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Editoriale OK:Editoriale OK · Questa monografia – la terza nella storia della nostra rivista –...

Date post: 27-Apr-2020
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SPELEOLOGIA RIVISTA DELLA SOCIETÀ SPELEOLOGICA ITALIANA spediz. in abb. post. art. 2 comma 20/c Legge 662/96 aut. D.C.I. - Regione E/R ANNO XXII SETTEMBRE 2001 44 44
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SPELEOLOGIARIVISTA DELLA SOCIETÀ SPELEOLOGICA ITALIANA

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ANNO XXII SETTEMBRE 20014444

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editoriale

Speleologia 44 1

Editoriale �

SPELEOLOGIARivista della Società

Speleologica Italiana onlus

Sede Legale: Via Zamboni, 6740127 Bologna

N° 44, settembre 2001Anno XXII

Autorizzazione del Tribunaledi Bologna n° 7115del 23 aprile 2001

Codice Fiscale 80115570154P.I.V.A. 02362100378

Anagrafe nazionale ricercaL18909 LL ISSN 0394-9761

Sede della redazioneVia Zamboni, 6740127 Bologna

telefono e fax 051.250049e-mail:

[email protected]

Direttore Responsabile:Alessandro Bassi

Redazione:Francesco De Grande,

Massimo Goldoni, MarinellaGondoni, Michele Sivelli,

Alessandro Zanna

Commissione editoriale:Carla Galeazzi, MassimoGoldoni, Michele Sivelli

Progetto graficoe impaginazione:Maddalena Zenobi

Stampa:LITOSEI s.r.l. Officine Grafiche

Via Rossini, 1040067 Rastignano (BO)

telefono 051.744539

Associata alla FederazionePro Natura

Segreteria c/o ISEAVia Marchesana, 12

40124 Bologna

Associato all’Unione StampaPeriodica Italiana

La rivista viene inviata a tutti i soci SSI in regola

con il versamento delle quote sociali

Quote anno 2001: singoli £ 50.000 (euro 25,82),gruppi £ 100.000 (euro 51,65)

Versamenti inC.C.P. 58504002 intestato a

Società SpeleologicaItaliana onlus

Via Zamboni, 6740127 Bologna

Specificare la causaledel versamento

Cari lettori, il numero 44 di Speleologia è quasi per interodedicato alle ricerche speleologiche nella Valledell’Acqua Bianca, nel cuore delle Alpi Apuane.Questa monografia – la terza nella storia della nostra rivista – riporta i risultati di una esplorazione ed intende evidenziare il metodo ed il pensare che hanno reso possibiliquesti, certo eclatanti, risultati.L’informazione che colpirà maggiormente è ladimensione dell’esplorazione, ma il punto cardine,ai fini della nostra presentazione, è che i confini delcomplesso carsico qui descritto sono stati raggiuntidagli autori senza l’impiego di tecniche impattanti,in una zona già frequentata, per oltre trent’anni, da speleologi preparati, forti e consapevoli. Non occorre attraversare l’oceano per navigaremondi e non è mai scritta la parola fine in nessunodei nostri luoghi; la fantasia e l’ostinazione rendonosempre possibili impensate emozioni. Vi sonofrontiere da immaginare a noi molto vicine.

In questo numero intendiamo premiare questoapproccio, riportare dati ottenuti e raccontare il metodo rigoroso e creativo che li ha permessi.La documentazione – seria e innovativa – di una qualsiasi area carsica troverà sempre spaziosu queste pagine indipendentemente dai chilometripercorsi. Così come – e ci sforzeremo perché questo possa realizzarsi – avranno ascolto le testimonianze storiche della speleologiae l’intreccio di questa con il mondodell’immaginario. La speleologia è un gioco deldomino dove ogni esploratore aggiunge tessere.Percorrendo, immaginando, documentando.

Parleremo anche di tecnica speleologica, di protezione dell’ambiente, di leggi in materia, di quanto accade e si progetta in Italia e all’estero,di parchi carsici, di mostre e di convegni. Ci piacerebbe molto poter realizzare ancheinchieste, approfondite e partecipate, sulla gestionedelle grotte turistiche, sull’insegnamento della speleologia, sul modo di comunicare della speleologia. Ci piacerebbe indagare nelle contraddizioni, non per facili critiche, ma per far sapere, per informare, sempre cercando di essere credibili e, perché no, utili. Molto dipende dai contributi che ognuno di voi saprà darci, dagli stimoli e dai suggerimenti.Vogliamo essere una seria cassa di risonanza, non di polemiche, ma di idee.

E, per chiunque si chieda, in questo momento, cosa è la rivista Speleologia la risposta è sempre la stessa: uno strumento di comunicazione degli speleologi, aperta al mondo e del mondopartecipe, capace di creare memoria, anticiparepossibilità e perché no, continuare a far viverel’incredibile sogno di poter raggiungere luoghi che ancora non si conoscono.

La Redazione

E’ abbastanza sottile, a volte assai scivoloso, il confine che vorremmo ci separasse dalla quoti-dianità, dall’incedere degli eventi che preferiremmonon interferissero con la nostra attività di speleologi.L’obiettivo di portare al mondo la Speleologia, con tutti i suoi valori, non ci permette di estraniar-ci da ciò che accade nel mondo. I valori, anchemorali, e le aspirazioni che ci legano in associazio-ne nazionale debbono essere diffusi anche oltre lo specifico dei nostri interessi. Per questo non èda tacere la nostra negazione di ogni violenza, nel momento stesso in cui ci stringiamo ad abbrac-ciare idealmente chi l’ha subita e la sta subendo. Siamo nel mondo e il mondo è fatto anche da noi. Andiamo costruendo una associazione semprepiù forte e credibile, certi di contribuire all’ulterioresviluppo della Speleologia italiana. Il nostro valoree ruolo nel mondo è universalmente riconosciutonon solamente perché gli speleologi italiani sonopersone serie, capaci e progettuali, ma in partico-lare perché sanno condividere obiettivi, innanzitutto confrontandosi con gli altri. Dobbiamo man-tenere questo status, nei fatti, ma non possiamodimenticare i piccoli passi del quotidiano.

L’anno che fra poco comincerà rappresenta unaoccasione imperdibile per consolidare e dare corpoa quell’idea di “apertura verso il mondo esterno”che è la base del programma di lavoro che aveteappoggiato delegando questo Consiglio Direttivo.La Giornata Nazionale della Speleologia, quindi,deve diventare l’evento centrale di tutta la speleo-logia italiana per il 2002, senza eccezioni né defe-zioni: il successo dipende da quello che ognuno dinoi saprà donare, per questo, alla speleologia.Assesteremo, definitivamente, il complesso mecca-nismo delle assicurazioni speleo, infortuni e rct.L’esperienza del passato, con momenti difficili perla Società, è servita per offrire un servizio ancorpiù adatto alla nostra complessa realtà associativa.

C’è da dare corpo e sostanza al ruolo e alla fruibilità del Catasto Nazionale delle Grotte e a quello delle Cavità Artificiali, ci sono da ripensa-re i modi di proporre la didattica e le scuole di speleologia proseguendo nell’interazione tra lediverse scuole, c’è da costruire un rapporto di inte-razione tra grotte turistiche e speleologia che qualifichi seriamente l’offerta turistica nei terminipropri dell’educazione ambientale. E ci sono da progettare incontri speleo, nazionali e interna-zionali, che siano veicolo di dialogo della speleolo-gia verso il mondo grande, oltre che splendide eimperdibili occasioni di dialogo e programmazionedi attività tra speleologi. Anche per questo è bello cominciare a discutere l’idea di organizzareun incontro in ambito europeo. E’ vero: “non è mai è scritta la parola fine in nes-suno dei nostri luoghi. Vi sono frontiere da immagi-nare a noi molto vicine”.

Il Presidente Mauro Chiesi

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Ventimila metrisotto i marmi

Questo è il lungo racconto di un’idea nata tanti anni fa, quando le grotte erano abissi ed avevano un inizio ed una fine. Oggi che abbiamo smesso di inseguire solo l’acqua, è sempre lei a farsi beffe di noi e a sconvolgere le nostre convinzioni, le nostre teorie.

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� Carcaraia

Nel cuore delle Alpi Apuane c’èuna montagna che da oltretrent’anni attrae l’interesse degli

speleologi: è il Monte Tambura, possen-te elevazione marmorea, che al pari dialtri monti apuani non manca di sprigio-nare una malia frutto del contrasto tra unambiente di singolare bellezza e l’operaingegnosa e perpetua del devastantelavoro umano. Cavatori discreti e labo-riosi che da secoli si dedicano all’aspor-tazione e al trasferimento nei più dispa-rati luoghi del mondo di pezzetti squa-drati e quasi perfetti di Alpi Apuane.Gente che ci guarda dallo scenario irrea-le di un immenso cantiere a cielo apertoe chissà che pensa di noi. Gente cheinesorabilmente devasta per vivere oforse anche per arricchirsi. Chi lo sa chepensare di loro.Negli ultimi otto anni la Tambura si è affac-ciata con prepotenza, e forse ben oltre lepiù azzardate aspettative, agli onori dellecronache speleologiche ed è diventata,agli occhi dei più, la Montagna delBengodi, dove le grotte nel volgere di pocosi trasformano in vuoti interminabili.Ora, goffamente e col nostro consuetoritardo, proviamo a fissare alcuni capi-saldi raccontando un viaggio iniziatomoltissimi anni fa da una sorgente a duepassi dal mare e arrivato, per ora, pro-prio dall’altra parte della montagna.

Inseguendo le vie dell’acqua Gianni Guidotti, Valentina Malcapi

Gruppo Speleologico Fiorentino C.A.I. dal Frigido a

Parole chiave • Idrogeologia, Carca raia, Abisso Saragato, Bucadell’Aria Ghiaccia, Abisso Mani Pulite, Buca del Panné, Val Serenaia,marmi dolomitici, grezzoni, livello piezometrico, sorgenti, Catastodelle Grotte della Toscana

Riassunto • L’articolo, nella prima parte, inquadra geograficamentel’area di ricerca che si trova all’interno della catena montuosa delleAlpi Apuane nella Toscana nord occidentale. La zona oggetto dellavoro è denominata alta Valle dell’Acqua Bianca ed è una dellenumerose aree carsiche di questo frastagliato gruppo montuosoche accoglie alcune delle grotte più estese e profonde dellapenisola. Nella seconda parte dell’articolo viene narrata la storiadelle esplorazioni che hanno avuto inizio nel lontano 1966 ed in

particolare vengono riportate in maniera dettagliata le vicende chedal ‘93 ad oggi hanno portato alla scoperta di diramazionilunghissime e profonde in grotte già note da anni.

Abstract • The first part of this article geographically defines our areaof interest, which is the mountain chain of the Apuan Alps in north-westtuscany. The area object of our studies is called alta Valle dell’AcquaBianca, one of the many carsic area of this uneven mountain range,where you can find some of the longest and deepest caves of ourpeninsula. The second part of the article tell us about of the history ofthe explorations which started in the far 1966, with a particular atten-tion to those one that dating from 1993 led to the discovery of extre-mely long and deep extensions in already well known caves.

� Versante nord del Monte Tambura (Carcaraia)visto da Foce Cardeto. Sullo sfondo, il MonteRoccandagia. (Foto S. Bettini)

�Pagina precedente. Veduta dell’alta valledell’Acqua Bianca dal Passo della Focolaccia.(Foto S. Bettini)

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Carcaraia �

Inquadramento geografico

La Tambura è ubicata sul versante nordorientale della catena montuosa delleAlpi Apuane e più precisamente nel set-tore centro settentrionale. L’area che glo-balmente è indicata come alta Valledell’Acqua Bianca, è racchiusa fra i montiRoccandagia, Tambura, Cavallo e Pisa-nino, che sono alcune delle elevazionipiù importanti della frastagliata catenaApuana.La parte più rilevante in termini di super-ficie è rappresentata dal versante setten-trionale del M. Tambura (1890 m) che,insieme al M. Cavallo (1895 m), costitui-sce un tratto dello spartiacque principaledella catena formando una cresta impo-stata grossolanamente sulla direttrice SENW. Alle due estremità di questa lungadorsale che a metà è interrotta dal Passodella Focolaccia, si staccano due spar-tiacque secondari che delimitano laricerca.La prima delle due dorsali secondariepartendo da meridione, è quella che col-lega il M. Tambura al M. Roccandagia eda seguire al M. Tombaccia e divide il baci-no idrografico dell’Acqua Bianca da quel-lo del Fiume Edron. L’altra dorsale sistacca più a N a partire dal gibboso cri-nale del M. Cavallo dove, attraverso lasingolare sagoma dei cosiddetti Zucchi diCardeto (Pizzo Altare e Pizzo Maggiore),si raggiunge il M. Pisanino. L’area così delimitata ha una superficie dicirca 2,5 km2 ed in pianta appare come

un’ampia U deformata all’in-terno della quale si riscontra-no marcate differenze altime-triche e morfologiche e quin-di, per praticità, la suddividia-mo in due settori distinti.

A) La Carcaraia

Il versante settentrionale delM. Tambura, conosciuto an -che come Carcaraia, è unampio declivio ondulato ca -rat terizzato da un’elevataconcentrazione di doline diforma e dimensioni moltovariabili, nonché di campisolcati che non raggiungono

tra teoria ed esplorazione Equi Terme passando per la Tambura

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� Carcaraia

Ventagio nel quale degrada, ancora più da est, il ripi-do e boscoso versante del M. Tombaccia.La parte occidentale della Carcaraia si raccordainvece al Rio Ventagio nella parte centrale del suocorso.

Un altro aspetto peculiare della Carcaraia è senzadubbio rappresentato dalle notevoli quantità di detri-ti e sfasciumi che riempiono doline e consistenti por-zioni d’area, fenomeno che è probabilmente ricondu-cibile anche all’azione glaciale.Di origine più recente – e molto più inquietante – èinvece l’imponente accumulo di scarti derivanti dal-l’attività di estrazione del marmo che intasa moltaparte del Rio Ventagio e che viene scaricata a valledirettamente dal passo della Focolaccia, la cui cavaha addirittura abbassato la quota del passo stesso.Ma il lavoro di escavazione è oramai una caratteristi-ca endemica di tutta la zona tant’è che nell’area inesame si contano almeno 5 cave in coltivazione edun paio al momento inattive che comunque sono benriconoscibili non solo per l’alterazione causata al ter-

mai dimensioni ragguardevoli. Certamente la morfo-logia dell’intera Carcaraia, oltre che dai fenomenidissolutivi, è stata fortemente condizionata anchedall’azione glaciale di cui sono rimaste tracce, oltreche in Carcaraia anche nella sottostante piana diGorfigliano, vale a dire fino a circa 600 m s.l.m. La fascia di quota dove questi fenomeni carsici sonomaggiormente concentrati oscilla tra i 1800 ed i1400 m e si estende dalle pendici del Roccandagiafino al marcato solco del Rio Ventagio, che ha origi-ne poco sotto il passo della Focolaccia (Fig. 2).Questa è la zona a minor pendenza della Carcaraiaove quasi ovunque affiorano marmi e marmi dolomi-tici e dove si ha la maggior densità di forme carsicheepigee, non solo di quest’area, ma dell’intera catenaapuana. Sotto quota 1350 m il versante si inclina bruscamen-te perdendo in breve oltre 150 m di dislivello; la por-zione centrale ed orientale si raccoglie in un’ampiadepressione devastata dai lavori di escavazione delmarmo (le cosiddette cave basse di Carcaraia) edelimitata più in basso dalla parte terminale del Rio

Accessi • La via di accesso più rapida per raggiungere la Carcaraia,corre nel versante interno della dorsale Apuana.Chi proviene da nord, percorrendo la A12 Genova-Rosignano o laA15 Parma-La Spezia, deve uscire ad Aulla sulla A 15 e seguire ini-zialmente la SS 63, per poi deviare in corrispondenza delle indica-zioni per Minucciano. Da qui lungo la Provinciale si raggiunge ilpaese di Gramolazzo da cui, con ulteriore deviazione segnalata, siperviene a Gorfigliano. Da Gorfigliano si seguono le indicazioni perVagli di Sotto fino ad un evidente bivio ancora asfaltato, dove si

tiene la destra. Poco più avanti, oltre una galleria, è possibile prose-guire solo con mezzi fuoristrada. Provenendo dall’A11 Firenze-Mare si raggiunge Castelnuovo diGarfagnana seguendo la SS 445. Da qui, proseguire fino al paese diPoggio da cui si imbocca la deviazione per Vagli. Raggiunto il paese di Vaglidi Sopra, sulla destra, si stacca il bivio per Gorfigliano. Seguire questa stra-da, ignorando il bivio per Campocatino, finchè non si incontra la primastrada sulla sinistra in salita che conduce alla galleria da cui parte la mar-mifera.

Figura 1 - ALPI APUANE, GORFIGLIANO (LU) – Inquadra mentogenerale dell’area.1- Sorgenti di Equi Terme; 2- Sorgente di Forno (Frigido); 3-Val Serenaia (Orto di Donna); 4- Alta valle dell’Acqua Bianca(Carcaraia); 5- Valle di Arnetola.

Figura 2 - ALPI APUANE, GORFIGLIANO (LU) – L’area carsicadell’alta Valle dell’Acqua Bianca.

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Carcaraia �

eleva il M. Pisanino, i cui versanti meridionali preci-pitano con marcata pendenza nel fosso dell’AcquaBianca. Nel complesso questa è una zona molto più articola-ta rispetto alla Carcaraia, ma ciò che maggiormentela distingue da quest’ultima, è la minore presenza didoline e di accumuli di detriti a favore di più ampie

ritorio, ma anche per le notevoli quantità di rottamivari e costruzioni diroccate.

B) A ovest del Rio Ventagio fino alle pendici meridionali del M. Pisanino

Questo settore è costituito dall’acclive versante NEdel M. Cavallo che degrada nel Rio Ventagio e dauna serie di valloncelli minori. A quota di 1240 m ilmarcato solco del Rio Rondegno si innesta sua voltanel Rio Ventagio.Seguendo lo spartiacque secondario verso NW si

Clima e idrografia di superficieDal punto di vista climatico tutta l’alta valle dell’Acqua Bianca ha carat-teristiche simili a quelle di altre zone della catena apuana rivolte a set-tentrione ed ubicate a quote medio alte.Si tratta cioè di un clima di tipo continentale con inverni freddi e spes-so molto nevosi tanto che la Carcaraia, poco e male esposta all’irraggia-mento solare, rimane spesso coperta di neve fino all’inizio dell’estate. Lastagione estiva è fresca e relativamente breve mentre l’autunno e latarda primavera sono in genere caratterizzate da copiose piogge tantoche la media annuale supera abbondantemente i 3000 mm di precipita-zioni, anche se il dato è relativo a stazioni di rilevamento ubicate in zonelimitrofe.Per quanto riguarda l’idrografia di superficie dell’intera area a Nord delM. Tambura, dove affiorano quasi esclusivamente rocce carbonatiche, siregistra una scarsissima circolazione idrica superficiale.In tutta l’area, ed in particolare in Carcaraia, il tasso di infiltrazione idricaè così alto che il Rio Ventagio ed il Rio Rondegno, i due corsi d’acqua piùimportanti, si attivano solo nel periodo del disgelo ed in occasione di

precipitazioni particolarmente copiose.Stante queste condizioni è tuttavia possibile effettuare una suddivisionedell’area in due diversi bacini che di nuovo rispecchiano, se pure conmaggiore approssimazione, le due aree ad est e ad ovest del RioVentagio.In particolare nella parte più orientale è presente un solco che nonmerita neppure un nome in cartografia e nel quale si raccolgono le pre-cipitazioni che si abbattono sull’area compresa tra il M. Roccandagia eduna piccola dorsale che a partire dalla cresta del M. Tambura si proten-de verso nord.Ciò che invece non si infiltra nell’area compresa tra la dorsale suddettae la foce di Cardeto fa capo alla parte alta del Rio Ventagio ed al RioRondegno che si raccordano più a valle a quota 1240 m. Altri solchi diminori dimensioni raccolgono poi le acque provenienti dai versanti piùprotesi a nord (Cresta della Mirandola) convogliandole direttamentenella bassa Valle dell’Acqua Bianca ma, anche in questo caso, solo in occa-sione di precipitazioni particolarmente intense.

� Monte Tombaccio (1371 m) e Roccandagia (1700 m). I rami alti dell’Abisso Saragato si spingono verso questecime, dove esistono ancora molte possibilità esplorative.(Foto S. Bettini)

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IL GRUPPO SPELEOLOGICO FIO REN -TINO, quando vi approdai nel 1962, eratenuto in piedi da un “Reggente” che si chia-

mava Claudio De Giuli. Come studente di geo-logia era logico che ci indirizzasse verso quelladisciplina; ma il Gruppo aveva avuto altri perso-naggi di valore, dal Dott. Aldo Berzi a BettinoLanza che per anni diresse il gruppo e lo appas-sionò alla ricerca biospeleologica. Fatto sta checon questi precedenti è naturale che anche noi,nuovi adepti, ne prendessimo un po’ il “puzzo” ela sistematicità della ricerca.Pianificammo così di visitare tutte le valli delleAlpi Apuane cominciando da quella del Frigido,poi la zona del Corchia, la Mirandola e ilPisanino, l’Orto di Donna e per finire laCarcaraia.L’Orto di Donna – ove avevamo fatto uncampo di 7 giorni nel 1965 e nel 1966 – ciaveva un po’ deluso con le sue buche subitooccluse dalla neve, tanto che a oggi rilievi emisurazioni sono ancora lì, malgrado un ulterio-re campo estivo nel 1982 e una revisione dellaposizione degli ingressi del settembre ottobre1987. Ci spostammo allora in Carcaraia.

La grotta fu individuata il 5 maggio del 1966 nelcorso di una battuta cui parteciparono GiorgioBorsier, Vittorio Prelovsek, Sergio Donati, PieroSaragato ed io. Come al solito partivamo ilsabato pomeriggio per pernottare a un casottodi cava dove non sempre le auto riuscivano adarrivare. All’uscita raramente stavamo neitempi prestabiliti e quando andava bene cena-vamo a Gorfigliano per ripartire verso la mez-zanotte e oltre. Il viaggio diventava così un’av-ventura nell’avventura.Alla grotta si arrivava seguendo alcuni puntiparticolari della conformazione della roccia e ipochi faggi presenti, in ripida salita. La primavolta la neve arrivava fin all’imbocco e subitopensammo che un eventuale ingresso fossesotto la neve, ma ci credevamo poco per lenegative esperienze in Orto di Donna, invece“...un esame più accurato delle pareti portò allascoperta di un basso anfratto quasi occluso daidetriti e dalla neve. Non era nulla di molto pro-mettente. Qualcuno provò ad infilarcisi. Vento! Sisentiva chiaramente. Faceva piegare le fiammel-le dei carburi. Una successiva strettoia angusta econtorta rendeva la corrente d’aria ancora piùevidente, ma rischiava di impedirci il passaggio,già malagevole, se solo fosse diventata ancorapoco più stretta. Le correnti d’aria preannunzia-no di solito grandi cavità, e lì c’era vento vero eproprio! Infatti poco dopo la grotta si ampliava inuna serie di salette e pozzi fino a quota -108.Qui un nuovo pozzo.” (Luciano Salvatici, 1968).Giorgio Borsier trovò la prosecuzione. La grot-ta fu battezzata Buca dell’Imprevisto.

Ritornammo la domenica successiva, rinforza-ti da Luciano Salvatici, Claudio De Giuli eGiorgio Lascialfari, per arrivare sull’orlo delPozzo Firenze. Il 19 maggio portammo nuovomateriale ma ancora insufficiente: i centometri di scale nuove di zecca penzolavano nelbel mezzo di un pozzo a campana. La diffi-coltà di trovare un buon ancoraggio e, inaggiunta, il freddo pungente, 3/4 °C, ce lofacevano sembrare poco invitante. Poi, calatele scale, trovata la cengia dopo 65 m, scesePiero Saragato che non poté fare altro cherisalire. Gli uomini erano dislocati alla som-mità dei pozzi e tra questi Luciano Salvaticiche poté meditare per ore sopra il Pozzo delVino.

Il campo estivo si tenne dal 1 all’8 agosto conbase al Rifugio Aronte. Oltre ai soliti e aLuciano Salvatici, che ci aiutò nel trasportodel materiale, c’erano Gino Porri, DinoColivicchi, Germana Vittorio e Sergio Donati;alla fine del campo tutto il materiale disponibilefu trasportato a quota -108. A casa di Paolo De Simonis, in Piazza delCarmine, costruimmo di lena altre scalette. Inun fine settimana di inizio ottobre una squadraagguerrita ci riprovò. Luciano Salvatici, Sergio Donati e Stefano Falterientrarono con tutte le nuove scale, mentreVittorio Prelovsek, Piero Saragato e Franco Utilientrarono a mezzanotte. Aggiungemmo lenuove scalette e toccò a me scendere, assicura-to dal “vecchio” Vittore. Le scale penzolavanosotto un fastidioso filo d’acqua che accompagnòla discesa fino a dieci metri dal fondo del pozzopassando dal collo agli stivali. Giunto all’ultimogradino non esultai dalla gioia: avvolto nella neb-bia che il calore del corpo con l’acqua produ-ceva intravidi una conoide detritica. Non avevoniente di meglio che una caramella di gomma ela gettai per sondarne la distanza. Con scarsorisultato. Il “vecchio” si era reso conto che miero fermato e non filò più corda. Inutile ricor-dare che si scendeva sulle scalette in cavetto diacciaio assicurati da una corda dinamica e aocchio mi sembra che si utilizzasse ancora lasicura “a spalla”, come in alpinismo, col compa-gno autoassicurato a uno o più chiodi. Dopoqualche minuto iniziai a risalire: la voce, a causadella conformazione del pozzo a imbuto rove-sciato, non arrivava molto bene di sopra e iprimi quattro o cinque metri di risalita la cordaseguì lasca, ma il Vittore si accorse presto che lacorda si allentava e velocemente la rimise intensione restituendo quella tranquillità che l’in-tesa col compagno garantiva. Disarmammotutto e, con l’aiuto di Gino Porri giunto a dareuna mano per il recupero, discendemmo a vallesotto una pioggia battente guidati via radio dal

fondovalle da Giorgio Lascialfari e GiorgioBorsier. E ancora a costruire scale!

