te Quentin Bell (mio vecchio e apprezzato collaboratorenella narrativa); Raymond Mortimer; Lady Gerard Wel-lesley; Lytton Strachey; la viscontessa Cecil; Miss HopeMirrlees; E. M. Forster; e l’Hon. Harold Nicolson; e miasorella Vanessa Bell... Ma l’elenco minaccia di diventartroppo lungo, ed è già anche troppo cospicuo. Poiché,mentre risveglia in me i più cari ricordi, inevitabilmentesusciterà nel lettore speranze che il mio libro non potràfare a meno di frustrare. Perciò concluderò, non senzaringraziare i dirigenti del British Museum e del RecordOffice per la loro cortesia, cui sono ormai usa; mia nipo-

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te Angelica Bell, per un servizio che nessuno all’infuoridi lei avrebbe potuto rendermi; e mio marito per l’ine-sauribile pazienza con cui ha aiutato le mie ricerche, eper le sue profonde conoscenze storiche, cui queste pa-gine debbono l’esattezza che hanno potuto raggiungere.In ultimo, vorrei ringraziare, se non ne avessi perdutonome e indirizzo, un gentile signore americano, il qualegenerosamente e gratuitamente ha corretto la punteggia-tura, la botanica, l’entomologia, la geografia e la crono-logia delle mie precedenti opere, e che, spero, vorrà pre-starmi l’opera sua anche in quest’occasione.

Virginia Woolf

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te Angelica Bell, per un servizio che nessuno all’infuoridi lei avrebbe potuto rendermi; e mio marito per l’ine-sauribile pazienza con cui ha aiutato le mie ricerche, eper le sue profonde conoscenze storiche, cui queste pa-gine debbono l’esattezza che hanno potuto raggiungere.In ultimo, vorrei ringraziare, se non ne avessi perdutonome e indirizzo, un gentile signore americano, il qualegenerosamente e gratuitamente ha corretto la punteggia-tura, la botanica, l’entomologia, la geografia e la crono-logia delle mie precedenti opere, e che, spero, vorrà pre-starmi l’opera sua anche in quest’occasione.

Virginia Woolf

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I

Egli – poiché dubbio non v’era sul suo sesso, perquanto la foggia di quei tempi alquanto lo dissimulasse– stava prendendo a piattonate la testa di un moro, chedondolava appesa alle travi del soffitto. Aveva essa latinta d’una vecchia palla di cuoio; e quasi ne avrebbeavuto la forma, se non fosse stato per il cavo delle guan-ce, e i pochi capelli duri e aridi come barbe d’una nocedi cocco. Il padre di Orlando, o forse il nonno, l’avevaspiccata dal busto del gigantesco Infedele che gli s’eraparato davanti improvviso al chiaro di luna, nelle barba-re distese africane, e ora essa oscillava dolcemente, in-cessantemente, alla brezza perenne che soffiava per lelogge in cima alla vasta dimora del signore che avevadecapitato l’Infedele.

I padri di Orlando avevano cavalcato per campi diasfodeli, e per campi sassosi, e per campi bagnati da ac-que straniere, e da più d’un busto avevano spiccato piùd’una testa di vario colore, e le avevano portate secoonde appenderle alle travi dei loro soffitti. Così giuravadi fare Orlando. Ma poiché non aveva che sedici anni,ed era troppo giovane per accompagnare gli altri nelleloro scorribande in Africa o in Francia, sovente sfuggiva

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Egli – poiché dubbio non v’era sul suo sesso, perquanto la foggia di quei tempi alquanto lo dissimulasse– stava prendendo a piattonate la testa di un moro, chedondolava appesa alle travi del soffitto. Aveva essa latinta d’una vecchia palla di cuoio; e quasi ne avrebbeavuto la forma, se non fosse stato per il cavo delle guan-ce, e i pochi capelli duri e aridi come barbe d’una nocedi cocco. Il padre di Orlando, o forse il nonno, l’avevaspiccata dal busto del gigantesco Infedele che gli s’eraparato davanti improvviso al chiaro di luna, nelle barba-re distese africane, e ora essa oscillava dolcemente, in-cessantemente, alla brezza perenne che soffiava per lelogge in cima alla vasta dimora del signore che avevadecapitato l’Infedele.

I padri di Orlando avevano cavalcato per campi diasfodeli, e per campi sassosi, e per campi bagnati da ac-que straniere, e da più d’un busto avevano spiccato piùd’una testa di vario colore, e le avevano portate secoonde appenderle alle travi dei loro soffitti. Così giuravadi fare Orlando. Ma poiché non aveva che sedici anni,ed era troppo giovane per accompagnare gli altri nelleloro scorribande in Africa o in Francia, sovente sfuggiva

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alla madre e ai pavoni del giardino, e, salito alle loggesotto il tetto, si accontentava di menar gran colpi e stoc-cate e piattonate con la lama sibilante. Gli accadeva ta-lora di tagliare netto la corda, sì che la testa rimbalzavasul suolo; e dovendo egli tornare a legarla, cavalleresca-mente l’assicurava quasi fuor di portata; e un ghigno ditrionfo pareva schiudere allora le labbra nere e secchedel suo nemico. Il cranio dondolava in qua e in là, ché lacasa, in cima alla quale Orlando s’intratteneva, era tantovasta che pareva far prigioniero il vento stesso, che vi siaggirava soffiando d’inverno come d’estate. Senza posasi gonfiava alla brezza l’arazzo verde con le figure deicacciatori. Nobile era la schiatta da cui Orlando discen-deva, sin dal principio dei secoli. I suoi padri erano ve-nuti dalle brume nordiche, recando corone sulle loro te-ste.

Certo era il sole, il quale cadendo attraverso le magliedi quella gran cotta d’arme sulla vetrata striava d’oscuri-tà la sala, chiazzava d’una scacchiera di pozze di lucegiallognola il pavimento. Orlando spiccava ora sul gial-lo d’un leopardo araldico. E la mano che egli pose sullamaniglia della finestra onde aprirla, subito si colorò dirosso, di azzurro e di giallo come ala di farfalla. E a co-loro che amano i simboli e provano gusto a decifrarli,non sarebbe certo sfuggito allora che, mentre le ben for-mate gambe, il corpo armonioso, le eleganti spalle diOrlando erano maculate di luminosi colori araldici, nonaltro che il sole illuminò il suo viso, allorché egli aperseimpetuoso la finestra. Viso più candido e più scuro non

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alla madre e ai pavoni del giardino, e, salito alle loggesotto il tetto, si accontentava di menar gran colpi e stoc-cate e piattonate con la lama sibilante. Gli accadeva ta-lora di tagliare netto la corda, sì che la testa rimbalzavasul suolo; e dovendo egli tornare a legarla, cavalleresca-mente l’assicurava quasi fuor di portata; e un ghigno ditrionfo pareva schiudere allora le labbra nere e secchedel suo nemico. Il cranio dondolava in qua e in là, ché lacasa, in cima alla quale Orlando s’intratteneva, era tantovasta che pareva far prigioniero il vento stesso, che vi siaggirava soffiando d’inverno come d’estate. Senza posasi gonfiava alla brezza l’arazzo verde con le figure deicacciatori. Nobile era la schiatta da cui Orlando discen-deva, sin dal principio dei secoli. I suoi padri erano ve-nuti dalle brume nordiche, recando corone sulle loro te-ste.

Certo era il sole, il quale cadendo attraverso le magliedi quella gran cotta d’arme sulla vetrata striava d’oscuri-tà la sala, chiazzava d’una scacchiera di pozze di lucegiallognola il pavimento. Orlando spiccava ora sul gial-lo d’un leopardo araldico. E la mano che egli pose sullamaniglia della finestra onde aprirla, subito si colorò dirosso, di azzurro e di giallo come ala di farfalla. E a co-loro che amano i simboli e provano gusto a decifrarli,non sarebbe certo sfuggito allora che, mentre le ben for-mate gambe, il corpo armonioso, le eleganti spalle diOrlando erano maculate di luminosi colori araldici, nonaltro che il sole illuminò il suo viso, allorché egli aperseimpetuoso la finestra. Viso più candido e più scuro non

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si sarebbe potuto immaginare. Felice la madre che portòin seno un essere tale; e più felice ancora il biografo chene tramanderà la vita! Se l’una non avrà mai luogo adaffliggersi, all’altro sarà risparmiato ricorrere all’aiutodel novellatore e del poeta. Di gesta in gesta, di gloria ingloria, di onore in onore andrà l’eroe, seguito dal suoscriba, fino a che raggiungeranno quel trono supremo,quale ch’esso sia, dove culminano le loro aspirazioni. Einvero, al solo vederlo Orlando appariva predestinato auna simile carriera. Una peluria come di pesca velaval’incarnato delle guance, sul labbro appena un poco piùaccentuata che sulle gote. Il labbro era breve, e legger-mente rialzato su denti d’una squisita bianchezza dimandorla. Perfetta si tendeva la curva del naso, qualefreccia in rapido e sicuro volo; brune erano le chiome,piccole le orecchie e aderenti al capo. Ma come termina-re, ahimè, tanta enumerazione di giovanili beltà, senzarammemorare e fronte e occhi? Perché, ahimè, è sì raroche creatura umana nasca privata di essi. E appena il no-stro occhio cade su di Orlando presso la vetrata, eccoche ci colpiscono i suoi occhi pari a viole inumidite,grandi come se l’acqua che le impregna ancor le dilatas-se; e la fronte ricurva come superba cupola marmorea,tra i due medaglioni politi delle tempie. Ecco che appe-na il nostro occhio cade sui suoi occhi, e sulla sua fron-te, l’estro poetico ci assale. Ecco che non appena il no-stro occhio cade sugli occhi e sulla fronte di Orlando, ciè giocoforza ammettere mille cose fastidiose, su cui ilbuon biografo dovrebbe sorvolare. Tal vista lo disturba-

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si sarebbe potuto immaginare. Felice la madre che portòin seno un essere tale; e più felice ancora il biografo chene tramanderà la vita! Se l’una non avrà mai luogo adaffliggersi, all’altro sarà risparmiato ricorrere all’aiutodel novellatore e del poeta. Di gesta in gesta, di gloria ingloria, di onore in onore andrà l’eroe, seguito dal suoscriba, fino a che raggiungeranno quel trono supremo,quale ch’esso sia, dove culminano le loro aspirazioni. Einvero, al solo vederlo Orlando appariva predestinato auna simile carriera. Una peluria come di pesca velaval’incarnato delle guance, sul labbro appena un poco piùaccentuata che sulle gote. Il labbro era breve, e legger-mente rialzato su denti d’una squisita bianchezza dimandorla. Perfetta si tendeva la curva del naso, qualefreccia in rapido e sicuro volo; brune erano le chiome,piccole le orecchie e aderenti al capo. Ma come termina-re, ahimè, tanta enumerazione di giovanili beltà, senzarammemorare e fronte e occhi? Perché, ahimè, è sì raroche creatura umana nasca privata di essi. E appena il no-stro occhio cade su di Orlando presso la vetrata, eccoche ci colpiscono i suoi occhi pari a viole inumidite,grandi come se l’acqua che le impregna ancor le dilatas-se; e la fronte ricurva come superba cupola marmorea,tra i due medaglioni politi delle tempie. Ecco che appe-na il nostro occhio cade sui suoi occhi, e sulla sua fron-te, l’estro poetico ci assale. Ecco che non appena il no-stro occhio cade sugli occhi e sulla fronte di Orlando, ciè giocoforza ammettere mille cose fastidiose, su cui ilbuon biografo dovrebbe sorvolare. Tal vista lo disturba-

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va, come quella della madre sua, venusta dama di verdevestita, la quale, seguita dall’ancella, Twitchett, s’avvia-va a gettare il becchime ai pavoni; tal vista lo esaltava –uccelli e alberi – tal altra – cielo al crepuscolo o volo dicornacchie al nido – lo innamorava della morte, e così,salendo per la scala a spirale sino al cervello – che eraassai spazioso – tutti quegli spettacoli, cui si aggiunge-vano i rumori di cui saliva l’eco dal giardino, il caderd’un martello e l’ascia d’uno spaccalegna, determinava-no quel sovvertimento, quel disordine delle passioni edei sentimenti che ogni buon biografo aborre. Ma prose-guiamo. Orlando si ritrasse lentamente dalla finestra, se-dette a un tavolo e, con l’aria semicosciente di chi com-pia il gesto che è uso compiere a quell’ora in ogni gior-no di sua vita, trasse un quaderno che recava la scritta:“Ætelbert – Tragedia in cinque atti”; e intinsenell’inchiostro una vecchia penna d’oca tutta macchiata.

Ben presto egli ebbe ricoperto dieci e più pagine dipoesia. Se facile era il suo stile, d’altra parte era astratto.Il Vizio, il Delitto, la Miseria erano i personaggi del suodramma. Là, re e regine governavano Stati inverosimili;trame orrende li avvolgevano; nobili sentimenti li agita-vano; non c’era là dentro una sola parola che Orlandostesso avrebbe pronunciato, ma vi spiravano una fluidi-tà, una dolcezza invero non indifferenti, dove si consi-derasse l’età del poeta – egli non aveva ancora diciasset-te anni – e il fatto che il XVI secolo, allora sul declinare,non era peraltro spirato. Tuttavia Orlando finì per sosta-re. Al pari di ogni giovane poeta, egli era immerso in

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va, come quella della madre sua, venusta dama di verdevestita, la quale, seguita dall’ancella, Twitchett, s’avvia-va a gettare il becchime ai pavoni; tal vista lo esaltava –uccelli e alberi – tal altra – cielo al crepuscolo o volo dicornacchie al nido – lo innamorava della morte, e così,salendo per la scala a spirale sino al cervello – che eraassai spazioso – tutti quegli spettacoli, cui si aggiunge-vano i rumori di cui saliva l’eco dal giardino, il caderd’un martello e l’ascia d’uno spaccalegna, determinava-no quel sovvertimento, quel disordine delle passioni edei sentimenti che ogni buon biografo aborre. Ma prose-guiamo. Orlando si ritrasse lentamente dalla finestra, se-dette a un tavolo e, con l’aria semicosciente di chi com-pia il gesto che è uso compiere a quell’ora in ogni gior-no di sua vita, trasse un quaderno che recava la scritta:“Ætelbert – Tragedia in cinque atti”; e intinsenell’inchiostro una vecchia penna d’oca tutta macchiata.

Ben presto egli ebbe ricoperto dieci e più pagine dipoesia. Se facile era il suo stile, d’altra parte era astratto.Il Vizio, il Delitto, la Miseria erano i personaggi del suodramma. Là, re e regine governavano Stati inverosimili;trame orrende li avvolgevano; nobili sentimenti li agita-vano; non c’era là dentro una sola parola che Orlandostesso avrebbe pronunciato, ma vi spiravano una fluidi-tà, una dolcezza invero non indifferenti, dove si consi-derasse l’età del poeta – egli non aveva ancora diciasset-te anni – e il fatto che il XVI secolo, allora sul declinare,non era peraltro spirato. Tuttavia Orlando finì per sosta-re. Al pari di ogni giovane poeta, egli era immerso in

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una descrizione della natura; e, spinto dal desiderio diconferire al verde l’esatta sfumatura, cercò con lo sguar-do (in ciò dimostrando assai più audacia di tanti altri)l’oggetto medesimo, il quale era per l’appunto un cespu-glio d’alloro che cresceva sotto la finestra. S’intendeche, dopo di ciò, non riprese a scrivere. Il verde dellanatura è una cosa; il verde in letteratura è un’altra cosa.Una naturale antipatia, si direbbe, regna fra la natura ele belle lettere; mettetele a confronto, e si prenderannoper i capelli. La sfumatura di verde che Orlando videsciupava la sua rima e mandava a monte il metro. Inol-tre, la natura ha le sue astuzie. Basta che uno veda dallafinestra api e fiori, un cane che sbadiglia, il sole al tra-monto, e pensi “quanti soli vedrò tramontare ancora”,ecc. ecc. (pensiero troppo noto perché meriti d’esserequi svolto); e tosto lascerà cadere la penna, prenderà ilsuo mantello, uscirà a grandi passi dalla stanza, e ince-spicherà in un cofano istoriato. Poiché Orlando era untantino malaccorto.

Ebbe cura di evitare d’incontrarsi con chicchessia.Ecco Stubbs, il giardiniere, che se ne veniva lungo ilsentiero. Orlando si nascose dietro un albero, finchéquegli non fu passato. Uscì per una porticina nel murodi cinta del giardino. Lungo le scuderie, i canili, le can-tine, le botteghe dei falegnami, i lavatoi; lungo i luoghidove si fabbricavano candele di sego, si macellava il be-stiame, si forgiavano ferri da cavallo, si cucivano giusta-cuori – poiché era, quella dimora, vero borgo brulicanted’artigiani intenti ognuno alla propria opera – raggiunse

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una descrizione della natura; e, spinto dal desiderio diconferire al verde l’esatta sfumatura, cercò con lo sguar-do (in ciò dimostrando assai più audacia di tanti altri)l’oggetto medesimo, il quale era per l’appunto un cespu-glio d’alloro che cresceva sotto la finestra. S’intendeche, dopo di ciò, non riprese a scrivere. Il verde dellanatura è una cosa; il verde in letteratura è un’altra cosa.Una naturale antipatia, si direbbe, regna fra la natura ele belle lettere; mettetele a confronto, e si prenderannoper i capelli. La sfumatura di verde che Orlando videsciupava la sua rima e mandava a monte il metro. Inol-tre, la natura ha le sue astuzie. Basta che uno veda dallafinestra api e fiori, un cane che sbadiglia, il sole al tra-monto, e pensi “quanti soli vedrò tramontare ancora”,ecc. ecc. (pensiero troppo noto perché meriti d’esserequi svolto); e tosto lascerà cadere la penna, prenderà ilsuo mantello, uscirà a grandi passi dalla stanza, e ince-spicherà in un cofano istoriato. Poiché Orlando era untantino malaccorto.

Ebbe cura di evitare d’incontrarsi con chicchessia.Ecco Stubbs, il giardiniere, che se ne veniva lungo ilsentiero. Orlando si nascose dietro un albero, finchéquegli non fu passato. Uscì per una porticina nel murodi cinta del giardino. Lungo le scuderie, i canili, le can-tine, le botteghe dei falegnami, i lavatoi; lungo i luoghidove si fabbricavano candele di sego, si macellava il be-stiame, si forgiavano ferri da cavallo, si cucivano giusta-cuori – poiché era, quella dimora, vero borgo brulicanted’artigiani intenti ognuno alla propria opera – raggiunse

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il cammino tra le felci, quello che non visto l’avrebbecondotto attraverso il parco in cima all’altura. Esiste,forse, una parentela tra le qualità, sì che una ne attiral’altra; e qui ben dovrebbe il biografo dar risalto al fattoche la sbadataggine, talora, va compagna all’amor dellasolitudine. Orlando, che aveva incespicato in un cofano,nutriva una naturale inclinazione per i luoghi solitari e ivasti orizzonti, e si dilettava di sentirsi più e più e piùche mai solo.

Onde aprendo le labbra per la prima volta in questememorie: «Eccomi solo» esalò dopo lungo silenzio. Trafelci e biancospini, mettendo in fuga al suo passare dainie uccelli selvatici, aveva camminato piuttosto veloce-mente, su su fino a una radura coronata da una solitariaquercia. Alto era il luogo, tanto alto invero che dician-nove contee inglesi vi si potevano contare nella piana; enelle giornate chiare trenta, e financo quaranta se il tem-po era particolarmente bello. Qualche volta si discerne-vano le onde incessanti del Canale della Manica. El’occhio spaziava su fiumi solcati da barche che andava-no a diporto; vedeva galeoni che veleggiavano verso ilmare; e cannoniere che mandavano sbuffi di fumo don-de usciva sordo il rombo del cannone; e porti sulla co-sta; e castella sorgenti dalle praterie; e qua una torre dimilizia, e là una fortezza; e, ancora, vaste dimore comequella del padre d’Orlando si ergevano nella valle pari acittà cinte di bastioni. A levante sorgevano le guglie diLondra e le nebbie della città; forse, all’orizzonte, se ilvento era propizio, financo la cima scoscesa e la dentel-

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il cammino tra le felci, quello che non visto l’avrebbecondotto attraverso il parco in cima all’altura. Esiste,forse, una parentela tra le qualità, sì che una ne attiral’altra; e qui ben dovrebbe il biografo dar risalto al fattoche la sbadataggine, talora, va compagna all’amor dellasolitudine. Orlando, che aveva incespicato in un cofano,nutriva una naturale inclinazione per i luoghi solitari e ivasti orizzonti, e si dilettava di sentirsi più e più e piùche mai solo.

Onde aprendo le labbra per la prima volta in questememorie: «Eccomi solo» esalò dopo lungo silenzio. Trafelci e biancospini, mettendo in fuga al suo passare dainie uccelli selvatici, aveva camminato piuttosto veloce-mente, su su fino a una radura coronata da una solitariaquercia. Alto era il luogo, tanto alto invero che dician-nove contee inglesi vi si potevano contare nella piana; enelle giornate chiare trenta, e financo quaranta se il tem-po era particolarmente bello. Qualche volta si discerne-vano le onde incessanti del Canale della Manica. El’occhio spaziava su fiumi solcati da barche che andava-no a diporto; vedeva galeoni che veleggiavano verso ilmare; e cannoniere che mandavano sbuffi di fumo don-de usciva sordo il rombo del cannone; e porti sulla co-sta; e castella sorgenti dalle praterie; e qua una torre dimilizia, e là una fortezza; e, ancora, vaste dimore comequella del padre d’Orlando si ergevano nella valle pari acittà cinte di bastioni. A levante sorgevano le guglie diLondra e le nebbie della città; forse, all’orizzonte, se ilvento era propizio, financo la cima scoscesa e la dentel-

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lata cresta di Snowdon si mostravano montagnose tra lenubi. Per qualche minuto, Orlando sostò a contare, a ri-conoscere, aguzzando gli occhi. Quella era la casa pater-na; quell’altra apparteneva allo zio. Alla zia appartene-vano quei tre grandi torrioni, laggiù tra gli alberi. Lalanda era loro, e la foresta; e il fagiano e il daino, e lavolpe, il tasso, e la farfalla.

Profondamente sospirò e si gettò – c’era nei suoi gestiuna violenza che merita la parola – sul nudo suolo a pièdella quercia. Godeva nel sentire, sotto l’effimera appa-renza dell’estate, la spina dorsale della terra; ché tale eraper lui la dura radice della quercia, oppure – l’immagineseguendo l’immagine – era il dorso d’un gran destrieroch’egli cavalcava; o la tolda di una nave in preda alleonde; qualsiasi cosa, insomma, di duramente solido,poiché egli anelava a qualche cosa cui ormeggiare il suofluttuante cuore; quel cuore che ogni sera in quella sta-gione, quando egli s’aggirava per le campagne, parevaricolmo di spezie e di languide sensazioni d’amore. Allaquercia egli lo legò, e, standosene così disteso, a poco apoco il pulsar scomposto, entro di lui e intorno, si cal-mò; sostarono sospese le esigue foglie, si fermò il daino;si arrestarono le pallide nuvole d’estate; le membra glisi appesantirono sul suolo; ed egli giacque così immotoche passo passo il daino s’appressò, le cornacchie ro-teando scesero sul suo capo, le rondini si tuffarono evolteggiarono, il sussurro delle libellule lo sfiorò, quasitutta la fertilità e il tripudio d’amore della sera d’estatetessessero la propria trama intorno a Orlando.

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lata cresta di Snowdon si mostravano montagnose tra lenubi. Per qualche minuto, Orlando sostò a contare, a ri-conoscere, aguzzando gli occhi. Quella era la casa pater-na; quell’altra apparteneva allo zio. Alla zia appartene-vano quei tre grandi torrioni, laggiù tra gli alberi. Lalanda era loro, e la foresta; e il fagiano e il daino, e lavolpe, il tasso, e la farfalla.

Profondamente sospirò e si gettò – c’era nei suoi gestiuna violenza che merita la parola – sul nudo suolo a pièdella quercia. Godeva nel sentire, sotto l’effimera appa-renza dell’estate, la spina dorsale della terra; ché tale eraper lui la dura radice della quercia, oppure – l’immagineseguendo l’immagine – era il dorso d’un gran destrieroch’egli cavalcava; o la tolda di una nave in preda alleonde; qualsiasi cosa, insomma, di duramente solido,poiché egli anelava a qualche cosa cui ormeggiare il suofluttuante cuore; quel cuore che ogni sera in quella sta-gione, quando egli s’aggirava per le campagne, parevaricolmo di spezie e di languide sensazioni d’amore. Allaquercia egli lo legò, e, standosene così disteso, a poco apoco il pulsar scomposto, entro di lui e intorno, si cal-mò; sostarono sospese le esigue foglie, si fermò il daino;si arrestarono le pallide nuvole d’estate; le membra glisi appesantirono sul suolo; ed egli giacque così immotoche passo passo il daino s’appressò, le cornacchie ro-teando scesero sul suo capo, le rondini si tuffarono evolteggiarono, il sussurro delle libellule lo sfiorò, quasitutta la fertilità e il tripudio d’amore della sera d’estatetessessero la propria trama intorno a Orlando.

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Un’ora forse era trascorsa – il sole scendeva rapida-mente, le bianche nubi trascoloravano in rosso, le colli-ne s’andavano facendo di viola, i boschi di porpora, enere le valli – quando un suon di tromba echeggiò. Or-lando balzò in piedi. Il suono acuto saliva dalla valle.Usciva da una macchia nera laggiù; macchia compatta eben delimitata; un dedalo; una città, benché cinta dimura; usciva dal cuore stesso della gran dimora di Or-lando là nella valle che, dianzi buia, sotto l’occhio di luie mentre quella solitaria tromba ripercuoteva infinitevolte l’eco della sua voce acuta, perdeva la sua oscuritàe si picchiettava di luci. Erano, alcune, piccole luci fret-tolose, come di servi affannati che accorressero a un ri-chiamo lungo gli anditi; altre erano luci alte e smagliantiche parevano brillare in grandi sale deserte, dove la ta-vola attendesse invano gli ospiti non giunti; e altre situffavano e oscillavano e si levavano e ricadevano,come affidate a turba di famigli i quali si inchinassero,s’inginocchiassero, si rialzassero, intenti a ricevere, ascortare, a rendere gli onori che spettavano alla nobiledama che discendeva dal suo cocchio. Equipaggi face-vano il giro del cortile. Cavalli scuotevano i pennacchipiumati. La Regina era giunta.

Quella vista bastò a Orlando. A salti discese la colli-na. Rientrò per una porticina segreta. Divorò la scala achiocciola. Le sue calze volarono da una parte, il giusta-cuore dall’altra parte della stanza. Tuffò il caponell’acqua. Si nettò le mani. Col soccorso di sei pollicidi specchio, alla luce di due moccoli, infilò le brache

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Un’ora forse era trascorsa – il sole scendeva rapida-mente, le bianche nubi trascoloravano in rosso, le colli-ne s’andavano facendo di viola, i boschi di porpora, enere le valli – quando un suon di tromba echeggiò. Or-lando balzò in piedi. Il suono acuto saliva dalla valle.Usciva da una macchia nera laggiù; macchia compatta eben delimitata; un dedalo; una città, benché cinta dimura; usciva dal cuore stesso della gran dimora di Or-lando là nella valle che, dianzi buia, sotto l’occhio di luie mentre quella solitaria tromba ripercuoteva infinitevolte l’eco della sua voce acuta, perdeva la sua oscuritàe si picchiettava di luci. Erano, alcune, piccole luci fret-tolose, come di servi affannati che accorressero a un ri-chiamo lungo gli anditi; altre erano luci alte e smagliantiche parevano brillare in grandi sale deserte, dove la ta-vola attendesse invano gli ospiti non giunti; e altre situffavano e oscillavano e si levavano e ricadevano,come affidate a turba di famigli i quali si inchinassero,s’inginocchiassero, si rialzassero, intenti a ricevere, ascortare, a rendere gli onori che spettavano alla nobiledama che discendeva dal suo cocchio. Equipaggi face-vano il giro del cortile. Cavalli scuotevano i pennacchipiumati. La Regina era giunta.

Quella vista bastò a Orlando. A salti discese la colli-na. Rientrò per una porticina segreta. Divorò la scala achiocciola. Le sue calze volarono da una parte, il giusta-cuore dall’altra parte della stanza. Tuffò il caponell’acqua. Si nettò le mani. Col soccorso di sei pollicidi specchio, alla luce di due moccoli, infilò le brache

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scarlatte, la gorgiera di merletto, il giustacuore di taffe-tà, e calzò le scarpe ornate di rosette grandi quanto da-lie; e non v’impiegò più di dieci minuti, all’oriolo dellescuderie. Era pronto. Era rosso. Era agitato. Ma era ingran ritardo.

Per scorciatoie a lui note, s’avviò per la vasta conge-rie delle stanze e delle sale sino alla sala del festino, cin-que acri distante, all’altra ala del castello. Ma a mezzavia, nei quartieri di fondo dove abitava il servidorame,sostò. La porta della sala di Mistress Stewkley era aper-ta: ella se n’era andata, sicuramente, con tutte le suechiavi, agli ordini della signora. Ma là, seduto alla tavo-la dei servi davanti a un foglio di carta, un boccale ac-canto a sé, sedeva un uomo piuttosto grasso, e male inarnese, vestito di grosso bigello con un collare non trop-po pulito. Teneva una penna in mano, ma non scriveva.Pareva ruminasse un qualche pensiero, e l’andasse rimu-ginando tra sé e sé fino a che gli avrebbe dato forma epeso a suo genio. Lo sguardo degli occhi, a fior di testae nebulosi come pietre verdi di grana singolare, era fis-so. Egli non vide Orlando, il quale, a malgrado della suafuria, si arrestò di colpo. Era costui un poeta? Intento ascrivere versi? “Oh ditemi” avrebbe voluto chiedergli“ditemi ogni cosa al mondo!” – poiché Orlando nutrivale più folli, le più assurde, le più stravaganti idee suipoeti e sulla poesia –; ma come rivolger la parola a chinon vi vede? a chi vede orchi, satiri, forse gli abissi delmare, in luogo vostro? Così Orlando contemplava abocca aperta quell’uomo, il quale rigirava la penna tra le

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scarlatte, la gorgiera di merletto, il giustacuore di taffe-tà, e calzò le scarpe ornate di rosette grandi quanto da-lie; e non v’impiegò più di dieci minuti, all’oriolo dellescuderie. Era pronto. Era rosso. Era agitato. Ma era ingran ritardo.

Per scorciatoie a lui note, s’avviò per la vasta conge-rie delle stanze e delle sale sino alla sala del festino, cin-que acri distante, all’altra ala del castello. Ma a mezzavia, nei quartieri di fondo dove abitava il servidorame,sostò. La porta della sala di Mistress Stewkley era aper-ta: ella se n’era andata, sicuramente, con tutte le suechiavi, agli ordini della signora. Ma là, seduto alla tavo-la dei servi davanti a un foglio di carta, un boccale ac-canto a sé, sedeva un uomo piuttosto grasso, e male inarnese, vestito di grosso bigello con un collare non trop-po pulito. Teneva una penna in mano, ma non scriveva.Pareva ruminasse un qualche pensiero, e l’andasse rimu-ginando tra sé e sé fino a che gli avrebbe dato forma epeso a suo genio. Lo sguardo degli occhi, a fior di testae nebulosi come pietre verdi di grana singolare, era fis-so. Egli non vide Orlando, il quale, a malgrado della suafuria, si arrestò di colpo. Era costui un poeta? Intento ascrivere versi? “Oh ditemi” avrebbe voluto chiedergli“ditemi ogni cosa al mondo!” – poiché Orlando nutrivale più folli, le più assurde, le più stravaganti idee suipoeti e sulla poesia –; ma come rivolger la parola a chinon vi vede? a chi vede orchi, satiri, forse gli abissi delmare, in luogo vostro? Così Orlando contemplava abocca aperta quell’uomo, il quale rigirava la penna tra le

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dita, or di qua e or di là; e guardava fisso, e meditava; epoi scrisse assai rapido cinque o sei righe e levò losguardo. Ma a questo punto la timidità ebbe il soprav-vento su di Orlando, il quale partì come una freccia egiunse alla sala del festino in tempo appena per caderein ginocchio e, chinando il capo in confusione, offrireuna coppa d’acqua di rose alla gran Regina in persona.

Tanto era intimidito, che di lei altro non vide fuorchéla mano inanellata immersa nell’acqua; ma quella vistagli bastò. Era una mano che non si poteva dimenticare;una mano sottile dalle lunghe dita sempre ricurve comea serrar scettro o globo; una mano nervosa, bisbetica,malsana; mano di despota; mano cui bastava levarsi perfar cadere una testa; una mano, parve a Orlando, attac-cata a un vecchio corpo che emanava l’odor degli arma-di che rinserrano le pellicce tra la canfora; un corpo tut-tavia bardato d’ogni sorta di broccati e gemme che si te-neva eretto ad onta, forse, dei dolori di sciatica, né cede-va malgrado i mille terrori che lo agitavano; e gli occhidella Regina eran lionati. Tutto ciò gli si manifestava,mentre i grandi anelli traversavano l’acqua di bagliori, epoi qualcosa premé le sue chiome; e ciò, forse, ci rivelache egli non vide più nulla da cui possa trar partito unostorico. La verità è che nel suo spirito regnava un talcaos – la notte, i doppieri fiammeggianti, il poeta malein arnese e la gran Regina, i campi silenziosi, l’andiri-vieni dell’affaccendato servidorame – che nulla egli ve-deva, o appena una mano.

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dita, or di qua e or di là; e guardava fisso, e meditava; epoi scrisse assai rapido cinque o sei righe e levò losguardo. Ma a questo punto la timidità ebbe il soprav-vento su di Orlando, il quale partì come una freccia egiunse alla sala del festino in tempo appena per caderein ginocchio e, chinando il capo in confusione, offrireuna coppa d’acqua di rose alla gran Regina in persona.

Tanto era intimidito, che di lei altro non vide fuorchéla mano inanellata immersa nell’acqua; ma quella vistagli bastò. Era una mano che non si poteva dimenticare;una mano sottile dalle lunghe dita sempre ricurve comea serrar scettro o globo; una mano nervosa, bisbetica,malsana; mano di despota; mano cui bastava levarsi perfar cadere una testa; una mano, parve a Orlando, attac-cata a un vecchio corpo che emanava l’odor degli arma-di che rinserrano le pellicce tra la canfora; un corpo tut-tavia bardato d’ogni sorta di broccati e gemme che si te-neva eretto ad onta, forse, dei dolori di sciatica, né cede-va malgrado i mille terrori che lo agitavano; e gli occhidella Regina eran lionati. Tutto ciò gli si manifestava,mentre i grandi anelli traversavano l’acqua di bagliori, epoi qualcosa premé le sue chiome; e ciò, forse, ci rivelache egli non vide più nulla da cui possa trar partito unostorico. La verità è che nel suo spirito regnava un talcaos – la notte, i doppieri fiammeggianti, il poeta malein arnese e la gran Regina, i campi silenziosi, l’andiri-vieni dell’affaccendato servidorame – che nulla egli ve-deva, o appena una mano.

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A sua volta, dunque, la Regina non avrà visto nullapiù di una testa. Ma se può darsi che una mano riveli in-tero un corpo, informato a tutti gli attributi di una granRegina, il suo carattere bisbetico, ii suo coraggio, le suedebolezze e i suoi terrori, non v’è dubbio che una testapossa rivelare altrettanto, quando è vista dall’alto d’untrono da una signora i cui occhi – se dobbiamo prestarfede ai ceri dell’Abbazia – erano sempre bene aperti. Ilunghi capelli inanellati, la testa bruna china dinanzi alei con tanta riverenza, con sì grande innocenza, impli-cavano di certo il più bel paio di gambe che mai abbianoportato un corpo di giovine gentiluomo; e occhi di viola;e un cuor d’oro; lealtà e grazie virili: tutte qualità che lavecchia dama tanto più amava in quanto sempre più lesfuggivano. Poiché diventava vecchia e frusta e curvainnanzi tempo. Le sue orecchie erano sempre piene delrombo del cannone. Ovunque vedeva lo scintillar dellagoccia di veleno, o dello stile acuminato; seduta a men-sa, tendeva l’orecchio; udiva il cannone nella Manica; ilterrore la teneva. Era una maledizione? un bisbiglio? In-nocenza, semplicità le erano tanto più care quanto piùrisaltavano su di uno sfondo cupo. Vuole dunque la tra-dizione che in quella medesima notte, mentre Orlandoera immerso nel più profondo sonno, ella, ponendo fir-ma e sigillo alla pergamena, facesse dono al padre di luidel gran monastero che era appartenuto prima all’Arci-vescovo e quindi al Re.

Orlando dormì ignaro tutta la notte. Senza saperloaveva ricevuto il bacio di una regina. E forse, poiché il

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A sua volta, dunque, la Regina non avrà visto nullapiù di una testa. Ma se può darsi che una mano riveli in-tero un corpo, informato a tutti gli attributi di una granRegina, il suo carattere bisbetico, ii suo coraggio, le suedebolezze e i suoi terrori, non v’è dubbio che una testapossa rivelare altrettanto, quando è vista dall’alto d’untrono da una signora i cui occhi – se dobbiamo prestarfede ai ceri dell’Abbazia – erano sempre bene aperti. Ilunghi capelli inanellati, la testa bruna china dinanzi alei con tanta riverenza, con sì grande innocenza, impli-cavano di certo il più bel paio di gambe che mai abbianoportato un corpo di giovine gentiluomo; e occhi di viola;e un cuor d’oro; lealtà e grazie virili: tutte qualità che lavecchia dama tanto più amava in quanto sempre più lesfuggivano. Poiché diventava vecchia e frusta e curvainnanzi tempo. Le sue orecchie erano sempre piene delrombo del cannone. Ovunque vedeva lo scintillar dellagoccia di veleno, o dello stile acuminato; seduta a men-sa, tendeva l’orecchio; udiva il cannone nella Manica; ilterrore la teneva. Era una maledizione? un bisbiglio? In-nocenza, semplicità le erano tanto più care quanto piùrisaltavano su di uno sfondo cupo. Vuole dunque la tra-dizione che in quella medesima notte, mentre Orlandoera immerso nel più profondo sonno, ella, ponendo fir-ma e sigillo alla pergamena, facesse dono al padre di luidel gran monastero che era appartenuto prima all’Arci-vescovo e quindi al Re.

Orlando dormì ignaro tutta la notte. Senza saperloaveva ricevuto il bacio di una regina. E forse, poiché il

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cuore d’una donna ha mille vie, fu la sua ignoranza e ilsussulto che egli ebbe allorché le labbra della Regina losfiorarono, che mantennero viva in lei la memoria delgiovane cugino (poiché avevano del sangue in comune).In ogni modo, due anni di quella tranquilla vita di cam-pagna non erano trascorsi, né dalla penna di Orlandoerano uscite più d’una ventina di tragedie, di una dozzi-na di istorie e di una partita di sonetti, allorché venne unmessaggio, che lo chiamava al servizio della Regina aWhitehall.

«Ecco il mio innocente!» disse ella vedendolo avan-zare verso di sé dal fondo della lunga galleria. (Spiravadalla sua persona un’aria di serenità, la quale dell’inno-cenza serbava l’aspetto quando tecnicamente la parolanon sarebbe stata esatta.)

«Venite» diss’ella. Sedeva presso il caminetto, rigidacome se avesse ingoiato un chiodo. Arrestandolo a unpasso da sé, lo squadrò, dall’alto in basso. Confrontavaessa le sue speculazioni di quella sera con la verità oravisibile? Trovava giuste le sue congetture? Rapido sor-volò il suo sguardo gli occhi, la bocca, il naso, il petto, ifianchi, le mani; palesemente le sue labbra sussultaronomentre guardava; ma quando vide le gambe, rise ad altavoce. Egli era la perfetta immagine di un nobile genti-luomo. Ma interiormente? Dardeggiò su di lui la fiam-ma giallognola degli occhi grifagni, come a trafiggerglil’anima. Il giovane sostenne quello sguardo, e un rossorlieve di rosa damaschina lo abbellì. Vigore, grazia, fan-tasia, follia, poesia, giovinezza: ella leggeva in lui come

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cuore d’una donna ha mille vie, fu la sua ignoranza e ilsussulto che egli ebbe allorché le labbra della Regina losfiorarono, che mantennero viva in lei la memoria delgiovane cugino (poiché avevano del sangue in comune).In ogni modo, due anni di quella tranquilla vita di cam-pagna non erano trascorsi, né dalla penna di Orlandoerano uscite più d’una ventina di tragedie, di una dozzi-na di istorie e di una partita di sonetti, allorché venne unmessaggio, che lo chiamava al servizio della Regina aWhitehall.

«Ecco il mio innocente!» disse ella vedendolo avan-zare verso di sé dal fondo della lunga galleria. (Spiravadalla sua persona un’aria di serenità, la quale dell’inno-cenza serbava l’aspetto quando tecnicamente la parolanon sarebbe stata esatta.)

«Venite» diss’ella. Sedeva presso il caminetto, rigidacome se avesse ingoiato un chiodo. Arrestandolo a unpasso da sé, lo squadrò, dall’alto in basso. Confrontavaessa le sue speculazioni di quella sera con la verità oravisibile? Trovava giuste le sue congetture? Rapido sor-volò il suo sguardo gli occhi, la bocca, il naso, il petto, ifianchi, le mani; palesemente le sue labbra sussultaronomentre guardava; ma quando vide le gambe, rise ad altavoce. Egli era la perfetta immagine di un nobile genti-luomo. Ma interiormente? Dardeggiò su di lui la fiam-ma giallognola degli occhi grifagni, come a trafiggerglil’anima. Il giovane sostenne quello sguardo, e un rossorlieve di rosa damaschina lo abbellì. Vigore, grazia, fan-tasia, follia, poesia, giovinezza: ella leggeva in lui come

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in un libro aperto. Tosto si strappò un anello dal dito (lagiuntura era enfiata alquanto) e, infilatolo a quello diOrlando, lo nominò suo Tesoriere e Gran Maestro diCasa; gli passò quindi al collo la catena, attributo dellesue mansioni; e, invitandolo a piegare il ginocchio, al-lacciò alla parte più snella di esso l’ordine, tempestatodi gemme, della Giarrettiera.

Nulla, dopo di ciò, gli venne più rifiutato. Quando laRegina usciva in pompa magna egli cavalcava a fiancodel suo cocchio. Ella lo mandò in Iscozia, con una tristeambasciata per l’infelice Regina. Egli era sul puntod’imbarcarsi per le guerre di Polonia, allorché essa lo ri-chiamò. Come invero avrebbe sopportato il pensiero diquelle tenere carni dilaniate, di quella testa inanellataruzzolante nella polvere? E lo tenne presso di sé.All’apogeo dei suoi trionfi, mentre i cannoni tuonavanodall’alto della Torre di Londra, e l’aria era tanto spessadi polvere da far sternutire, mentre gli urrà della follafacevano tremare i vetri delle finestre, ella lo attirò a sétra i cuscini dove le sue donne l’avevano deposta (eratanto vecchia e frusta) e lo forzò a immergere il volto inquel sorprendente composto – da un mese la Regina nonmutava le sue vesti – il quale, pensava Orlando, rian-dando con la mente ai suoi ricordi d’infanzia, aveva pro-prio l’odore di tal vecchio stipo, dove a casa sua la ma-dre era usa riporre le pellicce. Si rialzò, a metà soffocatodall’abbraccio. «Questa» esalò la Regina «è la mia vit-toria!»: e in quel mentre, un razzo sibilando scoppiò e lecolorò le guance di scarlatto.

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in un libro aperto. Tosto si strappò un anello dal dito (lagiuntura era enfiata alquanto) e, infilatolo a quello diOrlando, lo nominò suo Tesoriere e Gran Maestro diCasa; gli passò quindi al collo la catena, attributo dellesue mansioni; e, invitandolo a piegare il ginocchio, al-lacciò alla parte più snella di esso l’ordine, tempestatodi gemme, della Giarrettiera.

Nulla, dopo di ciò, gli venne più rifiutato. Quando laRegina usciva in pompa magna egli cavalcava a fiancodel suo cocchio. Ella lo mandò in Iscozia, con una tristeambasciata per l’infelice Regina. Egli era sul puntod’imbarcarsi per le guerre di Polonia, allorché essa lo ri-chiamò. Come invero avrebbe sopportato il pensiero diquelle tenere carni dilaniate, di quella testa inanellataruzzolante nella polvere? E lo tenne presso di sé.All’apogeo dei suoi trionfi, mentre i cannoni tuonavanodall’alto della Torre di Londra, e l’aria era tanto spessadi polvere da far sternutire, mentre gli urrà della follafacevano tremare i vetri delle finestre, ella lo attirò a sétra i cuscini dove le sue donne l’avevano deposta (eratanto vecchia e frusta) e lo forzò a immergere il volto inquel sorprendente composto – da un mese la Regina nonmutava le sue vesti – il quale, pensava Orlando, rian-dando con la mente ai suoi ricordi d’infanzia, aveva pro-prio l’odore di tal vecchio stipo, dove a casa sua la ma-dre era usa riporre le pellicce. Si rialzò, a metà soffocatodall’abbraccio. «Questa» esalò la Regina «è la mia vit-toria!»: e in quel mentre, un razzo sibilando scoppiò e lecolorò le guance di scarlatto.

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Poiché l’anziana donna lo amava. E la Regina, la qua-le sapeva riconoscere un uomo al primo sguardo, ben-ché si dice ch’ella non seguisse le vie solite, la Reginaordì per lui una splendida ambiziosa carriera. Terre glifurono donate, case gli vennero assegnate. Egli sarebbestato il figlio della sua vecchiaia, il sostegno della suainfermità; la quercia alla quale s’appoggerebbe nel suodeclinare. E gli gracchiava di simili promesse, con sin-golari imperiose effusioni (erano a Richmond, ora), se-duta dritta nei suoi broccati rigidi presso il fuoco chemai, per quanti ceppi vi si ammassassero, mai la riscal-dava.

Intanto i lunghi mesi d’inverno si snodavano. Nelparco, bianco gelo costringeva gli alberi. Pigre scorreva-no le acque. Un giorno – la neve gravava sulla terra, e lesale ammantate di cupi pannelli si riempivano di ombree i cervi bramivano nel parco – la Regina vide nellospecchio, che per timor delle spie sempre teneva pressodi sé, al di là della porta che per timor dei suoi sicarisempre teneva aperta, un giovinetto – Orlando forse? –il quale baciava una fanciulla; ma chi, per tutti i demonidell’Inferno, poteva essere quella sfrontata sgualdrina?Subito diede di piglio alla sua spada dall’impugnaturad’oro, e colpì violentemente lo specchio. Il vetro si rup-pe con fracasso; i famigli accorsero; la Regina vennesollevata e deposta di nuovo nella sua poltrona; ma ilcolpo l’aveva molto abbattuta, ed ella mugolava spesso,volgendo i suoi giorni alla fine, della slealtà del ma-schio.

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Poiché l’anziana donna lo amava. E la Regina, la qua-le sapeva riconoscere un uomo al primo sguardo, ben-ché si dice ch’ella non seguisse le vie solite, la Reginaordì per lui una splendida ambiziosa carriera. Terre glifurono donate, case gli vennero assegnate. Egli sarebbestato il figlio della sua vecchiaia, il sostegno della suainfermità; la quercia alla quale s’appoggerebbe nel suodeclinare. E gli gracchiava di simili promesse, con sin-golari imperiose effusioni (erano a Richmond, ora), se-duta dritta nei suoi broccati rigidi presso il fuoco chemai, per quanti ceppi vi si ammassassero, mai la riscal-dava.

Intanto i lunghi mesi d’inverno si snodavano. Nelparco, bianco gelo costringeva gli alberi. Pigre scorreva-no le acque. Un giorno – la neve gravava sulla terra, e lesale ammantate di cupi pannelli si riempivano di ombree i cervi bramivano nel parco – la Regina vide nellospecchio, che per timor delle spie sempre teneva pressodi sé, al di là della porta che per timor dei suoi sicarisempre teneva aperta, un giovinetto – Orlando forse? –il quale baciava una fanciulla; ma chi, per tutti i demonidell’Inferno, poteva essere quella sfrontata sgualdrina?Subito diede di piglio alla sua spada dall’impugnaturad’oro, e colpì violentemente lo specchio. Il vetro si rup-pe con fracasso; i famigli accorsero; la Regina vennesollevata e deposta di nuovo nella sua poltrona; ma ilcolpo l’aveva molto abbattuta, ed ella mugolava spesso,volgendo i suoi giorni alla fine, della slealtà del ma-schio.

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Orlando non era forse senza colpa; eppure, dopo tut-to, sapremmo noi accusarlo? Era l’epoca elisabettiana;la morale di quella gente non era la nostra; né i loro poe-ti, né il loro clima di vita; nemmeno i loro legami. Ognicosa era diversa. Chissà che financo il tempo, il freddodell’inverno e il caldo dell’estate non fossero d’altratempra che non ai nostri giorni. La chiara luce amorosadel giorno era divisa dalla notte altrettanto nettamentequanto la terra dall’acqua. I tramonti erano più rossi, piùintensi; più bianca l’alba, più aurorale. Nulla sapevanoessi delle nostre penombre serotine, dei nostri languidicrepuscoli. La pioggia cadeva violenta, o non cadeva af-fatto. Il sole divampava, o regnava l’oscurità. Traducen-do questi fatti nelle regioni dello spirito, com’è loro co-stume, i poeti cantavano splendidamente il morir dellerose, il cader dei petali. L’attimo è breve, cantavano;l’attimo fugge; e poi, noi tutti dormiremo il medesimolungo sonno. Quanto al porre in pratica gli artifici delleserre o dei tepidari, a fine di prolungare la freschezza dirose e garofani, non era nelle loro vedute. Essi ignorava-no le avvizzite complicazioni, le ambiguità della nostraepoca. La violenza era tutto. La rosa fioriva e appassiva.Il sole nasceva e tramontava. L’amante amava e se nepartiva. E ciò che il poeta diceva in rima, i giovani lomettevano in pratica. Le fanciulle erano rose, e la lorostagione effimera al pari di quella dei fiori. Urgeva dun-que coglierle prima del cader della notte; poiché breveera il giorno, e il giorno era tutto. Se Orlando dunque,seguendo l’orma del clima, dei poeti, del tempo stesso,

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Orlando non era forse senza colpa; eppure, dopo tut-to, sapremmo noi accusarlo? Era l’epoca elisabettiana;la morale di quella gente non era la nostra; né i loro poe-ti, né il loro clima di vita; nemmeno i loro legami. Ognicosa era diversa. Chissà che financo il tempo, il freddodell’inverno e il caldo dell’estate non fossero d’altratempra che non ai nostri giorni. La chiara luce amorosadel giorno era divisa dalla notte altrettanto nettamentequanto la terra dall’acqua. I tramonti erano più rossi, piùintensi; più bianca l’alba, più aurorale. Nulla sapevanoessi delle nostre penombre serotine, dei nostri languidicrepuscoli. La pioggia cadeva violenta, o non cadeva af-fatto. Il sole divampava, o regnava l’oscurità. Traducen-do questi fatti nelle regioni dello spirito, com’è loro co-stume, i poeti cantavano splendidamente il morir dellerose, il cader dei petali. L’attimo è breve, cantavano;l’attimo fugge; e poi, noi tutti dormiremo il medesimolungo sonno. Quanto al porre in pratica gli artifici delleserre o dei tepidari, a fine di prolungare la freschezza dirose e garofani, non era nelle loro vedute. Essi ignorava-no le avvizzite complicazioni, le ambiguità della nostraepoca. La violenza era tutto. La rosa fioriva e appassiva.Il sole nasceva e tramontava. L’amante amava e se nepartiva. E ciò che il poeta diceva in rima, i giovani lomettevano in pratica. Le fanciulle erano rose, e la lorostagione effimera al pari di quella dei fiori. Urgeva dun-que coglierle prima del cader della notte; poiché breveera il giorno, e il giorno era tutto. Se Orlando dunque,seguendo l’orma del clima, dei poeti, del tempo stesso,

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coglieva il suo fiore nel vano d’uno sporto, pur mentrela neve copriva la terra e la Regina vigilava nell’andito,difficilmente sapremmo risolverci a incolparnelo. Gio-vane, in sul far della pubertà, egli agiva secondo i detta-mi della natura. Quanto alla pulzella, ne ignoriamo ilnome tanto quanto la regina Elisabetta in persona. Pote-va essere Doris, Cloe, Delia, o Diana, poiché a queinomi tutti s’indirizzavano i versi di Orlando; così comepoteva essere tanto una dama della Corte, quanto unacamerista. Poiché Orlando era di gusti assai vasti; nonsoltanto i fiori di giardino amava, ma lo affascinavanougualmente quelli di prato e le erbe selvatiche.

Qui invero abbiamo messo a nudo, con la franchezzache al biografo è permessa, un tratto curioso di Orlando,spiegabile forse col fatto che qualcuna tra le sue aveaveva indossato camicie di tela rozza e portato il sec-chio del latte. Qualche grano di terra del Kent o del Sus-sex si mescolava nelle sue vene al bel sangue leggeroche gli veniva di Normandia. Quel miscuglio di terrabruna e di sangue azzurro gli pareva eccellente. Certo èche aveva sempre avuto una spiccata predilezione per lacompagnia della bassa gente; specie se si trattava di uo-mini di lettere, che il loro ingegno mantiene sì spesso inuna condizione inferiore; quasi vi fosse, tra di loro, unasimpatia di sangue. A quella stagione di sua vita, allor-ché il suo cervello straripava di rime, e mai egli si cori-cava senza toccar qualche corda, la figlia di un oste glipareva più fresca, e la figlia d’un guardacaccia più argu-ta di spirito che non le dame della Corte. Così fu che

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coglieva il suo fiore nel vano d’uno sporto, pur mentrela neve copriva la terra e la Regina vigilava nell’andito,difficilmente sapremmo risolverci a incolparnelo. Gio-vane, in sul far della pubertà, egli agiva secondo i detta-mi della natura. Quanto alla pulzella, ne ignoriamo ilnome tanto quanto la regina Elisabetta in persona. Pote-va essere Doris, Cloe, Delia, o Diana, poiché a queinomi tutti s’indirizzavano i versi di Orlando; così comepoteva essere tanto una dama della Corte, quanto unacamerista. Poiché Orlando era di gusti assai vasti; nonsoltanto i fiori di giardino amava, ma lo affascinavanougualmente quelli di prato e le erbe selvatiche.

Qui invero abbiamo messo a nudo, con la franchezzache al biografo è permessa, un tratto curioso di Orlando,spiegabile forse col fatto che qualcuna tra le sue aveaveva indossato camicie di tela rozza e portato il sec-chio del latte. Qualche grano di terra del Kent o del Sus-sex si mescolava nelle sue vene al bel sangue leggeroche gli veniva di Normandia. Quel miscuglio di terrabruna e di sangue azzurro gli pareva eccellente. Certo èche aveva sempre avuto una spiccata predilezione per lacompagnia della bassa gente; specie se si trattava di uo-mini di lettere, che il loro ingegno mantiene sì spesso inuna condizione inferiore; quasi vi fosse, tra di loro, unasimpatia di sangue. A quella stagione di sua vita, allor-ché il suo cervello straripava di rime, e mai egli si cori-cava senza toccar qualche corda, la figlia di un oste glipareva più fresca, e la figlia d’un guardacaccia più argu-ta di spirito che non le dame della Corte. Così fu che

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prese l’abitudine di andar spesso a Wapping Old Stairs enelle birrerie all’aperto, di notte, avvolto in una cappagrigia che celava la stella al suo collo e la Giarrettiera alginocchio. Là, seduto davanti a un boccale, tra i sentiericosparsi di ghiaia, e la verzura a palla e le semplici ar-chitetture che s’incontravano in simili luoghi, egli por-geva ascolto alle storie che i marinai narravano dellemiserie, degli orrori e delle crudeltà delle terre di Spa-gna; e come taluno avesse perso l’alluce, tal altro ilnaso. Poiché la storia parlata non era mai così gentile,né attenuata di vaghi colori come la storia scritta. Parti-colarmente gli piaceva sentirli berciare le loro canzonidelle Azzorre, mentre i pappagalli, che da quelle partiavevano portato, beccavano le anella ai loro orecchi,picchiavano il duro becco di rapace ai rubini che recava-no alle dita, e bestemmiavano altrettanto grossolana-mente quanto i loro padroni. E appena meno audaci neiloro discorsi e men libere di modi di quei pennuti eranole donne. Esse si arrampicavano sulle ginocchia di Or-lando, gli buttavano le braccia al collo e, indovinandoche la cappa di mollettone nascondeva qualcosa di noncomune, erano quasi altrettanto ansiose di toccar conmano la verità dei fatti, quanto Orlando stesso.

Né mancavano già le occasioni. Dal fiume, presto siridestava e tardi si assopiva il brulichio di barche, barco-ni e barchette e imbarcazioni d’ogni specie. Non passa-va giorno senza che qualche nave sciogliesse le bellevele per le Indie; e qua e là spuntavano altre vele, lequali annerite e lacere, mostrando a bordo degli stranieri

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prese l’abitudine di andar spesso a Wapping Old Stairs enelle birrerie all’aperto, di notte, avvolto in una cappagrigia che celava la stella al suo collo e la Giarrettiera alginocchio. Là, seduto davanti a un boccale, tra i sentiericosparsi di ghiaia, e la verzura a palla e le semplici ar-chitetture che s’incontravano in simili luoghi, egli por-geva ascolto alle storie che i marinai narravano dellemiserie, degli orrori e delle crudeltà delle terre di Spa-gna; e come taluno avesse perso l’alluce, tal altro ilnaso. Poiché la storia parlata non era mai così gentile,né attenuata di vaghi colori come la storia scritta. Parti-colarmente gli piaceva sentirli berciare le loro canzonidelle Azzorre, mentre i pappagalli, che da quelle partiavevano portato, beccavano le anella ai loro orecchi,picchiavano il duro becco di rapace ai rubini che recava-no alle dita, e bestemmiavano altrettanto grossolana-mente quanto i loro padroni. E appena meno audaci neiloro discorsi e men libere di modi di quei pennuti eranole donne. Esse si arrampicavano sulle ginocchia di Or-lando, gli buttavano le braccia al collo e, indovinandoche la cappa di mollettone nascondeva qualcosa di noncomune, erano quasi altrettanto ansiose di toccar conmano la verità dei fatti, quanto Orlando stesso.

Né mancavano già le occasioni. Dal fiume, presto siridestava e tardi si assopiva il brulichio di barche, barco-ni e barchette e imbarcazioni d’ogni specie. Non passa-va giorno senza che qualche nave sciogliesse le bellevele per le Indie; e qua e là spuntavano altre vele, lequali annerite e lacere, mostrando a bordo degli stranieri

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irsuti, a gran fatica si trascinavano all’ancora. Nessunosi curava, se un garzone o una fanciulla s’attardavano unpoco a lungo sull’acqua dopo il cader del sole; né ag-grottava la fronte, se qualcuno cianciava d’averli vedutidormir profondo l’uno tra le braccia dell’altra in mezzoai sacchi del bottino. E in tale avventura, infatti, incolse-ro Orlando, Sukey e il conte di Cumberland. La giornataera calda; e trascorso il tempo in scaramucce d’amore, idue primi erano caduti addormentati tra i rubini. Tardi,nella notte, il conte, le cui fortune erano sempre connes-se alle imprese spagnuole, se ne venne solo, con unalanterna, onde controllare il bottino. Proiettata la luce sudi un barile, indietreggiò con una bestemmia: abbraccia-ti contro i fusti dormivano due fantasmi. Al conte, cheera d’indole superstiziosa e aveva la coscienza nera dipiù d’un delitto, la coppia – un manto rosso avvolgeva idue, e il seno di Sukey non era men bianco delle nevieterne della poesia d’Orlando – apparve spettrale, quasifantasmi di marinai annegati, balzati per svergognarlodal profondo avello. Il conte si fece il segno della croce.Giurò di far penitenza. La fila di case per i poveri cheoggi ancora si vede in Sheen Road è il frutto palese diquel momento di panico. Dodici povere vecchie dellaparrocchia bevono oggidì il tè di giorno, e a sera benedi-cono Sua Grazia per il fatto ch’egli le protegge; cosic-ché l’amore illecito in una nave corsara... ma ci sia ri-sparmiata la morale.

Orlando tuttavia non tardò a stancarsi, non solo deidisagi che quel modo di vivere recava con sé, e della

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irsuti, a gran fatica si trascinavano all’ancora. Nessunosi curava, se un garzone o una fanciulla s’attardavano unpoco a lungo sull’acqua dopo il cader del sole; né ag-grottava la fronte, se qualcuno cianciava d’averli vedutidormir profondo l’uno tra le braccia dell’altra in mezzoai sacchi del bottino. E in tale avventura, infatti, incolse-ro Orlando, Sukey e il conte di Cumberland. La giornataera calda; e trascorso il tempo in scaramucce d’amore, idue primi erano caduti addormentati tra i rubini. Tardi,nella notte, il conte, le cui fortune erano sempre connes-se alle imprese spagnuole, se ne venne solo, con unalanterna, onde controllare il bottino. Proiettata la luce sudi un barile, indietreggiò con una bestemmia: abbraccia-ti contro i fusti dormivano due fantasmi. Al conte, cheera d’indole superstiziosa e aveva la coscienza nera dipiù d’un delitto, la coppia – un manto rosso avvolgeva idue, e il seno di Sukey non era men bianco delle nevieterne della poesia d’Orlando – apparve spettrale, quasifantasmi di marinai annegati, balzati per svergognarlodal profondo avello. Il conte si fece il segno della croce.Giurò di far penitenza. La fila di case per i poveri cheoggi ancora si vede in Sheen Road è il frutto palese diquel momento di panico. Dodici povere vecchie dellaparrocchia bevono oggidì il tè di giorno, e a sera benedi-cono Sua Grazia per il fatto ch’egli le protegge; cosic-ché l’amore illecito in una nave corsara... ma ci sia ri-sparmiata la morale.

Orlando tuttavia non tardò a stancarsi, non solo deidisagi che quel modo di vivere recava con sé, e della

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mala genia che popolava quei quartieri, ma dei modirozzi e primitivi di quella gente. Giova infatti ricordareche, presso gli elisabettiani, delitto e povertà non eranocircondati da quell’aureola che noi prestiamo loro. Il sa-pere e la scienza non erano per essi oggetto di vergogna;né il nascer figli di un beccaio appariva a quei tempicome ai nostri una benedizione, e il non saper leggereuna virtù; né ci si figurava che ciò che noi chiamiamo“vita” e “realtà” dovessero andar di pari passo conl’ignoranza e la brutalità; anzi, non c’era neppure unequivalente per queste due parole. Non era dunque incerca di “vita” che Orlando era sceso tra il popolo; né loabbandonò per scoprire la “realtà”. Ma dopo aver senti-to raccontare innumerevoli volte come Jakes avesse per-duto il naso, e Sukey l’onore – e dobbiamo riconoscereche essi raccontavano le loro storielle con gran maestria– cominciò a sentirsi un po’ stanco della ripetizione,poiché un naso non può esser tagliato che in una solamaniera, come non ve ne sono due di perder la verginità– o così almeno pareva a Orlando – mentre c’era nellearti e nelle scienze una varietà che stimolava profonda-mente la sua curiosità. Così, pur serbandone buona me-moria, desisté dal frequentare le birrerie all’aperto e igiochi dei birilli, appese nel guardaroba il mollettonegrigio, lasciò brillar la stella sul suo petto e scintillar laGiarrettiera al ginocchio, e riapparve alla Corte di reGiacomo. Egli era giovane, era ricco, era leggiadro.Nessuno avrebbe potuto esser accolto con più consensodi lui.

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mala genia che popolava quei quartieri, ma dei modirozzi e primitivi di quella gente. Giova infatti ricordareche, presso gli elisabettiani, delitto e povertà non eranocircondati da quell’aureola che noi prestiamo loro. Il sa-pere e la scienza non erano per essi oggetto di vergogna;né il nascer figli di un beccaio appariva a quei tempicome ai nostri una benedizione, e il non saper leggereuna virtù; né ci si figurava che ciò che noi chiamiamo“vita” e “realtà” dovessero andar di pari passo conl’ignoranza e la brutalità; anzi, non c’era neppure unequivalente per queste due parole. Non era dunque incerca di “vita” che Orlando era sceso tra il popolo; né loabbandonò per scoprire la “realtà”. Ma dopo aver senti-to raccontare innumerevoli volte come Jakes avesse per-duto il naso, e Sukey l’onore – e dobbiamo riconoscereche essi raccontavano le loro storielle con gran maestria– cominciò a sentirsi un po’ stanco della ripetizione,poiché un naso non può esser tagliato che in una solamaniera, come non ve ne sono due di perder la verginità– o così almeno pareva a Orlando – mentre c’era nellearti e nelle scienze una varietà che stimolava profonda-mente la sua curiosità. Così, pur serbandone buona me-moria, desisté dal frequentare le birrerie all’aperto e igiochi dei birilli, appese nel guardaroba il mollettonegrigio, lasciò brillar la stella sul suo petto e scintillar laGiarrettiera al ginocchio, e riapparve alla Corte di reGiacomo. Egli era giovane, era ricco, era leggiadro.Nessuno avrebbe potuto esser accolto con più consensodi lui.

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È certo che più di una dama si mostrò pronta ad ac-cordargli i suoi favori. I nomi di tre almeno di esse si bi-sbigliarono unitamente a quello d’Orlando: Clorinda,Favilla, Eufrosina: così le nominò egli nei suoi sonetti.

Ma andiamo per ordine. Clorinda era una gentile don-zella di modi soavi; in verità, Orlando ne fu grandemen-te preso per sei mesi e più; senonché ella aveva le cigliabianche e non poteva sopportare la vista del sangue.Una lepre servita arrosto alla tavola del padre le facevaperdere i sensi. E anche dava troppo retta ai preti; e an-che risparmiava sulle sue biancherie per far elemosina aipoveri. S’era presa la briga di salvare Orlando dal pec-cato, tanto che egli finì per nausearsene e mandò a mon-te le nozze, e non pianse gran che quando, poco tempodopo, ella morì di vaiolo.

Favilla, che seguì tosto, era di tutt’altra razza. Era lafiglia di un povero gentiluomo della Contea di Somer-set; la quale a forza di raggiri, provvista di un paiod’occhi che ben sapeva manovrare, s’era fatta stradasino alla Corte, dove la sua destrezza d’amazzone, il suoleggiadro incedere e la sua grazia nel ballare le avevanvalso l’ammirazione di tutti. Una volta, tuttavia, si mo-strò tanto sconsigliata da frustare all’ultimo sangue, eproprio sotto le finestre di Orlando, un cane spagnuoloche le aveva strappato una calza di seta (amor della giu-stizia ci forza qui a dire che Favilla aveva poche paia dicalze, e per lo più di droghetto). Orlando; che amava ap-passionatamente gli animali, s’avvide ora che essa ave-va i denti a uncino, e i due di fronte rivolti in dentro, e si

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È certo che più di una dama si mostrò pronta ad ac-cordargli i suoi favori. I nomi di tre almeno di esse si bi-sbigliarono unitamente a quello d’Orlando: Clorinda,Favilla, Eufrosina: così le nominò egli nei suoi sonetti.

Ma andiamo per ordine. Clorinda era una gentile don-zella di modi soavi; in verità, Orlando ne fu grandemen-te preso per sei mesi e più; senonché ella aveva le cigliabianche e non poteva sopportare la vista del sangue.Una lepre servita arrosto alla tavola del padre le facevaperdere i sensi. E anche dava troppo retta ai preti; e an-che risparmiava sulle sue biancherie per far elemosina aipoveri. S’era presa la briga di salvare Orlando dal pec-cato, tanto che egli finì per nausearsene e mandò a mon-te le nozze, e non pianse gran che quando, poco tempodopo, ella morì di vaiolo.

Favilla, che seguì tosto, era di tutt’altra razza. Era lafiglia di un povero gentiluomo della Contea di Somer-set; la quale a forza di raggiri, provvista di un paiod’occhi che ben sapeva manovrare, s’era fatta stradasino alla Corte, dove la sua destrezza d’amazzone, il suoleggiadro incedere e la sua grazia nel ballare le avevanvalso l’ammirazione di tutti. Una volta, tuttavia, si mo-strò tanto sconsigliata da frustare all’ultimo sangue, eproprio sotto le finestre di Orlando, un cane spagnuoloche le aveva strappato una calza di seta (amor della giu-stizia ci forza qui a dire che Favilla aveva poche paia dicalze, e per lo più di droghetto). Orlando; che amava ap-passionatamente gli animali, s’avvide ora che essa ave-va i denti a uncino, e i due di fronte rivolti in dentro, e si

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disse che era quello il segno certo, in una femmina, diun’indole perversa e crudele; onde quella sera medesi-ma ruppe la promessa.

La terza, Eufrosina, fu di gran lunga la più duraturadelle sue fiamme. Nasceva essa dai Desmond d’Irlanda,e aveva quindi un albero genealogico altrettanto antico eprofondamente radicato quanto quello d’Orlando stesso.Era bionda, prosperosa e un poco flemmatica. Parlavabene l’italiano; mostrava, nella mascella superiore, unafila di denti perfetti, benché quelli inferiori fossero al-quanto ingialliti. Non la si vedeva mai senza un veltro ouno spagnuolo al fianco, che ella nutriva di pane bianco,e dal suo stesso piatto. Cantava dolcemente, accompa-gnandosi alla spinetta; e non appariva mai vestita primadi mezzodì, tanta era la minuziosa cura che aveva dellapersona. In breve, sarebbe stata una sposa perfetta perun gentiluomo come Orlando, e le cose erano già a talpunto che da ambo le parti i notai erano in gran faccen-de, tra contratti, assegni, dotazioni, annessi e connessi,proprietà, e tutte quelle formalità indispensabili affinchéun gran patrimonio possa allearsi a un altro, quando,con l’improvvisa rigidità che a quei tempi distingueva ilclima di Inghilterra, scoppiò il Gran Gelo.

Il Gran Gelo fu, secondo quello che ci tramandano glistorici, il più rigido che mai avesse colpito le nostre iso-le. Gli uccelli gelavano a mezz’aria e cadevano a terracome sassi. A Norwich, una giovane villana, la quales’era accinta ad attraversar la strada in ottima salutecome sempre, fu vista dagli astanti andar in polvere e

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disse che era quello il segno certo, in una femmina, diun’indole perversa e crudele; onde quella sera medesi-ma ruppe la promessa.

La terza, Eufrosina, fu di gran lunga la più duraturadelle sue fiamme. Nasceva essa dai Desmond d’Irlanda,e aveva quindi un albero genealogico altrettanto antico eprofondamente radicato quanto quello d’Orlando stesso.Era bionda, prosperosa e un poco flemmatica. Parlavabene l’italiano; mostrava, nella mascella superiore, unafila di denti perfetti, benché quelli inferiori fossero al-quanto ingialliti. Non la si vedeva mai senza un veltro ouno spagnuolo al fianco, che ella nutriva di pane bianco,e dal suo stesso piatto. Cantava dolcemente, accompa-gnandosi alla spinetta; e non appariva mai vestita primadi mezzodì, tanta era la minuziosa cura che aveva dellapersona. In breve, sarebbe stata una sposa perfetta perun gentiluomo come Orlando, e le cose erano già a talpunto che da ambo le parti i notai erano in gran faccen-de, tra contratti, assegni, dotazioni, annessi e connessi,proprietà, e tutte quelle formalità indispensabili affinchéun gran patrimonio possa allearsi a un altro, quando,con l’improvvisa rigidità che a quei tempi distingueva ilclima di Inghilterra, scoppiò il Gran Gelo.

Il Gran Gelo fu, secondo quello che ci tramandano glistorici, il più rigido che mai avesse colpito le nostre iso-le. Gli uccelli gelavano a mezz’aria e cadevano a terracome sassi. A Norwich, una giovane villana, la quales’era accinta ad attraversar la strada in ottima salutecome sempre, fu vista dagli astanti andar in polvere e

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volar in un nugolo al disopra dei tetti, all’urto del ventogelido che soffiava all’angolo della via. Immane era lamoria negli ovili e nelle stalle. I cadaveri gelavano, enon potevano essere rimossi dai lini. Non era raro in-contrarsi in interi branchi di porci, che il freddo avevacolto e solidificato nel bel mezzo della strada. I campierano pieni di pastori, bifolchi, tiri di cavalli, fanciulli inatto di discacciar uccelli, tutti tramutati in statue dallemosse subitanee; e chi si reggeva il naso con la mano,chi portava la borraccia alle labbra, un terzo faceval’atto di gettare una pietra al corvo immobile, come im-pagliato sulla siepe a due passi da lui. La violenza delgelo era tanta, che causava talora una specie di pietrifi-cazione; e nacque di poi la credenza, tra il popolo, cheun gran pullular di rocce in qualche parte della Conteadi Derby non fosse già dovuto a un’eruzione – ché nonve n’erano state – ma bensì al solidificarsi di sventurativiandanti, i quali erano stati tramutati né più né menoche in pietra e al luogo stesso dove si trovavano. Benpoco sollievo poté recare la Chiesa in quell’occasione; ese è vero che qualche proprietario fece benedire queimiseri resti umani, la maggior parte preferì servirsenecome pietre limitari, o raschiatoio per le pecore scabbio-se o, quando la forma della roccia lo permetteva, comeabbeveratoio per il bestiame; e a tali scopi, in gran parte,servono eccellentemente ai nostri giorni ancora.

Ma, mentre la più gran parte delle campagne languivain un’indigenza estrema, e ogni commercio era sospesonel paese, Londra festeggiava un Carnevale di uno

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volar in un nugolo al disopra dei tetti, all’urto del ventogelido che soffiava all’angolo della via. Immane era lamoria negli ovili e nelle stalle. I cadaveri gelavano, enon potevano essere rimossi dai lini. Non era raro in-contrarsi in interi branchi di porci, che il freddo avevacolto e solidificato nel bel mezzo della strada. I campierano pieni di pastori, bifolchi, tiri di cavalli, fanciulli inatto di discacciar uccelli, tutti tramutati in statue dallemosse subitanee; e chi si reggeva il naso con la mano,chi portava la borraccia alle labbra, un terzo faceval’atto di gettare una pietra al corvo immobile, come im-pagliato sulla siepe a due passi da lui. La violenza delgelo era tanta, che causava talora una specie di pietrifi-cazione; e nacque di poi la credenza, tra il popolo, cheun gran pullular di rocce in qualche parte della Conteadi Derby non fosse già dovuto a un’eruzione – ché nonve n’erano state – ma bensì al solidificarsi di sventurativiandanti, i quali erano stati tramutati né più né menoche in pietra e al luogo stesso dove si trovavano. Benpoco sollievo poté recare la Chiesa in quell’occasione; ese è vero che qualche proprietario fece benedire queimiseri resti umani, la maggior parte preferì servirsenecome pietre limitari, o raschiatoio per le pecore scabbio-se o, quando la forma della roccia lo permetteva, comeabbeveratoio per il bestiame; e a tali scopi, in gran parte,servono eccellentemente ai nostri giorni ancora.

Ma, mentre la più gran parte delle campagne languivain un’indigenza estrema, e ogni commercio era sospesonel paese, Londra festeggiava un Carnevale di uno

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splendore mai visto. La Corte era a Greenwich, e il nuo-vo Re colse l’occasione che offrivano le feste per l’inco-ronazione onde cattivarsi il favore dei suoi sudditi. Die-de dunque ordine che il fiume, gelato a una profonditàdi venti piedi e più per un tratto di sei o sette miglianell’uno e nell’altro senso, venisse spazzato e ornato, sìda assumere l’aspetto di un parco o di un soggiorno dipiacere, con pergole, labirinti, viali, padiglioni di risto-ro, ecc.; e il tutto a sue spese. Per se stesso e i suoi corti-giani, riservò un certo spazio, il quale fronteggiava icancelli del Palazzo Reale; e questo spazio, separatodalla folla da un cordone di seta soltanto, non tardò a di-ventare il raduno della più brillante società d’Inghilterra.Là, i grandi dignitari barbuti e impellicciati sbrigavanogli affari di Stato sotto i tendaggi scarlatti della PagodaReale. Capitani vi preparavano la sconfitta dei mori, e lacaduta del Gran Turco, sotto pergole imbandierate e im-pennacchiate di piume di struzzo. Ammiragli misurava-no a larghi passi i sentieri, il cannocchiale alla mano,spazzando di gran gesti l’orizzonte e narrando storie delpassaggio di Nord-Ovest e dell’Armata di Spagna.Amanti folleggiavano sui divani ricoperti di zibellino.Una pioggia di rose gelate inondava la Regina e le suedame al loro passare. Palloni variopinti erano sospesiimmobili nell’aria: Qua e là ardevano grandi falò di ce-dro e di quercia, sui quali si gettava sale a profusione,cosicché le fiamme si tingevano di verde, di arancione edi porporino. Ma per quanto viva fosse la fiamma, il ca-lore non bastava a fondere il ghiaccio, il quale, benché

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splendore mai visto. La Corte era a Greenwich, e il nuo-vo Re colse l’occasione che offrivano le feste per l’inco-ronazione onde cattivarsi il favore dei suoi sudditi. Die-de dunque ordine che il fiume, gelato a una profonditàdi venti piedi e più per un tratto di sei o sette miglianell’uno e nell’altro senso, venisse spazzato e ornato, sìda assumere l’aspetto di un parco o di un soggiorno dipiacere, con pergole, labirinti, viali, padiglioni di risto-ro, ecc.; e il tutto a sue spese. Per se stesso e i suoi corti-giani, riservò un certo spazio, il quale fronteggiava icancelli del Palazzo Reale; e questo spazio, separatodalla folla da un cordone di seta soltanto, non tardò a di-ventare il raduno della più brillante società d’Inghilterra.Là, i grandi dignitari barbuti e impellicciati sbrigavanogli affari di Stato sotto i tendaggi scarlatti della PagodaReale. Capitani vi preparavano la sconfitta dei mori, e lacaduta del Gran Turco, sotto pergole imbandierate e im-pennacchiate di piume di struzzo. Ammiragli misurava-no a larghi passi i sentieri, il cannocchiale alla mano,spazzando di gran gesti l’orizzonte e narrando storie delpassaggio di Nord-Ovest e dell’Armata di Spagna.Amanti folleggiavano sui divani ricoperti di zibellino.Una pioggia di rose gelate inondava la Regina e le suedame al loro passare. Palloni variopinti erano sospesiimmobili nell’aria: Qua e là ardevano grandi falò di ce-dro e di quercia, sui quali si gettava sale a profusione,cosicché le fiamme si tingevano di verde, di arancione edi porporino. Ma per quanto viva fosse la fiamma, il ca-lore non bastava a fondere il ghiaccio, il quale, benché

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singolarmente trasparente, aveva la durezza dell’acciaio.Era così limpido che attraverso di esso si poteva scorge-re, congelato a parecchi piedi di profondità, qua una fo-cena, là una passera di mare. Frotte di anguille giaceva-no immobili in letargo; ma se fosse il loro uno stato dimorte o unicamente di vita sospesa, che il calore riani-merebbe, ecco un problema che dava da fare ai filosofi.Nei pressi del Ponte di Londra, dove le acque erano ge-late sino a venti e più tese, si vedeva distintamente, sulletto del fiume, un battello, al punto stesso dove l’autun-no avanti, sovraccarico di mele, era calato a fondo. Lavecchia fruttivendola, che se ne andava a vendere le suefrutta al mercato sulla riva del Surrey, sedeva ancora là,con le mele in grembo, infagottata tra scialli e guardin-fanti, e si sarebbe giurato che stesse mercanteggiandocon un compratore, se le labbra livide non avessero tra-dito la verità. Re Giacomo andava matto per quello spet-tacolo, e soleva condur seco, a deliziarsene, lo stuolo deicortigiani. Insomma, di giorno regnava uno splendore,un tripudio non mai visti. Ma di notte, il Carnevale rag-giungeva il culmine. Poiché il gelo non cessava punto; ementre nella quiete perfetta della notte la luna e le stellebrillavano in una dura fissità adamantina, i cortigianidanzavano ai gai concenti di flauti e clarini.

Orlando, è vero, non era tra i più bravi nell’accennarepassi di corrente e di volta; era sbadato e un poco di-stratto. A quelle astruse cadenze straniere preferiva assaile semplici danze del suo paese, che gli eran note sindall’infanzia. Appunto, in sul finir d’una di quelle qua-

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singolarmente trasparente, aveva la durezza dell’acciaio.Era così limpido che attraverso di esso si poteva scorge-re, congelato a parecchi piedi di profondità, qua una fo-cena, là una passera di mare. Frotte di anguille giaceva-no immobili in letargo; ma se fosse il loro uno stato dimorte o unicamente di vita sospesa, che il calore riani-merebbe, ecco un problema che dava da fare ai filosofi.Nei pressi del Ponte di Londra, dove le acque erano ge-late sino a venti e più tese, si vedeva distintamente, sulletto del fiume, un battello, al punto stesso dove l’autun-no avanti, sovraccarico di mele, era calato a fondo. Lavecchia fruttivendola, che se ne andava a vendere le suefrutta al mercato sulla riva del Surrey, sedeva ancora là,con le mele in grembo, infagottata tra scialli e guardin-fanti, e si sarebbe giurato che stesse mercanteggiandocon un compratore, se le labbra livide non avessero tra-dito la verità. Re Giacomo andava matto per quello spet-tacolo, e soleva condur seco, a deliziarsene, lo stuolo deicortigiani. Insomma, di giorno regnava uno splendore,un tripudio non mai visti. Ma di notte, il Carnevale rag-giungeva il culmine. Poiché il gelo non cessava punto; ementre nella quiete perfetta della notte la luna e le stellebrillavano in una dura fissità adamantina, i cortigianidanzavano ai gai concenti di flauti e clarini.

Orlando, è vero, non era tra i più bravi nell’accennarepassi di corrente e di volta; era sbadato e un poco di-stratto. A quelle astruse cadenze straniere preferiva assaile semplici danze del suo paese, che gli eran note sindall’infanzia. Appunto, in sul finir d’una di quelle qua-

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driglie, o minuetto che fosse, verso le sei di sera – era ilsette di gennaio – Orlando stava giungendo i tacchi, al-lorché vide uscire dal padiglione dell’Ambasciata mo-scovita una figura, la quale, garzone o donzella che fos-se – poiché la tunica lenta e i pantaloni di foggia russane dissimulavano il sesso – lo riempì della più viva cu-riosità. La persona, quale ne fosse il nome o il sesso, eradi media statura, di forme assai svelte e vestita di vellu-to color dell’ostrica, guarnito di un pelo esotico a riflessiverdastri. Ma quei particolari scomparivano di frontealla straordinaria seduzione che l’intera persona irradia-va. Le immagini, le metafore più ardite e stravagantis’intrecciarono, si tessero nella mente di Orlando. Inmen di tre secondi, l’ebbe battezzata di melone, pigna,ulivo, smeraldo e volpe tra la neve; e non sapeva sel’avesse udita, gustata, veduta, o tutte e tre le cose allavolta. (Poiché, per quanto sia nostra cura di non inter-rompere il nostro racconto, ci sia concesso notare a que-sto punto, in tutta fretta, come a quell’epoca le metaforedi Orlando rispondessero a un’estrema semplicità, ac-cordandosi esse ai suoi sensi, e riferendosi ai gusti piùgrati al suo palato sin da fanciullo. Inutile sarebbe tutta-via arrestarci qui a indagar le ragioni.) ... Un melone,uno smeraldo, una volpe tra la neve: così delirava, cosìsognava Orlando estasiato. Allorché il garzone, poiché,ahimè, era certo un garzone – qual donna avrebbe patti-nato con tanta velocità, con tanto vigore? – lo sfiorò inuna piroetta sulla punta del piede, Orlando stava perstrapparsi i capelli dalla disperazione che si trattasse di

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driglie, o minuetto che fosse, verso le sei di sera – era ilsette di gennaio – Orlando stava giungendo i tacchi, al-lorché vide uscire dal padiglione dell’Ambasciata mo-scovita una figura, la quale, garzone o donzella che fos-se – poiché la tunica lenta e i pantaloni di foggia russane dissimulavano il sesso – lo riempì della più viva cu-riosità. La persona, quale ne fosse il nome o il sesso, eradi media statura, di forme assai svelte e vestita di vellu-to color dell’ostrica, guarnito di un pelo esotico a riflessiverdastri. Ma quei particolari scomparivano di frontealla straordinaria seduzione che l’intera persona irradia-va. Le immagini, le metafore più ardite e stravagantis’intrecciarono, si tessero nella mente di Orlando. Inmen di tre secondi, l’ebbe battezzata di melone, pigna,ulivo, smeraldo e volpe tra la neve; e non sapeva sel’avesse udita, gustata, veduta, o tutte e tre le cose allavolta. (Poiché, per quanto sia nostra cura di non inter-rompere il nostro racconto, ci sia concesso notare a que-sto punto, in tutta fretta, come a quell’epoca le metaforedi Orlando rispondessero a un’estrema semplicità, ac-cordandosi esse ai suoi sensi, e riferendosi ai gusti piùgrati al suo palato sin da fanciullo. Inutile sarebbe tutta-via arrestarci qui a indagar le ragioni.) ... Un melone,uno smeraldo, una volpe tra la neve: così delirava, cosìsognava Orlando estasiato. Allorché il garzone, poiché,ahimè, era certo un garzone – qual donna avrebbe patti-nato con tanta velocità, con tanto vigore? – lo sfiorò inuna piroetta sulla punta del piede, Orlando stava perstrapparsi i capelli dalla disperazione che si trattasse di

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un essere del suo medesimo sesso, e non fosse quindi ilcaso di parlar di abbracci. Ma il pattinatore si avvicina-va. Gambe, mani, portamento erano di un giovinetto;ma qual giovinetto ebbe mai una bocca simile? e queiseni? qual giovinetto aveva occhi che parevano uscitidalle profondità del mare? In ultimo, rallentando, e dise-gnando con suprema grazia una riverenza dinanzi al Re,che se ne veniva a passi incerti, attaccato al braccio diun gentiluomo di Camera, lo sconosciuto pattinatore siarrestò. Orlando lo vedeva, l’aveva quasi a portata dimano: era una donna. Egli la contemplò; tremò; ebbecaldo; ebbe freddo; anelò di lanciarsi tra il soffio ardentedell’estate; di premere il piede su delle ghiande; di al-lacciar con le braccia tronchi di faggi e di querce. Intan-to rialzò lievemente il labbro sui minuti denti bianchi; lidischiuse di mezzo pollice appena come per mordere; lirichiuse come in un morso. Lady Eufrosina gli si era ap-pesa al braccio.

La straniera, egli apprese, era la principessa MarusjaStanilovska Dagmar Nataša Ileana Romanovič, ed eravenuta per assistere alle feste dell’incoronazione, col se-guito dell’Ambasciatore moscovita, il quale era suo zio,o forse suo padre. Ben poco si sapeva sui moscoviti.Con le loro grandi barbe e i cappelli di pelo, sedevanosenza quasi mai aprir bocca, a ingoiare certo loro beve-raggio nerastro che ogni tanto sputavano sul ghiaccio.Nessuno di loro parlava l’inglese, e il francese, che aqualcuno tra di essi pareva familiare, era allora assaipoco parlato alla Corte d’Inghilterra.

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un essere del suo medesimo sesso, e non fosse quindi ilcaso di parlar di abbracci. Ma il pattinatore si avvicina-va. Gambe, mani, portamento erano di un giovinetto;ma qual giovinetto ebbe mai una bocca simile? e queiseni? qual giovinetto aveva occhi che parevano uscitidalle profondità del mare? In ultimo, rallentando, e dise-gnando con suprema grazia una riverenza dinanzi al Re,che se ne veniva a passi incerti, attaccato al braccio diun gentiluomo di Camera, lo sconosciuto pattinatore siarrestò. Orlando lo vedeva, l’aveva quasi a portata dimano: era una donna. Egli la contemplò; tremò; ebbecaldo; ebbe freddo; anelò di lanciarsi tra il soffio ardentedell’estate; di premere il piede su delle ghiande; di al-lacciar con le braccia tronchi di faggi e di querce. Intan-to rialzò lievemente il labbro sui minuti denti bianchi; lidischiuse di mezzo pollice appena come per mordere; lirichiuse come in un morso. Lady Eufrosina gli si era ap-pesa al braccio.

La straniera, egli apprese, era la principessa MarusjaStanilovska Dagmar Nataša Ileana Romanovič, ed eravenuta per assistere alle feste dell’incoronazione, col se-guito dell’Ambasciatore moscovita, il quale era suo zio,o forse suo padre. Ben poco si sapeva sui moscoviti.Con le loro grandi barbe e i cappelli di pelo, sedevanosenza quasi mai aprir bocca, a ingoiare certo loro beve-raggio nerastro che ogni tanto sputavano sul ghiaccio.Nessuno di loro parlava l’inglese, e il francese, che aqualcuno tra di essi pareva familiare, era allora assaipoco parlato alla Corte d’Inghilterra.

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Fu questo appunto che diede agio a Orlando e allaPrincipessa di conoscersi. Si trovarono seduti l’uno difronte all’altra, alla gran mensa che sotto una vasta ten-da ospitava le persone di qualità. La Principessa stavatra due giovani gentiluomini: uno era Lord Francis Vere,l’altro il giovine conte di Moray. Era da ridere invero,l’imbarazzo in cui tosto essi si trovarono, poiché, perquanto bei giovani entrambi, ne sapevan di franceseall’incirca quanto un fantolino appena nato. Allorché,dopo una delle prime portate, la Principessa si volse alconte e, con una grazia che gli rapì il cuore, gli disse:«Je crois avoir fait la connaissance d’un gentilhommequi vous était apparenté, en Pologne l’été dernier», op-pure: «La beauté des dames de la Cour d’Angleterre memet dans le ravissement. On ne peut voir une dame plusgracieuse que votre Reine, ni une coiffure plus belle quela sienne», Lord Francis e il conte apparvero estrema-mente confusi. Il primo s’affrettò a servirle salsa al rafa-no in quantità; l’altro fischiò al suo cane e gli fece chie-dere un osso al midollo. Allora la Principessa non potéfrenare oltre il riso, e Orlando, cogliendone lo sguardotra le teste di cignale e i pavoni farciti, rise con lei. Rise,ma il riso gli si gelò in dubbio sulle labbra. Chi avevadunque amato, che cosa aveva amato finora? si andavadomandando in un tumulto di emozioni. Una vecchiatutta pelle e ossa, si rispose. Delle prostitute rubiconde,troppe per ricordarle tutte; una monaca piagnucolosa;un’avventuriera dalle lunghe zanne, rósa dai cani. Unammasso tentennante di merletti e salamelecchi. L’amo-

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Fu questo appunto che diede agio a Orlando e allaPrincipessa di conoscersi. Si trovarono seduti l’uno difronte all’altra, alla gran mensa che sotto una vasta ten-da ospitava le persone di qualità. La Principessa stavatra due giovani gentiluomini: uno era Lord Francis Vere,l’altro il giovine conte di Moray. Era da ridere invero,l’imbarazzo in cui tosto essi si trovarono, poiché, perquanto bei giovani entrambi, ne sapevan di franceseall’incirca quanto un fantolino appena nato. Allorché,dopo una delle prime portate, la Principessa si volse alconte e, con una grazia che gli rapì il cuore, gli disse:«Je crois avoir fait la connaissance d’un gentilhommequi vous était apparenté, en Pologne l’été dernier», op-pure: «La beauté des dames de la Cour d’Angleterre memet dans le ravissement. On ne peut voir une dame plusgracieuse que votre Reine, ni une coiffure plus belle quela sienne», Lord Francis e il conte apparvero estrema-mente confusi. Il primo s’affrettò a servirle salsa al rafa-no in quantità; l’altro fischiò al suo cane e gli fece chie-dere un osso al midollo. Allora la Principessa non potéfrenare oltre il riso, e Orlando, cogliendone lo sguardotra le teste di cignale e i pavoni farciti, rise con lei. Rise,ma il riso gli si gelò in dubbio sulle labbra. Chi avevadunque amato, che cosa aveva amato finora? si andavadomandando in un tumulto di emozioni. Una vecchiatutta pelle e ossa, si rispose. Delle prostitute rubiconde,troppe per ricordarle tutte; una monaca piagnucolosa;un’avventuriera dalle lunghe zanne, rósa dai cani. Unammasso tentennante di merletti e salamelecchi. L’amo-

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re non era stato per lui altro che polvere e cenere. Legioie che gli aveva procurato erano scipite sino allanoia; si meravigliò di averle sopportate senza sbadiglia-re. E mentre guardava la Principessa, lo spessor del san-gue gli si discioglieva; il ghiaccio si tramutava in vino,entro le sue vene; e udiva lo scrosciar delle acque, e ilcanto degli uccelli; la primavera invadeva il rigido pae-saggio invernale; e la sua virilità si ridestava; sì cheall’improvviso afferrò una spada, e caricò a fondo unnemico più degno che non il Polacco o il Moro; si tuffònelle acque profonde; vide il fiore del pericolo annidatoin un crepaccio; stese la mano a coglierlo... invero, stavasnocciolando uno dei suoi più appassionati sonetti, al-lorché la Principessa gli parlò: «Vorreste aver la cortesiadi porgermi il sale?».

Egli arrossì profondamente.«Col più gran piacere, Madama» rispose, in un fran-

cese dall’accento impeccabile. Dio sia lodato, egli parla-va tal lingua come la sua propria; l’aveva imparata daun camerista della madre. Eppure, chissà, meglio sareb-be stato per lui se non avesse mai imparato quella lin-gua; né mai risposto a quella voce; né mai seguito leluci di quello sguardo...

La Principessa continuava. Chi erano quegli zotici,domandava, che le sedevano accanto con dei modi dastalliere? Cos’era quell’intruglio nauseabondo che leavevan versato nel piatto? In Inghilterra, i cani mangia-vano alla medesima tavola degli uomini? E quella ma-schera da carnevale laggiù a capo della tavola, coi ca-

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re non era stato per lui altro che polvere e cenere. Legioie che gli aveva procurato erano scipite sino allanoia; si meravigliò di averle sopportate senza sbadiglia-re. E mentre guardava la Principessa, lo spessor del san-gue gli si discioglieva; il ghiaccio si tramutava in vino,entro le sue vene; e udiva lo scrosciar delle acque, e ilcanto degli uccelli; la primavera invadeva il rigido pae-saggio invernale; e la sua virilità si ridestava; sì cheall’improvviso afferrò una spada, e caricò a fondo unnemico più degno che non il Polacco o il Moro; si tuffònelle acque profonde; vide il fiore del pericolo annidatoin un crepaccio; stese la mano a coglierlo... invero, stavasnocciolando uno dei suoi più appassionati sonetti, al-lorché la Principessa gli parlò: «Vorreste aver la cortesiadi porgermi il sale?».

Egli arrossì profondamente.«Col più gran piacere, Madama» rispose, in un fran-

cese dall’accento impeccabile. Dio sia lodato, egli parla-va tal lingua come la sua propria; l’aveva imparata daun camerista della madre. Eppure, chissà, meglio sareb-be stato per lui se non avesse mai imparato quella lin-gua; né mai risposto a quella voce; né mai seguito leluci di quello sguardo...

La Principessa continuava. Chi erano quegli zotici,domandava, che le sedevano accanto con dei modi dastalliere? Cos’era quell’intruglio nauseabondo che leavevan versato nel piatto? In Inghilterra, i cani mangia-vano alla medesima tavola degli uomini? E quella ma-schera da carnevale laggiù a capo della tavola, coi ca-

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pelli acconciati alla diavola come un albero di maggio(«comme une grande perche mal fagotée» disse ella),era proprio la Regina? E il Re faceva sempre le bave aquel modo? E chi di quei bellimbusti era George Vil-liers?2 Per quanto queste domande sulle prime sconcer-tassero alquanto Orlando, erano con tanta audacia e sìpiacevolmente poste, che non seppe fare a meno di ride-re; e allorché dalle facce assenti della compagnia videche nessuno capiva una parola, rispose con la stessa li-bertà, servendosi, al pari della Principessa, del francesepiù puro.

Così sorse tra i due un’intimità che non tardò a diven-tar lo scandalo della Corte.

Tosto si osservò che Orlando prestava alla Moscovitaassai più attenzione di quanto non esigesse una meracortesia. Egli non si scostava più dal suo fianco, e laloro conversazione, benché gli altri non ne capisseroverbo, procedeva con tanta animazione, e provocava talirossori e scoppi di risa, che il più ottuso avrebbe potutoindovinarne il tema. Ma più meravigliosa era la meta-morfosi che avveniva nella persona di Orlando. Nessunol’aveva mai visto tanto animato. In una sola notte, s’eraspogliato della sua fanciullesca goffaggine; e il ritrosoadolescente che non sapeva entrare nelle stanze d’unadama senza spazzare a terra le cianciafruscole che orna-vano i tavolini, s’era mutato in un gentiluomo pieno digrazia e di virile cortesia. Vederlo ricondurre la Mosco-2 George Villiers, secondo duca di Buckingham (1628-87), autore del drammaburlesco The Rehearsal (1671): figura eminente alla corte di Carlo II. (N.d.T.)

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pelli acconciati alla diavola come un albero di maggio(«comme une grande perche mal fagotée» disse ella),era proprio la Regina? E il Re faceva sempre le bave aquel modo? E chi di quei bellimbusti era George Vil-liers?2 Per quanto queste domande sulle prime sconcer-tassero alquanto Orlando, erano con tanta audacia e sìpiacevolmente poste, che non seppe fare a meno di ride-re; e allorché dalle facce assenti della compagnia videche nessuno capiva una parola, rispose con la stessa li-bertà, servendosi, al pari della Principessa, del francesepiù puro.

Così sorse tra i due un’intimità che non tardò a diven-tar lo scandalo della Corte.

Tosto si osservò che Orlando prestava alla Moscovitaassai più attenzione di quanto non esigesse una meracortesia. Egli non si scostava più dal suo fianco, e laloro conversazione, benché gli altri non ne capisseroverbo, procedeva con tanta animazione, e provocava talirossori e scoppi di risa, che il più ottuso avrebbe potutoindovinarne il tema. Ma più meravigliosa era la meta-morfosi che avveniva nella persona di Orlando. Nessunol’aveva mai visto tanto animato. In una sola notte, s’eraspogliato della sua fanciullesca goffaggine; e il ritrosoadolescente che non sapeva entrare nelle stanze d’unadama senza spazzare a terra le cianciafruscole che orna-vano i tavolini, s’era mutato in un gentiluomo pieno digrazia e di virile cortesia. Vederlo ricondurre la Mosco-2 George Villiers, secondo duca di Buckingham (1628-87), autore del drammaburlesco The Rehearsal (1671): figura eminente alla corte di Carlo II. (N.d.T.)

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vita (così la si chiamava) alla sua slitta; oppure offrirlela mano per la danza; o raccogliere il fazzoletto ricama-to che le era caduto di mano; prodigarle, infine, tuttequelle svariate e minute attenzioni che la dama del no-stro cuore esige, a cui l’amante si fa un dovere di adem-piere; era, quello, spettacolo tale da riaccendere la fiam-ma nell’occhio spento della vecchiaia, e da accelerarevieppiù il polso rapido della giovinezza.

Eppure una nube offuscava quella vista. I vecchiscrollavano le spalle e i giovani ridevano sotto i baffi.Nessuno ignorava che Orlando era promesso sposo aun’altra. Lady Margaret O’ Brien O’ Dare O’ Reilly Tyr-connel (poiché era questo il vero nome dell’Eufrosinadei sonetti) portava, al secondo dito della sua mano sini-stra, lo splendido zaffiro di Orlando. A lei sola spettavail supremo diritto a ogni attenzione. Ma ella poteva benlasciarsi sfuggire di mano tutti i fazzoletti del suo guar-daroba (che ne conteneva varie dozzine): Orlando non sifermava certo a raccoglierli. Ella poteva ben aspettare iventi minuti, affinché egli la riconducesse alla sua slitta:alla fine, doveva contentarsi dei servizi del suo moretto.Quando pattinava, e lo faceva con alquanta pesantezza,nessuno le sorreggeva il braccio onde incoraggiarla, e secadeva, cosa che faceva con alquanta goffaggine, nessu-no la rialzava, nessuno scuoteva la neve dalle sue gon-ne. Per quanto di natura piuttosto flemmatica, lenta adadombrarsi, e più riluttante degli altri a credere che unaqualsiasi straniera potesse involarle il cuore di Orlando,alla fine, tuttavia, Lady Margaret non poté fare a meno

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vita (così la si chiamava) alla sua slitta; oppure offrirlela mano per la danza; o raccogliere il fazzoletto ricama-to che le era caduto di mano; prodigarle, infine, tuttequelle svariate e minute attenzioni che la dama del no-stro cuore esige, a cui l’amante si fa un dovere di adem-piere; era, quello, spettacolo tale da riaccendere la fiam-ma nell’occhio spento della vecchiaia, e da accelerarevieppiù il polso rapido della giovinezza.

Eppure una nube offuscava quella vista. I vecchiscrollavano le spalle e i giovani ridevano sotto i baffi.Nessuno ignorava che Orlando era promesso sposo aun’altra. Lady Margaret O’ Brien O’ Dare O’ Reilly Tyr-connel (poiché era questo il vero nome dell’Eufrosinadei sonetti) portava, al secondo dito della sua mano sini-stra, lo splendido zaffiro di Orlando. A lei sola spettavail supremo diritto a ogni attenzione. Ma ella poteva benlasciarsi sfuggire di mano tutti i fazzoletti del suo guar-daroba (che ne conteneva varie dozzine): Orlando non sifermava certo a raccoglierli. Ella poteva ben aspettare iventi minuti, affinché egli la riconducesse alla sua slitta:alla fine, doveva contentarsi dei servizi del suo moretto.Quando pattinava, e lo faceva con alquanta pesantezza,nessuno le sorreggeva il braccio onde incoraggiarla, e secadeva, cosa che faceva con alquanta goffaggine, nessu-no la rialzava, nessuno scuoteva la neve dalle sue gon-ne. Per quanto di natura piuttosto flemmatica, lenta adadombrarsi, e più riluttante degli altri a credere che unaqualsiasi straniera potesse involarle il cuore di Orlando,alla fine, tuttavia, Lady Margaret non poté fare a meno

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di sospettare che qualcosa bolliva in pentola, che avreb-be minacciato la pace del suo spirito.

Intanto i giorni passavano, e sempre meno Orlandoprendeva cura di nascondere i suoi sentimenti. Con unascusa qualsiasi, non appena finito il pranzo abbandona-va la compagnia, o si eclissava quando i pattinatori siappaiavano per una quadriglia. Un istante dopo, eccoche si notava come la Moscovita fosse ugualmentescomparsa. Ma ciò che più oltraggiava la Corte, e pun-geva tutti nella parte più viva, che sarebbe poi la vanità,era l’aver visto più volte la coppia sgusciar via di sottoil cordone di seta che sul fiume gelato separava il recin-to reale dalla parte destinata al popolo, e sparir tra la fol-la volgare. Poiché all’improvviso la Principessa battevail piede e gridava: «Conducetemi via. Odio la vostragentaglia inglese». E naturalmente, con queste paroleintendeva la Corte d’Inghilterra, la quale le diventavasempre più insopportabile. Era, diceva essa, un brancodi vecchie ficcanaso, che non vi toglievano gli occhi didosso, e di giovani presuntuosi che vi pestavano i piedi.Puzzavano tutti quanti. I loro cani vi correvano tra legambe. Pareva d’essere in una gabbia. In Russia v’eranodei fiumi larghi dieci miglia, sui quali si poteva galop-pare tutto il giorno a briglia sciolta con un tiro a sei,senza incontrare anima viva. Ma inoltre, ella voleva ve-dere la Torre di Londra, i “mangiatori di bistecche”,3 leteste mozze di Temple Bar e le botteghe dei gioiellieri

3 Soprannome del corpo di guardia della Torre di Londra. (N.d.T.)

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di sospettare che qualcosa bolliva in pentola, che avreb-be minacciato la pace del suo spirito.

Intanto i giorni passavano, e sempre meno Orlandoprendeva cura di nascondere i suoi sentimenti. Con unascusa qualsiasi, non appena finito il pranzo abbandona-va la compagnia, o si eclissava quando i pattinatori siappaiavano per una quadriglia. Un istante dopo, eccoche si notava come la Moscovita fosse ugualmentescomparsa. Ma ciò che più oltraggiava la Corte, e pun-geva tutti nella parte più viva, che sarebbe poi la vanità,era l’aver visto più volte la coppia sgusciar via di sottoil cordone di seta che sul fiume gelato separava il recin-to reale dalla parte destinata al popolo, e sparir tra la fol-la volgare. Poiché all’improvviso la Principessa battevail piede e gridava: «Conducetemi via. Odio la vostragentaglia inglese». E naturalmente, con queste paroleintendeva la Corte d’Inghilterra, la quale le diventavasempre più insopportabile. Era, diceva essa, un brancodi vecchie ficcanaso, che non vi toglievano gli occhi didosso, e di giovani presuntuosi che vi pestavano i piedi.Puzzavano tutti quanti. I loro cani vi correvano tra legambe. Pareva d’essere in una gabbia. In Russia v’eranodei fiumi larghi dieci miglia, sui quali si poteva galop-pare tutto il giorno a briglia sciolta con un tiro a sei,senza incontrare anima viva. Ma inoltre, ella voleva ve-dere la Torre di Londra, i “mangiatori di bistecche”,3 leteste mozze di Temple Bar e le botteghe dei gioiellieri

3 Soprannome del corpo di guardia della Torre di Londra. (N.d.T.)

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nella City. Orlando la condusse di buon grado nella City,le mostrò i mangiatori di bistecche e le teste mozze deiribelli, e nelle botteghe del Royal Exchange soddisfeceogni capriccio della bella. Ma non bastava ancora.Ognuno anelava sempre più alla compagnia dell’altro dasolo a solo, per tutta la giornata intera, e lontano da oc-chi curiosi e indiscreti. Accadde dunque che, invece diprender la via di Londra, girassero da tutt’altra parte, esi trovassero tosto lontani dalla folla, sulle distese gelatedel Tamigi, ove non trovavano davvero anima viva,fuorché qualche uccello marino, e qualche vecchiettache invano rompeva il ghiaccio per attingervi un secchiod’acqua, oppure raccoglieva per il focolare i pochi ramie le foglie secche che trovava. Il povero si teneva bentappato nella sua capanna, e il ricco, o chi appena potes-se, correva a cercar calore e allegria tra il brulichio dellafolla cittadina.

Dunque Orlando e Saša, come egli la chiamava piùbrevemente e anche perché era il nome di una biancavolpe di Russia che egli aveva avuto da fanciullo – unabestiola morbida come la neve, ma dai denti d’acciaio,la quale lo aveva morsicato sì crudelmente che suo pa-dre l’aveva fatta uccidere – Orlando e Saša, dicevamo,avevano tutto il fiume per sé. Accaldati dal pattinare edall’amore, si gettavano sullo specchio gelato di qualchesolitario canale dalle sponde frangiate di gialli vincheti,avvolti entrambi in un ampio mantello di pelliccia; Or-lando serrava tra le braccia la Principessa, e sussurrandoaffermava di conoscer per la prima volta le delizie

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nella City. Orlando la condusse di buon grado nella City,le mostrò i mangiatori di bistecche e le teste mozze deiribelli, e nelle botteghe del Royal Exchange soddisfeceogni capriccio della bella. Ma non bastava ancora.Ognuno anelava sempre più alla compagnia dell’altro dasolo a solo, per tutta la giornata intera, e lontano da oc-chi curiosi e indiscreti. Accadde dunque che, invece diprender la via di Londra, girassero da tutt’altra parte, esi trovassero tosto lontani dalla folla, sulle distese gelatedel Tamigi, ove non trovavano davvero anima viva,fuorché qualche uccello marino, e qualche vecchiettache invano rompeva il ghiaccio per attingervi un secchiod’acqua, oppure raccoglieva per il focolare i pochi ramie le foglie secche che trovava. Il povero si teneva bentappato nella sua capanna, e il ricco, o chi appena potes-se, correva a cercar calore e allegria tra il brulichio dellafolla cittadina.

Dunque Orlando e Saša, come egli la chiamava piùbrevemente e anche perché era il nome di una biancavolpe di Russia che egli aveva avuto da fanciullo – unabestiola morbida come la neve, ma dai denti d’acciaio,la quale lo aveva morsicato sì crudelmente che suo pa-dre l’aveva fatta uccidere – Orlando e Saša, dicevamo,avevano tutto il fiume per sé. Accaldati dal pattinare edall’amore, si gettavano sullo specchio gelato di qualchesolitario canale dalle sponde frangiate di gialli vincheti,avvolti entrambi in un ampio mantello di pelliccia; Or-lando serrava tra le braccia la Principessa, e sussurrandoaffermava di conoscer per la prima volta le delizie

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dell’amore. Poi, trascorsa l’estasi, mentre coricati sulghiaccio si cullavano in dolce smarrimento, egli le nar-rava dei suoi amori precedenti, i quali paragonati a que-sto erano legno, tela di sacco e cenere. Ed ella, ridendodi tanta veemenza, gli si gettava una volta ancora tra lebraccia, e per amor dell’amore gli concedeva un novelloabbraccio. Allora si meravigliavano che il ghiaccio nonfondesse al loro ardore, e compiangevano la povera vec-chietta, la quale, priva ormai di simili arti naturali perfarlo fondere, si trovava ridotta a spezzarlo con un’asciadi freddo acciaio. E poi, avvolti nello zibellino, parlava-no di tutto ciò che si vede alla luce del sole; di viaggi;della barba del tale, e della carnagione della tale; d’unsorcio cui Saša dava da mangiare nella propria mano, atavola; di mori e di pagani; di quell’arazzo che in casad’Orlando era sempre mosso dal vento; di una faccia, diuna piuma. Nulla appariva troppo piccolo per i loro di-scorsi, nulla troppo grande.

Poi, improvvisamente Orlando ricadeva in uno deisuoi accessi di malinconia; forse causa la vista dellavecchietta che zoppicava sul ghiaccio, fors’anche senzaragione alcuna. Allora si gettava bocconi sul ghiaccio,scrutava l’acqua gelata, e pensava alla morte. E ha benragione il filosofo, il quale dice che lo spessor d’unalama basta a separare la malinconia dalla gioia; e giungeal punto da opinare, del resto, che l’una sia gemelladell’altra; e ne trae la conclusione che tutti i sentimentiestremi si apparentano alla follia, e ci esorta, di conse-guenza, a cercar rifugio nella vera Chiesa (a suo parere

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dell’amore. Poi, trascorsa l’estasi, mentre coricati sulghiaccio si cullavano in dolce smarrimento, egli le nar-rava dei suoi amori precedenti, i quali paragonati a que-sto erano legno, tela di sacco e cenere. Ed ella, ridendodi tanta veemenza, gli si gettava una volta ancora tra lebraccia, e per amor dell’amore gli concedeva un novelloabbraccio. Allora si meravigliavano che il ghiaccio nonfondesse al loro ardore, e compiangevano la povera vec-chietta, la quale, priva ormai di simili arti naturali perfarlo fondere, si trovava ridotta a spezzarlo con un’asciadi freddo acciaio. E poi, avvolti nello zibellino, parlava-no di tutto ciò che si vede alla luce del sole; di viaggi;della barba del tale, e della carnagione della tale; d’unsorcio cui Saša dava da mangiare nella propria mano, atavola; di mori e di pagani; di quell’arazzo che in casad’Orlando era sempre mosso dal vento; di una faccia, diuna piuma. Nulla appariva troppo piccolo per i loro di-scorsi, nulla troppo grande.

Poi, improvvisamente Orlando ricadeva in uno deisuoi accessi di malinconia; forse causa la vista dellavecchietta che zoppicava sul ghiaccio, fors’anche senzaragione alcuna. Allora si gettava bocconi sul ghiaccio,scrutava l’acqua gelata, e pensava alla morte. E ha benragione il filosofo, il quale dice che lo spessor d’unalama basta a separare la malinconia dalla gioia; e giungeal punto da opinare, del resto, che l’una sia gemelladell’altra; e ne trae la conclusione che tutti i sentimentiestremi si apparentano alla follia, e ci esorta, di conse-guenza, a cercar rifugio nella vera Chiesa (a suo parere

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la Chiesa anabattista), solo rifugio, solo porto, solo an-coraggio ecc. ecc. a chi è sbattuto dalle onde di tantomare. «Tutto finisce nella morte» sentenziava Orlando,drizzandosi a sedere sul ghiaccio, mesto in viso. (Poichéin tal senso lavorava ora il suo spirito, in violente alter-native tra la vita e la morte, senza sostare in alcun pun-to, sicché anche al biografo non è concesso alcun ripo-so; egli è costretto invece a volare dietro al suo eroe contutta la velocità di cui dispone, onde tenere il passo conle più impensate azioni di appassionata follia e i subita-nei stravaganti discorsi in cui – vano sarebbe negarlo – aquell’epoca Orlando indulgeva a se stesso.)

«Tutto finisce nella morte» diceva Orlando, drizzan-dosi a sedere sul ghiaccio. Ma Saša – la quale dopo tuttonon aveva sangue inglese nelle vene, ma era nata inRussia, dove il tramonto è più lungo, l’alba meno subi-tanea, e dove le frasi rimangono spesso a metà, nel dub-bio di ben finirle – Saša lo fissava, rideva forse sprez-zante, poich’egli doveva certo sembrarle un fanciullo, enon diceva nulla. Ma alla lunga il ghiaccio finiva perraffreddarsi sotto di loro, onde Saša, cui ciò piacevapoco, lo costringeva a rialzarsi, e faceva discorsi sì pienidi fascino, di spirito, di buon senso (purtroppo, ahimè,sempre in francese, lingua che notoriamente perde al-quanto del suo profumo alla traduzione), finché Orlandoscordava le acque gelate e la notte imminente e la vec-chietta o quello che fosse, e si sforzava – diguazzando eannaspando fra mille immagini ormai stantie come ledonne che le ispirano – di dirle a che cosa essa rassomi-

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la Chiesa anabattista), solo rifugio, solo porto, solo an-coraggio ecc. ecc. a chi è sbattuto dalle onde di tantomare. «Tutto finisce nella morte» sentenziava Orlando,drizzandosi a sedere sul ghiaccio, mesto in viso. (Poichéin tal senso lavorava ora il suo spirito, in violente alter-native tra la vita e la morte, senza sostare in alcun pun-to, sicché anche al biografo non è concesso alcun ripo-so; egli è costretto invece a volare dietro al suo eroe contutta la velocità di cui dispone, onde tenere il passo conle più impensate azioni di appassionata follia e i subita-nei stravaganti discorsi in cui – vano sarebbe negarlo – aquell’epoca Orlando indulgeva a se stesso.)

«Tutto finisce nella morte» diceva Orlando, drizzan-dosi a sedere sul ghiaccio. Ma Saša – la quale dopo tuttonon aveva sangue inglese nelle vene, ma era nata inRussia, dove il tramonto è più lungo, l’alba meno subi-tanea, e dove le frasi rimangono spesso a metà, nel dub-bio di ben finirle – Saša lo fissava, rideva forse sprez-zante, poich’egli doveva certo sembrarle un fanciullo, enon diceva nulla. Ma alla lunga il ghiaccio finiva perraffreddarsi sotto di loro, onde Saša, cui ciò piacevapoco, lo costringeva a rialzarsi, e faceva discorsi sì pienidi fascino, di spirito, di buon senso (purtroppo, ahimè,sempre in francese, lingua che notoriamente perde al-quanto del suo profumo alla traduzione), finché Orlandoscordava le acque gelate e la notte imminente e la vec-chietta o quello che fosse, e si sforzava – diguazzando eannaspando fra mille immagini ormai stantie come ledonne che le ispirano – di dirle a che cosa essa rassomi-

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gliasse. Neve, crema, marmo, ciliegie, alabastro, filigra-na d’oro? Nulla di tutto ciò! Ella era pari alla volpe, oall’ulivo; alle onde del mare, quando si guardanodall’alto di una rupe; a uno smeraldo; al sole su di unacollina verdeggiante che le nubi cingono tuttora; a nulla,insomma, di tutto ciò ch’egli aveva veduto o conosciutoin Inghilterra. Aveva un bel saccheggiare il suo idioma,le parole gli venivan meno. Aveva bisogno di un altropaesaggio e di un’altra lingua. L’inglese era troppo inge-nuo, troppo candido, troppo sdolcinato per Saša. Poichéogni parola che diceva Saša, per quanto franca, perquanto voluttuosa sembrasse, celava qualcosa; e ognisuo atto, per quanto ardito fosse, mascherava qualcosa.Così la fiamma verde appare nascosta nel cuore dellosmeraldo, o il sole prigioniero entro la collina. La chia-rezza era tutta esteriore; ma l’interiore rinserrava unafiamma vagabonda. La quale divampava; si spegneva;non aveva mai il quieto perenne splendore d’una donnainglese; benché a questo punto, rammentando LadyMargaret e le sue gonne, selvaggio furore invadesse Or-lando, ed egli rapiva allora Sala sul ghiaccio, presto,sempre più presto, giurando che avrebbe dato la caccia aquella fiamma, si sarebbe tuffato per conquistare lagemma, e così via, e così via; e le parole gli uscivanodal petto con la passione del poeta che la morsa del do-lore costringe a esalare la sua poesia.

Ma Saša taceva. Quando Orlando aveva finito di dirleche ella era una volpe, un ulivo, o una collina verdeg-giante; quando le aveva raccontato per intero la storia

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gliasse. Neve, crema, marmo, ciliegie, alabastro, filigra-na d’oro? Nulla di tutto ciò! Ella era pari alla volpe, oall’ulivo; alle onde del mare, quando si guardanodall’alto di una rupe; a uno smeraldo; al sole su di unacollina verdeggiante che le nubi cingono tuttora; a nulla,insomma, di tutto ciò ch’egli aveva veduto o conosciutoin Inghilterra. Aveva un bel saccheggiare il suo idioma,le parole gli venivan meno. Aveva bisogno di un altropaesaggio e di un’altra lingua. L’inglese era troppo inge-nuo, troppo candido, troppo sdolcinato per Saša. Poichéogni parola che diceva Saša, per quanto franca, perquanto voluttuosa sembrasse, celava qualcosa; e ognisuo atto, per quanto ardito fosse, mascherava qualcosa.Così la fiamma verde appare nascosta nel cuore dellosmeraldo, o il sole prigioniero entro la collina. La chia-rezza era tutta esteriore; ma l’interiore rinserrava unafiamma vagabonda. La quale divampava; si spegneva;non aveva mai il quieto perenne splendore d’una donnainglese; benché a questo punto, rammentando LadyMargaret e le sue gonne, selvaggio furore invadesse Or-lando, ed egli rapiva allora Sala sul ghiaccio, presto,sempre più presto, giurando che avrebbe dato la caccia aquella fiamma, si sarebbe tuffato per conquistare lagemma, e così via, e così via; e le parole gli uscivanodal petto con la passione del poeta che la morsa del do-lore costringe a esalare la sua poesia.

Ma Saša taceva. Quando Orlando aveva finito di dirleche ella era una volpe, un ulivo, o una collina verdeg-giante; quando le aveva raccontato per intero la storia

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della propria famiglia, e come la loro dimora fosse tra lepiù antiche d’Inghilterra; e i suoi avi, venuti da Romacoi Cesari, avessero il diritto di fare il Corso (che sareb-be, a Roma, la via principale) sotto un baldacchino tuttonappe, privilegio riserbato alla gente di sangue imperia-le (c’era in lui una credulità piena di orgoglio davveroassai spassosa), allora egli sostava, e l’interrogava.Dov’era la sua casa? Chi era suo padre? Aveva dei fra-telli? Perché si trovava qui sola con lo zio? Poi, perquanto ella rispondesse con abbastanza prontezza, uncerto qual imbarazzo s’insinuava tra di loro. Sulle primeOrlando la sospettò di essere di rango meno alto diquanto avrebbe aspirato; o forse si vergognava dei sel-vaggi costumi del suo popolo; ben aveva egli sentitodire, infatti, come in Moscovia le donne portassero labarba, e gli uomini fossero ricoperti di peli dalla cintolain giù; e come maschi e femmine si ungessero di segoonde proteggersi dal freddo, e dilaniassero la carne conle dita e vivessero in tuguri in cui un gentiluomo inglesesi sarebbe fatto scrupolo di albergare il proprio bestia-me; sicché, si guardava bene dal far pressione su di lei.Ma alla riflessione, concluse che non potevano essere làle ragioni del silenzio di Saša; poiché, per quanto la ri-guardava, il suo mento non mostrava peli di sorta; porta-va velluto e perle, e le sue maniere non erano certo quel-le di una donna cresciuta in una stalla.

Che cosa gli nascondeva dunque? Il dubbio che mina-va l’intenso vigore della passione di Orlando era similea una sabbia mobile, la quale si trovi a essere alle fonda-

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della propria famiglia, e come la loro dimora fosse tra lepiù antiche d’Inghilterra; e i suoi avi, venuti da Romacoi Cesari, avessero il diritto di fare il Corso (che sareb-be, a Roma, la via principale) sotto un baldacchino tuttonappe, privilegio riserbato alla gente di sangue imperia-le (c’era in lui una credulità piena di orgoglio davveroassai spassosa), allora egli sostava, e l’interrogava.Dov’era la sua casa? Chi era suo padre? Aveva dei fra-telli? Perché si trovava qui sola con lo zio? Poi, perquanto ella rispondesse con abbastanza prontezza, uncerto qual imbarazzo s’insinuava tra di loro. Sulle primeOrlando la sospettò di essere di rango meno alto diquanto avrebbe aspirato; o forse si vergognava dei sel-vaggi costumi del suo popolo; ben aveva egli sentitodire, infatti, come in Moscovia le donne portassero labarba, e gli uomini fossero ricoperti di peli dalla cintolain giù; e come maschi e femmine si ungessero di segoonde proteggersi dal freddo, e dilaniassero la carne conle dita e vivessero in tuguri in cui un gentiluomo inglesesi sarebbe fatto scrupolo di albergare il proprio bestia-me; sicché, si guardava bene dal far pressione su di lei.Ma alla riflessione, concluse che non potevano essere làle ragioni del silenzio di Saša; poiché, per quanto la ri-guardava, il suo mento non mostrava peli di sorta; porta-va velluto e perle, e le sue maniere non erano certo quel-le di una donna cresciuta in una stalla.

Che cosa gli nascondeva dunque? Il dubbio che mina-va l’intenso vigore della passione di Orlando era similea una sabbia mobile, la quale si trovi a essere alle fonda-

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menta di un edificio, e improvvisamente, entrando inmovimento, faccia tremar l’intera costruzione. L’ango-scia lo afferrava ad un tratto, e allora egli prorompeva intali furori, che Saša non sapeva più come calmarlo; for-se quelle furie le piacevano, ed ella le provocava adarte: tale è la singolare obliquità del temperamento mo-scovita.

Ma riprendiamo il nostro racconto. Indotti a pattinarepiù lontano di quanto non ne avessero l’intenzione, unbel giorno i due raggiunsero quella parte del fiume dovei vascelli che là avevano gettato l’ancora erano rimastiimprigionati tra i ghiacci a mezzo della corrente. Era, tradi essi, la nave dell’Ambasciata moscovita, la qualespiegava l’aquila nera bicipite all’albero maestro, tuttofiorito di ghiaccioli multicolori lunghi parecchie tese.Saša aveva lasciato parte del suo corredo a bordo; e sup-ponendo la nave vuota, essi salirono sul ponte per an-darlo a cercare. Rammentando le esperienze di passativiaggi per mare, Orlando non si sarebbe davvero stupitose qualche buon cittadino avesse cercato là rifugio pri-ma di loro; così apparve, infatti. Non s’erano avventura-ti lontano, allorché un pezzo di giovanotto, intento aqualche occupazione sua, sorse di dietro un rotolo di go-mene, e spiegando, in apparenza almeno poiché parlavain russo, che apparteneva alla ciurma, e che avrebbe aiu-tato la Principessa a trovar quel che cercava, accese unmozzicone di candela e disparve con Saša entro i fianchidella nave.

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menta di un edificio, e improvvisamente, entrando inmovimento, faccia tremar l’intera costruzione. L’ango-scia lo afferrava ad un tratto, e allora egli prorompeva intali furori, che Saša non sapeva più come calmarlo; for-se quelle furie le piacevano, ed ella le provocava adarte: tale è la singolare obliquità del temperamento mo-scovita.

Ma riprendiamo il nostro racconto. Indotti a pattinarepiù lontano di quanto non ne avessero l’intenzione, unbel giorno i due raggiunsero quella parte del fiume dovei vascelli che là avevano gettato l’ancora erano rimastiimprigionati tra i ghiacci a mezzo della corrente. Era, tradi essi, la nave dell’Ambasciata moscovita, la qualespiegava l’aquila nera bicipite all’albero maestro, tuttofiorito di ghiaccioli multicolori lunghi parecchie tese.Saša aveva lasciato parte del suo corredo a bordo; e sup-ponendo la nave vuota, essi salirono sul ponte per an-darlo a cercare. Rammentando le esperienze di passativiaggi per mare, Orlando non si sarebbe davvero stupitose qualche buon cittadino avesse cercato là rifugio pri-ma di loro; così apparve, infatti. Non s’erano avventura-ti lontano, allorché un pezzo di giovanotto, intento aqualche occupazione sua, sorse di dietro un rotolo di go-mene, e spiegando, in apparenza almeno poiché parlavain russo, che apparteneva alla ciurma, e che avrebbe aiu-tato la Principessa a trovar quel che cercava, accese unmozzicone di candela e disparve con Saša entro i fianchidella nave.

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Il tempo passava, e Orlando, immerso nei suoi sogni,pensava unicamente ai piaceri della vita; alla rarità delgioiello scoperto; e al modo di farlo irrevocabilmente eindissolubilmente suo. V’erano sì ostacoli, fatiche dasormontare. Ella era ben decisa a vivere in Russia, dovei fiumi erano gelati, e i cavalli selvaggi; e c’erano uomi-ni, diceva ella, i quali sapevano squarciar la gola alprossimo. A dire il vero, un paesaggio di pini nevosi ecerte abitudini di bagordi e carneficine non seducevanoOrlando, il quale peraltro non era punto incline ad ab-bandonare le piacevoli consuetudini campagnuole, lacaccia, la cura delle sue foreste; a dare l’addio alla suacarica a Corte e rovinare la sua carriera; a cacciare larenna invece del coniglio; a bere vodka invece di vinodelle Canarie, e a portare un coltello infilato nella mani-ca, senza saper poi troppo a che servisse. Eppure, questoe altro avrebbe fatto, per amor della bella. Quanto al suomatrimonio con Lady Margaret, benché il giorno dellenozze fosse fissato entro una settimana, gli pareva unfatto così palesemente assurdo, che appena vi si soffer-mava col pensiero. Il parentado intero di lei l’avrebbecoperto d’improperi, per aver egli abbandonato una sìgran dama; e sarebbe stato lo zimbello dei suoi amici,per essersi rovinato il più bell’avvenire del mondo peruna femmina cosacca e un deserto di neve; ma tutto ciòpesava meno di una paglia sulla bilancia, paragonatoalla persona di Saša. La prima notte senza luna, avreb-bero preso il volo. Si sarebbero imbarcati per la Russia.

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Il tempo passava, e Orlando, immerso nei suoi sogni,pensava unicamente ai piaceri della vita; alla rarità delgioiello scoperto; e al modo di farlo irrevocabilmente eindissolubilmente suo. V’erano sì ostacoli, fatiche dasormontare. Ella era ben decisa a vivere in Russia, dovei fiumi erano gelati, e i cavalli selvaggi; e c’erano uomi-ni, diceva ella, i quali sapevano squarciar la gola alprossimo. A dire il vero, un paesaggio di pini nevosi ecerte abitudini di bagordi e carneficine non seducevanoOrlando, il quale peraltro non era punto incline ad ab-bandonare le piacevoli consuetudini campagnuole, lacaccia, la cura delle sue foreste; a dare l’addio alla suacarica a Corte e rovinare la sua carriera; a cacciare larenna invece del coniglio; a bere vodka invece di vinodelle Canarie, e a portare un coltello infilato nella mani-ca, senza saper poi troppo a che servisse. Eppure, questoe altro avrebbe fatto, per amor della bella. Quanto al suomatrimonio con Lady Margaret, benché il giorno dellenozze fosse fissato entro una settimana, gli pareva unfatto così palesemente assurdo, che appena vi si soffer-mava col pensiero. Il parentado intero di lei l’avrebbecoperto d’improperi, per aver egli abbandonato una sìgran dama; e sarebbe stato lo zimbello dei suoi amici,per essersi rovinato il più bell’avvenire del mondo peruna femmina cosacca e un deserto di neve; ma tutto ciòpesava meno di una paglia sulla bilancia, paragonatoalla persona di Saša. La prima notte senza luna, avreb-bero preso il volo. Si sarebbero imbarcati per la Russia.

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Tali erano i pensieri di Orlando; così egli complottava,mentre camminava su e giù per il ponte.

Si risvegliò allorché, volgendosi a occaso, vide il solesospeso come un’arancia sulla croce della Cattedrale diSan Paolo. Era color del sangue, e scendeva rapido. Do-veva essere vicino a sera. Saša era assente da più diun’ora. Colto istantaneamente da quegli oscuri presenti-menti che offuscavano anche i più fiduciosi pensieri sudi lei, Orlando si cacciò per quella stessa via che avevavisto seguire agli altri due, sotto coperta; e, dopo essereincespicato al buio tra casse e barili, a un debole raggiodi luce, li scorse alfine entrambi seduti, in un angolo.Per un secondo, ebbe chiara la visione: vide Saša sedutasulle ginocchia del marinaio; la vide curvarsi verso dilui; e vide la loro stretta, prima che la sua collera spe-gnesse la luce in una bruma rossastra. Cacciò un taleurlo d’angoscia, che l’intera nave echeggiò. Saša erastata pronta a gettarsi tra i due; senza di che, il marinaiosarebbe stato strangolato prima che avesse fatto in tem-po a estrarre il suo coltellaccio. Poi, un malore mortaleassalì Orlando, tanto che dovettero distenderlo sul suo-lo, e fargli bere dell’acquavite fino a che non rinvenisse.Quando ebbe ritrovati i sensi e si fu seduto sul ponte,appoggiato a un mucchio di sacchi sopra coperta, vide,curva su di lui, Saša, che dolcemente si cullava dinanziai suoi sguardi intontiti, insinuante, come la volpe che loaveva morsicato, ora carezzevole, ora corrucciata; tantoche venne a dubitare di quel che aveva visto. Forse lacandela gocciolava; forse le ombre vacillavano. Il cofa-

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Tali erano i pensieri di Orlando; così egli complottava,mentre camminava su e giù per il ponte.

