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Energia di vuoto ed E etto Casimircoriano/tesi/cataldini_triennale.pdf · 2012-04-05 · di punto...

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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DEL SALENTO Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica Tesi di laurea triennale Energia di vuoto ed Effetto Casimir Relatore: Prof. Claudio Corian`o Candidato: Federica Cataldini Anno accademico 2011-2012
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UNIVERSITA DEGLI STUDI DEL SALENTO

Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e NaturaliCorso di Laurea in Fisica

Tesi di laurea triennale

Energia di vuoto

ed Effetto Casimir

Relatore:

Prof. Claudio Coriano

Candidato:

Federica Cataldini

Anno accademico 2011-2012

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Ai miei nonni

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“Muss es sein? Es muss sein!”

Ludwig van Beethoven

iii

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Prefazione

Lo sviluppo della meccanica quantistica ha fornito una descrizione della realta che spesso

esula da ogni logica e previsione classica. Uno dei risultati piu importanti, legato tutt’oggi

a problematiche non risolte, e l’esistenza di un’energia di vuoto. In elettrodinamica clas-

sica non vi e motivo per cui nel vuoto debba esserci radiazione elettromagnetica, ma gia

nel 1912 Planck, concentrato sullo studio dello spettro del corpo nero, trovo un’energia

di punto zero, partendo dalla sola ipotesi che la radiazione fosse costituita da quanti di-

screti e indistinguibili di energia. Da quel momento, in un susseguirsi di eventi, la teoria

quantistica prese forma e fu dalla quantizzazione del campo elettromagnetico che riemerse

l’energia di vuoto.

La presente tesi si propone di esporre gli aspetti salienti dei fenomeni ad essa legati, con

particolare attenzione per l’effetto Casimir, i cui risvolti abbracciano vasti ambiti della

fisica.

Il primo capitolo richiama le proprieta fondamentali dell’elettromagnetismo classico, pre-

supposto essenziale per l’analisi quantistica. Verranno introdotte e illustrate le trasforma-

zioni di gauge e si adoperera in particolare la gauge di Coulomb per dimostrare che, nel

vuoto, il potenziale vettore e i campi elettromagnetici soddisfano l’equazione di D’Alem-

bert e dunque si rappresentano in termini di sovrapposizione di onde piane polarizzate.

Risolvendo poi l’equazione delle onde per il potenziale vettore entro un volume cubico,

si dimostrera che l’hamiltoniana del campo coincide con quella di un sistema di infiniti

oscillatori armonici disaccoppiati. Ogni frequenza di oscillazione del campo elettromagne-

tico sara rappresentata da un oscillatore armonico, a cui si attribuisce il nome di modo

normale. A questo punto, sfruttando il principio di corrispondenza, si procedera con la

quantizzazione del campo elettromagnetico. Come nel caso dell’oscillatore, verranno de-

finiti gli operatori di creazione e annichilazione, i quali consentiranno di rappresentare

1

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l’energia in termini di quantita discrete, i fotoni; si giungera ad un’espressione dei cam-

pi analoga a quella classica, dove le ampiezze saranno sostituite dai due operatori citati.

Dalla trattazione emergera uno spettro discreto per l’energia del campo, corrispondente

alla quello di infiniti oscillatori armonici, e fluttuazioni non nulle nello stato fondamentale,

lo stato di vuoto. L’origine del punto zero dell’energia risiede nella non commutabilita

degli operatori di creazione e annichilazione, e in virtu del principio di indeterminazione,

le fluttuazioni di vuoto si potranno associare a fotoni virtuali che si annichilano a vicenda.

La comparsa in elettrodinamica quantistica dell’energia di vuoto rappresento un punto di

svolta nella fisica teorica, giacche essa e responsabile della divergenza dell’hamiltoniana di

un qualunque sistema a infiniti gradi di liberta. La presenza di queste quantita infinite

e cruciale, infatti se, da un punto di vista formale, l’energia di vuoto puo essere elimi-

nata tramite un riordinamento normale, non si puo ignorare la sua presenza in fenomeni

puramente quantistici quali il Lamb shift e l’effetto Casimir. Il cuore della descrizione

teorica dei due fenomeni consisteva proprio nel rendere finita una quantita che, a causa

dell’energia di punto zero, non poteva convergere. La risoluzione del ‘dilemma’ aprı le

porte alla teoria quantistica dei campi.

Il terzo capitolo e dedito all’approfondimento di tali aspetti e alla descrizione dei due

fenomeni citati. Il Lamb shift fornisce una correzione alla struttura fine dell’atomo di

idrogeno, dovuta all’interazione fra l’elettrone amico e le fluttuazioni di vuoto del cam-

po elettromagnetico interno. L’effetto Casimir e un fenomeno di natura quantistica ma

che si manifesta nella realta macroscopica: esso appare nel momento in cui si impongono

condizioni al contorno al campo elettromagnetico quantizzato. Piu precisamente si tratta

di una forza, attrattiva nella maggior parte dei casi, che si esercita fra due lastre piane

infinite e perfettamente conduttrici. Quest’interazione e la manifestazione macroscopica

delle fluttuazioni di vuoto vincolate dai confini materiali del sistema fisico in esame. L’ef-

fetto Casimir si manifesta anche su scala atomica, provocando l’attrazione fra due atomi

o molecole neutre vicine; si parla in questo di forza di Casimir-Polder, e una forza a lungo

raggio, strettamente legata ad un’altra interazione quantistica, la forza di Van der Waals,

che invece si manifesta fino a distanze di pochi nanometri.

La verifica sperimentale di questi due fenomeni arrivo diversi anni dopo la loro formula-

zione teorica e, mentre il Lamb shift e stato determinato con l’ausilio della spettroscopia,

lo studio dell’effetto Casimir e ancora oggi sul palcoscenico della comunita scientifica.

Dal quarto capitolo in poi, si cerchera dunque di porre le basi per la comprensione dell’at-

tivita sperimentale legata alla forza di Casimir. Per la misura di tale forza si utilizzano dei

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condensati di Bose-Einstein, oggetti macroscopici con caratteristiche quantistiche (stati

coerenti), che obbediscono alla statistica di Bose-Einstein. Lo sviluppo teorico di questi

due elementi sara infine seguito dalla descrizione dei piu significativi esperimenti che hanno

confermato l’esistenza dell’effetto Casimir. Le difficolta pratiche legate alla configurazione

di parallelismo di due lastre conduttrici, hanno fatto sı che nel corso degli anni, la misura

della forza di Casimr fosse stata effettuata prima sfruttando geometrie diverse. Si e scelto

di illustrare esperienze che si differenziassero per tecniche di indagine, geometria del siste-

ma e portata storica. In particolare verranno descritti due esperimenti in cui si verifico

l’esistenza di un’attrazione fra un conduttore sferico e una lastra metallica piana; in un

caso l’obiettivo fu raggiunto misurando la forza di richiamo di un pendolo a torsione su cui

era posizionata la sfera, nella seconda esperienza invece si utilizzo un microscopio a forza

atomica. Si esporra poi il recente lavoro, in cui fu dimostrata l’azione della forza di Casi-

mir fra due lastre parallele: attraverso un interferometro a fibra ottica, si ricavo la forza

misurando la variazione di frequenza indotta in una microleva all’avvicinarsi di un’altra

superficie conduttrice. Infine, si descrivera la misura della forza di Casimir-Polder che si

manifesta attraverso la variazione delle oscillazioni del centro di massa di un condensato

di Bose-Einstein, posto in prossimita di una superficie piana metallica.

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Indice

1 La teoria elettromagnetica 5

1.1 Le equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.2 I potenziali elettromagnetici e le trasformazioni di gauge . . . . . . . . . . . 8

1.3 Il campo elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

2 Quantizzazione del campo elettromagnetico 19

2.1 I modi normali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2.2 Il campo elettromagnetico quantizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

3 Effetti delle fluttuazioni di vuoto 32

3.1 Lamb shift . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

3.2 Effetto Casimir . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

4 Stati coerenti 49

4.1 Definizione e proprieta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

4.2 Rappresentazione nello spazio delle fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

5 Condensazione di Bose-Einstein 59

5.1 Matrice densita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

5.2 Le distribuzioni statistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

5.3 Condensazione di Bose-Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

5.4 Condensato di Bose-Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

6 Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir 75

Bibliografia 84

4

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Capitolo 1

La teoria elettromagnetica

L’esposizione della teoria elettromagnetica classica e doverosa, oltre che propedeutica, per

ben comprendere ed apprezzare quelli che saranno i risultati della formulazione quantisti-

ca.

L’analisi che segue verte ad analizzare alcuni dei punti salienti di tale teoria, partendo dal

pilastro dell’elettrodinamica, le equazioni di Maxwell. Introducendo i potenziali elettro-

magnetici si dimostrera che l’intero studio di un sistema e condensato nell’equazione delle

onde e che la dinamica dipende da due soli gradi di liberta, coincidenti con le componenti

trasversali del campo elettrico e del campo magnetico. La descrizione delle trasformazioni

di gauge consentira poi di esporre, in una formulazione elegante, degli interessanti casi di

simmetria per la teoria elettromagnetica. Infine sfruttando la teoria della trasformata di

Fourier, si giungera ad uno dei punti cardinali della fisica, la dimostrazione che la radia-

zione e esprimibile come una sovrapposizione di onde piane, soluzione dell’equazione di

D’Alembert.

5

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1 – La teoria elettromagnetica

1.1 Le equazioni di Maxwell

L’elettrodinamica classica e interamente descritta dalle equazioni di Maxwell , che espresse

nel sistema c.g.s assumono la forma

∇ · ~E(~x,t) = 4πρ(~x,t) (1.1)

∇ · ~B(~x,t) = 0 (1.2)

∇∧ ~E(~x,t) +1

c

∂ ~B(~x,t)

∂t= 0 (1.3)

∇∧ ~B(~x,t)− 1

c

∂ ~E(~x,t)

∂t=

c~j(~x,t), (1.4)

dove ρ(~x,t) e la densita di carica e ~j(~x,t) e la densita di corrente, legate dall’equazione di

continuita

∇ ·~j +∂ρ

∂t= 0, (1.5)

che esprime la legge di conservazione della carica elettrica. Fra le equazioni di Maxwell ,

le ultime due, note rispettivamente come Legge di Faraday-Neumann e Legge di Ampere,

rappresentano le equazioni del moto del campo elettrico ~E(~x,t) e del campo magnetico

~B(~x,t), mentre le prime due costituiscono delle condizioni al contorno che devo essere

soddisfatte dai campi stessi e che quindi consentono di ridurre il numero di gradi di liberta

del sistema. Scomponendo ciascun vettore in una parte trasversale, a rotore nullo, e in

una lungitudinale, a divergenza nulla,

~E = ~EL + ~ET ~B = ~BL + ~BT (1.6)

dove

∇∧ ~EL = 0, ∇ · ~ET = 0, (1.7)

∇∧ ~BL = 0, ∇ · ~BT = 0, (1.8)

si dimostra che la dinamica del sistema dipende soltanto dalle componenti trasversali dei

campi. Infatti, dalla Legge di Gauss (1.1), per la proprieta di additivita della divergenza,

si ricava

∇ · ~E = ∇ · ~EL = 4πρ, (1.9)

mentre dalla (1.2) si nota che anche la componente longitudinale del campo magnetico e

solenoidale

∇ · ~BL = 0, (1.10)

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1 – La teoria elettromagnetica

e dunque, essendo anche irrotazionale, si conclude che

~BL = 0 (1.11)

e che il campo magnetico e puramente trasverso

~B ≡ ~BT . (1.12)

Inoltre separando anche la densita di corrente nelle sue due componenti, l’equazione di

continuita si esprime esclusivamente in termini di ~jL

∇ · ~JL +∂ρ

∂t= 0. (1.13)

Derivando rispetto al tempo la legge di Gauss (1.9) si ricava

∇ · ∂~EL∂t

= 4π∂ρ

∂t= −4π∇ ·~jL, (1.14)

da cui

∇ ·(∂ ~EL∂t

+ 4π~jL

)= 0. (1.15)

Quest’ultima relazione evidenzia che il campo vettoriale ∂ ~EL∂t +4π~jL e solenoidale, ma esso

e anche irrotazionale, perche coinvolge solo le componenti longitudinali di ~E e ~j, dunque

soddisfa l’equazione di Laplace

∇2

(∂ ~EL∂t

+ 4π~jL

)= ∇

[∇ ·(∂ ~EL∂t

+ 4π~jL

)]−∇ ∧

[∇∧

(∂ ~EL∂t

+ 4π~jL

)]= 0. (1.16)

Ora, un campo vettoriale a laplaciano nullo che vada all’infinito in maniera sufficientemente

rapida e nullo ovunque:

∂ ~EL∂t

+ 4π~jL = 0

ossia∂ ~EL∂t

= −4π~jL. (1.17)

Dalle proprieta appena esposte e immediato dedurre che sia la legge di Ampere (1.4) che la

legge di Faraday-Neumann (1.3), si esprimono in termini delle sole componenti trasversali:

∇ · ~BT −1

c

∂ ~ET∂t

=4π

c~jT , (1.18)

e

∇∧ ~ET +1

c

∂ ~BT∂t

= 0. (1.19)

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1 – La teoria elettromagnetica

Riassumendo, le equazioni di Maxwell (1.1)-(1.4), si scindono in due gruppi: le equazioni

per i campi trasversali, (1.18) e (1.19), che descrivono la dinamica del campo elettromagne-

tico e le equazioni (1.9) e (1.10), che fissano istante per istante le componenti longitudinali

dei campi ~EL e ~BT . I gradi di liberta dinamici si riducono ai due campi trasversi ~ET e

~BT .

1.2 I potenziali elettromagnetici e le trasformazioni di gauge

Come si e visto nell’equazione (1.2), il campo magnetico e solenoidale, dunque in uno spazio

semplicemente connesso, esso si puo esprimere come il rotore di un campo vettoriale ~A(~x,t)

~B = ∇∧ ~A. (1.20)

L’equazione di Faraday-Neumann (1.3) pertanto si scrive come

∇∧ ~E +1

c

∂t∇∧ ~A = 0 (1.21)

o equivalentemente

∇∧(~E +

1

c

∂t~A

)= 0, (1.22)

per cui la quantita ~E+ 1c∂t

~A e irrotazionale e in una regione semplicemente connessa esiste

una funzione scalare φ(~r,t) tale che

~E +1

c

∂t~A = −∇φ. (1.23)

Gli oggetti matematici introdotti ~A(~x,t) e φ(~x,t) sono chiamati potenziali elettromagnetici,

in particolare ~A(~x,t) e detto potenziale vettore, o potenziale magnetico, mentre la funzione

scalare φ(~x,t) e denominata potenziale scalare, o potenziale elettrico. Le definizioni dei

campi ~E(~x,t) e ~B(~x,t) in termini dei potenziali elettromagnetici ~A(~x,t) e φ(~x,t)

~B = ∇∧ ~A

e

~E = −1

c

∂t~A−∇φ. (1.24)

sono tali da soddisfare le due equazioni di Maxwell omogenee (1.2) e (1.3).

I potenziali ~A e φ si ottengono dalle restanti due equazioni non omogenee (1.1) e (1.4),

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1 – La teoria elettromagnetica

che, sfruttando le (1.20), (1.24), divengono

∇2φ+1

c∇ · ∂

~A

∂t= −4πρ (1.25)

per la legge di Gauss, e

∇∧(∇∧ ~A

)+

1

c

∂t∇φ+

1

c2

∂2 ~A

∂t2=

c~j (1.26)

per l’equazione di Ampere; servendosi dell’identita

∇∧ (∇∧ ~A) = ∇(∇ · ~A)−∇2 ~A, (1.27)

si ottiene in definitiva

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂t2−∇

(∇ · ~A+

1

c

∂φ

∂t

)= −4π

c~j. (1.28)

L’introduzione dei potenziali elettromagnetici ha consentito dunque di ridurre il siste-

ma delle equazioni di Maxwell da quattro a due, tuttavia le (1.25) e (1.28) sono ancora

equazioni accoppiate. Per disaccoppiarle si ricorre all’arbitrarieta insita nelle definizio-

ni dei potenziali: nella relazione (1.20) il potenziale vettore e determinato a meno del

gradiente di una qualche funzione scalare χ, cosicche, dati i campi ~E e ~B, ad essi corri-

spondono infiniti potenziali elettromagnetici. Tale indeterminazione consente di definire

delle trasformazioni per i potenziali elettromagnetici, dette trasformazioni di gauge, che

lasciano invariati i campi e le equazioni di Maxwell , determinando cosı una simmetria

per l’elettromagnetismo. In particolare, se si considera la trasformazione del potenziale

vettore

~A(~x,t) −→ ~A′(~x,t) = ~A(~x,t) + ∆χ(~x,t) (1.29)

dove χ(~x,t) e una generica funzione scalare, il campo magnetico non varia:

~B −→ ~B′ = ∇∧ ~A′ = ∇∧ ~A+∇∧∇χ = ∇∧ ~A = ~B (1.30)

essendo ∇∧∇χ = 0. Il campo elettrico (1.24) invece si trasforma come

~E −→ ~E′ = −∇φ− 1

c

∂ ~A′

∂t= −∇φ− 1

c

∂ ~A

∂t− 1

c

∂t∇χ = ~E − 1

c

∂t∇χ. (1.31)

Pertanto affinche neppure il campo elettrico cambi e necessario che la trasformazione (1.29)

sia contemporanea alla trasformazione del potenziale scalare

φ(~x,t) −→ φ′(~x,t) = φ(~x,t)− 1

c

∂t∇χ, (1.32)

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1 – La teoria elettromagnetica

in questo caso infatti si ha

~E −→ ~E′ = −∇φ′ − 1

c

∂ ~A′

∂t

= −∇φ+1

c∇∂χ∂t− 1

c

∂ ~A

∂t− 1

c

∂t∇χ

= −∇φ− 1

c

∂ ~A

∂t= ~E (1.33)

Le relazioni (1.29) e (1.32) sono le trasformazioni di gauge sopra citate e l’invarianza dei

campi che da esse discende e detta invarianza di gauge. Si puo ora dimostrare che oltre ai

campi ~E e ~B e gauge invariante anche la componente trasversale del potenziale vettore,

infatti e noto che

~A = ~AL + ~AT , (1.34)

dunque le componenti di ~A si trasformano come

~A′T = ~AT (1.35)

~A′L = ~AL +∇χ, (1.36)

essendo ∇χ puramente lungitudinale. Questo evidenzia che il potenziale vettore trasverso

~AT e un invariante di gauge, le sue componenti sono gradi di liberta dinamici e quindi

ineliminabili. Invece il potenziale vettore longitudinale ~AL e il potenziale scalare φ, dipen-

dono da χ e dunque dalla scelta di gauge. A seconda delle condizioni che si impongono su

~A e su φ si ottengono diverse situazioni.

La gauge temporale richiede

φ = 0, (1.37)

pertanto le equazioni dei potenziali divengono semplicemente

∂t∇ · ~A = −4πρ, (1.38)

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂t2−∇(∇ · ~A) = −4π

c~j. (1.39)

Una gauge usata molto frequentemente, perche invariante per sistemi di riferimento

inerziali, e la gauge di Lorentz la quale impone la condizione

∇ · ~A+1

c

∂φ

∂t= 0. (1.40)

10

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1 – La teoria elettromagnetica

Sotto questa ipotesi, le equazioni (1.28) e (1.25) si disaccoppiano e si riconducono alle

equazioni di D’Alembert non omogenee

∇2 ~A− 1

c

∂2 ~A

∂t2= −4π

c~j, (1.41)

per la prima, e

∇2~φ− 1

c

∂2~φ

∂t2= −4πρ (1.42)

per l’ultima. Ovviamente, in assenza di sorgenti le suddette equazioni coincidono con

l’equazione delle onde.

L’equazione (1.40) dunque consente di esprimere una delle quattro variabili φ,Ax, Ay, Az

in funzione delle restanti, ma e possibile ridurre ulteriormente i gradi di liberta, mediante

una trasformazione di gauge generata da una funzione scalare χ che soddisfa l’equazione

delle onde

∇2χ− 1

c

∂2χ

∂t2= 0. (1.43)

I nuovi potenziali cosı ottenuti, ~A′ e φ′ soddisfano ancora la condizione di Lorentz (1.40).

E particolarmente importante ricordare anche la gauge di Coulomb, che a differenza di

quella di Lorentz ha il vantaggio, sotto opportune ipotesi, di essere unica. Inoltre dipende

dal sistema inerziale in cui si opera e, come la gauge precedente, conduce all’equazione di

D’Alembert non omogenea per il potenziale vettore. La condizione di gauge di Coulomb e

∇ · ~A = 0, (1.44)

Essa impone la trasversalita del potenziale vettore, infatti, come visto per il campo ma-

gnetico, l’essere soleinoidale della componente longitudinale di un vettore, comporta il suo

annullarsi se anche la sua divergenza e nulla. Si conclude che

~AL = 0 dunque ~A = ~AT . (1.45)

In questo frangente l’equazione (1.25)

∇2φ+1

c

∂t∇ · ~A = −4πρ (1.46)

si semplifica come

∇2φ = −4πρ, (1.47)

11

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1 – La teoria elettromagnetica

essendo ~AT irrotazionale per definizione. Si nota quindi che in questa gauge, il potenziale

vettore e solenoidale e il potenziale scalare soddisfa l’equazione di Poisson (1.47), la quale,

in assenza di superfici di contorno al finito, ammette come soluzione

φ(~x,t) =

∫ρ(~x′,t)

|~x− ~x′|d3~x′; (1.48)

quest’ultimo risultato consente di identificare φ con il potenziale di Coulomb istantaneo

dovuto alla densita di carica ρ(~x,t).

Derivando rispetto al tempo la (1.47) e sfruttando l’equazione di continuita ∇·~jL = −∂tρ,

si ottiene∂

∂t∇2φ = −4π

∂ρ

∂t= 4π∇ ·~j (1.49)

da cui, invertendo l’ordine fra la derivata temporale e il laplaciano al primo membro,

∇ ·(∇∂φ∂t− 4π~j

)= 0. (1.50)

Ricordando che ∇∧~jL = 0 e che il rotore di un gradiente e nullo, la quantita in parentesi

nell’ultima relazione e sia solenoidale che irrotazionale, di conseguenza anche il suo lapla-

ciano e nullo e, nell’ipotesi che φ e ~jL si annullino all’infinito in modo sufficientemente

rapido, si puo concludere che

∇∂φ∂t− 4π~j = 0 (1.51)

Ora, imponendo la condizione di Coulomb (1.44), l’equazione (1.28) diviene

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂2− 1

c∇∂φ∂t

= −4π

c~j (1.52)

o analogamente

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂2= −4π

c~j +

1

c∇∂φ∂t, (1.53)

che in virtu della (1.50) e della scomposizione ~j = ~jL +~jT si semplifica in

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂2= −4π

c~jT . (1.54)

Come anticipiato, anche il gauge di Coulomb consente di descrivere la dinamica del

potenziale vettore attraverso l’equazione di D’Alembert. Inoltre una trasformazione di

gauge

~A −→ ~A′ = ~A+∇χ (1.55)

12

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1 – La teoria elettromagnetica

generata da una funzione χ a laplaciano nullo

∇2χ = 0 (1.56)

soddisfa ancora la condizione (1.44)

∇ · ~A′ = ∇ · ~A+∇ · ∇χ = ∇ · ~A+∇2χ = ∇ · ~A; (1.57)

se si richiede che la trasformazione di gauge sia ovunque regolare, l’unica classe di soluzioni

della (1.56) e χ = costante, di conseguenza si avra ~A = ~A′. La gauge di Coulomb in questo

caso e unica.

