Adriana Dadà
Emigrazione e storiografiaPrimi risultati di una ricerca sulla Toscana
La storiografia sui fenomeni emigratori nell’Italia unita si sta ampliando ed arricchendo negli ultimi anni grazie a notevoli e validi contributi di analisi, come fra l’altro hanno dimostrato alcune rassegne di studi sull’emigrazione italiana fra Otto e Novecento e su emigrazione e storie locali1. Molte delle ipotesi di ricerca e degli studi già avviati, affrontando in un’ottica nuova il problema dei rapporti fra utilizzazione delle risorse economiche e umane, processi di industrializzazione e connessioni fra aree economicamente sviluppate e aree arretrate, influiscono in modo certamente non marginale sul dibattito ancora aperto nella storiografia sulle caratteristiche tipiche dello sviluppo economico italiano. Suggeriva già Stefano Merli come il modello di sviluppo italiano derivasse proprio dall’originale capacità di unificazione di vari livelli di crescita sia economica che sociale: “Emigrazione, disoccupazione, lavoro nero e marginale, esclusione, povertà, sfruttamento quantitativo, persistenza del legame con la terra, degradazione di interi settori e intere regioni sono con
temporanei ed organici allo sfruttamento intensificato di tipo qualitativo, alla concentrazione degli impianti e alla cogestione di poli industrializzati, allo spreco, alle manipolazioni del benesserismo, ecc. Divengono, cioè, le debolezze e i mali tradizionali di un capitalismo gracile e arretrato, la cintura di protezione e il serbatoio dei settori avanzati che cessano così di essere oasi economiche e tecnologiche privilegiate in una rivoluzione incompiuta per assumere l’aspetto di settori di punta di un organico, ma diseguale e contraddittorio, sviluppo economico”2. Sempre più i “meccanismi che hanno consentito all’Italia di raggiungere la posizione che attualmente occupa nell’Occidente”3 si sono rivelati agli studiosi di storia economica come confluenti in un “modello di sviluppo” tipico dell’Italia che “ha certamente qualcosa da insegnare alla teoria e alla storia dello sviluppo, anche se nelle trattazioni sistematiche sulla rivoluzione industriale viene quasi regolarmente trascurato”4. Un ruolo importante in questo modello di sviluppo è ricoperto senz’altro dall’emigrazione, che, se-
1 Vedi, ad esempio, L ’emigrazione italiana fra Otto e Novecento, a cura di Patrizia Audenino, Paola Corti, Ada Lonni, “Passato e presente”, 1988, n. 17; Franca Modesti, Emigrazione e storie locali, “Italia Contemporanea”, 1992, n. 186.2 Stefano Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano: 1880-1900, Firenze, La Nuova Italia, 1972,1, p. 15.3 Franco Bonelli, Il capitalismo italiano. Linee generali d ’interpretazione, in Storia d ’Italia, Annali 1. Dal feudalesimo al capitalismo, Torino, Einaudi, 1978, p. 1195.
F. Bonelli, Il capitalismo italiano, cit., p. 1195.
“Italia contemporanea”, settembre 1993, n. 192
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condo una felice definizione, può essere considerata una delle “sue industrie ‘naturali’”5, non foss’altro per il ruolo delle rimesse degli emigranti, che permettono il mantenimento del saldo della bilancia dei pagamenti in un momento di crisi del processo di sviluppo.
Il dibattito complessivo sul processo di formazione dello Stato unitario e delle caratteristiche dello sviluppo economico italiano ha ricevuto validi contributi proprio dal settore della storia dell’emigrazione, soprattutto dagli studi che hanno accettato e praticato Pinterdisciplinarità come metodologia di ricerca, dovendo necessariamente affrontare contemporaneamente temi di tipo quantitativo-statistico, politico, economico, sociale e culturale. Fra questi si segnala senz’altro il progetto di ricerca sui “Biellesi nel mondo” diretto da Valerio Castronovo che si è già concretizzato in cinque volumi di saggi tematici, che hanno radiografato, con diverse ma coordinate metodologie di ricerca, un’area significativa, il Biellese, fra Otto e Novecento6. I volumi offrono lo spaccato di una società in via di industrializzazione, nella quale l’emigrazione serve a garantire un fragile equilibrio basato sul binomio agricoltura-industria; il piccolo contadino o l’operaio specializzato attraverso l’emigrazione mantengono il mestiere e la piccola proprietà che così convivono con l’affermarsi del sistema di fabbrica. L’ultimo volume, il sesto, contiene gli atti del convegno
storico internazionale sull’emigrazione tenuto a Biella il 25-27 settembre 19897 8, e si segnala anche per gli interventi dei più significativi studiosi a livello internazionale che fanno il bilancio della più recente storiografia nei paesi di maggior emigrazione italiana: Rudolph Vecoli e Lydio F. Tomasi per gli Stati Uniti, Emile Temine e Alberto Ca- bella per la Francia, Carlo Camisa per la Svizzera, Fernando J. Devoto per l’Argentina, Michael M. Hall per il Brasile. In tutti gli autori, italiani e stranieri, è presente l’esigenza di ampliare gli studi regionali, sia delle aree di partenza che di quelle di arrivo, per acquisire maggiori elementi e valutare in maniera nuova e più completa un fenomeno di respiro così ampio come quello migratorio.
Di particolare interesse il saggio di Ercole Sori, Un bilancio della più recente storiografia italiana sull’emigrazione*. Sori è senz’altro uno degli studiosi che ha contribuito più validamente a quello che egli definisce il “processo di secolarizzazione della storia dell’emigrazione o, meglio, la cessazione della sua funzione ancillare rispetto ad altri temi e intenzioni del dibattito storiografico, ideale e politico”9. Un contributo corposo — il suo —, frutto di una riflessione avviata già nel 1975 con il saggio apparso su “Quaderni storici”, Emigrazione all’estero e migrazioni interne in Italia tra le due guerre10 e poi concretizzatosi nel 1979 nel fondamentale volume L ’emigrazione italiana dall’Unità
5 F. Bonelli, Il capitalismo italiano, cit., p. 1197.6 Oltre al Dizionario biografico, a cura di Guido Barberis e Maria Pia Casassa, Milano, Electa, 1987, sono finora usciti i volumi: Aa.Vv., L ’emigrazione biellese fra Ottocento e Novecento, 2 tomi, Milano, Electa, 1988; Aa.Vv., L ’emigrazione biellese ne! Novecento, Milano, Electa, 1988; Corrado Grassi-Mariella Pautasso, Prima roba il parlare. Lingue e dialetti dell’emigrazione biellese, Milano, Electa, 1989; Aa.Vv., Identità e integrazione. Famiglie, paesi, percorsi e immagini di sé nell’emigrazione biellese, Milano, Electa, 1990.7 Studi sull’emigrazione. Un’analisi comparata. A tti del convegno storico internazionale sull’emigrazione, Biella, Palazzo La Marmora, 25-27settembre 1989, a cura di Maria Rosaria Ostuni, Milano, Electa, 1991.8 Studi sull’emigrazione, cit., pp. 59-75.9 Studi sull’emigrazione, cit., p. 64.10 “Quaderni Storici”, 1975, nn. 29-30.