Si risvegliò allorché, volgendosi a occaso, vide il solesospeso come un’arancia sulla croce della Cattedrale diSan Paolo. Era color del sangue, e scendeva rapido. Do-veva essere vicino a sera. Saša era assente da più diun’ora. Colto istantaneamente da quegli oscuri presenti-menti che offuscavano anche i più fiduciosi pensieri sudi lei, Orlando si cacciò per quella stessa via che avevavisto seguire agli altri due, sotto coperta; e, dopo essereincespicato al buio tra casse e barili, a un debole raggiodi luce, li scorse alfine entrambi seduti, in un angolo.Per un secondo, ebbe chiara la visione: vide Saša sedutasulle ginocchia del marinaio; la vide curvarsi verso dilui; e vide la loro stretta, prima che la sua collera spe-gnesse la luce in una bruma rossastra. Cacciò un taleurlo d’angoscia, che l’intera nave echeggiò. Saša erastata pronta a gettarsi tra i due; senza di che, il marinaiosarebbe stato strangolato prima che avesse fatto in tem-po a estrarre il suo coltellaccio. Poi, un malore mortaleassalì Orlando, tanto che dovettero distenderlo sul suo-lo, e fargli bere dell’acquavite fino a che non rinvenisse.Quando ebbe ritrovati i sensi e si fu seduto sul ponte,appoggiato a un mucchio di sacchi sopra coperta, vide,curva su di lui, Saša, che dolcemente si cullava dinanziai suoi sguardi intontiti, insinuante, come la volpe che loaveva morsicato, ora carezzevole, ora corrucciata; tantoche venne a dubitare di quel che aveva visto. Forse lacandela gocciolava; forse le ombre vacillavano. Il cofa-

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no era pesante, diceva essa; l’uomo l’aiutava a rimuo-verlo. Per un istante, Orlando le credette – chi può maiesser sicuro che l’ira non gli dipinga ciò che più teme ditrovare? – ma già l’istante dopo tornava a infuriare viep-più contro la sua frode. Allora, a sua volta Saša si sbian-cò; batté i piedi sul ponte; disse che sarebbe partita lanotte stessa; e scongiurò ad alta voce gli Dei dei suoipadri di fulminarla, dove lei, una Romanovič, si fosseobliata tra le braccia d’un rozzo marinaio. Invero allor-ché (a malincuore) si rivolse a guardarli, Orlando si sen-tì offeso dall’oscurità della sua fantasia, la quale avevapotuto dipingergli una creatura così fragile tra le zampedi quel villoso bruto marino. Era questi un uomo enor-me, il quale senza stivali misurava sei piedi e quattropollici; agli orecchi portava grossolani cerchietti di fer-ro; e pareva proprio un cavallaccio da tiro, sul quale unreattino, o un pettirosso, avesse sostato nel volo. Così,Orlando si arrese, le credette, e le domandò perdono.Tuttavia, allorché i due amanti riconciliati si avviavanoa scender dal fianco della nave, ecco che Saša si fermòcon la mano sulla scaletta, e in russo lanciò a quel ma-scherone da fontana color del cuoio una vera pioggia disaluti, o facezie o moine che fossero, di cui Orlando,s’intende, non poté capire una parola; ma c’era, nel tonodi Saša, qualcosa (forse era colpa delle consonanti rus-se) che gli rammentò una certa scena: qualche seraavanti, aveva sorpreso Saša mentre, in un angolo, rosic-chiava di nascosto un pezzetto di candela che aveva rac-colto da terra. Vero è che era roseo; e dorato; e veniva

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no era pesante, diceva essa; l’uomo l’aiutava a rimuo-verlo. Per un istante, Orlando le credette – chi può maiesser sicuro che l’ira non gli dipinga ciò che più teme ditrovare? – ma già l’istante dopo tornava a infuriare viep-più contro la sua frode. Allora, a sua volta Saša si sbian-cò; batté i piedi sul ponte; disse che sarebbe partita lanotte stessa; e scongiurò ad alta voce gli Dei dei suoipadri di fulminarla, dove lei, una Romanovič, si fosseobliata tra le braccia d’un rozzo marinaio. Invero allor-ché (a malincuore) si rivolse a guardarli, Orlando si sen-tì offeso dall’oscurità della sua fantasia, la quale avevapotuto dipingergli una creatura così fragile tra le zampedi quel villoso bruto marino. Era questi un uomo enor-me, il quale senza stivali misurava sei piedi e quattropollici; agli orecchi portava grossolani cerchietti di fer-ro; e pareva proprio un cavallaccio da tiro, sul quale unreattino, o un pettirosso, avesse sostato nel volo. Così,Orlando si arrese, le credette, e le domandò perdono.Tuttavia, allorché i due amanti riconciliati si avviavanoa scender dal fianco della nave, ecco che Saša si fermòcon la mano sulla scaletta, e in russo lanciò a quel ma-scherone da fontana color del cuoio una vera pioggia disaluti, o facezie o moine che fossero, di cui Orlando,s’intende, non poté capire una parola; ma c’era, nel tonodi Saša, qualcosa (forse era colpa delle consonanti rus-se) che gli rammentò una certa scena: qualche seraavanti, aveva sorpreso Saša mentre, in un angolo, rosic-chiava di nascosto un pezzetto di candela che aveva rac-colto da terra. Vero è che era roseo; e dorato; e veniva

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dalla mensa del Re; ma era pur sempre sego, ed ella lorosicchiava. E non c’era in lei, pensava Orlando mentrel’aiutava a scendere sul ghiaccio, qualcosa di basso, uneffluvio di trivialità, un che di contadinesco? Se la figu-rò a quarant’anni, appesantita e sonnacchiosa, per quan-to ora fosse snella come una cerva e vivace comeun’allodola. Ma mentre volavano sui pattini verso Lon-dra, sentì quei sospetti fonderglisi in petto; e gli parevacome se un grosso pesce l’avesse addentato per il naso erapidamente lo trascinasse seco attraverso le acque, edegli cedeva a malincuore, per quanto non potesse farne ameno.

La sera era di una bellezza sorprendente. Al cader delsole, le cupole, le guglie, le torri, i pinnacoli di Londraspiccavano in un nero d’inchiostro, contro le ardentinubi rosse del tramonto. Ecco la croce dentellata di Cha-ring; e là, la cupola di San Paolo; e, là il massiccio qua-drato della Torre di Londra; e qui, pari a un boschettod’alberi spogli, ai quali non rimanesse che un ciuffo sul-la punta, ecco le teste mozze in cima alle picche di Tem-ple Bar. A quest’ora (nella fantasia di Orlando) le fine-stre dell’Abbazia si accendevano e ardevano come unceleste scudo dai mille colori; ora, tutto il tramonto pa-reva una sola finestra d’oro, aperta a schiere d’angeli(sempre nella fantasia d’Orlando) i quali perpetuamentesalivano e discendevano per le scale del Paradiso. A Or-lando e Saša pareva di pattinare su insondabili profondi-tà ariose, tanto azzurro era diventato il ghiaccio; il qualeera altresì liscio come vetro, sì che sempre più veloce-

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dalla mensa del Re; ma era pur sempre sego, ed ella lorosicchiava. E non c’era in lei, pensava Orlando mentrel’aiutava a scendere sul ghiaccio, qualcosa di basso, uneffluvio di trivialità, un che di contadinesco? Se la figu-rò a quarant’anni, appesantita e sonnacchiosa, per quan-to ora fosse snella come una cerva e vivace comeun’allodola. Ma mentre volavano sui pattini verso Lon-dra, sentì quei sospetti fonderglisi in petto; e gli parevacome se un grosso pesce l’avesse addentato per il naso erapidamente lo trascinasse seco attraverso le acque, edegli cedeva a malincuore, per quanto non potesse farne ameno.

La sera era di una bellezza sorprendente. Al cader delsole, le cupole, le guglie, le torri, i pinnacoli di Londraspiccavano in un nero d’inchiostro, contro le ardentinubi rosse del tramonto. Ecco la croce dentellata di Cha-ring; e là, la cupola di San Paolo; e, là il massiccio qua-drato della Torre di Londra; e qui, pari a un boschettod’alberi spogli, ai quali non rimanesse che un ciuffo sul-la punta, ecco le teste mozze in cima alle picche di Tem-ple Bar. A quest’ora (nella fantasia di Orlando) le fine-stre dell’Abbazia si accendevano e ardevano come unceleste scudo dai mille colori; ora, tutto il tramonto pa-reva una sola finestra d’oro, aperta a schiere d’angeli(sempre nella fantasia d’Orlando) i quali perpetuamentesalivano e discendevano per le scale del Paradiso. A Or-lando e Saša pareva di pattinare su insondabili profondi-tà ariose, tanto azzurro era diventato il ghiaccio; il qualeera altresì liscio come vetro, sì che sempre più veloce-

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mente scivolavano verso la città, e facevan loro corteo ibianchi gabbiani roteando sopra le loro teste, e disegna-vano in aria le medesime volute che essi tracciavano sulghiaccio coi loro pattini.

Saša, quasi a rassicurarlo, era più tenera del consueto,e più squisita che mai. Raramente ella gli parlava dellasua vita passata; ma ora gli raccontava come d’inverno,in Russia, ella tendesse l’orecchio all’urlo dei lupi ches’aggiravano per la steppa, e a tre riprese, per darglienela prova, abbaiò a guisa di lupo. Dopo di che a sua voltaegli le disse dei cervi sulla neve, a casa, e comes’avventurassero, in cerca di un po’ di caldo, fin nelgrande atrio, dove un vecchio servo li nutriva con deisecchi di pappa di orzo. Allora ella lodò il suo amoreper gli animali, la sua galanteria, le sue belle gambe.Rapito da quelle lodi, vergognoso al pensiero d’averlavituperata al punto da immaginarsela seduta sulle ginoc-chia d’un marinaio volgare, e grassa e sonnacchiosa aquarant’anni, Orlando rispose che, in quanto a lui, nontrovava parole per lodarla; ma per il momento, le assicu-rava che la trovava simile alla primavera, all’erba verdee alle acque impetuose, e serrandola ancor più stretto latrascinò seco fino a metà del fiume, con tanto slancio daattirare anche i gabbiani e i cormorani. E quando infinesi fermarono senza fiato, a sua volta ella, ansando dolce-mente, replicò che egli era un albero di Natale risplen-dente di milioni di candele (come ce ne sono in Russia)e parato di globi gialli; incandescente; luminoso tanto darischiarare un’intera strada; poiché (all’incirca si potreb-

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mente scivolavano verso la città, e facevan loro corteo ibianchi gabbiani roteando sopra le loro teste, e disegna-vano in aria le medesime volute che essi tracciavano sulghiaccio coi loro pattini.

Saša, quasi a rassicurarlo, era più tenera del consueto,e più squisita che mai. Raramente ella gli parlava dellasua vita passata; ma ora gli raccontava come d’inverno,in Russia, ella tendesse l’orecchio all’urlo dei lupi ches’aggiravano per la steppa, e a tre riprese, per darglienela prova, abbaiò a guisa di lupo. Dopo di che a sua voltaegli le disse dei cervi sulla neve, a casa, e comes’avventurassero, in cerca di un po’ di caldo, fin nelgrande atrio, dove un vecchio servo li nutriva con deisecchi di pappa di orzo. Allora ella lodò il suo amoreper gli animali, la sua galanteria, le sue belle gambe.Rapito da quelle lodi, vergognoso al pensiero d’averlavituperata al punto da immaginarsela seduta sulle ginoc-chia d’un marinaio volgare, e grassa e sonnacchiosa aquarant’anni, Orlando rispose che, in quanto a lui, nontrovava parole per lodarla; ma per il momento, le assicu-rava che la trovava simile alla primavera, all’erba verdee alle acque impetuose, e serrandola ancor più stretto latrascinò seco fino a metà del fiume, con tanto slancio daattirare anche i gabbiani e i cormorani. E quando infinesi fermarono senza fiato, a sua volta ella, ansando dolce-mente, replicò che egli era un albero di Natale risplen-dente di milioni di candele (come ce ne sono in Russia)e parato di globi gialli; incandescente; luminoso tanto darischiarare un’intera strada; poiché (all’incirca si potreb-

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be tradurre così) con le sue guance rosse, i riccioli neri,il vestito nero e scarlatto, egli pareva irradiare un fuocoche provenisse da un lume acceso dentro di lui.

Ma tosto tutti i colori, fuorché il rosso delle gote diOrlando, si spensero. La notte scendeva. Allo svanitoarancione del crepuscolo subentrò il prodigioso bagliorebianco e crudo delle torce, dei fuochi di gioia, dei fanaliaccesi che illuminavano il fiume; e si vide allora la piùstrana delle trasformazioni. Chiese e palazzi della nobil-tà, dalle facciate di pietra bianca, apparivano simili astrie e macchie fluttuanti nell’aria. Di San Paolo, in par-ticolare, nulla rimaneva se non una croce dorata.L’Abbazia era ridotta allo scheletro grigio d’una foglia.Ogni cosa appariva emaciata, trasformata. Riavvicinan-dosi ai luoghi della festa, Orlando e Saša udirono unanota profonda, come intonata da un diapason, la qualecresceva sino a diventare la voce di un tumulto. Ognitanto, un urlo prolungato accompagnava l’ascendere diun razzo. Gradatamente cominciarono a discernere dellefigurine che si staccavano dalla marea della folla, agi-tandosi su e giù, come libellule su di un’acqua. In alto,intorno a quella zona di luce, come un calice d’oscurità,gravava la tenebra profonda di una notte d’inverno. Edecco che, dapprima tra pause che mantenevano vival’attesa e le bocche aperte, in quella tenebra principiò adalzarsi una fioritura di razzi; e di mezzelune; e di ser-penti; e una corona regale. Per breve istante i boschi e lecolline lontane verdeggiarono come in un giorno d’esta-

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be tradurre così) con le sue guance rosse, i riccioli neri,il vestito nero e scarlatto, egli pareva irradiare un fuocoche provenisse da un lume acceso dentro di lui.

Ma tosto tutti i colori, fuorché il rosso delle gote diOrlando, si spensero. La notte scendeva. Allo svanitoarancione del crepuscolo subentrò il prodigioso bagliorebianco e crudo delle torce, dei fuochi di gioia, dei fanaliaccesi che illuminavano il fiume; e si vide allora la piùstrana delle trasformazioni. Chiese e palazzi della nobil-tà, dalle facciate di pietra bianca, apparivano simili astrie e macchie fluttuanti nell’aria. Di San Paolo, in par-ticolare, nulla rimaneva se non una croce dorata.L’Abbazia era ridotta allo scheletro grigio d’una foglia.Ogni cosa appariva emaciata, trasformata. Riavvicinan-dosi ai luoghi della festa, Orlando e Saša udirono unanota profonda, come intonata da un diapason, la qualecresceva sino a diventare la voce di un tumulto. Ognitanto, un urlo prolungato accompagnava l’ascendere diun razzo. Gradatamente cominciarono a discernere dellefigurine che si staccavano dalla marea della folla, agi-tandosi su e giù, come libellule su di un’acqua. In alto,intorno a quella zona di luce, come un calice d’oscurità,gravava la tenebra profonda di una notte d’inverno. Edecco che, dapprima tra pause che mantenevano vival’attesa e le bocche aperte, in quella tenebra principiò adalzarsi una fioritura di razzi; e di mezzelune; e di ser-penti; e una corona regale. Per breve istante i boschi e lecolline lontane verdeggiarono come in un giorno d’esta-

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te; ma un attimo dopo tutto tornava inverno e tenebrafitta.

Intanto Orlando e la Principessa, giunti vicino al re-cinto reale, si trovarono la via sbarrata da una gran folladi popolaccio, il quale, fattosi insolente, si spingeva vi-cino al cordone di seta. La coppia, che aveva poco desi-derio di metter fine alla dolce intimità, e di tornare traquegli sguardi insistenti che non l’abbandonavano mai,indugiò tra la folla, sbatacchiata tra garzoni di bottega esarti; e pescivendole; e scozzoni e cacciatori di frodo; estudenti affamati; e serve in cuffietta; e venditrici diarance; e garzoni di stalla; e borghesi pettoruti e tenitoridi postriboli; e un nugolo di monelli cenciosi, di quelliche non mancan mai, ai margini di una grande folla, eche urlando sgattaiolano fra le gambe della gente. C’era,a dirla breve, tutta la ciurmaglia delle strade di Londra;gente che faceziava e dava di gomito; e chi giocava adadi, chi diceva la buona ventura, chi spingeva, chi sol-leticava il vicino, chi pizzicava; qui regnava l’allegria,là il malumore; gli uni aprivano un palmo di bocca; glialtri mostravano tanto poco ritegno quanto una cornac-chia sul tetto d’una casa; tutti agghindati a seconda dellaborsa o della condizione; chi in pelliccia e panno fine,chi in stracci, i piedi protetti a malapena dal ghiaccio daun cencio attorcigliato alle caviglie. La calca maggioresembrava stiparsi davanti a una baracca, o piuttosto unpalco, qualcosa di simile ai nostri teatri di burattini,dove si vedeva una specie di rappresentazione teatrale.Un uomo nero agitava le braccia e vociferava. Su di un

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te; ma un attimo dopo tutto tornava inverno e tenebrafitta.

Intanto Orlando e la Principessa, giunti vicino al re-cinto reale, si trovarono la via sbarrata da una gran folladi popolaccio, il quale, fattosi insolente, si spingeva vi-cino al cordone di seta. La coppia, che aveva poco desi-derio di metter fine alla dolce intimità, e di tornare traquegli sguardi insistenti che non l’abbandonavano mai,indugiò tra la folla, sbatacchiata tra garzoni di bottega esarti; e pescivendole; e scozzoni e cacciatori di frodo; estudenti affamati; e serve in cuffietta; e venditrici diarance; e garzoni di stalla; e borghesi pettoruti e tenitoridi postriboli; e un nugolo di monelli cenciosi, di quelliche non mancan mai, ai margini di una grande folla, eche urlando sgattaiolano fra le gambe della gente. C’era,a dirla breve, tutta la ciurmaglia delle strade di Londra;gente che faceziava e dava di gomito; e chi giocava adadi, chi diceva la buona ventura, chi spingeva, chi sol-leticava il vicino, chi pizzicava; qui regnava l’allegria,là il malumore; gli uni aprivano un palmo di bocca; glialtri mostravano tanto poco ritegno quanto una cornac-chia sul tetto d’una casa; tutti agghindati a seconda dellaborsa o della condizione; chi in pelliccia e panno fine,chi in stracci, i piedi protetti a malapena dal ghiaccio daun cencio attorcigliato alle caviglie. La calca maggioresembrava stiparsi davanti a una baracca, o piuttosto unpalco, qualcosa di simile ai nostri teatri di burattini,dove si vedeva una specie di rappresentazione teatrale.Un uomo nero agitava le braccia e vociferava. Su di un

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letto giaceva una donna vestita di bianco. La rappresen-tazione era quanto mai rozza; gli attori entravano e usci-vano di scena per una scaletta di due gradini, non senzaincespicare qualche che volta, e il pubblico pestava ipiedi, fischiava, e, se si seccava, gettava bucce d’aranciasul ghiaccio, dove i cani se le contendevano; eppure lasorprendente, sinuosa melodia di quelle parole commos-se Orlando come una musica. Pronunciate con un’estre-ma rapidità, con un’audace destrezza di linguaggio chegli ricordò i marinai che cantavano nelle birrerie a Wap-ping, le parole, anche se non ne intendeva il senso, glisalivano al cervello come un vino inebriante. Ma qua elà, una frase gli giungeva oltre il ghiaccio, che era comestrappata dalle profondità del suo cuore. La frenesia delMoro gli pareva la sua stessa frenesia, e, quando eglisoffocò la donna là sul suo letto, era Saša che Orlandouccideva con le sue proprie mani.

Finalmente, la commedia ebbe fine, e tornò a regnarel’oscurità. Le lagrime scorrevano giù per le gote di Or-lando. Alzando lo sguardo al cielo, non vi scorse che te-nebre. Rovina e morte, pensò, sommergono ogni cosa.La vita dell’uomo ha per meta la tomba. I vermi ci divo-rano.

... mi sembra che ora ci sia un vasto eclissedi sole e luna e che il globo impauritoprorompa a urlare...4

4 È citazione dall’Othello di Shakespeare (V, II, 102-4). (N.d.T.)

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letto giaceva una donna vestita di bianco. La rappresen-tazione era quanto mai rozza; gli attori entravano e usci-vano di scena per una scaletta di due gradini, non senzaincespicare qualche che volta, e il pubblico pestava ipiedi, fischiava, e, se si seccava, gettava bucce d’aranciasul ghiaccio, dove i cani se le contendevano; eppure lasorprendente, sinuosa melodia di quelle parole commos-se Orlando come una musica. Pronunciate con un’estre-ma rapidità, con un’audace destrezza di linguaggio chegli ricordò i marinai che cantavano nelle birrerie a Wap-ping, le parole, anche se non ne intendeva il senso, glisalivano al cervello come un vino inebriante. Ma qua elà, una frase gli giungeva oltre il ghiaccio, che era comestrappata dalle profondità del suo cuore. La frenesia delMoro gli pareva la sua stessa frenesia, e, quando eglisoffocò la donna là sul suo letto, era Saša che Orlandouccideva con le sue proprie mani.

Finalmente, la commedia ebbe fine, e tornò a regnarel’oscurità. Le lagrime scorrevano giù per le gote di Or-lando. Alzando lo sguardo al cielo, non vi scorse che te-nebre. Rovina e morte, pensò, sommergono ogni cosa.La vita dell’uomo ha per meta la tomba. I vermi ci divo-rano.

... mi sembra che ora ci sia un vasto eclissedi sole e luna e che il globo impauritoprorompa a urlare...4

4 È citazione dall’Othello di Shakespeare (V, II, 102-4). (N.d.T.)

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Mentre ripeteva quei versi, una pallida stella sorsenella sua memoria. La notte era nera; nera come la pece;ma era una notte simile, quella che avevano sospirato;con una notte tale avevano deciso di fuggire. Ricordavatutto. L’ora era giunta. In un parossismo di passione,strinse a sé Saša, e «Jour de ma vie!» le sibilò all’orec-chio. Era il loro segnale. A mezzanotte si sarebbero tro-vati a una locanda nei pressi di Blackfriars. Là, dei ca-valli li avrebbero attesi. Tutto era pronto per la fuga. Sisepararono dunque, e ognuno tornò verso la propria ten-da. Mancava un’ora al momento prefisso.

Molto tempo prima di mezzanotte Orlando era già inattesa. La notte era di un nero così fondo, che un uomovi poteva venire addosso prima che l’aveste veduto; eciò sarebbe stato una gran bella cosa, senonché regnavaanche un silenzio sì solenne, che lo zoccolo d’un cavalloo un grido di fanciullo si sarebbero uditi a mezzo migliodi distanza. Più d’una volta Orlando, mentre misurava apassi inquieti il cortiletto della locanda, trattenne il bat-tito del suo cuore allo zoccolo pesante di qualche ronzi-no sul selciato, o al fruscio d’una gonnella. Ma il viag-giatore non era altri che un mercante, il quale tornava acasa sua a tarda ora; oppure, passava qualche femminadel quartiere, la cui passeggiata era tutto men che inno-cente. I passi si allontanavano, e la strada era più quietadi prima. Poi, le luci che brillavano a pianoterra, neglistretti tuguri dove i poveri abitavano gli uni sugli altri,salirono alle stanze da letto, e a una a una si spensero. Ilampioni, nelle strade di quei paraggi, erano per lo più

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Mentre ripeteva quei versi, una pallida stella sorsenella sua memoria. La notte era nera; nera come la pece;ma era una notte simile, quella che avevano sospirato;con una notte tale avevano deciso di fuggire. Ricordavatutto. L’ora era giunta. In un parossismo di passione,strinse a sé Saša, e «Jour de ma vie!» le sibilò all’orec-chio. Era il loro segnale. A mezzanotte si sarebbero tro-vati a una locanda nei pressi di Blackfriars. Là, dei ca-valli li avrebbero attesi. Tutto era pronto per la fuga. Sisepararono dunque, e ognuno tornò verso la propria ten-da. Mancava un’ora al momento prefisso.

Molto tempo prima di mezzanotte Orlando era già inattesa. La notte era di un nero così fondo, che un uomovi poteva venire addosso prima che l’aveste veduto; eciò sarebbe stato una gran bella cosa, senonché regnavaanche un silenzio sì solenne, che lo zoccolo d’un cavalloo un grido di fanciullo si sarebbero uditi a mezzo migliodi distanza. Più d’una volta Orlando, mentre misurava apassi inquieti il cortiletto della locanda, trattenne il bat-tito del suo cuore allo zoccolo pesante di qualche ronzi-no sul selciato, o al fruscio d’una gonnella. Ma il viag-giatore non era altri che un mercante, il quale tornava acasa sua a tarda ora; oppure, passava qualche femminadel quartiere, la cui passeggiata era tutto men che inno-cente. I passi si allontanavano, e la strada era più quietadi prima. Poi, le luci che brillavano a pianoterra, neglistretti tuguri dove i poveri abitavano gli uni sugli altri,salirono alle stanze da letto, e a una a una si spensero. Ilampioni, nelle strade di quei paraggi, erano per lo più

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rari, e, per la poca cura dei guardiani di notte, sovente sispegnevano prima dell’alba. Allora, l’oscurità era piùfitta che mai. Orlando guardò il lucignolo della sua lan-terna; esaminò la cinghia della sella, caricò le sue pisto-le, provò i suoi speroni; e, compiuta ognuna di questeazioni una dozzina di volte almeno, non trovò più nullacui dedicare la propria attenzione. Benché mancasseroancora venti minuti alla mezzanotte, non sapeva risol-versi a entrare nella taverna della locanda, dove l’ostes-sa ancora serviva del vino di Xeres e delle Canarie dibassa qualità a pochi marinai, seduti là a vociare in corole loro canzonacce, e a raccontar storie di Drake, di Ha-wkins e di Grenville, finché piombavano giù dai banchi,rotolando addormentati sulla segatura del piancito. Piùpietosa era l’ombra al cuore gonfio di passione d’Orlan-do. Egli tendeva l’orecchio a ogni passo; arzigogolavasu ogni rumore; un grido avvinazzato, il gemito di uninfelice coricato sulla paglia in qualche triste frangentegli fendevano il cuore come un presagio nefasto. Nongià che temesse per Saša. Animosa com’era, non avreb-be certo paventato quell’avventura. Verrebbe sola, inbrache e mantello, calzata di stivali come un uomo; e ilsuo passo, così lieve, si udrebbe appena, pur nel grandesilenzio.

Così Orlando attendeva dunque, nella notte. D’untratto, gli schiaffeggiò la guancia una mano morbida ep-pur pesante. Tanta era la tensione dell’animo suo, chetrasalì, e la sua mano corse alla spada. Lo schiaffo si ri-peté una dozzina di volte, sulla sua fronte e in viso. Il

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rari, e, per la poca cura dei guardiani di notte, sovente sispegnevano prima dell’alba. Allora, l’oscurità era piùfitta che mai. Orlando guardò il lucignolo della sua lan-terna; esaminò la cinghia della sella, caricò le sue pisto-le, provò i suoi speroni; e, compiuta ognuna di questeazioni una dozzina di volte almeno, non trovò più nullacui dedicare la propria attenzione. Benché mancasseroancora venti minuti alla mezzanotte, non sapeva risol-versi a entrare nella taverna della locanda, dove l’ostes-sa ancora serviva del vino di Xeres e delle Canarie dibassa qualità a pochi marinai, seduti là a vociare in corole loro canzonacce, e a raccontar storie di Drake, di Ha-wkins e di Grenville, finché piombavano giù dai banchi,rotolando addormentati sulla segatura del piancito. Piùpietosa era l’ombra al cuore gonfio di passione d’Orlan-do. Egli tendeva l’orecchio a ogni passo; arzigogolavasu ogni rumore; un grido avvinazzato, il gemito di uninfelice coricato sulla paglia in qualche triste frangentegli fendevano il cuore come un presagio nefasto. Nongià che temesse per Saša. Animosa com’era, non avreb-be certo paventato quell’avventura. Verrebbe sola, inbrache e mantello, calzata di stivali come un uomo; e ilsuo passo, così lieve, si udrebbe appena, pur nel grandesilenzio.

Così Orlando attendeva dunque, nella notte. D’untratto, gli schiaffeggiò la guancia una mano morbida ep-pur pesante. Tanta era la tensione dell’animo suo, chetrasalì, e la sua mano corse alla spada. Lo schiaffo si ri-peté una dozzina di volte, sulla sua fronte e in viso. Il

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gelo asciutto era durato così a lungo, che ci volle unbuon minuto prima che Orlando s’accorgesse che eranogocce di pioggia che cadevano; e che era la pioggia chelo schiaffeggiava in viso. Le gocce caddero dapprimalente, costanti, a una a una. Ma tosto, da sei divennerosessanta; poi seicento; finché scrosciarono in un com-patto acquazzone. Pareva che un cielo massiccio e soli-do si rovesciasse in una sola cateratta. In men di cinqueminuti, Orlando era bagnato sino all’ossa.

In gran fretta condusse i cavalli al riparo, e cercò rifu-gio sotto il listello della porta, donde non perdevad’occhio il cortile. L’aria, ora, era più spessa che mai, edall’acqua che cadeva a torrenti uscivano un vapore eun ronzio tale che passo d’uomo o di animale non si sa-rebbe potuto udire. Le strade, piene di grosse buche, orasarebbero state piene d’acqua, certamente impraticabili.Ma Orlando quasi non si soffermò a pensare se ciòavrebbe potuto essere d’ostacolo alla fuga. Tutta la suaattenzione era fissa sul vicolo selciato – verso quellazona che la sua lanterna illuminava – là, donde Saša sa-rebbe venuta. Talora gli pareva di scorgerla nell’ombra,tutta avvolta e striata di pioggia. Ma tosto il fantasmasvaniva. All’improvviso, con una voce tremenda e mi-nacciosa, voce d’orrore e d’allarme che avvolse l’animodi Orlando in un brivido angoscioso, l’orologio di SanPaolo batté il primo colpo della mezzanotte. Per quattrovolte batté senza rimorso. Con la superstizione di unamante, Orlando aveva deciso che al sesto colpo Sašasarebbe apparsa. Ma il sesto colpo si ripeté in eco lonta-

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gelo asciutto era durato così a lungo, che ci volle unbuon minuto prima che Orlando s’accorgesse che eranogocce di pioggia che cadevano; e che era la pioggia chelo schiaffeggiava in viso. Le gocce caddero dapprimalente, costanti, a una a una. Ma tosto, da sei divennerosessanta; poi seicento; finché scrosciarono in un com-patto acquazzone. Pareva che un cielo massiccio e soli-do si rovesciasse in una sola cateratta. In men di cinqueminuti, Orlando era bagnato sino all’ossa.

In gran fretta condusse i cavalli al riparo, e cercò rifu-gio sotto il listello della porta, donde non perdevad’occhio il cortile. L’aria, ora, era più spessa che mai, edall’acqua che cadeva a torrenti uscivano un vapore eun ronzio tale che passo d’uomo o di animale non si sa-rebbe potuto udire. Le strade, piene di grosse buche, orasarebbero state piene d’acqua, certamente impraticabili.Ma Orlando quasi non si soffermò a pensare se ciòavrebbe potuto essere d’ostacolo alla fuga. Tutta la suaattenzione era fissa sul vicolo selciato – verso quellazona che la sua lanterna illuminava – là, donde Saša sa-rebbe venuta. Talora gli pareva di scorgerla nell’ombra,tutta avvolta e striata di pioggia. Ma tosto il fantasmasvaniva. All’improvviso, con una voce tremenda e mi-nacciosa, voce d’orrore e d’allarme che avvolse l’animodi Orlando in un brivido angoscioso, l’orologio di SanPaolo batté il primo colpo della mezzanotte. Per quattrovolte batté senza rimorso. Con la superstizione di unamante, Orlando aveva deciso che al sesto colpo Sašasarebbe apparsa. Ma il sesto colpo si ripeté in eco lonta-

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na, e venne il settimo, e l’ottavo, e al suo spirito in pre-da all’ansia ogni colpo parve dapprima un annuncio, poiun avviso di morte e di sventura. Quando il dodicesimocolpo risuonò, Orlando seppe che la sua condanna eradecisa. Invano, lo spirito di saggezza ragionava in lui;Saša poteva essere in ritardo; poteva essere stata tratte-nuta; poteva aver smarrito la strada. Il cuore appassiona-to e sensibile di Orlando conosceva la verità. Altri oro-logi batterono, frammischiando la loro eco discorde. Ilmondo intero pareva scampanar la novella del tradimen-to di Saša, del ludibrio di Orlando. I vecchi sospetti chesotterranei lavoravano sempre in lui balzarono allo sco-perto dal loro nascondiglio di serpi, uno più velenosodell’altro. Sulla soglia della locanda, se ne stava senzabatter ciglio sotto il tremendo acquazzone. Come i mi-nuti passavano, le ginocchia gli si piegarono un poco.L’acqua grondava sempre dal cielo. Dal fitto di essasembrava uscisse un rombo di cannone. S’udivano fra-gori immensi come di grandi tronchi di quercia schian-tati, spaccati, cui si univano grida selvagge e terribili,grugniti inumani. Ma Orlando rimase là, immobile finoa che l’orologio di San Paolo non batté le due: allora,gettando ad alta voce, con orrenda ironia e mostrando identi, il grido «Jour de ma vie!», sbatté a terra la lanter-na, balzò in sella e partì al galoppo senza saper dove an-dasse.

Un cieco intuito, poiché egli era fuor di senno, dovet-te guidarlo a risalir la riva del fiume, verso il mare. Per-ché quando, con subitaneità inusitata, l’alba spuntò, co-

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na, e venne il settimo, e l’ottavo, e al suo spirito in pre-da all’ansia ogni colpo parve dapprima un annuncio, poiun avviso di morte e di sventura. Quando il dodicesimocolpo risuonò, Orlando seppe che la sua condanna eradecisa. Invano, lo spirito di saggezza ragionava in lui;Saša poteva essere in ritardo; poteva essere stata tratte-nuta; poteva aver smarrito la strada. Il cuore appassiona-to e sensibile di Orlando conosceva la verità. Altri oro-logi batterono, frammischiando la loro eco discorde. Ilmondo intero pareva scampanar la novella del tradimen-to di Saša, del ludibrio di Orlando. I vecchi sospetti chesotterranei lavoravano sempre in lui balzarono allo sco-perto dal loro nascondiglio di serpi, uno più velenosodell’altro. Sulla soglia della locanda, se ne stava senzabatter ciglio sotto il tremendo acquazzone. Come i mi-nuti passavano, le ginocchia gli si piegarono un poco.L’acqua grondava sempre dal cielo. Dal fitto di essasembrava uscisse un rombo di cannone. S’udivano fra-gori immensi come di grandi tronchi di quercia schian-tati, spaccati, cui si univano grida selvagge e terribili,grugniti inumani. Ma Orlando rimase là, immobile finoa che l’orologio di San Paolo non batté le due: allora,gettando ad alta voce, con orrenda ironia e mostrando identi, il grido «Jour de ma vie!», sbatté a terra la lanter-na, balzò in sella e partì al galoppo senza saper dove an-dasse.

Un cieco intuito, poiché egli era fuor di senno, dovet-te guidarlo a risalir la riva del fiume, verso il mare. Per-ché quando, con subitaneità inusitata, l’alba spuntò, co-

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perto il cielo di riflessi giallognoli e cessata quasi lapioggia, Orlando si trovò sulle rive del Tamigi al di là diWapping. Allora, uno spettacolo della più straordinarianatura si offerse alla sua vista. Là dove da tre mesi e piùnon c’era altro che ghiaccio solido di tale spessore daparer immutabile come pietra, capace di sostener sul suosuolo un’intera gioconda città, s’inseguivano ora turbo-lenti i flutti giallastri. Il fiume aveva riconquistata la sualibertà durante la notte. Era come se una sorgente sulfu-rea (e molti filosofi sono di parere non diverso) fossesorta da sotterranee regioni vulcaniche, facendo scop-piare il ghiaccio con tanta violenza che la furia stessadell’esplosione spazzava via enormi blocchi massicci.Tutto era tumulto, caos. Il fiume era sparso di montagnedi ghiaccio, alcune tra di esse larghe come un prato, altecome una casa; mentre altri pezzi di ghiaccio eranograndi appena quanto un cappello, ma di forma oltremo-do bizzarra. Ora un intero corteo di blocchi discendevala corrente, mandando a fondo tutto ciò che si frappone-va al suo passaggio; ora il fiume, mulinando e torcendo-si come un serpente torturato, pareva dibattersi tra queiframmenti, sbattendoli da una sponda all’altra, facendorimbombar sotto i colpi le gettate e i pilastri di pietra deiponti. Ma la vista più orribile e terrificante era quelladelle creature umane le quali, còlte in trappola durantela notte, correvano ora su e giù per quelle sbattute e pre-carie isole, lo spirito in preda all’angoscia più atroce.Sia che si gettassero tra i flutti o che rimanessero sulghiaccio, la loro condanna era scritta. Talora un vero

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perto il cielo di riflessi giallognoli e cessata quasi lapioggia, Orlando si trovò sulle rive del Tamigi al di là diWapping. Allora, uno spettacolo della più straordinarianatura si offerse alla sua vista. Là dove da tre mesi e piùnon c’era altro che ghiaccio solido di tale spessore daparer immutabile come pietra, capace di sostener sul suosuolo un’intera gioconda città, s’inseguivano ora turbo-lenti i flutti giallastri. Il fiume aveva riconquistata la sualibertà durante la notte. Era come se una sorgente sulfu-rea (e molti filosofi sono di parere non diverso) fossesorta da sotterranee regioni vulcaniche, facendo scop-piare il ghiaccio con tanta violenza che la furia stessadell’esplosione spazzava via enormi blocchi massicci.Tutto era tumulto, caos. Il fiume era sparso di montagnedi ghiaccio, alcune tra di esse larghe come un prato, altecome una casa; mentre altri pezzi di ghiaccio eranograndi appena quanto un cappello, ma di forma oltremo-do bizzarra. Ora un intero corteo di blocchi discendevala corrente, mandando a fondo tutto ciò che si frappone-va al suo passaggio; ora il fiume, mulinando e torcendo-si come un serpente torturato, pareva dibattersi tra queiframmenti, sbattendoli da una sponda all’altra, facendorimbombar sotto i colpi le gettate e i pilastri di pietra deiponti. Ma la vista più orribile e terrificante era quelladelle creature umane le quali, còlte in trappola durantela notte, correvano ora su e giù per quelle sbattute e pre-carie isole, lo spirito in preda all’angoscia più atroce.Sia che si gettassero tra i flutti o che rimanessero sulghiaccio, la loro condanna era scritta. Talora un vero

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grappolo di queste misere creature giungeva su di unmedesimo banco; chi stava in ginocchio, chi nutriva unfantolino al seno. Un vecchio pareva leggere ad altavoce in un libro sacro. Talora, e la sorte di costoro eraforse la più spaventosa, uno sciagurato se ne veniva soloa cavalcioni su di uno stretto isolotto. E nell’andar versoil mare, s’udivano le grida di chi invano implorava aiu-to, di chi, a gran voce, urlava il proprio pentimento, con-fessando i peccati commessi e promettendo altari e ric-chezze dove il Signore avesse ascoltato quelle preci. Al-tri invece erano sbalorditi a tal punto dal terrore, che se-devano immoti, guardando costantemente muti avanti asé. Una banda di giovani marinai o postiglioni, a giudi-care dalla loro livrea, sbraitava, e urlava a squarciagolale più sfrenate canzonacce da taverna, come per bravata:e vennero sbattuti contro un albero, e annegarono con labestemmia sulle labbra. Un gentiluomo – tale apparivadall’abito guarnito di pelliccia e dalla catena d’oro –colò a fondo quasi sotto gli occhi di Orlando, imploran-do la vendetta sui ribelli irlandesi, i quali, gridava conl’ultimo respiro, avevano complottato quella diavoleria.Molti perirono serrandosi al petto un vaso d’argento, oqualche altro tesoro; e una dozzina almeno di poverimeschini annegarono per la loro cupidigia, precipitan-dosi dai banchi nella corrente, piuttosto che lasciarsisfuggire un calice d’oro, o veder sparire dalla propria vi-sta un qualche vestimento di pelliccia. Suppellettili, og-getti di valore e di ogni specie, infatti, passavano tra-sportati dai ghiaccioni. Tra gli altri spettacoli, si poté ve-

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grappolo di queste misere creature giungeva su di unmedesimo banco; chi stava in ginocchio, chi nutriva unfantolino al seno. Un vecchio pareva leggere ad altavoce in un libro sacro. Talora, e la sorte di costoro eraforse la più spaventosa, uno sciagurato se ne veniva soloa cavalcioni su di uno stretto isolotto. E nell’andar versoil mare, s’udivano le grida di chi invano implorava aiu-to, di chi, a gran voce, urlava il proprio pentimento, con-fessando i peccati commessi e promettendo altari e ric-chezze dove il Signore avesse ascoltato quelle preci. Al-tri invece erano sbalorditi a tal punto dal terrore, che se-devano immoti, guardando costantemente muti avanti asé. Una banda di giovani marinai o postiglioni, a giudi-care dalla loro livrea, sbraitava, e urlava a squarciagolale più sfrenate canzonacce da taverna, come per bravata:e vennero sbattuti contro un albero, e annegarono con labestemmia sulle labbra. Un gentiluomo – tale apparivadall’abito guarnito di pelliccia e dalla catena d’oro –colò a fondo quasi sotto gli occhi di Orlando, imploran-do la vendetta sui ribelli irlandesi, i quali, gridava conl’ultimo respiro, avevano complottato quella diavoleria.Molti perirono serrandosi al petto un vaso d’argento, oqualche altro tesoro; e una dozzina almeno di poverimeschini annegarono per la loro cupidigia, precipitan-dosi dai banchi nella corrente, piuttosto che lasciarsisfuggire un calice d’oro, o veder sparire dalla propria vi-sta un qualche vestimento di pelliccia. Suppellettili, og-getti di valore e di ogni specie, infatti, passavano tra-sportati dai ghiaccioni. Tra gli altri spettacoli, si poté ve-

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dere una gatta che allattava i suoi piccoli, una tavola ric-camente imbandita per più di venti coperti, una coppia aletto; tutto alla rinfusa con una quantità stragrande diutensili da cucina.

Stupito, atterrito, per un po’ di tempo Orlando nonseppe far altro che starsene a contemplare la spaventosafuria che trasportava le acque dinanzi ai suoi occhi. Infi-ne parve riaversi, e, dato di sprone al cavallo, partì algaloppo lungo la riva, verso il mare. A una curva delfiume, si trovò di fronte a quel canale presso cui, pocomeno di due giorni prima, i vascelli degli Ambasciatoriparevano inamovibilmente costretti nella morsa delghiaccio. Rapidamente li contò: il Francese; lo Spa-gnuolo; l’Austriaco; il Turco. Galleggiavano ancora tut-ti, benché il Francese avesse rotto gli ormeggi, e il Tur-co facesse rapidamente acqua da una gran crepa nelfianco. Ma dov’era la nave dei russi? Per un istante, Or-lando si figurò che fosse colata a fondo; ma, sollevando-si sulle staffe e facendosi ombra con la mano agli occhiacuti quanto quelli di un falco, poté scorgere ancora,all’orizzonte, la forma d’una nave. Le aquile nere svo-lazzavano all’albero maestro. Il vascello dell’Ambascia-ta moscovita faceva vela verso il mare aperto.

Balzato di sella, nel suo furore Orlando fece come sevolesse slanciarsi ad abbracciare i flutti. Con l’acquache già gli arrivava ai ginocchi, urlò verso la donna in-fedele tutti gli improperi che sono stati sempre preroga-tiva del suo sesso. Infedele, incostante, infida, gridava;demonio, femmina adultera, ingannatrice; e le turbinose

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dere una gatta che allattava i suoi piccoli, una tavola ric-camente imbandita per più di venti coperti, una coppia aletto; tutto alla rinfusa con una quantità stragrande diutensili da cucina.

Stupito, atterrito, per un po’ di tempo Orlando nonseppe far altro che starsene a contemplare la spaventosafuria che trasportava le acque dinanzi ai suoi occhi. Infi-ne parve riaversi, e, dato di sprone al cavallo, partì algaloppo lungo la riva, verso il mare. A una curva delfiume, si trovò di fronte a quel canale presso cui, pocomeno di due giorni prima, i vascelli degli Ambasciatoriparevano inamovibilmente costretti nella morsa delghiaccio. Rapidamente li contò: il Francese; lo Spa-gnuolo; l’Austriaco; il Turco. Galleggiavano ancora tut-ti, benché il Francese avesse rotto gli ormeggi, e il Tur-co facesse rapidamente acqua da una gran crepa nelfianco. Ma dov’era la nave dei russi? Per un istante, Or-lando si figurò che fosse colata a fondo; ma, sollevando-si sulle staffe e facendosi ombra con la mano agli occhiacuti quanto quelli di un falco, poté scorgere ancora,all’orizzonte, la forma d’una nave. Le aquile nere svo-lazzavano all’albero maestro. Il vascello dell’Ambascia-ta moscovita faceva vela verso il mare aperto.

Balzato di sella, nel suo furore Orlando fece come sevolesse slanciarsi ad abbracciare i flutti. Con l’acquache già gli arrivava ai ginocchi, urlò verso la donna in-fedele tutti gli improperi che sono stati sempre preroga-tiva del suo sesso. Infedele, incostante, infida, gridava;demonio, femmina adultera, ingannatrice; e le turbinose

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acque raccolsero le sue parole, e gli gettarono ai piediuna pignatta rotta e una festuca di paglia.

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acque raccolsero le sue parole, e gli gettarono ai piediuna pignatta rotta e una festuca di paglia.

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II

Il biografo, a questo punto, si trova di fronte a unadifficoltà; e tanto vale confessarla, piuttosto che ricorre-re a scappatoie. Nel narrar la storia di Orlando, docu-menti storici e privati ci hanno reso possibile, finora, diadempiere al primo compito di un biografo, il quale do-vrebbe essere quello di porre i propri piedi, senza guar-dare a dritta e a manca, entro le indelebili orme della ve-rità; e senza pur lasciarsi sedurre né indurre a riguardida fiori come da ombre, procedere con metodo, sino ache insieme col suo eroe egli cadrà entro la fossa, e scri-verà, sulla lapide che la rinchiude, la parola finis. Eccociora a un episodio, il quale ci preclude questa diritta via,e in modo tale che non c’è verso di ignorarlo. Esso èoscuro, misterioso, e non abbiamo documenti in propo-sito, sicché vano sarebbe tentar di spiegarlo. Volumi po-trebbero scriversi nell’intento di interpretarlo; e interi si-stemi religiosi erigersi sul suo significato. Nostro doverepuro e semplice è di stabilire i fatti in quanto sono ac-certati; ne pensi il lettore ciò che più gli aggrada.

Nell’estate che seguì a quel calamitoso inverno, ilquale doveva vedere il Gran Gelo, l’inondazione, lamorte di migliaia di creature umane e il crollo di tutte le

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Il biografo, a questo punto, si trova di fronte a unadifficoltà; e tanto vale confessarla, piuttosto che ricorre-re a scappatoie. Nel narrar la storia di Orlando, docu-menti storici e privati ci hanno reso possibile, finora, diadempiere al primo compito di un biografo, il quale do-vrebbe essere quello di porre i propri piedi, senza guar-dare a dritta e a manca, entro le indelebili orme della ve-rità; e senza pur lasciarsi sedurre né indurre a riguardida fiori come da ombre, procedere con metodo, sino ache insieme col suo eroe egli cadrà entro la fossa, e scri-verà, sulla lapide che la rinchiude, la parola finis. Eccociora a un episodio, il quale ci preclude questa diritta via,e in modo tale che non c’è verso di ignorarlo. Esso èoscuro, misterioso, e non abbiamo documenti in propo-sito, sicché vano sarebbe tentar di spiegarlo. Volumi po-trebbero scriversi nell’intento di interpretarlo; e interi si-stemi religiosi erigersi sul suo significato. Nostro doverepuro e semplice è di stabilire i fatti in quanto sono ac-certati; ne pensi il lettore ciò che più gli aggrada.

Nell’estate che seguì a quel calamitoso inverno, ilquale doveva vedere il Gran Gelo, l’inondazione, lamorte di migliaia di creature umane e il crollo di tutte le

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speranze di Orlando – poiché egli fu esiliato dalla Corte;cadde in disgrazia presso i più potenti signori di queltempo; provocò la giusta collera dei Desmond d’Irlanda;quanto al Re, aveva già troppe gatte da pelare con gli ir-landesi, per non deliziarsi a quella storiella – inquell’estate, dunque, Orlando si ritirò nella sua vasta di-mora in campagna, per vivervi in completa solitudine.Un bel mattino – era sabato diciotto luglio – egli non sialzò all’ora consueta, e il domestico che venne a chia-marlo lo trovò profondamente addormentato. Né lo sipoté svegliare. Giaceva come immerso in sopore, senzarespiro percettibile; e per quanto si conducessero cani adabbaiar sotto le sue finestre, e cimbali e tamburi e casta-gnette risuonassero giorno e notte nella sua camera; eciuffi d’erica gli venissero posti sotto il guanciale e em-piastri di senapa ai piedi, pure Orlando non si destò, nonprese cibo, non dette segno di vita per sette giorni difila. Al settimo si svegliò all’ora solita (le otto meno unquarto precise) e si affrettò a cacciar dalle sue stanze lostuolo di fattucchiere e femmine miagolanti; cosa piùche naturale fin qui; ma lo strano era che egli non mo-strava coscienza del sopore da cui s’era destato; e, vesti-tosi, fece sellare il suo cavallo come se si fosse svegliatodal sonno consueto di tutti i giorni. Pure, vi fu chi so-spettò che qualche mutamento avesse avuto luogo nelsuo cervello, poiché, per quanto fosse perfettamente insé, anzi apparisse più grave e composto di modi chemai, sembrava serbar del passato un ricordo imperfetto.Quando si parlava del Gran Gelo, di pattinaggio, o del

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speranze di Orlando – poiché egli fu esiliato dalla Corte;cadde in disgrazia presso i più potenti signori di queltempo; provocò la giusta collera dei Desmond d’Irlanda;quanto al Re, aveva già troppe gatte da pelare con gli ir-landesi, per non deliziarsi a quella storiella – inquell’estate, dunque, Orlando si ritirò nella sua vasta di-mora in campagna, per vivervi in completa solitudine.Un bel mattino – era sabato diciotto luglio – egli non sialzò all’ora consueta, e il domestico che venne a chia-marlo lo trovò profondamente addormentato. Né lo sipoté svegliare. Giaceva come immerso in sopore, senzarespiro percettibile; e per quanto si conducessero cani adabbaiar sotto le sue finestre, e cimbali e tamburi e casta-gnette risuonassero giorno e notte nella sua camera; eciuffi d’erica gli venissero posti sotto il guanciale e em-piastri di senapa ai piedi, pure Orlando non si destò, nonprese cibo, non dette segno di vita per sette giorni difila. Al settimo si svegliò all’ora solita (le otto meno unquarto precise) e si affrettò a cacciar dalle sue stanze lostuolo di fattucchiere e femmine miagolanti; cosa piùche naturale fin qui; ma lo strano era che egli non mo-strava coscienza del sopore da cui s’era destato; e, vesti-tosi, fece sellare il suo cavallo come se si fosse svegliatodal sonno consueto di tutti i giorni. Pure, vi fu chi so-spettò che qualche mutamento avesse avuto luogo nelsuo cervello, poiché, per quanto fosse perfettamente insé, anzi apparisse più grave e composto di modi chemai, sembrava serbar del passato un ricordo imperfetto.Quando si parlava del Gran Gelo, di pattinaggio, o del

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Carnevale, egli ascoltava, ma non dava a vedere d’aver-vi mai assistito di persona, se non forse passandosi lamano sulla fronte, come a scacciarvi qualche nube. Al-lorché si discutevano gli avvenimenti degli ultimi seimesi, egli non pareva tanto addolorato quanto intrigato,quasi fosse contrariato da ricordi vaghi di un tempo or-mai lontano, o cercasse di rammentare una storia uditaper bocca di un altro. Fu notato che quando si parlavadella Russia, di principesse o di vascelli, egli manifesta-va un ipocondriaco imbarazzo, si alzava, guardava fuordella finestra, o chiamava uno dei suoi cani, o prendevaun coltello e si metteva a scolpire un pezzetto di legnodi cedro. Ma i medici di allora non ne sapevano più diquelli di oggi, e dopo avergli prescritto riposo ed eserci-zio, digiuno e nutrimento, compagnia e solitudine, ripo-so in letto per tutto il giorno e quaranta miglia a cavallofra colazione e pranzo – per non dir dei consueti sedativie stimolanti, variati a seconda della loro fantasia, dai be-veraggi di bava di ramarro al mattino ai sorsi di fiele dipavone prima di coricarsi – esaurita la loro scienza loabbandonarono alla sua sorte, e dichiararono, per tuttaspiegazione, che aveva dormito per una settimana.

Ma se sonno era, è lecito domandare di che naturapuò mai essere un sonno simile? Rappresenta esso unmezzo di difesa dell’organismo, un letargo, per cui i ri-cordi più amari, gli avvenimenti che si direbbe debbanoinfrangere per sempre un’esistenza, sono spazzati via daun’ala oscura, che ne attenua le asprezze e li cosparged’un dorato pulviscolo, il quale conferisce anche ai più

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Carnevale, egli ascoltava, ma non dava a vedere d’aver-vi mai assistito di persona, se non forse passandosi lamano sulla fronte, come a scacciarvi qualche nube. Al-lorché si discutevano gli avvenimenti degli ultimi seimesi, egli non pareva tanto addolorato quanto intrigato,quasi fosse contrariato da ricordi vaghi di un tempo or-mai lontano, o cercasse di rammentare una storia uditaper bocca di un altro. Fu notato che quando si parlavadella Russia, di principesse o di vascelli, egli manifesta-va un ipocondriaco imbarazzo, si alzava, guardava fuordella finestra, o chiamava uno dei suoi cani, o prendevaun coltello e si metteva a scolpire un pezzetto di legnodi cedro. Ma i medici di allora non ne sapevano più diquelli di oggi, e dopo avergli prescritto riposo ed eserci-zio, digiuno e nutrimento, compagnia e solitudine, ripo-so in letto per tutto il giorno e quaranta miglia a cavallofra colazione e pranzo – per non dir dei consueti sedativie stimolanti, variati a seconda della loro fantasia, dai be-veraggi di bava di ramarro al mattino ai sorsi di fiele dipavone prima di coricarsi – esaurita la loro scienza loabbandonarono alla sua sorte, e dichiararono, per tuttaspiegazione, che aveva dormito per una settimana.

Ma se sonno era, è lecito domandare di che naturapuò mai essere un sonno simile? Rappresenta esso unmezzo di difesa dell’organismo, un letargo, per cui i ri-cordi più amari, gli avvenimenti che si direbbe debbanoinfrangere per sempre un’esistenza, sono spazzati via daun’ala oscura, che ne attenua le asprezze e li cosparged’un dorato pulviscolo, il quale conferisce anche ai più

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brutti, ai più ignobili, un certo lustro, un certo fulgore?È dunque necessario che di tanto in tanto la morte pongail suo dito sul tumulto della vita, onde impedirle di spez-zarci? La natura umana è dunque di tale fattura da doverprendere la morte a piccole dosi, giorno per giorno, perpoter continuare la vita? E allora, quali strane forze sonodunque queste che penetrano le nostre vie più segrete,cangiando i nostri beni più preziosi senza curarsi del no-stro volere? Forse che Orlando, sfinito dalla violenzadel suo soffrire, era morto per una settimana, per poi ri-suscitare a vita? E se così è, di che natura è la morte, edi che natura è la vita? Avendo atteso più di una buonamezz’ora la risposta a queste domande, senza ricevernealcuna, proseguiamo dunque il nostro racconto.

Orlando, abbiamo detto, s’era dato a un’esistenza so-litaria, principalmente per la disgrazia in cui era cadutoa Corte, e per l’acuto dolore provato: ma poiché non fa-ceva alcuno sforzo per difendersi, e di rado invitavaqualcuno a venirlo a trovare (e sì che aveva più d’unamico il quale avrebbe gradito l’invito), è da credere chequella solitudine nella gran casa dei suoi padri bene siaddicesse al suo carattere. L’isolamento gli andava a ge-nio. Come poi passasse il suo tempo, nessuno avrebbesaputo dir bene. I domestici che in cospicuo numeroaveva mantenuto al proprio servizio – benché le loromansioni consistessero, in gran parte, nello spolverarcamere disabitate e nello sprimacciar copripiedi di lettidove nessuno dormiva mai – seduti davanti a un piattodi pasticcio e a un boccale di birra, vedevano nell’ombra

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brutti, ai più ignobili, un certo lustro, un certo fulgore?È dunque necessario che di tanto in tanto la morte pongail suo dito sul tumulto della vita, onde impedirle di spez-zarci? La natura umana è dunque di tale fattura da doverprendere la morte a piccole dosi, giorno per giorno, perpoter continuare la vita? E allora, quali strane forze sonodunque queste che penetrano le nostre vie più segrete,cangiando i nostri beni più preziosi senza curarsi del no-stro volere? Forse che Orlando, sfinito dalla violenzadel suo soffrire, era morto per una settimana, per poi ri-suscitare a vita? E se così è, di che natura è la morte, edi che natura è la vita? Avendo atteso più di una buonamezz’ora la risposta a queste domande, senza ricevernealcuna, proseguiamo dunque il nostro racconto.

Orlando, abbiamo detto, s’era dato a un’esistenza so-litaria, principalmente per la disgrazia in cui era cadutoa Corte, e per l’acuto dolore provato: ma poiché non fa-ceva alcuno sforzo per difendersi, e di rado invitavaqualcuno a venirlo a trovare (e sì che aveva più d’unamico il quale avrebbe gradito l’invito), è da credere chequella solitudine nella gran casa dei suoi padri bene siaddicesse al suo carattere. L’isolamento gli andava a ge-nio. Come poi passasse il suo tempo, nessuno avrebbesaputo dir bene. I domestici che in cospicuo numeroaveva mantenuto al proprio servizio – benché le loromansioni consistessero, in gran parte, nello spolverarcamere disabitate e nello sprimacciar copripiedi di lettidove nessuno dormiva mai – seduti davanti a un piattodi pasticcio e a un boccale di birra, vedevano nell’ombra

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della sera un lume errare per le gallerie, attraverso leimmense sale, su per gli scaloni, entro le camere da let-to; e sapevano, allora, che il loro signore s’aggirava soloper la casa. Nessuno osava seguirlo, ché la casa, fral’altro, era visitata da una gran varietà di spettri, e la suavastità faceva sì che ci si potesse facilmente smarrire eruzzolare per qualche scaletta nascosta, o aprire unaporta che, dove soffiasse il vento, vi avrebbe còlto intrappola per sempre: incidenti tutt’altro che rari, comelo attestavano le frequenti scoperte di scheletri umani eanimali nell’atteggiamento della più atroce agonia. In-tanto, il lumino scompariva, e Mistress Grimsditch, lagovernante di casa, discorrendo col reverendo Dupper, ilcappellano, faceva voti affinché Sua Grazia non fosseincorso in qualche sinistro. Il reverendo Dupper opina-va, lui, che senza alcun dubbio Sua Grazia fosse in gi-nocchio fra le tombe dei suoi avi, nella Cappella che sitrovava nella Corte del Bigliardo, nell’ala a mezzogior-no, a mezzo miglio di là. Poiché, temeva il Reverendo,doveva aver più d’un peccato sulla coscienza; al cheMistress Grimsditch replicava piuttosto brusca che neabbiamo tutti quanti; e Mistress Stewkley e MistressField e la Carpenter, la vecchia nutrice, tutte levavano lavoce a lode di Sua Grazia; e valletti e garzoni di mensagiuravano che era un vero crepacuore vedere un così belgentiluomo immusonirsi in casa, invece di cacciar lavolpe o correre il cervo; e financo le piccole lavandaie ele sguattere di cucina, Judy e Faith o come si chiamava-no, che servivano in giro boccali e piatti di pasticcio, fa-

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della sera un lume errare per le gallerie, attraverso leimmense sale, su per gli scaloni, entro le camere da let-to; e sapevano, allora, che il loro signore s’aggirava soloper la casa. Nessuno osava seguirlo, ché la casa, fral’altro, era visitata da una gran varietà di spettri, e la suavastità faceva sì che ci si potesse facilmente smarrire eruzzolare per qualche scaletta nascosta, o aprire unaporta che, dove soffiasse il vento, vi avrebbe còlto intrappola per sempre: incidenti tutt’altro che rari, comelo attestavano le frequenti scoperte di scheletri umani eanimali nell’atteggiamento della più atroce agonia. In-tanto, il lumino scompariva, e Mistress Grimsditch, lagovernante di casa, discorrendo col reverendo Dupper, ilcappellano, faceva voti affinché Sua Grazia non fosseincorso in qualche sinistro. Il reverendo Dupper opina-va, lui, che senza alcun dubbio Sua Grazia fosse in gi-nocchio fra le tombe dei suoi avi, nella Cappella che sitrovava nella Corte del Bigliardo, nell’ala a mezzogior-no, a mezzo miglio di là. Poiché, temeva il Reverendo,doveva aver più d’un peccato sulla coscienza; al cheMistress Grimsditch replicava piuttosto brusca che neabbiamo tutti quanti; e Mistress Stewkley e MistressField e la Carpenter, la vecchia nutrice, tutte levavano lavoce a lode di Sua Grazia; e valletti e garzoni di mensagiuravano che era un vero crepacuore vedere un così belgentiluomo immusonirsi in casa, invece di cacciar lavolpe o correre il cervo; e financo le piccole lavandaie ele sguattere di cucina, Judy e Faith o come si chiamava-no, che servivano in giro boccali e piatti di pasticcio, fa-

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cevano udire le vocine stridule, a testimoniare della ga-lanteria di Sua Grazia; non s’era mai visto, invero, si-gnore più cortese né più prodigo di quelle monetined’argento tanto gradite alle ragazze per comprarsi unagala di nastro o un fiore per i capelli; e persino la Morache avevano battezzato Grace Robinson nella speranzadi farne una cristiana, quando aveva capito di che si par-lava, conveniva che Sua Grazia era un grazioso, un pia-cevole, un caro signore, esprimendosi come meglio po-teva una Mora, cioè spalancando tutti i denti in un largosorriso. Per farla breve, tutti i servitori di Orlando, uo-mini e donne, lo tenevano in gran rispetto, e maledice-vano la straniera, la Principessa (anzi le davano unnome ben più crudo) che lo aveva ridotto a tal punto.

Ma per quanto, probabilmente, codardia o amor dellabirra calda soltanto traessero il reverendo Dupper a im-maginare Sua Grazia al sicuro in preghiera fra le tombe,sicché non v’era alcun bisogno di andare in cerca di lui,poteva ben darsi il caso ch’egli avesse ragione. Orlando,ora, trovava strane voluttà in pensieri di morte e di sfa-celo, e dopo aver percorso le lunghe gallerie e le sale daballo con un doppiere in mano, contemplando un ritrattodopo l’altro come se vi cercasse una rassomiglianza chenon riusciva a scoprire, entrava infine nella Cappella, elà, seduto nel banco di famiglia, passava ore a guardargli stendardi che il vento muoveva, e il tremolar d’unraggio di luna, in compagnia d’un pipistrello o d’un far-fallone a testa di morto. Ma ciò non gli bastava ancora;si sentiva tratto a scendere nella cripta dove, da dieci ge-

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cevano udire le vocine stridule, a testimoniare della ga-lanteria di Sua Grazia; non s’era mai visto, invero, si-gnore più cortese né più prodigo di quelle monetined’argento tanto gradite alle ragazze per comprarsi unagala di nastro o un fiore per i capelli; e persino la Morache avevano battezzato Grace Robinson nella speranzadi farne una cristiana, quando aveva capito di che si par-lava, conveniva che Sua Grazia era un grazioso, un pia-cevole, un caro signore, esprimendosi come meglio po-teva una Mora, cioè spalancando tutti i denti in un largosorriso. Per farla breve, tutti i servitori di Orlando, uo-mini e donne, lo tenevano in gran rispetto, e maledice-vano la straniera, la Principessa (anzi le davano unnome ben più crudo) che lo aveva ridotto a tal punto.

Ma per quanto, probabilmente, codardia o amor dellabirra calda soltanto traessero il reverendo Dupper a im-maginare Sua Grazia al sicuro in preghiera fra le tombe,sicché non v’era alcun bisogno di andare in cerca di lui,poteva ben darsi il caso ch’egli avesse ragione. Orlando,ora, trovava strane voluttà in pensieri di morte e di sfa-celo, e dopo aver percorso le lunghe gallerie e le sale daballo con un doppiere in mano, contemplando un ritrattodopo l’altro come se vi cercasse una rassomiglianza chenon riusciva a scoprire, entrava infine nella Cappella, elà, seduto nel banco di famiglia, passava ore a guardargli stendardi che il vento muoveva, e il tremolar d’unraggio di luna, in compagnia d’un pipistrello o d’un far-fallone a testa di morto. Ma ciò non gli bastava ancora;si sentiva tratto a scendere nella cripta dove, da dieci ge-

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nerazioni, giacevano sepolti i suoi avi, in quelle bareammassate le une sulle altre. In quel luogo entrava sì dirado un piede umano, che i topi avevano avuto agio dirodere il piombo delle bare, e accadeva che Orlandos’attaccasse col mantello a un femore, o che il teschiod’un vecchio Sir Malise scricchiolasse sotto il suo pie-de. Era un avello spettrale; scavandolo profondo sotto lefondamenta della casa, si sarebbe detto che il primoLord della famiglia, venuto dalla Francia con Guglielmoil Conquistatore, avesse voluto significare come ognipompa riposa sulla corruzione; come la nostra carne na-sconda uno scheletro; come, dopo aver ballato e cantatodi sopra, dovremo giacere un giorno qui sotto; come ilvelluto scarlatto diventerà polvere; come l’anello (quiOrlando, abbassando il suo lume, raccoglieva un cerchiod’oro vedovo della pietra, rotolata in qualche angolo)perde il rubino, e l’occhio più fulgido cesserà un giornodi brillare.

«Che cosa ne rimane, di tutti questi principi?» dicevaOrlando, indulgendo in un’esagerazione, ben scusabile,del loro rango. «Nulla, fuorché una falange»; e prenden-do nella sua la mano d’uno scheletro, ne piegava le arti-colazioni. «A chi sarà appartenuta questa mano?» segui-tava a domandare. «Era la destra o la sinistra? Manod’uomo o di donna? D’un vecchio o d’un giovine? Haspinto il cavallo alla battaglia, o reggeva l’ago? Ha rac-colto la rosa, o stretto il freddo acciaio? Ha...» ma qui lafantasia gli veniva meno, o, assai più probabilmente, glisuggeriva tanti esempi di ciò che può fare una mano,

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nerazioni, giacevano sepolti i suoi avi, in quelle bareammassate le une sulle altre. In quel luogo entrava sì dirado un piede umano, che i topi avevano avuto agio dirodere il piombo delle bare, e accadeva che Orlandos’attaccasse col mantello a un femore, o che il teschiod’un vecchio Sir Malise scricchiolasse sotto il suo pie-de. Era un avello spettrale; scavandolo profondo sotto lefondamenta della casa, si sarebbe detto che il primoLord della famiglia, venuto dalla Francia con Guglielmoil Conquistatore, avesse voluto significare come ognipompa riposa sulla corruzione; come la nostra carne na-sconda uno scheletro; come, dopo aver ballato e cantatodi sopra, dovremo giacere un giorno qui sotto; come ilvelluto scarlatto diventerà polvere; come l’anello (quiOrlando, abbassando il suo lume, raccoglieva un cerchiod’oro vedovo della pietra, rotolata in qualche angolo)perde il rubino, e l’occhio più fulgido cesserà un giornodi brillare.

«Che cosa ne rimane, di tutti questi principi?» dicevaOrlando, indulgendo in un’esagerazione, ben scusabile,del loro rango. «Nulla, fuorché una falange»; e prenden-do nella sua la mano d’uno scheletro, ne piegava le arti-colazioni. «A chi sarà appartenuta questa mano?» segui-tava a domandare. «Era la destra o la sinistra? Manod’uomo o di donna? D’un vecchio o d’un giovine? Haspinto il cavallo alla battaglia, o reggeva l’ago? Ha rac-colto la rosa, o stretto il freddo acciaio? Ha...» ma qui lafantasia gli veniva meno, o, assai più probabilmente, glisuggeriva tanti esempi di ciò che può fare una mano,

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che secondo la sua abitudine egli indietreggiava dinanzialla concisione, virtù cardinale dello stile, e riponeva lamano insieme alle altre ossa, rammentando che esistevauno scrittore, certo Thomas Browne,5 dottore a Norwi-ch, i cui scritti su temi simili lo interessavano immensa-mente.

Così, riprendendo il lume, dopo aver badato a che leossa fossero a posto – poiché per quanto romantico erasingolarmente metodico, e nulla lo contrariava tantoquanto un gomitolo di spago per terra, figuriamoci dun-que il teschio di un antenato – Orlando tornava a quellestrane e meste peregrinazioni per le gallerie, sempre cer-cando, cercando fra i quadri; fino a che non lo interrom-peva una vera crisi di singhiozzi, dinanzi a un paesaggiodi neve di un ignoto fiammingo. Gli pareva, allora, chela vita non valesse più la pena di essere vissuta. Dimen-tico delle ossa degli antenati, dimentico che la vita hauna tomba a fondamento, se ne stava lì, scosso dai sin-ghiozzi, pazzo di desiderio per una femmina in pantalo-ni alla russa, dagli occhi obliqui, dalla bocca imbroncia-ta e dalle perle al collo. Se ne era andata. Lo aveva ab-bandonato. Non l’avrebbe vista mai più. E singhiozzavapiù che mai, tornando verso le sue stanze; e MistressGrimsditch, vedendo la finestra illuminarsi, posava ilboccale dalle labbra, e diceva: «Dio sia lodato». SuaGrazia era tornato sano e salvo; davvero, fino a quelmomento l’aveva creduto crudelmente trucidato.5 Sir Thomas Browne (1605-82), autore di Religio Medici (1643), uno deigrandi prosatori inglesi del Seicento. (N.d.T.)

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che secondo la sua abitudine egli indietreggiava dinanzialla concisione, virtù cardinale dello stile, e riponeva lamano insieme alle altre ossa, rammentando che esistevauno scrittore, certo Thomas Browne,5 dottore a Norwi-ch, i cui scritti su temi simili lo interessavano immensa-mente.

Così, riprendendo il lume, dopo aver badato a che leossa fossero a posto – poiché per quanto romantico erasingolarmente metodico, e nulla lo contrariava tantoquanto un gomitolo di spago per terra, figuriamoci dun-que il teschio di un antenato – Orlando tornava a quellestrane e meste peregrinazioni per le gallerie, sempre cer-cando, cercando fra i quadri; fino a che non lo interrom-peva una vera crisi di singhiozzi, dinanzi a un paesaggiodi neve di un ignoto fiammingo. Gli pareva, allora, chela vita non valesse più la pena di essere vissuta. Dimen-tico delle ossa degli antenati, dimentico che la vita hauna tomba a fondamento, se ne stava lì, scosso dai sin-ghiozzi, pazzo di desiderio per una femmina in pantalo-ni alla russa, dagli occhi obliqui, dalla bocca imbroncia-ta e dalle perle al collo. Se ne era andata. Lo aveva ab-bandonato. Non l’avrebbe vista mai più. E singhiozzavapiù che mai, tornando verso le sue stanze; e MistressGrimsditch, vedendo la finestra illuminarsi, posava ilboccale dalle labbra, e diceva: «Dio sia lodato». SuaGrazia era tornato sano e salvo; davvero, fino a quelmomento l’aveva creduto crudelmente trucidato.5 Sir Thomas Browne (1605-82), autore di Religio Medici (1643), uno deigrandi prosatori inglesi del Seicento. (N.d.T.)

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Orlando, allora, accostava la poltrona al tavolo; apri-va un volume delle opere di Sir Thomas Browne, es’immergeva nello studio della più delicata struttura diuna fra le più lunghe e mirabilmente contorte elucubra-zioni del dottore.

Se pure non sono questi i soggetti sui quali un biogra-fo trova il suo tornaconto a diffondersi, sarà abbastanzapalese a coloro i quali finora han saputo leggere fra lerighe, e da pochi accenni gettati qua e là interpretare i li-miti e l’estensione di una personalità; coloro i quali odo-no, nel nostro minimo sussurrare, l’accento di una voceumana; e sanno vedere, anche se spesso non vi accen-niamo neppur di sfuggita, quale fosse l’aspetto del no-stro eroe; e leggono come in un libro aperto nel suo pen-siero senza che una parola nostra li guidi; quei lettori – èper essi e non per altri che noi scriviamo – si sarannogià accorti come la natura di Orlando fosse singolar-mente composita di vari umori: malinconia, indolenza,passione, inclinazione alla solitudine, per non dire delleaberrazioni e sottigliezze di carattere sottolineate sindalla prima pagina, allorché egli guerreggiava controuna testa di Moro, e la spiccava dal soffitto per poi tor-nare ad appenderla cavallerescamente fuori della suaportata; e andava a sedere, in ultimo, con un libro nelvano della finestra. Il gusto per i libri era nato presto inlui. Fanciullo, un paggio lo trovava talvolta a mezzanot-te ancora intento a leggere. Gli toglievano il candeliere,ed egli allevava delle lucciole per sostituirlo. Gli toglie-vano le lucciole, ed egli per poco non metteva a fuoco la

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Orlando, allora, accostava la poltrona al tavolo; apri-va un volume delle opere di Sir Thomas Browne, es’immergeva nello studio della più delicata struttura diuna fra le più lunghe e mirabilmente contorte elucubra-zioni del dottore.

Se pure non sono questi i soggetti sui quali un biogra-fo trova il suo tornaconto a diffondersi, sarà abbastanzapalese a coloro i quali finora han saputo leggere fra lerighe, e da pochi accenni gettati qua e là interpretare i li-miti e l’estensione di una personalità; coloro i quali odo-no, nel nostro minimo sussurrare, l’accento di una voceumana; e sanno vedere, anche se spesso non vi accen-niamo neppur di sfuggita, quale fosse l’aspetto del no-stro eroe; e leggono come in un libro aperto nel suo pen-siero senza che una parola nostra li guidi; quei lettori – èper essi e non per altri che noi scriviamo – si sarannogià accorti come la natura di Orlando fosse singolar-mente composita di vari umori: malinconia, indolenza,passione, inclinazione alla solitudine, per non dire delleaberrazioni e sottigliezze di carattere sottolineate sindalla prima pagina, allorché egli guerreggiava controuna testa di Moro, e la spiccava dal soffitto per poi tor-nare ad appenderla cavallerescamente fuori della suaportata; e andava a sedere, in ultimo, con un libro nelvano della finestra. Il gusto per i libri era nato presto inlui. Fanciullo, un paggio lo trovava talvolta a mezzanot-te ancora intento a leggere. Gli toglievano il candeliere,ed egli allevava delle lucciole per sostituirlo. Gli toglie-vano le lucciole, ed egli per poco non metteva a fuoco la

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casa con una esca. Per dirla in nuce, lasciando al novel-liere la cura di spianare le infinite pieghe della seta delleanime, Orlando era un aristocratico malato d’amore perla letteratura. Parecchi contemporanei suoi, e più ancoraparecchi del suo rango, sfuggirono a quella peste, rima-nendo così liberi di correre la cavallina, scatenarsi o fareall’amore a piacimento loro. Ma alcuni s’infettarono dibuon’ora di un germe che si diceva nato dal pollinedell’asfodelo, e portato dai venti di Grecia o d’Italia;germe di natura così fatale da far tremare la mano pron-ta a colpire, da velare l’occhio intento a mirare la preda,da far balbettare la lingua mentre profferiva paroled’amore. Era nella natura funesta di questo male il sosti-tuire un fantasma alla realtà, cosicché a Orlando, il qua-le tutto aveva in dono dalla fortuna – vasellame, linge-ria, case, servitori, tappeti, letti a profusione – bastavaaprire un libro, perché tanto ben di Dio dileguasse infumo. I nove acri di pietra che formavano la sua casasvanivano; sparivano i centocinquanta valletti: invisibilidiventavano gli ottanta palafreni; e troppo ci vorrebbe aenumerare i tappeti, i divani, i finimenti, le porcellane diCina, le argenterie, le ampolle, gli scaldavivande e glialtri beni mobili, non di rado d’oro battuto, i quali sottol’influsso del miasma svaporavano come bruma sulmare. Dopo di che, Orlando rimaneva solo a leggere,nudo come un bruco.

In quella solitudine, il male faceva rapidi progressi sudi lui. Spesso egli leggeva per sei ore di fila, fino a nottealta; e quando si veniva a prendere i suoi ordini per il

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casa con una esca. Per dirla in nuce, lasciando al novel-liere la cura di spianare le infinite pieghe della seta delleanime, Orlando era un aristocratico malato d’amore perla letteratura. Parecchi contemporanei suoi, e più ancoraparecchi del suo rango, sfuggirono a quella peste, rima-nendo così liberi di correre la cavallina, scatenarsi o fareall’amore a piacimento loro. Ma alcuni s’infettarono dibuon’ora di un germe che si diceva nato dal pollinedell’asfodelo, e portato dai venti di Grecia o d’Italia;germe di natura così fatale da far tremare la mano pron-ta a colpire, da velare l’occhio intento a mirare la preda,da far balbettare la lingua mentre profferiva paroled’amore. Era nella natura funesta di questo male il sosti-tuire un fantasma alla realtà, cosicché a Orlando, il qua-le tutto aveva in dono dalla fortuna – vasellame, linge-ria, case, servitori, tappeti, letti a profusione – bastavaaprire un libro, perché tanto ben di Dio dileguasse infumo. I nove acri di pietra che formavano la sua casasvanivano; sparivano i centocinquanta valletti: invisibilidiventavano gli ottanta palafreni; e troppo ci vorrebbe aenumerare i tappeti, i divani, i finimenti, le porcellane diCina, le argenterie, le ampolle, gli scaldavivande e glialtri beni mobili, non di rado d’oro battuto, i quali sottol’influsso del miasma svaporavano come bruma sulmare. Dopo di che, Orlando rimaneva solo a leggere,nudo come un bruco.

In quella solitudine, il male faceva rapidi progressi sudi lui. Spesso egli leggeva per sei ore di fila, fino a nottealta; e quando si veniva a prendere i suoi ordini per il

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bestiame da macellare o per la mietitura del frumento,egli spingeva da parte il suo in-folio e alzava lo sguardocon l’aria di non capire ciò che gli dicevano. Era pureun gran guaio, e Hall il falconiere, Mistress Grimsditchla governante e il reverendo Dupper si sentivano strin-gere il cuore. Un signore così avvenente, dicevano, nonha bisogno di libri. Li lasci un po’ ai paralitici, ai mori-bondi, i libri, dicevano. Ma dovevano vedere di peggio.Poiché una volta che il baco dei libri si è impadronitodel sistema umano, lo indebolisce tanto che esso diventauna facile preda per quell’altro flagello, quello che siannida in fondo ai calamai e i cui germi pullulano incima alla penna. La vittima incomincia a scrivere. E se ègià un male abbastanza molesto per un pover’uomo, ilquale non possiede altro che una seggiola e un tavolinosotto un tetto malandato, e quindi non ha gran che daperdere, tanto più triste e degno di compassione sarà lostato del ricco, il quale ha case e bestiame, cameriste,asini e tela, eppure passa il tempo a scriver libri. Ma tut-te quelle cose hanno perso il loro sapore per lui; un ferrorovente lo punge; egli è roso dai vermi. Darebbe finl’ultimo quattrino (tanto maligno è quel germe!) pur discrivere un libretto che gli desse fama; eppure, tuttol’oro del Perù non varrebbe a comprargli il tesoro d’unsolo verso ben tornito. Così dunque egli si consuma, de-perisce; il cervello gli scoppia, egli non distoglie più lafaccia dal muro. Poco gli importa che lo si scopra inqualsiasi attitudine. Egli ha oltrepassato i cancelli dellaMorte e conosce le fiamme dell’Inferno.

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bestiame da macellare o per la mietitura del frumento,egli spingeva da parte il suo in-folio e alzava lo sguardocon l’aria di non capire ciò che gli dicevano. Era pureun gran guaio, e Hall il falconiere, Mistress Grimsditchla governante e il reverendo Dupper si sentivano strin-gere il cuore. Un signore così avvenente, dicevano, nonha bisogno di libri. Li lasci un po’ ai paralitici, ai mori-bondi, i libri, dicevano. Ma dovevano vedere di peggio.Poiché una volta che il baco dei libri si è impadronitodel sistema umano, lo indebolisce tanto che esso diventauna facile preda per quell’altro flagello, quello che siannida in fondo ai calamai e i cui germi pullulano incima alla penna. La vittima incomincia a scrivere. E se ègià un male abbastanza molesto per un pover’uomo, ilquale non possiede altro che una seggiola e un tavolinosotto un tetto malandato, e quindi non ha gran che daperdere, tanto più triste e degno di compassione sarà lostato del ricco, il quale ha case e bestiame, cameriste,asini e tela, eppure passa il tempo a scriver libri. Ma tut-te quelle cose hanno perso il loro sapore per lui; un ferrorovente lo punge; egli è roso dai vermi. Darebbe finl’ultimo quattrino (tanto maligno è quel germe!) pur discrivere un libretto che gli desse fama; eppure, tuttol’oro del Perù non varrebbe a comprargli il tesoro d’unsolo verso ben tornito. Così dunque egli si consuma, de-perisce; il cervello gli scoppia, egli non distoglie più lafaccia dal muro. Poco gli importa che lo si scopra inqualsiasi attitudine. Egli ha oltrepassato i cancelli dellaMorte e conosce le fiamme dell’Inferno.

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Fortunatamente, Orlando era di costituzione robusta,e il male (per ragioni che diremo subito) non lo abbattémai al punto di parecchi suoi pari. Certo, egli ne era as-sai scosso, come lo mostreranno in seguito i fatti. Dopoaver letto nelle opere di Sir Thomas Browne per un’orao due, quando il bramito del cervo o il grido della rondadi notte gli ebbero detto che la notte era al culmine, e lacasa intera immersa nel più profondo sonno, egli attra-versò la stanza, cavò di tasca una chiave d’argento e di-schiuse gli sportelli di un grande armadio intarsiato cheoccupava tutto un angolo della stanza. L’interno conte-neva una cinquantina di cassetti in legno di cedro, ognu-no dei quali recava un’etichetta vergata con cura dallamano di Orlando. Egli sostò, come se fosse incerto qua-le aprire. L’una scritta diceva “La Morte di Ajace”,un’altra “La Nascita di Piramo”, un’altra “Ifigenia inAulide”, un’altra “La Morte di Ippolito”, un’altra “Me-leagro”, un’altra “Il Ritorno di Odisseo”; insomma, nonv’era quasi cassetto che non mostrasse il nome di unpersonaggio mitologico a un punto critico della sua car-riera. E ognuno conteneva un documento di considere-voli proporzioni, scritto interamente di pugno d’Orlan-do. La verità è che Orlando era malato ormai da moltianni. Mai fanciullo aveva mendicato una mela, o deiconfetti, come Orlando aveva mendicato carta e inchio-stro. Fuggendo lungi dai conversari e dai giochi, eglis’era nascosto dietro i tendaggi, o negli oratori segreti,6

6 Oratori dove, sotto la Riforma, i preti cattolici si nascondevano dalle perse-cuzioni. (N.d.T.)

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Fortunatamente, Orlando era di costituzione robusta,e il male (per ragioni che diremo subito) non lo abbattémai al punto di parecchi suoi pari. Certo, egli ne era as-sai scosso, come lo mostreranno in seguito i fatti. Dopoaver letto nelle opere di Sir Thomas Browne per un’orao due, quando il bramito del cervo o il grido della rondadi notte gli ebbero detto che la notte era al culmine, e lacasa intera immersa nel più profondo sonno, egli attra-versò la stanza, cavò di tasca una chiave d’argento e di-schiuse gli sportelli di un grande armadio intarsiato cheoccupava tutto un angolo della stanza. L’interno conte-neva una cinquantina di cassetti in legno di cedro, ognu-no dei quali recava un’etichetta vergata con cura dallamano di Orlando. Egli sostò, come se fosse incerto qua-le aprire. L’una scritta diceva “La Morte di Ajace”,un’altra “La Nascita di Piramo”, un’altra “Ifigenia inAulide”, un’altra “La Morte di Ippolito”, un’altra “Me-leagro”, un’altra “Il Ritorno di Odisseo”; insomma, nonv’era quasi cassetto che non mostrasse il nome di unpersonaggio mitologico a un punto critico della sua car-riera. E ognuno conteneva un documento di considere-voli proporzioni, scritto interamente di pugno d’Orlan-do. La verità è che Orlando era malato ormai da moltianni. Mai fanciullo aveva mendicato una mela, o deiconfetti, come Orlando aveva mendicato carta e inchio-stro. Fuggendo lungi dai conversari e dai giochi, eglis’era nascosto dietro i tendaggi, o negli oratori segreti,6

6 Oratori dove, sotto la Riforma, i preti cattolici si nascondevano dalle perse-cuzioni. (N.d.T.)

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o nello spogliatoio dietro la camera da letto di sua ma-dre (il quale aveva una buca nel pavimento e puzzavamaledettamente di sterco di stornello), con un calamaioin mano, una penna nell’altra e sulle ginocchia un rotolodi carta. Perciò, prima dei venticinque anni aveva pon-zato circa quarantacinque manoscritti, tra commedie,istorie, romanzi e poemi; alcuni in prosa, altri in versi;alcuni in francese, altri in italiano; tutti assai romantici,e discretamente lunghi. Uno l’aveva fatto stampare pres-so John Ball, all’Insegna delle Piume e della Corona, infaccia alla Croce di San Paolo in Cheapside; ma perquanto la vista di quel volume gli procurasse un’estremadelizia, mai aveva osato mostrarlo neppure a sua madre;ben sapendo che il pubblicare, ancor più dello scrivere,rappresenta per il gentiluomo una colpa inespiabile.

Nel cuor di quella notte, dunque, Orlando trasse daquel recesso un grosso manoscritto, il quale aveva pertitolo “Xenofila – Tragedia” o qualcosa di simile, e unaltro, più sottile, che, a differenza di tutti gli altri, era in-titolato semplicemente “La Quercia”; e, accostato a sé ilcalamaio, prese la penna tra le dita, e compié tutte le al-tre cerimonie con cui gli affetti da quel morbo sono soli-ti iniziare i loro riti. Ma tosto si arrestò.

Essendo questa pausa grave di significato per la no-stra storia, assai più significativa, invero, di molte azioniche costringono gli uomini a piegare il ginocchio e fan-no i fiumi colorati in rosso, ci è d’uopo domandarci ilperché Orlando si arrestasse; ed ecco la ragione che,dopo matura riflessione, ne diamo noi. La Natura, la

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o nello spogliatoio dietro la camera da letto di sua ma-dre (il quale aveva una buca nel pavimento e puzzavamaledettamente di sterco di stornello), con un calamaioin mano, una penna nell’altra e sulle ginocchia un rotolodi carta. Perciò, prima dei venticinque anni aveva pon-zato circa quarantacinque manoscritti, tra commedie,istorie, romanzi e poemi; alcuni in prosa, altri in versi;alcuni in francese, altri in italiano; tutti assai romantici,e discretamente lunghi. Uno l’aveva fatto stampare pres-so John Ball, all’Insegna delle Piume e della Corona, infaccia alla Croce di San Paolo in Cheapside; ma perquanto la vista di quel volume gli procurasse un’estremadelizia, mai aveva osato mostrarlo neppure a sua madre;ben sapendo che il pubblicare, ancor più dello scrivere,rappresenta per il gentiluomo una colpa inespiabile.

Nel cuor di quella notte, dunque, Orlando trasse daquel recesso un grosso manoscritto, il quale aveva pertitolo “Xenofila – Tragedia” o qualcosa di simile, e unaltro, più sottile, che, a differenza di tutti gli altri, era in-titolato semplicemente “La Quercia”; e, accostato a sé ilcalamaio, prese la penna tra le dita, e compié tutte le al-tre cerimonie con cui gli affetti da quel morbo sono soli-ti iniziare i loro riti. Ma tosto si arrestò.

Essendo questa pausa grave di significato per la no-stra storia, assai più significativa, invero, di molte azioniche costringono gli uomini a piegare il ginocchio e fan-no i fiumi colorati in rosso, ci è d’uopo domandarci ilperché Orlando si arrestasse; ed ecco la ragione che,dopo matura riflessione, ne diamo noi. La Natura, la

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quale ci ha giocato più di un tiro mancino, mescolandoin parti ineguali argilla e diamante, per poi imbottirneuna forma spesso tra le più incongrue, dando al poeta lafaccia di un beccaio e al beccaio i tratti d’un poeta; laNatura che si diletta di intorbidare e complicare le coseal punto che neppur oggi (il 1° novembre 1927) saprem-mo dire perché saliamo le scale di casa nostra e perchéne discendiamo (i nostri movimenti più consueti sonocome il viaggio d’una nave su di un mare ignoto, equando il marinaio dall’albero maestro, puntando il can-nocchiale all’orizzonte, domanda: “Terra? Sì o no?”,noi, se ci atteggiamo a profeti, rispondiamo “Sì”, ma avoler essere veritieri dovremmo dire “No”); la Natura,che di tante cose dovrà rispondere, oltre la prolissità for-se alquanto gravosa di questo periodo, la Natura, dun-que, si è compiaciuta di imbrogliare ancora la matassa,fomentando la nostra confusione, quasi non le bastassel’aver fatto di noi dei fantocci tra i più bizzarri e dispa-ratamente costruiti (un fondo di pantaloni di gendarmesposato al velo nuziale della regina Alessandra) e hacongegnato il tutto in modo che l’intero assortimentofosse riunito da un’unica leggera cucitura. La cucitrice èla Memoria, ed è una cucitrice capricciosa la sua parte.La Memoria fa correr l’ago su e giù, a dritta e a manca,di qua e di là. Non sappiamo mai quel che viene, né quelche segue poi. Perciò il gesto più naturale del mondo,quale il mettersi a tavolino e attirare a sé il calamaio,può sconvolgere mille frammenti bizzarri e sconnessi,ora variopinti ora scuri, che ballano e svolazzano e si

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quale ci ha giocato più di un tiro mancino, mescolandoin parti ineguali argilla e diamante, per poi imbottirneuna forma spesso tra le più incongrue, dando al poeta lafaccia di un beccaio e al beccaio i tratti d’un poeta; laNatura che si diletta di intorbidare e complicare le coseal punto che neppur oggi (il 1° novembre 1927) saprem-mo dire perché saliamo le scale di casa nostra e perchéne discendiamo (i nostri movimenti più consueti sonocome il viaggio d’una nave su di un mare ignoto, equando il marinaio dall’albero maestro, puntando il can-nocchiale all’orizzonte, domanda: “Terra? Sì o no?”,noi, se ci atteggiamo a profeti, rispondiamo “Sì”, ma avoler essere veritieri dovremmo dire “No”); la Natura,che di tante cose dovrà rispondere, oltre la prolissità for-se alquanto gravosa di questo periodo, la Natura, dun-que, si è compiaciuta di imbrogliare ancora la matassa,fomentando la nostra confusione, quasi non le bastassel’aver fatto di noi dei fantocci tra i più bizzarri e dispa-ratamente costruiti (un fondo di pantaloni di gendarmesposato al velo nuziale della regina Alessandra) e hacongegnato il tutto in modo che l’intero assortimentofosse riunito da un’unica leggera cucitura. La cucitrice èla Memoria, ed è una cucitrice capricciosa la sua parte.La Memoria fa correr l’ago su e giù, a dritta e a manca,di qua e di là. Non sappiamo mai quel che viene, né quelche segue poi. Perciò il gesto più naturale del mondo,quale il mettersi a tavolino e attirare a sé il calamaio,può sconvolgere mille frammenti bizzarri e sconnessi,ora variopinti ora scuri, che ballano e svolazzano e si

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agitano come il bucato d’una famiglia di quattordici te-ste steso in una giornata di vento. Invece di riuscire unbel capo d’opera, fatto con coscienza, di cui nessuno almondo debba vergognarsi, ecco che le nostre azioni piùcomuni s’involano inquiete alla minima folata, e brilla-no e scintillano come luci instabili. Ecco perché bastòche Orlando intingesse la penna nell’inchiostro, per ve-dere il viso della perduta Principessa farsi beffe di lui; eperché subito gli sorgesse alla mente un milione di do-mande, che erano altrettante frecce intinte nel fiele.Dove si trovava ella? E perché lo aveva abbandonato? El’Ambasciatore, era poi suo zio o il suo ganzo? Era statoun complotto, il loro? O l’avevano costretta a partire?Era sposata, a quest’ora? Era morta? E ogni domandagli istillava veleno a tal segno che, per sfogare in qual-che modo la sua angoscia, intinse la penna con tantafoga nel calamaio, che l’inchiostro sprizzò sul tavolino;il qual gesto, lo si spieghi come si voglia (e forse nonc’è spiegazione che valga: la Memoria è inesplicabile),cangiò tosto il volto della Principessa in un altro assaidiverso. Che poteva mai essere? si domandò Orlando. Eci volle mezzo minuto buono, prima che, considerandola nuova visione che era venuta a sovrapporsi all’anticacome una figura di lanterna magica che lasci traspariretuttora l’altra, Orlando potesse dire a se stesso: “Questaè la faccia di quell’ometto grasso e male in arnese cheho visto seduto nella stanza della Twitchett, tanti annifa, quel giorno che la vecchia regina Bess era venuta apranzo qui da noi. E” continuò Orlando, e infilò un altro

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agitano come il bucato d’una famiglia di quattordici te-ste steso in una giornata di vento. Invece di riuscire unbel capo d’opera, fatto con coscienza, di cui nessuno almondo debba vergognarsi, ecco che le nostre azioni piùcomuni s’involano inquiete alla minima folata, e brilla-no e scintillano come luci instabili. Ecco perché bastòche Orlando intingesse la penna nell’inchiostro, per ve-dere il viso della perduta Principessa farsi beffe di lui; eperché subito gli sorgesse alla mente un milione di do-mande, che erano altrettante frecce intinte nel fiele.Dove si trovava ella? E perché lo aveva abbandonato? El’Ambasciatore, era poi suo zio o il suo ganzo? Era statoun complotto, il loro? O l’avevano costretta a partire?Era sposata, a quest’ora? Era morta? E ogni domandagli istillava veleno a tal segno che, per sfogare in qual-che modo la sua angoscia, intinse la penna con tantafoga nel calamaio, che l’inchiostro sprizzò sul tavolino;il qual gesto, lo si spieghi come si voglia (e forse nonc’è spiegazione che valga: la Memoria è inesplicabile),cangiò tosto il volto della Principessa in un altro assaidiverso. Che poteva mai essere? si domandò Orlando. Eci volle mezzo minuto buono, prima che, considerandola nuova visione che era venuta a sovrapporsi all’anticacome una figura di lanterna magica che lasci traspariretuttora l’altra, Orlando potesse dire a se stesso: “Questaè la faccia di quell’ometto grasso e male in arnese cheho visto seduto nella stanza della Twitchett, tanti annifa, quel giorno che la vecchia regina Bess era venuta apranzo qui da noi. E” continuò Orlando, e infilò un altro

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dei piccoli cenci variopinti “l’ho visto che se ne stavaseduto al tavolo, nel gettare un’occhiata mentre scende-vo le scale; e aveva gli occhi più sorprendenti che abbiamai veduto: ma chi diavolo poteva mai essere?” si do-mandava; e qui la Memoria alla fronte e agli occhi ag-giungeva dapprima un collare grossolano e un poco bi-sunto, poi un giustacuore bruno, e in ultimo un paio discarponi come ne portano i borghesi in Cheapside.

“Un gentiluomo, no di certo; non uno di noi” si disseOrlando (non si sarebbe certo espresso così ad alta voce,essendo il più cortese gentiluomo che ci fosse al mondo;ma ciò sta a dimostrare gli effetti di una nascita nobilesullo spirito, e, sia detto incidentalmente, quanto diffici-le sia per un gentiluomo di nascita riuscir uomo di lette-re); “un poeta, direi piuttosto.” La Memoria, che l’avevaormai stuzzicato abbastanza, a questo punto avrebbe fat-to meglio a cancellar tutto quanto, oppure a far saltarfuori qualche visione scioccherella e sconclusionata: uncane che corre dietro al gatto, o una vecchia che si soffiail naso con un moccichino di cotone rosso; allora, stufodi tenere il passo con quelle tantafère, Orlando avrebberisolutamente dato di piglio alla penna e messo del nerosul bianco. (Perché non è poi impossibile, basta avernela volontà, cacciar fuori di casa quella pettegola dellaMemoria con tutte le sue cianciafruscole.) Ma Orlandosi fermò. La Memoria non gli toglieva di sotto gli occhila visione di un uomo male in arnese dai grossi occhi vi-vidi. E Orlando guardava tuttora immobile avanti a sé.Sono queste pause, che formano la nostra rovina. È allo-

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dei piccoli cenci variopinti “l’ho visto che se ne stavaseduto al tavolo, nel gettare un’occhiata mentre scende-vo le scale; e aveva gli occhi più sorprendenti che abbiamai veduto: ma chi diavolo poteva mai essere?” si do-mandava; e qui la Memoria alla fronte e agli occhi ag-giungeva dapprima un collare grossolano e un poco bi-sunto, poi un giustacuore bruno, e in ultimo un paio discarponi come ne portano i borghesi in Cheapside.

“Un gentiluomo, no di certo; non uno di noi” si disseOrlando (non si sarebbe certo espresso così ad alta voce,essendo il più cortese gentiluomo che ci fosse al mondo;ma ciò sta a dimostrare gli effetti di una nascita nobilesullo spirito, e, sia detto incidentalmente, quanto diffici-le sia per un gentiluomo di nascita riuscir uomo di lette-re); “un poeta, direi piuttosto.” La Memoria, che l’avevaormai stuzzicato abbastanza, a questo punto avrebbe fat-to meglio a cancellar tutto quanto, oppure a far saltarfuori qualche visione scioccherella e sconclusionata: uncane che corre dietro al gatto, o una vecchia che si soffiail naso con un moccichino di cotone rosso; allora, stufodi tenere il passo con quelle tantafère, Orlando avrebberisolutamente dato di piglio alla penna e messo del nerosul bianco. (Perché non è poi impossibile, basta avernela volontà, cacciar fuori di casa quella pettegola dellaMemoria con tutte le sue cianciafruscole.) Ma Orlandosi fermò. La Memoria non gli toglieva di sotto gli occhila visione di un uomo male in arnese dai grossi occhi vi-vidi. E Orlando guardava tuttora immobile avanti a sé.Sono queste pause, che formano la nostra rovina. È allo-

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ra che la rivolta penetra nella fortezza, e le truppe insor-gono. Una volta già, Orlando s’era arrestato così, el’amore, l’amore coi suoi orribili sovvertimenti, il suoseguito di pifferi e cimbali, le sue teste spiccate dal bu-sto con le chiome insanguinate, l’amore s’era impadro-nito dell’animo suo. Per l’amore Orlando aveva soffertole pene dell’inferno. Ora egli tornava ad arrestarsi, edecco che entro la breccia così aperta balzavano Ambi-zione, la sfacciata, Poesia, la maliarda, e Brama di Glo-ria, la meretrice; e tutte e tre, datesi la mano, danzavanoin tondo sul cuore di Orlando. Eretto in piedi nella soli-tudine della sua biblioteca, egli giurò che sarebbe statoil primo poeta della sua razza e che avrebbe conferito alproprio nome lustro immortale. Enumerando i nomi e legesta degli avi suoi, disse che Sir Boris aveva sconfittoe ucciso l’Infedele; Sir Gawain, il Turco; Sir Miles, ilPolacco; Sir Richard, l’Austriaco; Sir Andrew, il Fran-co; Sir Jordan, il Francese; e Sir Herbert, lo Spagnuolo.Ma che cosa ne era rimasto, di tanto trucidare e guerreg-giare, di tanto gavazzare e amoreggiare, di tanto scialac-quare e cacciare e cavalcare e banchettare? Un teschio;un dito. Mentre invece, disse rivolgendosi alla pagina diSir Thomas Browne aperta sul tavolino... e di nuovo siarrestò. Pari a un incantesimo che sorgesse da ogni an-golo della stanza, dal vento notturno e dal chiaro diluna, si svolgeva la divina melodia di quelle parole che,per timore di veder arrossire questi fogli, lasceremo làdove sono sepolte, morte non già ma piuttosto imbalsa-mate, tanto vivo è il loro colore, tanto puro il loro respi-

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ra che la rivolta penetra nella fortezza, e le truppe insor-gono. Una volta già, Orlando s’era arrestato così, el’amore, l’amore coi suoi orribili sovvertimenti, il suoseguito di pifferi e cimbali, le sue teste spiccate dal bu-sto con le chiome insanguinate, l’amore s’era impadro-nito dell’animo suo. Per l’amore Orlando aveva soffertole pene dell’inferno. Ora egli tornava ad arrestarsi, edecco che entro la breccia così aperta balzavano Ambi-zione, la sfacciata, Poesia, la maliarda, e Brama di Glo-ria, la meretrice; e tutte e tre, datesi la mano, danzavanoin tondo sul cuore di Orlando. Eretto in piedi nella soli-tudine della sua biblioteca, egli giurò che sarebbe statoil primo poeta della sua razza e che avrebbe conferito alproprio nome lustro immortale. Enumerando i nomi e legesta degli avi suoi, disse che Sir Boris aveva sconfittoe ucciso l’Infedele; Sir Gawain, il Turco; Sir Miles, ilPolacco; Sir Richard, l’Austriaco; Sir Andrew, il Fran-co; Sir Jordan, il Francese; e Sir Herbert, lo Spagnuolo.Ma che cosa ne era rimasto, di tanto trucidare e guerreg-giare, di tanto gavazzare e amoreggiare, di tanto scialac-quare e cacciare e cavalcare e banchettare? Un teschio;un dito. Mentre invece, disse rivolgendosi alla pagina diSir Thomas Browne aperta sul tavolino... e di nuovo siarrestò. Pari a un incantesimo che sorgesse da ogni an-golo della stanza, dal vento notturno e dal chiaro diluna, si svolgeva la divina melodia di quelle parole che,per timore di veder arrossire questi fogli, lasceremo làdove sono sepolte, morte non già ma piuttosto imbalsa-mate, tanto vivo è il loro colore, tanto puro il loro respi-

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ro. Paragonando quell’opera a quelle dei suoi avi, il no-stro eroe esclamò a gran voce che essi e le loro gestaerano polvere e cenere, mentre quest’uomo e le sue pa-role erano immortali.

Non tardò tuttavia ad accorgersi che le battaglie im-pegnate da Sir Miles e dagli altri contro ben corazzaticavalieri onde conquistare un regno erano di gran lungameno ardue di quelle che ora intraprendeva lui, Orlando,contro la lingua inglese, alla conquista dell’immortalità.Chiunque avrà una lontana familiarità con le difficoltàdello stile saprà figurarsi come andassero le cose: Orlan-do scriveva, e quel che aveva scritto non gli sembravacattivo; leggeva, e trovava tutto da buttarsi ai cani; cor-reggeva, per poi fare a pezzi il foglio; tagliava; aggiun-geva; andava in visibilio, per cadere tosto in disperazio-ne; la notte gli era propizia, e inviso il mattino; coglievaa volo un’idea, per poi perderla; si vedeva davanti il suolibro sin nei minimi particolari, e un momento dopoesso svaniva; recitava, a tavola, la parte dei suoi perso-naggi; la declamava passeggiando; ora rideva, ora pian-geva; ondeggiava fra questo stile e quest’altro; oggi pre-feriva l’eroico e il pomposo; domani, il semplice, il pia-no; ora esplorava la valle di Tempe, ora i campi di Kente di Cornovaglia; e non avrebbe saputo dire se fosse ilgenio più divino o il più gran scimunito di questo mon-do.

Fu appunto per risolvere quest’ultimo problema cheOrlando, trascorsi parecchi mesi in quelle ardue fatiche,stabilì di interrompere una solitudine che durava da

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ro. Paragonando quell’opera a quelle dei suoi avi, il no-stro eroe esclamò a gran voce che essi e le loro gestaerano polvere e cenere, mentre quest’uomo e le sue pa-role erano immortali.

Non tardò tuttavia ad accorgersi che le battaglie im-pegnate da Sir Miles e dagli altri contro ben corazzaticavalieri onde conquistare un regno erano di gran lungameno ardue di quelle che ora intraprendeva lui, Orlando,contro la lingua inglese, alla conquista dell’immortalità.Chiunque avrà una lontana familiarità con le difficoltàdello stile saprà figurarsi come andassero le cose: Orlan-do scriveva, e quel che aveva scritto non gli sembravacattivo; leggeva, e trovava tutto da buttarsi ai cani; cor-reggeva, per poi fare a pezzi il foglio; tagliava; aggiun-geva; andava in visibilio, per cadere tosto in disperazio-ne; la notte gli era propizia, e inviso il mattino; coglievaa volo un’idea, per poi perderla; si vedeva davanti il suolibro sin nei minimi particolari, e un momento dopoesso svaniva; recitava, a tavola, la parte dei suoi perso-naggi; la declamava passeggiando; ora rideva, ora pian-geva; ondeggiava fra questo stile e quest’altro; oggi pre-feriva l’eroico e il pomposo; domani, il semplice, il pia-no; ora esplorava la valle di Tempe, ora i campi di Kente di Cornovaglia; e non avrebbe saputo dire se fosse ilgenio più divino o il più gran scimunito di questo mon-do.

Fu appunto per risolvere quest’ultimo problema cheOrlando, trascorsi parecchi mesi in quelle ardue fatiche,stabilì di interrompere una solitudine che durava da

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anni, e di riprender contatto col mondo e con le suepompe. Un suo amico di Londra, certo Giles Isham diNorfolk, aveva delle conoscenze fra gli scrittori, ancor-ché fosse di nobile prosapia; senza dubbio costui avreb-be potuto metterlo in relazione con qualche membro diquella beata, per non dir santa confraternita. Poiché, nel-lo stato d’animo in cui si trovava allora Orlando, unuomo che avesse scritto un libro e l’avesse dato allestampe godeva d’una gloria la quale offuscava tutte leglorie del sangue e della razza. Alla sua fantasia, i corpidi coloro che erano animati da sì divini pensieri appari-vano trasumanati. Certo essi avevano un’aureola perchioma, e incenso per respiro, e rose dovevano spuntarsulle loro labbra: tutte cose che di sicuro non accadeva-no né a lui, né al reverendo Dupper. E non riusciva a fi-gurarsi felicità maggiore di quella di poter prestare orec-chio ai loro discorsi, seduto dietro una tenda. Al soloimmaginarsi quei discorsi, audaci e varî, trovava d’unaestrema brutalità i temi su cui s’aggiravano le abitualiconversazioni tra lui e i suoi amici, a Corte: un cane, uncavallo, una femmina, una partita a carte. Con orgogliorammentò che l’avevano sempre chiamato un pedante, ederiso il suo amore per la solitudine e i libri. Nelle stan-ze delle dame se ne stava lì impalato, arrossiva, e cam-minava con un passo da granatiere. Due volte, immersoin pura astrazione, era capitombolato da cavallo.Un’altra volta, mentre faceva dei versi, aveva rotto ilventaglio di Lady Winchilsea. E radunando avidamentequei documenti della sua inettitudine alla vita mondana,

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anni, e di riprender contatto col mondo e con le suepompe. Un suo amico di Londra, certo Giles Isham diNorfolk, aveva delle conoscenze fra gli scrittori, ancor-ché fosse di nobile prosapia; senza dubbio costui avreb-be potuto metterlo in relazione con qualche membro diquella beata, per non dir santa confraternita. Poiché, nel-lo stato d’animo in cui si trovava allora Orlando, unuomo che avesse scritto un libro e l’avesse dato allestampe godeva d’una gloria la quale offuscava tutte leglorie del sangue e della razza. Alla sua fantasia, i corpidi coloro che erano animati da sì divini pensieri appari-vano trasumanati. Certo essi avevano un’aureola perchioma, e incenso per respiro, e rose dovevano spuntarsulle loro labbra: tutte cose che di sicuro non accadeva-no né a lui, né al reverendo Dupper. E non riusciva a fi-gurarsi felicità maggiore di quella di poter prestare orec-chio ai loro discorsi, seduto dietro una tenda. Al soloimmaginarsi quei discorsi, audaci e varî, trovava d’unaestrema brutalità i temi su cui s’aggiravano le abitualiconversazioni tra lui e i suoi amici, a Corte: un cane, uncavallo, una femmina, una partita a carte. Con orgogliorammentò che l’avevano sempre chiamato un pedante, ederiso il suo amore per la solitudine e i libri. Nelle stan-ze delle dame se ne stava lì impalato, arrossiva, e cam-minava con un passo da granatiere. Due volte, immersoin pura astrazione, era capitombolato da cavallo.Un’altra volta, mentre faceva dei versi, aveva rotto ilventaglio di Lady Winchilsea. E radunando avidamentequei documenti della sua inettitudine alla vita mondana,

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Orlando si sentiva invadere dalla ineffabile speranza chetutta la sua turbolenza giovanile, le sue goffaggini, i suoirossori, le lunghe passeggiate, l’amor della natura, altronon fossero se non la prova che egli apparteneva a unarazza sacra piuttosto che nobile; che egli fosse, insom-ma, destinato per nascita a esser scrittore piuttosto chegentiluomo. Per la prima volta dopo la notte della gran-de inondazione, Orlando si sentì felice.

Incaricò dunque Mister Isham di Norfolk di far perve-nire a Mister Nicholas Greene, alla Locanda di Clifford,uno scritto il quale gli esprimeva l’ammirazione di Or-lando per le sue opere (Nick Greene, a quei tempi, anda-va per la maggiore); e formulava altresì il desiderio difare la conoscenza del poeta; desiderio che osava appe-na formulare, dato che non aveva nulla da offrire incambio; ma dove Mister Greene avesse accondisceso adaccettare la sua ospitalità, una carrozza a quattro ruoteavrebbe atteso all’angolo di Fetter Lane, per l’ora cheMister Greene si compiacerebbe d’indicare, e l’avrebbecondotto sano e salvo alla dimora di Orlando. Ognunopuò facilmente immaginare il resto; e figurarsi la gioiadi Orlando, allorché senza indugio Mister Greene gli si-gnificò che gradiva l’invito del nobile Lord; e, preso po-sto nel suddetto cocchio, ne discendeva sano e salvo sot-to l’atrio a mezzogiorno dell’edificio centrale, lunedì ilventuno aprile a ore sette.

Non pochi re, e regine, e ambasciatori erano stati ri-cevuti colà; e giudici vi avevano sfoggiato i loro ermel-lini. Le più leggiadre dame della contrada vi avevano

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Orlando si sentiva invadere dalla ineffabile speranza chetutta la sua turbolenza giovanile, le sue goffaggini, i suoirossori, le lunghe passeggiate, l’amor della natura, altronon fossero se non la prova che egli apparteneva a unarazza sacra piuttosto che nobile; che egli fosse, insom-ma, destinato per nascita a esser scrittore piuttosto chegentiluomo. Per la prima volta dopo la notte della gran-de inondazione, Orlando si sentì felice.

Incaricò dunque Mister Isham di Norfolk di far perve-nire a Mister Nicholas Greene, alla Locanda di Clifford,uno scritto il quale gli esprimeva l’ammirazione di Or-lando per le sue opere (Nick Greene, a quei tempi, anda-va per la maggiore); e formulava altresì il desiderio difare la conoscenza del poeta; desiderio che osava appe-na formulare, dato che non aveva nulla da offrire incambio; ma dove Mister Greene avesse accondisceso adaccettare la sua ospitalità, una carrozza a quattro ruoteavrebbe atteso all’angolo di Fetter Lane, per l’ora cheMister Greene si compiacerebbe d’indicare, e l’avrebbecondotto sano e salvo alla dimora di Orlando. Ognunopuò facilmente immaginare il resto; e figurarsi la gioiadi Orlando, allorché senza indugio Mister Greene gli si-gnificò che gradiva l’invito del nobile Lord; e, preso po-sto nel suddetto cocchio, ne discendeva sano e salvo sot-to l’atrio a mezzogiorno dell’edificio centrale, lunedì ilventuno aprile a ore sette.

Non pochi re, e regine, e ambasciatori erano stati ri-cevuti colà; e giudici vi avevano sfoggiato i loro ermel-lini. Le più leggiadre dame della contrada vi avevano

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fatto la loro comparsa, unitamente ai più austeri guerrie-ri. I vessilli che là s’agitavano al vento erano stati aFlodden e ad Agincourt. Là facevano bella mostra di sécotte d’arme dipinte, coi loro leoni e leopardi e le lorocorone. Là s’erano allineate le lunghe mense risplenden-ti di vasellame d’oro e d’argento; e là, entro i capaci ca-minetti scolpiti, ogni notte una quercia intera, con le suefoglie a milioni e con tutti i nidi di cornacchie e pettiros-si, veniva ridotta in cenere. Là, ora, se ne stava NicholasGreene, il poeta, vestito alla buona con la sua giubbanera e il cappelluccio calcato sugli occhi, e si portava dasé la piccola sacca da viaggio.

Che Orlando, allorché si precipitò ad accoglierlo, do-vesse subire una lieve disillusione, era inevitabile. Ilpoeta era di media statura appena; meschino di personae striminzito, andava curvo, e nell’entrare incespicò sulmastino, il quale lo morsicò. Inoltre, malgrado la cono-scenza che aveva degli uomini, Orlando si trovò assaiimbarazzato dove collocarlo: quell’uomo non era, incerto qual modo, né servo, né cavaliere, né nobile. Latesta dalla fronte rotonda e dal naso aquilino sarebbestata bella, senza il mento che sfuggiva. Gli occhi eranopieni di luce; ma le labbra, molli, pendevano e sbavava-no. Ma era l’espressione di quel viso che, nell’insieme,sconcertava. Nulla v’era in esso di quella composta ar-monia, la quale rende così piacevoli all’aspetto i visidelle persone di nascita nobile; benché non avesse poinulla di quella servile dignità propria alle facce dei do-mestici bene ammaestrati; era, questo, un viso segnato,

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fatto la loro comparsa, unitamente ai più austeri guerrie-ri. I vessilli che là s’agitavano al vento erano stati aFlodden e ad Agincourt. Là facevano bella mostra di sécotte d’arme dipinte, coi loro leoni e leopardi e le lorocorone. Là s’erano allineate le lunghe mense risplenden-ti di vasellame d’oro e d’argento; e là, entro i capaci ca-minetti scolpiti, ogni notte una quercia intera, con le suefoglie a milioni e con tutti i nidi di cornacchie e pettiros-si, veniva ridotta in cenere. Là, ora, se ne stava NicholasGreene, il poeta, vestito alla buona con la sua giubbanera e il cappelluccio calcato sugli occhi, e si portava dasé la piccola sacca da viaggio.

Che Orlando, allorché si precipitò ad accoglierlo, do-vesse subire una lieve disillusione, era inevitabile. Ilpoeta era di media statura appena; meschino di personae striminzito, andava curvo, e nell’entrare incespicò sulmastino, il quale lo morsicò. Inoltre, malgrado la cono-scenza che aveva degli uomini, Orlando si trovò assaiimbarazzato dove collocarlo: quell’uomo non era, incerto qual modo, né servo, né cavaliere, né nobile. Latesta dalla fronte rotonda e dal naso aquilino sarebbestata bella, senza il mento che sfuggiva. Gli occhi eranopieni di luce; ma le labbra, molli, pendevano e sbavava-no. Ma era l’espressione di quel viso che, nell’insieme,sconcertava. Nulla v’era in esso di quella composta ar-monia, la quale rende così piacevoli all’aspetto i visidelle persone di nascita nobile; benché non avesse poinulla di quella servile dignità propria alle facce dei do-mestici bene ammaestrati; era, questo, un viso segnato,

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pieghettato, solcato di rughe. Con tutto che fosse poeta,quell’uomo pareva più uso alla rampogna che all’adula-zione; a disputare che a tubare; a farsi avanti a pugnipiuttosto che ad avanzar bel bello; a lottare che a riposa-re; a odiare che ad amare. Traspariva, tutto ciò,dall’irruenza dei suoi gesti; da un balenar fiero e sospet-toso dello sguardo. Orlando era non poco sorpreso. Ma,essendo l’ora, sedettero a pranzo.

Qui Orlando, al quale certe cose parevano naturali, ri-sentì, per la prima volta in vita sua, inesplicabile vergo-gna davanti al numero dei suoi servi, e agli splendoridella sua mensa. Ma più singolare era che lo inorgoglis-se la memoria – di solito imbarazzante – di quella tal bi-snonna Moll, la quale aveva munto le vacche. Fu lì lìper alludere a quell’umile donna e ai suoi secchi da lat-te, quando il poeta gli tolse la parola di bocca; non eracurioso, osservò, che il nome dei Greene, oggi così vol-gare, appartenesse alla più alta nobiltà di Francia, a unafamiglia venuta in Inghilterra con Guglielmo il Conqui-statore? Disgraziatamente, col tempo erano decaduti, eil più che avessero fatto era stato di legare il loro nomeal real borgo di Greenwich. E tra simili discorsi di ca-stella perdute, cotte d’arme, cugini baronetti nel Nord,matrimoni con nobili casate d’Occidente, e del fatto checerti Greene scrivessero il loro nome con la “e” in codae altri senza, s’andò avanti sino a che giunse in tavola laselvaggina. A questo punto Orlando riuscì alfine a diredell’ava Moll e delle sue vacche, e si era alleggerito al-quanto il cuore, quando comparvero le anitre selvatiche.

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pieghettato, solcato di rughe. Con tutto che fosse poeta,quell’uomo pareva più uso alla rampogna che all’adula-zione; a disputare che a tubare; a farsi avanti a pugnipiuttosto che ad avanzar bel bello; a lottare che a riposa-re; a odiare che ad amare. Traspariva, tutto ciò,dall’irruenza dei suoi gesti; da un balenar fiero e sospet-toso dello sguardo. Orlando era non poco sorpreso. Ma,essendo l’ora, sedettero a pranzo.

Qui Orlando, al quale certe cose parevano naturali, ri-sentì, per la prima volta in vita sua, inesplicabile vergo-gna davanti al numero dei suoi servi, e agli splendoridella sua mensa. Ma più singolare era che lo inorgoglis-se la memoria – di solito imbarazzante – di quella tal bi-snonna Moll, la quale aveva munto le vacche. Fu lì lìper alludere a quell’umile donna e ai suoi secchi da lat-te, quando il poeta gli tolse la parola di bocca; non eracurioso, osservò, che il nome dei Greene, oggi così vol-gare, appartenesse alla più alta nobiltà di Francia, a unafamiglia venuta in Inghilterra con Guglielmo il Conqui-statore? Disgraziatamente, col tempo erano decaduti, eil più che avessero fatto era stato di legare il loro nomeal real borgo di Greenwich. E tra simili discorsi di ca-stella perdute, cotte d’arme, cugini baronetti nel Nord,matrimoni con nobili casate d’Occidente, e del fatto checerti Greene scrivessero il loro nome con la “e” in codae altri senza, s’andò avanti sino a che giunse in tavola laselvaggina. A questo punto Orlando riuscì alfine a diredell’ava Moll e delle sue vacche, e si era alleggerito al-quanto il cuore, quando comparvero le anitre selvatiche.

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Ma fu soltanto allorché il malvasia cominciò a scorrerliberamente, che egli osò alludere a un tema più impor-tante che non i Greene o le vacche; cioè, al soggetto sa-cro della poesia. Non appena pronunciata quella parola,gli occhi del poeta mandarono fiamme; egli lasciò cade-re le arie da gentiluomo compito che s’era dato finora;picchiò col bicchiere sulla tavola, e si slanciò a spronbattuto entro una lunga storia, una storia fra le più com-plicate, appassionate e amare che Orlando avesse uditomai, salvo, forse, dalla bocca di una donna tradita; e visi trattava di un dramma del poeta; di un altro poeta;nonché di un critico. Quanto alla natura stessa della poe-sia, Orlando poté soltanto dedurre che la poesia era piùdifficile a smerciarsi della prosa, e più lunga a scriversi,benché le righe fossero più brevi. La conversazione se-guitò su questo tono, con ramificazioni interminabili,fino a che Orlando osò accennare di esser stato lui stes-so tanto temerario da scrivere... Ma in quel momento, ilpoeta diede un balzo sulla seggiola. Un topo, egli disse,aveva squittito fra le tavole del pavimento. La verità era,spiegò poi, che i suoi nervi erano tesi a tal punto che losquittio d’un topo bastava a scombussolarli per unaquindicina di giorni. Era ben possibile che la casa formi-colasse di bestiole moleste, ma Orlando non se n’eramai accorto. Allora il poeta gli scodellò l’intera storiadella sua salute da una decina d’anni in qua. Essa erastata pessima, tanto che c’era da stupirsi ch’egli fosseancora vivo. Aveva avuto una paralisi, la gotta, l’idropi-sia, la febbre di Malta e le tre febbri, una dopo l’altra; a

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Ma fu soltanto allorché il malvasia cominciò a scorrerliberamente, che egli osò alludere a un tema più impor-tante che non i Greene o le vacche; cioè, al soggetto sa-cro della poesia. Non appena pronunciata quella parola,gli occhi del poeta mandarono fiamme; egli lasciò cade-re le arie da gentiluomo compito che s’era dato finora;picchiò col bicchiere sulla tavola, e si slanciò a spronbattuto entro una lunga storia, una storia fra le più com-plicate, appassionate e amare che Orlando avesse uditomai, salvo, forse, dalla bocca di una donna tradita; e visi trattava di un dramma del poeta; di un altro poeta;nonché di un critico. Quanto alla natura stessa della poe-sia, Orlando poté soltanto dedurre che la poesia era piùdifficile a smerciarsi della prosa, e più lunga a scriversi,benché le righe fossero più brevi. La conversazione se-guitò su questo tono, con ramificazioni interminabili,fino a che Orlando osò accennare di esser stato lui stes-so tanto temerario da scrivere... Ma in quel momento, ilpoeta diede un balzo sulla seggiola. Un topo, egli disse,aveva squittito fra le tavole del pavimento. La verità era,spiegò poi, che i suoi nervi erano tesi a tal punto che losquittio d’un topo bastava a scombussolarli per unaquindicina di giorni. Era ben possibile che la casa formi-colasse di bestiole moleste, ma Orlando non se n’eramai accorto. Allora il poeta gli scodellò l’intera storiadella sua salute da una decina d’anni in qua. Essa erastata pessima, tanto che c’era da stupirsi ch’egli fosseancora vivo. Aveva avuto una paralisi, la gotta, l’idropi-sia, la febbre di Malta e le tre febbri, una dopo l’altra; a

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ciò si aggiungevano il cuore ipertrofico, la milza ingros-sata e il fegato malato. Ma il peggio, confidò egli a Or-lando, erano le sensazioni che provava nella spina dor-sale: cose che sfidavano qualsiasi descrizione. Una dellevertebre, la terza circa a partir dall’alto, bruciava comeil fuoco; un’altra, la seconda all’incirca a partir dal bas-so, gli dava brividi di piombo; altre mattine, invece, glipareva di veder brillare migliaia di ceri, e che dentro lesue viscere accendessero un’intera girandola di fuochid’artificio. Si sarebbe accorto d’un petalo di rosa sotto ilmaterasso, diceva; e conosceva le strade di Londra, sipuò dire, dalla forma dei ciottoli sui quali metteva pie-de. Insomma, era davvero un macchinario di così delica-ta struttura, e così singolarmente congegnato (a questopunto, senza avvedersene, alzò la mano, la quale era in-vero la più bella che si potesse immaginare) che non riu-sciva a spiegarsi come mai avesse venduto cinquecentocopie soltanto del suo poema, ma ciò era dovuto in granparte, s’intende, alla cabala architettata contro di lui.Tutto quanto gli restava da dire, concluse battendo il pu-gno sulla tavola, era che l’arte della poesia era morta inInghilterra.

Com’era mai possibile, al tempo in cui uno Shake-speare, un Marlowe, un Ben Jonson, un Browne, unDonne erano, o da poco erano stati, nel fulgore dellaloro arte? E Orlando, nell’elencare i nomi dei suoi pre-diletti, non vi poteva credere.

Sardonico, Greene rise. Ammetteva che Shakespeareavesse scritto qualche scena abbastanza riuscita; ma in

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ciò si aggiungevano il cuore ipertrofico, la milza ingros-sata e il fegato malato. Ma il peggio, confidò egli a Or-lando, erano le sensazioni che provava nella spina dor-sale: cose che sfidavano qualsiasi descrizione. Una dellevertebre, la terza circa a partir dall’alto, bruciava comeil fuoco; un’altra, la seconda all’incirca a partir dal bas-so, gli dava brividi di piombo; altre mattine, invece, glipareva di veder brillare migliaia di ceri, e che dentro lesue viscere accendessero un’intera girandola di fuochid’artificio. Si sarebbe accorto d’un petalo di rosa sotto ilmaterasso, diceva; e conosceva le strade di Londra, sipuò dire, dalla forma dei ciottoli sui quali metteva pie-de. Insomma, era davvero un macchinario di così delica-ta struttura, e così singolarmente congegnato (a questopunto, senza avvedersene, alzò la mano, la quale era in-vero la più bella che si potesse immaginare) che non riu-sciva a spiegarsi come mai avesse venduto cinquecentocopie soltanto del suo poema, ma ciò era dovuto in granparte, s’intende, alla cabala architettata contro di lui.Tutto quanto gli restava da dire, concluse battendo il pu-gno sulla tavola, era che l’arte della poesia era morta inInghilterra.

Com’era mai possibile, al tempo in cui uno Shake-speare, un Marlowe, un Ben Jonson, un Browne, unDonne erano, o da poco erano stati, nel fulgore dellaloro arte? E Orlando, nell’elencare i nomi dei suoi pre-diletti, non vi poteva credere.

Sardonico, Greene rise. Ammetteva che Shakespeareavesse scritto qualche scena abbastanza riuscita; ma in

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gran parte, le aveva prese da Marlowe. Quello era statoun ragazzo che sapeva il fatto suo, ma che si poteva maidire, d’uno che era morto prima dei trent’anni? Quanto aBrowne, s’era dato a scrivere poesia in prosa: bagattelledi cui il pubblico si sarebbe stancato presto. Donne eraun ciarlatano, che sapeva rivestire di parole complicateil vuoto delle sue idee. I gonzi abboccavano; ma in mend’un atto, quello stile sarebbe passato di moda. Quanto aBen Jonson... Ben Jonson era suo buon amico, ed eglinon parlava mai dei suoi amici.

No, concluse, la grande epoca della letteratura era fi-nita; la grande epoca della letteratura era stata la greca;e gli elisabettiani s’erano mostrati in tutto e per tutto in-feriori ai greci. In epoche simili, gli uomini nutrivanouna divina ambizione che egli si permetteva di chiamare“la Gloria” (egli pronunciava “Glauria”, tanto che sulleprime Orlando non capì di che parlasse). Al giornod’oggi, i giovani erano assoldati dai librai, e davano lastura a qualsiasi robaccia, purché si vendesse. In quelsenso, Shakespeare era il principale colpevole e Shake-speare stava già pagandone il fio. Era un’epoca, questa,diceva il poeta, che si distingueva per le sue preziose af-fettazioni e i suoi azzardosi tentativi: tutte cose che igreci non avrebbero tollerato un momento. Per quantodoloroso gli fosse l’ammetterlo – ché egli amava la let-teratura al pari della propria vita – non vedeva nulla dibuono nel presente e aveva poca speranza nell’avvenire.E qui, si riempì un’altra volta il bicchiere.

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gran parte, le aveva prese da Marlowe. Quello era statoun ragazzo che sapeva il fatto suo, ma che si poteva maidire, d’uno che era morto prima dei trent’anni? Quanto aBrowne, s’era dato a scrivere poesia in prosa: bagattelledi cui il pubblico si sarebbe stancato presto. Donne eraun ciarlatano, che sapeva rivestire di parole complicateil vuoto delle sue idee. I gonzi abboccavano; ma in mend’un atto, quello stile sarebbe passato di moda. Quanto aBen Jonson... Ben Jonson era suo buon amico, ed eglinon parlava mai dei suoi amici.

No, concluse, la grande epoca della letteratura era fi-nita; la grande epoca della letteratura era stata la greca;e gli elisabettiani s’erano mostrati in tutto e per tutto in-feriori ai greci. In epoche simili, gli uomini nutrivanouna divina ambizione che egli si permetteva di chiamare“la Gloria” (egli pronunciava “Glauria”, tanto che sulleprime Orlando non capì di che parlasse). Al giornod’oggi, i giovani erano assoldati dai librai, e davano lastura a qualsiasi robaccia, purché si vendesse. In quelsenso, Shakespeare era il principale colpevole e Shake-speare stava già pagandone il fio. Era un’epoca, questa,diceva il poeta, che si distingueva per le sue preziose af-fettazioni e i suoi azzardosi tentativi: tutte cose che igreci non avrebbero tollerato un momento. Per quantodoloroso gli fosse l’ammetterlo – ché egli amava la let-teratura al pari della propria vita – non vedeva nulla dibuono nel presente e aveva poca speranza nell’avvenire.E qui, si riempì un’altra volta il bicchiere.

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Quelle opinioni offesero Orlando; eppure, non potéfare a meno di constatare come l’autore di quelle criti-che non apparisse affatto sconcertato. Al contrario, piùtuonava contro il proprio tempo, più pareva soddisfatto.Rammentava una notte alla Taverna del Gallo, in FleetStreet; c’era Kit Marlowe, e altri con lui. Kit aveva ilvento in poppa, era piuttosto alticcio – gli accadeva fa-cilmente – e in vena di dir cose enormi. Ancora gli pare-va di vederlo, mentre, levando il bicchiere, alla salutedella brigata, urlava in falsetto: «“Ch’io possa esser ca-strato, Bill”» (e si rivolgeva a Shakespeare) «“se nonvedo arrivare una grande ondata; e chi c’è sulla cresta?Tu!”». E con ciò intendeva significare, spiegò Greene,che la letteratura inglese era sull’orlo di una grande epo-ca, e che Shakespeare sarebbe stato un poeta di una cer-ta importanza. Fortunatamente per lui, Marlowe fu ucci-so sere dopo, in una rissa di beoni, e non poté vederecome si avverasse la sua predizione. «Povero pazzo»concluse Greene; «venirci a raccontare una panzana si-mile! Un gran secolo, davvero, il secolo d’Elisabetta, ungran secolo!»

