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ercasiunfine · Igino Giordani (1894-1980), giornalista, scrittore, membro della Costituente,...

Date post: 02-Feb-2021
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moci: fu la visione dell’Inferno che ispi- rò a Dante il desiderio del Paradiso: lo spettacolo dei vizi più perversi, con- templati con lo spirito di Virgilio sul piano della sanzione eterna, converti- rono il poeta alla virtù». Anche qui non bisogna aver paura di dire che «la liber- tà ha un limite, o meglio, una protezio- ne, nella moralità. Come non si conce- de all’assassino la libertà di uccidere fi- sicamente, così non si può concedere allo scrittore la libertà di assassinare moralmente. La stampa è un servizio sociale: è fatta per la vita e non per la morte. È stato definito il quarto potere: ma più volte è il primo e talora l’unico potere. Il giornalista può non avere un soldo in tasca, ma se ha un’idea in te- sta, una fiamma in cuore, vale sul mer- cato più di un finanziere». meditando pensando meditando agosto settembre 2006 anno II n. 12 Bisogna che il fine sia onesto. Grande. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come lei vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. www.cercasiunfine.it periodico di cultura e politica interventi di il cuore del giornalismo Francesco Russo, Gabriella Sestito, Emanuele Carrieri dopo il referendum di Alessandro Torre, Vincenzo Caricati, Franco Giustino, Franco Ferrara i ragazzi di don Lorenzo Milani criveva Igino Gior- dani nel 1949: «Il gior- nale deve moralizzare il costume del popolo; farsi strumen- to di elevazione. Se il cuore di chi scri- ve è puro, purifica ciò che scrive. Il giornalista deve stare di fronte al ma- le morale come il medico sta di fron- te al male fisico. Il medico tratta pus e tossici; ma non si infetta e non infetta: tratta il morbo per sanare, non per ammorbare. E così dovrebbe fare il giornalista». Certo, TV, giornali, radio, internet sono oggi molto spesso tossi- ci: c’è chi ci fa l’abitudine, c’è chi ne è vittima inconsapevole, c’è chi vi resi- ste, c’è chi tenta vie alternative. Ma ci sarà un modo per disintossicarli? For- se può aiutare il ritornare ai media con interesse e passione perché questi sia- no affidati a chi ne ha piena compe- tenza e provata moralità. Non mi rife- risco ad una azione moralizzatrice che si esaurisce nelle secche di una predi- ca, né tanto meno a crociate contro i media cattivi. Penso, invece, al pote- re, di ogni cittadino di esercitare con- sumo critico anche per i media. E pen- so anche alle responsabilità sociali e politiche nel governare i media, evi- tando che il loro unico padrone sia il mercato, con le sue regole spietate di pubblicità ed introiti ad ogni costo. È sciocco pensare a censure, come a mezzi di comunicazione diretti «dal- l’alto»; ma è doveroso, specie per chi ha responsabilità educative e politi- che, non lasciare spazio a operatori, che come scriveva Giordani sono so- lo «mercenari della penna, alchimisti di frodo, che possono rimestare il marcio per convertirlo in oro». Abbia- mo bisogno, invece, di «giornalisti di coscienza che faranno scaturire la condanna dalla presentazione razio- nale dei fatti. I lettori hanno da capi- re, leggendo, che il male è male, e de- compone il corpo sociale: tossico che, messo da una ferita anche sottile in circolazione nei vasi sanguigni del- l’unico corpo sociale, avvelena e fa soffrire anche le membra sane». E allora non bisogna temere nel pro- porre argini e controlli; dicendo un fermo no a ciò che offende la dignità, specie dei piccoli e delle donne, a ciò che promuove e fomenta devianza; a ciò che ha come unico fine il profitto sempre e ad ogni costo; a ciò che ca- lunnia e lede la riservatezza delle per- sone e delle famiglie. Discorso sco- modo quello dei limiti. Facilmente at- taccato come nuova versione delle vecchie censure. Eppure più attuale che mai: una comunità politica non può fondarsi su principi etici condivi- si (quelli costituzionali) e poi lasciare che il mercato configuri i media se- condo contenuti e stili immorali, quanto anticostituzionali. «Qui – scri- veva Giordani - veramente la respon- sabilità del giornalista, davanti a Dio e davanti agli uomini, è formidabile: egli ha in mano, talora, la vita e la mor- te; e dalla sua scelta dipende il desti- no di tante creature. Quanti suicidi de- terminati da letture di suicidi, quanti adulteri, quanti furti, quanti assassini imparati nella scuola dei giornali im- puniti! Altro sarebbe stato l’effetto, se la notizia letta avesse instillato l’orro- re, invece dell’attrazione. Ma ricordia- s Igino Giordani (1894-1980), giornalista, scrittore, membro della Costituente, politico, testimone di autenticità e di pace di Rocco D’Ambrosio Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DRT BARI c capire i media di Angelo Bertani, Michele Sorice, Piermarco Aroldi, Giovanni Boccia Artieri, Monica Di Sisto ercasiun fine
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  • moci: fu la visione dell’Inferno che ispi-rò a Dante il desiderio del Paradiso: lospettacolo dei vizi più perversi, con-templati con lo spirito di Virgilio sulpiano della sanzione eterna, converti-rono il poeta alla virtù». Anche qui nonbisogna aver paura di dire che «la liber-tà ha un limite, o meglio, una protezio-ne, nella moralità. Come non si conce-de all’assassino la libertà di uccidere fi-

    sicamente, così non si può concedereallo scrittore la libertà di assassinaremoralmente. La stampa è un serviziosociale: è fatta per la vita e non per lamorte. È stato definito il quarto potere:ma più volte è il primo e talora l’unicopotere. Il giornalista può non avere unsoldo in tasca, ma se ha un’idea in te-sta, una fiamma in cuore, vale sul mer-cato più di un finanziere».

    meditandopensandomeditandoagosto • settembre 2006 • anno IIn.12

    Bisogna che il fine sia onesto. Grande. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questosecolo come lei vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamosovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte.

    www.cercasiunfine.itperiodico di cultura e politica

    interventi di

    il cuore delgiornalismo

    Francesco Russo,Gabriella Sestito,Emanuele Carrieri

    dopo ilreferendumdi Alessandro Torre,Vincenzo Caricati,Franco Giustino,Franco Ferrara

    i ragazzi di don Lorenzo Milani

    criveva Igino Gior-dani nel 1949: «Il gior-nale deve moralizzare

    il costume del popolo; farsi strumen-to di elevazione. Se il cuore di chi scri-ve è puro, purifica ciò che scrive. Ilgiornalista deve stare di fronte al ma-le morale come il medico sta di fron-te al male fisico. Il medico tratta pus etossici; ma non si infetta e non infetta:tratta il morbo per sanare, non perammorbare. E così dovrebbe fare ilgiornalista». Certo, TV, giornali, radio,internet sono oggi molto spesso tossi-ci: c’è chi ci fa l’abitudine, c’è chi ne èvittima inconsapevole, c’è chi vi resi-ste, c’è chi tenta vie alternative. Ma cisarà un modo per disintossicarli? For-se può aiutare il ritornare ai media coninteresse e passione perché questi sia-no affidati a chi ne ha piena compe-tenza e provata moralità. Non mi rife-risco ad una azione moralizzatrice chesi esaurisce nelle secche di una predi-ca, né tanto meno a crociate contro imedia cattivi. Penso, invece, al pote-re, di ogni cittadino di esercitare con-sumo critico anche per i media. E pen-so anche alle responsabilità sociali epolitiche nel governare i media, evi-tando che il loro unico padrone sia ilmercato, con le sue regole spietate dipubblicità ed introiti ad ogni costo. Èsciocco pensare a censure, come amezzi di comunicazione diretti «dal-l’alto»; ma è doveroso, specie per chiha responsabilità educative e politi-che, non lasciare spazio a operatori,che come scriveva Giordani sono so-lo «mercenari della penna, alchimistidi frodo, che possono rimestare il

    marcio per convertirlo in oro». Abbia-mo bisogno, invece, di «giornalisti dicoscienza che faranno scaturire lacondanna dalla presentazione razio-nale dei fatti. I lettori hanno da capi-re, leggendo, che il male è male, e de-compone il corpo sociale: tossico che,messo da una ferita anche sottile incircolazione nei vasi sanguigni del-l’unico corpo sociale, avvelena e fasoffrire anche le membra sane».E allora non bisogna temere nel pro-porre argini e controlli; dicendo unfermo no a ciò che offende la dignità,specie dei piccoli e delle donne, a ciòche promuove e fomenta devianza; aciò che ha come unico fine il profittosempre e ad ogni costo; a ciò che ca-lunnia e lede la riservatezza delle per-sone e delle famiglie. Discorso sco-modo quello dei limiti. Facilmente at-taccato come nuova versione dellevecchie censure. Eppure più attualeche mai: una comunità politica nonpuò fondarsi su principi etici condivi-si (quelli costituzionali) e poi lasciareche il mercato configuri i media se-condo contenuti e stili immorali,quanto anticostituzionali. «Qui – scri-veva Giordani - veramente la respon-sabilità del giornalista, davanti a Dio edavanti agli uomini, è formidabile:egli ha in mano, talora, la vita e la mor-te; e dalla sua scelta dipende il desti-no di tante creature. Quanti suicidi de-terminati da letture di suicidi, quantiadulteri, quanti furti, quanti assassiniimparati nella scuola dei giornali im-puniti! Altro sarebbe stato l’effetto, sela notizia letta avesse instillato l’orro-re, invece dell’attrazione. Ma ricordia-

    s ‘‘

    Igino Giordani (1894-1980),giornalista, scrittore, membro dellaCostituente, politico, testimone di

    autenticità e di pace

    di Rocco D’Ambrosio‘‘

    Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postaleD. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)

    art. 1, comma 2, DRT BARI

    ccapirei mediadi Angelo Bertani,Michele Sorice,Piermarco Aroldi,Giovanni Boccia Artieri,Monica Di Sisto

    ercasiunfine

  • lla lettera, il «comunicare» ri-chiama il «mettere in comune»

    le proprie idee perchè, instaurandouna rete di relazioni e dialettiche co-struttive, si contribuisca al raggiun-gimento di quel «bene comune», acui concorrono tutte le scienze uma-ne. Questo può sembrare utopisticooggi, visto che i mass-media, in for-za del loro indubbio potere di in-fluenzare le coscienze, produconouna comunicazione fine a se stessa,anzi fine all’arricchimento di pochi,e vanno perdendo il senso di re-sponsabilità anche educativa, a cuisono chiamati per amore della veri-

    tà. Il successo del trash in TV, l’aleg-giare dello spettro della politica die-tro RAI e giornali, la degradazionedella cultura a puro oggetto di mer-cato stanno forse facendo cadere nelvuoto i ripetuti appelli della Chiesa(dal decreto conciliare Inter Mirifi-ca ai messaggi di Papa Wojtyla e Pa-pa Ratzinger in occasione dellaGiornata Mondiale delle Comunica-zioni Sociali) ai media, affinché pro-muovano il dialogo, l’affermazionedella dignità umana e la pace per lacostruzione della civiltà dell’amore.