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alla seconda guerra mondialen , che è servito da guida e da stimolo alla ricerca ad un’intera generazione di studiosi. Eppure è lo stesso Sori che dovendo fare “un bilancio sull’emigrazione italiana e sul lavoro storiografi- co che si è applicato a questa grande questione della nostra storia nazionale” arriva a dire, a proposito del suo stesso volume: “Se dovessi riscriverlo oggi, lo riscriverei sicuramente diverso, innanzi tutto perché molti degli umori ideali che vi circolano sono nel frattempo cambiati, e poi perché oggi si sanno molte più cose di quelle che si sapevano in quella seconda metà degli anni settanta. Quasi certamente, poi, non lo riscriverei da solo, spaventato dalla mole del compito e dall’ampiezza delle competenze necessarie”11 12.
La ricerca storiografica sui fenomeni migratori in generale, e in particolare su quelli italiani, negli ultimi dieci anni, si è infatti arricchita sia sotto l’aspetto degli approcci metodologici che per le problematiche affrontate ed ha quindi prodotto studi particolari sia per aree che per tematiche più concrete e definite13. In particolare gli studi di tipo regionale, abbondanti negli anni ottanta, hanno avuto un antesignano nel tempo in Emilio Franzina, un altro importante studioso che, proprio negli stessi anni del lavoro di Sori, iniziava la serie di importanti contributi sul fenomeno migratorio interna
zionale con il volume sull’emigrazione veneta14. Molti degli spunti per l’allargamento delle tematiche di ricerca sia spazialmente che tematicamente sono venuti proprio dai suoi saggi e ricerche, dalla stimolante introduzione al volume Merica! Merica!, ancor oggi ricca di indicazioni15, fino al suo intervento al convegno su “Aree, regioni, Stati”, che ci interessa segnalare per le preziose indicazioni che può fornire per l’individuazione di una regione di emigranti in Toscana16. Il suo saggio rappresenta — a nostro avviso — una sorta di teorizzazione della necessità di ripartire negli studi dalla constatazione che esistono “aree e regioni emigratorie (per l’Italia: l’arco alpino, la ‘Padania’, il Mezzogiorno rurale) e partizioni subareali che possono anche corrispondere (ma non sempre e necessariamente) a divisioni politicoamministrative (si pensi per un lato alla Calabria e al Veneto, e per un altro al Friuli prima della Grande Guerra) in cui è senz’altro più proficuo ed istruttivo studiare l’insorgere e lo svilupparsi dell’emigrazione transoceanica per le modalità che ebbe e per i numerosi condizionamenti che comportò in patria e all’estero”17.
Un’indicazione questa ripresa anche da Sori, che valuta positivamente gli studi che stanno fornendo “una geografia emigratoria dell’Italia contemporanea”18, “che, per fortuna, evita il pericolo del descrittivismo e si
11 Ercole Sori, L ’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 512.12 E. Sori, Un bilancio della più recente storiografia italiana sull’emigrazione, in Studi sull’emigrazione, cit., p. 73.13 Rimandiamo per la ricca bibliografia al saggio di Emilio Franzina, Emigrazione transoceanica e ricerca storica in Italia: gli ultimi dieci anni (1978-88), pubblicato sul primo numero della rivista “Altre Italie”, 1988, pp. 6-56.14 E. Franzina, La grande emigrazione. L ’esodo dei rurali dal Veneto durante il secolo XIX, Venezia, Marsilio, 1976.15 Si veda: E. Franzina, Introduzione a Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti in America Latina. 1876-1902, Milano, Feltrinelli, 1979.16 E. Franzina, Il concetto storico di “regione emigratoria’’: il caso veneto, in Istituto Ernesto Ragionieri, Gli spazi del potere. Aree, regioni, Stati: le coordinate territoriali della storia contemporanea, a cura di Franco Andreucci e Alessandra Pescarolo, Firenze, La Casa Usher, 1989. Fra i saggi si segnala, senz’altro, per l’attenzione ai problemi emigratori quello di Carmine Donzelli, La dimensione regionale e l ’Italia contemporanea, pp. 193-198.17 E. Franzina, Emigrazione transoceanica, cit., p. 19.18 E. Sori, Un bilancio, cit., p. 19.
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mostra attenta alle raccomandazioni di Lucien Fabvre [ma: Febvre], ormai lontane nel tempo, ma sempre attuali”19. Anche se entrambi, pur segnalando molti lavori che vanno in questa direzione20, lamentano che gli autori abbiano accettato e fatta propria la troppo facile coincidenza fra regione emigratoria e regione amministrativa21 e denunciano la scarsa attenzione al fenomeno emigratorio prestata nel complesso dai volumi della Storia d ’Italia dedicati alle Regioni d ’Italia dall’Unità a oggi della casa editrice Einaudi22.
Le regioni o aree emigratorie finora individuate “possono denotare, e in effetti possiedono, peculiarità etnico-culturali, sociali ed economiche del tutto proprie e distinte e costringono così allo studio dei prerequisiti dell’emigrazione, all’analisi delle sue ‘economie esterne’, a una più attenta valutazione delle situazioni locali e dei ‘paesi’ di partenza stabilendo sin da qui la possibilità e la natura di certi rapporti biunivoci instaurati dall’esodo con alcune parti dei continenti d’arrivo (il Veneto e il Brasile, il Friuli e l’Argentina, gli Usa e il Mezzogiorno, la Sicilia e l’Australia ecc. per grossolane generalizzazioni)”23. In effetti la ricerca storica sta prestando attenzione a questi suggerimenti, andando in molti casi oltre il limite regionale, scendendo a dimensioni più piccole (provinciali, di paese o gruppi di paesi omogenei) con ottimi risultati24 non solo per la storia dell’emigrazione, ma per l’intreccio fra
storia dell’emigrazione, storia economica e sociale, ricerca antropologica che permette di illuminare meglio l’evoluzione di queste zone e il loro inserimento nella vita nazionale. È ormai evidente non solo per gli studiosi del settore che, così scomposta ed avvicinata alla realtà territoriale, la storia dell’emigrazione può diventare una cartina di tornasole per molte delle tematiche oggetto di dibattito nella storiografia dell’Italia contemporanea. Fra queste: 1) il ruolo delle varie aree geoeconomiche nella formazione di un mercato nazionale delle merci, dei capitali e del lavoro; 2) il ruolo sia attivo (fornendo manodopera da aree che possono essere considerate serbatoi di manodopera di riserva) che passivo (con l’allontanamento di manodopera esuberante rispetto al modello di sviluppo) che ha avuto l’emigrazione nello sviluppo economico dello stato italiano; 3) il legame fra aree sviluppate e aree arretrate, dalle quali si emigrò senz’altro di più fra Otto e Novecento; aree arretrate funzionali al tipo di sviluppo diseguale che ha permesso, attraverso l’uso differenziato di risorse economiche e umane, il decollo e l’affermazione dell’economia italiana, come ormai è opinione diffusa nella storiografia; 4) il ruolo dell’emigrazione nel conflitto fra capitale e lavoro, come “fenomeno carsico del conflitto sociale”25; ruolo che via via può caratterizzare l’emigrazione come rinuncia alla lotta di classe, come protesta sociale o lotta di classe differita; 5) il ruolo dell’emigrazione
19 E. Sori, Un bilancio, cit., p. 19.20 Per una più completa rassegna bibliografica di questi studi, vedi E. Franzina, Emigrazione transoceanica, cit., particolarmente pp. 36-37, oltre alle opere successive al 1988 citate in questo saggio.21 E. Sori, Un bilancio, cit., p. 69.22 E. Franzina, Emigrazione transoceanica, cit., p. 19.23 E. Franzina, Emigrazione transoceanica, cit., p. 19.24 Vedi, in particolare, i volumi di P. Audenino, Un mestiere per partire. Tradizione migratoria, lavoro e comunità in una vallata alpina, Milano, Angeli, 1990; P. Corti, Paesi d ’emigranti. Mestieri, itinerari, identità collettive, Milano, Angeli, 1990; Raul Merzario, Il capitalismo nelle montagne. Strategie famigliari nella prima fase di industrializzazione del Comasco, Bologna, Il Mulino, 1989; Marco Porcella, La fatica e la Merica, Genova, Sagep, 1986, esemplari per impostazione metodologica interdisciplinare e risultati ottenuti.25 E. Sori, Un bilancio, cit., p. 63.
