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EOS-Book5

Date post: 27-Jan-2016
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Rivista elettronica
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5 os book # Marzo 2013 Come progettare un dissipatore di calore Anche i satelliti diventano low-cost I nuovi touchscreen non avranno più bisogno del “tocco” Realizziamo il nostro Dropbox con il Realizziamo il nostro Dropbox con il Raspbe r r y Pi Raspbe r r y Pi Guida al Fotovoltaico - PCB-ART: grounding ARDUINO Due tutorial - Corso di Microprogrammazione E inoltre:
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Page 1: EOS-Book5

5osbook #

Marzo 2013

Come progettare undissipatore di calore

Anche i satellitidiventano low-cost

I nuovi touchscreennon avranno piùbisogno del “tocco”

Realizziamo il nostroDropbox con il

Realizziamo il nostroDropbox con il

RaspberryPiRaspberryPiGuida al Fotovoltaico - PCB-ART: grounding

ARDUINO Due tutorial - Corso di Microprogrammazione

E inoltre:

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EOS-Book di primavera

E’ tempo di primavera e, come tutti gli anni la bella stagione porta il sorriso, il sole

inizia a splendere ed il grigiore dell’inverno si dirada. La nostra primavera è del tutto

speciale, perché festeggiamo i sei mesi, zero virgola cinque anni! Infatti siamo all’EOS-Book #5! Si,

il numero 5 significa 6 mesi, perché EOS-Book è un magazine per tutti ma soprattutto per quelli che

iniziano a contare, come noi, partendo da zero ed anche per tutti quelli che vogliono iniziare a farlo!

Iniziamo con una nuova tecnologia che in un futuro non molto lontano potremmo trovare in tutti i

touchscreen e quindi anche nel nostro nuovo smartphone. Ma non solo, questa nuova tecnologia

“a sfioramento” apre nuovi scenari nella progettazione e nello sviluppo di idee; Piero ne spiega il

funzionamento ed i principi tecnici.

Anche il RapberryPI è protagonista questo mese, con l’articolo di Luca che prosegue il tutorial e ci

spiega come realizzare un dropbox personale con il RasPI.

Proseguiremo poi con un nuovo capitolo del tutorial sui circuiti stampati, l’ormai noto PCB Art, toc-

cherà questa volta a Piero portarci nel mondo del “grounding”, affrontando le problematiche relative

ai piani di massa ed offrendo suggerimenti per ottimizzare lo sbroglio della scheda.

Affronteremo anche una tematica energetica molto attuale: il fotovoltaico. Infatti iniziamo questo

mese una Guida sul Fotovoltaico che appunto vi guiderà nella realizzazione di un impianto a pan-

nelli fotovoltaici professionale.

Sarà la volta poi di Slovati con un interessantissimo articolo su come la crisi si manifesta anche in

ambienti notoriamente ricchi sotto il profilo della ricerca e sviluppo: nascono i primi satelliti low-cost!

Poi ancora Piero che proseguirà il tutorial su Arduino Due, affrontando nello specifico il microcon-

troller ARM Cortex M3 capitolo essenziale per poter sfruttare al meglio Arduino Due, e non continua-

re ad utilizzarlo per le stesse cose che si sarebbero potute fare con l’Uno ;)

Ultimo articolo del mese il proseguimento del corso sulla microprogrammazione, utile per tutti quelli

che vogliono imparare a programmare i microcontrollori ma anche per chi ci chiede nel forum, come

si fa questo, come si fa quello.... ragazzi, le basi sono importanti. Non si può affrontare la program-

mazione embedded senza avere un minimo di preparazione sulle logiche combinatorie o sui flip-flop

etc......

Questo corso, partito proprio dai numeri binari, vi condurrà alla realizzazione di un firmware con

acquisizione di tutti gli strumenti per poter scegliere la soluzione migliore, la più affidabile e la meno

dispendiosa. Imparerete quindi anche voi ad iniziare a contare da zero :)

Infine vi ricordo di frequentare il Blog anchè di sabato perché grazie al Review4U potrete ricevere

demoboard, starterkit e RaspberryPI ;)

Emanuele Bonanni

Page 3: EOS-Book5

3}

I nuovi Touchscreen non avranno più bisognodel ‘tocco’

di Piero Boccadoro5 Marzo 2013

Poco tempo fa ci siamo occupati di una straordinaria ed interessantissima notizia, una vera innovazione a portata di mano che promette meraviglie nel campo dell’intrat-tenimento ma anche dello sviluppo tecnologico. Vi piace la domotica? Siete amanti dell’elettronica? Studiate i sensori e la loro evoluzione? Siete semplicemente curiosi? In tutti questi casi, GestIC, la nuova, straordinaria frontiera dell’interazione uomo-macchina, vi potrà certamente interessare. Oggi vedremo insieme in che cosa consi-ste davvero, sul piano tecnologico, la nuova creatura di Microchip. Perchè non capita tutti i giorni di avere per le mani dei sensori a campo elettrico.

I l nuovo controller MGC3130 di Microchip è

il primo al mondo basato sul controllo e sul-

le operazioni mediante campo elettrico ed è il

primo a fare tracking 3-D. La tecnologia che lo

“anima” prende il nome di GestIC®, un brevet-

to di Microchip sul quale, c’è da scommetterci,

punteranno per tutto il prossimo decennio.

La notizia è di quelle che fanno la felicità di tut-

ti gli amanti della tecnologia e di chi, studioso

di dispositivi, era in attesa del primo dispositivo

basato sull’uso dei campi elettrici. Il tracking sarà permesso grazie alla rilevazione del movimento di mani e dita, in maniera tale da

distinguerle ed attivare funzioni diverse e pre-

programmate. Il tracking sarà real-time e questo

promette di regalare un’esperienza davvero in-

teressante all’utente.

Il video che abbiamo visto l’altra volta serviva

Page 4: EOS-Book5

{4 I nuovi Touchscreen non avranno più bisogno del ‘tocco’

a darvi un assaggio; oggi però andiamo a spul-

ciare dentro la documentazione di questo con-

trollore.

Perchè ci interessa?Questa è davvero la prima domanda alla quale

è il caso di rispondere. Beh, mi sembra eviden-

te: è nuova, e, a suo modo, divertente e pro-

pone una tecnologia non ancora esplorata. Ce

n’è abbastanza per esserne piuttosto incuriosi-

ti, non trovate? Tra i “benefits” di questo nuovo

prodotto possiamo facilmente identificare:

• basso consumo di potenza;

• rilevazione in prossimità entro 15 cm;

• nessun punto cieco;

• elettrodi sottili, a basso costo e del tutto integrati;

• alta sensibilità;• nessuna interferenza dall’ambiente cir-

costante (!);• portante: 70 - 130 kHz.

A questo punto mi sembra importante fare una

breve carrellate delle caratteristiche principali

dell’MGC3130:

• riconoscimento di gesti in 3-D (e scusate

se è poco...);

• risoluzione fino a 150 dpi;• front-end a basso rumore;

• utilizzo del frequency hopping (per fronteg-

giare il rumore);

• interfaccia digitale;

• Gesture Suite Colibri (della quale parlere-

mo poi) integrata.

A cosa può servire tutto questo, oltre a realiz-

zare quello stranissimo cubo di cui abbiamo già

parlato? Beh, potete pensare che questa tec-

nologia rappresenti un ponte tra il vecchio ed il

nuovo, tra la tecnologia già vista e quella di là

da venire. Immaginate una nuova generazione

di portatili. Oggi Asus ed altri stanno disperata-

mente aggiornando le loro linee di produzione

per soddisfare le “esigenze” degli utenti Win-

dows. Microsoft decide di trasformare i pc in

tablet? Beh, per sfruttarlo c’è bisogno di un tou-

chscreen oppure sarete in possesso del “solito”

notebook.

Non c’è bisogno che io dica che in questo elen-

co compaiono certamente anche i tablet e gli

smartphone, per i quali sarà certamente meno

difficile immaginarne l’utilità.

Ma non è tutto qui: pensate a come potrebbero

cambiare i lettori multimediali, i controlli remoti

(tipo telecomandi ed attivatori per cancelli ma

anche dispotivi remoti più in generale). Anche

l’industria videoludica potrebbe beneficiarne,

ora che il videogiocatore ha iniziato a mettersi

in piedi e muoversi piuttosto che rimanere iden-

ticamente sovrapponibile a se stesso nel tempo

seduto alla sua sedia.

Ma come funziona?Abbiamo detto che si tratta di un sistema che

effettua il riconoscimento di un movimento

scomposto in 3 componenti assiali ed utilizza

il segnale rilevato come segnale di comando e

controllo. Questo permette all’utente di utilizza-

re le mani e le dita in un modo completamente

diverso. Ma come funziona davvero? Su che

principio si basa?

È presto detto: parliamo di campi elettrici e di

onde sinusoidali, concetti basilari per qualsiasi

tecnico o ingegnere. Come si è riusciti a trasfor-

mare nozioni basilari in qualcosa di completa-

mente nuovo? Beh, non è forse questa la defini-

zione di ingegno?

Un campo elettrico, come noto, viene genera-

to elettricamente per effetto di una differenza

di potenziale posta a due elettrodi distanti una

Page 5: EOS-Book5

{5

certa quantità. Gli elettrodi in questione sono

tri-dimensionali e sono disposti sulla superficie

“utile” del dispositivo nel modo in cui vedremo

più avanti grazie alla “Sabrewing”. Per ora, ac-

contentiamoci di dire che ai suddetti elettrodi noi

applichiamo una tensione costante e che que-

sto crea un campo elettrico (statico).

Se viene applicata una tensione variabile a que-

sta struttura, e quindi siamo in presenza di stimo-

lazioni AC, il campo varierà nel tempo con legge

da determinare. Se, come nel nostro caso, la

variazione dovesse essere sinusoidale, saremo

in presenza di una funzione trigonometrica che

però presenta precisi legami tra le grandezze

caratteristiche (frequenza, lunghezza d’onda e

così via). Questo ci è particolarmente utile per

via del fatto che, come vediamo in figura, valgo-

no le relazioni riportate.

Il campo elettromagnetico risultante, quindi,

avrà caratteristiche deterministicamente note e

calcolabili istante per istante e, pertanto, ogni

variazione sarà prevista, prevedibile e comun-

que misurabile.

Dal punto di vista tecnico, quindi, il sistema può

essere analizzato sulla base del principio di fun-

zionamento. Come sappiamo, per descrivere il campo elettrico si utilizzano le linee di for-za, ovvero delle entità geometriche che, di fatto,

sono vettori che descrivono, nella regione circo-

stante il monopolo/bipolo elettrico, l’andamento

del campo stesso.

Questo sistema è stato utilizzato fin da subito

per descrivere l’effetto su una carica di prova

esercitata da una particella nello spazio libero

ma oggi tornerà utile per capire meglio di cosa

stiamo parlando.

Dicevamo, quindi: c’è un campo elettrico per ef-

fetto della differenza di potenziale applicata ad

una coppia di elettrodi, ergo posso certamente

utilizzare il metodo delle linee di forza per de-

scriverne l’andamento. Le linee di forza, come

da figura sopra riportata, hanno direzione e ver-

so e descrivono, quando più fitte, quando meno,

l’intensità (il modulo) del campo elettrico cui una

particella è sottoposta in prossimità della sor-

gente.

Ecco, questo metodo, piuttosto semplice, dimo-

stra linee di forma regolare. Immaginate, ora,

cosa succede quando il dito o l’intera mano, si

avvicinano alla struttura: il risultato è una pertur-

bazione del campo presente, una deformazione

delle linee di forza. Ed è proprio questo il feno-

meno, ovvero la perturbazione, che costituisce

il “segnale” utile.

Il sistema GestICLa tecnologia GestIC® funziona trasmettendo

segnali in un range di frequenze dell’ordine dei

100 kHz, il che corrisponde ad una lunghezza

d’onda di 3 km (come abbiamo visto). Data la

I nuovi Touchscreen non avranno più bisogno del ‘tocco’I nuovi Touchscreen non avranno più bisogno del ‘tocco’

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geometria degli elettrodi, che vedremo presto

quanto sono grandi effettivamente), questo va-

lore risulta decisamente inferiore (visto che sia-

mo nell’ordine dei centimetri). Proprio per que-

sto motivo la componente di campo magnetico

associata all’onda è praticamente nulla (quindi

trascurabile), visto che non ha spazio sufficien-

te per propagarsi. Lo studio di questa struttura

si semplifica, pertanto, nel caso Quasi-Static Electric Field, utile per studiare elementi con-

duttori e le loro interazioni. Ergo, il corpo umano

è il soggetto perfetto.

Una volta che l’utente abbia effettuato “l’ingres-

so” nell’area “attiva”, ovvero nella regione di

sensing, il campo elettrico, come dicevamo in

precedenza, viene distorto e le linee di forza del

campo si concatenano con l’oggetto che stà ef-

fettuando la perturbazione. La presenza del cor-

po causa una compressione delle regioni equi-

potenziali (rappresentate proprio dalle linee) e

questo causa uno shift del livello di segnale al

ricevitore ad un potenziale più basso. Ed è pro-

prio la rilevazione di questo fenomeno che vie-

ne “catturata” ed elaborata dal sistema.

L’MGC3130 funziona comunicando tramite in-terfacce SPI ma anche I2C (x2 canali) e viene

alimentato da una tensione di 3.3V DC (indica-

ta sul datasheet come 3.3V ±5%). Vale la pena,

a questo punto, riassumere brevemente altre

features di grande interesse per queste opera-

zioni:

• Sensibilità del ricevitore: <1 fF;

• Position Rate: 200 pos/sec;

• Canali supportati:

5 canali Rx1 canale Tx

• Funzione di auto-calibrazione integrata;

• “Low Noise Radiation” (grazie a basse ten-

sioni in trasmissione e controllo dello Slew

Rate)

• riduzione della rumorosità tramite filtraggi

analogici e digitali on-board;

• package: 28-lead QFN, 5x5 mm;

• temperature operative: -20°C to +85°C.

Fanno capitolo a parte le specifiche sul consu-

mo di potenza; la tensione operativa è di tipo

single supply e può variare da 2.4 V a 3.6 V.

Esistono, tuttavia, diverse modalità operative:

• Processing mode: 30 mA @ 3.3V (tipico);

• Programmable Self Wake-up: 45 μA @ 3.3V;

• Deep Sleep: 9 μA @ 3.3V (tipico).

Per mettere “in moto” l’intero sistema, e risve-

gliarlo da una modalità che potremmo conside-

rare stand-by, si utilizza il cosiddetto “Appro-ach Scan”. Durante la fase di scansione, infatti,

l’MGC3130 ha tipicamente un canale in ricezio-

ne attivo e, grazie alla libreria GestIC, la durata

della fase stessa è configurabile modificando

proprio i cicli di scansione, selezionando durate

comprese tra un minimo di 20 ms ed un massi-

mo di 150. In questa fase, i canali di comunica-

zione attivi (1, quindi, o più), vengono controllati

e monitorati in modo tale da compararli con si-

stemi a soglia. Questo permette all’MGC3130

di essere totalmente autonomo nel realizzare la

funzione di Wake-UP automatico pur restando

acceso. Il consumo di potenza, in questa moda-

lità, come abbiamo visto, è davvero molto con-

tenuto (meno di 150 μW!).

Elettrodi e materialiGli elettrodi utilizzati sono tipicamente sottili e a

basso costo, realizzati con materiali conduttori e

permettono integrazione non visibile (all’interno

dell’housing). Questo rende l’intero aspetto si-

curamente più compatto ed accattivante perchè

lasciando molto spazio al design.

Vi proporremo la struttura degli elettrodi tra un

I nuovi Touchscreen non avranno più bisogno del ‘tocco’

Page 7: EOS-Book5

{7 I nuovi Touchscreen non avranno più bisogno del ‘tocco’

attimo; per ora è il caso di affrontare questo ar-

gomento dal punto di vista tecnologico, ovvero

parlando dei materiali. Questa nuova tecnologia

apre le porte a tante realizzazioni diverse sia dal

punto di vista dei materiali sia, evidentemente,

dal punto di vista dei processi tecnologici utiliz-

zati.

Essi potranno esser fatti con PCB, per esempio,

cioè stampati su scheda. Tuttavia sarà anche

possibile realizzare “foil” conduttivi oppure

creare elettrodi “laser direct structured” (me-

glio note con l’acronimo LDS).