Ma il 1966 fu anche l’anno dell’alluvione diFirenze e se non bastasse dell’incidente in cuiperse la vita Piero Saragato. Finalmente organizzammo la spedizione estivadel 1967, dal 6 al 13 agosto, Rifugio Aronte alPasso della Focolaccia come base, con LucianoSalvatici, Sergio Donati, Vittorio Prelovsek, PaoloDe Simonis, Mauro Nocentini, Laura Bortolami,Giovanni Lenzi e Vincenzo Rizzo, 340 metri discale, corde, sacchi tubolari (oggi sono un’ov-vietà, ma allora no), ricetrasmittenti (che fun-zionavano quando ne avevano voglia), e tutto ilresto che serve. Io, che come tutti i comunimortali ebbi molti problemi quell’anno, mi limi-tai a portare la chiave del rifugio passando daResceto e poi ad aiutare a disarmare assieme aPaolo Falconi.Paolo Falconi ebbe la sua iniziazione in una usci-ta alla Buca dell’Imprevisto: era amico di PaoloDe Simonis e questo gli valse una fiducia incon-dizionata senza pensare che fino ad allora nonera particolarmente allenato. Arrivò all’imboccopiù morto che vivo, ma resse l’impatto e rima-se al gruppo.Come Dio volle disarmammo portando a casaun -210, il Pozzo Firenze, allora il pozzo internopiù profondo del mondo. La profondità totaleera invece di -345 m. Fu naturale intitolare laBuca dell’Imprevisto a Piero Saragato. Tutti alGruppo avevano avuto la stessa idea.

�Ingresso dell’Abisso Saragato a 1465 mdi quota attraverso il quale i primi esplo-ratori nel 1966 raggiunsero ed esploraro-no il Pozzo Firenze. (Foto G. Guidotti)

La Buca dell’Imprevisto

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superfici ricoperte da bosco di faggio.Qui le morfologie di superficie più ricorrenti sono rap-presentate da lunghe scanalature rettilinee e solchimeandriformi a sezione semicircolare che incidono imarmi di una piccola zona – compresa tra le quote1550 e 1450 m – sulla destra orografica del RioRondegno.Sul versante orientale del M. Cavallo, ed in partico-lare tra la strada marmifera e la cresta, sono inveceassenti forme carsiche di superficie, a causa dellanatura dei litotipi affioranti, rappresentati qui da cal-cari selciferi e diaspri. Al di sotto della strada, invece,pur affiorando estesamente i marmi non sono cono-sciute grotte significative mentre sono presentinumerose fessure soffianti visibili soprattutto ininverno quando la copertura nevosa viene sciolta alcontorno della ventaiola.

In quella valle qualcosa c’è.Le prime ricerche con occhiospeleologicoPer quanto ne sappiamo, le prime perlustrazioni conintenti speleologici nell’alta Valle dell’Acqua Biancarisalgono alla metà degli anni 60 e sono da attribuireal Gruppo Speleologico Fiorentino.In quegli anni, quando l’intero massiccio apuano eraancora terreno di caccia di poche associazioni spe-leologiche, i fiorentini erano reduci dalle esplorazioninella valle di Forno, sul versante opposto della cate-na, quello marino, che risultava particolarmenteattraente soprattutto per la presenza della sorgentedel Fiume Frigido.E’ proprio per cercare di raggiungere la rete idrogra-fica sotterranea e per delimitare meglio il bacino diassorbimento della più copiosa sorgente delle AlpiApuane, che nel 1966 e 1967, il G.S.F. effettuò leprime ricerche.In quei due anni furono esplorate circa una ventina digrotte: tra queste la Buca dell’Imprevisto, dedicatapoi a Piero Saragato. A quel tempo erano ancora inuso le scale e i pozzi lunghi rappresentavano unostacolo serio: vedremo poi come quest’ultimo detta-glio abbia avuto un’importanza determinante sullescoperte recenti.I risultati di quelle due stagioni furono certamenteinteressanti ma è probabile che gli esploratori dell’e-poca non le abbiano ritenute del tutto soddisfacentinon essendo riusciti a verificare l’appartenenza diquesta area al bacino idrogeologico del Frigido.Inoltre avevano constatato quanto fosse difficilepenetrare in profondità in Carcaraia soprattutto acausa degli ingenti accumuli di detrito e di neve cheintasavano gli ingressi.Quello che è certo è che i fiorentini avevano lavoratocon una serietà ed una competenza a molti di noi oggisconosciute e avevano pubblicato, oltre che i rilievicompleti di numerose osservazioni di carattere geolo-gico, anche i dati riguardanti la meteorologia ipogea ele caratteristiche fisiche delle grotte scoperte.

Dopo queste prime ricerche i fiorentini uscirono discena attratti dalle ben più promettenti esplorazioni

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A tanti anni di distanza, in un ambiente esterno irrico-noscibile per la foresta di faggi che vi è cresciuta sopra,non può che fare piacere che altri del tuo gruppoabbiano proseguito il lavoro: non possedevamo grandimezzi e, pur avendo già allora ipotizzato che la grottadovesse avere altre vie in discesa, tanto che LucianoSalvatici lo mise addirittura per scritto, ci appagammodel risultato ottenuto. A dire la verità alcuni tentatividi spostarsi lateralmente dalla cengia a –175 ci furonoa opera di Mauro Nocentini, ma non dettero esitopositivo.Un filo lega le vecchie alle nuove esplorazioni: il puntoattuale delle ricerche è ancora un risultato di“Gruppo”, come di “Gruppo” fu il successo del 1967.Sarebbe bello che una terza generazione di speleologifiorentini riuscisse a completare il lavoro iniziato, e sebuon sangue non mente…

Franco Utili

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pi emiliani, i più assidui ed ostinati esploratori dellaCarcaraia. Già il primo an no cominciarono a batterein ma niera sistematica la parte alta, trovando moltegrotte con un dislivello inferiore ai 100 m, l’AbissoMescaleros, un -200, e l’ingresso dell’Abisso DonCiccillo, in seguito ribattezzato Paolo Roversi.Quest’ultima grotta li impegnò fino all’estate del ’79,anno in cui raggiunsero un fondo a -755, dopo averdisceso un ultimo pozzo di oltre 300 m.La Carcaraia finalmente cominciava a mostrare lavera consistenza del suo carsismo profondo ed ilcolorante versato nel collettore del Roversi ancorauna volta riemerse al Frigido, confermando un poten-ziale carsificabile di 1600 m di dislivello ed allargan-do i confini dell’area di assorbimento anche al ver-sante settentrionale del Tambura, cioè al di là dellospartiacque principale della catena montuosa.E’ bene soffermarsi su queste notizie, piuttosto chesui dettagli delle singole esplorazioni, perché siachiaro che gli esploratori emiliani stavano seguendoun filo logico che avrebbe dovuto condurli sul miticocollettore del Frigido.

Il fondo imponente e misterioso del Roversi, intanto,valse ad attrarre nei primi anni ’80 molti gruppi inzona causando logicamente una frammentazionedelle ricerche. Ma la Carcaraia, a dispetto del risulta-to eclatante, continuava ad essere una zona difficileda penetrare senza impegnarsi in faraonici lavori didisostruzione o, in alternativa, imparando a guardare

all’Antro del Corchia e la Carcaraia ritornò nell’oblio.Negli anni immediatamente successivi le battute siconcentrarono sull’impervio versante marino dellaTambura dove, a partire dal 1969, il G.S. Versiliesetrovò ed esplorò fino a -300 m l’Abisso del Pianone equalche anno dopo l’Abisso Di Blasi (-120 m), laBuca I di Piastra Marina e l’Abisso Paleri.Si trattava di scoperte estremamente interessanti aseguito delle quali emergeva l’esistenza di morfolo-gie freatiche fossili sviluppatesi a varie quote, mentrerimaneva ancora da chiarire l’assetto idrografico sot-terraneo.Tuttavia erano informazioni che provenivano solo dalversante marino del M. Tambura.

Nel 1974, finalmente, si riaffacciano esploratori inCarcaraia. Si tratta del G.S. Savonese che, con alcu-ne spedizioni svolte nell’arco di due anni, scoprecirca una ventina di nuove cavità, la più profondadelle quali è l’Abisso del Piffero (-85 m), riconfer-mando così la difficoltà a spingersi in profondità inuna zona che dall’esterno sembra invece prometteremoltissimo. In quei primi anni 70, però, il nodo cru-ciale delle esplorazioni sul M. Tambura sembra con-tinuare ad essere l’Abisso Pianone. Lì i versiliesiavevano intercettato anche un’importante corsod’acqua che alimentava il sifone terminale della grot-ta, ma per sapere di quale sorgente esso fossetributario bisognerà aspettare il 1976, cioè fino a

quando esplora-tori bo lognesi,evidentementepiù rigorosi, im -misero del colo-rante in un nuo -vo ramo oltre ilsifone terminalesco perto proprioin quell’anno daloro.I l r i s u l t a t o f uquel lo che tutti siaspettavano. Ilco lorante riemer -se al Frigido econ questo il ba -cino sotterraneorisultava assaipiù ampio diquello superfi-ciale.

Dal ’77 e perben dieci anni,furono i bologne-si, affiancati an -che da altri grup-

�Ingresso dell’Abisso Roversi; sullo sfondo gli Zucchi diCardeto e il Monte Pisanino (1946 m), massima elevazioneapuana. (Foto G. Guidotti)

� 3 giugno 1978, lungo la marmifera per il Passo dellaFocolaccia, tra muri di neve, durante la seconda campagna diricerca del G.S. Bolognese. Sono gli speleologi bolognesi(nella foto Mario Vianelli ed Enrico Muzzi) i primi a scenderein profondità dopo le esplorazioni dei fiorentini negli anni 60.(Foto M. Sivelli)

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ed i 1200 m s.l.m., cioè800 m più in alto dellasorgente. Da qui l’ipotesiche dovessero esserciimportanti disturbi tettoni-ci. Una fatale casualità.Anche dagli articoli dell’e-poca si capisce che lastrategia di attacco alproblema Frigido legitti-mava più una ricercacapillare al di sotto diquella soglia che non unarevisione sistematica diciò che era noto nelleregioni più elevate.Però qualche dubbiosulla fondatezza di que-sta teoria deve esserevenuto a Michele Sivelli,perché nel ’90 egli spro-nò chi scrive, FilippoDobrilla e Giovanni Be-cattini a rivisitare il Ramodei Polacchi del Roversi,dove sembrava ci fosserodelle anomalie importantinella circolazione d’aria.Ci avvicinammo alla Tam-bura con entusiasmo maanche col disincanto dichi affronta cose giàconosciute, perciò eredi-tando condizionamenti e

pregiudizi. In quell’occasione, insieme ad amici vero-nesi ed imperiesi, risalimmo per 200 m un abisso cheentra nel Ramo dei Polacchi a -450 e rimanemmoimpressionati, più che dalla grotta, da quanto aveva-no fatto gli esploratori dell’Est per inventarsi quellaprosecuzione, tanto che ci convincemmo che cerca-re qualcosa lì sarebbe stato inutile.Ritornammo in buon ordine ad occuparci delle esplo-razioni all’Abisso Olivifèr e del M. Grondilice dovetutto ci sembrava estremamente facile e chiaro.

Oggi a distanza di anni mi sento dipoter dire che eravamo pervasi daquella sensazione solo perché adOlivifèr eravamo cresciuti di pari passo

col sistema, imparando i trucchi per nonfarci fagocitare dai pozzi. Trucchi e mentalità chenon avevamo capito di poter esportare anche lonta-no dalla “nostra” montagna.

Il 1991 è un anno fondamentale nella storia delleesplorazioni del M. Tambura e, come spesso è acca-duto in Apuane, non sono toscani gli esploratori cheriaprono il discorso con questo monte.Questa volta sono veronesi. Anche loro, come ipolacchi anni prima, non conoscevano assolutamen-te nulla della Tambura. Forse, neppure, avevano mailetto niente della Tambura. E così, in quel modo illo-gico che contraddistingue la ricerca di grotte in moltaparte delle Apuane, trovarono un buco che chiama-rono Abisso Pinelli (-750) che di lì a pochi mesi con-

con occhi diversi ciò chegià era conosciuto: ma itempi non erano ancoramaturi.Un esempio notevole diquella che sarebbe di-ventata molti anni dopo lamentalità degli esplorato-ri apuani e che in queglianni si andava formandocon le esplorazioni alCorchia, la dettero nell’83e ’84 un gruppo di polac-chi. In due parole i nostriesploratori stranieri se nevanno proprio al Roversie lì effettuano una risalitaa -250 dove trovano unaimponente prosecuzionecon grande sviluppo pla-nimetrico che li conducesu un, diciamo “nuovo”,fondo a -750. Fu un risul-tato importante ed unabella lezione di speleolo-gia impartita da esplora-tori che poco sapevanodella Carcaraia e che,forse proprio per questo,erano liberi da idee preci-se e vincolanti.

Obiettivamente, però, par-lare della Tambura comedi un unico complesso sotterraneo collegato, magaria varie quote, appariva effettivamente un po’ acca-demico. Altre scoperte successive come l’Arbadrix,Belfagor e Mamma Gracchia, sembravano piuttosto,per certe loro caratteristiche, confermare la presen-za di vistosi disturbi tettonici che interessavano l’in-terno della Carcaraia a quote medio-alte e cheapparivano un ostacolo difficilmente superabile a chisperava di raggiungere il fantomatico collettore delFrigido.

Oggi sappiamo che quell’analisi era errata e forte-mente viziata da almeno due motivi.In primo luogo va sottolineato che gli esploratori,dopo le prime scoperte, avevano creduto che qui,come nella vicina Valle di Arnetola, vi dovesseroessere solamente abissi e quindi trovavano logicoscendere lungo le vie d’acqua piuttosto che cercaregli indizi “tridimensionali”. Era un approccio ovvia-mente comprensibile che in genere caratterizza laprima fase delle ricerche di molti sistemi; meno com-prensibile è invece il fatto che le scoperte dei polac-chi non avessero insospettito nessuno.Il secondo motivo depistante è che, caso strano,avevano notato che le grotte più profonde chiudeva-no tutte in una fascia di quota compresa fra i 1000

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� Il traverso sul Pozzo Firenze che nel ’93 aprì la strada dellenuove esplorazioni all’Abisso Saragato. (Foto G. Dellavalle)

Ci avvicinammo alla Tambura con entusiasmo ma anche col disincanto di chi affronta cose già conosciute, perciò ereditando condizionamenti e pregiudizi.

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posizioni riguardanti la tettonica della Carcaraia e lanatura verticale dei suoi abissi. Siamo in compagniadi un inedito compagno, Matteo Rivadossi, e di duefratellini di grotta, Andrea Mariotti e Paolo Carrara,complici in molte altre esplorazioni apuane, e conloro godiamo abbagliati del risultato metrico ottenutoin maniera così fulminea e anche inaspettata.

Confessiamo però che, con Filippo, da buoni provo-catori, provavamo anche una mal celata soddisfazio-ne proprio per aver sgretolato quei consolidati teore-mi di cui tanto in passato si era parlato.Quello che però non capimmo immediatamente è ilfatto che poco al di sopra di quell’inquietante spec-chio d’acqua si nascondeva un vero e proprio uni-verso freatico che, d’altronde, è il sogno ricorrente diogni esploratore apuano che non abbia vissuto i tur-binosi anni delle esplorazioni del Corchia. Devo ammettere che ho spesso provato un fastidio-so complesso d’inferiorità nei confronti di chi haavuto in sorte quelle scoperte e, più in generale, ditutti quelli che ancora hanno la fortuna di spaziarenei tondi orizzontali di vaste porzioni di monti e non

giungemmo prima con il Pianone e poi con il Paleri,il tutto per il complesso del M. Tambura (-965).Non nego, senza un po’ di vergogna, che in quelmomento la definizione mi parve eccessiva: eviden-temente continuavo a portarmi dietro condiziona-menti difficili da estirpare.Resta il fatto che Pinelli, Pianone e Paleri eranocomunque un bel frammento di complesso, ilche la diceva lunga su ciò che doveva esser-ci dentro l’intera Tambura. C’è un altro parti-colare: dal Pinelli facemmo giunzioni congrotte già note da tempo e questo ci davaindicazioni chiarissime su quale doveva esse-re la strategia esplorativa da seguire. Riguardarea tappeto tutto il conosciuto.

1993, da dove cominciare se non dalla Carcaraia? E’ vero che essa si trova relativamente lontana dallegallerie freatiche del neonato complesso dellaTambura e, peggio ancora, sul versante opposto delmonte. Rammentavo però ancora chiaramente leparole conclusive di un paragrafo, a propositodell’Abisso Saragato, scritte dal Giovanni nazionalesul suo libro Gli abissi italiani, che recitano testual-mente: ”ben altro probabilmente aspetta chi decidadi esplorare davvero le pareti del p. 210.”Andammo proprio lì, proprio dove 27 anni prima si eraaccanita la curiosità dei primi speleologi fiorentini.Vi andammo come logica evoluzione di un lungocammino che, ormai, ci permetteva di essere liberida pregiudizi anche nella “verticale” Carcaraia. E alSaragato, a pensarci bene, quel traverso a metà delp. 210 che ci permise di ritrovare in una lontana fine-stra tutta l’aria dell’ingresso, non mi pare neanchesia stato particolarmente difficile da fare. Adesso ben più tortuosa e lunga mi sembra la stra-da che ci consentì di metterla, quell’insolita corda.

Il pozzo e il pendolo.Quell’insolita corda, quell’acrobaticotraverso sul pozzo Firenze...

In realtà in quel fine agosto ’93 eravamo ignari delfatto che quell’acrobatico traverso, realizzato daFilippo, fosse il grimaldello che finalmente ci aprivauna porta sul complesso della Tambura che – atutt’oggi, sette anni e 40 chilometri dopo – ancora èquasi neonato. Ma torniamo all’estate del 1993 ed alla finestra sulpozzo Firenze sospesa su quel deserto verticale nelquale eravamo riusciti a spostarci in pianta.Con due punte fulminee ed ingorde raggiungiamoun sifone a -945 dove la grotta però non accenna achiudere; anzi propri lì, 250 m più in alto della sor-gente, si concede il lusso di spostarsi in pianta conuna maestosa galleria freatica al termine della qualeun pozzo ascendente aspira l’aria che ci aveva gui-dato. Bisogna rammentarsi di queste due elementi,correnti d’aria e gallerie freatiche, perché in seguitoritorneranno prepotentemente.In quell’occasione sei paia di occhi socchiusi guar-dano il torbido specchio d’acqua e marmettola nelquale sprofondano, tutto d’un colpo, molte delle sup-

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� L’Infinita Forra del Vento esplorata nel ’93 conduce al P. del Dubbio Amletico (P 190). (Foto G. Guidotti)

...poco al di sopra di quel cupo specchio d’acqua si nascondeva un intero universo freatico, il sogno

di ogni esploratore...

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Ma per capire in pieno l’evolversi della situazione sulTambura, che dal ’93 ad oggi ha portato a sviluppidavvero impressionanti, è necessario farsi almenoun’idea di quello che sta succedendo anche permano di altri esploratori, che lavorano in Carcaraia.

Quasi contemporaneamente alle nostre scoperte alSaragato, i reggiani riescono, dopo un lungo, lun-ghissimo lavoro di disostruzione, a penetrare in unnuovo abisso che scende con grandi ambienti fino a-250 dove incontrano un collettore. La buca conducetanta aria freddissima e la chiamano, appunto, Buca

dell’Aria Ghiaccia.Seguendo il collettore i reggianicon altri esploratori scendono finoa -400 quando, nel novembre ’94,entrano in gioco nuovi elementi

determinanti per il prosieguo dellastoria. Viene esplorato un nuovo fondo della grottaseguendo il collettore incontrato a -250. L’avanzatasi blocca a -600 circa, ma niente sifoni. La grottachiude in fessura e l’unico sifone presente è a -480su un ramo secondario: troppo alto.Nel frattempo al Saragato nel settembre ’94 conFilippo, Andrea Mariotti, Maurizio Santi (Icio) eStefano Scala (Aki) di Verona, facciamo unapunta al lago sifone (Ramo Nord) con l’obiettivo diguardare il pozzo ascendente al termine della gal-leria. Al culmine del pozzo che è un p. 60, anzichél’abisso in risalita delle nostre immature ipotesidell’anno precedente, troviamo un groviglio di gal-lerie spazzate dall’aria. Ne percorriamo almeno300 m fino ad intercettare una grande verticale: ilPozzo Aki. Sopra tutto nero... e sotto… ne scen-diamo 40 m piombando su un collettore di cuiseguiamo un po’ il ramo a monte e quello a valle,fino ad un sifone. Punta successiva: è Lago ’94, Congresso Nazionaledi Speleologia. Noi andiamo al Saragato dove final-mente si ricomincia, dopo Olivifèr, a campeggiare.

in misere sezioni longitudinali diessi. Sì, deve essere stato que-sto: l’ho sempre voluta anch’io la mia pianta da disegnaresull’1:5000. Tutto questo sforzo di immagina-zione teso a scovare un nostrocomplesso in quel momento nonci fu sufficiente per capire che ilcamino che s’impennava alla finedella galleria freatica era il postodove dirigere le ricerche condecisione.Pensavamo si trattasse dell’ulti-mo pozzo di un altro grande abis-so che a sua volta alimentava ilsifone, mentre la galleria freaticache mette in comunicazione quel-le che a noi sembravano duegrotte distinte non erano nientealtro che il frammento aereo delreticolo di condotte piene d’acquache dovevano esserci subitosotto i nostri piedi e fino alla sor-gente. Con le discese successive tentammo di inqua-drare al meglio la situazione. Il rilievo indicava chiaramente che il Saragato sispostava di mezzo chilometro a N, ma la cosa è a dirpoco anomala visto che la sorgente del Frigido sitrova in direzione opposta, e questo lasciava intra-vedere prospettive stimolanti anche se al momentodel tutto imprevedibili.Guardiamo più in alto e, seguendo a ritroso il forteflusso d’aria che s’incontra a -500 dove la grottaperde verticalità e si distende ai primi accenni di con-dotte fossili, troviamo un’imponente prosecuzione.

Dal tardo autunno ’93 fino alla primavera successi-va questo settore di grotta, che porta il nome diRamo Sud-Est, ci impegna con decisione fino alnuovo fondo a -985. Uno spettacolo. Dopo averdisceso pozzi imponenti e profondi incontriamoancora una volta, poco più in alto del solito sifoneterminale, tratti di condotte freatiche: un secondoavvertimento.Lentamente, ma in modo inesorabile, si andava for-mando la consapevolezza di essere entrati, se nonproprio nel complesso, almeno in una grotta che nefaceva intuire l’esistenza. E poi le forze non manca-no: siamo una congrega “multietnica”, scatenata, eallenata.Già che ci siamo puntiamo in alto a caccia di colle-gamenti e a primavera riarmiamo il Roversi. A fine agosto questa grotta, che già per lunghi annicon i suoi 750 m di dislivello era stata la più profondaed importante del Tambura, si riprende in un sol colpoil suo primato locale e nazionale: -1250. Ma di vie perarrivare al Saragato non ne vediamo, anzi, forse è piùcorretto dire che non le cerchiamo nemmeno.

� La Carcaraia innevata. In primo piano la cava del Tombaccio, nei pressi della qualesi apre la Buca dell’Aria Ghiaccia, a quota 1100. (Foto F. De Grande)

Lentamente, ma in modo inesorabile, si formava laconsapevolezza di trovarci, se non proprio in un complesso,in una grotta che ne faceva intuire l’esistenza.

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energie di molti nuovi giovani fiorentini e livornesi,nonché dei soliti veronesi, nella grotta più alta dellazona, cioè all’Abisso Mamma Gracchia -465 (1730 ms.l.m.).Le fantasie che ci spinsero lì erano le solite: rag-giungere il livello di base e magari trovare la parte amonte delle gallerie fossili del Saragato che testimo-niavano, con le loro dimensioni ed il loro andamentoplanimetrico, trascorsi idrogeologici ben diversi daquelli attuali.Da un punto di vista esplorativo fu un buco nell’ac-qua al quale non eravamo avvezzi; 200 m di risaliteal fondo bastarono però per far crescere i nuoviadepti e prepararli al Saragato.Ma non è tutto: c’è infatti un’altra esplorazione diquegli anni degna di menzione. Nel 1993 alcuni navi-gati e riservati esploratori lucchesi riuscirono a pene-trare fino a -300 in una zona piuttosto trascurata avalle della Foce di Cardeto. Disostruirono con deci-sione ed uno degli innumerevoli buchi soffianti diven-ne un -300 articolato e franoso.Il buco fu chiamato Mani Pulite: sette anni dopo èdivenuto uno dei fronti esplorativi più interessanti eforiero ancora di importanti sorprese.

