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euro 2,50 T R I A N G O L O IT R O S S O · Il premio, consistente nella pubblicazione della tesi...

Date post: 18-Feb-2019
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www.deportati.it euro 2,50 IT I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE LIANA MILLU In una ricca opera lette- raria descrisse la sua tragedia nei campi di sterminio (da pagina 6) Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici e della Fondazione Memoria della Deportazione Nuova serie - anno XXVI N. 1 - gennaio 2010 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano La scomparsa di Marek Edelman Raccontò la rivolta del ghetto di Varsavia Marek Edelman, insieme ai suoi compagni, avevano deciso di rispondere, comepotevano, all’attacco finale dei tedeschi nel ghetto. Da pag. 28 Il calendario del 2010 che pub- blichiamo allegato alla nostra rivista nasce da una idea di Italo Tibaldi, deportato a Mauthausen con la matricola 42307. Italo, come i lettori del “Triangolo Rosso” certamente sanno, è stato il primo storico italiano della deportazione nei lager nazisti. Nel 65° anniversario della libe- razione e anche stimolato dalla commovente visita del presiden- te americano Barack Obama al lager di Buchenwald, Italo Tibaldi ha proposto alla redazio- ne del “Triangolo Rosso” di allegare alla rivista un Calendario del 2010 per ricorda- re per tutto il corso dell’anno la tragedia della deportazione poli- tica che ha visto coinvolti oltre 40 mila antifascisti italiani. Acconsentendo volentieri a que- sta richiesta crediamo di aver fatto una cosa gradita ai nostri lettori. Perché questo Calendario E’ morto Dario Segre Era vicepresidente dell’Aned e della Fondazione Memoria della Deportazione. Aveva 74 anni ed è deceduto mentre si trovava in vacanza in Kenia. (A pagina 3 il ricordo di Gianfranco Maris) T R I A N G O L O R O S S O ELLEKAPPA
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w w w. d e p o rt a t i . i teuro 2,50

ITI GRANDIDELLADEPORTAZIONE

LIANAM I L L UIn una ricca opera lette-raria descrisse la suatragedia nei campi disterminio (da pagina 6)

Giornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati politici e della Fondazione Memoria della Deport a z i o n e

Nuova serie - anno XXVIN. 1 - gennaio 2010 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

La scomparsa di Marek EdelmanRaccontò la rivolta

del ghetto di Va r s a v i a

Marek Edelman,insieme ai suoicompagni,avevano deciso di rispondere,comepotevano,all’attacco finaledei tedeschi nel ghetto.Da pag. 28

Il calendario del 2010 che pub-blichiamo allegato alla nostrarivista nasce da una idea di ItaloTibaldi, deportato a Mauthausencon la matricola 42307. Italo,come i lettori del “Tr i a n g o l oRosso” certamente sanno, è statoil primo storico italiano delladeportazione nei lager nazisti.Nel 65° anniversario della libe-razione e anche stimolato dallacommovente visita del presiden-te americano Barack Obama al

lager di Buchenwald, ItaloTibaldi ha proposto alla redazio-ne del “ Triangolo Rosso” d iallegare alla rivista unCalendario del 2010 per ricorda-re per tutto il corso dell’anno latragedia della deportazione poli-tica che ha visto coinvolti oltre40 mila antifascisti italiani.Acconsentendo volentieri a que-sta richiesta crediamo di averfatto una cosa gradita ai nostril e t t o r i .

Perché questo Calendario

E ’m o rt oDario SegreEra vicepresidente dell’Aned e della Fondazione Memoria della Deport a z i o n e .Aveva 74 anni ed è deceduto mentre si trovava in vacanza in Kenia. ( A pagina 3 il ricordo di Gianfranco Maris)

T R I A N G O L OR O S S O

ELLEKAPPA

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Questo numeroPag. 3 La scomparsa di Dario SegrePag, 5 Auschwitz profanata

I GRANDI DELLA D E P O RTAZIONE LIANA M I L L U

Pag. 6 Ad Auschwitz come partigiana e come ebrea Alessandra Chiappano

Pag. 12 Le marce della morte e il massacro di GardelegenAlessandra Chiappano

Pag. 14 Ritornano voci e suoni dalle gallerie di GusenGiuseppe Valota

Pag. 16 L’esumazione delle vittime del franchismo in SpagnaPietro Ramella

Pag. 20 Treccani: il pittore che voleva cambiare il mondo

LE NOSTRE STO R I E

Pag. 22 Nel maggio 1948 la prima visita di Corinna e Hilda nel lagerdi Ebensee

Pag. 24 Un falsario nel lager per ordine di Hitler in un “kommando”con più di 140 specialisti