Gli elettrodi potranno anche essere adesivi, con

l’evidente vantaggio che qui il tipo di adesivo

(ma anche lo spessore) non potranno in alcun

modo “influenzare” negativamente la sensibilità

(come accadrebbe con sensori MEMS accele-

rometrici, per esempio).

Anche materiali meno “nobili”, come verni-ci conduttive, o strutture ITO (Indium Thin Oxide) potranno essere largamente impiegate,

aprendo il mercato a tante soluzioni diverse e

facilità di implementazione per diversi campi.

La Suite integrata

La Suite Colibri Gesture che Microchip ha rea-

lizzato si dimostra particolarmente interessante

per via della facilità di impiego e dell’elevato gra-

do di integrazione ed interattività con l’hardwa-

re. Certo, c’è da aspettarselo quando l’intero

tool viene sviluppato in casa, ciò non di meno lo

sviluppo ha dato vita ad un prodotto che risulta,

almeno per quanto appare finora, piuttosto fun-

zionale, intuitivo, versatile e promettente. Per

ciascuno degli usi cui verrà destinato sono già

implementate alcune feature di base in modo

da concedere subito all’utente meno “tecnico”

la possibilità di interagire con pochissimi sforzi.

Questo vuol dire che c’è una classificazione dei

gesti ed una serie di tipologie di movimenti già

pre-elaborati e che vengono riconosciuti sulla

base del funzionamento di un modello di Markov

Nascosto (Hidden Markov Model, HMM), uni-tamente con un sistema vettoriale che ana-

lizza la posizione della mano nello spazio tridi-

mensionale (scomponendo questo o quell’altro

movimento per capire cosa si sta muovendo e

come!).

I vantaggi che propone questa Suite sono evi-

denti e partono sempre e comunque dal fatto

che trattasi di tool realizzato ad hoc.

• la suite è integrata e già pronta all’uso (in-

fatti);

• il modello di Markov implementato è piut-

tosto sofisticato;

• riconoscimento molto preciso ed affidabi-

le;

• i gesti già “classificati” sono intuitivi;

• ottimizzazione del “time-to-market”;• features e funzionamento real-time;

• personalizzazioni varie possibili.

E tra i tanti gesti che sono già riconosciuti ce

ne sono per effettuare le operazioni più comuni

quali: puntamento, click, zoom, scroll, mouse-

over e tanti altri. Se su questo punto siete a cac-

cia di documentazione, vi consigliamo vivamen-

te di fare un giro su queste pagine.

Che cos’è la SabrewingPartiamo, prima di vedere cos’è la Sabrewing,

dalla struttura degli elettrodi. Nella prossima

figura ve li presentiamo schematicamente.

Direi che è piuttosto semplice, vero? Bene,

ecco a voi una scheda che nasce apposta per

farvi provare che vosa vuol dire leggere i segna-

li, elaborarli ed, in definitiva, testare fino in fon-

do le funzionalità di GetIC. In pratica, si tratta di

una soluzione completa ed autosufficiente per

Page 8: EOS-Book5

{8 I nuovi Touchscreen non avranno più bisogno del ‘tocco’

dimostrare, con una scheda dal costo contenu-

to, le performance del MGC3130; basterà colle-

gare la scheda via USB ad un PC ed utilizzare

la GUI apposita.

Per il momento non è ancora disponibile la do-

cumentazione, o il software, ma Microchip pro-

mette che presto questa “mancanza” sarà “ri-

solta.

Ma allora: ci piace o non ci piace?Prima di esprimere questo parere vorrei che ci

soffermassimo tutti sulla lunghezza di questo ar-

ticolo, sul numero di punti che sono stati trattati,

sulla ricchezza della documentazione ma anche

sulla nostra capacità di immaginare come utiliz-

zare questa tecnologia.

Io per primo, oltre gli utilizzi indicati, faccio fatica

ad immaginarne altri però mi rendo conto di una

cosa: niente è indispensabile e nulla è più ne-

cessario del superfluo (parafrasando il grande

Oscar Wilde) per cui... chi ci dice che sia tutto

qui? E se così non fosse, davvero potremmo

dire che è “troppo poco, troppo tardi” per fare

automazione seria?

Io penso di no e credo che questa tecnologia,

prima, e queste applicazioni, poi, possano ve-

ramente disegnare il futuro del controllo intelli-

gente, in attesa che si sviluppino sistemi omo-

loghi però questa volta basati sull’uso di campi

magnetici.

L’autore e a disposizione nei commenti per eventuali approfondimenti sul tema dell’Articolo.Di seguito il link per accedere direttamente all’articolo sul Blog e partecipare alla discussione:

http://it.emcelettronica.com/i-nuovi-touchscreen-non-avranno-più-bisogno-del-tocco

Page 9: EOS-Book5

9}

RaspberryPI Tutorial: realizziamo il nostro “DropBox” con RasPI!

di Lucasss7 Marzo 2013

Nell’ultimo articolo da me scritto abbiamo visto il controllo remoto su RasPI per poter impartire comandi via terminale da un altro PC o dispositivo mobile, o per prendere il controllo di un desktop remoto per lavorare con RasPI nel caso in cui non si disponga alcun tipo di monitor. Questa volta vedremo come, in pochi passi, sia possibile realiz-zare un server personale in grado di ospitare i nostri file per renderli accessibili dalla stessa rete Ethernet o Wifi alla quale è connesso il nostro RasPI o addirittura tramite internet fino ad un altro PC o dispositivo mobile.

S icuramente ormai tutti conoscerete DropBox,

il servizio che gratuitamente permette di

avere 2GB di spazio internet nel quale po-

ter caricare file e foto per poterle poi condivide-

re su più dispositivi. Come DropBox, esistono

molti altri siti, ma tutti mettono a disposizione

un limitato numero di GB che può però aumen-

tare (fino ad un massimo di 16GB per DB) nel

caso in cui si invitino altre persone, si aggiuga-

no dispositivi, si carichino foto e via dicendo.

I problemi con questi siti però, si riducono sem-

pre agli stessi: i nostri file si trovano sul server

di qualcun altro e nel momento in cui lo spazio

messo gratuitamente a disposizione non ci do-

vesse più bastare, i costi per aumentarlo non

sono sempre alla portata di un utente qualsiasi

che magari deve andare in vacanza e vuole fare

un backup di tutte le foto che scatta su un server

sicuro. Allora facciamoci aiutare da RasPI!

Page 10: EOS-Book5

{10 RaspberryPI Tutorial: realizziamo il nostro “DropBox” con RasPI!

Protocollo SFTPL’ultima volta abbiamo visto l’SSH, un protocol-

lo di rete che permette di stabilire una connes-

sione remota tramite due dispositivi nella stessa

rete per l’invio di comandi da terminale, l’SFTP

( SSH File Transfer Protocol) invece è un proto-

collo di rete che ci permette di inviare o spostare

file tra un Host ed un Client in maniera sicura e

cifrata. L’SFTP utilizza come base il protocollo

SSH, che come abbiamo già visto è supportato

nativamente da RasPI, il che semplifica molto la

fase di configurazione per effettuare poi il colle-

gamento per il trasferimento dei dati.

Iniziamo con la sicurezzaCome prima cosa, dato che metteremo i nostri

dati nella Memory di RasPI, è bene innanzitutto

cambiare, qualora non l’avessimo fatto, la pas-

sword per l’utente di default “pi”. Tale utente in-

fatti rimarrà in RasPi per il normale utilizzo e ne

creeremo un altro per lo stoccaggio dei file e

l’accesso via SFTP. Dal terminale diamo il solito

comando “sudo raspi-config” ed alla voce “chan-

ge_pass” impostiamo una password diversa da

“raspberry” per evitare che qualcuno vi acceda

utilizzando proprio la password di default.

Ora che abbiamo cambiato la password, dob-

biamo creare un nuovo utente con nome e pas-

sword a nostra scelta i quali verranno successi-

vamente utilizzati per l’accesso via SFTP. Per

la creazione di un nuovo utente e l’inserimento

della relativa password useremo da terminale i

comandi “useradd” e “passwd” così strutturati:

sudo useradd NomeUtente

sudo passwd NomeUtente

Se abbiamo sbagliato nell’inserire il nome dell’u-

tente, o se per qualche altro motivo lo vogliamo

cancellare, dovremo usare il comando:

sudo userdel NomeUtente

Ora che abbiamo creato un nuovo utente, an-

dremo a modificare la porta di accesso a RasPI

tramite protocollo SSH (e quindi anche SFTP)

che, come abbiamo visto l’altra volta, di default

è la numero 22. Questo accorgimento serve

sempre per aumentare la privacy dei nostri dati

in modo tale che non bastino nome utente e

password per accedervi, ma si dev’essere an-

che a conoscenza della porta nella quale “pas-

sano” i comandi per l’accesso. Andiamo quindi

a cambiare un parametro nei file di configura-

zione del protocollo SSH, apriamo il terminale

e digitiamo:

sudo nano /etc/ssh/sshd_config

E ci verrà aperto, con il solito editor di testo

Nano, il file di configurazione SSH. Il primo co-

mando che contiene questo file di configurazio-

ne è “port 22” ed è proprio quello che serve a

noi. Facendo riferimento all’elenco delle porte

TCP e UDP, possiamo scegliere quale porta uti-

lizzare, purché non sia già utilizzata da qualche

altro programma. Per evitare una ricerca tra le

porte utilizzate, sappiate che tutte le porte com-

prese tra la 49152 e la 65535 sono libere, quindi

Page 11: EOS-Book5

{11 RaspberryPI Tutorial: realizziamo il nostro “DropBox” con RasPI!

possono essere utilizzate per i fini dell’utente.

Scelta la porta, ed inserita al posto del 22 nell’e-

ditor di testo, confermiamo con CTRL + X, “y”

ed invio per sovrascrivere il file.

A questo punto sarà necessario un riavvio,

dopo il quale per connetterci via SSH non sarà

più possibile, qualora la connessione avvenisse

da Linux o Mac, utilizzare il semplice comando:

ssh NomeUtente@IndirizzoIP

ma dovremo usare:

ssh -p NumeroPorta NomeUtente@IndirizzoIP

un esempio:

ssh -p 51000 [email protected]

Se utilizziamo Windows invece, dovremo sem-

plicemente impostare il numero della porta in

Putty o nel programma utilizzato.

Connessione dalla rete localeOra che RasPI è pronto per lo scambio di file

con i dati da noi impostati, possiamo già pro-

varlo utilizzando un PC o Smartphone collegato

alla stessa rete. Per farlo, ci faremo aiutare da

Filezilla, un programma gratuito che permette di

collegarci ad un dispositivo Host con i più dif-

fusi protocolli di invio e ricezione file. Una volta

scaricata la versione Client dal sito ufficiale e

dopo averlo installato, ci troveremo di fronte alla

seguente interfaccia grafica:

Come possiamo notare, il programma è suddi-

viso in due parti, “sito locale” e “sito remoto”.

In Sito Locale troviamo il nostro computer con

tutti i suoi file mentre in Sito Remoto, una volta

connessi a RasPI, vedremo i file presenti sulla

Memory. In alto, troviamo quattro TextBox, nella

prima inseriremo il tipo di protocollo e l’indirizzo

IP di RasPI, nel secondo il nome utente dell’u-

tente appena creato, in seguito la password,

ed infine la porta da noi precedentemente se-

lezionata. Con un click su Connessione Rapi-

da potremo accedere a tutti i file contenuti nella

Memory. In alternativa possiamo inserire nella

prima TextBox il comando così composto:

sftp://NomeUtente:Password@IP_RasPI:Porta

Usando i dati di default ed un IP e porta a caso:

sftp://pi:[email protected]:50265

Page 12: EOS-Book5

{12 RaspberryPI Tutorial: realizziamo il nostro “DropBox” con RasPI!

Via web?Ora viene “il bello”, ovviamente non è possibile

stabilire una connessione con RasPI dall’ester-

no della nostra rete LAN o WiFi, infatti se per

puro sfizio provate avviare Filezilla su un PC

connesso ad una diversa connessione internet,

e ad inserire l’indirizzo l’IP della connessione in-

ternet alla quale è connesso RasPI che potete

trovare cercando “my ip” su google con Midori,

Filezilla vi comunicherà che non è stato possibi-

le stabilire una connessione. Perchè? Semplice,

il vostro Modem blocca ogni accesso dal Web

alla vostra rete privata, e guai se non lo facesse!

Per poter accedere dal web, magari da un altro

PC connesso ad internet, dobbiamo ora aprire

la porta che abbiamo precedentemente inserito

nel file di configurazione SSH, nel nostro mo-

dem di casa. In commercio vi sono centinaia di

modem, uno diverso dall’altro, pare evidente

quindi che sarebbe impossibile indicare passo-

passo i procedimenti per aprire le porte deside-

rate su ogni modello, tuttavia il percorso è molto

simile per tutti i modem. Innanzitutto dobbiamo

conoscere l’indirizzo IP del nostro modem:

WindowsIndifferentemente dal tipo di Windows utilizzato,

andiamo su Start>Programmi>Accessori>Prom

pt dei comandi E nel terminale appena aperto

inseriamo il comando “ipconfig”. Alla voce Ga-

teway predefinito troveremo l’indirizzo IP del

modem.

Linux, Mac e RasPI

Dopo aver cercato ed avviato il Terminale, con il

comando route -n potremo facilmente identifica-

re l’indirizzo del modem presente nella colonna

Gateway.

Memorizzato l’indirizzo del modem, apriamo

un qualsiasi browser internet ed inseriamolo al

posto dell’indirizzo internet della nostra Home e

ci verranno chiesti dei dati per l’autenticazione.

Per accedere alla configurazione del modem in-

fatti, dovremo inserire il suo nome utente e la

password, che solitamente sono “admin e ad-

min” o “user e user”, in alternativa potete trovarli

scritti sotto il modem.

Ora la procedura indicata è “generale” quindi

dovrete essere voi ad adattarla al vostro caso,

potete trovare l’apertura delle porte sotto la voce

“Port Forwarding” “Port Mapping” o “Virtual Ser-

ver” o in alternativa con una semplice ricerca in

internet inserendo il modello del vostro modem

troverete la guida su come aprire le porte per

certi “programmini”. A questo punto, apriamo la

porta che abbiamo impostato su RasPI e natu-

ralmente indichiamo il suo indirizzo IP, mentre

alla richiesta del protocollo indicheremo TCP,

salviamo, e chiudiamo il browser internet.

Se tutto è andato correttamente, possiamo av-

viare Filezilla su un PC collegato ad una diversa

connessione internet, ed inserendo l’indirizzo IP

della connessione internet che utilizza RasPI,

nome utente, password e la porta da noi scelta,

potremo visualizzare i file della Memory card!

Page 13: EOS-Book5

{13 RaspberryPI Tutorial: realizziamo il nostro “DropBox” con RasPI!

Se Filezilla ci comunica che la connessione non

è andata a buon fine invece, probabilmente non

abbiamo aperto correttamente le porte del mo-

dem, e non è quindi raggiungibile.

Il nostro RasPI-DropBox è ora pronto! Possia-

mo aprire, salvare, e spostare file da RasPI al

PC in uso attraverso Internet o via Ethernet.

No-IP!Rimane un problema, e se il modem si riavvia

e l’indirizzo IP cambia? Come faccio a comu-

nicare con RasPI se non conosco più il suo

IP? Semplice, No-IP! No-ip è un servizio gra-

tuito con il quale possiamo avere un indirizzo

internet simile a mariorossi.no-ip.org il quale ci

reindirizzerà verso l’IP della nostra connessione

Internet alla quale è connesso RasPI, non solo,

nel momento in cui il modem venisse riavviato,

un software che installeremo su RasPI comu-

nicherà automaticamente il nuovo IP in modo

tale che collegandoci all’indirizzo fornito, potre-

mo sempre connetterci con RasPI! Ma andiamo

per gradi, innanzitutto dobbiamo registrarci su

www.noip.com indicando, durante la registra-

zione, il nome del nostro futuro “dominio” nella

sezione Hostname. L’Hostname che indichere-

mo, sarà quello a cui dovremo connetterci con

Filezilla per comunicare con RasPI, sarà quin-

di opportuno salvarlo da qualche parte insieme

alla mail e la password utilizzata per la registra-

zione. A registrazione effettuata, dobbiamo in-

stallare l’applicazione DUC (Dynamic Update

Client) su RasPI, quindi da terminale daremo i

seguenti comandi:

Creiamo una nuova cartella e la chiamiamo noip

mkdir /home/pi/noip

ci spostiamo all’interno della cartella

cd /home/pi/noip

scarichiamo il file d’installazione del DUC wget

http://www.no-ip.com/client/linux/noip-duc-li-

nux.tar.gz

decomprimiamo il file appena scaricato

tar vzxf noip-duc-linux.tar.gz

ci spostiamo nella cartella appena decompres-

sa

cd noip-2.1.9-1

installiamo il DUC

sudo make

sudo make install

avviamolo, ed eseguiamo la prima configurazio-

ne

sudo /usr/local/bin/noip2

Ci verranno ora chiesti i dati con cui ci siamo

registrati sul sito noip.com, iniziando con la mail

e la password, successivamente dovremo in-

serire ogni quanti minuti sincronizzare l’IP con

il dominio e ci viene consigliato un intervallo di

30 minuti. Non inserite un tempo tropo ristret-

to come possono essere 5 o 10 minuti, 20-30

minuti sono più che accettabili e non obbliga-

no RasPI a continue comunicazioni con noip.