    [universitario, Putignano]

    gino Giordani nacque a Ti-voli nel 1894. Ebbe un suo

    personalissimo timbro nel battersiper grandi traguardi umani: libertà,giustizia sociale, pace (al serviziodel «bisogno d’amore fra le genti»,scriveva nel 1919). Per essi affron-tò precisi impegni culturali e poli-tici nella crisi del vecchio Stato li-berale, nel travaglio sotto il regimetotalitario, e poi nella rinascentedemocrazia italiana. Testimoniòcon la vita e proclamò con la pen-na realtà ecclesiali con cui precor-reva alcuni contenuti del ConcilioVaticano II. Grazie all’intervento diun benefattore aveva potuto conti-nuare gli studi. Chiamato alle arminel 1915, non sparò contro altrepersone e operò contro una fortifi-cazione avversaria con impresa ri-schiosa, che gli guadagnò la meda-glia d’argento e gli procurò una in-validità permanente.Laureato in lettere esercitò diverseattività professionali, ma anche inforza di una incomprimibile voca-zione alla penna, fu scrittore e gior-nalista fecondissimo: migliaia di ar-ticoli, qualche centinaio di opusco-

    li e saggi, oltre cento volumi. Fu ar-ticolista in giornali e riviste italianeed estere. Come politico visse una primaesperienza negli anni ’20 con donSturzo, del quale si guadagnò la sti-ma, ricevendo incarichi nel settoredella stampa; riprese poi con DeGasperi e dal 1946 al 1953 fu pri-ma tra i costituenti e poi «deputatodi pace» (così amò definirsi).Nel settembre del 1948 incontravaChiara Lubich. Colpito dalla fortespiritualità del Movimento dei Fo-colari, vi aderì subito, collaboran-do a metterne in luce alcuni aspet-ti sia interiori che di socialità, tantoda essere considerato un co-fonda-tore. «In me era entrato il fuoco»,confesserà. Il suo agire politico sa-liva di tono: da polemista sferzan-te, come era stato nel 1924-25, di-veniva sostenitore del dialogo,proponeva intese inter-partiticheper la pace, e una politica in cui an-che l’avversario sia amato. Insiemecon un socialdemocratico, presen-tò la prima proposta di legge perl’obiezione di coscienza. Si spensenel 1980 all’età di 86 anni.

    Per una biografia: T. SORGI, Un’anima di fuoco.Pro-filo di Igino Giordani (1894-1980), Città NuovaC. VASALE, Il pensiero sociale e po-litico di Igino Giordani.La politicacome professione e vocazione, Cit-tà NuovaTra i suoi testiI. GIORDANI, Dare un’anima al-la democrazia.Articoli da «La Via»(1949-1953), Laterza GiuseppeEdizioniI. GIORDANI, L’inutilità dellaguerra, Città NuovaI. GIORDANI, Il messaggio socialedel cristianesimo, Città NuovaI. GIORDANI, Politica e morale,Città Nuova

    uando si parla del rapportotra Chiesa e mass media si

    è tentati perlopiù di concentrarel’attenzione sui «mezzi»: la novitàdei nuovi media, la loro organizza-zione, i linguaggi, lo spessore eco-nomico e sociologico. Certo per laChiesa, per i credenti e per tuttiquanti cercano di comunicare «va-lori» i moderni mass media (con le«leggi» proprie che li guidano) co-stituiscono una preoccupazione eun problema in larga misura inso-luto.E tuttavia io vorrei mettere in luceanzitutto che il rapporto tra laChiesa e il mondo della comunica-zione – con i suoi media grandi epiccoli, vecchi e nuovi (anche laparola, l’omelia, il gesto esempla-re è un medium) – dipende anzi-tutto dalla immagine di se e dalprogetto che la Chiesa fa proprio.Pensiamo alle omelie di GregorioMagno che parlava ai cittadini diRoma, disperati per lo sfacelo cuistavano assistendo, e interrogavala parola di Dio e cercava segni disperanza pur nella città assediata esaccheggiata dai «barbari». E poipensiamo alle encicliche di Gre-gorio XVI che nell’Europa postri-voluzionaria condannava e perse-guitava qualsiasi barlume di liber-tà e di ragionevolezza anchequando era espresso da credentionesti e integerrimi; e innalzavauna barriera d’incomprensioneverso tutto il mondo moderno. Erano due visioni di Chiesa cultu-ralmente opposte. Da una parte l’idea di un popolo,del quale «servo dei servi di Dio» faparte anche il Papa (e naturalmen-te anche vescovi, preti, monaci,santi e dottori); un popolo la cuicoscienza cristiana cresce allascuola della Parola e della storia,fiduciosa nella mano di Dio cheguida gli avvenimenti anche attra-verso le dure esperienze del dolo-re, dell’esilio e dell’esodo: Chiesapellegrinante, lievito nel mondo.Dall’altra parte sta l’idea di unaChiesa che si ritiene autosufficien-te, forte e sicura, che giudica econdanna, lotta per il suo primato

    e divide l’umanità e le culture inamici e nemici.Quando non riesce ad imporre isuoi punti di vista si lascia andareal pessimismo e lamenta la nequi-zia dei tempi.Io penso che queste due immagi-ni di Chiesa sono alla base anchedell’atteggiamento di fronte aimass media e alla comunicazionein genere. Nel primo caso i media sono stru-mento e occasione per ascoltare lavoce del mondo, della realtà stori-ca. Sono come un grande orec-chio, un’antenna per stare in sinto-nia con gli uomini, apprendere lalezione della loro fatica, condivi-derne le speranze e offrire l’aiutodella soprannaturale sapienza delvangelo.Nel secondo caso i media sono co-me un immenso megafono per farascoltare la propria voce, per dif-fondere non solo il messaggioevangelico ma anche il propriopunto di vista su ogni problemapolitico e culturale.I media hanno entrambe le funzio-ni, di ascoltare e di parlare; ma laprima è forse più importante e cer-to preliminare alla seconda. Di-menticarlo è dannoso per tutti.La visione di Chiesa, talora la stes-sa ecclesiologia, condiziona con-tenuti e stile nell’uso dei media:una Chiesa che si sente fortezzaassediata farà largo uso della pole-mica verso il «mondo» ed esigerà alsuo interno una ferrea disciplina;una Chiesa protesa alla conquistae all’egemonia mondana si porràsempre in prima fila, cercherà ilsuccesso visibile, magari a scapitodella limpida fedeltà al Vangelo.Una Chiesa protesa alla profezia ealla evangelizzazione userà vice-versa i mezzi di comunicazionecon libertà, stile di dialogo, UnaChiesa convinta di avere l’esclusi-va della verità userà strumenti elinguaggi autoritari fino all’intolle-ranza; una Chiesa convinta che laverità è amore e ricerca userà i me-dia per esprimere questa sua con-sapevolezza.E nessuno dica che tutto ciò porta

    al relativismo: l’ultraortodosso eintollerante Taziano morì ereticomentre Giustino, che amava il dia-logo e cercava i semina Verbi an-che nella «cultura laica», morì mar-tire.Ricordo una simpatica vignetta ap-parsa su di un giornale francese. Viera raffigurata una piramide uma-na: alla base una folla di uomini,donne, vecchi e bambini. Soprauna folta schiera di preti e suore;sopra ancora un bel gruppo di ve-scovi; al penultimo piano pochicardinali. E al vertice il Papa. E unoschermo di TV incorniciava il Pa-pa lasciando intravedere le faccedei cardinali e niente altro. Come dire: una Chiesa piramidaleusa i media per dare voce ai verti-ci che, oltretutto, hanno un aspet-to meno interessante della realtà dibase. Infatti man mano che si sali-va nella piramide di passava dauna moltitudine di volti diversi, in-teressanti, allo spettacolo noiosodi gente vestita tutta eguale, con lastessa espressione.Certo i mass media possono esse-re strumenti preziosi per la com-prensione del mondo, per l’an-nuncio del vangelo e per la costru-zione di una società civile ed ec-clesiale più comunitaria. Tuttaviasono mezzi; e usarli con spregiu-dicatezza, come spesso avviene, alservizio del potere anziché dellaconoscenza libera e disinteressatadella verità, può essere contropro-ducente e pericoloso.Qualcuno ha notato che c’è unanotevole differenza tra il modocon il quale la Chiesa italiana si av-vicina al convegno ecclesiale diVerona e quello che aveva caratte-rizzato la vigilia dei precedentiConvegni.E la differenza riguarderebbe pro-prio i mass media. Nel 1976, maanche nel 1985 e in misura mino-re anche nel 1995, la gerarchia cat-tolica italiana era povera di mezzidi mass media e l’opinione pub-blica, anche cattolica, si esprimevae si confrontava sui media «laici» osui giornali – perlopiù deboli pertiratura ma non per qualità – rea-

    lizzati dal laicato cattolico o dagliordini religiosi e associazioni ec-clesiali. Le vigilie di Evangelizza-zione e promozione umana e diRiconciliazione cristiana e comu-nità degli uomini videro unagrande vivacità e libertà di discus-sione.In questo 2006, a parte poche ec-cezioni di mobilitazione di tutto ilpopolo di Dio, la massima partedella preparazione è stata trasmes-sa, «comunicata» dai media ufficia-li o ufficiosi: i settimanali diocesa-ni, i media della Cei o delle dioce-si, l’«Avvenire», la stampa di asso-ciazioni e movimenti allineati, ilgran numero di giornalisti, diri-genti e comunicatori (laici e preti)che sono presenti nei media «laici»come la Rai o le Tv di Mediaset, onei maggiori giornali, spesso su in-dicazione o col consenso dellaconferenza episcopale o del Vati-cano. La conseguenza di tutto ciòè che non c’è stata la libertà, la vi-

    vacità, il pluralismo, la franchezzache sarebbe stata necessaria. I me-dia, salvo poche eccezioni, sonoserviti soprattutto a trasmettere unprogetto preconfezionato, forseaddirittura nelle sue conclusioni(speriamo di sbagliarci). Come senon ci fosse invece la necessità diaprire le finestre e di fare un esa-me di coscienza collettivo, frater-no ma senza reticenze. Per fortu-na non ci sono solo i mass media,ma esistono anche i piccoli media,la stampa non di massa ma di qua-lità, di ricerca, di amicizia e di dia-logo; e c’è Internet. Attraversoquesti mezzi poveri, alternativi,sono passate riflessioni, lettere,documenti più interessanti. Forseresteranno sconosciuti ai più; for-se resteranno fuori dai confini vi-sibili del Convegno ecclesiale; maserviranno, più di tante altre cose,a preparare il futuro.

    [giornalista, Roma]

    pensando di Francesco Russo

    meditando di Angelo Bertani2

    tra i libri

    I

    di Igino Giordani

    Chiesa e mass mediaq

    Beato Giacomo Alberione (1884-1971), evangelizzatore dei media

    a

  • e comunicare è favorire laconvivenza democratica e il

    dialogo, oggi assistiamo al tradi-mento della comunicazione e del

    suo autentico significato.E vediamolo questo tradimento,anzi questi tradimenti.Tutto avviene in fretta e tutto - l’ul-

    tima bomba, l’ultimo attentato -deve essere riferito il più rapida-mente possibile.L’emozione regna sovrana, impo-ne le sue regole all’universo deimedia ed è un utile espediente perevitare di affrontare argomenti po-liticamente scomodi.La nostra società è segnata dallasovrabbondanza di informazioni,cioè dall’accumulo di dati e di det-tagli secondari sull’ultimo fatto dicronaca o di costume.Anche nella costruzione del rac-conto prevale la logica della con-trapposizione: noi, gli altri; l’accu-sa, la difesa; il nord, il sud.Esiste, infine, anche l’imperialismodelle immagini: come se non po-tessero essere manipolate o falsifi-cate. È tutta italiana l’anomalia del-l’irrisolto (o congelato?) conflittodi interessi.L’informazione è bene di tutti, unbene troppo prezioso per essereconfiscato da pochi o piegato a lo-giche di potere, di dominio, di ma-nipolazione.

