Percorso formativo tra i segni, le celebrazioni, le feste e le opere dell’arte cristiana
Il giardino dei simboli:
liturgia, teologia ed arte nella cultura del cristianesimo
“Ecco lo Sposo!
Andategli incontro!” (Mt 25, 6b)
Trento, Vigilianum, 24 marzo 2017
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Signore,
fa che oggi progrediamo alla scuola della tua bontà
e diventiamo tuoi imitatori
per ritrovare in te, nuovo Adamo,
ciò che abbiamo perduto
a causa del primo Adamo.
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Introduzione
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Secondo la
sua indefettibile promessa, Cristo Signore, sempre sta presente alla sua Chiesa. Sposo
fedele, il Crocifisso Risorto, di continuo riconduce al Padre e dona l’ineffabile Grazia
che è lo Spirito Santo.
Guardando a Lui, Vincitore del peccato e della morte, la Chiesa gioisce per il dono
della salvezza e contempla, pregustandolo, il destino di vita e di gloria che l’attende
nel giorno senza tramonto.
Infatti, “Gesù nostro Signore è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe
ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rom 4,25).
La Croce, orrendo patibolo, da Lui portata e vissuta, è stata vinta e tramutata per i
figli di Adamo in segno adorabile, vivificante e divinizzante. Croce gloriosa,
gemmata, preziosa, gioiosa, vittoriosa. Albero della vita, Bilancia di salvezza, Ponte
tra cielo e terra, Trono della misericordia e della Gloria, Talamo nuziale.
Per cogliere e sperimentare tali salvifiche Realtà, ci accostiamo all’Icona liturgica del
Nymphios, lo Sposo, che a noi si rivela e chiama, come sua Chiesa e Sposa per le
nozze eterne.
Vera “opera sociale” è la liturgia, il “celebrare Gesù Cristo”. Infatti, “celebrare” non
significa ritirarsi nella quiete ombrosa delle nostre chiese, nel profumo dell’incenso,
ma “frequentare” Lui, incontrarlo e dunque fare che la sua Vita diventi la nostra e la
nostra la Sua. Di qui l’agire nuovo, vero del discepolo che chiamato a “stare con
Lui”, da Lui è inviato ad annunciare ed edificare il Regno di Dio tra i fratelli (cfr. Mc
3, 14).
Non ci inganni la superficialità dell’affermazione comune che, cioè, le sante Icone
sono “retaggio” della Chiesa d’Oriente. Siamo, invece, di fronte all’espressione della
fede, della preghiera e della teologia della Chiesa Una Santa, quando ancora non era
segnata dall’orribile sofferenza dello scisma e della divisione. Tale “modo” di
“raffigurare” il Signore e Sposo, infatti, è comune anche nelle nostre Chiese di
Occidente.
Una differenza appare per il fatto che, i critici d’arte occidentali usano definire tale
“raffigurazione” con il titolo: “il Cristo in Passione”.
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Può sembrare strana l’immagine di partenza. Ci troviamo all’ingresso della Chiesa
parrocchiale di Povo, paese posto sulla collina ad Est di Trento, un semplice elegante
portale, risalente al secolo 14°.
In altorilievo, appare allo sguardo la raffigurazione del “Cristo Sposo”; quella
appunto che critici d’arte occidentali definiscono: “il Cristo della Passione”, ma in
realtà il titolo, “Cristo Sposo”, titolo che le spetta, è sicuramente più forte, come
avremo modo di esaminare e riconsiderare.
Prima di procedere, ancora una considerazione. Questo mirabile e “semplicissimo”
portale segnava, in origine, l’ingresso principale all’aula della chiesa parrocchiale,
purtroppo nell’ampliamento della stessa, avvenuto agli inizi del secolo XX, a motivo
delle dimensioni, fu spostato e divenne un ingresso laterale che, per decenni,
trovandosi sul lato nord, rimase miseramente chiuso. La fortuna di non presentare
“barriere architettoniche” ha fatto sì che da qualche anno questa porta sia stata
riaperta e quindi utilizzata. Al termine della riflessione, potrà apparire evidente il
motivo di queste precisazioni.