«Ecco, mio caro signore» continuò, accomodandosipacificamente sulla sua seggiola e carezzando il bicchie-re, «perché noi dobbiamo fare del nostro meglio, avercaro il passato, e onorare quei poeti – ancora ce n’èqualcuno – i quali prendono a modello l’antichità, escrivono non per il denaro, ma per la Glauria.» (Orlandoavrebbe preferito un accento più corretto.) «La Glauria»diceva Greene «è lo sprone degli spiriti nobili. Se io

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Quelle opinioni offesero Orlando; eppure, non potéfare a meno di constatare come l’autore di quelle criti-che non apparisse affatto sconcertato. Al contrario, piùtuonava contro il proprio tempo, più pareva soddisfatto.Rammentava una notte alla Taverna del Gallo, in FleetStreet; c’era Kit Marlowe, e altri con lui. Kit aveva ilvento in poppa, era piuttosto alticcio – gli accadeva fa-cilmente – e in vena di dir cose enormi. Ancora gli pare-va di vederlo, mentre, levando il bicchiere, alla salutedella brigata, urlava in falsetto: «“Ch’io possa esser ca-strato, Bill”» (e si rivolgeva a Shakespeare) «“se nonvedo arrivare una grande ondata; e chi c’è sulla cresta?Tu!”». E con ciò intendeva significare, spiegò Greene,che la letteratura inglese era sull’orlo di una grande epo-ca, e che Shakespeare sarebbe stato un poeta di una cer-ta importanza. Fortunatamente per lui, Marlowe fu ucci-so sere dopo, in una rissa di beoni, e non poté vederecome si avverasse la sua predizione. «Povero pazzo»concluse Greene; «venirci a raccontare una panzana si-mile! Un gran secolo, davvero, il secolo d’Elisabetta, ungran secolo!»

«Ecco, mio caro signore» continuò, accomodandosipacificamente sulla sua seggiola e carezzando il bicchie-re, «perché noi dobbiamo fare del nostro meglio, avercaro il passato, e onorare quei poeti – ancora ce n’èqualcuno – i quali prendono a modello l’antichità, escrivono non per il denaro, ma per la Glauria.» (Orlandoavrebbe preferito un accento più corretto.) «La Glauria»diceva Greene «è lo sprone degli spiriti nobili. Se io

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avessi una pensione di trecento sterline l’anno pagatatrimestralmente, vivrei per la Glauria soltanto. Al matti-no, me ne starei a letto a legger Cicerone. Imiterei il suostile, al punto che nessuno potrebbe distinguere tra i no-stri due. Ecco quello che io chiamo il bello scrivere,ecco quello che chiamo Glauria. Ma per farlo, ci vuoleuna pensione.»

Ormai, Orlando aveva abbandonato ogni speranza didiscutere delle proprie opere col poeta; ma gliene im-portava assai meno, ora che il discorso volgeva sullavita e sul carattere di Shakespeare, di Ben Jonson e dialtri che Greene aveva conosciuto intimamente, e di cuisapeva narrare mille aneddoti, i più piacevoli del mon-do. Orlando non aveva mai riso tanto in vita sua. Questeerano dunque le sue divinità! Per metà, degli ubbriaconi,e tutti quanti dei viziosi. La maggior parte di essi litiga-va con la moglie, e non ce n’era uno che fosse superiorea una menzogna, o al più gretto intrigo. I loro versi era-no scarabocchiati sul dorso di liste del bucato appoggia-te in gran fretta sulla testa del galoppino mandatodall’editore. Così Amleto era passato in stamperia; cosìRe Lear; così Otello. Nessuna meraviglia, diceva Gree-ne, che queste tragedie mostrassero le loro magagne. Ilresto delle loro giornate, i poeti lo passavano a gozzovi-gliare e a sbevazzare per le taverne e le birrerie; là siprofondeva un’arguzia incredibile, e accadevano cose alcui confronto impallidivano le più audaci matterie deicortigiani. Tutto questo Greene lo raccontava con tantospirito che Orlando non stava in sé dalla delizia. Egli

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avessi una pensione di trecento sterline l’anno pagatatrimestralmente, vivrei per la Glauria soltanto. Al matti-no, me ne starei a letto a legger Cicerone. Imiterei il suostile, al punto che nessuno potrebbe distinguere tra i no-stri due. Ecco quello che io chiamo il bello scrivere,ecco quello che chiamo Glauria. Ma per farlo, ci vuoleuna pensione.»

Ormai, Orlando aveva abbandonato ogni speranza didiscutere delle proprie opere col poeta; ma gliene im-portava assai meno, ora che il discorso volgeva sullavita e sul carattere di Shakespeare, di Ben Jonson e dialtri che Greene aveva conosciuto intimamente, e di cuisapeva narrare mille aneddoti, i più piacevoli del mon-do. Orlando non aveva mai riso tanto in vita sua. Questeerano dunque le sue divinità! Per metà, degli ubbriaconi,e tutti quanti dei viziosi. La maggior parte di essi litiga-va con la moglie, e non ce n’era uno che fosse superiorea una menzogna, o al più gretto intrigo. I loro versi era-no scarabocchiati sul dorso di liste del bucato appoggia-te in gran fretta sulla testa del galoppino mandatodall’editore. Così Amleto era passato in stamperia; cosìRe Lear; così Otello. Nessuna meraviglia, diceva Gree-ne, che queste tragedie mostrassero le loro magagne. Ilresto delle loro giornate, i poeti lo passavano a gozzovi-gliare e a sbevazzare per le taverne e le birrerie; là siprofondeva un’arguzia incredibile, e accadevano cose alcui confronto impallidivano le più audaci matterie deicortigiani. Tutto questo Greene lo raccontava con tantospirito che Orlando non stava in sé dalla delizia. Egli

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aveva una mimica così efficace che faceva rivivere imorti, e diceva sulle belle lettere cose mirabili, purché sitrattasse di libri scritti trecento anni avanti.

Così passava il tempo, e Orlando provava per il suoospite un miscuglio di simpatia e disprezzo, di ammira-zione e pietà, unito a un sentimento troppo indefinitoper poter essere battezzato con un nome qualsiasi, mache si componeva di paura e di fascino. Greene parlavasempre di sé, è vero, ma era tanto di buona compagnia,che non ci si sarebbe stancati mai delle storie dei suoimalanni. Era così arguto; così irriverente; si prendeva ditali libertà coi nomi di Dio e della Donna; aveva ognispecie di bizzarre abilità, e la testa infarcita d’ogni razzadi strane cognizioni; conosceva trecento ricette diverseper fare l’insalata, e tutto quel che conoscere si potevain fatto di mescolanze di vini; suonava una mezza doz-zina di strumenti musicali; ed era il primo, e forse l’ulti-mo, il quale osasse arrostire del formaggio nel gran ca-minetto all’italiana. Che poi non distinguesse un geranioda un garofano, una quercia da una betulla, un mastinoda un levriero, un montone da una pecora, il frumentodall’orzo, un campo arato dall’incolto; che non capisseun’acca dell’alternarsi dei raccolti; che credesse che learance crescessero sottoterra e le rape sugli alberi; chepreferisse una qualsiasi vista di città a qualunque pae-saggio, questo e ben altro ancora formava oggetto distupore per Orlando, il quale non aveva mai incontratoun individuo simile. Persino le cameriste, che lo disde-gnavano, ridevano alle sue facezie, e i domestici, che lo

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aveva una mimica così efficace che faceva rivivere imorti, e diceva sulle belle lettere cose mirabili, purché sitrattasse di libri scritti trecento anni avanti.

Così passava il tempo, e Orlando provava per il suoospite un miscuglio di simpatia e disprezzo, di ammira-zione e pietà, unito a un sentimento troppo indefinitoper poter essere battezzato con un nome qualsiasi, mache si componeva di paura e di fascino. Greene parlavasempre di sé, è vero, ma era tanto di buona compagnia,che non ci si sarebbe stancati mai delle storie dei suoimalanni. Era così arguto; così irriverente; si prendeva ditali libertà coi nomi di Dio e della Donna; aveva ognispecie di bizzarre abilità, e la testa infarcita d’ogni razzadi strane cognizioni; conosceva trecento ricette diverseper fare l’insalata, e tutto quel che conoscere si potevain fatto di mescolanze di vini; suonava una mezza doz-zina di strumenti musicali; ed era il primo, e forse l’ulti-mo, il quale osasse arrostire del formaggio nel gran ca-minetto all’italiana. Che poi non distinguesse un geranioda un garofano, una quercia da una betulla, un mastinoda un levriero, un montone da una pecora, il frumentodall’orzo, un campo arato dall’incolto; che non capisseun’acca dell’alternarsi dei raccolti; che credesse che learance crescessero sottoterra e le rape sugli alberi; chepreferisse una qualsiasi vista di città a qualunque pae-saggio, questo e ben altro ancora formava oggetto distupore per Orlando, il quale non aveva mai incontratoun individuo simile. Persino le cameriste, che lo disde-gnavano, ridevano alle sue facezie, e i domestici, che lo

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vedevano come il fumo negli occhi, pendevano dallesue labbra quando egli raccontava una storiella. Insom-ma, la casa non era mai stata in allegria come ora chec’era lui, e ciò dava non poco a riflettere a Orlando, co-stringendolo a paragonare questo nuovo genere di vitaall’antico. Rammentava i discorsi di prima, che s’aggi-ravano tra l’apoplessia del Re e l’accoppiamento d’unacagna; e le ore che scorrevano tra le scuderie e il gabi-netto di toeletta; e rivedeva i Lord che russavano colnaso nel bicchiere e si stizzivano se qualcuno li sveglia-va. Se quei gentiluomini erano attivi e valorosi nel cor-po, quanto pigri e timidi erano nello spirito! consideravaOrlando. E, assillato da quei pensieri, e incapace di sta-bilire un giusto equilibrio, ne concluse che aveva lascia-to entrare in casa propria un maligno spirito d’inquietu-dine che non lo avrebbe lasciato dormire in pace maipiù.

Al momento stesso, Greene giungeva a una conclu-sione che era precisamente l’opposto. Coricato un matti-no nel suo letto, sui più morbidi guanciali, tra le più finilenzuola, il suo sguardo spaziava oltre la finestra a sestoacuto su di una distesa d’erba dove da tre secoli non eraspuntato un ranuncolo né un’erbaccia; e pensava che senon trovava modo di fuggire sarebbe morto soffocato.Mentre si alzava, udiva i piccioni tubare, e l’acquachioccolare nella fontana mentre si vestiva; e pensavache se non avesse più dovuto sentire il rotolar dei carrisull’acciottolato di Fleet Street, non avrebbe più scrittouna riga in vita sua. “Se la faccenda seguita per un pez-

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vedevano come il fumo negli occhi, pendevano dallesue labbra quando egli raccontava una storiella. Insom-ma, la casa non era mai stata in allegria come ora chec’era lui, e ciò dava non poco a riflettere a Orlando, co-stringendolo a paragonare questo nuovo genere di vitaall’antico. Rammentava i discorsi di prima, che s’aggi-ravano tra l’apoplessia del Re e l’accoppiamento d’unacagna; e le ore che scorrevano tra le scuderie e il gabi-netto di toeletta; e rivedeva i Lord che russavano colnaso nel bicchiere e si stizzivano se qualcuno li sveglia-va. Se quei gentiluomini erano attivi e valorosi nel cor-po, quanto pigri e timidi erano nello spirito! consideravaOrlando. E, assillato da quei pensieri, e incapace di sta-bilire un giusto equilibrio, ne concluse che aveva lascia-to entrare in casa propria un maligno spirito d’inquietu-dine che non lo avrebbe lasciato dormire in pace maipiù.

Al momento stesso, Greene giungeva a una conclu-sione che era precisamente l’opposto. Coricato un matti-no nel suo letto, sui più morbidi guanciali, tra le più finilenzuola, il suo sguardo spaziava oltre la finestra a sestoacuto su di una distesa d’erba dove da tre secoli non eraspuntato un ranuncolo né un’erbaccia; e pensava che senon trovava modo di fuggire sarebbe morto soffocato.Mentre si alzava, udiva i piccioni tubare, e l’acquachioccolare nella fontana mentre si vestiva; e pensavache se non avesse più dovuto sentire il rotolar dei carrisull’acciottolato di Fleet Street, non avrebbe più scrittouna riga in vita sua. “Se la faccenda seguita per un pez-

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zo” diceva tra sé, e sentiva il valletto attizzare il fuoco eposare i piatti d’argento sulla tavola, nella stanza vicina“cascherò addormentato e (e qui sbadigliò fragorosa-mente) addormentato passerò all’altro mondo.”

Così, andò a trovare Orlando nelle sue stanze, e glispiegò come, a causa del silenzio, tutta notte non avessepotuto chiudere occhio. (Vero è che la casa era circonda-ta da quindici miglia di parco tutt’intorno, e da un murodi dieci piedi.) Di tutte le cose al mondo, disse, nulla loopprimeva tanto quanto il silenzio. Col permesso di Or-lando, avrebbe posto fine alla sua visita quel mattinostesso. A quella notizia Orlando provò un certo sollievo,per quanto vedesse con dispiacere il poeta andarsene. Lacasa, pensava, sarebbe sembrata morta senza lui. Al mo-mento degli addii (siccome non aveva mai osato affron-tare quel tema) ebbe l’audacia di offrire al poeta la suatragedia in versi sulla morte di Ercole, pregandolo d’unsuo parere. Il poeta prese la tragedia, borbottò qualchecosa sulla Glauria e Cicerone, cui Orlando tagliò corto,promettendo di pagare trimestralmente la pensione;dopo di che Greene, con grandi proteste d’affetto, saltòin carrozza e partì.

Mai il grande atrio era parso così vasto, così splendi-do, e così vuoto, come in quel momento, in cui s’udivail rumor del cocchio che s’allontanava. Orlando sapevache mai più avrebbe avuto cuore di arrostire croste diformaggio nel caminetto all’italiana. Chi avrebbe ancoraosato motteggiare sulla pittura italiana? Chi avrebbe sa-puto mescolare un punch a dovere? Quanta baldoria,

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zo” diceva tra sé, e sentiva il valletto attizzare il fuoco eposare i piatti d’argento sulla tavola, nella stanza vicina“cascherò addormentato e (e qui sbadigliò fragorosa-mente) addormentato passerò all’altro mondo.”

Così, andò a trovare Orlando nelle sue stanze, e glispiegò come, a causa del silenzio, tutta notte non avessepotuto chiudere occhio. (Vero è che la casa era circonda-ta da quindici miglia di parco tutt’intorno, e da un murodi dieci piedi.) Di tutte le cose al mondo, disse, nulla loopprimeva tanto quanto il silenzio. Col permesso di Or-lando, avrebbe posto fine alla sua visita quel mattinostesso. A quella notizia Orlando provò un certo sollievo,per quanto vedesse con dispiacere il poeta andarsene. Lacasa, pensava, sarebbe sembrata morta senza lui. Al mo-mento degli addii (siccome non aveva mai osato affron-tare quel tema) ebbe l’audacia di offrire al poeta la suatragedia in versi sulla morte di Ercole, pregandolo d’unsuo parere. Il poeta prese la tragedia, borbottò qualchecosa sulla Glauria e Cicerone, cui Orlando tagliò corto,promettendo di pagare trimestralmente la pensione;dopo di che Greene, con grandi proteste d’affetto, saltòin carrozza e partì.

Mai il grande atrio era parso così vasto, così splendi-do, e così vuoto, come in quel momento, in cui s’udivail rumor del cocchio che s’allontanava. Orlando sapevache mai più avrebbe avuto cuore di arrostire croste diformaggio nel caminetto all’italiana. Chi avrebbe ancoraosato motteggiare sulla pittura italiana? Chi avrebbe sa-puto mescolare un punch a dovere? Quanta baldoria,

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quanto buon sangue che non sarebbe tornato mai più!Eppure, che sollievo esser liberati da quella voce queru-la, che lusso trovarsi di nuovo soli, non poteva fare ameno di pensare Orlando, intanto che slegava il mastinoche era stato alla catena per quelle sei settimane, chénon poteva vedere il poeta senza saltargli addosso.

Nick Greene scese dal cocchio in quel medesimo po-meriggio all’angolo di Fetter Lane, e trovò le cosepress’a poco come le aveva lasciate. Cioè, in una stanzaMistress Greene aveva i dolori di parto; in un’altra, TomFletcher s’ubbriacava di gin. Libri s’ammucchiavano acatafascio sul pavimento; il pranzo – o quel che si pote-va chiamar pranzo – era preparato su di un acconciatoiodove i bambini avevano fatto i tortelli di mota. MaGreene sentiva che era ben questa l’atmosfera propiziaper uno scrittore; qui avrebbe potuto scrivere, e infattiscrisse. Il soggetto gli calzava a meraviglia. “Un nobileLord in casa sua”; oppure “Visita a un nobiluomo incampagna”: tale a un dipresso sarebbe stato il titolo delsuo nuovo poema. Strappando la penna d’oca al suo ma-schietto, che stava solleticando le orecchie al gatto,Greene la intinse nel portauova che serviva da calamaioe buttò giù una satira la quale, qua e là, non mancava dispirito. Il soggetto era manipolato in maniera tale da nonlasciar dubbi che il giovane Lord messo alla berlina fos-se Orlando in persona; i suoi modi di dire, e di fare piùintimi, i suoi entusiasmi e le sue ingenuità, giù fino alpreciso colore dei suoi capelli e alla sua maniera di arro-tare l’erre alla straniera, tutto era còlto dal vero. E se

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quanto buon sangue che non sarebbe tornato mai più!Eppure, che sollievo esser liberati da quella voce queru-la, che lusso trovarsi di nuovo soli, non poteva fare ameno di pensare Orlando, intanto che slegava il mastinoche era stato alla catena per quelle sei settimane, chénon poteva vedere il poeta senza saltargli addosso.

Nick Greene scese dal cocchio in quel medesimo po-meriggio all’angolo di Fetter Lane, e trovò le cosepress’a poco come le aveva lasciate. Cioè, in una stanzaMistress Greene aveva i dolori di parto; in un’altra, TomFletcher s’ubbriacava di gin. Libri s’ammucchiavano acatafascio sul pavimento; il pranzo – o quel che si pote-va chiamar pranzo – era preparato su di un acconciatoiodove i bambini avevano fatto i tortelli di mota. MaGreene sentiva che era ben questa l’atmosfera propiziaper uno scrittore; qui avrebbe potuto scrivere, e infattiscrisse. Il soggetto gli calzava a meraviglia. “Un nobileLord in casa sua”; oppure “Visita a un nobiluomo incampagna”: tale a un dipresso sarebbe stato il titolo delsuo nuovo poema. Strappando la penna d’oca al suo ma-schietto, che stava solleticando le orecchie al gatto,Greene la intinse nel portauova che serviva da calamaioe buttò giù una satira la quale, qua e là, non mancava dispirito. Il soggetto era manipolato in maniera tale da nonlasciar dubbi che il giovane Lord messo alla berlina fos-se Orlando in persona; i suoi modi di dire, e di fare piùintimi, i suoi entusiasmi e le sue ingenuità, giù fino alpreciso colore dei suoi capelli e alla sua maniera di arro-tare l’erre alla straniera, tutto era còlto dal vero. E se

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mai vi fosse stato il minimo dubbio al riguardo, Greenelo dissipava introducendovi, alterati appena, alcuni branidella “Morte di Ercole”, quell’aristocratica tragedia che,come se l’era atteso, aveva trovato verbosa e ampollosaall’eccesso.

Il libro, che raggiunse subito un discreto numero diedizioni, e pagò le spese del decimo puerperio di Mi-stress Greene, non tardò ad arrivare in mano di Orlando,per opera di quegli amici che di solito hanno cura diqueste cose. Finito che ebbe di leggerlo, con perfettacalma, dalla prima parola all’ultima, Orlando suonò peril valletto; gli porse il documento, sulla punta di un paiodi molle; e gl’ingiunse di andarlo a gettare nel più pro-fondo della più puzzolente fogna che ci fosse in tutto ildominio. Mentre l’uomo si volgeva per andarsene, lofermò: «Prendete il più veloce cavallo che ci sia nellescuderie» gli disse «e galoppate ventre a terra fino aHarwich. Là, vi imbarcherete su di un vascello che tro-verete pronto a far vela per la Norvegia. Mi compreretela più bella coppia di levrieri da corsa che potrete trova-re nella muta reale, nei canili del Re; e me li condurretequi senza por tempo in mezzo. Poiché» mormorò in unsoffio, tornando ai suoi libri «voglio farla finita con gliuomini».

Il valletto, che ben conosceva i suoi doveri, s’inchinòe disparve. Adempié all’incarico con tanto zelo, che inmeno di tre settimane era di ritorno, recando al guinza-glio la più bella coppia di cani levrieri che si potesse ve-dere; e la femmina, quella notte stessa, diede alla luce

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mai vi fosse stato il minimo dubbio al riguardo, Greenelo dissipava introducendovi, alterati appena, alcuni branidella “Morte di Ercole”, quell’aristocratica tragedia che,come se l’era atteso, aveva trovato verbosa e ampollosaall’eccesso.

Il libro, che raggiunse subito un discreto numero diedizioni, e pagò le spese del decimo puerperio di Mi-stress Greene, non tardò ad arrivare in mano di Orlando,per opera di quegli amici che di solito hanno cura diqueste cose. Finito che ebbe di leggerlo, con perfettacalma, dalla prima parola all’ultima, Orlando suonò peril valletto; gli porse il documento, sulla punta di un paiodi molle; e gl’ingiunse di andarlo a gettare nel più pro-fondo della più puzzolente fogna che ci fosse in tutto ildominio. Mentre l’uomo si volgeva per andarsene, lofermò: «Prendete il più veloce cavallo che ci sia nellescuderie» gli disse «e galoppate ventre a terra fino aHarwich. Là, vi imbarcherete su di un vascello che tro-verete pronto a far vela per la Norvegia. Mi compreretela più bella coppia di levrieri da corsa che potrete trova-re nella muta reale, nei canili del Re; e me li condurretequi senza por tempo in mezzo. Poiché» mormorò in unsoffio, tornando ai suoi libri «voglio farla finita con gliuomini».

Il valletto, che ben conosceva i suoi doveri, s’inchinòe disparve. Adempié all’incarico con tanto zelo, che inmeno di tre settimane era di ritorno, recando al guinza-glio la più bella coppia di cani levrieri che si potesse ve-dere; e la femmina, quella notte stessa, diede alla luce

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sotto il tavolo in sala da pranzo otto magnifici cuccioli.Orlando li fece portare nella sua stanza da letto.

«Perché» disse «l’ho fatta finita con gli uomini.»Tuttavia, pagò sempre la pensione ogni trimestre.Così, a trent’anni o poco più, il nostro giovane genti-

luomo aveva avuto non solo ogni esperienza che la vitapotesse offrire, ma ne aveva anche visto la vanità. Amo-re e ambizione, donne e poeti, tutto era ugualmentevano. La letteratura era una burla. La sera, dopo averletto la “Visita a un gentiluomo in campagna”, fece ungran falò di tutte le proprie opere poetiche, di cui nontenne che “La Quercia”, un breve poema che era statauna sua fantasia di adolescente. Due sole cose gli resta-vano, in cui ponesse ogni sua fede: i cani e la natura; unlevriero e un rosaio. A tanto s’era ridotto il mondo, intutta la sua varietà, la vita in tutta la sua complessità.Dei cani e un arbusto: ecco tutto. E sentendosi liberatodall’enorme peso di una montagna d’illusioni, e assainudo in conseguenza, Orlando fischiò ai suoi cani, e agrandi passi si addentrò nel parco.

Tanto tempo aveva trascorso recluso, a scrivere e aleggere, che quasi aveva obliato quanto amena possa es-sere la natura in giugno. Quand’ebbe raggiunto il cocuz-zolo di monte donde nelle belle giornate si poteva vede-re mezza Inghilterra, con una fetta del Galles e dellaScozia in sovrappiù, si gettò sotto la sua beneamataquercia, e sentì che, ove per tutto il tempo di sua vitanon avesse più avuto bisogno di scambiar parola con unuomo o una donna; ove i suoi cani non ricevessero il

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sotto il tavolo in sala da pranzo otto magnifici cuccioli.Orlando li fece portare nella sua stanza da letto.

«Perché» disse «l’ho fatta finita con gli uomini.»Tuttavia, pagò sempre la pensione ogni trimestre.Così, a trent’anni o poco più, il nostro giovane genti-

luomo aveva avuto non solo ogni esperienza che la vitapotesse offrire, ma ne aveva anche visto la vanità. Amo-re e ambizione, donne e poeti, tutto era ugualmentevano. La letteratura era una burla. La sera, dopo averletto la “Visita a un gentiluomo in campagna”, fece ungran falò di tutte le proprie opere poetiche, di cui nontenne che “La Quercia”, un breve poema che era statauna sua fantasia di adolescente. Due sole cose gli resta-vano, in cui ponesse ogni sua fede: i cani e la natura; unlevriero e un rosaio. A tanto s’era ridotto il mondo, intutta la sua varietà, la vita in tutta la sua complessità.Dei cani e un arbusto: ecco tutto. E sentendosi liberatodall’enorme peso di una montagna d’illusioni, e assainudo in conseguenza, Orlando fischiò ai suoi cani, e agrandi passi si addentrò nel parco.

Tanto tempo aveva trascorso recluso, a scrivere e aleggere, che quasi aveva obliato quanto amena possa es-sere la natura in giugno. Quand’ebbe raggiunto il cocuz-zolo di monte donde nelle belle giornate si poteva vede-re mezza Inghilterra, con una fetta del Galles e dellaScozia in sovrappiù, si gettò sotto la sua beneamataquercia, e sentì che, ove per tutto il tempo di sua vitanon avesse più avuto bisogno di scambiar parola con unuomo o una donna; ove i suoi cani non ricevessero il

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dono della parola; ove non si trovasse mai più tra i piediun poeta né una principessa, avrebbe potuto godersi pas-sabilmente quegli anni che ancora aveva davanti a sé.

Qui egli ritornò sempre, un giorno dopo l’altro, unasettimana dopo l’altra, un anno dopo l’altro. Vedeva ifaggi dorarsi, e le giovani felci dischiudere le loro volu-te; vedeva la falce della luna mutarsi in disco; vedeva...ma il lettore, senza dubbio, è capace di figurarsi il perio-do che dovrebbe seguire, in cui ogni albero, ogni vege-tale tutt’intorno vi si descriverebbe dapprima verdeg-giante, poi dorato; e il sorger delle lune e il tramontaredei soli; e l’avvicendarsi della primavera all’inverno edell’autunno all’estate; e della notte al giorno e del gior-no alla notte; e poi, il sereno che viene dopo la pioggia;vi si vedrebbe, insomma, come ben poco mutano le cosenello spazio di due o tre secoli, eccezion fatta per un po’di polvere e qualche ragnatela che una qualsiasi vec-chietta è capace di spolverar da sola in meno dimezz’ora. Una conclusione a cui, a ben rifletterci, si po-teva arrivar più presto con la semplice constatazione che“Il tempo passò” (e l’esatta durata potrebbe esser indica-ta fra virgolette) “e nulla di notevole accadde”.

Sfortunatamente il tempo, il quale fa fiorire e appassi-re con sì sorprendente puntualità animali e vegetali, nonha sullo spirito umano effetti così semplici. Anzi, è piut-tosto lo spirito umano a elaborare stranamente la struttu-ra del tempo. Un’ora, una volta entrata nel bizzarro ele-mento dello spirito umano, può allungarsi di cinquanta ocento volte la sua durata d’orologio; al contrario, un’ora

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dono della parola; ove non si trovasse mai più tra i piediun poeta né una principessa, avrebbe potuto godersi pas-sabilmente quegli anni che ancora aveva davanti a sé.

Qui egli ritornò sempre, un giorno dopo l’altro, unasettimana dopo l’altra, un anno dopo l’altro. Vedeva ifaggi dorarsi, e le giovani felci dischiudere le loro volu-te; vedeva la falce della luna mutarsi in disco; vedeva...ma il lettore, senza dubbio, è capace di figurarsi il perio-do che dovrebbe seguire, in cui ogni albero, ogni vege-tale tutt’intorno vi si descriverebbe dapprima verdeg-giante, poi dorato; e il sorger delle lune e il tramontaredei soli; e l’avvicendarsi della primavera all’inverno edell’autunno all’estate; e della notte al giorno e del gior-no alla notte; e poi, il sereno che viene dopo la pioggia;vi si vedrebbe, insomma, come ben poco mutano le cosenello spazio di due o tre secoli, eccezion fatta per un po’di polvere e qualche ragnatela che una qualsiasi vec-chietta è capace di spolverar da sola in meno dimezz’ora. Una conclusione a cui, a ben rifletterci, si po-teva arrivar più presto con la semplice constatazione che“Il tempo passò” (e l’esatta durata potrebbe esser indica-ta fra virgolette) “e nulla di notevole accadde”.

Sfortunatamente il tempo, il quale fa fiorire e appassi-re con sì sorprendente puntualità animali e vegetali, nonha sullo spirito umano effetti così semplici. Anzi, è piut-tosto lo spirito umano a elaborare stranamente la struttu-ra del tempo. Un’ora, una volta entrata nel bizzarro ele-mento dello spirito umano, può allungarsi di cinquanta ocento volte la sua durata d’orologio; al contrario, un’ora

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può rappresentare, sul quadrante del nostro spirito, esat-tamente lo spazio d’un secondo. Tale singolare discre-panza fra il tempo del quadrante e il tempo dello spiritoè men nota di quanto dovrebbe essere, e meriterebbe piùampie investigazioni. Ma il biografo, già lo abbiamodetto, ha un campo estremamente ristretto, e deve limi-tarsi qui a una semplice constatazione: quando un uomo,al pari di Orlando, ha raggiunto la trentina, il tempoch’egli consacra a meditare gli diviene smodatamentelungo, e il tempo che impiega ad agire smodatamentebreve. Così Orlando dava i suoi ordini, e amministrava isuoi immensi beni, in un batter d’occhi; ma non appenasi trovava solo sotto la quercia in cima alla collina, i se-condi cominciavano a gonfiarsi, a colmarsi come se nondovessero scorrere mai più. Del resto, erano colmi dellapiù strana varietà di propositi. Non solo Orlando si tro-vava di fronte a problemi che hanno fatto ammattire ipiù grandi saggi, come “Che cos’è l’amore? L’amicizia?La verità?», ma non appena si metteva a riflettervi, tuttoil suo passato, che a lui pareva estremamente vario elungo, si precipitava nell’attimo fuggente, lo faceva lie-vitare sino a una dozzina di volte la sua naturale durata,lo tingeva di mille colori, e lo riempiva di tutte le cian-ciafruscole dell’universo.

Concentrato in simili meditazioni (o quale altro nomedar loro si voglia), Orlando trascorse mesi e anni dellasua vita. Non è esagerazione il dire che, uscendo di casadopo colazione, era un uomo sui trent’anni, e ritornandoall’ora di pranzo ne aveva cinquanta almeno. V’erano

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può rappresentare, sul quadrante del nostro spirito, esat-tamente lo spazio d’un secondo. Tale singolare discre-panza fra il tempo del quadrante e il tempo dello spiritoè men nota di quanto dovrebbe essere, e meriterebbe piùampie investigazioni. Ma il biografo, già lo abbiamodetto, ha un campo estremamente ristretto, e deve limi-tarsi qui a una semplice constatazione: quando un uomo,al pari di Orlando, ha raggiunto la trentina, il tempoch’egli consacra a meditare gli diviene smodatamentelungo, e il tempo che impiega ad agire smodatamentebreve. Così Orlando dava i suoi ordini, e amministrava isuoi immensi beni, in un batter d’occhi; ma non appenasi trovava solo sotto la quercia in cima alla collina, i se-condi cominciavano a gonfiarsi, a colmarsi come se nondovessero scorrere mai più. Del resto, erano colmi dellapiù strana varietà di propositi. Non solo Orlando si tro-vava di fronte a problemi che hanno fatto ammattire ipiù grandi saggi, come “Che cos’è l’amore? L’amicizia?La verità?», ma non appena si metteva a riflettervi, tuttoil suo passato, che a lui pareva estremamente vario elungo, si precipitava nell’attimo fuggente, lo faceva lie-vitare sino a una dozzina di volte la sua naturale durata,lo tingeva di mille colori, e lo riempiva di tutte le cian-ciafruscole dell’universo.

Concentrato in simili meditazioni (o quale altro nomedar loro si voglia), Orlando trascorse mesi e anni dellasua vita. Non è esagerazione il dire che, uscendo di casadopo colazione, era un uomo sui trent’anni, e ritornandoall’ora di pranzo ne aveva cinquanta almeno. V’erano

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settimane che accrescevano i suoi anni di un secolo, al-tre, invece, di tre secondi appena. In complesso, lo sti-mare la durata della vita umana è cosa che va oltre il no-stro sapere (nulla ci presumiamo di dire su quella deglianimali); non appena diciamo che è interminabile, civien rammentato che essa trascorre in più breve spaziodi quel che impiega una foglia di rosa per cadere al suo-lo. Tra le due forze che alternativamente, e, ciò che è an-cor più conturbante, talora nel medesimo attimo domi-nano il malaugurato torpore del nostro cervello – brevitàe diuturnità – Orlando subiva talora l’influsso della deitàdal piè d’elefante, talora quello della mosca dalle effi-mere ali. La vita gli sembrava prodigiosamente lunga.Eppure, passava in un lampo. Ma anche quando si allun-gava interminabile più che mai, e i minuti si facevanopiù pieni e pareva a Orlando di errare solo per deserti disconfinata eternità, anche allora non c’era tempo persvolgere e decifrare quei rotoli di spessa pergamena chetrent’anni trascorsi fra gli uomini e le donne avevanoimpresso sì profondi nel suo cuore e nel suo cervello.Gran tempo prima che Orlando avesse desistito da ognipensiero sull’Amore (nel frattempo la quercia avevamesso le foglie e se n’era spogliata per una dozzina divolte) l’Ambizione giungeva a cacciare quel nemico, edera a sua volta sostituita dall’Amicizia e dalla Letteratu-ra. E siccome la prima domanda – che cosa è l’Amore?– era tuttora in attesa della risposta, ecco che essa torna-va al minimo pretesto, per non dir senza pretesto, a ri-cacciare Libri e Metafore e A-che-pro-si-vive in margi-

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settimane che accrescevano i suoi anni di un secolo, al-tre, invece, di tre secondi appena. In complesso, lo sti-mare la durata della vita umana è cosa che va oltre il no-stro sapere (nulla ci presumiamo di dire su quella deglianimali); non appena diciamo che è interminabile, civien rammentato che essa trascorre in più breve spaziodi quel che impiega una foglia di rosa per cadere al suo-lo. Tra le due forze che alternativamente, e, ciò che è an-cor più conturbante, talora nel medesimo attimo domi-nano il malaugurato torpore del nostro cervello – brevitàe diuturnità – Orlando subiva talora l’influsso della deitàdal piè d’elefante, talora quello della mosca dalle effi-mere ali. La vita gli sembrava prodigiosamente lunga.Eppure, passava in un lampo. Ma anche quando si allun-gava interminabile più che mai, e i minuti si facevanopiù pieni e pareva a Orlando di errare solo per deserti disconfinata eternità, anche allora non c’era tempo persvolgere e decifrare quei rotoli di spessa pergamena chetrent’anni trascorsi fra gli uomini e le donne avevanoimpresso sì profondi nel suo cuore e nel suo cervello.Gran tempo prima che Orlando avesse desistito da ognipensiero sull’Amore (nel frattempo la quercia avevamesso le foglie e se n’era spogliata per una dozzina divolte) l’Ambizione giungeva a cacciare quel nemico, edera a sua volta sostituita dall’Amicizia e dalla Letteratu-ra. E siccome la prima domanda – che cosa è l’Amore?– era tuttora in attesa della risposta, ecco che essa torna-va al minimo pretesto, per non dir senza pretesto, a ri-cacciare Libri e Metafore e A-che-pro-si-vive in margi-

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ne alla vita, donde attendevano poi la prima buona occa-sione per tentare una nuova sortita. Le cose andavanopoi ancor più per le lunghe, per il fatto che erano colori-te a profusione, non solo da immagini, come per esem-pio la vecchia regina Elisabetta coricata sui damaschidel suo letto in veste di broccato rosa, la tabacchierad’avorio in mano e la spada dall’elsa d’oro al fianco; maaltresì da odori – la Regina emanava profumi inebrianti– e da voci, quale il bramito dei cervi nel Parco di Rich-mond, in quella giornata invernale. Così i pensieridell’amore erano tutto un intarsio di neve e d’inverno;di bracieri accesi; di femmine russe; del vecchio re Gia-como bavoso e di fuochi d’artificio e di tesori a sacchientro le stive dei vascelli della Gran Regina. E ogni vol-ta che tentava di pescar nel proprio cervello un oggettoqualsiasi, lo trovava tutto ingombro di altre cose, comeil pezzo di vetro sul quale, dopo un anno che giace infondo al mare, si saranno incrostate ossa e libellule, mo-nete e trecce di donne annegate.

«Per Giove, un’altra metafora» esclamava Orlando atali pensieri (i quali dimostreranno il disordinato e cir-convoluto lavorio del suo cervello, e spiegheranno comemai la quercia rifiorisse e appassisse a tante riprese pri-ma che Orlando venisse a una conclusione sull’Amore).«E a che pro?» si domandava poi. «Perché non dirla allabuona, in poche parole...» E allora, per mezz’ora – oforse erano due anni e mezzo? – si metteva a rifletteresulla maniera più semplice di definire, in poche parole,l’Amore.

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ne alla vita, donde attendevano poi la prima buona occa-sione per tentare una nuova sortita. Le cose andavanopoi ancor più per le lunghe, per il fatto che erano colori-te a profusione, non solo da immagini, come per esem-pio la vecchia regina Elisabetta coricata sui damaschidel suo letto in veste di broccato rosa, la tabacchierad’avorio in mano e la spada dall’elsa d’oro al fianco; maaltresì da odori – la Regina emanava profumi inebrianti– e da voci, quale il bramito dei cervi nel Parco di Rich-mond, in quella giornata invernale. Così i pensieridell’amore erano tutto un intarsio di neve e d’inverno;di bracieri accesi; di femmine russe; del vecchio re Gia-como bavoso e di fuochi d’artificio e di tesori a sacchientro le stive dei vascelli della Gran Regina. E ogni vol-ta che tentava di pescar nel proprio cervello un oggettoqualsiasi, lo trovava tutto ingombro di altre cose, comeil pezzo di vetro sul quale, dopo un anno che giace infondo al mare, si saranno incrostate ossa e libellule, mo-nete e trecce di donne annegate.

«Per Giove, un’altra metafora» esclamava Orlando atali pensieri (i quali dimostreranno il disordinato e cir-convoluto lavorio del suo cervello, e spiegheranno comemai la quercia rifiorisse e appassisse a tante riprese pri-ma che Orlando venisse a una conclusione sull’Amore).«E a che pro?» si domandava poi. «Perché non dirla allabuona, in poche parole...» E allora, per mezz’ora – oforse erano due anni e mezzo? – si metteva a rifletteresulla maniera più semplice di definire, in poche parole,l’Amore.

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«Una metafora come questa è manifestamente falsa»disputava «ché non c’è libellula, a meno di circostanzestraordinarie, la quale potrebbe vivere in fondo al mare.E se la Letteratura non è la sposa e la concubina dellaVerità, che cosa è mai? Alla malora!» gridava poi. «Per-ché dir concubina, quando s’è già detto sposa? Perchénon dir schiettamente quel che si vuol dire, e basta?»

Allora cercava di dire che l’erba è verde e il cielo az-zurro, e di propiziarsi così l’austero spirito della poesia,che, per quanto a distanza, non poteva fare a meno di ri-verire. «Il cielo è azzurro» diceva; «l’erba è verde.» Le-vando gli occhi, vedeva tutto il contrario, cioè che il cie-lo è simile ai veli che mille Madonne hanno lasciato ca-dere dai loro capelli; e che l’erba freme e trascoloracome stuolo di vergini in fuga dinanzi alla paurosa stret-ta dei villosi satiri in un bosco incantato. «Parola d’ono-re» esclamava (poiché aveva preso l’abitudine di parlarda solo) «non vedo che l’una immagine sia più sinceradell’altra. Sono tutte e due pochissimo sincere.» E di-sperava di esser mai capace di risolvere il problema diciò che è la Poesia e di ciò che è la Verità, e cadeva inun abbattimento profondo.

E qui, profittiamo di una pausa nel suo soliloquio, perriflettere su quel bizzarro spettacolo: come mai Orlando,sdraiato e appoggiato al gomito in quella giornata digiugno, e quel bell’uomo nel vigor delle forze, in buonasalute come lo dimostravano guance e membra,quell’Orlando che non avrebbe esitato a mettersi in testaa una carica o a battersi in duello, come mai poteva im-

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«Una metafora come questa è manifestamente falsa»disputava «ché non c’è libellula, a meno di circostanzestraordinarie, la quale potrebbe vivere in fondo al mare.E se la Letteratura non è la sposa e la concubina dellaVerità, che cosa è mai? Alla malora!» gridava poi. «Per-ché dir concubina, quando s’è già detto sposa? Perchénon dir schiettamente quel che si vuol dire, e basta?»

Allora cercava di dire che l’erba è verde e il cielo az-zurro, e di propiziarsi così l’austero spirito della poesia,che, per quanto a distanza, non poteva fare a meno di ri-verire. «Il cielo è azzurro» diceva; «l’erba è verde.» Le-vando gli occhi, vedeva tutto il contrario, cioè che il cie-lo è simile ai veli che mille Madonne hanno lasciato ca-dere dai loro capelli; e che l’erba freme e trascoloracome stuolo di vergini in fuga dinanzi alla paurosa stret-ta dei villosi satiri in un bosco incantato. «Parola d’ono-re» esclamava (poiché aveva preso l’abitudine di parlarda solo) «non vedo che l’una immagine sia più sinceradell’altra. Sono tutte e due pochissimo sincere.» E di-sperava di esser mai capace di risolvere il problema diciò che è la Poesia e di ciò che è la Verità, e cadeva inun abbattimento profondo.

E qui, profittiamo di una pausa nel suo soliloquio, perriflettere su quel bizzarro spettacolo: come mai Orlando,sdraiato e appoggiato al gomito in quella giornata digiugno, e quel bell’uomo nel vigor delle forze, in buonasalute come lo dimostravano guance e membra,quell’Orlando che non avrebbe esitato a mettersi in testaa una carica o a battersi in duello, come mai poteva im-

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mergersi a tal punto nelle sue meditazioni, e subirnel’influsso in tal modo che quando si trovava di fronte auna questione in fatto di poesia, o della sua propriacompetenza, diventava timido come una fanciullina chenon si fidi a uscire dall’uscio della casa materna? Se-condo il nostro modesto parere, tanto il ridicolo cheGreene aveva gettato sulla sua tragedia quanto quello dicui la Principessa aveva sparso il suo amore gli avevanoinflitto ferite mortali. Ma riprendiamo il filo...

Orlando seguitava a meditare. Continuava a guardaree cielo e erba, sforzandosi d’immaginare ciò che un veropoeta, uno che avesse trovato un editore per i suoi versia Londra, avrebbe detto su quei temi. Intanto la Memo-ria (di cui abbiamo già descritto i costumi) badava amantenergli dinanzi agli occhi la faccia di NicholasGreene, quasi quell’uomo sardonico dalle labbra ca-scanti, infido come s’era dimostrato, fosse la Musa inpersona, e a lui Orlando dovesse rendere omaggio. Inquel mattino d’estate, Orlando gli offriva dunque un belrepertorio di frasi, semplici le une, fiorite le altre; e NickGreene a scuotere il capo, a ghignare, a brontolare nonso che sulla Glauria e Cicerone e la poesia che ai tempinostri era morta. In ultimo Orlando, alzatosi in piedi(s’era d’inverno ora, e faceva assai freddo), profferì unodei più formidabili giuramenti della sua vita, il quale lolegava a una servitù quale più severa non ve ne fu mai.

«Ch’io possa esser dannato» disse «se scriverò ancorauna sola parola, o anche solo se tenterò di scriverne una,per piacere a Nick Greene o alla Musa. Bene o male o

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mergersi a tal punto nelle sue meditazioni, e subirnel’influsso in tal modo che quando si trovava di fronte auna questione in fatto di poesia, o della sua propriacompetenza, diventava timido come una fanciullina chenon si fidi a uscire dall’uscio della casa materna? Se-condo il nostro modesto parere, tanto il ridicolo cheGreene aveva gettato sulla sua tragedia quanto quello dicui la Principessa aveva sparso il suo amore gli avevanoinflitto ferite mortali. Ma riprendiamo il filo...

Orlando seguitava a meditare. Continuava a guardaree cielo e erba, sforzandosi d’immaginare ciò che un veropoeta, uno che avesse trovato un editore per i suoi versia Londra, avrebbe detto su quei temi. Intanto la Memo-ria (di cui abbiamo già descritto i costumi) badava amantenergli dinanzi agli occhi la faccia di NicholasGreene, quasi quell’uomo sardonico dalle labbra ca-scanti, infido come s’era dimostrato, fosse la Musa inpersona, e a lui Orlando dovesse rendere omaggio. Inquel mattino d’estate, Orlando gli offriva dunque un belrepertorio di frasi, semplici le une, fiorite le altre; e NickGreene a scuotere il capo, a ghignare, a brontolare nonso che sulla Glauria e Cicerone e la poesia che ai tempinostri era morta. In ultimo Orlando, alzatosi in piedi(s’era d’inverno ora, e faceva assai freddo), profferì unodei più formidabili giuramenti della sua vita, il quale lolegava a una servitù quale più severa non ve ne fu mai.

«Ch’io possa esser dannato» disse «se scriverò ancorauna sola parola, o anche solo se tenterò di scriverne una,per piacere a Nick Greene o alla Musa. Bene o male o

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indifferentemente, d’ora in avanti scriverò per far piace-re a me.» E qui, fece il gesto di fare a pezzi tutto un su-bisso di carte, e di gettarle in faccia a quel ghigno dallelabbra cascanti. Dopo di che, non altrimenti che un bo-tolo se la batte, non appena fingete di curvarvi per get-targli un sasso, la Memoria s’affrettò a far scomparirel’immagine di Nick Greene; e con che cosa credete lasostituisse?... Con un bel nulla.

E Orlando, imperterrito, seguitava a meditare. E neaveva di che. Strappando i suoi manoscritti, con lo stes-so gesto aveva fatto in due quella bene arrotolata e sigil-lata pergamena che nella solitudine delle sue stanze egliaveva redatto in suo favore, nominandosi, come un renomina i suoi ambasciatori, primo poeta del suo paese,primo scrittore del suo secolo, accordando alla sua ani-ma immortalità e fama imperitura, e al suo corpo unatomba perpetuamente cinta di allori e degli intangibilivessilli dell’ammirazione universale. Per quanto elo-quente fosse quella pergamena, egli non esitò a strappar-la e a gettarla nell’immondezzaio. «La Fama» diceva «èsimile a...» e siccome non c’era più un Nick Greene chelo fermasse, si tuffò in una vera orgia di immagini, dicui noi non sceglieremo che alcune fra le più mansuete:«... simile a una camicia di forza che impastoia le mem-bra; a un giaco di maglia d’argento che raffrena il cuore;a uno scudo dipinto che cela uno spauracchio» ecc. ecc.Il succo di tutte quelle frasi era che mentre la Famaostacola e costringe l’uomo, l’Oscurità lo avvolge comeuna nebbia; la qual nebbia è cupa, vasta e libera; e per-

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indifferentemente, d’ora in avanti scriverò per far piace-re a me.» E qui, fece il gesto di fare a pezzi tutto un su-bisso di carte, e di gettarle in faccia a quel ghigno dallelabbra cascanti. Dopo di che, non altrimenti che un bo-tolo se la batte, non appena fingete di curvarvi per get-targli un sasso, la Memoria s’affrettò a far scomparirel’immagine di Nick Greene; e con che cosa credete lasostituisse?... Con un bel nulla.

E Orlando, imperterrito, seguitava a meditare. E neaveva di che. Strappando i suoi manoscritti, con lo stes-so gesto aveva fatto in due quella bene arrotolata e sigil-lata pergamena che nella solitudine delle sue stanze egliaveva redatto in suo favore, nominandosi, come un renomina i suoi ambasciatori, primo poeta del suo paese,primo scrittore del suo secolo, accordando alla sua ani-ma immortalità e fama imperitura, e al suo corpo unatomba perpetuamente cinta di allori e degli intangibilivessilli dell’ammirazione universale. Per quanto elo-quente fosse quella pergamena, egli non esitò a strappar-la e a gettarla nell’immondezzaio. «La Fama» diceva «èsimile a...» e siccome non c’era più un Nick Greene chelo fermasse, si tuffò in una vera orgia di immagini, dicui noi non sceglieremo che alcune fra le più mansuete:«... simile a una camicia di forza che impastoia le mem-bra; a un giaco di maglia d’argento che raffrena il cuore;a uno scudo dipinto che cela uno spauracchio» ecc. ecc.Il succo di tutte quelle frasi era che mentre la Famaostacola e costringe l’uomo, l’Oscurità lo avvolge comeuna nebbia; la qual nebbia è cupa, vasta e libera; e per-

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mette allo spirito di seguir la propria via senza impacci.Sull’uomo oscuro, l’Oscurità distende i suoi veli miseri-cordiosi. Nessuno sa dove egli vada, né donde venga.Gli è concesso di cercar la verità, e di dirla; egli solo èlibero; egli solo è veritiero; egli solo è in pace. Così,all’ombra della quercia, egli piombava in una calmadolce, e la durezza delle radici a fior di terra gli era qua-si un conforto.

A lungo Orlando rimase immerso nelle sue riflessionisui vantaggi dell’Oscurità, e sulle delizie di esser senzanome, pari all’onda che ritorna a perdersi in seno almare. Pensava che l’Oscurità libera lo spirito dall’assillodell’invidia e del rancore; e permette alle acque dellagenerosità e della magnanimità di scorrer libere nellevene; e permette di dare e prendere senza ringraziamentiné lodi; tale infatti deve essere stata la vita di tutti igrandi poeti, immaginava (per quanto le sue cognizionidi greco non fossero abbastanza solide per confermarlonella sua opinione); ma Shakespeare deve certo averscritto così; e i costruttori di cattedrali devono aver co-struito così: anonimi, come chi non ha bisogno di rico-noscenza o di fama, ma solo di lavoro durante la giorna-ta, e forse di un bicchier di birra la sera...

“Che vita meravigliosa!” pensò, stendendo le membrasotto la quercia. “E perché non godercela fin da questomomento?” Il pensiero lo colpì come una freccia.L’ambizione piombò giù di colpo, come uno scandaglio.Guarito il suo cuore dalle ustioni del tradimento d’amo-re, della vanità offesa, e di tutti i colpi di spillo, di tutte

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mette allo spirito di seguir la propria via senza impacci.Sull’uomo oscuro, l’Oscurità distende i suoi veli miseri-cordiosi. Nessuno sa dove egli vada, né donde venga.Gli è concesso di cercar la verità, e di dirla; egli solo èlibero; egli solo è veritiero; egli solo è in pace. Così,all’ombra della quercia, egli piombava in una calmadolce, e la durezza delle radici a fior di terra gli era qua-si un conforto.

A lungo Orlando rimase immerso nelle sue riflessionisui vantaggi dell’Oscurità, e sulle delizie di esser senzanome, pari all’onda che ritorna a perdersi in seno almare. Pensava che l’Oscurità libera lo spirito dall’assillodell’invidia e del rancore; e permette alle acque dellagenerosità e della magnanimità di scorrer libere nellevene; e permette di dare e prendere senza ringraziamentiné lodi; tale infatti deve essere stata la vita di tutti igrandi poeti, immaginava (per quanto le sue cognizionidi greco non fossero abbastanza solide per confermarlonella sua opinione); ma Shakespeare deve certo averscritto così; e i costruttori di cattedrali devono aver co-struito così: anonimi, come chi non ha bisogno di rico-noscenza o di fama, ma solo di lavoro durante la giorna-ta, e forse di un bicchier di birra la sera...

“Che vita meravigliosa!” pensò, stendendo le membrasotto la quercia. “E perché non godercela fin da questomomento?” Il pensiero lo colpì come una freccia.L’ambizione piombò giù di colpo, come uno scandaglio.Guarito il suo cuore dalle ustioni del tradimento d’amo-re, della vanità offesa, e di tutti i colpi di spillo, di tutte

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le punture sofferte sul letto sparso di ortiche della suasete di fama, ma che ormai non avrebbero più fatto sof-frir oltre l’uomo noncurante della gloria, Orlando aprìgli occhi. Li aveva bensì tenuti aperti durante tutto queltempo, ma non avevano visto altro che pensieri. Alloravide, nella valle che gli si stendeva ai piedi, la sua dimo-ra.

Là essa giaceva, nel precoce sole primaverile. Parevapiuttosto un borgo che una casa; ma non un borgo co-struito a casaccio, secondo il capriccio di questo o quel-lo, bensì a ragion veduta, da un solo architetto con unaunica idea in capo. Cortili e fabbricati, grigi, rossi, vio-lacei di colore, s’avvicendavano in ordine, con simme-tria: alcuni dei cortili erano ovali, altri in quadrato; que-sto accoglieva una fontana, quello una statua; alcuniedifici avevano il tetto piano, altri a punta; qui s’innal-zava una cappella, là un campanile; e tra gli uni e gli al-tri si stendevano prati del più bel verde, e boschetti dicedro e aiuole di fiori multicolori; e tutto era rinserrato –eppure così ben disposto che ogni parte sembrava averspazio per distendersi a suo agio – da una cinta di mas-sicci bastioni; e il fumo di innumeri camini inanellavasenza posa il cielo. “Quella dimora vasta eppur armo-niosa” pensava Orlando “che potrebbe ospitare un mi-gliaio d’uomini e forse duemila cavalli, è l’opera di arti-giani il cui nome si ignora. Qui, per più secoli ch’io nonpossa contare, hanno vissuto le oscure generazioni dellamia oscura famiglia. Richard, John, Ann, Elizabeth...non uno solo di essi ha lasciato ricordo dietro di sé, ep-

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le punture sofferte sul letto sparso di ortiche della suasete di fama, ma che ormai non avrebbero più fatto sof-frir oltre l’uomo noncurante della gloria, Orlando aprìgli occhi. Li aveva bensì tenuti aperti durante tutto queltempo, ma non avevano visto altro che pensieri. Alloravide, nella valle che gli si stendeva ai piedi, la sua dimo-ra.

Là essa giaceva, nel precoce sole primaverile. Parevapiuttosto un borgo che una casa; ma non un borgo co-struito a casaccio, secondo il capriccio di questo o quel-lo, bensì a ragion veduta, da un solo architetto con unaunica idea in capo. Cortili e fabbricati, grigi, rossi, vio-lacei di colore, s’avvicendavano in ordine, con simme-tria: alcuni dei cortili erano ovali, altri in quadrato; que-sto accoglieva una fontana, quello una statua; alcuniedifici avevano il tetto piano, altri a punta; qui s’innal-zava una cappella, là un campanile; e tra gli uni e gli al-tri si stendevano prati del più bel verde, e boschetti dicedro e aiuole di fiori multicolori; e tutto era rinserrato –eppure così ben disposto che ogni parte sembrava averspazio per distendersi a suo agio – da una cinta di mas-sicci bastioni; e il fumo di innumeri camini inanellavasenza posa il cielo. “Quella dimora vasta eppur armo-niosa” pensava Orlando “che potrebbe ospitare un mi-gliaio d’uomini e forse duemila cavalli, è l’opera di arti-giani il cui nome si ignora. Qui, per più secoli ch’io nonpossa contare, hanno vissuto le oscure generazioni dellamia oscura famiglia. Richard, John, Ann, Elizabeth...non uno solo di essi ha lasciato ricordo dietro di sé, ep-

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pure tutti quanti, lavorando insieme chi con la spada chicon l’ago, coi loro amori e la loro fecondità, hanno la-sciato questo.”

Mai la casa era apparsa così nobile, così umana.E perché lui, allora, aveva desiderato innalzarsi al di-

sopra di loro? Vano pareva invero, e forse arrogante,cercar di superare quell’anonima opera di creazione,quella fatica di mani da tempo scomparse. Meglio eraandarsene sconosciuto, lasciando dietro di sé un arco,una cantina, un muro dove si maturino le pesche, piutto-sto che bruciare come una meteora che non lascia ceneredietro di sé. Poiché dopo tutto, diceva Orlando, semprepiù infiammandosi alla vista della grande casa distesatra i prati, i cavalieri e le dame che ignoti avevano vissu-to là, non avevano mai dimenticato di metter da partequalcosa per quelli che verrebbero dopo di loro; per iltetto che pericolerebbe un giorno, per la volta che prestoo tardi cadrebbe. C’era sempre un angolo al caldo per ilvecchio pastore, nelle cucine; sempre un boccone per gliaffamati; i calici erano sempre rilucenti, anche se i pa-droni erano ammalati; le loro finestre sempre illuminate,anche se essi si trovavano a morte. Pur essendo nobilisignori, erano paghi di scender nell’ombra insieme alcacciatore di talpe e al muratore. Oscuri gentiluomini,costruttori obliati: così Orlando apostrofava i suoi avi,con un entusiasmo che smentiva in pieno quei critici iquali l’avevano accusato di freddezza, d’indifferenza,d’ignavia (la verità è che, sovente, una qualità si trovaprecisamente dall’altra parte del muro lungo il quale

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pure tutti quanti, lavorando insieme chi con la spada chicon l’ago, coi loro amori e la loro fecondità, hanno la-sciato questo.”

Mai la casa era apparsa così nobile, così umana.E perché lui, allora, aveva desiderato innalzarsi al di-

sopra di loro? Vano pareva invero, e forse arrogante,cercar di superare quell’anonima opera di creazione,quella fatica di mani da tempo scomparse. Meglio eraandarsene sconosciuto, lasciando dietro di sé un arco,una cantina, un muro dove si maturino le pesche, piutto-sto che bruciare come una meteora che non lascia ceneredietro di sé. Poiché dopo tutto, diceva Orlando, semprepiù infiammandosi alla vista della grande casa distesatra i prati, i cavalieri e le dame che ignoti avevano vissu-to là, non avevano mai dimenticato di metter da partequalcosa per quelli che verrebbero dopo di loro; per iltetto che pericolerebbe un giorno, per la volta che prestoo tardi cadrebbe. C’era sempre un angolo al caldo per ilvecchio pastore, nelle cucine; sempre un boccone per gliaffamati; i calici erano sempre rilucenti, anche se i pa-droni erano ammalati; le loro finestre sempre illuminate,anche se essi si trovavano a morte. Pur essendo nobilisignori, erano paghi di scender nell’ombra insieme alcacciatore di talpe e al muratore. Oscuri gentiluomini,costruttori obliati: così Orlando apostrofava i suoi avi,con un entusiasmo che smentiva in pieno quei critici iquali l’avevano accusato di freddezza, d’indifferenza,d’ignavia (la verità è che, sovente, una qualità si trovaprecisamente dall’altra parte del muro lungo il quale

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l’andiamo cercando); così egli apostrofava la sua casa ela sua razza, in termini della più commovente eloquen-za; ma quando giunse alla perorazione – e che cosa èmai un brano di eloquenza che manca della perorazio-ne? – s’impappinò. Gli sarebbe piaciuto finire con unbel pezzo fiorito, esclamare che camminerebbe sulleorme loro, che aggiungerebbe la sua pietra al loro edifi-cio. Senonché, l’edificio copriva già ben nove acri diterreno, e pareva davvero superfluo aggiungervi altrepietre, fosse pure una sola. E si poteva parlar di suppel-lettili in una perorazione? Si poteva parlar di tavole e diseggiole e di stuoie da mettere a piè del letto? Quali chefossero le esigenze della perorazione, erano pur quellele cose di cui la casa aveva bisogno. Lasciando dunquela sua concione in sospeso per il momento, Orlandos’accinse con passo risoluto alla discesa, deciso a dedi-carsi d’ora innanzi all’arredamento della sua casa. Lanovella di mettersi senza por tempo in mezzo agli ordinidi Sua Grazia fece venir le lagrime agli occhi di quellabuona vecchia Mistress Grimsditch la quale era davveroinvecchiata. Insieme esplorarono la casa.

Al portatovaglie nella stanza del Re («ed era il nostrore Giacomo, Milord» diceva la Grimsditch, facendo in-tendere che ne era passata di acqua sotto i ponti, dacchéun re aveva dormito sotto il loro tetto; ma quei giornisciagurati del Parlamento erano passati, e finalmentec’era di nuovo una Corona in Inghilterra) al portatova-glie mancava dunque una gamba; e le brocche nel gabi-netto che dava alla camera del paggio della duchessa

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l’andiamo cercando); così egli apostrofava la sua casa ela sua razza, in termini della più commovente eloquen-za; ma quando giunse alla perorazione – e che cosa èmai un brano di eloquenza che manca della perorazio-ne? – s’impappinò. Gli sarebbe piaciuto finire con unbel pezzo fiorito, esclamare che camminerebbe sulleorme loro, che aggiungerebbe la sua pietra al loro edifi-cio. Senonché, l’edificio copriva già ben nove acri diterreno, e pareva davvero superfluo aggiungervi altrepietre, fosse pure una sola. E si poteva parlar di suppel-lettili in una perorazione? Si poteva parlar di tavole e diseggiole e di stuoie da mettere a piè del letto? Quali chefossero le esigenze della perorazione, erano pur quellele cose di cui la casa aveva bisogno. Lasciando dunquela sua concione in sospeso per il momento, Orlandos’accinse con passo risoluto alla discesa, deciso a dedi-carsi d’ora innanzi all’arredamento della sua casa. Lanovella di mettersi senza por tempo in mezzo agli ordinidi Sua Grazia fece venir le lagrime agli occhi di quellabuona vecchia Mistress Grimsditch la quale era davveroinvecchiata. Insieme esplorarono la casa.

Al portatovaglie nella stanza del Re («ed era il nostrore Giacomo, Milord» diceva la Grimsditch, facendo in-tendere che ne era passata di acqua sotto i ponti, dacchéun re aveva dormito sotto il loro tetto; ma quei giornisciagurati del Parlamento erano passati, e finalmentec’era di nuovo una Corona in Inghilterra) al portatova-glie mancava dunque una gamba; e le brocche nel gabi-netto che dava alla camera del paggio della duchessa

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erano senza sostegno; e Mister Greene, con quella suasudicia pipa, aveva fatto una macchia sul tappeto, chelei e Judy con tutto il loro strofinare non erano riuscite amandar via. A dir la verità, allorché Orlando ne venne acalcolare quanto costerebbe il rifornire di poltrone di le-gno di rosa e armadi di cedro, di bacili d’argento e por-cellane della Cina e tappeti di Persia tutte le trecento esessantacinque stanze della casa, vide che non si trattavadi una bagattella; e le poche migliaia di sterline che glirestavano delle sue rendite sarebbero bastate appena atappezzar di arazzi qualche galleria, a fornir la sala dapranzo di belle seggiole scolpite e a provvedere specchid’argento massiccio e poltrone dello stesso metallo (peril quale egli nutriva una vera passione) per le reali stan-ze da letto.

Orlando si mise all’opera di buzzo buono; e per aver-ne l’indubitata prova, basterà aprire i suoi libri di conti.Diamo un’occhiata a una lista di compere che fece aquell’epoca, coi prezzi segnati in margine; ma questi lipossiamo omettere.

“Per cinquanta paia di coperte di Spagna, con idemtende di taffetà rosso e bianco; il capriccio di dette tendedi raso bianco ricamato di seta rossa e bianca...

“Per settanta sedie di raso giallo e sessanta sgabelliassortiti con le coperture di tela ad hoc...

“Per sessanta e sette tavoli di noce...“Per diciassette dozzine di cassette, ogni dozzina con-

tenente cinque dozzine di calici di Venezia...

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erano senza sostegno; e Mister Greene, con quella suasudicia pipa, aveva fatto una macchia sul tappeto, chelei e Judy con tutto il loro strofinare non erano riuscite amandar via. A dir la verità, allorché Orlando ne venne acalcolare quanto costerebbe il rifornire di poltrone di le-gno di rosa e armadi di cedro, di bacili d’argento e por-cellane della Cina e tappeti di Persia tutte le trecento esessantacinque stanze della casa, vide che non si trattavadi una bagattella; e le poche migliaia di sterline che glirestavano delle sue rendite sarebbero bastate appena atappezzar di arazzi qualche galleria, a fornir la sala dapranzo di belle seggiole scolpite e a provvedere specchid’argento massiccio e poltrone dello stesso metallo (peril quale egli nutriva una vera passione) per le reali stan-ze da letto.

Orlando si mise all’opera di buzzo buono; e per aver-ne l’indubitata prova, basterà aprire i suoi libri di conti.Diamo un’occhiata a una lista di compere che fece aquell’epoca, coi prezzi segnati in margine; ma questi lipossiamo omettere.

“Per cinquanta paia di coperte di Spagna, con idemtende di taffetà rosso e bianco; il capriccio di dette tendedi raso bianco ricamato di seta rossa e bianca...

“Per settanta sedie di raso giallo e sessanta sgabelliassortiti con le coperture di tela ad hoc...

“Per sessanta e sette tavoli di noce...“Per diciassette dozzine di cassette, ogni dozzina con-

tenente cinque dozzine di calici di Venezia...

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“Per novanta e sette cuscini di damasco rosso guarnitidi gallone d’argento e sgabelli da piedi di ordito d’oro esedie assortite...

“Per cinquanta candelabri di dodici candele ognuno.”Ma ecco che – effetto inevitabile degli elenchi – co-

minciamo a sbadigliare. Se ci fermiamo, è perché il ca-talogo è uggioso, non già perché sia terminato. Ve nesono altre novantanove pagine, e la somma totale sbor-sata ammonta a parecchie migliaia, vale a dire a milioni,in moneta nostra. E se i suoi giorni trascorrevano inquesto modo, a notte alta avremmo trovato Lord Orlan-do intento a calcolare ciò che gli costerebbe livellare unmilione di monticelli di talpe, pagando gli uomini in ra-gione di dieci pence l’ora; e ancora, quanti mezzi quin-tali di chiodi (a cinque scellini e mezzo la misura) civorrebbero per riparare la palizzata intorno al parco, chemisurava quindici miglia di circonferenza. E via di se-guito.

Il resoconto, dicevamo, è noioso, poiché una credenzarassomiglierà sempre a un’altra credenza, e una buca datalpe non può esser molto diversa da milioni di altre bu-che. Tuttavia, Orlando vi guadagnò qualche piacevoleviaggio, e qualche bella avventura. Come, per esempio,mettesse al lavoro un’intera città di merlettaie cieche,nei pressi di Bruges, a ricamar cortine per un letto a bal-dacchino d’argento; e una certa avventura con certoMoro, a Venezia, dal quale comprò (ma soltanto sullapunta della spada) uno stipo di lacca, varrebbe forse laspesa di esser raccontata da altra penna. Né era una bi-

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“Per novanta e sette cuscini di damasco rosso guarnitidi gallone d’argento e sgabelli da piedi di ordito d’oro esedie assortite...

“Per cinquanta candelabri di dodici candele ognuno.”Ma ecco che – effetto inevitabile degli elenchi – co-

minciamo a sbadigliare. Se ci fermiamo, è perché il ca-talogo è uggioso, non già perché sia terminato. Ve nesono altre novantanove pagine, e la somma totale sbor-sata ammonta a parecchie migliaia, vale a dire a milioni,in moneta nostra. E se i suoi giorni trascorrevano inquesto modo, a notte alta avremmo trovato Lord Orlan-do intento a calcolare ciò che gli costerebbe livellare unmilione di monticelli di talpe, pagando gli uomini in ra-gione di dieci pence l’ora; e ancora, quanti mezzi quin-tali di chiodi (a cinque scellini e mezzo la misura) civorrebbero per riparare la palizzata intorno al parco, chemisurava quindici miglia di circonferenza. E via di se-guito.

Il resoconto, dicevamo, è noioso, poiché una credenzarassomiglierà sempre a un’altra credenza, e una buca datalpe non può esser molto diversa da milioni di altre bu-che. Tuttavia, Orlando vi guadagnò qualche piacevoleviaggio, e qualche bella avventura. Come, per esempio,mettesse al lavoro un’intera città di merlettaie cieche,nei pressi di Bruges, a ricamar cortine per un letto a bal-dacchino d’argento; e una certa avventura con certoMoro, a Venezia, dal quale comprò (ma soltanto sullapunta della spada) uno stipo di lacca, varrebbe forse laspesa di esser raccontata da altra penna. Né era una bi-

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sogna che mancasse di varietà; ora erano grandi tronchiche arrivavano, trascinati a forza di cavalli sin dal Sus-sex, e che, segati in tavole, servirebbero a pavimentarela tal galleria; e un’altra volta era un cofano che giunge-va dalla Persia, bene imbottito di lana e segatura, e don-de Orlando estraeva finalmente un sol piatto, o un anellodi topazi.

Finì tuttavia che nelle gallerie non c’era più posto perun solo tavolo; e sui tavoli non c’era più posto per un al-tro stipo; e nello stipo non entrava più una sola coppa; enella coppa, non un altro pugno di pot pourri;7 non c’erapiù posto per niente in nessun luogo; insomma, la casapoteva dirsi arredata. Nel giardino le palle di neve, i cro-cus, i giacinti, le magnolie, le rose, i gigli, le asterie, ledalie di ogni specie; e i peri, i meli, i ciliegi e i pruni, ol-tre a un’enorme quantità di esotici arbusti in fiore, dipiante perennemente verdi, crescevano tanto fitti, gli unisulle radici degli altri, che non si vedeva più un palmodi terra senza vegetazione, né un tratto di pratosenz’ombra. Inoltre, Orlando aveva introdotto nel giar-dino uccelli selvatici dalle variopinte piume, e due orsidi Malesia che sotto certe maniere bisbetiche celavano,l’avrebbe giurato, un cuore fedele.

Tutto, ora, era pronto; e quando a sera si accendevanogli innumerevoli doppieri d’argento, e le lievi aure chesenza tregua alitavano per le gallerie muovevano dolce-mente gli arazzi turchini e verdi, sì che pareva proprio

7 Miscela di petali di rosa, piante aromatiche e spezie. (N.d.T.)

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sogna che mancasse di varietà; ora erano grandi tronchiche arrivavano, trascinati a forza di cavalli sin dal Sus-sex, e che, segati in tavole, servirebbero a pavimentarela tal galleria; e un’altra volta era un cofano che giunge-va dalla Persia, bene imbottito di lana e segatura, e don-de Orlando estraeva finalmente un sol piatto, o un anellodi topazi.

Finì tuttavia che nelle gallerie non c’era più posto perun solo tavolo; e sui tavoli non c’era più posto per un al-tro stipo; e nello stipo non entrava più una sola coppa; enella coppa, non un altro pugno di pot pourri;7 non c’erapiù posto per niente in nessun luogo; insomma, la casapoteva dirsi arredata. Nel giardino le palle di neve, i cro-cus, i giacinti, le magnolie, le rose, i gigli, le asterie, ledalie di ogni specie; e i peri, i meli, i ciliegi e i pruni, ol-tre a un’enorme quantità di esotici arbusti in fiore, dipiante perennemente verdi, crescevano tanto fitti, gli unisulle radici degli altri, che non si vedeva più un palmodi terra senza vegetazione, né un tratto di pratosenz’ombra. Inoltre, Orlando aveva introdotto nel giar-dino uccelli selvatici dalle variopinte piume, e due orsidi Malesia che sotto certe maniere bisbetiche celavano,l’avrebbe giurato, un cuore fedele.

Tutto, ora, era pronto; e quando a sera si accendevanogli innumerevoli doppieri d’argento, e le lievi aure chesenza tregua alitavano per le gallerie muovevano dolce-mente gli arazzi turchini e verdi, sì che pareva proprio

7 Miscela di petali di rosa, piante aromatiche e spezie. (N.d.T.)

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di veder galoppare i cavalieri e Dafne fuggir per i bo-schi; e l’argento scintillava, brillavano le lacche e scop-piettava il fuoco; e le poltrone scolpite tendevano i brac-cioli e i delfini nuotavano lungo le pareti con le sirenesul dorso; quando questo e ben altro ancora apparve inopera e secondo i suoi gusti, Orlando passeggiò per lacasa seguito dai suoi levrieri, è si sentì soddisfatto. Orasì che, pensava, aveva di che riempire la sua perorazio-ne. Anzi, forse, non sarebbe stato male ricominciar dacapo addirittura il discorso. Pure, mentre passava in rivi-sta le gallerie, sentì che ancora mancava qualche cosa.Poltrone e tavole, ancor che riccamente dorate e scolpi-te, divani posanti su zampe di leone, o su colli di cigno,letti della più soffice piuma non bastano in se stessi. Mase qualcuno vi si siede sopra, vi si corica, ecco che subi-to acquistano enormemente. In conseguenza, Orlandoinaugurò una serie di feste mirabolanti, in onore dellanobiltà e della ricca borghesia dei dintorni. Le trecento esessantacinque stanze da letto si riempirono di colpo perun mese. Gomito a gomito gli invitati si accalcavano peri cinquantadue scaloni. Trecento servi s’affaccendavanonelle dispense. Quasi ogni sera aveva luogo un festino.Nessuna meraviglia, dunque, che nel giro di pochi anniOrlando consumasse la trama dei suoi velluti e spendes-se la metà delle sue sostanze; ma s’era acquistata la sti-ma dei suoi vicini, presiedeva a non so quante carichenella Contea, e riceveva ogni tanto una dozzina di volu-mi in omaggio, dedicati a Sua Grazia con stucchevoleossequio da parte di poeti riconoscenti. Poiché se a quel

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di veder galoppare i cavalieri e Dafne fuggir per i bo-schi; e l’argento scintillava, brillavano le lacche e scop-piettava il fuoco; e le poltrone scolpite tendevano i brac-cioli e i delfini nuotavano lungo le pareti con le sirenesul dorso; quando questo e ben altro ancora apparve inopera e secondo i suoi gusti, Orlando passeggiò per lacasa seguito dai suoi levrieri, è si sentì soddisfatto. Orasì che, pensava, aveva di che riempire la sua perorazio-ne. Anzi, forse, non sarebbe stato male ricominciar dacapo addirittura il discorso. Pure, mentre passava in rivi-sta le gallerie, sentì che ancora mancava qualche cosa.Poltrone e tavole, ancor che riccamente dorate e scolpi-te, divani posanti su zampe di leone, o su colli di cigno,letti della più soffice piuma non bastano in se stessi. Mase qualcuno vi si siede sopra, vi si corica, ecco che subi-to acquistano enormemente. In conseguenza, Orlandoinaugurò una serie di feste mirabolanti, in onore dellanobiltà e della ricca borghesia dei dintorni. Le trecento esessantacinque stanze da letto si riempirono di colpo perun mese. Gomito a gomito gli invitati si accalcavano peri cinquantadue scaloni. Trecento servi s’affaccendavanonelle dispense. Quasi ogni sera aveva luogo un festino.Nessuna meraviglia, dunque, che nel giro di pochi anniOrlando consumasse la trama dei suoi velluti e spendes-se la metà delle sue sostanze; ma s’era acquistata la sti-ma dei suoi vicini, presiedeva a non so quante carichenella Contea, e riceveva ogni tanto una dozzina di volu-mi in omaggio, dedicati a Sua Grazia con stucchevoleossequio da parte di poeti riconoscenti. Poiché se a quel

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tempo Orlando si guardava bene dal regalar la sua con-fidenza ai poeti e si teneva alla larga dalle signore disangue forestiero, si mostrava pur tuttavia estremamentegeneroso verso le dame come verso i poeti, e sia le don-ne che i poeti lo adoravano.

Ma quando la festa era al culmine, e gli ospiti si dava-no a tripudiar liberamente, Orlando provava vivo il desi-derio di appartarsi nelle sue stanze. Là, quando la portaera ben chiusa ed egli s’era assicurato il segreto, tiravafuori un vecchio scartafaccio (cucito assieme con un filodi seta rubato al cesto da lavoro di sua madre) il qualerecava scritto, in bella calligrafia tonda di scolaro: “LaQuercia. Poema”. Egli scriveva fino allo scoccar dellamezzanotte e oltre. Ma siccome cancellava tanti versiquanti ne scriveva, il loro numero, in fine d’anno, torna-va minore che in principio, e si sarebbe detto che, a for-za di scriverlo, quel poema avrebbe finito per non esserscritto mai.

Spetterebbe qui allo storico della letteratura constata-re come lo stile di Orlando fosse mutato in modo sor-prendente: egli lo aveva purgato; ne aveva temperatol’esuberanza; un’epoca tutta dedita alla prosa congelavaquelle sorgenti infocate. Il paesaggio stesso, nella natu-ra, appariva meno inghirlandato, persino i biancospinierano meno spinosi e intricati. Può darsi che la sensibili-tà fosse diventata, in generale, un po’ più ottusa, e chemiele e crema apparissero men grati al palato. Che poiuna maggior pulizia delle strade, una miglior illumina-

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tempo Orlando si guardava bene dal regalar la sua con-fidenza ai poeti e si teneva alla larga dalle signore disangue forestiero, si mostrava pur tuttavia estremamentegeneroso verso le dame come verso i poeti, e sia le don-ne che i poeti lo adoravano.

Ma quando la festa era al culmine, e gli ospiti si dava-no a tripudiar liberamente, Orlando provava vivo il desi-derio di appartarsi nelle sue stanze. Là, quando la portaera ben chiusa ed egli s’era assicurato il segreto, tiravafuori un vecchio scartafaccio (cucito assieme con un filodi seta rubato al cesto da lavoro di sua madre) il qualerecava scritto, in bella calligrafia tonda di scolaro: “LaQuercia. Poema”. Egli scriveva fino allo scoccar dellamezzanotte e oltre. Ma siccome cancellava tanti versiquanti ne scriveva, il loro numero, in fine d’anno, torna-va minore che in principio, e si sarebbe detto che, a for-za di scriverlo, quel poema avrebbe finito per non esserscritto mai.

Spetterebbe qui allo storico della letteratura constata-re come lo stile di Orlando fosse mutato in modo sor-prendente: egli lo aveva purgato; ne aveva temperatol’esuberanza; un’epoca tutta dedita alla prosa congelavaquelle sorgenti infocate. Il paesaggio stesso, nella natu-ra, appariva meno inghirlandato, persino i biancospinierano meno spinosi e intricati. Può darsi che la sensibili-tà fosse diventata, in generale, un po’ più ottusa, e chemiele e crema apparissero men grati al palato. Che poiuna maggior pulizia delle strade, una miglior illumina-

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zione delle case avessero i loro effetti sullo stile, anchequesto non può venir contestato.

Un giorno, Orlando stava aggiungendo un paio diversi al suo poema “La Quercia”, a prezzo di estenuantifatiche, allorché un’ombra gli attraversò la codadell’occhio. Presto s’avvide che non era un’ombra, ben-sì la figura di una dama, assai alta, la quale in cappa emantiglia da passeggio attraversava lo spiazzo quadratosotto le sue finestre. Il cortile era il più segreto del ca-stello, e la dama gli era sconosciuta; onde Orlando sidomandò con stupore come mai ella si trovasse là. Tregiorni dopo, la stessa apparizione si ripeté; e un’altravolta ancora il mercoledì seguente, in pieno giorno.Questa volta, Orlando si decise a seguirla; né ella parveimpaurita di esser stata scoperta, anzi rallentò il passoall’avvicinarsi di Orlando e gli alzò gli occhi in viso.Quale altra donna, còlta così di sorpresa negli apparta-menti privati di un nobile Lord, non avrebbe mostrato ti-more? Qualsiasi altra donna, con quel viso, quell’accon-ciatura, quell’aspetto, si sarebbe coperto il capo con lamantiglia, cercando di nascondersi. Quella dama rasso-migliava invero, in tutto e per tutto, a una lepre; una le-pre spaventata eppure ostinata; una lepre la cui timiditàè dominata da un’immensa e folle audacia; una lepre laquale, drizzatasi a sedere, considera il suo inseguitorecon grandi occhi fissi a fior di testa; erette le orecchiebenché tremolanti, contratto il naso fremente. Figurateviche quella lepre fosse alta sei piedi; e quasi non bastas-se, portava un’acconciatura antiquata che ancora la in-

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zione delle case avessero i loro effetti sullo stile, anchequesto non può venir contestato.

Un giorno, Orlando stava aggiungendo un paio diversi al suo poema “La Quercia”, a prezzo di estenuantifatiche, allorché un’ombra gli attraversò la codadell’occhio. Presto s’avvide che non era un’ombra, ben-sì la figura di una dama, assai alta, la quale in cappa emantiglia da passeggio attraversava lo spiazzo quadratosotto le sue finestre. Il cortile era il più segreto del ca-stello, e la dama gli era sconosciuta; onde Orlando sidomandò con stupore come mai ella si trovasse là. Tregiorni dopo, la stessa apparizione si ripeté; e un’altravolta ancora il mercoledì seguente, in pieno giorno.Questa volta, Orlando si decise a seguirla; né ella parveimpaurita di esser stata scoperta, anzi rallentò il passoall’avvicinarsi di Orlando e gli alzò gli occhi in viso.Quale altra donna, còlta così di sorpresa negli apparta-menti privati di un nobile Lord, non avrebbe mostrato ti-more? Qualsiasi altra donna, con quel viso, quell’accon-ciatura, quell’aspetto, si sarebbe coperto il capo con lamantiglia, cercando di nascondersi. Quella dama rasso-migliava invero, in tutto e per tutto, a una lepre; una le-pre spaventata eppure ostinata; una lepre la cui timiditàè dominata da un’immensa e folle audacia; una lepre laquale, drizzatasi a sedere, considera il suo inseguitorecon grandi occhi fissi a fior di testa; erette le orecchiebenché tremolanti, contratto il naso fremente. Figurateviche quella lepre fosse alta sei piedi; e quasi non bastas-se, portava un’acconciatura antiquata che ancora la in-

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grandiva. Affrontata all’improvviso, fissava su Orlandouno sguardo in cui la timidità si sposava stranamenteall’audacia.

Per prima cosa, con una riverenza corretta ma un po’goffa, ella lo pregò di scusare la sua intrusione. Poi, rad-drizzando di nuovo tutta la sua statura, che doveva esse-re di sei piedi e due pollici se non di più, seguitò a dire –ma con un tal riso chioccio e isterico e tanti balbettii eih! ih! che Orlando la credette fuggita dalla casa deimatti – e disse che era l’arciduchessa Enrichetta Grisel-da di Finster-Aarhorn e Scand-op-Boom in terra di Ru-menia. E desiderava anzitutto far la conoscenzad’Orlando. Aveva preso dimora sopra la bottega di unpanettiere, vicino alla cancellata del parco. Aveva vedu-to il suo ritratto; era la precisa immagine di una dellesue sorelle – e giù una risatina – morta da parecchi anni.La Regina era cugina sua. Il Re era un buon uomo, maera raro che non andasse a letto alticcio. E riprese a ri-dacchiare e a balbettare. Insomma, a Orlando non rima-se che pregarla di volersi accomodare, e offrirle un bic-chiere di vino.

Non appena fu entrata, le sue maniere ripresero la na-turale dignità che si conviene a un’arciduchessa rumena;e alla conversazione sarebbe mancata la spontaneità, seella non avesse mostrato una conoscenza, in fatto divini, rara in una donna, e lasciato cadere alcune osserva-zioni abbastanza sensate sulle armi da fuoco e le usanzedi caccia nel suo paese. Finalmente, alzandosi di scatto,annunciò che si sarebbe permessa di ritornare il giorno

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grandiva. Affrontata all’improvviso, fissava su Orlandouno sguardo in cui la timidità si sposava stranamenteall’audacia.

Per prima cosa, con una riverenza corretta ma un po’goffa, ella lo pregò di scusare la sua intrusione. Poi, rad-drizzando di nuovo tutta la sua statura, che doveva esse-re di sei piedi e due pollici se non di più, seguitò a dire –ma con un tal riso chioccio e isterico e tanti balbettii eih! ih! che Orlando la credette fuggita dalla casa deimatti – e disse che era l’arciduchessa Enrichetta Grisel-da di Finster-Aarhorn e Scand-op-Boom in terra di Ru-menia. E desiderava anzitutto far la conoscenzad’Orlando. Aveva preso dimora sopra la bottega di unpanettiere, vicino alla cancellata del parco. Aveva vedu-to il suo ritratto; era la precisa immagine di una dellesue sorelle – e giù una risatina – morta da parecchi anni.La Regina era cugina sua. Il Re era un buon uomo, maera raro che non andasse a letto alticcio. E riprese a ri-dacchiare e a balbettare. Insomma, a Orlando non rima-se che pregarla di volersi accomodare, e offrirle un bic-chiere di vino.

Non appena fu entrata, le sue maniere ripresero la na-turale dignità che si conviene a un’arciduchessa rumena;e alla conversazione sarebbe mancata la spontaneità, seella non avesse mostrato una conoscenza, in fatto divini, rara in una donna, e lasciato cadere alcune osserva-zioni abbastanza sensate sulle armi da fuoco e le usanzedi caccia nel suo paese. Finalmente, alzandosi di scatto,annunciò che si sarebbe permessa di ritornare il giorno

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appresso, schizzò un’altra delle sue prodigiose riverenzee se ne andò. L’indomani, Orlando uscì a cavallo. Ilgiorno dopo, fece finta di nulla; il terzo giorno, tirò lecortine. Il quarto giorno pioveva, e Orlando non potevagià tenere una dama sotto l’acqua; inoltre, non era poidel tutto avverso a un po’ di compagnia. Onde invitòl’arciduchessa a entrare e le domandò se, secondo il suoparere, un’armatura che era appartenuta a un suo antena-to fosse di Jacobi o di Topp. Lui propendeva per Topp.L’arciduchessa sostenne un’opinione contraria, poco im-porta quale. È invece di una certa importanza, per losvolgersi della nostra storia, che l’arciduchessa Enri-chetta, nell’illustrare un suo argomento che riguardava ilgioco dei pezzi d’attacco, prendesse una delle gambieree l’adattasse alla gamba di Orlando.

Che questi si ergesse sul più bel paio di gambe chemai abbiano portato corpo di gentiluomo, l’abbiamo giàdetto.

Fosse il modo con cui ella allacciò la buccola alla ca-viglia; o l’atto dell’incurvarsi; o la lunga astinenza diOrlando; o la natural simpatia tra i due sessi; o il vin diBorgogna; o il fuoco... la colpa avrebbe potuto essere diognuna di queste cause; poiché è certo che colpa ci deveessere, vuoi da una parte, vuoi dall’altra, se un gentiluo-mo dell’educazione di Orlando, il quale riceve in casasua una dama, e una dama più anziana di lui, con unviso lungo una spanna, e occhi a fior di testa, acconciatada far ridere i polli, in giubba e mantello da caccia mal-grado la stagione fosse calda, colpa ci deve essere, se un

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appresso, schizzò un’altra delle sue prodigiose riverenzee se ne andò. L’indomani, Orlando uscì a cavallo. Ilgiorno dopo, fece finta di nulla; il terzo giorno, tirò lecortine. Il quarto giorno pioveva, e Orlando non potevagià tenere una dama sotto l’acqua; inoltre, non era poidel tutto avverso a un po’ di compagnia. Onde invitòl’arciduchessa a entrare e le domandò se, secondo il suoparere, un’armatura che era appartenuta a un suo antena-to fosse di Jacobi o di Topp. Lui propendeva per Topp.L’arciduchessa sostenne un’opinione contraria, poco im-porta quale. È invece di una certa importanza, per losvolgersi della nostra storia, che l’arciduchessa Enri-chetta, nell’illustrare un suo argomento che riguardava ilgioco dei pezzi d’attacco, prendesse una delle gambieree l’adattasse alla gamba di Orlando.

Che questi si ergesse sul più bel paio di gambe chemai abbiano portato corpo di gentiluomo, l’abbiamo giàdetto.

Fosse il modo con cui ella allacciò la buccola alla ca-viglia; o l’atto dell’incurvarsi; o la lunga astinenza diOrlando; o la natural simpatia tra i due sessi; o il vin diBorgogna; o il fuoco... la colpa avrebbe potuto essere diognuna di queste cause; poiché è certo che colpa ci deveessere, vuoi da una parte, vuoi dall’altra, se un gentiluo-mo dell’educazione di Orlando, il quale riceve in casasua una dama, e una dama più anziana di lui, con unviso lungo una spanna, e occhi a fior di testa, acconciatada far ridere i polli, in giubba e mantello da caccia mal-grado la stagione fosse calda, colpa ci deve essere, se un

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sì nobile gentiluomo si trova sì improvvisamente e vio-lentemente in preda a certe passioni, da dover uscire distanza.

Ma quale specie di passione poteva mai essere? ci siaconcesso domandare. E la risposta ha doppio voltocome l’Amore stesso. Poiché l’Amore... ma lasciandol’Amore fuori causa per il momento, ecco quale era sta-to il vero svolgersi dei fatti.

Nel momento in cui l’arciduchessa Enrichetta Grisel-da s’era curvata per allacciare la buccola, Orlando avevaudito, improvviso e inesplicabile, lontano lontano, ilfrullar delle ali dell’Amore. L’eco distante di quellemorbide piume ridestò in lui mille ricordi di acque im-petuose, di dolcezza attorniata di neve e di perfidia tralo sgelo; e l’eco s’avvicinava; ed egli arrossi e tremò; esi commosse come mai più aveva creduto di commuo-versi, e già si accingeva ad alzar le mani, e a permettereall’augello di bellezza di posarsi sulla sua spalla, allor-ché – orrore! – un altro rumore si ripercosse, uno scric-chiolio come di un volo di corvi che invada scompostoun albero; l’aria parve oscurarsi di ruvide ali nere; vocigracchiarono; piovvero pagliucole, rame, penne; e sullespalle di Orlando si abbatté il più pesante, il più sozzo ditutti gli uccelli: l’avvoltoio. Allora egli si precipitò fuoridella stanza, e ordinò al suo valletto di accompagnarel’arciduchessa Enrichetta alla sua carrozza.

Poiché l’Amore, al quale possiamo ora ritornare, hadue volti: uno bianco e l’altro nero; due corpi: uno li-scio, l’altro villoso. Ha due mani, due piedi, due code;

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sì nobile gentiluomo si trova sì improvvisamente e vio-lentemente in preda a certe passioni, da dover uscire distanza.

Ma quale specie di passione poteva mai essere? ci siaconcesso domandare. E la risposta ha doppio voltocome l’Amore stesso. Poiché l’Amore... ma lasciandol’Amore fuori causa per il momento, ecco quale era sta-to il vero svolgersi dei fatti.

Nel momento in cui l’arciduchessa Enrichetta Grisel-da s’era curvata per allacciare la buccola, Orlando avevaudito, improvviso e inesplicabile, lontano lontano, ilfrullar delle ali dell’Amore. L’eco distante di quellemorbide piume ridestò in lui mille ricordi di acque im-petuose, di dolcezza attorniata di neve e di perfidia tralo sgelo; e l’eco s’avvicinava; ed egli arrossi e tremò; esi commosse come mai più aveva creduto di commuo-versi, e già si accingeva ad alzar le mani, e a permettereall’augello di bellezza di posarsi sulla sua spalla, allor-ché – orrore! – un altro rumore si ripercosse, uno scric-chiolio come di un volo di corvi che invada scompostoun albero; l’aria parve oscurarsi di ruvide ali nere; vocigracchiarono; piovvero pagliucole, rame, penne; e sullespalle di Orlando si abbatté il più pesante, il più sozzo ditutti gli uccelli: l’avvoltoio. Allora egli si precipitò fuoridella stanza, e ordinò al suo valletto di accompagnarel’arciduchessa Enrichetta alla sua carrozza.

Poiché l’Amore, al quale possiamo ora ritornare, hadue volti: uno bianco e l’altro nero; due corpi: uno li-scio, l’altro villoso. Ha due mani, due piedi, due code;

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due, insomma, di ogni membro, e uno è l’esatto oppostodell’altro. Eppure, essi sono così strettamente connessiche non è possibile separarli. In questo caso, l’Amorecominciò il suo volo verso Orlando volgendogli il suoviso bianco, e il corpo candido e leggiadro. S’avvicina-va, agitando avanti a sé aure di pura delizia. All’improv-viso (alla vista dell’Arciduchessa, probabilmente), ro-teò, mostrò l’altra faccia; si rivelò nero, villoso, bestiale;e non fu l’Amore, l’Uccello del Paradiso, ma l’avvoltoioLussuria che si accasciò schifoso e impuro sulle spalledi Orlando. Donde egli fuggì; donde mandò per il vallet-to.

Ma un’arpia non si scaccia con tanta facilità. Nonsolo l’Arciduchessa seguitò ad abitare dal prestinaio, maOrlando fu turbato e notte e giorno dai fantasmi più im-mondi. Invano, a quanto pare, egli aveva ornato la suacasa di argenterie e tappezzato le pareti di arazzi, se poia ogni istante un uccellaccio schifoso poteva venirgli ainzaccherare lo scrittoio con le sue sudicerie. Eccolo là,che svolazzava fra le poltrone, e saltellava sgraziato perle gallerie. Ora s’appollaiava pesante su di un parafuo-co. E se Orlando lo scacciava, tornava, picchiava colbecco ai cristalli della finestra fino a romperli.

Comprendendo infine che la sua casa era ormai inabi-tabile e che bisognava correre ai ripari, e subito, Orlan-do fece quello che qualsiasi altro giovine avrebbe fattoin luogo suo, cioè pregò re Carlo di inviarlo in qualità diAmbasciatore straordinario a Costantinopoli. Il Re pas-seggiava in Whitehall, con Nell Gwyn al braccio. Ella lo

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due, insomma, di ogni membro, e uno è l’esatto oppostodell’altro. Eppure, essi sono così strettamente connessiche non è possibile separarli. In questo caso, l’Amorecominciò il suo volo verso Orlando volgendogli il suoviso bianco, e il corpo candido e leggiadro. S’avvicina-va, agitando avanti a sé aure di pura delizia. All’improv-viso (alla vista dell’Arciduchessa, probabilmente), ro-teò, mostrò l’altra faccia; si rivelò nero, villoso, bestiale;e non fu l’Amore, l’Uccello del Paradiso, ma l’avvoltoioLussuria che si accasciò schifoso e impuro sulle spalledi Orlando. Donde egli fuggì; donde mandò per il vallet-to.

Ma un’arpia non si scaccia con tanta facilità. Nonsolo l’Arciduchessa seguitò ad abitare dal prestinaio, maOrlando fu turbato e notte e giorno dai fantasmi più im-mondi. Invano, a quanto pare, egli aveva ornato la suacasa di argenterie e tappezzato le pareti di arazzi, se poia ogni istante un uccellaccio schifoso poteva venirgli ainzaccherare lo scrittoio con le sue sudicerie. Eccolo là,che svolazzava fra le poltrone, e saltellava sgraziato perle gallerie. Ora s’appollaiava pesante su di un parafuo-co. E se Orlando lo scacciava, tornava, picchiava colbecco ai cristalli della finestra fino a romperli.

Comprendendo infine che la sua casa era ormai inabi-tabile e che bisognava correre ai ripari, e subito, Orlan-do fece quello che qualsiasi altro giovine avrebbe fattoin luogo suo, cioè pregò re Carlo di inviarlo in qualità diAmbasciatore straordinario a Costantinopoli. Il Re pas-seggiava in Whitehall, con Nell Gwyn al braccio. Ella lo

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bombardava di nocciuole. Gran disgrazia, sospiròl’amorosa dama, che un simile paio di gambe dovesseandarsene d’Inghilterra.

Comunque sia, il Fato è inflessibile; e non le rimaseche gettar un bacio sulla punta delle dita a Orlando,mentre la nave levava l’ancora.

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bombardava di nocciuole. Gran disgrazia, sospiròl’amorosa dama, che un simile paio di gambe dovesseandarsene d’Inghilterra.

Comunque sia, il Fato è inflessibile; e non le rimaseche gettar un bacio sulla punta delle dita a Orlando,mentre la nave levava l’ancora.

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III

Vuole sfortuna, e altamente ce ne rammarichiamo,che di questo periodo della carriera di Orlando, in cuiegli ebbe una parte assai importante nella politica delsuo paese, possediamo più scarsi documenti. Sappiamoche si disimpegnò con onore dei suoi doveri, prova nesono il conferimento dell’Ordine del Bagno e del titolodi duca. Sappiamo che ebbe uno zampino nelle più spi-nose trattative fra re Carlo e i Turchi: i trattati che siconservano nei sotterranei degli Archivi di Stato ne fan-no fede. Ma la rivoluzione che scoppiò durante il perio-do in cui egli fu in carica, e l’incendio che seguì, fecerosì che andassero danneggiati o distrutti tutti quei docu-menti che avrebbero potuto offrire informazioni attendi-bili; e quelle che possiamo dare sono purtroppo lamen-tevolmente incomplete. Spesso, tale documento apparebruciacchiato proprio nel bel mezzo della frase più im-portante; e quando già ci credevamo sul punto di deluci-dare un segreto che per mezzo secolo aveva dato filo datorcere agli storici, ecco che nel manoscritto si trova unbuco grosso da passarci il dito. Abbiamo già fatto mira-coli, onde ricucire un magro compendio dai frammentiin parte carbonizzati che rimangono; ma quante volte

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Vuole sfortuna, e altamente ce ne rammarichiamo,che di questo periodo della carriera di Orlando, in cuiegli ebbe una parte assai importante nella politica delsuo paese, possediamo più scarsi documenti. Sappiamoche si disimpegnò con onore dei suoi doveri, prova nesono il conferimento dell’Ordine del Bagno e del titolodi duca. Sappiamo che ebbe uno zampino nelle più spi-nose trattative fra re Carlo e i Turchi: i trattati che siconservano nei sotterranei degli Archivi di Stato ne fan-no fede. Ma la rivoluzione che scoppiò durante il perio-do in cui egli fu in carica, e l’incendio che seguì, fecerosì che andassero danneggiati o distrutti tutti quei docu-menti che avrebbero potuto offrire informazioni attendi-bili; e quelle che possiamo dare sono purtroppo lamen-tevolmente incomplete. Spesso, tale documento apparebruciacchiato proprio nel bel mezzo della frase più im-portante; e quando già ci credevamo sul punto di deluci-dare un segreto che per mezzo secolo aveva dato filo datorcere agli storici, ecco che nel manoscritto si trova unbuco grosso da passarci il dito. Abbiamo già fatto mira-coli, onde ricucire un magro compendio dai frammentiin parte carbonizzati che rimangono; ma quante volte

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non ci è stato necessario speculare, congetturare, e fi-nanco fare appello alla fantasia!

Ecco come, secondo i dati di cui disponiamo, Orlandotrascorreva la sua giornata. Verso le sette del mattino sialzava, si avvolgeva in una lunga vestaglia alla turca,accendeva un cheroot8 e s’appoggiava alla ringhiera delsuo balcone. Là egli si tratteneva a guardar la città aisuoi piedi, apparentemente immersa nel sonno. Aquell’ora, la nebbia era così fitta che la cupola di SantaSofia e le altre parevano fluttuare al disopra di essa; apoco a poco i vapori si diradavano; le cupole, che sem-bravano bolle d’aria, apparivano ben solide sulla terra; equa si vedeva il fiume; là il Ponte di Galata; e là i pelle-grini in turbante verde, ciechi o senza naso, che chiede-vano l’elemosina; e i cani randagi che frugavano tra leimmondizie; e le donne avvolte nello scialle; e gli innu-merevoli asini; e uomini a cavallo armati di lunghe per-tiche. Ben presto, la città intera si destava al sibilar dellefruste, al rimbombar dei gong, ai canti che invitavanoalla preghiera, alle staffilate sulla groppa dei muli, alrintronar delle ruote cerchiate d’ottone sul selciato;mentre zaffate d’odori acidi, lievito in fermento, incensoe droghe, salivano sino alle alture di Pera, quasi fosserol’alito stesso di quella barbara popolazione stridente emulticolore.

Nulla, pensava Orlando – lo sguardo fisso su quelquadro che ora scintillava al sole – nulla di più dissimile

8 Specie di sigaro turco. (N.d.T.)

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non ci è stato necessario speculare, congetturare, e fi-nanco fare appello alla fantasia!

Ecco come, secondo i dati di cui disponiamo, Orlandotrascorreva la sua giornata. Verso le sette del mattino sialzava, si avvolgeva in una lunga vestaglia alla turca,accendeva un cheroot8 e s’appoggiava alla ringhiera delsuo balcone. Là egli si tratteneva a guardar la città aisuoi piedi, apparentemente immersa nel sonno. Aquell’ora, la nebbia era così fitta che la cupola di SantaSofia e le altre parevano fluttuare al disopra di essa; apoco a poco i vapori si diradavano; le cupole, che sem-bravano bolle d’aria, apparivano ben solide sulla terra; equa si vedeva il fiume; là il Ponte di Galata; e là i pelle-grini in turbante verde, ciechi o senza naso, che chiede-vano l’elemosina; e i cani randagi che frugavano tra leimmondizie; e le donne avvolte nello scialle; e gli innu-merevoli asini; e uomini a cavallo armati di lunghe per-tiche. Ben presto, la città intera si destava al sibilar dellefruste, al rimbombar dei gong, ai canti che invitavanoalla preghiera, alle staffilate sulla groppa dei muli, alrintronar delle ruote cerchiate d’ottone sul selciato;mentre zaffate d’odori acidi, lievito in fermento, incensoe droghe, salivano sino alle alture di Pera, quasi fosserol’alito stesso di quella barbara popolazione stridente emulticolore.

Nulla, pensava Orlando – lo sguardo fisso su quelquadro che ora scintillava al sole – nulla di più dissimile

8 Specie di sigaro turco. (N.d.T.)

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dalle Contee del Surrey e del Kent, dalle città di Londrae Tunbridge Wells. A destra e a sinistra torreggiavano,nudi e sassosi, gli inospitali monti d’Asia, ai qualis’aggrappava ogni tanto l’arido castelletto d’un capo dibriganti; ma invano vi si sarebbe cercato un presbiterio,o un maniero, o una casetta, o una quercia, un olmo, oviolette, rose selvatiche, edera. Non siepi ove cresconole felci, non prati dove pascola il bestiame. Le case era-no bianche come gusci d’uovo, e altrettanto calve. Or-lando, inglese fino alla punta delle dita, si stupiva nonpoco di sentirsi commosso sin nel profondo del cuore difronte a quel selvaggio panorama, e capace di contem-plare per ore e ore quei valichi, quelle cime lontane, so-gnando di andarsene solo e a piedi fin lassù dove solo lecapre e i pastori ponevano il piede. Provava un’appas-sionata tenerezza per quei fiori vividi e senza stagione;amava il cane irsuto e vagabondo ancor più dei suoi le-vrieri, e aspirava a piene nari l’odore acre e violento cheemanava dalle strade. Stupito si domandava se forse, altempo delle crociate, uno dei suoi antenati non si fosselasciato attirar dalle grazie di una contadina circassa;non gli pareva impossibile; e scopriva una certa granascura nella sua carnagione; e rientrava in casa per av-viarsi al bagno.

Un’ora dopo, profumato, arricciato, impomatato a do-vere, riceveva le visite dei segretari e di alti funzionari, iquali gli recavano, l’un dopo l’altro, cofani rossi chenon s’aprivano se non con la chiave d’oro di Orlando.Contenevano essi documenti della più alta importanza,

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dalle Contee del Surrey e del Kent, dalle città di Londrae Tunbridge Wells. A destra e a sinistra torreggiavano,nudi e sassosi, gli inospitali monti d’Asia, ai qualis’aggrappava ogni tanto l’arido castelletto d’un capo dibriganti; ma invano vi si sarebbe cercato un presbiterio,o un maniero, o una casetta, o una quercia, un olmo, oviolette, rose selvatiche, edera. Non siepi ove cresconole felci, non prati dove pascola il bestiame. Le case era-no bianche come gusci d’uovo, e altrettanto calve. Or-lando, inglese fino alla punta delle dita, si stupiva nonpoco di sentirsi commosso sin nel profondo del cuore difronte a quel selvaggio panorama, e capace di contem-plare per ore e ore quei valichi, quelle cime lontane, so-gnando di andarsene solo e a piedi fin lassù dove solo lecapre e i pastori ponevano il piede. Provava un’appas-sionata tenerezza per quei fiori vividi e senza stagione;amava il cane irsuto e vagabondo ancor più dei suoi le-vrieri, e aspirava a piene nari l’odore acre e violento cheemanava dalle strade. Stupito si domandava se forse, altempo delle crociate, uno dei suoi antenati non si fosselasciato attirar dalle grazie di una contadina circassa;non gli pareva impossibile; e scopriva una certa granascura nella sua carnagione; e rientrava in casa per av-viarsi al bagno.

Un’ora dopo, profumato, arricciato, impomatato a do-vere, riceveva le visite dei segretari e di alti funzionari, iquali gli recavano, l’un dopo l’altro, cofani rossi chenon s’aprivano se non con la chiave d’oro di Orlando.Contenevano essi documenti della più alta importanza,

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dei quali oggigiorno non restano che frammenti: un fre-gio, un sigillo saldamente attaccato a un nastro di setabruciacchiata. Del loro contenuto non possiamo quindidire nulla; ci è dato soltanto testimoniare che tra i sigillie le ceralacche, i nastri di diverso colore che bisognavalegare in diverso modo, le intestazioni in tondo e le fio-riture intorno alle maiuscole, Orlando aveva il suo dafare sino alla colazione di mezzodì; un pasto sontuoso,questo, di almeno trenta portate.

Dopo colazione, i lacchè annunziavano che il tiro asei era alla porta, e Orlando usciva, preceduto dai gian-nizzeri in livrea rossa, che correvano a piedi agitandoflabelli di piume di struzzo sopra le loro teste; e si reca-va in visita presso altri ambasciatori, o alti dignitari. Ilcerimoniale era sempre lo stesso. Giunti al cortile, igiannizzeri picchiavano coi flabelli al portale d’onore,che tosto si spalancava, rivelando una vasta stanzasplendidamente ammobiliata. Là si trovavano sedutedue persone, solitamente di sesso diverso. Seguiva unoscambio d’inchini e salamelecchi. In quella prima sala,era permesso parlar solamente del tempo. Dopo aver no-tato che faceva bel tempo o nuvolo, caldo o freddo,l’Ambasciatore, passava nella sala attigua, dove altridue personaggi si alzavano per riverirlo. Qui, era con-cesso paragonare Costantinopoli unicamente a Londra,come residenza; l’Ambasciatore, va da sé, assicurava dipreferire Costantinopoli, e i suoi ospiti, s’intende, prefe-rivano Londra anche se non l’avevano mai vista. Nellasala seguente era d’uopo discutere per filo e per segno la

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dei quali oggigiorno non restano che frammenti: un fre-gio, un sigillo saldamente attaccato a un nastro di setabruciacchiata. Del loro contenuto non possiamo quindidire nulla; ci è dato soltanto testimoniare che tra i sigillie le ceralacche, i nastri di diverso colore che bisognavalegare in diverso modo, le intestazioni in tondo e le fio-riture intorno alle maiuscole, Orlando aveva il suo dafare sino alla colazione di mezzodì; un pasto sontuoso,questo, di almeno trenta portate.

Dopo colazione, i lacchè annunziavano che il tiro asei era alla porta, e Orlando usciva, preceduto dai gian-nizzeri in livrea rossa, che correvano a piedi agitandoflabelli di piume di struzzo sopra le loro teste; e si reca-va in visita presso altri ambasciatori, o alti dignitari. Ilcerimoniale era sempre lo stesso. Giunti al cortile, igiannizzeri picchiavano coi flabelli al portale d’onore,che tosto si spalancava, rivelando una vasta stanzasplendidamente ammobiliata. Là si trovavano sedutedue persone, solitamente di sesso diverso. Seguiva unoscambio d’inchini e salamelecchi. In quella prima sala,era permesso parlar solamente del tempo. Dopo aver no-tato che faceva bel tempo o nuvolo, caldo o freddo,l’Ambasciatore, passava nella sala attigua, dove altridue personaggi si alzavano per riverirlo. Qui, era con-cesso paragonare Costantinopoli unicamente a Londra,come residenza; l’Ambasciatore, va da sé, assicurava dipreferire Costantinopoli, e i suoi ospiti, s’intende, prefe-rivano Londra anche se non l’avevano mai vista. Nellasala seguente era d’uopo discutere per filo e per segno la

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salute di re Carlo, e quella del Sultano. Col passar nellasala appresso veniva discussa la salute dell’Ambasciato-re e quella della padrona di casa, ma in modo assai piùconciso. In un’altra sala ancora, l’Ambasciatore compli-mentava l’ospite per il mobilio della sua casa, e l’ospitecomplimentava l’Ambasciatore per il suo vestito. Nellasala seguente venivano serviti dei dolciumi di cui l’ospi-te deplorava la cattiva qualità, e che l’Ambasciatore tro-vava squisiti. La cerimonia culminava finalmente conuna fumata di houka9 e una tazza di caffè; cioè, si adem-piva minuziosamente alla formalità del bere e del fuma-re, benché non ci fosse più tabacco nella pipa che caffènella tazza: se fumo e bevanda fossero stati veri, l’orga-nismo umano avrebbe finito per ribellarsi. Poiché, nonappena sbrigata quella visita, l’Ambasciatore doveva in-traprenderne un’altra. Le stesse cerimonie si svolgeva-no, nel medesimo scrupoloso ordine, per sei o sette vol-te, in casa di altri dignitari, sicché spesso era notte altaprima che l’Ambasciatore rientrasse in casa sua. Orlan-do, a dire il vero, compiva quelle sue mansioni in modoammirevole, e ammetteva di buon grado che costituisse-ro, forse, la parte capitale degli obblighi di un diploma-tico; ma indubbiamente finiva per esserne arcistufo, espesso si riduceva in tale stato di vera depressione, dapreferire di pranzare solo coi suoi cani. A essi lo si sen-tiva parlare poi nella sua lingua materna. Si dice ancheche talvolta uscisse dai cancelli del suo palazzo, trave-

9 Pipa turca. (N.d.T.)

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salute di re Carlo, e quella del Sultano. Col passar nellasala appresso veniva discussa la salute dell’Ambasciato-re e quella della padrona di casa, ma in modo assai piùconciso. In un’altra sala ancora, l’Ambasciatore compli-mentava l’ospite per il mobilio della sua casa, e l’ospitecomplimentava l’Ambasciatore per il suo vestito. Nellasala seguente venivano serviti dei dolciumi di cui l’ospi-te deplorava la cattiva qualità, e che l’Ambasciatore tro-vava squisiti. La cerimonia culminava finalmente conuna fumata di houka9 e una tazza di caffè; cioè, si adem-piva minuziosamente alla formalità del bere e del fuma-re, benché non ci fosse più tabacco nella pipa che caffènella tazza: se fumo e bevanda fossero stati veri, l’orga-nismo umano avrebbe finito per ribellarsi. Poiché, nonappena sbrigata quella visita, l’Ambasciatore doveva in-traprenderne un’altra. Le stesse cerimonie si svolgeva-no, nel medesimo scrupoloso ordine, per sei o sette vol-te, in casa di altri dignitari, sicché spesso era notte altaprima che l’Ambasciatore rientrasse in casa sua. Orlan-do, a dire il vero, compiva quelle sue mansioni in modoammirevole, e ammetteva di buon grado che costituisse-ro, forse, la parte capitale degli obblighi di un diploma-tico; ma indubbiamente finiva per esserne arcistufo, espesso si riduceva in tale stato di vera depressione, dapreferire di pranzare solo coi suoi cani. A essi lo si sen-tiva parlare poi nella sua lingua materna. Si dice ancheche talvolta uscisse dai cancelli del suo palazzo, trave-

9 Pipa turca. (N.d.T.)

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stito in modo che le guardie non lo riconoscevano. Allo-ra si perdeva tra la folla sul Ponte di Galata; o gironzo-lava per i bazar; o si toglieva le scarpe, e si univa ai fe-deli nelle moschee. Un giorno, mentre si spargeva lavoce ch’egli fosse malato con le febbri, dei pastori scesia portar le loro capre al mercato narrarono d’aver incon-trato in cima alla montagna un Lord inglese, e di averloudito pregare il suo Dio. Non si esitò a credere che sitrattasse di Orlando; e non c’era dubbio che la preghierafosse un poema, che egli recitava ad alta voce, poiché sisapeva che egli portava sempre con sé, nascosto sotto ilsuo mantello, un manoscritto tutto irto di cancellature; ei servi che origliavano alla porta avevano udito l’Amba-sciatore, quand’era solo, cantilenar qualcosa in un biz-zarro tono monocorde.

Questi i frammenti, coi quali dobbiamo tentar di rico-struire alla meglio un quadro della vita e del carattere diOrlando a quell’epoca. Ai nostri giorni ancora circolanorumori, leggende, aneddoti vaghi e poco attendibili sulsoggiorno di Orlando a Costantinopoli – (noi non ne ab-biamo riportato che qualcuno) – i quali s’accordano tut-tavia nel provare che ora, nel fiore dell’età, egli posse-deva quel dono di risvegliare la fantasia e attirar su di sél’attenzione, il quale mantiene vivo il ricordo d’unuomo a lungo dopo che l’oblio ha ricoperto quello chequalità più durature potrebbero fare per mantenerlo. Èun dono che misteriosamente si compone di bellezza, dilignaggio e di una dote ancor più cara, cui non saprem-mo dare altro nome che quello d’incanto. “Un milione

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stito in modo che le guardie non lo riconoscevano. Allo-ra si perdeva tra la folla sul Ponte di Galata; o gironzo-lava per i bazar; o si toglieva le scarpe, e si univa ai fe-deli nelle moschee. Un giorno, mentre si spargeva lavoce ch’egli fosse malato con le febbri, dei pastori scesia portar le loro capre al mercato narrarono d’aver incon-trato in cima alla montagna un Lord inglese, e di averloudito pregare il suo Dio. Non si esitò a credere che sitrattasse di Orlando; e non c’era dubbio che la preghierafosse un poema, che egli recitava ad alta voce, poiché sisapeva che egli portava sempre con sé, nascosto sotto ilsuo mantello, un manoscritto tutto irto di cancellature; ei servi che origliavano alla porta avevano udito l’Amba-sciatore, quand’era solo, cantilenar qualcosa in un biz-zarro tono monocorde.

Questi i frammenti, coi quali dobbiamo tentar di rico-struire alla meglio un quadro della vita e del carattere diOrlando a quell’epoca. Ai nostri giorni ancora circolanorumori, leggende, aneddoti vaghi e poco attendibili sulsoggiorno di Orlando a Costantinopoli – (noi non ne ab-biamo riportato che qualcuno) – i quali s’accordano tut-tavia nel provare che ora, nel fiore dell’età, egli posse-deva quel dono di risvegliare la fantasia e attirar su di sél’attenzione, il quale mantiene vivo il ricordo d’unuomo a lungo dopo che l’oblio ha ricoperto quello chequalità più durature potrebbero fare per mantenerlo. Èun dono che misteriosamente si compone di bellezza, dilignaggio e di una dote ancor più cara, cui non saprem-mo dare altro nome che quello d’incanto. “Un milione

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di candele”, bene aveva detto Saša, ardevano in Orlan-do, senza che egli si desse pensiero di accenderne nep-pure una sola. Egli era agile come un cervo, senza biso-gno di pensare alle sue gambe. Parlava con la voce chenatura gli aveva dato, ed ecco che l’eco faceva risuonareun gong d’argento. Nessuna meraviglia che tante vocicorressero su di lui. Egli divenne oggetto di adorazioneda parte di molte donne, e di qualche uomo. Non erapunto necessario avergli parlato, e neppure averlo vedu-to; bastava ai suoi ammiratori evocare, di preferenzasullo sfondo di un paesaggio romantico, o dinanzi a untramonto, la nobile figura di un gentiluomo dalle calzedi seta... Sul povero, sul marrano, Orlando esercitava lostesso fascino che sul ricco. Pastori, zingari, asinai can-tano tuttora canzoni del Lord inglese “che lasciò caderei suoi smeraldi nel pozzo”; e indubbiamente si riferisco-no a Orlando, il quale in un momento di rabbia, o tra ifumi del vino, dicesi, si strappò di dosso i gioielli e ligettò in una fontana; donde furono poi ripescati da unpaggio. Ma quel romantico fascino si associa spesso, ènoto, con una natura di estremo riserbo. Sembra che Or-lando non abbia avuto amici. Per quanto ne sappiamo,non si legò in alcun modo. Una certa gran dama se nevenne fin dall’Inghilterra, unicamente per essere vicinaa lui, importunandolo con le sue attenzioni. Ma Orlandonon trascurò le sue mansioni, e seguitò ad adempirvicon tanta indefessa cura, che erano trascorsi due anni emezzo appena dalla sua nomina ad Ambasciatore alCorno d’Oro, e già re Carlo gli significava la sua inten-

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di candele”, bene aveva detto Saša, ardevano in Orlan-do, senza che egli si desse pensiero di accenderne nep-pure una sola. Egli era agile come un cervo, senza biso-gno di pensare alle sue gambe. Parlava con la voce chenatura gli aveva dato, ed ecco che l’eco faceva risuonareun gong d’argento. Nessuna meraviglia che tante vocicorressero su di lui. Egli divenne oggetto di adorazioneda parte di molte donne, e di qualche uomo. Non erapunto necessario avergli parlato, e neppure averlo vedu-to; bastava ai suoi ammiratori evocare, di preferenzasullo sfondo di un paesaggio romantico, o dinanzi a untramonto, la nobile figura di un gentiluomo dalle calzedi seta... Sul povero, sul marrano, Orlando esercitava lostesso fascino che sul ricco. Pastori, zingari, asinai can-tano tuttora canzoni del Lord inglese “che lasciò caderei suoi smeraldi nel pozzo”; e indubbiamente si riferisco-no a Orlando, il quale in un momento di rabbia, o tra ifumi del vino, dicesi, si strappò di dosso i gioielli e ligettò in una fontana; donde furono poi ripescati da unpaggio. Ma quel romantico fascino si associa spesso, ènoto, con una natura di estremo riserbo. Sembra che Or-lando non abbia avuto amici. Per quanto ne sappiamo,non si legò in alcun modo. Una certa gran dama se nevenne fin dall’Inghilterra, unicamente per essere vicinaa lui, importunandolo con le sue attenzioni. Ma Orlandonon trascurò le sue mansioni, e seguitò ad adempirvicon tanta indefessa cura, che erano trascorsi due anni emezzo appena dalla sua nomina ad Ambasciatore alCorno d’Oro, e già re Carlo gli significava la sua inten-

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zione di elevarlo ai più alti gradi del pariato. Gli invi-diosi dissero che era un tributo di Nell Gwyn al ricordodi un certo paio di gambe. Ma siccome ella non le avevaviste che una volta sola, e in quel momento era tutta in-tenta a bombardar di nocciuole il suo regale amante, èda credere che Orlando dovesse il proprio ducato ai suoimeriti, e non alla venustà dei suoi polpacci.

Qui ci si impone una pausa, perché siamo giunti a unmomento grave di significato nella carriera di Orlando.L’attribuzione del titolo di duca diede occasione a un in-cidente clamoroso, e altresì assai discusso, che siamocostretti a descrivere avanzando a tentoni e come megliopossiamo fra carte bruciate e rimasugli di nastro.L’Ordine del Bagno e la patente di duca giunsero sul fi-nire del gran digiuno del Ramadan, con una fregata alcomando di Sir Adrian Scrope; e Orlando ne colse pre-testo per dare una festa di uno splendore non mai visto,e che mai più doveva vedersi a Costantinopoli. La notteera stupenda; stragrande la folla degli invitati, e le fine-stre dell’Ambasciata brillantemente illuminate. Qui an-cora mancano i particolari, poiché le fiamme hanno con-ciato a modo loro i documenti, per non lasciare chebrandelli i quali pongono alla tortura la nostra curiosità,lasciando avvolti nel buio i punti essenziali. Dal diariodi John Fenner Brigge, un ufficiale della Marina britan-nica che si trovava fra gli invitati, apprendiamo tuttaviache genti d’ogni nazione si trovavano “stipate comearinghe in un barile” nella corte del palazzo. La calcaera così spiacevolmente fitta, che Brigge si arrampicò su

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zione di elevarlo ai più alti gradi del pariato. Gli invi-diosi dissero che era un tributo di Nell Gwyn al ricordodi un certo paio di gambe. Ma siccome ella non le avevaviste che una volta sola, e in quel momento era tutta in-tenta a bombardar di nocciuole il suo regale amante, èda credere che Orlando dovesse il proprio ducato ai suoimeriti, e non alla venustà dei suoi polpacci.

Qui ci si impone una pausa, perché siamo giunti a unmomento grave di significato nella carriera di Orlando.L’attribuzione del titolo di duca diede occasione a un in-cidente clamoroso, e altresì assai discusso, che siamocostretti a descrivere avanzando a tentoni e come megliopossiamo fra carte bruciate e rimasugli di nastro.L’Ordine del Bagno e la patente di duca giunsero sul fi-nire del gran digiuno del Ramadan, con una fregata alcomando di Sir Adrian Scrope; e Orlando ne colse pre-testo per dare una festa di uno splendore non mai visto,e che mai più doveva vedersi a Costantinopoli. La notteera stupenda; stragrande la folla degli invitati, e le fine-stre dell’Ambasciata brillantemente illuminate. Qui an-cora mancano i particolari, poiché le fiamme hanno con-ciato a modo loro i documenti, per non lasciare chebrandelli i quali pongono alla tortura la nostra curiosità,lasciando avvolti nel buio i punti essenziali. Dal diariodi John Fenner Brigge, un ufficiale della Marina britan-nica che si trovava fra gli invitati, apprendiamo tuttaviache genti d’ogni nazione si trovavano “stipate comearinghe in un barile” nella corte del palazzo. La calcaera così spiacevolmente fitta, che Brigge si arrampicò su

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di un albero di Giuda, luogo quanto mai adatto per os-servar lo spettacolo. Voce era corsa fra gli indigeni (ed èquesta una prova di più del misterioso potere che Orlan-do esercitava sulle fantasie) che si sarebbe assistito a unmiracolo.

“Non appena” scrive Brigge (il suo manoscritto, av-vertiamo, è tutto buchi e bruciacchiature, e alcune frasisono poco meno che illeggibili) “i razzi cominciarono afriggere per aria, un certo malessere si diffuse tra di noi,per il timore che la popolazione indigena potesse essercòlta da... grave di funeste conseguenze per tutti... si-gnore inglesi in nostra compagnia, confesso che la manomi corse al pugnale... Fortunatamente” egli seguita nelsuo stile piuttosto prolisso “tali paure apparvero, sulmomento, infondate, e osservando il contegno degli in-digeni... ne venni a concludere che tal dimostrazionedella nostra maestria nell’arte della pirotecnica dovevapur avere un certo valore, se non altro per l’effetto cheproduceva su di essi... superiorità della... britannica... Inverità, lo spettacolo era di una magnificenza indescrivi-bile. L’animo mio era diviso fra le lodi al Signore cheaveva concesso... e rimpiangere che la mia povera e caramadre... Per ordine dell’Ambasciatore le alte finestre,che rappresentano un modello così imponente di archi-tettura orientale... poiché per quanto io sia un ignoranteper molti versi... erano state spalancate; e all’interno cifu dato vedere un tableau vivant o parata teatrale in cuidame e gentiluomini inglesi... rappresentavano una ma-scherata, opera di... Non si capiva una parola, ma la vi-

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di un albero di Giuda, luogo quanto mai adatto per os-servar lo spettacolo. Voce era corsa fra gli indigeni (ed èquesta una prova di più del misterioso potere che Orlan-do esercitava sulle fantasie) che si sarebbe assistito a unmiracolo.

“Non appena” scrive Brigge (il suo manoscritto, av-vertiamo, è tutto buchi e bruciacchiature, e alcune frasisono poco meno che illeggibili) “i razzi cominciarono afriggere per aria, un certo malessere si diffuse tra di noi,per il timore che la popolazione indigena potesse essercòlta da... grave di funeste conseguenze per tutti... si-gnore inglesi in nostra compagnia, confesso che la manomi corse al pugnale... Fortunatamente” egli seguita nelsuo stile piuttosto prolisso “tali paure apparvero, sulmomento, infondate, e osservando il contegno degli in-digeni... ne venni a concludere che tal dimostrazionedella nostra maestria nell’arte della pirotecnica dovevapur avere un certo valore, se non altro per l’effetto cheproduceva su di essi... superiorità della... britannica... Inverità, lo spettacolo era di una magnificenza indescrivi-bile. L’animo mio era diviso fra le lodi al Signore cheaveva concesso... e rimpiangere che la mia povera e caramadre... Per ordine dell’Ambasciatore le alte finestre,che rappresentano un modello così imponente di archi-tettura orientale... poiché per quanto io sia un ignoranteper molti versi... erano state spalancate; e all’interno cifu dato vedere un tableau vivant o parata teatrale in cuidame e gentiluomini inglesi... rappresentavano una ma-scherata, opera di... Non si capiva una parola, ma la vi-

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sta di tanti nostri compatrioti e compatriote, vestiti conla più grande eleganza e distinzione... provai emozionidi cui certo non mi vergogno, benché incapace... mentrestavo osservando la sorprendente condotta di Lady... ellasi comportava in modo tale da attirar su di sé tutti glisguardi, e da gettare il discredito sul suo sesso e la suapatria, ecco che...” ecco che, per mala ventura, un ramosi spezzò, il luogotenente Brigge cadde a terra, e il restodel suo resoconto non contiene più che l’espressionedella sua gratitudine verso la Provvidenza (alla quale èriserbata una parte molto importante nel diario) eun’esatta descrizione delle sue lesioni.

Fortunatamente, Miss Penelope Hartopp, figlia delgenerale di questo nome, ha assistito allo spettacolonell’interno del palazzo, e ne dà il racconto in una certalettera, anche questa assai mutilata, la quale giunse fi-nalmente tra le mani di una sua amica, a TunbridgeWells. “Incantevole!” esclama ella dieci volte per pagi-na. “Mirabile... superiore a ogni descrizione... vasellamed’oro... candelabri... negri in brache di velluto... pirami-di di sorbetti... fontane di vino caldo... gelatine al fruttoche rappresentavano i vascelli di Sua Maestà... cigni ac-conciati a mo’ di ninfee... voliere dorate piene di uccel-li... signori in velluto scarlatto... signore con acconciatu-re di almeno sei piedi... carillons... Mister Peregrine miha detto che ero molto graziosa... lo ripeto a te sola, miacara, sapendo che... Oh, quanto avrei voluto avervi tuttiquanti con me... sorpassa tutto quanto si è visto al Panti-

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sta di tanti nostri compatrioti e compatriote, vestiti conla più grande eleganza e distinzione... provai emozionidi cui certo non mi vergogno, benché incapace... mentrestavo osservando la sorprendente condotta di Lady... ellasi comportava in modo tale da attirar su di sé tutti glisguardi, e da gettare il discredito sul suo sesso e la suapatria, ecco che...” ecco che, per mala ventura, un ramosi spezzò, il luogotenente Brigge cadde a terra, e il restodel suo resoconto non contiene più che l’espressionedella sua gratitudine verso la Provvidenza (alla quale èriserbata una parte molto importante nel diario) eun’esatta descrizione delle sue lesioni.

Fortunatamente, Miss Penelope Hartopp, figlia delgenerale di questo nome, ha assistito allo spettacolonell’interno del palazzo, e ne dà il racconto in una certalettera, anche questa assai mutilata, la quale giunse fi-nalmente tra le mani di una sua amica, a TunbridgeWells. “Incantevole!” esclama ella dieci volte per pagi-na. “Mirabile... superiore a ogni descrizione... vasellamed’oro... candelabri... negri in brache di velluto... pirami-di di sorbetti... fontane di vino caldo... gelatine al fruttoche rappresentavano i vascelli di Sua Maestà... cigni ac-conciati a mo’ di ninfee... voliere dorate piene di uccel-li... signori in velluto scarlatto... signore con acconciatu-re di almeno sei piedi... carillons... Mister Peregrine miha detto che ero molto graziosa... lo ripeto a te sola, miacara, sapendo che... Oh, quanto avrei voluto avervi tuttiquanti con me... sorpassa tutto quanto si è visto al Panti-

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les10... vini scorrevano a oceani... qualche signore passa-va il segno... Lady Betty incantevole... La povera LadyBonham, la quale ha commesso lo sfortunato errore disedersi credendo di avere una seggiola dietro di sé...Gentlemen tutti molto galanti... desiderato mille volteper te e la cara Betty... Ma la mirabilia di tutti, il puntodi mira di tutti gli sguardi... tutti eravamo d’accordo,ché nessuno poteva esser tanto vile da negarlo, eral’Ambasciatore. Che gambe! Che portamento!! Chemodi principeschi!!! E quell’ingresso nella sala! Equell’uscita dalla sala!! E quel non so che d’interessantenell’espressione, che, senza che se ne sappia il perché,lascia intravedere l’uomo che ha sofferto! Dicono chesia stato per via di una certa signora. Mostro senza cuo-re!!! Come può una rappresentante del cosiddetto sessodebole aver avuto tanta sfrontatezza!!! Egli non è sposa-to, e metà delle signore di quaggiù muoiono d’amoreper lui... Mille e poi mille baci a Tom, Gerry, Peter, e alcaro Mao...” (Presumibilmente si tratta del gatto.)

La Gazzetta di quel tempo ci informa altresì che “alloscoccar della mezzanotte, l’Ambasciatore si affacciò albalcone di centro, parato di preziosissimi tappeti. Seiturchi della Guardia del Corpo imperiale, ognuno altopiù di sei piedi, levavano le torce ai suoi lati. All’appari-re dell’Ambasciatore, i razzi si alzarono in aria, e la fol-la proruppe in un grande urlo, cui l’Ambasciatore rispo-se con un profondo inchino, accompagnato da qualche

10 Casino di Tumbridge Wells, luogo di cura in voga a quell’epoca. (N.d.T.)

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les10... vini scorrevano a oceani... qualche signore passa-va il segno... Lady Betty incantevole... La povera LadyBonham, la quale ha commesso lo sfortunato errore disedersi credendo di avere una seggiola dietro di sé...Gentlemen tutti molto galanti... desiderato mille volteper te e la cara Betty... Ma la mirabilia di tutti, il puntodi mira di tutti gli sguardi... tutti eravamo d’accordo,ché nessuno poteva esser tanto vile da negarlo, eral’Ambasciatore. Che gambe! Che portamento!! Chemodi principeschi!!! E quell’ingresso nella sala! Equell’uscita dalla sala!! E quel non so che d’interessantenell’espressione, che, senza che se ne sappia il perché,lascia intravedere l’uomo che ha sofferto! Dicono chesia stato per via di una certa signora. Mostro senza cuo-re!!! Come può una rappresentante del cosiddetto sessodebole aver avuto tanta sfrontatezza!!! Egli non è sposa-to, e metà delle signore di quaggiù muoiono d’amoreper lui... Mille e poi mille baci a Tom, Gerry, Peter, e alcaro Mao...” (Presumibilmente si tratta del gatto.)