Traversiamo, io e Filippo, il P. Aki e ci spostiamo inpianta altalenando con il dislivello fino a ritrovarel’ennesimo pozzo. Sopra tutto nero… e sotto… nescendiamo 35 m. Da qui ancora per gallerie ci spo-stiamo in direzione NW continuando anche a perde-re quota.

Intanto alla Buca dell’Aria Ghiaccia l’esplorazionepassa decisamente nelle mani dei bresciani checomunque non si perdono altre due succose punteal Saragato: una al fondo di -1075 ed una, sul finiredel ’94, su un altro fondo a -1045.Ad ogni modo i bresciani all’Aria Ghiaccia risalgo-no il collettore di -250, già iniziato dagli emiliani.Le loro esplorazioni in principio sembrano spazia-re nelle parti più orientali della media Valledell’Acqua Bianca sotto il Tombaccia, cioè a NErispetto alle regioni più avanzate del Saragato erelativamente distanti. Poi invece scoprono, sem-pre lungo questo ramo in risalita, una diffluenzaprima fossile e poi nuovamente attiva che li fa pre-cipitare in basso, spingendoli nel contempo in dire-zione WNW proprio a colmare quel vuoto chesepara Aria Ghiaccia e Saragato. Queste regionidell’Aria Ghiaccia sono assai complesse ed impo-nenti, oltre che caratterizzate da significativi spo-stamenti in pianta, ma questo noi nel 1995 losapevamo solo per sentito dire.Da parte nostra al Saragato abbiamo difficoltà adipanare il bandolo della matassa, vuoi per ragioni didistanza dall’ingresso, vuoi per l’attitudine della grot-ta ad approfondirsi su rami attivi, tanto è che rag-giungiamo ancora un altro fondo a -1065. Intanto i rapporti con i nostri ex compagni brescianisi erano raffreddati a tal punto che lo scambio diinformazioni era limitato a poche indicazioni generi-che, la qual cosa frustrava ogni nostra legittima vel-leità di pianificazione esplorativa finalizzata allagiunzione tra le due grotte.Loro invece possedevano la pianta del Saragato,elemento che ai nostri occhi li avvantaggiava enor-memente in quella che ormai era diventata una taci-ta gara.

In attesa degli eventi che si mormorava fosseroimminenti, ma anche per trovare nuova ispirazioneper il Saragato, non trovammo di meglio che tornaresul Ramo dei Polacchi dell’Abisso Roversi (quellodell’inizio dell’articolo).L’intenzione era quella di rivederne il fondo a -750poiché ci sembrava strano che da qui non si riu-scisse a scendere fin sul livello di base, come inve-ce avevamo fatto l’anno prima dal Ramo deiBolognesi.Trovammo qualche breve appendice e niente di più,e una sorpresa divertente: fino al ’94 si riteneva cheil Roversi avesse due fondi, nessuno si era accortoinvece che la base del P. Mandini era anche la stes-sa del fondo del Ramo dei Polacchi.Chiuso più o meno il capitolo Roversi, dirottammo le

� Le grandi doline di Carcaraia sotto la vetta della Tambura,in veste invernale. (Foto M. Vianelli)

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per la giunzione era ovviamente il Ramo Nord, men-tre il Ramo Sud-Est, a dispetto dell’importante flussod’aria convogliato a -500, lo lasciavamo per quandoin grotta c’era troppa acqua. Acquisimmo totale consapevolezza della situazioneesplorativa solo dopo aver letto il n. 34 diSpeleologia, dal quale apprendemmo che i brescianiall’Aria Ghiaccia erano a poco meno di 200 m inpianta dalle gallerie di quota 650 s.l.m. del Saragato.Il nostro problema, però, era che i rami con direzio-ne ENE, quindi potenzialmente interessanti, eranotutti privi di circolazione d’aria perché ostruiti da franee depositi di sabbia, mentre la via per l’Aria Ghiaccia,necessariamente, avrebbe dovuto trasferire grandivolumi d’aria visto che nelle due grotte è presenteovunque.Rimanevano altri fronti aperti come il “nero” del P. Akie quello altrettanto spaventoso del P. dell’Acqua a

Anni 1996, 1997, 1998: persi in un groviglio freatico, le esplorazioni proseguono in bilicotra ragionamento e istintoQuando nel 1996 ricominciarono le esplorazioni,non sapevamo che pesci prendere, pur essendoconsapevoli che la Carcaraia conteneva un unicoenorme complesso. La sua peculiarità continuavaad essere la scarsità di accessi, tant’è che oltre 14chilometri di pozzi e gallerie del Saragato eranoaccessibili da un solo ingresso e altrettanto valevaper 9 km dell’Aria Ghiaccia. Quanto alla giunzione,se per un verso era un ottimo stimolo per poter con-tinuare a vagare nella pancia della Tambura, dall’al-tro non avrebbe agevolato comunque l’accessibilità. Nel Saragato il posto dove concentrare le ricerche

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� Carcaraia

SEZIONE TRASVERSALEDELL’ABISSO P. SARAGATO

Rilievo: Malcapi, Faverjon, Bertoli,Moretti, Seghezzi, Guidotti, Piccini

Disegno:Malcapi, Guidotti, BertoliElaborazione grafica: Porri

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� Nel 1997, un altro traverso, questa volta sul P. Aki, ha permesso di raggiungere un livel-lo di gallerie fossili spesso intercettate da pozzi attivi. (Foto G. Dellavalle)

Esplorazioni ’93-96

Esplorazioni ’96-97

Esplorazioni ’98

Esplorazioni ’99

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il corso in più punti con appendici che non sono altroche i tre fondi ad oltre -1000.Il tratto a monte del corso d’acqua (Rio Sheelog) erainvece rimasto nel dimenticatoio e ci eravamo disin-teressati anche della sua probabile area di assorbi-mento che, elemento non secondario, doveva essereassai rilevante viste le portate. Nel ’96 cominciammoa pensare che parte dell’acqua di questo collettoresbarrato da un sifone poteva arrivare anche dall’AriaGhiaccia, e, in conclusione, non restava altro da fareche cacciare la testa sotto l’acqua.Due tornate di immersioni, rese possibili anche dallafollia di un paio di amici francesi (Marc Faverjon eLor) espressamente venuti per trasportare ferraglia,fruttarono 4 sifoni, oltre 250 m di sviluppo e 70 didislivello positivo, ma, soprattutto, una direzione pla-nimetrica accattivante che rinfocolava le nostre spe-ranze di giunzione. E poi c’è una buona novità. All’inizio del 1997, infat-ti, una bella intuizione di Matteo Baroni, uno dei gio-vani che insieme a Marco Bertoli e Niccolò Salvadoricominciano a trascinare l’attività esplorativa, consen-te la scoperta di alcune condotte freatiche che si svi-luppano 50 m sopra il campo dell’Hotel Saragato.Ma in quelle gallerie c’è poca aria ed io, ormai com-pletamente assorbito dall’idea di connettere AriaGhiaccia e Saragato per la più elitaria via subac-quea, ho la colpa di snobbare quelle prosecuzioni afavore di una solitaria immersione nel sifone dell’Aria

Pettine, ma tutti e due con il brutto tempo portavanovalanghe d’acqua e questo ci induceva a credereche fossero grandi abissi intersecanti casualmente ilpiano freatico fossile sul quale ci trovavamo, piutto-sto che vie d’accesso ad un reticolo sovrastante. Li avremmo certamente risaliti “tutti quei pozzi”, manon in quel momento, perché era la giunzione che ciinteressava.Dall’altra parte i bresciani non erano messi meglio,visto che tendevano a risalire dalle gallerie, con pocospostamento planimetrico, su per rami attivi fin quasialla superficie. A valle l’avanzata era loro preclusa dasifoni, anche se non erano certo quelli della falda.Come sempre quando l’azione disattende le aspet-tative, gli speleologi cercano scuse geologiche ade-guate a giustificare i limiti tecnici e mentali di cui laTambura, da trenta anni, era una prova evidente.Oggettivamente, però, in quattro anni era stato pro-fuso un tale sforzo da giustificare alcune perplessitàsulla reale esistenza di una via di giunzione, anchese va ammesso che al Saragato avevamo circo-scritto la caccia unicamente alle regioni fossili diquota 650 m s.l.m.Quello che rimaneva da tentare era dunque la viadell’acqua.

Nel ’94, quando avevamo sbloccato l’esplorazioneal Lago Sifone di -945 e raggiunto la base del P. Aki,eravamo arrivati su un collettore del quale trascu-rammo il tratto a monte.Del tratto a valle invece, due anni dopo conosceva-mo grossolanamente anche il percorso post-sifone,poiché le gallerie fossili sovrastanti corrono più inalto sullo stesso asse del collettore, intercettandone

� Una magnifica morfologia freatica nelle numerose galle-rie che si affacciano a più quote sul P. Aki. (Foto G.Dellavalle)

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da attribuire anche all’anconetano Daniele Moretti eai triestini Paolo Alberti e Massimiliano Palmieri che– guarda caso – anche loro nuovi nuovi di Tambura,ci spronano (“perché no?”) ad attaccare frontalmen-te quello spaventoso nero.Due mesi più tardi e 250 m più in alto dalla basedell’Aki, ci ritroviamo a seguire per l’ennesima volta ilvento.

Ora, a dispetto di tutta quella strada dall’ingresso,siamo solo a -650 e vaghiamo in una pletora di con-dotte fossili, talvolta anguste e a tratti marcatamentetettonizzate e anche qui, come più in basso, le galle-rie spesso sono tagliate da pozzi attivi con l’aria chesi disperde per mille vie.Al pari dei monti che con altrettanta ostinazione sinegano, ci accorgiamo di quanto sia frustrantevedersi moltiplicare ad ogni passo la grotta e ad ognipasso prendere sempre più coscienza dell’insuffi-cienza delle nostre energie.Facciamo un’esplorazione continuamente in bilicofra tentativi di ragionamento e istinto, ma ormai quie-ta, come successe a Olivifèr con Filippo quando,persa la speranza di trovare da dentro l’ingressobasso, ridotti a vagare nei tarli del monte con l’unicalogica dell’aria, l’ingresso venne con naturalezza.Quieta tanto che finalmente riusciamo persino adimenticarci della giunzione, certo aiutati dalla per-durante latitanza degli esploratori padani. Ma l’interno della Tambura era smisuratamente piùgrande e complicato di quello del Grondilice e parve

esserlo ancora dipiù quando, nell’a-prile ’98, uno di noitentò senza succes-so di farsi del malein un posto che, di -ciamo le cose comestanno, è ad “anniluce” dall’ingresso.Tutto si risolse per ilmeglio, nel sensoche Marco uscì sof-ferente ma con lepro prie gambe, maparadossalmente idanni di quell’inci-dente li avremmovisti tre mesi piùtardi.Eh sì, perché tutto iltrambusto con ilsoccorso portò rapi-damente alle orec-chie dei bresciani ilfatto che ci stavamoavvicinando a gran-di passi alla “loro”grotta e questo in

Ghiaccia che, nelle mie perverse fantasie, avrebbedovuto condurre con facilità nel Saragato.

Mi merito la delusione: il sifone dell’Aria Ghiaccia a -20 diventa intransitabile per la via attiva e la giun-zione sfuma.I giovani virgulti però non demordono, hanno oramaila testa dura, voglia in abbondanza, nessun precon-cetto e tanto basta a fargli ritrovare il flus-so d’aria principale. Nasce un grovigliofreatico fossile che ruota prevalente-mente intorno all’enorme P. Aki, 70/80m più in alto del campo base, ma nonsolo. Una lunga diramazione ascenden-te si spinge addirittura fino a -600 innestan-dosi sulla ben nota Infinita Forra del Vento, accor-ciando così sensibilmente la via per uscire ma,soprattutto, rendendo frequentabile la grotta conogni condizione climatica.Quest’ultima scoperta è certo uno smacco e minanon poco le certezze esplorative mie e di Valentinache ormai siamo rimasti gli unici reduci delle esplo-razioni del ’93.A fine estate ’97, dopo aver messo su carta altri 2km di condotte, la situazione è questa:1. le nostre convinzioni sull’esistenza di un unico pianofreatico fossile che si sviluppa a -850, cioè a quota 620m s.l.m., vacillano. Ci sono gallerie anche 100 m più inalto e quindi non si vede il motivo per cui non dovreb-bero essercene anche alla sommità del P. Aki.2. anche il flusso d’aria che dal lago Sifone di -945scappa via prima verso il campo base HotelSaragato e poi si fraziona per le nuove gallerie sopradi esso, si convoglia puntualmente tutta nel P. Akiattraverso le varie finestre visibili.3. ne consegue che per unire le due grotte quelpozzo è da risalire a tutti i costi.

Tutto molto chiaro e lineare, aparte il fatto che risalire il P. Akinon era né immediato nébanale.Infatti sapevamo ormai datempo che in Tambura i marmisono forieri di pozzi grandi eprofondi e le numerose con-dotte fossili che orlano l’Aki cilasciano pochi dubbi su cosac’era da spettarsi.

Ad agosto siamo paghi dinovità e temporeggiamo. Ri -prendiamo nell’autunno eblan damente tentiamo dirimontare il pozzo per più age-voli vie laterali, ma senza suc-cesso.Però la molla si sta caricandoe di questo parte del merito è

� Il Buco della Serratura, lungo legallerie freatiche intercettate dal P.Aki. (Foto G. Dellavalle)

I giovani virgulti però non demordono, hanno oramai la testa dura, voglia in abbondanza, nessun preconcetto e tanto basta a fargli ritrovare il flusso d’aria principale.

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breve li riattivò, sebbene in modo cosìdiscreto che, nonostante la nostra fre-quenza settimanale, non li incrociam-mo mai in Carcaraia.A maggio intanto, con Paolo Carrara eValentina, saltellando tra condotte fos-sili ed enormi pozzi attivi concatenatidalle solite immancabili tirolesi, aveva-mo ritrovato tutta l’aria ed anche unostraordinario meandro nei marmi lungooltre mezzo chilometro.Il Saragato adesso corre paralleloall’Aria Ghiaccia a meno di cento metridi distanza e, quando lungo il meandroci accorgiamo di una inversione d’ariache a quel punto sale su per un pozzo,non manchiamo di contrassegnare ilcamino con un caposaldo: 38/T. Finedel divertimento, di là si va all’AriaGhiaccia. A dispetto dell’indicazione dell’aria,quindi, la nostra attenzione è subitocatturata dalla zona a monte delmeandro su cui continuiamo ad avan-zare risalendo poi l’attivo fino ad unagrande sala e da lì di nuovo su perpozzi seguendo a ritroso quel flussod’aria che dal caposaldo 38/T avevasubito riacceso tutti i nostri stimoli indi-candoci la via per un improbabileingresso alto.Dai e dai avevamo finito con l’alzarcicosì tanto da non avere quasi più roc-cia sopra la testa e adesso la grotta,pur facendoci salire ancora, ci impone-va di galleggiare lungo la pendenzadegli strati al contatto tra marmi e cal-cari selciferi spingendoci su per il M.Tombaccia.Eccolo il nuovo giocattolo che ci stavadistogliendo: la caccia ad un ingressoalto partendo da dentro e anzi, più pre-cisamente, partendo dal lago sifone di-950.

Per la cronaca adesso è d’obbligo una brevissimaparentesi sulla giunzione e sulle modalità con laquale è stata ottenuta; solo un brevissimo riepilogoperché la telefonata arrivò proprio quando meno cela aspettavamo. I bresciani, da eccellenti e scaltriesploratori quali erano, avevano inquadrato a grandilinee la situazione esplorativa nella quale ci stavamomuovendo. Luca Tanfoglio, l’unico di loro con il qualemantenevamo ancora rapporti amichevoli, nonmancò di sondare discretamente il terreno con una diquelle cordiali telefonate che qualche volta ci scam-biavamo, tanto cordiali che finimmo con l’accordarciper una punta al Saragato nelle nuove zone in esplo-razione per i primi di Luglio ’98.Due settimane più tardi, precisamente il 18 Luglio,vanno all’Aria Ghiaccia a fare la giunzione. Onore al merito!!

Se dicessimo che le vicende della giunzione non ciscalfirono affatto, mentiremmo spudoratamente. La

cosa aveva lasciato nel Gruppo una scia di amma-rezza, ma più per la modalità con la quale si era con-sumata che non per il risultato sfuggitoci sul filo dilana. D’altronde la tradizione in questo senso a noifiorentini ci è sempre stata avversa e questo, in queigiorni, lo confermò anche il buon vecchio Adiodati.In realtà il ramo di giunzione non aveva aggiuntomolto al settore est del complesso e neppure avevamigliorato l’accessibilità a nessuna delle due grotte.Ma mentre questo non era un gran danno per i bre-sciani che, dopo la giunzione, erano nuovamentespariti, per noi la questione diveniva sempre più com-plicata per via delle distanze da coprire. La risolvem-mo come sempre, continuando ad andare a ritmoincalzante in grotta.Dunque, ignoriamo l’inversione d’aria del caposaldo

� Involontarie sculture residuo delle attività di cava. Visibilein secondo piano il Rifugio Aronte, il più antico (1902) e alto(1642 m) delle Alpi Apuane. (Foto G. Dellavalle)

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pi esplorativi, è indispensabile una breve parentesichiarificatrice sull’idrografia ipogea dell’area.

In sei anni di ricerche, come si è visto, era stato sco-perto molto di più che nei 25 anni precedenti ed eraemerso che a certe quote gli antichi piani freaticierano molto sviluppati come in nessun altro postodelle Apuane ad eccezione del M. Corchia.Soprattutto apparivano ancora notevoli le possibilitàdi espandere il complesso dalle gallerie poste tra 600e 700 m s.l.m. impostate a NNW e – dato ancor piùrilevante – era che in questo stesso orientamento sisviluppano i piani di drenaggio attivi, proprio in dire-zione opposta alla sorgente. O meglio, a quella chea seguito della colorazione dell’Abisso Roversi nel’78, era universalmente ritenuta la sorgente di tuttal’alta Valle dell’Acqua Bianca: il Frigido. Per verificare questo dato, nel 1993, poco dopo averraggiunto il Lago Sifone, immettemmo del colorantenel collettore del Saragato, ma l’esito fu negativo.Pensammo di averne utilizzato poco e in un periododi magra, quindi lasciammo perdere; d’altra parte laValle d’Arnetola, ugualmente distante, porta acqua aForno e la quota del lago Sifone non è molto diversada quella dei sifoni d’Arnetola.Fra il ’94 ed il ’95 raggiungemmo i fondi attivi delSaragato protesi verso NW e scoprimmo che eranopiù bassi di oltre 100 m rispetto al Lago Sifone ed alfondo del Ramo Sud-Est.La cosa fece nascere i primi dubbi.Direzione NW voleva dire allontanarsi dalla sorgentee quindi, in teoria, significava trovare la falda più inalto o, al limite, alla stessa quota mentre noi, inspie-gabilmente, eravamo scesi ben al di sotto. Eravamoormai a -390 m s.l.m. Anche tenuto conto di possibi-li errori nel rilievo non si capiva perché il Roversi edil sistema Pianone Paleri Pinelli, che planimetrica-mente sono molto più vicini alla sorgente, avesserosifoni a quote cosi elevate. Le possibilità erano due:o i sifoni di Roversi e Pianone erano pensili oppurela sorgente che riceveva l’acqua dei rami più setten-trionali del Saragato non era il Frigido.L’idea dominante continuava a confermare il Frigidocome unica sorgente di tutta l’alta Valle dell’Acqua

Bianca, senza però prendere posizionenetta sulla natura dei sifoni di Roversie Pianone. L’andamento planimetricoopposto alla sorgente delle gallerie fos-

sili del Saragato sembrava invece ricon-ducibile a trascorsi idrogeologici diversi dall’attuale,cioè a quando le sorgenti del complesso erano situatesul versante interno del massiccio, in direzione N. Nel ’97 però succede qualcosa di molto importanteche mina alle base le nostre convinzioni e gli artefici,ancora una volta, sono gli amici emiliani che, dopoessersi letteralmente inventati un articolato comples-so nei calcari selciferi della Val Serenaia (Buca delPannè, Buca dei Faggi, MC5), scoprono che le sueacque riemergono in una sorgente di troppo pienoadiacente alla Buca di Equi Terme.

38/T (ormai non serviva più) e preferiamo dare lacaccia ad un ingresso alto.In verità questa cosa, che dettacosì sembra una vera e propriafollia, in Tambura trova una moti-vazione logica nella difficoltà direperire accessi al sistema di gal-lerie che si sviluppa tra i 500 e i 700m s.l.m. L’atteggiamento è certamente criticabiledagli “sciiti” della disostruzione ad oltranza, ma a noiè sempre parso più appagante espandere il com-plesso a partire dalle grotte già conosciute anche acosto di lunghissime permanenze, piuttosto che cer-care nuovi ingressi, il più delle volte da disostruirepesantemente. Un piccolo vezzo che trova giustifi-cazione non tanto in una radicata sensibilità ambien-tale, che in Apuane è molto difficile da alimentare,quanto nel piacere di poter stare molto tempo ingrotta e, perché no, anche in un genuino atteggia-mento elitario. A posteriori credo sia stata una tecnica esplorativacertamente dispendiosa, ma quella più adeguata alproblema Tambura.Torniamo alla cronaca. Il campo successivo allagiunzione dell’estate ’98 lo conducemmo voluta-mente in intimità con l’obiettivo di risolvere i duegrandi nodi insoluti all’interno del Saragato.Il primo nodo era proprio sul settore est del com-plesso, per intenderci quello delle risalite oltre l’in-nesto della via proveniente dall’Aria Ghiaccia, dalquale proseguire lungo il maestoso ramo ascenden-te attivo, oramai identificato come il tratto a montedel Rio Sheelog (quello delle immersioni).Questo ramo è un’ennesima stranezza del comples-so: oramai prossimi all’esterno, la portata idrica risultaeccessiva ed in apparenza inconciliabile con la morfo-logia esterna. Diventava allora oltre modo importanteseguire il collettore a ritroso per definire con esattezzal’area di assorbimento. Inoltre rimaneva sempre lasperanza di reperire un nuovo ingresso che avrebbeaccorciato sensibilmente la strada da dentro (diciamo1-2 ore di progressione contro 10-11) e consentito diesplorare con cura anche la rete di gallerie fossili chefa da corollario al poderoso asse attivo.In 4, in otto giorni di permanenza, ancora una voltatotalizziamo 2 km di grotta nuova, un dislivello posi-tivo di 400 m che ci porta a +850 dal Lago Sifone,ma soprattutto circoscriviamo con precisione la zonadove cercare il nuovo ingresso.

Il secondo nodo da sciogliere, cioè il P. dell’Acqua aPettine che avevamo messo in programma sempreper quell’anno, slittò per ovvie ragion al ’99, mentrededicammo l’autunno e l’inverno ’98 al riarmo delfondo di -1075. Lì piazzammo anche un fluoro cap-tore prima di effettuare la colorazione del collettoredel ramo a valle dell’Aria Ghiaccia per verificare se,come era ovvio, prima di andare al Frigido l’acquadell’Aria Ghiaccia transitasse dal Saragato.

E a questo punto, per poter seguire gli ultimi svilup-

I fatti continuano a confermare il Frigido come unica sorgente di tutta l’alta Valle dell’Acqua Bianca...

Espandere il complesso a partire dalle grotte già conosciute,anche a costo di lunghissime permanenze, ci è sempre

parso più appagante che aprire nuovi ingressi.

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Disarmiamo o non disarmiamo?Il campo estivo e il nuovo fondo a -1125

All’inizio del 1999 decidiamo di canalizzare gli sfor-zi sul Pozzo dell’Acqua a Pettine, nonostante chele risalite dell’estate precedente oltre le zone dellagiunzione ci avessero ormai condotti in prossimitàdell’esterno, poco sotto un promettente buco sulfianco del Monte Tombaccia.Il motivo di questa scelta è piuttosto semplice. Allasommità del P. Aki avevamo trovato, rimanendonesorpresi, grandi sviluppi orizzontali e quindi nientevietava, una volta raggiunta quella quota (800 ms.l.m.), di incontrare simili strutture anche lungo ilpozzo dell’Acqua a Pettine, il che ci avrebbe con-sentito di accedere alle regioni freatiche più spo-state a settentrione. D’altra parte i due pozzi eranoai nostri occhi assai simili, ampi, attivi e sviluppati alcontatto tra marmi e grezzoni ed entrambi percorsida importanti flussi d’aria che, arrivando dalle gal-lerie di quota 650, si perdono nel nero sovrastante.