L’antica Icona di Cristo Signore nel titolo di “Sposo” è realtà che percorre tutta la
storia della fede e dell’arte per la liturgia e la preghiera. Questo mostra, ancora una
volta, come non sia esatto, come accennato sopra, che l’arte dell’Icona sia solo
espressione della Chiesa orientale.
Se ancora nel secolo 14°, sulla collina di Trento e in chiese innumerevoli, il Cristo era
raffigurato così, significa che nonostante da 400 anni la divisione e la separazione
segnassero dolorosamente la Chiesa, essa aveva tuttavia conservata integra la comune
unità della fede.
Una raffigurazione che troviamo di frequente nelle nostre Chiese con delle
particolarità legate alla cultura “occidentale”: il Cristo segnato dalle percosse, dai
lividi, dal sangue che cola copioso. Rappresentazioni legate all’evoluzione della
nostra cultura, ma quanto era “matrice” di fondo è stato conservato.
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Posiamo lo sguardo sull’Icona come la consegna a noi la Tradizione della Chiesa
“Una Santa”, guardiamola per un istante mentre sfuma nel suo divenire lungo il corso
dei secoli.
Non lasciamoci ora distrarre da nulla, per non disturbare la “visione” e “l’ascolto”.
poniamo lo sguardo sulle immagini, con calma e nella quiete, proviamo ad
“ascoltare”, il Signore ci aiuti, adesso, a diventare lettori di questa Icona, che è realtà
travolgente per la nostra vita di credenti.
Disponiamoci, alla “lettura” e alla “contemplazione”. Ogni Icona, per essere
riconosciuta autentica e , quindi, leggibile, reca iscritta la Parola di Dio.
Parola che si fa visibile nello splendore luminoso dei colori. Inoltre la fedeltà nel
trasmettere i canoni della rappresentazione, che ai frettolosi risulta ripetitiva, non è
frutto di “fissità” sterile, quanto piuttosto di “fedeltà” nel trasmettere autenticamente
il “messaggio”.
Infatti, quale copista, quale amanuense, trascrivendo i Testi della Santa Scrittura
oserebbe mutarne anche solo una virgola?
Il medesimo “timore e amore” guida e accompagna “l’iconografo”, lo “scrittore” di
Icone.
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Fondo oro
L’icona è dipinta su fondo d’oro. Perché mai? Non certo per uno sfarzo disdicevole e
inutile, per uno spreco dispendioso.
La Tradizione della Chiesa, fin dalle origini, ha scelto questa materia come sfondo
delle Icone, perché l’oro è l’unico “materiale”, l’unico colore in natura che non
cattura la luce, ma la restituisce.
Sappiamo di poter contemplare e distinguere il colori per un semplice motivo: perché
i colori catturano, per così dire, la frequenza luminosa e ce ne rendono una sola
vibrazione, che il nostro nervo ottico rielabora e restituisce in quella gradazione, in
quella tinta. Invece l’oro, unico tra tutti i colori, non cattura ma restituisce la luce.
Comprendiamo che da un punto di vista del significato simbolico del segno, e l’icona
ci introduce nel mondo dei segni, nel mondo “sacramentale”, per usare un termine
caro alla patrologia antica.
Questo segno diventa il più immediato per dirci che cosa? Per dirci la Luce increata
di Dio, per dirci la luce inaccessibile di Colui che è da sempre e per sempre, e che nel
tempo ci ha chiamati ad esistere destinandoci all’eternità. Ecco perché il fondo delle
Icone è sempre d’oro.
Proprio perché ponendoci davanti a queste “finestre”, possiamo varcare, fin da ora,
con lo sguardo della fede, la soglia che separa il tempo dall’eternità.
“L’oro che nell’Icona circonda lo Sposo è il segno della trasfigurazione della realtà,
avvenuta una volta per sempre. Infatti l’oro toglie via la prospettiva, lo sfondo, il
panorama. E’ la Luce increata che emerge a fiotti verso di noi”.