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temporanea e periodica nel mantenimento di una continuità nell’assetto economico fra stati preunitari e stato italiano almeno per i primi decenni; si sta sempre più evidenziando infatti come l’emigrazione italiana transoceanica, che è quella più conosciuta, si leghi con quegli spostamenti stagionali o temporanei che ormai sono riconosciuti come costanti di molte aree italiane, e non solo, fin dal Seicento26. Molte aree presentano infatti un alto tasso di emigrazione che non può essere assimilata a quella che è stata definita da uno storico americano da “sradicati”27, ma è uno degli elementi di quella mobilità costante che si integra con altri fattori e strategie di sopravvivenza di intere comunità ed aree geografiche.
Abbiamo solo indicato alcune delle grandi problematiche alle quali uno studioso deve costantemente attenersi affinché l’indicazione della ricerca sull’emigrazione per aree geografiche non diventi pura ricerca locali- stica. Chiaramente studi di questo genere richiedono contemporaneamente indagini di storia economica e sociale, attenzione a ricerche di tipo antropologico e ambientale, senza trascurare gli apporti che i demografi storici possono e stanno fornendo, come dimostrano i volumi del “Bollettino di demografia storica” dedicati ai fenomeni migratori28.
La ricerca dunque non può che essere interdisciplinare tanto più che, come afferma uno studioso di storia economica molto attento, Franco Bonelli, anche l’approccio statistico, visti i dati disponibili del tutto insufficienti sia come quantità che come qualità, ha evidenziato “la necessità di procedere a questa operazione di scomposizione e ricomposizione della realtà fissata nei dati” , “dimostrata dai risultati cui sono pervenuti alcuni dei più recenti contributi storiografici”29. Bonelli parte dalla constatazione che “in alcuni momenti cruciali della trasformazione dell’economia e della società italiana l’emigrazione ha assunto una funzione talmente incisiva da legittimare l’opinione secondo la quale essa deve essere indicata come uno degli elementi che caratterizzano il modello italiano di industrializzazione”30. Il legame tra storia dell’emigrazione, storia demografica e storia economica rende evidente anche per Bonelli come “la geografia e le dinamiche emigratorie italiane sono la manifestazione della presenza nella penisola di blocchi di condizioni assai differenziate che non sono ancora state adeguatamente esaminate”31.
Anche per la Toscana è possibile avviare una ricerca sul fenomeno emigratorio in età contemporanea che faccia tesoro dei suggerimenti ormai ampi offerti dalla più recente
26 Vedi, a tal proposito, il volume Le migrazioni internazionali dal medioevo all’età contemporanea: il caso italiano. Atti del seminario di studi, Roma, Istituto Alcide Cervi, 11-12 gennaio 1990, “Bollettino di Demografia Storica”, 1990, n. 12; in particolare: Eugenio Sonnino, Presentazione. Migrazioni ed evoluzione demografica: un rapporto mutevole, pp. 7-8, 11-18. Vedi inoltre gli interessanti spunti già presenti in Dino Cinel, Apprendistato per le emigrazioni internazionali. Le migrazioni interne in Italia nel secolo XIX, “Comunità”, 1980, n. 182.27 Oscar Handlin, Gli sradicati, Milano, Comunità, 1958.28 Oltre al numero già citato, vedi il n. 13 del 1990, dedicato a Giovanni Pizzorusso-Matteo Sanfilippo, Rassegna storiografica dei fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal basso Medioevo al secondo dopoguerra, p. 184.29 F. Bonelli, Emigrazione e rivoluzione industriale: appunti sulle cause dell’emigrazione italiana, in Le migrazioni internazionali dal medioevo all’età contemporanea: il caso italiano, cit., p. 40. In tal senso richiamiamo l’attenzione degli studiosi sul lavoro, fondamentale per metodologia e risultati: Evoluzione demografica ed ambiente economica nelle Marche e nell’Umbria dell’Ottocento, Torino, lite, 1967, particolarmente per il fenomeno emigratorio pp. 143 sgg.30 F. Bonelli, Emigrazione e rivoluzione industriale, cit., p. 35.31 F. Bonelli, Emigrazione e rivoluzione industriale, cit., p. 41. 0
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storiografia cui abbiamo fatto riferimento. La maggioranza degli studiosi la considera una regione emigratoria secondaria, come dimostra il volume delle Regioni d ’Italia dedicato alla Toscana, nel quale è stata prestata poca o nessuna attenzione al problema, se si escludono gli accenni di Giorgio Mori sulla Lucchesia, ritenuta l’unica area interessata in maniera notevole dal fenomeno32. D’altronde, nota Mori, come la Toscana “non fosse, né poteva essere, data la dominante mezzadria, terra di emigranti”33. Il tema dell’emigrazione toscana è stato in seguito affrontato per il periodo 1945-1965 da Patrizia Romei con un saggio su Movimenti migratori e distribuzione della popolazione dal 1945 al 1965 nel volume La Toscana nel secondo dopoguerra34.
La ricerca sull’emigrazione toscana nel periodo dall’unità d’Italia al 1914 che è in corso di svolgimento con un finanziamento, benché modestissimo, del ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, sta invece evidenziando come anche per la Toscana possa essere individuata una regione emigratoria che coincide grosso modo con l’area appenninica e subappenninica. Una regione che presenta un flusso emigratorio peculiare per caratteristiche, costanza, periodicità e coerenza di comportamenti che incidono in maniera rilevante sullo sviluppo economico, sociale e culturale sia delle aree di emigrazione che di quelle di destinazione. Già guardando al complesso dei dati regionali, se soltanto si stabilisce un rapporto fra i dati ufficiali relativi all’emigrazione e quel
li della popolazione residente, si vede subito che la Toscana presenta un trend abbastanza aderente alle percentuali italiane, come dimostrano le tabelle allegate (nn. 1-2). Per semplificare l’osservazione generale sui caratteri dell’emigrazione toscana, abbiamo lasciato distinte l’emigrazione continentale da quella transoceanica, nonostante i dubbi sui metodi di rilevamento dei due dati. Ciò ha consentito di constatare come, particolarmente per l’emigrazione continentale, il dato toscano si mantiene quasi sempre al passo col dato nazionale, quando non è maggiore. Fa eccezione il periodo di crisi dei rapporti con la Francia, area di maggior flusso dalla regione (ma con il contemporaneo spostamento verso i paesi transoceanici come dimostra la tabella n. 2), per riprendere poi nel 1897 con maggior intensità, quasi a compensare le perdite degli anni precedenti. Per l’emigrazione transoceanica i dati regionali sono sempre al di sotto di quelli nazionali, ma non di troppo, se si escludono gli anni del boom dell’emigrazione verso il Nord America. Se si sommano i dati dei due tipi di emigrazione, la Toscana si caratterizza, insomma, per una intensità del fenomeno non trascurabile, vicina alla media nazionale, ma soprattutto abbastanza costante nel tempo.