    [impiegato statale, Taranto]

    a storia degli studi sui me-dia è strettamente intrec-

    ciata con l’evoluzione dei model-li sociali. Negli anni Trenta, peresempio, la scuola più forte eraquella della cosiddetta sociologiafunzionalista dei media, sortanegli Stati Uniti.Gli studiosi che si rifacevano aquell’impostazione culturale era-no molto influenzati da quelleteorie che ritenevano che la so-cietà altro non era che l’insieme digruppi, interessi e apparati.Naturalmente lo scopo della so-cietà era mantenere il proprioequilibrio: tutti (compresi i me-dia) avrebbero dovuto partecipa-re al mantenimento dell’ordinesociale.In questa idea di società ce n’è na-scosta un’altra: il pubblico deimedia (quello che chiamiamo au-dience) è considerato sostanzial-mente passivo, semplice riceven-te dei messaggi dei media.E allora uno degli scopi principa-li della ricerca sui media non po-teva che essere quello di trovareil modo per rendere più credibilii messaggi, più efficaci e più con-vincenti. In altre parole, gli studisulla comunicazione spesso di-ventavano studi sulla propagan-da.Ovviamente c’erano anche al-tre correnti di studio, sempre unpo’ trascurate a causa dello stra-potere della sociologia statuni-tense.Alla metà degli anni Settanta, pe-rò, si sviluppa la scuola britanni-ca dei Cultural Studies. E conquesti studiosi si avvia un cam-biamento di prospettiva non solonello studio dei media ma anchenella stessa idea di «società».Gli studiosi di Birmingham (dallacittà in cui si sviluppò il primo im-portante centro di ricerca sullacomunicazione) utilizzarono sug-gestioni e teorie provenienti daautori diversi, spesso distanti fraloro, come il marxismo atipico diGramsci e l’impostazione cattoli-ca di un grande gesuita come Mi-chel de Certeau.Le riflessioni di quegli studiosi

    contribuirono a un ripensamentogenerale della comunicazione enacquero nuovi modi di intende-re il rapporto fra media e società.I media, per esempio, non venne-ro più considerati come strumen-ti di «manipolazione» o almenonon solo così.Si intuì che la primaria funzionedei media risiedeva nella lorostraordinaria capacità di creareconsenso ma in modo diverso dacome si era pensato fino a quelmomento.I media sono strumenti di egemo-nia, cioè capaci di far sembrarenaturale l’assetto di potere in vi-gore. In altre parole, i media nonsono semplici megafoni di altripoteri; rappresentano essi stessiun potere, che non è quello della«manipolazione delle coscienze»,ma è molto più sottile e «forte»: imedia diventano gli strumentiche ci fanno conoscere la società,ce la presentano e in qualche mo-do ci forniscono anche gli stru-menti per interpretarla.I media allora sono persino piùpotenti di quanto ritenessero glistudiosi più apocalittici e pessimi-sti. Ma il fatto che essi stessi sianoun «potere» li rende paradossal-mente più aperti perché in un po-tere si può, in qualche modo, pe-netrare. Nella cultura dei media, in effetti,possono insinuarsi quelle formedella cultura «popolare» capaci difavorire una specie di comunica-zione dal basso.È l’esperienza, concreta non teo-rica, dei media non-mainstream(o «alternativi» come pure vengo-no chiamati), compreso il nostro«Cercasi un fine».«Dentro» i media si svolgono me-diazioni, scambi comunicativi,ma anche fenomeni di resistenza:i soggetti (i telespettatori, i lettori,i consumatori) resistono ai pro-cessi di assimilazione nella cultu-ra dominante.O, più precisamente, cercano didefinire una loro identità. I me-dia, in altri termini, non riflettonoun consenso già presente a livel-

    lo sociale ma partecipano alla suacostruzione.I media attivano forme di consen-so ma al tempo stesso questoconsenso si articola liberamente,almeno in parte.E questo consenso è difficile dacontrollare perché oggi i soggetti,i pubblici, le audiences sonosempre più frammentati e de-lo-calizzati: al pubblico-massa dellatelevisione-evento di qualche de-cennio fa si è sostituita la grandegalassia dei tanti micro-pubblicipiù o meno specializzati; non so-lo quelli delle tante «televisioni»ma anche quelli di internet, dellecomunità di appartenenza collo-cate intorno a un oggetto tecno-logico (come per esempio l’i-pod) e così via.Due studiosi britannici (Aber-crombie e Longhurst) hanno usa-to – otto anni fa – l’espressionediffused audience per definirequesto fenomeno.Adesso in molti preferiamo parla-re di extended audience (pubbli-ci estesi). Solo un cambiamentoterminologico? No. Il concetto diextended audience ci permette diconsiderare che la «dispersione»delle audiences diffuse non èsempre necessariamente un pun-to di forza e di «indipendenza» per

    i soggetti.Il potere dei media – paradossal-mente – diventa più forte proprioquando si allentano troppo i vin-coli sociali. Insomma è come se cifossero due estremi.Da una parte il pubblico-massa:questo è facilmente manipolabileperché più forti sono in quel casole dinamiche egemoniche deimedia ma anche quelle forme diintegrazione determinate dal con-testo sociale (mi assimilo all’ideadominante per non essere emar-ginato); dall’altra parte c’è il pub-blico «disperso», anch’esso facil-mente «assimilabile» anche se inun modo diverso: l’isolamento el’assenza di relazione rendono isoggetti più vulnerabili ai conte-nuti dei media, tanto più che intale situazione i media rappresen-tano spesso il più forte legame colmondo.In mezzo a questi due estremi cisono quelle che possiamo chia-mare «comunità interpretanti»(non tanto diverse da quelle chela teologia chiama «comunità diresistenza): persone che riesconoa usare i media stabilendo con es-si una relazione di impegno (in-teso, se volete, alla Mounier).Un grande sociologo contempo-raneo francese, Luc Boltansky,

    scrive che: «Lo spettatore, rispettoai media, si trova nella posizionedi colui al quale viene fatta unaproposta di impegno. Un altrospettatore, che gli riporta unastoria, può presentarsi come unreporter, vale a dire come un te-stimone oculare, che può averraccolto un’informazione che siconsidera avere come origine untestimone oculare, trasmette al-cuni enunciati e alcune immagi-ni a uno spettatore che può ri-prenderli e, con le sue parole, tra-smettere a sua volta quello chene ha tratto e le emozioni chehanno suscitato in lui. Questienunciati e queste immagininon sono cose qualunque».Per Boltansky la logica della frui-zione mediale è quella dell’impe-gno. Non a caso è questa la logi-ca su cui funzionano i media non-mainstream («alternativi»). I media hanno uno strano rappor-to col potere: ne sono strumentima lo controllano; hanno un po-tere reale ma lo contrattano con-tinuamente coi loro pubblici.I media hanno un immenso pote-re. I pubblici anche: purché se neaccorgano.

    [docente di sociologia dei media,univ. La Sapienza, Roma]

    l

    3meditando di Michele Sorice

    poetando di Ase Marie Nesse

    Bugie

    Un tratto di stradaera lastricato di bugieci ferimmo a sanguesulle pietre aguzze eravamo a piedi nudi

    Prima ancora che la ferita fosse guaritaci addormentammo sul ciglio della strada le dita allentarono la presaun pugno di veritàne scivolò lentamente fuoricome perle bianche

    Ma nessuno guardava da quella partele perle finirono nel fossoi sassi, però,avevano valore commercialee fecero scalpore.

    Ase Marie NESSE (1934),poetessa norvegese

    pensando di Emanuele Carrieri

    s

    mediaepotere

  • meditando di Monica Di Sisto

    4

    con una metafora particolarmentesuggestiva: «I media – scriveva –non sono più uno schermo che siguarda, una radio che si ascolta. Sono un’atmosfera, un ambientenel quale si è immersi, che ci av-volge e ci penetra da ogni lato.Noi stiamo in questo mondo disuoni, d’immagini, di colori, di im-pulsi e di vibrazioni come un pri-mitivo era immerso nella foresta,come un pesce nell’acqua. È il no-stro ambiente, i media sono unnuovo modo di essere vivi».Se questo è vero, allora è più faci-le comprendere le ragioni dellospiazzamento delle agenzie edu-cative tradizionali di fronte a que-sta situazione: da una parte, tuttele esperienze possibili sono po-tenzialmente accessibili, a portatadi mano, in qualsiasi momento,indipendentemente dalla compa-gnia degli adulti e dalla consape-volezza con cui esse possono es-sere affrontate e elaborate.Dall’altra, la frequentazione diquesti ambienti è estremamenteframmentata e frammentante,coinvolge pubblici di nicchia,gruppi sociali - tutt’altro che dimassa - che si «specializzano» svi-luppando in altissimo grado com-petenze specifiche ed elaborandoun gergo incomprensibile al difuori del gruppo degli appassio-nati. «Un mondo a parte», come sidiceva, ma sperimentato nellastanza vicina, magari inaccessibileai genitori ma connessa on line ein tempo reale con tutto il restodel mondo. Ma questa situazionepuò rappresentare anche un’op-portunità inedita; la legge che re-gola questi ambienti mediali è, in-fatti, quella della simulazione edel gioco; i media costituisconouna terra di mezzo in cui è possi-bile fare finta, una palestra dipossibili interazioni su cui eserci-tare l’intelligenza emotiva e socia-le, un repertorio pressoché infini-to di storie a cui attingere per sti-molare un giudizio, scommettereuna valutazione, chiedere unapresa di posizione. Qui le espe-rienze sono transitorie e reversibi-li, le loro conseguenze mai defini-

    tive: un terreno inadatto a far cre-scere il senso di responsabilità,certo, ma forse particolarmenteadeguato a quegli educatori chevolessero provare a condividerecon i più piccoli il gioco delle pos-sibilità, la ricerca delle identità,qualche abbozzo di progettualità:chi sono? cosa voglio diventare? achi voglio assomigliare? come micomporterei in una situazione si-mile? Addirittura, un terreno privi-legiato per affacciarsi, con una ra-gionevole dose di sicurezza, suquegli aspetti della realtà più pro-blematici, difficili ed oscuri: comele fiabe di una volta, con il loro ca-rico di violenza e paura, anche idiscorsi dei media di oggi posso-no diventare, se a loro volta me-diati dalla compagnia di un adul-to, un luogo simbolico in cui pro-vare il piacere di smarrirsi e di ri-trovarsi.Infine, una provocazione: se è ve-ro che i media costituiscono unaparte del nostro ambiente quoti-diano, essi sono anche saldamen-te intrecciati con il sistema deiconsumi. Sono essi stessi oggettodi consumo (consumiamo la tele-visione, la musica, Internet), ci di-cono cosa consumare (attraversola pubblicità), in qualche misura,osserva un acuto studioso comeRoger Silverstone, essi ci consu-mano (consumano il nostro tem-po, la nostra vita). Ma sono sem-pre più i consumi materiali, nonquelli mediali, ad avere un valoresimbolico per la nostra vita, e que-sto è percepito dai più giovanicon una chiarezza sconcertante;avere le scarpe giuste, il motorinogiusto, il tatuaggio giusto è moltopiù importante del tipo di musicache si ascolta o del programma te-levisivo che si guarda. Se il mon-do delle merci e il mondo dei se-gni sono sempre più saldamenteintrecciati tra loro, la frontiera del-l’educazione passa dal riconosci-mento dei bisogni e dalla costru-zione dei desideri.