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Il cartiglio della Croce
Sull’Icona, dicevamo, sta sempre la Sacra Scrittura. Su questa che stiamo
contemplando, la prima iscrizione si trova in alto. È la forma abbreviata di un
versetto del Salmo 23,7.8.9.10, citazione unica in tutta la Scrittura: “Ho Basiléus tês
Dóxes”, “il Re della Gloria”, e sta collocata nel cartiglio che sovrasta dell’Icona.
Perché e cosa significa questo titolo posto sull’Icona? E’ necessaria, qui, una breve
riflessione sul Salterio, splendido libro della Bibbia, vera agenda e fonte della
preghiera per i credenti, come una grande arpa tocca le diverse corde del cuore
dell’uomo. Questo avviene mediante diversi generi letterari a cui i singoli Salmi
appartengono. Il Salmo 23 appartiene al genere letterario dei Salmi detti: “ Liturgia”;
si cantava quando l’Arca di Dio era processionalmente portata nel Tempio.
L’Arca dell’Alleanza, segno formidabile per Israele, era la “cassa”, predisposta su
comando divino, in essa il Signore, aveva ordinato a Mosè di custodire le Tavole
della Legge, un po’ di manna e il bastone con cui era stata fatta scaturire l’acqua dalla
roccia e aperto il mar Rosso.
Questa “cassa”, arca, di legno di acacia rivestita di una lamina d’oro, era chiusa con
un coperchio recante al di sopra due figure angeliche, due cherubini, che con le ali
spiegate segnavano uno spazio vuoto nel centro. Quel coperchio era chiamato:
“Ilasterion”, in italiano: “Propiziatorio”.
Per gli antichi padri di Israele esso era lo “sgabello dei piedi di Dio”. Dio che siede
nei cieli, posa dunque i suoi piedi, dunque si fa presente, si fa vicino, si manifesta e
usa misericordia (cfr Sal 11,4).
“Propiziatorio”: il termine si spiega da solo. Quando l’Arca era introdotta nel Tempio
si svolgeva un rito, una Liturgia avvincente: le porte del Tempio erano chiuse e i
leviti portatori dell’Arca bussavano alla porta.
I sacerdoti “ostiari”, custodi della porta, dall’interno chiedevano: “Chi bussa?”.
Dall’esterno i portatori dell’Arca dicevano “Apritevi porte eterne ed entri il Re della
Gloria”. Dall’interno la domanda: “Chi è questo Re della Gloria?”. “Il Signore delle
Sabaot”, “delle schiere”, cioè “dei turni adoranti”, “del popolo” è il Re della Gloria.
In alto, su questa Icona noi troviamo scritto, che quanto, o meglio Colui, che stiamo
per vedere è il “Propiziatorio” è Colui che rende presente la misericordia salvifica di
Dio.
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La scritta nel nimbo
La seconda iscrizione: “Ho Ôn”. “Ho” è articolo, “Ôn” è il participio del verbo
essere.
Occorre rifarci al libro dell’Esodo (3,14), allorché Mosè parla con Dio che lo chiama
dal roveto, che arde e non si consuma, e gli affida il compito di andare come
liberatore del popolo.
Mosè domanda: “Ma chi sei? Non so il tuo nome”; Dio non nasconde il suo Nome:
“Io sono - il Vivente - il Signore - Ho Ôn”.
Quel Nome divino, rivelato a Mosè, ora appare sull’Icona e lo troviamo iscritto
dentro un nimbo a forma di Croce. Croce che chiaramente ci rinvia precisamente a
Qualcuno.
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Il Nome IC XC
Sull’Icona noi troviamo un'altra iscrizione. “Iêsoús Christós”. Le quattro lettere,
iniziali e finali, del nome Gesù IS: “Iêsoús” e ChS “Christós”. Questo Nome è
rivelazione. Gesù nella nostra lingua va tradotto: “Dio solo salva”.