Infine, indicheremo il dominio precedentemen-

te creato, ed ecco il nostro RasPI-Box pronto

ad essere raggiunto inserendo al posto dell’IP

in Filezilla, l’indirizzo che abbiamo precedente-

mente creato.

Page 14: EOS-Book5

{14 RaspberryPI Tutorial: realizziamo il nostro “DropBox” con RasPI!

Non ci rimane che far si che il DUC si avvii ogni

qual volta viene acceso RasPI! Sempre da ter-

minale quindi, creeremo uno script per avviare

il DUC ad ogni accensione:

Creiamo un nuovo file

sudo nano /etc/init.d/NoIPstartup

All’interno dell’editor di testo scriveremo:

#! /bin/sh

# /etc/init.d/noip

### BEGIN INIT INFO

# Provides: noip

# Required-Start: $remote_fs $syslog

# Required-Stop: $remote_fs $syslog

# Default-Start: 2 3 4 5

# Default-Stop: 0 1 6

### END INIT INFO

case “$1” in

start)

echo “Starting noip”

/usr/local/bin/noip2

;;

stop)

echo “Stopping noip”

killall noip2

;;

*)

echo “Usage: /etc/init.d/noip {start|stop}”

exit 1

;;

esac

exit 0

e come sempre, confermeremo con CTRL+X,

“y” ed Invio. Rendiamo lo script appena creato

eseguibile

sudo chmod 755 /etc/init.d/NoIPstartup

ed infine lo rendiamo eseguibile all’avvio

sudo update-rc.d NoIPstartup defaults

Ecco RasPI pronto per ospitare i nostri dati pre-

via autenticazione con nome utente e password.

Da utente Android, dato che ho parlato della

possibilità di accedere a RasPI via sftp anche

da Smartphone, segnalo l’applicazione Andftp

che oltre ad essere gratuita permette la connes-

sione ad un dispositivo Host per lo scambio di

file via Wifi e 3G utilizzando sftp, ftp, etc.

image credits | adafruit.com

L’autore e a disposizione nei commenti per eventuali approfondimenti sul tema dell’Articolo.Di seguito il link per accedere direttamente all’articolo sul Blog e partecipare alla discussione:

http://it.emcelettronica.com/raspberrypi-tutorial-realizziamo-nostro-”dropbox”-con-raspi

Page 15: EOS-Book5

15}

PCB ART: grounding esfide progettuali

di Piero Boccadoro12 Marzo 2013

Bentornati a PCB ART. Oggi, come accennato ed introdotto la scorsa volta, cerche-remo di tessere la tela dei concetti enunciati per completare il quadro generale sull’i-solamento. Parleremo nel dettaglio dei percorsi conduttivi e della gestione dei circuiti integrati a segnale misto per arrivare a capire come si può realizzare un buon isola-mento. Siete pronti?

P rima di continuare ed andare più sul prati-

co, vediamo di fare un breve riassunto delle

“grandezze” di nostro interesse.

Piano di massaUn piano di massa lo abbiamo definito come

uno strato metallico più o meno grande che ri-

copra un’area di interesse. È buona norma uti-

lizzarlo per ricoprire tutte le parti della scheda

a cui questo serva. Una traccia, o pista, è un

pezzo di rame (o facente funzione) che, sulla

scheda, connette due componenti, dimostrando

di comportarsi come un filo. Tipicamente il pia-

no di massa non viene realizzato su entrambi i

lati della scheda ed il lato dei componenti viene

tenuto “esposto” alla tensione mentre l’altro a

massa. Questo viene totalmente meno quando

si parla di schede multi-layer, in cui tale schema

non è applicabile allo stesso modo.

Vias dei piani di massaSe per ciascuno dei lati della scheda esistono

piani di massa, è probabile che essi vadano

connessi (non così vale per masse analogiche

e digitali) e questo si può realizzare mediante

l’utilizzo di Vias localizzati in un buon numero di

Page 16: EOS-Book5

{16

punti della scheda. Se il layout originale non ne

contiene, si possono praticare con facilità tra-

panando la scheda stessa ed utilizzando dei fili

per realizzare i collegamenti.

Connettori di massa

Tutti i connettori sulla board devono essere

connessi alla massa della scheda. Per far ciò

è buona regola utilizzare più di un connettore di

massa. È errore comune pensare che un solo

connettore di massa sia sufficiente ma niente

potrebbe essere più sbagliato di così, dal mo-

mento che questo potrebbe causare disadat-

tamento di impedenza e fenomeni oscillatori di

qualsiasi genere. Se il disadattamento c’è, allo-

ra la corrente scorre attraverso il conduttore non

in un unico verso (oscillando, per l’appunto) con

le più inimmaginabili, e potenzialmente nefaste,

conseguenze per il sistema.

Disaccoppiamento

Tutti i PCB contengono uno o più integrati e cia-

scuno di essi ha bisogno di essere alimentato.

I pin di alimentazione e massa, come stiamo

vedendo, permettono di raggiungere lo scopo

ma la domanda, come avrete capito, è “come”

si collegano. E che cosa succede se lo faccia-

mo male. Bene, i segnali possono accoppiarsi,

come già abbiam detto, e questo significa che

potrebbe rendersi necessario utilizzare dei con-

densatori di disaccoppiamento che eliminino le

componenti indesiderate, un po’ come accade

tra stadi negli amplificatori. Lo scopo dei con-

densatori è quello di smorzare queste oscilla-

zioni sulla tensione diretta al circuito integrato.

Altra ragione per il suo impiego è realizzare una

connessione diretta a massa.

Mettiamo le idee insiemeSe tutto quello che abbiamo detto finora è chia-

ro, possiamo cercare di mettere insieme tutte

queste nozioni per lavorare seriamente su come

mettere a massa circuiti integrati che lavorano

con segnali misti. Prima di tutto, comunque, il

risultato che è necessario portare a casa è as-

sicurarsi che le correnti, come i segnali, sia di-

gitali sia analogici, non vengano a condividere

alcuna porzione del loro percorso di ritorno.

Per il momento è importante focalizzarsi sul

fatto che l’obiettivo principale è quello di mini-mizzare la vicinanza dei percorsi di ritorno delle correnti sia per i segnali digitali sia per quelli analogici. Se riusciamo a fare questo,

dal circuito saranno eliminate tutte le principali

problematiche che si verificano se i segnali digi-

tali “sporchi” corrompono quelli analogici.

Una soluzione logica da adottare è quella di ta-

gliare il piano di massa dividendo nettamente la

sezione digitale da quella analogica. In realtà, è

logico pensare che sia meglio, e più semplice,

realizzare piani di massa diversificati invece che

dividerli o individuarne sezioni.

Come vedremo, se distribuiamo tutti i compo-

nenti in maniera adeguata, e seguiamo attenta-

mente queste piccole, brevi e semplici direttive

di buona progettazione, riusciremo a non avere

alcun tipo di problematica sulle prestazioni.

Per ora, accontentiamoci di tagliare il piano di massaVedremo, adesso, che cosa succede conside-

rando un ADC qualsiasi. Partiamo dal presup-

posto di considerare soltanto i pin di power e

ground dell’integrato. Di solito, in generale, così

come riportato nella figura che segue, viene

semplicemente specificato se stiamo parlando

di pin analogici oppure digitali.

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 17: EOS-Book5

{17

Questo perché la loro funzione specifica, in re-

altà, dal punto di vista della label, non è molto

importante.

Un pin analogico potrebbe essere uno qualun-

que tra quelli adibiti ad operazioni di input ed

altrettanto si può dire per quelli di output. Un pin

digitale, invece, potrebbe essere parte di un’in-

terfaccia seriale (o parallelo), un pin di controllo

oppure ancora un chip select. Tutto questo, dal

punto di vista della nostra analisi non è affatto

più influente adesso.

Quello che, invece, è piuttosto importante nota-

re è che i pin digitali sono tipicamente contigui

così come accade tra i pin analogici con quelli

di massa, sia analogici sia digitali. Questo non è

così raro come si potrebbe pensare perché tutti

coloro che progettano gli integrati devono riu-

scire a mantenere “insieme” tutte le grandezze

che, per qualche ragione, risultino essere simili.

Nell’esempio portato, inoltre, ci sono ben due

diversi pin di massa digitale. Talvolta questo si

rende necessario per fare in modo che le cor-

renti di massa all’interno dell’integrato non cau-

sino errori. Ciò non di meno, questo potrebbe

dar luogo a diverse problematiche non soltanto

di corruzione del segnale ma proprio di danneg-

giamento dell’integrato stesso.

Dal momento che i pin analogici e digitali ven-

gono raccolti in un’unica “porzione” del package

e, quindi, della piedinatura dell’integrato, resta

piuttosto semplice decidere dove andare ad in-

serire il piano di massa.

Con la figura che segue vediamo proprio que-

sto, ovvero come viene “disegnato” il piano di

massa con una pista che si porta in maniera

adiacente ai pin di massa sia analogica sia di-

gitale.

Generalmente quando una traccia sul piano di

massa viene utilizzata, come in questo modo,

il progettista cerca di posizionare tutti i compo-

nenti digitali su un unico lato, tenendoli insieme.

Altrettanto verrà fatto con quelli analogici dall’al-

tro lato. In questa maniera quello che si cerca di

fare è mantenere i pin di massa connessi alla

corretta “porzione” del piano. Sarà importante

tenere a mente questo “escamotage” specie in

relazione al nostro particolare ADC.

Supponendo, adesso, di aver fatto un buon

lavoro in questo caso, e che tutti i componen-

ti digitali siano completamente localizzati nella

parte digitale del piano di massa ed altrettanto

siano quelli analogici, non abbiamo comun-que ancora finito perché dobbiamo capirecosa fare per tutte le tracce di segnale vero e proprio. Quindi, adesso, ci dovremo occupa-

re del...

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 18: EOS-Book5

{18

Routing dei segnaliIniziamo, quindi portando un segnale digitale

dal pin D1 verso un integrato qualunque. La traccia, come suggerito dalla fase precedente, trasporta un segnale digitale quindi sarebbe bene che non viaggiasse nella porzione che abbiamo dedicato alla sezione analogica del circuito, questo se vogliamo evitare tutti quei

problemi di cui abbiamo parlato in precedenza.

Questa traccia è un classico esempio di errore

che molti potranno notare. Il segnale analogico,

qualunque esso sia, rischia di essere contami-

nato da questa semplice pista.

Dando uno sguardo alla prossima figura, co-

munque, tutto questo sarà ancora più chiaro.

Qui possiamo vedere il percorso di ritorno di

massa di una traccia del segnale digitale rea-

lizzata in maniera errata. Quello che vedete in

arancione è come questo percorso segua la

traccia del segnale fino a quando essa non in-

contra il taglio. In quel momento, la traccia può

soltanto tornare indietro per attraversare il “ta-

glio”. Di conseguenza non abbiamo soltanto la

corrente digitale, con il suo contenuto in alta fre-

quenza che scorre attraverso la massa della cir-

cuiteria analogica (cosa che, di per sé, sareb-be già da evitare), ma abbiamo anche creato due distinti anelli che fungono da antenna

che certamente irradieranno questi segnali.

Per questo motivo il metodo rischia di essere

non soltanto non efficace ma anche contropro-

ducente; noi dobbiamo garantire che le due sezioni del circuito siano isolate.

C’è da chiedersi, comunque, che cosa acca-

da quando questo, o meglio questi, requisiti

vengano rispettati. La prossima figura prova a

mostrarcelo: tutte le tracce di segnale vengono

condotte senza attraversare la sezione di ta-

glio. Le correnti di ritorno fluiscono attraverso le

tracce, minimizzando proprio quegli effetti di anello di cui abbiamo parlato; l’unica cosa che

separa le tracce di segnale dal piano di massa

è lo spessore della scheda stampata.

Guardando questa figura, nonché le correnti

dimostrate all’interno delle tracce, nessuna di

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 19: EOS-Book5

{19

queste ha la necessità di provare a “saltare il

fosso” (taglio). Questo perché abbiamo fatto at-

tenzione a posizionare i componenti in maniera

tale da curare le connessioni che avremmo co-

munque necessità di realizzare con tutta l’altra

circuiteria (analogica e digitale). Abbiamo, inol-

tre, portato tutte le tracce a mantenersi nella

loro area di pertinenza.

Una scheda con un singolo piano di massa,

diviso in sezione analogica e digitale, all’inter-

no della quale il routing è stato fatto in maniera

scrupolosa può certamente essere la soluzione

migliore. I problemi di layout, ma anche di inter-

ferenze, possono essere risolti efficacemente.

Molti produttori di convertitori da un lato sug-

geriscono che dividere il piano di massa non

sia una cattiva idea ma dall’altro indicano sulla

loro documentazione “AGND” e “DGND” come

due pin separati e distinti. Tutti noi sappiamo

che sono masse analogiche e digitali e non è

un caso che vengano indicate diversamente.

Tipicamente troverete scritto che i due “devo-no essere connessi esternamente allo stes-so piano di massa a bassa impedenza e con una connessione il più corta possibile” e fin

qui è ovvio; si suggerisce spesso anche che

“qualsiasi impedenza esterna ulteriore nella connessione al pin digitale potrebbe com-portare accoppiamento e rumore in ingresso all’integrato”. Il consiglio, di solito, è quello di

connettere tutti e due i piedini alla massa analo-

gica. Questo suggerimento potrebbe, però, cre-

are ulteriori problemi e pertanto un modo miglio-

re per riuscire comunque connettere i due pin

insieme ma senza avere problemi è utilizzare

un unico piano di massa.E come la mettiamo

con la potenza?

Abbiamo deciso di eliminare i tagli al piano di

massa come tecnica perché non ci sono corren-

ti di ritorno che hanno la necessità di effettua-

re quel salto di cui parlavamo prima. Tuttavia abbiamo la necessità di considerare come risolvere il problema delle connessioni per l’alimentazione qualora sia la parte analogi-ca sia la parte digitale del circuito vengano alimentati dalla stessa alimentazione. In que-

sto caso, sia la sorgente sia il suo terminale di

ritorno devono essere sullo stesso lato del ta-

glio. In questo caso, tutte le correnti di ritorno in

continua dall’altro lato del taglio devono seguire

un percorso diverso da quello diretto verso la

connessione di ritorno all’alimentazione. Que-

sto, sostanzialmente, rende il loro percorso più

lungo e la resistenza che incontrano nel loro

cammino più grande. Conseguentemente, la

tensione che si viene a creare sarà più grande

(in modulo).

Questo layout non è un problema dal punto di

vista delle correnti di massa nei punti in cui ab-

biamo i pin di alimentazione del’ADC. Il fatto è

che queste correnti provengono da massa men-

tre le correnti che vanno da questi pin verso altri

componenti devono necessariamente essere

guidate in altro modo.

Nella prossima figura

viene mostrato proprio questo tipo di piste e

come vengano guidate le correnti di massa in

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 20: EOS-Book5

{20

continua.

Poichè sulla necessità di tagliare il piano di

massa esistono dubbi E scuole di pensiero, sof-

fermiamoci un attimo su questo.

Abbiamo detto che i piani di massa sono dotati

di grandi valori di capacità (con i piani adiacen-

ti), permettono una migliore dissipazione del ca-

lore e riducono l’induttanza (di terra).

Tuttavia resta di grande interesse la questione

della capacità parassita (stray) che si viene a

creare. Questa capacità torna particolarmente

utile per i segnali di alimentazione (power lines)

ma sul segnale è potenzialmente pericolosa.