    [docente disociologia della comunicazione,università cattolica, Milano]

    meditando di Piermarco Aroldi

    educazione, media e consumi

    pensando di Gabriella Sestito

    nformare per il giornalista èraccontare «fatti» in modo da

    consentire all’opinione pubblicadi conoscere, controllare, parteci-pare. Ma c’è modo e modo di rac-contare, perché molto spesso inun pezzo giornalistico più che leparole scritte, contano quelle ta-ciute. Oppure quelle addolcite,che consentono di non nasconde-re «il fatto», ma di mantenere equi-libri e non urtare suscettibilità. Unesempio, dal blog di Grillo, che ri-prende un articolo pubblicato suLa Repubblica: «un’operazioneche avrebbe permesso al grup-po della Bicocca di rac-cogliere 600 milioni dieuro necessari a ripa-gare l’uscita dei soci fi-nanziari di Olimpia»che secondo Grillova letto: «I soldi chiesti allaBorsa non sarebbero statidestinati a maggiori in-vestimenti in Pirelli Ty-re, ma a pagare i debitidi un’altra società». Il lettore lo avràcapito? Ecco perché, per orientar-

    si nel mondo dell’informazione di-viene necessario moltiplicare lefonti, incrociarle e confrontarle,esercitare capacità critica. Per que-sto internet, i blog o la stampa «al-ternativa» ci consentono di verifi-care le «versioni ufficiali» e le noti-zie (spesso omologate). Ma che fa-tica!

    [giornalista, Bari]

    i

    a preoccupazione e l’impe-gno educativo di molti – ge-nitori, insegnanti, animatori

    - sembra scontrarsi sempre piùspesso con difficoltà di comunica-zione, quasi che bambini e giova-ni parlassero una lingua diversa ovivessero in un «mondo a parte» dicui riesce sovente difficile trovarela porta di ingresso. La sensazioned’estraneità, talvolta, sembra an-dare ben oltre il divario tra gene-razioni. E, probabilmente, si trattadi una sensazione reciproca, co-me se anche gli educatori apparis-sero agli occhi dei più giovani co-me alieni incomprensibili.Altrettanto spesso questa difficoltàviene tradotta in un atto di accusanei confronti dei media, come seessi fossero responsabili di unaqualche distorsione nella strutturadella personalità o di qualche mo-dificazione antropologica che ren-dono impossibile la comprensio-ne tra generazioni diverse. E, in li-

    nea di massima, questaresponsabilità viene

    connessa alle caratteristichedei contenuti dei media: la volga-rità della tv e dei reality show, laviolenza dei videogiochi o dei ca-toni animati, l’aggressività dellamusica rap.Se in questa diagnosi c’è qualcosadi vero, credo che il problema ri-guardi sì i media, ma non tantoper i loro contenuti (né, per certiversi, per i loro linguaggi, che pu-re un educatore dovrebbe cono-scere, come si conosce una linguastraniera quando si viaggia al-l’estero), quanto piuttosto per laloro capacità di ridefinire le coor-dinate spaziali e temporali del-l’esperienza e i confini della vitaquotidiana.Già all’apparire della Tv, un’istitu-zione educativa come la scuola(cui pure la vecchia Rai del mono-polio e del bianco e nero si rivol-geva con sussiego e rispetto, addi-rittura con una originale disponi-bilità a cooperare sul fronte del-l’educazione degli adulti) guarda-va con sospetto alla possibilità che

    gli alunni potessero affacciarsi allanuova «finestra sul mondo» e ap-prendere contenuti non mediatiattraverso le aule scolastiche. Og-gi che Tv e Pc sono entrati nellescuole (con quanta fatica!), la si-tuazione si ripropone con i nuovimedia digitali, magari integrati al-la telefonia mobile. Ma quello cheoggi appare con maggiore eviden-za rispetto agli esordi televisivi èche i media non sono solo dei ca-nali che rendono accessibili deicontenuti; sono in primo luogo deinuovi ambienti simbolici e tecno-logici, luoghi in cui si fanno espe-rienze, si incontrano persone, siscambiano idee. Non si tratta solodi riconoscere che siamo immersinei media, diventati molto perva-sivi e capaci di infiltrarsi ovunque.Si tratta di pensare, più radical-mente, che l’esperienza che noifacciamo attraverso schermi e ter-minali è reale anche se simbolica,è esperienza anche se indiretta.Il cardinal Martini, alcuni anni fa,parlava di questa trasformazione

    l

    etti un imam a Milano. So-stiene le poche ragioni di un

    dio che alcuni vogliono vendicati-vo e bellicoso, e che le sue parolefanno sembrare decisamente irra-gionevole. Metti un giornalista mi-lanese, che nei sottopancia in tv,sotto alla faccia tonda e rassicuran-te, sia che parli di politica sia di pal-lone, si faccia scrivere con un cer-to sussiego regolare «vaticanista».Metti che un servizio segreto stra-niero, prelevi da casa sua l’imam,in assenza di un reato accertato, elo porti a processo in casa propria,facendone perdere le tracce. Mettiche questa operazione in Italia siconnoti come sequestro di perso-na e qualche uomo di diritto e dibuon senso voglia vederci un po’più chiaro. Metti che quel giornali-sta vaticanista, tra un elzeviro con-

    tro il terrore e un viaggio al segui-to papale, sia sospettato di averfornito informazioni utili a confe-zionare il sequestro. Metti che quelgiornalista oggi scriva dalle colon-ne del suo giornale di aver «datouna mano ai nostri servizi segretimilitari», di aver dato informazionie di averne ricevute, ma di nonaver scritto nulla che non coinci-desse con i propri convincimenti.Ci torno con la mente più e più vol-te, per cercare di capire che cosami faccia più impressione. Se ilconfine sottile tra informazione,propaganda e delazione. O quello,ancor più sottile, tra aggressione amezzo stampa, sempre più con-sueta in alcuni giornali tra i qualiquello del nostro vaticanista, e vio-lazione delle libertà individuali.Forse la cosa che mi fa più male è

    che il terrore, o il suo falso contra-rio, nascondano molto spesso trale pagine ufficiali i propri obiettividi manipolazione. Mi fa male chegli anticorpi della conoscenza edella democrazia sembrino diluiti,quasi affogati in una soluzione me-diatica di gossip e cialtronaggine.Perché «ciò che non sai di tuascienza – scriveva Bertold Brecht –in realtà non lo sai».

    [giornalista, organizzazioneequosolidale Fair www.faircoop.it,Roma]

    m

    l’imam e il vaticanista

  • 5meditando di Giovanni Boccia Artieri

    siste un elemento essenzialedell’animo umano: il bisogno

    di un maestro autorevole di cui se-guire l’insegnamento, ossia, in ulti-ma analisi, il bisogno di ricercare unsignificato per l’esistenza. Il creden-te ritiene che questo senso d’incom-piutezza sia parte di un più ampioprocesso rivelativo mediante il qua-le Dio si manifesta all’uomo, proces-so che trova la sua massima espres-sione nell’unione della natura uma-na e di quella divina nell’unica per-sona di Gesù, il quale diviene così ilmodello dell’uomo perfetto, dell’uo-mo autentico, dell’uomo pienamen-te realizzato, modello che è ritenu-to, in qualche modo, sorgente edesito di ogni percorso di ricerca disenso. Nell’esistenza concreta, tutta-via, l’indirizzo che ciascuno dà allaricerca di senso è segnato da condi-zionamenti di vario tipo: di tipo in-terno (determinati dai caratteri ere-ditari) e di tipo esterno (determinatidal contesto socio-culturale). I se-condi sono oggi particolarmente in-cisivi a causa della straripante pre-senza di quel potente mezzo di co-municazione di massa che è il tele-visore: straripante, in quanto pre-sente quasi in ogni camera delle ca-se di tutte le famiglie e in ogni mo-mento della vita di queste; potente,in quanto utilizza il canale comuni-cativo più antico, e quindi dominan-te, di cui l’uomo dispone: la vista. Lacomunicazione per segni ed imma-gini sicuramente precede di millen-ni l’interazione attraverso la parolaper cui quello della visione più diogni altro processo sensoriale inte-ragisce con i processi di formazionedei pensieri. Questa primordialemodalità comunicativa ritrova oggiil suo ruolo dominante per il peso

    che ha l’immagine nei modernimezzi di comunicazione di massa.Chiunque voglia essere in qualchemodo maestro per ampi gruppiumani utilizza, pertanto, la comuni-cazione per immagini (preferibil-mente la televisione) per persuade-re. Lo fanno i gruppi oligarchici chevogliono formare una determinataopinione pubblica, lo fa anche laChiesa; non è un caso, inoltre, chein politica, nell’ambito di un esecu-tivo, il ministero delle comunicazio-ni riceva sempre più attenzioni diquello dell’istruzione.Nella ricerca di maestri, nella ricercadi significato per l’esistenza, occorredunque essere assolutamente con-sapevoli del potere che offre la co-municazione per immagini. Pur-troppo, da questo versante, i piùvulnerabili sono sicuramente gliadolescenti.In primo luogo, quell’elemento an-tropologico dedotto dal brano ripor-tato in apertura della riflessione, os-sia il bisogno di maestri che sosten-gano la ricerca di senso, si manifestain modo particolare proprio in etàadolescenziale, forse per l’insicurez-za che caratterizza quest’epoca del-la vita. L’adolescente normalmentepresenta una spiccata sete di cono-scenza che lo orienta naturalmenteverso l’indagine del nuovo e la ricer-ca di maestri di vita che lo aiutino intale indagine. Facendo leva su que-sti elementi naturali, non è difficileplagiare gli adolescenti, specialmen-te se si usa lo strumento televisivo.In secondo luogo, per ovvie ragionidi carattere cronologico, i giovanis-simi sono sicuramente i meno at-trezzati per pesare in modo oppor-tuno le varie modalità comunicative,anche perché non è facile oggi tro-

    vare maestri che non siano stati, a lo-ro volta, omologati dalla televisione.Il risultato di questa vulnerabilità èsotto gli occhi di tutti: gli adolescen-ti (e, purtroppo, non solo loro)guardano tutti le stesse trasmissionitelevisive che determinano i conte-nuti principali del loro bagaglio co-noscitivo e dei loro dialoghi, il mo-do di vestirsi e quello di relazionar-si, il modo di pensare e tanti altri ele-menti «clonanti». Sembra di assisteread una sorta di «involuzione dellaspecie» realizzata mediante un «inse-gnamento-plagio» che fa vasto usodella comunicazione televisiva: l’in-dividuo non è più unico ed irrepeti-bile ma è uguale a tutti gli altri.Tuttavia un’inversione di rotta èpossibile, perché gli interrogativi difondo che hanno sempre mossol’esistenza dell’uomo sono come ilfuoco che cova sotto la cenere; an-cora continuano a rendere inquietala nostra esistenza fino a quandonon riceveranno risposte soddisfa-centi. La via, a mio parere, è quelladi elaborare un percorso formativoche, facendo leva sulle caratteristi-che adolescenziali descritte sopra,aiuti a tradurre in esperienze di vitasignificative i contenuti del percor-so stesso.A me sembra che la scuola non siaancora adatta a tale scopo per ragio-ni di tipo strutturale. Innanzi tutto, ilsapere appare parcellizzato e l’ado-lescente non è condotto a coglierel’unità di fondo che sostiene ogni at-tività culturale e spirituale dell’uo-

    mo, ma percepisce ogni disciplinacome un ammasso di informazioniche bisogna memorizzare per«strappare» la sufficienza. Il voto,pertanto, resta ancora una sorta dicentro di gravità della vita scolasti-ca, un elemento giudicante che nonfavorisce il processo educativo d’in-segnamento-apprendimento. Inol-tre, nelle aule si avvicendano inse-gnanti non adeguatamente prepara-ti nel campo pedagogico e spessoanche loro pregni dei luoghi comu-ni propinati dai mezzi di comunica-zione di massa.La parrocchia, invece, può ancoragiocare un ruolo significativo neltentare una rinascita antropologica.È però necessario che la pastoralegiovanile non poggi solo su un’ag-gregazione attorno ad eventi spetta-colari di massa che riproducono, inbrutta copia, i paradigmi televisivi.Affinché la figura di Gesù ritorni adessere quello che è, cioè il modellodi uomo perfetto sorgente ed esitodi ogni ricerca di senso, occorre chela pastorale giovanile sia sostenutada un percorso formativo fortemen-te cristologico il quale, attraversoanalisi storiche e letterarie, primache spirituali, dei testi evangelici eattraverso la presentazione delle in-terpretazioni che questi hanno pro-dotto, mostri come la vita di Gesùentri nelle vene e nella arterie dellastoria di ogni singolo, nonché diquella della Chiesa.