In assenza di sorgenti, ρ = 0 l’equazione (1.54) per il potenziale vettore non e che

l’equazione delle onde

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂2= 0. (1.58)

In tale situazione si puo richiedere di soddisfare contemporaneamente due condizioni

∇ · ~A = 0, φ = 0, (1.59)

e questa la gauge di radiazione.

Si dimostra ora che le richieste (1.59) sono consistenti con l’ipotesi ρ = 0. Dati dei generici

potenziali elettromagnetici ~A e φ, si consideri una trasformazione di gauge

~A′ = ~A+∇χ (1.60)

φ′ = φ− 1

c

∂χ

∂t, (1.61)

generata dalla funzione

χ(~x,t) = c

∫ t

t0

φ(~x,t′) dt′. (1.62)

Derivando la funzione χ, la (1.61) coincide con la condizione della gauge temporale

φ′ = φ− ∂

∂t

∫ t

t0

φ(~x,t′) dt′ = 0. (1.63)

Si effettui ora un’ulteriore trasformazione di gauge

~A′′ = ~A′ +∇χ′ (1.64)

φ′′ = φ− 1

c

∂χ′

∂t, (1.65)

con l’ulteriore richiesta su ~A′′

∇ · ~A′′ = ∇ · ~A′ +∇2χ′ = 0. (1.66)

13

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1 – La teoria elettromagnetica

La soluzione di quest’ultima equazione, altrimenti formulata come l’equazione di Poisson

per χ′

∇2χ′ = −∇ · ~A′, (1.67)

e, ricordando la (1.38) e che ∇′ ≡ ∂/∂~x′,

χ′(~x′,t) =1

∫∇′ · ~A′(~x′,t)|~x′ − ~x|

d3~x′. (1.68)

Ancora, la gauge temporale φ′ = 0 ottenuta, fornisce l’omogenea dell’equazione (1.38) per

il potenziale vettore∂

∂t∇ · ~A′ = 0, (1.69)

che sostituita nella soluzione (1.68) comporta

∂χ′

∂t= 0 (1.70)

Quindi, in definitiva si ricava

φ′′ = φ′ − 1

c

∂χ′

∂t= φ′ = 0, (1.71)

confermando che in assenza di sorgenti, possono essere scelti dei potenziali elettromagnetici

che soddisfino la gauge di radiazione (1.59).

1.3 Il campo elettromagnetico

Da quanto appena illustrato risulta che la gauge di radiazione si rivela efficace per la

descrizione del campo elettromagnetico nello spazio vuoto, privo di sorgenti e consente

di sintetizzare le quattro equazioni di Maxwell (1.1)-(1.4), in un’unica equazione per il

potenziale vettore ~A

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂2= 0, (1.72)

l’equazione delle onde.

In generale ogni funzione f(~x,t) a quadrato integrabile rispetto ad ~x, cioe appartenente

allo spazio L2(R3) per ogni t, se soddisfa l’equazione

∇2f(~x,t)− 1

c

∂2f(~x,t)

∂2t= 0, (1.73)

puo essere rappresentata mediante un integrale di Fourier

f(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k F(~k,t) ei

~k·~x, (1.74)

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1 – La teoria elettromagnetica

dove

F(~k,t) =1

(2π)3/2

∫d3~x e−i

~k·~x f(~x,t) ∈ L2(R3) (1.75)

e la sua trasformata inversa; sostituendo la (1.74) nella (1.73) si ottiene

1

(2π)3/2

∫d3~k

[F(~k,t)∇2ei

~k·~x − 1

c2ei~k·~x ∂

2 F(~k,t)

∂2t

]= − 1

(2π)3/2

∫d3~k

[~k2 F(~k,t)− 1

c2

∂2 F(~k,t)

∂2t

]ei~k·~x = 0, (1.76)

che e vera se e solo se∂2 F(~k,t)

∂2t− ω2 F(~k,t) = 0, (1.77)

dove si e posto ω = c~k2 = ck.

La soluzione generale di quest’ultima equazione e della forma

F(~k,t) = c1(~k)e−iωt + c2(~k)eiωt, (1.78)

per cui l’equazione delle onde (1.73) ammette soluzioni del tipo

f(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k

[c1(~k)ei(

~k·~x−ωt) + c2(~k)ei(~k·~x+ωt)

](1.79)

o equivalentemente, sostituendo nel secondo membro ~k con ~−k,

f(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k

[c1(~k)ei(

~k·~x−ωt) + c2(~k)e−i(~k·~x−ωt)]. (1.80)

Dunque, il potenziale vettore, soluzione della (1.72) e

~A(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k

[~a(~k) ei(

~k·~x−ωt) + ~a(~k) e−i(~k·~x−ωt)]; (1.81)

imponendo che ~A sia reale si ha

~a(~k) = ~a∗(~k), (1.82)

ottendendo in definitiva

~A(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k

[~a(~k) ei(

~k·~x−ωt) + ~a∗(~k) e−i(~k·~x−ωt)]. (1.83)

Per convenienza formale si usa rinormalizzare l’ultima relazione come segue

~A(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k

√2πc2

ω

[~a(~k) ei(

~k·~x−ωt) + ~a∗(~k) e−i(~k·~x−ωt)]. (1.84)

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1 – La teoria elettromagnetica

L’espressione di ~A cosı ricavata e di fatto la sovrapposizione di onde piane

~a(~k) e±i(~k·~x−ωt) (1.85)

di ampiezza ~a(~k), pulsazione ω e numero d’onda ~k, quest’ultime legate dalla relazione

ω = c k. Si tratta in particolare di onde trasversali, infatti, la condizione ∇· ~A = 0 implica

che le ampiezze delle onde siano perpendicolari alla direzione di propagazione:

~k · ~a(~k) = 0. (1.86)

La trasversalita delle onde si esplicita ulteriormente introducendo i versori di polarizza-

zione ε1(~k) e ε2(~k), definiti come segue

ε1(~k) · ε2(~k) = ε1(~k) · ~k = ε2(~k) · ~k = 0 (1.87)

ε1(~k) ∧ ε2(~k) =~k

k. (1.88)

Le ampiezze ~a(~k) allora si esprimono in termini dei versori di polarizzazione

~a(~k) = a1(~k)ε1(~k) + a2(~k)ε2(~k), (1.89)

dunque anche l’espressione (1.84) del potenziale vettore si modifica in

~A(~x,t) =1

(2π)3/2

2∑λ=1

∫d3~k

√2πc2

ωελ(~k)

[aλ(~k) ei(

~k·~x−ωt) + a∗λ(~k) e−i(~k·~x−ωt)]; (1.90)

come anticipato, la trasversalita delle onde piante e ancora piu evidente in questa espres-

sione, dal momento che, secondo la definizione (1.87) i versori εi, i = 1,2, sono ortogonali

al vettore di propagazione ~k.

Si dimostra ora che, non solo il potenziale vettore, ma anche il campo elettrico e il campo

magnetico, soddisfano l’equazione di D’Alembert. Si considerino a tal fine le equazioni di

Maxwell nel vuoto

∇ · ~E(~x,t) = 0 (1.91)

∇ · ~B(~x,t) = 0

∇∧ ~E(~x,t) +1

c

∂ ~B(~x,t)

∂t= 0

∇∧ ~B(~x,t)− 1

c

∂ ~E(~x,t)

∂t= 0; (1.92)

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1 – La teoria elettromagnetica

applicando alla legge di Faraday-Neumann l’operatore rotore e sfruttando l’identita

∇∧ (∇∧ ~E) = ∇(∇ · ~E)−∇2 ~E, (1.93)

si ottiene

∇(∇ · ~E)−∇2 ~E +1

c

∂t∇∧ ~B = 0, (1.94)

ed infine dalle leggi di Gauss (1.91) e di Ampere (1.92) nel vuoto si conclude

∇2 ~E − 1

c2

∂2 ~E

∂t2= 0. (1.95)

Al medesimo risultato si giunge applicando l’operatore rotore alla divergenza di ~B:

∇2 ~B − 1

c2

∂2 ~B

∂t2= 0. (1.96)

e immediato dedurre che, analogamente a quanto visto per il potenziale vettore ~A, anche

i campi ~E e ~B si possono esprimere come una sovrapposizione di onde piane del tipo

~E(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k

√2πc2

ω

[~E (~k) ei(

~k·~x−ωt) + ~E ∗(~k) e−i(~k·~x−ωt)

], (1.97)

~B(~x,t) =1

(2π)3/2

∫d3~k

√2πc2

ω

[~B(~k) ei(

~k·~x−ωt) + ~B∗(~k) e−i(~k·~x−ωt)

]; (1.98)

anche in questo caso, le espressioni appena illustrate devono essere coerenti con le equazioni

di Maxwell le quali impongono l’ortogonalita fra i campi e il vettore d’onda ~k

~k · ~E (~k) = 0 ~k · ~B(~k) = 0, (1.99)

e, tramite la Legge di Faraday (1.3), la perpendicolarita fra i campi stessi

~B(~k) =~k

k∧ ~E (~k). (1.100)

Si conclude dunque che i vettori ~k, ~E e ~B costituiscono una terna di vettori perpendicolari.

Inoltre ricordando le relazioni che legano campo elettrico e campo magnetico al potenziale

vettore nella gauge di radiazione

~E = −1

c

∂ ~A

∂t~B = ∇∧ ~A

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1 – La teoria elettromagnetica

si ricavano analoghe formule per le ampiezze dei tre vettori

~E (~k) = iω

c~a(~k) (1.101)

~B(~k) = i~k ∧ ~a(~k). (1.102)

Le espressioni definitive per i campi ~E e ~B nel vuoto, scaturiscono da poche ultime con-

siderazioni: le ampiezze dei campi sono uguali∣∣ ~E ∣∣ =

∣∣ ~B∣∣, dunque sostituendo le (1.101),

(1.102) negli integrali di Fourier (1.97) e (1.98) e tenendo conto della relazione (1.89), si

ottiene

~E(~x,t) =1

(2π)3/2

2∑λ=1

∫d3~k

√2πc2

ω

cελ(~k)

[aλ(~k) ei(

~k·~x−ωt) − a∗λ(~k) e−i(~k·~x−ωt)],

(1.103)

~B(~x,t) =1

(2π)3/2

2∑λ=1

∫d3~k

√2πc2

ωi[~k ∧ ελ(~k)]

[aλ(~k) ei(

~k·~x−ωt) − a∗λ(~k) e−i(~k·~x−ωt)].

(1.104)

Ecco dimostrato quanto auspicato: la radiazione elettromagnetica e data da una sovrap-

posizione di infinite onde piane.

Anticipando sinteticamente quanto verra di seguito illustrato, si puo affermare che anche

nella teoria quantistica il campo elettromagnetico e ottenibile in termini di onde viaggian-

ti, la sua energia coincidera con quella di infiniti oscillatori armonici, e soprattutto sara

quantizzata.

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Capitolo 2

Quantizzazione del campo

elettromagnetico

Sul finire del diciannovesimo secolo, Max Planck, percorreva una strada che avrebbe con-

dotto all’avvento della meccanica quantistica. Egli infatti era dedito allo studio della

termodinamica ed in particolare i suoi sforzi erano concentrati sulla determinazione dello

spettro energetico del corpo nero. Il corpo nero, un oggetto ideale capace di assorbire

completamente la radiazione incidente, aveva attratto per mezzo secolo l’attenzione dei

piu insigni fisici dell’epoca, Boltzmann, Stefan, Wien, finche Rayleigh e Jeans non si spin-

sero fino ai limiti della fisica classica. La teoria del calore e della radiazione fino a quel

momento poggiava sull’opera di Maxwell e Boltzmann: era noto che ogni corpo materiale

riscaldato emette onde elettromagnetiche con vibrazioni di tutte le frequenze e lunghezze

d’onda, che per ogni data temperatura esiste una particolare distribuzione di energia fra

le diverse frequenze e che vi e una frequenza di vibrazione predominante a cui l’intensita

e massima, frequenza che cresce all’aumentare della temperatura. La meccanica statisti-

ca inoltre aveva come principio fondamentale il Teorema di Equipartizione dell’energia, il

quale afferma che l’energia totale di un sistema costituito da un gran numero di particelle,

che scambiano energia tra loro per mezzo di urti reciproci, si ripartisce ugualmente (in

media) fra tutte le particelle. Lord Rayleigh e Sir Jeans cercarono di estendere il metodo

statistico ai problemi della radiazione termica, ipotizzando che l’energia raggiante totale

disponibile sia ugualmente distribuita fra tutte le possibili frequenze di vibrazione. In tale

assunzione risiede il limite della fisica classica: il numero di molecole di un gas in uno

spazio chiuso, seppur grandissimo, e sempre finito, mentre il numero di vibrazioni possibili

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

nello stesso spazio e infinito, dunque per il Teorema di Equipartizione si concludera che

ad ogni singola vibrazione spettera una quantita di energia infinitamente piccola. Inoltre

Raylaigh e Jeans determinarono l’omonima distribuzione per la densita di energia della

radiazione termica

ρ(ν) =(8πν2

c3

)kT, (2.1)

dunque la densita di energia totale

u =

∫ ∞0

ρ(ν)dν (2.2)

diverge all’aumentare della frequenza ν, da cui il nome catastrofe ultravioletta.

Nel dicembre 1900, ad una riunione della Societa Tedesca di Fisica, Planck sostenne che

il pericolo della catastrofe ultravioletta poteva essere evitato se si postulava che l’energia

delle onde elettromagnetiche puo esistere solo sotto forma di pacchetti discreti di energia

indistinguibili fra loro. Ciascun pacchetto, o quanto, possiede una quantita di energia ben

definita ed in particolare proporzionale alla sua frequenza ν secondo la relazione

ε = hν. (2.3)

Planck aprı cosı le porte alla meccanica quantistica. L’idea che la luce, ed in genere la

radiazione elettromagnetica, si possa considerare come un continuo treno d’onde, lascio il

passo ad una concezione del campo elettromagnetico quantizzato.

La costante h e una costante universale chiamata costante di Planck ; nel sistema interna-

zionale il valore della costante di Planck e 6,626 · 10−34Js, dunque un valore cosı piccolo

suggerisce che la teoria classica conserva intatta la sua validita su grande scala, cedendo

alla teoria quantistica il compito di descrivere la realta su scala atomica.

Circa trent’anni dopo la rivoluzionaria intuizione di Planck, la teoria della meccanica

quantistica era pressocche completa, e la quantizzazione del campo elettromagnetico si

ottenne formalmente dallo studio quantistico di un oscillatore armonico, che e di fatto,

matematicamente equivalente ad un campo elettromagnetico monocromatico con stessa

frequenza di vibrazione.

2.1 I modi normali

L’Hamiltoniana quantistica di un oscillatore armonico ha la stessa forma di quella classica,

a patto di sostituire le variabili canoniche con i corrispondenti operatori hermitiani definiti

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

nello spazio di Hilbert. Pertanto, se m e la massa della particella, l’Hamiltoniana del

sistema e

H =1

2m(p2 +m2ω2q2), (2.4)

dove q e p corrispondono rispettivamente alle coordinate q e ad i momenti coniugati p,

per i quali vale la relazione

[q,p] = i~. (2.5)

Si usa introdurre gli operatori non-hermitiani (dunque non corrispondenti ad alcun osser-

vabile) di annichilazione a e creazione a†

a =1√2~ω

(ωq + ip) a† =1√2~ω

(ωq− ip), (2.6)

i quali sono l’uno il complesso coniugato dell’altro e soddisfano la relazione di commuta-

zione

[a,a†] = 1; (2.7)

p e q in funzione di tali operatori son dati dalle relazioni

q =

√~

2mω(a + a†) p = i

√m~ω

2(a† − a). (2.8)

Definendo inoltre l’operatore hermitiano N = a†a l’Hamiltoniana e esprimibile come

H = ~ω(N +1

2). (2.9)

Pertanto la determinazione di autovalori e autostati per l’Hamiltoniana si traduce nella

ricerca degli autovalori e autostati di N che soddisfano l’equazione

N |n〉 = n |n〉 , (2.10)

accompagnati condizione di normalizzazione 〈n |n〉 = 1. Si trova che gli autovalori dell’e-

nergia sono

En = ~ω(n+1

2) con n = 0,1,2, . . . (2.11)

mentre autostati e autofunzioni sono determinati a partire dallo stato fondamentale |0〉,in corrispondenza del quale l’oscillatore armonico possiede la minima energia:

|n〉 =1√n!

(a†)n |0〉 ψn =1√n!

(a†)nψ0 (2.12)

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

con |0〉 = ψ0.

Tali autostati formano un insieme ortonormale completo che fornisce una base per lo spazio

di Hilbert.

Si considerino ora le equazioni di Maxwell per un campo elettromagnetico nel vuoto, cioe

si escluda la presenza di dielettrici o sorgenti esterne. Nel sistema c.g.s. esse sono:

∇ · ~E = 0 (2.13)

∇ · ~B = 0 (2.14)

∇∧ ~E = −1

c

∂ ~B

∂t(2.15)

∇∧ ~B =1

c

∂ ~E

∂t. (2.16)

(2.17)

Riprendendo le argomentazioni sviluppate nel capitolo precedente, si esprimono il campo

elettrico ~E e il campo magnetico ~B in funzione dei potenziali elettromagnetici ~A e φ

~B = ∇∧ ~A

~E +1

c

∂ ~A

∂t= −∇φ;

Inoltre, la scelta della gauge di Coulomb, in assenza di sorgenti esterne, ∇· ~A = 0 e φ = 0,

conduce alle espressioni dei campi tramite il potenziale vettore che soddisfa, sotto queste

ipotesi, l’equazione delle onde nel vuoto (1.73)

∇2 ~A− 1

c2

∂2 ~A

∂t2= 0. (2.18)

Come dimostrato nel capitolo precedente, il potenziale vettore, soluzione della (2.18), e

rappresentato da un insieme continuo di sovrapposizione di onde piane polarizzate linear-

mente. Tuttavia, il processo di quantizzazione del campo elettromagnetico risulta piu

agevole se si esprime il campo in funzione di un numero infinito ma discreto di variabili,

in modo da poter stabilire una corrispondenza fra di esse e gli operatori dello spazio di

Hilbert. A tal fine e necessario risolvere l’equazione delle onde (2.18) con appropriate

condizioni al contorno, in altre parole e necessario immaginare il campo contenuto in una

regione finita dello spazio.

Si supponga dunque che il campo elettromagnetico sia contenuto in un cubo di lato L,

privo tuttavia di confini materiali; cio si traduce nella condizione di periodicita

~A(~r,t) = ~A(~r + L,t), (2.19)

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

dove ~r = (x,y,z) e L si ipotizza molto grande rispetto alle dimensioni di interesse fisico.

L’equazione delle onde si risolve per separazioni delle variabili, assumendo come soluzione

una funzione della forma

~A(~r,t) = ~A0(~r)ψ(t), (2.20)

che sostituita nella (2.18) conduce all’equazione

ψ(t)∇2 ~A0(~r)− 1

c2~A0(~r)

∂2ψ(t)

∂2t= 0, (2.21)

dividendo per ~A0(~r)ψ(t) si ottiene

1

~A0(~r)∇2 ~A0(~r)− 1

c2

1

ψ(t)

∂2ψ(t)

∂2t= 0. (2.22)

Il membro a destra dell’ultima equazione dipende esclusivamente dalle variabili spaziali,

quello a sinistra dalla variabile temporale, poiche i due gruppi di variabili sono indipenden-

ti, i due membri devono essere identicamente uguali ad una costante. Pertanto, indicata

per convenienza tale costante con −k2, la (2.22) si scinde in due equazioni

ψ(t) = −k2c2ψ(t) (2.23)

e

∇2 ~A0(~r) = −k2 ~A0(~r), (2.24)

che espressa nella forma

∇2 ~A0(~r) + k2 ~A0(~r) = 0 (2.25)

prende il nome di Equazione di Helmholtz. L’equazione differenziale temporale (2.23)

ammette come soluzione la funzione

ψ(t) = αk(0)e∓ickt = αk(0)e∓iωkt, (2.26)

mentre l’integrale generale dell’equazione di Helmholtz e

~A0(~r) = βe±i~k·~r = a cos~k · ~r ± i b sin~k · ~r, (2.27)

k = |~k| e ωk = ck e a e b costanti reali, ~k e evidentemente il vettore d’onda. Combinando

ora la condizione al contorno (2.19) per ~r = 0, con la richiesta ∇ · ~A = 0 imposta dalla

gauge di Coulomb, si ricava per la componente x di ~A0

dA0x(0)

dx=dA0x(Lx)

dx= 0, (2.28)

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

che si esplicita come

b = 0 e sin kxLx = 0, (2.29)

ossia kx = nxπLx

con nx = ±1,± 2,± 3,....

Tale procedimento si estende alle restanti componenti.

Inoltre, per soddisfare la condizione di transversalita ∇· ~A = 0 e quella di normalizzazione∫Vd3~r

∣∣ ~A0(~r)∣∣2 = 1, (2.30)

con V = L3, si sceglie come soluzione particolare dell’equazione di Helmholtz (2.25), per

ogni fissato ~k

~Akλ(~r) = V −12 ekλ e

i~k·~r, (2.31)

dove ekλ e un vettore unitario, assunto reale, che garantisce la transversalita del poten-

ziale vettore; per ogni ~k e possibile scegliere solo due versori perpendicolari fra loro e

perpendicolari a ~k

~k · ekλ = 0, ekλ · ekλ′ = δλλ′ , (2.32)

con λ = 1,2. Cosı definito, ekλ specifica una delle due possibili polarizzazioni del campo

ed e pertanto noto come vettore di polarizzazione.