Ma non è tutto perché al campo estivo del ’99siamo nuovamente in forze ed il terreno è statopreparato fino dalla primavera, proprio per rag-giungere quelle gallerie che però non si fannovedere né sulla testa del pozzo, 300 m di verticalepiù in alto, né ancora più su, al culmine delle risa-lite dove, a +500 dalla base dell’Acqua a Pettine,rimane a tutt’oggi un cantiere aperto.Peggio è per le casse del Gruppo, perché altripunti interrogativi aprono nuovi promettenti fronti.A quel campo facciamo punte lunghissime; ognimattina partiamo con l’idea di dare un’occhiata ecasomai disarmare.Ed ogni mattina (sì! ma del giorno dopo) torniamo

con la stessa notizia: “che no!, non abbiamo disar-mato perché lassù, in cima al pozzo, parte un mean-dro con aria che sale decisa fino alla base di un altropozzo, che sarà una trentina, facile, gradonato, dopoil quale un secondo pozzo un po ̓ marcio, da cin-quanta, immette in una condotta che porta alla basedi un pozzetto da cui, sulla volta, sembra di intrave-dere lʼimbocco di una galleria…” Abbiamo finito ilmateriale ma domani bisogna almeno tornare a dareun’occhiata per vedere che dice. Praticamente la stessa storia su tre fronti diversi:l’Acqua a Pettine, il Lago Sifone ed il Fondo, quello di-1075 dove dal ’94 non eravamo più tornati ed era

rimasta da fare un’arrampicata, proprioquattro o cinque metri sopra il pelo del-l’acqua. Giusto una questione dicoscienza. Meglio, di completezza.Completezza che si misura in 700 m di

straordinarie gallerie freatiche nei marmi;pulite, pulitissime, dritte, drittissime, che mai ci sarem-mo aspettati di trovare così a ridosso del sifone termi-nale e lungo le quali, oltretutto, ci abbassiamo in disli-vello di altri 50 m incontrando ancora un sifone a -1125.E’ la sorpresa più gradita del campo perché assolu-tamente inaspettata.Dopo anni di esplorazioni nella stessa zona è frequen-te che si riesca a prevedere in anticipo quel che trove-

Nasce quindi anche a noi il ragionevole dubbio chei collettori più settentrionali di Aria Ghiaccia eSaragato possano, perché no, snobbare il Frigido afavore del versante interno della catena e, dopoessere transitati sotto il Pisanino, solcato le profon-dità della Val Serenaia ed aver attraversato le radicipiù profonde del Pizzo d’Uccello, tornare a luceanch’essi ad Equi Terme.

Ora a fine ’98, con l’occasione della giunzione, eravenuto il momento di riprovarci con la fluoresceina,questa volta dall’Aria Ghiaccia. Andiamo perciò apiazzare un captore al fondo del Saragato di -1075ed immettiamo il colorante sul collettore della zona avalle dell’Aria Ghiaccia: sia come sia, anche questavolta niente di fatto.

� Il Fantameandro, splendidamente modellato dall’acqua.E’ un asse molto importante del settore di monte: è lungoquesto tratto che si incrocia la via per l’Aria Ghiaccia. (FotoG. Guidotti)

...ma nel 97 succede qualcosa di molto importante che mina le nostre convinzioni: le acque del complesso della Val Serenaia riemergono a Equi Terme.

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� I versanti nordoccidentali dell’alta Valle dell’Acqua Bianca(zona B). (Foto S. Bettini)

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remo in questo o quel settore di grotta tanto che – sembraquasi di bestemmiare – in certi frangenti l’atto fisico di esplo-

rare diventa l’espletamento di una formalità perfino noiosae ripetitiva. Anzi varrebbe la pena di riflettere sul fatto chequesto non sia uno dei motivi a causa del quale alcunegrandi grotte sono esplorate in maniera sommaria.Le gallerie al fondo se hanno avuto un merito è pro-prio quello di richiamarci all’ordine: qui niente èscontato.Appariva ormai scontato invece che i collettori piùsettentrionali di Saragato ed Aria Ghiaccia nonpotevano essere tributari della sorgente di Forno.Il motivo è presto detto. Le nuove gallerie cispostano in direzione W per oltre mezzochilometro andando a mirare decise versola Val Serenaia e più precisamente cer-cando di passare al di sotto della Buca delPannè le cui acque, abbiamo detto, affe-riscono alla sorgente della Barrila a EquiTerme. E’ sì vero che distavamo anco-ra 600 m dalla verticale del Pannè, mala direzione di quelle gallerie era cosìdecisa che non lasciava dubbi.Ecco perché i sifoni a NW erano i

più profondi: erano sì i più vicinialla sorgente ma non a quella

del Frigido. E abbiamo detto tutto.

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2000. Abisso Mani PuliteL’inizio del nuovo millennio, con tutte lenovità che si trascina dietro, ci vede un po’frastornati ed impreparati. Abbiamo diffi-coltà a capire su quale dei moltepliciobiettivi sia più sensato concentrare leenergie di un gruppo eterogeneo ed effi-ciente che oggi si usa dire “trasversale”.L’idea di valicare i confini dell’alta Valledell’Acqua Bianca ed insinuarsi in quellaattigua faceva passare in secondo ordinegli altri fronti “saragateschi”. Resta il fattoche le gallerie al fondo non le avremmopotute frequentare prima dell’estate, cioèquando la falda è più bassa ed i rischi divederla innalzare repentinamente sonominori. Si trattava quindi di capire doveera meglio svernare: ci voleva una spe-cie di svago, ma “produttivo”, così dapotersi momentaneamente distrarre dalSaragato progettando un’alternativa sti-molante e mirata. Ci vengono due idee:Roversi e Mani Pulite. Del primo sappia-

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� Il Salone Marcella dell’A. Mani Pulite è il puntopiù avanzato verso il Saragato. (Foto G.

� Amache da bivacco al campo base di -700all’A. Mani Pulite. (Foto G. Dellavalle)

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Siamo contenti e poi rimane sempre l’obiettivo prin-cipale, cioè più in basso intorno a -1000, propriodove la falda, qualche milione di anni fa, deve averformato probabilmente importanti piani freatici. La domenica seguente la Tambura è ammantata daun metro di neve fresca; il Roversi in quelle condi-zioni diventa lontanissimo e allora andiamo a disar-mare Mani Pulite, soprattutto ora con il Re degli abis-

si che va. Disarmiamo svogliatamen-te ma mettiamo anche ilnaso qua e là per nonavere rimorsi, ed a -140,

pendolando dentro ad unainsignificante nicchia, intercettiamo un breve condot-tino freatico che si affaccia su un pozzo probabil-mente collegato alla vecchia via. Ma tanto vale veri-ficare.Il pozzo è da 20 m e finisce proprio dove temevamo,ma la frattura che lo ha originato lascia un varco per-corribile su un lato e l’aria viene proprio da lì.La diaclasi adesso ci sposta in pianta di una ventinadi metri, tanto quanto basta per allontanarci dallaverticale del vecchio fondo, ed ecco che finalmenteci imbattiamo in un pozzo da 25 seguito da un altrodi uguale profondità che non scendiamo. E’ fatta!Mani Pulite va.L’inverno e la primavera sono segnate da un alter-narsi di squadre numerose che danno fondo agli ulti-mi avanzi di materiale del G.S.F., che ormai inTambura ha impegnato oltre 7 km di corde. Ed inbreve emerge la portata della scoperta.Arriviamo rapidamente a -650 con la puntuale edimmancabile sequenza di pozzi e lì, a 800 m s.l.m.,

intercettiamo ancorauna volta le galleriefossili incise nei grigie taglienti marmi do -lomitici. La situazionenon è banale, scen-diamo un salto asse-diato da tre arrivid’acqua e risaliamoqualche metro all’im-bocco di un meandrofossile.Andiamo con corded’avanguardia, com-prate al chilo dal fer-ramenta, finché lasottoscrizione dei“fon di neri” per ManiPulite e la generositàdei bresciani buoni cifrutta una nuova bo -bina e ci salva da unsicuro incidente. A fine maggio ManiPulite è già a quattrochilometri di sviluppoe la pianta ne mostrala complessità fattadi pozzi, gallerie eciclopici saloni, maanche di brevi rami

mo quasi tutto: nel ’94 lo avevamo abbandonatofrettolosamente dopo averne raggiunto il fondo a -1250 a favore delle gallerie del Saragato, senzacercare i piani freatici. Di Mani Pulite, invece, sap-piamo ben poco: è sul lato della valle meno inve-stigato e risulta in posizione strategica, trovandositra le gallerie del fondo del Saragato e la ValSerenaia.

In realtà le gallerie che cercavamo di raggiungere daMani Pulite sono vicine solo planimetricamente ma,poiché la quota dell’ingresso è la stessa delSaragato, avremmo comunque dovuto scendereoltre mille metri di pozzi. Tanto vale provare.

Le prime ricognizioni non sono felici. La grotta fino a-100 è tettonica, poi bruscamente verticale dividen-dosi in due rami che chiudono intorno a -300; pergiunta in profondità il copioso flusso d’aria spariscee con esso le nostre speranze di penetrare più inbasso.Lasciamo armato e ci buttiamo al Roversi e qui, conla prima punta nel corso di una settimana polare delgennaio 2000, portiamo dentro mille metri di corda eriarmiamo fino a -450.Le condizioni climatiche sono ottimali per interpreta-re le correnti aria, e così scopriamo che dal P.Mandini (310 m) sale un flusso deciso di aria, con-vogliato in un ramo ascendente, finora ignorato.

� Come negli altri abissi del sistema, anche all’A. Mani Pulite si incontra un complesso livello di gal-lerie freatiche posto alla quota di 700 m. (Foto G. Dellavalle)

...ci voleva una specie di svago, ma “produttivo”, così da potersimomentaneamente distrarre dal Saragato, concentrandosi su una valida alternativa.

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il camino, lascia un pozzo da scendere e imboccanei grezzoni. Su e giù per condottine ci spostiamosoprattutto in pianta e percorriamo sentieri freatici

in direzione N che man manosi fanno sempre più como-di e belli. Tubi di oltre 2metri a tratti concreziona-tissimi.Il resto è storia recentissi-ma, come le gallerie “model-

lo Sardegna” percorse da tor-renti veri e la forra che porta al fondo di -1060 che fasembrare piccola quella del Saragato; ma soprattut-to il turbinio di amici vecchi e nuovi che danno la cer-tezza di poter continuare un’esplorazione che èappena cominciata.

attivi sottomessi alle gallerie fossili e lungo i quali ciimbattiamo ripetutamente in sifoni. Il più profondo sitrova a -730: troppo alto per essere il livello di basea prescindere da quale sia la sorgente. La direzione delle gallerie fossili, diversamente daSaragato ed Aria Ghiaccia, non è univoca edanche l’andamento dei rami attivi è poco com-prensibile, a dimostrazione di quanto sia tormen-tata e disordinata l’idrografia ipogea nel settore B)della valle.Neanche la circolazione d’aria ci viene in aiuto: inprimavera la differenza di temperatura esterno-inter-no è poco marcata ed inoltre la neve con ogni pro-babilità ostruisce ancora gli ingressi bassi e perciòrisulta difficilissimo seguire flussi troppo deboli espesso per noi contraddittori. L’unica conferma inconfutabile, finalmente, ci arrivadal Saragato. In aprile all’apice del disgelo immettia-mo il colorante sul fondo di -1075 e 12 giorni piùtardi un verbale dei Carabinieri di Equi Terme certifi-ca la positività della Barrila. Adesso è sicuro: AriaGhiaccia, parte del Saragato e Pannè sono un unicoenorme complesso. E Mani Pulite a chi appartiene?

Facciamo il punto: abbiamo una grotta che ha tuttigli elementi distintivi del complesso e quindi in lineateorica ci sembra ragionevole progettare di connet-terla al Saragato.Allo stesso tempo, però, le zone fossili preferisconocontorcersi su loro stesse spingendosi verso l’altoed allontanandosi di poco dalla verticale dell’ingres-so. D’altra parte la circolazione d’aria, totalmenteassente in prossimità dei sifoni, sembra escludere lapossibilità di superarli per vie aeree. C’è poi la dire-zione dei collettori ad apparire contraddittoria: essipuntano a S, insinuando il dubbio che quell’acqua,anziché alimentare i più vicini torrenti del fondo delSaragato, preferisca andare alla sorgente delFrigido.Insomma, nello stesso momento in cui da un frontearriva una conferma su un altro le carte si rimesco-lano, lasciando poco spazio ad una pianificazioneponderata delle esplorazioni.In questa situazione l’unica prospettiva concre-ta per seguire l’acqua è forzare il sifone termi-nale con un’immersione. La facciamo ai primi digiugno e viene fuori che il sifone non è cosìbreve come ci aspettavamo, tant’è che dopo 90metri di sviluppo ed una punta a -18 la galleriacontinua ancora sommersa, di fatto rendendoimproponibile un’esplorazione accurata delleeventuali zone oltre il sifo-ne. Ma rispetto all’invernoadesso è cambiato qual-cosa di fondamentale.Ora l’aria trenta metrisopra il sifone c’è ecco-me e scende da uno diquei caratteristici tubi verti-cali che l’acqua scava proprio quando, trovan-dosi la strada impedita da qualche accidente,preferisce aggirarlo per vie più accondiscen-denti. E noi dietro.La capra bergamasca (Valentina Seghezzi) risale

� Un laghetto pensile sulla via del fondo di -1125 m dell’A.Saragato. Si tratta di un sifone temporaneo che nel 1993impedì il proseguimento delle esplorazioni. Nel 1999 l’ab-bassamento del livello dell’acqua ha reso possibile l’esplo-razione di altri 700 m di gallerie. (Foto V. Malcapi)

Adesso è certo: Aria Ghiaccia, parte del Saragato e Pannè

sono un unico enorme complesso. E Mani Pulite a chi appartiene?

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IntroduzioneRiteniamo la descrizione di un complesso così arti-colato fondamentale per la costruzione di nuovi e piùseri lavori scientifici. Le note qui riportate ci paionolo strumento più adeguato per consentire quell’inte-razione tra esploratori e specialisti, indispensabilealla comprensione di grandi sistemi carsici.L’organizzazione dei dati forniti è pensata soprattut-to per coloro che si vorranno impegnare su questazona già molto investigata, liberandoli così dalla dif-ficoltà di reperire informazioni normalmente dispersein una miriade di bollettini.Dopo esserci dilungati su Saragato e Mani Pulite,abbiamo raccolto alcune informazioni sulle altregrotte della Carcaraia particolarmente interessantiper future esplorazioni.Per semplicità a fianco del nome della grotta ripor-tiamo il numero di catasto e l’eventuale sigla opera-tiva presente in prossimità dell’ingresso.

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Abisso Piero Saragato (350 T/LU)(già Buca dell’Imprevisto) L’ampio ingresso si apre nei marmi dolomitici a quota1465 m s.l.m. proprio al centro della Carcaraia, inuna zona particolarmente tormentata dal continuosusseguirsi di depressioni, spesso ostruite. Un ripidoscivolo – coperto per buona parte dell’anno da unaspessa coltre di neve – dà accesso al primo pozzoattraverso un pertugio. L’ingresso funziona da acces-

Grand Randonnée souterrainede la Tambura

Una lunga escursione nel cuoredella Tambura ci svela tutte le possibili vie per una ulteriorecrescita del complesso

Gianni Guidotti, Valentina MalcapiGruppo Speleologico Fiorentino C.A.I.

Parole chiave • Idrogeologia, Carca raia, Abisso Saragato, Bucadell’Aria Ghiaccia, Abisso Mani Pulite, Buca del Panné, Val Serenaia,marmi dolomitici, grezzoni, livello piezometrico, sorgenti, Catastodelle Grotte della Toscana

Riassunto • Vengono descritti alcuni dei rami più importanti delcomplesso Saragato-Aria Ghiaccia e quello dell’Abisso ManiPulite, soffermandosi in special modo sulle possibilità esplorativeche sono ancora molto rilevanti. Non mancano poi alcune notedi natura geologica ed altre ancora sulla circolazione d’aria. In modo molto più sommario vengono riportate informazioni sualtri importanti abissi ancora non collegati al complesso principa-le. Per ultimo viene trattato l’assetto idrografico ipogeo e le tor-mentate vicende che hanno consentito di determinare quale sor-gente riceve le acque del sistema carsico dell’alta Valle dell’AcquaBianca.

Abstract • Here are described some of the most important branchesof the Aria Ghiaccia-Saragato and Mani Pulite complex with particu-lar attention to the chance which are still present.You can also find some geological notes and information about theair circulation. Furthermore are here report other important caves,and minor but interesting ones by the explorative point of view.At last are here described the internal hydrographic conformation andthe efforts that led to the discovery of the spring of this area.

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cia sull’enorme pozzo Fi -renze: una verticale di oltre200 metri che ai primiesploratori procurò moltafatica e qualche compren-sibile timore.La base del pozzo è moltogrande e ricoperta da unimponente accumulo di de -triti, mentre la prosecuzioneche di lì a breve conduce alvecchio fondo raggiunto nel’67 è stretta ed insignifican-te. Ma soprattutto non vi èpiù traccia della forte cor-rente d’aria che investe lagrotta fino sull’orlo delpozzo Firenze.La verticale si sviluppa neigrigi marmi dolomitici erimane per tutta la sua lun-ghezza di dimensioni vera-mente ragguardevoli (maimeno di 10x20 m), raggiun-gendo il massimo a tre quar-ti dalla sommità dove arrivaa misurare anche 20x40 m.Per la verità si tratta di alme-no due verticali affiancateche si riuniscono proprio nelpunto della massima am -piezza, mentre più in altosono appena divise da esilied instabili diaframmi di roc-cia. E’ proprio attraversouno di questi che spostan-dosi di oltre 40 metri èstato possibile ritrovaretutto il flusso d’aria. Quelloche segue è un salto dioltre 120 m che ha il suoasse maggiore sulla diret-trice EW; non è esclusoche, continuando a seguir-la e indovinando altri varchiche occhieggiano lontanis-simi, si riesca ad intercetta-re qualche altra verticale.Questi pozzi sono impostatilungo profonde fratture ver-

ticali tipiche nei marmi, dove sono chiaramente visi-bili anche i segni dell’arretramento erosivo alimenta-to dalle acque di percolazione.Sul fondo del pozzo il cumulo di detriti lascia un pas-saggio stretto che immette in un meandrone profon-do oltre 100 metri. Siamo a -370 dove al passaggiotra marmi e grezzoni si incontra il primo arrivo d’ac-qua degno di questo nome. Poco più avanti i primitimidi accenni di distensione, e sopra il bivio delRamo Sud Est di -520 si vedono per la prima volta icaratteristici depositi che ci accompagneranno perbuona parte della discesa lungo la forra (RamoNord). Si tratta di depositi costituiti da ciottoli didimensione centimetrica, spesso matrice-sostenuti,

so meteo-alto, nonostante si trovi 400 metri più inbasso rispetto alla vetta della Tambura; ciò tuttavianon è sufficiente a mantenerlo aperto in occasione diabbondanti nevicate. Fino a meno -100 è un classico abisso apuano: loscivolo iniziale è seguito da un breve ma strettomeandrino investito da un forte flusso d’aria. Poiseguono in rapida successione un p. 6, un p. 30,un p. 20 e un p. 10. Ancora pochi passi e ci si affac-

�� Abisso Mani Pulite. Le condotte freatiche fossili, il cuisviluppo è spesso interrotto da vasti ambienti di crollo, carat-terizzano tutte le cavità del complesso. (Foto G. Dellavalle)

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razioni poiché, ad oggi, non è stata ancora chiarita laquestione dell’aria, anche se quasi certamente que-sta è da mettere in relazione ai rami ascendenti che,probabilmente, risalgono all’esterno a quote più ele-vate.

Ramo Sud-Est

Il Ramo inizia alla base del pozzo che conduce a -520; una breve galleria immette in zone complesseancora non del tutto conosciute.Al primo bivio, a sinistra – avanzando in modestestrutture freatiche – si perviene sull’orlo di un p. 20,alla cui base partono due condotte. A noi interessaquello di destra che immette su uno scivolo, seguitoda un saltino da 8 m ed ancora da un pozzo-scivolodi 20 m e ancora su un’ampia verticale da 35 m.E’ un grande pozzo attivo al contatto tra marmi egrezzoni: risalendolo per oltre 50 metri si intercetta-no altre due diramazioni provenienti dal solito nododi -520.Ma la nostra via continua alla base del p. 35 ed ormaisi è fatta verticale visto che dopo un breve meandroci si trova su un grande pozzo da 30 m.E’ la Sala di Filippo l’Eccentrico Scultore (-650), illuogo scelto appunto da Filippo per scolpire un ciclo-pico blocco e ridurlo a sembianza d’uomo dedito alriposo in posizione orizzontale. Ma è anche la salache attrae a sé altri due arrivi d’acqua, dalla qualeinizia il ramo Ti Piace Così ed un’altra diramazionenon ancora verificata con attenzione. Il primo è unramo essenzialmente fossile con sviluppo non tra-scurabile fino a -750 con significative morfologiefreatiche che possono favorire future esplorazioni. Torniamo alla sala di Filippo da dove la grotta preci-pita in un vertiginoso e spettacolare pozzo da 240 m.E’ il Plexiglas, ed in verità si tratta di una verticale di330, poiché sopra il piccolo pertugio che dà accessoal cilindro marmoreo, ci sono ancora 90 metri di ver-ticale sovrastati da una gigantesca ed impenetrabilefrana sospesa dalla quale arrivano acqua ed aria.La base del pozzo è a -850, è grande e completa-mente intasata dalla frana, ma l’enorme voragine hatagliato antichi condotti freatici e la via per il fondocontinua proprio con una di queste gallerie cheocchieggia a 90 metri dalla base. Si tratta di una gal-leria formata a pieno carico che si è poi evoluta inregime vadoso fino a divenire una profonda forra neigrezzoni, ormai completamente abbandonata dal-l’acqua.Lungo questo tratto ci si imbatte in tre pozzetti, men-tre un quarto pozzo (25 m) immette in un’ampia gal-leria concrezionata. Pochi metri di cammino ed eccoche ci approfondiamo in uno spettacolare meandroattivo nei marmi, seguito da due pozzetti da 8 m e daun ampio pozzo nei calcari selciferi.Quest’ultimo è da scendere solo per 15 m, con unpendolo ed altri 25 m di verticale, poi con un ripidoscivolo si raggiunge il sifone terminale.Il rilevo dà un dislivello di 985 m, i depositi di fangoattestano importanti oscillazioni del livello piezome-trico; anche se non state effettuate le colorazioni èprobabile che l’acqua di questo ramo sia ugualmen-te tributaria di Equi Terme. L’interpretazione della cir-

molto ben arrotondati ed ancorati alla volta dellaforra. Siamo quindi arrivati fin qui scendendo su grandi ver-ticali, per lo più nei marmi, totalizzando appenapoche decine di metri di spostamento al passaggiocon i grezzoni. L’aria è tutta e non ci sono inversioni.L’acqua che abbiamo incontrato a -370 arriva a -520con una portata media di 3-5 l/s.A -520 c’è il primo vero nodo, cruciale, della grotta.Due sono le cose importanti da notare: la comparsadi strutture freatiche e l’incremento, rilevantissimo,della corrente d’aria, combinato ad un brusco abbas-samento della temperatura.Il Ramo denominato “Sud-Est” e la forra che rappre-senta la parte iniziale del ben più importante RamoNord, fanno capo proprio al nodo di –520. E’ intornoad esso che in futuro dovranno concentrarsi le esplo-

� La Carcaraia. Il tormentato ambiente carsico del versantenord del M. Tambura racchiude al suo interno alcuni dei piùprofondi abissi italiani. (Foto M. Vianelli)

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ingenti depositi di fango, comprovano la ciclica inon-dazione di questa condotta impostata su due livellisovrapposti e questo evento è stato più volte osser-vato direttamente. Ancora una volta una menzioneparticolare è riservata alla corrente d’aria che,soprattutto in estate, risulta veramente impressio-nante, mentre in inverno si registra l’inversione diflusso solo in occasione di minime particolarmentebasse. Di quest’ultimo fenomeno non troviamo, almomento, una ragionevole spiegazione.Le Gallerie Prelovsek sono percorse da una corren-te discendente che è forte soprattutto in estate contemperature massime esterne molto elevate.Per quanto riguarda le possibilità esplorative lungotutta la forra non dovrebbe esserci sfuggito niente,mentre rimane ancora da vedere con scrupolo unavia a metà delle gallerie Prelovsek che si approfon-disce con un p.70 e che potrebbe essere una viabuona per scavalcare il Lago Sifone di -945.

dal Lago Sifone al fondo del Saragato

Si tratta di una traiettoria lunghissima dalla qualepartono altre importanti diramazioni che tratteremodistintamente.Al termine della galleria che segue il Lago Sifone siprende quota lungo un pozzo inclinato e attivo di 60

colazione d’aria è molto complessa e di difficile solu-zione. Un dato certo è il flusso convogliato nella gal-leria iniziale che in estate è fortissimo e con una tem-peratura di quasi un grado inferiore rispetto all’ariache arriva dall’ingresso. E’ probabile, come per altroè già stato detto, che il fenomeno sia da collegarsi ainumerosi arrivi che si riuniscono in prossimità delnodo di -520 e proseguono senza dispersioni signifi-cative per tutta la forra del Ramo Nord e fino al LagoSifone.