Nell’Annunciazione infatti è stato detto: “lo chiamerai Gesù” e questo nome “Dio
solo salva”, lo troviamo collegato con:
“Christós”, nella nostra lingua: “Unto - Messia - Consacrato”.
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Il titolo: o Nymphios
Colui che contempliamo è: il Re della Gloria, Colui che è, Gesù Cristo, ma ancora ci
è indicato un titolo formidabile: “Ho Nymphios” – “lo Sposo”.
Questo titolo rinvia immediatamente alla parabola che narra del grido che risuona
nella notte: “Ecco lo Sposo uscitegli incontro” (Mt 25, 6b).
Siamo alla presenza di Colui che, venuto e Veniente, convita l’umanità alle nozze
eterne con lui.
Giovanni il Battista l’aveva segnalato, lui “l’amico dello Sposo” (Gv 3,29). Dunque
Colui che qui è nominato come “lo Sposo”, è Colui che nella notte tornerà e attende
che noi, con le lampade accese, siamo pronti e vigilanti (Lc 12, 35).
Torna così alla mente quanto ogni anno avviene nelle nostre chiese nella Domenica
dopo la prima lune di primavera, nella Veglia formidabile della Risurrezione, allorché
un lume acceso è portato dal buio della notte nell’aula della nostra Parrocchia e
ciascuno da quel lume, come le Vergini prudenti, attinge luce per la sua lampada,
perché lo Sposo viene e dobbiamo essere pronti ad andargli incontro (Mt 25, 6b).
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Il Volto
Ora che abbiamo accolto e compreso “la Parola”, le iscrizioni poste sull’Icona, è
tempo di incominciare a “leggere” e contemplare, nella bellezza del colore, quanto la
fede nella Chiesa e la sapienza dell’iconografo hanno scritto.
Necessariamente il punto di partenza è il Volto, infatti, da sempre nella storia della
Chiesa e delle Icone, la principale Icona di Cristo è proprio quella del suo Volto.
Il volto umano di Gesù, che rivela la Divina Persona. Del resto anche nelle relazioni
tra noi quando incontriamo una persona, per prima cosa la guardiamo in faccia; dal
volto conosciamo il nostro interlocutore.
Dal volto noi comprendiamo con chi abbiamo a che fare. Proviamo a guardare questo
Volto, che è il Volto dell’Adamo nuovo. Il Volto di Colui che rivela l’Invisibile
Padre che è nei cieli: “Chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 9).
E’ il Volto di Uno che sta dormendo. Come il vecchio Adamo si addormentò nel
sonno creatore, così il Nuovo Adamo lo vediamo nel sonno, e il suo Volto sta chino
nel segno dell’accettazione: “Tutto è stato compiuto” (Gv 19,30), sono le ultime
parole che il Cristo pronuncia sulla Croce.
Tutto “è stato compiuto”, dal Padre chiaramente, e il Figlio nell’atteggiamento
dell’obbedienza, china il capo e rende al Padre lo Spirito, perché glielo ridia nella
gloria della Resurrezione.
Ecco dunque questo Volto chino nell’atteggiamento dell’obbedienza mentre appare
ormai dormiente.
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Gli occhi
Quale sonno è quello di Cristo? I suoi occhi sono chiusi; la sua bocca è serrata,
perché ormai quella bocca ha detto tutto quello che doveva dire e quella bocca ha
donato tutto quello che doveva donare.
La bocca
“Chinato il capo rese lo Spirito” (Gv 19,30): ha alitato lo Spirito e quella bocca
dunque sigillata ora è nella attesa di ricevere nuovamente dal Padre il Dono dello
Spirito della Resurrezione, per effonderlo sui suoi Discepoli, sulla sua Chiesa (Gv 20,
21-22).
Ma quella bocca che noi vediamo chiusa, dovette dolorosamente dire, nel momento
della Passione, “Tutto è compiuto” (Gv 19.30), e “Dio mio Dio mio perché mi hai
abbandonato” (Sal 22,1).