In definitiva, in virtu della linearita delle equazioni di Maxwell, il potenziale vettore,

soluzione dell’equazione (2.18) e

~A(~r,t) =∑~kλ

[ψk(t) ~Akλ(~r) + ψ∗k(t)

~A∗kλ(~r)

]

= V −12

∑~kλ

[αk(0) e−i(ωkt−

~k·~r) + α∗k(0) ei(ωkt−~k·~r)]ekλ

= V −12

∑~kλ

[αk(t) e

i~k·~r + α∗k(t) e−i~k·~r,

]ekλ (2.33)

dove il vettore d’onda puo assumere solo valori discreti

~k =(nxπLx

,nyπ

Ly,nzπ

Lz

)con nx,y,z = 0,± 1,± 2,± 3, . . . (2.34)

Il campo elettrico e magnetico assumono di conseguenza la forma

~E(~r,t) =i

V12

∑~kλ

ωk

[αk(t) e

i~k·~r − α∗k(t) e−i~k·~r]ekλ (2.35)

~B(~r,t) =i

V12

∑~kλ

[αk(t) e

i~k·~r − α∗k(t) e−i~k·~r]~k ∧ ekλ (2.36)

24

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

mentre per l’energia elettromagnetica del campo si ottiene l’espressione

H =1

∫Vd3~r

(~E2 + ~B2

)=∑~kλ

[k2

∣∣αk(t)∣∣2], (2.37)

dove l’integrale e esteso all’intero volume del cubo contenente il campo.

Definendo le quantita reali

qkλ(t) =1

c√

[αk(t) + α∗k(t)

](2.38)

pkλ(t) =ik√4π

[α∗k(t)− αk(t)

](2.39)

si ricava, fissato ~k, quanto annunciato, ossia un’espressione per l’Hamiltoniana del campo

elettrico formalmente equivalente a quella di un oscillatore armonico di ugual frequenza

ωk

Hkλ =1

2

(p2kλ + ω2

kq2kλ

). (2.40)

Inoltre ricordando che αk(t) = αk(0)e−iωt e che ωk = kc, si verifica

q =1

c√

[−iωkαk + iωkα

∗k

]=

iωk

c√

[α∗k − αk

]=

i c k

c√

[α∗k − αk

]= p (2.41)

e

p =ik√4π

[iωkα

∗k + iωkαk

]= − k ωk

c√

[α∗k + αk

]= −ω2

k q, (2.42)

cioe qkλ(t) e pkλ(t) soddisfano le equazioni di Hamilton classiche rispetto all’Hamiltoniana

(2.40), ossia equivalgono a tutti gli effetti alle variabili canoniche coniugate, coordinate e

impulsi rispettivamente.

Pertanto, l’Hamiltoniana totale del sistema

H =∑kλ

1

2

(p2kλ + ω2

kq2kλ

)(2.43)

corrisponde a quella di un insieme discreto di infiniti oscillatori armonici disaccoppiati,

ciascuno oscillante con frequenza ωk. Ogni oscillazione prende il nome di modo normale.

25

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

2.2 Il campo elettromagnetico quantizzato

Partendo dall’ultimo risultato ottenuto e sfruttando le proprieta quantistiche dell’oscilla-

tore armonico precedentemente esposte, si puo procedere con la quantizzazione del campo

elettromagnetico.

In primo luogo, da un confronto fra le relazioni (2.8) e le (2.38)-(2.39), si puo notare che

nel processo di quantizzazione, le ampiezze del campo, α e α† sono state sostituite, a

meno di un fattore di proporzionalita, dagli operatori di creazione e distruzione a e a† e

che l’operatore N = a†a, rappresentante il numero di fotoni del sistema, ha preso il posto

della quantita |α|2. Sostituendo alle variabili canoniche e al vettore d’onda i corrispondenti

operatori nello spazio di Hilbert q, p e k, vi e consistenza fra le (2.8) e le (2.38)-(2.39) se

si pone

αk −→

√2π~c2

ωkakλ e α∗k −→

√2π~c2

ωka†kλ, (2.44)

per cui, per ogni k, si introducono gli operatori coordinata e impulso

qkλ =

√2π~c2

ωk(akλ + a†kλ) (2.45)

pkλ =

√2π~c2

ωk(a†kλ − akλ). (2.46)

La definizione degli operatori di creazione e annichilazione, seppur con diverso significato

fisico, resta invariata

akλ =1√

2~ωk(ωkqkλ + ipkλ), a†kλ =

1√2~ωk

(ωkqkλ − ipkλ), (2.47)

cosı come e immutata la regola di commutazione

[akλ(t),a†k′λ′(t)] = δ3kk′δλλ′ , (2.48)

a cui si aggiungono le relazioni

[akλ(t),ak′λ′(t)] = [a†kλ(t),a†k′λ′(t)] = 0 (2.49)

che scaturiscono dall’indipendenza dei diversi modi del campo elettromagnetico.

In virtu della sostituzione (2.44) si ricavano anche il campo elettrico e il campo magnetico

E(r,t) = i∑kλ

(2π~ωkV

) 12 [

akλ(t) eik·r − a†kλ(t) e−ik·r]ekλ (2.50)

B(r,t) = i∑kλ

(2π~ c2

ωkV

) 12 [

akλ(t) eik·r − a†kλ(t)e−ik·r]k ∧ ekλ, (2.51)

26

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

dove ogni osservabile e stata sostituita dal rispettivo operatore; essi si ottengono dal

potenziale vettore

A(r,t) =∑kλ

(2π~ c2

ωkV

) 12 [

akλ(t) eik·r − a†kλ(t)e−ik·r]ekλ (2.52)

che soddisfa la condizione di normalizzazione∫Vd3rAkλ(r) ·A∗k′λ′(r) = δ3

kk′δλλ′ . (2.53)

A questo punto e evidente che l’Hamiltoniana del campo elettromagnetico nel vuoto e

H =∑kλ

~ωk(

a†kλakλ +1

2

); (2.54)

essa corrisponde all’Hamiltoniana di un sistema costituito da infiniti oscillatori armonici

quantizzati indipendenti fra loro, dunque e ottenuta dalla somma infinita delle hamilto-

niane di singolo oscillatore, ciascuno corrispondente ad un modo normale k. Ogni modo

del campo ha uno spettro discreto di energia, costituito da livelli energetici equidistanti

Enkλ= ~ωk

(nkλ +

1

2

)con nkλ = 0,1,2,... (2.55)

dove nkλ e l’autovalore dell’operatore Nkλ = a†kλakλ, cui appartiene l’autostato |nkλ〉:

Nkλ |nkλ〉 = nkλ |nkλ〉 . (2.56)

L’autovalore nkλ rappresenta il numero di quanti di energia, i fotoni, presenti per un

particolare modo k; il numero totale di fotoni del campo e dato di conseguenza dalla

somma del numero di fotoni di ogni modo∑kλ

nkλ. (2.57)

Gli autovalori di H si ottengono, in virtu dell’indipendenza dei modi vibrazionali, come la

somma degli autovalori Enkλ

En =∑kλ

~ωkλ(nkλ +

1

2

), (2.58)

gli autostati invece son dati dal prodotto tensoriale degli autostati dell’Hamiltoniana di

singolo oscillatore

|n〉 =⊗kλ

|nkλ〉 = |nk1λ〉 ⊗ |nk2λ〉 ⊗ |nk3λ〉 ⊗ . . . . (2.59)

27

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

Per ogni modo k, gli autostati |nkλ〉 costituiscono un insieme completo ortonormale per

lo spazio di Hilbert Hkλ cui essi appartengono; l’intero sistema e dunque definito in uno

spazio di Hilbert H ottenuto a sua volta dal prodotto tensoriale dei sottospazi Hkλ

H =⊗kλ

Hkλ. (2.60)

e opportuno ricordare a questo punto che la teoria quantistica si fonda sul principio di

corrispondenza, che sancisce un legame formale con la teoria classica, eppure le conclusioni

a cui le due teorie conducono sono tutt’altro che scontate. Nell’espressione dell’energia del

campo elettromagnetico (2.58) sono sintetizzati alcuni dei risultati piu sorprendenti della

meccanica quantistica. In primo luogo e evidente la nota quantizzazione dell’energia, pre-

cedentemente ricavata per l’oscillatore armonico e qui generalizzata al caso di un sistema

a infiniti gradi di liberta: l’energia del campo elettromagnetico e strettamente legata al

numero di fotoni che lo compongono, ciascuno dei quali ha energia ~ω. Ad ogni frequenza

di vibrazione del campo ωk e associato uno spettro energetico, la cui energia e data dalla

somma dell’energia dei quanti caratterizzati dalla medesima ωk; poiche i modi del campo

sono indipendenti l’un l’altro, l’energia totale e data dalla somma dell’energia di ciascuno

spettro. Nel caso di un campo elettromagnetico confinato in un certo volume, lo spettro

energetico e discreto e l’energia complessiva e espressa dalla (2.58); se il campo si trovasse

nel vuoto, in assenza di alcun confine, i suoi livelli energetici formerebbero uno spettro

continuo. In ogni caso, comunque, non tutti i valori dell’energia sono consentiti, come

invece e vero in elettrodinamica classica.

Il secondo punto di rottura con la teoria classica si manifesta ponendo nella (2.55) nkλ = 0,

ossia assumendo che in un certo stato |nkλ〉, con k fissato, non ci siano fotoni; tale stato

e chiamato vacuum state, stato di vuoto, ed indicato con |0〉. Seppur in assenza di fotoni,

il campo elettromagnetico ha energia ~ωkλ/2, definita zero-point energy, energia di punto

zero . Quanto appena affermato e indubbiamente sbalorditivo, considerando che secondo

la centenaria visione classica della realta, nello stato di vuoto, anche detto stato di mi-

nima energia, il campo si annulla in ogni punto; ma ce di piu. Nel particolare caso in

esame, cioe quando si ha a che fare con un sistema a infiniti gradi di liberta, l’esistenza

del energia di punto zero comporta la divergenza dell’Hamiltoniana del sistema (2.54): la

somma∑kλ

12~ωk evidentemente non converge. L’infinito emerso e la somma dei punti

zero dell’energia degli infiniti modi normali che costituiscono il campo elettromagnetico.

Estendendo ora l’attenzione agli altri autostati dell’energia |n〉 si evidenziano ulteriori

proprieta degne di nota. Si puo ad esempio dimostrare che i valori medi dei campi sugli

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

stati stati stazionari |n〉 sono nulli.

L’azione degli operatori di creazione e annichilazione sul generico stato |nkλ〉, con k fissato,

e definita dalle formule di ricorrenza

a†kλ |nkλ〉 =√nkλ + 1 |nkλ + 1〉 (2.61)

akλ |nkλ〉 =√nkλ |nkλ − 1〉 (2.62)

con akλ |0〉 = 0, (2.63)

ed inoltre un generico autostato |nkλ〉 si ottiene applicando piu volte allo stato di vuoto

l’operatore di creazione a†kλ

|nkλ〉 =(a†kλ)nkλ

√nkλ!

|0〉 . (2.64)

Ora, dalla (2.50) si ricava il modo del campo elettrico di frequenza ωk

Ekλ(r,t) = iεkλ[akλ(t)Akλ(r)− a†kλ(t)A†kλ(r)], (2.65)

dove εkλ = (2π~ωk)12 e Akλ(r) = V −

12 eik·r ekλ, dunque per ogni k, si ha

〈nkλ|Ekλ(r,t) |nkλ〉 = 〈nkλ| iεkλ(akλAkλ − a†kλA†kλ) |nkλ〉

= iεkλ[Akλ 〈nkλ|akλ |nkλ〉 −A†kλ 〈nkλ|a

†kλ |nkλ〉

]= iεkλ

[Akλ√nkλ 〈nkλ |nkλ − 1〉 −A†kλ

√nkλ + 1 〈nkλ |nkλ + 1〉

]= 0; (2.66)

Dall’ortogonalita degli autostati del campo e dalle relazioni (2.50) e (2.59) si evince che il

valore medio del campo elettrico sugli autostati dell’energia e nullo

〈n|E(r,t)|n〉 = 0, (2.67)

con analogo procedimento, considerando la (2.51), si dimostra un medesimo risultato anche

per il campo magnetico

〈n|B(r,t)|n〉 = 0. (2.68)

Diverso e tuttavia il risultato per il valor medio di E2(r,t):

〈nkλ|E2(r,t) |nkλ〉 = −ε2kλ[A2

kλa2kλ + a†

2kλA

2kλ − |Akλ|2(akλa

†kλ + a†kλakλ)]

= −ε2kλ

[A2kλ 〈nkλ|a2

kλ |nkλ〉+A2kλ 〈nkλ|a†

2kλ |nkλ〉+

− |Akλ|2 〈nkλ| 1 + 2a†a |nkλ〉]

= ε2kλ |Akλ|2(2nkλ + 1)

=[εkλ |Akλ|

√nkλ +

1

2

]2, (2.69)

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

per ogni k, quindi

〈n|E2(r,t)|n〉 =∑kλ

[εkλ |Akλ|

√nkλ +

1

2

]2. (2.70)

Pertanto non nullo e anche lo scarto quadratico medio che fornisce una stima delle flut-

tuazioni del campo

∆E =∑kλ

√〈E2

kλ〉 − 〈E2kλ〉 =

∑kλ

√〈E2

kλ〉

=∑kλ

εkλ |Akλ|√nkλ +

1

2

=∑kλ

εkλ |Akλ|√nkλ + 〈E2

kλ〉0, (2.71)

dove 〈E2kλ〉0 = εkλ |Akλ|12 e la dispersione del campo elettrico rispetto allo stato di vuoto

|0〉. Il risultato appena ottenuto e una conseguenza della non commutabilita di Nkλ e

Ekλ su cui si fonda un altro pilastro della meccanica quantistica, il principio di indetermi-

nazione, in virtu del quale e impossibile conoscere contemporaneamente e con precisione

il campo elettrico e il numero di fotoni che lo compongono. Tale proprieta essendo valida

per tutti gli stati del campo lo e anche per lo stato di vuoto , a dimostrazione che anche in

assenza di fotoni il campo elettromagnetico presenta delle fluttuazioni. L’energia di vuoto

del campo elettromagnetico si associa a particelle virtuali che compaiono e scompaiono

nello stato fondamentale |0〉. Da un punto di vista formale, le fluttuazioni di vuoto con-

tribuiscono con costanti aggiuntive alle misure dei valori medi, costanti che non alterano

il significato fisico delle misure; si possono dunque inglobare le fluttuazioni di vuoto nella

definizione dell’Hamiltoniana, senza perdere alcuna informazione fisica

HF = H− 〈0|H |0〉 =∑kλ

[1

2~ωk

(akλa

†kλ

)− 1

2~ωk

]=

∑kλ

[1

2~ωk

(2a†kλakλ + 1

)− 1

2~ωk

]=

∑kλ

~ωka†kλakλ. (2.72)

La ridefinizione dell’Hamiltoniana, (2.72), e chiamata normal order e consente di elimi-

nare formalmente l’energia di punto zero perche implicita nella definizione stessa. Cio

nonstante, come verra dimostrato a breve, l’energia di vuoto ha una realta fisica che non

puo essere ignorata e che anzi e alla base di numerosi fenomeni quantistici. Per conclude-

re, e opportuno aprire una parentesi sulla fase del campo elettromagnetico. Fin qui si e

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2 – Quantizzazione del campo elettromagnetico

assunto senza indugio, che, come per le altre osservabili, anche alla fase fosse associato un

operatore hermitiano; in realta la sua stessa esistenza e tutt’ora argomento di discussione.

Vari sono stati i tentativi di dare forma a tale operatore: Dirac, per primo, ipotizzo una

decomposizione in forma polare degli operatori di annichilazione e creazione

a = eiφ√N a† =

√Ne−iφ (2.73)

di modo che l’operatore dell’esponenziale della fase eiφ fosse unitario (condizione necessaria

per essere hermitiano).

Susskind e Glogower dimostrarono che tale decomposizione non e attuabile e ne proposero

una alternativa, introducendo gli operatori E ed E†, detti operatori SG

E = (N + 1)−12 a = (aa†)−

12 a (2.74)

E† = a†(N + 1)−12 = a†(aa†)−

12 , (2.75)

che di fatto corrispondono proprio all’operatore esponenziale e±iφ. Una volta determinati

gli autostati |φ〉 di E che soddisfano l’equazione

E |φ〉 = eiφ |φ〉 , (2.76)

quindi, autostati della fase, li utilizzarono per costruire una sorta di distribuzione della

fase P (φ) per un arbitrario stato |ψ〉 del campo

P (φ) =1

2π| 〈φ |ψ〉 |2. (2.77)

Ad un risultato simile giunsero anche Pegg e Barnett, i quali pero definirono prima un

operatore di fase approssimativo in uno spazio ristretto, finito-dimensionale, dello spazio

di Hilbert, per poi ottenere proprio, come limite, la distribuzione (2.77).

31

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Capitolo 3

Effetti delle fluttuazioni di vuoto

La teoria quantistica della radiazione, attraverso la quantizzazione del campo elettroma-

gnetico, ha evidenziato l’esistenza di un’energia di punto zero, ossia l’esistenza di uno stato

con numero di fotoni nullo e fluttuazioni del campo finite. I risvolti di tale risultato furono

notevoli: diversi fenomeni infatti, fra cui il Lamb shift e l’effetto Casimir, non possono

essere spiegati secondo la fisica classica perche ascrivibili a interazioni puramente quanti-

stiche.

In particolare, dall’analisi sperimentale dell’atomo di idrogeno, apparvero distinti, dei li-

velli energetici che la teoria prevedeva essere degeneri. La separazione e, per l’appunto,

dovuta all’interazione dell’elettrone con le fluttuazioni di vuoto del campo elettromagne-

tico interno all’atomo.

L’effetto Casimir invece si manifesta come un’interazione fra due conduttori, legata alle

condizioni al contorno imposte dal sistema al campo magnetico quantizzato. Casimir, pre-

disse teoricamente il fenomeno studiando due lastre infinte perfettamente conduttrici; egli

determino l’esistenza di una forza attrattiva fra i due oggetti, indipendente dal materiale,

che attribuı alla pressione dell’energia di punto zero delle onde elettromagnetiche. Su scala

atomica, fra un atomo e una superficie conduttrice, le fluttuazioni di vuoto generano una

forza attrattiva nota come forza di Casimir-Polder.

3.1 Lamb shift

L’atomo di idrogeno, nella sua rappresentazione piu semplice e stilizzata, e costituito

da un protone e un elettrone soggetti a un potenziale centrale. Dal momento che la

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

massa del protone e molto piu grande di quella dell’elettrone, e possibile descrivere il

sistema assumendo che l’elettrone ruoti attorno al protone immaginato fisso nel centro del

sistema di riferimento in cui si opera. Questa approssimazione consente di ridurre l’analisi

dell’atomo allo studio della funzione d’onda del solo elettrone.

Sotto queste ipotesi dunque, l’Hamiltoniana del sistema e

H0 =p

2m− e2

r, (3.1)

dove naturalmente p, m, −e sono rispettivamente impulso, massa non relativistica e carica

dell’elettrone, e r e la distanza dal protone. Per un sistema a potenziale centrale di questo

tipo, le funzioni d’onda si esprimono come il prodotto di un’autofunzione radiale e di una

angolare

ψ(r,ϑ,ϕ) = Rn(r)Y ml (ϑ,ϕ) (3.2)

essendo n, l, m i numeri quantici legati agli autovalori degli operatori H0, L2, Lz

H0 |ψ〉 = En |ψ〉 con n = 0,1,2, . . . (3.3)

L2 |ψ〉 = ~ l(l + 1) |ψ〉 con l = 0, . . . ,n− 1 (3.4)

Lz |ψ〉 = ~m |ψ〉 con m = −l, . . . ,+ l, (3.5)

dove |ψ〉 e l’autostato associato all’autofunzione ψ.

L’equazione di Schrodinger indipendente dal tempo

H0 ψ = E ψ (3.6)

fornisce gli autovalori dell’energia, che in questa rappresentazione dell’atomo di idrogeno,

dipendono esclusivamente dal numero quantico principale n:

En = −α2mc2( 1

2n2

)= −13,6

1

n2eV, (3.7)

dove n puo assumere solo valori interi non negativi, come prima indicato, e α = e2

~c '1

137

e la costante di struttura fine. Inoltre, tenendo presente l’intervallo di variazione dei tre

numeri quantici, si osserva che per n fissato, ogni livello energetico ha degenerazione n2:

n−1∑l=0

(2l + 1) = n2, (3.8)

il che significa che per ogni n, esistono n2 autostati aventi la medesima energia En.

Le discrepanze fra i risultati sperimentali e le predizioni teoriche sono tuttavia notevoli, in

33

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

particolare lo spettro energetico dell’atomo presenta piu livelli energetici di quanti il mo-

dello ne predica. Una descrizione piu accurata si ottiene ricordando che l’energia cinetica

classica e il limite, per basse velocita, dell’energia relativistica, e che l’elettrone possiede

un momento angolare intrinseco, lo spin. Cio si traduce nell’aggiungere all’Hamiltoniana

H0 opportuni termini correttivi: la correzione relativistica e rappresentata dal termine

Hrel = −

(1

8m3c2

)p4, (3.9)

il contributo di spin invece e espresso come

Hso =e2

2m2c2r3

(S ·L

), (3.10)

con S e L, rispettivamente spin e momento angolare orbitale dell’elettrone. Il termine

(3.9), come detto, scaturisce dalla definizione dell’energia nella relativita ristretta

T =√

p2c2 +m2c4 −mc2 (3.11)

che all’ordine piu basso e approssimato da

T =p2

2m− p4

8m3c2+ . . . . (3.12)

Esso consente di ricavare la deviazione, negativa, rispetto all’energia E0, autovalore del-

l’Hamiltoniana imperturbata H0:

Erel = −α4mc2 1

4n2

[2n

l + 12

− 3

2

]. (3.13)

Poiche Erel e proporzionale alla quarta potenza di α, fornisce una correzione di un circa

un fattore 10−4.

Il termine (3.10) e legato all’interazione spin-orbita fra il momento di dipolo µS associato

allo spin dell’elettrone e il campo magnetico B che il protone genera ruotando attorno

all’elettrone. La scelta del sistema di riferimento e infatti totalmente arbitraria, quindi

immaginando una descrizione dell’atomo in cui l’elettrone e a riposo 1 e il protone gli

orbita attorno, il campo magnetico B e legato al momento angolare L dell’elettrone dalla

relazione

B =e

mcr3L. (3.14)

1Si tratta di un sistema non inerziale, dunque per ottenere il termine di interazione W nel sistema diriferimento inerziale originario, sara necessario dividere per due. [5]

34

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

Inoltre, il momento di dipolo magnetico µS si definisce come

µS = − e

mcS, (3.15)

dunque l’energia di interazione

W = −µS ·B (3.16)

si esprime in funzione del prodotto scalare S ·L, e nel sistema di riferimento originario e

W =e2

2m2c2r3

(S ·L

), (3.17)

da cui la (3.10).

La deviazione dall’energia E0 dovuta all’interazione spin-orbita e data da

Eso = α2mc2

[j(j + 1)− l(l + 1)− 3/4

4n3l(l + 1)(l + 172)

]. (3.18)

La hamiltoniana totale del sistema a seguito di tali correzioni diviene

H = H0 + Hrel + Hso, (3.19)

combinando infine le (3.13) e (3.18) si ricava la correzione all’energia E0 da cui ha luogo

la struttura fine dell’atomo di idrogeno

Efs = −α4mc2 1

4n2

[2n

j + 12

− 3

2

](3.20)

dove j = l − 12 , . . . , l + 1

2 e’ il numero quantico associato al momento angolare totale

J = L + S che in presenza dell’interazione spin-orbita si conserva (invece non si conser-

vano piu L e S).