La Gazzetta di quel tempo ci informa altresì che “alloscoccar della mezzanotte, l’Ambasciatore si affacciò albalcone di centro, parato di preziosissimi tappeti. Seiturchi della Guardia del Corpo imperiale, ognuno altopiù di sei piedi, levavano le torce ai suoi lati. All’appari-re dell’Ambasciatore, i razzi si alzarono in aria, e la fol-la proruppe in un grande urlo, cui l’Ambasciatore rispo-se con un profondo inchino, accompagnato da qualche

10 Casino di Tumbridge Wells, luogo di cura in voga a quell’epoca. (N.d.T.)

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parola di ringraziamento in turco, poiché la padronanzache egli ha di questa lingua fa parte delle sue doti. Quin-di Sir Adrian Scrope, in alta uniforme di Ammiragliobritannico, avanzò; l’Ambasciatore piegò un ginocchioa terra; l’Ammiraglio lo cinse del Collare del Nobilissi-mo Ordine del Bagno, indi gli appuntò al petto la Stella;dopo di che un altro gentiluomo del Corpo diplomaticosolennemente si fece avanti, gli pose sulle spalle il man-to ducale, e gli porse, su di un cuscino, la corona diduca”.

Allora, con straordinaria maestà e grazia, dapprimainchinandosi profondamente, poi raddrizzandosi orgo-glioso, Orlando prese la coroncina dorata di foglie difragola, e, con un gesto che doveva rimaner indimenti-cabile a chiunque lo vide, la posò sulla propria fronte.Fu a questo punto che cominciarono i primi disordini.Forse il popolo s’era atteso un miracolo – chi dice cheera stata preconizzata una pioggia d’oro dal cielo – ilquale non avvenne; o forse, quel momento era il segnalescelto per l’attacco; nessuno sa dircelo con certezza; manell’attimo stesso in cui la corona si posò sulla fronte diOrlando, un gran clamore si alzò. Le campane suonaro-no a stormo; gli strilli acuti dei profeti si levarono tra gliurli della folla; parecchi musulmani si gettarono a terra,toccando il suolo con la fronte. Una porta fu aperta aforza, e gli indigeni invasero la sala del festino. Le don-ne urlavano. Una certa signora, che si dice morissed’amore per Orlando, afferrò un candelabro e lo scagliòsul pavimento. Il Cielo sa che cosa sarebbe successo,

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parola di ringraziamento in turco, poiché la padronanzache egli ha di questa lingua fa parte delle sue doti. Quin-di Sir Adrian Scrope, in alta uniforme di Ammiragliobritannico, avanzò; l’Ambasciatore piegò un ginocchioa terra; l’Ammiraglio lo cinse del Collare del Nobilissi-mo Ordine del Bagno, indi gli appuntò al petto la Stella;dopo di che un altro gentiluomo del Corpo diplomaticosolennemente si fece avanti, gli pose sulle spalle il man-to ducale, e gli porse, su di un cuscino, la corona diduca”.

Allora, con straordinaria maestà e grazia, dapprimainchinandosi profondamente, poi raddrizzandosi orgo-glioso, Orlando prese la coroncina dorata di foglie difragola, e, con un gesto che doveva rimaner indimenti-cabile a chiunque lo vide, la posò sulla propria fronte.Fu a questo punto che cominciarono i primi disordini.Forse il popolo s’era atteso un miracolo – chi dice cheera stata preconizzata una pioggia d’oro dal cielo – ilquale non avvenne; o forse, quel momento era il segnalescelto per l’attacco; nessuno sa dircelo con certezza; manell’attimo stesso in cui la corona si posò sulla fronte diOrlando, un gran clamore si alzò. Le campane suonaro-no a stormo; gli strilli acuti dei profeti si levarono tra gliurli della folla; parecchi musulmani si gettarono a terra,toccando il suolo con la fronte. Una porta fu aperta aforza, e gli indigeni invasero la sala del festino. Le don-ne urlavano. Una certa signora, che si dice morissed’amore per Orlando, afferrò un candelabro e lo scagliòsul pavimento. Il Cielo sa che cosa sarebbe successo,

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dove non fosse stato per la presenza di spirito di SirAdrian Scrope, e per una squadra di marinai britannici.L’Ammiraglio ordinò che si suonasse la fanfara: centomarinai furono subito messi in stato d’allarme; la som-mossa fu domata, e sulla scena cadde il sipario d’unacalma quanto meno provvisoria.

Fin qui, ci troviamo sul terreno sicuro, anche se stret-to, d’una verità accertata. Ma nessuno ha mai saputocon esattezza che cosa accadesse di poi, in quella notte.La testimonianza delle sentinelle e di altre persone sem-bra tuttavia provare che verso le due di notte l’Amba-sciata si trovasse a essere deserta; e le porte furono bar-ricate come di consueto. L’Ambasciatore fu visto ritirar-si nelle sue stanze, tuttora rivestito delle insegne del suogrado, e chiudere la porta. Alcuni accertano che, controla sua abitudine, mettesse anche il chiavistello. Altripretendono d’aver udito nel cortile su cui davano le fi-nestre dell’Ambasciatore, a notte più avanzata, una mu-sica rustica, una specie di melopea pastorale. Una lavan-daia che il mal di denti non lasciava dormire affermò diaver visto un’ombra uscir sul balcone, un uomo avvoltoin un mantello o in una vestaglia; e una donna che, perquanto imbacuccata, aveva tutto l’aspetto di una conta-dina, era stata tirata su fino al balcone, per mezzo d’unacorda che l’uomo le aveva gettato. Allora, disse la la-vandaia, s’erano abbracciati appassionatamente “comeamanti”, erano rientrati nella stanza, avevano abbassatole cortine, e buona notte al secchio.

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dove non fosse stato per la presenza di spirito di SirAdrian Scrope, e per una squadra di marinai britannici.L’Ammiraglio ordinò che si suonasse la fanfara: centomarinai furono subito messi in stato d’allarme; la som-mossa fu domata, e sulla scena cadde il sipario d’unacalma quanto meno provvisoria.

Fin qui, ci troviamo sul terreno sicuro, anche se stret-to, d’una verità accertata. Ma nessuno ha mai saputocon esattezza che cosa accadesse di poi, in quella notte.La testimonianza delle sentinelle e di altre persone sem-bra tuttavia provare che verso le due di notte l’Amba-sciata si trovasse a essere deserta; e le porte furono bar-ricate come di consueto. L’Ambasciatore fu visto ritirar-si nelle sue stanze, tuttora rivestito delle insegne del suogrado, e chiudere la porta. Alcuni accertano che, controla sua abitudine, mettesse anche il chiavistello. Altripretendono d’aver udito nel cortile su cui davano le fi-nestre dell’Ambasciatore, a notte più avanzata, una mu-sica rustica, una specie di melopea pastorale. Una lavan-daia che il mal di denti non lasciava dormire affermò diaver visto un’ombra uscir sul balcone, un uomo avvoltoin un mantello o in una vestaglia; e una donna che, perquanto imbacuccata, aveva tutto l’aspetto di una conta-dina, era stata tirata su fino al balcone, per mezzo d’unacorda che l’uomo le aveva gettato. Allora, disse la la-vandaia, s’erano abbracciati appassionatamente “comeamanti”, erano rientrati nella stanza, avevano abbassatole cortine, e buona notte al secchio.

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All’indomani, i segretari trovarono il Duca, come do-vremo chiamarlo d’ora innanzi, immerso in un sonnoprofondo, con le vesti da notte assai scomposte. Un cer-to disordine regnava nella stanza, la corona ducale erarotolata sul pavimento, il manto e la Giarrettiera eranogettati alla rinfusa su di una seggiola. Sul tavolo c’eraun gran guazzabuglio di carte. Nessun sospetto nacquesulle prime, poiché le emozioni della notte erano staterilevanti. Ma quando si giunse al pomeriggio, e Orlandodormiva sempre, venne mandato per il medico. Questiprescrisse le stesse medicine già ordinate la volta prece-dente: empiastri, ortiche, emetici, ecc., ma senza succes-so. Orlando dormiva della grossa. Allora, i segretari cre-dettero loro dovere esaminar le carte sul tavolo. Su pa-recchie di esse erano scribacchiati versi, in cui si parlavasovente di una quercia. C’erano anche documenti di Sta-to, e altri di carattere privato, i quali concernevanol’amministrazione dei beni di Orlando in Inghilterra. Main ultimo venne scoperta una carta di assai maggiore im-portanza. Si trattava nientemeno che di un atto di matri-monio, steso, firmato, legittimato, fra Sua Grazia Orlan-do, Cavaliere della Giarrettiera ecc. ecc. ecc. e RosinaPepita, danzatrice, di padre ignoto ma presunto zingaro,di madre ugualmente ignota ma presunta rivenditrice diferrivecchi sulla Piazza del Mercato sull’altra riva pres-so il Ponte di Galata. I segretari si guardarono, esterre-fatti. E Orlando dormiva sempre. Da mane a sera essi lovegliavano, ma salvo il respiro regolare, e le guance cheserbavano l’abituale incarnato di rosa, egli non dava se-

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All’indomani, i segretari trovarono il Duca, come do-vremo chiamarlo d’ora innanzi, immerso in un sonnoprofondo, con le vesti da notte assai scomposte. Un cer-to disordine regnava nella stanza, la corona ducale erarotolata sul pavimento, il manto e la Giarrettiera eranogettati alla rinfusa su di una seggiola. Sul tavolo c’eraun gran guazzabuglio di carte. Nessun sospetto nacquesulle prime, poiché le emozioni della notte erano staterilevanti. Ma quando si giunse al pomeriggio, e Orlandodormiva sempre, venne mandato per il medico. Questiprescrisse le stesse medicine già ordinate la volta prece-dente: empiastri, ortiche, emetici, ecc., ma senza succes-so. Orlando dormiva della grossa. Allora, i segretari cre-dettero loro dovere esaminar le carte sul tavolo. Su pa-recchie di esse erano scribacchiati versi, in cui si parlavasovente di una quercia. C’erano anche documenti di Sta-to, e altri di carattere privato, i quali concernevanol’amministrazione dei beni di Orlando in Inghilterra. Main ultimo venne scoperta una carta di assai maggiore im-portanza. Si trattava nientemeno che di un atto di matri-monio, steso, firmato, legittimato, fra Sua Grazia Orlan-do, Cavaliere della Giarrettiera ecc. ecc. ecc. e RosinaPepita, danzatrice, di padre ignoto ma presunto zingaro,di madre ugualmente ignota ma presunta rivenditrice diferrivecchi sulla Piazza del Mercato sull’altra riva pres-so il Ponte di Galata. I segretari si guardarono, esterre-fatti. E Orlando dormiva sempre. Da mane a sera essi lovegliavano, ma salvo il respiro regolare, e le guance cheserbavano l’abituale incarnato di rosa, egli non dava se-

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gno di vita. Tutto ciò che la scienza o l’istinto offrivanoper svegliarlo venne messo in opera. Ma egli non si sve-gliò.

Al settimo giorno del suo letargo (mercoledì 10 mag-gio) veniva sparato il primo colpo di quella terribile esanguinosa insurrezione di cui il luogotenente Briggeaveva avvertito i primi sintomi. I turchi si sollevaronocontro il Sultano, misero a fuoco la città,e ogni forestie-ro che si poté scovare venne passato a fil di spada o fla-gellato. Pochi inglesi riuscirono a mettersi in salvo; enon poteva essere altrimenti: i gentiluomini dell’Amba-sciata britannica preferivano morire difendendo i lorocofani rossi o, in caso estremo, ingoiar mazzi di chiavipiuttosto che lasciar cadere gli uni e le altre in mano de-gli infedeli. I rivoltosi penetrarono sin nelle stanze diOrlando, ma vedendolo così disteso, morto secondoogni apparenza, non lo toccarono e si contentarono dirubare la corona e le insegne della Giarrettiera.

Ed ecco che, ancora una volta, torna a discenderel’oscurità, e volesse il Cielo che fosse ancor più profon-da! Volesse il Cielo, osiamo esclamare nell’intimo deinostri cuori, che fosse tanto profonda da impedirci diveder cosa alcuna, al di là delle sue tenebre opache! Po-tessimo, a questo punto, prender la penna e porre la pa-rola finis all’opera nostra! Potessimo risparmiare al let-tore ciò che verrà, dicendogli in poche parole: Orlandomorì, e fu seppellito. Ma qui, ahimè, Verità, Equità eOnestà, austere divinità che fanno buona guardia pressogli inchiostri del biografo, gridano: No! Recando alle

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gno di vita. Tutto ciò che la scienza o l’istinto offrivanoper svegliarlo venne messo in opera. Ma egli non si sve-gliò.

Al settimo giorno del suo letargo (mercoledì 10 mag-gio) veniva sparato il primo colpo di quella terribile esanguinosa insurrezione di cui il luogotenente Briggeaveva avvertito i primi sintomi. I turchi si sollevaronocontro il Sultano, misero a fuoco la città,e ogni forestie-ro che si poté scovare venne passato a fil di spada o fla-gellato. Pochi inglesi riuscirono a mettersi in salvo; enon poteva essere altrimenti: i gentiluomini dell’Amba-sciata britannica preferivano morire difendendo i lorocofani rossi o, in caso estremo, ingoiar mazzi di chiavipiuttosto che lasciar cadere gli uni e le altre in mano de-gli infedeli. I rivoltosi penetrarono sin nelle stanze diOrlando, ma vedendolo così disteso, morto secondoogni apparenza, non lo toccarono e si contentarono dirubare la corona e le insegne della Giarrettiera.

Ed ecco che, ancora una volta, torna a discenderel’oscurità, e volesse il Cielo che fosse ancor più profon-da! Volesse il Cielo, osiamo esclamare nell’intimo deinostri cuori, che fosse tanto profonda da impedirci diveder cosa alcuna, al di là delle sue tenebre opache! Po-tessimo, a questo punto, prender la penna e porre la pa-rola finis all’opera nostra! Potessimo risparmiare al let-tore ciò che verrà, dicendogli in poche parole: Orlandomorì, e fu seppellito. Ma qui, ahimè, Verità, Equità eOnestà, austere divinità che fanno buona guardia pressogli inchiostri del biografo, gridano: No! Recando alle

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labbra le trombe intonano: Verità! E una volta ancoraecheggia di concerto il clangor loro: Verità! Null’altroche Verità!

Al che – Dio sia lodato! ci è concesso di riprenderfiato – le porte si aprono dolcemente, come se un soffiodel più soave e celeste zeffiro le avesse dischiuse, e trefigure entrano. Avanza prima Nostra Signora di Purità;ha la fronte cinta di bende della più candida lanad’agnello; le sue chiome sono una valanga di neve soffi-ce; e nelle sue mani riposa la bianca penna di una vergi-ne oca. Dietro di lei, ma con passo più altero, incedeNostra Signora di Castità; corona la sua fronte un diade-ma di ghiaccioli, fuoco che arde ma non consuma; stellepurissime sono gli occhi suoi, e il tocco delle sue dita èun gelo che penetra sino all’osso. Nelle sue orme, quasia cercar protezione all’ombra delle sorelle più forti,pone il piede Nostra Signora di Modestia, la più fragile,la più bella fra tutte e tre; e mostra del suo volto appenaquanto ne rivela la giovine Luna allorché, falce sottile,si cela a metà fra le nubi. Tutte e tre avanzano al centrodella stanza ove Orlando giace tuttora immerso nel son-no; e con gesti che a un tempo implorano e comandano,Nostra Signora di Purità schiude per la prima il labbro:

“Io veglio sul cerbiatto addormentato, e la neve mi ècara; e la luna sorgente; e il mare argenteo. Con la miaveste ricopro le uova di gallina screziate, le conchigliedi mare striate; ricopro vizio e povertà. Su ogni cosa fra-gile o sinistra o dubbia discende il mio velo. Perciò: nonparlate, non rivelate. Clemenza! Oh! Clemenza!”

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labbra le trombe intonano: Verità! E una volta ancoraecheggia di concerto il clangor loro: Verità! Null’altroche Verità!

Al che – Dio sia lodato! ci è concesso di riprenderfiato – le porte si aprono dolcemente, come se un soffiodel più soave e celeste zeffiro le avesse dischiuse, e trefigure entrano. Avanza prima Nostra Signora di Purità;ha la fronte cinta di bende della più candida lanad’agnello; le sue chiome sono una valanga di neve soffi-ce; e nelle sue mani riposa la bianca penna di una vergi-ne oca. Dietro di lei, ma con passo più altero, incedeNostra Signora di Castità; corona la sua fronte un diade-ma di ghiaccioli, fuoco che arde ma non consuma; stellepurissime sono gli occhi suoi, e il tocco delle sue dita èun gelo che penetra sino all’osso. Nelle sue orme, quasia cercar protezione all’ombra delle sorelle più forti,pone il piede Nostra Signora di Modestia, la più fragile,la più bella fra tutte e tre; e mostra del suo volto appenaquanto ne rivela la giovine Luna allorché, falce sottile,si cela a metà fra le nubi. Tutte e tre avanzano al centrodella stanza ove Orlando giace tuttora immerso nel son-no; e con gesti che a un tempo implorano e comandano,Nostra Signora di Purità schiude per la prima il labbro:

“Io veglio sul cerbiatto addormentato, e la neve mi ècara; e la luna sorgente; e il mare argenteo. Con la miaveste ricopro le uova di gallina screziate, le conchigliedi mare striate; ricopro vizio e povertà. Su ogni cosa fra-gile o sinistra o dubbia discende il mio velo. Perciò: nonparlate, non rivelate. Clemenza! Oh! Clemenza!”

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E qui le trombe echeggiano:“Indietro, Purità! Allontanati, Purità!”Allora parla Nostra Signora di Castità:“Io sono colei il cui tocco gela, e il cui sguardo tra-

muta in pietra. Ho arrestato la stella nella sua danza, el’onda nel suo infrangersi. Sulle Alpi più eccelse hoeletto la mia dimora; e quando cammino, i lampi spriz-zano dai miei capelli; e i miei occhi uccidono là dove sifissano. Prima che Orlando si svegli, lo gelerò fino almidollo. Clemenza! Oh! Clemenza!”

E qui le trombe echeggiano:“Indietro, Castità! Allontanati, Castità!”Allora, parla Nostra Signora di Modestia, con sì flebi-

le voce che appena si ode:“Io sono colei che gli uomini chiamano Modestia.

Vergine sono e vergine resterò. Non a me si addicono ilcampo fecondo e la fertile vigna. Odiosa mi è ogni fe-condità; e quando i meli fioriscono e le agnelle figliano,io fuggo, fuggo; e lascio cadere nella fuga il manto. Icapelli velano i miei occhi, e io nulla vedo. Clemenza!Oh! Clemenza!”

Ancora le trombe echeggiano:“Indietro, Modestia! Allontanati, Modestia!”Con gesti dolenti di prefiche, le tre sorelle si porgono

ora le mani, e agitando i veli si muovono in lenta danza,cantando:

“Verità, non uscire dal tuo orrido antro. Celati ancorpiù profondo, Verità tremenda. Senza pietà tu riveli allacruda luce del sole cose che meglio sarebbe ignorare,

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E qui le trombe echeggiano:“Indietro, Purità! Allontanati, Purità!”Allora parla Nostra Signora di Castità:“Io sono colei il cui tocco gela, e il cui sguardo tra-

muta in pietra. Ho arrestato la stella nella sua danza, el’onda nel suo infrangersi. Sulle Alpi più eccelse hoeletto la mia dimora; e quando cammino, i lampi spriz-zano dai miei capelli; e i miei occhi uccidono là dove sifissano. Prima che Orlando si svegli, lo gelerò fino almidollo. Clemenza! Oh! Clemenza!”

E qui le trombe echeggiano:“Indietro, Castità! Allontanati, Castità!”Allora, parla Nostra Signora di Modestia, con sì flebi-

le voce che appena si ode:“Io sono colei che gli uomini chiamano Modestia.

Vergine sono e vergine resterò. Non a me si addicono ilcampo fecondo e la fertile vigna. Odiosa mi è ogni fe-condità; e quando i meli fioriscono e le agnelle figliano,io fuggo, fuggo; e lascio cadere nella fuga il manto. Icapelli velano i miei occhi, e io nulla vedo. Clemenza!Oh! Clemenza!”

Ancora le trombe echeggiano:“Indietro, Modestia! Allontanati, Modestia!”Con gesti dolenti di prefiche, le tre sorelle si porgono

ora le mani, e agitando i veli si muovono in lenta danza,cantando:

“Verità, non uscire dal tuo orrido antro. Celati ancorpiù profondo, Verità tremenda. Senza pietà tu riveli allacruda luce del sole cose che meglio sarebbe ignorare,

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meglio sarebbe non fare. Verità, tu sveli l’onta, tu illu-mini l’ombra. Nascondi! Nascondi! Nascondi!”

Ora esse fanno il gesto di coprire Orlando coi loroveli. E le trombe ancora risuonano:

“Verità! Null’altro che Verità!”Allora, le tre sorelle cercano di gettare i loro veli sulla

bocca delle trombe, onde soffocarne il suono, ma inva-no, poiché la voce concorde ruggisce:

“Orride sorelle, uscite!”Sconvolte, le sorelle gemono all’unisono, nel turbinar

dei loro veli.“Non sempre è stato così! Ma gli uomini ci ripudiano;

le donne ci aborrono. Andiamo; andiamo. Io (parla laPurità) sceglierò il piuolo del pollaio. Io (parla la Ca-stità) le alture ancora inviolate del Surrey. Io (parla laModestia) qualsiasi cantuccio tranquillo, dove ancora visiano tendaggi e cresca l’edera.”

“Poiché là, non qui (ora parlano tutte e tre insieme,giungendo le loro mani e facendo gesti d’addio e di di-sperazione verso il letto dove Orlando giace immersonel sonno) vivono ancora, nel nido e nel salotto, negliuffici e nelle Corti di Giustizia, coloro che ci amano; co-loro che ci onorano, vergini e uomini d’affari; avvocati emedici; coloro che proibiscono; coloro che negano; co-loro che si prosternano senza saperne la ragione; coloroche applaudono senza comprendere; la tribù tuttora nu-merosa – sia lode al Signore – delle persone onorate; dichi preferisce non vedere; di chi non è ansioso di sapere;di chi predilige l’oscurità; di chi ancora ci venera, e non

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meglio sarebbe non fare. Verità, tu sveli l’onta, tu illu-mini l’ombra. Nascondi! Nascondi! Nascondi!”

Ora esse fanno il gesto di coprire Orlando coi loroveli. E le trombe ancora risuonano:

“Verità! Null’altro che Verità!”Allora, le tre sorelle cercano di gettare i loro veli sulla

bocca delle trombe, onde soffocarne il suono, ma inva-no, poiché la voce concorde ruggisce:

“Orride sorelle, uscite!”Sconvolte, le sorelle gemono all’unisono, nel turbinar

dei loro veli.“Non sempre è stato così! Ma gli uomini ci ripudiano;

le donne ci aborrono. Andiamo; andiamo. Io (parla laPurità) sceglierò il piuolo del pollaio. Io (parla la Ca-stità) le alture ancora inviolate del Surrey. Io (parla laModestia) qualsiasi cantuccio tranquillo, dove ancora visiano tendaggi e cresca l’edera.”

“Poiché là, non qui (ora parlano tutte e tre insieme,giungendo le loro mani e facendo gesti d’addio e di di-sperazione verso il letto dove Orlando giace immersonel sonno) vivono ancora, nel nido e nel salotto, negliuffici e nelle Corti di Giustizia, coloro che ci amano; co-loro che ci onorano, vergini e uomini d’affari; avvocati emedici; coloro che proibiscono; coloro che negano; co-loro che si prosternano senza saperne la ragione; coloroche applaudono senza comprendere; la tribù tuttora nu-merosa – sia lode al Signore – delle persone onorate; dichi preferisce non vedere; di chi non è ansioso di sapere;di chi predilige l’oscurità; di chi ancora ci venera, e non

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a torto; poiché noi, noi abbiamo dato loro Ricchezza,Prosperità, Benessere, Pace. Là noi ci rechiamo, e vi ab-bandoniamo. Andiamo, sorelle, andiamo. Questo non èluogo per noi.”

E precipitosamente si ritirano, agitando i veli attornoal capo come a celar qualcosa che non osano guardare erichiudono la porta dietro di sé.

Eccoci dunque interamente soli nella stanza, con Or-lando dormiente e gli araldi. Questi, dopo essersi schie-rati su di un sol rango, danno fiato alle lor trombe, in unultimo spaventevole urlo: “LA VERITÀ!”

A quell’urlo, Orlando si svegliò.Si stirò le membra. Si alzò. Sostò ritto in piedi dinan-

zi a noi, nella sua assoluta nudità, e mentre durava anco-ra il tonitruare delle trombe: Verità! Verità! Verità! altronon ci rimane se non confessare la verità... Orlando erauna donna.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Moriva l’eco delle trombe, e Orlando se ne stava eret-to, nella sua franca nudità. Mai creatura umana, da chemondo è mondo, era apparsa più affascinante. Le sueforme univano il vigore d’un uomo alla grazia d’unadonna. Mentre egli così se ne stava, le trombe d’argentoprolungarono la loro nota, quasi riluttanti ad abbandona-re la leggiadra vista che il loro clangore aveva evocato;e Castità, Purità e Modestia, istigate senza dubbio daCuriosità, arrischiarono un’occhiatina attraverso l’uscio

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a torto; poiché noi, noi abbiamo dato loro Ricchezza,Prosperità, Benessere, Pace. Là noi ci rechiamo, e vi ab-bandoniamo. Andiamo, sorelle, andiamo. Questo non èluogo per noi.”

E precipitosamente si ritirano, agitando i veli attornoal capo come a celar qualcosa che non osano guardare erichiudono la porta dietro di sé.

Eccoci dunque interamente soli nella stanza, con Or-lando dormiente e gli araldi. Questi, dopo essersi schie-rati su di un sol rango, danno fiato alle lor trombe, in unultimo spaventevole urlo: “LA VERITÀ!”

A quell’urlo, Orlando si svegliò.Si stirò le membra. Si alzò. Sostò ritto in piedi dinan-

zi a noi, nella sua assoluta nudità, e mentre durava anco-ra il tonitruare delle trombe: Verità! Verità! Verità! altronon ci rimane se non confessare la verità... Orlando erauna donna.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Moriva l’eco delle trombe, e Orlando se ne stava eret-to, nella sua franca nudità. Mai creatura umana, da chemondo è mondo, era apparsa più affascinante. Le sueforme univano il vigore d’un uomo alla grazia d’unadonna. Mentre egli così se ne stava, le trombe d’argentoprolungarono la loro nota, quasi riluttanti ad abbandona-re la leggiadra vista che il loro clangore aveva evocato;e Castità, Purità e Modestia, istigate senza dubbio daCuriosità, arrischiarono un’occhiatina attraverso l’uscio

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socchiuso, e gettarono sul corpo nudo un indumentoqualsiasi, o una tovaglia, che purtroppo mancò la miradi parecchi pollici. Orlando intanto si considerava dacapo a piedi in un alto specchio, senza dar segni appa-renti di emozione; dopo di che, supponiamo che se neandasse nel suo gabinetto da bagno.

Coglieremo l’occasione di questa pausa nel nostroracconto, per fare alcune constatazioni. Orlando – vanosarebbe stato negarlo – era diventato donna. Ma sottoogni altro rapporto, Orlando rimaneva tale e quale quel-lo di prima. Il mutamento di sesso poteva bensì alterarel’avvenire dei due Orlando, ma per nulla affatto la loropersonalità. I due visi rimasero, come lo provano i ritrat-ti, perfettamente simili. Egli – ma d’ora innanzi saràbene, per convenzione, dire “ella” invece di “egli” – ellapoté dunque, nella sua memoria, risalire il corso deglieventi del suo passato, senza incontrare alcun ostacolo.Tutt’al più, vi sarà stato intorno a essi una bruma legge-ra, come se poche gocce oscure fossero cadute nel lim-pido stagno di Mnemosine; onde certi fatti s’erano appe-na intorbidati; ma era tutto lì. La metamorfosi sembraessersi compiuta senza alcun dolore, nel modo più com-pleto, e con tanta perfezione che Orlando stessa non nefu minimamente sorpresa. Numerosi sono gli scienziati iquali, nel constatar questo fatto, sostengono che un mu-tamento di sesso è una cosa contro natura, e hanno suda-to non poco per provare: 1. che Orlando era sempre sta-to una donna; 2. che Orlando era tuttora un uomo. La-sciamo il dilemma ai biologi e agli psicologi. A noi ba-

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socchiuso, e gettarono sul corpo nudo un indumentoqualsiasi, o una tovaglia, che purtroppo mancò la miradi parecchi pollici. Orlando intanto si considerava dacapo a piedi in un alto specchio, senza dar segni appa-renti di emozione; dopo di che, supponiamo che se neandasse nel suo gabinetto da bagno.

Coglieremo l’occasione di questa pausa nel nostroracconto, per fare alcune constatazioni. Orlando – vanosarebbe stato negarlo – era diventato donna. Ma sottoogni altro rapporto, Orlando rimaneva tale e quale quel-lo di prima. Il mutamento di sesso poteva bensì alterarel’avvenire dei due Orlando, ma per nulla affatto la loropersonalità. I due visi rimasero, come lo provano i ritrat-ti, perfettamente simili. Egli – ma d’ora innanzi saràbene, per convenzione, dire “ella” invece di “egli” – ellapoté dunque, nella sua memoria, risalire il corso deglieventi del suo passato, senza incontrare alcun ostacolo.Tutt’al più, vi sarà stato intorno a essi una bruma legge-ra, come se poche gocce oscure fossero cadute nel lim-pido stagno di Mnemosine; onde certi fatti s’erano appe-na intorbidati; ma era tutto lì. La metamorfosi sembraessersi compiuta senza alcun dolore, nel modo più com-pleto, e con tanta perfezione che Orlando stessa non nefu minimamente sorpresa. Numerosi sono gli scienziati iquali, nel constatar questo fatto, sostengono che un mu-tamento di sesso è una cosa contro natura, e hanno suda-to non poco per provare: 1. che Orlando era sempre sta-to una donna; 2. che Orlando era tuttora un uomo. La-sciamo il dilemma ai biologi e agli psicologi. A noi ba-

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sterà constatare il fatto nudo e crudo. Orlando era statoun uomo fino ai trent’anni; dopo di allora, diventò unadonna, e tale è rimasto.

Lasceremo ad altra penna il trattar di sesso e di que-stioni sessuali; noi preferiamo desistere, non appena ci èpossibile, da soggetti così scabrosi. Orlando, dopo esser-si lavata, aveva indossato una di quelle casacche, e pan-taloni alla turca, che s’addicono indifferentemente aidue sessi; e le fu giocoforza soffermarsi a considerar lapropria situazione. Che fosse precaria, e imbarazzanteall’estremo, è cosa che salterà subito agli occhi di ognilettore che ne abbia seguito con simpatia le avventure.Giovane, nobile, bella, ella si era destata per trovarsi inuna posizione quale non se ne può immaginare di piùdelicate per una giovane signora di qualità. Nonl’avremmo certo biasimata, se si fosse attaccata al cam-panello, se avesse gridato, se fosse caduta in deliquio.Ma Orlando non diede già in simili escandescenze. Intutte le sue azioni, ella mostrò una prudenza estrema, laquale avrebbe potuto esser quasi indizio di premedita-zione. Per prima cosa esaminò con cura le carte sulloscrittoio; ne scelse alcune che parevano contener deiversi, e se le ripose in seno; chiamò quindi il suo slou-ghi11 il quale, benché quasi morto di fame, non s’erascostato da piè del letto durante quelle giornate, gli die-de qualcosa da mangiare, lo pettinò; si infilò quindi unpaio di pistole alla cintola; finalmente, si passò al collo

11 Razza di levrieri arabi. (N.d.T.)

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sterà constatare il fatto nudo e crudo. Orlando era statoun uomo fino ai trent’anni; dopo di allora, diventò unadonna, e tale è rimasto.

Lasceremo ad altra penna il trattar di sesso e di que-stioni sessuali; noi preferiamo desistere, non appena ci èpossibile, da soggetti così scabrosi. Orlando, dopo esser-si lavata, aveva indossato una di quelle casacche, e pan-taloni alla turca, che s’addicono indifferentemente aidue sessi; e le fu giocoforza soffermarsi a considerar lapropria situazione. Che fosse precaria, e imbarazzanteall’estremo, è cosa che salterà subito agli occhi di ognilettore che ne abbia seguito con simpatia le avventure.Giovane, nobile, bella, ella si era destata per trovarsi inuna posizione quale non se ne può immaginare di piùdelicate per una giovane signora di qualità. Nonl’avremmo certo biasimata, se si fosse attaccata al cam-panello, se avesse gridato, se fosse caduta in deliquio.Ma Orlando non diede già in simili escandescenze. Intutte le sue azioni, ella mostrò una prudenza estrema, laquale avrebbe potuto esser quasi indizio di premedita-zione. Per prima cosa esaminò con cura le carte sulloscrittoio; ne scelse alcune che parevano contener deiversi, e se le ripose in seno; chiamò quindi il suo slou-ghi11 il quale, benché quasi morto di fame, non s’erascostato da piè del letto durante quelle giornate, gli die-de qualcosa da mangiare, lo pettinò; si infilò quindi unpaio di pistole alla cintola; finalmente, si passò al collo

11 Razza di levrieri arabi. (N.d.T.)

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alcuni fili di smeraldi, e di perle del più bell’oriente, cheavevano fatto parte del suo guardaroba d’ambasciatore.Disbrigate queste cose, si affacciò alla finestra, emise unsol fischio sommesso, scese per la scala tutta fracassatae macchiata di sangue e sparsa ora dei frammenti di car-ta del cestino, di trattati, dispacci, sigilli, ceralacche,ecc.; e si trovò nel cortile. Là, all’ombra di un fico gi-gante, un vecchio zingaro attendeva, a cavallo di un asi-no. Ne teneva per la briglia un altro, che Orlando infor-cò; e così, a cavallo di un somaro, con un cane che mo-strava le costole per scorta e uno zingaro per compagno,l’Ambasciatore di Gran Bretagna alla Corte del Sultanose ne partiva da Costantinopoli.

Cavalcarono parecchi giorni e parecchie notti, incap-pando in svariate avventure; sia si trattasse d’uomini, siafosse in gioco la natura, sempre Orlando se la cavò cononore. Al termine d’una settimana avevano raggiuntol’altipiano sopra Brussa, dove si accampava il grossodella tribù di zingari cui Orlando s’era ormai unita.Spesse volte, dal suo balcone all’Ambasciata, l’occhiole era corso a quei monti; spesso aveva desiderato di tro-varsi colà; e trovarsi là dove uno ha sempre desideratodi essere è cosa che dà non poco da pensare a uno spiri-to meditativo. Durante i primi tempi, tuttavia, Orlandoera troppo soddisfatta della nuova situazione, per gua-starla con meditazioni. La gioia di non aver documentida sigillare, firme da infiorare, né visite da restituire, eragià abbastanza grande. Gli zingari seguivano i pascoli;quando il loro bestiame non trovava più erba da brucare,

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alcuni fili di smeraldi, e di perle del più bell’oriente, cheavevano fatto parte del suo guardaroba d’ambasciatore.Disbrigate queste cose, si affacciò alla finestra, emise unsol fischio sommesso, scese per la scala tutta fracassatae macchiata di sangue e sparsa ora dei frammenti di car-ta del cestino, di trattati, dispacci, sigilli, ceralacche,ecc.; e si trovò nel cortile. Là, all’ombra di un fico gi-gante, un vecchio zingaro attendeva, a cavallo di un asi-no. Ne teneva per la briglia un altro, che Orlando infor-cò; e così, a cavallo di un somaro, con un cane che mo-strava le costole per scorta e uno zingaro per compagno,l’Ambasciatore di Gran Bretagna alla Corte del Sultanose ne partiva da Costantinopoli.

Cavalcarono parecchi giorni e parecchie notti, incap-pando in svariate avventure; sia si trattasse d’uomini, siafosse in gioco la natura, sempre Orlando se la cavò cononore. Al termine d’una settimana avevano raggiuntol’altipiano sopra Brussa, dove si accampava il grossodella tribù di zingari cui Orlando s’era ormai unita.Spesse volte, dal suo balcone all’Ambasciata, l’occhiole era corso a quei monti; spesso aveva desiderato di tro-varsi colà; e trovarsi là dove uno ha sempre desideratodi essere è cosa che dà non poco da pensare a uno spiri-to meditativo. Durante i primi tempi, tuttavia, Orlandoera troppo soddisfatta della nuova situazione, per gua-starla con meditazioni. La gioia di non aver documentida sigillare, firme da infiorare, né visite da restituire, eragià abbastanza grande. Gli zingari seguivano i pascoli;quando il loro bestiame non trovava più erba da brucare,

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levavano le tende. Orlando si lavava – quando si lavava– ai ruscelli; nessun cofano, né rosso né tampoco turchi-no o verde, le veniva mai presentato; non c’era, in tuttol’accampamento, una sola chiave, figuriamoci poi unachiave d’oro; quanto alla parola “visita”, non la si cono-sceva. Orlando mungeva le capre; andava a far legna neiboschi; rubava or qua or là un uovo in un pollaio, manon mai senza lasciarvi in cambio una moneta o unaperla; custodiva il bestiame al pascolo; spigolava per levigne; pigiava l’uva; riempiva l’otre di pelle caprina, eda esso beveva; e se rammentava come, a quell’ora dellagiornata, avrebbe dovuto trovarsi a far mostra di bere ofumare dinanzi a una tazza vuota o a una pipa senza ta-bacco, rideva forte, si tagliava un altro cantuccio di panee chiedeva una boccata di pipa al vecchio Rustum, contutto che era riempita di sterco di vacca.

Gli zingari, coi quali evidentemente ella aveva comu-nicato in segreto prima della rivoluzione, sembravanoconsiderarla una dei loro (è sempre il più grande omag-gio che un popolo possa rendere); e i suoi capelli neri, lasua carnagione bruna portavano veramente a credere cheella fosse nata zingara, rapita da un duca inglese da unqualche albero d’avellana quando era ancora bambina, econdotta in quel barbaro paese dove la gente vive nellecase, perché è troppo fiacca e cagionevole di salute persopportar l’aria libera. Così, benché per molti versi ellafosse inferiore a loro, gli zingari si mostrarono pieni dibuona volontà nell’aiutarla a diventar come loro; le in-segnarono le loro arti – fare il formaggio e intrecciar pa-

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levavano le tende. Orlando si lavava – quando si lavava– ai ruscelli; nessun cofano, né rosso né tampoco turchi-no o verde, le veniva mai presentato; non c’era, in tuttol’accampamento, una sola chiave, figuriamoci poi unachiave d’oro; quanto alla parola “visita”, non la si cono-sceva. Orlando mungeva le capre; andava a far legna neiboschi; rubava or qua or là un uovo in un pollaio, manon mai senza lasciarvi in cambio una moneta o unaperla; custodiva il bestiame al pascolo; spigolava per levigne; pigiava l’uva; riempiva l’otre di pelle caprina, eda esso beveva; e se rammentava come, a quell’ora dellagiornata, avrebbe dovuto trovarsi a far mostra di bere ofumare dinanzi a una tazza vuota o a una pipa senza ta-bacco, rideva forte, si tagliava un altro cantuccio di panee chiedeva una boccata di pipa al vecchio Rustum, contutto che era riempita di sterco di vacca.

Gli zingari, coi quali evidentemente ella aveva comu-nicato in segreto prima della rivoluzione, sembravanoconsiderarla una dei loro (è sempre il più grande omag-gio che un popolo possa rendere); e i suoi capelli neri, lasua carnagione bruna portavano veramente a credere cheella fosse nata zingara, rapita da un duca inglese da unqualche albero d’avellana quando era ancora bambina, econdotta in quel barbaro paese dove la gente vive nellecase, perché è troppo fiacca e cagionevole di salute persopportar l’aria libera. Così, benché per molti versi ellafosse inferiore a loro, gli zingari si mostrarono pieni dibuona volontà nell’aiutarla a diventar come loro; le in-segnarono le loro arti – fare il formaggio e intrecciar pa-

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nieri – le loro scienze – rubare e uccellare – e si prepara-vano financo a permettere che ella si accasasse tra diloro.

Ma Orlando aveva contratto in Inghilterra alcune diquelle abitudini o malattie (secondo come preferiretechiamarle) che sembrano quasi impossibili a debellarsi.Una sera, mentre tutti erano seduti intorno al fuocodell’accampamento, e il sole dardeggiava i suoi ultimiraggi sulle colline di Tessalia, Orlando esclamò:

«Com’è saporito!»(Gli zingari non hanno nessuna parola per “bello”;

questa è l’espressione più affine.)Tutti i giovani, uomini e donne, scoppiarono in una

fragorosa risata. Il cielo saporito, affé! Gli anziani tutta-via, che avevano conosciuto più forestieri, si misero insospetto. Troppo spesso, osservarono, Orlando passavaore intere seduta con le mani in mano, a guardarsi attor-no; e l’avevano già sorpresa in cima a una collina, losguardo sperduto avanti a sé, senza curarsi se le pecorepascolassero o si smarrissero. Nacque in loro il sospettoche ella adorasse divinità diverse dalle loro, e gli anzia-ni, uomini e donne, stimarono ch’ella fosse caduta inpreda agli artigli del più fellone e crudele fra tutti gliDei, cioè la Natura. Né erano lontani dal vero. Quelmale tutto inglese, l’amor della Natura, era innato, sipuò dire, in Orlando, e qui, dove la Natura era tanto piùvasta e possente che in Inghilterra, ella pativa di quelmale come non mai. È una malattia troppo nota, e trop-pe volte, ahimè, è stata descritta per tentarne un nuovo

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nieri – le loro scienze – rubare e uccellare – e si prepara-vano financo a permettere che ella si accasasse tra diloro.

Ma Orlando aveva contratto in Inghilterra alcune diquelle abitudini o malattie (secondo come preferiretechiamarle) che sembrano quasi impossibili a debellarsi.Una sera, mentre tutti erano seduti intorno al fuocodell’accampamento, e il sole dardeggiava i suoi ultimiraggi sulle colline di Tessalia, Orlando esclamò:

«Com’è saporito!»(Gli zingari non hanno nessuna parola per “bello”;

questa è l’espressione più affine.)Tutti i giovani, uomini e donne, scoppiarono in una

fragorosa risata. Il cielo saporito, affé! Gli anziani tutta-via, che avevano conosciuto più forestieri, si misero insospetto. Troppo spesso, osservarono, Orlando passavaore intere seduta con le mani in mano, a guardarsi attor-no; e l’avevano già sorpresa in cima a una collina, losguardo sperduto avanti a sé, senza curarsi se le pecorepascolassero o si smarrissero. Nacque in loro il sospettoche ella adorasse divinità diverse dalle loro, e gli anzia-ni, uomini e donne, stimarono ch’ella fosse caduta inpreda agli artigli del più fellone e crudele fra tutti gliDei, cioè la Natura. Né erano lontani dal vero. Quelmale tutto inglese, l’amor della Natura, era innato, sipuò dire, in Orlando, e qui, dove la Natura era tanto piùvasta e possente che in Inghilterra, ella pativa di quelmale come non mai. È una malattia troppo nota, e trop-pe volte, ahimè, è stata descritta per tentarne un nuovo

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esame che non sia assai breve. C’erano, in quel paesag-gio, delle montagne, delle valli, dei corsi d’acqua. Or-lando saliva in cima alle montagne; errava per le valli;sedeva sulle sponde dei ruscelli. Paragonava le colline abastioni, a petto di colomba, a fianco di giovenca. Para-gonava i fiori a niello, l’erba a un tappeto turco rado pergli anni. Gli alberi erano megere raggrinzite, le pecoremassi di roccia grigia. Ogni cosa, insomma, ne celavaun’altra. Orlando scopriva il lago al sommo della mon-tagna, e per poco non vi cascava dentro, alla ricerca del-la saggezza che vi credeva sommersa; e quando dal cul-mine più alto il suo occhio vagava lontano, oltre il Mardi Marmara, oltre le pianure della Grecia, e i suoi occhi(li aveva acutissimi) scoprivano l’Acropoli con una odue screziature di bianco che, per certo, dovevano esse-re il Partenone, allora l’anima sua si dilatava con la pu-pilla, ed ella implorava di fondersi con la maestà dellecolline, di conoscere la serenità delle piane, ecc. ecc.,come tutti i fedeli di quel culto. Poi, se guardava ai suoipiedi, il giacinto rosso e l’ireos purpureo le strappavanolacrime, sì che ella cadeva in estasi di fronte alla bontà,alla bellezza della Natura; e tornando ad alzar gli sguar-di, vedeva l’aquila librarsi a volo, e, immaginandone leebbrezze, a sua volta se ne investiva. Sulla via del ritor-no, salutava ogni stella, ogni picco, ogni fuocodell’accampamento, come se parlassero a lei sola; e an-cora, quando sotto la tenda dello zingaro si gettava sullastuoia, non poteva fare a meno di esclamare: «Com’èsaporito! Com’è saporito!» (È un fatto ben curioso che

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esame che non sia assai breve. C’erano, in quel paesag-gio, delle montagne, delle valli, dei corsi d’acqua. Or-lando saliva in cima alle montagne; errava per le valli;sedeva sulle sponde dei ruscelli. Paragonava le colline abastioni, a petto di colomba, a fianco di giovenca. Para-gonava i fiori a niello, l’erba a un tappeto turco rado pergli anni. Gli alberi erano megere raggrinzite, le pecoremassi di roccia grigia. Ogni cosa, insomma, ne celavaun’altra. Orlando scopriva il lago al sommo della mon-tagna, e per poco non vi cascava dentro, alla ricerca del-la saggezza che vi credeva sommersa; e quando dal cul-mine più alto il suo occhio vagava lontano, oltre il Mardi Marmara, oltre le pianure della Grecia, e i suoi occhi(li aveva acutissimi) scoprivano l’Acropoli con una odue screziature di bianco che, per certo, dovevano esse-re il Partenone, allora l’anima sua si dilatava con la pu-pilla, ed ella implorava di fondersi con la maestà dellecolline, di conoscere la serenità delle piane, ecc. ecc.,come tutti i fedeli di quel culto. Poi, se guardava ai suoipiedi, il giacinto rosso e l’ireos purpureo le strappavanolacrime, sì che ella cadeva in estasi di fronte alla bontà,alla bellezza della Natura; e tornando ad alzar gli sguar-di, vedeva l’aquila librarsi a volo, e, immaginandone leebbrezze, a sua volta se ne investiva. Sulla via del ritor-no, salutava ogni stella, ogni picco, ogni fuocodell’accampamento, come se parlassero a lei sola; e an-cora, quando sotto la tenda dello zingaro si gettava sullastuoia, non poteva fare a meno di esclamare: «Com’èsaporito! Com’è saporito!» (È un fatto ben curioso che

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gli uomini, benché abbiano dei mezzi d’espressione cosìimperfetti, da non saper dire altro che “saporito” quandovogliono dire “bello” e viceversa, preferiscano esporsial ridicolo e all’incomprensione piuttosto che tener leproprie impressioni per sé.) Tutti gli zingari più giovaniridevano. Ma Rustum el Sadi, il vegliardo che avevaguidato Orlando fuori di Costantinopoli, serbava il si-lenzio. Aveva il naso come una scimitarra, e le sueguance sembravano martoriate da anni di grandine diferro; era bruno in viso, con lo sguardo aguzzo, e, men-tre sedeva, tirava boccate dalla sua houka, e non cessavadi osservare Orlando. Egli sospettava fortemente cheella adorasse la Natura. Un giorno la trovò in lacrime.Interpretandole come una punizione che il Dio avesseinflitto a Orlando, le disse che non era affatto sorpreso.Le mostrò le dita della sua mano destra, disseccate dalgelo; le mostrò il piede destro, schiacciato da un massorotolato dall’alto. Ecco, le disse, ciò che quel suo Dioinfliggeva agli uomini. Allorché Orlando, servendosidella parola inglese, replicò «così bello però», il vecchioscrollò il capo; e quando ella ripeté la parola, si adirò.Vedeva che lui e Orlando non credevano nelle medesi-me cose, e, per quanto saggio e antico fosse, non ci vo-leva altro per farlo andare in bestia.

Tale differenza d’opinioni disturbò Orlando, la qualefino ad allora era stata compiutamente felice. La Naturaera bella o crudele? cominciò a riflettere; quindi, si do-mandò in che cosa consistesse questa bellezza; se esi-stesse nelle cose in sé, o soltanto nell’animo umano; e

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gli uomini, benché abbiano dei mezzi d’espressione cosìimperfetti, da non saper dire altro che “saporito” quandovogliono dire “bello” e viceversa, preferiscano esporsial ridicolo e all’incomprensione piuttosto che tener leproprie impressioni per sé.) Tutti gli zingari più giovaniridevano. Ma Rustum el Sadi, il vegliardo che avevaguidato Orlando fuori di Costantinopoli, serbava il si-lenzio. Aveva il naso come una scimitarra, e le sueguance sembravano martoriate da anni di grandine diferro; era bruno in viso, con lo sguardo aguzzo, e, men-tre sedeva, tirava boccate dalla sua houka, e non cessavadi osservare Orlando. Egli sospettava fortemente cheella adorasse la Natura. Un giorno la trovò in lacrime.Interpretandole come una punizione che il Dio avesseinflitto a Orlando, le disse che non era affatto sorpreso.Le mostrò le dita della sua mano destra, disseccate dalgelo; le mostrò il piede destro, schiacciato da un massorotolato dall’alto. Ecco, le disse, ciò che quel suo Dioinfliggeva agli uomini. Allorché Orlando, servendosidella parola inglese, replicò «così bello però», il vecchioscrollò il capo; e quando ella ripeté la parola, si adirò.Vedeva che lui e Orlando non credevano nelle medesi-me cose, e, per quanto saggio e antico fosse, non ci vo-leva altro per farlo andare in bestia.

Tale differenza d’opinioni disturbò Orlando, la qualefino ad allora era stata compiutamente felice. La Naturaera bella o crudele? cominciò a riflettere; quindi, si do-mandò in che cosa consistesse questa bellezza; se esi-stesse nelle cose in sé, o soltanto nell’animo umano; e

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così avanti, fino alla natura della realtà, la quale la con-dusse verso la Verità, la quale a sua volta (come già inquei giorni sotto la quercia, nella terra natia) la spinseverso l’Amore, l’Amicizia, la Poesia; e quelle medita-zioni, siccome non poteva comunicarle a nessuno, fini-rono per farle sospirare, come mai aveva sospirato, unapenna e un calamaio.

«Ah! Potessi soltanto scrivere!» esclamò (poiché nu-triva il pregiudizio della gente che scrive, che un pensie-ro, quando è scritto, si comunichi agli altri). Orlandonon disponeva d’inchiostro, e di pochissima carta sola-mente. Fabbricò dell’inchiostro con delle more e delvino; e utilizzando alcuni spazi vuoti nel manoscrittodella “Quercia”, inventando persino una specie di steno-grafia, poté descrivere il paesaggio amato in un lungocarme in versi sciolti, e portare a termine un dialogo conse stessa sulla Bellezza e la Verità, in uno stile abbastan-za conciso. Quell’occupazione le procurò ore di una fe-licità sconfinata. Ma gli zingari s’insospettivano più chemai. Prima di tutto, si accorsero che Orlando era assaimeno diligente nel munger le capre e fare i formaggi;poi, che spesso esitava a lungo prima di rispondere; einfine, un giorno, un ragazzo che dormiva si destò inpreda al terrore, dicendo d’aver sentito gli occhi di Or-lando fissi su di sé. Talora l’intera tribù, che contava pa-recchie dozzine di adulti, tra uomini e donne, era invasada quel malessere. Esso nasceva dal senso (e i loro sensierano molto affinati e assai più progrediti del loro voca-bolario) che qualsiasi cosa intraprendessero si riduceva

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così avanti, fino alla natura della realtà, la quale la con-dusse verso la Verità, la quale a sua volta (come già inquei giorni sotto la quercia, nella terra natia) la spinseverso l’Amore, l’Amicizia, la Poesia; e quelle medita-zioni, siccome non poteva comunicarle a nessuno, fini-rono per farle sospirare, come mai aveva sospirato, unapenna e un calamaio.

«Ah! Potessi soltanto scrivere!» esclamò (poiché nu-triva il pregiudizio della gente che scrive, che un pensie-ro, quando è scritto, si comunichi agli altri). Orlandonon disponeva d’inchiostro, e di pochissima carta sola-mente. Fabbricò dell’inchiostro con delle more e delvino; e utilizzando alcuni spazi vuoti nel manoscrittodella “Quercia”, inventando persino una specie di steno-grafia, poté descrivere il paesaggio amato in un lungocarme in versi sciolti, e portare a termine un dialogo conse stessa sulla Bellezza e la Verità, in uno stile abbastan-za conciso. Quell’occupazione le procurò ore di una fe-licità sconfinata. Ma gli zingari s’insospettivano più chemai. Prima di tutto, si accorsero che Orlando era assaimeno diligente nel munger le capre e fare i formaggi;poi, che spesso esitava a lungo prima di rispondere; einfine, un giorno, un ragazzo che dormiva si destò inpreda al terrore, dicendo d’aver sentito gli occhi di Or-lando fissi su di sé. Talora l’intera tribù, che contava pa-recchie dozzine di adulti, tra uomini e donne, era invasada quel malessere. Esso nasceva dal senso (e i loro sensierano molto affinati e assai più progrediti del loro voca-bolario) che qualsiasi cosa intraprendessero si riduceva

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in cenere fra le loro mani. Una vecchia intrecciava uncesto, un ragazzo scorticava una pecora, e tutti e due la-voravano contenti, accompagnandosi con una canzone ocon una nenia; ed ecco che Orlando entrava nell’accam-pamento, si gettava a terra accanto al fuoco e guardavafisso entro le fiamme. Non aveva neppur bisogno diguardar dalla loro parte; essi lo sentivano: là c’è qualcu-no che dubita (cerchiamo d’interpretare alla meglio ildialetto zingaro); là c’è qualcuno che non fa le cose peramor delle cose in sé; che non guarda per guardare;qualcuno che non crede alle pelli d’agnello né alle ceste;ma vede (e qui i loro sguardi si aggiravano apprensiviattorno alla tenda), vede qualche cos’altro. Allora,un’impressione vaga ma oltremodo sgradevole invadevaa poco a poco il ragazzo e la vecchia. Un’ira sorda siimpadroniva di loro. Si auguravano che Orlando uscissedalla tenda, e non venisse loro tra i piedi mai più. Pure,era d’indole allegra, aveva buon cuore, ammettevano; euna sola delle sue perle valeva il più bel gregge di capredi Brussa.

Lentamente Orlando incominciò a rendersi conto chetra lei e gli zingari qualcosa si frapponeva, che qualchevolta la rendeva titubante di fronte alla prospettiva di unmatrimonio, e ad una sistemazione definitiva nella tribù.Dapprima volle spiegarselo dicendosi che ella provenivada una razza antica e civilizzata, mentre gli zingari era-no gente rozza, poco più che selvaggi. Una sera, la fece-ro parlare sull’Inghilterra, ed ella, invasa da un certo or-goglio, non seppe fare a meno di descriver loro la casa

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in cenere fra le loro mani. Una vecchia intrecciava uncesto, un ragazzo scorticava una pecora, e tutti e due la-voravano contenti, accompagnandosi con una canzone ocon una nenia; ed ecco che Orlando entrava nell’accam-pamento, si gettava a terra accanto al fuoco e guardavafisso entro le fiamme. Non aveva neppur bisogno diguardar dalla loro parte; essi lo sentivano: là c’è qualcu-no che dubita (cerchiamo d’interpretare alla meglio ildialetto zingaro); là c’è qualcuno che non fa le cose peramor delle cose in sé; che non guarda per guardare;qualcuno che non crede alle pelli d’agnello né alle ceste;ma vede (e qui i loro sguardi si aggiravano apprensiviattorno alla tenda), vede qualche cos’altro. Allora,un’impressione vaga ma oltremodo sgradevole invadevaa poco a poco il ragazzo e la vecchia. Un’ira sorda siimpadroniva di loro. Si auguravano che Orlando uscissedalla tenda, e non venisse loro tra i piedi mai più. Pure,era d’indole allegra, aveva buon cuore, ammettevano; euna sola delle sue perle valeva il più bel gregge di capredi Brussa.

Lentamente Orlando incominciò a rendersi conto chetra lei e gli zingari qualcosa si frapponeva, che qualchevolta la rendeva titubante di fronte alla prospettiva di unmatrimonio, e ad una sistemazione definitiva nella tribù.Dapprima volle spiegarselo dicendosi che ella provenivada una razza antica e civilizzata, mentre gli zingari era-no gente rozza, poco più che selvaggi. Una sera, la fece-ro parlare sull’Inghilterra, ed ella, invasa da un certo or-goglio, non seppe fare a meno di descriver loro la casa

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dove era nata, la quale contava 365 stanze da letto, e ap-parteneva alla sua famiglia da quattro o cinquecentoanni. I suoi antenati, aggiunse, erano conti, anzi, duchi.A queste parole, le parve che gli zingari diventassero dinuovo inquieti; ma non irritati come prima, quand’ellaaveva lodato le bellezze della Natura. Ora, essi affetta-vano una cortesia un po’ sostenuta, come di gente d’altanascita dinanzi a un forestiero, il quale sia stato costrettoa rivelar le sue basse origini o la sua indigenza. Rustumseguì solo Orlando fuori della tenda, e le disse che nondoveva crucciarsi se suo padre era un duca, e padrone ditutte quelle stanze e di tutti quei mobili di cui ella avevaparlato. Non per questo l’avrebbero tenuta in minor con-to. Allora, una vergogna non mai provata prima di allorainvase l’animo di Orlando. Agli occhi di Rustum e deglialtri zingari, una discendenza di quattro o cinque secolisoltanto appariva una quisquilia. Le loro famiglie risali-vano a due o tremila anni almeno. Per gli zingari, i cuiantenati avevano innalzato le Piramidi, avanti la nascitadi Cristo, le dinastie degli Howard e dei Plantageneticontavano tanto quanto quelle degli Smith e dei Jones:tutte quante erano ugualmente insignificanti. Di più: fragente in mezzo a cui il pastorello poteva vantare un li-gnaggio di tanta antichità, qualche secolo più o meno dinobiltà non appariva cosa specialmente memorabile nédesiderabile, quando il primo vagabondo o mendicantepoteva ugualmente vantarsene. E poi – Rustum era trop-po cortese per parlarne apertamente – era chiaro che peruno zingaro non c’era ambizione più volgare di quella

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dove era nata, la quale contava 365 stanze da letto, e ap-parteneva alla sua famiglia da quattro o cinquecentoanni. I suoi antenati, aggiunse, erano conti, anzi, duchi.A queste parole, le parve che gli zingari diventassero dinuovo inquieti; ma non irritati come prima, quand’ellaaveva lodato le bellezze della Natura. Ora, essi affetta-vano una cortesia un po’ sostenuta, come di gente d’altanascita dinanzi a un forestiero, il quale sia stato costrettoa rivelar le sue basse origini o la sua indigenza. Rustumseguì solo Orlando fuori della tenda, e le disse che nondoveva crucciarsi se suo padre era un duca, e padrone ditutte quelle stanze e di tutti quei mobili di cui ella avevaparlato. Non per questo l’avrebbero tenuta in minor con-to. Allora, una vergogna non mai provata prima di allorainvase l’animo di Orlando. Agli occhi di Rustum e deglialtri zingari, una discendenza di quattro o cinque secolisoltanto appariva una quisquilia. Le loro famiglie risali-vano a due o tremila anni almeno. Per gli zingari, i cuiantenati avevano innalzato le Piramidi, avanti la nascitadi Cristo, le dinastie degli Howard e dei Plantageneticontavano tanto quanto quelle degli Smith e dei Jones:tutte quante erano ugualmente insignificanti. Di più: fragente in mezzo a cui il pastorello poteva vantare un li-gnaggio di tanta antichità, qualche secolo più o meno dinobiltà non appariva cosa specialmente memorabile nédesiderabile, quando il primo vagabondo o mendicantepoteva ugualmente vantarsene. E poi – Rustum era trop-po cortese per parlarne apertamente – era chiaro che peruno zingaro non c’era ambizione più volgare di quella

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di posseder delle stanze a centinaia (discorrendo eranogiunti al sommo di una collina; era notte; i montis’innalzavano loro d’attorno), quando la terra intera ènostra. Orlando capì che, dal punto di vista d’uno zinga-ro, un duca non era altro che un profittatore o un brigan-te, il quale strappava a forza la terra e il denaro a chiqueste cose teneva in poco conto; e non sapeva immagi-nar nulla di più spassoso che costruire trecento e sessan-tacinque stanze, quando una ne bastava, anzi, qualchevolta era anche di troppo. Orlando non poteva negareche i suoi antenati avessero accumulato la loro fortunaun pezzo di terra dopo l’altro; una casa dopo l’altra; unprivilegio dopo l’altro; ma con ciò, non c’era tra di essiné un santo né un eroe, né un gran benefattore dell’uma-nità. Inoltre, era cosa che saltava agli occhi (Rustum,ancora una volta, era troppo signore per far valerequell’argomento, ma Orlando capì) che un uomo il qua-le avesse agito al giorno d’oggi come i suoi antenati ditre o quattrocento anni prima sarebbe stato tacciato – epiù di tutti dalla sua stessa famiglia – di villan rifatto, diavventuriero e di nouveau riche.

A quegli argomenti, Orlando tentò di replicare col si-stema comune, se pur tortuoso, di trovar la vita zingare-sca in se stessa piuttosto rude e barbarica; sicché in bre-ve tempo gli animi si riscaldarono. Simili divergenzed’opinioni, in verità, sono bastate spesso a sparger fiumidi sangue, a provocar rivoluzioni. Città sono state postea sacco per meno ancora, e milioni di martiri hanno pre-ferito ascendere il rogo piuttosto che ceder d’un pollice

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di posseder delle stanze a centinaia (discorrendo eranogiunti al sommo di una collina; era notte; i montis’innalzavano loro d’attorno), quando la terra intera ènostra. Orlando capì che, dal punto di vista d’uno zinga-ro, un duca non era altro che un profittatore o un brigan-te, il quale strappava a forza la terra e il denaro a chiqueste cose teneva in poco conto; e non sapeva immagi-nar nulla di più spassoso che costruire trecento e sessan-tacinque stanze, quando una ne bastava, anzi, qualchevolta era anche di troppo. Orlando non poteva negareche i suoi antenati avessero accumulato la loro fortunaun pezzo di terra dopo l’altro; una casa dopo l’altra; unprivilegio dopo l’altro; ma con ciò, non c’era tra di essiné un santo né un eroe, né un gran benefattore dell’uma-nità. Inoltre, era cosa che saltava agli occhi (Rustum,ancora una volta, era troppo signore per far valerequell’argomento, ma Orlando capì) che un uomo il qua-le avesse agito al giorno d’oggi come i suoi antenati ditre o quattrocento anni prima sarebbe stato tacciato – epiù di tutti dalla sua stessa famiglia – di villan rifatto, diavventuriero e di nouveau riche.

A quegli argomenti, Orlando tentò di replicare col si-stema comune, se pur tortuoso, di trovar la vita zingare-sca in se stessa piuttosto rude e barbarica; sicché in bre-ve tempo gli animi si riscaldarono. Simili divergenzed’opinioni, in verità, sono bastate spesso a sparger fiumidi sangue, a provocar rivoluzioni. Città sono state postea sacco per meno ancora, e milioni di martiri hanno pre-ferito ascendere il rogo piuttosto che ceder d’un pollice

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sul terreno in discussione. Nessuna passione cova piùforte in petto all’uomo, del desiderio di far pensare glialtri a modo proprio. Nulla offusca tanto il cielo dellasua felicità, nulla lo riempie tanto di furore, quanto il sa-pere che un altro tiene a vili cose di cui egli fa gran con-to. Whigs e Tories, liberali e laburisti, per che cosa lotta-no essi, se non per il loro prestigio? Non amor di verità,ma sete di dominio scaglia fazione contro fazione, e fadesiderare a una parrocchia la rovina di un’altra parroc-chia. Ognuno pensa a serbar la pancia per i fichi e ad as-servirsi l’avversario, piuttosto che al trionfo della veritàe all’esaltazione della virtù; ma simili moralità appar-tengono allo storico. E a lui le lasceremo, essendo essegrigie come un’acqua di fosso.

«Quattrocentosettantasei stanze da letto non significa-no nulla per loro» sospirava Orlando.

«Essa preferisce un tramonto a un branco di capre»dicevano gli zingari.

Che fare? pensava intanto Orlando. Abbandonare glizingari e ridiventare ambasciatore le pareva un’idea in-tollerabile. Ma ugualmente fastidioso le era rimanere ol-tre in un luogo dove non c’era né carta da scrivere, nérispetto per la genealogia dei Talbot, né considerazioneper un cospicuo numero di stanze. Così ella pensava,mentre, un bel mattino, pascolava le sue capre sui pendiidel Monte Athos. A questo punto la Natura, in cui ellaaveva sì gran fede, le giocò un tiro, oppure operò un mi-racolo: ancora una volta i pareri sono troppo discordiperché sia possibile asserire quale dei due casi occorres-

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sul terreno in discussione. Nessuna passione cova piùforte in petto all’uomo, del desiderio di far pensare glialtri a modo proprio. Nulla offusca tanto il cielo dellasua felicità, nulla lo riempie tanto di furore, quanto il sa-pere che un altro tiene a vili cose di cui egli fa gran con-to. Whigs e Tories, liberali e laburisti, per che cosa lotta-no essi, se non per il loro prestigio? Non amor di verità,ma sete di dominio scaglia fazione contro fazione, e fadesiderare a una parrocchia la rovina di un’altra parroc-chia. Ognuno pensa a serbar la pancia per i fichi e ad as-servirsi l’avversario, piuttosto che al trionfo della veritàe all’esaltazione della virtù; ma simili moralità appar-tengono allo storico. E a lui le lasceremo, essendo essegrigie come un’acqua di fosso.

«Quattrocentosettantasei stanze da letto non significa-no nulla per loro» sospirava Orlando.

«Essa preferisce un tramonto a un branco di capre»dicevano gli zingari.

Che fare? pensava intanto Orlando. Abbandonare glizingari e ridiventare ambasciatore le pareva un’idea in-tollerabile. Ma ugualmente fastidioso le era rimanere ol-tre in un luogo dove non c’era né carta da scrivere, nérispetto per la genealogia dei Talbot, né considerazioneper un cospicuo numero di stanze. Così ella pensava,mentre, un bel mattino, pascolava le sue capre sui pendiidel Monte Athos. A questo punto la Natura, in cui ellaaveva sì gran fede, le giocò un tiro, oppure operò un mi-racolo: ancora una volta i pareri sono troppo discordiperché sia possibile asserire quale dei due casi occorres-

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se. Gli sguardi di Orlando si affissavano alquanto scon-solati sul fianco scosceso dell’altura che aveva di fronte.L’estate era nel suo pieno, e, se dovessimo scegliere unparagone per quel paesaggio, la mente correrebbe a unosso spolpato; a uno scheletro di montone; a un gigante-sco cranio sbiancato e scarnificato da mille avvoltoi. Ilcaldo era intenso, e il basso albero di fico sotto il quales’era coricata Orlando a malapena serviva a variegared’un motivo di foglie il suo leggero burnus.

All’improvviso un’ombra, quantunque nulla vi fosseche potesse proiettare un’ombra, si disegnò sulla brullaroccia della montagna di fronte. Rapidamente s’infittì, etosto un recesso verdeggiante apparve là dove primanon c’erano che aridi sassi. Sotto gli occhi di Orlando ilrecesso si allargò, ingrandì, e una vasta zona, che aveval’apparenza di un parco, si aprì nel fianco del monte. Inquel parco, Orlando scorse prati folti e ondulati; videquerce sparse qua e là; e tordi che saltellavano di ramoin ramo. Vedeva il daino avanzar cauto di ombra in om-bra; e persino le giungeva alle orecchie il ronzio degliinsetti, i soavi sospiri, i fremiti d’un giorno d’estate inInghilterra. Da poco appena contemplava rapita quelquadro, allorché la neve si mise a cadere; e tosto la lucedorata del sole fece luogo a un’ombra violacea. Orlandovedeva carri avanzar pesanti sulle strade, carichi di tron-chi i quali, ben lo sapeva, verrebbero segati in tanti beipezzi per nutrire il fuoco; e infine, le apparvero i tetti ele guglie e le torri e i cortili della sua casa. Ora nevicavafitto, e Orlando udiva distintamente il rumor lieve, il

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se. Gli sguardi di Orlando si affissavano alquanto scon-solati sul fianco scosceso dell’altura che aveva di fronte.L’estate era nel suo pieno, e, se dovessimo scegliere unparagone per quel paesaggio, la mente correrebbe a unosso spolpato; a uno scheletro di montone; a un gigante-sco cranio sbiancato e scarnificato da mille avvoltoi. Ilcaldo era intenso, e il basso albero di fico sotto il quales’era coricata Orlando a malapena serviva a variegared’un motivo di foglie il suo leggero burnus.

All’improvviso un’ombra, quantunque nulla vi fosseche potesse proiettare un’ombra, si disegnò sulla brullaroccia della montagna di fronte. Rapidamente s’infittì, etosto un recesso verdeggiante apparve là dove primanon c’erano che aridi sassi. Sotto gli occhi di Orlando ilrecesso si allargò, ingrandì, e una vasta zona, che aveval’apparenza di un parco, si aprì nel fianco del monte. Inquel parco, Orlando scorse prati folti e ondulati; videquerce sparse qua e là; e tordi che saltellavano di ramoin ramo. Vedeva il daino avanzar cauto di ombra in om-bra; e persino le giungeva alle orecchie il ronzio degliinsetti, i soavi sospiri, i fremiti d’un giorno d’estate inInghilterra. Da poco appena contemplava rapita quelquadro, allorché la neve si mise a cadere; e tosto la lucedorata del sole fece luogo a un’ombra violacea. Orlandovedeva carri avanzar pesanti sulle strade, carichi di tron-chi i quali, ben lo sapeva, verrebbero segati in tanti beipezzi per nutrire il fuoco; e infine, le apparvero i tetti ele guglie e le torri e i cortili della sua casa. Ora nevicavafitto, e Orlando udiva distintamente il rumor lieve, il

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flop-flop che facevano i fiocchi, scivolando lungo il tet-to e cadendo al suolo. Da mille camini il fumo saliva alcielo. Tutto era sì chiaro, sì distinto, che Orlando discer-neva financo una cornacchia che beccava la neve in cer-ca di vermi. Poi, gradatamente, le ombre violacees’infossarono, si racchiusero sui carri e sui prati e sullagran casa, tutto ingoiando. Il recesso erboso era scom-parso, e al posto dei prati verdi non c’era più che l’acce-cante parete del monte che migliaia di avvoltoi sembra-vano aver denudato. A quella vista Orlando scoppiò insinghiozzi, e, tornando in fretta all’accampamento, an-nunciò agli zingari che l’indomani stesso si sarebbe do-vuta imbarcare per l’Inghilterra.

Fu una ventura per lei. Già i giovani della tribù ave-vano complottato la sua morte. L’onore lo esigeva, dice-vano essi, poiché ella non la pensava come loro. Tutta-via, sarebbero stati ben spiacenti di tagliarle la gola; ac-coglievano quindi con gioia la notizia della sua parten-za. Fortuna volle che un veliero mercantile avesse giàspiegate le vele nel porto, pronto a partire per l’Inghil-terra; e Orlando, staccata un’altra perla dalla sua colla-na, non solo pagò per la traversata, ma ricevette ancoraqualche banconota che mise in serbo nella sua saccoc-cia. Avrebbe ben voluto regalarle agli zingari, ma sape-va quanto essi disprezzassero le ricchezze; dovette dun-que contentarsi di abbracci che, per parte sua, furonosinceri.

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flop-flop che facevano i fiocchi, scivolando lungo il tet-to e cadendo al suolo. Da mille camini il fumo saliva alcielo. Tutto era sì chiaro, sì distinto, che Orlando discer-neva financo una cornacchia che beccava la neve in cer-ca di vermi. Poi, gradatamente, le ombre violacees’infossarono, si racchiusero sui carri e sui prati e sullagran casa, tutto ingoiando. Il recesso erboso era scom-parso, e al posto dei prati verdi non c’era più che l’acce-cante parete del monte che migliaia di avvoltoi sembra-vano aver denudato. A quella vista Orlando scoppiò insinghiozzi, e, tornando in fretta all’accampamento, an-nunciò agli zingari che l’indomani stesso si sarebbe do-vuta imbarcare per l’Inghilterra.

Fu una ventura per lei. Già i giovani della tribù ave-vano complottato la sua morte. L’onore lo esigeva, dice-vano essi, poiché ella non la pensava come loro. Tutta-via, sarebbero stati ben spiacenti di tagliarle la gola; ac-coglievano quindi con gioia la notizia della sua parten-za. Fortuna volle che un veliero mercantile avesse giàspiegate le vele nel porto, pronto a partire per l’Inghil-terra; e Orlando, staccata un’altra perla dalla sua colla-na, non solo pagò per la traversata, ma ricevette ancoraqualche banconota che mise in serbo nella sua saccoc-cia. Avrebbe ben voluto regalarle agli zingari, ma sape-va quanto essi disprezzassero le ricchezze; dovette dun-que contentarsi di abbracci che, per parte sua, furonosinceri.

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IV

Spendendo qualche ghinea, di quelle ricavate dallavendita della sua decima perla, Orlando si era compera-to un corredo completo di indumenti femminili secondola moda di quel tempo; era dunque negli abiti di unagiovane inglese di rango, che ora ella sedeva sul pontedella Enamoured Lady. Benché possa parer strano, è purverità che, fino a quel momento, ella si era poco o nullapreoccupata del suo sesso. Forse, i pantaloni alla turcafino ad allora indossati erano stati la causa diquell’indifferenza; e poi le donne zingare, salvo che inuno o due importanti particolari, differiscono pochissi-mo dagli zingari maschi. In ogni modo, fu soltantoquando ella sentì l’impaccio di una gonna lungo le gam-be, e quando il capitano, con la più gran cortesia, le offrìdi far innalzare una tenda appositamente per lei sul pon-te della nave, che Orlando, tutt’a un tratto, si rese contodei privilegi e degli oneri della sua situazione. Ma lasorpresa non era del genere che si sarebbe potuto atten-dere.

Vale a dire che non era stata provocata semplicementee unicamente dal pensiero della sua castità e dalla pre-occupazione di conservarla: in circostanze normali, una

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IV

Spendendo qualche ghinea, di quelle ricavate dallavendita della sua decima perla, Orlando si era compera-to un corredo completo di indumenti femminili secondola moda di quel tempo; era dunque negli abiti di unagiovane inglese di rango, che ora ella sedeva sul pontedella Enamoured Lady. Benché possa parer strano, è purverità che, fino a quel momento, ella si era poco o nullapreoccupata del suo sesso. Forse, i pantaloni alla turcafino ad allora indossati erano stati la causa diquell’indifferenza; e poi le donne zingare, salvo che inuno o due importanti particolari, differiscono pochissi-mo dagli zingari maschi. In ogni modo, fu soltantoquando ella sentì l’impaccio di una gonna lungo le gam-be, e quando il capitano, con la più gran cortesia, le offrìdi far innalzare una tenda appositamente per lei sul pon-te della nave, che Orlando, tutt’a un tratto, si rese contodei privilegi e degli oneri della sua situazione. Ma lasorpresa non era del genere che si sarebbe potuto atten-dere.

Vale a dire che non era stata provocata semplicementee unicamente dal pensiero della sua castità e dalla pre-occupazione di conservarla: in circostanze normali, una

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amabile giovane donna sola al mondo non avrebbe pen-sato ad altro, poiché l’intero edificio della femminilità èbasato su questa pietra; la castità è il gioiello della don-na, la chiave di volta di tutto il suo essere, ella la proteg-ge a costo di qualsiasi sacrificio e muore quando le vie-ne rapita a forza. Ma se una donna è stata per circatrent’anni uomo, e per di più ha ricoperto la carica diambasciatore, se quella donna ha tenuto fra le sue brac-cia una regina e un paio di altre signore (se le voci corri-spondono alla realtà) di rango inferiore, se è andata anozze con una certa Rosina Pepita, e così via, ebbene, èchiaro che non proverà poi una così grande emozione aquel pensiero. La sorpresa provata da Orlando era di ungenere assai complicato, e impossibile a descriversi conun sol tratto di penna. Nessuno, logicamente, avrà maiaccusato Orlando di essere uno di quegli spiriti leggeriche saltano alla conclusione in un minuto. Le ci volletutto intero il viaggio per scoprire la vera ragione dellasorpresa provata; e così, noi la seguiremo passo passo.

“Gran Dio” pensò ella, quando si fu un po’ riavutadalla sorpresa, stendendosi quant’era lunga sotto la suatenda “questa, per certo, è una vita pigra e piacevole.Ma” continuò a pensare, dando un calcio all’aria “que-ste sottane intorno ai tacchi sono una vera maledizione.Pure, la stoffa (era broccatello a fiorami) è la più bellache si possa trovare al mondo. Non ho mai visto la miacarnagione (e qui si posò una mano sul ginocchio) av-vantaggiarsi tanto quanto ora. Potrei, però, saltare in ac-qua oltre la murata e nuotare, con questi abiti indosso?

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amabile giovane donna sola al mondo non avrebbe pen-sato ad altro, poiché l’intero edificio della femminilità èbasato su questa pietra; la castità è il gioiello della don-na, la chiave di volta di tutto il suo essere, ella la proteg-ge a costo di qualsiasi sacrificio e muore quando le vie-ne rapita a forza. Ma se una donna è stata per circatrent’anni uomo, e per di più ha ricoperto la carica diambasciatore, se quella donna ha tenuto fra le sue brac-cia una regina e un paio di altre signore (se le voci corri-spondono alla realtà) di rango inferiore, se è andata anozze con una certa Rosina Pepita, e così via, ebbene, èchiaro che non proverà poi una così grande emozione aquel pensiero. La sorpresa provata da Orlando era di ungenere assai complicato, e impossibile a descriversi conun sol tratto di penna. Nessuno, logicamente, avrà maiaccusato Orlando di essere uno di quegli spiriti leggeriche saltano alla conclusione in un minuto. Le ci volletutto intero il viaggio per scoprire la vera ragione dellasorpresa provata; e così, noi la seguiremo passo passo.

“Gran Dio” pensò ella, quando si fu un po’ riavutadalla sorpresa, stendendosi quant’era lunga sotto la suatenda “questa, per certo, è una vita pigra e piacevole.Ma” continuò a pensare, dando un calcio all’aria “que-ste sottane intorno ai tacchi sono una vera maledizione.Pure, la stoffa (era broccatello a fiorami) è la più bellache si possa trovare al mondo. Non ho mai visto la miacarnagione (e qui si posò una mano sul ginocchio) av-vantaggiarsi tanto quanto ora. Potrei, però, saltare in ac-qua oltre la murata e nuotare, con questi abiti indosso?

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Giammai! Dunque, dovrei affidarmi alla protezione diun marinaio. Avrei forse qualcosa in contrario? Sì ono?” Ella esitava, a quel primo nodo incontrato nellamatassa che le spettava dipanare.

Prima che fosse riuscita a scioglierlo, giunse l’ora dipranzo, e allora fu il capitano in persona, il capitano Ni-cholas Benedict Bartolus, un marinaio dall’aspetto di-stinto, che lo risolse, mentre le serviva una fetta di buesalato.

«Un po’ di grasso, Madama?» le domandò. «Permet-tetemi di tagliarvene una fetta non più grossa di una del-le vostre unghie.» A quelle parole, Orlando si sentì per-correre tutta da un fremito delizioso. Uccelli gorgheg-giarono; acqua di torrente scrosciò cristallina. Orlandoricordò l’indescrivibile senso di piacere provato veden-do per la prima volta Saša, centinaia d’anni prima. Allo-ra ella inseguiva, ora fuggiva. Chi provava l’estasi mag-giore? L’uomo o la donna? O non sono uguali, i duesentimenti? “No” pensò ella “questo è più delizioso (erifiutando ringraziò il capitano), questo: rifiutare e ve-derlo oscurarsi in viso.” Ebbene, sia, poiché egli lo desi-derava, avrebbe accettato la più piccola, la più traspa-rente fettina del mondo. Non era la cosa più deliziosa,cedere, e vederlo sorridere? “No” pensava poi, quandofu tornata al suo divano sul ponte, e riprese la discussio-ne con se stessa; “no, affatto: non c’è gioia più celestialeche quella di resistere e poi cedere, cedere e poi resiste-re. Sommerge l’animo in una delizia, che non ha l’ugua-le. Di modo che non so poi” continuò “se non mi butterò

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Giammai! Dunque, dovrei affidarmi alla protezione diun marinaio. Avrei forse qualcosa in contrario? Sì ono?” Ella esitava, a quel primo nodo incontrato nellamatassa che le spettava dipanare.

Prima che fosse riuscita a scioglierlo, giunse l’ora dipranzo, e allora fu il capitano in persona, il capitano Ni-cholas Benedict Bartolus, un marinaio dall’aspetto di-stinto, che lo risolse, mentre le serviva una fetta di buesalato.

«Un po’ di grasso, Madama?» le domandò. «Permet-tetemi di tagliarvene una fetta non più grossa di una del-le vostre unghie.» A quelle parole, Orlando si sentì per-correre tutta da un fremito delizioso. Uccelli gorgheg-giarono; acqua di torrente scrosciò cristallina. Orlandoricordò l’indescrivibile senso di piacere provato veden-do per la prima volta Saša, centinaia d’anni prima. Allo-ra ella inseguiva, ora fuggiva. Chi provava l’estasi mag-giore? L’uomo o la donna? O non sono uguali, i duesentimenti? “No” pensò ella “questo è più delizioso (erifiutando ringraziò il capitano), questo: rifiutare e ve-derlo oscurarsi in viso.” Ebbene, sia, poiché egli lo desi-derava, avrebbe accettato la più piccola, la più traspa-rente fettina del mondo. Non era la cosa più deliziosa,cedere, e vederlo sorridere? “No” pensava poi, quandofu tornata al suo divano sul ponte, e riprese la discussio-ne con se stessa; “no, affatto: non c’è gioia più celestialeche quella di resistere e poi cedere, cedere e poi resiste-re. Sommerge l’animo in una delizia, che non ha l’ugua-le. Di modo che non so poi” continuò “se non mi butterò

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dal ponte, dopo tutto, per il solo piacere di essere salvatada un marinaio.”

(Bisogna ricordare che ella era come un bambino, ilquale si trova ad avere un giocattolo ambito, un armadioper la bambola; i suoi pensieri, quindi, non possono es-ser paragonati a quelli di altre donne, già mature, le qua-li hanno dietro di sé l’esperienza di tutta la loro vita.)

«A proposito, che cosa dicevamo noi giovanotti, nelcastello di prua della Marie Rose, delle donne che salta-vano in acqua per il solo gusto di farsi ripescare da qual-che marinaio?» disse poi. «Usavamo, a loro riguardo,una certa parola... Ah!... Ecco...» (Siamo costretti aomettere quella parola tutt’altro che rispettosa, e chesuonava strana davvero sulle labbra di una signora.)«Dio! Dio» esclamò di nuovo, come a conclusione diquesti suoi pensieri. «Bisognerà dunque che cominci arispettare l’opinione dell’altro sesso, per quanto mo-struosa mi sembri? Se porto sottane, se non so nuotare,se debbo affidarmi alle braccia di un marinaio, perDio!» gridò «bisognerà che la rispetti.»

Dopo di che, si sentì presa dall’umor nero. Candidaper natura, e nemica di qualsiasi equivoco, le spiacevasommamente dir menzogne. Pure, rifletteva, se il broc-catello a fiorami, e il piacere di esser salvata da un mari-naio, si potevano ottenere soltanto per vie traverse, erapur necessario battere quelle. Ricordava come, ai tempiin cui era un giovanotto, avesse sostenuto che le donnedebbono essere obbedienti, caste, ben profumate e squi-sitamente acconciate. “Ora, bisogna che soddisfi con la

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dal ponte, dopo tutto, per il solo piacere di essere salvatada un marinaio.”

(Bisogna ricordare che ella era come un bambino, ilquale si trova ad avere un giocattolo ambito, un armadioper la bambola; i suoi pensieri, quindi, non possono es-ser paragonati a quelli di altre donne, già mature, le qua-li hanno dietro di sé l’esperienza di tutta la loro vita.)

«A proposito, che cosa dicevamo noi giovanotti, nelcastello di prua della Marie Rose, delle donne che salta-vano in acqua per il solo gusto di farsi ripescare da qual-che marinaio?» disse poi. «Usavamo, a loro riguardo,una certa parola... Ah!... Ecco...» (Siamo costretti aomettere quella parola tutt’altro che rispettosa, e chesuonava strana davvero sulle labbra di una signora.)«Dio! Dio» esclamò di nuovo, come a conclusione diquesti suoi pensieri. «Bisognerà dunque che cominci arispettare l’opinione dell’altro sesso, per quanto mo-struosa mi sembri? Se porto sottane, se non so nuotare,se debbo affidarmi alle braccia di un marinaio, perDio!» gridò «bisognerà che la rispetti.»

Dopo di che, si sentì presa dall’umor nero. Candidaper natura, e nemica di qualsiasi equivoco, le spiacevasommamente dir menzogne. Pure, rifletteva, se il broc-catello a fiorami, e il piacere di esser salvata da un mari-naio, si potevano ottenere soltanto per vie traverse, erapur necessario battere quelle. Ricordava come, ai tempiin cui era un giovanotto, avesse sostenuto che le donnedebbono essere obbedienti, caste, ben profumate e squi-sitamente acconciate. “Ora, bisogna che soddisfi con la

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mia persona a queste esigenze” pensò; “perché le donne(a giudicare dalla mia breve esperienza del sesso) nonsono né obbedienti, né caste, né profumate, né squisita-mente acconciate, per natura. Sono grazie che possonogiungere a possedere – e senza di esse è loro impossibilegoder dei piaceri della vita – soltanto per mezzo dellapiù rigida disciplina. Ecco la pettinatura” continuò “cheda sola occuperà un’ora della mia mattinata; e un’altraora andrà spesa per guardarmi nello specchio; e poi, do-vrò stringermi nel busto; e lavarmi e incipriarmi; e mu-tar gli abiti di seta in abiti di merletto, gli abiti di merlet-to in abiti di broccatello; e dovrò rimanere casta dal pri-mo giorno dell’anno all’ultimo...” Agitò impaziente ilpiede, e mostrò qualche pollice di gamba. Un marinaio,cui capitò di vedere quello spettacolo da un albero, neebbe un colpo tale che perse l’equilibrio, e si salvò sola-mente per un pelo. “Se la vista delle mie caviglie puòcausare la morte di un onest’uomo, il quale avrà, senzadubbio, una moglie e dei figli da mantenere, è necessa-rio che io per amor dell’umanità le tenga coperte.” Cosìrifletteva Orlando. Pure, le sue gambe contavano fra lesue principali bellezze. E venne a meditare sulla stra-nezza della costrizione imposta alla donna di tener co-perte le sue bellezze perché i marinai non cadano daipennoni. «Che il canchero se li porti!» esclamò, com-prendendo per la prima volta ciò che, in altre circostan-ze, le sarebbe stato insegnato fin da bambina, cioè la sa-cra responsabilità della donna.

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mia persona a queste esigenze” pensò; “perché le donne(a giudicare dalla mia breve esperienza del sesso) nonsono né obbedienti, né caste, né profumate, né squisita-mente acconciate, per natura. Sono grazie che possonogiungere a possedere – e senza di esse è loro impossibilegoder dei piaceri della vita – soltanto per mezzo dellapiù rigida disciplina. Ecco la pettinatura” continuò “cheda sola occuperà un’ora della mia mattinata; e un’altraora andrà spesa per guardarmi nello specchio; e poi, do-vrò stringermi nel busto; e lavarmi e incipriarmi; e mu-tar gli abiti di seta in abiti di merletto, gli abiti di merlet-to in abiti di broccatello; e dovrò rimanere casta dal pri-mo giorno dell’anno all’ultimo...” Agitò impaziente ilpiede, e mostrò qualche pollice di gamba. Un marinaio,cui capitò di vedere quello spettacolo da un albero, neebbe un colpo tale che perse l’equilibrio, e si salvò sola-mente per un pelo. “Se la vista delle mie caviglie puòcausare la morte di un onest’uomo, il quale avrà, senzadubbio, una moglie e dei figli da mantenere, è necessa-rio che io per amor dell’umanità le tenga coperte.” Cosìrifletteva Orlando. Pure, le sue gambe contavano fra lesue principali bellezze. E venne a meditare sulla stra-nezza della costrizione imposta alla donna di tener co-perte le sue bellezze perché i marinai non cadano daipennoni. «Che il canchero se li porti!» esclamò, com-prendendo per la prima volta ciò che, in altre circostan-ze, le sarebbe stato insegnato fin da bambina, cioè la sa-cra responsabilità della donna.

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«Ed ecco l’ultima bestemmia concessami” pensò. “InInghilterra non mi sarà certo permesso; né potrò mai piùromper la testa a un uomo, né dirgli che mente per lagola, né estrarre la mia spada e passarlo da parte a parte;non potrò più sedere tra il consesso dei Pari, né portareuna corona, né andare in processione, né condannare unuomo a morte, né comandare un esercito, né caracollaresul mio palafreno in Whitehall, né portare settantaduemedaglie sul petto. Tutto quello che mi sarà permesso,dopo che sarò sbarcata in Inghilterra, sarà di servire il tèe di chiedere ai signori ospiti come lo preferiscono. Lovolete zuccherato? Un po’ di crema?” E mentre parodia-va se stessa, fu colpita da orrore, avvedendosi della bas-sa opinione che si andava formando dell’altro sesso,quel sesso forte al quale un giorno era stato suo orgoglioappartenere. “Cadere da un pennone” pensava “per avervisto una caviglia di donna; vestire come un burattino,pavoneggiarsi per strada per farsi ammirare dalle donne;rifiutar loro il diritto di essere colte, per timore di incor-rere nel loro ridicolo; rendersi schiavo della più fragilecivettina in gonnelle, e pure andare attorno con l’aria diessere il re della creazione: Cielo! Che zimbelli fanno dinoi, e che sciocche siamo mai!” E qui, dall’ambiguità dialcune sue parole, si sarebbe potuto comprendere comeella censurasse entrambi i sessi, quasi non appartenessené all’uno né all’altro; e, in quei momenti, ella pareva ti-tubare; era un uomo; era una donna; conosceva i segreti,divideva le debolezze di entrambi. Era uno stato d’ani-mo stupefacente, e che le dava le vertigini. Persino il

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«Ed ecco l’ultima bestemmia concessami” pensò. “InInghilterra non mi sarà certo permesso; né potrò mai piùromper la testa a un uomo, né dirgli che mente per lagola, né estrarre la mia spada e passarlo da parte a parte;non potrò più sedere tra il consesso dei Pari, né portareuna corona, né andare in processione, né condannare unuomo a morte, né comandare un esercito, né caracollaresul mio palafreno in Whitehall, né portare settantaduemedaglie sul petto. Tutto quello che mi sarà permesso,dopo che sarò sbarcata in Inghilterra, sarà di servire il tèe di chiedere ai signori ospiti come lo preferiscono. Lovolete zuccherato? Un po’ di crema?” E mentre parodia-va se stessa, fu colpita da orrore, avvedendosi della bas-sa opinione che si andava formando dell’altro sesso,quel sesso forte al quale un giorno era stato suo orgoglioappartenere. “Cadere da un pennone” pensava “per avervisto una caviglia di donna; vestire come un burattino,pavoneggiarsi per strada per farsi ammirare dalle donne;rifiutar loro il diritto di essere colte, per timore di incor-rere nel loro ridicolo; rendersi schiavo della più fragilecivettina in gonnelle, e pure andare attorno con l’aria diessere il re della creazione: Cielo! Che zimbelli fanno dinoi, e che sciocche siamo mai!” E qui, dall’ambiguità dialcune sue parole, si sarebbe potuto comprendere comeella censurasse entrambi i sessi, quasi non appartenessené all’uno né all’altro; e, in quei momenti, ella pareva ti-tubare; era un uomo; era una donna; conosceva i segreti,divideva le debolezze di entrambi. Era uno stato d’ani-mo stupefacente, e che le dava le vertigini. Persino il

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conforto dell’ignoranza le pareva negato. Si sentivacome una piuma in preda a un turbine. Non farà dunquemeraviglia se, confrontando l’un sesso all’altro, e tro-vandoli, ciascuno a turno, dotati delle più deplorevolidebolezze – pur non essendo sicura di appartenere néall’uno né all’altro – non farà dunque meraviglia, dice-vamo, se quando l’àncora cadde con gran scroscio inmare ella fu sul punto di mettersi a gridare che volevatornare in Turchia e ridiventar zingara. Le vele si afflo-sciarono sul ponte, ed ella si accorse (era stata, per varigiorni, così assorta nei suoi pensieri da non avvedersi dinulla) che la nave era ancorata al largo della costa d’Ita-lia. Il capitano le mandò a chiedere sull’istante se volevafargli l’onore di scendere a terra con lui, nella sua scia-luppa.

Quando, al mattino seguente, ella ritornò a bordo, sidistese sul divano sotto la sua tenda, disponendo le pie-ghe delle coperte con la massima severità intorno allecaviglie.

“Ignoranti e meschinelle come siamo, di fronteall’altro sesso» pensava, riprendendo il filo del ragiona-mento interrotto il giorno innanzi “e difesi da ogni armacome essi sono, mentre ci vietano persino di impararel’alfabeto» (e da queste parole d’introduzione si com-prende come, durante la notte, fosse intervenuto qualchenuovo fattore a farla propendere per il sesso femminile,poiché il suo linguaggio era piuttosto quello di una don-na che non quello di un uomo, pur essendo il suo tono,in certo qual modo, soddisfatto) “pure... cascano dai

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conforto dell’ignoranza le pareva negato. Si sentivacome una piuma in preda a un turbine. Non farà dunquemeraviglia se, confrontando l’un sesso all’altro, e tro-vandoli, ciascuno a turno, dotati delle più deplorevolidebolezze – pur non essendo sicura di appartenere néall’uno né all’altro – non farà dunque meraviglia, dice-vamo, se quando l’àncora cadde con gran scroscio inmare ella fu sul punto di mettersi a gridare che volevatornare in Turchia e ridiventar zingara. Le vele si afflo-sciarono sul ponte, ed ella si accorse (era stata, per varigiorni, così assorta nei suoi pensieri da non avvedersi dinulla) che la nave era ancorata al largo della costa d’Ita-lia. Il capitano le mandò a chiedere sull’istante se volevafargli l’onore di scendere a terra con lui, nella sua scia-luppa.

Quando, al mattino seguente, ella ritornò a bordo, sidistese sul divano sotto la sua tenda, disponendo le pie-ghe delle coperte con la massima severità intorno allecaviglie.

“Ignoranti e meschinelle come siamo, di fronteall’altro sesso» pensava, riprendendo il filo del ragiona-mento interrotto il giorno innanzi “e difesi da ogni armacome essi sono, mentre ci vietano persino di impararel’alfabeto» (e da queste parole d’introduzione si com-prende come, durante la notte, fosse intervenuto qualchenuovo fattore a farla propendere per il sesso femminile,poiché il suo linguaggio era piuttosto quello di una don-na che non quello di un uomo, pur essendo il suo tono,in certo qual modo, soddisfatto) “pure... cascano dai

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pennoni.” Qui, diede in un enorme sbadiglio, e caddeaddormentata. Quando si svegliò, la nave correva conun buon vento in poppa così vicino alle coste, che i vil-laggi, sull’orlo delle rive tagliate quasi a picco, le pare-vano trattenuti dal cadere in acqua soltanto da grandirocce, o dalle contorte radici di qualche antico ulivo. Ilprofumo degli aranci esalava da un milione di alberigrevi di frutti, e invadeva sino il ponte della nave. Unafrotta di azzurri delfini fendeva i flutti, torcendo la codae balzando ogni tanto in aria. Distendendo le braccia (lebraccia, aveva già imparato, non hanno effetti fatalicome le gambe) Orlando ringraziò il Cielo di non essercostretta a caracollare per Whitehall, fosse pure su unbuon cavallo d’arme, né a condannare un uomo a morte.«Meglio» sentenziò «esser vestite di povertà e d’igno-ranza, oscuri veli del sesso femminile; meglio lasciar ilgoverno e le discipline del mondo ad altri; meglio spo-gliarsi di ambizioni guerresche, dell’amor di potenza, edi tutte le altre virili ambizioni, se così si possono me-glio gustare gli esaltati rapimenti che l’animo umano co-nosce» parlava, ora, ad alta voce, come era sua abitudi-ne quando si sentiva profondamente commossa «e che sichiamano contemplazione, solitudine, amore.»

«Sia ringraziato Iddio per avermi fatta donna!» escla-mò; e stava per commettere quell’estrema follia – lapeggiore in cui possano cadere tanto l’uomo quanto ladonna – di sentirsi orgogliosa del proprio sesso, quandoil suo pensiero si arrestò su quella singolare parola che,per quanti siano gli sforzi finora da noi fatti per impedir-

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pennoni.” Qui, diede in un enorme sbadiglio, e caddeaddormentata. Quando si svegliò, la nave correva conun buon vento in poppa così vicino alle coste, che i vil-laggi, sull’orlo delle rive tagliate quasi a picco, le pare-vano trattenuti dal cadere in acqua soltanto da grandirocce, o dalle contorte radici di qualche antico ulivo. Ilprofumo degli aranci esalava da un milione di alberigrevi di frutti, e invadeva sino il ponte della nave. Unafrotta di azzurri delfini fendeva i flutti, torcendo la codae balzando ogni tanto in aria. Distendendo le braccia (lebraccia, aveva già imparato, non hanno effetti fatalicome le gambe) Orlando ringraziò il Cielo di non essercostretta a caracollare per Whitehall, fosse pure su unbuon cavallo d’arme, né a condannare un uomo a morte.«Meglio» sentenziò «esser vestite di povertà e d’igno-ranza, oscuri veli del sesso femminile; meglio lasciar ilgoverno e le discipline del mondo ad altri; meglio spo-gliarsi di ambizioni guerresche, dell’amor di potenza, edi tutte le altre virili ambizioni, se così si possono me-glio gustare gli esaltati rapimenti che l’animo umano co-nosce» parlava, ora, ad alta voce, come era sua abitudi-ne quando si sentiva profondamente commossa «e che sichiamano contemplazione, solitudine, amore.»

«Sia ringraziato Iddio per avermi fatta donna!» escla-mò; e stava per commettere quell’estrema follia – lapeggiore in cui possano cadere tanto l’uomo quanto ladonna – di sentirsi orgogliosa del proprio sesso, quandoil suo pensiero si arrestò su quella singolare parola che,per quanti siano gli sforzi finora da noi fatti per impedir-

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glielo, è riuscita a scappar fuori in coda all’ultima frase:amore. «Amore» aveva detto Orlando. E in quell’istante– tale è il suo impeto – l’amore prese forma umana; chétale è il suo orgoglio. Perché, laddove gli altri pensieri sicontentano di rimanere astratti, nulla potrà soddisfarequest’ultimo, finché non riesce a rivestirsi di carne eossa, a indossar scialli e gonnelle, stivali e giustacuore.E siccome tutti gli oggetti dell’amore, per Orlando, era-no stati donne, ora, per colpa della colpevole riluttanzadella natura umana ad acconciarsi a nuove convenzioni,era ancora una donna che ella amava; e se poi la co-scienza dell’esser del medesimo sesso sortì su di lei ef-fetto alcuno, questo fu certo di avvivare e approfondirequei sentimenti che già aveva provato in veste d’uomo.Perché tutti i dubbi, tutti i misteri, una volta oscuri, orasi rischiaravano nella sua mente. Ora l’oscurità che divi-de i sessi, e permette a innumerevoli impurità di viverenella penombra, si era dissipata; e se c’è qualcosa divero in ciò che ha detto il poeta sulla verità e sulla bel-lezza, quell’affetto guadagnò in bellezza ciò che avevaperso in falsità. Finalmente, esclamò Orlando, conosce-va Saša quale era realmente, e per la gioia della scoper-ta, e intenta com’era alla ricerca di tutti i tesori che orale si rivelavano, era rapita ed estasiata a tal segno, cheuna voce virile parve al suo orecchio la voce d’un can-none, quando disse: «Permettetemi, Madama...». E unamano d’uomo l’aiutava a sollevarsi; e le dita d’un uomo,con un tre alberi veleggiante tatuato sul medio, indica-vano all’orizzonte.

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glielo, è riuscita a scappar fuori in coda all’ultima frase:amore. «Amore» aveva detto Orlando. E in quell’istante– tale è il suo impeto – l’amore prese forma umana; chétale è il suo orgoglio. Perché, laddove gli altri pensieri sicontentano di rimanere astratti, nulla potrà soddisfarequest’ultimo, finché non riesce a rivestirsi di carne eossa, a indossar scialli e gonnelle, stivali e giustacuore.E siccome tutti gli oggetti dell’amore, per Orlando, era-no stati donne, ora, per colpa della colpevole riluttanzadella natura umana ad acconciarsi a nuove convenzioni,era ancora una donna che ella amava; e se poi la co-scienza dell’esser del medesimo sesso sortì su di lei ef-fetto alcuno, questo fu certo di avvivare e approfondirequei sentimenti che già aveva provato in veste d’uomo.Perché tutti i dubbi, tutti i misteri, una volta oscuri, orasi rischiaravano nella sua mente. Ora l’oscurità che divi-de i sessi, e permette a innumerevoli impurità di viverenella penombra, si era dissipata; e se c’è qualcosa divero in ciò che ha detto il poeta sulla verità e sulla bel-lezza, quell’affetto guadagnò in bellezza ciò che avevaperso in falsità. Finalmente, esclamò Orlando, conosce-va Saša quale era realmente, e per la gioia della scoper-ta, e intenta com’era alla ricerca di tutti i tesori che orale si rivelavano, era rapita ed estasiata a tal segno, cheuna voce virile parve al suo orecchio la voce d’un can-none, quando disse: «Permettetemi, Madama...». E unamano d’uomo l’aiutava a sollevarsi; e le dita d’un uomo,con un tre alberi veleggiante tatuato sul medio, indica-vano all’orizzonte.

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«Le coste dell’Inghilterra, Madama» disse il capitano:e la mano che aveva indicato la terra si alzò verso il cie-lo in segno di saluto. Orlando provò un secondo sussul-to, ancor più violento del primo.

«Signore Gesù!» esclamò.Fortunatamente, la vista della sua terra natale scusava

tanto il sussulto quanto l’esclamazione, altrimenti le sa-rebbe stato assai difficile spiegare al capitano Bartolusle violente e contrastanti emozioni che ribollivano nelsuo intimo. Come avrebbe potuto raccontargli che lei,ora appoggiata tutta tremante al suo braccio, era stataduca e ambasciatore? Come fare a dirgli che lei, ora av-volta come un giglio fra le pieghe di broccatello, avevamozzato delle teste, e giaciuto con donne perdute, tra isacchi del bottino, in stive di navi pirate, nelle notti esti-ve, quando i tulipani fioriscono e le api sognano a Wap-ping Old Stairs?

Il violento sussulto che l’aveva squassata tutta quan-do l’energica mano del capitano le aveva indicato le co-ste d’Inghilterra non avrebbe potuto spiegarlo nemmenoa se stessa.

«Rifiutare e concedere» mormorò «che cose delizio-se; perseguire e conquistare, che cosa grande; percepiree ragionare, che cosa sublime!» Nessuna di queste paro-le, così accoppiate, le pareva errata; pure, come le creto-se rive tagliate a picco si avvicinavano, si sentì colpevo-le, disonorata, non più casta; la qual cosa, per chi nonaveva mai riflettuto su di ciò, pareva strana. La naves’avvicinava sempre più; già si scorgevano a occhio

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«Le coste dell’Inghilterra, Madama» disse il capitano:e la mano che aveva indicato la terra si alzò verso il cie-lo in segno di saluto. Orlando provò un secondo sussul-to, ancor più violento del primo.

«Signore Gesù!» esclamò.Fortunatamente, la vista della sua terra natale scusava

tanto il sussulto quanto l’esclamazione, altrimenti le sa-rebbe stato assai difficile spiegare al capitano Bartolusle violente e contrastanti emozioni che ribollivano nelsuo intimo. Come avrebbe potuto raccontargli che lei,ora appoggiata tutta tremante al suo braccio, era stataduca e ambasciatore? Come fare a dirgli che lei, ora av-volta come un giglio fra le pieghe di broccatello, avevamozzato delle teste, e giaciuto con donne perdute, tra isacchi del bottino, in stive di navi pirate, nelle notti esti-ve, quando i tulipani fioriscono e le api sognano a Wap-ping Old Stairs?

Il violento sussulto che l’aveva squassata tutta quan-do l’energica mano del capitano le aveva indicato le co-ste d’Inghilterra non avrebbe potuto spiegarlo nemmenoa se stessa.

«Rifiutare e concedere» mormorò «che cose delizio-se; perseguire e conquistare, che cosa grande; percepiree ragionare, che cosa sublime!» Nessuna di queste paro-le, così accoppiate, le pareva errata; pure, come le creto-se rive tagliate a picco si avvicinavano, si sentì colpevo-le, disonorata, non più casta; la qual cosa, per chi nonaveva mai riflettuto su di ciò, pareva strana. La naves’avvicinava sempre più; già si scorgevano a occhio

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nudo i raccoglitori di finocchi selvatici, arrampicati super scoscesi dirupi; e guardandoli, le parve di sentirsiformicolare nell’anima un fantasma beffardo, il qualepareva pronto, da un momento all’altro, a strapparle didosso le sottane e a svanire nell’aria... Saša la perduta,Saša, fior di ricordo, di cui in quel momento ella sentivatutta la sorprendente realtà; Saša che faceva gesti da bu-rattino e smorfie e ogni sorta di sconce beffe verso i di-rupi e i raccoglitori di finocchi. E quando i marinai in-cominciarono a cantare «Addio dunque, donne di Spa-gna», le loro parole risuonarono nel cuore angustiato diOrlando, la quale sentiva come, per quanto quell’appro-do potesse significare per lei comodità, ricchezze, in-fluenza e rango (poiché senza dubbio ella avrebbe spo-sato qualche nobile principe e regnato al fianco di lui sumezzo Yorkshire), pure, se tale sbarco le avesse ancheimposto convenzionalità, schiavitù, se avesse dovutoprovar delusioni, esser privata dell’amore, frenare lapropria natura, dover tenere la lingua a freno, oh, allorapiuttosto avrebbe virato di bordo insieme alla nave, efatto nuovamente vela per il paese degli zingari.

Di tra il tumulto di quei pensieri; tuttavia, sorse comeuna cupola di marmo bianco e liscio qualcosa che, fosserealtà, fosse immaginazione, tanto colpì la sua fantasiada costringerla a fermarvi su i suoi pensieri, così comeuno sciame di tremule libellule si posa, con evidentesoddisfazione, sulla campana di vetro che, nell’orto, co-pre qualche delicato vegetale. Quella forma, per unoscherzo dell’immaginazione stessa, suscitò in lei il suo

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nudo i raccoglitori di finocchi selvatici, arrampicati super scoscesi dirupi; e guardandoli, le parve di sentirsiformicolare nell’anima un fantasma beffardo, il qualepareva pronto, da un momento all’altro, a strapparle didosso le sottane e a svanire nell’aria... Saša la perduta,Saša, fior di ricordo, di cui in quel momento ella sentivatutta la sorprendente realtà; Saša che faceva gesti da bu-rattino e smorfie e ogni sorta di sconce beffe verso i di-rupi e i raccoglitori di finocchi. E quando i marinai in-cominciarono a cantare «Addio dunque, donne di Spa-gna», le loro parole risuonarono nel cuore angustiato diOrlando, la quale sentiva come, per quanto quell’appro-do potesse significare per lei comodità, ricchezze, in-fluenza e rango (poiché senza dubbio ella avrebbe spo-sato qualche nobile principe e regnato al fianco di lui sumezzo Yorkshire), pure, se tale sbarco le avesse ancheimposto convenzionalità, schiavitù, se avesse dovutoprovar delusioni, esser privata dell’amore, frenare lapropria natura, dover tenere la lingua a freno, oh, allorapiuttosto avrebbe virato di bordo insieme alla nave, efatto nuovamente vela per il paese degli zingari.

Di tra il tumulto di quei pensieri; tuttavia, sorse comeuna cupola di marmo bianco e liscio qualcosa che, fosserealtà, fosse immaginazione, tanto colpì la sua fantasiada costringerla a fermarvi su i suoi pensieri, così comeuno sciame di tremule libellule si posa, con evidentesoddisfazione, sulla campana di vetro che, nell’orto, co-pre qualche delicato vegetale. Quella forma, per unoscherzo dell’immaginazione stessa, suscitò in lei il suo

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ricordo più lontano e vivo: l’uomo dall’ampia fronte,nel salotto di Twitchett, l’uomo seduto a scrivere, o piut-tosto a guardare, ma certamente non lei, ché non sem-brava neppur scorgere il delizioso garzoncello che gli siera piantato dinanzi: tale, inutile negarlo, ella doveva es-ser stata; e come sempre, quando ella pensava a lui, quelpensiero distese sull’animo suo un ampio velo di calma,come il riflesso della luna su acque agitate. Portò lamano, al petto (l’altra era tuttora trattenuta dal capitano)là dove aveva nascosto al sicuro i fogli del suo poema,così come avrebbe nascosto un talismano. La sua preoc-cupazione, l’incertezza sul proprio sesso e sui suoi do-veri svanirono; non pensò più che alle glorie della poe-sia, e gli augusti versi di Marlowe, Shakespeare, BenJonson, Milton cominciarono a risuonarle in petto comese un battaglio d’oro si fosse agitato entro una campanad’oro in quel campanile di cattedrale che era il suo spiri-to. In verità, l’immagine della cupola di marmo, che siera dapprima presentata ai suoi occhi tanto incerta dasuggerirle il ricordo della fronte del poeta, risvegliandoun turbine di idee assurde, non era finzione, ma realtà; ementre la nave avanzava su per il Tamigi col vento pro-pizio, la fantasia, con tutte le sue conseguenze, cedette ilposto alla verità, e Orlando vide levarsi davanti a sé nul-la più e nulla meno della cupola d’una cattedrale, altatra un ricamo di bianche guglie.

«San Paolo» disse il capitano Bartolus, che non s’erascostato dal fianco di Orlando. «La Torre di Londra»continuò poi. «L’Ospedale di Greenwich, dedicato alla

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ricordo più lontano e vivo: l’uomo dall’ampia fronte,nel salotto di Twitchett, l’uomo seduto a scrivere, o piut-tosto a guardare, ma certamente non lei, ché non sem-brava neppur scorgere il delizioso garzoncello che gli siera piantato dinanzi: tale, inutile negarlo, ella doveva es-ser stata; e come sempre, quando ella pensava a lui, quelpensiero distese sull’animo suo un ampio velo di calma,come il riflesso della luna su acque agitate. Portò lamano, al petto (l’altra era tuttora trattenuta dal capitano)là dove aveva nascosto al sicuro i fogli del suo poema,così come avrebbe nascosto un talismano. La sua preoc-cupazione, l’incertezza sul proprio sesso e sui suoi do-veri svanirono; non pensò più che alle glorie della poe-sia, e gli augusti versi di Marlowe, Shakespeare, BenJonson, Milton cominciarono a risuonarle in petto comese un battaglio d’oro si fosse agitato entro una campanad’oro in quel campanile di cattedrale che era il suo spiri-to. In verità, l’immagine della cupola di marmo, che siera dapprima presentata ai suoi occhi tanto incerta dasuggerirle il ricordo della fronte del poeta, risvegliandoun turbine di idee assurde, non era finzione, ma realtà; ementre la nave avanzava su per il Tamigi col vento pro-pizio, la fantasia, con tutte le sue conseguenze, cedette ilposto alla verità, e Orlando vide levarsi davanti a sé nul-la più e nulla meno della cupola d’una cattedrale, altatra un ricamo di bianche guglie.

«San Paolo» disse il capitano Bartolus, che non s’erascostato dal fianco di Orlando. «La Torre di Londra»continuò poi. «L’Ospedale di Greenwich, dedicato alla

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memoria della regina Maria, dal suo sposo, la defuntaMaestà di Guglielmo Terzo. L’Abbazia di Westminster.Il Parlamento.» Mentre egli parlava, ognuno di quegliedifici sorgeva dinanzi a Orlando. Era una bella mattina-ta di settembre. Una miriade di barchette guizzava dauna riva all’altra. Rare volte, agli occhi di un viaggiato-re sulla via del ritorno, si era presentato uno spettacolopiù gaio e più interessante. Orlando se ne stava appog-giata alla murata di prora, tutta compresa di meraviglia.Per troppo tempo i suoi occhi avevano contemplato unanatura selvaggia, per non essere affascinati da questeglorie urbane. Quella, dunque, era la cupola di San Pao-lo, costruita durante la sua assenza da Christopher Wren.Non lontano, una capigliatura d’oro brillò in cielodall’alto di una colonna, e il capitano Bartolus, sempreal suo fianco, le disse il nome di quel Mausoleo: mentrelei era lontana, Londra era stata infestata da un’epide-mia e da un incendio. Per quanto Orlando si sforzasse ditrattenerle, le lacrime le spuntarono dalle palpebre, fin-ché, ricordandosi di quanto il pianto s’addica a una don-na, ella le lasciò scorrere liberamente. Ecco dunque,pensò, il luogo del Gran Carnevale. Qui, dove ora leonde schiaffeggiano allegramente la sponda, sorgeva ilPadiglione Reale. Qui aveva incontrata per la prima vol-ta Saša. In quello stesso punto (e guardava le acquescintillanti) ci si era abituati a vedere, gelata nel suo bat-tello, la venditrice di mele con la sua mercanzia ingrembo. Tutto quello splendore, quella corruzione, era-no scomparsi. Dileguata era ugualmente quella notte

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memoria della regina Maria, dal suo sposo, la defuntaMaestà di Guglielmo Terzo. L’Abbazia di Westminster.Il Parlamento.» Mentre egli parlava, ognuno di quegliedifici sorgeva dinanzi a Orlando. Era una bella mattina-ta di settembre. Una miriade di barchette guizzava dauna riva all’altra. Rare volte, agli occhi di un viaggiato-re sulla via del ritorno, si era presentato uno spettacolopiù gaio e più interessante. Orlando se ne stava appog-giata alla murata di prora, tutta compresa di meraviglia.Per troppo tempo i suoi occhi avevano contemplato unanatura selvaggia, per non essere affascinati da questeglorie urbane. Quella, dunque, era la cupola di San Pao-lo, costruita durante la sua assenza da Christopher Wren.Non lontano, una capigliatura d’oro brillò in cielodall’alto di una colonna, e il capitano Bartolus, sempreal suo fianco, le disse il nome di quel Mausoleo: mentrelei era lontana, Londra era stata infestata da un’epide-mia e da un incendio. Per quanto Orlando si sforzasse ditrattenerle, le lacrime le spuntarono dalle palpebre, fin-ché, ricordandosi di quanto il pianto s’addica a una don-na, ella le lasciò scorrere liberamente. Ecco dunque,pensò, il luogo del Gran Carnevale. Qui, dove ora leonde schiaffeggiano allegramente la sponda, sorgeva ilPadiglione Reale. Qui aveva incontrata per la prima vol-ta Saša. In quello stesso punto (e guardava le acquescintillanti) ci si era abituati a vedere, gelata nel suo bat-tello, la venditrice di mele con la sua mercanzia ingrembo. Tutto quello splendore, quella corruzione, era-no scomparsi. Dileguata era ugualmente quella notte

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oscura del mostruoso acquazzone, che aveva provocatoil disgelo delle acque. Qui, dove avevano turbinato ighiaccioni giallognoli recanti uomini e donne pazzi diterrore, ora galleggiava una covata di cigni immacolati,morbidi e superbi. Tutta la città di Londra era intera-mente mutata, da quando ella l’aveva vista per l’ultimavolta. Ricordava un ammasso di piccole case, nere, si-mili a uno sciame d’insetti. Le teste dei ribelli ridevanosinistre sulle picche, a Temple Bar. L’acciottolato erasempre ingombro di sudiciume e di detriti. Ora, mentrela nave passava dinanzi a Wapping, ella scorgeva vielarghe e bene ordinate. Carrozze imponenti, trascinateda pariglie di cavalli ben tenuti, stavano alle porte dellecase che con le ampie finestre a cristalli, con gli ottonilucenti, denotavano le ricchezze, la contenuta dignitàdei loro abitanti. Dame vestite di sete a fiorami (Orlandoaveva recato all’occhio il cannocchiale del capitano)passeggiavano su marciapiedi rialzati. Eleganti borghesiin giubbe ricamate fiutavano prese di tabacco agli angolidelle strade, a piè dei lampioni. La colpì una gran varie-tà di insegne dipinte, agitate dalla brezza, e comprese,da ciò che sopra vi era figurato, come nelle rispettivebotteghe si vendesse tabacco, stoffe, sete, ori, argenterie,guanti, profumi e mille altre mercanzie. Né, mentre lanave scivolava verso il suo ancoraggio presso il Ponte diLondra, seppe fare a meno di guardare entro le finestredei caffè, sui terrazzi dei quali, poiché il tempo era mite,sedeva gran numero di persone perbene, dinanzi a piattidi porcellana, con le pipe di gesso a lato; e uno di essi

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oscura del mostruoso acquazzone, che aveva provocatoil disgelo delle acque. Qui, dove avevano turbinato ighiaccioni giallognoli recanti uomini e donne pazzi diterrore, ora galleggiava una covata di cigni immacolati,morbidi e superbi. Tutta la città di Londra era intera-mente mutata, da quando ella l’aveva vista per l’ultimavolta. Ricordava un ammasso di piccole case, nere, si-mili a uno sciame d’insetti. Le teste dei ribelli ridevanosinistre sulle picche, a Temple Bar. L’acciottolato erasempre ingombro di sudiciume e di detriti. Ora, mentrela nave passava dinanzi a Wapping, ella scorgeva vielarghe e bene ordinate. Carrozze imponenti, trascinateda pariglie di cavalli ben tenuti, stavano alle porte dellecase che con le ampie finestre a cristalli, con gli ottonilucenti, denotavano le ricchezze, la contenuta dignitàdei loro abitanti. Dame vestite di sete a fiorami (Orlandoaveva recato all’occhio il cannocchiale del capitano)passeggiavano su marciapiedi rialzati. Eleganti borghesiin giubbe ricamate fiutavano prese di tabacco agli angolidelle strade, a piè dei lampioni. La colpì una gran varie-tà di insegne dipinte, agitate dalla brezza, e comprese,da ciò che sopra vi era figurato, come nelle rispettivebotteghe si vendesse tabacco, stoffe, sete, ori, argenterie,guanti, profumi e mille altre mercanzie. Né, mentre lanave scivolava verso il suo ancoraggio presso il Ponte diLondra, seppe fare a meno di guardare entro le finestredei caffè, sui terrazzi dei quali, poiché il tempo era mite,sedeva gran numero di persone perbene, dinanzi a piattidi porcellana, con le pipe di gesso a lato; e uno di essi

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leggeva ad alta voce la gazzetta, frequentemente inter-rotto dalle risa e dai commenti degli altri. Dov’erano letaverne, dov’erano i belli spiriti, dov’erano i poeti? do-mandò Orlando al capitano Bartolus, il quale si affrettòad informarla come, proprio in quel momento, se ella sifosse degnata di volger leggermente il capo a sinistra edi guardare ove il suo dito indicava – là – poiché stava-no passando sotto alla “Palma di Cocco”... sì, propriolà... ella avrebbe potuto vedere Mister Addison sorseg-giare il suo caffè; gli altri due signori... «là, Madama, unpoco più a destra del lampione, uno dei due, gobbo,l’altro precisamente fatto come voi e me...» erano Mi-ster Dryden e Mister Pope.12 «Bricconi» aggiunse il ca-pitano, alludendo alle loro opinioni papiste «ma, ciò nonostante, uomini d’ingegno.» E si precipitò verso poppa,onde dare le disposizioni per lo sbarco.

Ma presto Orlando doveva imparare a sue spesequanto poco possa la passione contro le ferree costrizio-ni della legge, e come questa sia più dura delle pietre delPonte di Londra, e più severa parli la sua bocca che nonquella di un cannone. Era appena tornata alla sua casa inBlackfriars, che una processione di commessi di BowStreet e altri gravi emissari dei tribunali venne ad avver-tirla d’esser ella chiamata a rispondere di tre cause im-portanti, contro di lei intentate durante la sua assenza, edi innumerevoli altre minori, alcune collaterali, altre in

12 Il capitano deve avere preso un abbaglio, come dimostrerà qualsiasi storiadella letteratura; ma l’errore non è che un indizio di benevolenza, e perciòl’abbiamo lasciato. (N.d.A.)

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leggeva ad alta voce la gazzetta, frequentemente inter-rotto dalle risa e dai commenti degli altri. Dov’erano letaverne, dov’erano i belli spiriti, dov’erano i poeti? do-mandò Orlando al capitano Bartolus, il quale si affrettòad informarla come, proprio in quel momento, se ella sifosse degnata di volger leggermente il capo a sinistra edi guardare ove il suo dito indicava – là – poiché stava-no passando sotto alla “Palma di Cocco”... sì, propriolà... ella avrebbe potuto vedere Mister Addison sorseg-giare il suo caffè; gli altri due signori... «là, Madama, unpoco più a destra del lampione, uno dei due, gobbo,l’altro precisamente fatto come voi e me...» erano Mi-ster Dryden e Mister Pope.12 «Bricconi» aggiunse il ca-pitano, alludendo alle loro opinioni papiste «ma, ciò nonostante, uomini d’ingegno.» E si precipitò verso poppa,onde dare le disposizioni per lo sbarco.

Ma presto Orlando doveva imparare a sue spesequanto poco possa la passione contro le ferree costrizio-ni della legge, e come questa sia più dura delle pietre delPonte di Londra, e più severa parli la sua bocca che nonquella di un cannone. Era appena tornata alla sua casa inBlackfriars, che una processione di commessi di BowStreet e altri gravi emissari dei tribunali venne ad avver-tirla d’esser ella chiamata a rispondere di tre cause im-portanti, contro di lei intentate durante la sua assenza, edi innumerevoli altre minori, alcune collaterali, altre in

12 Il capitano deve avere preso un abbaglio, come dimostrerà qualsiasi storiadella letteratura; ma l’errore non è che un indizio di benevolenza, e perciòl’abbiamo lasciato. (N.d.A.)

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conseguenza. Le principali imputazioni che le si muove-vano erano: 1. che ella era defunta, e quindi non potevapossedere proprietà alcuna; 2. che era una donna, il cheequivaleva press’a poco alla stessa cosa; 3. che ella eraun duca inglese, sposato a una tale Rosina Pepita, unadanzatrice, e aveva avuto da lei tre figli, i quali ora, di-chiarando essere il padre loro defunto, reclamavano persé tutti i di lui beni. Così gravi accuse, per esser contro-battute, richiedevano naturalmente un gran sperpero didenaro e di tempo. Intanto, i suggelli erano stati appostia tutte le sue proprietà, e tutti i suoi titoli nobiliari depo-sitati alla Cancelleria, in attesa della sentenza. Orlandosi trovava quindi in una situazione altamente imbaraz-zante: incerta se fosse viva o morta, uomo o donna, ducao plebeo, mentre si dirigeva in carrozza verso la sua re-sidenza di campagna, dove aveva ottenuto dalla legge ilpermesso di trattenersi per tutta la durata dei processi,purché fosse in incognito.

Era una bella sera di dicembre, quella in cui vi giun-se; la neve cadeva fitta, e le ombre violacee si allunga-vano sulla bianca coltre, proprio come quelle che avevavisto dall’alto dei monti di Brussa. La grande casa sistendeva più come un borgo che come una singola di-mora; bruna e azzurra, rosea e violetta tra la neve, contutti i camini che fumavano allegramente, come se fos-sero animati di vita propria. Orlando non poté trattenereun grido, quando la vide, così placida e massiccia, diste-sa tra le campagne. Quando la berlina gialla entrò nelparco, e traballando percorse il viale che si apriva tra gli

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conseguenza. Le principali imputazioni che le si muove-vano erano: 1. che ella era defunta, e quindi non potevapossedere proprietà alcuna; 2. che era una donna, il cheequivaleva press’a poco alla stessa cosa; 3. che ella eraun duca inglese, sposato a una tale Rosina Pepita, unadanzatrice, e aveva avuto da lei tre figli, i quali ora, di-chiarando essere il padre loro defunto, reclamavano persé tutti i di lui beni. Così gravi accuse, per esser contro-battute, richiedevano naturalmente un gran sperpero didenaro e di tempo. Intanto, i suggelli erano stati appostia tutte le sue proprietà, e tutti i suoi titoli nobiliari depo-sitati alla Cancelleria, in attesa della sentenza. Orlandosi trovava quindi in una situazione altamente imbaraz-zante: incerta se fosse viva o morta, uomo o donna, ducao plebeo, mentre si dirigeva in carrozza verso la sua re-sidenza di campagna, dove aveva ottenuto dalla legge ilpermesso di trattenersi per tutta la durata dei processi,purché fosse in incognito.

Era una bella sera di dicembre, quella in cui vi giun-se; la neve cadeva fitta, e le ombre violacee si allunga-vano sulla bianca coltre, proprio come quelle che avevavisto dall’alto dei monti di Brussa. La grande casa sistendeva più come un borgo che come una singola di-mora; bruna e azzurra, rosea e violetta tra la neve, contutti i camini che fumavano allegramente, come se fos-sero animati di vita propria. Orlando non poté trattenereun grido, quando la vide, così placida e massiccia, diste-sa tra le campagne. Quando la berlina gialla entrò nelparco, e traballando percorse il viale che si apriva tra gli

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alberi, i cervi alzarono il capo come ansiosi, e tutti nota-rono che, invece di mostrare la timidità naturale aglianimali della loro specie, seguirono la carrozza e rima-sero nel cortile allorché essa si arrestò. Alcuni scossero ipalchi, altri grattarono la terra con gli zoccoli, quando ilpredellino fu abbassato e Orlando discese. Si dice persi-no che uno si sia inginocchiato nella neve dinanzi a lei.Ella non ebbe neppur tempo di alzare la mano per bus-sare, che i due battenti del portale si spalancarono; enell’andito, con lampade e torce che reggevano alte so-pra le loro teste, apparvero Mistress Grimsditch, il reve-rendo Dupper, e l’intera servitù accorsa a darle il benve-nuto. Ma la grave adunata venne scompigliata da Canu-to, uno dei levrieri, che si slanciò sulla sua padrona contale impeto da gettarla quasi a terra; e poi, dall’agitazio-ne della Grimsditch, la quale mentre s’inchinava ceri-moniosamente fu colta dall’emozione, e non sapeva piùche mormorare «Milord! Milady! Milady! Milord!» fin-ché Orlando, per ridarle animo, non le ebbe stampato unbel bacio sulle due guance. Dopo di che, il reverendoDupper incominciò a leggere una pergamena, mal’abbaiar dei cani, il suon dei corni in cui i cacciatorisoffiavano con tutta la forza dei polmoni, e i cervi chenella confusione s’erano introdotti nel cortile e ora bra-mivano alla luna, non gli permisero di procedere moltoinnanzi e il gruppo si disperse tosto, dopo essersi affol-lato intorno alla padrona per testimoniare in tutti i modila gran gioia causata dal suo ritorno.

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alberi, i cervi alzarono il capo come ansiosi, e tutti nota-rono che, invece di mostrare la timidità naturale aglianimali della loro specie, seguirono la carrozza e rima-sero nel cortile allorché essa si arrestò. Alcuni scossero ipalchi, altri grattarono la terra con gli zoccoli, quando ilpredellino fu abbassato e Orlando discese. Si dice persi-no che uno si sia inginocchiato nella neve dinanzi a lei.Ella non ebbe neppur tempo di alzare la mano per bus-sare, che i due battenti del portale si spalancarono; enell’andito, con lampade e torce che reggevano alte so-pra le loro teste, apparvero Mistress Grimsditch, il reve-rendo Dupper, e l’intera servitù accorsa a darle il benve-nuto. Ma la grave adunata venne scompigliata da Canu-to, uno dei levrieri, che si slanciò sulla sua padrona contale impeto da gettarla quasi a terra; e poi, dall’agitazio-ne della Grimsditch, la quale mentre s’inchinava ceri-moniosamente fu colta dall’emozione, e non sapeva piùche mormorare «Milord! Milady! Milady! Milord!» fin-ché Orlando, per ridarle animo, non le ebbe stampato unbel bacio sulle due guance. Dopo di che, il reverendoDupper incominciò a leggere una pergamena, mal’abbaiar dei cani, il suon dei corni in cui i cacciatorisoffiavano con tutta la forza dei polmoni, e i cervi chenella confusione s’erano introdotti nel cortile e ora bra-mivano alla luna, non gli permisero di procedere moltoinnanzi e il gruppo si disperse tosto, dopo essersi affol-lato intorno alla padrona per testimoniare in tutti i modila gran gioia causata dal suo ritorno.

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Nessuno mostrò di dubitare, nemmeno per un istante,che Orlando non fosse quell’Orlando che avevano cono-sciuto. E se nella mente umana alcun dubbio avesse po-tuto sussistere, le dimostrazioni date dai cervi e dai canisarebbero state sufficienti a dissiparlo, poiché è risaputoche gli esseri privi di parola sono assai migliori giudici,sull’identità e sul carattere di un individuo, di quantonon lo siamo noi. Di più, disse quella sera MistressGrimsditch al reverendo Dupper, rivolgendosi a lui perdi sopra alla tazza del tè, se il suo Lord, ora, era unaLady, ella non ne aveva mai visto una più graziosa, néavrebbe voluto dover scegliere fra l’una e l’altro, ché sa-rebbe stata troppo imbarazzata; l’uno era tanto simpati-co quanto l’altra; e si rassomigliavano come due gocced’acqua. Del resto, aggiunse la Grimsditch lasciandosiandare alle confidenze, ella lo aveva sempre sospettato(e qui scosse il capo con aria misteriosa), e quel fattonon l’aveva troppo sorpresa (e tornò a scuotere il capocome chi la sa lunga); piuttosto, la sollevava da un dub-bio perché, siccome le tovaglie avevano bisogno di es-sere rammendate, e le tende nel salotto del Cappellanoerano tutte mangiate dai tarli intorno alle frange, era orache ci fosse finalmente in casa una padrona.