Nella buona pratica, in alcuni tutorial e parlan-

do con alcuni del settore, potrete trovare diversi

suggerimenti riguardo al modo in cui posiziona-

re i piani di massa.

Come abbiamo visto, essi

• vanno tenuti al di “sotto” delle linee di ali-

mentazione;

• vanno posizionati lontano dalle linee di se-

gnale;

• vanno accompagnati dall’uso di anelli di

guardia;

• non vanno mai interrotti.

E su quest’ultimo suggerimento, in particolare,

non ci troviamo! Come dobbiamo interpretare questa idea? Questo “tip” è giusto o sbagliato?

Molti sono dell’idea che il “cutting” del piano di

ground sia sbagliato ogni qual volta ci troviamo

di fronte a linee di segnale ad alta velocità. Que-

sto perchè i condensatori “stray” non hanno

una grande influenza su questo tipo di segnali

ma creano problemi quando finiscono per costi-

tuire filtri parassiti all’ingresso, ad esempio, di

un OPAMP.

Una delle soluzioni raccomandate è utilizzare

le cosiddette “microstrip”, ovvero segnali gui-

dati tramite tracce poste immediatamente al di

sopra del piano di massa. Perchè? Semplice:

la corrente tende a seguire il solito percorso a

più bassa impedenza. Vedete bene come que-

sto concetto, apparentemente banale, continua

a seguirci passo passo in ogni considerazione.

Tenendo, però, questo fenomeno in giusta con-

siderazione, rendiamo minima la dimensione

del loop e quindi l’EMI irradiata. L’apparente in-

congruenza può essere, quindi, risolta in questo

modo.

Eliminiamo il taglioLo abbiamo annunciato: questo metodo non

piace. Se eliminiamo, adesso, il taglio, le cor-

renti in continua possono fluire in maniera diret-

ta incontrando anche una più bassa resistenza

e, quindi, determinando la più bassa caduta di

potenziale. Vediamolo meglio con la prossima

figura, in cui il taglio viene effettivamente rimos-

so.

La stessa “trovata” potrebbe essere applicata in

situazioni in cui ci siano rail multipli piuttosto che

un’unica alimentazione.

Le tensioni di rumore sui piani di massa analogi-

ci dovrebbero essere le più piccole possibile ed

in particolare molto più piccole del più piccolo

segnale analogico di nostro interesse, ovvero

non confrontabili con la risoluzione. Per valu-

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 21: EOS-Book5

{21

tare se il convertitore abbia come risoluzione,

e quindi come LSB, un valore più piccolo del-

la tensione di rumore, dovremo tener conto del

numero di bit di cui è dotato. È evidente che più

piccola è la tensione di “riferimento” e maggiore

sarà il numero di bit, più piccolo risulterà essere

il più piccolo segnale risolto. Lo vediamo in una

tabella riassuntiva che certamente lo spiega in

maniera molto rapida.

Utilizzare un unico piano di massa, configurato

così come ne abbiamo discusso in preceden-

za, è spesso utile quando i convertitori hanno

un numero di bit piccolo. Man mano che questo

cresce i convertitori avranno risoluzioni dell’or-

dine dei μV, se non di meno. Pertanto potrebbe

essere necessario dividere la scheda in regioni

di massa analogica e digitale separate ciascuna

delle quali sia connessa al piano di massa digi-

tale al di sotto di ciascun convertitore.

Questa soluzione risulterà utile per eliminare

ancora meglio eventuali componenti di rumore,

pur mantenendo un singolo piano per l’intero si-

stema.

Le sfide che abbiamo davantiI problemi con queste divisioni, le sezioni che

abbiamo realizzato sinora nei piani di massa,

diventano molto più evidenti quando conside-

riamo il progetto, di più circuiti integrati che ri-

chiedono masse digitali ed analogiche. Questo

l’abbiamo detto più volte finora ma è arrivato il

momento di argomentarlo.

Supponiamo di avere due convertitori analogi-

co-digitale perfettamente identici l’uno all’altro

ed anche uguali a quello di cui abbiamo parlato

finora. Con la prossima figura, infatti, vediamo

la loro configurazione e come non sia effettiva-

mente possibile ottenere un singolo, solo, unico

punto di massa. Questo dipende dal fatto che i

due integrati dimostrano di avere lo stesso pi-

nout e questo vuol dire che dobbiamo trova-re un modo di renderli “compatibili” con le considerazioni fatte.

La reazione immediata sarebbe quella di ribalta-

re il secondo, ottenendo una simmetria specula-

re che renda contigue le regioni da connettere

a massa. Tuttavia, questa non sarebbe affatto

una cosa possibile quindi la migliore operazione

da fare sull’integrato sarebbe ruotarlo di 180°.

La sezione digitale dell’integrato ruotato, infatti,

sarebbe più in alto mentre noi vorremmo che

fosse in basso. In questa parte, infatti, c’è la se-

zione analogica è quindi evidente che non ab-

biamo ottenuto il risultato che volevamo.

Se provassimo comunque a lavorare con un cir-

cuito con questa modifica avremmo delle tracce

che semplicemente si ingarbuglierebbero senza

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 22: EOS-Book5

{22

alcun criterio.

Dobbiamo farci venire un’altra idea perché se

anche questa configurazione dovesse funziona-

re, certamente non sarebbe stato fatto un bel

progetto.

Fortunatamente possiamo riuscire ad applica-

re lo stesso principio di isolamento usato per

un singolo circuito integrato a segnale misto.

Immaginiamo che quei tagli ci siano, o magari

potremmo semplicemente inserirli in maniera

temporanea (per poi rimuoverli). Dopo aver fat-

to questo, possiamo posizionare i componenti e

realizzare il routing in modo tale da non avere

“salti” del taglio. Potremmo anche aver bisogno

di far sì che le tracce analogiche del primo inte-

grato si “dividano” il piano di massa con quelle

del secondo.

Questo, generalmente, è facile da fare perché

naturalmente avremo l’impulso di posizionare

i componenti, di ciascun integrato, il più vicino

possibile tra loro.

La figura che abbiamo appena visto ci mostra

schematicamente cosa potremmo realizzare

facendolo. Così come, nell’esempio del singo-

lo circuito integrato a segnale misto, nessuna

delle correnti “desidererà” saltare quell’interru-

zione. Ecco perchè, se l’abbiamo messa perché

avevamo problemi ad immaginarcela, essa può

essere eliminata.

Lo stesso modo di pensare può essere esteso a

situazioni più complesse o “popolate”. In gene-

rale, però, possiamo dire che e una buona idea cercare di capire dove la corrente scorrerà

per ciascuno dei segnali coinvolti in modo tale

da non avere interruzioni o corruzioni di segna-

le. Pensareinquestomodoèsufficienteperrisolvere la maggior parte dei problemi.

Tuttavia, a volte servirebbero

Esistono situazioni pratiche in cui avere vin-

coli meccanici, quindi fisici, così come accade

con la posizione desiderata per un connettore,

rende difficile mantenere il flusso di corrente,

specialmente quando siamo a bassa frequen-

za oppure in continua, lontano dai circuiti che

vogliamo proteggere da interferenze. In questi

casi dobbiamo decidere in maniera molto accor-

ta dove posizionare i piani di massa.

La necessità di evitare queste complicazioni è

un’ottima motivazione per considerare seria-

mente l’utilizzo di vincoli meccanici (o connet-

tori) insieme con il piazzamento dei componenti

su PCB. Se i connettori vengono posizionati con

maggiore attenzione al layout ed alla “resa fina-

le” del circuito, il risultato potrebbe essere più

semplice da raggiungere, più pulito da vedersi

e, in definitiva, più corretto.

Anche quando dovessimo essere molto attenti

nel considerare le interazioni tra i nostri vincoli

meccanici ed il flusso di segnale, potrebbe sem-

pre facilmente verificarsi una situazione in cui

siano requisiti esterni a costringerci a mettere,

per esempio, delle interfacce in posizioni che

rendono difficile impedire alle correnti di segui-

re percorsi preferenziali ed, in definitiva, andare

dove preferiscono.

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 23: EOS-Book5

{23

Questa figura ci aiuta a dare uno sguardo pro-

prio a questa situazione. Anche quando abbia-

mo fatto un ottimo lavoro nel posizionamento

dei regolatori di potenza, in modo che segnali

analogici e digitali, anche ad alta frequenza, nei

percorsi di ritorno non seguano strade simili, co-

munque, c’è da tenere a mente che le correnti in

continua ed a bassa frequenza torneranno tutte

alla massa di segnale, che è nell’angolo in bas-

so a sinistra, e vi si può arrivare seguendo il per-

corso a più bassa impedenza: una linea dritta.

Il risultato è che correnti di grande intensità in

continua (e a bassa frequenza) dalla regione in

basso a destra della sezione digitale correranno

dritte verso la circuiteria analogica che si occu-

pa del sensing. Potremmo certamente porre ri-

medio a questo problema interrompendo quella

regione con un taglio tra sezione analogica e

digitale, realizzando, in pratica, un confine.

Tuttavia, cercheremo di evitare questa strada

perché il routing dei segnali attraverso questa

regione potrebbe allungare le piste e rendere, in

definitiva, i segnali più lenti. E questo perché il

routing diventerebbe, nei fatti, “indiretto”, il che,

come sappiamo, non è mai una buona scelta.

Un’altra idea potrebbe essere quella di piazzare

un taglio verticale tra la parte analogica, sezio-

ne di circuiteria, e quella, sempre analogica, dei

regolatori. Questo isolerebbe la parte analogica

dei segnali digitali. In definitiva si tratterebbe di

realizzare quello che viene mostrato in questa

figura.

Il percorso, in continua, che dimostra di avere

più bassa impedenza e che va dalla regione di

circuiteria digitale verso il power source ground

non è più una linea dritta, non è più a più bassa

impedenza. Si tratta, invece, di un percorso che

passa attraverso il taglio, quindi bypassando la

circuiteria analogica. Questa potrebbe essere

una soluzione piuttosto interessante.

In alcuni casi, come vediamo con l’ultima figura,

i regolatori analogici sono sensibili a basse com-

ponenti di rumore necessarie perché avvenga-

no le operazioni di tutta la sezione analogica.

Una soluzione diversa può essere proprio quel-

la mostrata in figura. Il concetto è lo stesso della

precedente ma questa volta i regolatori analogi-

ci sono localizzati nella stessa regione del resto

della parte analogica del circuito.

Talvolta potrebbero esserci dei regolatori

switching rumorosi che sono seguiti da apparati

di filtraggio a basso rumore. Una maniera simi-

le di vedere le cose è quella di decidere dove

posizionare questi regolatori tenendo sempre a

mente il flusso di corrente ma limitando l’espo-

sizione dell’intero sistema a queste componenti

di rumore.

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

Page 24: EOS-Book5

{24

Un’altra situazione che si deve necessariamen-te tenere a mente perché la si incontra sempre più frequentemente, è l’integrità dei segnali quando la frequenza diventa alta. Man mano che la frequenza si innalza, infatti, e si tende ai GHz, possiamo vedersi manifestare quei fenomeni di interferenza di cui parlavamo. Si tratta del crosstalk, del quale avevamo accen-nato all’inizio della scorsa puntata e che ora è bene riprendere in considerazione per non sot-tovalutarlo.Fisicamente quello che accade è che una par-te della potenza che transita in una linea di tra-smissione viene trasferita ad un’altra adiacente, oppure a più di un’altra, facendo necessaria-mente calare il rapporto segnale rumore (SNR) della linea nella quale la traccia sta transitando.Ovviamente, però, questo si verifica anche nelle tracce adiacenti e che sono soggette all’inter-ferenza; esse infatti vedono il loro contributo di potenza aumentare ma quello di segnale dimi-nuire drasticamente (il che implica che l’SNR peggiora).Questo rende il tutto molto più complicato.Come abbiamo imparato in precedenza, però, nel caso più semplice di una singola traccia che si muova su un piano di massa, la corrente di ritorno non viene contenuta all’interno dell’aria che si trova direttamente sotto la traccia di se-gnale ma è molto più “diffusa”.È facile verificare quanto vicino dovranno tro-varsi le tracce parallele per verificare l’insorgen-za del problema. Man mano che la frequenza aumenta e le tracce (dimensionalmente) comin-ciano a diventare comparabili con la lunghezza d’onda i segnali diventeranno molto più facil-mente “corruttibili”.

Teniamo d’occhio la correnteMolti problemi che insorgono nel progetto di sistemi a segnale misto su PCB sono dovuti proprio ad impreviste ed indesiderate tracce di segnale.Tali problematiche, pertanto, possono anche essere evitate seguendo il consiglio che dà il titolo a questo paragrafo: bisogna stare molto attenti a che cosa fa la corrente, come si muove e quali sono i percorsi che, anche senza volerlo, noi stessi lasciamo che segua.Le componenti continue, ed a bassa frequenza, preferiranno percorsi in linea retta, che dimo-strano di avere più bassa resistenza tra carico e sorgente.Quando la frequenza è alta, i segnali cercano il percorso a minore impedenza (ovvero entrano in gioco le componenti reattive!).A frequenze intermedie entrambe le possibilità sono probabili.L’idea di utilizzare delle divisioni, dei setti, dei partizionamenti per evitare le interazioni tra sezioni diverse del circuito, oppure tra integra-ti, non è sempre necessaria anzi talvolta può essere controproducente. È molto meglio, se possibile, posizionare i componenti in maniera intelligente, cercando di stare attenti a tutte le problematiche di cui abbiamo accennato fino a questo momento. Tuttavia, a volte tagliare il piano di massa è necessario perché non abbia-mo sempre tanta libertà nel fare le scelte di cui abbiamo visto i dettagli fino a questo momento, incluso “dove” posizionare i componenti.Insomma, talvolta agli elettroni sarebbe il caso di mettere il sale sulla coda ma basta un po’

d’attenzione per evitare grandi problemi.

PCB ART: grounding e sf ide proget tua l i

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GUIDA AL FOTOVOLTAICO : i componenti(parte 1/5)

di Ferfabry7614 Marzo 2013

Negli ultimi anni il mondo del fotovoltaico ha visto improvvisarsi molti installatori e progettisti gettando tante ombre in un settore già di per se molto variegato e comples-so. Impariamo a conoscere nel corso di questi articoli i componenti, gli strumenti e le tecniche di progettazione di un impianto fotovoltaico tralasciando l’aspetto meramen-te burocratico per concentrarci sulla tecnica.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito alla pro-

liferazione di impianti fotovoltaici di diversa

natura, dai grandi impianti a terra, a quel-

li su inseguitori, a quelli sui tetti di grandi ca-

pannoni industriali o delle nostre abitazioni. Per

quanto diversi possano sembrare, in realtà que-

sti impianti sono tutti accomunati dai medesimi

componenti e dagli stessi calcoli per il loro di-

mensionamento.

Negli anni quello che è cambiato è l’approccio

alla progettazione degli impianti, sia per motivi

di normativa sia per motivi economici legati alla

resa dell’impianto. Sul fronte delle normative,

siamo giunti ormai al 5° conto energia e molti

tipi di impianti non sono più realizzabili, come

i grandi impianti a terra; per questo motivo la

maggior parte delle grandi installazioni viene re-

alizzata su grandi tetti industriali.

Per quanto riguarda la resa dell’impianto, l’o-

rientamento della maggior parte dei progettisti è

il frazionamento dell’impianto: se fino a qualche

anno fa si prediligevano gli inverter centralizzati

Page 26: EOS-Book5

{26

(da 100kW in su) oggi si preferisce frazionare

l’impianto utilizzando più inverter di taglia infe-

riore (tra i 10 e 25kw).

La motivazione di questa scelta è da attribuire

ad una serie di fattori:

• gli inverter centralizzati sono generalmente

macchine con basso grado IP che necessi-

tano per la loro installazione di un apposi-

to vano mentre gli inverter di piccola taglia

sono disponibili anche con grado IP 65 che

li rende adeguati ad essere installati diretta-

mente sul campo, riducendo il costo di cavo

fotovoltaico;

• occorre considerare il rendimento economi-

co dell’impianto in occasione di guasti: gli

inverter centralizzati, per via del loro peso

e delle dimensioni, non vengono sostituiti

in caso di guasto ma riparati sul posto dai

tecnici della casa madre il che causa interru-

zioni di funzionamento di diverse ore se non

giorni, immaginiamo un impianto da 500kW

fermo una giornata. Gli inverter di piccola ta-

glia, invece, sono sempre sostituiti in caso

di guasto e generalmente ne viene sempre

tenuto almeno uno di scorta sull’impianto.