Dalla relazione (3.20) e evidente che le correzioni apportate hanno abbassato i livelli ener-

getici associati all’hamiltoniana imperturbata H0 e hanno rimosso parzialmente la degene-

razione degli stati con ugual numero quantico n e diverso j; infatti confrontando l’intervallo

di variabilita di i e l si deduce che j ha numero di degenerazione n, potendo assumere i

valori

j =1

2, . . . n− 1

2. (3.21)

Dunque ogni livello En si scinde in n sottolivelli distinti la cui energia dipende dal mo-

mento angolare totale j.

Ancora una volta pero l’esperienza e in disaccordo con la teoria. La relazione (3.20) so-

stiene che i livelli energetici 2s1/2 e 2p1/2 siano degeneri, ma nel 1947 Lamb e Retherford

35

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

misurarono una piccola separazione fra di essi: il livello 2s1/2 si trovava circa 1000 MHz

piu in alto del livello 2p1/2. L’effetto prese il nome di Lamb shift.

L’inadeguatezza della struttura fine dell’atomo di idrogeno e dovuta al trattamento clas-

sico che si e riservato al il campo magnetico H. Nell’espressione del potenziale centrale

V (r) = − er2

si riconosce infatti la legge di Coulomb, e lo stesso campo magnetico lo si e

ottenuto dalla legge di Biot-Savart

B =ev

cr2, (3.22)

dove e, v sono rispettivamente carica e velocita orbitale del protone e r la distanza radiale

rispetto all’elettrone posto al centro del sistema di riferimento non inerziale. Esprimendo

la velocita v in funzione del momento angolare dell’elettrone L = rmv si e giunti alla

(3.14). La chiave di volta del Lamb Shift e dunque la quantizzazione del campo magnetico

visto dall’elettrone nel suo sistema di riferimento non inerziale.

A questo punto sembrerebbe ridondante ripetere che una descrizione quanto piu possibile

veritiera della realta e imprescindibile da un approccio quantistico, ma probabilmente ai

tempi di Lamb non era ancora cosı ovvio, dal momento che Dirac, nel 1989, ricordo la

scoperta di Lamb e Retherford e l’interpretazione del fenomeno, come una svolta nella

storia della fisica teorica.

Lo stesso Dirac ritenne che l’elemento mancante della trattazione precedente fosse l’ac-

coppiamento fra l’elettrone e il campo elettromagnetico di vuoto. 2 In questa prospettiva,

l’elettrone dell’atomo, interagente con il campo elettromagnetico quantizzato, ha energia

cinetica espressa dal termine di accoppiamento minimo, 12m

(p − e

cA)2

, ed e soggetto a

potenziale eφ, dove p e il momento della particella, A e φ potenziale vettore e poten-

ziale scalare rispettivamente. L’energia del campo e 18π

∫d3r (E2 + B2). Dunque per

l’hamiltoniana del sistema si ha

H =1

2m

(p− e

cA)2

+ eφ+1

∫d3r (E2 +B2)

=p2

2m− e

2mc(A · p)− e

2mc(p ·A) +

e2

2mc2A2 + eφ+

1

∫d3r (E2 +B2)

=p2

2m+ eφ− e

2mc(A · p)− e

2mc(p ·A) +

e2

2mc2A2 +

1

∫d3r (E2 +B2)

= HA + HF −e

2mc(A · p)− e

2mc(p ·A) +

e2

2mc2A2, (3.23)

dove HA e l’hamiltoniana dell’elettrone atomico e HF l’hamiltoniana del campo. Inoltre

ipotizzando che la lunghezza d’onda del campo λ sia molto maggiore del raggio di Bohr

2Per una trattazione piu dettagliata si rimanda a [3]

36

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

a0, λ a0 si pu operare sfruttando l’approssimazione di dipolo elettrico, il quale con-

sente di trascurare la dipendenza spaziale del potenziale vettore A. Sotto queste ipotesi,

l’hamiltoniana e in definitiva

H = HA + HF −e

mc(A · p) +

e2

2mc2A2. (3.24)

La teoria delle perturbazioni stazionarie consente di valutare gli effetti dell’interazione fra

elettrone e campo elettromagnetico, racchiusa negli ultimi due termini dell’hamiltoniana

(3.23). In realta l’unico termine che modifica i livelli energetici dell’atomo di idrogeno

e quello proporzionare a A · p, in quanto l’altro, e2

2mc2A2, non dipende dagli operatori

atomici.

Ricordando l’espressione (3.40) ricavata per il potenziale vettore nel processo di quantiz-

zazione del campo elettromagnetico

A(r,t) =∑kλ

(2π~ c2

ωkV

) 12 [

akλ(t) eik·r − a†kλ(t)e−ik·r]ekλ,

si puo ottenere al secondo ordine perturbativo, lo spostamento dell’n-esimo livello energe-

tico dell’atomo di idrogeno, dovuto alla presenza dal termine di interazione − emc (A · p)

∆En =∑m

∑kλ

∣∣〈m, 1kλ|hkλ |n, vac〉∣∣2En − Em − ~ωk

, (3.25)

dove

hkλ = − e

mc

(2π~c2

ωkV

) 12a†kλ(ekλ · p). (3.26)

Lo stato |n, vac〉 corrisponde alla situazione in cui l’atomo si trova nel suo autostato stazio-

nario |n〉 e il campo nello stato di vuoto. Lo stato |m, 1kλ〉 rappresenta invece l’atomo nello

stato |m〉 e un solo fotone nel modo (kλ). La presenza di |m, 1kλ〉 e giustificata dall’azione

degli operatori di creazione e di distruzione a†kλ e akλ, che compaiono nell’espressione di

A, e che agiscono sullo stato di vuoto del campo secondo le definizioni:

akλ |vac〉 = 0 a†kλ |vac〉 = |1kλ〉 . (3.27)

Dal momento che

〈m, 1kλ|hkλ |n, vac〉 = − e

mc

(2π~c2

ωkV

) 12pmn · ekλ, (3.28)

37

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

lo spostamento dello stato |n vac〉 e dato dalla relazione

∆En =e2

m2c2

2π~c2

ωkV

∑m

∑kλ

∣∣pmn · ekλ∣∣2En − Em − ~ωk

=2πe2

m2

1

V

∑m

∑kλ

1

ωk

∣∣pmn · ekλ∣∣2ωnm − ωk

, (3.29)

dove si e posto ~ωnm = En − Em. Inoltre, a parte il fattore numerico, esplicitando il

termine∣∣〈m, 1kλ|hkλ |n, vac〉∣∣2 =∣∣〈m, 1kλ|a†kλ(p · ekλ) |n, vac〉

∣∣2= 〈n, vac|akλ(p · ekλ) |m, 1kλ〉 〈m, 1kλ|a†kλ(p · ekλ) |n, vac〉 ,

(3.30)

si osserva che la causa dello spostamento ∆En puo essere ricondotta al processo di emis-

sione n −→ m + γ, seguito da un processo di riassorbimento m + γ −→ n di un fotone

virtuale γ da parte dello stato di vuoto del campo.

Figura 3.1. Rappresentazione della relazione (3.30). Interpretazione del Lamb shift intermini dell’emissione e assorbimento di un fotone virtuale

Tale procedimento conduce, pero, ad un risultato che costituı un vero e proprio dilemma

per i fisici dell’epoca. Maneggiando la relazione (3.29) e assumendo i modi del campo

continui e infiniti, si ottiene

∆En =2e2

3πm2c3

∑m

|pmn|2∫ ∞

0

ωdω

ωnm − ω

=2α

( 1

mc

)2∑m

|pmn|2∫ ∞

0

EdE

En − Em − E. (3.31)

L’integrale diverge, dunque lo spostamento del livello n-esimo, che probabilmente cor-

rispondeva al Lamb shift, risultava essere infinito, mentre sperimentalmente era stato

38

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

misurato un valore piccolo, ma finito.

La soluzione alla questione fu trovata da Bethe attorno al 1947, il quale sfrutto un pro-

cedimento noto come mass renormalization, ispirandosi ai lavori di Kramers e Weisskopf.

L’idea di base fu quella di sottrarre allo spostamento ∆En (3.31), la variazione dell’energia

del livello n-esimo dovuta all’accoppiamento fra l’elettrone libero e il campo elettromagne-

tico. Inoltre egli assunse che l’interazione fra l’elettrone e lo stato di vuoto responsabile

del Lamb shift, avvenisse per frequenze del campo sufficientemente basse da giustificare un

approccio non relativistico; in quest’ottica Bethe limito superiormente l’intervallo di inte-

grazione della (3.31), assumendo come limite superiore non piu infinito, ma mc2. L’intuito

ebbe un esito brillante: Bethe ottenne per il livello energetico 2s dell’atomo di idrogeno

uno spostamento di circa 1040MHz, in eccellente accordo con la misura effettuata da

Lamb e Retherford.

Circa un anno dopo, nel 1948, Welton giunse alla stessa conclusione di Bethe, individuando

la causa del Lamb shift nelle fluttuazioni della posizione dell’elettrone, dovute all’energia

di vuoto del campo. Egli inoltre riuscı a svincolarsi dal procedimento rinormalizzazio-

ne della massa, fondamentale nell’operato di Bethe, imponendo come estremo superiore

dell’intervallo di integrazione il valore mc2 e come estremo inferiore l’energia media di

eccitazione dell’elettrone.

Un’ulteriore interpretazione del Lamb shift, firmata Richard Feynman, riprende in qualche

modo il principio ispiratore di Bethe. Feynman considero un gas diluito in una grande

scatola costituito a N atomi. Il Lamb shift fu ricavato sottraendo allo spostamento ener-

getico ∆En degli atomi del gas, quello ottenuto considerando gli elettroni atomici come

particelle libere ∆Efreen ; la differenza ∆En − ∆Efreen , condusse ad un risultato che nel

caso limite di gas costituito da un solo atomo, riproduceva l’espressione finale di Bethe

ottenuta a seguito della rinormalizzazione della massa.

Successivi studi hanno dimostrato che le correzioni allo spettro dell’atomo di idrogeno do-

vute al Lamb shift, dipendono dal numero quantico l. In particolare, se l = 0, la deviazione

e

∆ELamb = α5mc2 1

4n3k(n,0), (3.32)

dove k(n,0) e un fattore numerico che varia gradualmente al variare del numero quantico

n assumendo i valori 12,7 (per n = 0) e 13,2 (quando n→∞) ; se invece l 6= 0 si ha

∆ELamb = α5mc2 1

4n3

k(n,l)± 1

π(j + 12)(l + 1

2)

, (3.33)

39

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

dove k(n,l) ha valore minore di 0,05 e varia lentamente con n e l. La dipendenza del

termine di Lamb shift dal numero quantico l rimuove la degenerazione per gli stati carat-

terizzati dalla stessa coppia di n e l.

Infine, e necessario menzionare il fatto che il solo Lamb shift non completa la descrizione

dello spettro dell’atomo di idrogeno. Come l’elettrone, anche il nucleo, infatti, e dotato di

spin. Cio comporta un accoppiamento fra gli spin dell’elettrone e del nucleo e un’interazio-

ne dovuta all’azione del campo elettromagnetico, prodotto dal moto orbitale dell’elettrone,

sul momento intrinseco del protone (la si puo immaginare come un’interazione spin-orbita

nucleare). Inoltre la differenza di massa fra elettrone e protone, si ripercuote in una dif-

ferenza di ordini di grandezza fra i rispettivi momenti di dipolo, pertanto le interazioni

dovute alla presenza di µp sono meno intense rispetto a quelle responsabili della struttura

fine. Il risultato complessivo e la rimozione della degenerazione anche rispetto al numero

quantico di momento angolare totale j: ogni livello energetico con n, l e j, e scisso in due

sottolivelli. Tale rappresentazione dello spettro energetico dell’atomo di idrogeno prende

il nome di struttura iperfine.

3.2 Effetto Casimir

“Bohr mumbled something about zero-point energy.”

H. Casimir [6]

Le radici dell’effetto Casimir risiedono nell’attrazione di Van der Waals che si manifesta

fra due atomi o molecole vicine, anche se si tratta di molecole apolari. Questo tipo di

interazione si estende anche a corpi neutri macroscopici e ha origine nel moto delle cari-

che elettriche che li compongono, le quali generano campi elettromagnetici fluttuanti nella

regione di spazio fra i due oggetti. Tali campi inducono dei momenti di dipolo transienti

nelle molecole, provocandone l’interazione. Nella formulazione quantistica dell’interazione

di Van der Waals, sviluppata da Fritz London, si verifica cio che e stato visto precedente-

mente per il campo elettromagnetico: il valore medio degli operatori associati ai momenti

di dipolo degli atomi o molecole apolari e nullo, ma i momenti di dipolo istantanei indotti

fanno sı che lo scarto quadratico medio sia diverso da zero. In altri termini, la forza di

Van der Waals e da intendersi come una conseguenza delle fluttuazioni di vuoto del campo

elettromagnetico, dal momento che il campo intermolecolare si puo interpretare come una

serie di oscillazioni dell’energia di punto zero. Ne consegue pertanto che l’interazione di

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

Van der Waals e puramente quantistica; il lavoro di London conferma questa asserzione e

la completa, dimostrando che si tratta di un effetto non relativistico, dal momento che i

risultati da lui ottenuti dipendono dalla costante di Planck h, ma non dalla velocita della

luce nel vuoto c.

Quanto detto e vero nel limite in cui due atomi, molecole o corpi macroscopici si possano

definire vicini. Una forza di Van der Waals quantistica e non relativistica si manifesta

infatti se i due oggetti si trovano a distanza di pochi nanometri, distanza che consente ad

un fotone virtuale emesso da un atomo, di raggiungere l’altro in un arco di tempo minore

o uguale al suo tempo di vita. In queste condizioni le oscillazioni prodotte dall’emissione,

o assorbimento, del fotone, inducono momenti di dipolo istantanei in entrambi gli atomi;

si parla di nonretarded Van der Waals force. Se invece gli atomi sono situati a distanza

tale da non consentire al fotone virtuale di essere trasferito dall’uno all’altro, l’attrazione

dovuta alla forza non ritardata di Van der Waals non sussiste. Tuttavia, anche in questo

caso la dispersione del campo elettromagnetico risulta essere non nulla. Cio comporta il

sorgere di momenti di dipolo e di una forza attrattiva fra i due atomi. Tale interazione puo

essere interpretata come una manifestazione su larghe distanze della forza non ritardata

di Van der Waals, che prende il nome di forza di Casimir-Polder. Essa e un’interazione

ovviamente quantistica, ma, al contrario della precedente, e relativistica e dipende dalla

polarizzabilita degli atomi.

Su scala macroscopica, Casimir predisse l’esistenza di una forza attrattiva fra due lastre

neutre parallele e perfettamente conduttrici, poste nel vuoto. Quest’interazione, l’effetto

Casimir, e dunque un’estensione della forza di Casimir-Polder entro confini materiali.

La dimostrazione, per ora teorica, dell’esistenza della forza di Casimir si ricava conside-

rando un campo elettromagnetico all’interno di un parallelepipedo di lati Lx ≡ Ly = L

e Lz, costituito da due piastre perfettamente conduttrici di area L2 ciascuna e poste a

distanza d ≡ Lz.Le equazioni di Maxwell nel vuoto impongono la trasversalita del campo elettrico e del

campo magnetico, la scelta della guauge di Coulomb la impone anche per il potenziale

vettore A(r,t). Inoltre, la condizione di perfetta conducibilita e soddisfatta se le compo-

nenti tangenziali del campo elettrico si annullano sulle pareti del parallelepipedo; analoga

limitazione sussiste dunque anche per il potenziale vettore, le cui componenti spaziali,

41

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

soluzioni dell’equazione di Helmholtz, sono del tipo

Ax(r) = (8/V )12 ax cos (kxx) sin (kyy) sin (kzz) (3.34)

Ay(r) = (8/V )12 ay sin (kxx) cos (kyy) sin (kzz) (3.35)

Az(r) = (8/V )12 az sin (kxx) sin (kyy) cos (kzz), (3.36)

dove a2x + a2

y + a2z = 1, V = L2Lz e il vettore d’onda k soddisfa le condizioni al contorno

(2.34)

k =(nxπL,nyπ

L,nzπ

Lz

)con nx,y,z = 0,1,2,... (3.37)

Immancabile e ovviamente la condizione di normalizzazione

1 =

∫Vd3r∣∣A(r)

∣∣2=

∫ L

0dx

∫ L

0dy

∫ Lz

0dz[A2

x(r) +A2y(r) +A2

z(r)]. (3.38)

La trasversalita richiesta dalla gauge di Coulomb ∇ ·A = 0 si traduce nella relazione

kxAx + kyAy + kzAz =π

L(nxAx + nyAy) +

π

Lz(nzAz) = 0, (3.39)

dunque se nxyz 6= 0 ci sono due possibili polarizzazioni indipendenti, se uno dei tre valori

invece si annulla c’e un’unica direzione di polarizzazione.

Ora, dalla (3.37) si evince che all’interno del parallelepipedo solo alcune frequenze sono

ammesse:

ωkn = c|kn| = πc

[n2x

L2+n2y

L2+n2z

L2z

] 12

. (3.40)

Pertanto l’energia di punto zero all’interno del volume e data dalla somma dei punti zero

dei modi del campo caratterizzati da frequenze ωkn

∑n

′ (2)1

2~ωkn =

∑nxnynz

′π~c[n2x

L2+n2y

L2+n2z

L2z

] 12

, (3.41)

in cui il fattore 2 prende in considerazione le due possibili polarizzazioni nel caso in cui

nxyz 6= 0, mentre l’apostrofo implica il fattore 12 nel caso in cui uno degli interi nxyz si

annulli, in qual caso si ha un’unica polarizzazione.

Immaginando di far tendere all’infinito le dimensioni delle superfici laterali, ossia imma-

ginando che le lastre conduttrici diventino infinitamente grandi, pur mantenendo fissa la

distanza d fra esse, i modi possibili nelle direzioni x e y diventano infiniti, dunque nella

42

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

(3.41), la somma rispetto a nx e ny e sostituita da un integrale, mentre i valori di nz

continuano ad essere discreti:∑nxyz

→∑nz

′(L

π

)2 ∫ ∫dkx dky. (3.42)

L’energia di punto zero (3.41) in questa configurazione risulta

E(d) =L2

π2(~c)

∑nz

′∫ ∞

0dkx

∫ ∞0

dky

(k2x + k2

y +n2zπ

2

d2

) 12

(3.43)

quindi una quantita infinita in un volume finito.

Se ora, rendendo infinite le dimensioni delle due piastre, anche la distanza d diventa

infinita, nz potra assumere valori continui; di conseguenza nell’intero spazio vuoto, tutte

le frequenze di vibrazione sono consentite. Anche la somma su nz diviene un integrale e

l’energia di punto zero nell’intero spazio si ottiene dall’integrale triplo

E(∞) =L2

π2(~c)

d

π

∫ ∞0

dkx

∫ ∞0

dky

∫ ∞0

dkz(k2x + k2

y + k2z)

12 , (3.44)

che anche in questo caso fornisce una quantita infinita.

Stando a quanto finora dimostrato, l’energia potenziale del sistema nella configurazione

iniziale, cioe con le due piastre poste a distanza d e una differenza fra due infiniti (figura

(3.2)). Essa infatti e l’energia necessaria per portare le due piastre dall’infinito a distanza

d, dunque

U(d) =L2~cπ2

[∑nz

′∫ ∞

0dkx

∫ ∞0

dky

(k2x + k2

y +n2zπ

2

d2

) 12

−dπ

∫ ∞0

dkx

∫ ∞0

dky

∫ ∞0

dkz(k2x + k2

y + k2z)

12

]. (3.45)

La forza di Casimir si ottiene rendendo finita questa quantita. Cio e possibile attraverso

un’appropriata funzione di cut-off, che prende in considerazione il limite di conducibilita

delle lastre, ossia il fatto che tale proprieta non e piu vera a grandi frequenze, o in altri

termini, a lunghezze d’onda dell’ordine delle dimensioni atomiche.

L’energia potenziale (3.45) in coordinate polari u, ϑ nel piano kx,ky > 0 assume la forma

U(d) =L2~cπ2

π

2

[∑nz

′∫ ∞

0duu

(u2 +

n2zπ

2

d2

) 12

−(d

π

)∫ ∞0

dkz

∫ ∞0

duu(u2 + k2z)

12

], (3.46)

43

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

dove dkxdky = u dudϑ, con 0 < ϑ < π/2. La funzione di cutoff e definita come

f(k) = f([u2 + k2z ]

12 ), (3.47)

di modo che, posto km ≈ 1/a0, dove a0 e il raggio di Bohr, risulti

f(k) = 1 per k << km (3.48)

e

f(k) = 0 per k >> km. (3.49)

In queste approssimazioni l’effetto Casimir risulta essere essenzialmente proprio delle basse

frequenze, caratterizzato da energia potenziale

U(d) =L2~cπ2

π

2

[∑nz

′∫ ∞

0duu

(u2 +

n2zπ

2

d2

) 12

f([u2 + k2z ]

12 )

−(d

π

)∫ ∞0

dkz

∫ ∞0

duu(u2 + k2z)

12 f([u2 + k2

z ]12 )

], (3.50)

che effettuando il cambio di variabili x = u2 d2/π2 e k = kzd/π diviene

U(d) =L2~cπ2

π

2

[∑nz

′∫ ∞

0dx (x+ n2

z)12 f(πd

[x+ n2z]

12)

−∫ ∞

0dk

∫ ∞0

dx (x+ k2)12 f((π

d[x+ k2]

12)]. (3.51)

Applicando ora la formula Eulero-Maclaurin

∞∑n=1

F (n) −∫ ∞

0dkF (k) = −1

2F (0)− 1

12F ′(0) +

1

720F ′′′(0) . . . (3.52)

alla funzione

F (k) ≡∫ ∞

0dx (x+ k2)

12 f((π

d[x+ k2]

12), (3.53)

con F (k)→ 0 per k→∞, l’espressione di U si semplifica ulteriormente in

U(d) =

(π2~c4d2

)L2

[1

2F (0) +

∞∑n=1

F (n) −∫ ∞

0dkF (k)

]. (3.54)

Inoltre la funzione F (k) si puo riscrivere come

F (k) =

∫ ∞k2

du√u f(πd

√u), (3.55)

44

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

la cui derivata di primo ordine e

F ′(k) = −2k2f(π

dk), (3.56)

pertanto risulta

F ′(0) = 0 F ′′′(0) = −4 (3.57)

mentre tutte le derivate di ordine superiore sono nulle se si suppone che tutte le derivate

della funzione di cutoff si annullino per k = 0. In conclusione si ha

∞∑n=1

F (n) −∫ ∞

0dkF (k) = −1

2F (0)− 4

720(3.58)

e conseguentemente

U(d) =(π2~ c

4d3

)L2(−4

720

)= −

( π2~ c720 d3

)L2. (3.59)

Si e quindi estrapolato un valore finito dell’energia potenziale e indipendente dalla funzione

di cutoff; ne risulta una forza attrattiva fra le due lastre

F (d) = − π2~ c240 d4

(3.60)

per unita di area. E proprio questa forza di Casimir, a dimostrazione che le fluttuazioni

di vuoto del campo elettromagnetico possono essere finite e osservabili.