Ramo Nord

E’ la vera spina dorsale della grotta. Ciò che caratte-rizza il Ramo è la struttura morfologica nettamentedistinta dalla via dell’ingresso ma in continuità con laprima galleria del Ramo Sud Est.La parte iniziale è l’Infinita Forra del Vento, unatraiettoria di oltre 700 metri di sviluppo e 130 di disli-vello, al termine della quale si incontra il gigantescopozzo del Dubbio. La forra punta a N senza incer-tezze, è ampia, attiva e profondamente incisa neigrezzoni. Noi progrediamo quasi sempre in prossi-mità della volta, a tratti anche 20 metri sopra il tor-rente, accompagnati nella discesa da quei depositi diciottoli arrotondati e cementati i cui primi accumuli,abbiamo detto, occhieggiano un po’ nascosti sopra ilpozzo che conduce a -520.Percorso un terzo della forra, da destra un affluenterecapita acqua opalescente carica di polvere dimarmo, proveniente da un ramo sbarrato da un sifo-ne posto sotto le Cave Basse di Carcaraia.Quest’ultima è una delle sotto zone dell’alta Valledell’Acqua Bianca di cui si sa meno e che ripagheràcertamente coloro che disostruiranno le numerosefessure soffianti esterne.Sempre lungo la forra, più a valle e a sinistra, s’in-contra una diramazione poco evidente che dà acces-so all’importante diffluenza delle gallerie di -800sopra il Lago Sifone: sono le gallerie Prelovsek, indiscesa, e la Via di Cioran, in salita.Si tratta di vie fossili impostate quasi sempre lungo lapendenza degli strati, con le quali si perdono 200metri di dislivello con un solo pozzo da 20 m. E’ unatraiettoria scomoda, ma è la via che dal ’97, cioè daquando è stata trovata, ci ha consentito di frequenta-re le zone oltre il Lago Sifone in ogni periodo dell’an-no, anche in caso di precipitazioni esterne.Ma torniamo alla base del Pozzo del Dubbio sotto ilquale siamo rimasti bloccati più volte a causa dellepiene. La sala è enorme, l’acqua filtra attraverso unafrana impenetrabile, mentre la via che porta al sifoneè in alto sulla sinistra del cavernone.Una rapida sequenza di pozzi attraverso un by-passfossile (10, 6, 20 e 25) porta a -945 a lato del grandee torbido Lago Sifone.Scavalcato il lago si avanza in leggera salita per 150m in una imponente galleria caratterizzata da grandialveolature di corrosione e da una profonda incisio-ne vadosa percorsa da un piccolo ruscello. Qui gli

� Abisso Saragato. Le Gallerie Saponate, a -1075 m, prossi-me ai livelli di saturazione. (Foto G. Dellavalle)

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condotta fittamente ricoperta da cavolini inclinati dal-l’aria. Si sale e si scende continuamente, poi si salefino allo Svalico (-780) per condotti sempre freaticima di interstrato ed ora inspiegabilmente angusti. Siritorna a dimensioni umane e si scende nuovamentelungo ripide condotte fino al P. dell’Acqua a Pettine.Qui l’aria rimonta decisa il pozzo ed è per questo chetra il ’98 ed il ‘99 l’abbiamo risalito nell’intento di inse-guirla per ritrovare le gallerie, ma di esse, 450 m piùin alto, non c’è ancora traccia e non crediamo checontinuando a salire sia possibile trovare altri livellifreatici. Piuttosto, è probabile che questa traiettoria sia unodei grandi abissi dall’ingresso sconosciuto che inter-cetta il lungo livello freatico da cui proveniamo,posto tra i 650 e 750, abisso che infatti continuaapprofondendosi anche oltre la base del P.dell’Acqua a Pettine. Sotto questo pozzo scendonoaltre verticali attive in rapida successione in ambien-ti di dimensioni modeste e disturbati da livelli scisto-si. L’approfondimento intercetta l’ultimo piano freati-co percorribile prima dei sifoni e termina a -1045 conuno specchio d’acqua alimentato da un grosso col-lettore. Anche a monte la galleria è sbarrata da unsifone e probabilmente si tratta della stessa acquache scorre alla base dell’Aki e che poi continuaverso il fondo di -1065, ma questa non è la via prin-cipale. Bisogna tornare alla base dell’Acqua aPettine dove di lato, sospesa a qualche metro sulpavimento, si scorge l’imbocco di una galleria incontinuità morfologica con quella che arriva dalcampo. La direzione è invariata, NW e la galleriaprofondamente incisa si trova quasi perpendicolarerispetto all’asse attivo, ma più in alto di 150 m. L’ariain questa zona è quasi assente, la si avverte soloalla sommità del pozzo successivo di 35 m ed il flus-so ha invertito direzione, cioè arriva da ingressi alti,sebbene ormai non manchi molto alla soglia del chi-lometro di dislivello.Dopo il p. 35 seguono pochi metri di un bel tubo disezione ellittica ed ancora un pozzo. Se si traversaalla sommità si imbocca una condotta nei marmibianchi che continua a saliscendi fino ad intercettareuna via verticale che conduce al sifone di -1065.Scendendo il pozzo, invece, si avanza lungo grandigallerie freatiche nei marmi dolomitici, che si fannovia via più inclinate e fangose fino a richiedere l’usodella corda. Sembra di andare all’inferno. Qua e là,lungo questo pozzo molto appoggiato, si vedonoimbocchi di gallerie e in lontananza si sente anche ilrumore di un collettore. Raggiunto il torrente cheesce da un sifone 15 m più in alto e che probabil-mente arriva dall’Aria Ghiaccia, si avanza in unabella forra nei grezzoni e, dopo qualche decina dimetri, un p. 30 bagnatissimo conduce sul sifone di -1075.Per chi non si è perso, questo fondo è stato fino al1999 il punto più basso dall’ingresso, ma anche unodei luoghi più distanti, posto oltre 1200 m in linea d’a-

m e sopra, con alcuni passaggi poco evidenti, sientra in una bella galleria freatica dove è situato ilcampo base denominato Hotel Saragato. Pochipassi in orizzontale ed ecco una corda che pendedall’alto e che conduce in zone freatiche fossili com-plicatissime dove confluiscono anche le galleriePrelovsek. Ignoriamo questo bivio e continuiamo per300 m salendo e scendendo lungo questa condottafossile fino ad affacciarsi su un grande pozzo da cuiarriva un forte rumore d’acqua.E’ il P. Aki che con 240 m di pozzo rappresenta unadelle maggiori verticali del sistema. In cima al pozzosiamo all’incirca alla stessa quota del P. del Dubbio(quello al termine della forra, p.190) e del Plexiglas(Ramo Sud-Est, p. 330) e come questi si sviluppa alcontatto tra marmi e grezzoni.Quaranta metri più in basso scorre un collettore conportata 15-20 l/s (Rio Sheelog) sbarrato da sifonisia a valle che a monte, mentre alla testa, 200 mpiù in alto, parte la via che conduce verso l’AriaGhiaccia ed altre regioni che descriveremo inseguito.Traversando il P. Aki a questa quota (40 m dallabase) si intercetta una galleria dalla parte oppostain direzione N, bella, drittissima, dalla forma a bucodi serratura. Oltre, si sale un pozzo da 20 m edancora una galleria, un passaggio in frana ed unbivio.La via di destra finisce per infognarsi presto in franaa meno di 200 m dall’Aria Ghiaccia; lì ci siamo acca-niti senza successo i primi tempi alla ricerca dellagiunzione, mentre a sinistra, ormai nuovamente neigrezzoni, si continua in direzione NW in una bella

� Abisso Mani Pulite. Le gallerie che si sviluppano prossimeal livello di falda sono soggette ad allagamenti periodici,come testimonia la presenza di sabbia lungo le balaustre.(Foto A. Roncioni)

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no piene d’acqua vista la totalemancanza di depositi lungo lepareti.

Vediamo ora quali sono allo statoattuale le possibilità esplorative.Il tratto Hotel Saragato-Acqua aPettine, non dovrebbe riservaregrandi sorprese; l’unico puntoinsoluto rimane prima dello Sva -lico dove è rimasto da scendereun pozzo, ma da qui più o menosappiamo dove si finisce, cioèsul tratto di collettore che sta trail sifone a valle del P. Aki ed ilsifone a monte del fondo di -1045. Ci sono poi i fondi di -1045e -1065 che sono stati visti inmaniera sommaria una solavolta, ma la campagna ’99 dicechiaramente che si tratta di zoneda verificare con attenzione, amaggior ragione adesso chel’Abisso Mani Pulite dista nonpiù di sei, settecento metri indirezione W.Una disamina più articolata vadata per la parte a monte del P.dell’Acqua a Pettine. Qui, invece,più che salire sarebbe importantecercare delle finestre a partire daquota -650. Meno seicentocin-quanta (circa 800 m s.l.m.) infatti,corrisponde alla sommità deigrandi pozzi del complesso, che siaprono al termine di lunghe traiet-torie dallo sviluppo planimetricoimportante. E’ quindi probabileche attraverso qualche aerea fine-stra anche in questo settore si

possano trovare rami di un certo sviluppo.

dall’Hotel Saragato verso l’ingresso 910 T/LU

Il ramo comincia proprio dall’Hotel Saragato: bastasalire la corda che pende sul campo e 60 m più inalto si entra in un vero groviglio freatico sul quale siinnesta anche la via fossile che arriva dall’InfinitaForra del Vento (Gallerie Prelovsek).La maggior parte di queste condotte si affacciano avarie quote sul P. Aki, mentre le poche che lo evita-no rimangono ancora da percorrere.La nostra via è una forretta fossile che prende quotacon brevi saltini riallacciandosi all’Aki a 60 m dallasommità. In cima al pozzo si traversa su un’esile edaerea cengia che fa guadagnare la base di un ampiomeandro attivo letteralmente spazzato dall’aria che,in estate, va nella nostra stessa direzione.Come molte altre volte anche qui, uscendo dalpozzo, ci imbattiamo nei grezzoni, ma il meandronon è altro che l’approfondimento attivo di una galle-ria freatica situata 30 m più in alto e ostruita da gros-si ciottoli fluitati.

ria in direzione NW e corrisponde a uno sviluppospaziale di circa 3000 m.Qui, nell’estate 1999, abbiamo arrampicato lungo untubo freatico che si è formato per effetto della risalitadell’acqua e che ha inizio proprio a lato del sifone delquale abbiamo registrato visivamente oscillazioni dellivello idrico anche superiori a 40 m, sebbene i segnidell’acqua sembrino indicare innalzamenti maggioridi 100 m.Settanta metri più in alto del sifone si entra in un gro-viglio di condotte ricongiunte in più punti sulla via cheprecede il fondo, mentre a valle si sviluppano peroltre 700 m in direzione W.Il nuovo fondo è ora mezzo chilometro più vicino alPannè e 50 m più in basso rispetto al precedente,cioè intorno a -1125, ma il sifone che ancora unavolta ci sbarra la via lo si raggiunge senza mai incro-ciare collettori degni di questo nome. Sono zone cheprobabilmente per lunghi periodi dell’anno rimango-

� Abisso Mani Pulite. Nelle gallerie fossili distribuite intor-no alla quota di -700 m non è raro incontrare dei riempimen-ti. L’analisi delle loro litologie ha permesso la formulazionedi teorie paleoambientali. (Foto A. Roncioni)

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molto grande (i Ritraversi) modificata sensibilmentedalla presenza di crolli.La fine delle corde coincide con un trivio al qualefanno capo due importanti vie in risalita ancora inesplorazione, mentre una terza diramazione inizia12 m più in basso e continua con un meandro attivosplendidamente modellato dall’acqua. E’ il Fanta -meandro. Ma il trivio è anche un importante nodoidrografico poiché è qui che si riuniscono i moltiaffluenti che ingrossano il Rio Sheelog che proven-gono da una fitta rete di fratture parallele, la maggiorparte delle quali risulta assolutamente intransitabile.Insomma è un luogo strategico dove antiche struttu-re fossili si incrociano ripetutamente con rami dallagenesi più recente dando vita ad un complicatointreccio che risulta difficilmente interpretabile dalpunto di vista evolutivo, mentre la circolazione d’aria,che qui è disordinata ma sempre molto intensa,lascia intravedere ancora importanti possibilitàesplorative.Il Fantameandro è interessato da scorrimento idricoe rappresenta un asse molto importante di questosettore di monte, tanto che è proprio lungo questadirettrice che si incrocia la via per l’Aria Ghiaccia. La giunzione coincide con un pozzo in salita che col-lega il Fantameandro a un livello fossile. Superatoquesto punto si continua in orizzontale. L’inversioned’aria percepibile in questa zona indica la presenzadi un ingresso alto.Il meandro è seguito da una sala grande e franosa incui confluiscono due arrivi d’acqua. Da qui si comin-cia a salire seguendo l’attivo principale e l’inclinazio-ne degli strati di un livello di calcare selcifero. Conuna lunga serie di pozzi si guadagnano 300 m di

L’acqua del meandro in condizioni normali non èmolta (3-4 l/s), proviene da due arrivi (Ramo deiPeones ed un ampio camino ancora da risalire)sui quali non è possibile fare correlazioni precisetra questi e l’esterno. E’ da notare, comunque,che quest’area si trova proprio sotto il RioVentagio.Abbandoniamo ora l’acqua a favore di una forra fos-sile caratterizzata dalla marcata ed uniforme altera-zione della roccia che contraddistingue sempre lecondotte sviluppate nei grezzoni percorsi da impor-tanti flussi d’aria.In coincidenza di uno sfondamento lungo la forra sitiene la destra e si risale una galleria in forte pen-denza fino alla base di uno scivolo franoso. I marmiqui presenti sono disturbati da importanti frattureverticali, tali da condizionare la forma stessa dellagalleria che ha una sezione grossolanamente qua-drata.Alla sommità dello scivolo ci affacciamo sull’ennesi-mo pozzo che prosegue sia in alto che in basso e l’a-ria è furiosa. Il pozzo è grande e le alternative possi-bili lungo le pareti sono moltissime.La via verso l’Aria Ghiaccia continua con una lungaserie di traversi alla stessa quota della GalleriaQuadrata. Si tratta di una forra nei marmi bianchi

� Abisso Mani Pulite. Lungo la serie di laghetti pensili esemisifonanti nelle gallerie di -700 m si incontrano alcunedelle rare concrezioni di questi abissi. Alcuni laghi devonoessere periodicamente svuotati per consentire la progressio-ne. Il livello orginario prima dello svuotamento è qui ben evi-dente. (Foto A. Roncioni)

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franoso che aspetta di diventare un altro accesso delsistema. Tornati al bivio, si entra nei Rami a Valle: la primaparte è un livello fossile di varie litologie e dimensio-ni sempre modeste. Dopo qualche centinaio di metridi sviluppo finisce in un grandissimo pozzo da 80 mattivo. Alla base gli ambienti sono tanto grandi ediversi che sembra di aver cambiato grotta. In prati-ca sono un complesso di ambienti nei marmi, sospe-si sull’attivo e interessati da crolli.Al termine di queste grandi gallerie un bivio a monteporta verso il Saragato, mentre, seguendo l’attivo, siraggiunge un sifone pensile a -520.La via per il Saragato rimonta un’affluente e salecon pozzi e meandri lungo una traiettoria malage-vole. Dopo una frana ci si imbatte nei marmi ed inmodeste gallerie freatiche fossili investite da unaforte corrente d’aria, lungo le quali si incontranosvariati bivi. Sono zone complicate ed antiche che

dislivello e si entra definitivamente nei marmi che quisono vistosamente fratturati, dando luogo ad impo-nenti ed instabili accumuli di blocchi. Siamo ormai a1350 m s.l.m., vicini sia in pianta che in dislivello aduna cavità che si apre tra il M. Tombaccio e il M.Roccandagia.

Le possibilità esplorative lungo tutta questa traietto-ria sono ancora moltissime. Si tratta essenzialmen-te di risalite da effettuare nelle zone sopra il P. Akied in prossimità dei Ritraversi con le quali è proba-bile intercettare altri livelli fossili. Altrettanto impor-tante sarebbe seguire a ritroso gli attivi per cercaredi raggiungere il cuore della Carcaraia, quella cri-vellata da decine di buchi soffianti, difficili da pene-trare.

Buca dell’Aria Ghiaccia (1027 T/LU)

Fino al 1998 è stata una grotta a sé stante con unaprofondità di 800 m ed uno sviluppo complessivo dicirca 10 km. Ora il suo ingresso è diventato l’acces-so basso del sistema ed alcuni suoi rami rappre-sentano le aree più settentrionali di un giganteche ormai conta uno sviluppo totale di circa 28km. E’ una grotta assai varia della quale, in que-sta sede, riportiamo solo poche informazioni,rimandando alla bibliografia per gli ulterioriapprofondimenti.L’ingresso è in prossimità delle cave Campaccioa quota 1100 m sul fianco di una marmifera diservizio abbandonata.Fino a -250, è una sequenza pressoché continuadi ampi pozzi e stretti meandri nei marmi, percor-sa da un ruscello d’acqua e da un fiume d’ariaveramente rimarchevole.A -250 non siamo lontani dalla verticale dell’in-gresso e s’incontra il primo bivio importante incoincidenza con un grosso affluente prove-niente da sinistra. Seguendo l’attivo versovalle si avanza in direzione NW, scendendoagevolmente lungo un’alta ed ampia forra chedopo qualche centinaio di metri incrocia unpozzo di 45 m.Alla sommità del pozzo una finestra immette inuna diramazione secondaria contraddistintaperò da interessanti morfologie freatiche mentre,sotto il pozzo, ben presto si incontrano i grezzo-ni che danno luogo ad un ramo di grande svilup-po, a tratti malagevole e pericoloso in caso dipiene improvvise, che termina con una fessura610 m più in basso dell’ingresso. E’ questa laregione che si porta più a nord di tutto il com-plesso.L’altra importante diramazione dell’Aria Ghiacciainizia dal bivio di -250.Risalendo l’affluente si guadagnano 100 m didislivello lungo profondi e stretti meandri neimarmi intercalati da brevi pozzi attivi fino adimbattersi in un al t ro biv io importante.Continuando a salire si imbocca una interminabi-le fila di pozzi altissimi e vasti, che finiscono persfiorare il ramo del Saragato che arriva sotto il910 T/LU e al contempo sotto un piccolo buco

� Abisso Mani Pulite. Concrezionamenti nelle gallerie inprossimità del sifone a monte. (Foto A. Roncioni)

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tiche e meandri di piccola dimensione, riprende adapprofondirsi lungo l’asse della giacitura deglistrati. Seguono ambienti di medie dimensioni, fos-sili, dove il procedere è vario, tra brevi salti e trat-ti più o meno meandriformi.Siamo a -200 e da qui fino a -400 seguono treprofonde verticali in rapida successione (p.70; p. 50;p. 80) con ambienti dalle dimensioni sempre piùgrandi. L’aria, però, è scarsa.Da -400 in poi seguiamo l’attivo (2-3 l/s) formatosidall’unione di vari stillicidi, che ora prosegue lungoun meandro alto e stretto cui seguono una serie dipozzi e saltini: p. 20, p. 5, p. 10, p. 28 (del SaragoPizzuto), p. 10 e un p. 50.Alla base del p. 50 l’incontro con i marmi dolomiticipreannuncia qualcosa di importante: infatti, appena40 metri più in basso, alla stessa quota dei livelli digallerie più sviluppate di Saragato e Aria Ghiaccia(800 s.l.m.), ci si imbatte nel primo nodo significativodella grotta.

verso i saloni

Sul nodo di -650 convergono ben tre arrivi di acqua:di due ignoriamo tuttora la provenienza, mentre ilterzo è quello che proviene dalla via di discesa, di cuidescriveremo il percorso in seguito. La diramazioneche porta ai saloni inizia invece pochi metri a valledel nodo.Un saltino di 4 m immette in un ampio meandro fos-sile al contatto tra grezzoni e marmi dolomitici conforte circolazione d’aria da ingresso meteo basso.Questa lunga diramazione, che si sviluppa con mini-

si collegano al sottostante Fantameandro delSaragato con un pozzo da 60 m.

Abisso Mani Pulite (1159 T/LU)dall’ingresso a -650

Se il Saragato sorprende per la maestosità del suoingresso, altrettanto non si può dire di quello di ManiPulite. E’ un piccolo buco a quota 1440 lungo il sen-tiero che parte dalla confluenza tra Rio Rondegno eRio Ventagio e che arriva in prossimità di un tornan-te della strada marmifera che si dirige al Passo dellaFocolaccia.Siamo alle pendici settentrionali del M. Cavallo, adun chilometro in linea d’aria dall’ingresso delSaragato Comincia con un breve cunicolo inclinato che immet-te sull’orlo di un scivolo impostato lungo i piani distrato e dalle dimensioni insospettabili a così pocadistanza dall’esterno. Alla base del pozzo si prosegue in ambienti a trattiangusti e molto franosi che seguono ancora la pen-denza degli strati fino a quando, a -90, si incontra ilprimo vero pozzo della grotta, un p.45.Siamo ormai completamente dentro la formazionedei grezzoni che seguiremo praticamente senza maiabbandonarla fino a -600, mentre a -150 c’è il bivioche conduce ai vecchi fondi della grotta uno deiquali, l’unico rilevato per intero, si chiama Ramodell’Appalto. Noi seguiremo l’altro.L’attacco della via nuova parte da una finestrache, con una serie di passaggi in condottine frea-

Tendenzialmente siamo contrari alla ste-sura di schede d’armo dettagliate dalmomento che le preferenze degli esplora-tori sono del tutto soggettive; ciò nono-stante, ci sembra utile dare delle indica-zioni di massima sulle corde necessariealla percorrenza delle traiettorie principa-li descritte. Di seguito riportiamo la suc-cessione dei pozzi e, fra parentesi, vieneindicata la lunghezza della corda necessa-ria qualora, per via di pendoli o traversi,essa sopravanzi di molto la lunghezza delpozzo.Inoltre è importante ribadire che le zonepiù profonde sia del Saragato che di ManiPulite sono soggette a inondazioni e losono anche quei rami che in condizioninormali non sono interessati da scorri-mento idrico. Si raccomanda quindi lamassima cautela e si sconsiglia la frequen-tazione di queste zone con previsionimeteorologiche incerte e con la presenzadi neve che in Apuane, anche in pienoinverno, può sciogliersi anche in tempibrevi.

ABISSO SARAGATO

dallʼingresso a –500Dolina iniziale (utili 25 m di corda)p. 7; P 30; p. 22; p. 5; (*) p. 60 (Pozzo Firenzep. 210. Scendere circa 60 metri e poi tra-versare sulla sinistra viso alla parete; neces-sari 80 m di corda); Tirolese (necessari 25 mdi corda) p. 14 (salita); p. 140; p. 110; p. 7; p.15; p. 25 (alla base seguire l’acqua ed alzar-si subito sulla destra); p. 44 (del Dito); p. 10+ p. 35 (-520. Bivio per ramo Nord e RamoSud-Est)(*) Per il vecchio fondo di –375 scendere tuttoil p. 210 (Pozzo Firenze); p. 15.

da –500 al fondo del Ramo Sud-EstDalla base della corda p. 35 si prende per lagalleria da cui arriva l’aria e ci si tiene sullasinistra superando un passaggio bassop. 20; P 10; p. 6; p. 75; p. 28 (sala di Filippol’eccentrico scultore); p. 140 (p. Plexiglasspendolare dopo 140 metri alla finestra acirca 20 m dalla verticale. Necessari 230 mdi corda); p. 12; p. 20; p. 40; p. 7; p. 30 (pen-dolare alla finestra) p. 23 (sifone di –985).Sono inoltre necessari alcuni spezzoni perproteggere vari saltini tra il p. 20 e il p. 40dopo la sala di Filippo

da -500 al campo base HotelSaragatoDa -500 imboccare per la forra seguendol’aria. Stare di norma alti in prossimità dellavolta.p. 5; p. 15; traverso 15 m (dalla marmittatraversare alti); p. 8; p. 10 (arrivo affluentesulla destra); traverso 7m; p. 8 (*); p. 13; p.10; p. 7; p. 12; traverso sul p. 190 (necessari20 m per proteggerlo dalla base del p. 7); p.190 del Dubbio Amletico (necessari 230 m dicorda); p. 7; p. 5; p. 23; p. 20 (Lago Sifone); p.60 (salita); p. 7 (salita: Hotel Saragato).(*) per le Gallerie Prelowsek dopo il p. 8 per-correre ancora circa 25 m e imboccare il pas-saggio sulla sinistra; p. 20 (imboccare la finestradopo 20 m dall’attacco a circa 6 dalla verticale);traverso su p. 70 (necessari circa 15 m di corda;imboccare poi per la condottina stretta); p. 6; p.40; p. 15 (Hotel Saragato)

dal campo base Hotel Saragato alfondo di -1125p. 15 (salita) p. 4; p. 5 (salita); traverso sul p.Aki (necessari 30 m di corda); p. 25 (salita);p. 10; p. 5 (salita); p. 10 (salita); p. 12; p. 30(Quello che sgronda con l’Acqua a Pettine); p.10 (salita); p. 4 (salita); p. 8; p. 30; p. 6; (*);

Diamo i numeri

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ma pendenza positiva in direzione E – cioèverso il Saragato – è impostata su un asse atti-vo non del tutto percorribile. Il collettore scorre40-50 m più in basso ed è accessibile attraver-so tre sfondamenti. Il salone più orientale èquello dove si è fermata l’esplorazione. Ilsecondo salone, oltre ad avere una base gran-dissima (70x40 m) è anche molto alto, ma l’ac-qua non arriva dal punto più elevato bensì dauna galleria sospesa a 30 m dal pavimento.Siamo a -530 e 350 m sotto la verticale del RioRondegno. Alla base del salone l’acqua filtranella frana che ritroviamo più a valle quasi rad-doppiata; più avanti forma due sifoni e finisce inun terzo a -715, non lontano in pianta dal nododi -650. Sebbene questo ramo si trovi relativamentevicino al Saragato e all’Arbadrix dall’interpreta-zione della circolazione d’aria sembra poco pro-babile che vi possa essere una giunzione traqueste grotte, in favore probabilmente di altrisviluppi planimetrici.

dal nodo di -650 fino al Campo Base

Superato il bivio con il Ramo dei Saloni si scen-de un p. 25, un p. 4 e si avanza lungo una gal-

(alla base del p.6 imboccare la condottinapiccola sulla sinistra spalle alla corda); tra-verso su lago (necessari 15 m di corda); p.6 (salita); p. 30; p. 15; p. 3; traverso (stare altisulla galleria necessari 20 m di corda); p.7; p.12; p. 10 (alla base necessarie mute stagne);p. 12 (Fondo di –1125).(*) per il fondo di –1075 alla base del p. 6 pro-seguire lungo la grande galleria e continuare ascendere: p. 50 (necessari 65 m di corda); p. 10;p. 40 (necessari 55 m di corda. Sifone di -1075)

dal campo base Hotel Saragato allagrotta 910T/LUp. 15 (salita) p. 35 (salita); p. 6 (salita); p. 10(salita); p. 7 (salita) + traverso su sfonda-mento (necessari 6 m di corda); p. 60 (sali-ta. p. AKI); p. 6 (salita); p. 10 (salita); p.7 (sali-ta) + p. 5 (salita); p. 12 (salita GalleriaQuadrata); traverso sulla sala (per imbocca-re la finestra che si vede alla stessa quota dilà della sala scendere circa 15 m, traversaree risalire circa 10 m); traversi su galleriasfondata (necessari circa 50 m di cordaRitraversi); p. 12 (Fantameandro); p. 10 (Saladella Giunzione Sussurrata); p. 13 (salita); p.15 (salita); p. 35 (salita); p. 25 (salita) + p. 30(salita); p. 70 (salita InSonia); p. 12 (salita); p.