Prendendo come esempio sempre un im-

pianto da 500kW, ipotizziamo formato da

25 inverter da 20kW, in caso di guasto, si

fermerà un venticinquesimo dell’impianto, ri-

ducendo le perdite di mancata produzione.

Questo modo di progettare impianti non è

però solo adatto per installazioni di grandi

dimensioni, ma anche per l’impianto casa-

lingo, ad esempio da 6 kW, utilizzando due

inverter da 3kW.

Qualunque sia l’architettura utilizzata per confi-

gurare il proprio impianto fotovoltaico, va sem-

pre ricordato che la qualità dei componenti uti-

lizzati ed il loro corretto dimensionamento sono

fondamentali per una resa duratura del proprio

investimento. Ma quali componenti formano un

impianto fotovoltaico?

Elencarli è presto fatto:

• Pannelli fotovoltaici;• Strutturedifissaggio;• Quadri DC;• Inverter;• Quadri AC.Naturalmente oltre la qualità dei componenti è

fondamentale il giusto dimensionamento elettri-

co dell’intero sistema e la corretta disposizione

ed installazione dei vari componenti.

Vi sono poi componenti aggiuntivi, ma non per

questo meno importanti, che fanno parte dei

sistemi di monitoraggio. È infatti fondamentale

tenere sotto controllo il proprio impianto per es-

sere certi che produca quanto stimato in fase di

progettazione. Altro fattore determinante per la

resa dell’impianto è la manutenzione e pulizia

dei pannelli fotovoltaici.

1. Componenti dell’impiantoAnalizzeremo nel dettaglio ogni singolo compo-

nente dell’impianto fotovoltaico per poter opta-

re e selezionare quelli più adatti a seconda del

tipo di impianto da realizzare e della sua dislo-

cazione. Conoscere ciò che offre il mercato è

fondamentale per bilanciare al meglio il rappor-

to prezzo/rendimento dell’impianto e massimiz-

zarne la resa.

1.1 Pannello FVIl pannello fotovoltaico è sicuramente il com-

ponente alla base dell’impianto fotovoltaico in

quanto trasforma la luce in energia elettrica. I

pannelli fotovoltaici non sono però tutti uguali

e possono essere realizzati con diverse tecno-

logie, ognuna delle quali presenta vantaggi e

GUIDA AL FOTOVOLTAICO: i componenti (parte 1/5)

Page 27: EOS-Book5

{27

svantaggi.

La tipologia di pannello maggiormente utilizza-

ta degli ultimi due anni nella realizzazione di

impianti è quella policristallina che fino a qual-

che anno fa era considerata un surrogato della

tecnologia monocristallina. Le caratteristiche di

queste due tecnologie sono:

• Pannelli monocristallini: sono tra i più costosi

e presentano rendimenti tra il 15 ed il 18%,

si presentano generalmente sotto forma di

celle ottagonali il cui colore tende quasi al

nero. Ogni cella è realizzata a partire da un

wafer di silicio la cui struttura cristallina è

omogenea. Dato il loro costo, sono pannelli

usati pochissimo e che hanno una minima

fetta di mercato.

• Pannelli policristallini: sono i più utilizzati ed

il loro rendimento ha praticamente raggiunto

quello dei monocristallini in quanto lo svilup-

po dei processi produttivi si è concentrato

su questa tecnologia. Sono realizzati con

wafer di silicio la cui struttura cristallina non

è omogenea ma organizzata in grani local-

mente ordinati. Le celle sono generalmente

quadrate di colore blu.

Le celle realizzate con queste tecnologie pro-

ducono energia solamente se investite dalla ra-

diazione solare. Questo significa che il raggio di

sole deve colpire direttamente la cella perché

il processo fotovoltaico si inneschi. Da qui la

necessità, in fase di installazione di optare per

l’orientamento ed inclinazione migliori possibili.

I pannelli cristallini sono realizzati costruendo

un vero e proprio sandwich formato dai seguen-

ti materiali:

1. Vetro2. EVA3. Celle mono o policristalline4. EVA5. Backsheet o vetro

Il vetro utilizzato è generalmente a basso con-

tenuto di piombo,trasparente, temperato e con

una particolare texture superficiale per consen-

tire una maggiore diffusione della luce sulle cel-

le. Il suo spessore varia dai 3,2 ai 4mm a secon-

da dei produttori.

L’EVA è una plastica copolimerica particolar-

mente flessibile ed elastica utilizzata per isolare

dall’aria e dall’umidità le celle fotovoltaiche.

Il backsheet è uno strato plastico ad alto iso-

lamento che protegge la parte retrostante del

pannello che generalmente, una volta installato,

non dovrebbe essere soggetta a grosse solleci-

tazioni. In casi particolari, quando i pannelli sono

particolarmente grandi, o nella realizzazione di

pannelli per copertura di serre o speciali integra-

zioni architettoniche, lo strato di backsheet vie-

ne sostituito con un ulteriore vetro; si ottengono

GUIDA AL FOTOVOLTAICO: i componenti (parte 1/5)

Page 28: EOS-Book5

{28

in questo modo i famosi pannelli vetro-vetro. La

maggior parte dei pannelli, utilizzati per impian-

ti tradizionali, sono invece dotati di una cornice

(frame) in alluminio che conferisce resistenza al

modulo e ne facilita il fissaggio. Lo spessore di

questo frame è compreso generalmente tra i 30

e i 50mm.

Nella parte posteriore del pannello è posizio-

nata la “scatola di giunzione” che è fissata sul

backsheet con del sigillante. All’interno della

scatola sono raccolte le connessioni provenienti

dalle celle fotovoltaiche. Queste sono general-

mente raggruppate in tre gruppi ed ogni gruppo

dotato di un diodo di by-pass posto nella scatola

di giunzione. Grazie a questi diodi, non viene

inficiata la produttività dell’intero modulo se una

serie di celle viene ombreggiata e viene evitato

il surriscaldamento delle celle che si verifica in

questi casi. Dalla scatola fuoriescono due cavi

da 4mmq lunghi circa 1,5 metri dotati general-

mente di connettori Tyco maschio e femmina

per i due poli positivo e negativo. La tenden-

za di alcuni produttori è invece di montare un

solo cavo per il polo positivo, lungo 2 metri, e

montare il connettore negativo direttamente sul-

la scatola di giunzione utilizzando un apposito

connettore da pannello. Naturalmente questa

scelta, che solitamente non crea nessun tipo

di problemi durante l’installazione permette alle

aziende produttrici di moduli un risparmio di 1

metro di cavo per ogni pannello prodotto, che

considerando i numeri in gioco, non sono certo

cifre da poco.

Su ogni modulo fotovoltaico deve essere ripor-

tata una etichetta contenente:

• Il produttore;• La matricola del pannello;• I parametri elettrici nominali del pannello;• Iloghidellevariecertificazioniacquisite;

• Illogodell’entecertificatore.Ogni singolo modulo fotovoltaico che esce dal-

la linea di produzione viene sottoposto ad un

test per verificarne il corretto funzionamento e

rilevarne i reali parametri elettrici. Il pannello

fotovoltaico è sottoposto ad un irraggiamento

di 1000W/mq in una camera a 25°C e ne ven-

gono letti tutti i parametri elettrici. I dati rilevati

andranno a formare quella che viene comune-

mente chiamata “flash-list”.

Nell’acquistare oggi dei pannelli fotovoltaici è

fondamentale prestare attenzione alle certi-

ficazioni che il produttore può fornire. Infatti è

fondamentale per accedere al conto energia

che l’azienda produttrice abbia le certificazioni

ISO9001, ISO14001, OHSAS18001 e la Facto-

ry inspection.

1.1.1 Tipologie di pannelli (Amorfo, Film Sottile: Cigs, tellururo di cadmio ecc…)Oltre alla tecnologia cristallina, vi sono sul mer-

cato moduli fotovoltaici realizzati con altre tecni-

che studiate per rendere i pannelli più economi-

ci o elevarne il rendimento.

Una delle prime tecnologie sviluppate per ren-

dere più economico il processo produttivo dei

pannelli è stata quella legata al “Silicio amor-

fo”. È una tecnologia che permette di ottenere

pannelli a basso costo che però presentano un

rendimento inferiore rispetto alle celle cristalli-

ne. Di contro, offrono il vantaggio di produrre

energia anche con la sola luce diffusa e non,

come accade per i pannelli cristallini, con il solo

irraggiamento diretto. I moduli in silicio amorfo

si presentano sotto diversa forma ed alcune

aziende ne realizzano veri e propri tappeti da

srotolare ed incollare con appositi collanti sui

tetti. Naturalmente i tetti devono presentare una

superficie uniforme per potervi incollare questi

GUIDA AL FOTOVOLTAICO: i componenti (parte 1/5)

Page 29: EOS-Book5

{29

particolari pannelli. Una caratteristica partico-

lare dei pannelli realizzati in silicio amorfo è il

periodo di assestamento che fa sì che i moduli

si allineino ai valori di rendimento previsti dopo

qualche mese dalla loro messa in esercizio.

Una tecnologia che invece si sta rivelando molto

efficiente è quella legata ai moduli in Film-Sottile

con tecnologia CIGS. Si tratta di una giunzione

formata da Rame, Indio, Galio e Selenio sulla

quale diversi produttori hanno lavorato svilup-

pando celle con rendimenti ormai simili a quelle

cristalline ma con il vantaggio di lavorare anche

con luce diffusa. Le celle poste oggi sul mercato

hanno efficienze comprese tra il 9,5 ed il 13%

con garanzia di 25 anni in quanto non vi è alcun

processo intrinseco che ne determini una drasti-

ca riduzione delle prestazioni nel tempo: anzi, al

contrario dei pannelli in silicio cristallino, queste

celle spesso migliorano le loro prestazioni poi-

ché la presenza del rame “rigenera” la struttura

del reticolo cristallino durante il funzionamento.

Secondo alcuni studi, nei prossimi anni la tec-

nologia CIGS, in diverse varianti, potrebbe rag-

giungere rendimenti molto elevati, anche pros-

simi al 30%.

Molto interessante risulta l’evoluzione del CIGS

marchiata IBM che prende il nome di CTZSS

e che utilizza Rame, Stagno, Zinco, Zolfo e

Selenio. L’efficienza raggiunta è pari al 9,6%

ma con costi notevolmente più bassi e nume-

rosi vantaggi rispetto al CIGS. In primo luogo

non viene utilizzato l’Indio che ha costi elevati e

scarsa reperibilità ed inoltre non viene utilizzato

neanche il “Tellururo di Cadmio”, anche que-

sto costoso e soggetto a possibili impennate di

prezzi e soprattutto a problemi di smaltimento

a fine vita poiché altamente inquinante. Inoltre

anche questa tecnologia permette produzione

di celle per mezzo di tre processi produttivi:

• Immersione in una soluzione;• Spray;• Stampa.In realtà, alcuni produttori si sono focalizzati sul-

la produzione di moduli in Tellururo di Candio

(TeCd) raggiungendo rendimenti straordinari

del 14,4% (17,3% della singola cella) che fino

a qualche anno fa erano raggiungibili solo con i

migliori pannelli in silicio cristallino. Le caratte-

ristiche elettriche del Tellururo di Cadmio sono

simili a quelle dell’Arseniuro di Gallio o del Sili-

cio, ma essendo considerato uno scarto dei pro-

cessi di estrazione dei minerali non ferrosi ha un

costo notevolmente più basso. Si tratta quindi

di una tecnologia che promette, secondo i suoi

promotori, ampi margini di miglioramento e la

possibilità di abbassare il prezzo dei pannelli.

GUIDA AL FOTOVOLTAICO: i componenti (parte 1/5)

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PhoneSat: il progettoper satelliti low-cost basati su smartphone

di Slovati19 Marzo 2013

Il progetto PhoneSat, patrocinato dalla NASA, si prefigge l’obiettivo di lanciare nello spazio i satelliti più economici e più semplici mai realizzati, basandosi su una tecno-logia oramai diffusa e alla portata di tutti, cioè quella degli smartphone.In tempo di crisi nascono quindi i satelliti low-cost, stessa affidabilità dei precedenti ma a costi decisamente inferiori! Analizziamo come questo sia possibile.

Un ristretto gruppo di giovani ingegneri sta

lavorando presso l’Ames Research Center

(California) su un nuovo tipo di architettura

di satellite basata sull’approccio, ampiamente

utilizzato nel campo della progettazione elettro-

nica, di “rilasciare più spesso, ma in anticipo”.

Con ciò si intende una metodologia di sviluppo

che predilige la realizzazione di prototipi funzio-

nanti in tempi ristretti (e inferiori rispetto a quelli

ottenibili con i tradizionali approcci progettuali

impiegati nel campo aerospaziale), anche se

questo può comportare il rilascio di più versioni

intermedie prima di arrivare al prodotto defini-

tivo. E’ inutile negarlo, l’attuale periodo di crisi

economica si riflette inevitabilmente anche sui

budget su cui può contare un colosso mondia-

le della ricerca e sviluppo come la NASA, per

cui è necessario ridurre i costi e semplificare

al massimo lo sviluppo. D’accordo, ma come è

possibile ottenere questi risultati? La risposta

della NASA è stato quanto mai sorprendente (e

per certi versi inusuale): basta attingere a “pie-

ne mani” alle tecnologie già esistenti e diffuse a

livello commerciale, come quella, appunto, degli

Page 31: EOS-Book5

{31

smartphone.

Uno smartphone attuale include di per sè molte

delle funzionalità richieste da un sistema satelli-

tare, quali ad esempio:

• un microprocessore (meglio se multi-core)

veloce e performante

• un sistema operativo versatile, che possa

essere personalizzato secondo le particolari

esigenze

• sensori integrati per il rilevamento di sposta-

menti, accelerazioni, o altre grandezza fisi-

che

• una telecamera per riprese in alta risoluzio-

ne

• un ricevitore GPS

• funzionalità di comunicazione via radio su

diverse frequenze e/o modulazioni

Il gruppo di ingegneri partecipanti al progetto

PhoneSat sta quindi modificando in modo radi-

cale il modo con cui le missioni spaziali saranno

progettate: più spazio e attenzione alla prototi-

pazione rapida, incorporando nei dispositivi in

modo sempre maggiore la tecnologia commer-

ciale e l’hardware già esistente. In altre parole,

anzichè cercare nuove soluzioni originali e mai

utilizzate in precedenza, si preferisce prende-

re ciò che di buono e applicabile la tecnologia

già affermata può offrire. Potremmo anche dire,

come opinione personale, che si fa un pò meno

ricerca e un pò più sviluppo. Questo approccio

può per certi versi essere discutibile (senza la

ricerca di nuove soluzioni, non si produrrà mai

un vero progresso), ma è quello che in questo

periodo permette di realizzare qualcosa di inno-

vativo senza richiedere enormi sforzi a livello di

investimenti.

L’approccio basato sulla prototipazione rapida

consente inoltre di eseguire aggiornamenti ra-

pidi al satellite, aggiungendo nuove funzionalità

man mano che le release del prodotto si susse-

guono. Dal punto di vista meccanico, ciascun

satellite della serie PhoneSat (chiamato anche,

amichevolmente, “nanosatellite”) ha una clas-

sica struttura di tipo CubeSat, vale a dire un

cubo di lato 10 cm, volume corrispondente di 1

litro, e peso di poco superiore a 2 chilogrammi

(mostrato nell’immagine di apertura dell’artico-

lo, fonte: NASA). Il primo prototipo della serie,

il PhoneSat 1.0, è stato realizzato intorno a uno

smartphone di tipo commerciale (il Nexus One

prodotto da HTC) equipaggiato con il noto siste-

ma operativo Android. Il Nexus One costituisce

il cuore del sistema, in pratica l’equivalente del

computer di bordo presente in un tradizionale

dispositivo aerospaziale. I sensori permettono

poi di determinare l’orientamento del dispositi-

vo, mentre la fotocamera dello smartphone con-

sente di eseguire delle osservazioni a distanza

della superficie terrestre. I componenti commer-

ciali utilizzati per il PhoneSat 1.0 includono an-

che un circuito di watchdog che esegue il mo-

nitoraggio del sistema ed esegue il reboot dello

smartphone se quest’ultimo, per qualunque mo-

tivo, smette di inviare i segnali radio.