Figura 3.2. Due lastre parallele conduttrici nel vuoto. All’interno e consentito un numerodiscreto di oscillazioni, all’esterno un numero infinito.

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

Si e detto che l’energia di vuoto puo essere associata alla presenza di fotoni virtuali

nello stato di vuoto, ebbene, nel 1988 Milonni interpreto la forza di Casimir come il ri-

sultato della pressione esercitata dalle fluttuazioni di vuoto sulle superfici conduttrici, o

in altri termini, come la pressione dovuta alla riflessione di queste particelle virtuali sulle

lastre. 3

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!"!"!"

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all

!"

!"!"

!"

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!"

!"

FIG. 4: Casimir force can be thought of as originating inpressure di!erences caused by reflections of virtual photonson conducting surfaces.

FIG. 5: Reduced wall area and reduced normal component ofthe wave vector if a wave penetrates under an angle !

.

where j is the current density of photons. Using

j = c! =c

V

with the density of photons ! yields

p! =c!|k|V

(13)

The pressure acting on the plates of the capacitor permode " (again we assume a two plate geometry) is

p! = p! cos2 # (14)

The two factors cos # occur because the e!ective wallarea and the normal component of the wave vector (withrespect to the plate) are each reduced by a factor cos # ifthe wave is penetrating at an angle #. This is illustratedin fig. 5. Using k2

zk2 = cos2 # and the following relations

" = c|k| (15a)

kz =$n

d(15b)

V = L2d (15c)

dnx,y =dkx,yL

$(15d)

Inserting everything into (14) and replacing two sumsby integrals (in analogy to (9)), gives to a total outward

d

FIG. 6: Two dipoles at a small distance d regarded as coupledharmonic oscillators.

pressure of

pout =!c

d$2

!

n

" !

0dkx

" !

0dky

(n"d )2

#k2

x + k2y + (n"

d )2

(16)The expression for the total inward pressure looks simi-lar. The remaining sum just has to be replaced by a thirdintegral.

pin =!c

$3

" !

0dkx

" !

0dky

" !

0dkz

k2z#

k2x + k2

y + k2z

(17)

The Casimir force per unit area can be calculated bysubtracting equations (17) and (16). Using again theEuler-Maclaurin formula [11] as in chapter 2 we obtain:

pin ! pout = pc = ! $2!c

240d4(18)

This is exactly the same result as in (11) where theCasimir force was calculated from zero point energy dif-ferences.

IV. CASIMIR AND VAN DER WAALSINTERACTIONS

London and van der Waals calculated a vacuum forcethat, at first glance, di!ers from Casimir force.[2] Theyconsidered two identical dipole oscillators at a very tinydistance d, as shown in fig. 6. The dipoles are coupled dueto the electrostatic dipole fields. One obtains a systemof coupled di!erential equations

x1 + "20x1 = Kx2 (19a)

x2 + "20x2 = Kx1 (19b)

with the dipole coupling

K " e2

md3(20)

where m is the atomic mass and e is the electron charge.The eigenfrequencies of this system are

"± =#

"20 ± K

Figura 3.3. La forza di Casimir si puo attribuire alla pressione esercitata dai fotoni virtualidello stato di vuoto sulle lastre conduttrici

Quando un’onda di frequenza ω incide normalmente su una superficie perfettamente

conduttrice esercita una pressione

pωn = ~|kn|j, (3.61)

dove ~|k| e l’energia del singolo fotone virtuale incidente e j e la densita di corrente di

particelle. Se ρ e la densita di fotoni, j = cρ = c/V , dunque

pωn =c~|k|V

. (3.62)

Nel caso piu generale in cui la radiazione di vuoto non incida normalmente alla superficie,

la pressione esercitata sulle lastre, per ogni frequenza ωkn e

pωn = pωn cos2 ϑ, (3.63)

dove ϑ e l’angolo di incidenza.

La pressione netta che agisce sulle lastre si ottiene con un procedimento di sottrazione

analogo a quanto visto precedentemente: essa e data dalla differenza fra la pressione

esterna e la pressione interna esercitata dagli infiniti modi di punto zero.

Per ottenere la pressione sulle superfici esterne, si puo passare ad un insieme di frequenze

46

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

3

ca

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FIG. 4: Casimir force can be thought of as originating inpressure di!erences caused by reflections of virtual photonson conducting surfaces.

FIG. 5: Reduced wall area and reduced normal component ofthe wave vector if a wave penetrates under an angle !

.

where j is the current density of photons. Using

j = c! =c

V

with the density of photons ! yields

p! =c!|k|V

(13)

The pressure acting on the plates of the capacitor permode " (again we assume a two plate geometry) is

p! = p! cos2 # (14)

The two factors cos # occur because the e!ective wallarea and the normal component of the wave vector (withrespect to the plate) are each reduced by a factor cos # ifthe wave is penetrating at an angle #. This is illustratedin fig. 5. Using k2

zk2 = cos2 # and the following relations

" = c|k| (15a)

kz =$n

d(15b)

V = L2d (15c)

dnx,y =dkx,yL

$(15d)

Inserting everything into (14) and replacing two sumsby integrals (in analogy to (9)), gives to a total outward

d

FIG. 6: Two dipoles at a small distance d regarded as coupledharmonic oscillators.

pressure of

pout =!c

d$2

!

n

" !

0dkx

" !

0dky

(n"d )2

#k2

x + k2y + (n"

d )2

(16)The expression for the total inward pressure looks simi-lar. The remaining sum just has to be replaced by a thirdintegral.

pin =!c

$3

" !

0dkx

" !

0dky

" !

0dkz

k2z#

k2x + k2

y + k2z

(17)

The Casimir force per unit area can be calculated bysubtracting equations (17) and (16). Using again theEuler-Maclaurin formula [11] as in chapter 2 we obtain:

pin ! pout = pc = ! $2!c

240d4(18)

This is exactly the same result as in (11) where theCasimir force was calculated from zero point energy dif-ferences.

IV. CASIMIR AND VAN DER WAALSINTERACTIONS

London and van der Waals calculated a vacuum forcethat, at first glance, di!ers from Casimir force.[2] Theyconsidered two identical dipole oscillators at a very tinydistance d, as shown in fig. 6. The dipoles are coupled dueto the electrostatic dipole fields. One obtains a systemof coupled di!erential equations

x1 + "20x1 = Kx2 (19a)

x2 + "20x2 = Kx1 (19b)

with the dipole coupling

K " e2

md3(20)

where m is the atomic mass and e is the electron charge.The eigenfrequencies of this system are

"± =#

"20 ± K

Figura 3.4. Incidenza di un fotone virtuale sulla superficie conduttrice

con componenti del vettore d’onda kx e ky continue. Trascurando la polarizzazione, questa

assunzione consente di sostituire le somme con gli integrali∑nxyz

→∑nz

(L

π

)2 ∫ ∫dkx dky.

Dunque, osservando che cos2 ϑ = k2zk2

, che V = L2d e ricordando le relazioni (3.37) e (3.40),

con d ≡ Lz, si deduce che

pout =~cdπ2

∑nz

∫ ∞0

dkx

∫ ∞0

dky

(nzπd

)2√k2x + k2

y +(nπd

)2 . (3.64)

Analogamente, la pressione interna alle due lastre si ottiene immaginando di rendere infi-

nite le tre dimensioni del sistema e dunque anche la somma su nz viene sostituita da un

integrale, ottenendo

pin =~cπ3

∫ ∞0

dkx

∫ ∞0

dky

∫ ∞0

dkzk2z√

k2x + k2

y + k2z

. (3.65)

Si e giunti ad una differenza di infiniti. Anche in questo caso la convergenza e garantita

introducendo la funzione di cutoff e sfruttando lo sviluppo in serie di Eulero-Maclaurin; il

valore finito che si ricava coincide esattamente con la forza di Casimir (3.60):

pin − pout = − π2~c240 d4

. (3.66)

L’infinita di frequenze di radiazione consentite all’esterno del condensatore e di ordine

maggiore rispetto all’infinita di frequenze possibili all’interno; intuitivamente, si puo dun-

que attribuire l’attrazione fra le due lastre al fatto che la pressione esercitata dall’esterno

sia maggiore di quella esercitata internamente.

47

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3 – Effetti delle fluttuazioni di vuoto

Prima di concludere e opportuno osservare che la forza di Casimir e strettamente legata

all’interazione fra le fluttuazioni di vuoto del campo e geometria del sistema. In altre

parole, poiche generata dalla differenza di due infiniti, uno dovuto alla radiazione esterna

alle due lastre, l’altro alla radiazione interna ad esse, la forza di Casimir appare come la

manifestazione macroscopica delle condizioni al contorno imposte dai confini materiali del

sistema al campo elettromagnetico. Nello spazio libero, dove le fluttuazioni di vuoto sono

isotropiche, l’effetto Casimir non ha modo di verificarsi, pertanto se ne deduce che esso

dipende fortemente dalla geometria del sistema.

Infine, e interessante notare dall’espressione (3.60), che sebbene la forza di Casimir sia

prodotta dal campo elettromagnetico, la carica elettrica non compare nella sua definizione.

Compare invece il prodotto ~c, il che consente di ribadire quanto affermato nell’introdurre

l’effetto: la forza di Casimir e prettamente quantistica, oltre che relativistica, e non ha

alcuna controparte classica.

48

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Capitolo 4

Stati coerenti

Nell’introdurre la quantizzazione del campo elettromagnetico, e stata evidenziata la distin-

zione di intenti fra la meccanica quantistica e la meccanica classica, la prima necessaria per

descrivere la realta atomica, la seconda, suo limite macroscopico. Tuttavia, la separazione

fra i due mondi e le rispettive teorie e tutt’altro che netta e definibile: esistono infatti

dei sistemi fisici macroscopici che possono essere ben descritti in termini quantistici. Gli

elementi di raccordo fra meccanica classica e meccanica quantistica sono gli stati coerenti.

Anche in questo caso, la descrizione quantistica dell’oscillatore armonico consentira di de-

finire tali stati, di cui verranno illustrate le proprieta piu importanti, e di esporre ulteriori

peculiarita della radiazione quantizzata.

4.1 Definizione e proprieta

La definizione degli statu coerenti e strettamente legata all’analisi dell’oscillatore armoni-

co precedentemente affrontata; brevemente, e stato dimostrato che l’Hamiltoniana di un

oscillatore armonico dipende dalla sua frequenza di oscillazione ω e si esprime in termini

dell’operatore N = a†a

H = ~ω(N +

1

2

),

di conseguenza i suoi autostati e autovalori sono connessi con quelli di N . Gli autovalori

dell’energia sono

En = ~ω(n+

1

2

),

a cui corrisponde l’autostato

|n〉 =1√n!

(a†)n |0〉 (4.1)

49

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4 – Stati coerenti

espresso in funzione dello stato di vuoto |0〉.Ebbene, si definisce stato coerente, ogni autostato |α〉 dell’operatore di annichilazione a

a |α〉 = α |α〉 (4.2)

dove α e un arbitrario numero complesso. Usando la formula di ricorrenza a |n〉 =√n |n− 1〉

ed espandendo |α〉 in funzione degli autostati dell’oscillatore armonico |α〉 =∑∞

n=0 cn |n〉,si ottiene

a |α〉 =

∞∑n=0

cn√n |n− 1〉 = α

∞∑n=0

cn−1 |n〉 (4.3)

confrontando i coefficienti di |n〉 di ambo i membri

cn√n = αcn−1 (4.4)

da cui

cn =α√ncn−1 =

αα√n√n− 1

cn−2 = · · · = αn√n!c0. (4.5)

La costante c0 si ottiene imponendo la condizione di normalizzazione 〈α |α〉 = 1

〈α |α〉 = 1 = |c0|2∑n

∑m

(α†)nαm√n!m!

〈n |m〉 = |c0|2∞∑n=0

|α|2n

n!= |c0|2e|α|

2, (4.6)

che implica c0 = e−12|α|2 . In definitiva, uno stato coerente normalizzato |α〉 e definito dalla

relazione

|α〉 = e−12|α|2

∞∑n=0

αn

n!|n〉 . (4.7)

Per comprendere in che senso gli stati coerenti si trovino al confine fra la meccanica classica

e quella quantistica si puo analizzare l’evoluzione temporale dell’oscillatore armonico. Si

considerino a tal fine le equazioni del moto di Heisenberg per p e q

dp

dt= −mω2q (4.8)

dq

dt=

p

m(4.9)

Da cui si ottengono, tenendo presente le definizioni di a e a†, le due seguenti equazioni

differenziali

da

dt=

√mω

2~(p

m− iωq) = −iωa (4.10)

e (4.11)

da†

dt= iωa† (4.12)

50

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4 – Stati coerenti

che ammettono come soluzioni, rispettivamente

a(t) = a(0)e−iωt e a†(t) = a†(0)eiωt. (4.13)

Sfruttando le definizioni di a e a† (2.6) si possono ottenere le equazioni del moto per q e

p

q(t) +ip(t)

mω= q(0)e−iωt + i[

p(0)

mω]e−iωt (4.14)

e

q(t)− ip(t)

mω= q(0)eiωt − i[p(0)

mω]eiωt, (4.15)

infine eguagliando le parti reali e complesse di ambo i membri di una delle due equazioni

si ottiene

q(t) = q(0) cosωt+ [p(0)

mω] sinωt (4.16)

e

p(t) = −mωq(0) sinωt+ p(0) cosωt. (4.17)

e evidente la somiglianza delle equazioni del moto appena ottenute con quelle classiche,

cosı come e evidente che anche nel caso quantistico p e q, intese come operatori, oscillino

con frequenza ω. Tuttavia sarebbe affrettato dedurre da cio che anche 〈p〉 e 〈q〉 manifestino

lo stesso comportamento oscillatorio. Proprio nei valori medi, infatti, e celata l’anomalia

quantistica: il valore medio di p(t) o di q(t) su un qualunque autostato |n〉 dell’oscillatore

armonico e nullo.

Tenendo conto delle formule di ricorrenza

a|n〉 =√n |n− 1〉 (4.18)

a†|n〉 =√n+ 1 |n+ 1〉 , (4.19)

per le coordinate si verifica come segue

〈n|q(t) |n〉 =

√~

2mω

[cosωt(〈n|a(0) |n〉+ 〈n|a†(0) |n〉) + i sinωt(〈n|a†(0) |n〉

− 〈n|a(0) |n〉)]

=

√~

2mω

[cosωt(

√n 〈n |n− 1〉+

√n+ 1 〈n |n+ 1〉)

+i sinωt(√n+ 1 〈n |n+ 1〉 −

√n 〈n |n− 1〉)

]= 0 (4.20)

51

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4 – Stati coerenti

Con il medesimo procedimento si ottiene lo stesso risultato anche per p(t).

L’annullarsi dei valori medi di q(t) e p(t) e dovuto, come si puo notare all’azione degli

operatori di annichilazione e creazione e all’ortogonalita degli autostati dell’oscillatore ar-

monico; del resto a tale conclusione si giunge immediatamente notando che per t = 0,

〈q(0)〉 e 〈p(0)〉 son nulli per le suddette ragioni, e ricordando che i valori medi di osserva-

bili su stati stazionari, quali appunto gli autostati |n〉 non variano nel tempo, dunque lo

stesso risultato si ottiene qualunque sia t.

A questo punto entrano in scena gli stati coerenti: per come sono stati definiti, essi risul-

tano essere una sovrapposizione di autostati dell’energia e di conseguenza non stazionari,

pertanto il valore medio degli operatori q(t) e p(t) calcolato rispetto ad uno stato coeren-

te non si annullera, ma presentera anch’esso un comportamento oscillante. Infatti, per la

definizione di stato coerente |α〉, si ha

〈α|q(t) |α〉 =

√~

2mω

[cosωt(〈α|a(0) |α〉+ 〈α|a†(0) |α〉)

+i sinωt(〈α|a†(0) |α〉 − 〈α|a(0) |α〉)]

=

√~

2mω[cosωt(α+ α∗) + i sinωt(α∗ − α)] . (4.21)

Altre peculiarita degli stati coerenti consistono nel fatto che, sebbene, come visto, sia-

no legati agli autostati dell’oscillatore armonico che costituiscono un insieme ortonormale

completo dello spazio di Hilbert, essi non godono ne della proprieta di ortogonalita ne

formano un insieme completo, ma supercompleto: sono in numero maggiore rispetto a

quanti ne servirebbero per esprimere un generico stato come loro combinazione lineare, in

altre parole, non sono tutti linearmente indipendenti. Quest’ultima caratteristica deriva

dalla dipendenza degli stati coerenti da un parametro complesso, il quale provoca un pas-

saggio da uno spettro discreto, di autostati |n〉, ad uno spettro continuo, che difficilmente

si presta ad essere una base per lo spazio di Hilbert. A dimostrazione di cio, si considerino

due generici stati coerenti |α〉 e |β〉

|α〉 = e−12|α|2

∞∑n=0

αn

n!|n〉 |β〉 = e−

12|β|2

∞∑m=0

βm

m!|m〉

52

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4 – Stati coerenti

per il loro prodotto scalare si ha

〈β |α〉 = e−12|α|2e−

12|β|2∑m

∑n

(β†)mαn√m!n!

〈m |n〉

= e−12|α|2e−

12|β|2

∞∑m=0

(β†α)m√m!

= e12

(β†α−βα†)e−12|β−α|2 ; (4.22)

ora, poiche il primo termine e una fase complessa, risulta

| 〈β |α〉 |2 = e−12|β−α|2 6= 0 (4.23)

pertanto l’asserzione e verificata; ovviamente all’aumentare dell’argomento |β − α|2, l’e-

sponenziale tendera a zero e quindi i due stati coerenti tenderanno all’ortogonalita. Per

quanto riguarda la relazione di completezza, essa nel caso di stati coerenti assume la forma:∫|α〉 〈α| d

π= 1, (4.24)

dove d2α = dRe(α)dIm(α), e l’integrale e esteso a tutto l’α-piano complesso. Si puo a

questo punto verificare la supercompletezza che caratterizza tali stati

|β〉 =

∫d2α

π|α〉 〈α |β〉

=d2α

π|α〉 e−

12|α|2− 1

2|β|2+α†β. (4.25)

Si conclude pertanto, come annunciato, che gli stati coerenti non costituiscono una ba-

se ortonormale per lo spazio di Hilbert. Un’altra caratteristica che contraddistingue gli

stati coerenti dai generici stati quantistici, a tal punto da essere sfruttata come definizio-

ne alternativa, e il loro render minimo il principio di indeterminazione, ossia soddisfare

l’uguaglianza

∆p∆q =~4. (4.26)

Si consideri infatti un generico stato |β〉 e gli operatori impulso p e coordinata q espressi

in funzione degli operatori a e a†

q =

√~

2ω(a + a†) p = −i

√~ω2

(a− a†) (4.27)

53

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4 – Stati coerenti

Si ricavano i seguenti valori medi:

〈β|q2 |β〉 = k 〈β| (a + a†)2 |β〉

= k 〈β|a2 + a†2

+ a†a + aa† |β〉

= k 〈β|a2 + a†2

+ 2a†a + 1 |β〉

= k[(β + β∗)2 + 1], (4.28)

e

〈β|q |β〉 =√k 〈β|a + a† |β〉 =

√β + β∗ (4.29)

dove si e posto k = ~/2ω. Percio

∆q = 〈β|q2 |β〉 − (〈β|q |β〉)2 = k(β + β∗)2 + k − k(β + β∗)2 = k =~

2ω(4.30)

Analogamente, per l’impulso si ottiene

〈β|p2 |β〉 = t2 〈β| (a− a†)2 |β〉

= t 〈β|a†2 + a2 − 2a†a− 1 |β〉

= t(1− (β∗ − β)2) (4.31)

e

〈β|p |β〉 = t 〈β|a− a† |β〉 = t(β∗ − β) (4.32)

con t = −i√

~ω2 . Quindi

∆p = 〈β|p2 |β〉 − (〈β|p |β〉)2 =~ω2. (4.33)

In definitiva

∆p∆q = (~

2ω)(~ω2

) =~2

4. (4.34)

Si e inoltre visto che la quantizzazione dei livelli energetici dell’oscillatore armonico conduce

alla quantizzazione del campo elettromagnetico, dal momento che un’onda monocromatica

e formalmente equivalente ad un oscillatore armonico di massa unitaria. Tale analogia

consente di evidenziare caratteristiche degli stati coerenti che fanno di loro ”i piu classici

fra gli stati quantistici”.

Si consideri a tal fine un campo elettrico di frequenza ωk e polarizzazione fissata in una

buca di potenziale, la cui espressione si ottiene dalla (2.50)

E(r,t) = i

(2π~ωkV

) 12 [

a(t) eik·r − a†(t) e−ik·r]

(4.35)

54

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4 – Stati coerenti

In maniera del tutto analoga al caso dell’oscillatore armonico, si definisce lo stato coerente

|α〉 = e−12|α|2

∞∑n=0

αn√n!|n〉, (4.36)

autostato dell’operatore di annichilazione

a|α〉 = α|α〉, (4.37)

con α = |α|eiϕ numero complesso.

Il valore medio di E su un generico stato coerente |α〉 non e nullo ma e formalmente simile

all’espressione classica del campo elettrico, infatti

〈α|E(r,t)|α〉 = i

(2π~ωV

) 12 [α eik·r − α∗ e−ik·r

]= i

(2π~ωV

) 12 [|α| ei(k·r+ϕ) − |α| e−i(k·r+ϕ)

]=

(2π~ωV

) 12

2|α| sin (k · r + ϕ); (4.38)

inoltre

〈α|E2(r,t)|α〉 = −(

2π~ωV

)〈α|[a2 e2ik·r + a†

2e−2ik·r − 2aa† − 1

]|α〉

= −(

2π~ωV

)[α2 e2ik·r + α∗2 e−2ik·r − 2|α|2 − 1

]= −

(2π~ωV

)[(α eik·r − α∗ e−ik·r)2 − 1

]= −

(2π~ωV

)[|α|2(ei(k·r+ϕ) − e−i(k·r+ϕ))2 − 1

]= −

(2π~ωV

)[|α|2(2i sin2 (k · r + ϕ))− 1

]=

(2π~ωV

)[4|α|2 sin2 (k · r + ϕ) + 1

], (4.39)

dunque lo scarto quadratico medio e

∆E =

√〈E2〉 − 〈E〉2 =

(2π~ωV

) 12

, (4.40)

che corrisponde alle fluttuazioni di vuoto, in analogia con quanto trovato nella relazione

(2.71) ponendo nkλ = 0. Da tale risultato si evince il primo elemento di quasi-classicita:

55

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4 – Stati coerenti

un valore medio classico che manifesta fluttuazioni quantistiche.