«Senza contare i padroncini e le padroncine che cipotrà dare» disse il reverendo Dupper, che in virtù delsuo santo ministero aveva il privilegio di poter direchiaramente quello che pensava in fatto di questioni de-licate come questa.

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Nessuno mostrò di dubitare, nemmeno per un istante,che Orlando non fosse quell’Orlando che avevano cono-sciuto. E se nella mente umana alcun dubbio avesse po-tuto sussistere, le dimostrazioni date dai cervi e dai canisarebbero state sufficienti a dissiparlo, poiché è risaputoche gli esseri privi di parola sono assai migliori giudici,sull’identità e sul carattere di un individuo, di quantonon lo siamo noi. Di più, disse quella sera MistressGrimsditch al reverendo Dupper, rivolgendosi a lui perdi sopra alla tazza del tè, se il suo Lord, ora, era unaLady, ella non ne aveva mai visto una più graziosa, néavrebbe voluto dover scegliere fra l’una e l’altro, ché sa-rebbe stata troppo imbarazzata; l’uno era tanto simpati-co quanto l’altra; e si rassomigliavano come due gocced’acqua. Del resto, aggiunse la Grimsditch lasciandosiandare alle confidenze, ella lo aveva sempre sospettato(e qui scosse il capo con aria misteriosa), e quel fattonon l’aveva troppo sorpresa (e tornò a scuotere il capocome chi la sa lunga); piuttosto, la sollevava da un dub-bio perché, siccome le tovaglie avevano bisogno di es-sere rammendate, e le tende nel salotto del Cappellanoerano tutte mangiate dai tarli intorno alle frange, era orache ci fosse finalmente in casa una padrona.

«Senza contare i padroncini e le padroncine che cipotrà dare» disse il reverendo Dupper, che in virtù delsuo santo ministero aveva il privilegio di poter direchiaramente quello che pensava in fatto di questioni de-licate come questa.

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Così, mentre i vecchi servitori spettegolavano nelleloro stanze, Orlando prese un candeliere d’argento, e sidiede nuovamente a vagare per i vestiboli, le gallerie, icortili, le sale; vide di nuovo inchinarsi verso di leil’oscuro volto di questo o di quel Lord, Guardasigilli oCiambellano, che erano stati suoi antenati; ora sedeva sudi una poltrona di cerimonia, ora si sdraiava voluttuosa-mente su di un divano; contemplava gli arazzi ed il loroondeggiare; guardava i cacciatori lanciati al galoppo, eDafne fuggitiva; immergeva la mano, come le piacevafare allorché era un fanciullino, nel giallo stagno di lucedisteso dalla luna che cadeva attraverso il leopardo aral-dico della vetrata; scivolava lungo le levigate tavole delpavimento della galleria, che dall’altro lato serbavanoancora i segni dell’ascia; palpava un pezzo di seta, e unodi raso; si figurava di veder nuotare i delfini scolpiti nellegno; si lisciava i capelli con le spazzole d’argento di reGiacomo; tuffava il volto nel pot pourri che il Conqui-statore aveva insegnato a fare alla sua gente, e che anco-ra era fatto con le medesime rose; si affacciava a guar-dare nel giardino, immaginando il croco addormentato ele dormienti dalie; vedeva le ninfee eteree splenderbianche tra la neve contro i grandi bossi neri che forma-vano una macchia compatta come la casa; ammirava laserra degli aranci, i nespoli giganti... Tutto rivide, e ognivisione e ogni suono, da noi resi sì imperfettamente,riempivano il suo cuore di tanta estasi, lo avvolgevanodi un tal balsamo di gioia, che alfine, stanca, ella entrònella Cappella e si lasciò cadere nella vecchia poltrona

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Così, mentre i vecchi servitori spettegolavano nelleloro stanze, Orlando prese un candeliere d’argento, e sidiede nuovamente a vagare per i vestiboli, le gallerie, icortili, le sale; vide di nuovo inchinarsi verso di leil’oscuro volto di questo o di quel Lord, Guardasigilli oCiambellano, che erano stati suoi antenati; ora sedeva sudi una poltrona di cerimonia, ora si sdraiava voluttuosa-mente su di un divano; contemplava gli arazzi ed il loroondeggiare; guardava i cacciatori lanciati al galoppo, eDafne fuggitiva; immergeva la mano, come le piacevafare allorché era un fanciullino, nel giallo stagno di lucedisteso dalla luna che cadeva attraverso il leopardo aral-dico della vetrata; scivolava lungo le levigate tavole delpavimento della galleria, che dall’altro lato serbavanoancora i segni dell’ascia; palpava un pezzo di seta, e unodi raso; si figurava di veder nuotare i delfini scolpiti nellegno; si lisciava i capelli con le spazzole d’argento di reGiacomo; tuffava il volto nel pot pourri che il Conqui-statore aveva insegnato a fare alla sua gente, e che anco-ra era fatto con le medesime rose; si affacciava a guar-dare nel giardino, immaginando il croco addormentato ele dormienti dalie; vedeva le ninfee eteree splenderbianche tra la neve contro i grandi bossi neri che forma-vano una macchia compatta come la casa; ammirava laserra degli aranci, i nespoli giganti... Tutto rivide, e ognivisione e ogni suono, da noi resi sì imperfettamente,riempivano il suo cuore di tanta estasi, lo avvolgevanodi un tal balsamo di gioia, che alfine, stanca, ella entrònella Cappella e si lasciò cadere nella vecchia poltrona

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rossa a braccioli dove sedevano i suoi antenati durante ilservizio divino. Accese un cheroot (abitudine contrattain Oriente) e aperse il “Libro delle Preghiere”.

Era un libretto rilegato in velluto e trapunto d’oro,che Maria, Regina di Scozia, aveva stretto fra le suemani fin sul patibolo, e l’occhio della fede vi potevascorgere su una macchiolina bruniccia, che si diceva es-sere una goccia del regal sangue. Ma quali pietosi pen-sieri risvegliasse in Orlando, e quali malvagie passionisoffocasse, chi lo potrebbe dire, posto che, di tutte le co-munioni, questa dell’uomo con la divinità è la più im-perscrutabile? Scrittori, poeti, storici, tutti esitano dinan-zi a questa porta; nemmeno il credente stesso vi può ap-portare luce alcuna. Si dimostra egli forse più pronto amorire, o più zelante a distribuire le sue ricchezze? Nonmantiene egli forse altrettanta servitù e altrettanti cavalliper le sue carrozze, quanto gli altri? Pure, professa unafede che dovrebbe far considerare i beni tutti di questaterra vanità delle vanità, e la morte una benedizione. Nellibro di preghiere della Regina, assieme alla macchioli-na di sangue, c’era anche un ricciolo di capelli, e unabriciola di un pasticcino; Orlando aggiunse allora aquelle memorie un minuzzolo di tabacco e così, leggen-do e fumando, si sentì commossa dell’umana confusionedi quelle cose insignificanti – i capelli, il pasticcino, lamacchia di sangue, il tabacco – sino a raggiungere ungrado d’umor contemplativo che le conferì un’aria di di-gnità adatta alle circostanze, per quanto si dica che Or-lando non abbia avuto commercio alcuno col Dio abi-

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rossa a braccioli dove sedevano i suoi antenati durante ilservizio divino. Accese un cheroot (abitudine contrattain Oriente) e aperse il “Libro delle Preghiere”.

Era un libretto rilegato in velluto e trapunto d’oro,che Maria, Regina di Scozia, aveva stretto fra le suemani fin sul patibolo, e l’occhio della fede vi potevascorgere su una macchiolina bruniccia, che si diceva es-sere una goccia del regal sangue. Ma quali pietosi pen-sieri risvegliasse in Orlando, e quali malvagie passionisoffocasse, chi lo potrebbe dire, posto che, di tutte le co-munioni, questa dell’uomo con la divinità è la più im-perscrutabile? Scrittori, poeti, storici, tutti esitano dinan-zi a questa porta; nemmeno il credente stesso vi può ap-portare luce alcuna. Si dimostra egli forse più pronto amorire, o più zelante a distribuire le sue ricchezze? Nonmantiene egli forse altrettanta servitù e altrettanti cavalliper le sue carrozze, quanto gli altri? Pure, professa unafede che dovrebbe far considerare i beni tutti di questaterra vanità delle vanità, e la morte una benedizione. Nellibro di preghiere della Regina, assieme alla macchioli-na di sangue, c’era anche un ricciolo di capelli, e unabriciola di un pasticcino; Orlando aggiunse allora aquelle memorie un minuzzolo di tabacco e così, leggen-do e fumando, si sentì commossa dell’umana confusionedi quelle cose insignificanti – i capelli, il pasticcino, lamacchia di sangue, il tabacco – sino a raggiungere ungrado d’umor contemplativo che le conferì un’aria di di-gnità adatta alle circostanze, per quanto si dica che Or-lando non abbia avuto commercio alcuno col Dio abi-

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tuale. Ma che cosa c’è di più arrogante di quest’afferma-zione, pur tuttavia tanto comune; cioè, che di tutti gliDei uno solo esiste; ed è quello di chi parla in quel mo-mento? Orlando, a quanto sembra, aveva una fede tuttasua particolare; e ora, con grande ardor di religione, ri-fletteva sui suoi peccati e sulle imperfezioni che si eranoinsinuate nella vita del suo spirito. La lettera S, ella pen-sava, è il serpente nell’Eden del poeta. Per quanto ella visi fosse posta d’impegno, di quei peccaminosi rettili cen’erano ancora troppi nelle prime stanze della “Quer-cia”. Ma le S non erano ancora nulla, secondo il suogiudizio, a paragone delle terminazioni in “ante”. Il par-ticipio presente è il diavolo in persona, pensava (ora checi troviamo nel luogo più adatto per prestar fede all’esi-stenza dei diavoli). Il fuggire queste tentazioni è il pri-mo dovere del poeta, concluse Orlando, poiché, essendol’orecchio l’anticamera dell’anima, la poesia può cor-rompere e distruggere più della lussuria e della polvereda sparo. Dunque la missione del poeta è la più sublime,continuò a riflettere: le sue parole giungono là dove lealtre non sono udite. Una canzoncina, anche se insulsa,di Shakespeare, ha fatto più bene al povero e al malva-gio che non tutti i predicatori e i filantropi del mondo.Né tempo, né devozione saranno dunque di troppo,quando sono spesi nel migliorare i mezzi che Dio ci hadato per il nostro messaggio. Dobbiamo elaborare le no-stre parole in modo da renderle l’involucro più sottileper i nostri pensieri. I pensieri sono divini, ecc. È dun-que evidente che Orlando si racchiudeva entro i limiti di

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tuale. Ma che cosa c’è di più arrogante di quest’afferma-zione, pur tuttavia tanto comune; cioè, che di tutti gliDei uno solo esiste; ed è quello di chi parla in quel mo-mento? Orlando, a quanto sembra, aveva una fede tuttasua particolare; e ora, con grande ardor di religione, ri-fletteva sui suoi peccati e sulle imperfezioni che si eranoinsinuate nella vita del suo spirito. La lettera S, ella pen-sava, è il serpente nell’Eden del poeta. Per quanto ella visi fosse posta d’impegno, di quei peccaminosi rettili cen’erano ancora troppi nelle prime stanze della “Quer-cia”. Ma le S non erano ancora nulla, secondo il suogiudizio, a paragone delle terminazioni in “ante”. Il par-ticipio presente è il diavolo in persona, pensava (ora checi troviamo nel luogo più adatto per prestar fede all’esi-stenza dei diavoli). Il fuggire queste tentazioni è il pri-mo dovere del poeta, concluse Orlando, poiché, essendol’orecchio l’anticamera dell’anima, la poesia può cor-rompere e distruggere più della lussuria e della polvereda sparo. Dunque la missione del poeta è la più sublime,continuò a riflettere: le sue parole giungono là dove lealtre non sono udite. Una canzoncina, anche se insulsa,di Shakespeare, ha fatto più bene al povero e al malva-gio che non tutti i predicatori e i filantropi del mondo.Né tempo, né devozione saranno dunque di troppo,quando sono spesi nel migliorare i mezzi che Dio ci hadato per il nostro messaggio. Dobbiamo elaborare le no-stre parole in modo da renderle l’involucro più sottileper i nostri pensieri. I pensieri sono divini, ecc. È dun-que evidente che Orlando si racchiudeva entro i limiti di

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una religione tutta sua, e che il tempo non aveva fattoche rafforzare durante la sua assenza; e che, altresì, an-dava rapidamente formando in sé l’intolleranza del cre-dente.

“Invecchio” pensò, riprendendo alfine il suo candelie-re. “Sto perdendo alquante illusioni” aggiunse, chiuden-do il libro della regina Maria “ma per acquistarne forsealtre”; e scese fra le tombe dove giacevano le ossa deisuoi avi.

Ma persino le ossa degli antenati, Sir Miles, Sir Ger-vase e gli altri tutti, avevano perso un po’ della loro san-tità, da quella sera in cui Rustum el Sadi, con un gesto,le aveva mostrato i monti dell’Asia. Orlando non riusci-va a dimenticare come, tre o quattrocento anni innanzi,quegli scheletri fossero stati uomini che avevano cercatodi farsi strada nella vita come qualsiasi altro arrivista deigiorni nostri, e che vi erano riusciti, acquistandosi case euffici, Giarrettiere e onori come tutti gli altri ambiziosi,mentre dei poeti, forse, dei genî e dei sapienti avevanopreferito la pace dei campi, e l’avevano scontata con lamiseria, sì che ora misuravano stoffe nello Strand, o pa-scolavano le pecore; e quei pensieri la riempivano di ri-morso. Nella cripta, le tornò alla mente il ricordo dellepiramidi d’Egitto, e delle ossa che esse ricoprivano; e ivasti e deserti altipiani che dominavano il Mar di Mar-mara le parvero, in quel momento, soggiorno più gratoche non quella dimora dalle molte stanze, in cui nessunletto mancava del suo baldacchino, e ogni piattod’argento aveva il suo bravo coperchio uguale.

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una religione tutta sua, e che il tempo non aveva fattoche rafforzare durante la sua assenza; e che, altresì, an-dava rapidamente formando in sé l’intolleranza del cre-dente.

“Invecchio” pensò, riprendendo alfine il suo candelie-re. “Sto perdendo alquante illusioni” aggiunse, chiuden-do il libro della regina Maria “ma per acquistarne forsealtre”; e scese fra le tombe dove giacevano le ossa deisuoi avi.

Ma persino le ossa degli antenati, Sir Miles, Sir Ger-vase e gli altri tutti, avevano perso un po’ della loro san-tità, da quella sera in cui Rustum el Sadi, con un gesto,le aveva mostrato i monti dell’Asia. Orlando non riusci-va a dimenticare come, tre o quattrocento anni innanzi,quegli scheletri fossero stati uomini che avevano cercatodi farsi strada nella vita come qualsiasi altro arrivista deigiorni nostri, e che vi erano riusciti, acquistandosi case euffici, Giarrettiere e onori come tutti gli altri ambiziosi,mentre dei poeti, forse, dei genî e dei sapienti avevanopreferito la pace dei campi, e l’avevano scontata con lamiseria, sì che ora misuravano stoffe nello Strand, o pa-scolavano le pecore; e quei pensieri la riempivano di ri-morso. Nella cripta, le tornò alla mente il ricordo dellepiramidi d’Egitto, e delle ossa che esse ricoprivano; e ivasti e deserti altipiani che dominavano il Mar di Mar-mara le parvero, in quel momento, soggiorno più gratoche non quella dimora dalle molte stanze, in cui nessunletto mancava del suo baldacchino, e ogni piattod’argento aveva il suo bravo coperchio uguale.

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“Invecchio” ripensò, levando alto il candeliere; “per-do le mie illusioni, per acquistarne forse di nuove.” E siavviò per la galleria, verso la sua stanza. Quel seguitod’idee era sgradevole e la stancava; ma era pur straordi-nariamente interessante, pensò, allungando le gambe di-nanzi a una bella fiammata (ora non c’erano più marinaiindiscreti); e passò in rivista, come percorrendo una viafiancheggiata da enormi edifici, tutto il progresso spiri-tuale che aveva segnato le diverse tappe della sua vita.

Come aveva amato la musica delle parole, quando eraancora fanciullo, le sillabe tumultuose che sfuggono dal-le labbra gli parevano la più meravigliosa tra le poesie.Poi – forse per effetto di Saša e della disillusione di cuiella era stata causa – entro quella frenesia violenta eracaduta qualche goccia di un liquido nero che aveva as-sopito il suo lirismo. In seguito, lentamente s’era apertoin lei un dedalo intricato di molte stanze, che bisognavaesplorare con la torcia in mano, in prosa e non in versi;e rammentò con quanta passione avesse studiato allorale opere di quel dottore di Norwich, quel Browne, il cuilibro aveva là, a portata di mano. Qui, in solitudine,dopo l’avventura con Greene, ella si era formata, o ave-va tentato di formarsi (poiché solo il Cielo sa quantotempo vi occorra) uno spirito capace di resistenza.

“Scriverò quello che mi farà piacere di scrivere” ave-va detto; e così aveva scribacchiato ventisei volumi.Pure, per quanto avesse molto viaggiato, e corso avven-ture senza numero, e avesse profondamente meditato,volgendosi ora a un ordine d’idee, ora all’altro, ella si

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“Invecchio” ripensò, levando alto il candeliere; “per-do le mie illusioni, per acquistarne forse di nuove.” E siavviò per la galleria, verso la sua stanza. Quel seguitod’idee era sgradevole e la stancava; ma era pur straordi-nariamente interessante, pensò, allungando le gambe di-nanzi a una bella fiammata (ora non c’erano più marinaiindiscreti); e passò in rivista, come percorrendo una viafiancheggiata da enormi edifici, tutto il progresso spiri-tuale che aveva segnato le diverse tappe della sua vita.

Come aveva amato la musica delle parole, quando eraancora fanciullo, le sillabe tumultuose che sfuggono dal-le labbra gli parevano la più meravigliosa tra le poesie.Poi – forse per effetto di Saša e della disillusione di cuiella era stata causa – entro quella frenesia violenta eracaduta qualche goccia di un liquido nero che aveva as-sopito il suo lirismo. In seguito, lentamente s’era apertoin lei un dedalo intricato di molte stanze, che bisognavaesplorare con la torcia in mano, in prosa e non in versi;e rammentò con quanta passione avesse studiato allorale opere di quel dottore di Norwich, quel Browne, il cuilibro aveva là, a portata di mano. Qui, in solitudine,dopo l’avventura con Greene, ella si era formata, o ave-va tentato di formarsi (poiché solo il Cielo sa quantotempo vi occorra) uno spirito capace di resistenza.

“Scriverò quello che mi farà piacere di scrivere” ave-va detto; e così aveva scribacchiato ventisei volumi.Pure, per quanto avesse molto viaggiato, e corso avven-ture senza numero, e avesse profondamente meditato,volgendosi ora a un ordine d’idee, ora all’altro, ella si

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trovava ancora in via di elaborazione. Dio solo sapevaquello che l’avvenire le avrebbe riserbato. I mutamentierano continui, e forse non cesserebbero mai. Imponenticostruzioni di pensiero, abitudini che le erano parse piùdurature della pietra stessa, erano dileguate come ombreal contatto con un altro spirito, lasciando scorgere uncielo nudo, in cui occhieggiavano nuove stelle. A questopunto si avvicinò alla finestra, e benché il freddo pun-gesse, non poté fare a meno di aprirla, sporgendosi suldavanzale, nell’umida aria notturna. Udì il verso di unavolpe nei boschi, e il fruscio di un fagiano che fuggivatra i rami. Sentì la neve scivolar dal tetto, cadere a terracon un tonfo molle. «Per la mia vita!» esclamò. «Tuttoquesto è mille volte meglio della Turchia, Rustum»esclamò, come se ancora discutesse con lo zingaro (equi, con questa nuova facoltà di continuare una discus-sione con un assente che non la poteva contraddire, ellaconfermava l’evoluzione del suo intelletto) «tu avevitorto. Mille volte meglio questo della Turchia. Capelli,pasticcini, tabacco... di quali disparate materie siamomai composti!» disse (e pensava al libro di preghieredella regina Maria). «Che fantasmagoria è mai il nostrospirito, luogo di convegno di tante cose dissimili! Tal-volta deploriamo la nostra nascita, le nostre ricchezze, easpiriamo a un’esaltazione ascetica; subito dopo, ci la-sciamo intenerire dal profumo di qualche vecchio viot-tolo di giardino, e versiamo lacrime al canto dei tordi.»E interdetta come sempre, di fronte alla moltitudine dicose che richiedono una spiegazione, e che ci inviano il

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trovava ancora in via di elaborazione. Dio solo sapevaquello che l’avvenire le avrebbe riserbato. I mutamentierano continui, e forse non cesserebbero mai. Imponenticostruzioni di pensiero, abitudini che le erano parse piùdurature della pietra stessa, erano dileguate come ombreal contatto con un altro spirito, lasciando scorgere uncielo nudo, in cui occhieggiavano nuove stelle. A questopunto si avvicinò alla finestra, e benché il freddo pun-gesse, non poté fare a meno di aprirla, sporgendosi suldavanzale, nell’umida aria notturna. Udì il verso di unavolpe nei boschi, e il fruscio di un fagiano che fuggivatra i rami. Sentì la neve scivolar dal tetto, cadere a terracon un tonfo molle. «Per la mia vita!» esclamò. «Tuttoquesto è mille volte meglio della Turchia, Rustum»esclamò, come se ancora discutesse con lo zingaro (equi, con questa nuova facoltà di continuare una discus-sione con un assente che non la poteva contraddire, ellaconfermava l’evoluzione del suo intelletto) «tu avevitorto. Mille volte meglio questo della Turchia. Capelli,pasticcini, tabacco... di quali disparate materie siamomai composti!» disse (e pensava al libro di preghieredella regina Maria). «Che fantasmagoria è mai il nostrospirito, luogo di convegno di tante cose dissimili! Tal-volta deploriamo la nostra nascita, le nostre ricchezze, easpiriamo a un’esaltazione ascetica; subito dopo, ci la-sciamo intenerire dal profumo di qualche vecchio viot-tolo di giardino, e versiamo lacrime al canto dei tordi.»E interdetta come sempre, di fronte alla moltitudine dicose che richiedono una spiegazione, e che ci inviano il

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loro messaggio senza pur lasciarci indovinare nulla delloro senso, ella buttò il cheroot dalla finestra e andò aletto.

Il mattino seguente, riprendendo il corso di quei pen-sieri, trasse carta e penna, e si mise di nuovo a lavorarealla “Quercia”; poiché è un piacere delizioso davveroavere inchiostro e carta in quantità, quando ci si è dovutiaccontentare di more e di margini. Era dunque intentaora a cancellare – in mezzo alla più cupa disperazione –una frase, ora a scriverne un’altra – nella più sublimeestasi – quando un’ombra oscurò le pagine. Orlando siaffrettò a nascondere il suo manoscritto.

Siccome la sua finestra dava sul cortile più interno ditutta la casa, siccome aveva dato ordine di non introdur-re nessuno, siccome non conosceva nessuno ed era ellastessa legalmente ignota, dapprima quell’ombra la sor-prese, poi la indignò; in ultimo (quando, alzati gli occhi,ebbe compreso da chi provenisse quell’ombra), caddenella più matta allegria. Poiché si trattava di un’ombraben nota, di un’ombra grottesca che, però, era nienteme-no che l’ombra di un personaggio importante, della arci-duchessa Enrichetta Griselda di Finster-Aarhorn eScand-op-Boom in terra di Rumenia. Eccola che attra-versava il cortile saltelloni, col vecchio abito da amaz-zone e il mantello d’un tempo. Non un pelo di lei eramutato. Quella era dunque la donna che l’aveva costret-ta a fuggir d’Inghilterra! Quella era l’immaginedell’osceno avvoltoio, era il fatale rapace in persona! Alpensiero di esser fuggita fino in Turchia per sfuggire

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loro messaggio senza pur lasciarci indovinare nulla delloro senso, ella buttò il cheroot dalla finestra e andò aletto.

Il mattino seguente, riprendendo il corso di quei pen-sieri, trasse carta e penna, e si mise di nuovo a lavorarealla “Quercia”; poiché è un piacere delizioso davveroavere inchiostro e carta in quantità, quando ci si è dovutiaccontentare di more e di margini. Era dunque intentaora a cancellare – in mezzo alla più cupa disperazione –una frase, ora a scriverne un’altra – nella più sublimeestasi – quando un’ombra oscurò le pagine. Orlando siaffrettò a nascondere il suo manoscritto.

Siccome la sua finestra dava sul cortile più interno ditutta la casa, siccome aveva dato ordine di non introdur-re nessuno, siccome non conosceva nessuno ed era ellastessa legalmente ignota, dapprima quell’ombra la sor-prese, poi la indignò; in ultimo (quando, alzati gli occhi,ebbe compreso da chi provenisse quell’ombra), caddenella più matta allegria. Poiché si trattava di un’ombraben nota, di un’ombra grottesca che, però, era nienteme-no che l’ombra di un personaggio importante, della arci-duchessa Enrichetta Griselda di Finster-Aarhorn eScand-op-Boom in terra di Rumenia. Eccola che attra-versava il cortile saltelloni, col vecchio abito da amaz-zone e il mantello d’un tempo. Non un pelo di lei eramutato. Quella era dunque la donna che l’aveva costret-ta a fuggir d’Inghilterra! Quella era l’immaginedell’osceno avvoltoio, era il fatale rapace in persona! Alpensiero di esser fuggita fino in Turchia per sfuggire

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alle sue seduzioni (ora ben appassite in realtà) Orlandosi mise a ridere forte. Quello spettacolo era pur irresisti-bilmente comico! Rassomigliava, come già Orlandoaveva osservato, in tutto e per tutto a una lepre; ne ave-va lo sguardo fisso, le guance cascanti, l’alto ciuffo.Adesso si era fermata, proprio come una lepre che siedeeretta nel granturco, e si crede inosservata; e guardò fis-so Orlando che, dalla sua finestra, le rimandò quellosguardo. Rimasero a guardarsi così per un bel po’ ditempo, poi Orlando capì che non le rimaneva altro chepregarla di entrare; cosicché pochi minuti dopo le duesignore si stavano scambiando i soliti complimenti,mentre l’Arciduchessa scuoteva la neve dal suo mantel-lo.

«Maledette le donne» osservò tra sé Orlando, avvici-nandosi alla credenza per prendervi un bicchiere divino; «non vi lasciano mai in pace. Non c’è razza piùcuriosa, ficcanaso, intrigante. Per sfuggire a questa per-ticona ho lasciato l’Inghilterra, ed ora...» Qui si volseper offrire il vassoio all’Arciduchessa e, oh meraviglia!,al posto suo c’era un gentiluomo vestito di nero; e, nellagriglia del caminetto, un fagotto di abiti. Ella era solacon un uomo.

Richiamata così all’improvviso alla coscienza del suosesso, e a quella del sesso di lui, dal quale, ora, ella eratanto lontana perché esso le riuscisse non meno imba-razzante, Orlando si sentì mancare.

«Là!» esclamò, portandosi una mano al petto «comemi avete spaventata!»

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alle sue seduzioni (ora ben appassite in realtà) Orlandosi mise a ridere forte. Quello spettacolo era pur irresisti-bilmente comico! Rassomigliava, come già Orlandoaveva osservato, in tutto e per tutto a una lepre; ne ave-va lo sguardo fisso, le guance cascanti, l’alto ciuffo.Adesso si era fermata, proprio come una lepre che siedeeretta nel granturco, e si crede inosservata; e guardò fis-so Orlando che, dalla sua finestra, le rimandò quellosguardo. Rimasero a guardarsi così per un bel po’ ditempo, poi Orlando capì che non le rimaneva altro chepregarla di entrare; cosicché pochi minuti dopo le duesignore si stavano scambiando i soliti complimenti,mentre l’Arciduchessa scuoteva la neve dal suo mantel-lo.

«Maledette le donne» osservò tra sé Orlando, avvici-nandosi alla credenza per prendervi un bicchiere divino; «non vi lasciano mai in pace. Non c’è razza piùcuriosa, ficcanaso, intrigante. Per sfuggire a questa per-ticona ho lasciato l’Inghilterra, ed ora...» Qui si volseper offrire il vassoio all’Arciduchessa e, oh meraviglia!,al posto suo c’era un gentiluomo vestito di nero; e, nellagriglia del caminetto, un fagotto di abiti. Ella era solacon un uomo.

Richiamata così all’improvviso alla coscienza del suosesso, e a quella del sesso di lui, dal quale, ora, ella eratanto lontana perché esso le riuscisse non meno imba-razzante, Orlando si sentì mancare.

«Là!» esclamò, portandosi una mano al petto «comemi avete spaventata!»

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«Gentil creatura» gridò l’Arciduchessa, piegando unginocchio davanti a lei, mentre le andava avvicinandoalle labbra un cordiale «perdonatemi questa soperchie-ria!»

Orlando centellinò il vino, e l’Arciduca s’inginocchiòe le baciò la mano.

A farla breve, per una decina di minuti rappresentaro-no le loro parti d’uomo e di donna con grande impegno,poi il discorso si avviò a diventar naturale. L’Arcidu-chessa (che d’ora innanzi chiameremo Arciduca) rac-contò la sua storia – era un uomo, e tale era sempre sta-to; aveva veduto un ritratto di Orlando, e ne era cadutoappassionatamente innamorato, e, per raggiungere i suoiscopi, s’era vestito da donna e aveva preso l’alloggio dalprestinaio; allorché Orlando era fuggito in Turchia si eradato alla disperazione, e ora, sentendo parlare della suatrasformazione, si era affrettato a venirle a offrire i suoiservigi (e qui la sua balbuzie divenne irrefrenabile). Perlui, disse l’arciduca Enrico, ella sarebbe stata eterna-mente il Prodigio, la Perla, la Perfezione del di lei sesso.E quei tre P sarebbero stati altamente persuasivi, se nonfossero stati alternati da singulti e risatine, le più buffedel mondo. “Se questo è l’amore” si disse Orlando,mentre considerava l’Arciduca, seduto all’altro lato delparafuoco, e lo considerava dal punto di vista femminile“mi sembra una faccenda sommamente ridicola.”

Nel frattempo l’arciduca Enrico, sempre a ginocchi,le faceva le più appassionate proteste d’amore. Narròcome possedesse qualcosa come venti milioni di ducati,

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«Gentil creatura» gridò l’Arciduchessa, piegando unginocchio davanti a lei, mentre le andava avvicinandoalle labbra un cordiale «perdonatemi questa soperchie-ria!»

Orlando centellinò il vino, e l’Arciduca s’inginocchiòe le baciò la mano.

A farla breve, per una decina di minuti rappresentaro-no le loro parti d’uomo e di donna con grande impegno,poi il discorso si avviò a diventar naturale. L’Arcidu-chessa (che d’ora innanzi chiameremo Arciduca) rac-contò la sua storia – era un uomo, e tale era sempre sta-to; aveva veduto un ritratto di Orlando, e ne era cadutoappassionatamente innamorato, e, per raggiungere i suoiscopi, s’era vestito da donna e aveva preso l’alloggio dalprestinaio; allorché Orlando era fuggito in Turchia si eradato alla disperazione, e ora, sentendo parlare della suatrasformazione, si era affrettato a venirle a offrire i suoiservigi (e qui la sua balbuzie divenne irrefrenabile). Perlui, disse l’arciduca Enrico, ella sarebbe stata eterna-mente il Prodigio, la Perla, la Perfezione del di lei sesso.E quei tre P sarebbero stati altamente persuasivi, se nonfossero stati alternati da singulti e risatine, le più buffedel mondo. “Se questo è l’amore” si disse Orlando,mentre considerava l’Arciduca, seduto all’altro lato delparafuoco, e lo considerava dal punto di vista femminile“mi sembra una faccenda sommamente ridicola.”

Nel frattempo l’arciduca Enrico, sempre a ginocchi,le faceva le più appassionate proteste d’amore. Narròcome possedesse qualcosa come venti milioni di ducati,

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in una cassaforte del suo castello. Aveva più acri di terradi qualsiasi gentiluomo inglese. La caccia vi era abbon-dante; poteva prometterle tante pernici bianche e tantigalli cedroni quanti non ve n’erano in tutta la Gran Bre-tagna, compresa la Scozia. A dire il vero, i fagiani ave-vano sofferto alquanto durante la sua assenza e le fem-mine dei daini non avevano più figliato, ma erano cosecui si poteva porre riparo, ed ella lo avrebbe aiutato aciò, quando avessero vissuto assieme in Rumenia.

Mentre parlava, nei suoi occhi piuttosto sporgenti siandavano formando lacrime enormi, che colavano unadopo l’altra giù per le rughe delle guance lunghe e flo-sce.

Gli uomini piangono tanto spesso e altrettanto senzaragione quanto le donne, e Orlando lo sapeva, avendonefatto l’esperienza quand’era uomo; ma ora cominciava acomprendere come le donne finiscano per seccarsi,quando gli uomini fanno sfoggio l’emozioni in loro pre-senza, e così se ne scandalizzò.

L’Arciduca si scusò. Riuscì a dominarsi tanto da dirleche per ora se ne sarebbe andato, ma che sarebbe torna-to il giorno dopo per la risposta.

Era, quel giorno, un martedì. Egli tornò il mercoledì,tornò il giovedì, tornò il venerdì e tornò il sabato. Vero èche ogni visita cominciava, continuava e si concludevacon una dichiarazione d’amore, ma tra gl’intervalli c’eramolto tempo per tacere. Sedevano ciascuno a un lato delcaminetto, e talvolta l’Arciduca faceva cadere le molle,e Orlando le raddrizzava. Poi l’Arciduca si ricordava di

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in una cassaforte del suo castello. Aveva più acri di terradi qualsiasi gentiluomo inglese. La caccia vi era abbon-dante; poteva prometterle tante pernici bianche e tantigalli cedroni quanti non ve n’erano in tutta la Gran Bre-tagna, compresa la Scozia. A dire il vero, i fagiani ave-vano sofferto alquanto durante la sua assenza e le fem-mine dei daini non avevano più figliato, ma erano cosecui si poteva porre riparo, ed ella lo avrebbe aiutato aciò, quando avessero vissuto assieme in Rumenia.

Mentre parlava, nei suoi occhi piuttosto sporgenti siandavano formando lacrime enormi, che colavano unadopo l’altra giù per le rughe delle guance lunghe e flo-sce.

Gli uomini piangono tanto spesso e altrettanto senzaragione quanto le donne, e Orlando lo sapeva, avendonefatto l’esperienza quand’era uomo; ma ora cominciava acomprendere come le donne finiscano per seccarsi,quando gli uomini fanno sfoggio l’emozioni in loro pre-senza, e così se ne scandalizzò.

L’Arciduca si scusò. Riuscì a dominarsi tanto da dirleche per ora se ne sarebbe andato, ma che sarebbe torna-to il giorno dopo per la risposta.

Era, quel giorno, un martedì. Egli tornò il mercoledì,tornò il giovedì, tornò il venerdì e tornò il sabato. Vero èche ogni visita cominciava, continuava e si concludevacon una dichiarazione d’amore, ma tra gl’intervalli c’eramolto tempo per tacere. Sedevano ciascuno a un lato delcaminetto, e talvolta l’Arciduca faceva cadere le molle,e Orlando le raddrizzava. Poi l’Arciduca si ricordava di

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quando aveva ucciso un alce in Svezia, e Orlando do-mandava se era un alce molto grosso e l’Arciduca ri-spondeva che non lo era tanto quanto la renna da lui uc-cisa in Norvegia; e Orlando gli domandava se non aves-se mai ammazzato una tigre, e l’Arciduca diceva di averucciso un albatros, e Orlando s’informava (nascondendoa metà uno sbadiglio) se un albatros era grande come unelefante, e l’Arciduca allora diceva... qualcosa di moltobuon senso, senza dubbio, ma che Orlando non ascolta-va perché intenta a guardare il suo scrittoio, o fuor dellafinestra, o verso la porta. Dopo di che l’Arciduca diceva«Vi adoro» nel preciso istante in cui Orlando diceva«Oh, incomincia a piovere»; e rimanevano entrambimolto confusi, e arrossivano, e nessuno sapeva più chedire. In verità, Orlando non sapeva più che argomentotirar fuori; e già pensava che, se andava avanti di questopasso, sarebbe stata costretta a sposarlo, quando le ven-ne in mente un giuoco che si chiamava “Mosca posati”:un giuoco al quale senza alcuno sforzo d’intelligenza sipossono perdere grandi somme di denaro. Altrimenti,non avrebbe saputo davvero come sbarazzarsi dell’Arci-duca. Con quel mezzo, assai semplice, per il quale oc-corrono soltanto tre pezzi di zucchero e qualche mosca,l’imbarazzo scompariva dalla conversazione, e si evita-va altresì la necessità del matrimonio. In un momento,l’Arciduca aveva scommesso cinquecento sterline con-tro uno scellino che la prima mosca si sarebbe posata sultal pezzo di zucchero, e non su altri. Così avevano tro-vato un’occupazione che bastava a riempire un’intera

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quando aveva ucciso un alce in Svezia, e Orlando do-mandava se era un alce molto grosso e l’Arciduca ri-spondeva che non lo era tanto quanto la renna da lui uc-cisa in Norvegia; e Orlando gli domandava se non aves-se mai ammazzato una tigre, e l’Arciduca diceva di averucciso un albatros, e Orlando s’informava (nascondendoa metà uno sbadiglio) se un albatros era grande come unelefante, e l’Arciduca allora diceva... qualcosa di moltobuon senso, senza dubbio, ma che Orlando non ascolta-va perché intenta a guardare il suo scrittoio, o fuor dellafinestra, o verso la porta. Dopo di che l’Arciduca diceva«Vi adoro» nel preciso istante in cui Orlando diceva«Oh, incomincia a piovere»; e rimanevano entrambimolto confusi, e arrossivano, e nessuno sapeva più chedire. In verità, Orlando non sapeva più che argomentotirar fuori; e già pensava che, se andava avanti di questopasso, sarebbe stata costretta a sposarlo, quando le ven-ne in mente un giuoco che si chiamava “Mosca posati”:un giuoco al quale senza alcuno sforzo d’intelligenza sipossono perdere grandi somme di denaro. Altrimenti,non avrebbe saputo davvero come sbarazzarsi dell’Arci-duca. Con quel mezzo, assai semplice, per il quale oc-corrono soltanto tre pezzi di zucchero e qualche mosca,l’imbarazzo scompariva dalla conversazione, e si evita-va altresì la necessità del matrimonio. In un momento,l’Arciduca aveva scommesso cinquecento sterline con-tro uno scellino che la prima mosca si sarebbe posata sultal pezzo di zucchero, e non su altri. Così avevano tro-vato un’occupazione che bastava a riempire un’intera

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mattinata, tenendo d’occhio le mosche in volo (a quellastagione, erano così insonnolite da metterci un’ora perfare il giro del soffitto) fino a che una bella mosca colorblu bottiglia non finiva col far la sua scelta, e varie cen-tinaia di sterline cambiarono così di padrone a quelgiuoco, che l’Arciduca, giocatore nato, giurava esserbello quanto il puntare alle corse, e faceva voto di nongiocar mai più altro in vita sua. Ma presto Orlando inco-minciò a stancarsene.

“A che mi serve essere una bella giovane nel fior de-gli anni” si domandava “se debbo passar le mie mattina-te a guardar le mosche blu in compagnia di un arcidu-ca?”

Cominciò a odiare la sola vista dello zucchero; le mo-sche le davano il capogiro. Eppure, si figurava che cidovesse essere un mezzo per uscirne, ma era ancora ti-mida nell’usare gli artifici del proprio sesso, né le erapermesso di stordire un uomo con un colpo di mazza-picchio, né di passargli la sua spada da parte a parte; al-lora, escogitò un mezzo che le parve il migliore. Ac-chiappò una mosca, la ammazzò delicatamente (era giàmezzo morta, altrimenti la sua pietà verso tutte le crea-ture non glielo avrebbe permesso) e con una gocciolinadi gomma arabica l’attaccò su di un pezzetto di zucche-ro; e, mentre l’Arciduca esplorava il soffitto, ella sosti-tuiva abilmente il pezzetto a quello sul quale aveva pun-tato, gridando: «Posata! Posata!» e annunciava cosìd’aver vinto la posta. Ella sperava che l’Arciduca, prati-co di ogni specie di giochi e di scommesse sui cavalli,

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mattinata, tenendo d’occhio le mosche in volo (a quellastagione, erano così insonnolite da metterci un’ora perfare il giro del soffitto) fino a che una bella mosca colorblu bottiglia non finiva col far la sua scelta, e varie cen-tinaia di sterline cambiarono così di padrone a quelgiuoco, che l’Arciduca, giocatore nato, giurava esserbello quanto il puntare alle corse, e faceva voto di nongiocar mai più altro in vita sua. Ma presto Orlando inco-minciò a stancarsene.

“A che mi serve essere una bella giovane nel fior de-gli anni” si domandava “se debbo passar le mie mattina-te a guardar le mosche blu in compagnia di un arcidu-ca?”

Cominciò a odiare la sola vista dello zucchero; le mo-sche le davano il capogiro. Eppure, si figurava che cidovesse essere un mezzo per uscirne, ma era ancora ti-mida nell’usare gli artifici del proprio sesso, né le erapermesso di stordire un uomo con un colpo di mazza-picchio, né di passargli la sua spada da parte a parte; al-lora, escogitò un mezzo che le parve il migliore. Ac-chiappò una mosca, la ammazzò delicatamente (era giàmezzo morta, altrimenti la sua pietà verso tutte le crea-ture non glielo avrebbe permesso) e con una gocciolinadi gomma arabica l’attaccò su di un pezzetto di zucche-ro; e, mentre l’Arciduca esplorava il soffitto, ella sosti-tuiva abilmente il pezzetto a quello sul quale aveva pun-tato, gridando: «Posata! Posata!» e annunciava cosìd’aver vinto la posta. Ella sperava che l’Arciduca, prati-co di ogni specie di giochi e di scommesse sui cavalli,

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avrebbe finito per scoprire la frode, e siccome il barare a“Mosca posati” è il più odioso tra tutti i delitti, e vi sonostati uomini che, per causa di ciò, sono stati banditi persempre dal consorzio civile e condannati a vivere incompagnia delle scimmie sotto i tropici, egli si sarebbesentito abbastanza uomo da farsi forza, e staccarsi persempre da lei. Ma ella aveva mal giudicato la semplicitàdi quell’amabile gentiluomo. L’Arciduca non era buongiudice in fatto di mosche: per lui, una mosca viva nonera gran che diversa da una morta. Orlando barò ventivolte, ed egli le pagò più di 17.250 libbre (che equival-gono a circa 40.855 sterline, 6 scellini e 8 pence in mo-neta nostra) prima che ella si decidesse a mettere in ope-ra il suo trucco in modo così grossolano che l’Arciducanon poté fare a meno di accorgersene. Quando compresealfine la verità, seguì una scena penosa. Fattosi paonaz-zo in viso, l’Arciduca si drizzò quant’era alto, mentre lelagrime gli rigavano le guance a una a una. Non gli im-portava gran che di aver perso una fortuna contro di lei,anzi, ne era ben felice; se era grave che ella lo avesse in-gannato, il peggio era l’aver barato a “Mosca posati”.Amare una donna che barava al gioco, diss’egli, eracosa che andava oltre le sue forze. E qui si abbatté com-pletamente. Per fortuna, disse, rimettendosi alquanto,non c’erano stati testimoni. Dopo tutto, ella era soltantouna donna. In breve, con tutta la cavalleria del cuor suoera disposto a perdonarle; e già si prosternava a doman-darle perdono della violenza del suo linguaggio, allor-ché Orlando, mentr’egli chinava il capo orgoglioso, ta-

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avrebbe finito per scoprire la frode, e siccome il barare a“Mosca posati” è il più odioso tra tutti i delitti, e vi sonostati uomini che, per causa di ciò, sono stati banditi persempre dal consorzio civile e condannati a vivere incompagnia delle scimmie sotto i tropici, egli si sarebbesentito abbastanza uomo da farsi forza, e staccarsi persempre da lei. Ma ella aveva mal giudicato la semplicitàdi quell’amabile gentiluomo. L’Arciduca non era buongiudice in fatto di mosche: per lui, una mosca viva nonera gran che diversa da una morta. Orlando barò ventivolte, ed egli le pagò più di 17.250 libbre (che equival-gono a circa 40.855 sterline, 6 scellini e 8 pence in mo-neta nostra) prima che ella si decidesse a mettere in ope-ra il suo trucco in modo così grossolano che l’Arciducanon poté fare a meno di accorgersene. Quando compresealfine la verità, seguì una scena penosa. Fattosi paonaz-zo in viso, l’Arciduca si drizzò quant’era alto, mentre lelagrime gli rigavano le guance a una a una. Non gli im-portava gran che di aver perso una fortuna contro di lei,anzi, ne era ben felice; se era grave che ella lo avesse in-gannato, il peggio era l’aver barato a “Mosca posati”.Amare una donna che barava al gioco, diss’egli, eracosa che andava oltre le sue forze. E qui si abbatté com-pletamente. Per fortuna, disse, rimettendosi alquanto,non c’erano stati testimoni. Dopo tutto, ella era soltantouna donna. In breve, con tutta la cavalleria del cuor suoera disposto a perdonarle; e già si prosternava a doman-darle perdono della violenza del suo linguaggio, allor-ché Orlando, mentr’egli chinava il capo orgoglioso, ta-

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gliò corto alla scena facendogli scivolare tra pelle e ca-micia un piccolo rospo.

Per render giustizia a Orlando, diremo che ella avreb-be infinitamente preferito un fioretto. I rospi sono cosetroppo viscide, per poterle nascondere sulla propria per-sona per tutta una mattina. Ma quando i fioretti sonoproibiti, bisogna pur ricorrere ai rospi. Si aggiunga cherospi e risate posson talvolta compiere quel che è im-possibile all’acciaio. Ella rise. L’Arciduca arrossì. Ellarise. L’Arciduca bestemmiò. Ella rise. L’Arciduca uscìsbattendo l’uscio.

«Sia lodato il cielo!» esclamò Orlando, che rideva an-cora. Udì il rotolar delle ruote d’una carrozza che uscivadal cortile al gran galoppo. La udì allontanarsi, affievo-lirsi, finché il rumore tacque del tutto.

«Eccomi sola» disse Orlando, ora che non c’era piùnessuno che la sentisse.

Che il silenzio sia più profondo dopo un rumore, ècosa che richiede ancora una conferma da parte dellascienza. Ma moltissime donne sarebbero certamente di-sposte a giurare che la solitudine è molto più sensibiledopo che si è state corteggiate. Mentre il rumore delleruote della carrozza dell’Arciduca si spegneva in lonta-nanza, Orlando sentiva più e più allontanarsi da lei unarciduca (e poco gliene importasta), un titolo (e pocogliene importava), gli agi e la sicurtà di una vita matri-moniale (e poco gliene importava); ma sentiva allonta-narsi da lei la vita, e un amante. «La vita e un amante»

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gliò corto alla scena facendogli scivolare tra pelle e ca-micia un piccolo rospo.

Per render giustizia a Orlando, diremo che ella avreb-be infinitamente preferito un fioretto. I rospi sono cosetroppo viscide, per poterle nascondere sulla propria per-sona per tutta una mattina. Ma quando i fioretti sonoproibiti, bisogna pur ricorrere ai rospi. Si aggiunga cherospi e risate posson talvolta compiere quel che è im-possibile all’acciaio. Ella rise. L’Arciduca arrossì. Ellarise. L’Arciduca bestemmiò. Ella rise. L’Arciduca uscìsbattendo l’uscio.

«Sia lodato il cielo!» esclamò Orlando, che rideva an-cora. Udì il rotolar delle ruote d’una carrozza che uscivadal cortile al gran galoppo. La udì allontanarsi, affievo-lirsi, finché il rumore tacque del tutto.

«Eccomi sola» disse Orlando, ora che non c’era piùnessuno che la sentisse.

Che il silenzio sia più profondo dopo un rumore, ècosa che richiede ancora una conferma da parte dellascienza. Ma moltissime donne sarebbero certamente di-sposte a giurare che la solitudine è molto più sensibiledopo che si è state corteggiate. Mentre il rumore delleruote della carrozza dell’Arciduca si spegneva in lonta-nanza, Orlando sentiva più e più allontanarsi da lei unarciduca (e poco gliene importasta), un titolo (e pocogliene importava), gli agi e la sicurtà di una vita matri-moniale (e poco gliene importava); ma sentiva allonta-narsi da lei la vita, e un amante. «La vita e un amante»

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mormorò; e avvicinatasi allo scrittoio, intinse la pennanell’inchiostro e scrisse:

“La vita e un amante”; un verso che né per ritmo néper senso s’accordava con ciò che veniva prima, che eraqualcosa intorno al miglior modo di far prendere il ba-gno alle pecore per evitar loro la rogna. Rileggendoquelle parole, ella arrossì, e le ripeté:

«La vita e un amante.» Poi, mettendo da parte la pen-na, passò nella sua camera da letto, si mise davanti allospecchio e si accomodò le perle intorno al collo. Dopodi che, siccome le perle non figurano molto su di un abi-to da mattina di cotonina a fiorami, cambiò quella vestecon una di taffetà grigio tortora; poi, con un’altra colorfior di pesco; poi, con una di broccato rosso vino. Forseaveva bisogno di un velo di cipria, e i capelli le avrebbe-ro incorniciato meglio il viso, ove fossero stati accon-ciati – così, ecco – sulla fronte. Infilò poi un paio discarpine a punta, e si pose al dito un grosso smeraldo.«Ecco» disse quando ebbe finito; e accese i candelabrid’argento ai fianchi dello specchio. Qual donna nonavrebbe arrossito di gioia allo spettacolo che Orlandovide infiammarsi tra la neve? Perché tutto lo specchioera animato da distese nevose, ed ella stessa appariva si-mile a una fiamma, a un roveto ardente, e le fiammedelle candele le cingevano la testa di rutilanti foglie ar-gentee; a meno che il vetro non fosse un’acqua glauca, elei, Orlando, una sirena vestita di perle, un’ondina celatanel cavo d’una grotta, dove cantava affinché i marinai sicurvassero dalle loro navi e cadessero, cadessero tra i

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mormorò; e avvicinatasi allo scrittoio, intinse la pennanell’inchiostro e scrisse:

“La vita e un amante”; un verso che né per ritmo néper senso s’accordava con ciò che veniva prima, che eraqualcosa intorno al miglior modo di far prendere il ba-gno alle pecore per evitar loro la rogna. Rileggendoquelle parole, ella arrossì, e le ripeté:

«La vita e un amante.» Poi, mettendo da parte la pen-na, passò nella sua camera da letto, si mise davanti allospecchio e si accomodò le perle intorno al collo. Dopodi che, siccome le perle non figurano molto su di un abi-to da mattina di cotonina a fiorami, cambiò quella vestecon una di taffetà grigio tortora; poi, con un’altra colorfior di pesco; poi, con una di broccato rosso vino. Forseaveva bisogno di un velo di cipria, e i capelli le avrebbe-ro incorniciato meglio il viso, ove fossero stati accon-ciati – così, ecco – sulla fronte. Infilò poi un paio discarpine a punta, e si pose al dito un grosso smeraldo.«Ecco» disse quando ebbe finito; e accese i candelabrid’argento ai fianchi dello specchio. Qual donna nonavrebbe arrossito di gioia allo spettacolo che Orlandovide infiammarsi tra la neve? Perché tutto lo specchioera animato da distese nevose, ed ella stessa appariva si-mile a una fiamma, a un roveto ardente, e le fiammedelle candele le cingevano la testa di rutilanti foglie ar-gentee; a meno che il vetro non fosse un’acqua glauca, elei, Orlando, una sirena vestita di perle, un’ondina celatanel cavo d’una grotta, dove cantava affinché i marinai sicurvassero dalle loro navi e cadessero, cadessero tra i

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flutti per abbracciarla; così oscura, così vivida, così ada-mantina, così dolce, ella si ammantava di tal ricco fasci-no che era davvero gran peccato non ci fosse là unuomo disposto a dirle in buon inglese: “Che il diavolomi porti, Madama, se voi non siete la grazia in carne eossa”. Cosa che era la pura verità. Persino Orlando, chepur non era vanitosa, lo sapeva, poiché sorrise di quelsorriso che nasce sul labbro delle donne quando la loropropria bellezza, che per un istante sembra loro estra-nea, assume la forma di una goccia, fluisce come unapolla d’acqua e appare improvvisa entro la corniced’uno specchio. Di quel sorriso Orlando sorrise, e perun momento tese l’orecchio; ma non s’udiva altro che ilfruscio del vento tra le foglie e il cinguettio dei passeri.Allora sospirò: «La vita e un amante»; poi con straordi-naria rapidità piroettò sui tacchi, si strappò le perle dalcollo, le sete dal corpo, e, ritta in piedi nei ben attillatipantaloni corti di seta nera, quali ne portano i gentiluo-mini, suonò il campanello. Al domestico che le si pre-sentò, ordinò di far attaccare immediatamente il tiro asei. Affari urgenti la chiamavano a Londra. In mend’un’ora dopo la partenza dell’Arciduca, ella partiva asua volta.

Poiché il paesaggio che Orlando attraversava nel suotragitto era un piano paesaggio inglese, di quelli che nonnecessitano descrizione alcuna, coglieremo dunquel’occasione di quest’intermezzo per attirare l’attenzionedel lettore, meglio di quanto non abbiamo potuto farlo

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flutti per abbracciarla; così oscura, così vivida, così ada-mantina, così dolce, ella si ammantava di tal ricco fasci-no che era davvero gran peccato non ci fosse là unuomo disposto a dirle in buon inglese: “Che il diavolomi porti, Madama, se voi non siete la grazia in carne eossa”. Cosa che era la pura verità. Persino Orlando, chepur non era vanitosa, lo sapeva, poiché sorrise di quelsorriso che nasce sul labbro delle donne quando la loropropria bellezza, che per un istante sembra loro estra-nea, assume la forma di una goccia, fluisce come unapolla d’acqua e appare improvvisa entro la corniced’uno specchio. Di quel sorriso Orlando sorrise, e perun momento tese l’orecchio; ma non s’udiva altro che ilfruscio del vento tra le foglie e il cinguettio dei passeri.Allora sospirò: «La vita e un amante»; poi con straordi-naria rapidità piroettò sui tacchi, si strappò le perle dalcollo, le sete dal corpo, e, ritta in piedi nei ben attillatipantaloni corti di seta nera, quali ne portano i gentiluo-mini, suonò il campanello. Al domestico che le si pre-sentò, ordinò di far attaccare immediatamente il tiro asei. Affari urgenti la chiamavano a Londra. In mend’un’ora dopo la partenza dell’Arciduca, ella partiva asua volta.

Poiché il paesaggio che Orlando attraversava nel suotragitto era un piano paesaggio inglese, di quelli che nonnecessitano descrizione alcuna, coglieremo dunquel’occasione di quest’intermezzo per attirare l’attenzionedel lettore, meglio di quanto non abbiamo potuto farlo

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finora, su di un paio di osservazioni cadute qua e là nelcorso del nostro racconto. Non sarà sfuggito, per esem-pio, come Orlando, colta di sorpresa, nascondesse il suomanoscritto. In seguito, è stata vista contemplarsi a lun-go e attentamente nello specchio; e in quel momentostesso, mentre la carrozza la trasportava verso Londra,potremmo vedere come ella trasalisce, e reprime a sten-to un gridolino ogni volta che i cavalli galoppano un po’troppo focosi. Tanta modestia di poeta, tanta vanità didonna, tanti timori per la sua sicurtà, tutto ci sembraconfermare che ciò che abbiamo asserito poco fa, e cioèche Orlando uomo e Orlando donna fossero rimasticome prima, sia un fatto che va perdendo la sua assolutaverità. Come tutte le donne, Orlando diventava un po’meno orgogliosa quando si trattava della propria intelli-genza, e un poco più vanitosa, come tutte le donne, dellasua persona. Certe sensibilità si sviluppavano, altre si at-tutivano. Il cambio delle vesti, dirà qualche filosofo, en-trava non poco in tutto ciò. Per quanto sembrino cose disecondaria importanza, la missione degli abiti non è sol-tanto quella di tenerci caldo. Essi cambiano l’aspetto delmondo ai nostri occhi, e cambiano noi agli occhi delmondo. Per esempio, quando il capitano Bartolus avevavisto le vesti di Orlando, aveva fatto rizzare immediata-mente la tenda per lei, le aveva offerto, a tavola, un’altrafetta di manzo, e l’aveva invitata a scendere a terra conlui nella sua scialuppa. Certo è che ella non avrebbe rac-colto tanti omaggi, se la stoffa delle sue gonne, invecedi scendere in pieghe, avesse modellato le gambe, ta-

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finora, su di un paio di osservazioni cadute qua e là nelcorso del nostro racconto. Non sarà sfuggito, per esem-pio, come Orlando, colta di sorpresa, nascondesse il suomanoscritto. In seguito, è stata vista contemplarsi a lun-go e attentamente nello specchio; e in quel momentostesso, mentre la carrozza la trasportava verso Londra,potremmo vedere come ella trasalisce, e reprime a sten-to un gridolino ogni volta che i cavalli galoppano un po’troppo focosi. Tanta modestia di poeta, tanta vanità didonna, tanti timori per la sua sicurtà, tutto ci sembraconfermare che ciò che abbiamo asserito poco fa, e cioèche Orlando uomo e Orlando donna fossero rimasticome prima, sia un fatto che va perdendo la sua assolutaverità. Come tutte le donne, Orlando diventava un po’meno orgogliosa quando si trattava della propria intelli-genza, e un poco più vanitosa, come tutte le donne, dellasua persona. Certe sensibilità si sviluppavano, altre si at-tutivano. Il cambio delle vesti, dirà qualche filosofo, en-trava non poco in tutto ciò. Per quanto sembrino cose disecondaria importanza, la missione degli abiti non è sol-tanto quella di tenerci caldo. Essi cambiano l’aspetto delmondo ai nostri occhi, e cambiano noi agli occhi delmondo. Per esempio, quando il capitano Bartolus avevavisto le vesti di Orlando, aveva fatto rizzare immediata-mente la tenda per lei, le aveva offerto, a tavola, un’altrafetta di manzo, e l’aveva invitata a scendere a terra conlui nella sua scialuppa. Certo è che ella non avrebbe rac-colto tanti omaggi, se la stoffa delle sue gonne, invecedi scendere in pieghe, avesse modellato le gambe, ta-

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gliata a forma di brache. E quando riceviamo certe at-tenzioni delicate, è dover nostro ricompensarle in qual-che modo. Orlando aveva fatto la sua brava riverenza;s’era compiaciuta di accettare; aveva lusingato ilbrav’uomo, come certo non avrebbe fatto se i suoi ele-ganti pantaloni fossero stati una sottana, e la giubba gal-lonata un corpetto di raso. Così si potrebbe sostener conqualche ragione che sono gli abiti che portano noi, e nonnoi che portiamo gli abiti; noi possiamo far sì che essimodellino per bene un braccio, o il petto, ma essi mo-dellano il nostro cuore, i nostri cervelli, le nostre linguea piacer loro. Non era passato molto tempo, e in Orlan-do l’uso delle vesti femminili aveva modificato persino itratti del viso. Se paragoniamo il ritratto di Orlandouomo con quello di Orlando donna, vedremo che, perquanto entrambi rappresentino indubbiamente una solapersona, certi mutamenti appaiono palesi. L’uomo ha lamano libera, pronta a stringere il ferro; nella donna, lastessa mano è occupata a trattenere la seta che le scivoladalle spalle. L’uomo guarda il mondo bene in faccia,come se fosse creato per lui solo e foggiato secondo ilsuo piacere. La donna gli dà un’occhiata in tralice, am-bigua e fors’anche un tantino sospettosa. Se portasseroentrambi gli stessi abiti, forse la loro apparenza sarebbela stessa.

Fin qui l’opinione di alcuni filosofi, e dei più saggi;ma in complesso, la nostra è ben diversa. Per fortuna, ladifferenza tra i due sessi è assai più profonda. Gli abitinon sono che il simbolo di ciò che sotto vi si cela, e

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gliata a forma di brache. E quando riceviamo certe at-tenzioni delicate, è dover nostro ricompensarle in qual-che modo. Orlando aveva fatto la sua brava riverenza;s’era compiaciuta di accettare; aveva lusingato ilbrav’uomo, come certo non avrebbe fatto se i suoi ele-ganti pantaloni fossero stati una sottana, e la giubba gal-lonata un corpetto di raso. Così si potrebbe sostener conqualche ragione che sono gli abiti che portano noi, e nonnoi che portiamo gli abiti; noi possiamo far sì che essimodellino per bene un braccio, o il petto, ma essi mo-dellano il nostro cuore, i nostri cervelli, le nostre linguea piacer loro. Non era passato molto tempo, e in Orlan-do l’uso delle vesti femminili aveva modificato persino itratti del viso. Se paragoniamo il ritratto di Orlandouomo con quello di Orlando donna, vedremo che, perquanto entrambi rappresentino indubbiamente una solapersona, certi mutamenti appaiono palesi. L’uomo ha lamano libera, pronta a stringere il ferro; nella donna, lastessa mano è occupata a trattenere la seta che le scivoladalle spalle. L’uomo guarda il mondo bene in faccia,come se fosse creato per lui solo e foggiato secondo ilsuo piacere. La donna gli dà un’occhiata in tralice, am-bigua e fors’anche un tantino sospettosa. Se portasseroentrambi gli stessi abiti, forse la loro apparenza sarebbela stessa.

Fin qui l’opinione di alcuni filosofi, e dei più saggi;ma in complesso, la nostra è ben diversa. Per fortuna, ladifferenza tra i due sessi è assai più profonda. Gli abitinon sono che il simbolo di ciò che sotto vi si cela, e

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molto profondamente. Era un mutamento avvenutonell’intimo di Orlando quello che l’aveva spinto a sce-gliere abiti e sesso femminili. E forse, con ciò ella con-fessava soltanto un po’ più francamente di quanto non siusi di solito – la sincerità costituiva il fondo dell’animodi Orlando – cose che succedono abbastanza spesso, mache gli uomini confessano di rado. Perché qui giungia-mo a un altro dilemma. I sessi, è vero, sono diversi; ep-pure, si confondono. Non c’è essere umano che nonoscilli così da un sesso all’altro, e spesso non sono chegli abiti i quali serbano l’apparenza virile o femminile,mentre il sesso profondo è l’opposto di quello superfi-ciale. Nessuno ignorerà le complicazioni, le confusioniche ne risultano; ma qui, siamo costretti ad abbandonarela questione generalizzata, e ad osservare soltanto glistrani effetti che ebbe nel particolar caso di Orlandostessa.

Perché era poi, in realtà, quel complesso che esistevain lei dei due elementi, uomo e donna, che dava alla suacondotta un carattere inatteso. E il problema del suo ses-so costituiva, per certi spiriti che ne erano curiosi, unafonte di perplessità: come mai, per esempio, Orlando, seera una donna, non impiegava più di dieci minuti a ve-stirsi? Come mai poteva concedere così scarsa attenzio-ne alla scelta delle sue vesti, e alla loro freschezza?Pure, dicevamo, ella non aveva nessuno dei formalismidell’uomo, né l’amor di potenza dell’uomo. Era di cuoreeccessivamente tenero. Non poteva veder picchiare unasino, né affogare un gattino. Ma, d’altra parte, odiava i

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molto profondamente. Era un mutamento avvenutonell’intimo di Orlando quello che l’aveva spinto a sce-gliere abiti e sesso femminili. E forse, con ciò ella con-fessava soltanto un po’ più francamente di quanto non siusi di solito – la sincerità costituiva il fondo dell’animodi Orlando – cose che succedono abbastanza spesso, mache gli uomini confessano di rado. Perché qui giungia-mo a un altro dilemma. I sessi, è vero, sono diversi; ep-pure, si confondono. Non c’è essere umano che nonoscilli così da un sesso all’altro, e spesso non sono chegli abiti i quali serbano l’apparenza virile o femminile,mentre il sesso profondo è l’opposto di quello superfi-ciale. Nessuno ignorerà le complicazioni, le confusioniche ne risultano; ma qui, siamo costretti ad abbandonarela questione generalizzata, e ad osservare soltanto glistrani effetti che ebbe nel particolar caso di Orlandostessa.

Perché era poi, in realtà, quel complesso che esistevain lei dei due elementi, uomo e donna, che dava alla suacondotta un carattere inatteso. E il problema del suo ses-so costituiva, per certi spiriti che ne erano curiosi, unafonte di perplessità: come mai, per esempio, Orlando, seera una donna, non impiegava più di dieci minuti a ve-stirsi? Come mai poteva concedere così scarsa attenzio-ne alla scelta delle sue vesti, e alla loro freschezza?Pure, dicevamo, ella non aveva nessuno dei formalismidell’uomo, né l’amor di potenza dell’uomo. Era di cuoreeccessivamente tenero. Non poteva veder picchiare unasino, né affogare un gattino. Ma, d’altra parte, odiava i

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lavori domestici, si alzava all’alba, e d’estate vagava peri campi prima del levar del sole. Nessun agricoltore lasapeva più lunga di lei sul raccolto. Dava dei punti aimigliori bevitori, e provava gusto nei giochi d’azzardo.Era un’amazzone provetta, e capace di guidare un tiro asei al galoppo sul Ponte di Londra. Eppure, per quantoaudace e vivace come un uomo, la si era vista caderevittima delle più femminili agitazioni alla vista di unapersona in pericolo. Scoppiava in lacrime alla minimaragione. Non conosceva la geografia, trovava la mate-matica insopportabile, sosteneva, a volte, certe fanfalu-che le quali stavano certamente meglio in bocca di unadonna che non di un uomo, come quella, per esempio,che andando verso Sud si debba per forza andare in di-scesa. È dunque assai difficile, e non possiamo decider-ne su due piedi, dire se Orlando fosse più uomo o piùdonna.

Ora la sua carrozza sobbalzava sul selciato; Orlandoera giunta alla sua casa in città. Venne abbassato il pre-dellino, vennero spalancati i cancelli di ferro. Ella entra-va nella casa paterna, a Blackfriars; per quanto la modadisertasse i sobborghi, era pur sempre una dimora piace-vole e vasta, con giardini che scendevano sino al fiume,e un bel boschetto di noci per passeggiarvi sotto.

Qui Orlando si stabilì; e subito cominciò a guardarsiattorno, in cerca di quelle cose che sperava di trovare:cioè, la vita e un amante. Sulla prima ci poteva esserequalche dubbio; il secondo lo trovò senza la minima dif-

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lavori domestici, si alzava all’alba, e d’estate vagava peri campi prima del levar del sole. Nessun agricoltore lasapeva più lunga di lei sul raccolto. Dava dei punti aimigliori bevitori, e provava gusto nei giochi d’azzardo.Era un’amazzone provetta, e capace di guidare un tiro asei al galoppo sul Ponte di Londra. Eppure, per quantoaudace e vivace come un uomo, la si era vista caderevittima delle più femminili agitazioni alla vista di unapersona in pericolo. Scoppiava in lacrime alla minimaragione. Non conosceva la geografia, trovava la mate-matica insopportabile, sosteneva, a volte, certe fanfalu-che le quali stavano certamente meglio in bocca di unadonna che non di un uomo, come quella, per esempio,che andando verso Sud si debba per forza andare in di-scesa. È dunque assai difficile, e non possiamo decider-ne su due piedi, dire se Orlando fosse più uomo o piùdonna.

Ora la sua carrozza sobbalzava sul selciato; Orlandoera giunta alla sua casa in città. Venne abbassato il pre-dellino, vennero spalancati i cancelli di ferro. Ella entra-va nella casa paterna, a Blackfriars; per quanto la modadisertasse i sobborghi, era pur sempre una dimora piace-vole e vasta, con giardini che scendevano sino al fiume,e un bel boschetto di noci per passeggiarvi sotto.

Qui Orlando si stabilì; e subito cominciò a guardarsiattorno, in cerca di quelle cose che sperava di trovare:cioè, la vita e un amante. Sulla prima ci poteva esserequalche dubbio; il secondo lo trovò senza la minima dif-

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ficoltà, due giorni dopo il suo arrivo. Era giunta in cittàdi martedì. Il giovedì, ella uscì per una passeggiata nelMall, come era allora uso fra le persone di qualità. Nonaveva fatto che un giro o due sul corso, e subito ungruppo di popolaccio, gente che veniva là per criticare iricchi, si avvide di lei. Mentre passava vicino a quel ca-pannello, una volgarissima donna con un bimbo in brac-do mosse in avanti, fissò familiarmente Orlando in viso,e gridò agli altri: «Guardate là; se quella non è Lady Or-lando...». I suoi compagni accorsero, si raggrupparonointorno a Orlando, e in un attimo ella si trovò al centrodi una piccola folla in subbuglio, cittadini curiosi e mo-gli di bottegai, tutti desiderosi di veder da vicino l’eroi-na di processi così celebri. Tanto era, invero, l’interesseche la questione aveva destato fra il basso popolo. Edella avrebbe finito col trovarsi a mal partito fra quellafolla che la costringeva – aveva dimenticato che non siaddice alle dame passeggiar sole nei luoghi pubblici –se un gentiluomo di alta statura, a un tratto, non si fossefatto largo, offrendole l’appoggio del proprio braccio.Era l’Arciduca, alla cui vista Orlando si sentì invaderdalla disperazione; pur provando una gran voglia di ri-dere. Non soltanto il magnanimo gentiluomo le avevaperdonato, ma, per dimostrarle che aveva preso in buonaparte lo scherzo del rospo, aveva fatto fare un gioiello informa di quel rettile, e si affrettò ad offrirlo a Orlando,mentre, accompagnandola alla carrozza, le rinnovava lesue proteste d’amore.

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ficoltà, due giorni dopo il suo arrivo. Era giunta in cittàdi martedì. Il giovedì, ella uscì per una passeggiata nelMall, come era allora uso fra le persone di qualità. Nonaveva fatto che un giro o due sul corso, e subito ungruppo di popolaccio, gente che veniva là per criticare iricchi, si avvide di lei. Mentre passava vicino a quel ca-pannello, una volgarissima donna con un bimbo in brac-do mosse in avanti, fissò familiarmente Orlando in viso,e gridò agli altri: «Guardate là; se quella non è Lady Or-lando...». I suoi compagni accorsero, si raggrupparonointorno a Orlando, e in un attimo ella si trovò al centrodi una piccola folla in subbuglio, cittadini curiosi e mo-gli di bottegai, tutti desiderosi di veder da vicino l’eroi-na di processi così celebri. Tanto era, invero, l’interesseche la questione aveva destato fra il basso popolo. Edella avrebbe finito col trovarsi a mal partito fra quellafolla che la costringeva – aveva dimenticato che non siaddice alle dame passeggiar sole nei luoghi pubblici –se un gentiluomo di alta statura, a un tratto, non si fossefatto largo, offrendole l’appoggio del proprio braccio.Era l’Arciduca, alla cui vista Orlando si sentì invaderdalla disperazione; pur provando una gran voglia di ri-dere. Non soltanto il magnanimo gentiluomo le avevaperdonato, ma, per dimostrarle che aveva preso in buonaparte lo scherzo del rospo, aveva fatto fare un gioiello informa di quel rettile, e si affrettò ad offrirlo a Orlando,mentre, accompagnandola alla carrozza, le rinnovava lesue proteste d’amore.

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La folla, e l’Arciduca, e il gioiello fecero sì che Or-lando rientrasse in casa sua con un diavolo per capello.Era dunque impossibile passeggiare senza esser schiac-ciati dalla folla, senza dover accettare in regalo un rospodi smeraldi e sentirsi chiedere in isposa da un arciduca?Tuttavia il suo umore si calmò un poco, il mattino dopo,trovando sulla tavola della colazione una mezza dozzinadi biglietti delle più nobili signore del Regno: Lady Suf-folk, Lady Chesterfield, Lady Salisbury, Lady Tavi-stock, e altre, che nel modo più cortese rammentavanoantiche parentele e amicizie che univano le loro fami-glie, ed esprimevano il desiderio di fare la di lei cono-scenza. Il giorno seguente, un sabato, parecchie tra que-ste grandi dame vennero a farle visita in persona. Il mar-tedì, poi, verso mezzogiorno i loro valletti recarono in-viti a vari ricevimenti, pranzi, feste, che avrebbero avutoluogo in un prossimo futuro; cosicché Orlando si trovò aessere lanciata senza indugio, e non senza gran fracassoe sfolgorio di spuma, tra i vortici del bel mondo londi-nese.

Quello di dar qui una veridica descrizione della socie-tà di Londra in questa o in qualsiasi altra epoca non ècompito del biografo né dello storico di queste pagine.Solamente quelli che non hanno grande rispetto per laverità, né gran bisogno – i poeti ed i romanzieri – po-trebbero trattare questo soggetto, poiché è uno dei casiin cui la verità non esiste. Nulla esiste. Tutto non è cheuna nebbia, un miraggio. Ecco, per spiegarci più chiara-mente: Orlando tornava a casa da una di queste feste

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La folla, e l’Arciduca, e il gioiello fecero sì che Or-lando rientrasse in casa sua con un diavolo per capello.Era dunque impossibile passeggiare senza esser schiac-ciati dalla folla, senza dover accettare in regalo un rospodi smeraldi e sentirsi chiedere in isposa da un arciduca?Tuttavia il suo umore si calmò un poco, il mattino dopo,trovando sulla tavola della colazione una mezza dozzinadi biglietti delle più nobili signore del Regno: Lady Suf-folk, Lady Chesterfield, Lady Salisbury, Lady Tavi-stock, e altre, che nel modo più cortese rammentavanoantiche parentele e amicizie che univano le loro fami-glie, ed esprimevano il desiderio di fare la di lei cono-scenza. Il giorno seguente, un sabato, parecchie tra que-ste grandi dame vennero a farle visita in persona. Il mar-tedì, poi, verso mezzogiorno i loro valletti recarono in-viti a vari ricevimenti, pranzi, feste, che avrebbero avutoluogo in un prossimo futuro; cosicché Orlando si trovò aessere lanciata senza indugio, e non senza gran fracassoe sfolgorio di spuma, tra i vortici del bel mondo londi-nese.

Quello di dar qui una veridica descrizione della socie-tà di Londra in questa o in qualsiasi altra epoca non ècompito del biografo né dello storico di queste pagine.Solamente quelli che non hanno grande rispetto per laverità, né gran bisogno – i poeti ed i romanzieri – po-trebbero trattare questo soggetto, poiché è uno dei casiin cui la verità non esiste. Nulla esiste. Tutto non è cheuna nebbia, un miraggio. Ecco, per spiegarci più chiara-mente: Orlando tornava a casa da una di queste feste

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alle tre o alle quattro del mattino, con le guance comeun albero di Natale e occhi simili a stelle. Si sganciavaun merletto, misurava una dozzina di volte la sua stanzaa passo veloce, si spogliava di un altro pizzo, si arresta-va e si rimetteva a passeggiare. Spesso il sole incendia-va già i camini di Southwark prima che ella si decidessead andare a letto, dove poi giaceva girandosi e rigiran-dosi, ridendo e sospirando per un’ora e più prima diprender finalmente sonno. E perché tutto ciò? A causadella società. Ma che aveva fatto la società per far cade-re una signora piena di buon senso in tale stato di eccita-zione? Per parlar francamente, nulla. Il giorno seguente,Orlando aveva un bello spremere il suo cervello per ri-cordare una sola parola che davvero volesse dire qual-che cosa. Lord O. s’era mostrato galante; Lord A. corte-se. Il marchese di C. affascinante. Mister M. divertente.Ma quando ella cercava di ricordarsi in cosa fosseroconsistiti la loro galanteria, la loro cortesia, il loro fasci-no e il loro spirito, non riusciva a spiegarselo con unsolo fatto. Succedeva sempre così. All’indomani non ri-maneva nulla; pure l’eccitazione del momento era inten-sa. Siamo quindi costretti a concludere che la società èsimile a una di quelle bevande che le padrone di casaservono calde all’epoca del Natale, il cui aroma dipendeda una saggia mistura d’una dozzina d’ingredienti diver-si. Assaggiatene uno, e vi parrà insipido. Prendete LordO., Lord A., il marchese di C., o Mister M., e ciascunodi essi separatamente non saprà dir nulla. Mescolateliassieme, ed essi si combineranno per darvi il più ine-

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alle tre o alle quattro del mattino, con le guance comeun albero di Natale e occhi simili a stelle. Si sganciavaun merletto, misurava una dozzina di volte la sua stanzaa passo veloce, si spogliava di un altro pizzo, si arresta-va e si rimetteva a passeggiare. Spesso il sole incendia-va già i camini di Southwark prima che ella si decidessead andare a letto, dove poi giaceva girandosi e rigiran-dosi, ridendo e sospirando per un’ora e più prima diprender finalmente sonno. E perché tutto ciò? A causadella società. Ma che aveva fatto la società per far cade-re una signora piena di buon senso in tale stato di eccita-zione? Per parlar francamente, nulla. Il giorno seguente,Orlando aveva un bello spremere il suo cervello per ri-cordare una sola parola che davvero volesse dire qual-che cosa. Lord O. s’era mostrato galante; Lord A. corte-se. Il marchese di C. affascinante. Mister M. divertente.Ma quando ella cercava di ricordarsi in cosa fosseroconsistiti la loro galanteria, la loro cortesia, il loro fasci-no e il loro spirito, non riusciva a spiegarselo con unsolo fatto. Succedeva sempre così. All’indomani non ri-maneva nulla; pure l’eccitazione del momento era inten-sa. Siamo quindi costretti a concludere che la società èsimile a una di quelle bevande che le padrone di casaservono calde all’epoca del Natale, il cui aroma dipendeda una saggia mistura d’una dozzina d’ingredienti diver-si. Assaggiatene uno, e vi parrà insipido. Prendete LordO., Lord A., il marchese di C., o Mister M., e ciascunodi essi separatamente non saprà dir nulla. Mescolateliassieme, ed essi si combineranno per darvi il più ine-

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briante degli aromi, il più attraente dei profumi. Purequesta ebbrezza, questa seduzione sfuggono completa-mente alla nostra analisi. La società è dunque, allo stes-so tempo, tutto e nulla. La società è il decotto più poten-te del mondo, e la società non esiste neppure. Soltanto ipoeti e i romanzieri possono trattare di simili mostruosi-tà; a forza di accumulare dei nulla, essi producono deivolumi enormi, e quindi cediamo loro questo incaricocon la miglior buona grazia del mondo.

Seguendo dunque l’esempio dei nostri predecessori,diremo solamente che la società, durante il regno dellaregina Anna, era di uno splendore senza uguali. Ognipersona ben nata aspirava a farne parte. Vi regnava, so-vrana indiscussa, la grazia. I padri istruivano a ciò i lorofigli, e le madri le figlie. Nessuna educazione potevadirsi completa, sia trattandosi dell’uno che dell’altrosesso, se non comprendeva la scienza del ben compor-tarsi; l’arte di inchinarsi e di far riverenze; l’uso dellaspada e del ventaglio; la cura dei denti; il modo di muo-vere le gambe; la flessibilità del ginocchio; il modo piùacconcio per entrare ed uscire da una stanza, con milleeccetera, come immediatamente ricorderà chiunque ab-bia frequentato quella società. Poiché Orlando avevameritato le lodi della regina Elisabetta per il modo incui, quand’era ragazzo, sapeva porgere una coppa di ac-qua di rosa, è facile supporre come la sua esperienzafosse sufficiente per non sfigurare dinanzi ai giudicimondani. È però anche vero che la sua distrazione larendeva talvolta goffa; era capace di pensare alla poesia

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briante degli aromi, il più attraente dei profumi. Purequesta ebbrezza, questa seduzione sfuggono completa-mente alla nostra analisi. La società è dunque, allo stes-so tempo, tutto e nulla. La società è il decotto più poten-te del mondo, e la società non esiste neppure. Soltanto ipoeti e i romanzieri possono trattare di simili mostruosi-tà; a forza di accumulare dei nulla, essi producono deivolumi enormi, e quindi cediamo loro questo incaricocon la miglior buona grazia del mondo.

Seguendo dunque l’esempio dei nostri predecessori,diremo solamente che la società, durante il regno dellaregina Anna, era di uno splendore senza uguali. Ognipersona ben nata aspirava a farne parte. Vi regnava, so-vrana indiscussa, la grazia. I padri istruivano a ciò i lorofigli, e le madri le figlie. Nessuna educazione potevadirsi completa, sia trattandosi dell’uno che dell’altrosesso, se non comprendeva la scienza del ben compor-tarsi; l’arte di inchinarsi e di far riverenze; l’uso dellaspada e del ventaglio; la cura dei denti; il modo di muo-vere le gambe; la flessibilità del ginocchio; il modo piùacconcio per entrare ed uscire da una stanza, con milleeccetera, come immediatamente ricorderà chiunque ab-bia frequentato quella società. Poiché Orlando avevameritato le lodi della regina Elisabetta per il modo incui, quand’era ragazzo, sapeva porgere una coppa di ac-qua di rosa, è facile supporre come la sua esperienzafosse sufficiente per non sfigurare dinanzi ai giudicimondani. È però anche vero che la sua distrazione larendeva talvolta goffa; era capace di pensare alla poesia

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quando avrebbe dovuto pensare al taffetà; il suo passoera forse un po’ troppo energico per una donna, ed i suoigesti, spesso improvvisi, potevano mettere in pericoloqualche tazza di tè.

Sia che questa leggera goffaggine fosse sufficiente acontrobilanciare lo splendore del suo portamento, o siache avesse ereditato una goccia di troppo di quell’umornero che correva nelle vene di tutta la sua razza, fatto stache ella non era ancora stata in società che una ventinadi volte, e già, se ci fosse stato qualcuno per udirla oltreal suo cane spagnolo Pippin, l’avrebbe sentita chiedere ase stessa: “C’è qualcosa che non va? Ma che cosa?”.Quest’occasione si dava un martedì, il 16 di giugno del1712; Orlando era appena ritornata da un gran ballo adArlington House; l’alba tremava nel cielo, ed ella si sta-va togliendo le calze. «Non m’importa nulla affatto dinon veder mai più anima viva!» esclamò, scoppiando apiangere. Di corteggiatori ne aveva in quantità, ma lavita, che dopo tutto, a modo suo, è cosa d’una certa im-portanza, le sfuggiva. «È dunque questo?» domandò, manon v’era nessuno per risponderle. «È dunque questo»terminò lo stesso la sua domanda «quello che chiamanovivere?» Lo spagnolo alzò una delle sue zampette in se-gno di simpatia; leccò le mani di Orlando. Orlando ac-carezzò lo spagnolo. Orlando baciò lo spagnolo sulmuso. In breve, tra di loro regnava la più grande simpa-tia che possa esistere tra cane e padrona, eppure è inne-gabile che la mancanza di parola negli animali è ungrande ostacolo allo scambio di opinioni. Essi agitano la

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quando avrebbe dovuto pensare al taffetà; il suo passoera forse un po’ troppo energico per una donna, ed i suoigesti, spesso improvvisi, potevano mettere in pericoloqualche tazza di tè.

Sia che questa leggera goffaggine fosse sufficiente acontrobilanciare lo splendore del suo portamento, o siache avesse ereditato una goccia di troppo di quell’umornero che correva nelle vene di tutta la sua razza, fatto stache ella non era ancora stata in società che una ventinadi volte, e già, se ci fosse stato qualcuno per udirla oltreal suo cane spagnolo Pippin, l’avrebbe sentita chiedere ase stessa: “C’è qualcosa che non va? Ma che cosa?”.Quest’occasione si dava un martedì, il 16 di giugno del1712; Orlando era appena ritornata da un gran ballo adArlington House; l’alba tremava nel cielo, ed ella si sta-va togliendo le calze. «Non m’importa nulla affatto dinon veder mai più anima viva!» esclamò, scoppiando apiangere. Di corteggiatori ne aveva in quantità, ma lavita, che dopo tutto, a modo suo, è cosa d’una certa im-portanza, le sfuggiva. «È dunque questo?» domandò, manon v’era nessuno per risponderle. «È dunque questo»terminò lo stesso la sua domanda «quello che chiamanovivere?» Lo spagnolo alzò una delle sue zampette in se-gno di simpatia; leccò le mani di Orlando. Orlando ac-carezzò lo spagnolo. Orlando baciò lo spagnolo sulmuso. In breve, tra di loro regnava la più grande simpa-tia che possa esistere tra cane e padrona, eppure è inne-gabile che la mancanza di parola negli animali è ungrande ostacolo allo scambio di opinioni. Essi agitano la

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coda; s’inchinano con la parte anteriore del corpo, alza-no la posteriore, si rotolano per terra, saltano, porgonola zampa, guaiscono, abbaiano, fanno la bava, conosco-no artifici e cerimonie d’ogni genere a migliaia, ma tuttoè inutile, posto che non possono parlare. Ecco ciò cheOrlando rimproverava ai grandi personaggi di ArlingtonHouse. (E posò delicatamente a terra il cane.) Anchequelli dimenano la coda, s’inchinano, si rotolano, salta-no, tendono la zampa e fanno la bava, ma non sannoparlare. «In tutti questi mesi, da che frequento la socie-tà» disse Orlando lanciando una delle sue calze all’altrolato della stanza «non ho udito dire altro che quello chesa dire anche Pippin. Ho freddo. Sono felice. Ho fame.Ho preso un topo. Ho sotterrato un osso. Per piacere,baciatemi il grugnetto.» Ed era un po’ poco.

Come Orlando fosse passata in così breve tempodall’entusiasmo al disgusto, cercheremo di spiegarlo colsupporre che questo misterioso complesso che chiamanosocietà non sia nulla di assolutamente buono o cattivo inse stesso, ma contenga un certo spirito, volatile e purpotente, che vi inebria quando lo credete, come lo avevacreduto Orlando, delizioso, o vi dà un gran mal di capoquando lo reputate, come Orlando lo reputava, repulsi-vo. Chiediamo poi il permesso di dubitare, peraltro, chela facoltà di parlare abbia qualcosa a che vedere conquelle particolarità in un senso o nell’altro. Spessoun’ora trascorsa in silenzio è la più inebriante di tutte; elo spirito più brillante può, a volte, essere tedioso al

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coda; s’inchinano con la parte anteriore del corpo, alza-no la posteriore, si rotolano per terra, saltano, porgonola zampa, guaiscono, abbaiano, fanno la bava, conosco-no artifici e cerimonie d’ogni genere a migliaia, ma tuttoè inutile, posto che non possono parlare. Ecco ciò cheOrlando rimproverava ai grandi personaggi di ArlingtonHouse. (E posò delicatamente a terra il cane.) Anchequelli dimenano la coda, s’inchinano, si rotolano, salta-no, tendono la zampa e fanno la bava, ma non sannoparlare. «In tutti questi mesi, da che frequento la socie-tà» disse Orlando lanciando una delle sue calze all’altrolato della stanza «non ho udito dire altro che quello chesa dire anche Pippin. Ho freddo. Sono felice. Ho fame.Ho preso un topo. Ho sotterrato un osso. Per piacere,baciatemi il grugnetto.» Ed era un po’ poco.

Come Orlando fosse passata in così breve tempodall’entusiasmo al disgusto, cercheremo di spiegarlo colsupporre che questo misterioso complesso che chiamanosocietà non sia nulla di assolutamente buono o cattivo inse stesso, ma contenga un certo spirito, volatile e purpotente, che vi inebria quando lo credete, come lo avevacreduto Orlando, delizioso, o vi dà un gran mal di capoquando lo reputate, come Orlando lo reputava, repulsi-vo. Chiediamo poi il permesso di dubitare, peraltro, chela facoltà di parlare abbia qualcosa a che vedere conquelle particolarità in un senso o nell’altro. Spessoun’ora trascorsa in silenzio è la più inebriante di tutte; elo spirito più brillante può, a volte, essere tedioso al

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sommo. Ma lasciamo queste osservazioni ai poeti, e an-diamo avanti.

Orlando mandò la sua seconda calza a tener compa-gnia alla prima, e si coricò con l’animo abbastanza tri-ste, ben decisa ormai a rinunciare, e per sempre, alla so-cietà. Ma, di nuovo, come ebbe ad accorgersene, era sta-ta troppo affrettata nella decisione, perché il mattino se-guente, svegliandosi, trovò sulla sua tavola, tra gli altri,un invito che le proveniva da una certa gran dama, lacontessa di R. Possiamo soltanto spiegare la condottad’Orlando, che aveva deciso di rinunciare alla società lanotte scorsa, e che ora si affrettava a spedire un suomessaggero alla contessa avvertendola che accettaval’invito col più grande piacere, col ricordare come ellarisentisse ancora l’effetto delle tre armoniose parole cheil capitano Nicholas Benedict Bartolus le aveva sussur-rato all’orecchio sul ponte della Enamoured Lady men-tre veleggiavano sul Tamigi. Addison, Dryden, Pope,aveva detto indicando la “Palma di Cocco”, e quei nomidi Addison, Dryden, Pope avevano continuato da alloraa turbinare nel suo cervello, come un incantesimo. Or-lando era dunque così sventata? Pure, era proprio così.Tutta la sua esperienza con Nick Greene non le avevainsegnato nulla. Nomi come quelli esercitavano su di leiil fascino più potente. Forse, noi dobbiamo pur crederein qualche cosa, e poiché Orlando, l’abbiamo detto, noncredeva nelle divinità ordinarie, aveva rivolto la suafede verso grandi uomini. Bisogna però distinguere.Ammiragli, soldati, uomini di Stato non la commuove-

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sommo. Ma lasciamo queste osservazioni ai poeti, e an-diamo avanti.

Orlando mandò la sua seconda calza a tener compa-gnia alla prima, e si coricò con l’animo abbastanza tri-ste, ben decisa ormai a rinunciare, e per sempre, alla so-cietà. Ma, di nuovo, come ebbe ad accorgersene, era sta-ta troppo affrettata nella decisione, perché il mattino se-guente, svegliandosi, trovò sulla sua tavola, tra gli altri,un invito che le proveniva da una certa gran dama, lacontessa di R. Possiamo soltanto spiegare la condottad’Orlando, che aveva deciso di rinunciare alla società lanotte scorsa, e che ora si affrettava a spedire un suomessaggero alla contessa avvertendola che accettaval’invito col più grande piacere, col ricordare come ellarisentisse ancora l’effetto delle tre armoniose parole cheil capitano Nicholas Benedict Bartolus le aveva sussur-rato all’orecchio sul ponte della Enamoured Lady men-tre veleggiavano sul Tamigi. Addison, Dryden, Pope,aveva detto indicando la “Palma di Cocco”, e quei nomidi Addison, Dryden, Pope avevano continuato da alloraa turbinare nel suo cervello, come un incantesimo. Or-lando era dunque così sventata? Pure, era proprio così.Tutta la sua esperienza con Nick Greene non le avevainsegnato nulla. Nomi come quelli esercitavano su di leiil fascino più potente. Forse, noi dobbiamo pur crederein qualche cosa, e poiché Orlando, l’abbiamo detto, noncredeva nelle divinità ordinarie, aveva rivolto la suafede verso grandi uomini. Bisogna però distinguere.Ammiragli, soldati, uomini di Stato non la commuove-

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vano affatto, ma il solo pensare a un grande scrittore su-scitava in lei una tale intensità di fede da farle quasi re-putare un simile uomo un Dio invisibile. E in ciò il suoistinto non errava. Si può forse credere interamente sol-tanto in ciò che non è dato vedere. Lo sguardo fuggevo-le che ella aveva potuto dare dal ponte della nave a que-sti grandi uomini partecipava della natura delle visioni.Dubitava che la loro tazza fosse di porcellana, il lorogiornale di carta. Quando Lord O. le aveva detto ungiorno di essere stato a cena, la serata precedente, conDryden, ella non gli aveva creduto. Ora, il salotto dellacontessa di R. godeva la fama di essere l’anticamerasancta sanctorum dei genî; era il luogo dove si raduna-vano uomini e donne per bruciare incensi e cantare innial busto del genio posto in una nicchia della parete. Tal-volta, il Dio stesso si degnava di concedere per un mo-mento il dono della sua presenza. In quella cattedraleerano ammesse soltanto le intelligenze più elette e, stan-do a quanto si diceva, non vi si pronunciava frase chenon fosse spiritosa.

Fu dunque con grande trepidazione che Orlando entrònel salotto, dove trovò un gruppo di persone già raduna-te a semicerchio attorno al fuoco. Lady R., una signoraanziana, di carnagione bruna, con una mantiglia di mer-letto nero sul capo, sedeva al centro, in una gran poltro-na. Così, essendo alquanto sorda, poteva mantenere laconversazione a destra e a sinistra. Ai suoi lati sedevanouomini e donne di gran distinzione. Ogni uomo presen-te, si diceva, era stato primo ministro, e ogni donna, si

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vano affatto, ma il solo pensare a un grande scrittore su-scitava in lei una tale intensità di fede da farle quasi re-putare un simile uomo un Dio invisibile. E in ciò il suoistinto non errava. Si può forse credere interamente sol-tanto in ciò che non è dato vedere. Lo sguardo fuggevo-le che ella aveva potuto dare dal ponte della nave a que-sti grandi uomini partecipava della natura delle visioni.Dubitava che la loro tazza fosse di porcellana, il lorogiornale di carta. Quando Lord O. le aveva detto ungiorno di essere stato a cena, la serata precedente, conDryden, ella non gli aveva creduto. Ora, il salotto dellacontessa di R. godeva la fama di essere l’anticamerasancta sanctorum dei genî; era il luogo dove si raduna-vano uomini e donne per bruciare incensi e cantare innial busto del genio posto in una nicchia della parete. Tal-volta, il Dio stesso si degnava di concedere per un mo-mento il dono della sua presenza. In quella cattedraleerano ammesse soltanto le intelligenze più elette e, stan-do a quanto si diceva, non vi si pronunciava frase chenon fosse spiritosa.

Fu dunque con grande trepidazione che Orlando entrònel salotto, dove trovò un gruppo di persone già raduna-te a semicerchio attorno al fuoco. Lady R., una signoraanziana, di carnagione bruna, con una mantiglia di mer-letto nero sul capo, sedeva al centro, in una gran poltro-na. Così, essendo alquanto sorda, poteva mantenere laconversazione a destra e a sinistra. Ai suoi lati sedevanouomini e donne di gran distinzione. Ogni uomo presen-te, si diceva, era stato primo ministro, e ogni donna, si

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sussurrava, era stata amante di un re. Certo si è che eratutta gente brillante e famosa. Orlando fece una granderiverenza in silenzio, e sedette. Tre ore dopo tornò a fareuna profonda riverenza, ed uscì.

Ma che cosa era dunque successo nel frattempo? sidomanderà il lettore con una certa impazienza. Nellospazio di tre ore, una compagnia come quella deve averdetto le cose più spiritose, le più profonde, le più inte-ressanti del mondo. Così avrebbe dovuto essere, alme-no. Ma di fatto, sembra che essi non dicessero un belnulla: curiose caratteristiche che essi hanno in comunecon i più brillanti salotti che il mondo abbia veduto. Lavecchia Madame du Deffand13 e i suoi amici parlaronoper cinquant’anni di fila, senza fermarsi mai. E di tuttociò che cosa rimane? Sì e no tre motti di spirito. Cosic-ché siamo padroni di supporre, vuoi che rimanesseromuti come pesci, vuoi che non dicessero nulla di spirito-so, o che i tre motti di spirito siano andati frazionati indiciottomila duecento e cinquanta sere; e non ci sembrache la razione di spirito che rimane a ognuna di essepecchi di troppa abbondanza.

La verità, a quanto pare – se ci è concesso servirci diquesta parola in un simile caso – la verità è che tuttequeste persone sono colpite da una specie di sortilegio.La padrona di casa è la nostra moderna Sibilla. Essa è lastrega che tiene i suoi ospiti sotto la magia di un incan-

13 Marie de Vichy-Chamrond, Mme du Deffand (1697-1780), tenne un celebresalon frequentato da Montesquieu, D’Alembert ed altri, fra cui l’inglese Hora-ce Walpole. (N.d.T.)

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sussurrava, era stata amante di un re. Certo si è che eratutta gente brillante e famosa. Orlando fece una granderiverenza in silenzio, e sedette. Tre ore dopo tornò a fareuna profonda riverenza, ed uscì.

Ma che cosa era dunque successo nel frattempo? sidomanderà il lettore con una certa impazienza. Nellospazio di tre ore, una compagnia come quella deve averdetto le cose più spiritose, le più profonde, le più inte-ressanti del mondo. Così avrebbe dovuto essere, alme-no. Ma di fatto, sembra che essi non dicessero un belnulla: curiose caratteristiche che essi hanno in comunecon i più brillanti salotti che il mondo abbia veduto. Lavecchia Madame du Deffand13 e i suoi amici parlaronoper cinquant’anni di fila, senza fermarsi mai. E di tuttociò che cosa rimane? Sì e no tre motti di spirito. Cosic-ché siamo padroni di supporre, vuoi che rimanesseromuti come pesci, vuoi che non dicessero nulla di spirito-so, o che i tre motti di spirito siano andati frazionati indiciottomila duecento e cinquanta sere; e non ci sembrache la razione di spirito che rimane a ognuna di essepecchi di troppa abbondanza.

La verità, a quanto pare – se ci è concesso servirci diquesta parola in un simile caso – la verità è che tuttequeste persone sono colpite da una specie di sortilegio.La padrona di casa è la nostra moderna Sibilla. Essa è lastrega che tiene i suoi ospiti sotto la magia di un incan-

13 Marie de Vichy-Chamrond, Mme du Deffand (1697-1780), tenne un celebresalon frequentato da Montesquieu, D’Alembert ed altri, fra cui l’inglese Hora-ce Walpole. (N.d.T.)

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to. In questa data casa essi si credono felici; inquell’altra, spiritosi; in una terza, profondi. È tuttaun’illusione (ciò non significa nulla di male, poiché leillusioni sono la cosa più preziosa e necessaria che ci siaal mondo, e la donna che è capace di crearne è una dellegrandi benefattrici dell’umanità), ma è arcinoto che leillusioni vanno in frantumi a contatto con la realtà, ondenon c’è vera felicità, né vero spirito, né vera profonditàche siano tollerati là dove impera l’illusione. Questoservirà a spiegare perché Madame du Deffand non di-cesse più di tre motti di spirito, durante una tradizioneche durò cinquant’anni. Se ne avesse detti di più, il suosalotto sarebbe andato distrutto. L’arguzia che s’invola-va dalle sue labbra correva sulla conversazione che fio-riva nel salotto, come una palla da cannone su un’aiuoladi viole e margherite. Quando ella fece udire il suo cele-bre «mot de Saint Denis», l’erba stessa fu rasa al suolo.Delusione e desolazione lo seguirono. Non una parolafu pronunciata. “Per amor del Cielo, Madama, rispar-miateci un altro motto simile!” gridarono i suoi amicicome un solo uomo. Ed ella obbedì. Per quasi diciasset-te anni, ella non pronunciò più detti memorabili, e tuttoandò a meraviglia. La pacifica coltre dell’illusione gra-vò protettrice sul suo salotto, come in quello di Lady R.Gli ospiti si credevano felici, si credevano spiritosi, sicredevano profondi; e siccome essi lo credevano, altri locredettero più fermamente ancora; e così correva la voceche non ci fosse nulla di più delizioso delle serate nelsalotto di Lady R.; e gli iniziati erano oggetto d’invidia

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to. In questa data casa essi si credono felici; inquell’altra, spiritosi; in una terza, profondi. È tuttaun’illusione (ciò non significa nulla di male, poiché leillusioni sono la cosa più preziosa e necessaria che ci siaal mondo, e la donna che è capace di crearne è una dellegrandi benefattrici dell’umanità), ma è arcinoto che leillusioni vanno in frantumi a contatto con la realtà, ondenon c’è vera felicità, né vero spirito, né vera profonditàche siano tollerati là dove impera l’illusione. Questoservirà a spiegare perché Madame du Deffand non di-cesse più di tre motti di spirito, durante una tradizioneche durò cinquant’anni. Se ne avesse detti di più, il suosalotto sarebbe andato distrutto. L’arguzia che s’invola-va dalle sue labbra correva sulla conversazione che fio-riva nel salotto, come una palla da cannone su un’aiuoladi viole e margherite. Quando ella fece udire il suo cele-bre «mot de Saint Denis», l’erba stessa fu rasa al suolo.Delusione e desolazione lo seguirono. Non una parolafu pronunciata. “Per amor del Cielo, Madama, rispar-miateci un altro motto simile!” gridarono i suoi amicicome un solo uomo. Ed ella obbedì. Per quasi diciasset-te anni, ella non pronunciò più detti memorabili, e tuttoandò a meraviglia. La pacifica coltre dell’illusione gra-vò protettrice sul suo salotto, come in quello di Lady R.Gli ospiti si credevano felici, si credevano spiritosi, sicredevano profondi; e siccome essi lo credevano, altri locredettero più fermamente ancora; e così correva la voceche non ci fosse nulla di più delizioso delle serate nelsalotto di Lady R.; e gli iniziati erano oggetto d’invidia

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generale; e finirono per invidiar se stessi perché gli altrili invidiavano; insomma, un giro vizioso che pareva nonaver fine mai, all’infuori di quella che ci rimane a riferi-re.

Orlando si trovava per la terza volta circa nel salotto,quando occorse un incidente. Ella si cullava tuttoranell’illusione di udire i più brillanti epigrammi di questomondo; di fatto il vecchio generale G. stava semplice-mente raccontando, per filo e per segno, come la suagotta fosse emigrata dalla gamba sinistra alla destra,mentre Mister L. lo interrompeva a ogni persona cheegli nominava: «R.? Oh! Conosco Billy R. da un secolo.S.? Il mio più caro amico. Abbiamo passato insieme duesettimane nel Yorkshire...». Tanta è la forza dell’illusio-ne, che tutti quanti credevano di ascoltare un vero fuocodi fila di arguzie, e le più penetranti riflessioni sulla vitaumana; e l’intero salotto ringalluzziva all’udirle,quand’ecco che la porta si aprì, ed entrò un signore piut-tosto basso, di cui Orlando non afferrò il nome. Tosto sisentì invasa da una sensazione singolarmente sgradevo-le. A giudicar dai loro visi, agli altri non accadeva diver-samente. Un tale disse che c’era corrente. La marchesadi C. manifestò il timore che ci fosse un gatto sotto ilsofà. Si sarebbe detto che i loro occhi si aprissero lenta-mente dopo un sogno di lusso e di bellezza, per non ve-der altro che una brocca dozzinale e un copripiedi sudi-cio. Era come se i fumi di un qualche vino deliziosos’andassero a poco a poco diradando dal loro cervello.Ancora il generale parlava, ancora Mister L. ricordava.

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generale; e finirono per invidiar se stessi perché gli altrili invidiavano; insomma, un giro vizioso che pareva nonaver fine mai, all’infuori di quella che ci rimane a riferi-re.

Orlando si trovava per la terza volta circa nel salotto,quando occorse un incidente. Ella si cullava tuttoranell’illusione di udire i più brillanti epigrammi di questomondo; di fatto il vecchio generale G. stava semplice-mente raccontando, per filo e per segno, come la suagotta fosse emigrata dalla gamba sinistra alla destra,mentre Mister L. lo interrompeva a ogni persona cheegli nominava: «R.? Oh! Conosco Billy R. da un secolo.S.? Il mio più caro amico. Abbiamo passato insieme duesettimane nel Yorkshire...». Tanta è la forza dell’illusio-ne, che tutti quanti credevano di ascoltare un vero fuocodi fila di arguzie, e le più penetranti riflessioni sulla vitaumana; e l’intero salotto ringalluzziva all’udirle,quand’ecco che la porta si aprì, ed entrò un signore piut-tosto basso, di cui Orlando non afferrò il nome. Tosto sisentì invasa da una sensazione singolarmente sgradevo-le. A giudicar dai loro visi, agli altri non accadeva diver-samente. Un tale disse che c’era corrente. La marchesadi C. manifestò il timore che ci fosse un gatto sotto ilsofà. Si sarebbe detto che i loro occhi si aprissero lenta-mente dopo un sogno di lusso e di bellezza, per non ve-der altro che una brocca dozzinale e un copripiedi sudi-cio. Era come se i fumi di un qualche vino deliziosos’andassero a poco a poco diradando dal loro cervello.Ancora il generale parlava, ancora Mister L. ricordava.

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Ma la nuca pletorica dell’uno e la testa pelata dell’altrodiventavano sempre più evidenti. Quanto ai loro discor-si, nulla di più uggioso, nulla di più banale.

Tutti si dimenavano sulla seggiola per l’impazienza, ele signore che avevano un ventaglio sbadigliavano die-tro di esso. In ultimo, Lady R. picchiò il suo sul braccio-lo della gran poltrona; e i due disturbatori tacquero.

Allora il signore piccolo disse:Egli disse quindi:Egli disse in ultimo:14

Qui, nessuno poteva negarlo, qui si sentivano autenti-co spirito, genuina saggezza, profondità vera. L’interosalotto apparve in preda al più completo sgomento. Pas-si per una di quelle sentenze; ma tre, una dopo l’altra, ela medesima sera! Nessun salotto avrebbe potuto so-pravvivervi.

«Mister Pope» disse la vecchia Lady R., con una vocetremante di furia sarcastica, «vi compiacete del vostrospirito.» Mister Pope si fece di brace. Nessuno pronun-ciò parola. Seguì, per una ventina di minuti, un silenziodi morte. Poi, a uno a uno, gli assidui si alzarono e se lasvignarono. Dopo una simile avventura, era assai dub-bio se si sarebbero fatti rivedere. Si udirono gli staffierichiamare a gran voce gli equipaggi dei loro signori, giùper South Adley Street. Lo sbatter secco degli sportelli,il rotolar delle ruote sul selciato riempirono l’aria.

14 Questi detti sono troppo noti perché ci sia bisogno di ripeterli; inoltre, essisi potranno trovare nelle Opere complete di A. Pope (N.d.A.)

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Ma la nuca pletorica dell’uno e la testa pelata dell’altrodiventavano sempre più evidenti. Quanto ai loro discor-si, nulla di più uggioso, nulla di più banale.

Tutti si dimenavano sulla seggiola per l’impazienza, ele signore che avevano un ventaglio sbadigliavano die-tro di esso. In ultimo, Lady R. picchiò il suo sul braccio-lo della gran poltrona; e i due disturbatori tacquero.

Allora il signore piccolo disse:Egli disse quindi:Egli disse in ultimo:14

Qui, nessuno poteva negarlo, qui si sentivano autenti-co spirito, genuina saggezza, profondità vera. L’interosalotto apparve in preda al più completo sgomento. Pas-si per una di quelle sentenze; ma tre, una dopo l’altra, ela medesima sera! Nessun salotto avrebbe potuto so-pravvivervi.

«Mister Pope» disse la vecchia Lady R., con una vocetremante di furia sarcastica, «vi compiacete del vostrospirito.» Mister Pope si fece di brace. Nessuno pronun-ciò parola. Seguì, per una ventina di minuti, un silenziodi morte. Poi, a uno a uno, gli assidui si alzarono e se lasvignarono. Dopo una simile avventura, era assai dub-bio se si sarebbero fatti rivedere. Si udirono gli staffierichiamare a gran voce gli equipaggi dei loro signori, giùper South Adley Street. Lo sbatter secco degli sportelli,il rotolar delle ruote sul selciato riempirono l’aria.

14 Questi detti sono troppo noti perché ci sia bisogno di ripeterli; inoltre, essisi potranno trovare nelle Opere complete di A. Pope (N.d.A.)

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Orlando si trovò sola sullo scalone con Mister Pope,la cui struttura gracile e infelice era scossa da diverseemozioni. I suoi occhi scoccavano dardi di malizia, rab-bia, trionfo, arguzia e terrore (egli tremava come una fo-glia). Pareva un rettile ravvolto su se stesso, con un to-pazio fiammeggiante in fronte. La sfortunata Orlando, asua volta, si trovava in balia alla più strana tempestad’anima. Una delusione così completa come quella dicui era stata vittima un’ora innanzi imprime allo spiritole stigmate del dubbio. Ogni cosa assume un aspettodieci volte più brutale, più schietto di prima. Momentisimili sono i più gravi per lo spirito umano: sono i mo-menti in cui le donne prendono il velo, gli uomini si fan-no monaci; i momenti in cui il ricco fa donazione deisuoi beni, e l’uomo favorito dalla sorte si taglia la golacol primo coltello che si trova fra le mani. Orlando nonavrebbe esitato a far di queste cose, senonché una ancorpiù sconsiderata le si presentava alla mente, e fu quellache scelse: invitò Mister Pope ad accompagnarla a casa.

Se sconsideratezza è infatti l’avventurarsi inermenell’antro d’un leone, sconsideratezza avventurarsisull’Atlantico in una barca a remi, sconsideratezza far lacicogna sulla punta del campanile di San Paolo, piùsconsiderato ancora è tornarsene soli a casa in compa-gnia d’un poeta. Un poeta somma in sé l’Atlantico e illeone. Se l’uno vi sommerge, l’altro vi addenta. Se sfug-giamo alle zanne, cadiamo in preda ai flutti. Un uomoche ha il potere di distruggere le illusioni è al tempostesso belva e onda. Le illusioni stanno all’anima come

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Orlando si trovò sola sullo scalone con Mister Pope,la cui struttura gracile e infelice era scossa da diverseemozioni. I suoi occhi scoccavano dardi di malizia, rab-bia, trionfo, arguzia e terrore (egli tremava come una fo-glia). Pareva un rettile ravvolto su se stesso, con un to-pazio fiammeggiante in fronte. La sfortunata Orlando, asua volta, si trovava in balia alla più strana tempestad’anima. Una delusione così completa come quella dicui era stata vittima un’ora innanzi imprime allo spiritole stigmate del dubbio. Ogni cosa assume un aspettodieci volte più brutale, più schietto di prima. Momentisimili sono i più gravi per lo spirito umano: sono i mo-menti in cui le donne prendono il velo, gli uomini si fan-no monaci; i momenti in cui il ricco fa donazione deisuoi beni, e l’uomo favorito dalla sorte si taglia la golacol primo coltello che si trova fra le mani. Orlando nonavrebbe esitato a far di queste cose, senonché una ancorpiù sconsiderata le si presentava alla mente, e fu quellache scelse: invitò Mister Pope ad accompagnarla a casa.

Se sconsideratezza è infatti l’avventurarsi inermenell’antro d’un leone, sconsideratezza avventurarsisull’Atlantico in una barca a remi, sconsideratezza far lacicogna sulla punta del campanile di San Paolo, piùsconsiderato ancora è tornarsene soli a casa in compa-gnia d’un poeta. Un poeta somma in sé l’Atlantico e illeone. Se l’uno vi sommerge, l’altro vi addenta. Se sfug-giamo alle zanne, cadiamo in preda ai flutti. Un uomoche ha il potere di distruggere le illusioni è al tempostesso belva e onda. Le illusioni stanno all’anima come

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l’atmosfera alla terra. Toglietele quella tenera coltred’aria, e vedrete la pianta morire, svanire i colori. Laterra su cui noi camminiamo non è che brace estinta. Èmarga quella su cui noi poggiamo, e ciottoli ingrati ciferiscono il piede. La verità è un fulmine che ci annien-ta. La vita è un sogno. È il risveglio che ci uccide. Coluiche ci deruba dei nostri sogni ci deruba della nostravita... (e così potrebbe continuare per altre sei pagine sevi piacesse, ma lo stile, è uggioso alquanto e perciò loabbandoneremo).

A questa stregua, tuttavia, Orlando avrebbe dovutoessere ridotta un mucchio di cenere, quando la carrozzasi arrestò alla porta della sua casa di Blackfriars. Cheella ne scendesse tuttora in carne e ossa, per quanto si-curamente sfinita, è merito intero di un fatto sul qualeabbiamo già richiamato l’attenzione del lettore duranteil corso del nostro racconto. Meno noi vediamo, e piùcrediamo. Ora, se è ben vero che l’illuminazione dellestrade avesse fatto grandi progressi dall’epoca elisabet-tiana in qua, le strade tra Mayfair e Blackfriars eranotuttora assai parsimoniosamente illuminate, a quei gior-ni. Prima d’allora il viandante notturno doveva racco-mandarsi alle stelle, o al lumino rosso della lanterna diqualche guardiano di notte, per non finire nelle cave dighiaia di Park Lane o smarrirsi nei boschi di quercia in-torno a Tottenham Court Road, infestati dai cinghiali.Ma anche quella sera l’illuminazione era ancora lontanadalla nostra moderna perfezione. Ogni duecento metricirca s’incontrava la luce di un fanale a olio, ma tra

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l’atmosfera alla terra. Toglietele quella tenera coltred’aria, e vedrete la pianta morire, svanire i colori. Laterra su cui noi camminiamo non è che brace estinta. Èmarga quella su cui noi poggiamo, e ciottoli ingrati ciferiscono il piede. La verità è un fulmine che ci annien-ta. La vita è un sogno. È il risveglio che ci uccide. Coluiche ci deruba dei nostri sogni ci deruba della nostravita... (e così potrebbe continuare per altre sei pagine sevi piacesse, ma lo stile, è uggioso alquanto e perciò loabbandoneremo).

A questa stregua, tuttavia, Orlando avrebbe dovutoessere ridotta un mucchio di cenere, quando la carrozzasi arrestò alla porta della sua casa di Blackfriars. Cheella ne scendesse tuttora in carne e ossa, per quanto si-curamente sfinita, è merito intero di un fatto sul qualeabbiamo già richiamato l’attenzione del lettore duranteil corso del nostro racconto. Meno noi vediamo, e piùcrediamo. Ora, se è ben vero che l’illuminazione dellestrade avesse fatto grandi progressi dall’epoca elisabet-tiana in qua, le strade tra Mayfair e Blackfriars eranotuttora assai parsimoniosamente illuminate, a quei gior-ni. Prima d’allora il viandante notturno doveva racco-mandarsi alle stelle, o al lumino rosso della lanterna diqualche guardiano di notte, per non finire nelle cave dighiaia di Park Lane o smarrirsi nei boschi di quercia in-torno a Tottenham Court Road, infestati dai cinghiali.Ma anche quella sera l’illuminazione era ancora lontanadalla nostra moderna perfezione. Ogni duecento metricirca s’incontrava la luce di un fanale a olio, ma tra

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l’uno e l’altro correva un bel pezzo di buio fitto. Acca-deva quindi che per dieci minuti buoni Orlando e MisterPope si trovassero al buio, e poi godessero di mezzo mi-nuto di luce. Orlando veniva quindi a trovarsi in unostato d’animo oltremodo singolare. Via via che la lucedileguava, ella si sentiva confortata dal più deliziosobalsamo. “Grande onore invero, per una giovane signo-ra, andar in carrozza con Mister Pope” cominciò a pen-sare sbirciando il profilo del naso di lui. “Me benedettafra le donne! A mezzo pollice da me – oh, ecco, sento lagala che orna le sue ginocchia premermi la coscia – sitrova l’uomo più spiritoso che ci sia nei Domini di SuaMaestà. I secoli futuri ci considereranno con curiosità, eio sarò l’oggetto di sconfinata invidia.” Qui la carrozzasi avvicinava a un altro lampione. “Che povera stupidasono mai!’ pensava Orlando. “Fama, gloria non esisto-no. I secoli futuri non si sogneranno nemmeno di pensa-re a me e a Mister Pope! Che cosa è un secolo, del re-sto? Che cosa siamo noi?” E i due andavano sballottatiper Berkeley Square come due formiche cieche, fortu-nosamente riunite senza un interesse né uno scopo co-mune in un deserto tenebroso. Orlando rabbrividiva. Maecco che entrarono di nuovo nell’ombra. La sua illusio-ne riviveva. “Quanta nobiltà nella sua fronte!” pensava(scambiando la bozza d’un cuscino per la fronte di Mi-ster Pope, nell’oscurità). “Che peso di genio, dietro diessa! Quanto spirito, quanta saggezza e verità, quantaprofusione di tutti quei tesori per cui la gente darebbe lavita! Sono le sole luci che ardano eterne; se non fosse

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l’uno e l’altro correva un bel pezzo di buio fitto. Acca-deva quindi che per dieci minuti buoni Orlando e MisterPope si trovassero al buio, e poi godessero di mezzo mi-nuto di luce. Orlando veniva quindi a trovarsi in unostato d’animo oltremodo singolare. Via via che la lucedileguava, ella si sentiva confortata dal più deliziosobalsamo. “Grande onore invero, per una giovane signo-ra, andar in carrozza con Mister Pope” cominciò a pen-sare sbirciando il profilo del naso di lui. “Me benedettafra le donne! A mezzo pollice da me – oh, ecco, sento lagala che orna le sue ginocchia premermi la coscia – sitrova l’uomo più spiritoso che ci sia nei Domini di SuaMaestà. I secoli futuri ci considereranno con curiosità, eio sarò l’oggetto di sconfinata invidia.” Qui la carrozzasi avvicinava a un altro lampione. “Che povera stupidasono mai!’ pensava Orlando. “Fama, gloria non esisto-no. I secoli futuri non si sogneranno nemmeno di pensa-re a me e a Mister Pope! Che cosa è un secolo, del re-sto? Che cosa siamo noi?” E i due andavano sballottatiper Berkeley Square come due formiche cieche, fortu-nosamente riunite senza un interesse né uno scopo co-mune in un deserto tenebroso. Orlando rabbrividiva. Maecco che entrarono di nuovo nell’ombra. La sua illusio-ne riviveva. “Quanta nobiltà nella sua fronte!” pensava(scambiando la bozza d’un cuscino per la fronte di Mi-ster Pope, nell’oscurità). “Che peso di genio, dietro diessa! Quanto spirito, quanta saggezza e verità, quantaprofusione di tutti quei tesori per cui la gente darebbe lavita! Sono le sole luci che ardano eterne; se non fosse

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per esse, il pellegrinaggio della vita si compirebbe inuna tenebra orribile” (a questo punto la carrozza perpoco non precipitò in una carreggiata, in Park Lane, ediede un sobbalzo formidabile); “sì, senza il genio sa-remmo bell’e spacciati. Oh augusto e luminoso fra tutti ifari...” così ella apostrofava la bozza del cuscino, quan-do la carrozza passò sotto uno dei lampioni di BerkeleySquare, e Orlando s’accorse d’aver preso un granchio.La fronte di Mister Pope non era più cospicua di quellad’un tizio qualsiasi. “Ah! scellerato” pensò ella “eccocome mi hai delusa. Ho scambiato quella bozza per latua fronte. Come sei ignobile, come sei spregevole, avederti ben bene in faccia! Un essere deforme e malatic-cio, nel quale non vedo nulla da venerare, ma piuttostomolto da compiangere e molto da disprezzare.”

Ma di nuovo si ingolfarono nel buio, e le furie di Or-lando si calmarono, non appena ella non vide più altroche le ginocchia del poeta.

“No; sono io la scellerata” rifletteva ella, allorchéun’oscurità completa tornò ad avvolgerli. “Per vile chetu sia, non sono io mille volte più vile? Sei tu che mi nu-trisci e mi proteggi, tu, tu che poni in fuga le belve espaventi il selvaggio; tu che pensi a tessere le vesti conla seta del baco, e i tappeti con la lana dell’agnello. Enon sei tu che soddisfi la mia sete d’adorazione, dando-mi un’immagine di te e innalzandola al cielo? Non trovoio ovunque le prove della tua sollecitudine? Quantaumiltà, quanta gratitudine, quanta obbedienza non ti

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per esse, il pellegrinaggio della vita si compirebbe inuna tenebra orribile” (a questo punto la carrozza perpoco non precipitò in una carreggiata, in Park Lane, ediede un sobbalzo formidabile); “sì, senza il genio sa-remmo bell’e spacciati. Oh augusto e luminoso fra tutti ifari...” così ella apostrofava la bozza del cuscino, quan-do la carrozza passò sotto uno dei lampioni di BerkeleySquare, e Orlando s’accorse d’aver preso un granchio.La fronte di Mister Pope non era più cospicua di quellad’un tizio qualsiasi. “Ah! scellerato” pensò ella “eccocome mi hai delusa. Ho scambiato quella bozza per latua fronte. Come sei ignobile, come sei spregevole, avederti ben bene in faccia! Un essere deforme e malatic-cio, nel quale non vedo nulla da venerare, ma piuttostomolto da compiangere e molto da disprezzare.”

Ma di nuovo si ingolfarono nel buio, e le furie di Or-lando si calmarono, non appena ella non vide più altroche le ginocchia del poeta.

“No; sono io la scellerata” rifletteva ella, allorchéun’oscurità completa tornò ad avvolgerli. “Per vile chetu sia, non sono io mille volte più vile? Sei tu che mi nu-trisci e mi proteggi, tu, tu che poni in fuga le belve espaventi il selvaggio; tu che pensi a tessere le vesti conla seta del baco, e i tappeti con la lana dell’agnello. Enon sei tu che soddisfi la mia sete d’adorazione, dando-mi un’immagine di te e innalzandola al cielo? Non trovoio ovunque le prove della tua sollecitudine? Quantaumiltà, quanta gratitudine, quanta obbedienza non ti

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debbo in cambio? Fa’ ch’io possa dunque servirti, ono-rarti e obbedirti in eterno.”

Qui erano giunti a tiro del gran fanale, all’angolodove trovasi oggi Piccadilly Circus. Alla luce abbaglian-te che li investì, Orlando scorse, oltre ad alcuni misericampioni del proprio sesso, due sciagurati pigmei sper-duti in un deserto inospitale, nudi entrambi, solitari esenza difesa, l’uno impotente a recar soccorso all’altro;poiché già ciascuno aveva abbastanza da fare a badare ase stesso. “È ugualmente vano che tu ti creda di proteg-germi, come io di adorarti” pensò Orlando, guardandoMister Pope in pieno viso. “La luce della verità ci inve-ste senza penombre, e la luce della verità non ci abbelli-sce punto o poco.”

Ma durante tutto quel viaggio, s’intende, avevano se-guitato a discorrere amabilmente, come accade tra per-sone ben nate e compite, sull’umore della Regina e lagotta del Primo Ministro, mentre la carrozza passava diluce in ombra, giù per Haymarket, lungo lo Strand, super Fleet Street, per giungere infine alla casa di Orlandoa Blackfriars. In ultimo i tratti d’ombra tra un lampionee l’altro si erano fatti meno cupi, e la luce stessa dei fa-nali appariva meno viva: ciò significava che l’alba anda-va spuntando, e fu appunto alla luce costante ma confu-sa d’un mattino d’estate, in cui tutto è visibile ma nullaappare chiaro, che scesero di carrozza; Mister Pope offrìa Orlando il proprio braccio e Orlando invitò con un in-chino Mister Pope a precederla nella sua dimora, se-

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debbo in cambio? Fa’ ch’io possa dunque servirti, ono-rarti e obbedirti in eterno.”

Qui erano giunti a tiro del gran fanale, all’angolodove trovasi oggi Piccadilly Circus. Alla luce abbaglian-te che li investì, Orlando scorse, oltre ad alcuni misericampioni del proprio sesso, due sciagurati pigmei sper-duti in un deserto inospitale, nudi entrambi, solitari esenza difesa, l’uno impotente a recar soccorso all’altro;poiché già ciascuno aveva abbastanza da fare a badare ase stesso. “È ugualmente vano che tu ti creda di proteg-germi, come io di adorarti” pensò Orlando, guardandoMister Pope in pieno viso. “La luce della verità ci inve-ste senza penombre, e la luce della verità non ci abbelli-sce punto o poco.”

Ma durante tutto quel viaggio, s’intende, avevano se-guitato a discorrere amabilmente, come accade tra per-sone ben nate e compite, sull’umore della Regina e lagotta del Primo Ministro, mentre la carrozza passava diluce in ombra, giù per Haymarket, lungo lo Strand, super Fleet Street, per giungere infine alla casa di Orlandoa Blackfriars. In ultimo i tratti d’ombra tra un lampionee l’altro si erano fatti meno cupi, e la luce stessa dei fa-nali appariva meno viva: ciò significava che l’alba anda-va spuntando, e fu appunto alla luce costante ma confu-sa d’un mattino d’estate, in cui tutto è visibile ma nullaappare chiaro, che scesero di carrozza; Mister Pope offrìa Orlando il proprio braccio e Orlando invitò con un in-chino Mister Pope a precederla nella sua dimora, se-

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guendo tutti i più scrupolosi particolari del rito delleGrazie.

La scena che abbiamo descritta non dovrà tuttavia farsupporre che il genio (ma questa malattia è ormai scom-parsa dalle Isole Britanniche: si dice che Lord Tennysonsia stato l’ultimo a soffrirne) sia una luce costantementeaccesa; altrimenti, tutto ci apparirebbe tanto luminoso,che a lungo andare correremmo il rischio di essere arro-stiti vivi. Il genio ha, piuttosto, una certa analogia conun faro in azione, il quale manda i suoi raggi a interval-li; salvo che il genio è assai più capriccioso nelle suemanifestazioni, e capace di mandar sei o sette lampi l’undopo l’altro (come aveva fatto Mister Pope quella notte)e poi spegnersi per un anno o per sempre. Procedere allaluce dei suoi raggi è dunque impossibile, e, quando que-gli uomini geniali si trovano negli intervalli neri, correvoce che non siano diversi dalla maggior parte degli al-tri mortali.

Era una fortuna per Orlando che fosse così, per quan-to, sulle prime, si risolvesse in una disillusione; poiché,da quella notte in poi, ella cominciò a frequentare lacompagnia d’uomini geniali. Né essi erano poi così di-versi da noi, quanto uno avrebbe creduto. Orlando sco-prì che Addison, Pope, Swift erano ghiotti di tè. Amava-no l’ombra dei pergolati. Facevano collezione di pezzet-ti di vetro colorato. Adoravano le grotte. Non respinge-vano gli onori. Le lodi li riempivano di delizia. Un gior-no vestivano di color prugna, un altro di grigio. Swiftaveva una bella canna di Malacca. Addison profumava

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guendo tutti i più scrupolosi particolari del rito delleGrazie.

La scena che abbiamo descritta non dovrà tuttavia farsupporre che il genio (ma questa malattia è ormai scom-parsa dalle Isole Britanniche: si dice che Lord Tennysonsia stato l’ultimo a soffrirne) sia una luce costantementeaccesa; altrimenti, tutto ci apparirebbe tanto luminoso,che a lungo andare correremmo il rischio di essere arro-stiti vivi. Il genio ha, piuttosto, una certa analogia conun faro in azione, il quale manda i suoi raggi a interval-li; salvo che il genio è assai più capriccioso nelle suemanifestazioni, e capace di mandar sei o sette lampi l’undopo l’altro (come aveva fatto Mister Pope quella notte)e poi spegnersi per un anno o per sempre. Procedere allaluce dei suoi raggi è dunque impossibile, e, quando que-gli uomini geniali si trovano negli intervalli neri, correvoce che non siano diversi dalla maggior parte degli al-tri mortali.

Era una fortuna per Orlando che fosse così, per quan-to, sulle prime, si risolvesse in una disillusione; poiché,da quella notte in poi, ella cominciò a frequentare lacompagnia d’uomini geniali. Né essi erano poi così di-versi da noi, quanto uno avrebbe creduto. Orlando sco-prì che Addison, Pope, Swift erano ghiotti di tè. Amava-no l’ombra dei pergolati. Facevano collezione di pezzet-ti di vetro colorato. Adoravano le grotte. Non respinge-vano gli onori. Le lodi li riempivano di delizia. Un gior-no vestivano di color prugna, un altro di grigio. Swiftaveva una bella canna di Malacca. Addison profumava

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il suo fazzoletto. Pope soffriva di mal di testa. Non di-sdegnavano qualche pettegolezzo. (Buttiamo giù a casoqualcuna delle osservazioni che si affacciarono alla rin-fusa alla mente di Orlando.) In principio Orlando si rim-proverò di dar importanza a inezie simili, e inaugurò untaccuino sul quale avrebbe notato i loro detti memorabi-li, ma la prima pagina rimase vuota. Però il suo spiritovi fece l’abitudine, e cominciò a strappare i bigliettid’invito a grandi ricevimenti; tenne libere le sue serate;sospirò la visita di Pope, di Addison, di Swift, ecc. ecc.Se il lettore vorrà prendersi la fatica di riferirsi al Ric-ciolo rapito, o allo «Spettatore», o ai Viaggi di Gulliver,capirà con più precisione ciò che significano queste pa-role gravi di mistero. Biografi e critici potrebbero benrisparmiarsi le loro pene, se il lettore volesse seguirequesto consiglio. Poiché quando leggiamo

Sia che la Ninfa si ribelli a Diana,O che s’intacchi la Fragil Porcellana,Macchi il suo Onore, o il suo nuovo Broccato,Manchi la Preghiera, o un Ballo Mascherato,Perda il suo Cuore, o il suo Vezzo, a un ballo...15

è come se ci vedessimo davanti Mister Pope in carne eossa; sappiamo come la sua lingua vibrasse al pari diquella d’una lucertola, come i suoi occhi mandasserofiamme, come la sua mano tremasse; sappiamo come

15 Sono versi da The Rape of the Lock (II, 105-9) di Alexander Pope (1688-1744). (N.d.T.)

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il suo fazzoletto. Pope soffriva di mal di testa. Non di-sdegnavano qualche pettegolezzo. (Buttiamo giù a casoqualcuna delle osservazioni che si affacciarono alla rin-fusa alla mente di Orlando.) In principio Orlando si rim-proverò di dar importanza a inezie simili, e inaugurò untaccuino sul quale avrebbe notato i loro detti memorabi-li, ma la prima pagina rimase vuota. Però il suo spiritovi fece l’abitudine, e cominciò a strappare i bigliettid’invito a grandi ricevimenti; tenne libere le sue serate;sospirò la visita di Pope, di Addison, di Swift, ecc. ecc.Se il lettore vorrà prendersi la fatica di riferirsi al Ric-ciolo rapito, o allo «Spettatore», o ai Viaggi di Gulliver,capirà con più precisione ciò che significano queste pa-role gravi di mistero. Biografi e critici potrebbero benrisparmiarsi le loro pene, se il lettore volesse seguirequesto consiglio. Poiché quando leggiamo

Sia che la Ninfa si ribelli a Diana,O che s’intacchi la Fragil Porcellana,Macchi il suo Onore, o il suo nuovo Broccato,Manchi la Preghiera, o un Ballo Mascherato,Perda il suo Cuore, o il suo Vezzo, a un ballo...15

è come se ci vedessimo davanti Mister Pope in carne eossa; sappiamo come la sua lingua vibrasse al pari diquella d’una lucertola, come i suoi occhi mandasserofiamme, come la sua mano tremasse; sappiamo come

15 Sono versi da The Rape of the Lock (II, 105-9) di Alexander Pope (1688-1744). (N.d.T.)

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amasse, come mentisse, come soffrisse. Insomma ognisegreto di un’anima di scrittore, ogni esperienza dellasua vita, ogni prerogativa del suo intelletto si legge chia-ramente nelle sue opere, eppure, ecco che non sappiamofare a meno del critico per spiegarci questo e del biogra-fo per chiarirci quest’altro. Che il tempo pesi gravemen-te sul destino dell’uomo, ecco la sola spiegazione di unfatto così anormale.