    [docente di liceo, Bari]

    confonderla con la realtà fattuale e,anzi, di poter continuamente passa-re il confine tra l’una dimensione el’altra, consentendo alla riflessivitàdi svilupparsi. I personaggi narratisono entità sulle quale proiettare ilproprio vissuto, sperimentandosentimenti, emozioni, motivazioni,dando vita ad un gioco di interpre-tazioni, che è lo stesso che facciamosu noi stessi, nel tentare di capirci.Da una parte dunque viviamo i me-dia dall’esterno, osservando testimediali, dall’altra facciamo di talecondizione un’esperienza interioreche nella sua elaborazione producesenso. La perenne condizione dioscillazione tra dentro e fuori i me-dia diviene la condizione stabile diconoscenza nei media-mondo. Inquesta dinamica conoscitiva ci sia-mo fatti sempre più attenti osserva-tori della realtà. Abbiamo familiariz-zato con le dinamiche mediali checi hanno portato ad essere spettato-ri che si fanno un’idea del mondo edegli altri riconoscendo le proprievite in un proliferare di sceneggiatu-re di vite immaginate, vivendospesso «in terza persona», facendo

    esperienze vicarie, astratte e concre-te al contempo, e quindi acquisen-do conoscenza attraverso forme di-sancorate dal corpo. Dunque il sol-co mediale tra corpo e sapere è evi-dente. La frattura tra vissuti e rappre-sentazioni è ormai da considerarsiuna costante antropologica. Eppureci troviamo oggi di fronte a formemediali che rappresentano nuovesfide per la conoscenza e per il mo-do di pensarla e strutturarla. Softwa-re open-source e social software,blog, street television e low powerFM, reti wireless comunitarie, net-works di song-sharing evidenzianouna dimensione che intreccia le lo-giche di rete, connesse ai nuovi lin-guaggi mediali, alla nascita di formeneo-comunitarie basate sulla pro-duzione, condivisione e diffusionecollettiva della conoscenza. In que-sti territori troviamo forme emer-genti rispetto a quelle generate dalsistema dei media mainstream (co-siddetti «alternativi»). Si tratta di ri-sposte al singolare e al collettivo daparte dei vissuti: dalle esperienze dimediattivismo sino a quelle di chi,cresciuto come pubblico dei media,

    ianca ha quattro anni. Cono-sce i tormenti dell’amore. Le

    delusioni dell’amicizia. Le angoscedella pubertà. La sua è una cono-scenza «fuori tempo» rispetto allasua storia o, se vogliamo, è sincro-nizzata sul ritmo e sui modelli dellaTV. Le sue conoscenza del mondo,degli stati emotivi, dei modi di esse-re, delle diversità non dipendonounicamente dal «mondo vicino»,quello del gruppo di pari, della fa-miglia e degli affetti, ma anche dauna realtà complementare che lo ta-glia trasversalmente: quella dei me-dia. Guardare «Una mamma peramica», i cartoni di «Mila e Shiro duecuori nella pallavolo», intercettareoccasionalmente la realtà dei Tg, laporta a confrontare il suo vissutocon quelli nello schermo e a fami-liarizzare con il meccanismo di ri-flessività. Lasciando parlare Ed-mund Husserl si potrebbe dire che«ogni visione originalmente offeren-te è una sorgente di conoscenza,che tutto ciò che si dà originalmen-te nell’intuizione (per così dire, incarne ed ossa) è da assumere comeesso si dà, ma anche soltanto nei li-miti in cui si dà». Il che significa chele forme della conoscenza dipendo-no dall’esperienza cognitiva e cor-porea che facciamo del mondo eche hanno una natura «costruttiva».Ma questa centralità della relazionetra corpo e sapere si è dissolta conl’evoluzione della comunicazioneattraverso i mezzi di diffusione dimassa. I vissuti dei singoli si sonoseparati dalle rappresentazioni deivissuti stessi, sino al limite di farcisentire protagonisti di storie fittizieraccontate da professionisti dellaproduzione mediale.Se conoscere il mondo significa far-ne esperienza, all’epoca della cen-tralità dei media farne esperienza si-gnifica esperirlo in modo mediato ediffuso, attraverso condivisioni ano-nime di massa e coinvolgimenti de-localizzati. Possiamo allora pensareai media non più solo come sempli-ci mezzi di diffusione ma come ve-ri e propri mondi nei quali abitiamoe costruiamo parte delle nostre vitee della nostra conoscenza: media-mondo, quindi.È evidente che i prodotti mediali, inparticolare l’intrattenimento, con-sentono di fare continuamenteesperienza di modalità comporta-mentali, affettive, educative, attra-verso pratiche di riconoscimento edistanziamento. Film, cronaca, fic-tion, romanzi e infinite altre narra-zioni mediali si offrono come occa-sione continua di auto osservazio-ne, come opportunità di riflettere suse stessi attraverso percorsi di ade-sione o negazione delle forme com-portamentali e motivazionali che siosservano.Nelle diverse forme di narrazionemediale si produce un raddoppia-mento della realtà: da una partequella spazio-temporale dell’osser-vatore (spettatore, lettore, ecc.) e,dall’altra, quella della narrazione.Un vero e proprio mondo che si co-struisce a partire dalla distinzioneche l’osservatore crea con il proprio:la «realtà reale» contro quella «finta».Si tratta di una realtà fittizia chiusaed autonoma, che trae plausibilitàda se stessa, dal proprio modo diraccontarsi. Ed è proprio questa suamarcatura che garantisce di non

    B

    col corpo e con la testadavanti ai media

    adolescenti e media

    meditando

    Disegno di Giovanni Lussu, Il libro nella pancia del video, 1985

    di Gennaro Capriati

    e

    oggi produce contenuti medialicondivisi a partire dalla singolaritàdella propria esperienza, in un con-nubio complesso fra logiche media-li e tattiche individuali. In particola-re si tratta di forme che sottolineanoun percorso che mette in luce la ca-pacità di abitare i media, forgiandoi territori a partire dai linguaggi indi-viduali e collettivi, in primis quellidel corpo, sceneggiando i contenu-ti esperienziali a partire dai proprivissuti. Sono forme, queste, che sot-tolineano l’esistenza di una pulsio-ne al farsi media. Per farsi mediaintendo da una parte la tendenza al-la dissoluzione fra forme nette e di-stinte della produzione e del consu-mo mediale e dall’altra il supera-mento di una logica dicotomica cheha contrapposto i linguaggi di mas-sa a quelli neo-mediali. La riflessio-ne è doppia. La prima riguarda il fa-re media, caratterizzato da un’ap-propriazione del dispositivo media-le, come dimostrano ad esempio leesperienze delle Telestreet o delleweb radio. La seconda è quella del

    becoming media (diventare media)relativa all’aver interiorizzato distin-zioni e funzioni dei media sul latodell’individuo così da produrre con-tenuti mediali che garantiscono unarappresentatività dei vissuti orienta-ta ad un’alta riflessività, capace dicreare un terreno per forme colletti-ve di produzione di immaginario.Costruiti sui linguaggi di massa, rap-presentati dai prodotti culturali cheabbiamo imparato a consumare, citroviamo oggi a poter oscillare sul-l’altro versante: quello della produ-zione, riappropriandoci della rap-presentazione, costruendo vissutimediali che possono ripartire daicorpi.Camilla spegne la televisione e va alcomputer. Ha undici anni. Vuoleaprire un suo blog per raccontarsi.Gli amici la leggeranno. Quelli del«mondo vicino» e quelli della Rete.Le sue esperienze entrano in riso-nanza con quelle degli altri.

    [docente di sociologia dei new media,univ. di Urbino]

  • esito del Referendum del 25e 26 giugno ci ha fatto tirare

    un sospiro di sollievo.Gli Italiani con la loro scelta hannosaputo cogliere la pericolosità del-la riforma costituzionale volutadalle destre ed hanno rivolto aipropri rappresentanti in Parlamen-to un invito preciso ad assumerecomportamenti responsabili, saggie degni del compito loro assegna-to. Non è vero che la riforma, boc-ciata dagli italiani, riguardava sol-tanto la seconda parte della Costi-tuzione; questo è vero sul pianoformale delle cose scritte. Ma sulpiano sostanziale, ad una attentalettura delle implicazioni contenu-te nei ben cinquanta articoli rifor-mati, si coglieva con evidenza lacompromissione dei valori e deiprincipi presenti nella prima partedella stessa.

    L’unità, nel rispetto delle diversitàregionali, garantite dall’assetto re-gionalistico dell’organizzazionedello Stato, il solidarismo, lontanis-simo dall’animo utilitaristico, egoi-stico e sciovinistico di molta ispira-zione della riforma, e la giustiziasociale coniugata con la libertà, al-tra cosa rispetto allo spirito liberi-stico della riforma, hanno rischiatodi essere travolti.Sessant’anni di democrazia repub-blicana, nata dalla sofferenza di unventennio di dittatura, dai lutti edalle distruzioni di una guerra ter-ribile e dal sacrificio della lotta di li-berazione dal nazifascismo, sonostati sul punto di essere cancellati.Veramente il 25 e 26 giugno 2006sono stati giorni di nuova liberazio-ne, da ricordare e da festeggiare.