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Il Corpo
Ora possiamo soffermarci a contemplare il Corpo, la Figura del Corpo del Signore. Il
Segno divino per noi.
Il Profeta Isaia, profetizzando sul Servo Sofferente del Signore scrisse così, secoli e
secoli prima: “Egli è stato trafitto dai nostri crimini, è stato colpito per i nostri
peccati. La punizione, che è salvezza per noi, è caduta su di lui e nelle sue piaghe sta
la nostra guarigione” (Is 52,13-53,12).
Nel Corpo del Signore noi contempliamo l’ineffabile mistero della Trinità Santa
Indivisa, perché mediante quel Corpo, che è il Corpo dell’Unigenito, il Padre si
manifesta e lo Spirito è donato.
Al Padre, infatti dice la Scrittura, entrando nel mondo il Cristo ha detto: “Sacrificio e
Offerta tu non gradisci, un corpo mi hai preparato, ecco io vengo o Dio per fare la
tua volontà” (Eb 10, 7). Allora guardando questo Corpo noi contempliamo la
“Carne” assunta nel Grembo verginale di Maria ad opera di Spirito Santo (Gv 1,14).
Dunque Corpo di sacrificio, Vittima di offerta, Corpo sacerdotale, Altare del nostro
riscatto. Questo Corpo è quello veduto dagli uomini contemporanei, di Galilea, di
Samaria e di Giudea, mentre camminava, “nella pienezza dei tempi”, annunciando
agli uomini il Regno di Dio (Gal 4,4; At 10,38); “beneficando e sanando tutti coloro
che erano prigionieri del male (Prefazio comune VIII).
Questo Corpo è quello che, come Lui ha promesso, si fa nostro Cibo nei segni del
Pane e del Vino.
Di questo Corpo, Pilato beffardo disse: “Ecco l’Uomo” (Gv 19,5). Lo presentava,
percosso, umiliato, straziato davanti ad una folla assetata di sangue: “Crocifiggilo”
(Gv 19,6). “Ecco l’uomo” - “l’Adam”, nella lingua materna di Gesù.
Ecco “l’Adamo” nuovo e beffardo, Pilato, non sapeva in realtà di profetizzare.
Qui davvero è l’Uomo, il Primogenito (Rom 8,29); Colui che riscatta tutti i fratelli e
per beffa su questo Corpo dell’Adam era stata posta una corona di spine, una porpora
stracciata, una canna tra le mani.
Ecco l’Uomo, e continuando Pilato aveva aggiunto: “Ecco il vostro Re” (Gv 19,14). E
credeva ancora di deridere, non sapendo, invece di profetizzare. Sì!: “Ecco il vostro
Re” (Gv 19,14).
“Lo chiamo Re, perché lo vedo crocefisso”, diranno i padri. E ancora: “Dal legno
regnò Dio”. Ecco il Re che avanza mite, che non spaventa, che non opprime, il Re
che redime e salva.
Di questo Corpo, infine, Giovanni il Battista aveva detto: “Ecco l’Agnello di Dio che
toglie (che porta su di se) il peccato del mondo” (Gv 1,36).
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“Ecco “l’Agnello di Dio”, “táljâ”, il termine nella lingua materna del Signore; un
termine che possiamo tradurre con ricchezza sorprendente e abissale di significati.
Significa infatti questo termine “táljâ”: Agnello Figlio Servo Pane.
“Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1,36) e questa realtà la troviamo tutta realizzata in: un
Agnello, il Figlio, il Servo, il Pane della nostra salvezza.
Infine di questo Corpo noi possiamo dire “Ecco lo Sposo uscitegli incontro perché
viene per le nozze eterne” (Mt 25,6b).
Lo Sposo dunque è pronto per la sua Sposa, ma noi dobbiamo proseguire la lettura,
ed ecco infatti, il “segno” formidabile che forse non avevamo neppure notato per la
sua delicatezza.
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Il Costato
Quel piccolo tratto, una pennellata appena di rosso e di bianco: Sangue ed acqua.
E qui si disvela il senso dell’Icona.