Dopo che avremo letto un paio di pagine del Ricciolorapito di Alexander Pope, sapremo esattamente perchéOrlando, quel pomeriggio, fosse così divertita, perchéavesse le guance così colorite e gli occhi così vividi.

Mistress Nelly bussò alla porta, e disse che MisterAddison desiderava presentare i suoi omaggi a Sua Si-gnoria. A quelle parole, Mister Pope si levò, sorriseobliquo, si congedò e si eclissò zoppicando. Mister Ad-dison fece il suo ingresso. Intanto che egli si accomoda,leggiamo insieme questo passo dello «Spettatore»:

“Considero la donna un bell’animale romantico, alquale ben si addicono ornamenti di pelo e di piuma, per-le e diamanti, metalli e sete. La lince porrà ai suoi piedila propria pelliccia, onde ella se ne faccia una pellegri-na, il pavone, il pappagallo e il cigno s’uniranno per do-narle il manicotto; si frugherà il mare per trarne conchi-glie, e le rocce per cavarne gemme, e ogni regno dellanatura pagherà il suo tributo per l’abbellimento d’unacreatura che ne è l’opera più compiuta. Tutto ciò io loconcedo di buon grado alle donne, ma, in quanto alla

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amasse, come mentisse, come soffrisse. Insomma ognisegreto di un’anima di scrittore, ogni esperienza dellasua vita, ogni prerogativa del suo intelletto si legge chia-ramente nelle sue opere, eppure, ecco che non sappiamofare a meno del critico per spiegarci questo e del biogra-fo per chiarirci quest’altro. Che il tempo pesi gravemen-te sul destino dell’uomo, ecco la sola spiegazione di unfatto così anormale.

Dopo che avremo letto un paio di pagine del Ricciolorapito di Alexander Pope, sapremo esattamente perchéOrlando, quel pomeriggio, fosse così divertita, perchéavesse le guance così colorite e gli occhi così vividi.

Mistress Nelly bussò alla porta, e disse che MisterAddison desiderava presentare i suoi omaggi a Sua Si-gnoria. A quelle parole, Mister Pope si levò, sorriseobliquo, si congedò e si eclissò zoppicando. Mister Ad-dison fece il suo ingresso. Intanto che egli si accomoda,leggiamo insieme questo passo dello «Spettatore»:

“Considero la donna un bell’animale romantico, alquale ben si addicono ornamenti di pelo e di piuma, per-le e diamanti, metalli e sete. La lince porrà ai suoi piedila propria pelliccia, onde ella se ne faccia una pellegri-na, il pavone, il pappagallo e il cigno s’uniranno per do-narle il manicotto; si frugherà il mare per trarne conchi-glie, e le rocce per cavarne gemme, e ogni regno dellanatura pagherà il suo tributo per l’abbellimento d’unacreatura che ne è l’opera più compiuta. Tutto ciò io loconcedo di buon grado alle donne, ma, in quanto alla

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gonnella di cui vi parlavo or ora, non vi consento, né viconsentiro mai.”16

Lo teniamo dunque sul palmo della mano, questo si-gnore, dalla punta del tricorno alla punta delle scarpe.Esaminiamolo al fuoco della lente, giacché ci siamo.Non lo vedete in ogni minimo particolare, sino alla pie-ga delle calze? Non abbiamo sotto gli occhi ogni ruga,ogni piega del suo spirito, e la sua benignità e la sua bennota timidezza, sino al fatto che sposò una contessa efece una morte oltremodo rispettabile? Tutto è chiarocome l’acqua di fonte. E Mister Addison ha appena fini-to di dire la sua, che si sente picchiar rumorosamentealla porta, e Mister Swift, il quale usa di questi modi ar-bitrari, entra senza farsi annunciare. Un momento! Dovesono i Viaggi di Gulliver? Eccoli qui! Leggiamo un bra-no del Viaggio al paese dei Houyhnhnms:

“Godevo allora di una perfetta Salute di Corpo ecompleta Pace di Spirito; non avevo incontrato né ilTradimento o l’Incostanza di un Amico, né l’Oltraggiodi un Nemico segreto o aperto. Non ero costretto a bri-gare, né a lusingare, né tampoco a ruffianeggiare per ac-caparrarmi il favore di un qualsiasi Potente, o del suoMignone. Non avevo bisogno di erigermi Baluardi con-tro la Frode e l’Oppressione; qui non c’era Medico cheminacciasse il mio Corpo, né Avvocato che rovinasse i16 Lo «Spectator», uno dei primi e più importanti periodici del Settecento, fudiretto da Robert Steele e Joseph Addison nel 1711-2, e ripreso da Addison nel1714. Nonostante lo spazio dedicato alle donne ed ai problemi delle donne,non si è potuto localizzare la citazione, benché altre siano in linea con i concet-ti qui espressi. (N.d.T.)

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gonnella di cui vi parlavo or ora, non vi consento, né viconsentiro mai.”16

Lo teniamo dunque sul palmo della mano, questo si-gnore, dalla punta del tricorno alla punta delle scarpe.Esaminiamolo al fuoco della lente, giacché ci siamo.Non lo vedete in ogni minimo particolare, sino alla pie-ga delle calze? Non abbiamo sotto gli occhi ogni ruga,ogni piega del suo spirito, e la sua benignità e la sua bennota timidezza, sino al fatto che sposò una contessa efece una morte oltremodo rispettabile? Tutto è chiarocome l’acqua di fonte. E Mister Addison ha appena fini-to di dire la sua, che si sente picchiar rumorosamentealla porta, e Mister Swift, il quale usa di questi modi ar-bitrari, entra senza farsi annunciare. Un momento! Dovesono i Viaggi di Gulliver? Eccoli qui! Leggiamo un bra-no del Viaggio al paese dei Houyhnhnms:

“Godevo allora di una perfetta Salute di Corpo ecompleta Pace di Spirito; non avevo incontrato né ilTradimento o l’Incostanza di un Amico, né l’Oltraggiodi un Nemico segreto o aperto. Non ero costretto a bri-gare, né a lusingare, né tampoco a ruffianeggiare per ac-caparrarmi il favore di un qualsiasi Potente, o del suoMignone. Non avevo bisogno di erigermi Baluardi con-tro la Frode e l’Oppressione; qui non c’era Medico cheminacciasse il mio Corpo, né Avvocato che rovinasse i16 Lo «Spectator», uno dei primi e più importanti periodici del Settecento, fudiretto da Robert Steele e Joseph Addison nel 1711-2, e ripreso da Addison nel1714. Nonostante lo spazio dedicato alle donne ed ai problemi delle donne,non si è potuto localizzare la citazione, benché altre siano in linea con i concet-ti qui espressi. (N.d.T.)

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miei Averi; nessuno Spione che cogliesse le mie Parolee Azioni e architettasse Accuse contro di me per averDanaro: qui non c’erano Burloni, né Censori, né MaleLingue, né Borsaiuoli, né Briganti, né Scassinatori, néGiudici, né Mezzani, né Buffoni, né Biscazzieri, né Po-liticanti, né Belli Spiriti, né Chiacchieroni atrabiliari etediosi...”

Ma basta, basta con questo fuoco tambureggiante diparole! Finirete per scorticarci vivi tutti quanti, e voi persoprappiù! Non c’è nulla che possa riuscir più platealedella violenza di quell’uomo. Egli è così rude, eppurecosì pulito; così brutale, eppure così gentile; disprezza ilmondo intero, eppure eccolo a vezzeggiare una bimba; emorirà – possiamo dubitarlo? – in un manicomio.

Orlando serviva dunque il tè a tutti quanti; e qualchevolta, quando faceva bel tempo, li conduceva in campa-gna con lei, trattandoli regalmente nella sala Rotonda,dove aveva appeso i loro ritratti in giro tutt’intorno, co-sicché Mister Pope non poteva lamentarsi di venir dopoMister Addison, o viceversa. Essi profondevano tesoridi spirito (ma il loro spirito si ritrovava tutto nei loro li-bri) e le insegnavano la cosa più importante dello stile,la quale consiste nell’imprimere alla voce un tono natu-rale: qualità che bisognava aver udito a viva voce persaperla imitare; nemmeno Nick Greene vi sarebbe riu-scito, con tutta la sua abilità; essa nasce nell’aria stessadell’ambiente, s’infrange come un’onda sui mobili, e al-lontanandosi si disperde, né può esser di nuovo impri-gionata; meno che mai da coloro che mezzo secolo dopo

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miei Averi; nessuno Spione che cogliesse le mie Parolee Azioni e architettasse Accuse contro di me per averDanaro: qui non c’erano Burloni, né Censori, né MaleLingue, né Borsaiuoli, né Briganti, né Scassinatori, néGiudici, né Mezzani, né Buffoni, né Biscazzieri, né Po-liticanti, né Belli Spiriti, né Chiacchieroni atrabiliari etediosi...”

Ma basta, basta con questo fuoco tambureggiante diparole! Finirete per scorticarci vivi tutti quanti, e voi persoprappiù! Non c’è nulla che possa riuscir più platealedella violenza di quell’uomo. Egli è così rude, eppurecosì pulito; così brutale, eppure così gentile; disprezza ilmondo intero, eppure eccolo a vezzeggiare una bimba; emorirà – possiamo dubitarlo? – in un manicomio.

Orlando serviva dunque il tè a tutti quanti; e qualchevolta, quando faceva bel tempo, li conduceva in campa-gna con lei, trattandoli regalmente nella sala Rotonda,dove aveva appeso i loro ritratti in giro tutt’intorno, co-sicché Mister Pope non poteva lamentarsi di venir dopoMister Addison, o viceversa. Essi profondevano tesoridi spirito (ma il loro spirito si ritrovava tutto nei loro li-bri) e le insegnavano la cosa più importante dello stile,la quale consiste nell’imprimere alla voce un tono natu-rale: qualità che bisognava aver udito a viva voce persaperla imitare; nemmeno Nick Greene vi sarebbe riu-scito, con tutta la sua abilità; essa nasce nell’aria stessadell’ambiente, s’infrange come un’onda sui mobili, e al-lontanandosi si disperde, né può esser di nuovo impri-gionata; meno che mai da coloro che mezzo secolo dopo

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tenderanno l’orecchio sforzandosi di afferrarne l’eco.Questo i poeti insegnarono a Orlando, unicamente conla cadenza delle loro voci nel parlare; e così ella inco-minciò a mutare il proprio stile, e compose versi oltre-modo ricchi di grazia e di spirito, e disegnò anche qual-che medaglione in prosa. Intanto ella non risparmiavaloro i vini della sua cantina, e a pranzo poneva sotto ailoro piatti qualche biglietto di banca che essi intascava-no di buon grado; e accettava le loro dediche, sentendosialtamente onorata nello scambio.

Così passavano i giorni, e spesso si sarebbe potutosentire Orlando dire a se stessa, con un’enfasi che al let-tore apparirebbe un poco sospetta: “Per l’anima mia,che vita è mai questa!”. (Perché era ancora sempre incerca di quella merce.) Ma le circostanze la costrinserotosto ad aprir gli occhi.

Un giorno stava versando il tè a Mister Pope, il quale(ognuno potrà dedurlo dai versi sopracitati) era lì aguardarla tutto attento, con gli occhi che pungevanocome spilli, raggomitolato nel suo seggiolone.

“Signore!” pensava Orlando, levando la pinza dellozucchero; “come mi invidieranno, un giorno, le donne!”Eppure – finiremo noi il suo pensiero – quando qualcu-no dice: “Come mi invidieranno le generazioni future!”,si può assumer per certo che non si trova affatto bene almomento presente. Quella vita era poi così emozionan-te, così ricca di soddisfazioni, così luminosa in realtà,come si potrebbe credere allorché il memorialista l’hadipinta a bei colori? In primo luogo, Orlando aveva una

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tenderanno l’orecchio sforzandosi di afferrarne l’eco.Questo i poeti insegnarono a Orlando, unicamente conla cadenza delle loro voci nel parlare; e così ella inco-minciò a mutare il proprio stile, e compose versi oltre-modo ricchi di grazia e di spirito, e disegnò anche qual-che medaglione in prosa. Intanto ella non risparmiavaloro i vini della sua cantina, e a pranzo poneva sotto ailoro piatti qualche biglietto di banca che essi intascava-no di buon grado; e accettava le loro dediche, sentendosialtamente onorata nello scambio.

Così passavano i giorni, e spesso si sarebbe potutosentire Orlando dire a se stessa, con un’enfasi che al let-tore apparirebbe un poco sospetta: “Per l’anima mia,che vita è mai questa!”. (Perché era ancora sempre incerca di quella merce.) Ma le circostanze la costrinserotosto ad aprir gli occhi.

Un giorno stava versando il tè a Mister Pope, il quale(ognuno potrà dedurlo dai versi sopracitati) era lì aguardarla tutto attento, con gli occhi che pungevanocome spilli, raggomitolato nel suo seggiolone.

“Signore!” pensava Orlando, levando la pinza dellozucchero; “come mi invidieranno, un giorno, le donne!”Eppure – finiremo noi il suo pensiero – quando qualcu-no dice: “Come mi invidieranno le generazioni future!”,si può assumer per certo che non si trova affatto bene almomento presente. Quella vita era poi così emozionan-te, così ricca di soddisfazioni, così luminosa in realtà,come si potrebbe credere allorché il memorialista l’hadipinta a bei colori? In primo luogo, Orlando aveva una

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positiva idiosincrasia per il tè; secondo, l’intelletto, puressendo di natura divina e adorabile, ha l’abitudine dielegger la sua dimora nella più logora carcassa, troppospesso, ahimè!, a spese delle altre virtù che si farà undovere di divorare; sì che spesso, là dove lo Spirito ha laparte del leone, al Cuore, ai Sensi, alla Magnanimità,alla Carità, alla Tolleranza, alla Bontà rimane a malape-na posto per respirare. C’è, poi, l’alto conto che i poetifanno di se stessi, e la scarsa opinione che hanno deglialtri: le inimicizie, le dispute, le invidie, le polemiche incui si trovano costantemente impegnati; e la volubilitàcon la quale vi si immergono; e la rapacità con cui esi-gono la simpatia altrui; tutto questo (diciamolo a bassavoce, per tema che ci sentano i belli spiriti) farà sì che ilservire il tè diventi un’occupazione più precaria e arduadi quanto non si creda in generale. Aggiungiamo ancora(abbassando di nuovo la voce ché non ci sentano le si-gnore) che c’è un piccolo segreto che gli uomini si tra-mandano l’un l’altro; Lord Chesterfield17 l’ha bisbiglia-to al figlio, con la stretta raccomandazione di tenerlo persé: “Le donne non sono che grandi bambine... Un uomodi buon senso si limiterà a gingillarsi, a giocare conesse, le compiacerà e le lusingherà”; ma siccome i bam-bini, e qualche volta anche i grandi, sentono semprequello che non è fatto per le loro orecchie, così accadeche il segreto trapeli qua e là, sì che la cerimonia del

17 Statista e diplomatico (1694-1773), autore di celebri lettere al figlio natura-le Philip Stanhope. La frase citata è dalla lettera del 5 settembre 1748 (O.S.).(N.d.T.)

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positiva idiosincrasia per il tè; secondo, l’intelletto, puressendo di natura divina e adorabile, ha l’abitudine dielegger la sua dimora nella più logora carcassa, troppospesso, ahimè!, a spese delle altre virtù che si farà undovere di divorare; sì che spesso, là dove lo Spirito ha laparte del leone, al Cuore, ai Sensi, alla Magnanimità,alla Carità, alla Tolleranza, alla Bontà rimane a malape-na posto per respirare. C’è, poi, l’alto conto che i poetifanno di se stessi, e la scarsa opinione che hanno deglialtri: le inimicizie, le dispute, le invidie, le polemiche incui si trovano costantemente impegnati; e la volubilitàcon la quale vi si immergono; e la rapacità con cui esi-gono la simpatia altrui; tutto questo (diciamolo a bassavoce, per tema che ci sentano i belli spiriti) farà sì che ilservire il tè diventi un’occupazione più precaria e arduadi quanto non si creda in generale. Aggiungiamo ancora(abbassando di nuovo la voce ché non ci sentano le si-gnore) che c’è un piccolo segreto che gli uomini si tra-mandano l’un l’altro; Lord Chesterfield17 l’ha bisbiglia-to al figlio, con la stretta raccomandazione di tenerlo persé: “Le donne non sono che grandi bambine... Un uomodi buon senso si limiterà a gingillarsi, a giocare conesse, le compiacerà e le lusingherà”; ma siccome i bam-bini, e qualche volta anche i grandi, sentono semprequello che non è fatto per le loro orecchie, così accadeche il segreto trapeli qua e là, sì che la cerimonia del

17 Statista e diplomatico (1694-1773), autore di celebri lettere al figlio natura-le Philip Stanhope. La frase citata è dalla lettera del 5 settembre 1748 (O.S.).(N.d.T.)

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servire il tè è diventata anche quella una cosa spassosa.Una donna sa benissimo che un uomo di spirito puòmandarle i suoi versi, lodare i suoi giudizi, sollecitare lesue critiche e bere il suo tè, ma questo non significa an-cora che egli rispetti le di lei opinioni, ammiri la sua in-telligenza e rinunci, poiché il fioretto gli è negato, a tra-figgerla con la sua penna. Tutte queste cose, abbiamo unbel mormorarle a bassa voce; ma, come dicevamo, pos-sono esser trapelate; sì che, anche con la lattiera a mez-za strada e la pinza dello zucchero sospesa, una signorapotrà perdere un tantino la pazienza, dare un’occhiatafuori della finestra, sbadigliare un poco, e lasciar caderelo zucchero nella tazza di Mister Pope: proprio come ac-cadde quel giorno a Orlando. Se mai vi fu al mondomortale più pronto a sospettare un’ingiuria e a vendicar-sene, era proprio Mister Pope; il quale si voltò verso Or-lando, e le fece tosto il regalo d’una celebre stoccata,che si trova in un verso dei suoi Ritratti femminili: versoche in seguito doveva essere alquanto elaborato e lima-to, ma che anche nella versione originale era abbastanzapepato. Orlando lo accolse con una riverenza. MisterPope si congedò con un inchino. Per rinfrescar le suegote Orlando, che si sentiva davvero come sequell’ometto le avesse regalato uno schiaffo, se ne andòa passeggiare nel boschetto di noci in fondo al giardino.Tosto l’aria fresca fece il suo effetto: con sua immensameraviglia, Orlando scoprì che si sentiva grandementesollevata nel trovarsi sola. Guardò le barche cariche, lequali risalivano allegramente il fiume a furia di remi, e

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servire il tè è diventata anche quella una cosa spassosa.Una donna sa benissimo che un uomo di spirito puòmandarle i suoi versi, lodare i suoi giudizi, sollecitare lesue critiche e bere il suo tè, ma questo non significa an-cora che egli rispetti le di lei opinioni, ammiri la sua in-telligenza e rinunci, poiché il fioretto gli è negato, a tra-figgerla con la sua penna. Tutte queste cose, abbiamo unbel mormorarle a bassa voce; ma, come dicevamo, pos-sono esser trapelate; sì che, anche con la lattiera a mez-za strada e la pinza dello zucchero sospesa, una signorapotrà perdere un tantino la pazienza, dare un’occhiatafuori della finestra, sbadigliare un poco, e lasciar caderelo zucchero nella tazza di Mister Pope: proprio come ac-cadde quel giorno a Orlando. Se mai vi fu al mondomortale più pronto a sospettare un’ingiuria e a vendicar-sene, era proprio Mister Pope; il quale si voltò verso Or-lando, e le fece tosto il regalo d’una celebre stoccata,che si trova in un verso dei suoi Ritratti femminili: versoche in seguito doveva essere alquanto elaborato e lima-to, ma che anche nella versione originale era abbastanzapepato. Orlando lo accolse con una riverenza. MisterPope si congedò con un inchino. Per rinfrescar le suegote Orlando, che si sentiva davvero come sequell’ometto le avesse regalato uno schiaffo, se ne andòa passeggiare nel boschetto di noci in fondo al giardino.Tosto l’aria fresca fece il suo effetto: con sua immensameraviglia, Orlando scoprì che si sentiva grandementesollevata nel trovarsi sola. Guardò le barche cariche, lequali risalivano allegramente il fiume a furia di remi, e

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non c’è dubbio che fosse quella vista a rammentarle unoo due episodi della vita passata. Sedette sotto un bel sa-lice, e s’immerse in profonde meditazioni. Là rimase,sino all’ora in cui le prime stelle s’accesero in cielo. Al-lora si levò, e rivolse il passo verso casa, dove si ritirònella sua stanza da letto, chiudendo la porta a chiave.Aprì quindi un armadio, dove erano tuttora appesi pa-recchi degli abiti che aveva portato quando era un gio-vane elegante; e tra questi scelse un vestito di vellutonero riccamente guarnito di merletti di Venezia. Era unpo’ fuori moda, a dir la verità, ma le stava a pennello ele dava proprio l’aria di un giovin signore. Ella fece unpaio di sgambetti davanti allo specchio, onde accertarsiche le gonnelle non le avessero fatto perder l’elasticitàdelle gambe, e alla chetichella se ne uscì di casa.

Era una bella nottata, ai primi d’aprile. Una miriadedi stelle, frammista al debol raggio di una falce di luna,a sua volta ravvivato dai lampioni delle strade, compo-nevano una luce che s’addiceva infinitamente alla figuraumana e all’architettura di Christopher Wren. Ogni for-ma assumeva i contorni più delicati e, quando pareva sulpunto di dissolversi, ecco che una goccia d’argentogiungeva in punto a rianimarla. “Ecco come dovrebbeessere la conversazione” pensava Orlando (la quale in-dulgeva in fantasticherie assurde); “come dovrebberoessere la società, e l’amicizia, e l’amore. Dio solo sa ilperché, ma nel momento stesso in cui abbiamo persoogni fede nelle relazioni umane, qualche armonia pura-mente fortuita di capanni e alberi, o di un fienile e di un

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non c’è dubbio che fosse quella vista a rammentarle unoo due episodi della vita passata. Sedette sotto un bel sa-lice, e s’immerse in profonde meditazioni. Là rimase,sino all’ora in cui le prime stelle s’accesero in cielo. Al-lora si levò, e rivolse il passo verso casa, dove si ritirònella sua stanza da letto, chiudendo la porta a chiave.Aprì quindi un armadio, dove erano tuttora appesi pa-recchi degli abiti che aveva portato quando era un gio-vane elegante; e tra questi scelse un vestito di vellutonero riccamente guarnito di merletti di Venezia. Era unpo’ fuori moda, a dir la verità, ma le stava a pennello ele dava proprio l’aria di un giovin signore. Ella fece unpaio di sgambetti davanti allo specchio, onde accertarsiche le gonnelle non le avessero fatto perder l’elasticitàdelle gambe, e alla chetichella se ne uscì di casa.

Era una bella nottata, ai primi d’aprile. Una miriadedi stelle, frammista al debol raggio di una falce di luna,a sua volta ravvivato dai lampioni delle strade, compo-nevano una luce che s’addiceva infinitamente alla figuraumana e all’architettura di Christopher Wren. Ogni for-ma assumeva i contorni più delicati e, quando pareva sulpunto di dissolversi, ecco che una goccia d’argentogiungeva in punto a rianimarla. “Ecco come dovrebbeessere la conversazione” pensava Orlando (la quale in-dulgeva in fantasticherie assurde); “come dovrebberoessere la società, e l’amicizia, e l’amore. Dio solo sa ilperché, ma nel momento stesso in cui abbiamo persoogni fede nelle relazioni umane, qualche armonia pura-mente fortuita di capanni e alberi, o di un fienile e di un

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carretto, ci regala un simbolo così perfetto dell’irrag-giungibile, che ci mettiamo da capo alla ricerca.”

Facendo queste riflessioni, Orlando era giunta in Lei-cester Square. Gli edifici avevano una simmetria aereaeppur rigida sconosciuta alla luce del giorno. La voltadel cielo pareva un intonaco abilmente disteso per com-pletare i contorni dei tetti e dei camini. Una giovanedonna seduta sconsolata su di una panca sotto un plata-no, nel mezzo della piazza, con un braccio ricadentelungo il fianco, pareva l’immagine stessa della grazia,della semplicità e della desolazione. Orlando la salutòtagliando l’aria con un gran gesto del suo cappello,come un elegantone che in pubblico presentasse i suoirispetti a una dama di qualità. La giovane alzò il capo.Era della più squisita armonia di forme. La giovane alzògli occhi. Orlando vide balenare in essi un lustro, qualesi rispecchia talvolta su di una teiera, ma raramente inun volto umano. Attraverso quello smalto argenteo, lagiovane levò verso di lui (per lei, era un uomo che ave-va dinanzi) uno sguardo implorante, fiducioso, treme-bondo, timoroso. Si alzò: accettò il braccio di Orlando.Poiché – c’è bisogno di dirlo? – ella apparteneva alla tri-bù delle sventurate che ogni sera lustrano la loro merceonde esporla nella comune vetrina in attesa del maggio-re offerente.

La donna condusse Orlando nella camera che abitavain Gerrard Street. Sentendosela al braccio, lieve eppursupplichevole, Orlando sentì ridestarsi in sé tutti i senti-menti che convengono ad un uomo. Ella ne aveva

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carretto, ci regala un simbolo così perfetto dell’irrag-giungibile, che ci mettiamo da capo alla ricerca.”

Facendo queste riflessioni, Orlando era giunta in Lei-cester Square. Gli edifici avevano una simmetria aereaeppur rigida sconosciuta alla luce del giorno. La voltadel cielo pareva un intonaco abilmente disteso per com-pletare i contorni dei tetti e dei camini. Una giovanedonna seduta sconsolata su di una panca sotto un plata-no, nel mezzo della piazza, con un braccio ricadentelungo il fianco, pareva l’immagine stessa della grazia,della semplicità e della desolazione. Orlando la salutòtagliando l’aria con un gran gesto del suo cappello,come un elegantone che in pubblico presentasse i suoirispetti a una dama di qualità. La giovane alzò il capo.Era della più squisita armonia di forme. La giovane alzògli occhi. Orlando vide balenare in essi un lustro, qualesi rispecchia talvolta su di una teiera, ma raramente inun volto umano. Attraverso quello smalto argenteo, lagiovane levò verso di lui (per lei, era un uomo che ave-va dinanzi) uno sguardo implorante, fiducioso, treme-bondo, timoroso. Si alzò: accettò il braccio di Orlando.Poiché – c’è bisogno di dirlo? – ella apparteneva alla tri-bù delle sventurate che ogni sera lustrano la loro merceonde esporla nella comune vetrina in attesa del maggio-re offerente.

La donna condusse Orlando nella camera che abitavain Gerrard Street. Sentendosela al braccio, lieve eppursupplichevole, Orlando sentì ridestarsi in sé tutti i senti-menti che convengono ad un uomo. Ella ne aveva

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l’aspetto; e sentiva e si esprimeva in conseguenza. Maessendo stata donna lei stessa poco tempo innanzi, so-spettò che il contegno timido della ragazza, le sue rispo-ste titubanti, il modo stesso con cui frugava con la chia-ve nella toppa, e la piega del suo mantello e i polsini acannoncini, fossero tutti espedienti messi avanti percompiacere alla sua virilità. Salirono le scale; e le curecon cui la povera creatura aveva agghindato la sua stan-zetta, cercando di dissimulare che era l’unica, non in-gannarono Orlando neppur per un istante. L’inganno ri-svegliò il di lei disprezzo; la verità, la sua compassione.L’un sentimento sovrapposto all’altro crearono il piùbizzarro stato d’animo, sì che in ultimo Orlando nonseppe più se si sentisse disposta al riso o al pianto. Nelfrattempo Nell – così aveva detto di chiamarsi la ragaz-za – si sbottonava i guanti, nascondendo con cura il pol-lice sinistro, che aveva gran bisogno di essere rammen-dato; poi era scomparsa dietro un paravento, dove, for-se, metteva un po’ di rossetto alle guance, si rassettavale vesti, si annodava al collo un’altra sciarpa senza ces-sar di chiacchierare, come fanno le donne, per divertireil loro amante; benché Orlando, dal tono della sua voce,avrebbe potuto giurare che i suoi pensieri erano ben lon-tani. Quando fu in ordine riapparve, pronta. Ma a questopunto, Orlando non poté resistere più. Stranamente dila-niata fra collera, allegria e pietà, gettò la maschera econfessò di esser donna.

A quella nuova, Nell ruppe in tal scoppio di risa dafarsi udire dall’altra parte della strada.

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l’aspetto; e sentiva e si esprimeva in conseguenza. Maessendo stata donna lei stessa poco tempo innanzi, so-spettò che il contegno timido della ragazza, le sue rispo-ste titubanti, il modo stesso con cui frugava con la chia-ve nella toppa, e la piega del suo mantello e i polsini acannoncini, fossero tutti espedienti messi avanti percompiacere alla sua virilità. Salirono le scale; e le curecon cui la povera creatura aveva agghindato la sua stan-zetta, cercando di dissimulare che era l’unica, non in-gannarono Orlando neppur per un istante. L’inganno ri-svegliò il di lei disprezzo; la verità, la sua compassione.L’un sentimento sovrapposto all’altro crearono il piùbizzarro stato d’animo, sì che in ultimo Orlando nonseppe più se si sentisse disposta al riso o al pianto. Nelfrattempo Nell – così aveva detto di chiamarsi la ragaz-za – si sbottonava i guanti, nascondendo con cura il pol-lice sinistro, che aveva gran bisogno di essere rammen-dato; poi era scomparsa dietro un paravento, dove, for-se, metteva un po’ di rossetto alle guance, si rassettavale vesti, si annodava al collo un’altra sciarpa senza ces-sar di chiacchierare, come fanno le donne, per divertireil loro amante; benché Orlando, dal tono della sua voce,avrebbe potuto giurare che i suoi pensieri erano ben lon-tani. Quando fu in ordine riapparve, pronta. Ma a questopunto, Orlando non poté resistere più. Stranamente dila-niata fra collera, allegria e pietà, gettò la maschera econfessò di esser donna.

A quella nuova, Nell ruppe in tal scoppio di risa dafarsi udire dall’altra parte della strada.

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«Ebbene, mia cara» disse quando si fu riavuta «non cipiangerei poi proprio sopra. Tanto vale che mettaanch’io le carte in tavola» (ed era sorprendente la pron-tezza con cui, non appena scoperto che erano del mede-simo sesso, aveva cambiato registro e abbandonato ilsuo tono lamentoso e supplichevole) «e che confessi chestasera non mi sentivo affatto in vena di far la smorfiosacon gli uomini. La verità è che sono nei pasticci finoalla punta dei capelli.»

Dopo di che attizzò la brace nel caminetto, diede fuo-co a una scodella di punch e regalò a Orlando la storiaintera della sua vita. Essendo la vita di Orlando quellache particolarmente ci interessa, vi faremo grazia delleavventure di quell’altra signora; ma certo è che Orlandonon aveva mai visto le ore passar più in fretta, né sì ga-iamente, per quanto madamigella Nell non avesse unbriciolo di spirito nel proprio cervello e, quando il nomedi Mister Pope cadde a caso nel discorso, ella doman-dasse candidamente se era un parente di Pope il parruc-chiere di Jermyn Street. Ma tali sono l’incanto della na-turalezza e la seduzione della bellezza, che i discorsi diquella poverina, benché lardellati delle più volgariespressioni di strada, ebbero per Orlando il sapor d’unvino schietto, dopo le belle frasi cui era usa, e fu tratta aconcludere che vi dovesse essere qualcosa nell’ironia diPope, nella condiscendenza di Addison e nei segreti diLord Chesterfield, che le guastava un poco la compa-gnia dei belli spiriti, senza che con ciò ella cessasse dirispettare profondamente le opere loro.

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«Ebbene, mia cara» disse quando si fu riavuta «non cipiangerei poi proprio sopra. Tanto vale che mettaanch’io le carte in tavola» (ed era sorprendente la pron-tezza con cui, non appena scoperto che erano del mede-simo sesso, aveva cambiato registro e abbandonato ilsuo tono lamentoso e supplichevole) «e che confessi chestasera non mi sentivo affatto in vena di far la smorfiosacon gli uomini. La verità è che sono nei pasticci finoalla punta dei capelli.»

Dopo di che attizzò la brace nel caminetto, diede fuo-co a una scodella di punch e regalò a Orlando la storiaintera della sua vita. Essendo la vita di Orlando quellache particolarmente ci interessa, vi faremo grazia delleavventure di quell’altra signora; ma certo è che Orlandonon aveva mai visto le ore passar più in fretta, né sì ga-iamente, per quanto madamigella Nell non avesse unbriciolo di spirito nel proprio cervello e, quando il nomedi Mister Pope cadde a caso nel discorso, ella doman-dasse candidamente se era un parente di Pope il parruc-chiere di Jermyn Street. Ma tali sono l’incanto della na-turalezza e la seduzione della bellezza, che i discorsi diquella poverina, benché lardellati delle più volgariespressioni di strada, ebbero per Orlando il sapor d’unvino schietto, dopo le belle frasi cui era usa, e fu tratta aconcludere che vi dovesse essere qualcosa nell’ironia diPope, nella condiscendenza di Addison e nei segreti diLord Chesterfield, che le guastava un poco la compa-gnia dei belli spiriti, senza che con ciò ella cessasse dirispettare profondamente le opere loro.

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Nell le fece conoscere la Prue, e la Prue la Kitty, e laKitty la Rose; ed ella poté constatare che quelle poverecreature formavano una casta particolare, di cui l’ammi-sero tosto a far parte. Ognuna narrava le avventure chel’avevano condotta a quella vita. Parecchie erano figlienaturali di conti; e una, persino, più vicina del necessa-rio alla Maestà del Re in persona. Nessuna era tanto me-schina o tanto povera da non avere in tasca qualcheanello o moccichino che le tenesse luogo d’albero ge-nealogico. Si raccoglievano intorno alla scodella delpunch che Orlando si faceva dovere di riempir sempregenerosamente, e là fiorivano le belle storielle, correva-no le osservazioni argute, poiché è certo che quando ledonne si trovano insieme – ma zitti! – hanno semprecura a che le porte siano ben chiuse, e a che non una pa-rola di quel che esce loro di bocca finisca in carta stam-pata. Loro unico desiderio è che – ma zitti, zitti! non èun passo d’uomo che si sente sulle scale? – loro unicodesiderio, stavamo dicendo, quando quel signore ci hatolto la parola di bocca. Le donne non hanno desideri,dice questo signore, entrando in casa di Nell; soltantodelle affettazioni. Senza desideri (ella lo ha servito apuntino ed egli se n’è andato) la loro conversazione nonpuò avere il più piccolo interesse per chicchessia. “Ènoto” scrive Mister S. W. “che quando manca loro lo sti-molo dell’altro sesso, le donne non trovano più nulla dadirsi. Quando sono sole, non parlano, graffiano.” E senon parlano, e visto che non ci si può poi graffiare inde-finitamente, e se è ben noto che (Mister T. R. lo ha pro-

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Nell le fece conoscere la Prue, e la Prue la Kitty, e laKitty la Rose; ed ella poté constatare che quelle poverecreature formavano una casta particolare, di cui l’ammi-sero tosto a far parte. Ognuna narrava le avventure chel’avevano condotta a quella vita. Parecchie erano figlienaturali di conti; e una, persino, più vicina del necessa-rio alla Maestà del Re in persona. Nessuna era tanto me-schina o tanto povera da non avere in tasca qualcheanello o moccichino che le tenesse luogo d’albero ge-nealogico. Si raccoglievano intorno alla scodella delpunch che Orlando si faceva dovere di riempir sempregenerosamente, e là fiorivano le belle storielle, correva-no le osservazioni argute, poiché è certo che quando ledonne si trovano insieme – ma zitti! – hanno semprecura a che le porte siano ben chiuse, e a che non una pa-rola di quel che esce loro di bocca finisca in carta stam-pata. Loro unico desiderio è che – ma zitti, zitti! non èun passo d’uomo che si sente sulle scale? – loro unicodesiderio, stavamo dicendo, quando quel signore ci hatolto la parola di bocca. Le donne non hanno desideri,dice questo signore, entrando in casa di Nell; soltantodelle affettazioni. Senza desideri (ella lo ha servito apuntino ed egli se n’è andato) la loro conversazione nonpuò avere il più piccolo interesse per chicchessia. “Ènoto” scrive Mister S. W. “che quando manca loro lo sti-molo dell’altro sesso, le donne non trovano più nulla dadirsi. Quando sono sole, non parlano, graffiano.” E senon parlano, e visto che non ci si può poi graffiare inde-finitamente, e se è ben noto che (Mister T. R. lo ha pro-

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vato) “le donne sono incapaci di qualsiasi affetto versoil loro sesso, e si odiano cordialmente a vicenda”, checosa faranno dunque le donne, quando si trovano fra diloro?

Siccome questo non è un problema che meriti l’atten-zione di un uomo di buon senso, ci sia concesso, a noiche godiamo del privilegio di tutti i biografi e storici, disublimarci dal sesso, e di sorvolare, limitandoci a con-statare che Orlando se la godeva un mondo in compa-gnia delle donne; lasceremo a quegli altri signori il com-pito di provare (cosa in cui trovano un gusto matto) cheè impossibile.

Ma un resoconto esatto e circostanziato della vita diOrlando a quell’epoca diventa impresa sempre più spi-nosa. Facendo capolino e avanzando a tentoni perl’intrico dei cortiletti male illuminati, mal selciati, maleaerati che sorgeva allora tra Gerrard Street e DruryLane, i nostri occhi cadono a tratti su Orlando, ma perperderla tosto di vista. Il compito ci è reso ancor più dif-ficile dal fatto che, in quel periodo, ella aveva presol’abitudine di vestire ora abiti virili, ora femminili. Nederiva quindi che nelle memorie del tempo ella si troviricordata sotto il nome di “Lord” Tizio, il quale era, inrealtà, suo cugino. A lui andò attribuita la generosità diOrlando, e financo i poemi che erano opera di lei. Sem-bra che ella non provasse difficoltà alcuna nel sostenerele due parti, poiché mutò di sesso assai più frequente-mente di quanto non potranno figurarselo quelli abituatia portar sempre e soltanto gli abiti di un sol sesso; e non

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vato) “le donne sono incapaci di qualsiasi affetto versoil loro sesso, e si odiano cordialmente a vicenda”, checosa faranno dunque le donne, quando si trovano fra diloro?

Siccome questo non è un problema che meriti l’atten-zione di un uomo di buon senso, ci sia concesso, a noiche godiamo del privilegio di tutti i biografi e storici, disublimarci dal sesso, e di sorvolare, limitandoci a con-statare che Orlando se la godeva un mondo in compa-gnia delle donne; lasceremo a quegli altri signori il com-pito di provare (cosa in cui trovano un gusto matto) cheè impossibile.

Ma un resoconto esatto e circostanziato della vita diOrlando a quell’epoca diventa impresa sempre più spi-nosa. Facendo capolino e avanzando a tentoni perl’intrico dei cortiletti male illuminati, mal selciati, maleaerati che sorgeva allora tra Gerrard Street e DruryLane, i nostri occhi cadono a tratti su Orlando, ma perperderla tosto di vista. Il compito ci è reso ancor più dif-ficile dal fatto che, in quel periodo, ella aveva presol’abitudine di vestire ora abiti virili, ora femminili. Nederiva quindi che nelle memorie del tempo ella si troviricordata sotto il nome di “Lord” Tizio, il quale era, inrealtà, suo cugino. A lui andò attribuita la generosità diOrlando, e financo i poemi che erano opera di lei. Sem-bra che ella non provasse difficoltà alcuna nel sostenerele due parti, poiché mutò di sesso assai più frequente-mente di quanto non potranno figurarselo quelli abituatia portar sempre e soltanto gli abiti di un sol sesso; e non

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c’è dubbio che, con questo espediente, ella non racco-gliesse doppia messe; i piaceri della vita ne erano accre-sciuti, e le esperienze moltiplicate. Orlando scambiavala probità delle brache con la seduzione delle gonnelle, egodeva così la gioia di essere amata da entrambi i sessi.

Uno schizzo ce la mostrerà dunque al mattino, avvol-ta in un’ambigua vestaglia cinese, tra i suoi libri; nelmedesimo abbigliamento riceverà qualche suo protetto(di postulanti ne aveva qualche dozzina); farà quindi ungiro in giardino, durante il quale poterà i suoi noci, ope-razione alla quale si convengono le brache al ginocchio;che cambierà poi con un abito di seta a fiori, il qualemeglio s’addice a una passeggiata in carrozza a Rich-mond, e alla proposta di matrimonio che udrà dalla boc-ca di qualche nobile gentiluomo; di ritorno in città, in-dosserà una veste color tabacco, come ne portano gli uo-mini di legge, e si recherà alla Corte di Giustizia perdare un’occhiata alle sue cause, poiché il suo patrimonioandava sfumando d’ora in ora, e i processi non parevanopiù vicini alla sentenza di quanto non lo fossero un se-colo avanti; infine, sul far della notte, il più delle voltela nostra Orlando si tramuterà in un gentiluomo comple-to e batterà la strada in cerca di avventure.

Al ritorno da quelle scorribande – correvano, a queitempi, parecchie storie, secondo le quali Orlando ora sibatteva in duello, ora conseguiva il grado di capitano sudi un vascello di Sua Maestà, ora era stata vista danzarnuda su di un balcone, ora fuggiva con una certa signoranei Paesi Bassi, dove li inseguiva il marito della bella:

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c’è dubbio che, con questo espediente, ella non racco-gliesse doppia messe; i piaceri della vita ne erano accre-sciuti, e le esperienze moltiplicate. Orlando scambiavala probità delle brache con la seduzione delle gonnelle, egodeva così la gioia di essere amata da entrambi i sessi.

Uno schizzo ce la mostrerà dunque al mattino, avvol-ta in un’ambigua vestaglia cinese, tra i suoi libri; nelmedesimo abbigliamento riceverà qualche suo protetto(di postulanti ne aveva qualche dozzina); farà quindi ungiro in giardino, durante il quale poterà i suoi noci, ope-razione alla quale si convengono le brache al ginocchio;che cambierà poi con un abito di seta a fiori, il qualemeglio s’addice a una passeggiata in carrozza a Rich-mond, e alla proposta di matrimonio che udrà dalla boc-ca di qualche nobile gentiluomo; di ritorno in città, in-dosserà una veste color tabacco, come ne portano gli uo-mini di legge, e si recherà alla Corte di Giustizia perdare un’occhiata alle sue cause, poiché il suo patrimonioandava sfumando d’ora in ora, e i processi non parevanopiù vicini alla sentenza di quanto non lo fossero un se-colo avanti; infine, sul far della notte, il più delle voltela nostra Orlando si tramuterà in un gentiluomo comple-to e batterà la strada in cerca di avventure.

Al ritorno da quelle scorribande – correvano, a queitempi, parecchie storie, secondo le quali Orlando ora sibatteva in duello, ora conseguiva il grado di capitano sudi un vascello di Sua Maestà, ora era stata vista danzarnuda su di un balcone, ora fuggiva con una certa signoranei Paesi Bassi, dove li inseguiva il marito della bella:

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tutte cose di cui, tuttavia, ci rifiutiamo di esaminare laveridicità – al ritorno, dunque, dalle sue avventure, qualiesse fossero, talvolta ella si divertiva un mondo a passardavanti ai vetri di un certo caffè, dove senz’esser vistapoteva vedere i belli spiriti, e immaginare, dai loro gesti,le sentenze, i motti, le malignità che dicevano, senza purudirne una parola; con gran vantaggio suo, senza alcundubbio. Una volta, si trattenne persino una mezz’ora aspiar dietro una persiana tre ombre che prendevano il tè,in una casa di Bolt Court.

Mai aveva assistito a una commedia più interessante.Aveva voglia di gridare: Bravo! Bravo! Quale magnificodramma, infatti, quale pagina strappata al più fitto volu-me di vita umana! Ecco la piccola ombra dalle labbraimbronciate, che si dimenava sulla seggiola, irrequieta,petulante, premurosa; c’era l’ombra femminile incurva-ta, che cacciava l’indice adunco nella tazza per sentiredove arrivava il liquido, poiché era cieca; e c’eral’ombra dall’aria di imperatore romano, che si dondola-va nella gran poltrona e poi faceva scricchiolar bizzarra-mente le dita e gettava il capo da una spalla all’altra emandava giù a gran sorsi il suo tè. Dottor Johnson, Mi-ster Boswell e Mistress Williams: tali erano i nomi diquelle ombre. Orlando era tanto assorta in quel quadro,che dimenticò di pensare quanto l’avrebbero invidiata legenerazioni future; ed è probabile che, questa volta al-meno, l’avrebbero invidiata davvero. Ma si contentavadi guardare e guardare, senza distoglier gli occhi. Final-mente Mister Boswell si alzò, e rivolse alla vecchia si-

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tutte cose di cui, tuttavia, ci rifiutiamo di esaminare laveridicità – al ritorno, dunque, dalle sue avventure, qualiesse fossero, talvolta ella si divertiva un mondo a passardavanti ai vetri di un certo caffè, dove senz’esser vistapoteva vedere i belli spiriti, e immaginare, dai loro gesti,le sentenze, i motti, le malignità che dicevano, senza purudirne una parola; con gran vantaggio suo, senza alcundubbio. Una volta, si trattenne persino una mezz’ora aspiar dietro una persiana tre ombre che prendevano il tè,in una casa di Bolt Court.

Mai aveva assistito a una commedia più interessante.Aveva voglia di gridare: Bravo! Bravo! Quale magnificodramma, infatti, quale pagina strappata al più fitto volu-me di vita umana! Ecco la piccola ombra dalle labbraimbronciate, che si dimenava sulla seggiola, irrequieta,petulante, premurosa; c’era l’ombra femminile incurva-ta, che cacciava l’indice adunco nella tazza per sentiredove arrivava il liquido, poiché era cieca; e c’eral’ombra dall’aria di imperatore romano, che si dondola-va nella gran poltrona e poi faceva scricchiolar bizzarra-mente le dita e gettava il capo da una spalla all’altra emandava giù a gran sorsi il suo tè. Dottor Johnson, Mi-ster Boswell e Mistress Williams: tali erano i nomi diquelle ombre. Orlando era tanto assorta in quel quadro,che dimenticò di pensare quanto l’avrebbero invidiata legenerazioni future; ed è probabile che, questa volta al-meno, l’avrebbero invidiata davvero. Ma si contentavadi guardare e guardare, senza distoglier gli occhi. Final-mente Mister Boswell si alzò, e rivolse alla vecchia si-

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gnora un saluto arcigno e brusco. Ma con quanta umiltànon s’inchinò poi dinanzi alla grande ombra imperiale,la quale si levava ora in tutta la sua maestà, e senza ces-sar di dondolarsi sproloquiava le più magniloquenti frasiche mai siano uscite da bocca umana; così almeno se lefigurava Orlando, che non aveva udito parola dalle treombre durante tutto il tempo che erano rimaste attorno aquella tavola da tè.

Finalmente, una notte se ne tornò a casa da una diquelle perlustrazioni, e salì alla sua stanza da letto. Sitolse la giubba guarnita di merletti, e, in camicia e bra-che, si mise alla finestra. C’era nell’aria un che d’irre-quieto, che le impediva di coricarsi. Una bruma lattigi-nosa gravava sulla città; poiché era una notte gelida, nelcuor dell’inverno. Magnifico era il panorama che si di-stendeva tutt’intorno. Orlando vedeva San Paolo, la Tor-re, l’Abbazia di Westminster, e le guglie e le cupole del-le chiese, le linee ondulate delle rive del fiume, le curveopulente e ampie dei palazzi e degli edifici pubblici. Asettentrione si elevavano, brulle, le dolci colline diHampstead, a occidente le piazze e le strade di Mayfairspiccavano in una luce radiosa. Su quel colpo d’occhiosereno e composto, in un cielo senza nuvole, vegliavanole stelle, vivide, schiette, dure. Nell’atmosfera intensa-mente limpida, la sagoma d’ogni tetto, il cappucciod’ogni fumaiolo si delineava; persino le pietre appariva-no distinte l’una dall’altra; e Orlando non poté fare ameno di paragonare quella scena armoniosa conl’ammasso disordinato e confuso che era stata la Londra

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gnora un saluto arcigno e brusco. Ma con quanta umiltànon s’inchinò poi dinanzi alla grande ombra imperiale,la quale si levava ora in tutta la sua maestà, e senza ces-sar di dondolarsi sproloquiava le più magniloquenti frasiche mai siano uscite da bocca umana; così almeno se lefigurava Orlando, che non aveva udito parola dalle treombre durante tutto il tempo che erano rimaste attorno aquella tavola da tè.

Finalmente, una notte se ne tornò a casa da una diquelle perlustrazioni, e salì alla sua stanza da letto. Sitolse la giubba guarnita di merletti, e, in camicia e bra-che, si mise alla finestra. C’era nell’aria un che d’irre-quieto, che le impediva di coricarsi. Una bruma lattigi-nosa gravava sulla città; poiché era una notte gelida, nelcuor dell’inverno. Magnifico era il panorama che si di-stendeva tutt’intorno. Orlando vedeva San Paolo, la Tor-re, l’Abbazia di Westminster, e le guglie e le cupole del-le chiese, le linee ondulate delle rive del fiume, le curveopulente e ampie dei palazzi e degli edifici pubblici. Asettentrione si elevavano, brulle, le dolci colline diHampstead, a occidente le piazze e le strade di Mayfairspiccavano in una luce radiosa. Su quel colpo d’occhiosereno e composto, in un cielo senza nuvole, vegliavanole stelle, vivide, schiette, dure. Nell’atmosfera intensa-mente limpida, la sagoma d’ogni tetto, il cappucciod’ogni fumaiolo si delineava; persino le pietre appariva-no distinte l’una dall’altra; e Orlando non poté fare ameno di paragonare quella scena armoniosa conl’ammasso disordinato e confuso che era stata la Londra

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dei tempi della regina Elisabetta. Rammentava quelloche vedeva allora dalle sue finestre, a Blackfriars: la cit-tà, se tale si poteva chiamare, non era che un conglome-rato di case addossate le une alle altre. Le stelle si spec-chiavano in grandi pozze d’acqua stagnante, in mezzoalle strade. Un’ombra nera all’angolo, là dove, allora,c’era la taverna, poteva ben essere il cadavere d’unuomo assassinato. A Orlando pareva di udire ancora gliurli dei feriti, in quelle risse notturne, quando la gover-nante l’alzava – allora Orlando era un bambinetto – aivetri a pannelli della finestra. Frotte di ribaldi, uomini edonne, uniti in sconci allacciamenti, s’aggiravano per lestrade, berciando selvagge canzoni, con uno scintillio digemme alle orecchie e un balenar di lame nel pugno. Innotti simili, si profilava all’orizzonte l’impenetrabilemassa delle foreste di Highgate e di Hampstead, che le-vavano al cielo il torturato intrico dei loro rami. Qui elà, in cima a una delle alture più vicine a Londra si sta-gliava contro il cielo una forca, con un cadavere inchio-dato a marcirvi o a disseccarvisi; e pericoli e incertezze,vizio e violenza, poesia e sozzura infestavano le tortuo-se strade del regno di Elisabetta, ronzavano e putivanonelle stamberghe e negli stretti vicoli della città. Orlan-do aveva ancora nelle nari gli effluvi che ne emanavanonelle calde notti estive. Ora – ella si protese fuori dal da-vanzale – tutto era luce, ordine, serenità. Le giunse il ro-tolio attutito d’una carrozza sul selciato; poi, il lontanogrido del guardiano notturno: «Mezzanotte in punto egelo domattina». Non era spirata l’eco di quelle parole,

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dei tempi della regina Elisabetta. Rammentava quelloche vedeva allora dalle sue finestre, a Blackfriars: la cit-tà, se tale si poteva chiamare, non era che un conglome-rato di case addossate le une alle altre. Le stelle si spec-chiavano in grandi pozze d’acqua stagnante, in mezzoalle strade. Un’ombra nera all’angolo, là dove, allora,c’era la taverna, poteva ben essere il cadavere d’unuomo assassinato. A Orlando pareva di udire ancora gliurli dei feriti, in quelle risse notturne, quando la gover-nante l’alzava – allora Orlando era un bambinetto – aivetri a pannelli della finestra. Frotte di ribaldi, uomini edonne, uniti in sconci allacciamenti, s’aggiravano per lestrade, berciando selvagge canzoni, con uno scintillio digemme alle orecchie e un balenar di lame nel pugno. Innotti simili, si profilava all’orizzonte l’impenetrabilemassa delle foreste di Highgate e di Hampstead, che le-vavano al cielo il torturato intrico dei loro rami. Qui elà, in cima a una delle alture più vicine a Londra si sta-gliava contro il cielo una forca, con un cadavere inchio-dato a marcirvi o a disseccarvisi; e pericoli e incertezze,vizio e violenza, poesia e sozzura infestavano le tortuo-se strade del regno di Elisabetta, ronzavano e putivanonelle stamberghe e negli stretti vicoli della città. Orlan-do aveva ancora nelle nari gli effluvi che ne emanavanonelle calde notti estive. Ora – ella si protese fuori dal da-vanzale – tutto era luce, ordine, serenità. Le giunse il ro-tolio attutito d’una carrozza sul selciato; poi, il lontanogrido del guardiano notturno: «Mezzanotte in punto egelo domattina». Non era spirata l’eco di quelle parole,

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che risuonò il primo colpo di mezzanotte. Allora, per laprima volta Orlando notò una nuvoletta bianca, ches’era raccolta dietro la cupola di San Paolo. A misurache le ore battevano, la nube s’ingrandiva; e Orlando lavedeva oscurarsi, diffondersi con straordinaria velocità.Al tempo stesso un venticello si alzò, e al sesto colpodella mezzanotte tutto il cielo a oriente s’era copertod’ombra irregolare e fluttuante, mentre a occidente e asettentrione era rimasto chiaro. Poi, la nube si diffuseverso settentrione, e invase i punti più alti della città.Mayfair sola, con tutte le sue luci smaglianti, per contra-sto brillava più vivida che mai. All’ottavo colpo, qual-che propaggine di nube s’era distesa su Piccadilly, e pa-reva già accumularsi e avanzare con estrema rapiditàverso oriente. Allo scoccar del nono, decimo e undicesi-mo colpo, Londra intera venne ingoiata da un’ombra gi-gantesca. Col dodicesimo colpo della mezzanotte,l’oscurità era completa. Un turbolento diluvio di nubiaveva ingoiato la città, la quale non era più che tenebre,dubbio, confusione. Il XVIII secolo era spirato; nascevail XIX secolo.

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che risuonò il primo colpo di mezzanotte. Allora, per laprima volta Orlando notò una nuvoletta bianca, ches’era raccolta dietro la cupola di San Paolo. A misurache le ore battevano, la nube s’ingrandiva; e Orlando lavedeva oscurarsi, diffondersi con straordinaria velocità.Al tempo stesso un venticello si alzò, e al sesto colpodella mezzanotte tutto il cielo a oriente s’era copertod’ombra irregolare e fluttuante, mentre a occidente e asettentrione era rimasto chiaro. Poi, la nube si diffuseverso settentrione, e invase i punti più alti della città.Mayfair sola, con tutte le sue luci smaglianti, per contra-sto brillava più vivida che mai. All’ottavo colpo, qual-che propaggine di nube s’era distesa su Piccadilly, e pa-reva già accumularsi e avanzare con estrema rapiditàverso oriente. Allo scoccar del nono, decimo e undicesi-mo colpo, Londra intera venne ingoiata da un’ombra gi-gantesca. Col dodicesimo colpo della mezzanotte,l’oscurità era completa. Un turbolento diluvio di nubiaveva ingoiato la città, la quale non era più che tenebre,dubbio, confusione. Il XVIII secolo era spirato; nascevail XIX secolo.

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V

La fitta nube che il primo giorno del XIX secolo gra-vava non solo su Londra, ma su tutte le Isole Britanni-che, si mantenne stabile – o piuttosto instabile, essendodi continuo sballottata e in preda a burrasche – abba-stanza a lungo da aver conseguenze oltremodo straneper tutti quelli che ne subirono l’ombra. Un gran disor-dine pareva regnare sul clima dell’Inghilterra. Pioggecadevano frequenti, ma sempre in acquazzoni incostanti,che ricominciavano non appena finiti. Il sole faceva ca-polino, ogni tanto, ma era avviluppato in tante nuvole, el’aria era così satura di umidità, che i suoi raggi eranosbiaditi, e i violacei, gli arancioni, e certi rossi smortierano subentrati, nel paesaggio, ai colori più sostenutidel XVIII secolo. Sotto quel gran baldacchino livido emesto, il verde dei cavoli era meno intenso, e la neveappariva di un bianco sporco. Ma il peggio era chel’umidità cominciava a invadere ogni casa: l’umidità,nemico oltremodo insidioso, perché se dal sole ci si puòdifendere per mezzo di persiane, e se il gelo si combattecon un bel fuoco, l’umidità è silenziosa, furtiva, e sem-bra avere il dono dell’ubiquità. L’umidità gonfia il le-gno, incrosta la pentola, arrugginisce il ferro, infracidi-

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La fitta nube che il primo giorno del XIX secolo gra-vava non solo su Londra, ma su tutte le Isole Britanni-che, si mantenne stabile – o piuttosto instabile, essendodi continuo sballottata e in preda a burrasche – abba-stanza a lungo da aver conseguenze oltremodo straneper tutti quelli che ne subirono l’ombra. Un gran disor-dine pareva regnare sul clima dell’Inghilterra. Pioggecadevano frequenti, ma sempre in acquazzoni incostanti,che ricominciavano non appena finiti. Il sole faceva ca-polino, ogni tanto, ma era avviluppato in tante nuvole, el’aria era così satura di umidità, che i suoi raggi eranosbiaditi, e i violacei, gli arancioni, e certi rossi smortierano subentrati, nel paesaggio, ai colori più sostenutidel XVIII secolo. Sotto quel gran baldacchino livido emesto, il verde dei cavoli era meno intenso, e la neveappariva di un bianco sporco. Ma il peggio era chel’umidità cominciava a invadere ogni casa: l’umidità,nemico oltremodo insidioso, perché se dal sole ci si puòdifendere per mezzo di persiane, e se il gelo si combattecon un bel fuoco, l’umidità è silenziosa, furtiva, e sem-bra avere il dono dell’ubiquità. L’umidità gonfia il le-gno, incrosta la pentola, arrugginisce il ferro, infracidi-

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sce la pietra. Così sornione è il suo procedere, che sol-tanto quando solleviamo per caso il canterano, o il sec-chio del carbone, e ci si fanno a pezzi in mano, soltantoallora ci accorgiamo che il nemico è all’opera.

Così fu che costantemente e impercettibilmente, sen-za che nulla segnasse l’ora o il giorno del cambiamento,senza che nessuno lo sapesse, il carattere dell’Inghilterrasi trasformò. Il rude gentiluomo campagnolo che s’eraseduto lieto e soddisfatto al suo desinare a base di man-zo e birra, in una sala disegnata forse, con classica di-gnità, dai fratelli Adams, ora si sentiva infreddolire. Co-perte di lana fecero la loro apparizione; cominciarono aspuntar le barbe; le brache scesero al collo del piede,bene assicurate dai tiranti. Il brivido che saliva alle gam-be del gentiluomo di campagna, tosto si propagò allasua casa: i mobili vennero imbottiti; ricoperti pareti e ta-voli; nulla si vide più di nudo. Poi, s’impose anche unamodificazione nella dieta. Si inventarono i muffins, e icrumpets.18 Il caffè soppiantò il bicchiere di Porto dopoil pranzo, e siccome il caffè esigeva un salotto dove sor-birlo, e il salotto dei globi di vetro, e i globi di vetro deifiori artificiali, e i fiori artificiali dei caminetti, e i cami-netti dei pianoforti, e i pianoforti delle romanze da salot-to, e le romanze da salotto (qui saltiamo a piè pari qual-che tappa) innumeri cagnolini, tappetini, soprammobilidi porcellana ecco che la casa – la quale aveva assunto

18 Soffici panini spugnosi, i primi, che si mangiano tostati e imburrati; più sot-tili e croccanti i secondi. (N.d.T.)

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sce la pietra. Così sornione è il suo procedere, che sol-tanto quando solleviamo per caso il canterano, o il sec-chio del carbone, e ci si fanno a pezzi in mano, soltantoallora ci accorgiamo che il nemico è all’opera.

Così fu che costantemente e impercettibilmente, sen-za che nulla segnasse l’ora o il giorno del cambiamento,senza che nessuno lo sapesse, il carattere dell’Inghilterrasi trasformò. Il rude gentiluomo campagnolo che s’eraseduto lieto e soddisfatto al suo desinare a base di man-zo e birra, in una sala disegnata forse, con classica di-gnità, dai fratelli Adams, ora si sentiva infreddolire. Co-perte di lana fecero la loro apparizione; cominciarono aspuntar le barbe; le brache scesero al collo del piede,bene assicurate dai tiranti. Il brivido che saliva alle gam-be del gentiluomo di campagna, tosto si propagò allasua casa: i mobili vennero imbottiti; ricoperti pareti e ta-voli; nulla si vide più di nudo. Poi, s’impose anche unamodificazione nella dieta. Si inventarono i muffins, e icrumpets.18 Il caffè soppiantò il bicchiere di Porto dopoil pranzo, e siccome il caffè esigeva un salotto dove sor-birlo, e il salotto dei globi di vetro, e i globi di vetro deifiori artificiali, e i fiori artificiali dei caminetti, e i cami-netti dei pianoforti, e i pianoforti delle romanze da salot-to, e le romanze da salotto (qui saltiamo a piè pari qual-che tappa) innumeri cagnolini, tappetini, soprammobilidi porcellana ecco che la casa – la quale aveva assunto

18 Soffici panini spugnosi, i primi, che si mangiano tostati e imburrati; più sot-tili e croccanti i secondi. (N.d.T.)

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una importanza estrema – la casa mutò completamenteaspetto.

All’aperto – altro effetto dell’umidità – l’edera cre-sceva lussureggiante. Case che finora erano state dinuda pietra apparvero soffocate sotto la verzura. Nonc’era giardino, per quanto severo fosse il suo primitivodisegno, il quale non avesse il suo folto d’alberi, la suaforesta vergine in miniatura, il suo labirinto. La luce chefiltrava nelle camere dove i bimbi aprivano gli occhialla vita non poteva essere che di un verde discreto, e laluce che penetrava nelle stanze dove vivevano gli adultigiungeva attraverso cortine di felpa violacea o marrone.Ma la trasformazione non si limitava a esteriorità.L’umidità invase gli spiriti. In uno sforzo disperato diavvolgere i loro sentimenti in un po’ di tepore, gli uomi-ni si diedero a provare un espediente dopo l’altro, e fa-sciarono amorosamente l’amore, la nascita e la morte inun repertorio di belle frasi. Un divario si andò scavandofra i due sessi. Non si tollerò più nessuna conversazionelibera. Sotterfugi e ipocrisie vennero ampiamente prati-cati da ambe le parti. E allo stesso modo con cui fuoricrescevano a dismisura edera e sempreverdi, nell’inter-no delle case si manifestava un’uguale fecondità. Lavita di una donna normale era diventata una serie dipuerperi. A diciannove anni ella si sposava, a trenta eramadre di quindici o diciotto figli; perché i parti gemel-lari-abbondavano. Così sorse l’Impero Britannico, e così– come porre, ahimè, un freno all’umidità? essa invade icalamai tanto quanto il legname – le frasi si gonfiarono,

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una importanza estrema – la casa mutò completamenteaspetto.

All’aperto – altro effetto dell’umidità – l’edera cre-sceva lussureggiante. Case che finora erano state dinuda pietra apparvero soffocate sotto la verzura. Nonc’era giardino, per quanto severo fosse il suo primitivodisegno, il quale non avesse il suo folto d’alberi, la suaforesta vergine in miniatura, il suo labirinto. La luce chefiltrava nelle camere dove i bimbi aprivano gli occhialla vita non poteva essere che di un verde discreto, e laluce che penetrava nelle stanze dove vivevano gli adultigiungeva attraverso cortine di felpa violacea o marrone.Ma la trasformazione non si limitava a esteriorità.L’umidità invase gli spiriti. In uno sforzo disperato diavvolgere i loro sentimenti in un po’ di tepore, gli uomi-ni si diedero a provare un espediente dopo l’altro, e fa-sciarono amorosamente l’amore, la nascita e la morte inun repertorio di belle frasi. Un divario si andò scavandofra i due sessi. Non si tollerò più nessuna conversazionelibera. Sotterfugi e ipocrisie vennero ampiamente prati-cati da ambe le parti. E allo stesso modo con cui fuoricrescevano a dismisura edera e sempreverdi, nell’inter-no delle case si manifestava un’uguale fecondità. Lavita di una donna normale era diventata una serie dipuerperi. A diciannove anni ella si sposava, a trenta eramadre di quindici o diciotto figli; perché i parti gemel-lari-abbondavano. Così sorse l’Impero Britannico, e così– come porre, ahimè, un freno all’umidità? essa invade icalamai tanto quanto il legname – le frasi si gonfiarono,

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gli aggettivi pullularono, la lirica si trasformò in epica, ebagattelle che avevano riempito una colonna sotto for-ma di un articolo divennero enciclopedie in venti o tren-ta volumi. Citeremo il caso di Eusebius Chubb, a dimo-strare quale effetto dovesse avere questo stato di cosesullo spirito di un uomo sensibile, il quale si rendevaconto di non poter fare nulla per opporvi un argine. Tro-viamo, alla fine delle sue memorie, un brano in cui eglinarra come un mattino, dopo aver scritto ben trentacin-que pagine in-folio, “su di nulla in particolare”, chiudes-se ben bene il coperchio del suo calamaio e se ne andas-se a fare un giro in giardino. Tosto si trovò nel fitto dellamacchia di verzura. Innumerevoli foglie stormivano erilucevano sopra il suo capo. Gli parve che il suo piede“premesse la polvere di milioni di simili suoi”. Un fumodenso saliva da un falò d’erba umida in fondo al giardi-no. Quale fuoco sulla terra, rifletteva Chubb, avrebbemai potuto sperar di consumare quel vasto ingombro divegetazione, che s’arrampicava ovunque egli volgesselo sguardo? Cetrioli se ne venivano a volute per l’erba,sino ai suoi piedi. Cavolfiori giganti si ammonticchiava-no a piani, sino a rivaleggiare, nella scomposta fantasiadello scrittore, con la statura stessa degli olmi. Gallinedeponevano senza tregua uova d’un color neutro. Poi,sovvenendosi con un sospiro della propria fecondità edella povera Jane, sua moglie, la quale in quel momentostava attraversando le doglie del suo quindicesimo par-to, si disse che non c’era di che biasimare il pollame.Alzò lo sguardo al cielo. Non erano forse gli spazi cele-

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gli aggettivi pullularono, la lirica si trasformò in epica, ebagattelle che avevano riempito una colonna sotto for-ma di un articolo divennero enciclopedie in venti o tren-ta volumi. Citeremo il caso di Eusebius Chubb, a dimo-strare quale effetto dovesse avere questo stato di cosesullo spirito di un uomo sensibile, il quale si rendevaconto di non poter fare nulla per opporvi un argine. Tro-viamo, alla fine delle sue memorie, un brano in cui eglinarra come un mattino, dopo aver scritto ben trentacin-que pagine in-folio, “su di nulla in particolare”, chiudes-se ben bene il coperchio del suo calamaio e se ne andas-se a fare un giro in giardino. Tosto si trovò nel fitto dellamacchia di verzura. Innumerevoli foglie stormivano erilucevano sopra il suo capo. Gli parve che il suo piede“premesse la polvere di milioni di simili suoi”. Un fumodenso saliva da un falò d’erba umida in fondo al giardi-no. Quale fuoco sulla terra, rifletteva Chubb, avrebbemai potuto sperar di consumare quel vasto ingombro divegetazione, che s’arrampicava ovunque egli volgesselo sguardo? Cetrioli se ne venivano a volute per l’erba,sino ai suoi piedi. Cavolfiori giganti si ammonticchiava-no a piani, sino a rivaleggiare, nella scomposta fantasiadello scrittore, con la statura stessa degli olmi. Gallinedeponevano senza tregua uova d’un color neutro. Poi,sovvenendosi con un sospiro della propria fecondità edella povera Jane, sua moglie, la quale in quel momentostava attraversando le doglie del suo quindicesimo par-to, si disse che non c’era di che biasimare il pollame.Alzò lo sguardo al cielo. Non erano forse gli spazi cele-

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sti, o quel gran frontespizio degli spazi celesti che è ilcielo, una prova palpabile, anzi un incoraggiamento daparte delle gerarchie celesti? Là, rifletteva egli, estate einverno, da un anno all’altro, le nuvole si avvicendava-no, s’inseguivano come balene; oppure no, piuttostocome elefanti; invano: non v’era scampo al paragoneche gl’imponevano mille ettari di volta celeste: il cielointero che si distendeva sulle Isole Britanniche altro nonera se non un immenso letto di piume; esso ispirava lafecondità che assimilava giardino e camera da letto epollaio. Rientrato in casa, Chubb scrisse il brano sopra-citato, cacciò il capo in una stufa a gas e, quando lo sitrovò poco dopo, era troppo tardi per rianimarlo.

Mentre così si evolveva l’esistenza in Inghilterra, Or-lando aveva un bel seppellirsi nella sua casa in Black-friars, e pretendere che il clima non fosse mutato; cheuno potesse dire quel che gli passava per il capo, e por-tar brache o gonnelle a piacimento; anche lei, un belgiorno, fu costretta ad ammettere che i tempi erano cam-biati. Un pomeriggio, al principio del secolo, ella attra-versava St. James’s Park nel suo vecchio equipaggio apannelli, quando uno di quei raggi di sole che ogni tan-to, benché di rado, giungevano sino in terra, squarciò lenubi, marmorizzandole nel passare di strani colori pri-smatici. Quella vista era abbastanza singolare, dati i cie-li chiari e monotoni del secolo XVIII, per invogliare Or-lando ad abbassar lo sportello e a guardare. Stringendoleil cuore di un’angoscia deliziosa, il che prova a qualpunto ella fosse già afflitta dall’umidità, certe sfumature

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sti, o quel gran frontespizio degli spazi celesti che è ilcielo, una prova palpabile, anzi un incoraggiamento daparte delle gerarchie celesti? Là, rifletteva egli, estate einverno, da un anno all’altro, le nuvole si avvicendava-no, s’inseguivano come balene; oppure no, piuttostocome elefanti; invano: non v’era scampo al paragoneche gl’imponevano mille ettari di volta celeste: il cielointero che si distendeva sulle Isole Britanniche altro nonera se non un immenso letto di piume; esso ispirava lafecondità che assimilava giardino e camera da letto epollaio. Rientrato in casa, Chubb scrisse il brano sopra-citato, cacciò il capo in una stufa a gas e, quando lo sitrovò poco dopo, era troppo tardi per rianimarlo.

Mentre così si evolveva l’esistenza in Inghilterra, Or-lando aveva un bel seppellirsi nella sua casa in Black-friars, e pretendere che il clima non fosse mutato; cheuno potesse dire quel che gli passava per il capo, e por-tar brache o gonnelle a piacimento; anche lei, un belgiorno, fu costretta ad ammettere che i tempi erano cam-biati. Un pomeriggio, al principio del secolo, ella attra-versava St. James’s Park nel suo vecchio equipaggio apannelli, quando uno di quei raggi di sole che ogni tan-to, benché di rado, giungevano sino in terra, squarciò lenubi, marmorizzandole nel passare di strani colori pri-smatici. Quella vista era abbastanza singolare, dati i cie-li chiari e monotoni del secolo XVIII, per invogliare Or-lando ad abbassar lo sportello e a guardare. Stringendoleil cuore di un’angoscia deliziosa, il che prova a qualpunto ella fosse già afflitta dall’umidità, certe sfumature

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color della pulce e dell’ala del fenicottero le rievocaronodelfini morenti tra i flutti dello Jonio. Ma quale non fula sua meraviglia quando il raggio di sole, nel ferire laterra, parve produrvi per magia, o illuminarvi, una pira-mide, o un’ecatombe, o un trofeo (rievocava anche unamensa imbandita), un conglomerato, insomma, degli og-getti più eterogenei e male assortiti che la fantasia po-tesse immaginare, accatastati alla rinfusa in un granmucchio, là dove sorge ora il monumento alla reginaVittoria! Drappeggiati intorno a una enorme croce d’orolavorata a filigrane e a fioroni, pendevano veli da vedo-va e veli da sposa; mentre a escrescenze d’altra species’erano agganciati palazzi di cristallo, culle di vimini,cimieri, corone funebri, pantaloni, favoriti, torte nuziali,cannoni, alberi di Natale, telescopi, mostri antidiluviani,strumenti matematici, il tutto delimitato a destra da unafigura di donna vestita di mussole bianche e leggere, asinistra da un signore panciuto in prefettizia e pantalonia quadri. L’incongruo di quegli oggetti, l’unione di abitie drappeggi, la stravaganza dei diversi colori e la giu-stapposizione che richiamava alla mente motivi di stoffescozzesi, causarono a Orlando un profondo sconforto.Mai in vita sua aveva visto nulla di così sconcio, di cosìdifforme e monumentale. Doveva essere, anzi era, un ef-fetto di sole sull’atmosfera satura di umidità; la primabrezza avrebbe dissipato quel ciarpame; ma ciò non to-glieva che, nel momento in cui Orlando vi passò davantiin carrozza, avesse l’aria di voler durare per sempre. La-sciandosi ricadere sui cuscini, ella sentiva che nulla, né

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color della pulce e dell’ala del fenicottero le rievocaronodelfini morenti tra i flutti dello Jonio. Ma quale non fula sua meraviglia quando il raggio di sole, nel ferire laterra, parve produrvi per magia, o illuminarvi, una pira-mide, o un’ecatombe, o un trofeo (rievocava anche unamensa imbandita), un conglomerato, insomma, degli og-getti più eterogenei e male assortiti che la fantasia po-tesse immaginare, accatastati alla rinfusa in un granmucchio, là dove sorge ora il monumento alla reginaVittoria! Drappeggiati intorno a una enorme croce d’orolavorata a filigrane e a fioroni, pendevano veli da vedo-va e veli da sposa; mentre a escrescenze d’altra species’erano agganciati palazzi di cristallo, culle di vimini,cimieri, corone funebri, pantaloni, favoriti, torte nuziali,cannoni, alberi di Natale, telescopi, mostri antidiluviani,strumenti matematici, il tutto delimitato a destra da unafigura di donna vestita di mussole bianche e leggere, asinistra da un signore panciuto in prefettizia e pantalonia quadri. L’incongruo di quegli oggetti, l’unione di abitie drappeggi, la stravaganza dei diversi colori e la giu-stapposizione che richiamava alla mente motivi di stoffescozzesi, causarono a Orlando un profondo sconforto.Mai in vita sua aveva visto nulla di così sconcio, di cosìdifforme e monumentale. Doveva essere, anzi era, un ef-fetto di sole sull’atmosfera satura di umidità; la primabrezza avrebbe dissipato quel ciarpame; ma ciò non to-glieva che, nel momento in cui Orlando vi passò davantiin carrozza, avesse l’aria di voler durare per sempre. La-sciandosi ricadere sui cuscini, ella sentiva che nulla, né

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vento, né pioggia, né sole, né fulmini, avrebbe mai de-molito quella barocca esposizione. I nasi sarebbero an-dati in rovina, le trombe si sarebbero coperte di ruggine,senza dubbio; ma sarebbero rimasti là in eterno, puntatia est, a ovest, a nord, a sud. Guardò ancora una volta,mentre la carrozza affrontava la salita di ConstitutionHill. Sì, il panorama era sempre là, placidamente osten-tato in una luce che – ella trasse l’orologio dal taschino– era pertanto la luce di mezzogiorno in punto. Quale al-tra luce avrebbe potuto essere così prosaica, così nuda ecruda, così ribelle a ogni idea di alba e di crepuscolo,così palesemente calcolata per durare in eterno? Orlan-do decise di non guardare più. Già sentiva l’onda delsangue scorrerle più pigra entro le vene. Ma la cosa piùsingolare fu che, passando davanti a Buckingham Pala-ce, un rossore vivido e inusitato le invadesse le guance,e che una forza superiore la costringesse a posar gli oc-chi sulle proprie ginocchia. All’improvviso, trasalì: ave-va visto le sue brache nere. Il rossore non dileguò, fino ache Orlando non fu giunta alla sua casa di campagna; econsiderando il tempo che quattro cavalli impiegano apercorrere trenta miglia al trotto, valga questo, speria-mo, come una prova insigne della sua castità.

Giunta a casa, cedendo a quello che era diventato or-mai il bisogno più imperioso della sua natura, Orlandosi avvolse come meglio poté in una coperta di damascostrappata dal letto. Alla vedova Bartholomew (che erasuccessa alla buona vecchia Grimsditch nelle funzionidi governante) spiegò che sentiva freddo.

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vento, né pioggia, né sole, né fulmini, avrebbe mai de-molito quella barocca esposizione. I nasi sarebbero an-dati in rovina, le trombe si sarebbero coperte di ruggine,senza dubbio; ma sarebbero rimasti là in eterno, puntatia est, a ovest, a nord, a sud. Guardò ancora una volta,mentre la carrozza affrontava la salita di ConstitutionHill. Sì, il panorama era sempre là, placidamente osten-tato in una luce che – ella trasse l’orologio dal taschino– era pertanto la luce di mezzogiorno in punto. Quale al-tra luce avrebbe potuto essere così prosaica, così nuda ecruda, così ribelle a ogni idea di alba e di crepuscolo,così palesemente calcolata per durare in eterno? Orlan-do decise di non guardare più. Già sentiva l’onda delsangue scorrerle più pigra entro le vene. Ma la cosa piùsingolare fu che, passando davanti a Buckingham Pala-ce, un rossore vivido e inusitato le invadesse le guance,e che una forza superiore la costringesse a posar gli oc-chi sulle proprie ginocchia. All’improvviso, trasalì: ave-va visto le sue brache nere. Il rossore non dileguò, fino ache Orlando non fu giunta alla sua casa di campagna; econsiderando il tempo che quattro cavalli impiegano apercorrere trenta miglia al trotto, valga questo, speria-mo, come una prova insigne della sua castità.

Giunta a casa, cedendo a quello che era diventato or-mai il bisogno più imperioso della sua natura, Orlandosi avvolse come meglio poté in una coperta di damascostrappata dal letto. Alla vedova Bartholomew (che erasuccessa alla buona vecchia Grimsditch nelle funzionidi governante) spiegò che sentiva freddo.

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«È quel che accade a tutti noi, Madama» disse la ve-dova con un sospirone. «Le mura colano» disse con uncurioso lugubre compiacimento; e saltava agli occhi chele bastava metter la mano sui pannelli di quercia, perchéci restassero stampate le cinque dita. L’edera era cre-sciuta con tanta foga che parecchie finestre non si pote-vano più aprire. In cucina era così buio che si poteva ap-pena distinguere una marmitta da un colatoio. Un pove-ro micio nero era stato scambiato per carbone e gettatocon una palata nel fornello. Quantunque si fosse appenain agosto, la maggior parte delle cameriere portava giàtre o quattro sottovesti di flanella.

«Ma è poi vero, Madama, quel che dicono della Regi-na...» domandò la buona donna, stringendosi teneramen-te le braccia al seno sul quale troneggiava il crocifissod’oro «...che Dio la benedica, è vero che porta una...come si dice... una...» E la buona donna esitando arros-siva.

Orlando la trasse d’imbarazzo. «Una crinolina» spie-gò (la parola aveva già invaso Blackfriars). MistressBartholomew assentì col capo. Le lacrime le scorrevanogiù per le guance, ma, pur piangendo, ella sorrideva.Che consolazione, poter piangere così! Non erano debo-li donne, tutte quante? E la crinolina, non si portava perdissimulare il fatto? il gran fatto; il fatto unico; ma nonperciò meno deplorevole; il fatto che ogni donna di pu-dore cercava di nascondere finché non le era più possi-bile negarlo; il fatto, insomma, che stava per comprareun bambino? anzi quindici, venti bambini, sicché una

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«È quel che accade a tutti noi, Madama» disse la ve-dova con un sospirone. «Le mura colano» disse con uncurioso lugubre compiacimento; e saltava agli occhi chele bastava metter la mano sui pannelli di quercia, perchéci restassero stampate le cinque dita. L’edera era cre-sciuta con tanta foga che parecchie finestre non si pote-vano più aprire. In cucina era così buio che si poteva ap-pena distinguere una marmitta da un colatoio. Un pove-ro micio nero era stato scambiato per carbone e gettatocon una palata nel fornello. Quantunque si fosse appenain agosto, la maggior parte delle cameriere portava giàtre o quattro sottovesti di flanella.

«Ma è poi vero, Madama, quel che dicono della Regi-na...» domandò la buona donna, stringendosi teneramen-te le braccia al seno sul quale troneggiava il crocifissod’oro «...che Dio la benedica, è vero che porta una...come si dice... una...» E la buona donna esitando arros-siva.

Orlando la trasse d’imbarazzo. «Una crinolina» spie-gò (la parola aveva già invaso Blackfriars). MistressBartholomew assentì col capo. Le lacrime le scorrevanogiù per le guance, ma, pur piangendo, ella sorrideva.Che consolazione, poter piangere così! Non erano debo-li donne, tutte quante? E la crinolina, non si portava perdissimulare il fatto? il gran fatto; il fatto unico; ma nonperciò meno deplorevole; il fatto che ogni donna di pu-dore cercava di nascondere finché non le era più possi-bile negarlo; il fatto, insomma, che stava per comprareun bambino? anzi quindici, venti bambini, sicché una

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donna perbene passava la più gran parte della vita a dis-simulare un fatto che per lo meno una volta all’anno fi-niva per diventar palese.

«I muffins stann’in caldo» disse Mistress Bartholo-mew, asciugandosi gli occhi «di là, in biblioteca.»

Avvolta nella coperta di damasco, Orlando sedette di-nanzi a un piatto di muffins.

«I muffins stann’al caldo in biblioteca...» Orlando ri-peté la frase in dialetto, parodiando l’orribile e forbitaparlata londinese della Bartholomew, mentre beveva iltè. Ah! Come lo odiava, quel beveraggio scipito! E sisovvenne che, proprio in quella stanza, la regina Elisa-betta, piantatasi davanti al caminetto, col boccale di bir-ra che teneva in mano aveva assestato un gran colpo sultavolo, udendo Lord Burghley servirsi poco opportuna-mente dell’imperativo invece del condizionale. Parevaancora di udirla, a Orlando: “Piccolo uomo, piccolouomo, ‘dovete’ è forse una parola da usar coi principi?”.E giù un gran colpo col boccale; ancora se ne vedeva ilsegno sul tavolo.

Ma mentre Orlando, all’idea che si potesse dare unordine a quella gran Regina, scattava in piedi, inciampònella coperta e ricadde sulla poltrona, lasciandosi sfug-gire una bestemmia. Domani bisognava comperare ventiyards almeno di aleppino, rifletteva, per farsi fare unagonna. E poi (qui arrossì) avrebbe dovuto comprare unacrinolina, e poi (e arrossì) una culla di vimini, e poiun’altra crinolina ancora, e così via... I rossori andavanoe venivano sul suo volto col più squisito alternarsi di pu-

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donna perbene passava la più gran parte della vita a dis-simulare un fatto che per lo meno una volta all’anno fi-niva per diventar palese.

«I muffins stann’in caldo» disse Mistress Bartholo-mew, asciugandosi gli occhi «di là, in biblioteca.»

Avvolta nella coperta di damasco, Orlando sedette di-nanzi a un piatto di muffins.

«I muffins stann’al caldo in biblioteca...» Orlando ri-peté la frase in dialetto, parodiando l’orribile e forbitaparlata londinese della Bartholomew, mentre beveva iltè. Ah! Come lo odiava, quel beveraggio scipito! E sisovvenne che, proprio in quella stanza, la regina Elisa-betta, piantatasi davanti al caminetto, col boccale di bir-ra che teneva in mano aveva assestato un gran colpo sultavolo, udendo Lord Burghley servirsi poco opportuna-mente dell’imperativo invece del condizionale. Parevaancora di udirla, a Orlando: “Piccolo uomo, piccolouomo, ‘dovete’ è forse una parola da usar coi principi?”.E giù un gran colpo col boccale; ancora se ne vedeva ilsegno sul tavolo.

Ma mentre Orlando, all’idea che si potesse dare unordine a quella gran Regina, scattava in piedi, inciampònella coperta e ricadde sulla poltrona, lasciandosi sfug-gire una bestemmia. Domani bisognava comperare ventiyards almeno di aleppino, rifletteva, per farsi fare unagonna. E poi (qui arrossì) avrebbe dovuto comprare unacrinolina, e poi (e arrossì) una culla di vimini, e poiun’altra crinolina ancora, e così via... I rossori andavanoe venivano sul suo volto col più squisito alternarsi di pu-

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dore e di vergogna. Si poteva vedere lo spirito del temposoffiare, or freddo or caldo, su quelle guance. E se lospirito del tempo soffiava con poca conseguenza, poichéveniva prima per la crinolina che per il marito, bisognascusarne Orlando e la sua ambigua posizione (il suo ses-so era tuttora dubbio) nonché la vita irregolare fino allo-ra vissuta.

Finalmente le sue guance ripresero il loro colore natu-rale e lo spirito del tempo – se tale era – parve assopirsiper un poco. Allora Orlando palpò, sotto la tela della suacamicia, qualcosa come un medaglione o una reliquiad’amore; ma non ne cavò nulla di simile, bensì un rotolodi carta coperto di macchie di sangue, di acqua salsa, deisegni delle più strane peripezie: il manoscritto del suopoema “La Quercia”. Da tanti anni ormai ella lo recavacon sé, e in circostanze così fortunose, che la maggiorparte delle pagine erano macchiate o strappate; e la pe-nuria di carta da scrivere subita durante il suo soggiornotra gli zingari l’aveva costretta a far tesoro d’ogni pez-zetto di margine, a scrivere financo per traverso, sì cheil manoscritto pareva in tutto e per tutto un coscienziosoe ingegnoso rammendo. Voltandone i fogli, Orlando les-se sulla prima pagina la data, 1586, scritta da una manoancora infantile. Erano ormai quasi trecento anni che la-vorava a quel poema: era tempo di apporvi la parolafine. Nel frattempo, lo sfogliava, soffermandosi a tratti aleggere, qua e là; e pensava quanto poco ella fosse mu-tata, in tanto volger d’anni. Era stata un fanciullo malin-conico, innamorato della morte come lo sono gli adole-

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dore e di vergogna. Si poteva vedere lo spirito del temposoffiare, or freddo or caldo, su quelle guance. E se lospirito del tempo soffiava con poca conseguenza, poichéveniva prima per la crinolina che per il marito, bisognascusarne Orlando e la sua ambigua posizione (il suo ses-so era tuttora dubbio) nonché la vita irregolare fino allo-ra vissuta.

Finalmente le sue guance ripresero il loro colore natu-rale e lo spirito del tempo – se tale era – parve assopirsiper un poco. Allora Orlando palpò, sotto la tela della suacamicia, qualcosa come un medaglione o una reliquiad’amore; ma non ne cavò nulla di simile, bensì un rotolodi carta coperto di macchie di sangue, di acqua salsa, deisegni delle più strane peripezie: il manoscritto del suopoema “La Quercia”. Da tanti anni ormai ella lo recavacon sé, e in circostanze così fortunose, che la maggiorparte delle pagine erano macchiate o strappate; e la pe-nuria di carta da scrivere subita durante il suo soggiornotra gli zingari l’aveva costretta a far tesoro d’ogni pez-zetto di margine, a scrivere financo per traverso, sì cheil manoscritto pareva in tutto e per tutto un coscienziosoe ingegnoso rammendo. Voltandone i fogli, Orlando les-se sulla prima pagina la data, 1586, scritta da una manoancora infantile. Erano ormai quasi trecento anni che la-vorava a quel poema: era tempo di apporvi la parolafine. Nel frattempo, lo sfogliava, soffermandosi a tratti aleggere, qua e là; e pensava quanto poco ella fosse mu-tata, in tanto volger d’anni. Era stata un fanciullo malin-conico, innamorato della morte come lo sono gli adole-

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scenti; poi, la sua natura s’era trasformata in voluttuosa,volubile; e poi, in briosa, satirica; e aveva tentato conugual fortuna la prosa e la tragedia. Ma attraverso tantevarianti, rifletteva, era rimasta fondamentalmente lastessa: serbando lo stesso temperamento contemplativoe meditativo, lo stesso amore per gli animali e la natura,la stessa passione per la campagna e il paesaggio.

“Dopo tutto” pensò, alzandosi per andare alla finestra“nulla è mutato. La casa, il giardino sono quelli di untempo. Non una seggiola è stata smossa, non di un nin-nolo ci si è disfatti. E ci sono i medesimi viali, i medesi-mi prati, i medesimi alberi, e il medesimo stagno, dove,ci giurerei, nuota il medesimo carpione. È vero che sultrono c’è la regina Vittoria invece della regina Elisabet-ta, ma che differenza fa...”

Questo pensiero aveva appena finito di prender for-ma, che la porta si aprì, per dar luogo a Basket, il com-passato maggiordomo, il quale, seguito dalla governanteBartholomew, veniva a sparecchiare la tavola del tè. Or-lando, che aveva appunto immerso la penna nell’inchio-stro e si accingeva a vergare qualche chiosa sull’eternitàdelle cose umane, fu assai contrariata di veder ostacola-to quel proposito da una macchia che s’andava rapida-mente allargando. Ci doveva essere qualcosa nel penni-no, si figurò; forse era rotto, o sporco. Intinse di nuovola penna nel calamaio. La macchia intanto dilagava.Tentò di continuare il pensiero incominciato, ma nontrovava più le parole. Allora si mise a decorare la suamacchia di alucce e favoriti, finché ne venne fuori un

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scenti; poi, la sua natura s’era trasformata in voluttuosa,volubile; e poi, in briosa, satirica; e aveva tentato conugual fortuna la prosa e la tragedia. Ma attraverso tantevarianti, rifletteva, era rimasta fondamentalmente lastessa: serbando lo stesso temperamento contemplativoe meditativo, lo stesso amore per gli animali e la natura,la stessa passione per la campagna e il paesaggio.

“Dopo tutto” pensò, alzandosi per andare alla finestra“nulla è mutato. La casa, il giardino sono quelli di untempo. Non una seggiola è stata smossa, non di un nin-nolo ci si è disfatti. E ci sono i medesimi viali, i medesi-mi prati, i medesimi alberi, e il medesimo stagno, dove,ci giurerei, nuota il medesimo carpione. È vero che sultrono c’è la regina Vittoria invece della regina Elisabet-ta, ma che differenza fa...”

Questo pensiero aveva appena finito di prender for-ma, che la porta si aprì, per dar luogo a Basket, il com-passato maggiordomo, il quale, seguito dalla governanteBartholomew, veniva a sparecchiare la tavola del tè. Or-lando, che aveva appunto immerso la penna nell’inchio-stro e si accingeva a vergare qualche chiosa sull’eternitàdelle cose umane, fu assai contrariata di veder ostacola-to quel proposito da una macchia che s’andava rapida-mente allargando. Ci doveva essere qualcosa nel penni-no, si figurò; forse era rotto, o sporco. Intinse di nuovola penna nel calamaio. La macchia intanto dilagava.Tentò di continuare il pensiero incominciato, ma nontrovava più le parole. Allora si mise a decorare la suamacchia di alucce e favoriti, finché ne venne fuori un

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mostro dalla testa tondeggiante, qualcosa tra il topo e ilpipistrello. Ma in quanto a scriver versi in presenza diBasket e della Bartholomew, impossibile. Non aveva fi-nito di dire “impossibile” che, con suo gran stupore espavento, la penna si mise a scorrere, a caracollare, conuna leggerezza e una fluidità inaudite; e tosto sulla pagi-na apparvero, nella più bella calligrafia inclinata all’ita-liana, i più insipidi versi che Orlando avesse mai letto:

Non sono io stessa che un umile anelloNella grave catena della vita;

Ma la parola di giurata fede,Fate che ai venti essa non sia svanita!Solitario nel lume della luna,

Piangendo per l’amato e per l’assenteForse mormorerà...

Ella aveva scritto senza fermarsi, mentre Basket e laBartholomew brontolavano e grugnivano per la stanza,attizzando il fuoco, riponendo i muffins che erano avan-zati.

E ancora Orlando immerse la penna e seguitò...

Era mutata, e quel soave ammantoChe d’incarnato le copria la guancia,Simile al roseo lume della seraEffuso in cielo, era svanito, rottoDa un fiammeggiar qual di funerea torcia...

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mostro dalla testa tondeggiante, qualcosa tra il topo e ilpipistrello. Ma in quanto a scriver versi in presenza diBasket e della Bartholomew, impossibile. Non aveva fi-nito di dire “impossibile” che, con suo gran stupore espavento, la penna si mise a scorrere, a caracollare, conuna leggerezza e una fluidità inaudite; e tosto sulla pagi-na apparvero, nella più bella calligrafia inclinata all’ita-liana, i più insipidi versi che Orlando avesse mai letto:

Non sono io stessa che un umile anelloNella grave catena della vita;

Ma la parola di giurata fede,Fate che ai venti essa non sia svanita!Solitario nel lume della luna,

Piangendo per l’amato e per l’assenteForse mormorerà...

Ella aveva scritto senza fermarsi, mentre Basket e laBartholomew brontolavano e grugnivano per la stanza,attizzando il fuoco, riponendo i muffins che erano avan-zati.

E ancora Orlando immerse la penna e seguitò...

Era mutata, e quel soave ammantoChe d’incarnato le copria la guancia,Simile al roseo lume della seraEffuso in cielo, era svanito, rottoDa un fiammeggiar qual di funerea torcia...

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Ma a questo punto, un brusco gesto di Orlando rove-sciò il calamaio sulla pagina, e quei versi furono cancel-lati alla vista di ogni occhio umano: speriamo per sem-pre, pensò Orlando. Ma fremeva tutta di confusione e dirabbia. Nulla poteva immaginare di più ripugnante chequel fiume d’inchiostro, il quale scorreva così, in casca-te d’involontaria ispirazione. Che cosa le accadeva? Eral’umidità, era la Bartholomew, era Basket? si domandò.Ma il salotto era vuoto. Nessuno le rispose, a meno chenon fosse una risposta il gocciolio della pioggiasull’edera.

Intanto, in piedi dietro i vetri, Orlando si sentiva per-vadere tutta da un insolito prurito, da un tremito, comese fosse diventata uno strumento di mille corde armoni-che, cui la brezza, o delle dita erranti cavassero tutti itoni della gamma. Ora il fremito era nelle punte dei pie-di; ora nel midollo delle ossa; e provava le più stranesensazioni lungo il femore. Le pareva di sentirsi rizzarei capelli. Le sue braccia cantavano e risuonavano comevent’anni più tardi dovevano risuonare e cantare i fili te-legrafici. Ma tutta quell’agitazione pareva concentrarsinelle mani; e poi in una mano sola, e poi in un sol ditodi quella mano, per poi contrarsi finalmente in un anellodi vibrante sensibilità intorno al secondo dito dellamano sinistra. Allorché lo alzò per rendersi conto dellacausa di tanta agitazione, nulla vide: nulla, fuorchél’enorme smeraldo, dono della regina Elisabetta. E nonera dunque abbastanza? si domandò. Era una pietra del-la più bell’acqua, e valeva diecimila sterline a dir poco.

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Ma a questo punto, un brusco gesto di Orlando rove-sciò il calamaio sulla pagina, e quei versi furono cancel-lati alla vista di ogni occhio umano: speriamo per sem-pre, pensò Orlando. Ma fremeva tutta di confusione e dirabbia. Nulla poteva immaginare di più ripugnante chequel fiume d’inchiostro, il quale scorreva così, in casca-te d’involontaria ispirazione. Che cosa le accadeva? Eral’umidità, era la Bartholomew, era Basket? si domandò.Ma il salotto era vuoto. Nessuno le rispose, a meno chenon fosse una risposta il gocciolio della pioggiasull’edera.

Intanto, in piedi dietro i vetri, Orlando si sentiva per-vadere tutta da un insolito prurito, da un tremito, comese fosse diventata uno strumento di mille corde armoni-che, cui la brezza, o delle dita erranti cavassero tutti itoni della gamma. Ora il fremito era nelle punte dei pie-di; ora nel midollo delle ossa; e provava le più stranesensazioni lungo il femore. Le pareva di sentirsi rizzarei capelli. Le sue braccia cantavano e risuonavano comevent’anni più tardi dovevano risuonare e cantare i fili te-legrafici. Ma tutta quell’agitazione pareva concentrarsinelle mani; e poi in una mano sola, e poi in un sol ditodi quella mano, per poi contrarsi finalmente in un anellodi vibrante sensibilità intorno al secondo dito dellamano sinistra. Allorché lo alzò per rendersi conto dellacausa di tanta agitazione, nulla vide: nulla, fuorchél’enorme smeraldo, dono della regina Elisabetta. E nonera dunque abbastanza? si domandò. Era una pietra del-la più bell’acqua, e valeva diecimila sterline a dir poco.

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Allora accadde un fatto singolare (ma non dimentichia-mo che stiamo assistendo a una delle più oscure manife-stazioni dell’animo umano), cioè, il fremito parve ri-spondere: No, non è abbastanza; per assumere poi untono interrogativo, quasi volesse dire: Qui c’è una lacu-na, una strana distrazione: che cosa significano? Finchéla povera Orlando finì per vergognarsi bellamente delsecondo dito della sua mano sinistra, senza poi sapernetroppo il perché. In quel momento, la Bartholomewrientrò per domandare quale vestito volesse indossare apranzo Sua Grazia; e Orlando, i cui sensi s’erano acutiz-zati, corse tosto collo sguardo alla mano sinistra dellavedova, e s’avvide di ciò che non aveva mai notato pri-ma: uno spesso anello di un giallo un po’ bilioso cer-chiava il terzo dito, che alla mano di Orlando era nudo.«Fatemi vedere il vostro anello, Bartholomew» disseella, tendendo la mano per prenderlo.

A quel gesto, la vedova traballò come se un furfantel’avesse assalita all’improvviso e colpita in pieno petto.Indietreggiò di due passi, serrò la mano, e l’alzò al diso-pra del capo con un gesto che era l’espressione del de-coro in persona. «No» esclamò, risoluta e dignitosa; SuaGrazia poteva guardarlo, se gradiva; ma in quanto a to-gliersi la sua fede, né l’Arcivescovo né il Papa né la re-gina Vittoria dal suo trono avrebbero potuto costringer-vela. Il suo Thomas gliel’aveva messa al dito venticin-que anni, sei mesi e tre settimane innanzi; aveva dormi-to, lavorato, fatto il bucato, strofinato senza levarseladal dito, e con essa sperava di esser seppellita. Parve a

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Allora accadde un fatto singolare (ma non dimentichia-mo che stiamo assistendo a una delle più oscure manife-stazioni dell’animo umano), cioè, il fremito parve ri-spondere: No, non è abbastanza; per assumere poi untono interrogativo, quasi volesse dire: Qui c’è una lacu-na, una strana distrazione: che cosa significano? Finchéla povera Orlando finì per vergognarsi bellamente delsecondo dito della sua mano sinistra, senza poi sapernetroppo il perché. In quel momento, la Bartholomewrientrò per domandare quale vestito volesse indossare apranzo Sua Grazia; e Orlando, i cui sensi s’erano acutiz-zati, corse tosto collo sguardo alla mano sinistra dellavedova, e s’avvide di ciò che non aveva mai notato pri-ma: uno spesso anello di un giallo un po’ bilioso cer-chiava il terzo dito, che alla mano di Orlando era nudo.«Fatemi vedere il vostro anello, Bartholomew» disseella, tendendo la mano per prenderlo.

A quel gesto, la vedova traballò come se un furfantel’avesse assalita all’improvviso e colpita in pieno petto.Indietreggiò di due passi, serrò la mano, e l’alzò al diso-pra del capo con un gesto che era l’espressione del de-coro in persona. «No» esclamò, risoluta e dignitosa; SuaGrazia poteva guardarlo, se gradiva; ma in quanto a to-gliersi la sua fede, né l’Arcivescovo né il Papa né la re-gina Vittoria dal suo trono avrebbero potuto costringer-vela. Il suo Thomas gliel’aveva messa al dito venticin-que anni, sei mesi e tre settimane innanzi; aveva dormi-to, lavorato, fatto il bucato, strofinato senza levarseladal dito, e con essa sperava di esser seppellita. Parve a

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Orlando di capire che ella mormorasse, con voce rottadall’emozione, che lo splendore della sua fede le asse-gnerebbe un posto fra gli angeli; e il lustro ne sarebbeoffuscato per sempre dove ella se ne separasse per lospazio di un solo secondo.

«Che il Cielo ci aiuti!» disse Orlando, mentre, dietro ivetri della finestra, guardava i giochi dei piccioni. «Inche mondo viviamo mai! Che mondo, per l’amor diDio!» Tutte quelle complicazioni la confondevano. Leparve ora che il mondo intero fosse cerchiato d’oro.Andò a pranzo. Gli anelli matrimoniali abbondavano.Andò in chiesa. Anelli matrimoniali ovunque. Uscì incarrozza. D’oro o di similoro, sottili, spessi, grossolani,rilucenti più o meno, a tutte le mani essi ostentavano illoro splendore cupo. Le vetrine dei gioiellieri erano pie-ne di anelli; non del barbaglio di false gemme e di dia-manti che ancora rammentava Orlando, ma di semplicicerchietti senza una sola pietra. Nel medesimo tempo,cominciò a notare una costumanza nuova, fra la gentedel villaggio. Una volta, non era affatto raro incontrarequalche giovanotto che la raccontava lunga a una ragaz-za, sotto i biancospini. Allora, Orlando aveva sfiorato lacoppia con la punta del frustino, e aveva riso, tirandodritto per la propria strada. Oggi, tutto andava diverso.Le coppie marciavano solenni, a passo di lumaca, nelbel mezzo della strada maestra, indissolubilmente strettea braccetto: la mano destra della donna passava invaria-bilmente sotto la sinistra dell’uomo, il quale ne serravafermamente le dita. Spesso, bisognava che il muso dei

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Orlando di capire che ella mormorasse, con voce rottadall’emozione, che lo splendore della sua fede le asse-gnerebbe un posto fra gli angeli; e il lustro ne sarebbeoffuscato per sempre dove ella se ne separasse per lospazio di un solo secondo.

«Che il Cielo ci aiuti!» disse Orlando, mentre, dietro ivetri della finestra, guardava i giochi dei piccioni. «Inche mondo viviamo mai! Che mondo, per l’amor diDio!» Tutte quelle complicazioni la confondevano. Leparve ora che il mondo intero fosse cerchiato d’oro.Andò a pranzo. Gli anelli matrimoniali abbondavano.Andò in chiesa. Anelli matrimoniali ovunque. Uscì incarrozza. D’oro o di similoro, sottili, spessi, grossolani,rilucenti più o meno, a tutte le mani essi ostentavano illoro splendore cupo. Le vetrine dei gioiellieri erano pie-ne di anelli; non del barbaglio di false gemme e di dia-manti che ancora rammentava Orlando, ma di semplicicerchietti senza una sola pietra. Nel medesimo tempo,cominciò a notare una costumanza nuova, fra la gentedel villaggio. Una volta, non era affatto raro incontrarequalche giovanotto che la raccontava lunga a una ragaz-za, sotto i biancospini. Allora, Orlando aveva sfiorato lacoppia con la punta del frustino, e aveva riso, tirandodritto per la propria strada. Oggi, tutto andava diverso.Le coppie marciavano solenni, a passo di lumaca, nelbel mezzo della strada maestra, indissolubilmente strettea braccetto: la mano destra della donna passava invaria-bilmente sotto la sinistra dell’uomo, il quale ne serravafermamente le dita. Spesso, bisognava che il muso dei

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cavalli arrivasse loro addosso, prima che si decidesseroa far largo; e quando poi si scostavano, si muovevanotutti d’un pezzo, impalati, facendosi sul ciglio della stra-da. Orlando non riusciva a supporre altro, se non chefosse stata fatta una qualche nuova scoperta sulla razzaumana; che quella gente fosse saldata insieme, coppia acoppia; ma chi avesse fatto la scoperta, e quando, questopoi lo ignorava. Non pareva inerente alla Natura, tuttoquel procedere. Se osservava i colombi o i conigli o isuoi levrieri, non le sembrava che la Natura avesse mu-tato i loro costumi, quanto meno, dall’epoca elisabettia-na in qua. Tra gli animali non esistevano legami indisso-lubili. Era stata la regina Vittoria, allora? O Lord Mel-bourne? Proveniva dunque da loro, la grande scopertadel matrimonio? Pure, si diceva che la Regina adorasse icani, e che Lord Melbourne fosse un amatore di donne.Tutto ciò era molto strano, per non dire di pessimo gu-sto; davvero, c’era, in quell’indissolubilità di due corpi,qualcosa che ripugnava a Orlando, al suo senso di pudo-re e d’igiene.

Intanto, queste riflessioni che ella andava ruminandotra sé s’accompagnavano a un tale prurito, quasi un tin-tinnio, nel dito compromesso, che tutti i suoi pensieri neerano scombussolati. Essi diventavano languidi e sor-nioni come le fantasie di una camerista. La facevano ar-rossire. Che bisognasse proprio comprare uno di queibrutti cerchietti, e portarlo come tutti gli altri? Così fece,infatti; e s’infilò la fede al dito, vergognosa, nell’ombradiscreta di una tenda. Ma non le giovò. Il prurito persi-

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cavalli arrivasse loro addosso, prima che si decidesseroa far largo; e quando poi si scostavano, si muovevanotutti d’un pezzo, impalati, facendosi sul ciglio della stra-da. Orlando non riusciva a supporre altro, se non chefosse stata fatta una qualche nuova scoperta sulla razzaumana; che quella gente fosse saldata insieme, coppia acoppia; ma chi avesse fatto la scoperta, e quando, questopoi lo ignorava. Non pareva inerente alla Natura, tuttoquel procedere. Se osservava i colombi o i conigli o isuoi levrieri, non le sembrava che la Natura avesse mu-tato i loro costumi, quanto meno, dall’epoca elisabettia-na in qua. Tra gli animali non esistevano legami indisso-lubili. Era stata la regina Vittoria, allora? O Lord Mel-bourne? Proveniva dunque da loro, la grande scopertadel matrimonio? Pure, si diceva che la Regina adorasse icani, e che Lord Melbourne fosse un amatore di donne.Tutto ciò era molto strano, per non dire di pessimo gu-sto; davvero, c’era, in quell’indissolubilità di due corpi,qualcosa che ripugnava a Orlando, al suo senso di pudo-re e d’igiene.

Intanto, queste riflessioni che ella andava ruminandotra sé s’accompagnavano a un tale prurito, quasi un tin-tinnio, nel dito compromesso, che tutti i suoi pensieri neerano scombussolati. Essi diventavano languidi e sor-nioni come le fantasie di una camerista. La facevano ar-rossire. Che bisognasse proprio comprare uno di queibrutti cerchietti, e portarlo come tutti gli altri? Così fece,infatti; e s’infilò la fede al dito, vergognosa, nell’ombradiscreta di una tenda. Ma non le giovò. Il prurito persi-

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steva, più violento, più irritante che mai. Quella notte,non chiuse occhio. All’indomani, riprese la penna perscrivere; ma ora le accadeva di non poter fermare il suopensiero, e la penna lacrimava macchie d’inchiostro unadopo l’altra; ora, cosa che ancor più la allarmava, lapenna correva come un barbero, lasciandosi dietro mel-lifluità a iosa sulla morte prematura e sui tempi corrotti,le quali erano ancor peggio del cervello vuoto. Perché èun fatto evidente che noi – il caso d’Orlando ne era unaprova – non scriviamo soltanto con le dita, ma con tuttala persona. Il nervo che controlla la penna si abbarbica aogni fibra dell’essere nostro, penetra in cuore, trafigge ilfegato. Per quanto la sede del malessere di Orlando fos-se, secondo ogni probabilità, la mano sinistra, Orlandosi sentiva tutta intossicata; e fu costretta in ultimo aprendere in considerazione il più radicale dei rimedi, ilquale consisteva nel piegarsi nel modo più remissivoallo spirito dei tempi, e a prendere marito.

Che ciò fosse assai contrario al suo natural tempera-mento, l’abbiamo già sottolineato a sufficienza. Non ap-pena spento il rotolar delle ruote dell’equipaggiodell’Arciduca, il grido che si partì dalle labbra di Orlan-do fu: «Vita! Un Amante!» e non già: «Vita! Un Ma-rito!»; ed era appunto a questo fine che ella era andatain città, e aveva peregrinato per il mondo, come l’abbia-mo dimostrato nel capitolo precedente. Tale è la natura,indomabile, dello spirito del tempo; esso atterra chiun-que si opponga alle sue vie, ancor più di coloro che glisi piegano di buon grado. Orlando s’era mostrata natu-

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steva, più violento, più irritante che mai. Quella notte,non chiuse occhio. All’indomani, riprese la penna perscrivere; ma ora le accadeva di non poter fermare il suopensiero, e la penna lacrimava macchie d’inchiostro unadopo l’altra; ora, cosa che ancor più la allarmava, lapenna correva come un barbero, lasciandosi dietro mel-lifluità a iosa sulla morte prematura e sui tempi corrotti,le quali erano ancor peggio del cervello vuoto. Perché èun fatto evidente che noi – il caso d’Orlando ne era unaprova – non scriviamo soltanto con le dita, ma con tuttala persona. Il nervo che controlla la penna si abbarbica aogni fibra dell’essere nostro, penetra in cuore, trafigge ilfegato. Per quanto la sede del malessere di Orlando fos-se, secondo ogni probabilità, la mano sinistra, Orlandosi sentiva tutta intossicata; e fu costretta in ultimo aprendere in considerazione il più radicale dei rimedi, ilquale consisteva nel piegarsi nel modo più remissivoallo spirito dei tempi, e a prendere marito.

Che ciò fosse assai contrario al suo natural tempera-mento, l’abbiamo già sottolineato a sufficienza. Non ap-pena spento il rotolar delle ruote dell’equipaggiodell’Arciduca, il grido che si partì dalle labbra di Orlan-do fu: «Vita! Un Amante!» e non già: «Vita! Un Ma-rito!»; ed era appunto a questo fine che ella era andatain città, e aveva peregrinato per il mondo, come l’abbia-mo dimostrato nel capitolo precedente. Tale è la natura,indomabile, dello spirito del tempo; esso atterra chiun-que si opponga alle sue vie, ancor più di coloro che glisi piegano di buon grado. Orlando s’era mostrata natu-

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ralmente proclive allo spirito elisabettiano, allo spiritodella Restaurazione, allo spirito del XVIII secolo; e inconseguenza, s’era appena resa conto dei mutamenti cheavvenivano da un secolo all’altro. Ma lo spirito del XIXsecolo le era estremamente antipatico, e per ciò ella nefu sopraffatta, spezzata, e piegò sotto il peso della di-sfatta come non mai s’era piegata in vita sua. Non è im-possibile, del resto, che ogni spirito umano abbia il suoposto assegnato nei tempi; gli uni nascono perquest’epoca, gli altri per quella; e ora che Orlando erauna donna fatta, e passava di un anno o due la trentina,le linee del suo carattere erano ormai fissate, e volgerlein un senso contrario le sarebbe stato intollerabile.

Tutta mesta se ne stava dunque alla finestra del “sa-lotto” (così la Bartholomew aveva battezzato la bibliote-ca); e il peso della crinolina che remissivamente avevaadottato l’attirava a terra. Mai aveva indossato un abitotanto pesante, tanto cupo, che l’avesse impacciata a talsegno. Ora sì che aveva finito di correre in giardino coisuoi cani, o di salir leggera l’erta della collina, per an-darsi a gettare sotto la quercia. Le sue gonne si tiravanodietro foglie umide e paglia. Il vento le portava via ilcappellino guarnito di piume. Le scarpine sottili eranoben presto bagnate e infangate. I suoi muscoli avevanoperso la loro flessibilità. Diventata apprensiva, vedevadei ladri nascosti negli anditi, e per la prima volta in vitasua ebbe paura dei fantasmi nell’aggirarsi per i corridoi.Tutte queste cose la resero proclive a riconoscere, apoco a poco, la nuova scoperta, sia che provenisse dalla

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ralmente proclive allo spirito elisabettiano, allo spiritodella Restaurazione, allo spirito del XVIII secolo; e inconseguenza, s’era appena resa conto dei mutamenti cheavvenivano da un secolo all’altro. Ma lo spirito del XIXsecolo le era estremamente antipatico, e per ciò ella nefu sopraffatta, spezzata, e piegò sotto il peso della di-sfatta come non mai s’era piegata in vita sua. Non è im-possibile, del resto, che ogni spirito umano abbia il suoposto assegnato nei tempi; gli uni nascono perquest’epoca, gli altri per quella; e ora che Orlando erauna donna fatta, e passava di un anno o due la trentina,le linee del suo carattere erano ormai fissate, e volgerlein un senso contrario le sarebbe stato intollerabile.

Tutta mesta se ne stava dunque alla finestra del “sa-lotto” (così la Bartholomew aveva battezzato la bibliote-ca); e il peso della crinolina che remissivamente avevaadottato l’attirava a terra. Mai aveva indossato un abitotanto pesante, tanto cupo, che l’avesse impacciata a talsegno. Ora sì che aveva finito di correre in giardino coisuoi cani, o di salir leggera l’erta della collina, per an-darsi a gettare sotto la quercia. Le sue gonne si tiravanodietro foglie umide e paglia. Il vento le portava via ilcappellino guarnito di piume. Le scarpine sottili eranoben presto bagnate e infangate. I suoi muscoli avevanoperso la loro flessibilità. Diventata apprensiva, vedevadei ladri nascosti negli anditi, e per la prima volta in vitasua ebbe paura dei fantasmi nell’aggirarsi per i corridoi.Tutte queste cose la resero proclive a riconoscere, apoco a poco, la nuova scoperta, sia che provenisse dalla

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regina Vittoria o da qualcun altro; cioè, che ogni uomo,ogni donna ha un compagno nella vita, il quale gli è pre-destinato, che protegge o da cui è protetto, sinoall’istante in cui la morte li separerà. E sentiva che sa-rebbe stato gran conforto potersi appoggiare; sedersi;anzi, coricarsi; e non levarsi mai, mai, mai più. Eccocome lo spirito agiva su di lei, malgrado tutto il suo pas-sato orgoglio, e mentre ella scivolava giù giù per tutta lascala delle emozioni, sino a quelle regioni basse a leiignote, quei pruriti, quei tintinnii che erano stati così in-sinuanti ed enigmatici, si trasformavano ora in celestimelodie, sino a che le parve che gli angeli stessi toccas-sero corde d’arpa con dita liliali, e che serafiche armo-nie invadessero tutto l’essere suo.

Ma a chi appoggiarsi? Tale era la domanda che ellagettava al selvaggio vento autunnale. Era giunto ormaiottobre, umido come di consueto. L’Arciduca? No: epoi, aveva sposato una gran dama, e da parecchi annicacciava la lepre in Rumenia. Mister M.? S’era fattocattolico. Il marchese di C.? Cuciva dei sacchi al bagnopenale di Botany Bay. Lord O.? Da tempo era in boccaai pesci. In un modo o nell’altro, tutti i vecchi amici diOrlando erano spariti, e quanto alle Nell e alle Kit, diDrury Lane, Orlando le aveva sì in grazia, ma non offri-vano poi garanzie, né un appoggio troppo saldo.

«Chi?» domandava; e, gli occhi alzati verso le nubiburrascose, le mani giunte, a ginocchi sul sedile nelvano della finestra, era l’immagine stessa della femmi-nilità implorante. «Chi mi servirà d’appoggio?» E come

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regina Vittoria o da qualcun altro; cioè, che ogni uomo,ogni donna ha un compagno nella vita, il quale gli è pre-destinato, che protegge o da cui è protetto, sinoall’istante in cui la morte li separerà. E sentiva che sa-rebbe stato gran conforto potersi appoggiare; sedersi;anzi, coricarsi; e non levarsi mai, mai, mai più. Eccocome lo spirito agiva su di lei, malgrado tutto il suo pas-sato orgoglio, e mentre ella scivolava giù giù per tutta lascala delle emozioni, sino a quelle regioni basse a leiignote, quei pruriti, quei tintinnii che erano stati così in-sinuanti ed enigmatici, si trasformavano ora in celestimelodie, sino a che le parve che gli angeli stessi toccas-sero corde d’arpa con dita liliali, e che serafiche armo-nie invadessero tutto l’essere suo.

Ma a chi appoggiarsi? Tale era la domanda che ellagettava al selvaggio vento autunnale. Era giunto ormaiottobre, umido come di consueto. L’Arciduca? No: epoi, aveva sposato una gran dama, e da parecchi annicacciava la lepre in Rumenia. Mister M.? S’era fattocattolico. Il marchese di C.? Cuciva dei sacchi al bagnopenale di Botany Bay. Lord O.? Da tempo era in boccaai pesci. In un modo o nell’altro, tutti i vecchi amici diOrlando erano spariti, e quanto alle Nell e alle Kit, diDrury Lane, Orlando le aveva sì in grazia, ma non offri-vano poi garanzie, né un appoggio troppo saldo.

«Chi?» domandava; e, gli occhi alzati verso le nubiburrascose, le mani giunte, a ginocchi sul sedile nelvano della finestra, era l’immagine stessa della femmi-nilità implorante. «Chi mi servirà d’appoggio?» E come

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la penna scriveva da sola, così le parole le uscivano dibocca e le mani le si serravano involontarie. Non eraOrlando che parlava, ma lo spirito del tempo. Ma chiun-que fosse, nessuno le rispose. I corvi volavano disordi-nati fra le nubi violacee dell’autunno. La pioggia eracessata, finalmente, e il cielo aveva iridescenze che in-vogliarono Orlando a mettersi il cappellino piumato egli stivaletti allacciati, e ad uscire un poco a passeggioprima di pranzo.

“Ognuno ha un compagno, meno io” pensava scorag-giata, mentre attraversava lenta il cortile. Ecco le cor-nacchie; e persino Canuto e Pippin – per quanto transi-tori fossero i loro legami – parevano aver trovato unacompagnia, quella sera. “E io che sono la padrona di tut-to quanto, io vivo nubile, isolata, solitaria” pensava,guardando su, verso le innumerevoli finestre blasonatedei saloni.

Mai prima d’allora ella aveva nutrito pensieri simili.Ora, essi la invadevano senza scampo. Invece di spinge-re il cancello, picchiò con la mano inguantata, affinchéil guardiano venisse ad aprirle. Bisognava pur appog-giarsi a qualcuno, non fosse altro che un guardiano; equasi quasi, avrebbe desiderato fermarsi con lui, aiutarload arrostire la sua bistecca su di un secchio di brace; maera troppo timida per proporglielo. Così errò sola per ilparco, esitante dapprima, e timorosa d’imbattersi inqualche cacciatore di frodo, o guardacaccia, o fattorino,gente che si sarebbe certo meravigliata di vedere unagran signora andarsene così sola soletta.

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la penna scriveva da sola, così le parole le uscivano dibocca e le mani le si serravano involontarie. Non eraOrlando che parlava, ma lo spirito del tempo. Ma chiun-que fosse, nessuno le rispose. I corvi volavano disordi-nati fra le nubi violacee dell’autunno. La pioggia eracessata, finalmente, e il cielo aveva iridescenze che in-vogliarono Orlando a mettersi il cappellino piumato egli stivaletti allacciati, e ad uscire un poco a passeggioprima di pranzo.

“Ognuno ha un compagno, meno io” pensava scorag-giata, mentre attraversava lenta il cortile. Ecco le cor-nacchie; e persino Canuto e Pippin – per quanto transi-tori fossero i loro legami – parevano aver trovato unacompagnia, quella sera. “E io che sono la padrona di tut-to quanto, io vivo nubile, isolata, solitaria” pensava,guardando su, verso le innumerevoli finestre blasonatedei saloni.

Mai prima d’allora ella aveva nutrito pensieri simili.Ora, essi la invadevano senza scampo. Invece di spinge-re il cancello, picchiò con la mano inguantata, affinchéil guardiano venisse ad aprirle. Bisognava pur appog-giarsi a qualcuno, non fosse altro che un guardiano; equasi quasi, avrebbe desiderato fermarsi con lui, aiutarload arrostire la sua bistecca su di un secchio di brace; maera troppo timida per proporglielo. Così errò sola per ilparco, esitante dapprima, e timorosa d’imbattersi inqualche cacciatore di frodo, o guardacaccia, o fattorino,gente che si sarebbe certo meravigliata di vedere unagran signora andarsene così sola soletta.

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A ogni passo gettava occhiate nervose intorno a sé,ora temendo che i cespugli di ginestra celassero qualcheforma maschile, ora che una mucca inferocita le si slan-ciasse addosso. Ma non c’era nulla, fuorché i corvi cheanimavano il cielo. Una penna d’un turchino d’acciaiocadde tra le eriche. A Orlando piacevano le penne degliuccelli selvatici. Da fanciullo, ne aveva un’intera colle-zione. Raccolse la penna di corvo, se l’appuntò sul cap-pellino. L’aria soffiava sui suoi spiriti, li ravvivava; edella, il lungo mantello svolazzante al vento, seguiva, at-traverso la landa, su per la collina, il volo turbinoso e in-quieto dei corvi, che lasciavano cadere qua e là,nell’aria livida, penne dai riflessi d’acciaio. Da anni nonaveva camminato così lontano. Già sei penne aveva rac-colto nell’erba, lisciandole con le dita, premendovi so-pra le labbra per sentir la morbidezza rilucente dellapiuma; allorché vide scintillare a mezzo della collinauno stagno argenteo, misterioso al pari del lago in cui ilsire Bedivere aveva gettato la spada di re Artù. Unapenna ancora tremolò nell’aria, cadde nel mezzo dellostagno. Allora, una strana estasi invase Orlando. L’assalìun selvaggio impulso di seguire gli uccelli sino all’estre-mo limitar del mondo, di gettarsi sull’erba molle comeuna spugna, e là bere l’oblio, mentre sul suo capo i corvigracchiavano la loro rauca risata. Affrettò il passo; cor-se; incespicò; le dure radici d’erica le trattennero il pie-de, ed ella cadde lunga distesa a terra. S’era spezzata lacaviglia. Non poté alzarsi. Ma provava un gran benesse-re, nel giacere così. Il profumo dell’erica e della mortel-

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A ogni passo gettava occhiate nervose intorno a sé,ora temendo che i cespugli di ginestra celassero qualcheforma maschile, ora che una mucca inferocita le si slan-ciasse addosso. Ma non c’era nulla, fuorché i corvi cheanimavano il cielo. Una penna d’un turchino d’acciaiocadde tra le eriche. A Orlando piacevano le penne degliuccelli selvatici. Da fanciullo, ne aveva un’intera colle-zione. Raccolse la penna di corvo, se l’appuntò sul cap-pellino. L’aria soffiava sui suoi spiriti, li ravvivava; edella, il lungo mantello svolazzante al vento, seguiva, at-traverso la landa, su per la collina, il volo turbinoso e in-quieto dei corvi, che lasciavano cadere qua e là,nell’aria livida, penne dai riflessi d’acciaio. Da anni nonaveva camminato così lontano. Già sei penne aveva rac-colto nell’erba, lisciandole con le dita, premendovi so-pra le labbra per sentir la morbidezza rilucente dellapiuma; allorché vide scintillare a mezzo della collinauno stagno argenteo, misterioso al pari del lago in cui ilsire Bedivere aveva gettato la spada di re Artù. Unapenna ancora tremolò nell’aria, cadde nel mezzo dellostagno. Allora, una strana estasi invase Orlando. L’assalìun selvaggio impulso di seguire gli uccelli sino all’estre-mo limitar del mondo, di gettarsi sull’erba molle comeuna spugna, e là bere l’oblio, mentre sul suo capo i corvigracchiavano la loro rauca risata. Affrettò il passo; cor-se; incespicò; le dure radici d’erica le trattennero il pie-de, ed ella cadde lunga distesa a terra. S’era spezzata lacaviglia. Non poté alzarsi. Ma provava un gran benesse-re, nel giacere così. Il profumo dell’erica e della mortel-

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la le invadeva le nari. La rauca risata delle cornacchie leaccarezzava l’orecchio. «Ho trovato l’anima gemella»mormorò. «È la landa. Io sono la sposa della Natura»sussurrò, abbandonandosi rapita al gelido abbracciodell’erba, tra le pieghe del suo mantello, nel fosso vici-no allo stagno. «Qui voglio giacere. (Una penna le sfio-rò la fronte.) Ho trovato una corona più verde del lauro,che manterrà sempre fresca la mia fronte. E queste pen-ne di uccelli selvatici – gufi, civette – mi faranno sogna-re sogni selvatici. Le mie mani non porteranno anellonuziale» continuò, sfilandosi dal dito l’anello. «Le radi-ci le cingeranno. Ah!» sospirò, affondando voluttuosa-mente la testa nel guanciale spugnoso. «Per tanti secoliho cercato la felicità senza trovarla; la gloria, senza af-ferrarla; l’amore, senza conoscerlo; la vita... ahimè, me-glio la morte. Tanti uomini e tante donne ho conosciuto;e non ne ho compreso nessuno. Meglio le mille voltegiacere qui in pace, col cielo per tetto; così, tanti anni orsono, m’insegnava lo zingaro. Era in Turchia...»

E fissò in cielo la mirabile spuma dorata che le nuvo-le erano andate sbattendo; ed ecco che un istante dopoesse si aprirono per dar luogo a un sentiero, sul qualeuna fila di cammelli camminava attraverso un rocciosodeserto, tra nugoli di sabbia rossastra. Poi, quando icammelli si furono dileguati, non rimasero che monta-gne, altissime e costellate di dirupi e picchi aguzzi; eparve a Orlando di udir lo scampanio delle mandre dicapre attraverso le gole, nei cui seni fiorivano campid’ireos e genzianelle. Il cielo trascolorò, e gli occhi di

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la le invadeva le nari. La rauca risata delle cornacchie leaccarezzava l’orecchio. «Ho trovato l’anima gemella»mormorò. «È la landa. Io sono la sposa della Natura»sussurrò, abbandonandosi rapita al gelido abbracciodell’erba, tra le pieghe del suo mantello, nel fosso vici-no allo stagno. «Qui voglio giacere. (Una penna le sfio-rò la fronte.) Ho trovato una corona più verde del lauro,che manterrà sempre fresca la mia fronte. E queste pen-ne di uccelli selvatici – gufi, civette – mi faranno sogna-re sogni selvatici. Le mie mani non porteranno anellonuziale» continuò, sfilandosi dal dito l’anello. «Le radi-ci le cingeranno. Ah!» sospirò, affondando voluttuosa-mente la testa nel guanciale spugnoso. «Per tanti secoliho cercato la felicità senza trovarla; la gloria, senza af-ferrarla; l’amore, senza conoscerlo; la vita... ahimè, me-glio la morte. Tanti uomini e tante donne ho conosciuto;e non ne ho compreso nessuno. Meglio le mille voltegiacere qui in pace, col cielo per tetto; così, tanti anni orsono, m’insegnava lo zingaro. Era in Turchia...»

E fissò in cielo la mirabile spuma dorata che le nuvo-le erano andate sbattendo; ed ecco che un istante dopoesse si aprirono per dar luogo a un sentiero, sul qualeuna fila di cammelli camminava attraverso un rocciosodeserto, tra nugoli di sabbia rossastra. Poi, quando icammelli si furono dileguati, non rimasero che monta-gne, altissime e costellate di dirupi e picchi aguzzi; eparve a Orlando di udir lo scampanio delle mandre dicapre attraverso le gole, nei cui seni fiorivano campid’ireos e genzianelle. Il cielo trascolorò, e gli occhi di

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Orlando si abbassarono lenti, sempre più giù, fino allaterra intristita di pioggia; e videro la gran gobba deiSouth Downs scorrere in un’onda sola lungo la costa; elà dove la terra si apriva in due, si scorgeva il mare, ilmare solcato da navi: e Orlando credette d’udire, lonta-no in alto mare, il rombo d’un cannone. “È l’Armada”pensò dapprima, e poi: “No, è Nelson”; per ricordare inultimo che l’eco di quelle guerre era da tempo spenta, eche quelle navi erano affaccendati piroscafi mercantili; ele vele sul fiume sinuoso appartenevano a qualche yachtprivato. E ancora vide il bestiame sparso per le campa-gne brune, pecore e mucche, e vide i lumi accendersi auno a uno alle finestre delle fattorie, e le lanterne dei pa-stori e dei bovari che s’aggiravano fra il bestiame; poi,le luci si spensero, le stelle spuntarono, e presto il cielonon fu che un arruffio di stelle. Orlando stava per asso-pirsi, le piume bagnate del cappellino sul viso, l’orec-chio contro il suolo, quando la colpì, profondo e lonta-nissimo, il rintocco d’un martello sull’incudine; o forseera un cuore che batteva? Tic toc, tic toc, così martella-va, così risuonava l’incudine e il cuore nel cuor dellaterra; tese ancora l’orecchio, e le sembrò che si mutassenel trotto d’un cavallo; un, due, tre, quattro, contò Or-lando; poi sentì il cavallo incespicare; e, coll’avvicinar-si, uno schianto di rami, l’affondar degli zoccoli nelmolle della torbiera. Quasi il cavallo le era sopra. Ella sialzò a sedere. Scuro contro il cielo chiazzato di giallo-gnolo dell’alba, un uomo si drizzava sulle staffe, attor-

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Orlando si abbassarono lenti, sempre più giù, fino allaterra intristita di pioggia; e videro la gran gobba deiSouth Downs scorrere in un’onda sola lungo la costa; elà dove la terra si apriva in due, si scorgeva il mare, ilmare solcato da navi: e Orlando credette d’udire, lonta-no in alto mare, il rombo d’un cannone. “È l’Armada”pensò dapprima, e poi: “No, è Nelson”; per ricordare inultimo che l’eco di quelle guerre era da tempo spenta, eche quelle navi erano affaccendati piroscafi mercantili; ele vele sul fiume sinuoso appartenevano a qualche yachtprivato. E ancora vide il bestiame sparso per le campa-gne brune, pecore e mucche, e vide i lumi accendersi auno a uno alle finestre delle fattorie, e le lanterne dei pa-stori e dei bovari che s’aggiravano fra il bestiame; poi,le luci si spensero, le stelle spuntarono, e presto il cielonon fu che un arruffio di stelle. Orlando stava per asso-pirsi, le piume bagnate del cappellino sul viso, l’orec-chio contro il suolo, quando la colpì, profondo e lonta-nissimo, il rintocco d’un martello sull’incudine; o forseera un cuore che batteva? Tic toc, tic toc, così martella-va, così risuonava l’incudine e il cuore nel cuor dellaterra; tese ancora l’orecchio, e le sembrò che si mutassenel trotto d’un cavallo; un, due, tre, quattro, contò Or-lando; poi sentì il cavallo incespicare; e, coll’avvicinar-si, uno schianto di rami, l’affondar degli zoccoli nelmolle della torbiera. Quasi il cavallo le era sopra. Ella sialzò a sedere. Scuro contro il cielo chiazzato di giallo-gnolo dell’alba, un uomo si drizzava sulle staffe, attor-

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niato dai pivieri che gli roteavano attorno. Egli trasalì. Ilcavallo sostò di colpo.