Procedendo alla disaggregazione dei dati per province, circondari e comuni, sempre più prende corpo l’ipotesi che esiste in Toscana una zona omogenea per caratteristiche e intensità emigratoria35. Se infatti si considera la Toscana nel suo complesso, i dati ufficiali danno un rapporto fra emigrati ed
32 Giorgio Mori, Dall’unità alla guerra: aggregazione e disgregazione di un’area regionale, in Storia l ’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Toscana, a cura di G. Mori, Torino, Einaudi, 1986, p. 211.33 G. Mori, Dall’unità alla guerra, cit., p. 129.34 Pier Luigi Ballini, Luigi Lotti, Mario G. Rossi (a cura di), La Toscana nel secondo dopoguerra, Milano, Angeli, 1991.35 L’ipotesi muove dall’elaborazione dei dati statistici forniti a partire dal 1876 prima dalla Direzione Generale della Statistica del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, poi anche dai Commissariato Generale dell’Emigrazione, secondo una metodologia che li disaggrega per comprensori ed aree socio-economiche, pur nella consapevolezza della insufficienza dei dati ufficiali sul fenomeno migratorio nel periodo postunitario. Ricerche approfondite in archivi comunali e provinciali hanno segnalato già per parecchie zone come il fenomeno
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abitanti per il periodo 1876-1913 di solo il 15,61 per cento36. Esaminando i dati per province, si evidenzia già come il fenomeno in alcune di esse sia di portata più ampia e continuo nel tempo, come nelle province di Lucca e Massa-Carrara, che raggiungono rispettivamente una percentuale di emigranti sulla popolazione del 43,50 per cento e 33,44 per cento. Le altre province hanno le percentuali seguenti: Livorno 13,74 per cento, Arezzo 11,27 per cento, Pisa 8,32 per cento, Firenze 8,17 per cento, Grosseto 3,81 per cento, Siena 2,50 per cento. Se si procede ad ulteriori disaggregazioni per circondari e comuni si individuano zone, paesi che hanno percentuali ancora più alte, come i comuni al centro di due forti subaree, Bagnone in Lunigiana, Sillano in Garfagnana e Sambuca Pistoiese, per le quali, ad esempio, i dati relativi al periodo 1904-1907 danno percentuali del 65 per cento, 72 per cento e 75 per cento. Si viene così delineando una zona, come già aveva
notato Attilio Mori nello studio per il concorso bandito dall’Accademia dei Georgofili nel 1910, nella quale il quoziente emigratorio è direttamente proporzionale all’altimetria. “Si potrebbe dire che, salvo poche anomalie, le curve altimetriche corrono parallele alle curve che ci rappresentano la diversa intensità del fenomeno”37. Studiando il fenomeno emigratorio così disaggregato per circondari, comuni e, in alcuni casi, anche per frazioni38, balza subito all’occhio come un’intera fascia appenninica che va dai confini liguri a quelli umbri sia fortemente interessata dal fenomeno emigratorio in maniera abbastanza costante nel tempo, oltre che nello spazio. Va poi tenuto conto che il fenomeno riguarda, particolarmente per la prima metà del periodo studiato, l’emigrazione verso la Francia (Corsica compresa) e risulta quindi sicuramente inferiore rispetto ai dati ufficiali di quanto invece non sia nella realtà, a causa della presenza di emigrazione clandestina
sia censito per difetto e sfugga al controllo, vuoi per la scarsa attenzione prestata alle migrazioni interne che continuano in maniera rilevante nel periodo, vuoi per mancanza di richiesta di passaporto, vuoi per la negligenza di varie autorità comunali. Di questo si darà conto in altri lavori su aree della Lunigiana, Garfagnana e Lucchesia in corso. Vedi, comunque, ad esempio, la nota a margine al registro del censimento del 1871 del Comune di Pon- tremoli, che così illustra la situazione: “L’emigrazione periodica reale nel Comune di Pontremoli è di gran lunga maggiore di quella dello spoglio eseguito; ma di essa non può darsi affatto conto, attesoché all’epoca del censimento gli emigrati erano tutti assenti in Corsica ed alle Maremme Toscane per cui non furono compresi nelle cartoline di spoglio”, in Archivio di Stato di Pontremoli, sottoprefettura, serie I, cat. 13, Censimento, statistica, 1860-1880.36 Questo dato e le percentuali che seguono sono un’elaborazione personale computerizzata dei dati forniti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale della Statistica, Statistiche dell’emigrazione italiana all’estero, 1876-1919, Roma, 1877-1920, voli. 25, oltre che dall 'Annuario Statistico dell’emigrazione italiana dal 1876 al 1925. Con notizie sugli anni 1869-75, a cura del Commissariato Generale dell’Emigrazione, Roma, 1926.37 Attilio Mori, L ’emigrazione dalla Toscana, particolarmente da! Casentino, Roma, Tip. Nazionale G. Bertero, 1910; ripubblicato con la Carta della distribuzione dell’emigrazione toscana nel quadriennio 1904-1907, in A. Mori, Scritti geografici, Bologna, Zanichelli, 1939.38 Fondamentale per ricerche sui fenomeni emigratori, è infatti l’approfondimento su scala ridotta, come ormai sta evidenziando buona parte della storiografia. Approfondimenti in tal senso per le aree maggiormente interessate dal flusso emigratorio, la Lunigiana, la Garfagnana, la Lucchesia e la montagna pistoiese, sono possibili grazie ai dati offerti, oltre che dalle fonti statistiche nazionali, da archivi provinciali, comunali, parrocchiali, di associazioni e da privati. Per una subarea estremamente omogenea, il bagnonese, sto lavorando ad un progetto di ricerca su Emigrazione, strutture familiari e sociali in Lunigiana fra ’800 e ’900, con un gruppo di ricerca interdisciplinare formato anche da una psicoioga di comunità, Patrizia Meringolo, e una pedagogista storica, Giulia Di Bello. Un primo risultato della ricerca personale su quest’area è ora A. Dadà, L ’emigrazione dalla Lunigiana: i “Barsan”, comunicazione presentata al convegno su Le migrazioni interne in Italia. 1500-1900, organizzato dalla Sides, a Livorno, T11 e 12 giugno 1993, ora in corso di stampa nel “Bollettino di Demografia Storica”.
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abituale39. Si comprende quindi come in questa zona, definibile senz’altro come regione emigratoria, per un insieme di fattori di omogeneità sia ambientali che economici, il fenomeno abbia un’incidenza quantitativa e qualitativa sulla vita quotidiana ed economi- co-sociale complessiva di non secondaria importanza.