Ancora, si dimostra che le fluttuazioni del numero di fotoni n ottenute dallo scarto qua-

dratico medio relativo, diminuiscono all’aumentare del valore medio di N .

Innanzitutto si deve notare che il modulo quadro di α, |α|2, e proprio il numero medio di

fotoni del campo, infatti, essendo N = a†a, si ricava

〈N〉 = 〈α|N |α〉 = 〈α|a†a |α〉 = |α|2; (4.41)

inoltre 〈N2〉 = 〈α|N2 |α〉 = |α|4 + |α|2, dunque

∆N

〈N〉=

√〈N2〉 − 〈N〉2

〈N〉=

√|α|2〈N〉

=1√〈N〉

, (4.42)

come era intenzione dimostrare.

Infine, nonostante le controversie a suo riguardo, la fase del campo si puo determinare

sempre con maggior precisione, all’aumentare del valor medio di N .

Anche in questo caso e opportuno sottolineare un’altra importante proprieta degli stati

coerenti: ad ogni stato coerente non corrisponde un numero definito di fotoni n, dal

momento che essi non sono autostati dell’operatore N , invero la probabilita di trovare n

fotoni a seguito di una misura su uno stato |α〉, e regolata dalla distribuzione di Poisson

con valore medio N , infatti

Pn = | 〈n |α〉 |2

=

∣∣∣∣∣e− |α|22∞∑n′=0

αn′

√n′!

⟨n∣∣n′⟩∣∣∣∣∣

2

=

∣∣∣∣e− |α|22 αn√n!

∣∣∣∣2= e−|α|

2 |α|2n

n!= e−N

Nn

n!. (4.43)

Ora, la distribuzione della fase per uno stato coerente e

P (φ) =1

2π| 〈φ |α〉 |2

=1

2πe−|α|

2

∣∣∣∣∣∞∑n=o

ein(φ−θ) |α|n√n!

∣∣∣∣∣2

; (4.44)

ma per valori grandi di α la distribuzione di Poisson e approssimabile da una Gaussiana

e−|α|2

2|α|2n

n!e−|α|

2 ≈ (2π|α|2)−12 exp

[−(n− |α|2)2

2|α|2

], (4.45)

56

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4 – Stati coerenti

dunque per la distribuzione della fase si ha

P (φ) ≈(

2|α|2

π

) 12

exp[−2|α|2(φ− θ)2]. (4.46)

P (φ) e dunque rappresentata da una Gaussiana centrata per φ = θ, per cui all’aumentare

di 〈N〉 = |α|2 il picco diventa sempre piu stretto e la fase sempre meglio determinata.

4.2 Rappresentazione nello spazio delle fasi

Analizzata la ‘classicita’ degli stati coerenti, si puo andare oltre e pensare di attribuir loro

una certa rappresentazione nello spazio delle fasi; proposito non semplice, dal momento

che, le coordinate x e gli impulsi p non commutano fra loro e dunque, in virtu del principio

di indeterminazione, lo stato di un sistema quantistico non puo essere ben localizzato, come

invece accade in meccanica classica. Va ricordato pero che gli stati coerenti sono stati di

minima indeterminazione. Introducendo gli operatori di quadratura3.6 Phase-space pictures of coherent states 57

Fig. 3.5. Phase-spaceportrait of a coherentstate of amplitude |!| andphase angle " . Note theerror circle is the same forall coherent states. Notethat as |!| increases, thephase uncertainty #"

decreases, as would beexpected in the “classicallimit”.

Fig. 3.6. Phase-spaceportrait of the quantumvacuum state.

Fig. 3.7. Phase-spaceportrait of the numberstate |n!. The uncertaintyin the photon number is#n = 0 while the phase isentirely random.

A number state |n! can be represented in phase space as a circle of radius n, theuncertainty in n being zero and the uncertainty in phase again being 2$ , as inFig. 3.7. It must be understood that these pictures are qualitative in nature butare useful as a graphical way of visualizing the distribution of noise in variousquantum states of the field. As most quantum states of the field have no classical

Figura 4.1. Rappresentazione di un generico stato coerente |α〉 = |α|eiθ nello spazio delle fasi.

X1 =a + a†

2(4.47)

X2 =a− a†

2i, (4.48)

si ha che gli scarti quadratici medi rispetto ad un generico stato coerente |α〉 con α = |α|eiθ,sono

(∆X1)2 = (∆X2)2 =1

4(4.49)

57

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4 – Stati coerenti

3.6 Phase-space pictures of coherent states 57

Fig. 3.5. Phase-spaceportrait of a coherentstate of amplitude |!| andphase angle " . Note theerror circle is the same forall coherent states. Notethat as |!| increases, thephase uncertainty #"

decreases, as would beexpected in the “classicallimit”.

Fig. 3.6. Phase-spaceportrait of the quantumvacuum state.

Fig. 3.7. Phase-spaceportrait of the numberstate |n!. The uncertaintyin the photon number is#n = 0 while the phase isentirely random.

A number state |n! can be represented in phase space as a circle of radius n, theuncertainty in n being zero and the uncertainty in phase again being 2$ , as inFig. 3.7. It must be understood that these pictures are qualitative in nature butare useful as a graphical way of visualizing the distribution of noise in variousquantum states of the field. As most quantum states of the field have no classical

Figura 4.2. Rappresentazione dello stato di vuoto, corrispondente al caso in cui |α| = 0.

mentre

[X1,X2] =i

2. (4.50)

Risulta quindi soddisfatta, in uguaglianza, la relazione di indeterminazione di Heisenberg

∆X12 ∆X2

2 =1

4|〈[X1,X2]〉|, (4.51)

Infine valori medi di X1 e X2 sempre rispetto allo stato |α〉 sono:

〈X1〉α =1

2(α+ α∗) = <α (4.52)

〈X2〉α =1

2i(α− α∗) = =α. (4.53)

Dunque se, a parte una costante moltiplicativa, la parte reale e quella immaginaria di α

assumono il ruolo delle coordinate e degli impulsi rispettivamente, vi e equivalenza fra lo

spazio delle fasi e il piano complesso α. In questo nuovo sistema di riferimento, lo stato

coerente |α〉 e rappresentato da un vettore di lunghezza α che forma un angolo θ con l’asse

di X1, mentre l’incertezza di cui esso e affetto e rappresentata da un disco il cui centro

si trova a distanza |α| =√〈n〉 dall’origine e che forma lo stesso angolo θ; la variazione

∆θ rappresenta l’incertezza sulla fase dello stato coerente e diminuisce all’aumentare di

α: per |α| = 0, il disco e centrato nell’origine degli assi e l’indeterminazione sulla fase e

massima, ∆θ = 0.

58

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Capitolo 5

Condensazione di Bose-Einstein

Negli anni venti, in India, Bose era intento all’elaborazione di un modello statistico che

descrivesse il comportamento dei quanti di luce, studi da cui nacque la cosiddetta Statistica

di Bose-Einstein; in questo quadro egli predisse la possibilita di transizioni di fase di un

gas costituito da atomi non interagenti fra loro. Il lavoro a quattro mani di Einstein e Bose,

condusse alla conclusione che quando un gas di bosoni, particelle a spin intero, si trova

a temperature prossime allo zero assoluto parte di esse si porta nello stato quantistico di

minima energia; tale fenomeno prese il nome di condensazione di Bose-Einstein (BEC). E

opportuno contestualizzare il fenomeno all’interno di descrizione generale della meccanica

statistica, con particolare attenzione per le distribuzioni quantistiche.

5.1 Matrice densita

Nella maggior parte dei casi, quando ci si accinge allo studio di un sistema fisico, lo

stato in cui tale sistema si trova non e perfettamente determinato, di conseguenza si

hanno a disposizione solo informazioni parziali. D’altro canto, la meccanica quantistica

ha di per se un carattere probabilistico. Lo strumento matematico che consente di trarre

informazioni quanto piu complete possibili, raccordando le sue proprieta quantistiche e la

sua indeterminazione intrinseca e l’operatore densita.

Spesso lo stato del sistema in esame e uno stato misto, ossia una miscela statistica di stati

|ψ〉 =∑n

pn |ψn〉 (5.1)

59

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

con 0 ≤ p1, p2,... ≤ 1 e ∑n

pn = 1, (5.2)

dove i coefficienti p1, p2, p3, . . . rappresentano la probabilita che il sistema si trovi, rispet-

tivamente, nello stato |ψ1〉, |ψ2〉, |ψ3〉, . . . . E doveroso notare la distinzione fra lo stato

misto (5.1) e uno stato |ϕ〉 ottenuto da una sovrapposizione di stati |ϕn〉

|ϕ〉 =∑n

cn |ϕn〉 . (5.3)

In quest’ultimo caso il sistema ha probabilita |cn|2 di trovarsi nello stato |ϕn〉 e le varie

ampiezze di probabilita possono interferire fra loro dando luogo a termini cnc∗n′ , nello stato

misto (5.1), rappresentato dalla somma pesata di probabilita, invece, fra gli stati |ψn〉 non

vi e interferenza. Inoltre lo stato misto e affetto da una duplice indeterminazione: quella

puramente quantistica che si manifesta nelle misure di osservabili, legata al principio di

Heisenberg, e l’indeterminazione statistica, in virtu della quale non si conosce la situazione

iniziale del sistema.

Una situazione particolarmente fortunata si ha se e noto lo stato in cui si trova il sistema,

ossia se nella (5.1) tutte le probabilita pk sono nulle tranne una; in questo caso si dice

che il sistema si trova in uno stato puro. Se |un〉 e una base ortonormale, e noto che il

sistema in un particolare istante t si trova nello stato

|ψ(t)〉 =∑n

cn(t) |un〉 , (5.4)

dove le ampiezze di probabilita∣∣cn(t)

∣∣2 sono tali che∑n

∣∣cn(t)∣∣2 = 1, (5.5)

inoltre, se H(t) e l’Hamiltoniana del sistema, l’evoluzione temporale di |ψ(t)〉 e descritta

dall’equazione di Schrodinger

i~d

dt|ψ(t)〉 = H(t) |ψ(t)〉 . (5.6)

Il valore medio di un generico osservabile A rispetto allo stato |ψ(t)〉 e

〈A〉(t) = 〈ψ(t)|A |ψ(t)〉 =∑n,m

c∗n(t)cm(t) 〈un|A |um〉 =∑n,m

c∗n(t)cm(t)Anm, (5.7)

in cui Anm sono gli elementi della matrice 〈un|A |um〉 che rappresenta l’operatore A

rispetto alla base |un〉. Ebbene, si definisce operatore densita ρ, quell’operatore dello

60

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

spazio di Hilbert che nella base |un〉 e rappresentato da una matrice i cui elementi sono

c∗n(t)cm(t). Nel caso attuale in cui il sistema si trova nello stato puro |ψ(t)〉, l’operatore

densita e definito come

ρ(t) = |ψ(t)〉 〈ψ(t)| , (5.8)

i suoi elementi di matrice sono infatti

ρ(t)mn = 〈um|ρ |un〉 = 〈um |ψ(t)〉 〈ψ(t) |un〉 = c∗n(t)cm(t). (5.9)

La matrice di densita ρ(t) e dunque un operatore hermitiano ρ = ρ†. La sua conoscenza

consente di calcolare la media di qualsiasi grandezza che caratterizza il sistema e le pro-

babilita dei diversi valori della grandezza.

Si dimostrano facilmente alcune proprieta della matrice densita:∑n

∣∣cn(t)∣∣2 =

∑n

ρnn(t) = Trρ(t) = 1 (5.10)

la matrice densita ha dunque traccia unitaria; inoltre il valore medio di un osservabile A,

considerando la (5.7) e sfruttando la relazione di completezza per gli elementi della base

|un〉, si esprime come

〈A〉(t) =∑m,n

〈um|ρ |un〉 〈un|A |um〉

=∑M

〈um|ρ(t)A |um〉

= Trρ(t)A. (5.11)

L’evoluzione temporale dell’operatore ρ(t) si ricava dall’equazione di Schrodinger

d

dtρ(t) =

(d

dt|ψ(t)〉

)〈ψ(t)| + |ψ(t)〉

(d

dt〈ψ(t)|

)=

1

i~H(t) |ψ(t)〉 〈ψ(t)|+ 1

(−i~)|ψ(t)〉 〈ψ(t)|H(t)

=1

i~[H(t),ρ(t)

]. (5.12)

Estendendo ora l’argomentazione al caso piu generale in cui il sistema si trovi in uno stato

misto (5.1), la definizione della matrice densita si tramuta in

ρ =∑n

pn ρn =∑n

pn |ψn〉 〈ψn| . (5.13)

61

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

Anche in questo caso, la matrice densita del sistema e hermitiana, essendo i coefficienti

pn reali, ed inoltre persistono invariate le proprieta precedentemente esposte, riassumendo

brevemente

Trρ = 1 (5.14)

〈A〉 = TrρA (5.15)

i~d

dtρ(t) =

[H(t),ρ(t)

]. (5.16)

Inoltre se si richiede che l’operatore ρ sia stazionario, l’ultima equazione, che ne descri-

ve l’evoluzione temporale, conduce all’equivalente teorema quantistico del Teorema di

Liouville: [H(t),ρ(t)

]= 0, (5.17)

la condizione di stazionarieta si traduce per la matrice densita nell’avere forma diagonale.

Infine, sia |a〉 un generico stato, dalla definizione (5.13), si ha

〈u|ρ |u〉 =∑n

pn 〈u|ρn |u〉 =∑n

pn∣∣〈u |ψn〉∣∣2 (5.18)

dunque

〈u|ρ |u〉 ≥ 0, (5.19)

ossia, ρ e un operatore definito positivo.

5.2 Le distribuzioni statistiche

Si consideri un corpo macroscopico isolato, suddiviso in un gran numero di sottosistemi,

anch’essi macroscopici, in equilibrio termico fra loro. Sebbene l’energia totale del siste-

ma sia costante, le particelle costituenti il corpo si scambiano vicendevolmente energia

urtandosi l’un l’altra, dunque l’energia di ciascun singolo sottosistema e variabile; inoltre

il numero stesso di particelle in ogni sottosistema non e costante, ma fluttua oscillando

attorno ad un valore medio. Con l’ulteriore ipotesi che il sistema sia costituito da par-

ticelle identiche, si concentri l’attenzione su un particolare sottosistema. La probabilita

che tale sottosistema si trovi in uno stato quantistico caratterizzato da energia En e da N

particelle e descritta dalla matrice densita che in tali condizioni assume la forma

ρn,N = exp

(Ω + Φ− En,N

kT

)(5.20)

62

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

e prende il nome di distribuzione gran canonica. La probabilita dunque dipende oltre che

dall’energia En, anche dal potenziale di Gibbs Φ = Nµ, dove µ e il potenziale chimico,

dal potenziale termodinamico Ω = F − Φ, essendo F l’energia libera del sottosistema, e

ovviamente dalla temperatura T . Poiche il sistema si trova in equilibrio, la temperatura T

e il potenziale chimico µ sono ovunque costanti, mentre il potenziale Ω e l’energia libera F

sono caratteristici del sottosistema in esame. k e la costante di Boltzmann. La condizione

di normalizzazione∑N

∑n

ρn,N = eΩ/kT∑N

[eNµ/kT

∑n

e−En,N/kT]

= 1 (5.21)

impone che sia uguale a uno il risultato della sommatoria di ρn,N prima su tutti gli stati

quantistici n, per N fissato, e poi su tutti i valori del numero di particelle N . Da essa si

ottiene

eΩ/kT∑N

eNµ/kT∑n

e−En,N/kT = 1, (5.22)

applicando il logaritmo ad ambo i membri si ottiene

Ω

kT+ ln

[∑N

(eNµ/kT

∑n

e−En,N/kT)]

= 0 (5.23)

ossia

Ω = −kT ln

[∑N

(eNµ/kT

∑n

e−En,N/kT)]. (5.24)

La funzione

Z =∑N

[eNµ/kT

∑n

e−En,N/kT]

(5.25)

e detta funzione di ripartizione, la quale consente di determinare tutte le variabili termo-

dinamiche d’interesse, una volta ricavato il potenziale Ω.

Dalla distribuzione gran canonica appena illustrata, valida per un generico sistema ma-

croscopico in equilibrio termico, si puo derivare la distribuzione di probabilita per un gas

perfetto. Con gas perfetto si intende un gas in cui l’interazione fra le molecole costituenti

e talmente debole da poter essere trascurata. Fisicamente tale sistema si realizza se la

densita del gas e sufficientemente bassa cioe, in altre parole, se il gas e molto rarefatto;

in questo caso la distanza fra le molecole e maggiore del raggio di azione delle forze in-

termolecolari e dunque l’interazione sufficientemente piccola. Di conseguenza, poiche si

ipotizza che le molecole siano sostanzialmente indipendenti le une dalle altre, l’energia

totale del gas e data dalla somma dell’energia di ciascuna di esse. Per semplificare la

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

trattazione, si puo ulteriormente assumere che il gas sia costituito da particelle identiche

(molecole dello stesso tipo), di conseguenza esse avranno tutte lo stesso spettro energetico

e la determinazione dei livelli energetici En dell’intero sistema si riduce alla ricerca dei li-

velli energetici di una singola particella εi, dove l’indice i rappresenta l’insieme dei numeri

quantici che caratterizzano lo stato in cui si trova la molecola. Sia inoltre ni il numero di

particelle nello stato i-esimo, tale valore prende il nome di numero di occupazione dello

stato quantistico ed il suo valore medio e determinato dalla distribuzione di Boltzmann.

Se il gas e in equilibrio, la distribuzione di Boltzmann per il sottosistema del gas costituito

dalle particelle che si trovano nello stato i-esimo si ricava dalla distribuzione gran canonica

(5.20), che adattata all’attuale circostanza assume la forma

ρi,ni = exp

(Ω + µni − εini

kT

)(5.26)

ed e accompagnata dalla condizione di normalizzazione∑ni

ρi,ni = 1. (5.27)

Il valore medio di ni e, per definizione

〈ni〉 =∑ni

niρi,ni ; (5.28)

invero, siccome si opera sotto l’ipotesi di gas ideale, gas molto rarefatto, il numero medio di

particelle per stato dev’essere molto piccolo, di conseguenza e necessario che sia soddisfatta

la condizione

〈ni〉 1. (5.29)

Ora, la richiesta di convergenza della serie (5.28) imposta dalla (5.29) deve combinarsi con

la condizione di normalizzazione (5.27):

ρ0,n0+ ρ1,n1

+ ρ2,n2+ ρ3,n3

+ · · · = 1 (5.30)

ρ1,n1+ 2ρ2,n2

+ 3ρ3,n3+ · · · 1 (5.31)

di conseguenza dev’essere

ρ0,n0= eΩ/kT ∼ 1 (5.32)

e

ρi,ni 1 con ni = 1,2,3,. . . . (5.33)

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

Per il valore medio (5.28) si ha dunque

〈ni〉 = e (µ−εi)/kT + 2 e 2(µ−εi)/kT + 3 e 3(µ−εi)/kT + . . .

= e (µ−εi)/kT + 2[e (µ−εi)/kT

]2+ 3[e (µ−εi)/kT

]3+ · · · 1 (5.34)

e allora evidente che il termine predominante della somma e il primo e che i successivi

possono essere trascurati; si ottiene cosı la annunciata distribuzione di Boltzmann

〈ni〉 = exp(µ− εi

kT

). (5.35)

Si ribadisce che essa fornisce il numero medio di particelle presenti nello stato i-esimo la

cui energia e εi, pertanto se la si applica ad ogni stato quantistico del sistema, si ottiene

la distribuzione nei diversi stati delle molecole identiche di un gas perfetto in equilibrio

termico. Tuttavia e necessario sottolineare che la statistica di Boltzmann-Maxwell, di cui

la distribuzione (5.35) e colonna portante, fu elaborata in un contesto classico: le particelle

del sistema erano infatti assunte come identiche ma distinguibili. Il carattere probabilistico

della meccanica quantistica invece priva ogni particella della propria identita: il princi-

pio di indeterminazione di Heisenberg non consente di assegnare ad una particella delle

coordinate spaziali ben definite e lo strumento di localizzazione e la sua funzione d’onda,

il cui modulo quadro rappresenta, appunto, la probabilita che essa ha di trovarsi in una

regione finita dello spazio. In un sistema di molte particelle, le funzioni d’onda possono so-

vrapporsi fra loro, dunque diventa impossibile individuare per ogni particella la rispettiva

funzione d’onda e viceversa. Nella descrizione quantistica di un sistema e necessario tener

conto dell’indistinguibilita di particelle identiche e di conseguenza i risultati delle misure

devono essere invariati per scambio di particelle. Questo si traduce in specifiche proprieta

di simmetria per le funzioni d’onda: un sistema di particelle a spin intero, i bosoni, de-

v’essere descritto da una funzione d’onda simmetrica rispetto allo scambio di due bosoni;

invece un sistema di particelle a spin 12 , i fermioni, e ulteriormente vincolato dal principio

di esclusione di Pauli, che impedisce a due particelle di trovarsi in uno stato quantistico

caratterizzato dagli stessi numeri quantici, cio e garantito se e solo se la funzione d’onda

del sistema e antisimmetrica.

e inoltre doveroso concentrare l’attenzione sulla questione energetica: come e stato det-

to in precedenza la rottura di fondo fra la meccanica classica e la meccanica quantistica

risiede nella quantizzazione dell’energia. Nelle distribuzioni statistiche classiche, l’energia

puo variare con continuita e assumere qualunque valore, mentre le distribuzioni quanti-

stiche, che saranno esposte a breve, poggiano sull’ipotesi imprescindibile che l’energia del

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

sistema sia quantizzata e che dunque solo alcuni valori siano consentiti. La distribuzione

gran canonica e la distribuzione di Boltzmann, essendo nate come distribuzioni classiche,

assumono, nella loro formulazione originale, l’energia come una variabile continua; nell’e-

sporre le due distribuzioni in forma quantistica (5.20) e (5.35), l’ipotesi di quantizzazione

dell’energia e implicita e la loro validita anche in ambito quantistico e indubbia, a meno

della precisazione sull’indistiguibilita delle particelle appena esposta.

Come anticipato il mondo bosonico e descritto dalla statistica di Bose-Einstein, quello

fermionico dalla statistica di Fermi-Dirac. Le distribuzioni dei due sistemi si ricavano dal

potenziale termodinamico (5.24).