«Signora» gridò l’uomo balzando a terra «siete feri-ta?» «Signore, sono morta!» replicò Orlando.

Pochi minuti dopo, erano fidanzati.Il mattino dopo, mentre facevano colazione, egli le ri-

velò il suo nome: «Marmaduke Bonthrop Shelmerdine,Esquire».

«Lo sapevo!» disse Orlando, poiché c’era in lui uncerto color romantico e cavalleresco, appassionato, ma-linconico eppur risoluto, che bene si accordava con quelnome selvaggio, impennacchiato di nero: un nome che,nella fantasia di Orlando, aveva i riflessi turchinicci diacciaio dell’ala di corvo, il rauco riso del loro gridio, ilvolo serpeggiante delle loro penne verso lo stagnod’argento, e molte altre doti che descriveremo fra breve.

«Io mi chiamo Orlando» diss’ella, ma egli l’aveva giàindovinato. «Se vedete una nave con tutte le vele spie-gate al sole» disse egli «solcare il Mediterraneo venendodai Mari del Sud, subito la mente vi ricorre a un nome:“Orlando!”».

Di fatto, benché la loro conoscenza fosse di breve du-rata, non c’erano voluti più di due secondi per immagi-nare ogni cosa che potesse avere una certa qual impor-tanza, come sempre accade tra innamorati, e non rima-neva che riempir le lacune di qualche particolare irrile-vante, come i loro nomi, il luogo dove abitavano, e sefossero mendicanti o benestanti. Egli possedeva un ca-

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niato dai pivieri che gli roteavano attorno. Egli trasalì. Ilcavallo sostò di colpo.

«Signora» gridò l’uomo balzando a terra «siete feri-ta?» «Signore, sono morta!» replicò Orlando.

Pochi minuti dopo, erano fidanzati.Il mattino dopo, mentre facevano colazione, egli le ri-

velò il suo nome: «Marmaduke Bonthrop Shelmerdine,Esquire».

«Lo sapevo!» disse Orlando, poiché c’era in lui uncerto color romantico e cavalleresco, appassionato, ma-linconico eppur risoluto, che bene si accordava con quelnome selvaggio, impennacchiato di nero: un nome che,nella fantasia di Orlando, aveva i riflessi turchinicci diacciaio dell’ala di corvo, il rauco riso del loro gridio, ilvolo serpeggiante delle loro penne verso lo stagnod’argento, e molte altre doti che descriveremo fra breve.

«Io mi chiamo Orlando» diss’ella, ma egli l’aveva giàindovinato. «Se vedete una nave con tutte le vele spie-gate al sole» disse egli «solcare il Mediterraneo venendodai Mari del Sud, subito la mente vi ricorre a un nome:“Orlando!”».

Di fatto, benché la loro conoscenza fosse di breve du-rata, non c’erano voluti più di due secondi per immagi-nare ogni cosa che potesse avere una certa qual impor-tanza, come sempre accade tra innamorati, e non rima-neva che riempir le lacune di qualche particolare irrile-vante, come i loro nomi, il luogo dove abitavano, e sefossero mendicanti o benestanti. Egli possedeva un ca-

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stello nelle Ebridi; ma, disse, in rovina. I gabbiani face-vano baldoria nella sala dei banchetti. Era stato soldatoe marinaio, e aveva compiuto viaggi d’esplorazione inOriente. Ora, si trovava in procinto di andare a raggiun-gere il suo brigantino a Falmouth, ma il vento era cadu-to, e solo quando avesse soffiato la brezza di sud-ovestsi sarebbe potuto sperare di prendere il mare. Orlandogettò un rapido sguardo dalla finestra del tinello, verso illeopardo dorato in cima alla banderuola. Dio sia lodato:la coda puntava dritta verso est, ferma come se fosse in-chiodata.

«Oh! Shel, non mi abbandonare!» esclamò Orlando.E aggiunse: «Sono pazza d’amore per te». Ma le parolele erano appena uscite di bocca, che un orrendo sospettosi fece strada simultaneamente in entrambi i loro spiriti.

«Shel, tu sei una donna!» gridò lei.«Orlando, tu sei un uomo!» gridò lui.Mai, dacché mondo è mondo, si vide scena simile di

proteste e dimostrazioni. Quando, calmatasi la tempesta,si furono di nuovo seduti, Orlando volle sapere che cosaintendesse con quel discorso della brezza di sud-ovest.Dove aveva intenzione l andare?

«Al Capo Horn»19 rispose egli, laconico, e arrossì.(Gli uomini, allora, dovevano arrossire come le donne,benché per ragioni diverse.) Solo usando grandi insi-stenze, e con molta intuizione da parte sua, Orlando riu-scì a concludere che egli aveva dedicato la propria vita

19 Horn significa «corno», in inglese: di qui i rossori. (N.d.T.)

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stello nelle Ebridi; ma, disse, in rovina. I gabbiani face-vano baldoria nella sala dei banchetti. Era stato soldatoe marinaio, e aveva compiuto viaggi d’esplorazione inOriente. Ora, si trovava in procinto di andare a raggiun-gere il suo brigantino a Falmouth, ma il vento era cadu-to, e solo quando avesse soffiato la brezza di sud-ovestsi sarebbe potuto sperare di prendere il mare. Orlandogettò un rapido sguardo dalla finestra del tinello, verso illeopardo dorato in cima alla banderuola. Dio sia lodato:la coda puntava dritta verso est, ferma come se fosse in-chiodata.

«Oh! Shel, non mi abbandonare!» esclamò Orlando.E aggiunse: «Sono pazza d’amore per te». Ma le parolele erano appena uscite di bocca, che un orrendo sospettosi fece strada simultaneamente in entrambi i loro spiriti.

«Shel, tu sei una donna!» gridò lei.«Orlando, tu sei un uomo!» gridò lui.Mai, dacché mondo è mondo, si vide scena simile di

proteste e dimostrazioni. Quando, calmatasi la tempesta,si furono di nuovo seduti, Orlando volle sapere che cosaintendesse con quel discorso della brezza di sud-ovest.Dove aveva intenzione l andare?

«Al Capo Horn»19 rispose egli, laconico, e arrossì.(Gli uomini, allora, dovevano arrossire come le donne,benché per ragioni diverse.) Solo usando grandi insi-stenze, e con molta intuizione da parte sua, Orlando riu-scì a concludere che egli aveva dedicato la propria vita

19 Horn significa «corno», in inglese: di qui i rossori. (N.d.T.)

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alla più splendida e disperata delle avventure: vale adire, doppiare il Capo Horn in piena tempesta. Avevaavuto gli alberi abbattuti, le vele ridotte a pezzi (a vivaforza ella dovette strappargli la confessione). Qualchevolta la nave era addirittura colata a fondo, ed egli erascampato solo al naufragio, su di una zattera, con unagalletta.

«Cosa vuoi? È la sola cosa che resta da fare, oggi-giorno» disse, timidetto, servendosi enormi cucchiaiatedi marmellata di fragole. La visione di quel ragazzo(poiché era poco più d’un ragazzo) il quale succhiavapastiglie alla menta (ne andava pazzo) nel bel mezzodella tempesta, mentre gli alberi crollavano e le sartieballavano, ed egli urlava i suoi comandi brevi – tagliatequesto, gettate a mare quest’altro – quella visione fecevenire le lacrime agli occhi di Orlando, e le sembrò dinon aver mai versato lacrime più dolci in vita sua.“Sono una donna” pensava “una vera donna, finalmen-te.” Dal profondo del cuore ringraziò Bonthrop peraverle concesso quella gioia rara e inaspettata. Se nonavesse avuto il piede sinistro impedito, gli sarebbe salta-ta sulle ginocchia.

«Shel, tesoro mio» ricominciò «dimmi...» e cosìchiacchierarono per due ore e più, forse del Capo Horn,forse no... Poco importerebbe scrivere per filo e per se-gno quello che si dissero: si conoscevano così bene chepotevano parlare di qualsiasi cosa, vale a dire di nulla, odi cose sciocche e prosaiche, come per esempio delmodo di fare la frittata, o del miglior calzolaio di Lon-

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alla più splendida e disperata delle avventure: vale adire, doppiare il Capo Horn in piena tempesta. Avevaavuto gli alberi abbattuti, le vele ridotte a pezzi (a vivaforza ella dovette strappargli la confessione). Qualchevolta la nave era addirittura colata a fondo, ed egli erascampato solo al naufragio, su di una zattera, con unagalletta.

«Cosa vuoi? È la sola cosa che resta da fare, oggi-giorno» disse, timidetto, servendosi enormi cucchiaiatedi marmellata di fragole. La visione di quel ragazzo(poiché era poco più d’un ragazzo) il quale succhiavapastiglie alla menta (ne andava pazzo) nel bel mezzodella tempesta, mentre gli alberi crollavano e le sartieballavano, ed egli urlava i suoi comandi brevi – tagliatequesto, gettate a mare quest’altro – quella visione fecevenire le lacrime agli occhi di Orlando, e le sembrò dinon aver mai versato lacrime più dolci in vita sua.“Sono una donna” pensava “una vera donna, finalmen-te.” Dal profondo del cuore ringraziò Bonthrop peraverle concesso quella gioia rara e inaspettata. Se nonavesse avuto il piede sinistro impedito, gli sarebbe salta-ta sulle ginocchia.

«Shel, tesoro mio» ricominciò «dimmi...» e cosìchiacchierarono per due ore e più, forse del Capo Horn,forse no... Poco importerebbe scrivere per filo e per se-gno quello che si dissero: si conoscevano così bene chepotevano parlare di qualsiasi cosa, vale a dire di nulla, odi cose sciocche e prosaiche, come per esempio delmodo di fare la frittata, o del miglior calzolaio di Lon-

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dra; cose che perdono ogni profumo quando si tolgonodal loro ambiente naturale, ma che possono essere diuna bellezza sorprendente. È un fatto stabilito che, gra-zie a una saggia economia della natura, il nostro spiritomoderno può press’a poco fare a meno delle parole; leespressioni più comuni bastano, quando non c’è espres-sione che basti; onde la conversazione più semplice èspesso la più poetica, e la più poetica è precisamentequella che non si può riferire. Per queste ragioni lascere-mo qui un ampio spazio vuoto, il quale starà a indicareche troppo ci vorrebbe per riempirlo.

Dopo alcuni giorni di questi discorsi,«Orlando, cara» stava ricominciando Shel, quando si

udì uno stropiccio di piedi, e Basket, il maggiordomo,entrò ad annunciare che di sotto c’erano due gendarmi,con un mandato da parte della Regina.

«Fateli salire!» disse Shelmerdine laconico, come sesi trovasse sul ponte della propria nave, assumendo peristinto una posa di circostanza davanti al caminetto, conla mano dietro al dorso. Due ufficiali in uniforme verdebottiglia, bastone al fianco, entrarono e si miserosull’attenti. Terminate le formalità, consegnarono a Or-lando, in mano sua come lo esigeva il loro mandato, undocumento legale dall’aspetto alquanto impressionante,a giudicar dai suggelli di ceralacca, dai nastri, dalle au-tenticazioni, dalle firme, tutte cose della più alta impor-tanza.

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dra; cose che perdono ogni profumo quando si tolgonodal loro ambiente naturale, ma che possono essere diuna bellezza sorprendente. È un fatto stabilito che, gra-zie a una saggia economia della natura, il nostro spiritomoderno può press’a poco fare a meno delle parole; leespressioni più comuni bastano, quando non c’è espres-sione che basti; onde la conversazione più semplice èspesso la più poetica, e la più poetica è precisamentequella che non si può riferire. Per queste ragioni lascere-mo qui un ampio spazio vuoto, il quale starà a indicareche troppo ci vorrebbe per riempirlo.

Dopo alcuni giorni di questi discorsi,«Orlando, cara» stava ricominciando Shel, quando si

udì uno stropiccio di piedi, e Basket, il maggiordomo,entrò ad annunciare che di sotto c’erano due gendarmi,con un mandato da parte della Regina.

«Fateli salire!» disse Shelmerdine laconico, come sesi trovasse sul ponte della propria nave, assumendo peristinto una posa di circostanza davanti al caminetto, conla mano dietro al dorso. Due ufficiali in uniforme verdebottiglia, bastone al fianco, entrarono e si miserosull’attenti. Terminate le formalità, consegnarono a Or-lando, in mano sua come lo esigeva il loro mandato, undocumento legale dall’aspetto alquanto impressionante,a giudicar dai suggelli di ceralacca, dai nastri, dalle au-tenticazioni, dalle firme, tutte cose della più alta impor-tanza.

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Orlando vi diede una scorsa, poi, sottolineandocoll’indice della destra, lesse ad alta voce i seguenti pas-saggi, i quali erano i più significativi:

«Le sentenze sono state pronunciate, alcune in miofavore, come per esempio... altre invece sono contrarie.Il matrimonio turco è annullato (sono stata ambasciatorea Costantinopoli, Shel, spiegò ella). I figli sono dichia-rati illegittimi (mi si attribuiscono tre figli da Pepita, unadanzatrice spagnuola). Dunque, non erediteranno nulla:meno male... Il sesso? Ah! Cosa dicono del sesso? Ilmio sesso» ella disse con una certa solennità «è dichia-rato indiscutibilmente, e senz’ombra alcuna di dubbio(che cosa ti dicevo poco fa, Shel?), femminile. I beni,ormai fuori sequestro a perpetuità, saranno trasmessi aimiei eredi maschi, o, in mancanza di matrimoni...» Maqui, tutta quella verbosità legale la spazientì, e disse: «...ma siccome non ci sarà mancanza di matrimonio né dieredi, possiamo far conto di aver letto il resto». Dopo diche, apposta la propria firma in calce sotto quella diLord Palmerston, Orlando entrò in indisturbato possessodella sua casa, dei suoi titoli e dei suoi beni, ora assai ri-dotti, poiché i processi avevano ingoiato somme favolo-se; e se Orlando era tornata abbondantemente nobile,era peraltro eccessivamente povera. Quando la novelladella sentenza fu nota (e la voce del popolo si propaga-va, allora, assai più rapidamente del telegrafo che l’hasoppiantata), l’intero villaggio fu in festa.

[Cavalli furono attaccati alle carrozze, per il solo gu-sto di staccarli in seguito. Berline e landò vennero scar-

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Orlando vi diede una scorsa, poi, sottolineandocoll’indice della destra, lesse ad alta voce i seguenti pas-saggi, i quali erano i più significativi:

«Le sentenze sono state pronunciate, alcune in miofavore, come per esempio... altre invece sono contrarie.Il matrimonio turco è annullato (sono stata ambasciatorea Costantinopoli, Shel, spiegò ella). I figli sono dichia-rati illegittimi (mi si attribuiscono tre figli da Pepita, unadanzatrice spagnuola). Dunque, non erediteranno nulla:meno male... Il sesso? Ah! Cosa dicono del sesso? Ilmio sesso» ella disse con una certa solennità «è dichia-rato indiscutibilmente, e senz’ombra alcuna di dubbio(che cosa ti dicevo poco fa, Shel?), femminile. I beni,ormai fuori sequestro a perpetuità, saranno trasmessi aimiei eredi maschi, o, in mancanza di matrimoni...» Maqui, tutta quella verbosità legale la spazientì, e disse: «...ma siccome non ci sarà mancanza di matrimonio né dieredi, possiamo far conto di aver letto il resto». Dopo diche, apposta la propria firma in calce sotto quella diLord Palmerston, Orlando entrò in indisturbato possessodella sua casa, dei suoi titoli e dei suoi beni, ora assai ri-dotti, poiché i processi avevano ingoiato somme favolo-se; e se Orlando era tornata abbondantemente nobile,era peraltro eccessivamente povera. Quando la novelladella sentenza fu nota (e la voce del popolo si propaga-va, allora, assai più rapidamente del telegrafo che l’hasoppiantata), l’intero villaggio fu in festa.

[Cavalli furono attaccati alle carrozze, per il solo gu-sto di staccarli in seguito. Berline e landò vennero scar-

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rozzati vuoti e senza posa su e giù per la strada principa-le. Discorsi vennero pronunciati davanti all’Albergo delBue; vi risposero quelli dell’Albergo del Cervo. Il borgoera illuminato a giorno. Cofanetti dorati si sigillaronoaccuratamente sotto campane di cristallo. Monete d’orovennero debitamente e coscienziosamente sepolte sottole pietre. Si fondarono ospedali. Si inaugurarono i Clubsdel Topo e del Passero. Donne turche vennero arse adozzine in effigie sulla piazza del mercato, insieme concontadinotti a bizzeffe, ai quali pendeva dalla bocca unabanderuola con la scritta: “Sono un vile Pretendente”.Tosto si videro i puledri color crema della Regina trottarper il viale, con l’invito per Orlando di venire a cenare etrattenersi a dormire al Castello, per quella sera stessa.Come già in altra occasione, sul suo scrittoio si abbattéuna valanga d’inviti, dalla Contessa di R., da Lady Q.,da Lady Palmerston, dalla Marchesa di P., da Donna W.E. Gladston e altri, che sollecitavano il piacere di veder-la, tanto l’antica amicizia fra le due famiglie, ecc. ] Tut-to questo l’abbiamo ben chiuso fra due parentesi quadre,per la buona ragione che, nella vita di Orlando, non fuche una parentesi senza importanza, una parentesi cheella saltò per proseguire il testo. Mentre sulla piazza delmercato ardevano i fuochi di gioia, ella se ne stava neiboschi oscuri, sola con Shelmerdine. Il tempo era cosìbello che gli alberi distendevano i rami immobili sulleloro teste, e se cadeva una foglia, cadeva, picchiettatad’oro e di rosso, così pigra, che per mezz’ora si vedeva

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rozzati vuoti e senza posa su e giù per la strada principa-le. Discorsi vennero pronunciati davanti all’Albergo delBue; vi risposero quelli dell’Albergo del Cervo. Il borgoera illuminato a giorno. Cofanetti dorati si sigillaronoaccuratamente sotto campane di cristallo. Monete d’orovennero debitamente e coscienziosamente sepolte sottole pietre. Si fondarono ospedali. Si inaugurarono i Clubsdel Topo e del Passero. Donne turche vennero arse adozzine in effigie sulla piazza del mercato, insieme concontadinotti a bizzeffe, ai quali pendeva dalla bocca unabanderuola con la scritta: “Sono un vile Pretendente”.Tosto si videro i puledri color crema della Regina trottarper il viale, con l’invito per Orlando di venire a cenare etrattenersi a dormire al Castello, per quella sera stessa.Come già in altra occasione, sul suo scrittoio si abbattéuna valanga d’inviti, dalla Contessa di R., da Lady Q.,da Lady Palmerston, dalla Marchesa di P., da Donna W.E. Gladston e altri, che sollecitavano il piacere di veder-la, tanto l’antica amicizia fra le due famiglie, ecc. ] Tut-to questo l’abbiamo ben chiuso fra due parentesi quadre,per la buona ragione che, nella vita di Orlando, non fuche una parentesi senza importanza, una parentesi cheella saltò per proseguire il testo. Mentre sulla piazza delmercato ardevano i fuochi di gioia, ella se ne stava neiboschi oscuri, sola con Shelmerdine. Il tempo era cosìbello che gli alberi distendevano i rami immobili sulleloro teste, e se cadeva una foglia, cadeva, picchiettatad’oro e di rosso, così pigra, che per mezz’ora si vedeva

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volteggiare in lenta caduta, finché si posava alfine sulpiede di Orlando.

«Raccontami, Mar» ella diceva (ma è necessario spie-gare qui come, quando ella lo chiamava con la primasillaba del suo nome, si trovasse in uno stato d’animosognatore, amoroso, remissivo, casalingo, un poco lan-guido; come se in un caminetto ardessero legna aromati-che, e la sera s’avvicinasse, ma ancora non fosse ora diandare a farsi bella; fuori è un po’ umido, quel tanto ap-pena da dare un po’ di lucido alle foglie, ma non tantoda far tacere l’usignolo tra le azalee; un cane abbaia, inuna fattoria lontana, poi un altro cane, un gallo canta...tutto questo il lettore sentirà, immaginerà nella voce diOrlando). «Raccontami, Mar, raccontami del CapoHorn.»

Allora Shelmerdine costruiva sul suolo un modello inminiatura del Capo, con qualche ramoscello, delle fogliesecche e un paio di gusci di lumaca vuoti.

«Qui è il nord» diceva. «E qui è il sud. Il vento vieneda questi paraggi qua. Il brigantino fa vela verso ovest;abbiamo abbassato or ora il parrocchetto di mezzana; evedi, qui, dove c’è questo filo d’erba, entriamo nellacorrente segnata – dov’è la mia bussola, le mie carte,nostromo? Ah, grazie, benissimo – segnata da questoguscio di lumaca. La corrente investe il brigantino a ba-bordo; allora, ci è giocoforza ammainare il fiocco, senon vogliamo essere scaraventati a tribordo, qui dovec’è questa foglia di faggio; perché capisci, cara...» Ecosì andava avanti, e Orlando beveva ogni parola; e la

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volteggiare in lenta caduta, finché si posava alfine sulpiede di Orlando.

«Raccontami, Mar» ella diceva (ma è necessario spie-gare qui come, quando ella lo chiamava con la primasillaba del suo nome, si trovasse in uno stato d’animosognatore, amoroso, remissivo, casalingo, un poco lan-guido; come se in un caminetto ardessero legna aromati-che, e la sera s’avvicinasse, ma ancora non fosse ora diandare a farsi bella; fuori è un po’ umido, quel tanto ap-pena da dare un po’ di lucido alle foglie, ma non tantoda far tacere l’usignolo tra le azalee; un cane abbaia, inuna fattoria lontana, poi un altro cane, un gallo canta...tutto questo il lettore sentirà, immaginerà nella voce diOrlando). «Raccontami, Mar, raccontami del CapoHorn.»

Allora Shelmerdine costruiva sul suolo un modello inminiatura del Capo, con qualche ramoscello, delle fogliesecche e un paio di gusci di lumaca vuoti.

«Qui è il nord» diceva. «E qui è il sud. Il vento vieneda questi paraggi qua. Il brigantino fa vela verso ovest;abbiamo abbassato or ora il parrocchetto di mezzana; evedi, qui, dove c’è questo filo d’erba, entriamo nellacorrente segnata – dov’è la mia bussola, le mie carte,nostromo? Ah, grazie, benissimo – segnata da questoguscio di lumaca. La corrente investe il brigantino a ba-bordo; allora, ci è giocoforza ammainare il fiocco, senon vogliamo essere scaraventati a tribordo, qui dovec’è questa foglia di faggio; perché capisci, cara...» Ecosì andava avanti, e Orlando beveva ogni parola; e la

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interpretava nel giusto senso; per esempio vedeva alvivo, senza ch’egli avesse bisogno di accennarglielo, lafosforescenza sul mare; i ghiaccioli che si urtavano trale sartie; vedeva Shel arrampicarsi in cima all’alberomaestro, nel mezzo dell’uragano; e là, meditare sui de-stini umani; e ridiscendere; e bere un whisky e soda; escendere a terra; e cader nelle reti di una negra; e pentir-sene; e speculare su quell’episodio; e leggere Pascal; eprender la decisione di scrivere un trattato di filosofia; ecomprare una bertuccia; e argomentare sul vero sensodella vita; e optare in favore del Capo Horn, e chi più neha più ne metta. Tutte queste cose e ben altre ancoracomprendeva Orlando, e allorché ella rispondeva: «Già,le negre sono seducenti, vero?» mentre egli le aveva ap-punto detto che la provvista delle gallette stava per fini-re, rimaneva sorpreso e deliziato al tempo stesso nel ve-dere quanta comprensione ella gli dimostrasse.

«Sei poi ben certa di non essere un uomo?» le doman-dava ansioso; ed ella facendogli eco:

«È possibile che tu non sia una donna?» E sempre piùdiventava indispensabile farne la prova senza por tempoin mezzo. Ognuno era stupito a tal punto della subitanei-tà della simpatia dell’altro, era per entrambi una tale ri-velazione che una donna potesse uguagliar l’uomo inlarghezza d’idee e libertà di linguaggio, e un uomo unadonna in originalità e delicatezza, che, insomma, quellaprova sempre più s’imponeva.

E così seguitavano a parlare, o piuttosto a compren-dersi, cosa in cui consiste l’arte essenziale della conver-

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interpretava nel giusto senso; per esempio vedeva alvivo, senza ch’egli avesse bisogno di accennarglielo, lafosforescenza sul mare; i ghiaccioli che si urtavano trale sartie; vedeva Shel arrampicarsi in cima all’alberomaestro, nel mezzo dell’uragano; e là, meditare sui de-stini umani; e ridiscendere; e bere un whisky e soda; escendere a terra; e cader nelle reti di una negra; e pentir-sene; e speculare su quell’episodio; e leggere Pascal; eprender la decisione di scrivere un trattato di filosofia; ecomprare una bertuccia; e argomentare sul vero sensodella vita; e optare in favore del Capo Horn, e chi più neha più ne metta. Tutte queste cose e ben altre ancoracomprendeva Orlando, e allorché ella rispondeva: «Già,le negre sono seducenti, vero?» mentre egli le aveva ap-punto detto che la provvista delle gallette stava per fini-re, rimaneva sorpreso e deliziato al tempo stesso nel ve-dere quanta comprensione ella gli dimostrasse.

«Sei poi ben certa di non essere un uomo?» le doman-dava ansioso; ed ella facendogli eco:

«È possibile che tu non sia una donna?» E sempre piùdiventava indispensabile farne la prova senza por tempoin mezzo. Ognuno era stupito a tal punto della subitanei-tà della simpatia dell’altro, era per entrambi una tale ri-velazione che una donna potesse uguagliar l’uomo inlarghezza d’idee e libertà di linguaggio, e un uomo unadonna in originalità e delicatezza, che, insomma, quellaprova sempre più s’imponeva.

E così seguitavano a parlare, o piuttosto a compren-dersi, cosa in cui consiste l’arte essenziale della conver-

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sazione, in un’epoca in cui le parole diventavano ognigiorno tanto povere, a confronto delle idee, che le “gal-lette mancavano” deve interpretarsi come “abbracciareuna negra al buio, dopo aver letto per la decima volta lafilosofia del vescovo Berkeley”. (Da ciò si dedurrà chesolo i grandi maestri dello stile sanno dire la verità, equando ci si imbatte in uno scrittorello da poco si puòconcludere senza dubbio che il poveretto mente.)

Discorrevano; poi Orlando, quando i suoi piedi eranoben seppelliti sotto le variegate foglie autunnali, si alza-va, fuggiva nel cuore del bosco, in solitudine, lasciandoBonthrop seduto tra i suoi gusci di lumaca, intento afabbricar modelli del Capo Horn.

«Bonthrop» diceva lei «me ne vado.» Quando lochiamava col suo secondo nome – Bonthrop – il lettoredovrà capire che l’animo di Orlando andava verso la so-litudine; vedeva se stessa e il suo compagno come duemacchioline in un deserto, e altro non desiava se nonandar sola incontro alla morte; perché la gente muoreogni giorno, muore a tavola, oppure così, all’aperto, neiboschi autunnali; e mentre i falò di gioia levavano altele fiamme e Lady Palmerston o Lady Derby l’invitavanoa cena ogni sera, desiderio di morte invadeva Orlando, equando diceva «Bonthrop» in realtà diceva «Sono mor-ta», e avanzava come un fantasma tra il pallore spettraledei faggi, e si seppelliva in profonda solitudine come se,finito ormai l’assillo di piccoli rumori e agitazioni, ellafosse libera di seguir la sua via; tutte cose che il lettoreudrà nella voce di Orlando, quando diceva “Bonthrop”;

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sazione, in un’epoca in cui le parole diventavano ognigiorno tanto povere, a confronto delle idee, che le “gal-lette mancavano” deve interpretarsi come “abbracciareuna negra al buio, dopo aver letto per la decima volta lafilosofia del vescovo Berkeley”. (Da ciò si dedurrà chesolo i grandi maestri dello stile sanno dire la verità, equando ci si imbatte in uno scrittorello da poco si puòconcludere senza dubbio che il poveretto mente.)

Discorrevano; poi Orlando, quando i suoi piedi eranoben seppelliti sotto le variegate foglie autunnali, si alza-va, fuggiva nel cuore del bosco, in solitudine, lasciandoBonthrop seduto tra i suoi gusci di lumaca, intento afabbricar modelli del Capo Horn.

«Bonthrop» diceva lei «me ne vado.» Quando lochiamava col suo secondo nome – Bonthrop – il lettoredovrà capire che l’animo di Orlando andava verso la so-litudine; vedeva se stessa e il suo compagno come duemacchioline in un deserto, e altro non desiava se nonandar sola incontro alla morte; perché la gente muoreogni giorno, muore a tavola, oppure così, all’aperto, neiboschi autunnali; e mentre i falò di gioia levavano altele fiamme e Lady Palmerston o Lady Derby l’invitavanoa cena ogni sera, desiderio di morte invadeva Orlando, equando diceva «Bonthrop» in realtà diceva «Sono mor-ta», e avanzava come un fantasma tra il pallore spettraledei faggi, e si seppelliva in profonda solitudine come se,finito ormai l’assillo di piccoli rumori e agitazioni, ellafosse libera di seguir la sua via; tutte cose che il lettoreudrà nella voce di Orlando, quando diceva “Bonthrop”;

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meglio ancora se vi aggiungerà, per illuminare la parola,ciò che essa evocava a Bonthrop stesso: un mistico sen-so di separazione, isolamento, e di puri spiriti erranti sulponte della sua nave, al disopra dei mari insondabili.

Dopo alcune ore di morte, all’improvviso una gazzagridava «Shelmerdine»; e Orlando si chinava a racco-gliere un croco autunnale; il quale, per certa gente, hal’esatto significato di quella parola; e se lo nascondevain seno con la penna di gazza che in spire azzurrine ca-deva sino a lei tra il fogliame dei faggi. «Shelmerdine!»chiamava quindi, e la parola risuonava di qua e di là at-traverso il bosco, e veniva a colpire Shelmerdine làdov’era seduto nell’erba, a costruir modelli con le con-chiglie di lumaca. Egli vedeva Orlando, la sentiva giun-gere a lui col croco e la penna di gazza in seno, e «Or-lando!» gridava, e ciò significava (siete pregati di ricor-dare che quando colori brillanti, come azzurro e giallo,si mescolano alla nostra vista, un poco del loro riflessorimane nei nostri pensieri) dapprima un piegarsi, unaprirsi di rami come se qualcosa li scostasse; e questoqualcosa si rivelava tosto una nave dalle vele spiegate,rollante un po’ pigra sui flutti come se avesse tuttaun’annata di bei giorni davanti a sé per compiere il suoviaggio; e così la nave domina le onde, beccheggia oradi qua, ora di là, nobile, indolente, cavalca la cresta diquest’onda, precipita nel baratro aperto di quest’altra, ea un tratto ecco che vi sovrasta (voi, dal vostro guscio dinoce, levate lo sguardo a essa) con tutte le vele, fremen-ti: le quali, oh stupore, di colpo si afflosciano sul pon-

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meglio ancora se vi aggiungerà, per illuminare la parola,ciò che essa evocava a Bonthrop stesso: un mistico sen-so di separazione, isolamento, e di puri spiriti erranti sulponte della sua nave, al disopra dei mari insondabili.

Dopo alcune ore di morte, all’improvviso una gazzagridava «Shelmerdine»; e Orlando si chinava a racco-gliere un croco autunnale; il quale, per certa gente, hal’esatto significato di quella parola; e se lo nascondevain seno con la penna di gazza che in spire azzurrine ca-deva sino a lei tra il fogliame dei faggi. «Shelmerdine!»chiamava quindi, e la parola risuonava di qua e di là at-traverso il bosco, e veniva a colpire Shelmerdine làdov’era seduto nell’erba, a costruir modelli con le con-chiglie di lumaca. Egli vedeva Orlando, la sentiva giun-gere a lui col croco e la penna di gazza in seno, e «Or-lando!» gridava, e ciò significava (siete pregati di ricor-dare che quando colori brillanti, come azzurro e giallo,si mescolano alla nostra vista, un poco del loro riflessorimane nei nostri pensieri) dapprima un piegarsi, unaprirsi di rami come se qualcosa li scostasse; e questoqualcosa si rivelava tosto una nave dalle vele spiegate,rollante un po’ pigra sui flutti come se avesse tuttaun’annata di bei giorni davanti a sé per compiere il suoviaggio; e così la nave domina le onde, beccheggia oradi qua, ora di là, nobile, indolente, cavalca la cresta diquest’onda, precipita nel baratro aperto di quest’altra, ea un tratto ecco che vi sovrasta (voi, dal vostro guscio dinoce, levate lo sguardo a essa) con tutte le vele, fremen-ti: le quali, oh stupore, di colpo si afflosciano sul pon-

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te... e così Orlando si lasciava cadere nell’erba accanto aShelmerdine.

Otto, forse nove giorni erano trascorsi così; ma il de-cimo, il 26 ottobre, Orlando se ne stava sdraiata tral’erba mentre Shelmerdine declamava Shelley (di cuisapeva a memoria le opere complete) quando una fogliache s’era staccata lenta dalla cima d’un albero frustò vi-vace il piede d’Orlando. Una seconda seguì la prima,poi una terza. Orlando rabbrividì, divenne pallida. Era ilvento. Shelmerdine – ma ora sì che sarebbe il momentodi chiamarlo Bonthrop – balzò in piedi.

«Il vento!» gridò.Di corsa attraversarono il bosco, mentre il vento li co-

priva di foglie; di corsa giunsero al cortile grande, e at-traverso di esso ai piccoli, seguiti dalla servitù sgomen-tata che posava in gran fretta scope e casseruole; finchéentrarono nella Cappella, dove i ceri furono accesi allasvelta, per quanto si poté, uno che gocciolava sul banco,l’altro col lucignolo che fumava. Le campane suonaro-no. La gente accorse. Finalmente comparve il reverendoDupper, che ancora s’annodava la cravatta bianca e gri-dava: «Dov’è il mio libro di preghiere?». Gli cacciaronoin mano il libro di preghiere della regina Maria, egli sfo-gliò cercando affannato, poi disse: «Marmaduke Bonth-rop Shelmerdine, e Lady Orlando: inginocchiatevi»; edessi s’inginocchiarono, ora in luce e ora in ombra a se-conda delle luci e ombre che palpitavano confuse attra-verso le vetrate dipinte; e tra uno sbatter di porte innu-merevoli e uno strepito di rame di cucina, l’organo tuo-

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te... e così Orlando si lasciava cadere nell’erba accanto aShelmerdine.

Otto, forse nove giorni erano trascorsi così; ma il de-cimo, il 26 ottobre, Orlando se ne stava sdraiata tral’erba mentre Shelmerdine declamava Shelley (di cuisapeva a memoria le opere complete) quando una fogliache s’era staccata lenta dalla cima d’un albero frustò vi-vace il piede d’Orlando. Una seconda seguì la prima,poi una terza. Orlando rabbrividì, divenne pallida. Era ilvento. Shelmerdine – ma ora sì che sarebbe il momentodi chiamarlo Bonthrop – balzò in piedi.

«Il vento!» gridò.Di corsa attraversarono il bosco, mentre il vento li co-

priva di foglie; di corsa giunsero al cortile grande, e at-traverso di esso ai piccoli, seguiti dalla servitù sgomen-tata che posava in gran fretta scope e casseruole; finchéentrarono nella Cappella, dove i ceri furono accesi allasvelta, per quanto si poté, uno che gocciolava sul banco,l’altro col lucignolo che fumava. Le campane suonaro-no. La gente accorse. Finalmente comparve il reverendoDupper, che ancora s’annodava la cravatta bianca e gri-dava: «Dov’è il mio libro di preghiere?». Gli cacciaronoin mano il libro di preghiere della regina Maria, egli sfo-gliò cercando affannato, poi disse: «Marmaduke Bonth-rop Shelmerdine, e Lady Orlando: inginocchiatevi»; edessi s’inginocchiarono, ora in luce e ora in ombra a se-conda delle luci e ombre che palpitavano confuse attra-verso le vetrate dipinte; e tra uno sbatter di porte innu-merevoli e uno strepito di rame di cucina, l’organo tuo-

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nò, e le sue note ora crescevano ora s’affievolivano, e ilreverendo Dupper, che era molto invecchiato, cercò dielevar la voce su tutto quel baccano, ma non poté farsisentire; per un istante solo si fece silenzio e una parola –forse “gli artigli della morte” – spiccò chiara, mentre ifamigli seguitavano ad accalcarsi entro la Cappella, an-cora col rastrello o la frusta in mano, curiosi, gli unicantando a squarciagola, gli altri pregando, poi un uc-cello cozzò contro la vetrata, e ci fu uno scoppio di tuo-no, sì che nessuno udì la parola «Obbedite», né vide, senon in un lampo d’oro, l’anello passar dall’una manoall’altra. Tutto non era che movimento, confusione. Poigli sposi si alzarono, mentre l’organo rumoreggiava, efuori lampeggiava e l’acquazzone cadeva; e Lady Orlan-do con la fede al dito uscì in cortile malgrado il vestitoleggero, e tenne la staffa oscillante, poiché il cavalloaveva già il morso e la briglia e la schiuma al fianco, almarito il quale balzò in sella. Il cavallo si scagliò inavanti e Orlando, in piedi, gridò: «Marmaduke Bonth-rop Shelmerdine!» ed egli rispose: «Orlando!» e il ventosparpagliò le parole che salirono turbinando come falchiselvaggi fra le guglie e sempre più in alto, sempre piùlontane, sempre più rapide, finché s’infransero e ricad-dero in terra in una pioggia di sillabe; e Orlando rientrò.

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nò, e le sue note ora crescevano ora s’affievolivano, e ilreverendo Dupper, che era molto invecchiato, cercò dielevar la voce su tutto quel baccano, ma non poté farsisentire; per un istante solo si fece silenzio e una parola –forse “gli artigli della morte” – spiccò chiara, mentre ifamigli seguitavano ad accalcarsi entro la Cappella, an-cora col rastrello o la frusta in mano, curiosi, gli unicantando a squarciagola, gli altri pregando, poi un uc-cello cozzò contro la vetrata, e ci fu uno scoppio di tuo-no, sì che nessuno udì la parola «Obbedite», né vide, senon in un lampo d’oro, l’anello passar dall’una manoall’altra. Tutto non era che movimento, confusione. Poigli sposi si alzarono, mentre l’organo rumoreggiava, efuori lampeggiava e l’acquazzone cadeva; e Lady Orlan-do con la fede al dito uscì in cortile malgrado il vestitoleggero, e tenne la staffa oscillante, poiché il cavalloaveva già il morso e la briglia e la schiuma al fianco, almarito il quale balzò in sella. Il cavallo si scagliò inavanti e Orlando, in piedi, gridò: «Marmaduke Bonth-rop Shelmerdine!» ed egli rispose: «Orlando!» e il ventosparpagliò le parole che salirono turbinando come falchiselvaggi fra le guglie e sempre più in alto, sempre piùlontane, sempre più rapide, finché s’infransero e ricad-dero in terra in una pioggia di sillabe; e Orlando rientrò.

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VI

Orlando rientrò. Tutto, in casa, era immerso in unacalma perfetta: Ecco, là, il calamaio; là, la penna; là, ilmanoscritto del poema interrotto nel bel mezzo diun’apoteosi dell’eternità. Ed era proprio sul punto didire, quando erano entrati Basket e la signora Bartholo-mew per servire il tè, che nulla era cambiato, ma invece,nello spazio di tre secondi e mezzo, tutto era mutato:Orlando s’era rotta la caviglia, s’era innamorata, avevaimpalmato Shelmerdine.

L’anello nuziale che le brillava al dito ne era la prova.Vero è che lei stessa ve lo aveva infilato prima ancorad’incontrare Shelmerdine, ma quella misura s’era dimo-strata peggio che inutile. Con superstizioso rispetto, oraella rigirava l’anello attorno al dito, bene attenta a chenon le sgusciasse oltre la falange.

«L’anello nuziale si deve portare al terzo dito della si-nistra» disse, come una bambina che ripeta, attenta, lalezione «se si vuole che abbia il suo effetto.»

Parlava forte, più solenne di quanto non avrebbe vo-luto, quasi desiderasse essere udita da qualcuno su cuivoleva far bella impressione. Ora che si sentiva capacedi radunar di nuovo le sue idee, pensava con curiosità

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Orlando rientrò. Tutto, in casa, era immerso in unacalma perfetta: Ecco, là, il calamaio; là, la penna; là, ilmanoscritto del poema interrotto nel bel mezzo diun’apoteosi dell’eternità. Ed era proprio sul punto didire, quando erano entrati Basket e la signora Bartholo-mew per servire il tè, che nulla era cambiato, ma invece,nello spazio di tre secondi e mezzo, tutto era mutato:Orlando s’era rotta la caviglia, s’era innamorata, avevaimpalmato Shelmerdine.

L’anello nuziale che le brillava al dito ne era la prova.Vero è che lei stessa ve lo aveva infilato prima ancorad’incontrare Shelmerdine, ma quella misura s’era dimo-strata peggio che inutile. Con superstizioso rispetto, oraella rigirava l’anello attorno al dito, bene attenta a chenon le sgusciasse oltre la falange.

«L’anello nuziale si deve portare al terzo dito della si-nistra» disse, come una bambina che ripeta, attenta, lalezione «se si vuole che abbia il suo effetto.»

Parlava forte, più solenne di quanto non avrebbe vo-luto, quasi desiderasse essere udita da qualcuno su cuivoleva far bella impressione. Ora che si sentiva capacedi radunar di nuovo le sue idee, pensava con curiosità

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all’impressione che la sua condotta avrebbe suscitato,dato lo spirito dei tempi. Non vedeva l’ora di sapere seil passo compiuto, il fidanzamento con Shelmerdine epoi il matrimonio, ne avessero incontrato l’approvazio-ne o no. Certamente, ora si sentiva più sicura di sé. Ildito non le prudeva più, dopo quella sera sulla landa, oalmeno era cosa da poco. Pure, non poteva negar d’ave-re i suoi bravi dubbi. Era sposata, è vero; ma avere unmarito eternamente in procinto di doppiare il CapoHorn, significa essere sposati? Voler bene a questo mari-to significa esser sposati? E se si vuol bene anche ad al-tri, significa ancora esser sposati? E finalmente, se sianela ancora e sempre, più d’ogni altra cosa al mondo, ascriver versi, significa esser sposati? Insomma, Orlandoera in gran dubbio.

Ma avrebbe fatto la prova. Guardò l’anello. Guardò ilcalamaio. Doveva osare? No, non avrebbe osato. Pure,era necessario. No, non poteva. Che fare, allora? Sveni-re; era l’unica cosa da farsi. Ma non s’era mai sentitacosì bene in vita sua.

«Al diavolo tutto quanto!» gridò, ritrovando in partegli antichi spiriti. «Andiamo avanti!»

E intinse la penna nell’inchiostro, risoluta. Con suagran sorpresa, non ci fu esplosione di sorta. Ritirò lapenna; il pennino era inumidito, ma non gocciolava. Simise a scrivere. Le parole stentavano un poco a venire,ma venivano. Ma avevano un senso? si domandò Orlan-do, còlta da timor panico all’idea che la penna potessegiocarle di nuovo uno dei suoi tiri barbini. E lesse...

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all’impressione che la sua condotta avrebbe suscitato,dato lo spirito dei tempi. Non vedeva l’ora di sapere seil passo compiuto, il fidanzamento con Shelmerdine epoi il matrimonio, ne avessero incontrato l’approvazio-ne o no. Certamente, ora si sentiva più sicura di sé. Ildito non le prudeva più, dopo quella sera sulla landa, oalmeno era cosa da poco. Pure, non poteva negar d’ave-re i suoi bravi dubbi. Era sposata, è vero; ma avere unmarito eternamente in procinto di doppiare il CapoHorn, significa essere sposati? Voler bene a questo mari-to significa esser sposati? E se si vuol bene anche ad al-tri, significa ancora esser sposati? E finalmente, se sianela ancora e sempre, più d’ogni altra cosa al mondo, ascriver versi, significa esser sposati? Insomma, Orlandoera in gran dubbio.

Ma avrebbe fatto la prova. Guardò l’anello. Guardò ilcalamaio. Doveva osare? No, non avrebbe osato. Pure,era necessario. No, non poteva. Che fare, allora? Sveni-re; era l’unica cosa da farsi. Ma non s’era mai sentitacosì bene in vita sua.

«Al diavolo tutto quanto!» gridò, ritrovando in partegli antichi spiriti. «Andiamo avanti!»

E intinse la penna nell’inchiostro, risoluta. Con suagran sorpresa, non ci fu esplosione di sorta. Ritirò lapenna; il pennino era inumidito, ma non gocciolava. Simise a scrivere. Le parole stentavano un poco a venire,ma venivano. Ma avevano un senso? si domandò Orlan-do, còlta da timor panico all’idea che la penna potessegiocarle di nuovo uno dei suoi tiri barbini. E lesse...

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Allor venni in un campo, dove l’erbe in rigoglioSi mescevano ai calici di grevi fritillarieDall’esotica veste, tristi, simili a serpi,Chiuse in purpureo lutto, come fanciulle egizie...

Mentre scriveva, sentiva una forza ignota (non di-mentichiamo che stiamo assistendo a una delle più oscu-re manifestazioni dell’animo umano), un’autorità, cheleggeva al disopra delle sue spalle, e, quando ebbe scrit-to “fanciulle egizie”, l’autorità le intimò di fermarsi. Leerbe, pareva dicesse, sottolineando le parole con un re-golo in mano come una maestra a scuola, possono stare;i calici di grevi fritillarie, va benissimo; simili a serpi...fiori simili a serpi: un’idea un po’ ardita, forse, per lapenna d’una signora, ma insomma, Wordsworth non ladisapproverebbe. Quelle fanciulle, però... sono proprionecessarie, le fanciulle? Avete un marito al Capo, avevadetto? Ah... quand’è così... E lo spirito passò oltre.

In spirito dunque (poiché tutto questo aveva luogo inspirito) Orlando s’inchinò in profonda obbedienza di-nanzi allo spirito del suo tempo, come – tanto per para-gonar grandi cose alle piccole – il viaggiatore, consciod’avere un pacchetto di sigari in un angolo della sua va-ligia, s’inchina all’impiegato di dogana che gli ha dipin-to un compiacente sgorbio di gesso sul coperchio. Or-lando dubitava assai se lo spirito, dove avesse attenta-mente esaminato il bagaglio contenuto nel suo cervello,non avrebbe trovato qualche oggetto di contrabbando,per il quale ella avrebbe dovuto pagar la debita tariffa.

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Allor venni in un campo, dove l’erbe in rigoglioSi mescevano ai calici di grevi fritillarieDall’esotica veste, tristi, simili a serpi,Chiuse in purpureo lutto, come fanciulle egizie...

Mentre scriveva, sentiva una forza ignota (non di-mentichiamo che stiamo assistendo a una delle più oscu-re manifestazioni dell’animo umano), un’autorità, cheleggeva al disopra delle sue spalle, e, quando ebbe scrit-to “fanciulle egizie”, l’autorità le intimò di fermarsi. Leerbe, pareva dicesse, sottolineando le parole con un re-golo in mano come una maestra a scuola, possono stare;i calici di grevi fritillarie, va benissimo; simili a serpi...fiori simili a serpi: un’idea un po’ ardita, forse, per lapenna d’una signora, ma insomma, Wordsworth non ladisapproverebbe. Quelle fanciulle, però... sono proprionecessarie, le fanciulle? Avete un marito al Capo, avevadetto? Ah... quand’è così... E lo spirito passò oltre.

In spirito dunque (poiché tutto questo aveva luogo inspirito) Orlando s’inchinò in profonda obbedienza di-nanzi allo spirito del suo tempo, come – tanto per para-gonar grandi cose alle piccole – il viaggiatore, consciod’avere un pacchetto di sigari in un angolo della sua va-ligia, s’inchina all’impiegato di dogana che gli ha dipin-to un compiacente sgorbio di gesso sul coperchio. Or-lando dubitava assai se lo spirito, dove avesse attenta-mente esaminato il bagaglio contenuto nel suo cervello,non avrebbe trovato qualche oggetto di contrabbando,per il quale ella avrebbe dovuto pagar la debita tariffa.

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Ne era scappata proprio per il rotto della cuffia. Avevapassato felicemente la visita, grazie a una deferenzaabilmente manifestata, grazie a un anello nuziale e unmarito trovato in mezzo alla brughiera, grazie, infine,alla rinuncia a ogni satira, a ogni cinismo e psicologi-smo, tutte quante merci che sarebbero state immediata-mente scoperte. Respirò, grandemente sollevata, comene aveva ben donde, poiché la transazione fra uno scrit-tore e lo spirito dei tempi è infinitamente delicata, e tut-ta la fortuna delle opere del primo dipende da una feliceintesa tra i due. Orlando aveva fatto le cose in modo taleda trovarsi in un’ottima posizione; non aveva bisogno dipolemizzare col suo tempo, né di sottomettervisi; appar-teneva a esso, senza cessar di rimanere se stessa. Eccodunque perché ora poteva scrivere, e scrisse. E scrisse.E scrisse.

Si era allora in novembre. Dopo novembre viene di-cembre. Poi, gennaio, febbraio, marzo e aprile. Dopoaprile viene maggio. Seguono giugno, luglio, agosto.Poi viene settembre. Quindi ottobre, e così, vedete chesiamo tornati a novembre, e abbiamo compiuto il ciclodi un’intera annata.

Questo metodo di scrivere una biografia ha i suoi pre-gi, ma è un po’ nudo, e se continuiamo di questo passo illettore potrà ribellarsi, e osservare che il calendario è ca-pace di snocciolarselo da sé, risparmiando così il giustoprezzo che l’editore gli avrà richiesto per questo volu-me. Ma che cosa volete mai che rimanga da fare al bio-grafo, una volta che il suo protagonista lo ha messo nel-

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Ne era scappata proprio per il rotto della cuffia. Avevapassato felicemente la visita, grazie a una deferenzaabilmente manifestata, grazie a un anello nuziale e unmarito trovato in mezzo alla brughiera, grazie, infine,alla rinuncia a ogni satira, a ogni cinismo e psicologi-smo, tutte quante merci che sarebbero state immediata-mente scoperte. Respirò, grandemente sollevata, comene aveva ben donde, poiché la transazione fra uno scrit-tore e lo spirito dei tempi è infinitamente delicata, e tut-ta la fortuna delle opere del primo dipende da una feliceintesa tra i due. Orlando aveva fatto le cose in modo taleda trovarsi in un’ottima posizione; non aveva bisogno dipolemizzare col suo tempo, né di sottomettervisi; appar-teneva a esso, senza cessar di rimanere se stessa. Eccodunque perché ora poteva scrivere, e scrisse. E scrisse.E scrisse.

Si era allora in novembre. Dopo novembre viene di-cembre. Poi, gennaio, febbraio, marzo e aprile. Dopoaprile viene maggio. Seguono giugno, luglio, agosto.Poi viene settembre. Quindi ottobre, e così, vedete chesiamo tornati a novembre, e abbiamo compiuto il ciclodi un’intera annata.

Questo metodo di scrivere una biografia ha i suoi pre-gi, ma è un po’ nudo, e se continuiamo di questo passo illettore potrà ribellarsi, e osservare che il calendario è ca-pace di snocciolarselo da sé, risparmiando così il giustoprezzo che l’editore gli avrà richiesto per questo volu-me. Ma che cosa volete mai che rimanga da fare al bio-grafo, una volta che il suo protagonista lo ha messo nel-

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la situazione in cui ci ha posti ora Orlando? La vita – neconvengono tutti coloro la cui opinione è d’un certo va-lore in materia – è l’unico tema adatto per un romanzie-re o un biografo; la vita, hanno stabilito quelle medesi-me competenze, non ha nulla a che vedere col mettersi asedere in una poltrona e meditare. Il pensiero e la vitasono due poli opposti. Quindi – siccome sedere in pol-trona e meditare è appunto quel che fa Orlando in que-sto momento – a noi non rimane altro che snocciolare ilcalendario, recitare il rosario, soffiarci il naso, attizzareil fuoco, guardar fuori dei vetri, aspettando che ella ab-bia finito. Ma Orlando sedeva così immobile che avrestesentito cadere uno spillo. Volesse il Cielo che fosse al-meno caduto uno spillo! Sarebbe stato, se non altro, unsegno di vita. O, se una farfalla fosse entrata dalla fine-stra e si fosse posata sulla poltrona, avremmo potutoscriver qualcosa su quel tema. O supponiamo, ancora,che Orlando si fosse alzata per ammazzare una vespa.Allora, potremmo dar subito di piglio alla penna, e scri-vere: ché ci sarebbe stato uno spargimento di sangue,non fosse che sangue di vespa. E dove c’è sangue c’èvita. E se l’uccidere una vespa è una bazzecola in con-fronto all’uccidere un uomo, è pur sempre un soggettopreferibile, per un romanziere o un biografo, a quello disognare a occhi aperti; a quella meditazione; a quelle se-dute in poltrona, un giorno dopo l’altro, con una sigaret-ta in bocca, una penna e un calamaio. Ah! Lasciateci de-plorare (perché la nostra provvista di pazienza sta per fi-nire) che i protagonisti non abbiano un po’ più di riguar-

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la situazione in cui ci ha posti ora Orlando? La vita – neconvengono tutti coloro la cui opinione è d’un certo va-lore in materia – è l’unico tema adatto per un romanzie-re o un biografo; la vita, hanno stabilito quelle medesi-me competenze, non ha nulla a che vedere col mettersi asedere in una poltrona e meditare. Il pensiero e la vitasono due poli opposti. Quindi – siccome sedere in pol-trona e meditare è appunto quel che fa Orlando in que-sto momento – a noi non rimane altro che snocciolare ilcalendario, recitare il rosario, soffiarci il naso, attizzareil fuoco, guardar fuori dei vetri, aspettando che ella ab-bia finito. Ma Orlando sedeva così immobile che avrestesentito cadere uno spillo. Volesse il Cielo che fosse al-meno caduto uno spillo! Sarebbe stato, se non altro, unsegno di vita. O, se una farfalla fosse entrata dalla fine-stra e si fosse posata sulla poltrona, avremmo potutoscriver qualcosa su quel tema. O supponiamo, ancora,che Orlando si fosse alzata per ammazzare una vespa.Allora, potremmo dar subito di piglio alla penna, e scri-vere: ché ci sarebbe stato uno spargimento di sangue,non fosse che sangue di vespa. E dove c’è sangue c’èvita. E se l’uccidere una vespa è una bazzecola in con-fronto all’uccidere un uomo, è pur sempre un soggettopreferibile, per un romanziere o un biografo, a quello disognare a occhi aperti; a quella meditazione; a quelle se-dute in poltrona, un giorno dopo l’altro, con una sigaret-ta in bocca, una penna e un calamaio. Ah! Lasciateci de-plorare (perché la nostra provvista di pazienza sta per fi-nire) che i protagonisti non abbiano un po’ più di riguar-

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do per i loro biografi! Che cosa c’è di più seccante chevedere un eroe sul quale si è profuso tempo e fatica sgu-sciarci via di tra le mani e abbandonarsi a... ma guarda-tela dunque: guardate i suoi sospiri, le sue esclamazionisoffocate; e quei rossori, quei pallori, quegli occhi cheora s’illuminano come lampadine, ora impallidisconocome un’alba; che cosa di più umiliante per noi, che tut-ta quella parata muta di emozioni e sensazioni, ostentataproprio sotto ai nostri occhi, quando sappiamo che lecause prime – pensiero, immaginazione – sono cose che,ai nostri occhi almeno, non hanno alcuna importanza?

Ma Orlando era una donna: Lord Palmerston l’avevaattestato. E quando scriviamo la vita di una donna, sap-piamo che ci è concesso metter da parte l’azione, e so-stituirvi invece l’amore. L’Amore, ha detto il poeta, ètutta l’esistenza della donna. E sicuramente Orlando,poiché è donna, e anche una bella donna, e nel fiordell’età, non tarderà ad abbandonare queste ambizioniletterarie e intellettuali; non andrà molto, e cominceràpiuttosto a pensare a un guardacaccia (nessuno critiche-rà una donna perché pensa, finché l’oggetto dei suoipensieri è un uomo). E poi, gli scriverà un bigliettino (efinché si tratta di un bigliettino, nessuno criticherà unadonna perché scrive) e gli darà appuntamento per dome-nica sull’imbrunire, e domenica sull’imbrunire verrà; eil guardacaccia fischierà sotto le sue finestre. Tutte cose,insomma, che rappresentano il fiore della vita, e l’unicooggetto possibile per un romanziere. Orlando ne avràfatta una almeno di queste cose? Ahimè... e ancora ahi-

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do per i loro biografi! Che cosa c’è di più seccante chevedere un eroe sul quale si è profuso tempo e fatica sgu-sciarci via di tra le mani e abbandonarsi a... ma guarda-tela dunque: guardate i suoi sospiri, le sue esclamazionisoffocate; e quei rossori, quei pallori, quegli occhi cheora s’illuminano come lampadine, ora impallidisconocome un’alba; che cosa di più umiliante per noi, che tut-ta quella parata muta di emozioni e sensazioni, ostentataproprio sotto ai nostri occhi, quando sappiamo che lecause prime – pensiero, immaginazione – sono cose che,ai nostri occhi almeno, non hanno alcuna importanza?

Ma Orlando era una donna: Lord Palmerston l’avevaattestato. E quando scriviamo la vita di una donna, sap-piamo che ci è concesso metter da parte l’azione, e so-stituirvi invece l’amore. L’Amore, ha detto il poeta, ètutta l’esistenza della donna. E sicuramente Orlando,poiché è donna, e anche una bella donna, e nel fiordell’età, non tarderà ad abbandonare queste ambizioniletterarie e intellettuali; non andrà molto, e cominceràpiuttosto a pensare a un guardacaccia (nessuno critiche-rà una donna perché pensa, finché l’oggetto dei suoipensieri è un uomo). E poi, gli scriverà un bigliettino (efinché si tratta di un bigliettino, nessuno criticherà unadonna perché scrive) e gli darà appuntamento per dome-nica sull’imbrunire, e domenica sull’imbrunire verrà; eil guardacaccia fischierà sotto le sue finestre. Tutte cose,insomma, che rappresentano il fiore della vita, e l’unicooggetto possibile per un romanziere. Orlando ne avràfatta una almeno di queste cose? Ahimè... e ancora ahi-

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mè! Orlando non ne fece nulla: neppur l’ombra. Allora,bisogna ammettere che ella fosse uno di quei mostrid’iniquità che ignorano l’amore? Orlando era affettuosacoi cani, fedele verso gli amici, era la generosità in per-sona verso una dozzina di poeti famelici, era appassio-nata di poesia. Ma l’amore come lo definiscono i ro-manzieri di sesso maschile – e chi, dopo tutto, potrebbeparlare con maggior autorità di essi? – non ha nulla ache vedere con l’affetto, la fedeltà, la generosità e lapoesia. L’amore, l’amore significa sbarazzarsi della pro-pria gonnella e... ma sappiamo tutti che cos’è l’amore. Ècosì che si comportava Orlando? Verità ci obbliga adire: no. Se dunque l’eroe di una biografia si rifiuta diamare e di uccidere, per ridursi a meditare e a fantastica-re, allora faremo meglio a concludere che egli, o cheella non vale più di un cadavere, e abbandonarla al pro-prio destino.

La sola risorsa che ci resta ora è di metterci alla fine-stra. C’erano dei passeri; c’erano degli stornelli; c’eranocolombi in quantità, e un paio di cornacchie; tutti occu-pati a modo loro. Uno trova un verme, l’altro una luma-ca. Uno svolazza su di un ramo, l’altro s’azzarda a sal-tellar sull’erba. Poi, un domestico in grembiule di telaverde attraversa il cortile. È probabile che se la facciacon una delle sguattere, ma, siccome nessuna prova visi-bile ce ne viene offerta in pieno cortile, auguriamoci chetutto vada per il meglio e lasciamoli stare. Nuvole pas-sano, ora leggere ora dense; e l’erba al disotto di esse neè vagamente offuscata. La meridiana segna l’ora, alla

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mè! Orlando non ne fece nulla: neppur l’ombra. Allora,bisogna ammettere che ella fosse uno di quei mostrid’iniquità che ignorano l’amore? Orlando era affettuosacoi cani, fedele verso gli amici, era la generosità in per-sona verso una dozzina di poeti famelici, era appassio-nata di poesia. Ma l’amore come lo definiscono i ro-manzieri di sesso maschile – e chi, dopo tutto, potrebbeparlare con maggior autorità di essi? – non ha nulla ache vedere con l’affetto, la fedeltà, la generosità e lapoesia. L’amore, l’amore significa sbarazzarsi della pro-pria gonnella e... ma sappiamo tutti che cos’è l’amore. Ècosì che si comportava Orlando? Verità ci obbliga adire: no. Se dunque l’eroe di una biografia si rifiuta diamare e di uccidere, per ridursi a meditare e a fantastica-re, allora faremo meglio a concludere che egli, o cheella non vale più di un cadavere, e abbandonarla al pro-prio destino.

La sola risorsa che ci resta ora è di metterci alla fine-stra. C’erano dei passeri; c’erano degli stornelli; c’eranocolombi in quantità, e un paio di cornacchie; tutti occu-pati a modo loro. Uno trova un verme, l’altro una luma-ca. Uno svolazza su di un ramo, l’altro s’azzarda a sal-tellar sull’erba. Poi, un domestico in grembiule di telaverde attraversa il cortile. È probabile che se la facciacon una delle sguattere, ma, siccome nessuna prova visi-bile ce ne viene offerta in pieno cortile, auguriamoci chetutto vada per il meglio e lasciamoli stare. Nuvole pas-sano, ora leggere ora dense; e l’erba al disotto di esse neè vagamente offuscata. La meridiana segna l’ora, alla

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sua solita enigmatica maniera. Lo spirito si decide ad ar-rischiare qualche domanda, pigra e oziosa, su questomodo di vita. “Vita” canta lo spirito, o piuttosto brontolacome una marmitta sul fornello “vita, vita, che cosa seitu? Luce o tenebra, la pettorina di tela del secondo ca-meriere o l’ombra dello stornello sull’erba?»

Fuori, dunque, fuori, all’aria libera! Andremo in cercadi meraviglie, in questo mattino d’estate, tutto adorazio-ne del prugno in fiore e dell’ape. E camminando bella-mente, domandiamo allo stornello (che è un po’ più do-mestico dell’allodola, per esempio) che cosa gli passaper il cervello, quando, sul mucchio della spazzatura, tragli avanzi della verdura, trova da beccare in fretta qual-che capello della servetta. E noi, appoggiati allo stecca-to, giù a gridare: che cos’è la vita? La Vita, la Vita, laVita! Canta l’uccellino, che ha il cervello fino; quasiavesse capito ciò che significa, questa brutta abitudinenostra, quest’indiscrezione di porre domande a proposi-to e a sproposito; così, eh? così facciamo noialtri scritto-ri, quando siamo a corto d’argomenti per conto nostro.Allora, eh? dice lo stornello, allora vengono da me; eson io che debbo dire loro che cos’è la Vita, la Vita, laVita, la Vita!

Così, un passo dopo l’altro, arriviamo, seguendo ilsentiero della landa, in cima alla collina, che è colordell’acino azzurrino e di viola cupo; là ci gettiamo a ter-ra, a sognare; e i nostri occhi si posano su di una caval-letta, che trascina verso casa, nel suo buco, un fuscellodi paglia. Dice la cavalletta, dice (se una parola così sa-

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sua solita enigmatica maniera. Lo spirito si decide ad ar-rischiare qualche domanda, pigra e oziosa, su questomodo di vita. “Vita” canta lo spirito, o piuttosto brontolacome una marmitta sul fornello “vita, vita, che cosa seitu? Luce o tenebra, la pettorina di tela del secondo ca-meriere o l’ombra dello stornello sull’erba?»

Fuori, dunque, fuori, all’aria libera! Andremo in cercadi meraviglie, in questo mattino d’estate, tutto adorazio-ne del prugno in fiore e dell’ape. E camminando bella-mente, domandiamo allo stornello (che è un po’ più do-mestico dell’allodola, per esempio) che cosa gli passaper il cervello, quando, sul mucchio della spazzatura, tragli avanzi della verdura, trova da beccare in fretta qual-che capello della servetta. E noi, appoggiati allo stecca-to, giù a gridare: che cos’è la vita? La Vita, la Vita, laVita! Canta l’uccellino, che ha il cervello fino; quasiavesse capito ciò che significa, questa brutta abitudinenostra, quest’indiscrezione di porre domande a proposi-to e a sproposito; così, eh? così facciamo noialtri scritto-ri, quando siamo a corto d’argomenti per conto nostro.Allora, eh? dice lo stornello, allora vengono da me; eson io che debbo dire loro che cos’è la Vita, la Vita, laVita, la Vita!

Così, un passo dopo l’altro, arriviamo, seguendo ilsentiero della landa, in cima alla collina, che è colordell’acino azzurrino e di viola cupo; là ci gettiamo a ter-ra, a sognare; e i nostri occhi si posano su di una caval-letta, che trascina verso casa, nel suo buco, un fuscellodi paglia. Dice la cavalletta, dice (se una parola così sa-

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cra e tenera può adoperarsi per quello stridor di sega),dice: la Vita? la Vita è fatica. Così almeno interpretiamola raganella di quella misera strozza che la polvere sof-foca. E la formica dice che è così, e anche l’ape fa segnodi sì; ma se avremo la pazienza di aspettare finché giun-gano le falene che escono sul far della sera, furtive tra lecampanule pallide, alla nostra domanda esse ci sussurre-ranno all’orecchio, in un soffio, una di quelle selvagge efolli canzoni che i fili telegrafici cantano negli uraganidi neve: tintinn – tinnn – zirr – zirr – zirrr... Che ri... cheri... che ridere, ridere, dicono le falene...

E ora che abbiamo sentito il parere dell’uomo, degliuccelli e degli insetti (in quanto ai pesci, gli uomini chehanno trascorso anni in grotte solitarie e verdastre, persentirli parlare, ci raccontano che i pesci non parlanomai e poi mai, quindi non sanno forse nemmeno checosa sia la vita); dopo che, interrogati tutti quanti, nonne siamo diventati più savi, ma solo più vecchi e piùfreddi (ah che non abbiamo anelato, un giorno, di avvol-gere tra le pagine d’un libro qualcosa di sì inflessibile eraro, che dir si potesse: ecco, è questo il senso dellavita?), dopo di che, dobbiamo tornarcene indietro, econfessare al lettore che aspetta trepidante e impazientedi sapere che cosa è la vita... ohimè, che cosa sia non losappiamo.

A questo punto, giusto in tempo per impedire al librodi spegnersi, Orlando respinse indietro la poltrona, stiròle braccia, lasciò cadere la penna, andò alla finestra edesclamò: «Finito!».

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cra e tenera può adoperarsi per quello stridor di sega),dice: la Vita? la Vita è fatica. Così almeno interpretiamola raganella di quella misera strozza che la polvere sof-foca. E la formica dice che è così, e anche l’ape fa segnodi sì; ma se avremo la pazienza di aspettare finché giun-gano le falene che escono sul far della sera, furtive tra lecampanule pallide, alla nostra domanda esse ci sussurre-ranno all’orecchio, in un soffio, una di quelle selvagge efolli canzoni che i fili telegrafici cantano negli uraganidi neve: tintinn – tinnn – zirr – zirr – zirrr... Che ri... cheri... che ridere, ridere, dicono le falene...

E ora che abbiamo sentito il parere dell’uomo, degliuccelli e degli insetti (in quanto ai pesci, gli uomini chehanno trascorso anni in grotte solitarie e verdastre, persentirli parlare, ci raccontano che i pesci non parlanomai e poi mai, quindi non sanno forse nemmeno checosa sia la vita); dopo che, interrogati tutti quanti, nonne siamo diventati più savi, ma solo più vecchi e piùfreddi (ah che non abbiamo anelato, un giorno, di avvol-gere tra le pagine d’un libro qualcosa di sì inflessibile eraro, che dir si potesse: ecco, è questo il senso dellavita?), dopo di che, dobbiamo tornarcene indietro, econfessare al lettore che aspetta trepidante e impazientedi sapere che cosa è la vita... ohimè, che cosa sia non losappiamo.

A questo punto, giusto in tempo per impedire al librodi spegnersi, Orlando respinse indietro la poltrona, stiròle braccia, lasciò cadere la penna, andò alla finestra edesclamò: «Finito!».

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Lo spettacolo che i suoi occhi incontrarono era tantostraordinario, che per poco ella non cadde a terra. Era,come al solito, il giardino, e qualche uccelletto. Il mon-do andava per la sua strada. Il mondo aveva continuatoil suo cammino, durante tutto il tempo in cui Orlandoaveva scritto.

«E se fossi morta, sarebbe la stessa cosa!» esclamò.Tanta era l’intensità delle sue emozioni, che ella si sa-

rebbe sentita capace d’immaginare di esser stata vera-mente in preda al dissolvimento. Forse, i sensi le eranomancati in realtà. Per un momento si trattenne a guarda-re quello spettacolo leggiadro e insignificante. Ma si ria-nimò tosto, e in un curioso modo. Il manoscritto che ri-posava sul suo cuore si mise a fremere, a palpitare comeuna cosa viva, e, prova ancor più singolare della grandecomprensione che li univa, allorché Orlando chinò ilcapo, poté sentire ciò che quei fogli le dicevano. Essimorivano dalla voglia di esser letti. Avevano bisogno diesser letti. Sarebbero morti su quel seno, se non trovava-no un lettore. Per la prima volta in vita sua, Orlando sirivoltò violentemente contro la natura. Levrieri, cespuglidi rose l’attorniavano in gran copia. Ma né i levrieri, néi rosai sanno leggere. È una lamentevole dimenticanzada parte della natura, di cui Orlando non s’era mai ac-corta prima d’ora. Soltanto le creature umane fruisconodi quel dono. E le creature umane diventavano quindiuna necessità. Ella suonò il campanello, e ordinò la car-rozza per andare a Londra.

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Lo spettacolo che i suoi occhi incontrarono era tantostraordinario, che per poco ella non cadde a terra. Era,come al solito, il giardino, e qualche uccelletto. Il mon-do andava per la sua strada. Il mondo aveva continuatoil suo cammino, durante tutto il tempo in cui Orlandoaveva scritto.

«E se fossi morta, sarebbe la stessa cosa!» esclamò.Tanta era l’intensità delle sue emozioni, che ella si sa-

rebbe sentita capace d’immaginare di esser stata vera-mente in preda al dissolvimento. Forse, i sensi le eranomancati in realtà. Per un momento si trattenne a guarda-re quello spettacolo leggiadro e insignificante. Ma si ria-nimò tosto, e in un curioso modo. Il manoscritto che ri-posava sul suo cuore si mise a fremere, a palpitare comeuna cosa viva, e, prova ancor più singolare della grandecomprensione che li univa, allorché Orlando chinò ilcapo, poté sentire ciò che quei fogli le dicevano. Essimorivano dalla voglia di esser letti. Avevano bisogno diesser letti. Sarebbero morti su quel seno, se non trovava-no un lettore. Per la prima volta in vita sua, Orlando sirivoltò violentemente contro la natura. Levrieri, cespuglidi rose l’attorniavano in gran copia. Ma né i levrieri, néi rosai sanno leggere. È una lamentevole dimenticanzada parte della natura, di cui Orlando non s’era mai ac-corta prima d’ora. Soltanto le creature umane fruisconodi quel dono. E le creature umane diventavano quindiuna necessità. Ella suonò il campanello, e ordinò la car-rozza per andare a Londra.

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«Milady farà giusto in tempo a prendere il treno delle11.45» le disse Basket. Ancora Orlando non sapeva nul-la dell’invenzione della locomotiva; ma tanto da vicinola toccavano le sofferenze di un essere il quale, pur nonavendo nulla in comune con lei, dipendeva da lei intera-mente; che, trovandosi a vedere per la prima volta invita sua un treno, entrò in un vagone, si sedette e si ac-comodò la coperta sulle ginocchia senza por mente nep-pure un istante “a quella meravigliosa invenzione laquale (così asseriscono gli storici) aveva completamentemutato la faccia all’Europa durante gli ultimi vent’anni”(un fatto che, in verità, accade assai più di frequente diquanto non suppongano gli storici). Le parve soltantoche quel luogo fosse orrendamente affumicato; il rumo-re insopportabile; e il finestrino incollato con la pece.Immersa com’era nei suoi pensieri, quel turbine la tra-sportò in men d’un’ora a Londra, dove si trovò scodella-ta sotto la pensilina della stazione di Charing Cross, sen-za saper dove andare.

La vecchia casa di Blackfriars, dove aveva trascorsotanti bei giorni, nel XVIII secolo, ora era venduta, inparte all’Esercito della Salvezza, in parte a una fabbricadi ombrelli. Orlando ne aveva acquistata un’altra inMayfair, più comoda e rispondente alle esigenze igieni-che dei tempi, e situata nel cuore del bel mondo londi-nese; ora, chissà che proprio a Mayfair il suo poema nonavesse trovato da appagare le sue speranze? Volesse ilCielo, pensava Orlando, e intanto rammentava il fulgidosguardo di Milady Tale, e la simmetria delle gambe di

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«Milady farà giusto in tempo a prendere il treno delle11.45» le disse Basket. Ancora Orlando non sapeva nul-la dell’invenzione della locomotiva; ma tanto da vicinola toccavano le sofferenze di un essere il quale, pur nonavendo nulla in comune con lei, dipendeva da lei intera-mente; che, trovandosi a vedere per la prima volta invita sua un treno, entrò in un vagone, si sedette e si ac-comodò la coperta sulle ginocchia senza por mente nep-pure un istante “a quella meravigliosa invenzione laquale (così asseriscono gli storici) aveva completamentemutato la faccia all’Europa durante gli ultimi vent’anni”(un fatto che, in verità, accade assai più di frequente diquanto non suppongano gli storici). Le parve soltantoche quel luogo fosse orrendamente affumicato; il rumo-re insopportabile; e il finestrino incollato con la pece.Immersa com’era nei suoi pensieri, quel turbine la tra-sportò in men d’un’ora a Londra, dove si trovò scodella-ta sotto la pensilina della stazione di Charing Cross, sen-za saper dove andare.

La vecchia casa di Blackfriars, dove aveva trascorsotanti bei giorni, nel XVIII secolo, ora era venduta, inparte all’Esercito della Salvezza, in parte a una fabbricadi ombrelli. Orlando ne aveva acquistata un’altra inMayfair, più comoda e rispondente alle esigenze igieni-che dei tempi, e situata nel cuore del bel mondo londi-nese; ora, chissà che proprio a Mayfair il suo poema nonavesse trovato da appagare le sue speranze? Volesse ilCielo, pensava Orlando, e intanto rammentava il fulgidosguardo di Milady Tale, e la simmetria delle gambe di

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Milord Tal Altro, che non si fossero messi a leggere.Gran peccato davvero sarebbe stato. C’era, poi, LadyR.; certamente i discorsi che si facevano in casa sua era-no ancora gli stessi. Forse la gotta del Generale era pas-sata dalla gamba sinistra alla destra. Mister L. avevaforse trascorso dieci giorni con R. invece che con T. Mi-ster Pope faceva il suo ingresso... ma no, Mister Popeera morto. Che cosa ne era dei belli spiriti, ora?... Manon era quella una domanda da porsi a un facchino; eOrlando andò avanti. Il tintinnio di innumerevoli sonaglisulla testa di innumerevoli cavalli le ferì le orecchie.Una flotta di stranissime scatoline su quattro ruote eraschierata lungo il marciapiede. Orlando proseguì versolo Strand. Là, il fracasso era ancor peggiore. Veicoli divaria mole, tirati da cavalli di razza o da tiro, occupatida una dama solitaria o stipati da signori in tuba e favo-riti, si susseguivano, s’incrociavano in un dedalo inestri-cabile. Agli occhi di Orlando, da tempo usi alla vista diun foglio di carta liscia, vetture, carri, omnibus offriva-no lo spettacolo di un’adunata di gente che avesse smar-rito il ben dell’intelletto; e al suo udito, abituato allostrider del pennino, il frastuono della strada assumevatoni di cacofonica e obbrobriosa violenza. Il selciato eraaffollato da non lasciar passare una mosca. Una correnteumana si riversava incessante da est a ovest, ognunosgusciando con incredibile prontezza tra i corpi dei pro-pri simili, tra veicoli rapidi e subitanei ingombri. Lungol’orlo del marciapiede, uomini offrivano vassoi colmi digiocattoli, berciando la loro merce. Sulle cantonate,

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Milord Tal Altro, che non si fossero messi a leggere.Gran peccato davvero sarebbe stato. C’era, poi, LadyR.; certamente i discorsi che si facevano in casa sua era-no ancora gli stessi. Forse la gotta del Generale era pas-sata dalla gamba sinistra alla destra. Mister L. avevaforse trascorso dieci giorni con R. invece che con T. Mi-ster Pope faceva il suo ingresso... ma no, Mister Popeera morto. Che cosa ne era dei belli spiriti, ora?... Manon era quella una domanda da porsi a un facchino; eOrlando andò avanti. Il tintinnio di innumerevoli sonaglisulla testa di innumerevoli cavalli le ferì le orecchie.Una flotta di stranissime scatoline su quattro ruote eraschierata lungo il marciapiede. Orlando proseguì versolo Strand. Là, il fracasso era ancor peggiore. Veicoli divaria mole, tirati da cavalli di razza o da tiro, occupatida una dama solitaria o stipati da signori in tuba e favo-riti, si susseguivano, s’incrociavano in un dedalo inestri-cabile. Agli occhi di Orlando, da tempo usi alla vista diun foglio di carta liscia, vetture, carri, omnibus offriva-no lo spettacolo di un’adunata di gente che avesse smar-rito il ben dell’intelletto; e al suo udito, abituato allostrider del pennino, il frastuono della strada assumevatoni di cacofonica e obbrobriosa violenza. Il selciato eraaffollato da non lasciar passare una mosca. Una correnteumana si riversava incessante da est a ovest, ognunosgusciando con incredibile prontezza tra i corpi dei pro-pri simili, tra veicoli rapidi e subitanei ingombri. Lungol’orlo del marciapiede, uomini offrivano vassoi colmi digiocattoli, berciando la loro merce. Sulle cantonate,

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donne sedevano dietro ceste ricolme di fiori primaverili,e berciavano. Ragazzi scorrazzavano sotto il naso deicavalli, serrando al petto fogli di carta stampata, e ber-ciando anch’essi: «Catastrofe! Catastrofe!». Sulle pri-me, Orlando credette di esser arrivata in un momento dicrisi nazionale, ma, non avrebbe saputo dire se si trattas-se di avvenimenti lieti o tragici. Ansiosa, cercò di legge-re in volto ai passanti, ma non ne rimase che più confu-sa. Un uomo le veniva incontro, con la disperazione di-pinta in volto, mormorando tra sé come còlto da una tre-menda sventura; e dietro di lui, un grassone dalla facciadi cuorcontento si faceva strada a spallate, come se tuttoil mondo fosse in festa. Insomma, Orlando finì per con-cludere che tutto quel bailamme non aveva né capo nécoda né ragioni particolari: ognuno, uomo o donna chefosse, andava per gli affari suoi. E lei, dove sarebbe an-data?

Senza riflettere dirigeva i suoi passi su per una strada,giù per un’altra, lungo vetrine spaziose, zeppe di borset-te da signora, specchi, vestiti da sera, fiori, aggeggi dapesca, cestini per la merenda; e stoffe d’ogni qualità espessore spiovevano ovunque, in festoni e onde senzafine. Qualche volta, ella attraversava viali di case dallefacciate composte, numerate in bell’ordine “uno”,“due”, “tre” e via fino al duecento e al trecento, l’unauguale all’altra: due pilastri, sei gradini, un paio di corti-ne ben tirate e la tavola pronta per la famiglia; un pap-pagallo faceva capolino a una finestra, un cameriere aun’altra. Quella monotonia finiva per far girare la testa a

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donne sedevano dietro ceste ricolme di fiori primaverili,e berciavano. Ragazzi scorrazzavano sotto il naso deicavalli, serrando al petto fogli di carta stampata, e ber-ciando anch’essi: «Catastrofe! Catastrofe!». Sulle pri-me, Orlando credette di esser arrivata in un momento dicrisi nazionale, ma, non avrebbe saputo dire se si trattas-se di avvenimenti lieti o tragici. Ansiosa, cercò di legge-re in volto ai passanti, ma non ne rimase che più confu-sa. Un uomo le veniva incontro, con la disperazione di-pinta in volto, mormorando tra sé come còlto da una tre-menda sventura; e dietro di lui, un grassone dalla facciadi cuorcontento si faceva strada a spallate, come se tuttoil mondo fosse in festa. Insomma, Orlando finì per con-cludere che tutto quel bailamme non aveva né capo nécoda né ragioni particolari: ognuno, uomo o donna chefosse, andava per gli affari suoi. E lei, dove sarebbe an-data?

Senza riflettere dirigeva i suoi passi su per una strada,giù per un’altra, lungo vetrine spaziose, zeppe di borset-te da signora, specchi, vestiti da sera, fiori, aggeggi dapesca, cestini per la merenda; e stoffe d’ogni qualità espessore spiovevano ovunque, in festoni e onde senzafine. Qualche volta, ella attraversava viali di case dallefacciate composte, numerate in bell’ordine “uno”,“due”, “tre” e via fino al duecento e al trecento, l’unauguale all’altra: due pilastri, sei gradini, un paio di corti-ne ben tirate e la tavola pronta per la famiglia; un pap-pagallo faceva capolino a una finestra, un cameriere aun’altra. Quella monotonia finiva per far girare la testa a

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Orlando. Poi giungeva a grandi piazze deserte, dovecampeggiavano statue nere e lucide di uomini rigida-mente abbottonati fino al collo, di cavalli guerrescamen-te impennati; e colonne s’innalzavano, getti d’acquascaturivano e piccioni svolazzavano.

Orlando camminò, camminò a lungo per le vie lastri-cate e fiancheggiate da case, finché sentì i primi morsidella fame, e qualcosa che le si agitava sul cuore la rim-proverò di essersi lasciata distrarre. Era il manoscrittodella “Quercia”.

Tanta negligenza la fece arrossire. Si fermò su duepiedi, là dove si trovava. Non una vettura, a vistad’occhio. La strada, una bella via spaziosa, era singolar-mente deserta. Unico passante, s’avvicinava un signoredi una certa età, di cui l’andatura parve vagamente fami-liare a Orlando. Più s’avvicinava, e più era certa di aver-lo già visto, in tempi vicini o lontani. Ma dove? Era maipossibile – quel signore così distinto, ben pasciuto eprosperoso, la canna in mano e il fiore all’occhiello, conquella faccia grassa e rosea e i baffi bianchi – lui... Masì, per Giove, era lui! quel vecchio, quel caro vecchioamico... Nick Greene!

In quel medesimo istante, egli la notò; si ricordò; lariconobbe. «Lady Orlando!» esclamò. E per poco nonspazzava la strada col suo cappello a cilindro.

«Sir Nicholas!» aveva esclamato Orlando. Istintiva-mente, qualcosa nel portamento di lui l’aveva avvertitache lo scurrile mestierante, il quale ai tempi della reginaElisabetta aveva sputato il veleno dei suoi libelli su di

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Orlando. Poi giungeva a grandi piazze deserte, dovecampeggiavano statue nere e lucide di uomini rigida-mente abbottonati fino al collo, di cavalli guerrescamen-te impennati; e colonne s’innalzavano, getti d’acquascaturivano e piccioni svolazzavano.

Orlando camminò, camminò a lungo per le vie lastri-cate e fiancheggiate da case, finché sentì i primi morsidella fame, e qualcosa che le si agitava sul cuore la rim-proverò di essersi lasciata distrarre. Era il manoscrittodella “Quercia”.

Tanta negligenza la fece arrossire. Si fermò su duepiedi, là dove si trovava. Non una vettura, a vistad’occhio. La strada, una bella via spaziosa, era singolar-mente deserta. Unico passante, s’avvicinava un signoredi una certa età, di cui l’andatura parve vagamente fami-liare a Orlando. Più s’avvicinava, e più era certa di aver-lo già visto, in tempi vicini o lontani. Ma dove? Era maipossibile – quel signore così distinto, ben pasciuto eprosperoso, la canna in mano e il fiore all’occhiello, conquella faccia grassa e rosea e i baffi bianchi – lui... Masì, per Giove, era lui! quel vecchio, quel caro vecchioamico... Nick Greene!

In quel medesimo istante, egli la notò; si ricordò; lariconobbe. «Lady Orlando!» esclamò. E per poco nonspazzava la strada col suo cappello a cilindro.

«Sir Nicholas!» aveva esclamato Orlando. Istintiva-mente, qualcosa nel portamento di lui l’aveva avvertitache lo scurrile mestierante, il quale ai tempi della reginaElisabetta aveva sputato il veleno dei suoi libelli su di

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lei come su altri, doveva esser cresciuto in fama, e sicu-ramente era diventato cavaliere, e chissà quante altrebelle cose per soprammercato.

Con un novello inchino, egli le dimostrò che le di leicongetture non erano del tutto errate; di fatto, egli eracavaliere; era dottore in lettere; era professore; eral’autore di una ventina di volumi. Era, in breve, il criticopiù influente dell’epoca vittoriana.

Tumultuose emozioni assalirono Orlando, alla vistadell’uomo il quale, anni innanzi, le aveva causato tantodolore. Era proprio lui, il buffoncello irrequieto, il qualeaveva bruciacchiato i suoi tappeti, arrostito formaggionel caminetto all’italiana; colui che sapeva raccontaretante stramberie su Marlowe e la sua genia, che novenotti su dieci aveva visto il far dell’alba? Adesso, appa-riva agghindato nell’abito grigio da mattina, con unarosa all’occhiello e guanti assortiti color perla. Ma men-tre ella se ne stava ancora a guardarlo a bocca aperta,egli tornò a inchinarsi fino a terra, sollecitando l’onoredi averla a colazione con lui. L’inchino era forse unpoco esagerato, ma l’imitazione delle belle maniere eralodevole. Di stupore in stupore, Orlando lo seguì in unsontuoso ristorante, tutto velluto rosso, tovaglie bianche,posate d’argento, lontano le mille miglia dalla vecchiataverna, o dal caffè con la segatura sul pavimento, lepanche di legno, le scodelle di punch e cioccolata, legazzette e le sputacchiere.

Greene posò i guanti in bell’ordine vicino a sé sul ta-volo. Ancora Orlando non riusciva a credere che fosse

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lei come su altri, doveva esser cresciuto in fama, e sicu-ramente era diventato cavaliere, e chissà quante altrebelle cose per soprammercato.

Con un novello inchino, egli le dimostrò che le di leicongetture non erano del tutto errate; di fatto, egli eracavaliere; era dottore in lettere; era professore; eral’autore di una ventina di volumi. Era, in breve, il criticopiù influente dell’epoca vittoriana.

Tumultuose emozioni assalirono Orlando, alla vistadell’uomo il quale, anni innanzi, le aveva causato tantodolore. Era proprio lui, il buffoncello irrequieto, il qualeaveva bruciacchiato i suoi tappeti, arrostito formaggionel caminetto all’italiana; colui che sapeva raccontaretante stramberie su Marlowe e la sua genia, che novenotti su dieci aveva visto il far dell’alba? Adesso, appa-riva agghindato nell’abito grigio da mattina, con unarosa all’occhiello e guanti assortiti color perla. Ma men-tre ella se ne stava ancora a guardarlo a bocca aperta,egli tornò a inchinarsi fino a terra, sollecitando l’onoredi averla a colazione con lui. L’inchino era forse unpoco esagerato, ma l’imitazione delle belle maniere eralodevole. Di stupore in stupore, Orlando lo seguì in unsontuoso ristorante, tutto velluto rosso, tovaglie bianche,posate d’argento, lontano le mille miglia dalla vecchiataverna, o dal caffè con la segatura sul pavimento, lepanche di legno, le scodelle di punch e cioccolata, legazzette e le sputacchiere.

Greene posò i guanti in bell’ordine vicino a sé sul ta-volo. Ancora Orlando non riusciva a credere che fosse

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lo stesso uomo. Le unghie, una volta lunghe un pollice,erano ben tenute. Il mento, dove in altri tempi germo-gliava una barba nerastra, era rasato. Dalle manichespuntavano gemelli d’oro; altre volte, i suoi polsini sfi-lacciati s’intingevano nella minestra. Soltanto allorchéordinò il vino con una certa sollecitudine che le rievocòil suo antico gusto per il malvasia, Orlando si convinsedi avere a che fare con lo stesso individuo.

«Ah!» fece egli, cacciando un piccolo sospiro tuttaviasoddisfatto. «Ah! Cara la mia signora, la grande epocadella letteratura è finita. Marlowe, Shakespeare, BenJonson... quelli erano i veri giganti. Dryden, Pope, Ad-dison... quelli erano i veri eroi. Tutti, tutti morti, al gior-no d’oggi. E chi ci hanno lasciato? Tennyson, Brow-ning, Carlyle!» E pronunciò quei nomi con immenso di-sprezzo. «La verità è» disse, versandosi da bere «che algiorno d’oggi i nostri giovani sono assoldati dai librai.Darebbero la stura a qualsiasi robaccia, purché servaloro a pagare i conti del sarto. La nostra epoca» e si ser-vì l’antipasto «si distingue per le sue preziose affettazio-ni e i suoi azzardosi tentativi: cose che gli elisabettianinon avrebbero tollerato neppure un momento.»

«No, mia cara signora» proseguì, passando con ap-provazione al turbot au gratin che il cameriere esibivaal suo giudizio «i tempi eroici sono finiti. Viviamo inun’epoca degenerata. Per questo dobbiamo aver caro ilpassato, e onorare quei poeti – ancora ce n’è qualcuno –che prendono a modello l’antichità e scrivono non per ildenaro ma per...»

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lo stesso uomo. Le unghie, una volta lunghe un pollice,erano ben tenute. Il mento, dove in altri tempi germo-gliava una barba nerastra, era rasato. Dalle manichespuntavano gemelli d’oro; altre volte, i suoi polsini sfi-lacciati s’intingevano nella minestra. Soltanto allorchéordinò il vino con una certa sollecitudine che le rievocòil suo antico gusto per il malvasia, Orlando si convinsedi avere a che fare con lo stesso individuo.

«Ah!» fece egli, cacciando un piccolo sospiro tuttaviasoddisfatto. «Ah! Cara la mia signora, la grande epocadella letteratura è finita. Marlowe, Shakespeare, BenJonson... quelli erano i veri giganti. Dryden, Pope, Ad-dison... quelli erano i veri eroi. Tutti, tutti morti, al gior-no d’oggi. E chi ci hanno lasciato? Tennyson, Brow-ning, Carlyle!» E pronunciò quei nomi con immenso di-sprezzo. «La verità è» disse, versandosi da bere «che algiorno d’oggi i nostri giovani sono assoldati dai librai.Darebbero la stura a qualsiasi robaccia, purché servaloro a pagare i conti del sarto. La nostra epoca» e si ser-vì l’antipasto «si distingue per le sue preziose affettazio-ni e i suoi azzardosi tentativi: cose che gli elisabettianinon avrebbero tollerato neppure un momento.»

«No, mia cara signora» proseguì, passando con ap-provazione al turbot au gratin che il cameriere esibivaal suo giudizio «i tempi eroici sono finiti. Viviamo inun’epoca degenerata. Per questo dobbiamo aver caro ilpassato, e onorare quei poeti – ancora ce n’è qualcuno –che prendono a modello l’antichità e scrivono non per ildenaro ma per...»

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“La Glauria!” fu lì lì per esclamare Orlando. Davve-ro, avrebbe giurato di avergli sentito dire le stesse cosetrecento anni prima! I nomi, è vero, erano differenti, malo spirito era sempre lo stesso. Nick Greene era diventa-to cavaliere, ma era sempre lui. Eppure, qualcosa di di-verso l’aveva. Mentre seguitava a dire di Addison chebisognava prendere a modello (una volta era Cicerone,pensava Orlando) e del tempo che egli avrebbe trascorsoa letto la mattina (Orlando fu orgogliosa di pensare chela pensione pagata trimestralmente ben glielo permettes-se, ora) a compulsare i migliori testi dei migliori autori,per un’ora al minimo prima di prender la penna inmano, al nobile fine di purificare i nostri tempi di tantavolgarità e di risollevare la nostra lingua dalla deplore-vole decadenza in cui era caduta (doveva aver vissutomolto tempo in America, pensò Orlando), mentre egliseguitava press’a poco sul registro del Greene di tre-cent’anni addietro, Orlando ebbe agio di domandarsi inche cosa fosse mai mutato. Era ingrassato, è vero; maera pur vicino alla sessantina. Era diventato rubicondo;era evidente che la letteratura gli aveva fatto buon pro;ma l’antica vivacità, il brio d’un tempo erano scomparsi.I suoi aneddoti, sempre brillanti, non erano più così li-beri e facili. Citava, è vero, “il mio buon amico Pope” e“il mio grande amico Addison” a ogni piè sospinto, matutta quella vernice di rispettabilità che aveva intorno asé finiva per essere deprimente; e pareva che egli pro-vasse più gusto a istruire Orlando sulle gesta e i dettimemorabili della propria famiglia, che non a raccontar-

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“La Glauria!” fu lì lì per esclamare Orlando. Davve-ro, avrebbe giurato di avergli sentito dire le stesse cosetrecento anni prima! I nomi, è vero, erano differenti, malo spirito era sempre lo stesso. Nick Greene era diventa-to cavaliere, ma era sempre lui. Eppure, qualcosa di di-verso l’aveva. Mentre seguitava a dire di Addison chebisognava prendere a modello (una volta era Cicerone,pensava Orlando) e del tempo che egli avrebbe trascorsoa letto la mattina (Orlando fu orgogliosa di pensare chela pensione pagata trimestralmente ben glielo permettes-se, ora) a compulsare i migliori testi dei migliori autori,per un’ora al minimo prima di prender la penna inmano, al nobile fine di purificare i nostri tempi di tantavolgarità e di risollevare la nostra lingua dalla deplore-vole decadenza in cui era caduta (doveva aver vissutomolto tempo in America, pensò Orlando), mentre egliseguitava press’a poco sul registro del Greene di tre-cent’anni addietro, Orlando ebbe agio di domandarsi inche cosa fosse mai mutato. Era ingrassato, è vero; maera pur vicino alla sessantina. Era diventato rubicondo;era evidente che la letteratura gli aveva fatto buon pro;ma l’antica vivacità, il brio d’un tempo erano scomparsi.I suoi aneddoti, sempre brillanti, non erano più così li-beri e facili. Citava, è vero, “il mio buon amico Pope” e“il mio grande amico Addison” a ogni piè sospinto, matutta quella vernice di rispettabilità che aveva intorno asé finiva per essere deprimente; e pareva che egli pro-vasse più gusto a istruire Orlando sulle gesta e i dettimemorabili della propria famiglia, che non a raccontar-

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le, come in passato, gli scandalucci che fiorivano intor-no ai letterati.

Orlando era profondamente delusa. Durante tutti que-gli anni s’era fatta della letteratura (la sua reclusione, ilsuo rango, il suo sesso le serviranno di scusa) un concet-to tutto suo: di qualcosa di impetuoso come il vento, ar-dente come la fiamma, pronto come la folgore; qualcosadi erratico, incalcolabile, improvviso; ed ecco che la let-teratura era un vecchio signore vestito di grigio, checianciava di duchesse. La violenza della delusione futale che un gancio o un bottone che le chiudeva l’abitosi staccò di colpo, e dal seno di Orlando piovve sulla to-vaglia “La Quercia. Poema”.

«Un manoscritto!?» disse Sir Nicholas, inalberando ilsuo pince-nez d’oro. «Interessante! Molto, molto inte-ressante! Permettete che dia un’occhiatina?» E una voltaancora, a trecento e tanti anni di distanza, NicholasGreene prese in mano il poema di Orlando; lo accomo-dò fra la tazza da caffè e i bicchierini del liquore e si ac-cinse a leggere. Ma quanto fu diverso il suo giudizio daquello d’un tempo! Gli rammentava, disse, il Catone diAddison. Non perdeva nulla al confronto con le Stagio-ni di Thomson.20 Non c’era traccia in esso, grazie alCielo, di spirito moderno. Era scritto con un rispettodella verità, della natura, delle esigenze dell’animoumano, davvero lodevole in questi tempi di eccentricità

20 Cato è una tragedia classicheggiante di Joseph Addison (1672-1719); TheSeasons è un poema in quattro canti di James Thomson (1700-48), che preludealla sensibilità romantica.

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le, come in passato, gli scandalucci che fiorivano intor-no ai letterati.

Orlando era profondamente delusa. Durante tutti que-gli anni s’era fatta della letteratura (la sua reclusione, ilsuo rango, il suo sesso le serviranno di scusa) un concet-to tutto suo: di qualcosa di impetuoso come il vento, ar-dente come la fiamma, pronto come la folgore; qualcosadi erratico, incalcolabile, improvviso; ed ecco che la let-teratura era un vecchio signore vestito di grigio, checianciava di duchesse. La violenza della delusione futale che un gancio o un bottone che le chiudeva l’abitosi staccò di colpo, e dal seno di Orlando piovve sulla to-vaglia “La Quercia. Poema”.

«Un manoscritto!?» disse Sir Nicholas, inalberando ilsuo pince-nez d’oro. «Interessante! Molto, molto inte-ressante! Permettete che dia un’occhiatina?» E una voltaancora, a trecento e tanti anni di distanza, NicholasGreene prese in mano il poema di Orlando; lo accomo-dò fra la tazza da caffè e i bicchierini del liquore e si ac-cinse a leggere. Ma quanto fu diverso il suo giudizio daquello d’un tempo! Gli rammentava, disse, il Catone diAddison. Non perdeva nulla al confronto con le Stagio-ni di Thomson.20 Non c’era traccia in esso, grazie alCielo, di spirito moderno. Era scritto con un rispettodella verità, della natura, delle esigenze dell’animoumano, davvero lodevole in questi tempi di eccentricità

20 Cato è una tragedia classicheggiante di Joseph Addison (1672-1719); TheSeasons è un poema in quattro canti di James Thomson (1700-48), che preludealla sensibilità romantica.

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senza scrupoli. Andava da sé che bisognava pubblicarlosubito subito.

Orlando non capì, sulle prime, dove egli ne volessevenire. L’aveva sempre portato con sé, quel manoscritto,sul suo seno; idea che solleticò alquanto la fantasia diSir Nicholas.

«E... i diritti d’autore?» domandò egli.Il pensiero di Orlando volò verso Buckingham Pala-

ce21 e qualche invisibile potenza che vi abitava.Sir Nicholas si divertiva un mondo. Spiegò che aveva

alluso al fatto che la Casa... (e fece il nome di una casaeditrice assai nota) sarebbe stata ben lieta, dove egliscrivesse loro due righe, di acquistare l’opera di Orlan-do. Si poteva ottenere, probabilmente un onorario del 10per cento, per le prime duemila copie; e del 15 per centodalle duemila in su. Quanto ai critici, avrebbe scritto luidue righe a... che era il più influente; e un complimento– diciamo una piccola spinta per i versi della signora –alla moglie del redattore capo della... non avrebbe gua-stato. Avrebbe poi fatto una visitina a... E così via. Or-lando non ne capiva verbo: e siccome era già stata scot-tata una volta, non si fidava troppo di quella bonarietà;ma non restava che sottomettersi a ciò che evidentemen-te era il fervido desiderio del poema stesso, e il buon vo-lere di Sir Nicholas. Il quale fece dello scartafacciomacchiato di sangue un bel pacchettino; se lo mise nellatasca interna della giacchetta, bene appiattito per non21 I diritti d’autore si chiamano royalties, in inglese: di qui Orlando che pensaal palazzo reale. (N.d.T.)

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senza scrupoli. Andava da sé che bisognava pubblicarlosubito subito.

Orlando non capì, sulle prime, dove egli ne volessevenire. L’aveva sempre portato con sé, quel manoscritto,sul suo seno; idea che solleticò alquanto la fantasia diSir Nicholas.

«E... i diritti d’autore?» domandò egli.Il pensiero di Orlando volò verso Buckingham Pala-

ce21 e qualche invisibile potenza che vi abitava.Sir Nicholas si divertiva un mondo. Spiegò che aveva

alluso al fatto che la Casa... (e fece il nome di una casaeditrice assai nota) sarebbe stata ben lieta, dove egliscrivesse loro due righe, di acquistare l’opera di Orlan-do. Si poteva ottenere, probabilmente un onorario del 10per cento, per le prime duemila copie; e del 15 per centodalle duemila in su. Quanto ai critici, avrebbe scritto luidue righe a... che era il più influente; e un complimento– diciamo una piccola spinta per i versi della signora –alla moglie del redattore capo della... non avrebbe gua-stato. Avrebbe poi fatto una visitina a... E così via. Or-lando non ne capiva verbo: e siccome era già stata scot-tata una volta, non si fidava troppo di quella bonarietà;ma non restava che sottomettersi a ciò che evidentemen-te era il fervido desiderio del poema stesso, e il buon vo-lere di Sir Nicholas. Il quale fece dello scartafacciomacchiato di sangue un bel pacchettino; se lo mise nellatasca interna della giacchetta, bene appiattito per non21 I diritti d’autore si chiamano royalties, in inglese: di qui Orlando che pensaal palazzo reale. (N.d.T.)

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sciupar la sua linea impeccabile; e dopo molti reciprocisalamelecchi, i due si separarono.

Orlando risalì la strada. Ora che il suo poema se n’eraandato – e sentiva un vuoto sul seno, là dov’era solitaportarlo – non le restava altro da fare, se non rifletteresu quello che più le fosse piaciuto: per esempio, sui casistraordinari in cui è dato incorrere al genere umano.Ecco che lei, Orlando, si trovava lì, in St. James’sStreet; era una signora sposata; con tanto di anello aldito; là dove una volta c’era un caffè, ora c’è un risto-rante; erano circa le tre e mezzo del pomeriggio; il solesplendeva; e davanti a lei c’erano tre piccioni; un fox-terrier un po’ bastardo; due carrozze e un landò. Checos’era dunque la Vita? Quell’idea le si cacciò in capoin modo violento e irragionevole (a meno che il vecchioGreene, in certo qual modo, non ne fosse la causa). Illettore tragga poi gli auspici che vorrà, buoni o cattivi,per le relazioni tra Orlando e suo marito (il quale si tro-vava sempre al Capo Horn) dal fatto che, come ognivolta che qualcosa le si cacciava violentemente in capo,anche quel giorno ella si precipitasse al più vicino uffi-cio telegrafico e gli telegrafasse. Per fortuna, ne trovòuno proprio a due passi.

“Mio Iddio Shel”, così diceva il telegramma, “vitaletteratura Greene schifosi parassiti...” Ma qui, cadde inun linguaggio cifrato che essi avevano inventato, e chepermetteva loro di esprimere i più complessi stati d’ani-mo in una parola o due, senza che l’ufficiale postale necapisse nulla; e aggiunse le parole “Rattigan Glumpho-

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sciupar la sua linea impeccabile; e dopo molti reciprocisalamelecchi, i due si separarono.

Orlando risalì la strada. Ora che il suo poema se n’eraandato – e sentiva un vuoto sul seno, là dov’era solitaportarlo – non le restava altro da fare, se non rifletteresu quello che più le fosse piaciuto: per esempio, sui casistraordinari in cui è dato incorrere al genere umano.Ecco che lei, Orlando, si trovava lì, in St. James’sStreet; era una signora sposata; con tanto di anello aldito; là dove una volta c’era un caffè, ora c’è un risto-rante; erano circa le tre e mezzo del pomeriggio; il solesplendeva; e davanti a lei c’erano tre piccioni; un fox-terrier un po’ bastardo; due carrozze e un landò. Checos’era dunque la Vita? Quell’idea le si cacciò in capoin modo violento e irragionevole (a meno che il vecchioGreene, in certo qual modo, non ne fosse la causa). Illettore tragga poi gli auspici che vorrà, buoni o cattivi,per le relazioni tra Orlando e suo marito (il quale si tro-vava sempre al Capo Horn) dal fatto che, come ognivolta che qualcosa le si cacciava violentemente in capo,anche quel giorno ella si precipitasse al più vicino uffi-cio telegrafico e gli telegrafasse. Per fortuna, ne trovòuno proprio a due passi.

“Mio Iddio Shel”, così diceva il telegramma, “vitaletteratura Greene schifosi parassiti...” Ma qui, cadde inun linguaggio cifrato che essi avevano inventato, e chepermetteva loro di esprimere i più complessi stati d’ani-mo in una parola o due, senza che l’ufficiale postale necapisse nulla; e aggiunse le parole “Rattigan Glumpho-

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boo” che lo riassumevano alla perfezione. Perché biso-gna sapere che non solo gli avvenimenti di quel mattinoavevano prodotto su di Orlando un’impressione profon-da, ma – al lettore non sarà certamente sfuggito – elladiventava più matura – ciò che non vuol ancora dire di-ventar migliori – e “Rattigan Glumphoboo” descrivevail suo stato spirituale assai complicato, che il lettore, ovevoglia farci la compiacenza di usare tutto il suo com-prendonio, non tarderà a scoprire da sé.

La risposta al telegramma non poteva giungere chedopo qualche ora; ma era altresì probabile, rifletté Or-lando, gettando un’occhiata al cielo dove le nuvole piùalte s’inseguivano velocemente, che ci fosse tempesta alCapo Horn, cosicché il suo consorte poteva trovarsiall’albero maestro, o intento a tagliar via qualche pezzod’alberatura danneggiata, o financo solo in una scialup-pa con una galletta. Uscita dall’ufficio postale, ella en-trò, tanto per ingannare il tempo, nel negozio più vicino,un negozio come ce ne sono tanti al giorno d’oggi, e chenon staremo quindi a descrivere, ma che tuttavia ai suoiocchi apparve oltremodo strano; un negozio dove sivendevano dei libri. Per tutta la sua vita, Orlando avevasaputo che cosa fossero i manoscritti; aveva tenuto fra lesue mani i grossolani fogli bruni che Spenser aveva co-perto della sua minuscola calligrafia contorta; aveva vi-sto gli scritti di Shakespeare e di Milton. Possedeva an-che una discreta quantità di in-quarto e di in-folio, spes-so con un sonetto in lode sua, qualche volta con unaciocca di capelli. Ma quel numero stragrande di piccoli

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boo” che lo riassumevano alla perfezione. Perché biso-gna sapere che non solo gli avvenimenti di quel mattinoavevano prodotto su di Orlando un’impressione profon-da, ma – al lettore non sarà certamente sfuggito – elladiventava più matura – ciò che non vuol ancora dire di-ventar migliori – e “Rattigan Glumphoboo” descrivevail suo stato spirituale assai complicato, che il lettore, ovevoglia farci la compiacenza di usare tutto il suo com-prendonio, non tarderà a scoprire da sé.

La risposta al telegramma non poteva giungere chedopo qualche ora; ma era altresì probabile, rifletté Or-lando, gettando un’occhiata al cielo dove le nuvole piùalte s’inseguivano velocemente, che ci fosse tempesta alCapo Horn, cosicché il suo consorte poteva trovarsiall’albero maestro, o intento a tagliar via qualche pezzod’alberatura danneggiata, o financo solo in una scialup-pa con una galletta. Uscita dall’ufficio postale, ella en-trò, tanto per ingannare il tempo, nel negozio più vicino,un negozio come ce ne sono tanti al giorno d’oggi, e chenon staremo quindi a descrivere, ma che tuttavia ai suoiocchi apparve oltremodo strano; un negozio dove sivendevano dei libri. Per tutta la sua vita, Orlando avevasaputo che cosa fossero i manoscritti; aveva tenuto fra lesue mani i grossolani fogli bruni che Spenser aveva co-perto della sua minuscola calligrafia contorta; aveva vi-sto gli scritti di Shakespeare e di Milton. Possedeva an-che una discreta quantità di in-quarto e di in-folio, spes-so con un sonetto in lode sua, qualche volta con unaciocca di capelli. Ma quel numero stragrande di piccoli

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volumi, di color vivo, tutti uguali, effimeri all’aspettopoiché sembravano rilegati in cartone e stampati su car-ta velina, le causarono una sorpresa indicibile. Le operecomplete di Shakespeare non costavano che mezza co-rona, e si potevano tenere in tasca. Vero è che quasi nonsi potevano leggere, tanto i caratteri erano minuscoli,ma insomma ciò non toglie che fossero una meraviglia.“Opere...” Le opere di tutti gli scrittori che aveva cono-sciuto, di cui aveva sentito parlare e di altri ancoras’allineavano da un capo all’altro degli scaffali. Sulle ta-vole, sulle seggiole, altre “opere” si ammucchiavano,cascavano; ne sfogliò qualche pagina, e vide che parec-chie erano anche opere scritte su opere altrui da Sir Ni-cholas e da una dozzina d’altri che nel suo candore ellasi figurò dovessero esser grandi scrittori tutti quanti, unavolta che erano stampati e rilegati. Diede quindi al libra-io, il quale trasecolava, l’ordine di mandarle a casa tuttociò che aveva in negozio di una certa importanza, e uscì.

Entrò in Hyde Park, un luogo che le era ben noto (là,sotto quell’albero screpolato, Lord Mohun aveva passa-to da parte a parte il duca di Hamilton22), e le sue labbra,che troppo spesso non si comportavano a dovere, co-minciarono a formare le parole del telegramma, inun’insensata cantilena: «Vita letteratura Greene schifosiparassiti Rattigan Glumphoboo»; tanto che parecchi cu-stodi del parco la guardavano già insospettiti, e solo lavista della sua collana di perle poté deciderli a migliore22 Charles Mohun (1675?-1712), noto per i suoi duelli, l’ultimo dei quali conil duca di Hamilton, nel quale entrambi i contendenti persero la vita. (N.d.T.)

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volumi, di color vivo, tutti uguali, effimeri all’aspettopoiché sembravano rilegati in cartone e stampati su car-ta velina, le causarono una sorpresa indicibile. Le operecomplete di Shakespeare non costavano che mezza co-rona, e si potevano tenere in tasca. Vero è che quasi nonsi potevano leggere, tanto i caratteri erano minuscoli,ma insomma ciò non toglie che fossero una meraviglia.“Opere...” Le opere di tutti gli scrittori che aveva cono-sciuto, di cui aveva sentito parlare e di altri ancoras’allineavano da un capo all’altro degli scaffali. Sulle ta-vole, sulle seggiole, altre “opere” si ammucchiavano,cascavano; ne sfogliò qualche pagina, e vide che parec-chie erano anche opere scritte su opere altrui da Sir Ni-cholas e da una dozzina d’altri che nel suo candore ellasi figurò dovessero esser grandi scrittori tutti quanti, unavolta che erano stampati e rilegati. Diede quindi al libra-io, il quale trasecolava, l’ordine di mandarle a casa tuttociò che aveva in negozio di una certa importanza, e uscì.

Entrò in Hyde Park, un luogo che le era ben noto (là,sotto quell’albero screpolato, Lord Mohun aveva passa-to da parte a parte il duca di Hamilton22), e le sue labbra,che troppo spesso non si comportavano a dovere, co-minciarono a formare le parole del telegramma, inun’insensata cantilena: «Vita letteratura Greene schifosiparassiti Rattigan Glumphoboo»; tanto che parecchi cu-stodi del parco la guardavano già insospettiti, e solo lavista della sua collana di perle poté deciderli a migliore22 Charles Mohun (1675?-1712), noto per i suoi duelli, l’ultimo dei quali conil duca di Hamilton, nel quale entrambi i contendenti persero la vita. (N.d.T.)

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opinione sulla sua sanità mentale. Dalla libreria, ellaaveva portato con sé un pacco di giornali e di riviste cri-tiche, e finalmente, gettatasi a sedere sotto un albero,sparpagliò quei fogli intorno a sé, e aguzzò il proprio in-gegno onde sondare la nobile arte della prosa, così comela praticavano quei maestri. Poiché ancora viveva in leil’antica credulità; persino i maculati caratteri d’un qual-siasi foglio settimanale agli occhi suoi apparivano sacri.Poggiata al gomito, lesse un articolo di Sir Nicholas sul-le Opere di un uomo che aveva conosciuto in altri tem-pi: John Donne. Ma, senza saperlo, s’era distesa nonlungi dalla Serpentina. L’abbaiar di mille cani le rintro-nava le orecchie. Ruote di veicolo le giravano d’attorno,rapide e là, a pochi passi da lei, una gonna guarnita ditreccia e un paio di pantaloni rossi attillati attraversava-no il prato. Una volta, una gigantesca palla di gommarimbalzò sul giornale. Violetti, arancioni, rossi e turchinigiocavano tra foglia e foglia, cavando scintille dallosmeraldo al suo dito. Ella leggeva una frase, poi levavagli occhi al cielo. Levava gli occhi al cielo, e tornava aguardare il giornale. Vita? Letteratura? Trasformar l’unanell’altra? Quale mostruosa difficoltà! Ecco: quel paiodi pantaloni rossi attillati, come li avrebbe espressi inparole Addison? E là, quei due cagnolini che ballavanosulle gambe posteriori: come li avrebbe descritti Lamb?La lettura di Sir Nicholas e dei suoi amici (cui ella si de-dicava quando non si guardava d’attorno) le daval’impressione... qui si alzò e mosse qualche passo: le pa-reva che – una sensazione veramente poco confortevole

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opinione sulla sua sanità mentale. Dalla libreria, ellaaveva portato con sé un pacco di giornali e di riviste cri-tiche, e finalmente, gettatasi a sedere sotto un albero,sparpagliò quei fogli intorno a sé, e aguzzò il proprio in-gegno onde sondare la nobile arte della prosa, così comela praticavano quei maestri. Poiché ancora viveva in leil’antica credulità; persino i maculati caratteri d’un qual-siasi foglio settimanale agli occhi suoi apparivano sacri.Poggiata al gomito, lesse un articolo di Sir Nicholas sul-le Opere di un uomo che aveva conosciuto in altri tem-pi: John Donne. Ma, senza saperlo, s’era distesa nonlungi dalla Serpentina. L’abbaiar di mille cani le rintro-nava le orecchie. Ruote di veicolo le giravano d’attorno,rapide e là, a pochi passi da lei, una gonna guarnita ditreccia e un paio di pantaloni rossi attillati attraversava-no il prato. Una volta, una gigantesca palla di gommarimbalzò sul giornale. Violetti, arancioni, rossi e turchinigiocavano tra foglia e foglia, cavando scintille dallosmeraldo al suo dito. Ella leggeva una frase, poi levavagli occhi al cielo. Levava gli occhi al cielo, e tornava aguardare il giornale. Vita? Letteratura? Trasformar l’unanell’altra? Quale mostruosa difficoltà! Ecco: quel paiodi pantaloni rossi attillati, come li avrebbe espressi inparole Addison? E là, quei due cagnolini che ballavanosulle gambe posteriori: come li avrebbe descritti Lamb?La lettura di Sir Nicholas e dei suoi amici (cui ella si de-dicava quando non si guardava d’attorno) le daval’impressione... qui si alzò e mosse qualche passo: le pa-reva che – una sensazione veramente poco confortevole

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– le pareva che uno non dovesse mai, mai dire ciò chepensava. (Era sulle rive della Serpentina, che si snodavabronzea; battelli leggeri come raggi la solcavano da unasponda all’altra.) Si aveva l’impressione, continuò Or-lando, di dover sempre e poi sempre scrivere con lo stiled’un altro. (Qui, gli occhi le si riempirono di lacrime.)Davvero, pensava, spingendo con la punta del piede unabarchetta, non credo che sarei capace (qui l’articolo diSir Nicholas le tornò alla mente, come sempre accadedieci minuti dopo che si è letto un articolo, con tutto lostudio dell’autore, la sua testa, il gatto, lo scrittoio el’ora della giornata), no, non credo che sarei capace;proseguì considerando l’articolo sotto quell’aspetto, distarmene a sedere in uno studio (ma no, non è uno stu-dio, è una specie di salotto ammuffito) dal mattino allasera, e discorrere con dei bei signorini, e raccontar lorodelle storielle, con la preghiera di non raccontarle a nes-suno, su quello che Tupper ha detto a Smiles; e poi (epiangeva amaramente) è tutta gente così virile; e poi, ionon posso soffrire le duchesse; e non mi piacciono i dol-ci; e benché io sia già abbastanza sdegnosa, non potreimai imparare a esser sdegnosa quanto loro; allora, comepotrò mai diventare un critico, e scrivere la più bellaprosa inglese dei miei tempi? «All’inferno tutti quanti!»esclamò, spingendo una barchetta da bambini con tantafoga, che la povera minuscola imbarcazione per poconon annegò tra le acque color del bronzo.

Ora, la verità è che quando uno ha fatto i capricci(come dicono le governanti) – e Orlando aveva ancora

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– le pareva che uno non dovesse mai, mai dire ciò chepensava. (Era sulle rive della Serpentina, che si snodavabronzea; battelli leggeri come raggi la solcavano da unasponda all’altra.) Si aveva l’impressione, continuò Or-lando, di dover sempre e poi sempre scrivere con lo stiled’un altro. (Qui, gli occhi le si riempirono di lacrime.)Davvero, pensava, spingendo con la punta del piede unabarchetta, non credo che sarei capace (qui l’articolo diSir Nicholas le tornò alla mente, come sempre accadedieci minuti dopo che si è letto un articolo, con tutto lostudio dell’autore, la sua testa, il gatto, lo scrittoio el’ora della giornata), no, non credo che sarei capace;proseguì considerando l’articolo sotto quell’aspetto, distarmene a sedere in uno studio (ma no, non è uno stu-dio, è una specie di salotto ammuffito) dal mattino allasera, e discorrere con dei bei signorini, e raccontar lorodelle storielle, con la preghiera di non raccontarle a nes-suno, su quello che Tupper ha detto a Smiles; e poi (epiangeva amaramente) è tutta gente così virile; e poi, ionon posso soffrire le duchesse; e non mi piacciono i dol-ci; e benché io sia già abbastanza sdegnosa, non potreimai imparare a esser sdegnosa quanto loro; allora, comepotrò mai diventare un critico, e scrivere la più bellaprosa inglese dei miei tempi? «All’inferno tutti quanti!»esclamò, spingendo una barchetta da bambini con tantafoga, che la povera minuscola imbarcazione per poconon annegò tra le acque color del bronzo.

Ora, la verità è che quando uno ha fatto i capricci(come dicono le governanti) – e Orlando aveva ancora

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le lacrime agli occhi – la prima cosa che uno vede assu-me l’aspetto di un’altra cosa, la quale non è più quella diprima, ma è tanto più grande e più importante, pur re-stando l’altra, in sostanza. A guardar la Serpentina quan-do si fanno i capricci, le onde non tardano a diventargrandi come le onde dell’Atlantico; e un giocattolo d’unbattello non si distinguerà più da un transatlantico. Eccoperché Orlando scambiò la barchetta da quattro soldi colbrigantino di suo marito; e l’onda che aveva suscitatocolla punta del piede si trasformò in un cavallone chestava per abbattersi sul Capo Horn; e vedendo la bar-chetta trasportata sulla cresta, le parve di veder la navedi Bonthrop arrampicarsi su su per una muraglia di ve-tro; e saliva sempre più alto, finché una bianca schiumagravida di mille morti si richiudeva su di esso; e lo sca-fo, ingoiato dalle mille morti, spariva... «È colato a pic-co!» gridò Orlando angosciata... e poi, eccolo là che tor-nava a veleggiar sano e salvo tra le anitre, dall’altra par-te dell’Atlantico.

«Estasi!» esclamò Orlando. «Estasi di gioia! Dove cisarà un ufficio postale?» si domandò. «Bisogna che tele-grafi subito a Shel, e che gli dica...» E ripetendo alterna-tivamente «Una barchetta da quattro soldi sulla Serpen-tina» e «Estasi», poiché quei due pensieri erano interco-municanti ed esprimevano esattamente la medesimacosa, ella si affrettò verso Park Lane.

«Una barchetta, un giocattolo, un giocattolo» ripete-va, rafforzandosi così nel concetto che non sono gli arti-coli di Nick Greene su John Donne né la legge delle otto

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le lacrime agli occhi – la prima cosa che uno vede assu-me l’aspetto di un’altra cosa, la quale non è più quella diprima, ma è tanto più grande e più importante, pur re-stando l’altra, in sostanza. A guardar la Serpentina quan-do si fanno i capricci, le onde non tardano a diventargrandi come le onde dell’Atlantico; e un giocattolo d’unbattello non si distinguerà più da un transatlantico. Eccoperché Orlando scambiò la barchetta da quattro soldi colbrigantino di suo marito; e l’onda che aveva suscitatocolla punta del piede si trasformò in un cavallone chestava per abbattersi sul Capo Horn; e vedendo la bar-chetta trasportata sulla cresta, le parve di veder la navedi Bonthrop arrampicarsi su su per una muraglia di ve-tro; e saliva sempre più alto, finché una bianca schiumagravida di mille morti si richiudeva su di esso; e lo sca-fo, ingoiato dalle mille morti, spariva... «È colato a pic-co!» gridò Orlando angosciata... e poi, eccolo là che tor-nava a veleggiar sano e salvo tra le anitre, dall’altra par-te dell’Atlantico.

«Estasi!» esclamò Orlando. «Estasi di gioia! Dove cisarà un ufficio postale?» si domandò. «Bisogna che tele-grafi subito a Shel, e che gli dica...» E ripetendo alterna-tivamente «Una barchetta da quattro soldi sulla Serpen-tina» e «Estasi», poiché quei due pensieri erano interco-municanti ed esprimevano esattamente la medesimacosa, ella si affrettò verso Park Lane.

«Una barchetta, un giocattolo, un giocattolo» ripete-va, rafforzandosi così nel concetto che non sono gli arti-coli di Nick Greene su John Donne né la legge delle otto

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ore di lavoro, né i trattati né le convenzioni industrialiche contano; è qualcosa di inutile, improvviso, violento;qualcosa che vale una vita; rosso, turchino, purpureo;uno zampillo; un getto d’acqua; qualcosa come quei gia-cinti (passava accanto a una bella aiuola); mondo daogni macchia, schiavitù, bassezza umana o amor pro-prio; qualcosa di sconsiderato, di ridicolo come il miogiacinto, mio marito voglio dire, come Bonthrop: eccoche cosa è – un giocattolo d’un battello sulla Serpentina,estasi – è l’estasi di gioia che conta. Ella parlava forte,aspettando che il flusso delle carrozze le permettesse diattraversare la strada a Stanhope Gate, perché questesono le conseguenze di una vita lontano dal proprio ma-rito – salvo quando il vento è caduto – cioè, si finisceper dir sciocchezze ad alta voce in Park Lane. Ah! Chis-sà come sarebbero andate diversamente le cose, se ellaavesse vissuto con lui per tutto l’anno, come raccoman-dava la regina Vittoria. Ma così, l’immagine di lui le ap-pariva improvvisa, in un lampo; e bisognava assoluta-mente che ella gli parlasse, senza indugio. A lei non im-portava nulla che poi ciò disturbasse il seguito del no-stro racconto, che mancasse di logica. Nick Greene, colsuo articolo, l’aveva immersa in una disperazione pro-fonda: il battellino da un soldo l’aveva innalzata al cul-mine della gioia. E così, mentre attendeva per attraver-sare la strada, ripeteva: «Estasi, estasi».

Ma il traffico era penoso e lento, in quel pomeriggiodi primavera, e Orlando fu trattenuta a lungo là, a ripete-re “estasi, estasi” o “una barchetta sulla Serpentina”,

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ore di lavoro, né i trattati né le convenzioni industrialiche contano; è qualcosa di inutile, improvviso, violento;qualcosa che vale una vita; rosso, turchino, purpureo;uno zampillo; un getto d’acqua; qualcosa come quei gia-cinti (passava accanto a una bella aiuola); mondo daogni macchia, schiavitù, bassezza umana o amor pro-prio; qualcosa di sconsiderato, di ridicolo come il miogiacinto, mio marito voglio dire, come Bonthrop: eccoche cosa è – un giocattolo d’un battello sulla Serpentina,estasi – è l’estasi di gioia che conta. Ella parlava forte,aspettando che il flusso delle carrozze le permettesse diattraversare la strada a Stanhope Gate, perché questesono le conseguenze di una vita lontano dal proprio ma-rito – salvo quando il vento è caduto – cioè, si finisceper dir sciocchezze ad alta voce in Park Lane. Ah! Chis-sà come sarebbero andate diversamente le cose, se ellaavesse vissuto con lui per tutto l’anno, come raccoman-dava la regina Vittoria. Ma così, l’immagine di lui le ap-pariva improvvisa, in un lampo; e bisognava assoluta-mente che ella gli parlasse, senza indugio. A lei non im-portava nulla che poi ciò disturbasse il seguito del no-stro racconto, che mancasse di logica. Nick Greene, colsuo articolo, l’aveva immersa in una disperazione pro-fonda: il battellino da un soldo l’aveva innalzata al cul-mine della gioia. E così, mentre attendeva per attraver-sare la strada, ripeteva: «Estasi, estasi».

Ma il traffico era penoso e lento, in quel pomeriggiodi primavera, e Orlando fu trattenuta a lungo là, a ripete-re “estasi, estasi” o “una barchetta sulla Serpentina”,

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mentre la ricchezza e la potenza della Gran Bretagna lepassavano dinanzi, sedute statuarie in cappello e mantel-lo, in tiri a quattro, in vittorie o in landò. Era come se unaureo fiume si fosse condensato, e ammassasse blocchid’oro lungo Park Lane. Le dame tenevano dei portabi-glietti tra le dita; i signori dondolavano canne dal pomod’oro tra le ginocchia. Terrorizzata, imbambolata, Or-lando ammirava. Un solo pensiero la disturbava, un pen-siero naturale a chiunque guardi elefanti enormi, o bale-ne d’una mole incredibile: come faranno a riprodursiquei mostri, i quali evidentemente rifuggono da ogni fa-tica, ogni mutamento, ogni attività? Può darsi, riflettéOrlando nel guardare quei visi maestosi e immoti, chel’epoca della loro riproduzione sia finita; e questi nesono i frutti; il prodotto selezionato della specie. Era,quella sfilata cui ella assisteva, il trionfo di un’epoca.Ma ecco che il policeman lasciava ricadere il braccio; eil fiume si disgelò; il massiccio conglomerato di splen-dori e ricchezze si mosse, si disperse, disparve versoPiccadilly.

Orlando poté finalmente attraversare Park Lane, e sirecò alla sua casa di Curzon Street, là dove ella non ri-cordava che prati di margherite in fiore, un chiurlo chetrillava e un certo vecchio con un fucile in mano.

Ricordava anche – pensava entrando in casa – qual-che cosa che Lord Chesterfield aveva detto un giorno;ma la memoria le mancò. Il sobrio vestibolo del XVIIIsecolo, ove ancora vedeva Lord Chesterfield deporre

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mentre la ricchezza e la potenza della Gran Bretagna lepassavano dinanzi, sedute statuarie in cappello e mantel-lo, in tiri a quattro, in vittorie o in landò. Era come se unaureo fiume si fosse condensato, e ammassasse blocchid’oro lungo Park Lane. Le dame tenevano dei portabi-glietti tra le dita; i signori dondolavano canne dal pomod’oro tra le ginocchia. Terrorizzata, imbambolata, Or-lando ammirava. Un solo pensiero la disturbava, un pen-siero naturale a chiunque guardi elefanti enormi, o bale-ne d’una mole incredibile: come faranno a riprodursiquei mostri, i quali evidentemente rifuggono da ogni fa-tica, ogni mutamento, ogni attività? Può darsi, riflettéOrlando nel guardare quei visi maestosi e immoti, chel’epoca della loro riproduzione sia finita; e questi nesono i frutti; il prodotto selezionato della specie. Era,quella sfilata cui ella assisteva, il trionfo di un’epoca.Ma ecco che il policeman lasciava ricadere il braccio; eil fiume si disgelò; il massiccio conglomerato di splen-dori e ricchezze si mosse, si disperse, disparve versoPiccadilly.

Orlando poté finalmente attraversare Park Lane, e sirecò alla sua casa di Curzon Street, là dove ella non ri-cordava che prati di margherite in fiore, un chiurlo chetrillava e un certo vecchio con un fucile in mano.

Ricordava anche – pensava entrando in casa – qual-che cosa che Lord Chesterfield aveva detto un giorno;ma la memoria le mancò. Il sobrio vestibolo del XVIIIsecolo, ove ancora vedeva Lord Chesterfield deporre

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qua il suo cappello, là il suo mantello con un’eleganzadi gesti che era una gioia per gli occhi, ora era comple-tamente ingombro di pacchi. Mentre ella se ne stava inHyde Park, il libraio aveva eseguito l’ordinazione rice-vuta, e riempito la casa – c’erano dei pacchi fin sui gra-dini dello scalone – di tutta la letteratura vittoriana, im-pacchettata in carta grigia e ben legata con lo spago. Or-lando recò quanti più pacchi poté nella sua stanza, e or-dinò ai domestici di portarle gli altri; tagliò rapidamenteuna gran quantità di spago, e fu tosto circondata da in-numeri volumi.