Con i dati che si possono rintracciare per alcune aree, risalendo fino al Seicento40, si viene configurando il fenomeno della emigrazione periodica e stagionale come una caratteristica stabile del tessuto economico dell’area, con la funzione di integrazione costante del reddito familiare attraverso lavori fuori zona di boscaiolo, carbonaio, bracciante, venditore ambulante e, quando non c’erano alternative, suonatori girovaghi, mendicanti e vagabondi. Lavori questi che di solito spettavano al padre di famiglia, coadiuvato dal figlio maggiore, o al fratello più grande con un altro fratello, nel caso di mancanza del capofamiglia. Le conseguenze sul piano economico e sociale non erano di poco conto: basti pensare, ad esempio, al ruolo delle donne nella gestione familiare e alla loro importanza anche nella successiva gestio
ne economica delle risorse guadagnate con il lavoro fuori casa dal marito o da loro stesse, nel caso non infrequente che facessero lavori di domestiche, balie da latte41, o partissero anch’esse al seguito del marito, del genitore o del ‘padrone’ come venditrici ambulanti42. Il fenomeno è più o meno forte e radicato zona per zona, a seconda delle condizioni economiche locali, del tipo di proprietà e di redditività dei terreni, della “tradizione migratoria” sviluppata nei secoli per vari motivi — perché area di comunicazione o di confine fra stati preunitari, per la vicinanza ad aree di maggior sviluppo agricolo, per l’esistenza di specializzazioni in alcuni mestieri, da pastori a carbonai a lavoratori di cave e miniere. Tutto ciò produce capacità di allontanamento progressivo dalla propria terra per “terre assai lontane”43, non solo grazie a quella che è definita la “catena migratoria” ma anche l’abitudine fisica ed interiore a “partire”, a rompere i legami con la comunità, il paese, la famiglia. Questa regione è dunque interessata da fenomeni di emigrazioni periodiche, stagionali, da secoli, e sarà su quest’area che si innesterà poi in maniera più decisa il fenomeno dell’emigrazione
39 Vedi in tal senso i risultati della Giunta per PInchiesta agraria, in Carlo Massimiliano Mazzini, La Toscana agricola. Relazione sulle condizioni dell’agricoltura e degli agricoltori nelle province di Firenze, Arezzo, Siena, Lucca, Pisa e Livorno. Estratto degli A tti della Giunta per l ’Inchiesta Agraria, Roma, Tip. del Senato, 1881.40 Indispensabile il ricorso ad Archivi di Stato, comunali, parrocchiali, anche se notizie si possono trovare in numerosi studi di storia toscana. Cito solo, fra le innumerevoli opere, per la rilevanza delle notizie: Carlo Corsini, Le migrazioni stagionali di lavoratori dei dipartimenti italiani nel periodo napoleonico (1810-1812), in Aa.Vv., Saggi di demografia storica, Firenze, 1969, pp. 89-157; Rita Mazzei, La società lucchese del Seicento, Lucca, 1977 (che a p. 136 rileva spostamenti consistenti verso la Corsica, le Maremme e le campagne pisane).41 La testimonianza di una balia friulana ci richiama l’attenzione sull’entità del fenomeno, quando ricorda come “Nel momento dell’assunzione si dava la preferenza alle balie di origine toscana”, “perché le toscane sono le preferite per la lingua, le toscane, perché parlano già un italiano corretto, corretto”, riportata in Balie da latte, una forma peculiare di emigrazione temporanea, a cura di Daniela Perco, Feltre, 1984, p. 83. Il fenomeno è senz’altro più complesso ed ha forti elementi di somiglianza con le zone finora studiate dell’arco alpino, ricostruite recentemente nel saggio di P . Audenino, Le custodi della montagna: donne e migrazioni stagionali in una comunità alpina, “Annali dell’Istituto Cervi”, 1990, n. 12.42 Sia i figurinai lucchesi che gli ambulanti lunigianesi, i “barsan” (perché vendevano prevalentemente nella Barsana, per estensione dalla zona di Brescia a tutta l’Italia del Nord), organizzavano carovane di bambini o bambine, da usare per la vendita “porta a porta”, i cosiddetti “garzoni”, figli di famiglie ancora più povere, che li alienavano ancora preadolescenti per un certo periodo in cambio del loro mantenimento fisico. Per l’area lunigianese, vedi ora A. Dadà, L ’emigrazione dallaLunigiana, cit.43 Aa.Vv., Per terre assai lontane, Pontremoli, 1988, catalogo della mostra omonima tenuta a Pontremoli nel 1988.
Emigrazione e storiografia. Primi risultati di una ricerca sulla Toscana 495
transoceanica, senza però vedere diminuire sensibilmente l’emigrazione periodica interna ed europea (vedi la tabella n. 3), ma anzi, nella maggioranza dei casi, trasferendo i caratteri di emigrazione di “andata e ritorno” anche a quella transoceanica. Una regione emigratoria nella quale esiste l’abitudine di “emigrare per ‘restare’”, e consolidare la propria posizione economica nella zona di partenza, come appare evidente ormai anche per molte altre aree, diversamente dallo stereotipo dell’emigrazione come “sradicamento” e fuga verso altri paesi. Cade per questa regione la tradizionale distinzione fra emigrazione transoceanica, ritenuta definitiva, e quella continentale od europea definita temporanea, che d’altronde era già stata ampiamente criticata da contemporanei e storici.