Si consideri dunque un gas ideale in equilibrio alla temperatura T , costituito da bosoni o

fermioni non interagenti fra loro. Il potenziale termodinamico Ωi per il sottoinsieme del

gas costituito da tutte le particelle che si trovano nello stato quantistico i-esimo e

Ωi = −kT ln

[∑ni

exp(µnikT− εini

kT

)]. (5.36)

dove εi e l’energia del livello in esame e ni il suo numero di occupazione che assume valori

differenti a seconda che le particelle del gas siano fermioni o bosoni, in particolare

ni = 1,2,3, . . . per un sistema di bosoni (5.37)

ni = 0,1 per un sistema di fermioni (5.38)

Si ha

Ωi = −kT ln

[∑ni

exp(µ− εi)ni

kT

]

= −kT ln

[∑ni

exp(µ− εi

kT

)ni]. (5.39)

Noto il potenziale termodinamico Ωi, il numero medio di particelle dell’i-esimo stato

quantistico 〈ni〉, si ricava dalla relazione

〈ni〉 = −

(∂Ωi

∂µ

)T,V

. (5.40)

A questo punto, considerando la condizione (5.38) si ottiene

ΩFi = −kT ln

[1 + e(µ−εi)/kT

], (5.41)

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

dunque

〈ni〉F = −

(∂ΩF

i

∂µ

)T,V

= kTe(µ−εi)/kT

1 + e(µ−εi)/kT1

kT=

e(µ−εi)/kT

1 + e(µ−εi)/kT(5.42)

e finalmente

〈ni〉F =1

e(εi−µ)/kT + 1. (5.43)

E questa la distribuzione di Fermi-Dirac valida per un gas perfetto di fermioni, in cui il

potenziale chimico µ puo assumere tutti i valori da −∞ a +∞. Essa e normalizzata dalla

condizione ∑i

〈ni〉F = N (5.44)

ossia ∑i

1

e(εi−µ)/kT + 1= N (5.45)

dove N e il numero totale di fermioni presenti nel gas. Inoltre il potenziale termodinamico

dell’intero sistema si ottiene sommando su tutti gli stati quantistici:

ΩF =∑i

ΩFi = −kT

∑i

ln[1 + e(µ−εi)/kT

]. (5.46)

Con analogo procedimento, si ricava la distribuzione per un gas di bosoni, il cui potenziale

termodinamico relativo allo stato i-esimo, tenendo conto della (5.37), e

ΩBi = −kT ln

[∑ni

(exp

µ− εikT

)ni]; (5.47)

la serie di quest’ultima relazione e una serie geometrica che converge se e solo se

eµ−εi/kT = eµ/kT e−εi/kT < 1, (5.48)

in altre parole, il potenziale termodinamico ΩBi converge se e solo se e soddisfatta la

condizione

µ ≤ 0, (5.49)

in qual caso si ha

ΩBi = −kT ln

[ 1

1− e(µ−εi)/kT

]= kT ln

[1− e(µ−εi)/kT

]. (5.50)

67

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

Infine, il numero medio di bosoni nello stato i-esimo e aventi energia εi e

〈n〉B = −

(∂ΩB

i

∂µ

)T,V

= −kT −e(µ−εi)/kT

1− e(µ−εi)/kT1

kT=

e(µ−εi)/kT

1− e(µ−εi)/kT(5.51)

da cui, la distribuzione di Bose-Einstein, valida per un gas ideale di bosoni

〈n〉B =1

e(εi−µ)/kT − 1. (5.52)

Se N e il numero totale di bosoni che costituiscono il gas ideale, la condizione di norma-

lizzazione anche in questo caso e∑i

1

e(εi−µ)/kT − 1= N, (5.53)

e il potenziale termodinamico del sistema

ΩB = kT∑i

ln[1− e(µ−εi)/kT

]. (5.54)

Tenendo ben presenti le due distribuzioni quantistiche appena determinate, (5.43) e (5.52),

sono d’obbligo alcune riflessioni. Innanzitutto osservando la distribuzione di Fermi (5.43)

si osserva che per ogni stato quantistico, il numero di fermioni che esso contiene e 0 ≤〈n〉F ≤ 1, nel rispetto del principio di esclusione di Pauli, mentre per un gas di bosoni, il

numero di occupazione per ogni stato quantistico varia da zero a infinito, 0 ≤ 〈n〉B ≤ ∞, a

dimostrazione che per particelle a spin intero, la presenza di un bosone in un determinato

stato quantistico, non inibisce l’arrivo di un’ulteriore presenza. Inoltre, da un confronto

fra le distribuzioni di Bose-Einstein e Fermi-Dirac

〈ni〉B =1

e(εi−µ)/kT − 1〈ni〉F =

1

e(εi−µ)/kT + 1

con la distribuzione di Boltzmann

〈ni〉 = e(µ−εi)/kT

e evidente che se exp[(εi − µ)/kT ] 1 ed in particolare se µ −→ −∞, le distribuzio-

ni quantistiche approssimano la distribuzione di Boltzmann, fornendo lo stesso numero

medio di particelle per stato 〈n〉Boltz ∼ 〈n〉B ∼ 〈n〉F 1. Tale limite si ritrova anche

nel caso di temperature piuttosto alte, quando la distribuzione di Boltzmann prevede un

numero di occupazione molto minore di uno, di conseguenza la possibilita di trovare due

o piu particelle nello stesso stato e molto bassa, le differenze fra fermioni e bosoni sono

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

irrilevanti e dunque le predizioni statistiche delle tre distribuzioni coincidono. Al contra-

rio, a temperature molto basse i loro comportamenti quantistici non possono piu essere

ignorati: il principio di esclusione di Pauli, per bocca della distribuzione di Fermi, vieta

la presenza di due fermioni nello stesso stato, mentre vi e libera possibilita, per i bosoni,

di convivere nel medesimo stato. In particolare, allo zero assoluto, T = 0, la distribuzione

di Fermi-Dirac e rappresentata da una funzione a gradini

〈ni〉F =

0 µ > εi

1 µ < εi

(5.55)

la quale, inoltre, assume il valore 12 se µ = εi; fisicamente cio significa che per T = 0,

le particelle del gas si dispongono nei diversi stati quantistici in modo tale che l’energia

totale del gas abbia il valore minimo possibile. Dunque, a partire dallo stato fondamentale

ε0 = 0, occupano i soli stati con energia minore di εi (ogni stato e ovviamente occupato

da un unico fermione), mentre gli stati con energia superiore risultano vuoti. I livelli

energetici che ospitano i fermioni costituiscono la cosiddetta sfera di Fermi nello spazio

degli impulsi e l’energia che ne delimita il confine, cioe quella che caratterizza l’ultimo

stato occupato, e detta energia di Fermi.

5.3 Condensazione di Bose-Einstein

La descrizione di un gas di bosoni allo zero assoluto, consente invece di introdurre il

fenomeno di condensazione di Bose. Si consideri a tal fine un sistema di particelle a spin

intero, non relativistiche e non interagenti fra loro, contenute in una scatola cubica di

lato L e volume V , posta nello spazio libero, non soggetta ad alcun campo esterno. Dal

momento che il gas e contenuto in una regione finita, l’autofunzione di ogni particella e

soggetta a condizioni al contorno che ne impongono la forma

ψ =( 8

V

)sin

(2πnxL

x

)sin

(2πnyL

y

)sin

(2πnzL

z

). (5.56)

L’insieme degli stati consentiti ha la forma di una griglia rettangolare nello spazio dei

vettori d’onda k. La densita media di stati per unita di volume e V/8π3; se il volume

V e molto grande rispetto alle dimensioni della griglia, allora la distribuzione degli stati

permessi si puo assumere continua. Analogamente la densita di stati per unita di volume

nello spazio dei momenti p = ~k e V/(2π~)3. Tutti gli stati quantistici aventi un impulso

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

p variabile nell’intervallo [p,p +dp], sono contenuti di una sfera 4πp2dp nello spazio degli

impulsi e sono in numero

dτ = g

(V

(2π~)3

)(4πp2) dp

= gV

2π2~3p2dp (5.57)

dove il fattore g = 2s+1 contiene la degenerazione dell’impulso p rispetto allo spin s di ogni

bosone. Inoltre, poiche si considera particelle di massa m libere, non relativistiche, la loro

energia e dovuta esclusivamente alla loro componente cinetica ε = p2/2m, di conseguenzadpdε = m√

2mε, ossia dp =

√m2ε dε. Si puo cosı affermare che il numero di stati aventi energia

ε compresa nell’intervallo [ε, ε+ dε] e

dτε = g

(V

2π2~3

)(2mε)

√m

2εdε

= gV m3/2

√2π2~3

√ε dε. (5.58)

La distribuzione di Bose-Einstein (5.52) consente allora di determinare il numero di bosoni

nel suddetto intervallo energetico

dNε = 〈nε〉dτε = gV m3/2

√2π2~3

√ε

e(ε−µ)/kT − 1dε, (5.59)

e il numero totale di particelle del gas

N =

∫ ∞0

dNε = gV m3/2

√2π2~3

∫ ∞0

√ε

e(ε−µ)/kT − 1dε. (5.60)

Quest’ultima e una relazione generale, valida per qualunque temperatura di equilibrio T ,

con potenziale chimico variabile fra −∞ e 0. La situazione diventa interessante quando la

temperatura T diminuisce progressivamente, mediante una successione di stati di equilibrio

termico, pur restando costante la densita N/V . In questo caso l’integrale

I(T,µ) =

∫ ∞0

f(ε)

e(ε−µ)/kT − 1dε (5.61)

che compare nella relazione (5.60), e una funzione monotona crescente, dunque affinche

N/V resti costante, al diminuire di T il potenziale chimico µ dovra necessariamente au-

mentare, cioe dovra diminuire in modulo. Esso raggiungera il valore limite µ = 0 alla

70

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

temperatura, detta temperatura di degenerazione, T = T0 che si ricava dalla relazione

(5.60)

N

V= g

m3/2

√2π2~3

∫ ∞0

√ε

eε/kT0 − 1dε. (5.62)

La sostituzione z = ε/kT0 consente di esprimere la densita do bosoni come

N

V= g

(kmT0)3/2

√2π2~3

∫ ∞0

√z

ez − 1dz

= g(kmT0)3/2

√2π2

(2π

h

)3 ∫ ∞0

√z

ez − 1dz

= g

(√2πmkT0

h

)32√π

∫ ∞0

√z

ez − 1dz =

g

λ3

2√π

∫ ∞0

√z

ez − 1dz, (5.63)

dove λ = h/√

2πmkT e la lunghezza d’onda di de Broglie. La soluzione di quest’ultimo

integrale si ottiene sfruttando la relazione∫ ∞0

zx−1

ez − 1dz = ζ(x)Γ(x), (5.64)

dove ζ(x) e la funzione zeta di Riemann e Γ(x) e la funzione gamma di Eulero; si nota

infatti che ∫ ∞0

z12

ez − 1dz =

∫ ∞0

z32−1

ez − 1dz = ζ(3/2) Γ(3/2), (5.65)

dunque sapendo che ζ(3/2) ≈ 2,612 e Γ(3/2) =√π/2, la densita (5.63) risulta essere

N

V=

g

λ3ζ(3/2) = g

(√2πmkT0

h

)3

ζ(3/2), (5.66)

da cui si ricava la temperatrua T0

T0 = g−2/3 h2

2πm

(N

V ζ(3/2)

)2/3

. (5.67)

A questo punto, la temperatura del sistema non potrebbe ulteriormente diminuire perche

altrimenti il potenziale chimico µ assumerebbe valori positivi, il che non e consentito nella

statistica di Bose-Einstein. La contraddizione a cui si e giunti ha le sue radici nel passaggio,

non completamente lecito, da stati discreti a stati continui. Infatti, nel sostituire la somma

(5.53) con l’integrale (5.59), si ha perdita di informazione circa lo stato fondamentale ε0 = 0

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

che nell’integrale scompare:√ε = 0 per ε = 0. Inoltre, alla temperatura T0, quando il

potenziale chimico si annulla, la (5.53) diviene

N =∑i

1

eεi/kT0 − 1=

1

eε0/kT0 − 1+

1

eε1/kT0 − 1+

1

eε2/kT0 − 1+ . . . , (5.68)

in questa circostanza, i termini corrispondenti agli stati eccitati, εi 6= 0, tendono ad un

valore finito, mentre il primo termine, relativo allo stato fondamentale, caratterizzato

quindi da energia nulla, ε0 = 0, diverge. Per ovviare a questo inconveniente, si puo far

tendere µ non a zero, ma ad una quantita infinitesima, garantendo cosı la convergenza

di ciascun termine della sommatoria. Allora per T < T0 ci saranno particelle negli stati

eccitati, con ε > 0, distribuite al variare dell’energia secondo la (5.59), con µ = 0, e il cui

numero totale e

Nε>0 = gV m3/2

√2π2~3

∫ ∞0

√ε

eε/kT − 1dε

= gV (mT )3/2

√2π2~3

∫ ∞0

√z

ez − 1dz

= N

(T

T0

) 32

. (5.69)

Invece, le particelle ad energia nulla saranno

N0 = N −Nε>0 = N

[1−

(T

T0

) 32]. (5.70)

Quanto appena esposto illustra come avvicinandosi allo zero assoluto, oltre la temperatura

di degenerazione T0, i bosoni del gas perfetto convoglieranno tutti nello stato energetico

fondamentale; in tale configurazione le funzioni d’onda dei bosoni si sovrappongono l’un

l’altra dando luogo ad un nuovo oggetto, una sorta di “superatomo”. E questa la ragione

per cui si e dato al fenomeno il nome di condensazione di Bose-Einstein .

5.4 Condensato di Bose-Einstein

“E nuovo stato della materia. Ha un comportamento completamente diverso da qualunque

altro materiale”. Sono queste le parole di Carl Wieman che, nel 1995, accompagnarono

verso le luci della ribalta il primo condensato di Bose-Einstein. Si tratta di una piccolis-

sima palla di atomi di rubidio, dal diametro di circa 20 micrometri, realizzata all’interno

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

di un contenitore di vetro a forma di carota, ad una temperatura di circa 170 nanokelvin,

la minima temperatura mai raggiunta fino ad allora. Il lavoro, compiuto nei laboratori

JILA, congiunti con l’Universita del Colorado a Boulder, valse il premio Nobel, nel 2001,

ai suoi artefici Carl Wieman, Eric Cornell e Wolfgang Ketterle.

Il processo che conduce al condensato di Bose si compone sostanzialmente di due stadi, la

cattura e il raffreddamento di un gas, costituito da atomi di rubidio, attraverso cosiddette

laser e magnetic traps. La prima di queste ‘trappole’ si ottiene disponendo una serie di

laser di modo che gli atomi del gas siano bombardati in ogni direzione da fasci di luce; cosı

facendo, come spiego Weiman, “e come se gli atomi si trovassero all’interno di una forte

grandinata”, per cui essi vengono incessantemente colpiti da fotoni, indipendentemente

dalla direzione in cui si muovono. Tale flusso costante di luce produce un gran numero

di urti fra fotoni e atomi di Rb, cosicche quest’ultimi perdono energia, rallentano e si

raffreddano, raggiungendo una temperatura di circa 10 milionesimi di grado sopra lo zero.

Nel provocare questo temporale di fotoni, e necessario tener presente l’effetto Doppler,

che induce in inganno gli atomi, i quali andando incontro ai fotoni ne ‘vedono’ una lun-

ghezza d’onda piu spostata verso il rosso. Lo spostamento dipende inoltre dalla velocita

dell’atomo incidente, ed in particolare esso e maggiore per gli atomi piu lenti; e necessario

dunque regolare la lunghezza d’onda del fotone in modo che esso possa interagire solo con

gli atomi piu veloci.

Un’insidia sorge nel momento in cui gli atomi, rallentando, variano la propria lunghezza

d’onda, non risentono piu della presenza del fascio luminoso, e muovendosi indisturbati

potrebbero urtare contro le pareti di vetro ed acquistare nuovamente energia. Per evitare

quest’incombenza, si avvolge l’ampolla di vetro con due bobine percorse da corrente che

circolano in verso opposto: si crea dunque un campo magnetico la cui intensita e massi-

ma ai bordi del contenitore e diminuisce verso l’interno. Esso agisce sui fotoni dei laser

facendo variare la loro lunghezza d’onda man mano che gli atomi rallentano; di conse-

guenza persistono urti fra fotoni ed atomi e quest’ultimi, respinti nella zona centrale del

contenitore, sono in trappola. La possibilita di ridurre la temperatura del gas sfruttan-

do la trappola laser e pero limitata dall’energia dei fotoni stessi, energia che, per quanto

piccola, viene trasferita agli atomi che dunque continueranno a muoversi. Si procede per-

tanto spegnendo i laser e applicando un ulteriore campo magnetico, piu intenso di quello

utilizzato nella laser trap, ma con ugual obiettivo: tener lontani gli atomi dalla parete di

vetro. Ora pero il campo e talmente intenso da agire direttamente sui momenti di dipolo

magnetici degli atomi, costringendoli al centro dell’ampolla senza la luce dei laser attorno.

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5 – Condensazione di Bose-Einstein

E questa la cosiddetta magnetic trap. Essa introduce l’ultima fase dell’esperimento, cioe il

raffreddamento per evaporazione, evaporative cooling. Lavorando un po’ di fantasia, si puo

paragonare tale meccanismo con quanto accade ad una tazza di caffe calda: le molecole di

caffe piu energetiche riescono a sfuggire dalla superficie del liquido sotto forma di vapore,

sottraendo una certa quantita di calore alle molecole rimaste all’interno della tazzina, che

di conseguenza si raffreddano. Analogamente, l’idea del gruppo di Boulder e stata quella

di selezionare e mandar via dalla trappola magnetica gli atomi piu caldi, cercando pero di

conservare all’interno, dove la temperatura aveva raggiunto i 170 nanokelvin, una densita

sufficientemente alta di atomi di Rb per poter ottenere l’ambito condensato.

How is BEC made? The Introduction

It took 70 years to realize Einstein's concept ofBose-Einstein condensation in a gas. It was firstaccomplished by Eric Cornell and Carl Wieman inBoulder, Colorado in 1995. They did it by cooling

atoms to a much lower temperature than had beenpreviously achieved. Their technique used laser light tofirst cool and hold the atoms, and then these atoms werefurther cooled by something called evaporative cooling.

It looks like a pretty simple piece of equipment forsuch an important experiment. Is that really all therewas?

Not exactly. There is a table full of equipmentassociated with the lasers, and they needed toproduce exactly the right color of light. Also thereis a computer and a bunch of other electronic

equipment for controlling everything and making

BEC: How is BEC made? The Introduction http://www.colorado.edu/physics/2000/bec/how_its_made.html

1 di 2 21/01/12 14:13

Figura 5.1. Apparato sperimentale

La mattina del 5 giungo 1995 lo scopo era raggiunto: illuminato da un’intensa luce rossa,

Cornell e colleghi osservarono materializzarsi sul fondo dell’ampolla di vetro un piccolo

e denso grumo di materia. Per poco piu di 15 secondi, circa duemila atomi di rubidio

diedero forma al primo condensato di Bose-Einstein.

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Capitolo 6

Verifiche sperimentali dell’effetto

Casimir

La forza di Casimir e un condensato di Bose-Einstein sono accomunati da una peculiarita:

fungono da ponte fra realta quantistica e realta classica. Sinteticamente la forza di Casi-

mir puo essere definita come una forza di origine quantistica che si manifesta nel mondo

macroscopico; un condensato di Bose-Einstein e un corpo macroscopico regolato da leggi

quantistiche o, piu precisamente, uno stato coerente macroscopico. Inoltre i condensati di

Bose sono utilizzati in molti degli esperimenti atti alla misurazione della forza di Casimir.

La storia sperimentale dell’effetto Casimir inizia circa un decennio dopo la sua formula-

zione teorica per mano del fisico olandese. Il fenomeno tuttavia tardo ad avere riscontri

nei laboratori del periodo. Numerosi furono i tentativi in questa direzione, ma molto poco

soddisfacenti i risultati. Le principali difficolta incontrate riguardavano non tanto la mi-

sura effettiva della forza di Casimir, essendo questa relativamente intensa entro distanze

dell’ordine di pochi micrometri, quanto piuttosto la perfetta calibrazione e disposizione

dell’apparato sperimentale.

Nel corso degli anni la strumentazione, sempre piu efficiente e sofisticata, ha consentito

di raggiungere traguardi significativi. Gli esperimenti condotti si distinguono l’un l’altro

oltre che per strumenti e metodologie, anche per la geometria del sistema di conduttori.

Il primo tentativo di misura della forza nella configurazione originale illustrata da Casi-

mir (due lastre conduttrici parallele), fu effettuato da Sparnaay [12] nel 1958; sebbene

nei suoi esperimenti emerse una forza attrattiva, i risultati erano affetti da un’incertezza

del 100% che non consentiva di ergerli a prova sperimentale, ma almeno, come spiego

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6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir

Sparnaay, “non contraddicevano le predizioni teoriche di Casimir”. Successivamente Blo-

kland e Oveerbeek, era il 1978, pensarono misurare la forza di Casimir fra una superficie

piana conduttrice e un conduttore sferico, in modo da svincolarsi dal problema di paral-

lelismo delle lastre emerso nell’operazione dei predecessori. I risultati furono positivi, ma

l’incertezza di cui erano affetti i risultati era ancora piuttosto alta, del 25%.

Il primo risultato entusiasmante emerse a Seattle, all’Universita di Washington, nel

1995. Lamoreaux alla guida del progetto, annuncio che “l’azione delle fluttuazioni di

vuoto fra due superfici conduttrici era finalmente stata dimostrata” [14]. Nel processo di

misurazione fu utilizzato un sistema elettromeccanico basato su un pendolo a torsione.

Anche a Seattle, la scelta fu quella di una lastra piana di quarzo, di larghezza 2,54 cm

e spessore 0,5 cm, e una lente sferica di 4 cm di diametro; la prima posizionata su un

braccio del pendolo, la seconda su un sistema di microposizionamento piezoelettrico che

consentiva di variare con alta precisione la distanza fra i due conduttori. Tale configura-

zione geometrica comporta una correzione all’espressione della forza di Casimir, dovuta

all’introduzione della cosı detta proximity force approximation (PFA), la quale deriva dal-

l’interazione coulombiana, e richiede che le superfici conduttrici siano separate da una

distanza molto piu piccola della loro curvatura. Se R e il raggio della sfera e d la distanza

dalla lastra, la forza di Casimir, in modulo, e

FC =π3~c360

R

d3, (6.1)

valida se R d.

Il primo passo dell’esperimento fu quello di cercare di eliminare gli effetti di viscosita,

portando il sistema ad una situazione di vuoto di 10−4 torr, ma la fase cruciale dell’espe-

rienza consisteva nel mantenere il pendolo ad un angolo fisso. L’obiettivo fu raggiunto

utilizzando un sistema di feedback, costituito da due piastre compensatrici poste ai due

lati del pendolo a formare un condensatore. La posizione del pendolo veniva calibrata di

volta in volta misurando le capacita dei compensatori e verificando che esse fossero uguali,

qualora cio non era verificato, si applicava ad essi una piccola tensione correttiva.