Usa alla limitata letteratura del XVI, del XVII e delXVIII secolo, Orlando era atterrita dalle conseguenzedella sua ordinazione. Naturalmente, per i vittorianistessi, la letteratura vittoriana non comprendeva giàquattro grandi nomi distinti, ma quattro grandi nomi af-fondati, incastrati in una massa di Alexander Smith, diDixton, di Black, di Milman, di Buckles, di Taine, diPayne, di Tupper, di Jameson: tutta gente verbosa, cla-morosa, eccellente ed esigente ognuno per sé il massimodell’attenzione. Il rispetto di Orlando per la carta stam-pata era posto a dura prova; ma, attirata la sua poltronavicino alla finestra, onde godere quel poco di luce chefiltrava tra le alte case di Mayfair, ella cercò alfine diformulare il proprio giudizio.

Ora, è chiaro che ci sono due soli modi di formulareun giudizio sulla letteratura vittoriana: uno consistenell’esprimerlo in sessanta volumi in-ottavo, l’altro nelcondensarlo in sei righe lunghe quanto questa. Dei due

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qua il suo cappello, là il suo mantello con un’eleganzadi gesti che era una gioia per gli occhi, ora era comple-tamente ingombro di pacchi. Mentre ella se ne stava inHyde Park, il libraio aveva eseguito l’ordinazione rice-vuta, e riempito la casa – c’erano dei pacchi fin sui gra-dini dello scalone – di tutta la letteratura vittoriana, im-pacchettata in carta grigia e ben legata con lo spago. Or-lando recò quanti più pacchi poté nella sua stanza, e or-dinò ai domestici di portarle gli altri; tagliò rapidamenteuna gran quantità di spago, e fu tosto circondata da in-numeri volumi.

Usa alla limitata letteratura del XVI, del XVII e delXVIII secolo, Orlando era atterrita dalle conseguenzedella sua ordinazione. Naturalmente, per i vittorianistessi, la letteratura vittoriana non comprendeva giàquattro grandi nomi distinti, ma quattro grandi nomi af-fondati, incastrati in una massa di Alexander Smith, diDixton, di Black, di Milman, di Buckles, di Taine, diPayne, di Tupper, di Jameson: tutta gente verbosa, cla-morosa, eccellente ed esigente ognuno per sé il massimodell’attenzione. Il rispetto di Orlando per la carta stam-pata era posto a dura prova; ma, attirata la sua poltronavicino alla finestra, onde godere quel poco di luce chefiltrava tra le alte case di Mayfair, ella cercò alfine diformulare il proprio giudizio.

Ora, è chiaro che ci sono due soli modi di formulareun giudizio sulla letteratura vittoriana: uno consistenell’esprimerlo in sessanta volumi in-ottavo, l’altro nelcondensarlo in sei righe lunghe quanto questa. Dei due

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sistemi, l’economia, il tempo essendo moneta, ci consi-glia di scegliere il secondo; ed eccoci subito all’opera.Orlando (dopo aver aperto mezza dozzina di volumi)venne dunque alla conclusione che era ben strano nontrovare neppure una sola opera dedicata a un nobil gen-tiluomo; secondo (dato di piglio a un’altra pila di me-morie), che parecchi tra quegli scrittori avevano alberigenealogici lunghi almeno la metà del suo; poi, che sa-rebbe stata una pessima politica avviluppar la pinza del-lo zucchero in un biglietto da dieci sterline, quandoMiss Christina Rossetti veniva a prendere il tè; poi (qui,scorse una mezza dozzina d’inviti a banchetti per la ce-lebrazione di centenari) che la letteratura, se prendevaparte a tanti pranzi, la letteratura doveva aver messo sula pancia; poi (invitata a una dozzina di conferenzesull’influenza di questo su quello, sulla rinascita delClassicismo, sulla sopravvivenza del Romanticismo ealtri titoli non meno attraenti) che la letteratura, a forzadi seccarsi a sentirne tante di belle, doveva esser diven-tata molto asciutta; poi (dopo aver assistito a un ricevi-mento in casa della moglie d’un Pari) che la letteratura,se portava tante pellicce, doveva esser diventata assai ri-spettabile; poi (dopo una visita alla famosa stanza impe-netrabile ai suoni di Carlyle, a Chelsea) che il genio, unavolta che aveva bisogno di tanti riguardi, doveva esserdiventato molto delicato; e così giunse finalmente allaconclusione finale, la quale era della più alta importan-za; ma siccome abbiamo già oltrepassato il limite di seirighe, la ometteremo.

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sistemi, l’economia, il tempo essendo moneta, ci consi-glia di scegliere il secondo; ed eccoci subito all’opera.Orlando (dopo aver aperto mezza dozzina di volumi)venne dunque alla conclusione che era ben strano nontrovare neppure una sola opera dedicata a un nobil gen-tiluomo; secondo (dato di piglio a un’altra pila di me-morie), che parecchi tra quegli scrittori avevano alberigenealogici lunghi almeno la metà del suo; poi, che sa-rebbe stata una pessima politica avviluppar la pinza del-lo zucchero in un biglietto da dieci sterline, quandoMiss Christina Rossetti veniva a prendere il tè; poi (qui,scorse una mezza dozzina d’inviti a banchetti per la ce-lebrazione di centenari) che la letteratura, se prendevaparte a tanti pranzi, la letteratura doveva aver messo sula pancia; poi (invitata a una dozzina di conferenzesull’influenza di questo su quello, sulla rinascita delClassicismo, sulla sopravvivenza del Romanticismo ealtri titoli non meno attraenti) che la letteratura, a forzadi seccarsi a sentirne tante di belle, doveva esser diven-tata molto asciutta; poi (dopo aver assistito a un ricevi-mento in casa della moglie d’un Pari) che la letteratura,se portava tante pellicce, doveva esser diventata assai ri-spettabile; poi (dopo una visita alla famosa stanza impe-netrabile ai suoni di Carlyle, a Chelsea) che il genio, unavolta che aveva bisogno di tanti riguardi, doveva esserdiventato molto delicato; e così giunse finalmente allaconclusione finale, la quale era della più alta importan-za; ma siccome abbiamo già oltrepassato il limite di seirighe, la ometteremo.

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Essendo giunta dunque a questa conclusione, Orlandosi riposò per un considerevole lasso di tempo, guardan-do fuori della finestra. Poiché quando lo spirito umano ègiunto a una conclusione è come se, gettata la palla al dilà della rete, si attenda che l’avversario invisibile ce larimandi. Che cosa le avrebbero rimandato, dalle nuvolesbiadite che sovrastano Chesterfield House? Ecco quelloche si domandava Orlando. Con le mani giunte, passòun bel po’ di tempo a domandarselo. Improvvisamentetrasalì; e qui, non ci rimarrebbe che desiderare che,come già una volta, Purità, Castità e Modestia avesserosocchiuso la porta, dandoci almeno il tempo di respiraree di riflettere in che cosa potremmo avvolgere ciò che ilbiografo non può fare a meno di rivelare colla massimadelicatezza... Ma no! Dal momento in cui, gettato unbianco indumento sulle nudità di Orlando, avevanomancato il segno di alquanti pollici, quelle signore ave-vano interrotto ogni relazione con lei, per un bel numerod’anni; e ora, del resto, avevano ben altro da fare. Nonaccadrà dunque nulla, in questo pallido mattino di mar-zo, per mitigare, velare, coprire, nascondere, avvolgerepietosamente quell’avvenimento comunque innegabile?Poiché, dopo quell’improvviso e violento sussulto, Or-lando... ah! Dio sia lodato, proprio in questo momentosalì dalla strada, fragile, modulato, flautato, spezzettato,antiquato, il suono di uno di quegli organetti di Barberiache qualche Savoiardo va ancora macinando nelle stradedei sobborghi. Ben venga dunque quest’aiuto, per quan-to umile, e sia gradito come una musica di celesti sfere,

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Essendo giunta dunque a questa conclusione, Orlandosi riposò per un considerevole lasso di tempo, guardan-do fuori della finestra. Poiché quando lo spirito umano ègiunto a una conclusione è come se, gettata la palla al dilà della rete, si attenda che l’avversario invisibile ce larimandi. Che cosa le avrebbero rimandato, dalle nuvolesbiadite che sovrastano Chesterfield House? Ecco quelloche si domandava Orlando. Con le mani giunte, passòun bel po’ di tempo a domandarselo. Improvvisamentetrasalì; e qui, non ci rimarrebbe che desiderare che,come già una volta, Purità, Castità e Modestia avesserosocchiuso la porta, dandoci almeno il tempo di respiraree di riflettere in che cosa potremmo avvolgere ciò che ilbiografo non può fare a meno di rivelare colla massimadelicatezza... Ma no! Dal momento in cui, gettato unbianco indumento sulle nudità di Orlando, avevanomancato il segno di alquanti pollici, quelle signore ave-vano interrotto ogni relazione con lei, per un bel numerod’anni; e ora, del resto, avevano ben altro da fare. Nonaccadrà dunque nulla, in questo pallido mattino di mar-zo, per mitigare, velare, coprire, nascondere, avvolgerepietosamente quell’avvenimento comunque innegabile?Poiché, dopo quell’improvviso e violento sussulto, Or-lando... ah! Dio sia lodato, proprio in questo momentosalì dalla strada, fragile, modulato, flautato, spezzettato,antiquato, il suono di uno di quegli organetti di Barberiache qualche Savoiardo va ancora macinando nelle stradedei sobborghi. Ben venga dunque quest’aiuto, per quan-to umile, e sia gradito come una musica di celesti sfere,

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e permettiamogli di riempir di melodia questa pagina,malgrado i suoi sospiri asmatici, sino al momento in cuigiungerà ciò che sarà impossibile negare; ciò che persi-no il domestico e la cameriera hanno visto venire; ciòche il lettore non potrà fare a meno di vedere; poichéOrlando stessa non saprà più come nasconderlo. Lascia-mo dunque che la melodia dell’organetto si diffonda, citrasporti sull’ali del pensiero, il quale altro non è che unminuscolo scafo, in preda all’onda dei suoni; il pensiero,il quale di tutti i mezzi di trasporto è il più fantasioso, ilpiù errabondo; ed eccoci già oltre i tetti e i giardini die-tro le case dove svolazza il bucato steso... Ma dove sia-mo? Non riconoscete il prato, e il campanile nel mezzo,e i cancelli fiancheggiati dai leoni araldici? Ah, sì, èKew! Beh, vada per Kew: fermiamoci. Eccoci dunque aKew; e oggi (il 2 marzo) vi mostrerò un grappolo di gia-cinto, sotto il prugno, e anche un croco, e anche un ger-moglio sul mandorlo; e passeggiando quaggiù, saràcome pensare a quei bulbi rossicci e pelosi che si metto-no in terra, d’ottobre; e che fioriscono ora; e come so-gnare di cose che mal si potrebbero esprimere in parole,sì che prenderemo dall’astuccio una sigaretta, o magariun sigaro, getteremo il mantello (come press’a poco loesige la rima) sotto una betulla, e ci siederemo là, adaspettare il martin pescatore che, dicono, s’è visto unavolta attraversar il fiume a sera.

Aspetta... Aspetta... Il martin pescatore viene; il mar-tin pescatore non viene.

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e permettiamogli di riempir di melodia questa pagina,malgrado i suoi sospiri asmatici, sino al momento in cuigiungerà ciò che sarà impossibile negare; ciò che persi-no il domestico e la cameriera hanno visto venire; ciòche il lettore non potrà fare a meno di vedere; poichéOrlando stessa non saprà più come nasconderlo. Lascia-mo dunque che la melodia dell’organetto si diffonda, citrasporti sull’ali del pensiero, il quale altro non è che unminuscolo scafo, in preda all’onda dei suoni; il pensiero,il quale di tutti i mezzi di trasporto è il più fantasioso, ilpiù errabondo; ed eccoci già oltre i tetti e i giardini die-tro le case dove svolazza il bucato steso... Ma dove sia-mo? Non riconoscete il prato, e il campanile nel mezzo,e i cancelli fiancheggiati dai leoni araldici? Ah, sì, èKew! Beh, vada per Kew: fermiamoci. Eccoci dunque aKew; e oggi (il 2 marzo) vi mostrerò un grappolo di gia-cinto, sotto il prugno, e anche un croco, e anche un ger-moglio sul mandorlo; e passeggiando quaggiù, saràcome pensare a quei bulbi rossicci e pelosi che si metto-no in terra, d’ottobre; e che fioriscono ora; e come so-gnare di cose che mal si potrebbero esprimere in parole,sì che prenderemo dall’astuccio una sigaretta, o magariun sigaro, getteremo il mantello (come press’a poco loesige la rima) sotto una betulla, e ci siederemo là, adaspettare il martin pescatore che, dicono, s’è visto unavolta attraversar il fiume a sera.

Aspetta... Aspetta... Il martin pescatore viene; il mar-tin pescatore non viene.

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Guardiamo, intanto, i fumaioli delle fabbriche e illoro fumo; guardiamo i commessi di negozio che se nepassano remando, in sandolino. Guardate quella vecchiasignora che porta il cane a passeggio, e la servetta colcappellino nuovo, che naturalmente ha messo per traver-so. Guardateli tutti! Il Cielo, misericordioso come sem-pre, il Cielo vuole che il segreto di ogni cuore rimangasepolto in fondo ad esso, sicché, se qualcosa vogliamosapere, siamo ridotti a fantasticare su ciò che, forse, nonesiste; e pur attraverso il fumo della sigaretta, vediamofiammeggiare e salutiamo lo splendido appagamento delnatural desiderio per un cappellino, per una barca, perun topo di chiavica; così un giorno abbiamo visto fiam-meggiare – quanti balzi insensati fa lo spirito, quandodivaga così, al suono dell’organetto – un fuoco in uncampo, contro dei minareti, alle porte di Costantinopoli.

Salve, desiderio naturale! Salve, felicità! Divina feli-cità! Salve, gioie d’ogni sorta, fiori e vino, anche se gliuni appassiranno e l’altro ci inebrierà; viaggi domenicalia mezza corona, fuori di Londra; e inni funebri in unacappella oscura; e tutto, tutto ciò che interrompe e soffo-ca il ticchettio delle macchine da scrivere e il copialette-re e le macchine che forgiano gli anelli delle catene cherinserrano l’Impero. Salve anche al crudo arco sangui-gno sulle labbra delle povere ragazze di magazzino (nonsembra che Cupido abbia immerso il dito nell’inchiostrorosso e scarabocchiato nel passare un suo ricordo?). Sal-ve, felicità. Volo di martin pescatore da una spondaall’altra, appagamento di desiderio naturale, quale

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Guardiamo, intanto, i fumaioli delle fabbriche e illoro fumo; guardiamo i commessi di negozio che se nepassano remando, in sandolino. Guardate quella vecchiasignora che porta il cane a passeggio, e la servetta colcappellino nuovo, che naturalmente ha messo per traver-so. Guardateli tutti! Il Cielo, misericordioso come sem-pre, il Cielo vuole che il segreto di ogni cuore rimangasepolto in fondo ad esso, sicché, se qualcosa vogliamosapere, siamo ridotti a fantasticare su ciò che, forse, nonesiste; e pur attraverso il fumo della sigaretta, vediamofiammeggiare e salutiamo lo splendido appagamento delnatural desiderio per un cappellino, per una barca, perun topo di chiavica; così un giorno abbiamo visto fiam-meggiare – quanti balzi insensati fa lo spirito, quandodivaga così, al suono dell’organetto – un fuoco in uncampo, contro dei minareti, alle porte di Costantinopoli.

Salve, desiderio naturale! Salve, felicità! Divina feli-cità! Salve, gioie d’ogni sorta, fiori e vino, anche se gliuni appassiranno e l’altro ci inebrierà; viaggi domenicalia mezza corona, fuori di Londra; e inni funebri in unacappella oscura; e tutto, tutto ciò che interrompe e soffo-ca il ticchettio delle macchine da scrivere e il copialette-re e le macchine che forgiano gli anelli delle catene cherinserrano l’Impero. Salve anche al crudo arco sangui-gno sulle labbra delle povere ragazze di magazzino (nonsembra che Cupido abbia immerso il dito nell’inchiostrorosso e scarabocchiato nel passare un suo ricordo?). Sal-ve, felicità. Volo di martin pescatore da una spondaall’altra, appagamento di desiderio naturale, quale

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ch’esso sia e checché ne pensino i romanzieri dell’altrosesso; preghiera, o rinuncia; salve, sotto qualsiasi formaesse vengano, e ve ne fossero di ancor più disparate estrane. Poiché nero scorre il fiume – fosse vero, quandola rima ci suggerisce “come un sogno” – ma che impor-ta? Ben più dura, ben più scura è la nostra sorte; senzasogni, è sveglia, facile, fluida, monotona, sotto alberi lacui ombra olivastra annega l’azzurro dell’ala che svani-sce improvvisa come freccia, da sponda a sponda...

Ben venga la felicità; ma ci siano risparmiati, dopo diessa, quei sogni che deformano l’immagine viva e veracome quegli specchi maculati che riflettono rigonfio ilnostro viso, negli anditi di certi alberghi di provincia;sogni che tutto frantumano, che ci dilaniano, ci ferisco-no, ci squartano, in certe notti, quando vorremmo solosmarrirci nel sonno. Ma salve a te, sonno, sonno, cosìprofondo che tutte le forme non sono più che nebbiad’infinita dolcezza, acque di oscurità imperscrutabile;lasciateci, lasciateci riposare, avvolti, fasciati comemummie, come larve, lasciateci distendere bocconi sulsabbioso fondo del sonno; e dormire alfine.

Ma... un momento! un momento! Questa volta nonscenderemo nei regni bui. Eccolo: azzurro come lafiamma vivida d’un fiammifero che colpisce il centrodella pupilla, vola, arde, infrange i suggelli del sonno; erossa e greve, ancora rifluisce la marea della vita; e gor-goglia e ricade in spuma. Leviamoci. E i nostri occhi(com’è mai comoda una canzone, per aiutarci oltre il

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ch’esso sia e checché ne pensino i romanzieri dell’altrosesso; preghiera, o rinuncia; salve, sotto qualsiasi formaesse vengano, e ve ne fossero di ancor più disparate estrane. Poiché nero scorre il fiume – fosse vero, quandola rima ci suggerisce “come un sogno” – ma che impor-ta? Ben più dura, ben più scura è la nostra sorte; senzasogni, è sveglia, facile, fluida, monotona, sotto alberi lacui ombra olivastra annega l’azzurro dell’ala che svani-sce improvvisa come freccia, da sponda a sponda...

Ben venga la felicità; ma ci siano risparmiati, dopo diessa, quei sogni che deformano l’immagine viva e veracome quegli specchi maculati che riflettono rigonfio ilnostro viso, negli anditi di certi alberghi di provincia;sogni che tutto frantumano, che ci dilaniano, ci ferisco-no, ci squartano, in certe notti, quando vorremmo solosmarrirci nel sonno. Ma salve a te, sonno, sonno, cosìprofondo che tutte le forme non sono più che nebbiad’infinita dolcezza, acque di oscurità imperscrutabile;lasciateci, lasciateci riposare, avvolti, fasciati comemummie, come larve, lasciateci distendere bocconi sulsabbioso fondo del sonno; e dormire alfine.

Ma... un momento! un momento! Questa volta nonscenderemo nei regni bui. Eccolo: azzurro come lafiamma vivida d’un fiammifero che colpisce il centrodella pupilla, vola, arde, infrange i suggelli del sonno; erossa e greve, ancora rifluisce la marea della vita; e gor-goglia e ricade in spuma. Leviamoci. E i nostri occhi(com’è mai comoda una canzone, per aiutarci oltre il

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difficile passo dalla morte alla vita) vedono... (qui,l’organetto cessa bruscamente la canzone).

«È un bel maschietto, Milady» disse Madama Ban-ting, la levatrice, posando tra le braccia di Orlando ilsuo primo nato. In altre parole: giovedì 20 marzo, a oretre del mattino, Orlando aveva dato felicemente allaluce un figlio.

Ancora una volta Orlando se ne stava alla finestra;ma il lettore non abbia paura; nulla di simile accadràoggi, che non è più lo stesso giorno. No, poiché se guar-diamo fuori della finestra, come Orlando in quel mo-mento, vedremo che Park Lane aveva considerevolmen-te mutato il suo aspetto. Incredibile ma pur vero, unopoteva starsene dieci minuti e più alla finestra, come Or-lando, senza veder passare un solo landò. «Guarda! Ohguarda!» esclamò la nostra eroina qualche giorno dopo,al veder passare un buffo veicolo tronco e monco, ilquale, senza cavalli, se ne scivolava da sé sul selciato.Una carrozza senza cavalli! Oh questa è bella! La richia-mavano in casa, giusto nel momento in cui le uscivanodi bocca quelle parole; ma dopo un istante, ella ritornò aguardare ai vetri. Faceva un tempo curioso, quel giorno.Persino il cielo era mutato, non poté fare a meno di pen-sare Orlando. Non era più così denso, così saturod’acqua, così prismatico, da quando re Edoardo – eccololà, che scendeva in persona dal suo bel brougham, perandare a far visita a una certa signora che abitava dirim-petto – era successo alla regina Vittoria. Le nuvole

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difficile passo dalla morte alla vita) vedono... (qui,l’organetto cessa bruscamente la canzone).

«È un bel maschietto, Milady» disse Madama Ban-ting, la levatrice, posando tra le braccia di Orlando ilsuo primo nato. In altre parole: giovedì 20 marzo, a oretre del mattino, Orlando aveva dato felicemente allaluce un figlio.

Ancora una volta Orlando se ne stava alla finestra;ma il lettore non abbia paura; nulla di simile accadràoggi, che non è più lo stesso giorno. No, poiché se guar-diamo fuori della finestra, come Orlando in quel mo-mento, vedremo che Park Lane aveva considerevolmen-te mutato il suo aspetto. Incredibile ma pur vero, unopoteva starsene dieci minuti e più alla finestra, come Or-lando, senza veder passare un solo landò. «Guarda! Ohguarda!» esclamò la nostra eroina qualche giorno dopo,al veder passare un buffo veicolo tronco e monco, ilquale, senza cavalli, se ne scivolava da sé sul selciato.Una carrozza senza cavalli! Oh questa è bella! La richia-mavano in casa, giusto nel momento in cui le uscivanodi bocca quelle parole; ma dopo un istante, ella ritornò aguardare ai vetri. Faceva un tempo curioso, quel giorno.Persino il cielo era mutato, non poté fare a meno di pen-sare Orlando. Non era più così denso, così saturod’acqua, così prismatico, da quando re Edoardo – eccololà, che scendeva in persona dal suo bel brougham, perandare a far visita a una certa signora che abitava dirim-petto – era successo alla regina Vittoria. Le nuvole

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s’erano alleggerite, non erano più che un velo di garzaleggera; il cielo pareva diventato un metallo che neigiorni caldi si verniciava di verdegrigio, di rosso rame odi arancione, come metallo in un nebbione. Era una cosache dava un poco a pensare, quel raggrinzirsi delle cose.Tutto pareva raggrinzito, ora. Nel passar davanti a Buc-kingham Palace, la sera scorsa, Orlando non aveva piùvisto traccia del monumentale ciarpame che aveva cre-duto eterno; cappelli a tuba, veli da vedova, trombe, te-lescopi, corone da morto, tutto era svanito, e senza la-sciar la minima macchia, nemmeno una pozzanghera,sul selciato. Ma era a quell’ora – dopo un’altra assenzaOrlando era tornata al suo posto d’osservazione favori-to, presso la finestra – verso sera, che la trasformazioneera più sensibile. Tutte quelle luci nelle case! Bastava unsol tocco, e una stanza intera s’illuminava; centinaia distanze si illuminavano; e una era identica all’altra. Sipoteva vedere ogni cosa, in quelle scatoline quadrate;non c’era più intimità; non più quelle ombre titubanti,quegli angoli misteriosi d’altri tempi; non più quelledonne in grembiale, che portavano lampade malsicure, ele posavano con cautela sui tavoli. Un tocco, e tutta lastanza si illuminava. E il cielo stesso era illuminato tuttala notte; e le strade, e tutto quanto era una luce sola.

Orlando ritornò alla finestra a mezzogiorno. Comeerano diventate snelle le donne, in questi ultimi anni!Parevano spighe di grano, erette, lucide, una ugualeall’altra. E le facce degli uomini erano nude come lapalma. L’atmosfera asciutta faceva risaltare i colori, e

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s’erano alleggerite, non erano più che un velo di garzaleggera; il cielo pareva diventato un metallo che neigiorni caldi si verniciava di verdegrigio, di rosso rame odi arancione, come metallo in un nebbione. Era una cosache dava un poco a pensare, quel raggrinzirsi delle cose.Tutto pareva raggrinzito, ora. Nel passar davanti a Buc-kingham Palace, la sera scorsa, Orlando non aveva piùvisto traccia del monumentale ciarpame che aveva cre-duto eterno; cappelli a tuba, veli da vedova, trombe, te-lescopi, corone da morto, tutto era svanito, e senza la-sciar la minima macchia, nemmeno una pozzanghera,sul selciato. Ma era a quell’ora – dopo un’altra assenzaOrlando era tornata al suo posto d’osservazione favori-to, presso la finestra – verso sera, che la trasformazioneera più sensibile. Tutte quelle luci nelle case! Bastava unsol tocco, e una stanza intera s’illuminava; centinaia distanze si illuminavano; e una era identica all’altra. Sipoteva vedere ogni cosa, in quelle scatoline quadrate;non c’era più intimità; non più quelle ombre titubanti,quegli angoli misteriosi d’altri tempi; non più quelledonne in grembiale, che portavano lampade malsicure, ele posavano con cautela sui tavoli. Un tocco, e tutta lastanza si illuminava. E il cielo stesso era illuminato tuttala notte; e le strade, e tutto quanto era una luce sola.

Orlando ritornò alla finestra a mezzogiorno. Comeerano diventate snelle le donne, in questi ultimi anni!Parevano spighe di grano, erette, lucide, una ugualeall’altra. E le facce degli uomini erano nude come lapalma. L’atmosfera asciutta faceva risaltare i colori, e

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sembrava indurire i muscoli delle guance. Diventava piùdifficile piangere, ora. L’acqua si riscaldava in due mi-nuti. L’edera era morta, o l’avevano strappata dai muri.Gli orti erano meno fertili; le famiglie meno numerose.Cortine e coprimobili erano stati arrotolati, e le paretierano spoglie, o recavano quadri dai colori vividi, dicose vere come strade, ombrelli, mele, ora in cornice,ora dipinti ad affresco. Tutta quell’epoca aveva un suocolore definito e netto che rammentava bensì il XVIIIsecolo, ma con un’ombra di follia, di disperazione...Queste cose Orlando pensava appunto, allorché la galle-ria di smisurata lunghezza, in cui le pareva di viaggiareda secoli ormai, si allargò; la luce penetrò a fiotti; i suoipensieri si tesero misteriosamente, si contrassero comese un accordatore di pianoforti le avesse infitto la suachiave nella schiena, serrandole i nervi fino a strappar-glieli; al tempo stesso, il suo udito si affinò; udiva ora ilminimo mormorio, il minimo scricchiolio nella stanza,tanto che il pendolo sul caminetto era diventato un mar-tello. Per qualche secondo, la luce crebbe d’intensità,ella vide le cose sempre più chiare e nette, l’orologioticchettò più forte, finché una tremenda esplosione giun-se proprio all’orecchio d’Orlando. Ella balzò, come seavesse ricevuto un violento colpo al capo. Per dieci vol-te fu colpita. Erano le dieci del mattino. Era l’11 ottobre.Era l’anno 1928. Era l’epoca presente.

Nessuno si meraviglierà che Orlando trasalisse, che sipremesse la mano sul cuore, che impallidisse. Quale ri-velazione avrebbe potuto essere più terrificante di quella

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sembrava indurire i muscoli delle guance. Diventava piùdifficile piangere, ora. L’acqua si riscaldava in due mi-nuti. L’edera era morta, o l’avevano strappata dai muri.Gli orti erano meno fertili; le famiglie meno numerose.Cortine e coprimobili erano stati arrotolati, e le paretierano spoglie, o recavano quadri dai colori vividi, dicose vere come strade, ombrelli, mele, ora in cornice,ora dipinti ad affresco. Tutta quell’epoca aveva un suocolore definito e netto che rammentava bensì il XVIIIsecolo, ma con un’ombra di follia, di disperazione...Queste cose Orlando pensava appunto, allorché la galle-ria di smisurata lunghezza, in cui le pareva di viaggiareda secoli ormai, si allargò; la luce penetrò a fiotti; i suoipensieri si tesero misteriosamente, si contrassero comese un accordatore di pianoforti le avesse infitto la suachiave nella schiena, serrandole i nervi fino a strappar-glieli; al tempo stesso, il suo udito si affinò; udiva ora ilminimo mormorio, il minimo scricchiolio nella stanza,tanto che il pendolo sul caminetto era diventato un mar-tello. Per qualche secondo, la luce crebbe d’intensità,ella vide le cose sempre più chiare e nette, l’orologioticchettò più forte, finché una tremenda esplosione giun-se proprio all’orecchio d’Orlando. Ella balzò, come seavesse ricevuto un violento colpo al capo. Per dieci vol-te fu colpita. Erano le dieci del mattino. Era l’11 ottobre.Era l’anno 1928. Era l’epoca presente.

Nessuno si meraviglierà che Orlando trasalisse, che sipremesse la mano sul cuore, che impallidisse. Quale ri-velazione avrebbe potuto essere più terrificante di quella

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della nostra epoca? Se noi sopravviviamo all’urto, èsolo perché il passato ci fa argine da una parte, e il futu-ro dall’altra. Ma non abbiamo più tempo da perdere inmeditazioni; già Orlando era terribilmente in ritardo. Siprecipitò giù per le scale, saltò nella sua automobile,mise in moto il motore e partì. Vasti isolati turchini sielevarono al cielo; le sagome rosse dei fumaioli rigava-no irregolari il cielo; la strada scintillava come seminatadi chiodi d’argento; gli autobus minacciavano la mac-china di Orlando, coi conduttori dal bianco viso di sta-tua. La colpirono, nel passare, molte spugne, gabbied’uccelli, valigie americane di tela verde. Ma non diedeluogo a quegli spettacoli di penetrar nel suo spirito, nep-pure per un pollice, mentre attraversava lo stretto ponti-cello del presente, per timor di cadere nell’impetuosotorrente che ruggiva sotto di lei. «Guardate dove andate,ehi! Non siete capace di allungare il braccio?» fu tuttoquello che gridò, aspra, come se le parole scattassero dasole dalla sua bocca. Perché le strade erano un brulichio;la gente le attraversava senza badare dove andava. Lagente ronzava, mormorava intorno alle vetrine dietro lequali appariva una luce rossa, un barbaglio di giallo,come api davanti a un alveare, pensò Orlando; ma quel-la metafora delle api fu tagliata via di colpo ed ella, riac-quistando con un solo batter di palpebre la giusta visio-ne delle cose, vide che erano corpi umani, e «Badatedove andate!» urlò come se li staffilasse.

Finalmente, come Dio volle, frenò davanti a Marshall& Snelgrove ed entrò nel negozio. L’ombra e il profumo

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della nostra epoca? Se noi sopravviviamo all’urto, èsolo perché il passato ci fa argine da una parte, e il futu-ro dall’altra. Ma non abbiamo più tempo da perdere inmeditazioni; già Orlando era terribilmente in ritardo. Siprecipitò giù per le scale, saltò nella sua automobile,mise in moto il motore e partì. Vasti isolati turchini sielevarono al cielo; le sagome rosse dei fumaioli rigava-no irregolari il cielo; la strada scintillava come seminatadi chiodi d’argento; gli autobus minacciavano la mac-china di Orlando, coi conduttori dal bianco viso di sta-tua. La colpirono, nel passare, molte spugne, gabbied’uccelli, valigie americane di tela verde. Ma non diedeluogo a quegli spettacoli di penetrar nel suo spirito, nep-pure per un pollice, mentre attraversava lo stretto ponti-cello del presente, per timor di cadere nell’impetuosotorrente che ruggiva sotto di lei. «Guardate dove andate,ehi! Non siete capace di allungare il braccio?» fu tuttoquello che gridò, aspra, come se le parole scattassero dasole dalla sua bocca. Perché le strade erano un brulichio;la gente le attraversava senza badare dove andava. Lagente ronzava, mormorava intorno alle vetrine dietro lequali appariva una luce rossa, un barbaglio di giallo,come api davanti a un alveare, pensò Orlando; ma quel-la metafora delle api fu tagliata via di colpo ed ella, riac-quistando con un solo batter di palpebre la giusta visio-ne delle cose, vide che erano corpi umani, e «Badatedove andate!» urlò come se li staffilasse.

Finalmente, come Dio volle, frenò davanti a Marshall& Snelgrove ed entrò nel negozio. L’ombra e il profumo

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l’avvolsero. Scosse da sé il presente, come gocced’acqua in bollore. La luce ondeggiava, quasi una stoffalieve che gonfiasse una brezza estiva. Ella tolse dallaborsetta una lista, e lesse con una voce stranamente stec-chita dapprima, come se trattenesse le parole – scarpe daragazzo, sali da bagno, sardine – sotto un rubinettod’acqua multicolore. Le vedeva mutare, sotto quel gettodi luce. Bagno e scarpe si smussarono, si fecero ottusi;le sardine si dentellarono come una sega. Al pianterrenodella ditta Marshall & Snelgrove, Orlando si guardavad’attorno, aspirava odori svariati, e perdette così qual-che secondo. Finalmente, per la buona ragione che losportello era aperto, salì nell’ascensore, e venne dolce-mente rapita verso l’alto. “Tutto il tessuto della vitaodierna” pensava nel salire “è magico. Nel XVIII seco-lo, sapevamo come andassero le cose; ma ora, eccomitrasportata in aria; sento delle voci dall’America; vedodegli uomini che volano; ma come accada tutto questo,non posso neppur cominciare a domandarmelo. Eccoperché credo nella magia.” Con una scossa lieve,l’ascensore s’era arrestato al primo piano; e Orlandoebbe una visione di innumerevoli stoffe di mille colori,fluttuanti in un’atmosfera che emanava odori strani ep-pur distinti: e ogni volta che l’ascensore si arrestava,aprendo bruscamente i suoi sportelli, lasciava intravede-re un altro spicchio di un altro mondo, il quale emanavaaltri caratteristici effluvi. Le tornò alla mente il fiume aldi là di Wapping, ai tempi di Elisabetta, là dove andava-no ad ancorarsi i galeoni e i vascelli mercantili. Quanti

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l’avvolsero. Scosse da sé il presente, come gocced’acqua in bollore. La luce ondeggiava, quasi una stoffalieve che gonfiasse una brezza estiva. Ella tolse dallaborsetta una lista, e lesse con una voce stranamente stec-chita dapprima, come se trattenesse le parole – scarpe daragazzo, sali da bagno, sardine – sotto un rubinettod’acqua multicolore. Le vedeva mutare, sotto quel gettodi luce. Bagno e scarpe si smussarono, si fecero ottusi;le sardine si dentellarono come una sega. Al pianterrenodella ditta Marshall & Snelgrove, Orlando si guardavad’attorno, aspirava odori svariati, e perdette così qual-che secondo. Finalmente, per la buona ragione che losportello era aperto, salì nell’ascensore, e venne dolce-mente rapita verso l’alto. “Tutto il tessuto della vitaodierna” pensava nel salire “è magico. Nel XVIII seco-lo, sapevamo come andassero le cose; ma ora, eccomitrasportata in aria; sento delle voci dall’America; vedodegli uomini che volano; ma come accada tutto questo,non posso neppur cominciare a domandarmelo. Eccoperché credo nella magia.” Con una scossa lieve,l’ascensore s’era arrestato al primo piano; e Orlandoebbe una visione di innumerevoli stoffe di mille colori,fluttuanti in un’atmosfera che emanava odori strani ep-pur distinti: e ogni volta che l’ascensore si arrestava,aprendo bruscamente i suoi sportelli, lasciava intravede-re un altro spicchio di un altro mondo, il quale emanavaaltri caratteristici effluvi. Le tornò alla mente il fiume aldi là di Wapping, ai tempi di Elisabetta, là dove andava-no ad ancorarsi i galeoni e i vascelli mercantili. Quanti

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odori rigogliosi e strani! E come rammentava il toccodei rubini grezzi, allorché, cacciando la mano in un sac-co, li faceva scorrere tra le dita! E quella volta che ave-va dormito sul ponte con Sukey – o come si chiamava?– e che la lanterna di Cumberland li aveva accecati, im-provvisamente! Adesso i Cumberland avevano un palaz-zo in Portland Place; ella aveva fatto colazione da loronon più tardi dell’altro ieri, e aveva anche motteggiatoun poco col vecchio, a proposito delle case per i poveridi Sheen Road. E lui, le aveva fatto l’occhietto... Mal’ascensore era giunto al termine; più in alto non si an-dava, e Orlando dovette uscirne, Dio sa in quale “repar-to”, come li chiamavano. Si fermò per dare un’occhiataalla lista delle compere, ma purtroppo non vedeva, comeglielo indicava la lista, né sali da bagno, né scarpe perragazzi, per quanto si guardasse d’attorno in quel “re-parto”. Già stava per ridiscendere senza aver acquistatonulla, ma l’ultimo oggetto dell’elenco, che macchinal-mente aveva letto ad alta voce, la salvò da tanta vergo-gna; erano, per caso, “lenzuola per letto matrimoniale”.

«Lenzuola per letto matrimoniale» disse dunque a uncommesso dietro a un banco, e, per un miracolo dellaProvvidenza, l’articolo di quell’uomo, a quello specialereparto, erano appunto lenzuola per letti matrimoniali.Bisogna sapere che la Grimsditch... no, la Grimsditchera morta; la Bartholomew... no, la Bartholomew eramorta; Louise, dunque: Louise era venuta da lei l’altrogiorno, tutta agitata, perché aveva trovato un buco infondo al lenzuolo del letto reale. Molti re e regine ave-

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odori rigogliosi e strani! E come rammentava il toccodei rubini grezzi, allorché, cacciando la mano in un sac-co, li faceva scorrere tra le dita! E quella volta che ave-va dormito sul ponte con Sukey – o come si chiamava?– e che la lanterna di Cumberland li aveva accecati, im-provvisamente! Adesso i Cumberland avevano un palaz-zo in Portland Place; ella aveva fatto colazione da loronon più tardi dell’altro ieri, e aveva anche motteggiatoun poco col vecchio, a proposito delle case per i poveridi Sheen Road. E lui, le aveva fatto l’occhietto... Mal’ascensore era giunto al termine; più in alto non si an-dava, e Orlando dovette uscirne, Dio sa in quale “repar-to”, come li chiamavano. Si fermò per dare un’occhiataalla lista delle compere, ma purtroppo non vedeva, comeglielo indicava la lista, né sali da bagno, né scarpe perragazzi, per quanto si guardasse d’attorno in quel “re-parto”. Già stava per ridiscendere senza aver acquistatonulla, ma l’ultimo oggetto dell’elenco, che macchinal-mente aveva letto ad alta voce, la salvò da tanta vergo-gna; erano, per caso, “lenzuola per letto matrimoniale”.

«Lenzuola per letto matrimoniale» disse dunque a uncommesso dietro a un banco, e, per un miracolo dellaProvvidenza, l’articolo di quell’uomo, a quello specialereparto, erano appunto lenzuola per letti matrimoniali.Bisogna sapere che la Grimsditch... no, la Grimsditchera morta; la Bartholomew... no, la Bartholomew eramorta; Louise, dunque: Louise era venuta da lei l’altrogiorno, tutta agitata, perché aveva trovato un buco infondo al lenzuolo del letto reale. Molti re e regine ave-

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vano dormito in quel letto: Elisabetta; Giacomo; Carlo;Giorgio; Vittoria; Edoardo; nessuna meraviglia che cifosse un buco in un lenzuolo. Ma Louise giurava di sa-pere chi l’avesse fatto. Era stato il Principe Consorte.

«Sale boche!» aveva detto Orlando (perché c’era stataun’altra guerra; contro i tedeschi, questa volta).

«Lenzuola per letto matrimoniale» ripeté Orlandocome in sogno; per un letto matrimoniale dalla copertad’argento, in una stanza arredata con un gusto che a lei,ora, pareva un poco volgare, con tutto quell’argento; mal’aveva messa su così lei stessa, ai tempi in cui avevauna vera passione per quel metallo. Mentre il commessoandava a prenderle delle lenzuola per letto matrimonia-le, Orlando cavò dalla borsetta un minuscolo specchio, eun piumino da cipria. Le donne, al giorno d’oggi, non simettevano tanto in soggezione, rifletteva mentre s’inci-priava con la più gran disinvoltura, come ai tempi in cuilei stessa s’era sentita donna per la prima volta, sul pon-te della Enamoured Lady. Deliberatamente, conferì alproprio naso l’esatta sfumatura. Davvero, aveva ormai isuoi trentasei anni, ma non dimostrava certo un giornodi più. Aveva sempre ancora quel grazioso visetto im-bronciato e ritroso, roseo come (come un albero di Nata-le con un milione di candele, aveva detto Saša) comequel giorno sul ghiaccio, quando il Tamigi era gelato, etutt’e due se n’erano andati pattinando... «La migliortela d’Irlanda, Milady» disse il commesso, dispiegandoun lenzuolo sul banco... e avevano incontrato una vec-chietta che andava per legna. Orlando, distratta, palpava

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vano dormito in quel letto: Elisabetta; Giacomo; Carlo;Giorgio; Vittoria; Edoardo; nessuna meraviglia che cifosse un buco in un lenzuolo. Ma Louise giurava di sa-pere chi l’avesse fatto. Era stato il Principe Consorte.

«Sale boche!» aveva detto Orlando (perché c’era stataun’altra guerra; contro i tedeschi, questa volta).

«Lenzuola per letto matrimoniale» ripeté Orlandocome in sogno; per un letto matrimoniale dalla copertad’argento, in una stanza arredata con un gusto che a lei,ora, pareva un poco volgare, con tutto quell’argento; mal’aveva messa su così lei stessa, ai tempi in cui avevauna vera passione per quel metallo. Mentre il commessoandava a prenderle delle lenzuola per letto matrimonia-le, Orlando cavò dalla borsetta un minuscolo specchio, eun piumino da cipria. Le donne, al giorno d’oggi, non simettevano tanto in soggezione, rifletteva mentre s’inci-priava con la più gran disinvoltura, come ai tempi in cuilei stessa s’era sentita donna per la prima volta, sul pon-te della Enamoured Lady. Deliberatamente, conferì alproprio naso l’esatta sfumatura. Davvero, aveva ormai isuoi trentasei anni, ma non dimostrava certo un giornodi più. Aveva sempre ancora quel grazioso visetto im-bronciato e ritroso, roseo come (come un albero di Nata-le con un milione di candele, aveva detto Saša) comequel giorno sul ghiaccio, quando il Tamigi era gelato, etutt’e due se n’erano andati pattinando... «La migliortela d’Irlanda, Milady» disse il commesso, dispiegandoun lenzuolo sul banco... e avevano incontrato una vec-chietta che andava per legna. Orlando, distratta, palpava

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la tela colle dita: una delle grandi porte che separavanoun reparto dall’altro si scostò e lasciò passare, forse dalreparto “Articoli fantasia”, un’ondata di profumo, cereo,come di candeline rosee, un profumo che s’avvolsecome una conchiglia attorno a una figurina – era un gio-vinetto, o una fanciulla? – giovane, snella, affascinante:una fanciulla, sicuro! Impellicciata, imperlata, in panta-loni alla russa; ma infida, ah! infida!

«Infida!» gridò Orlando (il commesso s’era eclissa-to): e tutto il reparto parve sommergersi, ondeggiare sot-to flutti di acque giallastre; e lontano lontano, ella videgli alberi del vascello moscovita fuggire verso il mareaperto, e poi, miracolosamente (forse la porta s’era dinuovo aperta), la conchiglia di profumo parve una spe-cie di piattaforma, un palco, donde discese una femminagrassa, impellicciata, meravigliosamente conservata, af-fascinante, ingioiellata, l’amante di un granduca; quellache, appoggiata alle sponde del Volga, aveva visto uo-mini annegare mentre mangiava dei sandwiches; e attra-versando il salone, veniva ora verso Orlando.

«Oh! Saša!» esclamò suo malgrado Orlando. Vera-mente, era scandalizzata di veder l’altra ridotta a talpunto; era diventata così grassa; così indolente; tantoche Orlando chinò il capo sulla tela; meglio era chequell’apparizione di una donna impellicciata, di una gio-vinetta in pantaloni alla russa con tutti quegli effluvi dicera rosea e di fiori candidi e di antiche navi, potessepassare inosservata dietro di lei.

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la tela colle dita: una delle grandi porte che separavanoun reparto dall’altro si scostò e lasciò passare, forse dalreparto “Articoli fantasia”, un’ondata di profumo, cereo,come di candeline rosee, un profumo che s’avvolsecome una conchiglia attorno a una figurina – era un gio-vinetto, o una fanciulla? – giovane, snella, affascinante:una fanciulla, sicuro! Impellicciata, imperlata, in panta-loni alla russa; ma infida, ah! infida!

«Infida!» gridò Orlando (il commesso s’era eclissa-to): e tutto il reparto parve sommergersi, ondeggiare sot-to flutti di acque giallastre; e lontano lontano, ella videgli alberi del vascello moscovita fuggire verso il mareaperto, e poi, miracolosamente (forse la porta s’era dinuovo aperta), la conchiglia di profumo parve una spe-cie di piattaforma, un palco, donde discese una femminagrassa, impellicciata, meravigliosamente conservata, af-fascinante, ingioiellata, l’amante di un granduca; quellache, appoggiata alle sponde del Volga, aveva visto uo-mini annegare mentre mangiava dei sandwiches; e attra-versando il salone, veniva ora verso Orlando.

«Oh! Saša!» esclamò suo malgrado Orlando. Vera-mente, era scandalizzata di veder l’altra ridotta a talpunto; era diventata così grassa; così indolente; tantoche Orlando chinò il capo sulla tela; meglio era chequell’apparizione di una donna impellicciata, di una gio-vinetta in pantaloni alla russa con tutti quegli effluvi dicera rosea e di fiori candidi e di antiche navi, potessepassare inosservata dietro di lei.

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«Madama non ha bisogno di tovaglioli, asciugamani,strofinacci, oggi?» insisteva il commesso. E fu solo ingrazia della sua lista che Orlando, dopo averla guardata,ebbe il bene di poter rispondere con tutte le apparenzedella dignità che non c’era che un’altra cosa al mondoch’ella desiderasse; cioè, dei sali da bagno, i quali tutta-via si trovavano in un altro reparto.

Ma non appena di nuovo nell’ascensore – quanta insi-dia cela la ripetizione di una scena – ella si trovò ancoraimmersa in profondità sotto il presente; e quandol’ascensore sobbalzò sul suolo nell’arrestarsi, le parve diaver sentito una brocca infrangersi contro la spondad’un fiume. Come cercando il “reparto” desiderato, qua-le esso fosse, ella si fermò, per guadagnar tempo, sordaagli inviti di tutti quei commessi, neri, ben ravviati, pre-murosi, i quali, certo discendenti da un passato altrettan-to lontano quanto il suo e forse altrettanto orgogliosi,avevano preferito lasciar ricadere l’impenetrabile sipa-rio del presente, per non essere, oggi, che commessi del-la ditta Marshall & Snelgrove. Titubante ancora, Orlan-do ristette. Oltre le grandi porte a vetri, vedeva l’andiri-vieni, in Oxford Street, dove gli autobus sembravano ac-catastarsi gli uni sugli altri, per poi staccarsi con un sal-to. Così, quel giorno, i massi di ghiaccio beccheggiava-no, si urtavano sul Tamigi. A cavalcioni su uno di essiveniva un vecchio gentiluomo dagli scarpini ornati dipelliccia. A Orlando pareva ancora di vederlo... se n’eraandato, invocando maledizioni sui ribelli irlandesi; ed

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«Madama non ha bisogno di tovaglioli, asciugamani,strofinacci, oggi?» insisteva il commesso. E fu solo ingrazia della sua lista che Orlando, dopo averla guardata,ebbe il bene di poter rispondere con tutte le apparenzedella dignità che non c’era che un’altra cosa al mondoch’ella desiderasse; cioè, dei sali da bagno, i quali tutta-via si trovavano in un altro reparto.

Ma non appena di nuovo nell’ascensore – quanta insi-dia cela la ripetizione di una scena – ella si trovò ancoraimmersa in profondità sotto il presente; e quandol’ascensore sobbalzò sul suolo nell’arrestarsi, le parve diaver sentito una brocca infrangersi contro la spondad’un fiume. Come cercando il “reparto” desiderato, qua-le esso fosse, ella si fermò, per guadagnar tempo, sordaagli inviti di tutti quei commessi, neri, ben ravviati, pre-murosi, i quali, certo discendenti da un passato altrettan-to lontano quanto il suo e forse altrettanto orgogliosi,avevano preferito lasciar ricadere l’impenetrabile sipa-rio del presente, per non essere, oggi, che commessi del-la ditta Marshall & Snelgrove. Titubante ancora, Orlan-do ristette. Oltre le grandi porte a vetri, vedeva l’andiri-vieni, in Oxford Street, dove gli autobus sembravano ac-catastarsi gli uni sugli altri, per poi staccarsi con un sal-to. Così, quel giorno, i massi di ghiaccio beccheggiava-no, si urtavano sul Tamigi. A cavalcioni su uno di essiveniva un vecchio gentiluomo dagli scarpini ornati dipelliccia. A Orlando pareva ancora di vederlo... se n’eraandato, invocando maledizioni sui ribelli irlandesi; ed

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era colato a picco proprio là dove ora stava la sua auto-mobile.

“Il tempo è passato su di me” ella pensava, cercandodi raccogliere le proprie idee. “E questi sono i primi se-gni dell’età matura. Com’è mai strano! Tutto mi sembradiverso dalla realtà. Prendo in mano una borsetta, e pen-so a una vecchia fruttivendola gelata insieme al suo bat-tello in fondo al fiume. Qualcuno accende una candelarosa, e io vedo una fanciulla in pantaloni alla russa. Seesco all’aperto, così come esco ora” e di fatto, cammi-nava sul marciapiede, in Oxford Street “che sapore hal’aria? Sapore di erbette. Sento delle campanelle di ca-pre. Vedo le montagne. Turchia? India? Persia?” E gliocchi le si riempirono di lacrime.

Che Orlando si fosse allontanata un po’ troppo dalpresente, sconcerterà forse il lettore, il quale la vedràora in procinto di salire in automobile con gli occhi pie-ni di lacrime e di visioni di montagne persiane. Di fatto,non si può negare che i mortali più abili nell’arte dellavita, i quali del resto sono spesso degli illustri ignoti,riescono in certo qual modo a sincronizzare i sessanta osettanta ritmi diversi, che battono simultaneamente inogni sistema umano normale; sì che quando uno di que-sti ritmi batte le undici, tutti gli altri vi si accordanoall’unisono, e il presente non costituisce mai un distaccoviolento, né si perde completamente nel passato. Di que-sta gente possiamo dire, a ragion veduta, che vive preci-samente i sessantotto o settantadue anni che attesta laloro lapide funeraria. Degli altri, ne conosciamo alcuni

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era colato a picco proprio là dove ora stava la sua auto-mobile.

“Il tempo è passato su di me” ella pensava, cercandodi raccogliere le proprie idee. “E questi sono i primi se-gni dell’età matura. Com’è mai strano! Tutto mi sembradiverso dalla realtà. Prendo in mano una borsetta, e pen-so a una vecchia fruttivendola gelata insieme al suo bat-tello in fondo al fiume. Qualcuno accende una candelarosa, e io vedo una fanciulla in pantaloni alla russa. Seesco all’aperto, così come esco ora” e di fatto, cammi-nava sul marciapiede, in Oxford Street “che sapore hal’aria? Sapore di erbette. Sento delle campanelle di ca-pre. Vedo le montagne. Turchia? India? Persia?” E gliocchi le si riempirono di lacrime.

Che Orlando si fosse allontanata un po’ troppo dalpresente, sconcerterà forse il lettore, il quale la vedràora in procinto di salire in automobile con gli occhi pie-ni di lacrime e di visioni di montagne persiane. Di fatto,non si può negare che i mortali più abili nell’arte dellavita, i quali del resto sono spesso degli illustri ignoti,riescono in certo qual modo a sincronizzare i sessanta osettanta ritmi diversi, che battono simultaneamente inogni sistema umano normale; sì che quando uno di que-sti ritmi batte le undici, tutti gli altri vi si accordanoall’unisono, e il presente non costituisce mai un distaccoviolento, né si perde completamente nel passato. Di que-sta gente possiamo dire, a ragion veduta, che vive preci-samente i sessantotto o settantadue anni che attesta laloro lapide funeraria. Degli altri, ne conosciamo alcuni

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che sono morti, pur camminando tra noi; altri non sonoancora nati, benché rivestano forme vitali; e altri ancorasono vecchi di cent’anni, benché dicano di averne tren-tasei. La vera lunghezza di una vita umana, checché nedica il Dizionario Nazionale Biografico, è pur sempreoggetto di discussione. È una faccenda assai difficile,questo saper mantenere il ritmo; nulla che lo conturbipiù facilmente, quanto il contatto con un’arte qualsiasi;e può darsi che fosse proprio colpa del suo amore per lapoesia, se Orlando perdette la sua lista delle compere, edovette prepararsi a tornare a casa senza le sardine, i salida bagno e le scarpe.

Ma nel mentre poneva la mano sulla maniglia dellosportello, ancora il presente la colpì violentemente alcapo: e l’assalì per undici volte di fila.

«Accidenti!» esclamò Orlando; poiché il suono d’unorologio è sempre una scossa sgradevole per il sistemanervoso; e Orlando rimase così scossa, che per qualcheminuto non ci rimarrà nulla da dire di lei, se non che ag-grottò lievemente le ciglia, cambiò di velocità in modoperfetto, e come prima gridò: «Badate dove andate!»«Non sapete dove volete andare?» «Vi siete deciso, eh?»mentre la macchina filava, virava, si cacciava, scivola-va, guidata dalla mano esperta di Orlando, giù per Re-gent Street, per Haymarket, per Northumberland Ave-nue, attraversava il Ponte di Westminster, a destra, a si-nistra, diritto, a destra, ancora diritto...

La Old Kent Road era assai affollata, in quel giovedì11 ottobre 1928. La gente traboccava dal marciapiede.

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che sono morti, pur camminando tra noi; altri non sonoancora nati, benché rivestano forme vitali; e altri ancorasono vecchi di cent’anni, benché dicano di averne tren-tasei. La vera lunghezza di una vita umana, checché nedica il Dizionario Nazionale Biografico, è pur sempreoggetto di discussione. È una faccenda assai difficile,questo saper mantenere il ritmo; nulla che lo conturbipiù facilmente, quanto il contatto con un’arte qualsiasi;e può darsi che fosse proprio colpa del suo amore per lapoesia, se Orlando perdette la sua lista delle compere, edovette prepararsi a tornare a casa senza le sardine, i salida bagno e le scarpe.

Ma nel mentre poneva la mano sulla maniglia dellosportello, ancora il presente la colpì violentemente alcapo: e l’assalì per undici volte di fila.

«Accidenti!» esclamò Orlando; poiché il suono d’unorologio è sempre una scossa sgradevole per il sistemanervoso; e Orlando rimase così scossa, che per qualcheminuto non ci rimarrà nulla da dire di lei, se non che ag-grottò lievemente le ciglia, cambiò di velocità in modoperfetto, e come prima gridò: «Badate dove andate!»«Non sapete dove volete andare?» «Vi siete deciso, eh?»mentre la macchina filava, virava, si cacciava, scivola-va, guidata dalla mano esperta di Orlando, giù per Re-gent Street, per Haymarket, per Northumberland Ave-nue, attraversava il Ponte di Westminster, a destra, a si-nistra, diritto, a destra, ancora diritto...

La Old Kent Road era assai affollata, in quel giovedì11 ottobre 1928. La gente traboccava dal marciapiede.

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C’erano donne con la borsa della spesa. Bambini passa-vano correndo. Dei negozi di stoffe facevano liquidazio-ne. Strade si allargavano, si restringevano. Lunghe pro-spettive apparivano, scomparivano rapidamente. Quis’incontrava un mercato. Là un funerale. Ora veniva uncorteo con delle bandiere che recavano la scritta “Ra-Un”; ma che cosa significava poi? E le carni rosseggia-vano. I macellai stavano in piedi sulla porta. Le donnenon portavano quasi più tacchi. “Amor Vin” era scrittoal disopra di un porticato. Alla finestra di una stanza daletto, una donna se ne stava immersa in contemplazioneprofonda e calma. “Applejohn & Applebed, PompeFun”. Nulla si poteva vedere, né leggere sino alla fine.Quello di cui si vedeva il principio – per esempio dueamici che stavano per incontrarsi, attraversando la stra-da – non appariva mai finito. Dopo venti minuti, corpo espirito non erano più che pezzetti di carta gettati al ven-to fuori da un sacco, e quella corsa in automobile fuoridi Londra aveva così forte analogia con lo sminuzzardella personalità che precede l’incoscienza e forse lamorte, che resterebbe tuttora insoluta la questione inqual senso Orlando, a quel momento, esistesse realmen-te. Saremmo davvero tentati di abbandonarla al suo de-stino, come un essere interamente scomposto in tutte lesue parti, se non fosse che, finalmente, una cortina verdesi tese a destra; e subito contro di essa i pezzetti di cartaturbinarono meno scomposti; e poi, un’altra cortina sitese a sinistra, tanto che fu possibile veder volteggiareper aria i singoli pezzetti; poi, le cortine verdi si prolun-

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C’erano donne con la borsa della spesa. Bambini passa-vano correndo. Dei negozi di stoffe facevano liquidazio-ne. Strade si allargavano, si restringevano. Lunghe pro-spettive apparivano, scomparivano rapidamente. Quis’incontrava un mercato. Là un funerale. Ora veniva uncorteo con delle bandiere che recavano la scritta “Ra-Un”; ma che cosa significava poi? E le carni rosseggia-vano. I macellai stavano in piedi sulla porta. Le donnenon portavano quasi più tacchi. “Amor Vin” era scrittoal disopra di un porticato. Alla finestra di una stanza daletto, una donna se ne stava immersa in contemplazioneprofonda e calma. “Applejohn & Applebed, PompeFun”. Nulla si poteva vedere, né leggere sino alla fine.Quello di cui si vedeva il principio – per esempio dueamici che stavano per incontrarsi, attraversando la stra-da – non appariva mai finito. Dopo venti minuti, corpo espirito non erano più che pezzetti di carta gettati al ven-to fuori da un sacco, e quella corsa in automobile fuoridi Londra aveva così forte analogia con lo sminuzzardella personalità che precede l’incoscienza e forse lamorte, che resterebbe tuttora insoluta la questione inqual senso Orlando, a quel momento, esistesse realmen-te. Saremmo davvero tentati di abbandonarla al suo de-stino, come un essere interamente scomposto in tutte lesue parti, se non fosse che, finalmente, una cortina verdesi tese a destra; e subito contro di essa i pezzetti di cartaturbinarono meno scomposti; e poi, un’altra cortina sitese a sinistra, tanto che fu possibile veder volteggiareper aria i singoli pezzetti; poi, le cortine verdi si prolun-

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garono costanti e continue ai due lati, e lo spirito di Or-lando riacquistò l’illusione di contenere in sé tutte lecose, ed ella vide un cottage, un’aia e quattro vacche,tutto quanto in grandezza naturale.

A quella vista, Orlando respirò sollevata, accese unasigaretta, e per un paio di minuti mandò buffate in silen-zio. Poi, esitante, come se la persona che nominava po-tesse trovarsi assente, chiamò: «Orlando?». Perché se cisono, mettiamo, settantasei ritmi diversi che battonoall’unisono nello spirito umano, quante diverse persone– Dio ci aiuti – non albergano in un momento onell’altro nello spirito umano? Duemila e cinquantadue,dicono alcuni. Una volta che è così, è la cosa più natura-le del mondo che una persona, non appena si trova sola,chiami “Orlando?” (se si chiama così) e, con ciò, inten-de “Andiamo; su! Sono arcistufa del mio io presente. Nevoglio un altro”. Donde gli stupefacenti cambiamentiche osserviamo nei nostri amici. Ma non sempre la valiscia; può darsi che una come Orlando (che si trovavain aperta campagna e senza dubbio aveva necessità diun altro io) dica “Orlando?”, ma che l’Orlando invocatanon si presenti affatto; quegli io di cui noi siamo com-posti e che sono sovrapposti gli uni agli altri come unapila di piatti in mano a un cameriere, hanno i loro lega-mi altrove, le loro simpatie, le loro piccole leggi e i lorodiritti, chiamateli come volete (e spesso, si tratta di coseche non hanno nome), cosicché l’uno verrà soltanto sepiove, l’altro se non ci sarà Jones, un altro se gli pro-mettete di fargli trovare un bicchiere di vino e così via;

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garono costanti e continue ai due lati, e lo spirito di Or-lando riacquistò l’illusione di contenere in sé tutte lecose, ed ella vide un cottage, un’aia e quattro vacche,tutto quanto in grandezza naturale.

A quella vista, Orlando respirò sollevata, accese unasigaretta, e per un paio di minuti mandò buffate in silen-zio. Poi, esitante, come se la persona che nominava po-tesse trovarsi assente, chiamò: «Orlando?». Perché se cisono, mettiamo, settantasei ritmi diversi che battonoall’unisono nello spirito umano, quante diverse persone– Dio ci aiuti – non albergano in un momento onell’altro nello spirito umano? Duemila e cinquantadue,dicono alcuni. Una volta che è così, è la cosa più natura-le del mondo che una persona, non appena si trova sola,chiami “Orlando?” (se si chiama così) e, con ciò, inten-de “Andiamo; su! Sono arcistufa del mio io presente. Nevoglio un altro”. Donde gli stupefacenti cambiamentiche osserviamo nei nostri amici. Ma non sempre la valiscia; può darsi che una come Orlando (che si trovavain aperta campagna e senza dubbio aveva necessità diun altro io) dica “Orlando?”, ma che l’Orlando invocatanon si presenti affatto; quegli io di cui noi siamo com-posti e che sono sovrapposti gli uni agli altri come unapila di piatti in mano a un cameriere, hanno i loro lega-mi altrove, le loro simpatie, le loro piccole leggi e i lorodiritti, chiamateli come volete (e spesso, si tratta di coseche non hanno nome), cosicché l’uno verrà soltanto sepiove, l’altro se non ci sarà Jones, un altro se gli pro-mettete di fargli trovare un bicchiere di vino e così via;

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ognuno potrà moltiplicare secondo la propria esperienzai diversi compromessi che i suoi differenti io hanno fattocon lui; e alcuni, d’altronde, sono troppo esageratamen-te ridicoli per poter far loro l’onore di eternarli in cartastampata.

Alla curva della strada presso la capanna, Orlandoaveva dunque chiamato “Orlando?” con un tono interro-gativo nella voce, e attese. Orlando non venne.

«Va bene, allora» disse, col buon umore che la gentedimostra in questi momenti; e si rivolse a un altro io. Neaveva una grande varietà cui rivolgersi, assai più diquanti non abbiamo avuto spazio per ricordarcene fraqueste pagine; del resto, una biografia è consideratacompleta quando si limita a rendere conto di sei o setteio, mentre una persona può averne a migliaia. Limitan-dosi a scegliere fra gli io che qui hanno trovato posto,Orlando avrebbe potuto chiamare il giovinetto che pren-deva a piattonate la testa del Moro; o quello che la riap-pendeva al soffitto; o il giovinetto seduto sulla collina; oquello che aveva veduto il poeta; o quello che aveva of-ferto la coppa d’acqua di rose alla Regina; avrebbe po-tuto invocare il giovane che s’era innamorato di Saša; oil Cortigiano; o l’Ambasciatore; o il Guerriero; o ilViaggiatore; o avrebbe potuto invitare la donna; la Zin-gara; la Gran Dama; la fanciulla innamorata della vita;la Patrona delle Belle Lettere; la donna che chiamavaMar (e intendeva bagni caldi e fuochi vespertini) o Shel-merdine (che voleva dir fiori di croco nei boschi autun-nali) o Bonthrop (significando nostra Suora Morte Quo-

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ognuno potrà moltiplicare secondo la propria esperienzai diversi compromessi che i suoi differenti io hanno fattocon lui; e alcuni, d’altronde, sono troppo esageratamen-te ridicoli per poter far loro l’onore di eternarli in cartastampata.

Alla curva della strada presso la capanna, Orlandoaveva dunque chiamato “Orlando?” con un tono interro-gativo nella voce, e attese. Orlando non venne.

«Va bene, allora» disse, col buon umore che la gentedimostra in questi momenti; e si rivolse a un altro io. Neaveva una grande varietà cui rivolgersi, assai più diquanti non abbiamo avuto spazio per ricordarcene fraqueste pagine; del resto, una biografia è consideratacompleta quando si limita a rendere conto di sei o setteio, mentre una persona può averne a migliaia. Limitan-dosi a scegliere fra gli io che qui hanno trovato posto,Orlando avrebbe potuto chiamare il giovinetto che pren-deva a piattonate la testa del Moro; o quello che la riap-pendeva al soffitto; o il giovinetto seduto sulla collina; oquello che aveva veduto il poeta; o quello che aveva of-ferto la coppa d’acqua di rose alla Regina; avrebbe po-tuto invocare il giovane che s’era innamorato di Saša; oil Cortigiano; o l’Ambasciatore; o il Guerriero; o ilViaggiatore; o avrebbe potuto invitare la donna; la Zin-gara; la Gran Dama; la fanciulla innamorata della vita;la Patrona delle Belle Lettere; la donna che chiamavaMar (e intendeva bagni caldi e fuochi vespertini) o Shel-merdine (che voleva dir fiori di croco nei boschi autun-nali) o Bonthrop (significando nostra Suora Morte Quo-

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tidiana) o tutti e tre in uno – e significherebbe più cosedi quanto non abbiamo spazio per scrivere – tutti io, in-somma, diversi e che Orlando avrebbe potuto ugual-mente chiamare.

Forse; ma quello che appare certo (ci troviamo oranella regione dei “forse” e degli “appare”) è che quell’iodi cui più aveva bisogno rimaneva lontano, poiché, asentirla parlare, mutava d’io con la rapidità stessa dellasua corsa – ce n’era uno nuovo a ogni curva – come ac-cade talora per ragioni inesplicabili, quando l’io co-sciente che si trova al sommo, e ha il potere di desidera-re, non desidera essere che un io solo. È quello che cer-tuni chiamano “il vero io”, ed è, dicono, la somma ditutti gli io che abbiamo in noi; comandati e ben guardatidal nostro Comandante Io, dall’Io-Chiave, il quale liamalgama e li sorveglia tutti. Doveva essere quello l’ioche Orlando voleva, come il lettore potrà giudicare daisuoi discorsi mentre guidava (e se è un discorso scon-nesso, sconclusionato, triviale, smorto e qualche voltaincomprensibile, è colpa del lettore che vuol ascoltareuna signora che parla da sola; noi non facciamo che ri-petere le di lei parole alla lettera, aggiungendovi fra pa-rentesi l’io che, a nostro parere, parla in quel momento;ma in quanto a questo, potremmo anche prender deigranchi).

«Che cosa, dunque? Chi, dunque?» diceva Orlando.«Trentasei; in macchina; una donna. Sì, ma un milionedi altre cose ancora. Snob, io? La Giarrettiera, nel vesti-bolo? I leopardi? I miei antenati? Orgogliosa di essi? Sì!

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tidiana) o tutti e tre in uno – e significherebbe più cosedi quanto non abbiamo spazio per scrivere – tutti io, in-somma, diversi e che Orlando avrebbe potuto ugual-mente chiamare.

Forse; ma quello che appare certo (ci troviamo oranella regione dei “forse” e degli “appare”) è che quell’iodi cui più aveva bisogno rimaneva lontano, poiché, asentirla parlare, mutava d’io con la rapidità stessa dellasua corsa – ce n’era uno nuovo a ogni curva – come ac-cade talora per ragioni inesplicabili, quando l’io co-sciente che si trova al sommo, e ha il potere di desidera-re, non desidera essere che un io solo. È quello che cer-tuni chiamano “il vero io”, ed è, dicono, la somma ditutti gli io che abbiamo in noi; comandati e ben guardatidal nostro Comandante Io, dall’Io-Chiave, il quale liamalgama e li sorveglia tutti. Doveva essere quello l’ioche Orlando voleva, come il lettore potrà giudicare daisuoi discorsi mentre guidava (e se è un discorso scon-nesso, sconclusionato, triviale, smorto e qualche voltaincomprensibile, è colpa del lettore che vuol ascoltareuna signora che parla da sola; noi non facciamo che ri-petere le di lei parole alla lettera, aggiungendovi fra pa-rentesi l’io che, a nostro parere, parla in quel momento;ma in quanto a questo, potremmo anche prender deigranchi).

«Che cosa, dunque? Chi, dunque?» diceva Orlando.«Trentasei; in macchina; una donna. Sì, ma un milionedi altre cose ancora. Snob, io? La Giarrettiera, nel vesti-bolo? I leopardi? I miei antenati? Orgogliosa di essi? Sì!

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Golosa, lussuriosa, viziosa? Io? (Qui entrò un nuovo io.)Me ne importa un fico, se lo sono. Sincera? Credo di sì.Generosa? Oh, ma questo non conta. (Qui entrò un nuo-vo io.) Starsene a letto al mattino, a sentir tubare i pic-cioni fra lenzuola di tela d’Irlanda; piatti d’argento; vini;cameriere; domestici. Viziata? Forse. Troppe cose pernulla. Donde i miei libri... (e citò cinquanta titoli classi-ci; i quali erano quelli, almeno supponiamo, delle sueprime opere romantiche, quelle che aveva poi fatto apezzi). Tutta roba verbosa, leggera; romanticherie. Ma(qui entrò un altro io) inutile, senza abilità. Impossibileesser meno abili. E... e... (ella esitava fra le parole, mase le suggeriamo “ Amore” potremmo sbagliare, in ognimodo ella rise e arrossì ed esclamò...). Un rospo monta-to in smeraldi! Enrico, l’Arciduca! le mosche blu al sof-fitto! (Qui entrò un altro io.) Ma Nell, Kit, Saša? (E cad-de in malinconia; vere lacrime le sgorgavano dal ciglio,e sì che da tempo ormai aveva cessato di piangere.) Glialberi. (Qui, un altro io entrò.) Mi piacciono quegli albe-ri (appunto passava lungo un boschetto) che crescono lìda mille anni. E le capanne. (Sfiorava un fienile in rovi-na, sull’orlo della strada.) E i cani da pastore (ecconeuno che attraversava la strada di corsa. Ella ebbe cura dievitarlo). E la notte. Ma gli uomini... (Qui entrò un altroio.) Gli uomini? (Lo ripeté in tono interrogativo.) Nonso. Chiacchieroni, sprezzanti, bugiardi sempre. (A que-sto punto, svoltò nella strada maestra del borgo natio,affollato, essendo giorno di mercato, di contadini, pasto-ri, vecchie con ceste piene di pollame.) Mi piacciono i

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Golosa, lussuriosa, viziosa? Io? (Qui entrò un nuovo io.)Me ne importa un fico, se lo sono. Sincera? Credo di sì.Generosa? Oh, ma questo non conta. (Qui entrò un nuo-vo io.) Starsene a letto al mattino, a sentir tubare i pic-cioni fra lenzuola di tela d’Irlanda; piatti d’argento; vini;cameriere; domestici. Viziata? Forse. Troppe cose pernulla. Donde i miei libri... (e citò cinquanta titoli classi-ci; i quali erano quelli, almeno supponiamo, delle sueprime opere romantiche, quelle che aveva poi fatto apezzi). Tutta roba verbosa, leggera; romanticherie. Ma(qui entrò un altro io) inutile, senza abilità. Impossibileesser meno abili. E... e... (ella esitava fra le parole, mase le suggeriamo “ Amore” potremmo sbagliare, in ognimodo ella rise e arrossì ed esclamò...). Un rospo monta-to in smeraldi! Enrico, l’Arciduca! le mosche blu al sof-fitto! (Qui entrò un altro io.) Ma Nell, Kit, Saša? (E cad-de in malinconia; vere lacrime le sgorgavano dal ciglio,e sì che da tempo ormai aveva cessato di piangere.) Glialberi. (Qui, un altro io entrò.) Mi piacciono quegli albe-ri (appunto passava lungo un boschetto) che crescono lìda mille anni. E le capanne. (Sfiorava un fienile in rovi-na, sull’orlo della strada.) E i cani da pastore (ecconeuno che attraversava la strada di corsa. Ella ebbe cura dievitarlo). E la notte. Ma gli uomini... (Qui entrò un altroio.) Gli uomini? (Lo ripeté in tono interrogativo.) Nonso. Chiacchieroni, sprezzanti, bugiardi sempre. (A que-sto punto, svoltò nella strada maestra del borgo natio,affollato, essendo giorno di mercato, di contadini, pasto-ri, vecchie con ceste piene di pollame.) Mi piacciono i

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contadini. Mi intendo di raccolti. Ma (qui un altro iosfiorò rapido le cime del suo spirito come il raggio d’unfaro). Fama! (Ella rise.) Fama! sette edizioni. Un pre-mio. Fotografie nei giornali della sera (ella alludeva aLa Quercia e al Premio Letterario “Burdett Coutts” chele era stato decretato; ma qui, dobbiamo pur rubare unpo’ di spazio per una constatazione. Che amara delusio-ne è mai, per un biografo, veder buttato lì, tra due risate,quel momento destinato a essere il culmine di tuttal’opera sua, quella perorazione che doveva esserle de-gna corona; – certo è che, quando scegliamo a protago-nista una donna, ci dobbiamo rassegnare a veder tuttofuor di posto, corone e perorazioni; nemmeno gli accen-ti cadono come quando si tratta di un uomo). «Gloria!»ripeteva Orlando. «Un poeta; un ciarlatano; tutti e due sitrovano ogni mattina, puntuali come il postino. Pranza-re, trovarsi insieme; trovarsi insieme, pranzare; ecco inche cosa consiste, la Gloria!» (Qui dovette rallentare perattraversare la calca sulla piazza del mercato. Ma nessu-no si curava di lei. Una focena, esposta nella bottegad’un pescivendolo, attirava assai più attenzione di unaLady che aveva vinto un premio letterario, e che avreb-be potuto, solo che avesse acconsentito, portare tre coro-ne una sopra l’altra sulla sua fronte.) Procedendo quasi apasso d’uomo, ora ella canticchiava, come se le tornassealla mente una vecchia canzone: «Con le mie duecentoghinee, comprerò delle azalee, delle azalee, delle azalee,e camminando tra i fiori, racconterò ai miei figli checosa sono gli allori». Così ella canticchiava; e già tutte

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contadini. Mi intendo di raccolti. Ma (qui un altro iosfiorò rapido le cime del suo spirito come il raggio d’unfaro). Fama! (Ella rise.) Fama! sette edizioni. Un pre-mio. Fotografie nei giornali della sera (ella alludeva aLa Quercia e al Premio Letterario “Burdett Coutts” chele era stato decretato; ma qui, dobbiamo pur rubare unpo’ di spazio per una constatazione. Che amara delusio-ne è mai, per un biografo, veder buttato lì, tra due risate,quel momento destinato a essere il culmine di tuttal’opera sua, quella perorazione che doveva esserle de-gna corona; – certo è che, quando scegliamo a protago-nista una donna, ci dobbiamo rassegnare a veder tuttofuor di posto, corone e perorazioni; nemmeno gli accen-ti cadono come quando si tratta di un uomo). «Gloria!»ripeteva Orlando. «Un poeta; un ciarlatano; tutti e due sitrovano ogni mattina, puntuali come il postino. Pranza-re, trovarsi insieme; trovarsi insieme, pranzare; ecco inche cosa consiste, la Gloria!» (Qui dovette rallentare perattraversare la calca sulla piazza del mercato. Ma nessu-no si curava di lei. Una focena, esposta nella bottegad’un pescivendolo, attirava assai più attenzione di unaLady che aveva vinto un premio letterario, e che avreb-be potuto, solo che avesse acconsentito, portare tre coro-ne una sopra l’altra sulla sua fronte.) Procedendo quasi apasso d’uomo, ora ella canticchiava, come se le tornassealla mente una vecchia canzone: «Con le mie duecentoghinee, comprerò delle azalee, delle azalee, delle azalee,e camminando tra i fiori, racconterò ai miei figli checosa sono gli allori». Così ella canticchiava; e già tutte

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le sue parole, ora, pesavano come le perle grevi d’unacollana barbarica. «E camminando tra i fiori» e scandivaad alta voce le parole «vedrò il sorger della luna, e i car-ri passar lungo la foresta bruna...» Qui frenò bruscamen-te; e assorta in profondi pensieri, guardava avanti a sé iltappo del radiatore.

“Era seduto alla tavola della Twitchett” fantasticava“e aveva un colletto sudicio... Era il vecchio Baker, ve-nuto per misurare il legname? O forse era Sh-p-re?”(quando diciamo per noi soli i nomi che teniamo carinell’intimo del cuor nostro, non li diciamo mai per inte-ro). Da dieci minuti guardava avanti a sé, e di nuovo la-sciava che la macchina, quasi, si arrestasse.

«Fantasmi!» gridò, premendo improvvisamentesull’acceleratore. «Fantasmi! Sin dalla mia infanzia. Là,eccola là che vola, l’oca selvatica. Ora passa davantialla finestra, e vola verso il mare. E io balzavo su, su (ele sue dita si rinserrarono strette sul volante) e volevoafferrarla. Ma il suo volo è troppo rapido. L’ho veduta –ora qui – ora là – e là – in Inghilterra, in Persia, in Italia.Sempre fugge verso il mare, e io le getto sempre dietrole mie parole come reti (e faceva, con la mano, il gestodi scagliare); ma si afflosciano, come sono flosce le retiche ho visto tirar su a bordo con null’altro che alghe;qualche volta, c’è un pizzico d’argento – sei parole – infondo alla rete. Ma i grandi pesci che vivono nelle fore-ste di coralli, quelli non ci sono mai.» E Orlando chinòil capo, pensosa e assorta in sé.

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le sue parole, ora, pesavano come le perle grevi d’unacollana barbarica. «E camminando tra i fiori» e scandivaad alta voce le parole «vedrò il sorger della luna, e i car-ri passar lungo la foresta bruna...» Qui frenò bruscamen-te; e assorta in profondi pensieri, guardava avanti a sé iltappo del radiatore.

“Era seduto alla tavola della Twitchett” fantasticava“e aveva un colletto sudicio... Era il vecchio Baker, ve-nuto per misurare il legname? O forse era Sh-p-re?”(quando diciamo per noi soli i nomi che teniamo carinell’intimo del cuor nostro, non li diciamo mai per inte-ro). Da dieci minuti guardava avanti a sé, e di nuovo la-sciava che la macchina, quasi, si arrestasse.

«Fantasmi!» gridò, premendo improvvisamentesull’acceleratore. «Fantasmi! Sin dalla mia infanzia. Là,eccola là che vola, l’oca selvatica. Ora passa davantialla finestra, e vola verso il mare. E io balzavo su, su (ele sue dita si rinserrarono strette sul volante) e volevoafferrarla. Ma il suo volo è troppo rapido. L’ho veduta –ora qui – ora là – e là – in Inghilterra, in Persia, in Italia.Sempre fugge verso il mare, e io le getto sempre dietrole mie parole come reti (e faceva, con la mano, il gestodi scagliare); ma si afflosciano, come sono flosce le retiche ho visto tirar su a bordo con null’altro che alghe;qualche volta, c’è un pizzico d’argento – sei parole – infondo alla rete. Ma i grandi pesci che vivono nelle fore-ste di coralli, quelli non ci sono mai.» E Orlando chinòil capo, pensosa e assorta in sé.

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E in quell’istante, allorché ella aveva desistito dalchiamare «Orlando?» per donarsi ad altri pensieri, inquell’istante l’Orlando invocata venne di sua volontà;subito la sua presenza si rivelò dal mutamento che simanifestava in Orlando (ella aveva oltrepassato la gran-de cancellata ed entrava nel parco).

Tutto l’essere suo si oscurò, si assestò; così, talora, unpiano aggiunto conferisce armonia e solidità a una su-perficie, e le cavità si approfondiscono, e si creano lon-tananze; e tutto quanto si contiene come l’acqua si con-tiene entro le pareti di un pozzo. Così Orlando in quelmomento mitigò il suo fulgore, si rappacificò, e conl’aggiunta di quell’altra Orlando fu quello che a torto oa ragione si chiama un io unico, un io reale. Ed ella tac-que. Poiché è probabile che, quando gli uomini parlanoda sé ad alta voce, i loro io (di cui ve ne può esserequalche migliaio in quel momento) si trovino malcon-tenti, e cerchino di comunicare tra di loro; ma quando ilcontatto è stabilito, allora tacciono.

Rapidamente, con mano maestra Orlando guidò la suamacchina su per la salita sinuosa, fiancheggiata da olmie querce, poi per il viale tra i prati, di cui il declivio eracosì lene che, se fosse stato un’acqua, avrebbe sommer-so la spiaggia in una soave marea glauca. Qua e là, ingruppi maestosi, si ergevano faggi e querce. I daini sal-tellavano sotto la loro ombra, e l’uno era candido comela neve, l’altro reclinava la testa da un lato, poiché s’eraimpigliato con le corna nella griglia. Orlando accolsetutto ciò in sé, alberi, daini, prato, con immensa soddi-

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E in quell’istante, allorché ella aveva desistito dalchiamare «Orlando?» per donarsi ad altri pensieri, inquell’istante l’Orlando invocata venne di sua volontà;subito la sua presenza si rivelò dal mutamento che simanifestava in Orlando (ella aveva oltrepassato la gran-de cancellata ed entrava nel parco).

Tutto l’essere suo si oscurò, si assestò; così, talora, unpiano aggiunto conferisce armonia e solidità a una su-perficie, e le cavità si approfondiscono, e si creano lon-tananze; e tutto quanto si contiene come l’acqua si con-tiene entro le pareti di un pozzo. Così Orlando in quelmomento mitigò il suo fulgore, si rappacificò, e conl’aggiunta di quell’altra Orlando fu quello che a torto oa ragione si chiama un io unico, un io reale. Ed ella tac-que. Poiché è probabile che, quando gli uomini parlanoda sé ad alta voce, i loro io (di cui ve ne può esserequalche migliaio in quel momento) si trovino malcon-tenti, e cerchino di comunicare tra di loro; ma quando ilcontatto è stabilito, allora tacciono.

Rapidamente, con mano maestra Orlando guidò la suamacchina su per la salita sinuosa, fiancheggiata da olmie querce, poi per il viale tra i prati, di cui il declivio eracosì lene che, se fosse stato un’acqua, avrebbe sommer-so la spiaggia in una soave marea glauca. Qua e là, ingruppi maestosi, si ergevano faggi e querce. I daini sal-tellavano sotto la loro ombra, e l’uno era candido comela neve, l’altro reclinava la testa da un lato, poiché s’eraimpigliato con le corna nella griglia. Orlando accolsetutto ciò in sé, alberi, daini, prato, con immensa soddi-

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sfazione, quasi il suo spirito fosse diventato un fluidoche avvolgeva le cose e le racchiudeva completamente.Un minuto dopo, si fermava in quel cortile dove per tan-ti secoli era entrata, ora a cavallo, ora in tiro a sei, pre-ceduta e scortata da cavalieri; dove pennacchi s’eranoagitati, torce avevano fiammeggiato, e dove gli stessi al-beri che ora lasciavano cadere le foglie, anno per annoavevano scosso la loro fiorita. Ora, ella entrava sola. Lefoglie d’autunno cadevano. Il portiere le aprì la griglia.

«Buongiorno, James» ella disse; «ci sono dei pacchinella macchina, volete portarli di sopra?» Parole senzabellezza, senza interesse, spoglie di ogni profondità, loammettiamo, che cadevano come noci mature dall’albe-ro, prova palpabile che, quando la rugosa pelle della vitaquotidiana è infarcita di significato, diventa di una sor-prendente dolcezza per la sensibilità. Ora ciò si applica-va al minimo gesto, alla minima azione, per quanto umi-li fossero: Orlando che in meno di tre minuti mutava lasua gonna con un paio di calzoni di fustagno e una giac-ca di cuoio, aveva gesti incantevoli come se la danzatri-ce Lopokowa avesse sfoggiato la sua arte più consuma-ta.

Orlando entrò nella sala da pranzo, dove i suoi vecchiamici Dryden, Pope, Swift, Addison la guardarono dap-prima gravemente, come a dire: “Eccola dunque qui, laVincitrice!”, ma quando rifletterono che si trattava altre-sì di duecento ghinee, parvero dire: “Non sono mica dabuttare via, duecento ghinee”. Orlando si tagliò una fettadi pane e una di prosciutto, le mise una sopra l’altra e

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sfazione, quasi il suo spirito fosse diventato un fluidoche avvolgeva le cose e le racchiudeva completamente.Un minuto dopo, si fermava in quel cortile dove per tan-ti secoli era entrata, ora a cavallo, ora in tiro a sei, pre-ceduta e scortata da cavalieri; dove pennacchi s’eranoagitati, torce avevano fiammeggiato, e dove gli stessi al-beri che ora lasciavano cadere le foglie, anno per annoavevano scosso la loro fiorita. Ora, ella entrava sola. Lefoglie d’autunno cadevano. Il portiere le aprì la griglia.

«Buongiorno, James» ella disse; «ci sono dei pacchinella macchina, volete portarli di sopra?» Parole senzabellezza, senza interesse, spoglie di ogni profondità, loammettiamo, che cadevano come noci mature dall’albe-ro, prova palpabile che, quando la rugosa pelle della vitaquotidiana è infarcita di significato, diventa di una sor-prendente dolcezza per la sensibilità. Ora ciò si applica-va al minimo gesto, alla minima azione, per quanto umi-li fossero: Orlando che in meno di tre minuti mutava lasua gonna con un paio di calzoni di fustagno e una giac-ca di cuoio, aveva gesti incantevoli come se la danzatri-ce Lopokowa avesse sfoggiato la sua arte più consuma-ta.

Orlando entrò nella sala da pranzo, dove i suoi vecchiamici Dryden, Pope, Swift, Addison la guardarono dap-prima gravemente, come a dire: “Eccola dunque qui, laVincitrice!”, ma quando rifletterono che si trattava altre-sì di duecento ghinee, parvero dire: “Non sono mica dabuttare via, duecento ghinee”. Orlando si tagliò una fettadi pane e una di prosciutto, le mise una sopra l’altra e

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cominciò a mangiare, passeggiando su e giù per la stan-za; e così, in un secondo, senza riflettervi, aveva scossoda sé tutta la sua buona educazione. Dopo che ebbe fattocinque o sei giri intorno al tavolo, mandò giù d’un trattoun bicchiere di vin rosso di Spagna, e se ne riempì unaltro, e tenendolo in mano si avviò a grandi passi su peril lungo corridoio e per una dozzina di saloni: e iniziòcosì un pellegrinaggio per la sua dimora, seguita da queilevrieri e spagnuoli che accondiscesero ad accompa-gnarla.

Anche questo faceva parte della vita quotidiana, delresto. Tornare a casa sua e non visitarla per intero? Sa-rebbe stato lo stesso che prender congedo dalla nonnasenza abbracciarla. Si figurava che le stanze s’illuminas-sero al suo entrare; che si sgranchissero, aprissero gliocchi come se in sua assenza avessero sonnecchiato. Eper quanto le avesse viste centinaia, anzi migliaia di vol-te, mai le apparivano due volte sotto lo stesso aspetto: inun’esistenza lunga come la loro, avevano radunato tra lepareti una miriade di stati d’animo, i quali mutavanocon l’estate e con l’autunno, col sole e con la pioggia, aseconda delle vicende di Orlando e del carattere di chivi entrava. Cortesi lo erano sempre, coi forestieri, ma unpoco stanche; con lei invece si aprivano interamente, sirianimavano. E come avrebbe potuto esser diverso? Siconoscevano da secoli, ormai. Non avevano nulla da na-scondersi. Ella conosceva le loro gioie e i loro dolori.Sapeva l’età di ogni minima parte della casa, e i piccolisegreti: un cassetto celato, un armadio mascherato; qual-

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cominciò a mangiare, passeggiando su e giù per la stan-za; e così, in un secondo, senza riflettervi, aveva scossoda sé tutta la sua buona educazione. Dopo che ebbe fattocinque o sei giri intorno al tavolo, mandò giù d’un trattoun bicchiere di vin rosso di Spagna, e se ne riempì unaltro, e tenendolo in mano si avviò a grandi passi su peril lungo corridoio e per una dozzina di saloni: e iniziòcosì un pellegrinaggio per la sua dimora, seguita da queilevrieri e spagnuoli che accondiscesero ad accompa-gnarla.

Anche questo faceva parte della vita quotidiana, delresto. Tornare a casa sua e non visitarla per intero? Sa-rebbe stato lo stesso che prender congedo dalla nonnasenza abbracciarla. Si figurava che le stanze s’illuminas-sero al suo entrare; che si sgranchissero, aprissero gliocchi come se in sua assenza avessero sonnecchiato. Eper quanto le avesse viste centinaia, anzi migliaia di vol-te, mai le apparivano due volte sotto lo stesso aspetto: inun’esistenza lunga come la loro, avevano radunato tra lepareti una miriade di stati d’animo, i quali mutavanocon l’estate e con l’autunno, col sole e con la pioggia, aseconda delle vicende di Orlando e del carattere di chivi entrava. Cortesi lo erano sempre, coi forestieri, ma unpoco stanche; con lei invece si aprivano interamente, sirianimavano. E come avrebbe potuto esser diverso? Siconoscevano da secoli, ormai. Non avevano nulla da na-scondersi. Ella conosceva le loro gioie e i loro dolori.Sapeva l’età di ogni minima parte della casa, e i piccolisegreti: un cassetto celato, un armadio mascherato; qual-

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che lieve difetto, anche, come una parte aggiunta poste-riormente o restaurata. E le stanze, a loro volta, cono-scevano ogni suo capriccio, e ogni sua trasformazione.Nulla aveva loro nascosto, mai; era venuta a loro fan-ciullo e donna, piangendo e danzando, pensosa e gaia.Sul banco nel vano di quella finestra aveva scritto i pri-mi versi suoi; in quella cappella era andata a nozze. Equi sarebbe stata sepolta, pensava, i ginocchi sul sedilesotto la vetrata, nella lunga galleria, assaporando il vindi Spagna. Ancora il leopardo – sebbene quell’immagi-ne le riuscisse difficile – si rifletterebbe sul pavimentoin pozze di luce giallognola, il giorno in cui la calereb-bero per il sonno eterno fra gli antenati suoi. Lei chenon credeva in immortalità di nessuna sorta, non potevafare a meno di sentire che la sua anima si sarebbe aggi-rata senza posa, per sempre, fra quei riflessi verdi sul di-vano, fra quei riflessi rossi dei pannelli. Quella stanza –Orlando era entrata nella stanza dell’Ambasciatore –scintillava come una conchiglia che abbia posato per se-coli in fondo al mare, e che le acque abbiano rivestito edipinto di milioni di sfumature; l’interno di quella stan-za era roseo e giallo, glauco e color della rena. Aveva lafragilità di una conchiglia, e come una conchiglia erairidescente e vuota. Mai più un ambasciatore avrebbedormito là. Oh! Ma ella sapeva dove ancora palpitasse ilcuore della casa. Aprendo con mano lieve una porta, sitrattenne sulla soglia, sì che la stanza, così ella fantasti-cava, non poteva vederla; e vide, vide l’arazzo sollevarsie palpitare alla soave brezza eterna che mai cessava di

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che lieve difetto, anche, come una parte aggiunta poste-riormente o restaurata. E le stanze, a loro volta, cono-scevano ogni suo capriccio, e ogni sua trasformazione.Nulla aveva loro nascosto, mai; era venuta a loro fan-ciullo e donna, piangendo e danzando, pensosa e gaia.Sul banco nel vano di quella finestra aveva scritto i pri-mi versi suoi; in quella cappella era andata a nozze. Equi sarebbe stata sepolta, pensava, i ginocchi sul sedilesotto la vetrata, nella lunga galleria, assaporando il vindi Spagna. Ancora il leopardo – sebbene quell’immagi-ne le riuscisse difficile – si rifletterebbe sul pavimentoin pozze di luce giallognola, il giorno in cui la calereb-bero per il sonno eterno fra gli antenati suoi. Lei chenon credeva in immortalità di nessuna sorta, non potevafare a meno di sentire che la sua anima si sarebbe aggi-rata senza posa, per sempre, fra quei riflessi verdi sul di-vano, fra quei riflessi rossi dei pannelli. Quella stanza –Orlando era entrata nella stanza dell’Ambasciatore –scintillava come una conchiglia che abbia posato per se-coli in fondo al mare, e che le acque abbiano rivestito edipinto di milioni di sfumature; l’interno di quella stan-za era roseo e giallo, glauco e color della rena. Aveva lafragilità di una conchiglia, e come una conchiglia erairidescente e vuota. Mai più un ambasciatore avrebbedormito là. Oh! Ma ella sapeva dove ancora palpitasse ilcuore della casa. Aprendo con mano lieve una porta, sitrattenne sulla soglia, sì che la stanza, così ella fantasti-cava, non poteva vederla; e vide, vide l’arazzo sollevarsie palpitare alla soave brezza eterna che mai cessava di

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alitare. Ancora il cacciatore galoppava, ancora Dafnefuggiva. Il cuore batteva sempre, anche se debole, anchese lontano; il fragile e indomabile cuore della dimoraimmensa.

Chiamando a sé i suoi cani, ora ella attraversava lagalleria, quella che era pavimentata di assi di quercia se-gate in tutta la loro lunghezza. File di poltrone dai vellu-ti stinti, schierate lungo la parete, tendevano i braccioliper Elisabetta, per Giacomo, forse per Shakespeare, perCecil; ma essi non sarebbero venuti mai più. Quella vi-sta rattristò Orlando. Ella staccò il cordone che le limita-va. Sedette sulla poltrona della Regina; aprì un libroscritto a mano, che giaceva sul tavolino di Lady Betty;agitò le dita tra i vecchi petali di rosa; passò sui suoicorti capelli le spazzole d’argento di re Giacomo; saltòsulle molle del suo letto (ma nessun re avrebbe mai piùdormito in quel letto, malgrado le lenzuola nuove diLouise) e premette la guancia contro la lisa copertad’argento che lo copriva. Ma ovunque c’erano dei sac-chetti di lavanda contro le tarme, e cartelli stampati: “Siprega di non toccare”. Benché lei stessa li avesse messilà, ora essi sembravano respingerla. La casa non era piùinteramente sua, ormai, sospirò. Ora, apparteneva altempo; alla storia; andava oltre il possesso, oltre il con-trollo dei vivi. Qui, nessuno avrebbe più sparso birra interra, né (in quella stanza da letto aveva dormito il vec-chio Nick Greene) avrebbe più bruciato tappeti scuoten-do la pipa. Mai più uno stuolo di duecento servi si sa-rebbe affacciato vociando per i corridoi, con bracieri e

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alitare. Ancora il cacciatore galoppava, ancora Dafnefuggiva. Il cuore batteva sempre, anche se debole, anchese lontano; il fragile e indomabile cuore della dimoraimmensa.

Chiamando a sé i suoi cani, ora ella attraversava lagalleria, quella che era pavimentata di assi di quercia se-gate in tutta la loro lunghezza. File di poltrone dai vellu-ti stinti, schierate lungo la parete, tendevano i braccioliper Elisabetta, per Giacomo, forse per Shakespeare, perCecil; ma essi non sarebbero venuti mai più. Quella vi-sta rattristò Orlando. Ella staccò il cordone che le limita-va. Sedette sulla poltrona della Regina; aprì un libroscritto a mano, che giaceva sul tavolino di Lady Betty;agitò le dita tra i vecchi petali di rosa; passò sui suoicorti capelli le spazzole d’argento di re Giacomo; saltòsulle molle del suo letto (ma nessun re avrebbe mai piùdormito in quel letto, malgrado le lenzuola nuove diLouise) e premette la guancia contro la lisa copertad’argento che lo copriva. Ma ovunque c’erano dei sac-chetti di lavanda contro le tarme, e cartelli stampati: “Siprega di non toccare”. Benché lei stessa li avesse messilà, ora essi sembravano respingerla. La casa non era piùinteramente sua, ormai, sospirò. Ora, apparteneva altempo; alla storia; andava oltre il possesso, oltre il con-trollo dei vivi. Qui, nessuno avrebbe più sparso birra interra, né (in quella stanza da letto aveva dormito il vec-chio Nick Greene) avrebbe più bruciato tappeti scuoten-do la pipa. Mai più uno stuolo di duecento servi si sa-rebbe affacciato vociando per i corridoi, con bracieri e

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immense fascine per gli immensi caminetti. Mai più lebotteghe intorno alla casa avrebbero visto fermentar labirra e fabbricar candele di sego e cucir selle e tagliarpietre. Martelli e magli, ora, tacevano. Vuoti erano lettie seggioloni; imprigionati nelle vetrine i boccalid’argento e d’oro. Le grandi ali del silenzio battevanoper tutta la casa.

Orlando sedette in fondo alla galleria, sulla dura pol-trona della regina Elisabetta, e i cani le si accovacciaro-no ai piedi. La galleria si stendeva a vista d’occhio, sinoa perdersi nell’ombra; e si scavava profonda e lontananel passato. Gli sguardi di Orlando, nello scrutare quellelontananze, vi scoprivano gente che parlava e rideva;erano i grandi che ella aveva conosciuto: Dryden, Swift,e Pope; e uomini di Stato assorti in colloquio; e innamo-rati che folleggiavano, attardati nel vano delle finestre; ecompagnie che mangiavano e trincavano intorno allelunghe tavole, e che il fumo dei caminetti, avvolgendoin spire le teste, faceva starnutire e tossire. Più lontanoancora, ella scorse le coppie dei galanti ballerini, prontiper la quadriglia, agli accenti d’una musica di flauti, esi-le eppur nobile. Un organo tuonò. Una bara veniva reca-ta alla Cappella. Un corteo di nozze ne usciva. Cavalieriarmati, l’elmo in capo, partivano in guerra. Poi, tornava-no carichi dei vessilli di Flodden e di Poitiers, li inchio-davano ai muri. Così la galleria interminabile si popola-va; e aguzzando vieppiù lo sguardo, parve a Orlando discorgere in ultimo, dietro gli elisabettiani, oltre i Tudor,un personaggio più antico, più lontano, più scuro, una

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immense fascine per gli immensi caminetti. Mai più lebotteghe intorno alla casa avrebbero visto fermentar labirra e fabbricar candele di sego e cucir selle e tagliarpietre. Martelli e magli, ora, tacevano. Vuoti erano lettie seggioloni; imprigionati nelle vetrine i boccalid’argento e d’oro. Le grandi ali del silenzio battevanoper tutta la casa.

Orlando sedette in fondo alla galleria, sulla dura pol-trona della regina Elisabetta, e i cani le si accovacciaro-no ai piedi. La galleria si stendeva a vista d’occhio, sinoa perdersi nell’ombra; e si scavava profonda e lontananel passato. Gli sguardi di Orlando, nello scrutare quellelontananze, vi scoprivano gente che parlava e rideva;erano i grandi che ella aveva conosciuto: Dryden, Swift,e Pope; e uomini di Stato assorti in colloquio; e innamo-rati che folleggiavano, attardati nel vano delle finestre; ecompagnie che mangiavano e trincavano intorno allelunghe tavole, e che il fumo dei caminetti, avvolgendoin spire le teste, faceva starnutire e tossire. Più lontanoancora, ella scorse le coppie dei galanti ballerini, prontiper la quadriglia, agli accenti d’una musica di flauti, esi-le eppur nobile. Un organo tuonò. Una bara veniva reca-ta alla Cappella. Un corteo di nozze ne usciva. Cavalieriarmati, l’elmo in capo, partivano in guerra. Poi, tornava-no carichi dei vessilli di Flodden e di Poitiers, li inchio-davano ai muri. Così la galleria interminabile si popola-va; e aguzzando vieppiù lo sguardo, parve a Orlando discorgere in ultimo, dietro gli elisabettiani, oltre i Tudor,un personaggio più antico, più lontano, più scuro, una

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figura incappucciata, ieratica, severa, un monaco checamminava con le mani giunte attorno a un libro, mor-morando preghiere...

Come un tuono, l’orologio delle scuderie batté lequattro. Mai terremoto demolì un’intera città con mag-gior violenza. La galleria e i personaggi che l’animava-no caddero in polvere. Il viso di Orlando, che durante lavisione era rimasto scuro e nell’ombra, s’illuminò comeper un’esplosione. Alla luce del medesimo lampo, ognicosa circostante apparve netta e distinta. Orlando videdue mosche che s’inseguivano in tondo, distinse le ve-nature turchine dei loro corpi; vide un nodo nel legno, làdove posava il piede; vide l’orecchia d’un cane drizzar-si. Al tempo stesso, udì lo scricchiolio d’un ramo nelgiardino, una pecora che tossiva nel parco, il gridio d’unrondone che saettava dietro i vetri. Un tremito, un for-micolio le corse per tutto il corpo, come se di colpo sitrovasse esposta nuda al più crudo gelo. Pure, rimasecalma, quale certo non lo era stata allorché l’orologioaveva battuto le undici a Londra (ma ormai, ella era unae intera, e forse presentava all’urto del tempo una piùlarga superficie). Si alzò, ma senza scomporsi, radunò isuoi cani, e tranquilla, se pure con una grande esuberan-za di movimenti, scese le scale e uscì in giardino. Qui,le ombre delle piante avevano una nettezza prodigiosa.Vedeva persino, nelle aiuole, i grani di terra separatil’uno dall’altro, come se il suo occhio agisse da lente.Ogni stelo d’erba appariva staccato, così le venaturedelle foglie e dei petali. Vedeva Stubbs, il giardiniere,

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figura incappucciata, ieratica, severa, un monaco checamminava con le mani giunte attorno a un libro, mor-morando preghiere...

Come un tuono, l’orologio delle scuderie batté lequattro. Mai terremoto demolì un’intera città con mag-gior violenza. La galleria e i personaggi che l’animava-no caddero in polvere. Il viso di Orlando, che durante lavisione era rimasto scuro e nell’ombra, s’illuminò comeper un’esplosione. Alla luce del medesimo lampo, ognicosa circostante apparve netta e distinta. Orlando videdue mosche che s’inseguivano in tondo, distinse le ve-nature turchine dei loro corpi; vide un nodo nel legno, làdove posava il piede; vide l’orecchia d’un cane drizzar-si. Al tempo stesso, udì lo scricchiolio d’un ramo nelgiardino, una pecora che tossiva nel parco, il gridio d’unrondone che saettava dietro i vetri. Un tremito, un for-micolio le corse per tutto il corpo, come se di colpo sitrovasse esposta nuda al più crudo gelo. Pure, rimasecalma, quale certo non lo era stata allorché l’orologioaveva battuto le undici a Londra (ma ormai, ella era unae intera, e forse presentava all’urto del tempo una piùlarga superficie). Si alzò, ma senza scomporsi, radunò isuoi cani, e tranquilla, se pure con una grande esuberan-za di movimenti, scese le scale e uscì in giardino. Qui,le ombre delle piante avevano una nettezza prodigiosa.Vedeva persino, nelle aiuole, i grani di terra separatil’uno dall’altro, come se il suo occhio agisse da lente.Ogni stelo d’erba appariva staccato, così le venaturedelle foglie e dei petali. Vedeva Stubbs, il giardiniere,

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venir lungo il sentiero, e avrebbe potuto contare i botto-ni sulle sue ghette; vedeva Betty e Prince, i cavalli datiro, e mai aveva visto tanto chiara la stella bianca infronte a Betty, e i tre crini più lunghi degli altri nellacoda di Prince. Nel cortile quadrato, le vecchie muragrigie della casa erano chiare come una fotografia nuo-va; e si udiva l’altoparlante condensare sulla terrazzauna melodia di danza che a Vienna la gente ascoltavanel gran vano sontuoso di velluti rossi dell’Opera. Tesafino a spezzarsi dall’attimo presente, ella provava altresìuno strano timore, come se, ogni volta che l’antro deltempo si apriva per lasciar adito a un nuovo secondo,con esso dovesse incombere su di lei un nuovo pericolo.Quella tensione era troppo inesorabile, troppo severa perpoterla sopportare a lungo; e Orlando mosse, più viva-cemente di quanto non volesse, quasi le sue gambe simuovessero da sole, verso il giardino, e tosto si trovònel parco. Qui, con un grave sforzo si costrinse a fer-marsi davanti alla bottega del carradore; e rimase immo-bile, a osservare Joe Stubbs che lavorava a una ruota dacarretto. Era ancora là, in piedi, gli occhi fissi sullamano di lui, quando il quarto suonò, e la passò da partea parte come una meteora, così infuocata che dita umanenon avrebbero potuto trattenerla. Con tanta chiarezza,che ne fu rivoltata, ella vedeva che al pollice destro diJoe un’unghia mancava; al posto suo c’era una escre-scenza di carne rosea. Quella vista era così repulsiva cheper un istante Orlando si sentì vicina a svenire, maquell’attimo di oscurità che le procurò lo sbatter delle

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venir lungo il sentiero, e avrebbe potuto contare i botto-ni sulle sue ghette; vedeva Betty e Prince, i cavalli datiro, e mai aveva visto tanto chiara la stella bianca infronte a Betty, e i tre crini più lunghi degli altri nellacoda di Prince. Nel cortile quadrato, le vecchie muragrigie della casa erano chiare come una fotografia nuo-va; e si udiva l’altoparlante condensare sulla terrazzauna melodia di danza che a Vienna la gente ascoltavanel gran vano sontuoso di velluti rossi dell’Opera. Tesafino a spezzarsi dall’attimo presente, ella provava altresìuno strano timore, come se, ogni volta che l’antro deltempo si apriva per lasciar adito a un nuovo secondo,con esso dovesse incombere su di lei un nuovo pericolo.Quella tensione era troppo inesorabile, troppo severa perpoterla sopportare a lungo; e Orlando mosse, più viva-cemente di quanto non volesse, quasi le sue gambe simuovessero da sole, verso il giardino, e tosto si trovònel parco. Qui, con un grave sforzo si costrinse a fer-marsi davanti alla bottega del carradore; e rimase immo-bile, a osservare Joe Stubbs che lavorava a una ruota dacarretto. Era ancora là, in piedi, gli occhi fissi sullamano di lui, quando il quarto suonò, e la passò da partea parte come una meteora, così infuocata che dita umanenon avrebbero potuto trattenerla. Con tanta chiarezza,che ne fu rivoltata, ella vedeva che al pollice destro diJoe un’unghia mancava; al posto suo c’era una escre-scenza di carne rosea. Quella vista era così repulsiva cheper un istante Orlando si sentì vicina a svenire, maquell’attimo di oscurità che le procurò lo sbatter delle

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sue palpebre bastò a sollevarla dall’angosciosa oppres-sione del presente. C’era qualcosa d’insolito nell’ombrache gettava quel vibrare, qualcosa su cui (ognuno potràconstatarlo da sé; basta che alzi gli occhi al cielo) tre-miamo di conficcare uno spillo con un’etichetta, la qua-le rechi scritto “bellezza”, poiché è un’ombra che nonha corpo, un’ombra senza sostanza né caratteri partico-lari; eppure, essa ha il potere di trasformare qualsiasicosa con cui si fonda. Quell’ombra, mentre le palpebredi Orlando sbattevano in quell’istante di semicoscienza,là davanti alla bottega del carpentiere, ora s’insinuò, e,fondendosi alle innumerevoli impressioni che ella avevaricevuto sino ad allora, le compose in un tutto compren-sibile e armonioso. “Sì” pensò ella con un profondo so-spiro di sollievo, mentre si allontanava dalla bottega e siavviava ad ascender la collina “posso ricominciare a vi-vere. Eccomi sulle rive della Serpentina, e la barchettasi fa strada attraverso il bianco portico di mille morti.Sono alla vigilia di comprendere...”

Tali erano le sue parole, ed ella le pronunciò distinta-mente, ma non possiamo negare che, ora, guardasse conindifferenza grande alla realtà dei fatti esteriori; e cheavrebbe potuto scambiare una pecora per una mucca, oun certo vecchio Smith per un tale che si chiamava Jo-nes, e che non aveva nulla a che fare con lui. Quell’atti-mo di ombra causato da un pollice senz’unghia s’era ap-profondito, e proiettava al fondo del suo cervello (cioè,nel luogo più celato a ogni visione) uno stagno, dove lecose nuotavano in un’oscurità così fitta che appena era-

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sue palpebre bastò a sollevarla dall’angosciosa oppres-sione del presente. C’era qualcosa d’insolito nell’ombrache gettava quel vibrare, qualcosa su cui (ognuno potràconstatarlo da sé; basta che alzi gli occhi al cielo) tre-miamo di conficcare uno spillo con un’etichetta, la qua-le rechi scritto “bellezza”, poiché è un’ombra che nonha corpo, un’ombra senza sostanza né caratteri partico-lari; eppure, essa ha il potere di trasformare qualsiasicosa con cui si fonda. Quell’ombra, mentre le palpebredi Orlando sbattevano in quell’istante di semicoscienza,là davanti alla bottega del carpentiere, ora s’insinuò, e,fondendosi alle innumerevoli impressioni che ella avevaricevuto sino ad allora, le compose in un tutto compren-sibile e armonioso. “Sì” pensò ella con un profondo so-spiro di sollievo, mentre si allontanava dalla bottega e siavviava ad ascender la collina “posso ricominciare a vi-vere. Eccomi sulle rive della Serpentina, e la barchettasi fa strada attraverso il bianco portico di mille morti.Sono alla vigilia di comprendere...”

Tali erano le sue parole, ed ella le pronunciò distinta-mente, ma non possiamo negare che, ora, guardasse conindifferenza grande alla realtà dei fatti esteriori; e cheavrebbe potuto scambiare una pecora per una mucca, oun certo vecchio Smith per un tale che si chiamava Jo-nes, e che non aveva nulla a che fare con lui. Quell’atti-mo di ombra causato da un pollice senz’unghia s’era ap-profondito, e proiettava al fondo del suo cervello (cioè,nel luogo più celato a ogni visione) uno stagno, dove lecose nuotavano in un’oscurità così fitta che appena era-

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no percepibili. Orlando immerse il suo sguardo in quellostagno, in quel mare che ogni cosa riflette; c’è chi diceche tutte le nostre passioni più violente, e l’arte, altronon siano se non ciò che noi vediamo riflettersi in queltenebroso e supremo recesso del nostro cervello, quandoil mondo visibile, per qualche ragione, si trova a essereoscurato. Orlando guardò a lungo, intensamente, pro-fondamente, e subito il sentiero tra le felci che conduce-va al sommo della collina perdette un po’ del suo esseredi sentiero, e diventò, in parte, la Serpentina; e i cespu-gli diventarono, in parte, signore e signori seduti conportabiglietti e canne dal pomo d’oro tra le mani; e lepecore furono, in parte, le alte case di Mayfair; ognicosa, insomma, era in parte un’altra cosa, come se anchelo spirito di Orlando fosse diventato una foresta sparsadi radure; le cose si avvicinavano, si scostavano, si riu-nivano e si separavano formando le più strane assimila-zioni e combinazioni in un’incessante scacchiera di lucee ombra. Orlando avrebbe dimenticato il tempo, se Ca-nuto, il levriero, non si fosse messo dietro un coniglio, enon le avesse rammentato che dovevano esser vicine lequattro e mezzo: in realtà, erano le sei meno ventitré mi-nuti.

A svolte, a meandri il sentiero delle felci saliva su, su,fino alla quercia che si elevava in cima. L’albero era piùannoso, più robusto, e più nodoso, da quando ella loaveva visto le prime volte, circa verso il 1588, ma eraancora nel pieno del suo vigore. Le piccole foglie daibordi increspati crescevano tuttora folte sui rami. Getta-

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no percepibili. Orlando immerse il suo sguardo in quellostagno, in quel mare che ogni cosa riflette; c’è chi diceche tutte le nostre passioni più violente, e l’arte, altronon siano se non ciò che noi vediamo riflettersi in queltenebroso e supremo recesso del nostro cervello, quandoil mondo visibile, per qualche ragione, si trova a essereoscurato. Orlando guardò a lungo, intensamente, pro-fondamente, e subito il sentiero tra le felci che conduce-va al sommo della collina perdette un po’ del suo esseredi sentiero, e diventò, in parte, la Serpentina; e i cespu-gli diventarono, in parte, signore e signori seduti conportabiglietti e canne dal pomo d’oro tra le mani; e lepecore furono, in parte, le alte case di Mayfair; ognicosa, insomma, era in parte un’altra cosa, come se anchelo spirito di Orlando fosse diventato una foresta sparsadi radure; le cose si avvicinavano, si scostavano, si riu-nivano e si separavano formando le più strane assimila-zioni e combinazioni in un’incessante scacchiera di lucee ombra. Orlando avrebbe dimenticato il tempo, se Ca-nuto, il levriero, non si fosse messo dietro un coniglio, enon le avesse rammentato che dovevano esser vicine lequattro e mezzo: in realtà, erano le sei meno ventitré mi-nuti.

A svolte, a meandri il sentiero delle felci saliva su, su,fino alla quercia che si elevava in cima. L’albero era piùannoso, più robusto, e più nodoso, da quando ella loaveva visto le prime volte, circa verso il 1588, ma eraancora nel pieno del suo vigore. Le piccole foglie daibordi increspati crescevano tuttora folte sui rami. Getta-

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tasi a terra, Orlando sentì l’ossatura dell’albero delinear-si sotto di lei, come costole che si diramassero da unaspina dorsale. Le era caro immaginarsi di essere a caval-lo del mondo, lassù. Nel movimento che fece col disten-dersi, un libriccino quadrato, rilegato in tela rossa, lecadde dalla tasca della giacca di cuoio: era il suo poemaLa Quercia.

“Avrei dovuto portare una vanga” rifletté. Le radiciapparivano scalzate fra la terra arida, tanto che Orlandodubitò di poter seppellire là il libro, come aveva sperato.E poi, forse i cani lo avrebbero dissotterrato. Questi ritisimbolici, pensò, non hanno mai fortuna. Sarebbe statopiù saggio rinunciarvi addirittura. Già aveva sulla puntadella lingua un discorsetto, che avrebbe pronunciato sullibro, sotterrandolo (era un esemplare della prima edi-zione, con le firme dell’autore e dell’illustratore). “Sep-pellisco qui quest’opera come un tributo; restituisco allanatura ciò che la natura mi ha dato” avrebbe detto; maDio mio! come diventavano subito insulse le parole, nonappena uno dava loro forma e suono! E ricordava il vec-chio Greene, che pochi giorni prima, sul palco d’onore,l’aveva paragonata a Milton (salvo la cecità) consegnan-dole un assegno di duecento ghinee. In quel momentoella aveva pensato alla quercia, lassù in cima alla suacollina; che cosa ha a che vedere con tutto questo?, s’eradomandata. Che cosa hanno a che vedere con la poesia,la lode e la celebrità? Che cosa hanno a che fare setteedizioni (a tanto era già arrivato il volume) col valoreintrinseco di un’opera? Scriver poesia non è forse una

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tasi a terra, Orlando sentì l’ossatura dell’albero delinear-si sotto di lei, come costole che si diramassero da unaspina dorsale. Le era caro immaginarsi di essere a caval-lo del mondo, lassù. Nel movimento che fece col disten-dersi, un libriccino quadrato, rilegato in tela rossa, lecadde dalla tasca della giacca di cuoio: era il suo poemaLa Quercia.

“Avrei dovuto portare una vanga” rifletté. Le radiciapparivano scalzate fra la terra arida, tanto che Orlandodubitò di poter seppellire là il libro, come aveva sperato.E poi, forse i cani lo avrebbero dissotterrato. Questi ritisimbolici, pensò, non hanno mai fortuna. Sarebbe statopiù saggio rinunciarvi addirittura. Già aveva sulla puntadella lingua un discorsetto, che avrebbe pronunciato sullibro, sotterrandolo (era un esemplare della prima edi-zione, con le firme dell’autore e dell’illustratore). “Sep-pellisco qui quest’opera come un tributo; restituisco allanatura ciò che la natura mi ha dato” avrebbe detto; maDio mio! come diventavano subito insulse le parole, nonappena uno dava loro forma e suono! E ricordava il vec-chio Greene, che pochi giorni prima, sul palco d’onore,l’aveva paragonata a Milton (salvo la cecità) consegnan-dole un assegno di duecento ghinee. In quel momentoella aveva pensato alla quercia, lassù in cima alla suacollina; che cosa ha a che vedere con tutto questo?, s’eradomandata. Che cosa hanno a che vedere con la poesia,la lode e la celebrità? Che cosa hanno a che fare setteedizioni (a tanto era già arrivato il volume) col valoreintrinseco di un’opera? Scriver poesia non è forse una

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transazione segreta, una voce che risponde a una voce?Tutte quelle chiacchiere e lodi e critiche, tutti quei di-scorsi con gente che vi ammira, e discorsi con gente chenon vi ammira, s’adattavano pochissimo alla cosa in sé:una voce che risponde a un’altra voce. Che cosa ci pote-va essere di più segreto, di più lento, di più simile a undialogar d’amanti, di quel suo balbettio di tutti queglianni, che era poi la sua risposta alla vecchia melodia,all’antica ninna nanna dei boschi e dei casolari, e dei ca-valli bruni, l’uno a fianco dell’altro fermi davanti al can-cello, e di fucine e cucine, e di campi fecondi di grano,di rape, di fieno, e di giardini rigogliosi di ireos e gigli?

Così Orlando lasciò il suo libro inseppellito, scopertosul suolo; e si volse all’ampia vista, varia, in quella sera,come il fondo del mare, ora illuminata dal sole ora offu-scata dall’ombra. Un villaggio con un campanile tra gliolmi; le cupole di un maniero grigio in mezzo a un par-co; un gioco di raggi di sole sui vetri di una serra; l’aiadi un cascinale, sparsa di covoni di frumento giallo. Icampi erano chiazzati di ceppi scuri, e dietro i campi sistendevano boschi senza fine, e poi c’era lo scintillio diuno specchio d’acqua, e altre colline. Lontanissimo, lecime dentellate di Snowdon s’intravedevano bianche frale nubi; e all’estremo orizzonte, le Alte Terre di Scozia ei flutti selvaggi intorno alle Ebridi. Orlando tese l’orec-chio, se non s’udisse un rimbombo di cannone sul mare.No: il vento soltanto ululava. Non c’era guerra, oggi.Drake era morto; morto era Nelson. “E qui” pensò Or-lando, tornando con lo sguardo, che aveva errato lonta-

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transazione segreta, una voce che risponde a una voce?Tutte quelle chiacchiere e lodi e critiche, tutti quei di-scorsi con gente che vi ammira, e discorsi con gente chenon vi ammira, s’adattavano pochissimo alla cosa in sé:una voce che risponde a un’altra voce. Che cosa ci pote-va essere di più segreto, di più lento, di più simile a undialogar d’amanti, di quel suo balbettio di tutti queglianni, che era poi la sua risposta alla vecchia melodia,all’antica ninna nanna dei boschi e dei casolari, e dei ca-valli bruni, l’uno a fianco dell’altro fermi davanti al can-cello, e di fucine e cucine, e di campi fecondi di grano,di rape, di fieno, e di giardini rigogliosi di ireos e gigli?

Così Orlando lasciò il suo libro inseppellito, scopertosul suolo; e si volse all’ampia vista, varia, in quella sera,come il fondo del mare, ora illuminata dal sole ora offu-scata dall’ombra. Un villaggio con un campanile tra gliolmi; le cupole di un maniero grigio in mezzo a un par-co; un gioco di raggi di sole sui vetri di una serra; l’aiadi un cascinale, sparsa di covoni di frumento giallo. Icampi erano chiazzati di ceppi scuri, e dietro i campi sistendevano boschi senza fine, e poi c’era lo scintillio diuno specchio d’acqua, e altre colline. Lontanissimo, lecime dentellate di Snowdon s’intravedevano bianche frale nubi; e all’estremo orizzonte, le Alte Terre di Scozia ei flutti selvaggi intorno alle Ebridi. Orlando tese l’orec-chio, se non s’udisse un rimbombo di cannone sul mare.No: il vento soltanto ululava. Non c’era guerra, oggi.Drake era morto; morto era Nelson. “E qui” pensò Or-lando, tornando con lo sguardo, che aveva errato lonta-

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no, sulle terre a lei vicine “qui era la mia terra, un tem-po: quel castello fra le dune era mio e mia tutta la bru-ghiera che arriva fin quasi al mare.” In quel mentre ilpaesaggio (forse una illusione ottica prodotta dalla lucedel giorno morente) si animò, si sollevò, scossel’ingombro di case, castelli e boschi lungo i fianchi aforma di tenda: e i monti brulli di Turchia si innalzaronodi fronte a Orlando. Mezzogiorno rutilava. Ella guardòdritto al fianco del monte arso di sole. Le capre, ai suoipiedi, brucavano le zolle sabbiose. Un’aquila si libròalta sul suo capo. Rauca gracchiava vicino a lei la vocedi Rustum, del vecchio zingaro: “Che cos’è la vostra an-tichità, la vostra razza, che cosa sono i vostri beni, se liparagonate a questo? A che vi servono le vostre quattro-cento stanze, e i coperchi d’argento sui vostri piatti, e lecameriere che spolverano?”.

In quel momento, il campanile d’una chiesa tintinnò,giù nella valle. Il paesaggio-tenda cadde, si sprofondò.Ancora una volta il presente si riversò su di Orlando, macon minor foga di prima, ora che la luce morente miti-gava ogni cosa, non rivelava più nulla di minuto, masolo campi brumosi, casolari in cui s’accendevano lumi,la massa assonnata di un bosco, e il ventaglio di un ri-flettore che spingeva l’oscurità avanti a sé lungo unastrada. Erano suonate le nove, le dieci, o le undici? Or-lando non avrebbe saputo dirlo. La notte era scesa, lanotte ch’ella aveva sempre avuto cara, la notte in cui iriflessi, nello stagno tenebroso dello spirito, brillano piùluminosi che di giorno. Ora non c’era più bisogno di

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no, sulle terre a lei vicine “qui era la mia terra, un tem-po: quel castello fra le dune era mio e mia tutta la bru-ghiera che arriva fin quasi al mare.” In quel mentre ilpaesaggio (forse una illusione ottica prodotta dalla lucedel giorno morente) si animò, si sollevò, scossel’ingombro di case, castelli e boschi lungo i fianchi aforma di tenda: e i monti brulli di Turchia si innalzaronodi fronte a Orlando. Mezzogiorno rutilava. Ella guardòdritto al fianco del monte arso di sole. Le capre, ai suoipiedi, brucavano le zolle sabbiose. Un’aquila si libròalta sul suo capo. Rauca gracchiava vicino a lei la vocedi Rustum, del vecchio zingaro: “Che cos’è la vostra an-tichità, la vostra razza, che cosa sono i vostri beni, se liparagonate a questo? A che vi servono le vostre quattro-cento stanze, e i coperchi d’argento sui vostri piatti, e lecameriere che spolverano?”.

In quel momento, il campanile d’una chiesa tintinnò,giù nella valle. Il paesaggio-tenda cadde, si sprofondò.Ancora una volta il presente si riversò su di Orlando, macon minor foga di prima, ora che la luce morente miti-gava ogni cosa, non rivelava più nulla di minuto, masolo campi brumosi, casolari in cui s’accendevano lumi,la massa assonnata di un bosco, e il ventaglio di un ri-flettore che spingeva l’oscurità avanti a sé lungo unastrada. Erano suonate le nove, le dieci, o le undici? Or-lando non avrebbe saputo dirlo. La notte era scesa, lanotte ch’ella aveva sempre avuto cara, la notte in cui iriflessi, nello stagno tenebroso dello spirito, brillano piùluminosi che di giorno. Ora non c’era più bisogno di

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smarrire i sensi, per guardare a fondo entro quell’oscuri-tà in cui le cose assumono forma, per vedere, entro lostagno dello spirito, ora Shakespeare, ora una fanciullain pantaloni alla russa, ora una barchetta sulla Serpenti-na, e finalmente l’Atlantico, l’Atlantico che schiaffeg-giava con le onde gigantesche i fianchi del Capo Horn.Ella guardò nel buio. Là, alto sulla cresta di un’onda,danzava il brigantino di suo marito! Saliva, saliva sem-pre più alto. Il bianco portico dalle mille morti si ergevadavanti a esso. Ah! Temerario! Sconsiderato, sempre in-tento – e a che pro? – a doppiare il Capo Horn in pienatempesta! Ma ecco... il brigantino entrava nel portico, ene usciva dal lato opposto; era salvo: finalmente!

«Estasi!» gridò Orlando. «Estasi di gioia!» E poi ilvento cadde, le acque si distesero; ed ella vide le ondeincresparsi pacifiche al chiaro di luna.

«Marmaduke Bonthrop Shelmerdine!» gridò, in piediaccanto alla quercia.

Il bellissimo nome scintillante cadde dal cielo comeuna penna dai riflessi d’acciaio. Orlando la seguì con gliocchi nella caduta ad arco, a volute, come una freccialenta che fende superba lo spessor dell’aria. Come sem-pre, egli giungeva nei momenti di morta calma; quandol’onda s’increspava appena, e la foglia ingiallita piovevalenta sul piede d’Orlando nei boschi autunnali; quandoil leopardo era immobile; quando la luna si specchiavanell’acqua e nulla si muoveva fra cielo e mare. Alloraegli giungeva.

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smarrire i sensi, per guardare a fondo entro quell’oscuri-tà in cui le cose assumono forma, per vedere, entro lostagno dello spirito, ora Shakespeare, ora una fanciullain pantaloni alla russa, ora una barchetta sulla Serpenti-na, e finalmente l’Atlantico, l’Atlantico che schiaffeg-giava con le onde gigantesche i fianchi del Capo Horn.Ella guardò nel buio. Là, alto sulla cresta di un’onda,danzava il brigantino di suo marito! Saliva, saliva sem-pre più alto. Il bianco portico dalle mille morti si ergevadavanti a esso. Ah! Temerario! Sconsiderato, sempre in-tento – e a che pro? – a doppiare il Capo Horn in pienatempesta! Ma ecco... il brigantino entrava nel portico, ene usciva dal lato opposto; era salvo: finalmente!

«Estasi!» gridò Orlando. «Estasi di gioia!» E poi ilvento cadde, le acque si distesero; ed ella vide le ondeincresparsi pacifiche al chiaro di luna.

«Marmaduke Bonthrop Shelmerdine!» gridò, in piediaccanto alla quercia.

Il bellissimo nome scintillante cadde dal cielo comeuna penna dai riflessi d’acciaio. Orlando la seguì con gliocchi nella caduta ad arco, a volute, come una freccialenta che fende superba lo spessor dell’aria. Come sem-pre, egli giungeva nei momenti di morta calma; quandol’onda s’increspava appena, e la foglia ingiallita piovevalenta sul piede d’Orlando nei boschi autunnali; quandoil leopardo era immobile; quando la luna si specchiavanell’acqua e nulla si muoveva fra cielo e mare. Alloraegli giungeva.

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Tutto taceva, ora. Mezzanotte era vicina. La luna sor-se lenta sulla foresta. La sua luce costruì in terra un ca-stello fantasma. Là s’innalzava la grande casa con tuttele sue finestre; argento solo l’ammantava, non mura,non sostanza alcuna. Tutto non era che fantasma. Tuttoera silenzio. Tutte le luci brillavano, come in attesad’una Regina defunta. Laggiù ai suoi piedi, nel grancortile d’onore, Orlando vide oscillar pennacchi neri, etorce tremolare, e ombre inginocchiarsi. Come già untempo, una Regina scendeva dal suo cocchio.

«La casa è vostra, Signora!» le gridò Orlando, inchi-nandosi con profondo rispetto. «Nulla è mutato. Il de-funto Lord, mio padre, vi farà strada.»

Mentre ella parlava, batté il primo colpo di mezzanot-te. La fresca brezza del presente le alitò in viso il suopiccolo brivido di paura. Ansiosa, Orlando levò gli oc-chi al cielo. Era scuro, ora, e rannuvolato. Il vento lesoffiava all’orecchio. Ma nel rombo del vento, ella udìun rombo d’aeroplano che si avvicinava.

«Qui! Shel, qui!» gridò ella, denudando alla luna (chein quel momento ricompariva vivida) il seno, dove lesue perle brillavano come le uova di un enorme ragnolunare. L’aeroplano uscì di tra le nubi, planò sul capo diOrlando, aleggiò intorno a lei. Nell’ombra le perle ave-vano barbagli, fosforescenze.

E quando Shelmerdine – questa volta s’era fatto unbel marinaio, bruno, colorito in volto, e robusto – balzòa terra, oltre il suo capo s’alzò a volo un uccello selvati-co.

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Tutto taceva, ora. Mezzanotte era vicina. La luna sor-se lenta sulla foresta. La sua luce costruì in terra un ca-stello fantasma. Là s’innalzava la grande casa con tuttele sue finestre; argento solo l’ammantava, non mura,non sostanza alcuna. Tutto non era che fantasma. Tuttoera silenzio. Tutte le luci brillavano, come in attesad’una Regina defunta. Laggiù ai suoi piedi, nel grancortile d’onore, Orlando vide oscillar pennacchi neri, etorce tremolare, e ombre inginocchiarsi. Come già untempo, una Regina scendeva dal suo cocchio.

«La casa è vostra, Signora!» le gridò Orlando, inchi-nandosi con profondo rispetto. «Nulla è mutato. Il de-funto Lord, mio padre, vi farà strada.»

Mentre ella parlava, batté il primo colpo di mezzanot-te. La fresca brezza del presente le alitò in viso il suopiccolo brivido di paura. Ansiosa, Orlando levò gli oc-chi al cielo. Era scuro, ora, e rannuvolato. Il vento lesoffiava all’orecchio. Ma nel rombo del vento, ella udìun rombo d’aeroplano che si avvicinava.

«Qui! Shel, qui!» gridò ella, denudando alla luna (chein quel momento ricompariva vivida) il seno, dove lesue perle brillavano come le uova di un enorme ragnolunare. L’aeroplano uscì di tra le nubi, planò sul capo diOrlando, aleggiò intorno a lei. Nell’ombra le perle ave-vano barbagli, fosforescenze.

E quando Shelmerdine – questa volta s’era fatto unbel marinaio, bruno, colorito in volto, e robusto – balzòa terra, oltre il suo capo s’alzò a volo un uccello selvati-co.

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«È l’oca!» gridò Orlando. «L’oca selvatica...»E mezzanotte batté il suo dodicesimo colpo; il dodi-

cesimo colpo di mezzanotte, giovedì undici ottobre mil-lenovecentoventotto.

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«È l’oca!» gridò Orlando. «L’oca selvatica...»E mezzanotte batté il suo dodicesimo colpo; il dodi-

cesimo colpo di mezzanotte, giovedì undici ottobre mil-lenovecentoventotto.

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