Vediamo ora alcuni degli elementi di carattere strutturale che fanno da base a questo tipo di emigrazione abbastanza costante nel tempo. Senz’altro è il tipo di struttura economica e sociale che rende diversa questa zona dalle altre della Toscana: un’area collinare o montuosa dove la proprietà è più frazionata e dove la mezzadria non domina incontrastata, ma fa i conti con una piccola e piccolissima proprietà contadina che si manterrà più o meno stabile per tutto il periodo considerato e ben oltre. Le zone a mezzadria possono definirsi, nella maggior parte di questa regione emigratoria, a mezzadria “povera”, quella che non aveva ancora pro
ceduto nel nuovo secolo alla trasformazione agraria attraverso la meccanizzazione e l’introduzione di nuove colture, vuoi per le caratteristiche geologiche e agrarie del terreno, vuoi per l’atteggiamento degli stessi proprietari, ostili a cambiamenti di gestione del podere e dei rapporti coi mezzadri. I mancati investimenti in trasformazioni agrarie in questa zona non rendono possibile l’assorbimento del surplus di pigionali, manodopera bracciantile o di quella legata ai mestieri tradizionali della manovalanza in opere murarie di vario tipo. Questi gli elementi che fanno da base alla possibilità dell’esistenza di questo tipo di emigrazione, accanto al persistere di una piccolissima proprietà e di una famiglia allargata che fa da supporto logistico e psicologico all’emigrante, che costante- mente va e viene, con un comportamento definito per altre aree da “rondinelle”. Come per altre aree del nord e centro Italia, la famiglia e la piccola proprietà sono dunque la garanzia e insieme l’elemento condizionante delle scelte dell’emigrante che cerca un’integrazione al proprio magro reddito per mantenerle entrambe e che si allontana prevalentemente nei mesi morti per le coltivazioni di alta collina e montagna. Tradizionalmente il periodo dei maggiori spostamenti è infatti quello della cattiva stagione. Da ottobre-novembre ad aprile per recarsi prevalentemente verso la Maremma44, la Corsica45, la Pianura Padana e la Francia46. Più
44 Documentatissima la tradizione dell’ “andare in Maremma” per la stagione per tutte le aree montane dell’Ap- pennino. Vedi, fra gli altri, Girolamo Allegretti, Dall’Appennino pesarese alle Maremme: l ’emigrazione stagionale tra ’700 e ’800, in Campagne maremmane tra ’800 e ’900, Atti del convegno di Studi “Agricoltura e Società nella Maremma tra ’800 e ’900”, Grosseto, 19-20 giugno 1981, Grosseto, 1982; I. Biagianti, Migrazioni dalla montagna toscana alla Maremma nel ’900, in Campagne maremmane, cit.45 Documentata fin dal Seicento, l ’emigrazione toscana verso la Corsica è formata da boscaioli, carbonai, braccianti, e via via da venditori ambulanti, commercianti, che costituiscono fino alla fine dell’Ottocento un nucleo fortissimo, definito dei “Lucchesi”, con una connotazione dispregiativa. Sull’argomento vedi gli studi sull’emigrazione in Francia e particolarmente in Francis Pomponi, Les Lucchesi en Corse, in Aa.Vv., Gli italiani nella Francia del Sud e in Corsica (1860-1980), a cura di Emile Témine-Teodosio Vertone, Milano, Angeli, 1988, pp. 200-213. Per il fenomeno della Lunigiana, vedi ora i dati dei passaporti per la Corsica a partire dal 1812 in A. Dadà, L ’emigrazione dalla Lunigiana, cit. Analoga ricerca è in corso di stesura definitiva da parte della scrivente per l’area lucchese e uscirà nella rivista “Documenti e studi”.46 Su questo fenomeno, oltre alla bibliografia generale sull’emigrazione in Francia, contenuta nel recente G. Noi-
496 Adriana Dadà
tardi, con lo sviluppo delle infrastrutture in tutta Europa e in alcune aree ad Est dell’Europa, saranno proprio zone come questa a fornire quella manodopera abbondante, poco qualificata e a tempo limitato, necessaria per lo sviluppo economico tumultuoso che raffermarsi del capitalismo richiede. Da bo- scaioli, braccianti, sterratori, gli emigranti si trasformeranno in manovali, muratori, terrazzieri, lavoratori nelle costruzioni di gallerie, strade, ferrovie e città. Il periodo dello spostamento si allargherà allora anche ai mesi primaverili ed estivi fino ad assumere dimensione annuale o pluriennale. I lavori agricoli necessari al mantenimento della piccola proprietà, per la loro esiguità, possono essere svolti anche da donne e bambini, largamente impiegati nelle campagne; fa eccezione il periodo dei lavori più pesanti (raccolta e seccatura delle castagne, taglio del grano e del fieno), nel quale gli uomini rientrano abitualmente o per breve tempo. La maggioranza degli emigranti, secondo le statistiche, parte da solo e non a gruppi di famiglia anche per l’oltreoceano (vedi tabelle nn. 4 e 5), nella speranza di tornare, e solo in alcuni casi e per alcune aree l’emigrazione nel periodo analizzato si trasforma in definitiva. L’emigrazione transoceanica si innesterà — come già detto — su questo tessuto di tradizioni emigratorie, dirottando verso le aree del nord e sud America masse di emigranti, ma non stravolgerà la tradizionale tendenza ad inserirsi nel mercato nazionale ed europeo, vuoi per le tradizioni di legami instaurati, vuoi perché la vicinanza rende possibile il mantenimento di legami con la struttura familiare che resta nel paese. Questo sistema di partenze temporanee e
periodiche non esclude tuttavia spostamenti definitivi della popolazione, soprattutto di alta collina o di montagna, ma nella maggioranza dei casi la regola è il rientro, e, se il lavoro fuori ha prodotto un reddito, il consolidamento della proprietà, l’investimento del danaro guadagnato in attività fondiarie o commerciali. Lo spopolamento dalla zona avverrà solo più tardi e con altre caratteristiche47, anche se si può affermare che il fenomeno del mantenimento del legame anche attraverso la proprietà fondiaria di chi risiede per lunghi periodi all’estero è piuttosto forte soprattutto per Lucchesia e Lunigiana. Anche le aree prevalentemente mezzadrili e le province non appenniniche, agli inizi del secolo, incominciano ad essere interessate da flussi emigratori di una certa consistenza. Il fenomeno è evidente per la seconda metà degli anni novanta e l’inizio del secolo per tutta la Toscana. Esaminando i dati per province, si constata che il fenomeno ha dimensioni maggiori proprio nelle province ancora a basso flusso emigratorio all’inizio degli anni novanta (particolarmente Grosseto, Firenze, Arezzo e Siena), mentre ha già avuto un timido avvio nelle province di Livorno e Pisa. Subisce un aumento anche nelle province di Massa-Carrara e Lucca da tempo fornitrici di migliaia di emigranti, ma non in maniera così evidente come nelle province dove il fenomeno è relativamente nuovo. Ancora nel 1893 le due province di Massa- Carrara e Lucca avevano ben 8699 partenti, ossia il 71,51 per cento dell’emigrazione totale della regione. Lo scarto fra queste due province e le altre diminuisce con gli anni, se nel 1907 le due province forniscono all’emigrazione solo il 40,10 per cento del totale to-
riel, Le creuset français. Histoire de l ’immigration XIX-XX siècle, Paris, Editions du Seuil, 1988, pp. 381-403, segnaliamo particolarmente Anne Marie Faidutti-Rudolph, L ’immigration italienne dans le sud-est de la France, Gap (Hautes Alpes), Editions Ophrys, 1964; A. Châtelain, Les migrants temporaines en France de 1800 à 1914, thèse d ’état, Lille, Atelier de reproduction des thèse, 1977.47 Vedi P. Romei, Movimenti migratori e distribuzione della popolazione dal 1945 al 1965, cit.
Emigrazione e storiografia. Primi risultati di una ricerca sulla Toscana 497
scano. La regione arriverà nel complesso a un massimo di 45.599 partenze nel 1913, anno di massima punta anche a livello nazionale (su una popolazione di poco più di due milioni e mezzo, quindi una percentuale di emigrati rispetto alla popolazione del 18,4 per cento). Aumenta in maniera notevole l’emigrazione fuori dall’Europa e quella con caratteri di maggior continuità temporale. Il fenomeno comincia a destare preoccupazione anche negli ambienti agrari, tanto che nel 1910 l’Accademia dei Georgofili bandisce un concorso per lo studio dell’emigrazione in Toscana, escluse le province di Lucca e Massa-Carrara, che produrrà studi ancora oggi validissimi48. Se l’emigrazione temporanea e periodica era stata ben tollerata e for- s’anche ritenuta funzionale al sistema di organizzazione economico-sociale toscana, l’aumento complessivo degli spostamenti di manodopera, soprattutto dall’area a mezzadria forte, rischiava di sconvolgere non solo i tradizionali equilibri del sistema agricolo, caratterizzato dalla presenza di una vasta riserva di manodopera stagionale da impiegare nelle grandi proprietà, ma anche quelli della nascente industria che usufruiva degli spostamenti dei contadini dalle campagne alle città, per la tradizionale maggior disponibilità del lavoratore proveniente dalla campagna ad adattarsi alle condizioni di lavoro particolarmente pesante. Nel dopoguerra la chiusura degli sbocchi migratori
verso l’America a causa della politica restri- zionista degli Stati Uniti e le difficoltà economiche internazionali, ridimensioneranno il fenomeno a livello nazionale, incidendo notevolmente anche in quelle aree che avevano allarmato il buon padronato toscano che ancora per qualche decennio manterrà un controllo ferreo sul sistema mezzadrile49.