L’obiettivo dichiarato della serie di satelliti Pho-

neSat 1.0 è quello di soppravvivere nello spazio

per un breve periodo di tempo, inviando sulla

terra delle immagini digitali del nostro pianeta

e dello spazio, oltre a informazioni relative allo

stato stesso del satellite. Si stima che il costo to-

tale dei componenti richiesti per la costruzione

di un prototipo di PhoneSat sia stato inferiore a

3500 dollari, riducendo al minimo anche i costi

relativi al primo volo. I preparativi per la prima

missione di lancio sono iniziati da tempo, e la

NASA ha già testato positivamente il nanosatel-

lite PhoneSat 1.0 in diverse condizioni estreme,

incluse prove in camere climatiche e a vuoto,

PhoneSat: il progetto per satelliti low-cost basati su smartphone

Page 32: EOS-Book5

{32

prove su tavoli vibranti, prove su razzi sub-orbi-

tali, e prove con palloni atmosferici ad alta quo-

ta (si veda un’immagine relativa a quest’ultima

prova. Fonte: NASA).

La generazione successiva di satelliti, la Pho-

neSat 2.0, sarà invece basata sullo smartpho-

ne Nexus S prodotto da Samsung (il sistema

operativo sarà sempre Android), e potrà quindi

disporre di un processore più potente e di gi-

roscopi (accelerometri) in grado di realizzare

un sistema avionico più sofisticato. Sarà inoltre

dotato di un canale di comunicazione radio bi-

direzionale in banda S, grazie al quale sarà an-

che possibile impartire da terra dei comandi al

satellite e controllarne direttamente il funziona-

mento. Il nuovo satellite avrà anche dei pannelli

solari in grado di garantirgli un’elevata durata

delle missioni, un ricevitore GPS integrato, degli

attuatori elettro-magnetici in grado di interagire

con il campo magnetico terrestre, e delle ruote

di reazione per regolare l’assetto del satellite.

La nuova generazione di satelliti PhoneSat 2.0

getterà le basi per la realizzazione dei prossimi

satelliti di piccole dimensioni, riducendo i costi

sia di sviluppo che di manutenzione, e i tem-

pi richiesti dalla prototipazione. Il primo lancio

del PhoneSat è schedulato proprio quest’anno,

il 2013, quando tre satelliti della famiglia (due

PhoneSat 1.0 e un PhoneSat 2.0) faranno par-

te del carico incluso sul primo lancio del razzo

orbitale Antares, che partirà dal centro NASA di

Wallops Island (Virginia).

L’idea che sta alla base del progetto PhoneSat

è relativamente semplice, ed è ben sintetizzata

dalle parole di Oriol Tintore, un giovane inge-

gnere meccanico e sviluppatore software ap-

partenente al team: “questo è ciò che tenete

normalmente in tasca (un comune smartpho-

ne, ndr), e questo potrà volare nello spazio”. Lo

stesso Tintore ha pronunciato una frase emble-

matica riguardante i motivi per cui la scelta dello

smartphone è ricaduta sul Google Nexus One.

Anzitutto questo smartphone era all’epoca uno

dei modelli più potenti, con un processore molto

performante, e inoltre piaceva l’idea di svilup-

pare software su una piattaforma, Android, con

una natura open-source. Tintore dice che inizial-

mente il team di progetto si riunì per decidere se

era il caso di utilizzare il Nexus One oppure un

altro smartphone commerciale, come ad esem-

pio l’iPhone. La conclusione fu che “l’iPhone

era un grande smartphone, ma uno smartphone

Android sarebbe stato un grande satellite”.

25 Febbraio 2013: il lancio in orbita dello STRaND-1Lunedì 25 febbraio 2013, quando l’articolo era

già stato pianificato e completato, è arrivata

una notizia fresca fresca che non poteva non

essere menzionata. Proprio quel giorno è stato

infatti lanciato in orbita, da una base indiana, lo

STRaND-1, il primo nanosatellite di tipo Pho-

neSat, realizzato però non dalla NASA, ma dal

Surrey Space Centre e dall’azienda Surrey Sa-

tellite Technology Ltd (Inghilterra). Ciò, tuttavia,

non toglie nulla al progetto PhoneSat, in quanto

lo STRaND-1 è basato esattamente sullo stesso

tipo di architettura (smartphone Google Nexus

One e Android). Il nanosatellite orbiterà attor-

PhoneSat: il progetto per satelliti low-cost basati su smartphone

Page 33: EOS-Book5

{33 PhoneSat: il progetto per satelliti low-cost basati su smartphone

no al nostro pianeta su un orbita sincrona con il

sole, a una quota di circa 785 chilometri. Il video

seguente presenta questo modello di PhoneSat

realizzato nel Regno Unito.

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http://it.emcelettronica.com/phonesat-progetto-satelliti-low-cost-basati-su-smartphone

http://www.youtube.com/watch?v=XQE2Ekk01jE&feature=player_embedded

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Come progettare undissipatore di calore

di Gio2221 Marzo 2013

Un dissipatore è un corpo capace di trasferire all’ambiente circostante una quantità di energia termica applicata alla sua superficie. Con alcuni calcoli matematici la pro-gettazione di un buon dissipatore di calore è una operazione abbastanza semplice. Vediamo quindi come progettare un dissipatore di calore applicando e spiegando delle semplici formule e poi con degli esempi pratici.

Un dissipatore di calore, si sa, ha la funzio-

ne di raffreddare un componente elettronico

e di smaltirne il calore generato inevitabil-

mente dall’attrito degli elettroni. I componenti di

potenza, specialmente, se non lavorano a tem-

perature relativamente basse, funzionano male

e addirittura possono distruggersi. Un buon dis-

sipatore di calore consente invece di permettere

al componente di espletare le sue funzioni an-

che ai limiti delle sue potenzialità ed ottenere da

esso veramente il massimo.

Un componente di potenza, come ad esempio

un Mosfet, potrebbe distruggersi senza l’ado-

zione di un dissipatore, anche con una poten-

za di 1 o 2 Watt mentre, al contrario, dotandolo

di un buon supporto per disperdere il calore,

esso potrebbe reggere tranquillamente potenze

dell’ordine di decine o centinaia di Watt. E’ pro-

prio questo il fine ultimo del progettista: raffred-

dare il più possibile il componente elettronico,

con qualsiasi mezzo.

Esistono svariate tecniche di raffreddamento,

alcune delle quali utilizzano le famose celle di

Peltier o addirittura ricorrono all’azoto liquido.

Nell’articolo tratteremo un argomento più alla

portata degli hobbisti, ossia come si progetta e

Page 35: EOS-Book5

{35

si calcola un dissipatore metallico, facilmente

realizzabile da chiunque disponga di un piccolo

laboratorio dotato di opportune attrezzature per

lavorare il metallo.

La prima cosa da tenere in considerazione è

quella del materiale utilizzato. Si deve sce-

glierne uno dotato di ottime caratteristiche che

consentono una elevata dissipazione di calore.

I migliori metalli (conduttivi) sono l’argento, il

rame, l’oro e l’alluminio. Ovviamente non utiliz-

zate il braccialetto d’oro della prima comunione

o il vassoio d’argento del salotto che, sebbene

abbiano un coefficiente molto elevato di dissi-

pazione, non garantiscono un buon risparmio

economico per la realizzazione.

Il rame e l’alluminio costituiscono un’ottima

scelta, sia dal punto di vista della possibilità di

lavorazione che del risparmio di spesa.

Un altro aspetto importantissimo è la finitura

della sua superficie. Essa deve risultare estre-

mamente liscia e deve aderire e combaciare

perfettamente alla superficie da raffreddare. Se

ciò non avviene vi saranno presenti alcune parti

rugose o lievemente ruvide, con la conseguente

presenza di parti del componente non perfet-

tamente aderenti al dissipatore. Questo riduce

lo scambio di calore e limita il raffreddamento

del componente, che potrebbe anche passare a

miglior vita. Per questo motivo si utilizza la pa-

sta termoconduttiva, al silicone che, coprendo e

riempiendo le zone non a contatto, compensa e

risolve il problema.

Un parametro indispensabile da tenere in consi-

derazione è la resistenza termica, definita come

la “difficoltà” che il calore incontra per disper-

dersi nell’ambiente circostante. Un po’ come la

resistenza elettrica. La formula generale è la

seguente:

dove:

• Rth è la resistenza termica;

• T1 è la temperatura raggiunta dal dispositi-

vo;

• T2 è la temperatura dell’ambiente circostan-

te;

• Pd è la potenza applicata.

La resistenza termica è misurata in gradi/Watt

(°C/W). E’ un parametro importante in quanto

permette di comprendere l’efficacia del dissi-

patore. Esso indica di quanti grandi aumenta il

dissipatore, applicandogli una potenza calorica

di 1 Watt. Adesso, con degli esempi pratici, ve-

dremo come sfruttare la formula appena vista

che, sebbene sembri “semplicistica”, permette

di risolvere tanti quesiti.

La stessa equazione, “rivoltata” per isolare le al-

Come proget tare un d iss ipatore d i ca lore

Page 36: EOS-Book5

{36

tre variabili, è la seguente:

Il progettista che ama costruire da sè i propri

dissipatori deve obbligatoriamente conoscere la

resistività termica dei materiali utilizzati, da cui

ricaverà la resistenza termica, dipendente an-

che dalle dimensioni del dissipatore.

La seguente tabella mostra la resistività termica

di alcuni materiali:

Per trovare la resistenza termica, dispondendo

della resistività termica e delle dimensioni del

dissipatore, occorre utilizzare la formula:

dove:

• Rth è la resistenza termica;

• “r” è la resistività termica;

• “A” è la superficie del dissipatore;

• “S” è la sua sezione.

Come si nota dalla formula, la resistenza termi-

ca è direttamente proporzionale alla superficie

ma inversamente proporzionale allo spessore

del materiale: tanto più quest’ultimo è elevato,

tanto minore sarà la resistenza termica.

Così, ad esempio, se disponiamo di un dissipa-

tore in alluminio da 8 cm. x 4 cm. con spessore

di 2 mm, esso avrà una resistenza termica di:

Rth = 0.48 x 32 / 0.2 = 76,8 °C/W

Adesso forniamo alcuni semplici esempi di cal-

colo.

ESEMPIO 1Disponiamo di un dissipatore che, dai dati di tar-

ga, è caratterizzato da una resistenza termica

di 2 °C/W. Con esso dobbiamo raffreddare un

transistor che dissipa 20 Watt. Applicando l’e-

quazione scopriremo la temperatura del dissi-

patore aumenterà di ben 40 °C e che se la tem-

peratura ambientale è di 27 gradi, il transistor

lavorera a 67 °C.

ESEMPIO 2Vogliamo raffreddare un transistor che può

reggere la temperatura massima di 140 °C. La

massima temperatura ambientale che si pre-

vede ammonta a circa 40 °C ed il componente

deve dissipare la potenza di 7 Watt. Dobbiamo

calcolare il valore della resistenza termica del

dissipatore.

Dalla formula ricaviamo che il suo valore è pari

a:

Rth=(T1-T2)/Pd

da cui:

Rth=(140-40)/7 = 14.2 °C/W.

ESEMPIO 3Dall’esercizio di cui sopra, si vuol costruire un

Come proget tare un d iss ipatore d i ca lore

Page 37: EOS-Book5

{37

dissipatore rettangolare di rame, dotato di uno

spessore di 2 millimetri. Ovviamente, in questo

caso, le soluzioni sono molteplici. Il dissipato-

re deve possedere la resistenza termica di 14.2

°C/W.

Eseguendo alcuni calcoli le dimensioni ottimali

del dissipatore potrebbero essere pari a 3.2 cm.

x 3.6 cm.

Nel progettare i dissipatori occorre tenere in

considerazione alcuni aspetti, utili per aumenta-

re le prestazioni dell’elemento raffreddante:

• Tanto più basso è il valore della resistenza

termica, tanto più elevate saranno le presta-

zioni del dissipatore;

• Il colore è molto importante: tanto più esso

risulta scuro, tanto più elevata sarà l’efficien-

za, perchè vi sarà maggiore scambio di ca-

lore;

• I dissipatori dovrebbero essere montati in

posizione verticale;

• Il componente elettronico dovrebbe essere

montato al centro del dissipatore,per agevo-

lare lo scambio della temperatura;

• La superficie di contatto deve essere mas-

simizzata, aggiungendo magari della pasta

siliconica tra le due parti;

• Non montare due dissipatori nelle immedia-

te vicinanze, poichè si annullerebbero a vi-

cenda;

• Quando il circuito lo permette, si può monta-

re il dissipatore in posizione esterna rispetto

al contenitore.

GDM

Come proget tare un d iss ipatore d i ca lore

L’autore e a disposizione nei commenti per eventuali approfondimenti sul tema dell’Articolo.Di seguito il link per accedere direttamente all’articolo sul Blog e partecipare alla discussione:

http://it.emcelettronica.com/come-progettare-dissipatore-di-calore

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38}

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8EARM Cortex-M3 CPU

di Piero Boccadoro26 Marzo 2013

In questa terza puntata del nostro Tutorial su Arduino DUE ci concentriamo sul micro controllore integrato, un Atmel SAM3X8E con ARM Cortex-M3. Probabilmente alcuni di voi avranno già avuto a che fare con quest’architettura mentre per altri potrebbe anche essere la prima volta. Per tutti, vediamo di che cosa è capace e perché e come questa nuova versione della scheda è migliore e più performante sotto tutti i punti di vista. Siete pronti?

Dopo aver analizzato con la dovuta attenzio-

ne lo schema elettrico di Arduino DUE, ci

siamo già fatti un’idea abbastanza chiara di

quelle che sono le sue reali potenzialità.

Il pinout che abbiamo visto, soprattutto eviden-

ziando alcune porzioni di grande interesse per

noi, sottintende il fatto che venga configurato

(via hardware) opportunamente in modo tale da

essere pronto all’uso.

Oggi vedremo meglio com’è fatto, quali sono

le caratteristiche peculiari dell’architettura che

andiamo a studiare ma soprattutto quali sono

le sue reali possibilità anche rispetto ai diretti

concorrenti.

La serie SAM3X/A di Atmel fa parte della fami-

glia di microcontrollori Flash basati sull’archi-

tettura dei processori RISC a 32 bit dell’ARM Cortex-M3. La massima frequenza di lavoro è

di 84 MHz ed al suo interno è possibile trovare

fino a 512 kB di memoria Flash e sino a 100 kB

di memoria SRAM.

Il pinout, di cui abbiamo ricordato in preceden-

Page 39: EOS-Book5

{39

za, non è altro che il modo in cui ci si può in-

terfacciare, in maniera user-friendly, a tutte le

specifiche funzioni accessibili tramite pin del mi-

cro controllore. È per questo scopo, infatti, che,

come abbiamo visto, esistono accessi diretti ad

interfacce quali UART, SPI, I2C ed altre ancora,

cui poter connettere periferiche.

Ma non c’è solo questo, in realtà, visto che tra le

tante funzioni esistono anche convertitori ADC

e DAC.

Altra funzionalità per la quale questo micropro-

cessore risulta molto interessante è la sua possi-

bilità di utilizzare facilmente la libreria QTouch,

garantendo totale controllo di pulsanti, slider e

qualunque altro supporto hardware compatibile.

Tra le applicazioni per cui questo dispositivo è

considerato particolarmente utile ci sono quel-

le di tipo “networking” e pertanto risulta essere

molto interessante nell’ambito dell’automazione

sia in campo industriale sia, volendo, nel campo

domestico.

Le features principali

Parliamo del Core:

• ARM® Cortex®-M3 revisione 2.0 (con fre-

quenza di lavoro fino a 84 MHz);

• Memory Protection Unit (MPU);

• instruction set Thumb®-2;

• 24-bit SysTick Counter;

• controller Nested Vector Interrupt.

Abbiamo già accennato qualcosa sulla memo-ria; ecco che cosa mancava:

• da 256 a 512 Kbytes di memoria Flash em-

bedded a 128-bit wide access;

• da 32 a 100 Kbytes di memoria SRAM em-

bedded;

• 16 Kbytes ROM con bootloader embedded;

• Static Memory Controller (SMC): supporto

per SRAM, NOR, NAND. Controller NAND

Flash con 4-kbyte RAM buffer ed ECC.