    [docente liceo, Andria]

    he sollievo: il referendumche doveva confermare la

    revisione della Costituzione hasancito invece che «quello scem-pio non s’ha da fare», visto che nonera una revisione ma una vera epropria forzatura dello spirito del-la Costituzione, nella forma e nel-la sostanza.Non sfugge, infatti, che quella cheera stata chiamata riforma andavaa modificare oltre cinquanta arti-coli della seconda parte della Car-ta, dedicata all’architettura istitu-zionale dello Stato, con evidenti ri-flessi – direi un marcato impatto –sulla prima parte, che illustra i di-ritti e i doveri dei cittadini. E que-sto era inaccettabile.Quel tessuto di diritti e di doverisortiva da decenni di guerre e didivisioni culminate nell’esperien-za distruttiva del fascismo, e dalmaturare della consapevolezzastorica che il Paese non aveva al-ternative alla costruzione di un si-stema di regole condivise su cuiedificare il proprio futuro.Gli anni del dopoguerra, anni diforti contrapposizioni politico-ideali in un contesto di maceriemorali e materiali, videro il labora-torio della scrittura della Carta co-stituzionale, tuttora ritenuta avan-

    zata e raffinata dai costituzionalistidi tutto il mondo per il delicato esolido sistema di contrappesi cheincardinano l’architettura della vi-ta istituzionale. Io quella Carta laamo ancora, perché ricordo anco-ra le lezioni di educazione civica(sì, purtroppo una materia margi-nale) nelle scuole primarie in cuici veniva illustrata: solo un po’ diattenzione in quelle poche ore e siavvertiva la tensione edificante diquel lavoro intellettuale e di pas-sione civile.E credo che il più bel gesto di ri-spetto che si può fare verso la sto-ria del nostro Paese sia leggerequella Carta. Leggerla. Da soli o in-sieme. E magari leggere anche leparole di Calamandrei quando in-vitava i giovani di allora ad amar-la. E constatare come, pochi annidopo, l’esperienza di Don Milaniandava umilmente a esprimersi inquel quadro di valori di uguaglian-za solida e solidale e di condivisio-ne delle opportunità sotteso allaCarta, anzi eletto nella Carta aprincipio cardine.Ecco, questa è anche la Costituzio-ne, quella vissuta. Vorrei dirlo a chicita Sturzo o Dossetti travisandoneil messaggio, a chi infanga la lottadi liberazione partigiana, a chi

    inietta il germe della divisione edel qualunquismo.Quanto è successo negli anni scor-si, infatti, va ricondotto a febbri so-ciali mai elaborate e intelaiate inun quadro di rozza spartizione diinteressi che lascia stupefatti per ildisprezzo implicito verso i diritticollettivi.No, purtroppo non c’è stata alcu-na tensione riformista, ma unafrettolosa mania revisionista. E so-no felice che il mio Paese abbiaevitato questo graffio alla sua Co-stituzione e alla sua storia.

    [economista, presidenza del consiglio,Roma]

    6

    pensando di Vincenzo Caricati

    l’

    pensando

    c

    l referendum costituzionaledel 25-26 giugno 2006 ri-

    chiede una lettura più articolata diquanto una semplice scelta tra un«no» e un «sì» sembri suggerire. Ladecisione che l’elettorato è statochiamato a esprimere con la con-sultazione popolare è stata inveroconsiderata eccessivamente ta-gliente: esigendo un voto di merorifiuto o di accettazione di unaquestione, ogni referendum è ine-vitabilmente semplificativo, ma ingiugno molti si sono chiesti: «comeè possibile esprimersi in modo co-sì categorico e semplice quando civiene posta di fronte una questio-ne così complicata?». E la questio-ne della riforma costituzionale delcentro-destra era di certo quantita-tivamente molto articolata (oltrecinquanta articoli) e qualitativa-mente complessa (la premiership,la ristrutturazione del Parlamento,la devolution: in due parole, la re-visione dell’intera forma di gover-no). Ma con una netta maggioran-za per il «no» il referendum haespresso un responso perentorio eautorevole, e di certo ha marcatoun importante snodo della storiadella Repubblica, un momento distraordinaria semplificazione cherichiede una lettura multiforme. Selo si considera dal punto di vistadel paese reale, ha rivelato unamobilitazione della società civile adifesa della Costituzione repubbli-cana: altro che referendum «parti-tico», i partiti si sono mossi conenorme ritardo rispetto ai coordi-namenti, alle associazioni, allechiese, ai sindacati. Dal punto divista politico, ha segnato la tappaultima di una sequenza di confron-ti tra il pensiero di destra e quellodi sinistra (e il centro? beh, quelloè un po’ di qua e un po’ di là) chesi sono risolti con un complessivovantaggio di un’area delle sinistreche appare non meno composita econtraddittoria dei suoi antagoni-sti. Considerato il referendum co-

    me fenomeno di costume politico,la speranza di molti è che la finedel berlusconismo sia con essa ac-celerata e che la politica italianapossa con ciò tornare a esprimersiin toni più civili. Tra le tante coseche potrebbe infine dire il costitu-zionalista, alcune molto intelligen-ti e altre un po’ meno, ne sia suffi-ciente almeno una: l’alta affluenzaalle urne degli elettori, che haespresso un quorum costitutivosuperfluo secondo la Costitutionema quanto mai importante dalpunto di vista morale e del pesopolitico, ha dimostrato che l’atten-zione nei confronti dei valori costi-tuzionali non è stata soffocata da-gli imbonitori della politica televi-siva e dal qualunquismo. Un se-gnale di impegno, questo, chiaro eforte: la classe politica deve dimo-strare di esserne degna, e il patri-monio civile che le è stato conse-gnato dal referendum non va dila-pidato.Si può oggi celebrare la vittoria etirare un sospiro di sollievo per loscampato pericolo? Sì, facciamolopure: ma solo per un attimo. La po-sta in gioco è ancora alta. Eccodunque un piccolo prontuario peraffrontare il dopo-referendum.Primo punto: la Costituzione nonpuò essere cristallizzata in un ordi-ne immutabile. L’abbiamo salvatanella sua globalità, ma ciò non si-gnifica che essa debba restare an-cora a lungo bloccata in una fissi-tà nostalgica. I valori dell’Antifasci-smo, della Resistenza e della de-mocrazia parlamentare, che sonostati spesso a ragione rievocati perfare giustizia di un progetto costi-tuzionale elaborato da forze politi-che che di essi si fanno beffe, nonpossono né debbono essere utiliz-zati come una cappa di immutabi-lità o come elementi di altisonantideclamazioni. La retorica della di-fesa a oltranza, buona come argo-mento di propaganda referenda-ria, deve cedere il passo a una vi-

    sione dinamica delle istituzioni de-mocratiche. Occorrerà a tal propo-sito convincere di questa necessitàstorica quegli schieramenti dellasinistra che rischiano di confonde-re l’impegno per il salvataggio del-la Costituzione, nel quale si sonoimpegnate lealmente fin dai primitempi, con un improduttivo neo-conservatorismo costituzionale.Secondo punto: avviare senza ti-mori le riforme. Ben peggiore delneoconservatorismo (che almenosia espressione di una consapevo-le scelta ideologica) sarebbe l’iner-zia dei governanti: lo spirito di chisi accontenta dell’hic manebimusoptime tradirebbe l’impegno delreferendum e il suo esito popola-re. Non abbiamo speso le nostre ri-sorse politiche e intellettuali in unalunga e faticosa campagna per il«no» solamente per difendere lostatus quo. Terzo punto: aprire il dialogo conle migliori forze politiche del ver-sante del «sì». Lo abbiamo dettomille volte durante la campagnareferendaria: nessuna riforma co-stituzionale dovrà mai più passarecon maggioranze di misura. La Co-stituzione è di tutti, e pertanto lar-gamente condivisa deve essere

    ogni sua riforma, anche la più pic-cola. Se il peccato originale dellariforma del Titolo V del 2001 fu inuna certa misura «lavato» dalla con-ferma decretata dal corpo elettora-le (o come direbbero i Francesi,che in questo hanno le idee un po’più chiare delle nostre, «dalla vo-lontà generale della Nazione»),non per questo deve considerarsiscomparso il senso di colpa peravere inaugurato una sconsiderataprassi politica. Mai più, dunque, il«muro contro muro» in presenza diuna revisione costituzionale. Restada chiedersi tuttavia quali forzedell’attuale maggioranza e dell’at-tuale opposizione, al di là delleecumeniche dichiarazioni di aper-tura al dialogo e delle irose richie-ste di condivisione, siano sincera-mente disposte a realizzare il con-fronto.Quarto punto: individuare con pre-cisione valori intoccabili e istituzio-ni riformabili. Eliminare di fatto e didiritto la fiducia parlamentare neiconfronti dell’Esecutivo, deprime-re il ruolo garante del Presidentedella Repubblica, installare a Palaz-zo Chigi una premiership pseudo-monarchica, erano elementi di unvero e proprio colpo di stato auto-

    ritario che avrebbero intaccato i va-lori della democrazia parlamentareinaugurando una deriva di tipo fa-scistia. Riorganizzare la devolutiondepurandola dei particolarismi dimatrice leghista, riformare un bica-meralismo stancamente paritario,introdurre meccanismi a sostegnodella stabilità del Governo e dellagovernabilità in senso lato del Pae-se, possono e devono essere glielementi di un progresso sostenibi-le delle nostre istituzioni. E non di-mentichiamo la sciagurata riformaelettorale varata qualche mese pri-ma delle elezioni generali: un mec-canismo che per fortuna ha pro-dotto un effetto-boomerang a dan-no di chi l’aveva concepita a suouso e consumo, e un giocattolo ini-quo che deve essere sostituito daun sistema che restituisca agli elet-tori la possibilità di optare, sempreche le strettoie del party gover-nment lo consentano, per i candi-dati e non per le etichette di schie-ramento. L’annotazione può esserebanale: il referendum ha chiuso unciclo, ma ne ha aperto un altro an-cora più impegnativo.

    [docente di diritto pubblicocomparato, università di Bari]

    meditando di Alessandro Torre

    salva la Costituzione, ora...i

    di Franco Giustino

  • l’incremento del ruolo dei mediae degli strumenti informatici.I media nella campagna referen-daria si sono distinti tra quelli «di-retti» che si introducono in tutti gliambiti vitali, compresi quelli pri-vati (TV in testa), quelli «tradizio-nali» (giornali, riviste, settimanali),quelli «storici» (comizi, convegni eseminari).A questi concorrono quelli infor-matici (posta elettronica, internet,teleconferenza) e comunicativi(cellulari, web camera, sms). Re-sta fuori dalla competizione il ci-nema, non si hanno notizie di pro-poste di film sulla situazione aper-ta dal referendum. Il sistema me-diatico ha svelato i suoi piedi diargilla nella campagna referenda-ria in quanto la complessa riformadei 52 articoli non ha trovato unregista capace di rappresentarla.I risultati del referendum hannomesso a nudo l’insussistenza del-le rivendicazioni della Lega Nord,questa ha perso il suo fondamen-

    to che è quello di aver perseguitoper oltre un ventennio una seces-sione fuori dalla storia. Con il ri-sultato referendario cessa la riven-dicazione identitaria.Quello che si può percorrere è lastrada del «federalismo possibile»costruito dalla democrazia parte-cipativa che trova nel processoformativo il suo dato costitutivo eattuazione nel raggio d’azione di-spiegato dalla vigente Costituzio-ne per attuarla pienamente. La po-litica per essere «bene comune econdiviso» deve volgere il suosguardo alla partecipazione reale,abbandonando le illusioni createda quella virtuale che ha svuotatodi senso la democrazia rappresen-tativa.