15 (salita); p. 20 (salita); p. 5 (salita); p. 25(salita); p. 30

ABISSO MANI PULITE

dallʼingresso a –650Scivolo d’ingresso (necessari 35 m di corda); p.4 + p. 5 + p. 45 (necessari circa 60 m dicorda); p. 14 (alla base tenere la sinistra. Ilramo di destra, Ramo dell’Appalto, con un paiodi salti e un p. 100 chiude in fessura); p. (35pendolare al terrazzo contrapposto alla via didiscesa a circa 15 m dall’attacco); p. 3; p. 15(pendolare alla finestra del meandro); traver-so su sfondamento (necessari 5 m di corda) p.30; p. 15 (necessari 25 m di corda); p. 20; p. 15(necessari 20 m di corda); scivolo (necessari30 m di corda); p. 75 (a Gradoni, necessari 90m di corda); p. 50; p. 6 + p. 80 (necessari 110m di corda); p. 20 (necessari 25 m di corda); p.5; p. 10 (necessari 15 m di corda); p. 27 (DelSarago Pizzuto, necessari 40 m di corda); p. 20;p. 8 + p. 50 (necessari 55 m di corda); p. 40(necessari 50 m di corda. -650).

dal nodo di -650 verso i saloniRicordiamo che da questo ramo partono 3approfondimenti che si sviluppano con

pochi salti fino a terminare su altrettantisifoni (necessari al massimo 60 m di cordasu ciascun sfondamento).p. 4 (in salita); p. 4; traverso alto sul primosfondamento (necessari 10 m di corda); tra-verso sul secondo sfondamento (necessari15 m di corda); p. 10 + p. 3 (in salita, neces-sari 20 m di corda); p. 20 (in salita); p. 15; p.23 (in salita, saloooooooone Marcella).

dal nodo di -650 verso il campobasep. 25 + p. 4 (necessari 35 m di corda); p. 25;p. 30 (in salita); p. 7; p. 5 (in salita); p. 10; p.20(oltre il p. 20 utili 30 m di corda in spezzo-ni); traverso sul primo lago (necessari 10 mdi corda); traverso sul new lake (necessari15 m di corda); p. 10; p. 5 (galleria del campobase).

dal nodo di -650 verso il fondo di -1060p. 10 + p. 8 (necessari 30 m di corda); p. 35(necessari 45 m di corda); p. 100 (necessari130 m di corda, molto spostato); p. 30(necessari 40 m di corda); p. 20 (necessari30 m di corda); p. 25; p. 50 (necessari 60 mdi corda).

� Abisso Mani Pulite. Salone Marcella, un vastoambiente caratterizzato da estesi fenomeni di crollo.(Foto G. Dellavalle)

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marmi ai grezzoni. La via ci riporta su un sifonea -730 evidenziando, così, l’estensione e l’orien-tamento planimetrico della falda sospesa.Dopo il bivio, la condotta continua fino a quota620 m s.l.m., dove si incontrano tre laghi in suc-cessione.Superato l’ultimo lago, si scendono due pozzetticollegati da una grande condotta a pressione esi entra in una maestosa galleria dove attual-mente è attrezzato il campo base.Per forma e dimensioni la galleria appena per-corsa non trova altri riscontri né all’interno ditutta la Tambura, né – osiamo dire – nelleApuane, ma è paragonabile solo alle strutturefreatiche simili solo al Corchia e all’abissoMilazzo.La posizione altimetrica di questa diramazione èin accordo con i livelli freatici dei complessi AriaGhiaccia-Saragato e Pinelli-Paleri-Pianone equesto conferma la prolungata permanenzadella falda alle quote comprese tra 800 e 650 ms.l.m.L’ingresso di Mani Pulite si comporta da acces-so alto.Imboccata la via nuova la corrente è ancora benpercettibile nei passaggi stretti, ma il flusso d’a-ria, da qui fino a -650, subisce più inversioni nelcorso della stessa stagione.Nel complesso la massa d’aria che percorre latraiettoria -150/-650 risulta in tutte le stagionipoco significativa e quindi è intorno al nodo di -150 che va cercata l’origine del flusso principaleche arriva da un ingresso basso. Il vento cheinvece si avverte al nodo di -650, in inverno arri-va dal Ramo dei Saloni ma, anziché salire versol’ingresso di Mani Pulite, preferisce scenderefino poco sopra al sifone di -730, per poi proce-dere in direzione del campo base fino al biviocon il ramo che riporta sulla falda. Da questobivio e fino al campo base l’aria è scarsa e con-traddittoria, mentre risulta assolutamente

impressionante nella grande galleria.

dal Campo Base al fondo di -1060

Al campo si ha la sensazione nettissima d’essereentrati nel cuore del complesso dalla porta di servi-zio ed il rumore del torrente rafforza questa sugge-stione.Osservando la galleria si intuisce che il fiume transi-tato qui in varie epoche doveva avere ben altre por-tate.Ora questa bella condotta è attraversata dall’acquasolo occasionalmente. Al momento non sappiamo nédove vada l’acqua né, tanto meno, se provenga daaltre zone conosciute di Mani Pulite. Arriva da unafrana che ostruisce un lato della galleria ed i tentati-vi fatti fin ad ora per risalire il collettore e ancor piùper seguire il flusso d’aria che in estate è fortissima,sono stati deludenti.Continuando ad avanzare al lato opposto alla frana,in breve si intercetta un’alta forra ortogonale allanostra galleria, alla cui base scorre un nuovo torren-te. E’ questa la via per il fondo.

leria fossile alta e franosa. L’acqua che arriva dall’in-gresso e che aumenta in corrispondenza del nodo di-650, sotto il p. 25 si approfondisce in un meandronei marmi dolomitici e, dopo un centinaio di metri disviluppo, finisce in un sifone a -730. Con ogni proba-bilità si tratta di una falda sospesa posta a 700 ms.l.m., sebbene le quote dei due sifoni non coincida-no perfettamente.Ma torniamo alla via fossile, perché è attraverso que-sta che, dopo molte punte nel corso dell’inverno edella primavera del 2000, è stato possibile aggirare ilsifone. Il fondo di -730 è raggiungibile più agevol-mente anche per questa via superiore da cui, 30 msopra il sifone, parte una condotta freatica verticale.Alla sommità del pozzo si riprende a scendere neigrezzoni e si continua ad avanzare in condotte frea-tiche a saliscendi. Le condotte si fanno di dimensioni sempre crescentie le vie possibili sono numerose; solo una però scen-de verticalmente in coincidenza del passaggio dai

� Alcuni splendidi esempi di morfologie carsiche epigee, tracui karren molto incisi e meandreggianti, frequenti nel pae-saggio apuano. (Foto M. Vianelli)

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Carcaraia �

filtra nel pavimento mentre la via continua con unabreve risalita che immette in una zona fossile e fra-nosa dalla prosecuzione sempre più angusta. E’ presto evidente che si tratta di una condottasecondaria formatasi lungo l’asse d’immersione deigrezzoni, mettendo in comunicazione la sala con unpozzo da 50.La condotta ci porta su un lato del pozzo, mentredalla parte opposta s’intravede l’arrivo di una galle-ria che potrebbe giustificare il flusso d’aria prove-niente da un ingresso alto, sebbene qui ci si troviormai a quasi un chilometro di profondità dall’in-gresso. In ogni modo alla base del pozzo non c’ètraccia né dell’aria né del collettore principale; l’uni-ca novità è la comparsa di potenti depositi di argillache indicano le oscillazioni dell’ormai prossima faldafreatica.Si scendono ancora pochi saltini arrampicabili, edecco l’immancabile sifone a -1060.

Note sulle più importanti grottedell’alta Valle dell’Acqua BiancaLe grotte registrate nel Catasto delle Grotte dellaToscana e che rientrano negli elementi 249071 e 72alla scala 1:5000 della cartografia regionale e nellatavoletta I.G.M 96 II NO sono circa 160.La maggior parte di queste sono di assorbimento ela densità maggiore di ingressi si riscontra in

Carcaraia (zona A) mentre nella zona B gliingressi si concentrano prevalentementenella zona a valle della Foce di Cardeto.In larga parte si tratta di cavità che hannomisure minime per essere catastate,mentre quelle più grandi hanno uno svi-luppo prevalentemente verticale condimensioni interne molto variabili. Ciò checaratterizza quasi tutte le cavità, indipen-dentemente dalle dimensioni, dallaprofondità e dalla collocazione, è la circo-lazione d’aria che sembra indicare l’esi-stenza di un sistema carsico di proporzio-ni maggiori di quello attualmente cono-sciuto. Di seguito riportiamo alcune infor-mazioni sulle grotte più importanti e suquelle che abbiamo ritenuto particolar-mente promettenti dal punto di vistaesplorativo.

Abisso Paolo Roversi OK3(705 T/LU) (già Abisso Don Ciccillo)

Per chi lo avesse dimenticato: al momentosi tratta della grotta più profonda d’Italia(-1250).Si apre a poca distanza dal passo dellaFocolaccia in direzione E, a 1710 m di

La galleria da cui si proviene continua anche davan-ti a noi con un modesto dislivello positivo per 200 mdi sviluppo e finisce in un sifone a monte.E’ questa la spina dorsale di Mani Pulite: lo attesta-no le dimensioni morfologiche e/o flussi d’aria e d’ac-qua, ma soprattutto lo sviluppo delle diramazioni chesi stanno esplorando. Non ne parliamo per scara-manzia.La via per il fondo, diversamente da come accade alSaragato, non è un semplice ringiovanimento diquota 700 m s.l.m., ma di una poderosa struttura,frutto di imponenti scorrimenti idrici.Dal punto di intersezione tra la galleria del CampoBase e la forra, si scendono pochi metri fino adun’ampia cengia poi, con una breve risalita, si gua-dagna il soffitto della forra che in questo punto è altapiù di 25 m. Avanzando ora in zone comode edasciutte si arriva sull’orlo di un p. 35.Alla base siamo nuovamente sull’acqua che di lì apoco precipita in uno spettacolare pozzo da 100 mpuntualmente al contatto tra grezzoni e marmi.E’ bello e grandissimo ma in caso di piena, nono-stante il laborioso attrezzamento, è assai probabileche risulti impercorribile.Traversata la base del pozzo, la forra continua per100 m di dislivello sulla stessa direttrice di prima escendendo a salti, armati con lunghi pendoli perrimanere sempre lontani dalla traiettoria dell’ac-qua.Poi, in concomitanza con una grande sala, l’acqua

� Abisso Mani Pulite. Numerosi torrenti vanno adalimentare il collettore idrico che, per un percorsoancora ignoto, porta le acque alle sorgenti di EquiTerme. (Foto G. Dellavalle)

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quota e mezzo chilometro a S del Saragato colquale per ora condivide solo la presenza di gran-dissimi pozzi. Insomma è il classico abissone apua-no.La via più diretta per raggiungere il fondo scendeprevalentemente a pozzi che si sviluppano lungofratture verticali ben marcate.I pozzi sono collegati da brevi meandri; l’unica ecce-zione è rappresentata dal Ramo dei Polacchi, dovesi incontrano significativi tratti a sviluppo orizzontaleed anche un gigantesco salone la cui origine è dovu-ta ad importanti fenomeni di crollo.Questo ramo comincia alla profondità di -250 e sicollega a quello principale a -750, esattamente allastessa quota della finestra sul p. Mandini che immet-te sulla prosecuzione scoperta nel ’94. Da qui in poil’acqua dei due rami si unisce ed il collettore che nerisulta ha una portata in magra di circa 5 l/s, ed ali-menta la zona satura che fa capo alla sorgente diForno.Di recente (2001) la grotta è tornata ad essereoggetto di esplorazioni più accurate, ed alla sommitàdel p. Mandini è iniziata la risalita di un ramo attivosul quale si convogliano i flussi d’aria principali dellagrotta che indicano l’esistenza di un altro accessometeo alto.Nonostante questo le zone potenzialmente più inte-ressanti continuano ad essere quelle tra -900 ed ilfondo, poiché le esplorazioni del ’94 sono state som-marie e realizzate quando ancora non sapevamodell’esistenza di regioni freatiche fossili che hanno illoro massimo sviluppo alle quote comprese tra 800 e600 m slm.

Buca della Mamma Gracchia OK7(708 T/LU)

In ordine di profondità è la quarta grotta dell’alta Valledell’Acqua Bianca ed è situata a NE della vetta dellaTambura, 400 metri ad E del Roversi a quota 1730m. E’ la grotta, tra quelle di maggior profondità, piùdistante dai due grandi complessi della zona.Si tratta di una cavità prevalentemente verticale cheinizia con un maestoso ingresso e continua con unaserie di pozzi di profondità crescente, l’ultimo deiquali misura oltre 160 m.La litologia è nei grezzoni e nei marmi dolomiticimentre su un ramo secondario che parte dal fondo viè un consistente livello scistoso.Su questo ramo nel ’95 sono state effettuate dellerisalite in direzione di un ingresso meteo basso. Ilramo finisce su stretti passaggi.Sebbene al suo interno non si intercettino mai morfo-logie freatiche la Buca di Mamma Gracchia è unadelle cavità più interessanti di tutta l’area poiché nonè escluso che spostandosi sui pozzi lungo la direttri-ce principale delle fratture, si possa scendere oltrel’attuale fondo di -470.L’ingresso si comporta da accesso meteo-alto, men-tre lo scorrimento idrico in condizioni normali si limi-ta ad uno scarso ruscellamento di pochi litri al minu-to. Le acque di questa grotta non sono mai statecolorate; risulta quindi molto difficile ipotizzare aquale bacino essa appartenga, forse al Frigido.

� Lo spettacolare ingresso della Buca di Mamma Gracchia,a quota 1730. Sullo sfondo, la cima del Roccandagia. (Foto G. Dellavalle)

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Le relazioni esplorative parlano di una grotta di scar-so interesse che scende per 200 m lungo frattureverticali che hanno dato luogo a vistosi fenomeni dicrollo.Considerato che è trascorso molto tempo dalla primaesplorazione, si consiglia una verifica accurata.

Abisso Arbadrix (741 T/LU)

Si apre a poca distanza dal Saragato in direzione Ne 130 m più in basso di quest’ultimo.E’ una grotta non molto profonda (-360) ma piuttostocomplessa e dallo sviluppo significativo (circa 3000m). Fino al ’93 è stata l’unica cavità della zona congallerie di sicura origine freatica ancora ben conser-vate sebbene si tratti di condotte di piccole dimen-sioni.In realtà Arbadrix continua ad avere ancora una suaspecificità, in quanto la galleria con maggior svilupposi trova ad una quota molto elevata per il versantesettentrionale delle Apuane (1100 m).Allo stato attuale delle esplorazioni riveste una certaimportanza soprattutto perché alcuni rami si trovanoesattamente sulla verticale delle Gallerie Prevlosekdel Saragato, 200 m più in alto.Nel ’97 il G.S.F ha congiunto Arbadrix con la vicinaBuca dei Fafi Furni (-150). I due ingressi sono allastessa quota (1335 m) e si comportano da accessimeteo bassi, ma non sono mai interessati da corren-ti d’aria particolarmente intense.

Abisso Mescaleros OK1 (704 T/LU)

Grotta essenzialmente verticale che si apre a pochedecine di metri dal Roversi, senza però collegarsi.

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tissima che si riscontra soprattutto in estate damettere in relazione con i rami di Aria Ghiaccia eSaragato.Un eventuale collegamento migliorerebbe sensibil-mente l’accessibilità del complesso. L’ultimo tentati-vo di forzare la frana risale al ’94 quando ancora nonerano conosciute le diramazioni che transitano pro-prio sulla verticale della Buca Cino.

Buca sopra la Cava Bassa (357 T/LU)

E’ l’ingresso più imponente di tutta la Tambura.Si apre a valle del Saragato in direzione NE e piùprecisamente tra quest’ultimo e le Cave Basse diCarcaraia. E’ un unico enorme vano (60x40) creatodall’ampia dolina d’ingresso. Le dimensioni fannoimmaginare prosecuzioni altrettanto maestoseanche per il flusso d’aria che filtra dalla frana termi-nale a -60. Non si hanno notizie di tentativi seri didisostruzione della frana.

Buca di Belfagor (890 T/LU)

Si apre a quota 1280 m poco sopra il bacino marmi-fero delle Cave Basse di Carcaraia e fu trovata edesplorata nel 1984 dal G.S. Pisano e dal G.S.Lucchese.E’ una grotta di dimensioni modeste (-120 m e 500 mdi sviluppo) ma è l’unica che a queste quote ha unosviluppo prevalentemente orizzontale. In più tratti siriscontrano forme che potrebbero essere riconduci-bili ad un regime freatico che, però, sono pesante-mente modificate dai crolli.Degne di menzione sono anche l’aria, fortissima inuscita durante l’estate e la posizione del fondo che sitrova quasi sulla verticale rispetto al nodo cruciale di-520 al Saragato.Non è escluso, quindi, che forzando la frana termi-nale di Belfagor, si possa aggiungere un altro ingres-so al Saragato e allo stesso tempo spiegare le ano-malie della circolazione d’aria che si registranosull’Infinita Forra del Vento, dove si riscontrano inver-sioni solo con temperature esterne particolarmenterigide.

Buca Cino (1068 T/LU)

E’ una piccola grotta che si apre al bivio tra la stradamarmifera che porta al passo della Focolaccia equella che conduce alla grande cava che sta deva-stando le pendici del monte Pisanino.La grotta è stata trovata proprio durante i lavori disistemazione della strada: in pratica è un inclinatissi-mo piano di interstrato nei grezzoni che porta a -100,dove si trova una grande marmitta piena d’acqua.A lato del lago, un angusto meandro in risalita portain breve sull’orlo di un pozzo di 30 m chiuso alla baseda una grossa frana.L’elemento distintivo ancora una volta è l’aria for-

� Ingresso della Buca sopra la Cava Bassa. (Foto G. Dellavalle)

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A -150, in corrispondenza con il passaggio nei grez-zoni, si riscontra l’unico bivio della grotta ed un timi-do accenno di spostamento planimetrico lungo unapiccola condotta che, dopo pochi metri, è sbarrata daun sifone alimentato da stillicidio. L’altra diramazioneè quella attiva e si spinge fino a -180 con un ultimopozzo da 30, alla cui base il ruscello s’infiltra in unafrana apparentemente invalicabile.

Abisso S.V.A.K. 14 (877 T/LU)

Si trova a valle della Foce di Cardeto a quota 1540,è costituito da due pozzi in successione di grandidimensioni (47 m e 40 m). A metà del primo pozzoinizia un breve ramo che chiude su una frattura altae stretta. Le relazioni non riportano informazioni sullacircolazione d’aria ma è assai probabile che la grot-ta ne sia interessata. S.V.A.K.14 di recente ha acqui-stato una certa importanza per la prossimità alle gal-lerie dell’abisso Mani Pulite.

Abisso del Piffero (581 T/LU)

Piccola cavità che raggiunge gli 80 m di profondità.Anch’essa risulta interessante per via della sua posi-zione e per l’esplorazione ormai datata. Fu trovatadal G.S. Savonese nel ’74, si apre quota 1650 m neltriangolo compreso tra Roversi, Mamma Gracchia eSaragato: è quindi in posizione assolutamente stra-tegica e potrebbe essere il grimaldello per congiun-gere Roversi e Saragato.

910 T/LU

Questa piccola grotta si trova a quota 1280 m, lungoil sentiero che collega la Carcaraia al villaggio diCampo Catino e per molti anni non è stata altro cheuno dei tanti buchi con minime dimensioni catastali,interessato dall’immancabile corrente d’aria. Dal ’98in poi ha acquisito una certa importanza per via dellarelativa vicinanza (40 m in pianta e 30 in dislivello)con un ramo del Saragato e quindi è stata oggetto diuna discontinua campagna di scavi che al momentoha solo permesso di scendere un pozzo da 25 m.Una eventuale congiunzione consentirebbe di riapri-re le esplorazioni nel settore più orientale del com-plesso che allo stato attuale risulta uno dei luoghimeno accessibili per via della distanza.

Abisso Perestrojka (1049 T/LU)

Con questa grotta ci spostiamo al capo opposto dellavalle rispetto alla 910 T/LU. Perestroika è uno di quei buchi scoperti sul finiredegli anni 80 dal G.S. Lucchese in quella fascia com-presa tra la Foce di Cardeto e le pendici settentrio-nali del M. Cavallo. E’ l’altra sotto-zona (B) della vallead altissima concentrazione di ingressi al di sotto deiquali spaziano attualmente le esplorazioni di ManiPulite.Perestojka, a dispetto della quota relativamente ele-vata, si comporta da accesso basso e si apre su unlato di un canalino appena accennato che incide imarmi dolomitici. Già alla base del primo pozzo ilflusso d’aria riprende in direzione più consona perqueste quote ed in estate si dirige in direzione delfondo risultando in alcuni punti veramente fortissimo.

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Note storiche sulla ricercadell’idrografia ipogea e osservazioni

Per molti anni i principali temi dell’attività speleologi-ca in Apuane sono stati due: l’esplorazione dell’inter-no del M. Corchia e la determinazione dei limiti delbacino idrocarsico della più importante sorgenteapuana, quella di Forno (o del Frigido). Il Corchia coltempo ha smesso di richiamare energie mentre ilFrigido ne evoca a sé ancora molte continuando adessere “l’Interrogativo”. Le nuove informazioni sem-brano allontanare la sorte dell’alta Valle dell’AcquaBianca da quella del Frigido, ma la storia delle ricer-che sul Tambura è ormai indissolubilmente legata aquella della regina delle sorgenti apuane.La maggior parte delle informazioni sui percorsiinterni delle acque sono state ricavate attraversoprove con traccianti effettuate dagli speleologi con-sentendo di determinare grossolanamente anche iconfini del bacino della sorgente di Forno. Nel corsodegli anni sono attribuite a questa sorgente areecome la Valle di Arnetola, il M. Tambura, il M.Pisanino, il M. Cavallo e il M. Grondilice.Per la Tambura le prime conferme sono arrivate nel’76 con la colorazione dell’Abisso del Pianone, nelversante a mare, cui è seguita nel ’79 la provaall’Abisso Roversi, che ha spostato ulteriormenteverso N il limite del bacino. L’esito positivo dellacolorazione alla Buca della Malachite dei primi anni’80, sul versante settentrionale del Pisanino, ha deli-mitato i confini dell’area spostandoli ancora più a N.Si è trattato dell’ultima colorazione effettuata finoagli inizi degli anni ’90. Bisogna infatti aspettare il’93 – quando viene scoperta la prosecuzione alSaragato – per effettuare la seconda prova con trac-cianti da una grotta del versante settentrionale delM. Tambura.Il quadro che è emerso è estremamente complesso,soprattutto per l’evidente discordanza tra il bacinoidrografico e quello idrogeologico, che ora si mostraancora più marcata.