Vediamo, adesso, qualcosa in più sul sistema:

• regolatore di tensione embedded per operazioni single supply;

• POR, BOD e timer Watchdog;

• oscillatori al quarzo o ceramici: da 3 a 20

MHz principale ed opzionale;

• clock real time a 32.768 kHz;

• oscillatore RC interno ad alta precisione da

8/12 MHz;

• PLL interno dedicato al clock ed uno dedica-

to all’Host/Device USB 2.0;

• sensore di temperatura;

• fino a 17 canali per periferiche DMA (PDC)

e 6 per central DMA con DMA dedicato per

Host/Device USB.

Modalità low power:• sleep e backup mode; consumo ridotto fino

a 2.5 μA;

• backup domain: VDDBU pin, RTC, 8 registri

di backup a 32-bit;

• ultra low-power RTC.

Le periferiche, invece, sono:

• USB 2.0, Device/Mini Host (480 Mbps,

4-kbyte FIFO);

• fino a 4 USARTs (ISO7816, IrDA®, SPI,

supporto Manchester e LIN);

• 2 TWI (compatibili con I2C), fino a 6 SPIs, 1

SSC (I2S), 1 HSMCI (SDIO/SD/MMC) con

massimo 2 slots;

• Timer&Counter a 32 bit e 9 canali;

• PWM fino a 8 canali da 16-bit;

• RTT a 32-bit ed RTC con calendario e fun-

zione d’allarme;

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8E ARM Cortex-M3 CPU

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{40

• ADC con guadagno programmabile e modo

d’ingresso differenziale da 16 canali, 12 bit;

• DAC 2 canali e 12 bit;

• Ethernet MAC 10/100 con DMA dedicato;

• due controller CAN;

• un TRNG (True Random Number Genera-

tor).

Le operazioni di I/O sulla scheda possono esse-

re gestite con:

• fino a 103 porte di I/O con diverse sensibilità

(edge o level) e debouncing, glitch filtering e

resistori in serie on-die;

• fino a 6 PIO parallele da 32 bit.

Per quanto riguarda le soluzioni di vendita, i

Packages sono 4:

• 100-lead LQFP, 14 x 14 mm, pitch 0.5 mm

• 100-ball LFBGA, 9 x 9 mm, pitch 0.8 mm

• 144-lead LQFP, 20 x 20 mm, pitch 0.5 mm

• 144-ball LFBGA, 10 x 10 mm, pitch 0.8 mm

A scopo riepilogativo, ecco, grazie alla prossi-

ma figura, un’immagine che spiega nel dettaglio

come sia fatto il diagramma a blocchi del micro-

controllore in esame.

Dal punto di vista del Debug e Testing, le fea-

tures previste sono:

• debug access a tutta la memoria ed ai re-

gistri all’interno del sistema compresi quelli

del Cortex-M3, all’interno dei quali il core è

attivo, in halt oppure in stato di reset;

• debug port Serial Wire (SW-DP) e JTAG De-

bug Serial Wire port (SWJ-DP);

• unità Flash Patch and Breakpoint (FPB) per

la creazione di breakpoint e patch;

• unità Data Watchpoint and Trace (DWT) per

l’implementazione di watch points, data tra-

cing e system profiling;

• Instrumentation Trace Macrocell (ITM) per

supporto di operazioni come printf;

• supporto per Boundary-scan JTAG IEEE®

1149.1 su tutti i pin digitali.

Diamo, adesso, uno sguardo un po’ più appro-

fondito alle periferiche embedded ed iniziamo

parlando della SPI (Serial Peripheral Interfa-ce). Diciamo intanto che è garantito il supporto

per comunicazioni con dispositivi esterni colle-

gati tramite seriale.

• 4 chip select con supporto per decoder

esterni che permette la comunicazione con

un massimo di 15 periferiche;

• memorie seriali, come DataFlash ed EE-

PROM 3-wire;

• periferiche seriali, tra cui ADC, DAC, LCD

Controllers, CAN Controllers e sensori;

• co-processori esterni.

• Quest’interfaccia permette anche le comuni-

cazioni master-slave su bus grazie a:

• chip select a lunghezza programmabile da

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8E ARM Cortex-M3 CPU

Page 41: EOS-Book5

{41

otto a 16 bit;

• fase e polarità programmabili per chip select;

• ritardi di trasferimento programmabili tra co-

municazioni consecutive;

• mode fault selezionabile.

Il trasferimento dei dati è anche piuttosto rapido

grazie anche al fatto che la linea di chip select

può essere “lasciata alta” (attiva) per velocizza-

re il trasferimento sullo stesso dispositivo.

Anche il trasferimento dei dati, e quindi la capa-

cità del canale DMA, è stata ottimizzata grazie

ai canali dedicati per trasmissione e ricezione.

Quando parliamo di TWI, ovvero di Two Wire Interface, ci riferiamo ad un’interfaccia che per-

mette le comunicazioni in modalità master, mul-

ti-master e slave. Tra le sue caratteristiche c’è

anche la garantita compatibilità con l’interfaccia

two-wires di Atmel ma anche con I2C e serial

memory. Possono essere utilizzati, in maniera

selezionabile, uno oppure due o anche 3 byte

per gli slave address. Tra le caratteristiche ab-

biamo anche:

• operazioni read/write sequenziali;

• Bit Rate fino a 400 kbit/s;

• General Call supportata in modalità Slave.

Le UART, nel quadro generale delle interfacce

di cui si potrà fare uso, rivestono una grande

importanza per via delle molteplici caratteristi-

che previste, tra cui la possibilità di impostare

il baud rate ma anche la generazione di parità

pari, dispari, mark o space. La generazione di

segnali di wake up, le modalità di test Remote

Loopback, Local Loopback ed Automatic Echo

completano il quadro.

Continuiamo sull’argomento “interfacce” per

parlare della Controller Serial Synchronous

(SSC). Esso permette la comunicazione seriale

sincrona in applicazioni audio oppure, in gene-

rale, nelle telecomunicazioni. Questo sarà vero

anche quando verranno utilizzati CODECs in

modalità Master o Slave, I2S, TDM Buses, let-

tori di carte magnetiche e così via dicendo.

Ricevitore e trasmettitore sono indipendenti ed

il clock divider è comune. È possibile configura-

re il sincronismo di frame e la lunghezza dei dati

mentre sia il ricevitore sia il trasmettitore posso-

no essere programmati per iniziare automatica-

mente la comunicazione oppure per effettuare

la rilevazione di eventi differenti all’interno del

frame del segnale di sincronismo.

Per quanto concerne il Timer Counter (TC), ab-

biamo tre differenti canali a 32 bit. Le sue molte-

plici funzionalità includono la misura di frequen-

za, il conteggio di eventi ma anche la misura di

intervalli (di tempo), la generazione di impulsi

ed altre funzioni quali PWM, Delay Timing.

Ciascun canale può essere configurato diretta-

mente dall’utente e può contenere tre differenti

input esterni (clock) e cinque interni e due se-

gnali di I/O multi-purpose.

Quando parliamo di interfaccia per schede mul-

timediali ad alta velocità (High Speed Multime-dia Card Interface, HSMCI), ci riferiamo ad una

dotazione per questo processore che garantisce

la compatibilità con le MultiMedia Card Versio-

ne 4.3, le irrinunciabili (ormai) SD Memory Card

(v. 2.0) ma anche CE-ATA (1.1). È garantito il

supporto per le modalità ad alta velocità di tra-

sferimento dei dati e sono predisposti due sup-

porti per slot multiplexed.

Il tutto è dotato di protezione contro modifiche ai

dati non previste on-the-fly per i registri di con-

figurazione.

E veniamo adesso ad una delle interfacce più

utili di questo microprocessore che permette l’e-

quipaggiamento con pieno potenziale e la faci-

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8E ARM Cortex-M3 CPU

Page 42: EOS-Book5

{42

lità di interfacciamento di Arduino DUE, ovvero

lo USB On-The-Go (UOTGHS).

Il supporto permette Low/Full/High-Speed

(LS/FS/HS) e On-The-Go, 1.5Mb/s, 12Mb/s,

480Mb/s. Tra le features abbiamo:

• 10 Pipes/Endpoints;

• 4K bytes di DRAM Embedded Dual-Port;

• fino ad due banchi memoria per Pipe/

Endpoint;

• configurazione flessibile Pipe/Endpoint e ge-

stione di canali DMA per un massimo di sei;

• tansceiver UTMI On-Chip che include Pull-

ups/Pull-downs;

• pad OTG On-Chip che include un compara-

tore analogico.

Altro aspetto fondamentale del SAM3X è l’ac-

coppiata ADC-DAC, una dotazione straordina-

riamente utile se si pensa che convertire i dati è

un’esigenza davvero primaria.

La risoluzione, per entrambi, è di 12 bit ed il tas-

so di conversione non supera 1 MHz.

L’alimentazione si “estende” da 2.4 a 3.6 V ed

è possibile selezionare ingressi single ended o

differenziali per entrambi. Il guadagno e l’offset,

per entrambi e per ciascun canale, sono sele-

zionabili a partire da un valore massimo full sca-

le input fino a zero.

Il convertitore analogico-digitale offre fino a 16

canali d’ingresso analogico indipendenti e per

ciascuno è possibile optare per l’attivazione op-

pure la disattivazione.

Trigger software e/o hardware sono di tipo

esterno oppure possono corrispondere ai trig-

ger TIOA (uscite del TC). È garantito il supporto

PDC ed esiste la possibilità di effettuare la con-

figurazione del timing per l’ADC.

Il sistema può prevedere il wake-up automatico

perché viene rilevato un evento di trigger ed al-

trettanto si può fare per riportare il sistema nello

stato di sleep mode; questo vale anche per il

convertitore e, quindi, non solo il sistema (glo-

balmente) ma anche soltanto il convertitore può

godere di questa funzionalità.

Per quanto riguarda il convertitore DAC, invece,

più specificatamente dobbiamo dire che esiste

la possibilità di godere di Trigger multipli per

ciascun canale. Il suo utilizzo può anche esse-

re quello di fornire un input ad un comparatore

analogico oppure un altro convertitore ADC.

È anche possibile utilizzarlo in modo tale che si

abbia ridotto consumo di potenza.

Fino a questo momento risulta evidente che si

tratta di un sistema piuttosto smart, molto avan-

zato che prevede funzionalità anche straordina-

riamente versatili ed è proprio per questo motivo

che utilizzare queste periferiche, con la potenza

delle comunicazioni che si possono mettere in

piedi, utilizzando i diversi protocolli, è garan-

zia del fatto che utilizzare Arduino DUE potrà essere davvero divertente, non foss’altro che

tutta questa potenza prima non esisteva per la

scheda.

Mancano all’appello due importanti esponen-

ti della categoria dei controller cui abbiamo la

possibilità di accedere: CAN ed Ethernet.Per quanto riguarda il primo noi abbiamo piena

compatibilità con CAN 2.0 Part A e 2.0 Part B,

Bit Rates massimo fino a 1Mbit/s ed otto mail-

boxes object oriented con le seguenti proprietà:

• programmabilità secondo specifiche per cia-

scun messaggio;

• identificatore indipendente a 29-bit e mask

defined per ciascuna mailboxe;

• utilizzo del CAN_SIZE_COUNTER-bit Time-

stamp su messaggi trasmessi o ricevuti;

• concatenazione hardware dei bitfields ID.

Il timer interno è a 16 bit e può essere utilizzato

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8E ARM Cortex-M3 CPU

Page 43: EOS-Book5

{43

per Timestamping e sincronizzazione di rete. È

anche possibile effettuare la gestione della pri-

orità delle trasmissioni. Sono supportate le mo-

dalità autobaud e listening.

Anche in questo caso è possibile prevedere mo-

dalità di funzionamento Low Power e di wake-

up programmabile comandato dall’attività sul

bus o dalla specifica applicazione.

Per quanto riguarda, invece, il controller Ether-net MAC (EMAC), abbiamo la più completa

compatibilità con uno standard IEEE 802.3 e

l’operatività a 10/100 Mbit/s.

Le operazioni che avvengono su questo canale

sono di tipo full duplex ma, volendo, possono

anche essere half-duplex.

È garantito il supporto per il Promiscuous Mode,

in cui tutti i frame ricevuti validi

vengono copiati in memoria. Il

controllo del flusso half duplex

viene garantito forzando le col-

lisioni tra frame in arrivo; quello

full duplex, invece, tramite il ri-

conoscimento dai frame di pau-

sa in arrivo.

Viene anche garantito il suppor-

to per il VLAN tagging 802.1Q grazie al ricono-

scimento delle comunicazioni in arrivo.

Sono sopportati anche Jumbo frames di dimen-

sione fino a 10,240 bytes.

Altra caratteristica interessante è il generatore

di numeri casuali (TRNG), un dispositivo che ha

passato i test della “NIST Special Publication

800-22” nonché quelli “Diehard Random”. Ogni

84 cicli di clock, il dispositivo propone un nume-

ro casuale rappresentato con una profondità di

32 bit. Per che cosa si può utilizzare? Magari

per implementare meccanismi di sicurezza ma

potete usarlo per qualsiasi applicazione che lo

richieda.

UARTLo standard di cui parliamo adesso è piuttosto

conosciuto e ci stiamo avvicinando a grandi pas-

si al momento in cui lo utilizzeremo. Si tratta del-

lo Universal Asynchronous Receiver Transmit-

ter, il quale utilizza una UART a 2 pin che può

essere sfruttato per effettuare comunicazioni ed

offre un ottimo supporto per trasmissioni on-si-

te. Lo standard è ancora molto attuale, sebbene

sia nato diverso tempo fa. Inoltre, il suo utilizzo,

insieme con periferiche a controller DMA (PDC),

permette la trasmissione a pacchetto con tempi

ridotti al minimo nell’esecuzione delle istruzioni.

I due pin di cui parlavamo prima sono RX e TX

che possono essere collegati al connettore DB9

come in figura.

USARTLo standard Universal Synchronous Asynchro-

nous Receiver Transceiver, meglio noto con l’a-

cronimo USART, permette una comunicazione

di tipo full-duplex seriale asincrona sincrona. Il

formato dei dati è molto ben personalizzabile

utilizzando una serie di parametri come la lun-

ghezza, la parità oppure il numero di stop bit e

così via. Questo garantisce il più ampio e largo

supporto per la maggior parte degli standard

esistenti.

Il ricevitore implementa il controllo di parità per

gestire gli errori ma anche il framing error e l’o-

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8E ARM Cortex-M3 CPU

Page 44: EOS-Book5

{44

verrun error detection.

Il time-out del ricevitore abilita l’handling per la

lunghezza delle variabili ed

il timeguard del trasmettito-

re facilita le comunicazioni

con dispositivi slow remote.

Le comunicazioni multidrop

sono anche supportate at-

traverso l’handling dei bit di

indirizzo sia in ricezione sia in trasmissione.

Le principali modalità di test della USART sono,

come accennato in precedenza: remote lo-

opback, local loopback e automatic echo.

La USART supporta specifiche modalità ope-

rative grazie ad interfacce tipo LIN, RS495 ma

anche bus SPI.

La funzionalità di handshaking permette un con-

trollo del flusso out-of-band attraverso gestione

automatizzata dei pin RTS e CTS.

RS232Il SAM3X-EK si può connettere al bus USART0

(comprendendo TXD, RXD, ed i segnali di con-

trollo) tramite connettore DB9 maschio attraver-

so il transceiver RS232 MN16 in figura.

Ed a proposito di seriale, basta dare uno sguar-

do al datasheet del componente per trovare,

con relativa facilità, quello che stiamo cercando

ovvero il dettaglio, nella Signal Description List,

di come lavorare su interfaccia seriale. Vedia-

molo brevemente in tabella:

ToolsVeniamo, ora, alla parte più “applicativa” di que-

sto articolo, quella in cui cerchiamo di capire

come usare il microcontrollore.

Emulatore: Atmel SAM-ICESi tratta dell’emulatore JTAG per microcontrol-

lori basati su Atmel ARM® core. ICE è stato

progettato per SAMA5, SAM3, SAM4, SAM7

and SAM9 con supporto per Thumb®. Supporta

una velocità di download non superiore a 720K

Bytes/s mentre perJTAG la frequenza (massi-

ma) supportata è 12 MHZ.

Evaluation Kit: SAM3X-EKL’evaluation Kit (progettato per dispositivi

SAM3X e SAM3A) è una so-

luzione piuttosto rapida ed ef-

ficace per farvi un’idea delle

potenzialità di questa MCU.