L’evangelista Giovanni, l’unico dei discepoli che stava ai piedi della Croce (Gv
19,25-27), narrando i momenti della morte del Signore racconta anche i fatti che
seguirono. Ci dice che: “Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: ‘E’ compiuto!’. E,
chinato il capo, consegnò lo spirito” (Gv 19,30). Ma poi ci narra anche un altro fatto,
purtroppo comunissimo a quell’epoca (e tristemente in ogni epoca): il “colpo di
grazia” dato ai morti (Gv 30,34).
Quante volte nella storia si è realizzato questo macabro rituale.
Avevano chiesto a Pilato di rimuovere quei corpi perché si avvicinava la Festa grande
e Pilato dà ordine di toglierli dalla vista; le mura della città erano prossime. Allora
vengono i soldati e spezzano le gambe ai due crocifissi con Cristo, affinché l’agonia
sia rapida e muoiano in fretta per soffocamento.
Ma, venendo da Gesù e vedendo che era già morto, non gli ruppero le gambe, tuttavia
il colpo di grazia non è risparmiato neppure a Lui.
Un soldato con la lancia gli trafisse il costato e qui Giovanni l’Evangelista sembra
perdere la calma, perché, cito testualmente, l’Evangelista, a questo punto scrive:
“Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma
uno dei soldati con la lancia gli colpì il fianco e subito ne uscì sangue e acqua. Chi
ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; ed egli sa che dice il vero
perché anche voi crediate” (Gv 19, 33-35).
Che cosa ha visto Giovanni per essere così accorato, così insistente sui termini: Vero
- Verità - Testimonianza?
La tradizione della Chiesa antica chiama Giovanni col titolo formidabile di “Ho
theologos”, Giovanni “il Teologo”.
Si! Perché è colui che “legge” e “dice” il Mistero di Dio, qui Giovanni, in quel segno,
vede adempiersi la profezia che stava celata nella creazione della donna (Gen 2,21-
22).
Ricordiamo come Dio fece addormentare Adamo nel giardino? Dal costato di Adamo
dormiente trasse Eva la sposa (Gen 2,21-22).
“Figura”, profezia mirabile, che Giovanni vede adempiersi qui, nel Corpo trafitto
dell’Adam, del Primogenito tra i molti fratelli (Rom 8,29).
Percosso dalla lancia, nel segno del Sangue e dell’Acqua, l’Economia sacramentale
che salva e redime, vede nascere la Sposa, la Chiesa.
S. Agostino commenterà: “Dal Costato del Cristo dormiente sulla Croce, è nato il
grande mistero di tutta la Chiesa” (cfr SC 7).
Ecco dunque il Costato che rivela a noi lo Sposo.
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Le mani piagate
Per un attimo ci soffermiamo sulle mani: le mani legate, le mani che si presentano e
stanno come quelle dell’antico Isacco e che Abramo aveva legato sulla pira per
offrirlo in sacrificio a Dio (Gen 22, 9-10).
Dio aveva slegato quelle mani, quel “figlio”, quel “diletto” di Abramo (Gen 22,11-
12); ma Dio, il Padre, tollera ed accetta che suo “Figlio” il suo “Diletto” sia l’Isacco
che non è risparmiato da noi (Rom 8,32).
Quelle mani recano in eterno il segno delle piaghe (Gv 20,20). Quelle piaghe, che
noi, con stupore pieno d’amore, contempleremo quando varcata la porta del tempo lo
incontreremo, lì sulla soglia dell’eternità e ci mostrerà il prezzo del suo amore per il
Padre e per noi.
Quelle stigmate indelebili dell’Agnello, che sgozzato “sta ritto in piedi” (Ap 5,6)
perché vincitore del peccato e della morte.
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La Croce
Uno sposo non può stare senza il suo talamo, ed ecco infatti che l’Icona, anche questo
ci mostra: “il Talamo Nuziale di Cristo è la sua Croce” dalla quale la Chiesa Sposa è
nata (Gv 19,34). Quella Croce che custodisce la memoria dei chiodi che hanno trafitto
il Corpo dell’Adamo nuovo e da ultimo il “Sepolcro”.