A questo punto comincia la storia delle “nostre”colorazioni, punteggiata da una serie di insuccessi.Nel ’93 disciogliamo 4 kg di colorante a -500 al

Saragato dove il collettore ha una portata di 3-5 l/s,controlliamo la sorgente di Forno ed altre sorgentiminori per oltre due mesi, senza risultati. La cosanon ci stupisce più di tanto; l’acqua sembra poteruscire solo da Forno, l’unica sorgente relativamen-te vicina. Le altre sorgenti poste sul versante inter-no sono sì più vicine alla Carcaraia, ma troppo alte

Le sorgentiLa sorgente del Frigido: si trova a230 m slm a monte del paese di Fornoin provincia di Massa. La portata mediaannuale della sorgente è stimata in1500 l/s, ma in realtà si tratta di unasorgente che registra grandi oscillazio-ni, con minime estive che arrivano a400-500 l/s e piene che possono arri-vare a picchi di 10000 l/s.E’ interessante notare che quando laportata supera i 4000 l/s si attiva unavicina e spettacolare sorgente di trop-po pieno denominata Bucone di Fornodi cui, però, non risulta siano stateeffettuate misure di portata. Al momen-

to le uniche grotte importanti dell’altaValle dell’Acqua Bianca di cui è sicuroil collegamento con questa sorgente,sono l’A. Roversi e l’A. Mescaleros chedistano approssimativamente 4,5 km,mentre il sifone terminale del Roversisi trova 230 m più in alto.Quando nel ’79 fu effettuata la colora-zione al Roversi il colorante impiegòcirca 56 ore per tornare a giorno alFrigido, ma i tempi di deflusso furonofalsati da precipitazioni particolarmen-te violente.Per quanto riguarda i parametri chimi-co-fisici, riportiamo fedelmente i risul-tati di un ciclo di analisi che GilbertoCalandri del G.S.Imperiese CAI raccol-

se nel gennaio del 1985 nell’arco di tregiorni, effettuando le analisi diretta-mente alle sorgenti in condizioni clima-tiche estremamente omogenee. I datiraccolti rientrano in un più articolatostudio su dodici tra le più importantisorgenti delle Apuane pubblicato negliatti del V Congresso della FederazioneSpeleologica Toscana tenutosi a Luccanel Giugno 1986.

Data analisi: 04/01/1985Temperatura aria: 6 °CTemperatura acqua: 10 °CpH : 7.8Durezza temporanea: 8.95 °FDurezza totale: 12.2 °F

� Il Frigido a poche centinaia di metri dalla sorgente. Sullasinistra i ruderi del cotonificio, alimentato fino al 1942 dalleacque del torrente. (Foto G. Dellavalle)

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giorni esce visibile ad occhio nudo alle sorgenti pres-so Equi Terme.L’ultima colorazione è recentissima, volta a stabilirese la totalità delle acque del complesso si dirigeverso la lontana Equi Terme, o se invece il LagoSifone non preferisca convogliarne una parte alFrigido.

come quota. Attribuiamo quindi il risultato negativoa qualche contrattempo con i captori o più facil-mente a tempi di riemersione più lunghi in condizio-ni di magra.Nel ’97, poi, la colorazione della Buca del Pannè nel-l’adiacente Val Serenaia, dà esito positivo alla sor-gente Barrila di Equi Terme e nell’estate dello stessoanno riproviamo ancora dal Lago Sifone delSaragato, con il solito esito negativo. Mai nessuno aveva ipotizzato che la Val Serenaiaafferisse alla sorgente della Buca d’Equi, e di fattoquesto responso stravolgeva l’assetto precedenteche si era basato essenzialmente sulla positività delFrigido alla colorazione della Buca della Malachite,evidentemente sbagliata.Nel ’97, pur avendo dati certi solo per la vicina ValSerenaia, si cominciano a considerare possibili tribu-tari della sorgente di Equi anche i collettori più set-tentrionali di Saragato ed Aria Ghiaccia. Peraltro,dopo il Frigido, l’unica sorgente compatibile comequota con i bassissimi sifoni del Saragato è proprioquella di Equi Terme, prima mai considerata, soprat-tutto per la grande distanza dall’alta Valle dell’AcquaBianca.Questo nuovo elemento può spiegare anche la gran-de discordanza di quota tra i sifoni più settentrionali,quelli del Lago Sifone e il fondo del Ramo Sud-Estdel Saragato. Nel ’98 quando ci decidiamo per l’ennesima colora-zione (questa volta però dall’Aria Ghiaccia che nelfrattempo è stata congiunta con il Saragato) la nuovaidea è questa: l’acqua dei collettori settentrionali delcomplesso dovrebbe andare a Equi Terme, mentre isifoni meridionali, che come quota coincidono conquelli d’Arnetola, devono alimentare la falda delFrigido.E’ l’unico modo per dare una spiegazione plausibi-le alla direzione dei rami attivi più settentrionali edalla maggior profondità dei sifoni e, al contempo,mantenere aperta l’opzione Frigido che dall’altraparte con il Roversi rappresenta l’altro unico datoinattaccabile.Ma la colorazione è ancora negativa.Bisogna aspettare la primavera 2000 quando aldisgelo viene versato il colorante in prossimità delfondo del Saragato, colorante che a distanza di 12

La Sorgente della Barrila e quelladella Buca dʼEqui: si trovano rispetti-vamente a 265 e 260 m s.l.m. all’im-bocco della Valle di Fagli ed a montedell’abitato di Equi Terme in provinciadi Massa.Queste sorgenti sono indubbiamentemeno studiate rispetto al Frigido; ne èstata comunque stimata una portatamedia di circa 150 l/s per la Buca diEqui e di 200 l/s per la Barrila. In realtàuna parte dell’acqua che riemerge incorrispondenza di questo importantenodo idrologico probabilmente sfuggead una precisa misurazione a causadella riemersione diffusa dal letto deltorrente. Si tratta comunque di un

gruppo di sorgenti che registrano fortioscillazioni tra minime e massime.Anzi, la sorgente Barrila arriva addirit-tura a seccarsi nei periodi più siccitosi.E’ ormai certo che i tre quarti dellasuperficie dell’alta Valle dell’AcquaBianca alimenta questo gruppo di sor-genti che traggono altra alimentazioneanche dalla Val Sarenaia e dal vicinoPizzo d’Uccello.La distanza in linea d’aria dell’altaVal le de l l ’Acqua Bianca, che a lmomento risulta essere il limite piùdistante del bacino idrocarsico, è dicirca 8,5 km ed il punto più basso delcomplesso Saragato-Aria Ghiaccia èsolo 80 m più in alto della sorgente.

Sorgente della Barrila:Data analisi: 02/01/85Temperatura aria: 0.7 °CTemperatura acqua: 9.1-9.2 °CpH: 7.8-7.9Durezza temporanea: 9.3 °FDurezza totale: 12 °F

Sorgente della Buca di Equi:Data analisi: 02/01/85Temperatura aria: 0.7 °CTemperatura acqua: 9-9.1 °CpH: 7.9-8Durezza temporanea: 8.9 °FDurezza totale: 15.4 °F

� Il torrente Lucido nei pressi dell’abitato di Equi Terme,dove affluiscono le acque della sorgente Barrila. (Foto M.Vianelli)

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ra immatura dove la rete idrica è ancora poco gerar-chizzata ed è strutturata su numerosi e piccoli collet-tori che raggiungono il livello piezometrico autono-mamente.La somma delle portate dei numerosi collettori diSaragato ed Aria Ghiaccia, dà luogo a una portatamedie di circa 80 l/s. Ma questo costituisce solo unapiccola frazione dell’acqua che s’infiltra nell’area.In occasione delle piene più copiose, sui collettoriprincipali sono stati registrati incrementi di portataanche di 10 volte maggiori rispetto alla media, incoincidenza con bruschi innalzamenti di temperaturae violente precipitazioni.E‘ in queste circostanze che la rete freatica è insuf-ficiente a drenare velocemente l’apporto idrico percui si registrano al livello dei sifoni terminali innalza-

In cuor nostro ci sarebbe piaciuto molto sapere cheil Saragato appartiene contemporaneamente a duebacini idrocarsici distinti: ne avrebbe enormementeaccresciuto il fascino, ma anche le potenzialitàesplorative! Al disgelo del 2001, invece, scopriamoche Equi Terme piglia tutto. Ne deriva una suddivi-sione dell’alta Valle dell’Acqua Bianca molto asim-metrica e sbilanciata a favore delle sorgenti di Equi,mentre rimane da posizionare con precisione lospartiacque sotterraneo tra i due bacini che dovreb-be passare in quella fascia di mezzo chilometro chesepara il Roversi dal Saragato.

Detto delle macro linee di deflusso fra i sifoni e lasorgente, passiamo a commentare la rete di drenag-gio all’interno del complesso. Si tratta di una struttu-

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si diriga l’acqua di questi piccoli collettori non ènoto e non sono mai state effettuate colorazioni.Tuttavia l’esito della prova del 2001 al Saragato ela posizione planimetrica fanno propendere per lesorgenti di Equi Terme. Anche nel settore N dellagrotta, si incontrano numerosi e piccoli ruscelli che,dalla solita quota di 750 m s.l.m., scendono inprofondità in maniera autonoma. Il collettore cheva al fondo invece ha portate di 20 l/s e non ci sonodubbi a quale sorgente sia tributario. In conclusio-ne il sifone terminale di Mani Pulite si trova suquella linea immaginaria che collega il Saragato adEqui Terme e che passa sotto la verticale dellaBuca del Pannè.

menti anche di oltre cento metri. Con quale velocitàsi verifichi il riempimento e lo svuotamento dellezone altimetricamente più basse, a tutt’oggi non èchiaro, ma a breve è prevista l’installazione di dispo-sitivi che registrano l’entità e la durata di tali feno-meni.Per quanto concerne l’Abisso Mani Pulite la situazio-ne al momento non è completamente chiarita.Lo scenario non sembra molto diverso da quellodel complesso maggiore: anche qui siamo in pre-senza di una notevole frammentazione delle vie didrenaggio, ma con una variante. Intorno alla quotadi 750 m s.l.m., lungo i rami più vicini all’ingresso,ci sono alcuni sifoni che sembrano indicare l’esi-stenza di una falda sospesa probabilmente coinci-dente con un livello di scisti. Verso quale sorgente

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� Carcaraia

I sistemi carsici delversante settentrionale

del Monte Tambura(Alpi Apuane - Toscana)

Leonardo PicciniSocietà Speleologica Italiana - Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Firenze

Abstract • In recent years, the explora-tion of large cave complexes is providingwith new data concerning the geologicaland hydrogeologic underground setting ofnorthern M. Tambura.Based on the present knowledge of karts,we can assert that M. Tambura present anexceptional development of caves, thetotal development of caves being presen-tly about 50 km. A large part of the seve-ral surface pits are closed by rockfalls anddetritus after only few meters. The caveswith a development upper than 100 mare about 20, they present a mainly verti-cal pattern, with the significant exclusionof the deeper part of major caves.The whole endokarts system is characteri-zed by a well developed network of verti-cal vadose passages, which drain the see-pages water to the present phreatic zone,whose elevation ranges from 500 to 340m a.s.l.. At an elevation of 650-800 m, awide abandoned phreatic network occur,extending from the Abisso Saragato to theAbisso Mani Pulite.The present drainage is toward NW andthe springs are those located near EquiTerme, in the extreme North of AlpiApuane. These drainage pattern must beinherited from a previous hydrogeologicconfiguration, in which a southward drai-nage should be difficult because the ele-vation of impermeable rock on theseaward side of Apuane was upper thannow.Although a Northward drainage is not themost convenient in the present hydrogeo-logical setting, the past imprinting survives.A possible pathway for underground wateris along the Pizzo Maggiore – Foce aGiovo transect, where the Orto di Donnasyncline could be cross by deep-phreaticpassages.

Key words • karst systems, karsthydrogeology, speleogenesis, Alpi Apuane

Riassunto • La recente esplorazione di alcuni grandi complessi carsici stafornendo nuovi dati sull’assetto interno, sia geologico sia idrogeologico, delMonte Tambura e in particolare del suo versante settentrionale. Benché solouna piccola parte delle numerose cavità conosciute in questa zona permettanodi accedere a sistemi sotterranei complessi, il totale di condotti carsici conosciutiassomma già a circa 50 km di sviluppo.La maggior parte delle cavità carsiche che si aprono nella zona della Carcaraiaè infatti costituita da pozzi verticali ostruiti dopo pochi metri dall’abbondantedetrito di origine glacio-carsica. Le grotte conosciute con sviluppo superiore a 100 m sono una ventina, per lopiù con andamento verticale, con l’esclusione delle parti profonde dei maggiorisistemi. Nel suo insieme, il sistema carsico sotterraneo si configura come un vastoreticolo di condotti di origine prevalentemente vadosa nella parte alta, cioè dagliingressi sino a 800 m s.l.m., quota al di sotto della quale si trova il reticolo di con-

dotte di origine freatica che si estende dall’Abisso Saragato all’Abisso Mani Pulite.Le gallerie della attuale zona piezometrica, situate da 350 a 450 m di quotahanno andamento verso NW e rappresentano i condotti che attualmente dre-nano le acque della Carcaraia verso Equi attraversando alcune importanti strut-ture, tra cui la Sinclinale di Orto di Donna, che coinvolge terreni a bassa per-meabilità come i Diaspri e i Calcescisti. L’impronta data al sistema di drenaggio da condizioni preesistenti, in cui un flus-so verso S e SW era impedito dalla elevata quota del limite di permeabilità traacquiferi carbonatici e basamento impermeabile nel bacino del Frigido, è statatale da determinare ancora un flusso verso N. L’ipotesi più probabile, sembraindicare nella direttrice Pizzo Maggiore – Foce a Giovo, la possibile zona di attra-versamento della struttura di Orto di Donna.

Parole chiave • sistemi carsici, idrogeologia carsica, speleogenesi, Alpi Apuane

PremessaIl Monte Tambura, e in particolare il suo versante settentrionale comunemente notocome Carcaraia, è da diverse decine d’anni oggetto di studi e ricerche di tipo geo-logico, idrogeologico e più strettamente speleologico. La recente scoperta ed esplo-razione di alcuni grandi complessi carsici ha fornito nuovi interessanti dati sull’as-setto interno di quest’area che obbligano ad una revisione delle interpretazioni geo-logiche ed idrogeologiche.Un’ampia sintesi dei risultati delle esplorazioni speleologiche è riportata nel lavorodi Guidotti e Malcapi (2001, questo volume) e ad esso si rimanda per un più detta-gliato inquadramento geografico della zona e per tutti i dettagli relativi alle grotte rile-vate e alle conoscenze idrogeologiche acquisite, nonché per la bibliografia più stret-tamente speleologica.In un lavoro precedente alle grandi esplorazioni di questi ultimi anni (Piccini, 1994-b) era stata delineata la possibile struttura del sistema idro-carsico della sorgentedel Frigido, a cui il M. Tambura appartiene, sia da un punto di vista idrogeologico chegeografico. Tale ricostruzione si basava su un’interpretazione in chiave idraulicadella struttura geologica e su colorazioni eseguite negli anni passati. In particolare,la notizia di una colorazione effettuata in una cavità del versante Nord del Pisanino(L’Abisso della Malachite, 959 T/LU) era particolarmente vincolante, poiché sposta-va il bacino idrogeologico del Frigido sino a comprendere buona parte del Pisaninoabbracciando di conseguenza tutta la Carcaraia. Alla luce delle nuove colorazioni(Guidotti, Malcapi, 2001, questo volume), eseguite nel complesso Saragato-AriaGhiaccia (350 T/LU, 1027 T/LU), che hanno dato esito positivo alle sorgenti presso

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Equi (Buca d’Equi, 177 T/MS e Sorgente Barrila1020 T/MS), il risultato del tracciamento eseguitoall’Abisso della Malachite risulta assai poco convin-cente e si ha ragione di ritenere che non sia più daconsiderare valido. Va ricordato che l’analisi dei fluo-captori risultò comunque di lieve positività, mentre iltempo intercorso tra immissione e uscita del colo-rante risultò superiore a 40 giorni.Resta da capire come l’acqua della Carcaraia, alme-no della sua parte nordoccidentale, anziché seguirela struttura geologica e dirigersi verso la più vicinaSorgente del Frigido, preferisca seguire un lungo ecomplesso percorso, tagliando alcune importantistrutture plicative, verso le sorgenti di Equi. In questanota viene delineata una possibile spiegazione, cheoltre ad essere un stimolante ipotesi di lavoro apresviluppi esplorativi assai promettenti.

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Carcaraia �

Caratteri geologici ed evoluzioneidro-morfologica

� Figura 1. Stralcio della Carta idrogeologica del bacino delFrigido (da: Piccini & Pranzini, 1989, modificata), con riporta-ti gli ingressi delle principali grotte. Legenda: 1) coperture detritiche (dt), moreniche (mo) e allu-vionali (al), 2) rocce carbonatiche a permeabilità alta per car-sismo e fratturazione (gr = Grezzoni, m = Marmi e MarmiDolomitici), 3) rocce carbonatiche a permeabilità media percarsismo e fratturazione (cs = Calcari Selciferi, csE = CalcariSelciferi ad Entrochi), 4) rocce silicee (d = Diaspri) a permea-bilità bassa, per moderata fratturazione, o nulla; 5) rocceimpermeabili (sc = Scisti Sericitici), 6) ingressi dei complessicarsici maggiori, 7) ingressi delle principali cavità a sviluppoverticale (il numero è quello del Catasto delle Grotte dellaToscana), 8) spartiacque superficiali.

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� Carcaraia

metamorfici sintettonici tardo-terziari(Orogene si Alpina) a facies scisti verdi(Carmignani, 1984; Ca rmignani &Giglia, 1984; Coli & Faz zuoli, 1991).Sopra al basamento si trovano conglo-merati di ambiente continentale(“Verrucano”) che preludono alla piat-taforma carbonatica del Norico - Liasinferiore. La serie di piattaforma iniziacon dolomie cristalline che passanogradualmente a calcari metamorfici(Marmi s.l.). Con il Lias medio-superio-re, la sedimentazione diviene calcareo-silicea in ambiente pelagico, sino alCretacico superiore, seguita poi dapeliti emipelagiche (Scisti Sericitici), acui si accompagnano calcareniti emarne metamorfiche. Con l’Oligocenesi passa, infine, a depositi silicoclasticitorbiditici (Pseudomacigno).

Nell’area in esame affiorano le formazioni dell’inter-vallo dal Norico al Cretacico inferiore, a costituireuna successione prevalentemente carbonatica, conl’interposizione di un solo importante orizzonte noncarbonatico, costituito dai Diaspri (Figura 1). Più in dettaglio la serie carbonatica che ospita i mag-giori sistemi carsici comprende le seguenti formazioni.Grezzoni (Norico) - Dolomie in strati e banchi, più omeno ricristallizzate, di colore da grigio chiaro arosato. La parte inferiore è generalmente costituita

Breve inquadramento geologicodell’areaLe rocce affioranti nella vasta conca che dal M.Pisanino arriva al M. Roccandagia, passando per il M.Tambura, appartengano all’Unità delle AlpiApuane (“Autoctono” auct.). Questa Unità comprendeun basamento paleozoico ercinico, costituito da filladie metavulcaniti (Porfiroidi), su cui poggia una sequen-za di margine continentale interessata da più eventi

� Figura 2. Sezione geologica schematica attraverso il versante settentrionale delM. Tambura, con distinte le rocce a carsificabilità elevata (azzurro), media (verde),e le rocce non carsificabili (arancio). Legenda: gr) Grezzoni, m) Marmi e Marmi Dolomitici, cs) Calcari Selciferi, csc)Calcescisti, d) Diaspri, csE) Calcari Selciferi ad Entrochi (da: Piccini & Pranzini,1989, modificata).

� Figura 3. Schema geologico e morfologico semplificato lungo la direttrice NW-SE Saragato – Mani Pulite.

Legenda: 1) condotti di percolazione o di scorrimento vadoso a sviluppo prevalentemente verticale, 2) grandi ambienti verticalidovuti alla unione di più pozzi, 3) condotti “relitti” di origine freatica o epifreatica, 4) forre attive originatesi per approfondimen-to di condotti freatici o epifreatici, 5) condotti della zona epifreatica attuale soggetti a periodici allagamenti.Sigle delle formazioni geologiche: gr) Grezzoni, d) dolomie (Grezzoni ?), m) Marmi e Marmi Dolomitici, cs) Calcari Selciferi.

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Carcaraia �

calcarei, i marmi inparticolare, a scapi-to delle litologie piùduttili che sono sta -te espulse dai nu -clei delle pieghe piùstrette.Sul terreno non siriconoscono fagliesi gnificative, mentrerisultano molto evi-denti superfici di frat-tura e zone di frattu-razione, che in qual-che caso danno luo -go a rigetti rilevabilialla scala dell’affio-ramento. Le frattureprincipali hanno dire-zione ENE-WSW eNW-SE.

Geomorfologiae carsismodell’area

Il Monte Tambura,alto 1895 m, si trovanella porzione cen-tro settentrionale del-le Alpi Apuane.Sebbene non si trat-ti della vetta più ele-vata delle Alpi Apuane, che ha il suo apice altimetri-co nel vicino M. Pisanino (1947 m s.l.m.), il M.Tambura costituisce, di fatto, il principale massicciodi questo settore di catena.L’aspetto generale è quello di una piramide a sezionetriangolare: il versante sudoccidentale scende conripidi pendii e profondi canaloni per oltre 1400 m sinoal paese di Resceto, il versante sudorientale scendecon pendenza elevata minore verso la valle diArnetola con un dislivello di circa 900 m, mentre l’am-pio versante settentrionale ha acclività decisamenteinferiore rispetto agli altri due e va a costituire laconca glacio-carsica chiamata Carcaraia, che guardaverso il paese di Gorfigliano (Marcaccini, 1964).Sulla base delle conoscenze attuali, il Monte Tamburaè, tra i massicci delle Alpi Apuane, quello dove i feno-meni carsici profondi assumono uno sviluppo maggio-re. Benché una piccola parte delle numerose cavitàconosciute in questa zona (quelle catastate sono circa130) permettano di accedere a sistemi sotterraneicomplessi, il totale di condotti carsici conosciutiassomma già a circa 50 km di sviluppo.Il potenziale carsificabile è il maggiore di tutte leApuane, di poco superiore a 1600 m, limitato inbasso dalla quota della Sorgente del Frigido, che daquest’area trae la maggior parte della sua alimenta-zione (Piccini & Pranzini, 1989; Piccini 1994-b).Questa sorgente è, con 1500 l/s di portata media, lamaggiore di tutte le Apuane ed ha un regime idro-geologico che lascia prospettare l’esistenza di un

� Figura 4. I depositi ciottolosi, inalto, sulla volta della Forra delVento, a 550 m di profonditànell’Abisso P. Saragato. (Foto L. Piccini)

da brecce dolomitiche, verso il tetto la stratificazionesi fa più eviden te e compaiono filladi cloritiche lungoi giunti di strato. Marmi a Megalodonti (Retico) - Marmi saccaroidi emetacalcari marnosi, di colore scuro sino a nero,localmente ricchi di faune a Megalodontidi, in stratialternati a livelli dolomitici giallastri e a livelli ricchi inclorite e muscovite. Brecce di Seravezza e Scisti a Cloritoide (Retico -Lias Inferiore) - Metabrecce ad elementi marmorei edolomitici immersi in un cemento scistoso-arenaceocon cloritoide, localmente prevalente (Scisti aCloritoide). Marmi Dolomitici (Lias Inferiore) - Marmi grigi edolomie chiare con locali banconi di dolomie sacca-roidi, che passano ai Marmi s.s. per progressivadiminuzione dei livelli dolomitici. Marmi s.s. (Lias Inferiore - Medio?) - Marmi sacca-roidi di colore da bianco a grigio, con lenti e membridi metabrecce ad elementi marmorei e, più raramen-te, di selce e filladi carbonatiche. Calcari Selciferi (Lias Medio - Superiore) -Metacalcari grigi ben stratificati, con liste e noduli diquarzite bianca e frequenti strati di filladi carbonati-che con pirite. Calcescisti (Lias Superiore - Dogger) - Calcescistigrigi o bruni intensamente foliati con intercalazioni difilladi carbonatiche. Diaspri e Scisti Diasprini (Malm) - Metaradiolaritisottilmente stratificate, di colore variabile da rossovivo a verde bottiglia, con intercalazioni di filladiquarzitiche e di filladi calcareo-silicee. Calcari Selciferi a Entrochi (Titonico - CretaceoInferiore) - Metacalcari con liste e noduli di selcericristallizzata, ben stratificati, metamorfici; verso iltetto presentano strati calcareni tici.

Da un punto di vista strutturale la situazione è moltocomplessa a causa della sovrapposizione di più fasideformative duttili, con diversa direzione degli stressprincipali, che ha dato origine a strutture non sempredi facile interpretazione (Boccaletti et al., 1983,Carmignani & Giglia, 1984). I motivi strutturali principali (Figura 2) sono ricondu-cibili ad una serie di pieghe isoclinali, di scala chilo-metrica, coricate e appilate verso E, già strutturatesidurante la prima fase deformativa sin-metamorficatardo-oligocenica e ulteriormente ripiegate da fasideformative successive. Le strutture maggiori sono,da W verso E: l’anticlinale di Vinca, la sinclinale diOrto di Donna e l’anticlinale del M.Tambura. Più ad Esi ha una serie di pieghe, strettamente serrate traloro, che nell’insieme costituiscono una struttura sin-clinalica (sinclinale del M. Fiocca).La zona in oggetto rappresenta il corpo principaledell’anticlinale del M. Tambura, quasi interamente co -stituito da rocce carbonatiche (Grezzoni, Marmi Do -lomitici e Marmi s.s.) con sottili lembi di Filladi ePorfiroidi “strizzati” lungo il piano assiale principaledella piega, ma di spessore troppo esiguo per rap-presentare un serio ostacolo alla circolazione profon-da e quindi al carsi smo sotterraneo.Numerose strutture di ordine inferiore danno originea locali ripetizioni di serie il cui effetto più importanteè quello di aver incrementato la potenza dei litotipi

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� Carcaraia

ti da qualche metro di Marmi a Megalodonti.A circa 680 m di profondità, una serie di pozzi impo-stati lungo un fascio di fratture verticali, portano inuna forra attiva che scende verso SW. A 850 m diprofondità (860 m s.l.m.) s’incontrano delle condottedi origine freatica che si approfondiscono in una forracon forme di erosione vadosa ben conservate. Dopouna serie di pozzi attivi, con vistose forme di arretra-mento, scavati nelle brecce basali dei Grezzoni, sitrova un altro breve tratto di gallerie intorno a -1000(720 m s.l.m.). Da qui ha inizio una stretta forra retti-linea che scende, ancora in direzione SW, sino asprofondare in un grande pozzo di 80 m di profon-dità. Un altro breve salto conduce in una sala dovesu un lato affiorano i porfiroidi del basamento, appar-tenenti al nucleo della stretta anticlinale del Tambura.Da qui la grotta si sviluppa lungo il contatto, quasiverticale, tra basamento e Grezzoni, con una via atti-va con resti sospesi di condotte freatiche sino al sifo-ne terminale, a 1250 m di profondità e 460 m diquota. L’altra diramazione, che ha inizio a -270 m, ha carat-teristiche morfologiche diverse. Dopo aver superatouna complessa zona di frana si accede a dei vastiambienti di crollo ad andamento orizzontale, chealcuni indizi suggeriscono essersi evoluti da antichegallerie. Da questi si accede ad un meandro inattivoche conduce in un vasto salone, di forma grossomodo rettangolare, da cui una sequenza pressochéininterrotta di pozzi attivi porta sul fondo del pozzo di280 m. Tutta questa parte si sviluppa nei MarmiDolomitici.