Se siete a caccia di informa-

zioni ma non vi accontentate

di ciò che leggete, si tratta

certamente di un’ottima pos-

sibilità.

Programmer: Atmel SAM-BA In-system Pro-grammerSAM-BA® è una soluzione software ISP dedica-

ta alla serie di microcontrollori già elencati che

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8E ARM Cortex-M3 CPU

Page 45: EOS-Book5

{45

fornisce un set di tool per la programmazione

molto versatile ed utile. Questo, così come altre

features e debug tool, permetterà un controllo

ed una velocità di programmazione notevoli.

Software libraries: Atmel QTouch LibraryCi siamo, nel recente passato, interessati a

queste librerie citandole. Si tratta di un set di

istruzioni pre-compilato che supporta i metodi di

acquisizione QTouch e QMatrix. All’interno delle

librerie sono contenuti alcuni progetti di esempio

che prevedono, per esempio, l’uso dell’ATtiny88

MCU con il pannello QTOUCH8 oppure anche

una scheda basata sull’MCU ATmega324PA

con QMATRIX8x8. I progetti sono disponibili sia

per compilatore IAR sia per GCC ma gli esegui-

bili ed i file HEX sono comunque inclusi per una

più rapida consultazione.

Software libraries: Atmel Software Fra-meworkSi tratta della “Source code library” per Atmel®

megaAVR®, AVR® XMEGA®, AVR UC3 e

micro basati su Atmel ARM Cortex-M. Il fra-

mework, denominato Atmel® Software Fra-mework (ASF), non è altro che una libreria

software che fornisce una serie di soluzioni sof-

tware per le MCU Atmel flash, megaAVR, AVR

XMEGA, AVR UC3 e per i dispositivi SAM. Tra i

vantaggi abbiamo:

• semplificazione dell’uso dei microcontrollori

(perchè il livello di astrazione sale);

• ASF è progettato per essere utilizzato in tut-

te le fasi del progetto: valutazione, prototi-

pazione, progetto (vero e proprio) e produ-

zione;

• è integrato all’interno dell’Atmel Studio IDE

con una GUI oppure è disponibile in versio-

ne standalone per compilatori GCC e IAR;

• è scaricabile gratuitamente.

Software tools: Atmel StudioAtmel® Studio è un ambiente di sviluppo creato

al fine di effettuare progettazione e debug in ap-

plicazioni embedded su Atmel ARM® ed AVR®.

Software tools: QTouch Studio 4.3.1L’Atmel QTouch Studio è un’applicazione per

PC che permette la visualizzazione real-time

del data stream di debug delle librerie QTouch

proveniente dalla scheda di test o in sviluppo.

Alcune soluzioni sono:

• QT600

• SAM3N-EK

• SAM3S-EK

• AVRTS2080A

• AVRTS2080B

• QTouch Xplained

Il software funziona, stando a quanto dichiarato

dal produttore, solo su piattaforma Windows.

Per approfondimenti, ulteriori dettagli o altre in-

formazioni potete consultare il sito intenet del

prodotto.

ConclusioniBene, per oggi direi che possiamo fermarci qui.

Ora abbiamo un quadro piuttosto completo della

scheda: sappiamo com’è fatta, sappiamo cosa

ci possiamo fare ed abbiamo capito più o meno

come fare ad interfacciarci e dialogare con

essa. La prossima volta vedremo di cominciare

qualche esperimento con la scheda per scoprir-

ne realmente le possibilità mettendola sotto test

sul campo. Alla prossima.

Arduino DUE Tutorial: Atmel SAM3X8E ARM Cortex-M3 CPU

L’autore e a disposizione nei commenti per eventuali approfondimenti sul tema dell’Articolo.Di seguito il link per accedere direttamente all’articolo sul Blog e partecipare alla discussione:

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Corso di microprogram-mazione: i circuitisequenziali

di Piero Boccadoro28 Marzo 2013

Bentornati al nostro corso di micro programmazione. Nella scorsa puntata abbiamo trattato brevemente i convertitori, cercando di restituire un quadro più o meno com-pleto delle possibilità esistenti. Oggi però torniamo ad occuparci dei sistemi digitali per andare avanti ed analizzare i circuiti sequenziali. Cosa sono? Come funzionano? Perché sono diversi da quelli che abbiamo visto finora? Come sono fatti? Sono più o meno utili? A queste ed altre domande cercheremo di dare risposta oggi e nelle pros-sime puntate. Siete pronti?

Come prima cosa da fare, ora che riprendia-

mo il filo del discorso da dove lo avevamo

interrotto, c’è da spiegare che cosa sono i

sistemi digitali sequenziali, per quale motivo si

chiamano così ed in quale modo sono da consi-

derarsi un’alternativa rispetto a quelli di cui ab-

biamo parlato finora.

Tutti i sistemi di cui abbiamo discusso nei capi-

toli precedenti sono basati su porte con un certo

numero di ingressi ed uno specificato numero di

uscite. In particolare, l’uscita ad un determinato

istante di tempo è il risultato di un’operazione

avvenuta sui dati all’ingresso in un determina-

to istante di tempo, in particolare nello stesso

istante di tempo. Un sistema di questo tipo pre-

vede una risposta istantanea, ovvero il dato in

uscita ci sarà effettivamente se sarà presente la

giusta combinazione in ingresso. Questo qualifi-

ca i sistemi che abbiamo già visto come sistemi

istantanei e pertanto privi di memoria.

Page 47: EOS-Book5

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Tuttavia noi sappiamo bene che nella program-

mazione la memoria è fondamentale visto che

due sono le operazioni di cui abbiamo certa-

mente sempre bisogno, ovvero il calcolo e la

memorizzazione.

Molti sistemi digitali sono comandabili, peraltro,

tramite impulsi di sincronizzazione (il cosiddetto

clock), ovvero operano in sincronismo con un

treno di impulsi di periodo assegnato.

Tanto per essere più chiari, ecco una figura che

lo spiega meglio.

La larghezza dell’impulso è indicata con “t” e vie-

ne assunta molto piccola rispetto al modulo del periodo “T”. Come molti sapranno, questo

vuol dire che la figura di merito che va sotto il

nome di “duty-cycle” sarà piccola. Per chi non

dovesse saperlo, quando parliamo di duty-cycle

ci riferiamo al rapporto tra il tempo di “on” della

forma d’onda di clock rispetto (rapportato) all’in-

tero periodo (durata); questa figura, ovviamen-

te, varia tra 0 ed 1. Nell’esempio proposto il suo

valore potrebbe essere 0.2 (ovvero il 20 %).

I valori binari presenti a ciascun “nodo” del si-

stema vengono assunti costanti all’interno di

ciascun intervallo di tempo. Una transizione fra

uno stato del sistema ed un altro può avvenire

solo nel momento in cui sia applicato il segnale

di clock. Se prima abbiamo definito quelli senza

memoria come circuiti statici, per queste ra-

gioni definiamoquesticircuitidinamici (evi-

dentemente) con memoria.

Vale la pena di specificare, prima di andare

avanti, che, nell’ambito dell’elettronica digitale,

il modello più generale di circuito sequenziale è

quello che risulta composto da un certo numero

di ingressi (m) ed un dato numero di uscite (n).

Se per ciascun istante di tempo il valore istan-

taneo delle uscite risulta determinato dai valori

degli ingressi, il circuito è detto combinatorio e

non dipende esplicitamente dalla variabile tem-

porale. In questo caso, invece, senza l’appli-

cazione di un segnale di clock non ci sarebbe

uscita perché è nella scansione temporale che

l’uscita viene (o me-

glio può essere) deter-

minata.

Assumiamo di poter

indicare con Q(n) il

valore (0 o 1) di uscita

di uno specifico nodo

nell’n-simo intervallo temporale precedente il

colpo di clock.

Definiamo Q(n+1) l’uscita nell’istante (ovvero

corrispondente al colpo di clock) successivo.

Poiché n vale quanto un numero naturale qual-

siasi (finché il sistema continua a funzionare), si

ottiene una n-upla ordinata di valori Q(1), Q(2), ......., Q(n) che rappresenta la sequenza tem-porale delle uscite.

Inoltre, il valore in un dato istante di tempo po-

trebbe anche dipendere da quello che riviene

dallo stato precedente ed è per questo che il

circuito sequenziale possiede memoria.

Anticipiamo a questo punto che il metodo più

elementare, come vedremo tra poco, per me-

morizzare un dato è semplicemente quello di

mettere in cascata dei sistemi che lo ripropon-

gano uguale a se stesso un certo numero di vol-

te.

Le informazioni, allora, devono essere memo-

rizzate o registrate per poter essere, succes-

Corso di microprogrammazione: i circuiti sequenziali

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sivamente, utilizzate. L’elemento fondamenta-

le, la cella di memoria principale, se vogliamo,

per effettuare la memorizzazione è il flip-flop.

Di questo tipo di dispositivi ne esistono diversi:

S-R, J-K, D, T. Ciascuno di essi, come vedremo

tra un attimo, propone funzionalità e tabelle di

verità differenti. Una cosa che li contraddistin-

gue e che li accomuna è proprio il concetto della

temporizzazione, come vedremo.

Prima di continuare c’è la necessità di fare una

precisazione specificando e inquadrando cor-

rettamente le nozioni di latch e flip-flop. Il Latch

è un circuito elettronico ovviamente digitale bistabile, quindi caratterizzato da (almeno) due

stati stabili. Grazie a questo, associando a cia-

scuno un bit, si riesce ad effettuare la memo-rizzazione nei sistemi a logica sequenziale asincrona. Il latch modifica lo stato logico pro-

posto in uscita in base alle variazioni degli in-

gressi. Ilflip-flop in questo e differente; esso

si basa sempre sulla struttura del latch ma cambia lo stato logico unicamente nel caso in cui un segnale di clock arrivi nel periodo

attivo.

Come dicevamo, esistono diversi tipi di flip-flop

e per ciasuno ora ne proporremo la struttura ed

una breve analisi.

Flip-Flop S-RNello spiegare come sono fatti e come funzio-

nano questi dispositivi seguiremo uno schema

logico che abbiamo già ampiamente utilizzato

quando abbiamo parlato delle porte logiche e

pertanto dimostriamo subito lo schema logico:

Quando utilizziamo porte logiche come blocchi

costitutivi di un sistema complesso la cosa più

importante è tenere a mente che la configura-

zione base è quella di un SR latch. Le due let-

tere indicano le “situazioni” di Set e Reset.Veniamo, adesso, ad una configurazione leg-

germente diversa che prende il nome di SR clo-cked.

In un sistema sequenziale si richiede di “setta-

re” oppure di resettare un flip-flop in sincronia

con il crocchio di sistema.

Questo si ottiene modificando, seppur legger-

mente, il circuito visto in precedenza; lo si può,

infatti, suddividere in due sezioni ovvero la par-

te di destra, così come evidenziato, è un latch

mentre quella di sinistra rappresenta la parte di

controllo. Questa sezione prende, infatti, il nome

di impostazione oppure control (o, come indi-

cato in figura, steering).

Come si può facilmente notare, fin tanto che il

clock rimane a zero il circuito è insensibile alle

variazioni. Vale la pena anche di notare che in-

gressi che siano contemporaneamente 0 (oppu-

re 1) non sono ammessi in questa configurazio-

ne.

Flip-Flop J-KQuesto secondo tipo di configurazione ha una

differenza circuitale con il precedente piuttosto

interessante perché essa elimina l’indetermina-

tezza nel caso in cui entrambi gli ingressi siano

Corso di microprogrammazione: i circuiti sequenziali

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esattamente pari ad 1.

Come si vede chiaramente grazie alla figura, abbiamo un flip-flop S-R preceduto da sole 2 porte AND a 2 ingressi. Le equazioni che dob-biamo utilizzare in questo caso per comprende-re il funzionamento della configurazione sono:S=J’Q e R=KQ’Il JK può essere, inoltre, ulteriormente imple-mentato, magari in maniera anche più comoda, prevedendo l’aggiunta di due ingressi nello sta-dio latch con lo scopo di forzare le due possibi-lità di preset e clear.L’equazione caratteristica è:Q = K’Q + JQ’e la relativa tabella della verità:Flip-Flop DSi tratta del più utilizzato tra i flip-flop. Per de-scriverlo, la cosa più efficace e semplice da fare è spiegare il suo nome: “D” sta per delay, ov-

vero ritardo. Abbiamo detto, ma vale la pena di ribadire il concetto, che l’operazione più sem-plice da fare se si vuole memorizzare un dato è, per l’appunto, quella di ritardarlo o meglio di

riproporlo in uscita un certo numero di volte da una catena più o meno lunga di sistemi grazie alla quale il dato, di fatto, permanga.Quindi il bit presente all’ingresso viene riporta-to all’uscita di ciascuno stadio della catena (che può essere comunque lunga) dopo un colpo di clock. Ecco, quindi, spiegata la funzione ed il ruolo di questo flip-flop.Sarà certamente più chiaro adesso per quale motivo questo tipo di flip-flop viene anche iden-tificato dall’aggettivo “transparent”.Flip-Flop TAnche questo è un flip-flop che risulta da una particolare configurazione del J-K. L’equazione caratteristica è:Q = T’Q + TQ’quindi l’operazione logica è un XOR tra T e Q.Se l’input è alto, allora si ha il cambiamento di stato. Se, invece, l’ingresso ha valore basso,

allora il valore proposto in uscita sarà quello precedente. Questo comportamento è perfetta-mente descritto dall’operazione di XOR.Tiriamo le sommeCon la presentazione, seppur breve, fatta quest’oggi abbiamo analizzato gli esponenti si-gnificativi della categoria dei circuiti e dei sistemi sequenziali. Le configurazioni che vedremo più avanti saranno utili per avere un’idea precisa di come si possano realizzare strumenti e sistemi complessi anche basandosi su poche elemen-tari operazioni.

Corso di microprogrammazione: i circuiti sequenziali

L’autore e a disposizione nei commenti per eventuali approfondimenti sul tema dell’Articolo.Di seguito il link per accedere direttamente all’articolo sul Blog e partecipare alla discussione:

http://it.emcelettronica.com/corso-di-microprogrammazione-i-circuiti-sequenziali

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A questo numero di EOS-Book hanno partecipato:

Piero è un appassionato studioso. Laureato in Ingegneria Elettronica e cultore dell’Open Source, amante della tecnologia e con uno sconfinato desiderio di apprendere tutto ciò chenon conosce. La sua tesi di laurea, pubblicata su queste pagine, ha segnato l’inizio della sua collaborazione con questo blog.

Vola solo chi osa farlo!PieroBoccadoroTechnical Writer& Moderator

Luca è un neo perito elettrotecnico con una gran passione per l’elettronica ed il fai da te, sempre alle prese con qualche pic pronto a realizzare la prima idea che gli passa in mente. Grazie al concorso Review4U è entrato a far parte della squadra di Elettronica Open Source.

Lasciamo che il futuro dica la Verità, e giudichiamo ciascunosecondo la propria opera e gli obiettivi. (Nikola Tesla)

LucasssTechnical Writer

Appassionato sin da piccolo per l’elettronica, la matematica ed il fai da te. È programmatore di computer, insegnante di informatica e di matematica. Appassionato di numeri, è alla con-tinua ricerca di grandi Numeri Primi. Ha scritto anche un libro sulla programmazione del PIC 16F84 con mikroBasic.È titolare dell’azienda ElektroSoft, che si occupa di elettronica ed informatica. Si cura a tem-po pieno di formazione ed insegnamento.

Gio22Technical Writer

Stefano è laureato in Ingegneria Elettronica ed ha un’esperienza pluriennale nel settore dei sistemi embedded real-time, avendo partecipato a diversi progetti in campo avionico, auto-mazione industriale, e telecomunicazioni. Ama lavorare direttamente sull’hardware e tenersi informato sulle nuove tecnologie elettroniche.

Il dubbio è l’inizio della sapienza. (Cartesio)SlovatiTechnical Writer

Perito industriale appassionato fin da piccolo di elettronica, informatica e nuove tecnologie. Esperto “Sch & PCB designer”, si è dedicato anche alla programmazione sia su PC, sul Web e su microcontrollori. Negli ultimi anni ha maturato una buona conoscenza del settore fotovoltaico lavorando sia come progettista di inverter e sistemi di controllo che nel settore della distribuzione.

“Solo gli imbecilli non cambiano mai opinione.“ (Honoré Gabriel Riqueti conte di Mirabeau)Ferfabry76Technical Writer

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