Il Sepolcro
Sepolcro che appare qui non più come tomba terribile e amara, dove l’uomo trova la
sua fine, ma si mostra quale trono regale, vero “ambone liturgico” da cui è
annunziata la Vita (Gv 20, 11-17).
Appare come Trono del grande Re, come pure la Croce, come Luogo da cui risuona
continuamente il dono della salvezza per noi.
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Gli Angeli
Infine sull’icona stano due Angeli nell’atteggiamento dello stupore e della
adorazione. Si vede una mano a coprire la bocca nell’indicibile stupore, mentre l’altra
ad indicare: è il gesto dello meraviglia di chi non sa più dire. Come avviene, di
regola, di fronte a cose che ci sorprendono: La mano corre alla bocca e l’altra indica.
Gli angeli guardano attoniti
il supplizio della croce,
da cui l'innocente e il reo
salgono uniti al trionfo.
(Inno, Uff. Lett. T.P.)
Questi cherubini che avevano contemplato l’Unigenito eternamente generato da Dio.
L’avevano visto farsi Uomo, l’hanno visto crescere nella normalità della Vita umana,
l’hanno visto parlare agli uomini, l’hanno visto umiliato, percosso, flagellato,
crocifisso, l’hanno visto deposto nel sepolcro.
L’indicibile stupore della creatura angelica che partecipa al Mistero dello Sposo.
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Fondo oro - La Sposa
E’ evidente che, se c’è lo Sposo, la Sposa deve apparire a sua volta, allora al di là
della luce dell’oro, l’Icona diventa piena e vera solo se davanti si pone un orante.
Se davanti ci stiamo noi, singoli o comunità, e noi, lo Sposo lo incontriamo ogni
Domenica nel dono del Pane spezzato nella Coppa versata: “venitegli incontro ecco
lo Sposo” (Mt 25,6b).
L’Icona trova il suo senso, il significato, nel fatto che un orante la contempla e nella
preghiera si lascia raggiungere dal Mistero contemplato. Celebrare dunque l’incontro
e guardare, nel corso dei secoli, questa teologia, che abbiamo cercato di recuperare
rapidamente, perché ci vorrebbe molta più calma. Nell’Icona del “Nymphios”
troviamo scandita tutta la storia della fede e dell’arte.
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Lo Sposo
Ascoltiamo ora l’“Ave verum”, musicato da Mozart. Siamo partiti da questa Icona,
che ci riporta ai primi secoli della cristianità. L’abbiamo vista ripercorrere la storia;
abbiamo visto l’altorilievo del 14° secolo, adesso, prima di giungere al nostro tempo,
passiamo attraverso l’epoca barocca e ascoltiamo come questa Icona è stata, se si può
dire, trasfigurata nel canto e nell’armonia:
Salve, o vero Corpo
nato da Maria Vergine
che veramente patì e fu immolato
in Croce per gli uomini,
dal cui fianco squarciato
come onde sgorgano
acqua e sangue.
Concedi a noi di gustarti
nella prova suprema della morte,
o Gesù dolce, o Gesù buono,
o Gesù Figlio di Maria.
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Abbiamo percorso una lunga storia, abbiamo veramente bisogno che la Luce increata
dello Spirito ci porti a contemplare e a considerare il Volto dolcissimo di Colui che è
lo Sposo.
Di Colui che ci accompagna nel tempo, di Colui che ci attende nell’eternità per essere
nostro gaudio. Varcando dunque le porte della nostra Chiesa, per l’incontro
domenicale con lui, ascoltiamo quella voce che risuona nella notte: “Ecco lo Sposo,
uscitegli incontro” (Mt 25,6b).
Sia, ogni giorno della nostra vita, slancio di fede, dono di amore, in attesa di
quell’incontro per la celebrazione delle nozze di gioia che saranno nostra festa per
l’eternità.
Benedetto nei secoli, il Signore.
LM