Per la regione appenninica e subappenninica il fenomeno emigratorio continuerà, pur ridimensionato, con le stesse caratteristiche, senza grandi sconvolgimenti fino alla fine della seconda guerra mondiale. Solo allora si avranno consistenti spostamenti definitivi, vuoi verso le aree interne che verso le nazioni sbocco emigratorio tradizionale dei toscani, che sommandosi con il fenomeno dello spostamento dalla montagna e la collina verso le aree industrializzate e le città, porteranno dei cambiamenti sostanziali nell’insediamento della popolazione e nell’economia di queste aree. È significativo, e per certi versi inevitabile, che anche i mutamenti di residenza, a partire dagli anni trenta e massicciamente nel secondo dopoguerra, si verifichino soprattutto verso quelle aree che da secoli sono state — come si è detto — sedi di spostamenti periodici per lavori agricoli, lavori nelle infrastrutture, lavori stagionali e ambulanti. Prevalgono infatti spostamenti definitivi verso il Nord, soprattutto Lombardia e Liguria, seguite da Emilia Romagna e Lazio, e si consolidano i tradizio-
48 La commissione formata da Pasquale Villari, Riccardo Dalla Volta e Agostino Gori premierà il saggio di A. Mori, già citato. Anche altri due saggi presentati al concorso verranno pubblicati: Giuliano Marcelli, L ’emigrazione e le condizioni dell’agricoltura in Toscana, “Atti della Reale accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze”, 1910, n. 4, vol. VII; Guido Valensin, L ’emigrazione dalla Romagna in Toscana, ivi, 1914, V serie. Gli altri tre saggi si trovano inediti nell’Archivio dell’Accademia dei Georgofili, buste 122 e 136.49 Ad eccezione delle lotte mezzadrili del 1902 e del 1906, e quelle più estese del dopoguerra. Quanti dei mezzadri, pigionali, fittavoli, braccianti, partiti negli anni novanta e all’inizio del secolo, sono nel primo dopoguerra senza più possibilità di trovare lavoro all’estero e fanno parte della massa di lavoratori della terra che daranno vita alle lotte mezzadrili, alle lotte per il caroviveri, e tutte quelle manifestazioni di scontento che caratterizzano il biennio rosso anche in Toscana? Su queste tematiche, oltre al fondamentale studio del Cedei, su L ’immigration italienne en France dans les années 20. Actes du colloque franco-italien, Paris, 15-17 octobre 1987, Paris, Cedei, 1988, vedi ora Gilles Pecout, Dalla Toscana alla Provenza: emigrazione e politicizzazione nelle campagne (1880-1910), “Studi Storici”, 1990, n. 3.
498 Adriana Dadà
nali espatri soprattutto verso Francia e Gran Bretagna, oltre che per le Americhe, mentre si avvia il flusso verso l’Australia50. Per l’Italia già nei censimenti del 1901 si trovavano toscani in Liguria, poi anche in Piemonte e Lombardia, ma è soprattutto nel periodo 1951-1961 che risultano essere molti i toscani che scelgono di risiedere stabilmente in Piemonte e Lombardia51. Ma lo spopolamento delle aree montuose e collinari non sarà in Toscana più evidente che altrove; anzi, questi fenomeni non produrranno a livello economico-sociale grossi cambiamenti, continuando queste aree a connotarsi come zone di relativa stabilità, anche negli aspetti più marcatamente politici, e ciò perché si tratta in fondo dello stabilizzarsi di un fenomeno plurisecolare. Forse si può applicare anche alla Toscana la risposta che Sori dà alla domanda “Che cosa spiega la perdurante arretratezza di alcune delle aree dalle quali si emigrò di più in passato?”: “non si tratta di semplici ‘sacche’ di arretratezza, ma di fenomeni di secessione economica, sociale, e fors’anche, politica”52. Per ora è solo un’ipotesi, forse un po’ meccanicistica; solo da serie e approfondite ricerche sui caratteri economici e sociali peculiari di aree e subaree storicogeografiche si potrà avere una risposta sui legami fra arretratezza, emigrazione, svi
luppo economico e comportamento politico anche per la Toscana.
Un’ipotesi che invece si sta facendo più concreta, via via che il lavoro di individuazione di una regione emigratoria toscana procede, è senz’altro quella dell’assimilabi- lità ad altre zone appenniniche e subappenniniche già studiate. Allo stato delle ricerche si possono già avanzare due ipotesi di lavoro da sviluppare. Come dimostrano studi sulla Liguria, l’Umbria, le Marche53, si può ipotizzare l’esistenza di una grande regione emigratoria che coincide con le due aree di displuvio appenninico ad est e ad ovest, un bacino abbastanza omogeneo, che presenta caratteri comuni, sia per tradizione emigratoria che per incidenza del fenomeno complessivo. L’altro dato che si comincia a rilevare, pur con le dovute cautele, è quello relativo agli elementi di somiglianza strutturale e di comportamenti umani con quell’area prealpina che gli studi degli ultimi anni stanno portando alla luce54.
Questo bacino emigratorio ha elementi di omogeneità geografica che hanno in buona parte condizionato e resi simili gli insediamenti umani, sia per il tipo di colture possibili, che per il conseguente ciclo di vita annuale. Da ciò sono discese tradizionalmente colture più limitate di tipo quasi monocoltu-
50 Come dimostra P. Romei, Movimenti migratori, cit., pp. 235, 237.51 Cfr. Anna Treves, Le migrazioni interne nell’Italia fascista, Torino, Einaudi, 1976, pp. 180-187.52 E. Sori, Un bilancio della più recente storiografia italiana sull’emigrazione, cit., p. 63.53 Oltre al lavoro sempre valido di Anne Marie Rudolph, Le role economique e démographique de l ’emigration dans l ’Apennin toscan, “Bulletin de Géographie de Lyon”, 1958, XXXIII, pp. 261-280 e al fondamentale lavoro di C. Corsini, Le migrazioni stagionali, cit., vedi i lavori più recenti per le varie aree: F. Bonelli, Evoluzione demografica ed ambiente economico nelle Marche e nell’Umbria dell’Ottocento, cit.; Luciano Tosi, L ’emigrazione italiana all’estero in età giolittiana. Il caso umbro, Firenze, Olsckhi, 1983; M. Porcella, La fatica e la Merica, cit.; Aa.Vv., L'emigrazione della Liguria. Studi e ricerche di geografia, Genova, Sagep, 1987; La via delle Americhe. Emigrazione ligure tra evento e racconto, Genova, Sagep, 1989; Manuela Martini, Percorsi migratori dalle montagne piacentine alla Banlieue parigina. Il caso di Ferriere in Val di Nure, “La Trace”, Paris, Cedei, 1992, n. 6; Carlo M. Bei- fanti, Territori ed economie nei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla alla fine dell’Antico Regime, in Spazi ed economia. L ’assetto economico di due territori della Padania inferiore, a cura di Franco Giusberti e Alberto Guen- zi, Bologna, 1985.