Complesso “Saragato-Aria Ghiaccia”

L’Abisso P. Saragato (350 T/LU) si apre a quota di1465 m, con un ampio ingresso imbutiforme che dàaccesso ad una serie di salti seguiti da un grandepozzo interno di 200 m di altezza, sviluppato neiMarmi Dolomitici lungo delle fratture ad anda mentoEW. Alcuni pozzi paralleli permettono di scenderesino a 500 m di profondità, immettendosi in una forraattiva, scavata nei Grezzoni, che scende verso Nlungo le superfici di strato, perdendo 160 m di quotasu quasi 700 m di sviluppo. Da qui, percorrendoverso monte un breve tratto di condotte, si accede aduna diversa via attiva verticale, che scende attraver-so i Grezzoni, che qui costituiscono il nucleo dell’an-ticlinale del M. Tambura, sino ad incontrare i marmidel fianco rovescio. Intorno ai 900 m di profondità sitrovano gallerie tagliate da grandi pozzi attivi; uno diquesti porta su di un sifone, posto a 480 (-985) m diquota, che incontra i Calcari Selciferi della sinclinaledel Roccandagia (Figura 3). La forra che ha inizio a -500 ha dimensioni ampie edè stata scavata da un flusso idrico maggiore dell’at-tuale; lateralmente sono presenti diramazioni, alcunedelle quali mostrano forme che testimoniano una loroorigine in condizioni freatiche e che probabilmenteseguono un percorso precedente, poi abbandonato

c a r s i s m oprofondo bens v i l u p p a t o ,almeno in certisettori, a livellodella zona epi-freatica.La magg io rpar te delle ca -v ità carsicheche si aprononella zona del -la Car ca ra ia ècostituita dapozzi verticaliostruiti do popo chi metri dal-l’abbondantedetrito di origi-ne glacio-car-sica. Le grotte co -no sciute consviluppo supe-

riore a 100 m sono una ventina, per lo più con anda-mento prevalen temente verticale, tipico di grotte for-matesi nella zona alta di percolazione, con l’esclu-sione delle parti profonde dei maggiori sistemi. Unicasignificativa eccezione è la Buca Belfagor (890T/LU), che presenta condotti relitti di origine freatica, a tratti modificati da crolli.Un’altra interessante cavità della Carcaraia è quelladella Buca sopra la Cava Bassa (357 T/LU), in prati-ca costituita da un vasta concamerazione (60x40 m)cui si accede da un’ampia dolina di crollo. I numero-si crolli non rendono possibile riconoscere la morfo-genesi del vano originario, ma alcuni indizi fannosupporre si tratti di un relitto di un’antica e ampiacavità venuta alla luce in seguito ad un crollo.

Aspetti geologici e morfologicidelle principali cavità

Abisso Paolo Roversi

L’Abisso Roversi (705 T/LU), è il più elevato tra gliabissi della Carcaraia. L’ingresso si trova in unadepressione alla quota di 1710 m. La prima parte ècostituita da un succedersi di pozzi verti cali che con-ducono sino alla profondità di 270 m dove la grotta sidivide in due diverse diramazioni. La prima, che rap-presenta la naturale prosecuzione della parte inizia-le, conduce alla sommità di un pozzo profondo intotale 280 m, chiuso sul fondo (-720). Questa primaparte di grotta si sviluppa lungo fratture verticali benmarcate, ad andamento prevalentemente NW-SE,impostate nei Marmi Dolomitici. Alla profondità di 500m, lungo il grande pozzo, un livello di Brecce diSeravezza segna il passaggio ai Grezzoni, precedu-

� Figura 5. La galleria sul fondo a – 950 al Saragato. Si notino le forme alveolari dicorrosione sulle pareti e i depositi di fanghi di decantazione, tipici di zone soggette afrequenti episodi di allagamento. (Foto L. Piccini)

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te a periodici allagamenti durantele piene maggiori, che s’immergo-no sotto alla piezometrica a quotecomprese tra 420 e 340 m s.l.m..La principale via di alimentazionedi questa zona proviene da unadiramazione che arriva da NE, pre-sentando un ampio piano di galle-rie che si snoda tra quota 800 e850 m che, al contrario dei pianiinferiori mostra un’intensa fase discorrimento a pelo libero che haprofondamente modificato l’assettodei primitivi condotti freatici (Figura6). Verso l’alto, questa parte digrot ta arriva a svilupparsi neiCalcari Selciferi rovesciati chescendono dal M. Roccandagia. E’

in questo settore che, in corrispondenza di una com-plessa zona di diffluenze evolutasi da vie vadose cheseguono la pendenza degli strati, si realizza la giun-zione con la Buca dell’Aria Ghiaccia.Il ramo principale dell’Aria Ghiaccia, in cui s’immettela via che ha origine dall’ingresso, ha una fisionomiaben diversa da quella della parte alta dell’AbissoSaragato. Sviluppandosi più a NE, a ridosso del con-tatto con i Calcari Selciferi, mostra un andamentoinclinato, lungo le discontinuità litologiche dellesuperfici di strato, senza grandi verticali e con traccedi morfologie freatiche solo intorno a quota 850 m.

per l’approfondimento a pelolibero del torrente sotterraneo.Il fatto di trovare condotte freati-che inclinate, che seguono l’im-mersione degli strati per undislivello di circa 150 m, sugge-risce che la loro origine possaessere imputata a condizioni dielevato gradiente idraulico, cioèin una situazione in cui il livellodi base era già ribassato, rispet-to alla quota delle zone di ali-mentazioni. Doveva inoltre trat-tarsi di condotte ben alimentate,in cui le portate erano sufficien-ti a mantenere in carico zonesituate ben al di sopra dellaquota delle sorgenti. Tali condi-zioni potrebbero essere legateall’esistenza di un bacino su -perficiale di alimentazione allo-genica, posto su rocce a bassapermeabilità. Tale possibilitàtrova riscontro anche nella pre-senza di abbondanti resti didepositi ciottolosi, con clasti non carbonatici, lungotutta la forra, e che testimoniano una lunga fase dievoluzione in condizioni vadose (Figura 4).A -650 m la forra incontra una nuova importantezona di fratture, lungo le quali si è originato un gran-de pozzo in prossimità del contatto tra Grezzoni eMarmi Dolomitici, anch’esso di circa 200 m di altez-za, alla cui base una breve serie di salti porta su diun sifone posto a 515 m di quota e 950 m di profon-dità (Figura 5). Dal fondo di -950, risalendo sino a quota 600 m, siraggiunge un complesso sistema di condotte di origi-ne freatica che non mostrano significativi fenomeni diincisione a pelo libero se non nei tratti più elevati, atestimoniare una fase epifreatica importante ma nonseguita da un’evoluzione in condizioni strettamentevadose. Questo piano, che si estende per circa 1 kma quote comprese tra 580 e 680 m, è tagliato daalmeno tre importanti zone a drenaggio verticale, tracui quella che arriva dalla Buca dell’Aria Ghiaccia(1027 T/LU). Seguendo l’acqua, si accede ad unacomplessa zona di condotte freatiche tuttora sogget-

� Figura 7. Distribuzione verticale dei condotti freatici edepifreatici nelle grotte del versante settentrionale del M.Tambura.

� Figura 8. Schema della circolazione idrica profonda chealimenta le sorgenti di Equi Terme e la sorgente del Frigido.In rosa sono riportati gli acquiferi carbonatici a circolazionecarsica.

� Figura 6. Approfondimento attivo,sottostante al piano di condotte freati-che di quota 820, lungo la diramazioneche collega Saragato ed Aria Ghiaccia.(Foto L. Piccini)

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� Carcaraia

s.l.m.), sormontato da una condotta di origine spic-catamente freatica che, con andamento a sali scen-di, si dirige verso N, attraversando di nuovo le dolo-mie, che caratterizzano la prima parte della grotta,sino ad incontrare i Marmi Dolomitici del fianco drittoprincipale della struttura del M. Tambura.Questa condotta, che presenta brevi diversioni, simantiene intorno a 750 m di quota con forme tipichedi un condotto scavato in condizioni di pieno carico.Nelle zone di dosso, ma solo nei tratti discendentiverso N, si osservano tracce di incisione a pelo libe-ro, a testimoniare una fase di evoluzione in condizio-ni epifreatiche in cui si alternavano tratti sommersi(sifoni) a tratti con flusso a pelo libero.Dopo circa 500 m di percorso, la condotta intercettaun’ampia galleria, che riprende la direzione WNW.La galleria è attualmente percorsa da un importantecollettore, proveniente da W e che arriva a svilup-parsi nei Marmi s.s. del versante orientale del PizzoMaggiore. Il torrente, il maggiore tra quelli noti intutto il sistema, si approfondisce con una ripida forraverso N. Una serie di pozzi, che raggiungono dinuovo le dolomie, e di forre inclinate porta al fondodella cavità, segnato da un sifone a 380 m di quota.

Evoluzione del sistema idro-carsico

Le tappe evolutive che hanno portato all’attuale con-figurazione del sistema idro-carsico di questo settoredel M. Tambura possono essere ricostruite attraver-so l’analisi delle morfologie delle cavità conosciute edella loro distribuzione nello spazio (Figura 7).Nel suo insieme, il complesso sotterraneo dellaCarcaraia si configura come un vasto reticolo di con-dotti di origine prevalentemente vadosa nella partealta, cioè dagli ingressi sino a 800 m s.l.m., quota aldi sotto della quale si trova il vasto reticolo di con-dotte di origine freatica che si estende dall’AbissoSaragato all’Abisso Mani Pulite.Al di sopra dei 1250 m di altitudine, tutte le cavitàpresentano solo forme di ambiente vadoso, rappre-sentate soprattutto da pozzi, sia con forme da perco-lazione sia “a cascata”, intervallati da brevi meandriscavati da scorrimenti mediamente modesti e acarattere stagionale (soprattutto durante la fusionedella copertura nevosa). Le prime tracce di condottidovuti a scorrimento a pieno carico si trovano intor-no a 1200 m di quota (Roversi, Mani Pulite, e in par-ticolare la Buca di Belfagor). Si tratta per lo più dibrevi tratti, spesso tagliati da pozzi o ambienti di crol-lo, il cui modesto sviluppo non consente di confer-mare la presenza di un antico livello di base. E’ inogni modo possibile che queste condotte testimoni-no una fase precoce di carsificazione profonda conlivello di base elevato (rispetto alle quote attuali) econ flusso probabilmente diretto verso N (Piccini,1994-a). In questo quadro potrebbero inserirsi i gran-di ambienti di crollo presenti da -400 a -450all’Abisso Roversi, in cui tracce di condotte sembra-no indicare uno sviluppo da gallerie freatiche di note-voli dimensioni.Resti di condotte freatiche si trovano in Saragatosotto quota 1000 m, a monte della forra che ha ini-zio a -500, ma si tratta di condotte di dimensioni

La via attiva principale, che ha origine sotto la crestaN del M. Roccandagia, scende per circa 800 m indirezione NW. A quota 950 m, una diffluenza lungoantiche condotte freatiche, permette di raggiungereuna nuova via attiva e complessa, che si spostaanch’essa verso NW, ricevendo diversi affluenti.Intorno a quota 650 m, questa via incontra un nuovolivello di condotte freatiche, il più sviluppato in questagrotta, parallelo ai settori profondi dell’AbissoSaragato.All’altezza degli attuali sifoni delle zone più profondedell’intero Complesso, vale a dire intorno a 350-400m s.l.m., si trovano condotte freatiche tuttora sogget-te a periodici allagamenti in cui lo scorrimento ordi-nario a pelo libero ha inciso solo qualche solco dipoche decine di cm di profondità. Si tratta dell’attua-le zona epifreatica in cui le oscillazioni piezometrichedurante le piene raggiungono i 70-80 m.

Abisso Arbadrix

Nelle vicinanze dell’ingresso del Saragato, ma circa130 m più in basso, si apre l’Abisso Arbadrix (741T/LU). Benché profondo solo 280 m, esso si presen-ta come una cavità complessa. Le numerosediramazio ni, ad andamento prevalentemente vertica-le, danno uno sviluppo complessivo che supera i1700 m. Si tratta di una grotta attiva, di origine vado-sa e caratterizzata da lunghi tratti meandriformi inter-vallati da pozzi verticali mai molto profondi. Tutta lagrotta si sviluppa nei Marmi Dolomitici ed è imposta-ta su due direttrici, una circa NW-SE e una NNE-SSW corrispondente alla direzione di stratificazione.Una breve condotta di origine freatica si trova a 235 mdi profondità (1100 m s.l.m.) e potrebbe avere un qual-che rapporto con le condotte di -450 del Saragato.

Abisso Mani Pulite

Recentissime esplorazioni (2000) hanno fatto di que-sta grotta uno dei maggiori complessi dellaCarcaraia, nonché probabile continuazione verso Ndel complesso Saragato-Aria Ghiaccia. L’AbissoMani Pulite (1159 T/LU) si apre sul versante NE delM. Cavallo, ad una quota di 1440 m; l’andamento èprevalentemente verticale sino a 600 m di profondità.Dopo un tratto iniziale nei Marmi Dolomitici, tutta laprima parte di questa grotta si sviluppa in dolomie emarmi dolomitici che per molti aspetti ricordano laformazione dei Grezzoni. In mancanza di dati strati-grafici precisi e in considerazione del fatto che lecarte geologiche esistenti (vedi ad es. Carmignani,1984) non riportano in affioramento i Grezzoni, non èpossibile al momento dire se si tratta di una faciesprevalentemente dolomitica dei Marmi Dolomitici o diGrezzoni veri e propri. In questo tratto si trovano solobrevi segmenti di condotte freatiche intorno a 1270 mdi quota, la cui origine potrebbe anche essere legataa fattori strutturali locali.Poco al di sotto del contatto, molto inclinato, con iMarmi Dolomitici s.s., si trova il primo importantepiano di gallerie intorno a 800 m di quota, con anda-mento medio WNW-ESE. Proseguendo lungo la viaattiva che proviene dalla zona dell’ingresso si rag-giunge un sifone a 740 m di profondità (700 m

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Speleologia 44 65

Carcaraia �

coinvolge terreni a bassa permeabilità come i Diasprie i Calcescisti (Figura 8). Evidentemente l’impronta data al sistema di drenag-gio da condizioni preesistenti, in cui un flusso versoS e SW era impedito dall’elevata quota del limite dipermeabilità tra acquiferi carbonatici e basamentoimpermeabile nel bacino del Frigido (Piccini, 1994a e1994b), è stata tale da determinare ancora un flussoverso nord. Attualmente esiste dunque uno spartiac-que che corre tra Roversi e Saragato, che nonsarebbe legato a condizioni strutturali, ma solo a fat-tori evolutivi.Rimane da capire come, e dove, le acque dellaCarcaraia riescano ad aggirare la sinclinale di Ortodi Donna. A riguardo possiamo formulare tre diverseipotesi: (i) la presenza di lunghi condotti sommersiche aggirano la struttura dal di sotto, spingendosimolto al di sotto della superficie piezometrica, (ii) unaggiramento verso N, laddove la struttura è tronca-ta dalle faglie normali che delimitano il massiccioapuano e che mette in contatto le rocce metamorfi-che delle Apuane con i calcari della Falda Toscana,oppure (iii) la presenza di un corridoio strutturale,determinato da qualche struttura minore che risolle-va i marmi, permettendo un attraversamento dellasinclinale in senso EW. La terza ipotesi, che apparecome la più probabile, sembrerebbe indicare nelladirettrice Pizzo Maggiore-Foce a Giovo, la possibilezona di attraversamento della struttura di Orto diDonna. A riguardo, utili indicazioni potrebbero veni-re da future esplorazioni nella zona di Orto diDonna-Serenaia, dove la scoperta della Buca delPannè (1325 T/LU) ha aperto nuove interessantiprospettive.

Particolare gratitudine va agli amici del G.S.Fiorentino, e in particolare a Gianni Guidotti,Valentina Malcapi e Marco Bertoli, che mi hannotenuto costantemente aggiornato sui risultati delleesplorazioni in Carcaraia, fornendomi anche mate-riale topografico inedito con cortese sollecitudine.Senza il loro aiuto, le idee esposte in questo lavoro,giuste o errate che siano, non sarebbero mai statesviluppate.

ridotte e che non sembrano aver sopportato fortiflussi idrici.Il primo importante livello di condotte è quello che sitrova intorno a 800 m di quota (Mani Pulite,Saragato) e rappresenta probabilmente un anticocollettore che drenava buona parte della Carcaraia.La direzione generale è per entrambe le grotte circaN-S, cioè circa parallelo alla direzione delle disconti-nuità litologiche (stratificazione e clivaggio principa-le). Indizi morfologici (scallops, incisione dei dossi,etc..) indicano un paleoflusso verso settentrione. Ilfatto che il flusso non fosse diretto verso S, cioèverso la valle del Frigido, potrebbe spiegarsi ammet-tendo che in questa fase l’acquifero carbonatico delM. Tambura era ancora confinato dal basamentoimpermeabile del fianco orientale dell’anticlinale diVinca, non essendo ancora avvenuta una forte inci-sione dei torrenti che dalla dorsale apuana scende-vano verso il mare.Il livello di condotte situato intorno a quota 650(Saragato, Aria Ghiaccia) mostra ancora gli stessicaratteri: cioè condotti di dimensioni variabili conandamento generale verso NW e una modesta evo-luzione in condizioni vadose.Tutto ciò significa che questi due piani, che rappre-sentano in pratica due momenti di una stessa impor-tante fase di carsificazione profonda, sono legati adun periodo di rapido abbassamento del livello dibase, forse legato ad un episodio di sollevamentoavvenuto durante il Pleistocene Inferiore (Piccini,1997). A questo sistema, a drenaggio settentrionale,non sembra appartenere il vicino Abisso Roversi,che forse per la sua posizione faceva già allora partedi sistemi a drenaggio meridionale.Le gallerie dell’attuale zona piezometrica, situate da350 a 450 m di quota hanno andamento verso NW erappresentano, nei tratti aerati, i condotti alimentato-ri del collettore principale che attualmente drena leacque della Carcaraia verso Equi.Nelle condizioni idrostrutturali attuali, con le quotedelle sorgenti del versante a mare scese intorno a250 m s.l.m., un flusso in direzione N è, da un puntodi vista idrogeologico, poco conveniente. Infatti, perraggiungere la zona di Equi, le acque assorbite nellaCarcaraia devono attraversare alcune importantistrutture, tra cui la Sinclinale di Orto di Donna, che

Bibliografia essenzialeBoccaletti M., CapitaniS., Coli M., Fornace G., Gosso G., GrandiniG., Milano P.F., Mortti G., Nafissi P., Sani F. (1983) - Caratteristichedeformative delle Alpi Apuane Settentrionali. Mem. Soc. Geol.Ital., 226, 1983, 527-534.Carmignani L. (1984) - Carta Geologico Strutturale del ComplessoMetamorfico delle Alpi Apuane. Scala 1:25.000, L.A.C., Firenze.Carmignani L., Giglia G. (1984) - Autoctono Apuano e FaldaToscana: sintesi dei dati e interpretazioni più recenti. Soc. Geol. Ital.,vol. Giubil., Ed. Pitagora, Bologna, 199-214.Coli M., Fazzuoli M. (1991) - Considerazioni sulla litostratigrafia esull’evoluzione sedimentaria delle formazioni retico-liassiche delnucleo metamorfico apuano. Atti Tic. Sc. della Terra, 335, 43-60.Guidotti G., Malcapi V., Piccini L. (1996) – Un re messo a nudo:l’Abisso Paolo Roversi. Speleologia, 334, Soc. Spel. Ital., 35-43.Marcaccini P. (1964) - Fenomeni carsici di superficie nelle Alpi

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� Carcaraia

A chi cʼera…Sembrerà cinico, ma per scovare i vuoti della Tambura è proprio servito di tutto. Grandi amicizie einfuocati contrasti che al momentogiusto funzionano almeno come la tanto decantata speleologia trasversale, anzi, forse in alcuni frangenti anche di più.Ciascuno ha dato il suo contributooriginale, ma è innegabile chequalcuno per noi ha avuto un pesoeccezionale e questa è stata una ghiotta occasione per fareun’incursione nella memoria delledecine e decine di punte fatte in intimissima allegra compagnia.

In ordine del tutto sparso: Stefano Scala, StefaniaPimazzoni, Lorenzo Caramazza,Enrico Chiomento, MassimilianoPalmieri, Paolo Alberti, Paolo Manca, Marina Belli, Marco Sticotti, Ivan Glavan, Gianni Cergol, Giovanni PaoloFoti, Luca Tanfoglio, MatteoRivadossi, Giuliano De Giacomi,Daniele Zubani, Giulio Abbate,Guido Pasinetti, Francesco Costi,Daniele Moretti, Debora Alterisio,Valentina Bertorelli, Piero Ursino,Marc Faverjon, & company dallaFrancia, Marco Taverniti, Matteo Baroni, Marco Ballati,Paolo Carrara, Chiara Venturi,Giuseppe Antonimi, LeonardoPiccini, Sandro Mariani, GiampieroCarrieri, Marco Zambelli, Luca Bertelli, Andrea Mariotti,Stefano Ratti, Simone Argentieri,Luca Gioan, Marco Bertoli,Giovanni Lenzi, ValentinaSeghezzi, Massimiliano Frasconà,Massimo Marini, Alessandra Lotti,Filippo Capellaro, Francesca Lotti,Niccolò Salvadori, ElisabettaTraggiai, Marco Menicucci, Alessio Romeo, Stefano Bettini,Simona Menicagli, Ivan Graziola,e, naturalmente Filippo Dobrilla.

Per la documentazione fotografica una menzione specialeva a Gianni Dellavalle e AdrianoRoncioni, mentre la rilettura criticadegli scritti fatta da Michele Sivellici ha salvato sicuramente danumerose inesattezze. PaoloPorri, Stefano Merilli e FabrizioFallani si sono accollati buonaparte del lavoro cartografico e di elaborazione digitale dei rilievie in ultimo ci è gradito ringraziarela redazione di Speleologia che hamostrato grande disponibilità nelladifficile gestione del materialeche compone questo lavoro.

A parte vanno i ringraziamentialla Rosa e al Trombino del barColtelli di Vagli di Sopra. Questedue persone non sono due sem-plici gestori di un esercizio pub-blico più o meno eletto a rifugiodegli speleologi che frequentanola zona e comunque fruibile a qualunque ora del giorno e dellanotte. La Rosa e il Trombino sonopiuttosto una specie di secondafamiglia che negli anni ci ha accudito, consolato, sfamato, coccolato e sopportato con tutti inostri discorsi e tutti i nostri zainipieni di fango e di emozioni.

…e agli sponsorOltre che essere stati forieri digrandi soddisfazioni per noi, questianni di esplorazioni sono statiindubbiamente forieri anche digrandi soddisfazioni per i nostrifornitori di materiale. Giusto per dare un’idea inCarcaraia attualmente sono impiegati poco meno di settemilametri di corda e migliaia di piastri-ne e moschettoni. A questo si aggiungano tutte leattrezzature da campo moltiplicateper tre (Saragato, Mani Pulite eRoversi) e per almeno cinque persone. Esplorare è ben costoso.Fortunatamente qualcuno ci èvenuto almeno in parziale aiutofornendoci preziosissimo materialeda progressione e da armo, e nello specifico ci riferiamo a REPETTO SPORT e alla dittaRAUMER. Ma non solo; altrettantopreziosa è stata la disponibilità e la competenza con cui la dittaBRUNO STEIMBERG e la dittaSALPI hanno assecondatole nostre particolari esigenze

che evolvevano di volta in voltasoprattutto in materia di abbiglia-

mento e soluzioni tecniche adat-te a lunghe permanenze

in grotta. Crediamo che queste esplorazioni siano

state anche un utilebanco di prova per la sperimentazione di materiali nel per-corso verso l’evolu-zione tecnica. Non è scontato, econ queste aziendeabbiamo un debito

di riconoscenza.

Ringraziamenti

I disegni in questa pagina sono opera di Samivel, da “Histoires au-dessous de tout” di Norbert Casteret, 1946

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