    [presidente Centro Studi Erasmo,Gioia]

    dibattito e confronto che i partitinon hanno per nulla perseguito.Silenti sulla riforma durante lacampagna elettorale delle elezio-ni politiche, assenti durante lacampagna referendaria.L’iniziativa di salvare la Costituzio-ne è stata praticata dai Comitatiautocostituiti, con un basso pro-filo organizzativo con il Comitatonazionale. Le iniziative di appro-fondimento delle «questioni ingioco» sono state fatte da singolicittadini, da sindacalisti, giornali-sti, docenti, magistrati.Un mondo minoritario si è ritrova-to insieme per salvare i valori fon-danti della democrazia italiana ela forma di stato che li persegue.La Puglia ha praticato in tempi di-versi la «rottura» dell’appiattimen-to politico sulle posizioni di pote-re, dando vita a processi di aggre-gazione autoregolate.Il sistema istituzionale però li ha ointegrati o emarginati. La vicendadelle liste civiche cittadine deglianni ’90, le primarie del 2005, han-no fatto emergere la Puglia «non-dipedente» dall’onnipotenza delceto politico.Il referendum doveva essere qual-cosa in più, doveva essere l’occa-sione per manifestare le potenzia-lità della «cittadinanza attiva» pro-tagonista della partecipazione esoggetto capace di far arretrare ilpotere pervasivo dei partiti. Cosìnon è stato. Con molta fatica è sta-to raggiunto il 41,9%. L’altroaspetto è quello dei cattolici. Que-sti rispetto allo scorso anno hannopartecipato al voto.La gerarchia ha taciuto, mentre ildibattito sulle questioni etiche èproseguito. Infine i mezzi. I tre ap-puntamenti elettorali hanno visto

    l popolo ha salvato la suapreziosa Costituzione, an-

    che in Puglia. La Puglia rispetto aldato nazionale e meridionale, re-gistra il 41,9% , quello meridiona-le si attesta al 42,6%.Mettendo a confronto questo da-to con quello della Lombardia,nella regione dove ha vinto il SI,si è avuto una partecipazione del60,6%. Guardando il dato dellesingole province pugliesi si con-ferma il risultato regionale (Bari40,6%; BAT 40,5%; Brindisi 42,1%;Lecce 43,8%; Taranto 44,2%). Sefosse stato richiesto il superamen-to del quorum la Puglia non cel’avrebbe fatta.Il risultato della Regione dove lo

    scorso anno è stato sperimentatoil metodo delle primarie, inducead una pacata riflessione; è veroche è stata significativa la parteci-pazione diretta, ma la Puglia con-tinua a restare subordinata aglischematismi della rappresentanzadei partiti.Nonostante la molteplicità dellesperimentazioni partecipative a li-vello locale, le forme della demo-crazia partecipativa sono deboli,non riescono a dispiegare un’azio-ne «non allineata» diversa da quel-la praticata dal ceto politico deipartiti.Il referendum sulla Costituzionerichiedeva una notevole parteci-pazione sia organizzativa che di

    7regionando di Franco Ferrara

    i

    leggendo

    e «edizioni la meridiana» e«Cercasi un fine» danno vi-

    ta alla collana piedipagina: 16 pa-gine, non una di più, su politica,futuro, diritti, cittadinanza, fede,pace, uguaglianza…Riflessioni agili e mordenti cheprovano a graffiare per andare inprofondità in questo tempo e inquesta storia che ci appartiene e,che tutti, in qualche modo contri-buiamo a cambiare o a lasciareimmutata.Formato “tascabile”… per averlia portata di mano; per acquistar-ne più di uno e regalarlo, farloleggere e magari discuterlo insie-me ad amici, colleghi, studenti.Il primo volumetto è firmato daRocco D’Ambrosio e Rosa PintoPunto e a capo.Le sfide della politica dopo Ber-lusconiRocco D’Ambrosio riflette sulleferite (ma possiamo trasformarlein feritoie?) socio-culturali lascia-te dal Governo Berlusconi e Ro-sa Pinto mette a confronto i duemodelli di leadership: modelloBerlusconi e modello Prodi.Il volume può essere richiesto di-rettamente a [email protected].

    Cercasi un fine a fine giugnoscorso ha compiuto un anno.Ringraziando il Cielo abbiamorealizzato dieci numeri della rivi-sta, come ci eravamo proposti.Abbiamo incontrato qualche dif-ficoltà economica, ma anche lasolidarietà morale, intellettuale emateriale di coloro che abbiamoaccolto tra i nostri sostenitori,scrittori e lettori.Sono convinto che il «celebrazio-nismo» serve a ben poco. Perquesto motivo il «buon comple-anno» è semplicemente un diregrazie a tutti voi, di cuore e sin-ceramente, per tutto quello cheavete fatto per il giornale.

    Cercasi un fine si inserisce nelsolco dell’esperienza di don Mi-lani. Era lui a scrivere nel 1956:«Ciò che manca ai miei figlioli èdunque solo questo: il dominiosulla parola.Sulla parola altrui per afferrarnel’intima essenza e i confini preci-si, sulla propria perché esprimasenza sforzo e senza tradimentile infinite ricchezze che la menteracchiude».

    Cercasi un fine – lo avrai notato– è quindi un luogo, per creden-ti e non, di confronto su temi so-ciali, culturali, ecclesiali e politi-ci, senza gridare o polemizzare,con parresia e con la voglia di ca-pire «le parole» e diventarne pa-droni. Vogliamo solo aiutarci, neldialogo onesto e nel confrontoaperto con tutti, ad essere cristia-ni maturi e cittadini autentici, incompagnia di coloro che scom-mettono ancora sui principi fon-danti della nostra Carta costitu-zionale.

    Il compleanno serve anche aguardare avanti e a migliorare ilnostro servizio.Per questo motivo ti proponiamoun sondaggio sulla qualità delgiornale e del sito web. Puoi tro-vare il modulo sul nostro sitowww.cercasiunfine.it al tasto ILQUESTIONARIO. Tutte le rispo-ste resteranno completamenteanonime e verranno utilizzateesclusivamente per lo scopo so-praindicato. Cercasi un fine ti ègrato per la collaborazione, co-me per tutto il resto.

    Ti saluto cordialmente insiemeagli amici della redazione e delCentro studi Erasmo e delle scuo-le di politica che promuovono ilperiodico.

    Bless youRocco D’Ambrosio

    PS: Eventuali contributi alle spe-se del periodico sono da desti-narsi all’editore del periodico:CCP N. 64761141,intestato a ASSOCIAZIONEERASMO ONLUSp.zza C. Pinto, 1770023 GIOIA DEL COLLE (BA); accredito bancario con la stessaintestazione:c/c 64761141POSTE ITALIANEABI 07601;CAB 04000causale:contributo 2006 Cercasi un fine

    anche la Pugliasalva la Costituzione

    per posta

    Gentile Lettrice, Gentile Lettore, l

  • i celebra a Bari dal 31 agostoal 3 settembre 2006 la IV Edi-

    zione del Forum annuale di «Sbilan-ciamoci!», dove si discuterà dell’im-presa di un’economia diversa: Pro-durre, lavorare, consumare nell’eco-nomia dei beni comuni

    I beni comuni il tema portante dellaContro-Cernobbio della società civi-le. Tanti gli ospiti di rilievo: PaoloFerrero, Patrizia Sentinelli e PaoloCento per il governo; il Premio No-bel Wangari Maathai e l’economistaVandana Shiva dal mondo. E poi, fragli altri, Nichi Vendola, Vittorio Agno-letto, Giancarlo Caselli, Piero Grasso,Riccardo Petrella, Marco Travaglio,Alex Zanotelli.

    Riparte dal Sud la critica della socie-tà civile al neoliberismo: si terrà a Ba-ri dal 31 agosto al 3 settembre 2006la IV edizione del Forum «L’impresadi un’economia diversa», appunta-mento che ogni anno la campagna«Sbilanciamoci!» organizza in con-temporanea e in alternativa al mee-ting di Cernobbio dello studio Am-brosetti. Dopo Bagnoli (Napoli), Par-ma, Corviale (Roma) la scelta del ca-poluogo pugliese assume un impor-tante rilievo simbolico: il Mezzogior-no d’Italia, crocevia di tante contrad-

    dizioni economiche e sociali ancorairrisolte, trova nella Puglia il labora-torio di risposte e pratiche innovati-ve che costituiscono un esempio pertutto il paese, dalla pubblicizzazionedell’acqua all’accoglienza agli immi-grati, dalla promozione di un’econo-mia di qualità legata al territorio allacostruzione di un Mediterraneo discambi e di pace. «Produrre, lavora-re, consumare nell’economia dei be-ni comuni» il titolo di questa edizio-ne. Il Forum è organizzato con il so-stegno della Regione Puglia, Provin-cia di Bari, Città di Bari e dell’Univer-sità di Bari.

    «L’impresa di un’economia diversa»assume quest’anno un valore parti-colare per gli appuntamenti cheaspettano la campagna Sbilanciamo-ci! dopo l’inizio della nuova legislatu-ra: su tutti la prossima delicata leggefinanziaria, da realizzare nella pro-spettiva di un’economia che rimettaal centro la giustizia e l’eguaglianzadentro l’idea di un nuovo modello disviluppo (sostenibile, umano, socia-le), che vada oltre un neoliberismocentrato sul fondamentalismo delmercato e l’ideologia del privato edell’egoismo sociale. Mentre sul La-go di Como saranno avanzate propo-ste all’insegna di privatizzazioni, ri-

    duzioni del welfare, precarizzazionedel lavoro, supremazia del mercato,allentamento dei vincoli ambientali,nel capoluogo pugliese emergeran-no vie alternative di sviluppo econo-mico per rilanciare una politica fisca-le equa, che valorizzi l’economia so-lidale, rimetta al centro l’intervento elo spazio pubblico, rifondi un welfa-re basato sui diritti. Un modello di-verso fatto di giustizia, solidarietà,eguaglianza, partecipazione, pace esostenibilità. Il tutto nella chiave del-la promozione dei beni comuni.

    Numerosi gli economisti, gli ammini-stratori, i politici, i ricercatori e gliesponenti dell’associazionismo chesi confronteranno al Forum. Fra gliesponenti di governo spiccano i no-mi del Ministro della Solidarietà So-ciale Paolo Ferrero, il Vice Ministroagli Affari Esteri Patrizia Sentinelli e ilSottosegretario all’Economia PaoloCento. Numerosi anche gli ospiti dalmondo dal Premio Nobel per la Pace2004 Wangari Maathai, all’economi-sta Vandana Shiva, dal direttore ge-nerale del World Council for Rene-wable Energy Hermann Scheer, allasociologa Saskia Sassen (docente al-l’Università di Chicago e alla LondonSchool of Economics), oltre a nume-rosi esponenti del Forum Sociale

    Mondiale. Insieme al Presidente del-la Regione Puglia Nichi Vendola, in-terverranno poi Vittorio Agnoletto,Giancarlo Caselli, Piero Grasso, Ric-cardo Petrella, Marco Travaglio, AlexZanotelli.

    Per iscriversi al Forum compilare ilform visitando il linkhttp://www.sbilanciamoci.org/in-dex.php?option=com_iscrizione

    All’indirizzohttp://sbilanciamoci.blogspot.com èattivo il blog di Sbilanciamoci! per se-guire i lavori del Forum e partecipa-re ai dibattiti.

    Suhttp://www.metamorfosi.info/met_sbilanciamoci_sala_stampa_2006.aspla sala stampa virtuale dell’evento ag-giornata in tempo reale.