Per l’emigrazione biellese cfr. note 6, 7 e 24, mentre per altre aree prealpine rimandiamo all’ampia bibliografia citata da E. Franzina, Emigrazione transoceanica e ricerca storica in Italia: gli ultimi dieci anni, cit.
Emigrazione e storiografia. Primi risultati di una ricerca sulla Toscana 499
rale (il castagno), e la necessità quindi di rapporti di interscambio commerciali con la pianura per la vendita dei prodotti della montagna e l’acquisto di quelli indispensabili alla vita, come sale e farina. L’esuberanza di manodopera, inoltre, accompagnata dalla differenza stagionale di maturazione dei prodotti, ha sempre liberato braccia dalla montagna alla pianura per lavori come il taglio del fieno, la mietitura e battitura del grano, l’accudi- mento del baco da seta, i lavori di dissodamento, aratura e vangatura dei terreni in pianura, vuoi immediatamente vicina a casa, vuoi più distante (Maremma, Lazio, Corsica, Pianura Padana, Lazio, Puglie, da secoli terre di emigrazione stagionale periodica per questi lavori). L’allevamento del bestiame stesso ha assunto periodicità di spostamenti con la transumanza, dando così luogo a una rete di rapporti e di interscambi che sicuramente si sono riprodotti per secoli, caratterizzando quest’area in maniera omogenea. I mestieri di legnaiolo, boscaiolo, carbonaio necessariamente hanno prodotto l’abitudine a vivere isolati per lungo tempo e temprato caratteri pronti per gli spostamenti periodici per lavori agricoli fuori zona e poi per il salto emigratorio fuori della regione o della nazione.
Se questi fenomeni sono senz’altro comuni a tutta l’area, rimangono a breve e medio raggio e non sono sufficienti a darle un connotato di regione emigratoria fino all’inizio dell’Ottocento. È infatti nel periodo napoleonico, con l’aumento dei lavori pubblici e una maggiore richiesta di monodopera nel nord ovest dell’Italia e in Francia, che si ha un aumento consistente e ben determinato di
spostamenti con insediamenti prolungati di manodopera che avverrà da tutta l’area appenninica55. Ma è soprattutto con il raggiungimento dell’Unità, l’unificazione del mercato nazionale e la dilatazione del mercato internazionale che si rompono gli equilibri sui quali si basava l’economia di collina e di montagna. In molte aree di montagna e alta collina, fiorenti anche per il ruolo svolto come zone di passaggio di merci da una parte all’altra della dorsale appenninica, la rivoluzione dei trasporti provoca una crisi. Il ruolo della costruzione delle infrastrutture è fondamentale per i cambiamenti che produce anche in queste zone, sia come aree di richiamo di manodopera, che come mezzi di maggior facilità di spostamento. Come elemento di richiamo di questa manodopera avviene in contemporanea l’allargamento del mercato del lavoro europeo e internazionale prodotto dal processo di trasformazione agraria, industriale e urbanistica che attrae manodopera per i lavori di infrastrutture ed edilizia. È appunto nel periodo postunitario che si delineerà in maniera più netta il processo di inserimento di queste correnti periodiche di manodopera nel mercato nazionale ed internazionale, avviandosi all’integrazione con le correnti provenienti da altre aree, pur mantenendo le caratteristiche che abbiamo descritto, di emigrazione “di andata e ritorno”, di estrema adattabilità della manodopera alle esigenze del mercato, tutti elementi di conservazione e non certo di rottura degli equilibri secolari dell’area.
Adriana Dadà
55 Vedi, in tal senso, le carte dei vari tipi di migrazioni stagionali del 1812 contenute nel saggio di C. Corsini, Le migrazioni stagionali, cit. Il fenomeno è confermato dalle ricerche che ho svolto per Lunigiana e Lucchesia, ed acquista uno spessore particolare per la ricchezza di dati offerti dai passaporti sia per le aree di provenienza che per quelle di arrivo, dati elaborati solo in parte nei lavori segnalati, A. Dadà, L ’emigrazione dalla Lunigiana, cit.; A. Dadà, L ’emigrazione dalla Lucchesia fra ’800 e '900, cit.
500 Adriana Dadà
Tabella 1. - Emigrazione continentale (emigranti su 100.000 abitanti)
■ Toscana CD Regno
Fonte: Commissariato generale dell’emigrazione, Annuario statistico dell'emigrazione italiana dal 1876 al 1925. Con notizie sugli anni 1869-1875, Roma, 1926. Elaborazione dell’autore.
Tabella 2. - Emigrazione transoceanica (emigranti su 100.000 abitanti)
18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19
76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14
■ Toscana □ Regno
Fonte: Commissariato generale dell’emigrazione, Annuario statistico, cit. Elaborazione dell’autore.
Emigrazione e storiografia. Primi risultati di una ricerca sulla Toscana 501
Tabella 3. - Emigranti toscani per area di destinazione
100.00
90.00
80.00
70.00
60.00
50.00
40.00
30.00
20.00
10.00
0.00
□ America centrale e meridionale □ America del Nord □ Africa ■ Europa
Fonte: Commissariato generale dell’emigrazione, Annuario statistico, cit. Elaborazione dell’autore.
Tabella 4. - Emigranti toscani per sesso (valori percentuali)
□ Donne H Uomini
Fonte: Commissariato generale dell’emigrazione, Annuario statistico, cit. Elaborazione dell’autore.
502 Adriana Dadà
T abella 5. - E m ig ra z io n e to sca n i p a r t i t i so l i e in g ru p p o (v a lo r i p e rc e n tu a li)
18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19 19
76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14
□ In gruppo ■ Soli
Fonte: Commissariato generale dell’emigrazione, Annuario statìstico, cit., Elaborazione dell’autore.
ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE IN ITALIA
ISTITUTO ABRUZZESE PER LA STORIA D’ITALIA DAL FASCISMO ALLA RESISTENZA
Costantino Felice, Guerra, Resistenza, dopoguerra in Abruzzo. Uomini, economie, istituzioni, Milano, Angeli, 1993, pp. 432, lire 50.000.
Un saggio di storia sociale che studia le profonde trasformazioni indotte nelle comunità locali non solo dal lungo ristagnare del fronte di guerra nell’inverno e nella primavera 1943-1944, ma anche da forze come la Chiesa, gli apparati periferici dello Stato, gli Alleati, alcuni ceti sociali e soggetti economici. L’Abruzzo, per la sua collocazione geografica e per lo spessore degli avvenimenti che lo hanno investito, dimostra di essere un campo di indagine estremamente fecondo sia per una riconsiderazione del nodo storiografico del rapporto tra Resistenza e Mezzogiorno, sia per un’analisi del complicato intreccio tra permanenze e novità.
Indice
1. Nell’inferno della guerra: dagli ammassi alla ‘terra bruciata’2. Le bande partigiane tra spontaneità ed azione militare3. Il dopoguerra: Resistenza, società, Alleati