Nello stadio di preparazione alla misura, la calibrazione del sistema avveniva attraverso

misure elettriche basate sulla variazione della capacita del condensatore costituito dai due

conduttori, in funzione della distanza fra di essi. Tra i due conduttori, a causa dell’ap-

parecchiatura interna del circuito di cui facevano parte, era presente un potenziale di 430

mV che fu eliminato applicando una tensione esterna in modo da lasciare solo una minimo

potenziale δV assunto come ‘zero’. La presenza di un potenziale intrinseco cosı intenso

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6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir

fu inoltre la causa di una sovrapposizione di forze elettrostatiche alla forza di Casimir e

dunque fu necessario utilizzare particolari tecniche di sottrazione che eliminassero il con-

tributo di tali forze, facendo emergere esclusivamente l’interazione di interesse.

La forza di Casimir fu misurata variando di una quantita discreta per volta la tensione

applicata al sistema piezoelettrico e ricavando, ad ogni passo, la forza di richiamo del

pendolo attraverso la misura della variazione della quantita δV necessaria per mantenere

l’angolo fisso. Ogni misura risultava affetta da un’accuratezza di 0,01 µm. Lo spostamen-

to massimo a 92V fu di 12,3 µm, mentre lo spostamento medio misurato, corrispondente

a 5,75V, risulto essere 0,75 µm. L’intervallo di indagine ricoprı una distanza fra le due

superfici conduttrici da 0,6 µm a 6 µm, con un’accuratezza del 5% sulle misure.

I punti deboli dell’esperienza di Lamoreaux consistevano nel fatto che non furono va-

lutate le deviazioni della forza misurata da quella ideale, dovute alla finita conducibilita

dei conduttori ed alla loro ruvidezza. A tale mancanza cerarono di sopperire Mohideen e

Roy [15] nel 1998 a Riverside.

L’esperimento fu realizzato a temperatura ambiente e pressione di 50 mTorr. Essi utiliz-

zarono un microscopio a forza atomica per misurare la forza di Casimir fra una sfera di

polistirene, dal diametro di 196 µm, e un disco di zaffiro di diametro 1,25 cm. La sfera fu

collocata sulla punta della microleva del microscopio e il tutto, disco compreso, ricoperto

di alluminio per garantire un alto potere riflessivo al sistema.

La fase di calibrazione dell’apparato sperimentale, fu simile a quella descritta nella si-

tuazione precedente: un potenziale esterno veniva applicato per compensare la tensione

interna, di circa 30 mV, presente quando i due conduttori erano messi a terra. Il processo

di misura fu effettuato invece facendo incidere un fascio laser sulla sfera e raccogliendo il

raggio riflesso per mezzo di due fotodiodi. La deflessione della microleva, provocata dal

VOLUME 81, NUMBER 21 P HY S I CA L REV I EW LE T T ER S 23 NOVEMBER 1998

where Ar is the average roughness amplitude, and equal

roughness for both surfaces has been assumed. There

are also corrections due to the finite temperature [12,18]

given by

Fc!d" ! FRc !d"

"1 1

720p2 f!j"

#, (4)

where f!j" ! !j3#2p"z !3" 2 !j4p2#45", j !2pkBTd#hc ! 0.131 3 1023d nm21 for T ! 300 ±K,and z !3" ! 1.202 . . . , is the Riemann zeta function, andkB is the Boltzmann constant.

We use a standard AFM to measure the force be-

tween a metallized sphere and flat plate at a pressure of

50 mTorr and at room temperature. A schematic dia-

gram of the experiment is shown in Fig. 1. Polystyrene

spheres of 200 6 4 mm diameter were mounted on the tipof 300 mm long cantilevers with Ag epoxy. A 1.25 cm

diameter optically polished sapphire disk is used as the

plate. The cantilever (with sphere) and plate were then

coated with 300 nm of Al in an evaporator. Aluminum

is used because of its high reflectivity for wavelengths

(sphere-plate separations) .100 nm and good representa-

tion of its reflectivity in terms of a plasma wavelength

lp $ 100 nm [19]. Both surfaces are then coated with

a less than 20 nm layer of 60% Au#40% Pd (measured

at . 90% transparency for l , 300 nm [20]). This was

necessary to prevent any space charge effects due to patch

oxidation of the Al coating. A scanning electron micro-

scope (SEM) image of the coated cantilever with sphere

attached is shown in Fig. 2. The sphere diameter was

measured using the SEM to be 196 mm. The average

roughness amplitude of the metallized surfaces was mea-

sured using an AFM to be 35 nm.

In the AFM, the force on a cantilever is measured by

the deflection of its tip. A laser beam is reflected off the

cantilever tip to measure its deflection. A force on the

sphere would result in a cantilever deflection leading to

a difference signal between photodiodes A and B (shown

FIG. 1. Schematic diagram of the experimental setup. Appli-cation of voltage to the piezo results in the movement of theplate towards the sphere. The experiments were done at a pres-sure of 50 mTorr and at room temperature.

in Fig. 1). This force and the corresponding cantilever

deflection are related by Hooke’s law: F ! kDz, where kis the force constant, and Dz is the cantilever deflection.The piezoextension with applied voltage was calibrated

with height standards, and its hysteresis was measured.

The corrections due to the piezohysteresis (2% linear

correction) and cantilever deflection (to be discussed

later) were applied to the sphere-plate separations in all

collected data.

To measure the Casimir force between the sphere and

plate they are grounded together with the AFM. The

plate is then moved towards the sphere in 3.6 nm steps

and the corresponding photodiode difference signal was

measured (approach curve). The signal obtained for a

typical scan is shown in Fig. 3(a). Here “0” separation

stands for contact of the sphere and plate surfaces. It

does not take into account the absolute average separation

$120 nm due to the 20 nm Au#Pd layer (transparent atthese separations [20]) and the 35 nm roughness of the Al

coating on each surface. Region 1 shows that the force

curve at large separations is dominated by a linear signal.

This is due to increased coupling of scattered light into the

diodes from the approaching flat surface. Embedded in

the signal is a long range attractive electrostatic force from

the contact potential difference between the sphere and the

plate and the Casimir force (small at such large distances).

In region 2 (absolute separations between contact and

350 nm) the Casimir force is the dominant characteristic

far exceeding all the systematic errors (the electrostatic

force is less than 3% of the Casimir force in this region).

Region 3 is the flexing of the cantilever resulting from

the continued extension of the piezo after contact of

the two surfaces. Given the distance moved by the flat

plate (x axis), the difference signal of the photodiodes

can be calibrated to a cantilever deflection in nanometers

using the slope of the curve in region 3. The deflection

of the cantilever leads to a decrease in the sphere-plate

FIG. 2. Scanning electron microscope image of the metallizedsphere mounted on a AFM cantilever.

4550

Figura 6.1. Schema del microscopio a forza atomica sfruttato da Mohideen e Roy permisurare la forza di Casimir.

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6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir

fascio laser, induceva una variazione nei segnali rivelati dai due fotodiodi; valutando tale

variazione si poteva risalire alla deflessione e la forza fra i due conduttori veniva ottenuta

sfruttando semplicemente la legge di Hooke F = k∆z, dove k e la costante della forza e ∆z

la deflessione della microleva. L’operazione fu ripetuta numerose volte, facendo avvicinare

di 3,6 nm per misura, il disco alla sfera.

Nell’analizzare i dati registrati, il gruppo californiano riuscı a stimare numerosi fattori di

disturbo esterni: la conducibilita finita, la ruvidezza del materiale, e la temperatura finita.

Inoltre essi riuscirono a valutare l’errore sistematico nella misura effettiva della distanza

fra le due superfici, dovuto alla flessione della microleva stessa e alla presenza di una forza

elettrostatica, generata dal potenziale residuo presente fra i due conduttori. Grazie alla

precisione degli strumenti utilizzati, dovuta in particolare al grande raggio di curvatura e

all’utilizzo del laser, Mohideen e Roy furono in grado di misurare la forza di Casimir per

distanze comprese fra 0,1 e 0,9 µm, con l’1% di accuratezza.

La geometria sferico-planare fu adottata in successivi esperimenti, ad Harvard ed ai

laboratori Bell, accompagnata dall’utilizzo di materiali e strumenti d’indagine ovviamente

diversi, ma contemporaneamente vennero analizzate anche altre strutture geometriche, ad

esempio e stata osservata la forza di Casimir fra due cilindri incrociati (Ederth) e fra due

emisferi. L’ultimo caso e di particolare rilevanza perche ebbe un risultato non contem-

plato teoricamente, ossia una forza di Casimir repulsiva. Fu invece in Italia, che l’idea

di Casimir trovo compimento. Dopo Spanraay, nessun tentativo di misurare la forza fra

due piastre parallele ando a buon fine, soprattutto a causa di quel perfetto parallelismo

estremamente difficile da realizzare. All’Universita di Padova, nel 2002, il problema fu

risolto utilizzando come strumento per la misura dello spostamento un interferometro a

fibra ottica e riducendo sensibilmente i fattori di disturbo ambientali.

Il gruppo di ricerca, guidato da Onofrio e Bressi, osservo l’effetto attrattivo fra le due

lastre, con distanze di separazione comprese tra 0,5 e 3,0 µm, ottenendo risultati con pre-

cisione al 15%.

Le due superfici parallele fra cui si esercitava la forza erano quelle di una microleva, posi-

zionata su una base di rame e libera di oscillare attorno al proprio perno, e la faccia, ad

essa opposta, di un’altra leva rigida piu sottile (chiamata sorgente). Ciascuna era collegata

ad un motorino che permetteva di ruotarle, in modo da garantire la condizione di paral-

lelismo, la sorgente inoltre era fissa su un sistema piezoelettrico lineare in ceramica, che

consentiva di controllare e modificare opportunamente la distanza fra di esse. Entrambe

le leve erano di silicone, ricoperte da un sottile strato di cromo e avevano le dimensioni di

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6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir

Precision

Voltage

Calibrator

Source

Cantilever

Linear PZTOptical Fiber

Interferometer

SEM Vacuum Enclosure

Detection

Fiber

Spectrum

Analyzer

Support

Capacitance

Meter

Switch

Figura 6.2. Schematizzazione dell’apparato sperimentale utilizzato nell’esperimento di Padova

1,9 cm × 1,2 mm con spessore di 50 nm per la sorgente e di 47 µm per l’altra.

Nella prima fase dell’esperimento si utilizzarono particolari tecniche per eliminare le par-

ticelle di polvere dalle due superfici, per poi procedere con la determinazione del paralle-

lismo. Questo si raggiungeva massimizzando la capacita del sistema alla minima distanza

ottenibile: si ricavo un valore di 22 pF corrispondente ad una separazione fra le due leve

pari a 0,4 µm.

Inoltre furono valutate le deviazioni rispetto alla neutralita elettrica delle due superfici,

determinando il potenziale V0 dovuto alla presenza di diversi materiali metallici presenti

nel circuito. Questo fu possibile applicando, per varie distanze fra le piastre, un campo

esterno Vc e misurando, di volta in volta, l’inclinazione della microleva che ne conseguiva;

si ottenne un valore di V0 di circa -68 mV. Fu possibile stimare la forza di Casimir mi-

surando con un interferometro a fibra ottica la variazione della frequenza della microleva

all’avvicinarsi della sorgente (cio che in realta si misurava era la variazione della distanza

fra la microleva e la fibra ottica). Infatti ogni forza che ha dipendenza spaziale, induce una

variazione ∆ν nella frequenza di oscillazione della microleva, dunque, considerando che ol-

tre alla forza di Casimir, l’interazione fra le due superfici era dovuta anche alla presenza

del potenziale residuo Vr = V0 − Vc, ∆ν si e potuta determinare dall’espressione

∆ν2(d) = ν2 − ν20 = −Cel

V 2r

d3− Ccas

d5, (6.2)

con Cel = (ε0S)/(4πmeff ) e Ccas = (KcS)/(πmeff ), dove ε0 e la costante dielettrica del

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6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir

vuoto, S l’area effettiva delimitata dalle due superfici interagenti e meff la massa effettiva

della microleva. Per separare i contributi dovuti all’interazione elettrostatica e alla forza

di Casimir, furono effettuate diverse misure facendo variare la tensione Vc. Si determino

Ccas = (2,34±0,34) ·10−28Hz2m5, coerentemente con la previsione di una forza attrattiva

(il segno di ∆ν e negativo) e dunque un coefficiente della forza di Casimir

Kc =ε04

CcasCel

= (1,22± 0,18) · 10−27Nm2. (6.3)

Il valore di Kc cosı ottenuto coincide, entro la banda di errore, con quello determinato

teoricamente, pertanto il lavoro di Onofrio fu la prima verifica sperimentale dell’esistenza

della forza di Casimir.

Parallelamente alla ricerca attorno alla forza di Casimir, si e sviluppato nel corso degli

anni lo studio sperimentale su scala atomica, in cui fa da controparte la forza di Casimir-

Polder, che si manifesta fra un atomo e una superficie.

Fu per primo Sukenik ad individuare e misurare l’incrocio fra il raggio di azione della forza

di Van der Waals e quello forza di Casimir-Polder; nel caso di un sistema composto da un

atomo di rubidio e una superficie piana, l’incontro avviene ad una distanza di separazione

fra di essi di circa 0,1µm. Al di sotto di tale distanza prevale l’interazione di Van der Waals

che dipende dalla distanza d come 1/d3, per separazioni maggiori invece e preponderante

la forza di Casimir-Polder proporzionale a 1/d4.

Recentemente la forza di Casimir-Polder e stata misurata in una serie di esperimenti

condotti da Eric Cornell nei laboratori JILA [13]. Essi utilizzarono un condensato di

Bose-Einstein di rubidio e verificarono l’esistenza dell’interazione attrattiva misurando

le variazioni della frequenza di oscillazione del centro di massa del condensato, dovute

alla presenza di una superficie conduttrice. Tale superficie altera la trappola magnetica

a cui son soggetti gli atomi di rubidio, causando lo spostamento del centro di massa

dei singoli atomi e l’oscillazione del centro di massa, detta anche oscillazione di dipolo,

dell’intero sistema. Gli spostamenti singoli non furono misurati perche inferiori rispetto

alla sensibilita della strumentazione usata, mentre l’oscillazione di dipolo fu il parametro

necessario per la determinazione della forza di Casimir-Polder.

La superficie fu posta sopra il condensato, parallelamente ad esso, e la distanza determinata

applicando un campo magnetico uniforme nella direzione verticale (direzione x nella figura

(6.3)). Con opportune semplificazioni e approssimazioni, la variazione della frequenza

di oscillazione di dipolo, nella direzione x, γx, si ottiene a partire dalla frequenza di

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6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir

oscillazione in assenza della superficie, ωx, e dalla frequenza ω′x perturbata:

γx =ωx − ω′xωx

. (6.4)

Per misurare γx fu applicato un campo magnetico ~B oscillante con frequenza di normaliz-

II. EXPERIMENT

We briefly review the apparatus for generating conden-sates and measuring surface forces, as a more detailed de-scription of the apparatus used to produce the condensate canbe found in !14" and the technology and techniques for atom-surface measurements are described in detail in !15,16". Atthe end of evaporation, nearly pure condensates #the fractionof atoms in the condensate !0.8$ of 1.4"105 magneticallytrapped 87Rb atoms are created in the %F=1, mF=!1& groundstate. In our Ioffe-Pritchard-type magnetic trap, with trappingfrequencies of 6.4 Hz in the axial direction #z$ and 228 Hz inthe radial directions #x and y$, this corresponds to condensateThomas-Fermi radii of 85.9 #m and 2.40 #m in the axialand radial directions, respectively. See Fig. 1#a$ for the co-ordinate definitions and orientations of the surface and con-densate in the experiment.

The surfaces for study are located '1 mm above #+x di-rection$ where evaporation occurs. To position the conden-sate near the surface, a vertical #x-direction$ magnetic field isapplied. This uniform magnetic field acts to displace themagnetic minimum of the trapping field. By applying a care-fully controlled field ramp, we are able to move the atomsarbitrarily close to the surface without exciting mechanicaloscillations of the condensate, and the condensate can beheld there for many seconds.

To measure the distance between the condensate and thesurface, we use an absorption imaging technique described in!15,17" where we illuminate the atoms with a beam perpen-dicular to the long axis of the condensate. This beam im-pinges on the surface with a slight grazing incidence angle of'2.4° such that when the condensate is within '100 #m ofthe surface, both a direct absorption image and a reflectedabsorption image of the condensate appear. Measuring the

distance between these images allows us to determine thedistance between the condensate and surface. To calibrate themagnetic field necessary to position the condensate a givendistance from the surface, a series of images are taken wherewe push the atoms to a range of distances '20–60 #m fromthe surface. The condensate-surface separations in these im-ages are measured and then used for calibration of the mag-netic field used to push the atoms.

To allow measurement of surface forces at different sur-face locations, the magnetic trap can be moved indepen-dently of the surface in the y and z directions. Since thecondensate only interacts with a '200"10 #m region ofthe surface, we can translate the trap to measure surfaceforces at many different locations on our 5"8 mm surfaces.Finally, we can adjust the angle of the z trap axis to beparallel with respect to the surfaces. Using the surface reflec-tion images, we have verified that the deviation from parallelis $0.25°.

To excite a condensate dipole oscillation in the x direc-tion, we apply an oscillating magnetic field of the form

Bx#t$ % e!#t ! t0$2/&2cos#'xt$ , #2$

where & is the time width of the pulse #10 ms in this experi-ment$ and t0 is the time of the peak of the pulse. In frequencyspace, this excitation is centered on the radial trap frequency'x and contains no dc or high-frequency components; thisprevents excitation of unwanted internal condensate modes.Similarly, dipole oscillations can be excited in the y and zdirections.

Expansion of the oscillating condensate is accomplishedby a microwave adiabatic rapid passage to the %F=2,mF=!2& state, which is antitrapped, followed by '5 ms ofrapid antitrapped expansion !14". The antitrapped expansionacts to push atoms away from the magnetic minimum, andbecause of gravitational sag, the condensate begins the ex-pansion below the magnetic minimum, so the condensate ispushed away from the surface during expansion. Addition-ally, the antitrapped expansion acts to amplify the radial di-pole oscillation amplitude by approximately 20-fold, permit-ting straightforward measurement of the oscillation inexpansion. For example, see Fig. 1#b$. Finally, the conden-sate is simultaneously imaged through absorption along boththe y and z directions, allowing us to monitor the position ofthe condensate in all three directions.

The typical experiment is performed as follows. First, asurface calibration set is taken to determine the magneticfield necessary to position the condensate the desired dis-tance from the surface. Second, a vertical oscillation data setis taken at the desired trap-center to surface distance d, typi-cally 6–12 #m. Interspersed with these data are vertical os-cillation data taken at d0, the distance we use to obtain thenormalization frequency 'x. Data points and normalizationpoints were randomly alternated during the course of the dataset in order to prevent trap frequency drift from affecting ourmeasurement. For this experiment d0=15 #m. A distance of15 #m is far away enough such that surface forces will notaffect the frequency; the normalized dipole frequency shiftfrom the Casimir-Polder force is less than 10!6 at this dis-tance. By comparing the frequency measured at d to that

FIG. 1. #Color online$ #a$ Diagram, to scale, illustrating theaspect ratio of the condensate and typical oscillation position rela-tive to the surface. The coordinate axis orientation and the directionof gravity are also indicated. #b$ Typical data showing the radialdipole oscillation after expansion away from the surface.

HARBER et al. PHYSICAL REVIEW A 72, 033610 #2005$

033610-2

Figura 6.3. Misura della forza di Casimir-Polder.

zazione ωx. Le oscillazioni indotte sul centro di massa del condensato furono misurate sia

alla distanza d, in esame, fra condensato e superficie, sia a distanza d0, usata per ottenere

la frequenza ωx. Il valore di γx fu ottenuto dal confronto dei valori di oscillazione misurati

in d e in d0, secondo la relazione (6.4). Il gruppo di Boulder riuscı a misurare la forza di

Casimir-Polder fino a una separazione di circa 5 µm, risultato fino ad allora mai raggiunto.

I tentativi di misura della forza di Casimir sono in continua crescita ed evoluzione. La

prospettiva e quella di riuscire a verificare il fenomeno a distanze inferiori, con strumenti

di maggiore precisione, cercando anche di valutare e limitare i fattori di non idealita.

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Conclusioni

Il lavoro di tesi ha consentito di affrontare uno dei temi d’avanguardia tanto nell’ambito

della fisica teorica, quanto in quello sperimentale.

Risolvendo l’equazione di D’Alembert nel vuoto, con appropriate condizioni al contorno,

si e giunti alla formulazione quantistica del campo elettromagnetico, la cui peculiarita

consiste nella presenza di una energia non nulla nello stato di vuoto. Si e visto che le

fluttuazioni di vuoto non sono un semplice risultato matematico, ma hanno una realta

fisica. Nell’atomo di idrogeno, l’elettrone interagisce con le fluttuazioni di vuoto del cam-

po elettromagnetico generato dal protone, eliminando la degenerazione di livelli energetici

caratterizzati dalla stessa coppia di numeri quantici n ed l. Il Lamb shift dunque ha

condotto alla struttura iperfine dell’atomo di idrogeno, verificata sperimentalmente con

tecniche spettroscopiche. E stato inoltre illustrato il ruolo delle fluttuazioni di vuoto nel

mondo macroscopico: fra due atomi o molecole apolari, esse inducono dei momenti di

dipolo momentanei che ne causano l’attrazione (forza di Casimir-Polder); analogamente,

i fotoni virtuali presenti nello stato di vuoto, esercitano una pressione sulle superfici di

due lastre conduttrici vicine che, di conseguenza, si attraggono (forza di Casimir). La

dimostrazione sperimentale dell’effetto Casimir e stata descritta in diverse configurazioni

e geometrie, con precisione dei risultati crescente. Tale descrizione, oltre che la quan-

tizzazione del campo, ha fornito l’occasione per introdurre e analizzare gli stati coerenti

e la condensazione di Bose-Einstein. I primi sono elementi basilari in ottica quantistica

e fungono da raccordo fra la meccanica classica e la meccanica quantistica: definiti co-

me gli autostati dell’operatore di annichilazione, essi sono stati quantistici con proprieta

classiche. In particolare soddisfano, con l’uguaglianza, il principio di indeterminazione

di Heisenberg e fanno emergere importanti caratteristiche del campo elettrico. Infatti il

valore medio del campo su stati coerenti conduce all’espressione classica del campo stesso

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6 – Verifiche sperimentali dell’effetto Casimir

e, contemporaneamente, lo scarto quadratico medio corrisponde alle fluttuazioni di vuo-

to quantistiche. Oltrepassato il confine quantistico, il mondo sperimentale macroscopico

necessita una descrizione statistica. Una trattazione panoramica delle distribuzioni quan-

tistiche quali la distribuzione di Fermi-Dirac e di Bose-Einstein ha consentito dunque di

introdurre il condensato di Bose-Einstein, con il cui ausilio e stata determinata sperimen-

talmente la forza di Casimir.

La ricerca sperimentale e teorica attorno all’effetto Casimir e all’energia di vuoto offre

prospettive di ampio respiro, vaste sono infatti le applicazioni nelle nanotecnologie, in

chimica e biofisica, fino agli orizzonti della cosmologia. Come dire, il sipario non e ancora

calato.

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Bibliografia

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