    La Campagna Sbilanciamoci! è pro-mossa da: Altreconomia, Antigone,Arci - Arci Servizio Civile, Associazio-ne Finanza Etica, Ass. Obiettori Non-violenti, Associazione per la Pace,Beati i Costruttori di Pace, Campagnaper la Riforma della Banca Mondiale,Carta, Cipsi, Cittadinanzattiva, CNCA,COCIS, Comunità delle Piagge di Fi-renze, Comitato italiano contratto

    mondiale sull’acqua, CooperativaRoba dell’Altro Mondo, CRS, Ctm-Al-tromercato, Crocevia, Donne in nero,Emergency, Emmaus Italia, Fair, Fon-dazione Culturale Responsabilità Eti-ca, Gesco, Gruppo O. Romero SIC-SAL Italia, ICS, Legambiente, Lila, Lu-naria, Mani Tese, Medici senza fron-tiere, Microfinanza, Movimento Con-sumatori, Pax Christi, Rete Lilliput,Terre des Hommes Italia, Uisp, Unio-ne degli Studenti, Unione degli Uni-versitari, Un Ponte per…, WWF.

    Organizzazione e coordinamentoSbilanciamoci c/o LunariaVia Buonarroti, 39 - 00185 RomaTel. [email protected]

    8 in dibattito

    s

    Cercasi un finealla IV edizione del forumannuale di Sbilanciamoci!

    Mass Media anch’io:poveri, liberi e patinati

    Bari sabato 2 settembre 2006ore 15-18

    Promosso da: Fair,Carta, Centro Ricerche Studi Culturali del-l’Università la Sapienza di Roma, Periodi-co Cercasi un fine, Agenzia Metamorfosi

    Incontriamoci!Questo w-shop aperto ai media-attivistie alle loro reti, ai bloggers, agli studiosi,agli studenti, ai lettori, attori e consumatoridei media indipendenti, ma anche ai semplicicuriosi. Uno spazio aperto nel quale trovarestrategie comuni per un lavoro politico, sociale e di comunicazione.

    Monica Di Sistogiornalista, vicepresidente [fair] e coordinatricedi [fair]watchintroduzione e moderazione

    Michele Soricedocente di Storia della Radio e della Televisioneall Universit La Sapienza di RomaGli Altri-Media in Italia

    Giovanni Boccia Artieridocente di Sociologia dei new media all Univer-sit di UrbinoI media-mondo dei media alternativi

    Pierluigi Sullodirettore responsabile di CartaI Cantieri sociali raccontano la politica

    don Rocco D’Ambrosiodocente di Filosofia politica alla Pontificia Uni-versit Gregoriana di Roma e alla Facolt Teolo-gica Pugliese, direttore di Cercasi un finePensare politicamente: media e for-mazione sociale

    Cristiano Lucchigiornalista, Agenzia MetamorfosiComunicare le alternative

    Per maggiori informazioni sul workshop:Monica Di Sisto - [email protected]

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    periodico di cultura e politicaanno 2 n. 12 ¥ reg. presso il Tribunale di Bari, n. 23/2005.sede: p.zza C. Pinto, 17 70023 Gioia del Colle (Bari)tel. 080 3431411 ¥ fax 080 3441244www.cercasiunfine.it mail: [email protected] responsabile: Rocco D AMBROSIOredazione:Franco FERRARA, Ignazio GRATTAGLIANO,Carla ANGELILLO, Maria DI CLAUDIO, Vito DINOIA,Franco GRECO, Pino GRECO, Pina LIUNI,Paolo MIRAGLINO, Silvia PIEMONTE, Fabrizio QUARTO.editore:ERASMO CENTRO DI RICERCA FORMAZIONE E DOCUMENTAZIONE SULLEUROPA SOCIALEmail: [email protected] grafico e impaginazione:Luigi Fabii / PAGINA soc. coop.grafica editoria comunicazione, casa editricetel. 080 5586585www.paginasc.it ¥ mail: [email protected]:ECUMENICA editrice s.c.r.l., via B. Buozzi 46 70123 Bariweb master: Vito CataldoPeriodico promosso daVICARIA di Massafra (TA)Scuola di Formazione all Impegno Sociale e PoliticoOFFICINE DEL SUD di Cassano delle Murge (BA) Scuola di Formazione all Impegno Sociale e PoliticoCITTADINANZAATTIVA di Minervino Murge (BA)Scuola di Formazione all Impegno Sociale e PoliticoCENTRO PEDAGOGICO MERIDIONALE dei Salesiani di BariAGESCI della PugliaScuola della BellezzaScuola di Formazione all Impegno Sociale e Politico In collaborazione conCONSIGLIO PASTORALE ZONALE DI PUTIGNANOScuola di Formazione all Impegno Sociale e PoliticoERASMO CENTRO DI RICERCA DI GIOIA DEL COLLEScuola di Formazione all Impegno Sociale e Politico LABORATORIO POLITICO DI CONVERSANOScuola di Formazione all Impegno Sociale e PoliticoPARROCCHIA PREZIOSISSIMO SANGUE E AGESCI 12 DI BARIScuola di Formazione all Impegno Sociale e Politicoper Genitori e FigliASSOCIAZIONE ˙LA CITTA CHE VOGLIAMO¨ di TarantoScuola di Formazione all Impegno Sociale e PoliticoLa citazione della testata Cercasi un fine tratta da SCUOLA DIBARBIANA, Lettera ad una professoressa, LEF, Firenze, 1967I dati personali sono trattati ai sensi del d.lgs. n. 196/2003; idiritti ed il copyright ' di foto e disegni sono dei rispettiviautori ed editori; la pubblicazione su questa testata non ne

    comporta l uso commerciale.Siamo grati a tutti coloro che ci sostengono con la loro amicizia, con i loro contributi in-tellettuali ed economici. In piena autonomia, in un clima di dialogo e nel rispetto delleposizioni di tutti e dei ruoli ricoperti, siamo ben lieti di poter fare tratti di stradaIn compagnia di...Luigi ADAMI, Paolo ANDRIANO, Gianvincenzo ANGELINI DE MICCOLIS, Giulia e Fi-lippo ANELLI, Giuseppe e Marilena ANZELMO, Vittorio AVEZZANO, Francesca AVO-LIO, Giovanna e Pierluigi BALDUCCI, Angela BARBANENTE, Sergio BERNAL RESTRE-PO, Angela BILANZUOLI, Vito BONASORA, Paolo BUX, Nicola CACUCCI, TeresaCACCHIONE, Domi CALABRESE, Gianni CALIANDRO, Mariolina e Andrea CANNO-NE, Tonino CANTELMI, Annalisa CAPUTO, Maria CAPUTO, Adriano CARICATI, Vin-cenzo CARICATI, Pasqua e Carlo CARLETTI, Raffaella CARLONE, Emanuele CARRIE-RI, Giuseppe CASALE, Angelo CASSANO, Luciano CASSANO, Vito CASTIGLIONEMINISCHETTI, Franco CATAPANO, Sario CHIARELLI, Franco CHIARELLO, RobertoCOCIANCICH, Chiara e Nicola COLAIANNI, Flora COLAVITO, Ferri CORMIO, Giu-seppe COTTURRI, Pasquale COTUGNO, Maria e Antonio CURCI, Imelda COWDREY,Carmela e Mario D ABBICCO, Leonardo D ALESSANDRO, Piero D ARGENTO, Luciae Rocco D AMBROSIO, Lella e Filippo DE BELLIS, Nunzia DE CAPITE, Annarosa e Gae-tano DE GENNARO, Sergio DE GIOIA, Peppe DE NATALE, Luigi DE PINTO, PasquaDEMETRIO, Carmela DIBATTISTA, Anna Maria DI LEO, Domenico DI LEO, Maria Lui-sa e Erio DI LISO, Danilo DINOI, Monica DI SISTO, Salvatore DISTASO, Elena e Mi-chele EMILIANO, Rosalba FACECCHIA, Nunzio FALCICCHIO, Mary Grace e DonatoFALCO, Ester, Lilly e Paola FERRARA, Sabino FORTUNATO, Ignazio FRACCALVIERI,Antonio GAGLIONE, Giuseppe GAMBALE, Mariella e Fabio GELAO, Annamaria eGiuseppe GENTILE, Francesco GIUSTINO, Ida GRECO, Silvia GODELLI, Isidoro GOL-LO, Nica e Michele GUERRA, Patrizia e Mimmo GUIDO, Marco IVALDO, Marilina LA-FORGIA, Raniero LA VALLE, Saverio LAZZ¸RO, Gaetana LIUNI, Gianni LIVIANO, Ro-sina e Aldo LOBELLO, Federica e Alfredo LOBELLO, Mariapia LOCAPUTO, Franco LO-RUSSO, Dino LOVECCHIO, Nicola LUDOVICO, Maria MAGLI, Matteo MAGNISI, Da-miano MAGGIO, Vito MAROTTA, Antonio MARTINELLI, Angela e Eugenio MARTI-RADONNA, Giuseppe MASTROPASQUA, Vito MASTROVITO, Michele MATTA, An-na e Antonio MIACOLA, Gianluca MIANO, Vito MICCOLIS, Vito MICUNCO, Gugliel-mo MINERVINI, Eulalia MIRIZIO, Maria MITOLA, Giovanni MORO, Giuseppe MORO,Alba e Niki MUCIACCIA, Vito NANNA, Walter NAPOLI, Mariaceleste NARDINI, An-gela e Carmine NATALE, Mimmo NATALE, Nicola NERI, Paola NOCENT, Beatrice NO-TARNICOLA, Tina e Filippo NOTARNICOLA, Renato NOTARO, Nicola OCCHIOFINO,Roberto OLIVERI DEL CASTILLO, Leoluca ORLANDO, Giuseppe PAGANO, AntonioPANICO, Maria PANZA, Giovanni PARISI, Salvatore PASSARI, Edo PATRIARCA, Nata-le PEPE, Antonio PETRONE, Vito PICCINONNA, Elvira e Alfredo PIERRI, Federico PIR-RO, Cosimo POSI, Giovanni PROCACCI, Luigi RENNA, Giovanni RICCHIUTI, France-sco RICCI, Vincenzo ROBLES, Annarosa e Roberto ROSSI, Antonio RUBINO, MariaRUBINO, Giacomo RUGGIERI, Giuseppe RUSCIGNO, Rosa e Antonello RUSTICO,Angelo SABATELLI, Alda SALOMONE, Vincenzo SANTANDREA, Luca SANTORO,Raffaele SARNO, Pippo SAPIO, Maria Gabriella e Vincenzo SASSANELLI, Alba SAS-SO, Marinella e Roberto SAVINO, Vito SCAVELLI, Piero SCHEPISI, Maristella e Anto-nello SCHIAVONE, Francesca e Italo SCOTONI, Letizia e Francesco SEMERARO, Giu-seppe SICOLO, Antonella SISTO, Michele SORICE, Lucia e Franco SOTTILE, Loreda-na e Gianni SPINA, Enzo SPORTELLI, Michele STRAGAPEDE, Laura TAFARO, Mauri-zio TARANTINO, Nicia e Alessandro TORRE, Emiliana TRENTADUE, Maria TRICARI-CO, Ennio TRIGGIANI, Antonio TROISI, Nichi VENDOLA, Giovanni VINCI, Emilia eDomenico VITI, Tiziana e Costantino VOLPE, Elvira ZACCAGNINO.e di...padri Gesuiti della Cappella dell universit di Bari, botteghe di Bari Unsolomon-do del commercio equo e solidale, suore Alcantarine di Bari, gruppo Noemi diBari, suore dello Spirito Santo di Bari, gruppo Per il pluralismo e il dialogo di Ve-rona, AICO Puglia, suore di Carit dell Immacolata Concezione di Ivrea; FraternitCappuccina di Bari-Fesca.

    c

    quarta edizione del forumannuale «Sbilanciamoci!»


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