Pag. 28 Edelmann: raccontò la rivolta del ghetto di Va r s a v i aAntonella Tiburzi

B I B L I O T E C A

Pag. 34 Il libro di Benedetta Una rosa per papà To b a g iIbio Paolucci

Pag. 36 Come si cerca di cancellare la memoria storicaFranco Giannantoni

Pag. 38 Carlo Casalegno un partigiano assassinato dai terroristi

Pag. 40 Una “summa” di tutte le aberrazioni razziste e xenofobeSauro Borelli

Pag. 41 Suggerimenti di lettura

Primo "Premio Ravelli" per una tesi di dottorato sulla deportazione politicaLa Fondazione Memoria della Deportazione bandisce un con-corso a premio annuale intitolato alla memoria di Aldo Ravelliex deportato a Mauthausen. Il premio è destinato a una tesi di dot-torato di ricerca inedita, discussa presso una università italiananei tre anni accademici precedenti la data del presente bando( 2 0 0 6 - 2 0 0 9 ) .

Le tesi dovranno vert e re sul tema della storia della depor-tazione politica.

Il premio, consistente nella pubblicazione della tesi di dottora-to prescelta, sarà assegnato entro il mese di giugno 2010 dalConsiglio della Fondazione, il cui giudizio è insindacabile.

Le tesi dovranno pervenire entro il 30 marzo 2010 a: Fondazione Memoria della DeportazioneBiblioteca Archivio "Pina e Aldo Ravelli"via Dogana, 3 - 20123 Milano - ItaliaIl bando su http://www. d e p o r t a t i . i t / n e w s / p r e m i o _ r a v e l l i _ 1 .

ITTriangolo Rosso Periodico dell’Associazione nazionaleex deportati politici nei campi nazisti e dellaFondazione Memoria della DeportazioneE-mail: f o n d a z i o n e m e m o r i a @ f a s t w e b n e t . i t

Una copia euro 2,50, abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia a: A n e dVia Bagutta 12 – 20121 Milano.Tel. 02 76 00 64 49–fax 02 76 02 06 37E-mail: a n e d . i t @ a g o r a . i t

Direttore Gianfranco Maris

Comitato di presidenza dell’Aned

Gianfranco Maris p r e s i d e n t eRenato Butturini t e s o r i e r eMiuccia Gigante segretario generale

Triangolo Rosso

Comitato di redazioneGiorgio Banali, Bruno Enriotti, Angelo Ferranti,Franco Giannantoni, Ibio Paolucci ( c o o r d i n a t o r e )P i e t ro RamellaRedazione di Roma Aldo PaviaSegreteria di redazione Elena Gnagnetti

Gli organismi dellaFondazione Memoria della Deport a z i o n eBiblioteca A rchivio Pina e Aldo RavelliVia Dogana 3, 20123 MilanoTelefono 02 87 38 32 40

Gianfranco Maris presidente Giovanna Massariello e Rita Innocenti (INSMLI) attività didatticaElena Gnagnetti s e g r e t e r i a

Il Comitato dei garanti è composto da:Giuseppe Mariconti, Osvaldo Corazza, Enrioco Magenes

Il Consiglio di amministrazione della Fondazione è composto da:Gianfranco Maris, Giovanna Massariello, Ionne Edera Biff i ,Renato Butturini, Guido Lorenzetti, Aldo Pavia,Alessio Ducci, Divo Capelli

Collaborazione editorialeFranco Malaguti, Isabella Cavasino Chiuso in redazione il 28 dicembre 2009

Stampato da Stamperia scrl - Parma

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Il 22 dicembre dal Kenya una telefona-ta straziata dal dolore. E' Bruna, lamoglie: Dario Segre, il vice presidentedell'Aned, è stato colto da malore ed uninfarto lo ha stroncato.Dario Segre è stato da sempre - si puòdire - componente dell'Ufficio diPresidenza dell'Aned, l'Associazionedei deportati politici nei campi diannientamento nazisti KZ, la quale hadeliberatamente voluto, all'indomanidella Liberazione nazionale, che dall'e-sperienza estrema della lotta contro ilfascismo ed il nazismo, nascesse un'as-sociazione unitaria nella quale fosseropresenti tutte le forze della Resistenzae della deportazione politica, per con-tribuire, ciascuna forza con l'apportoetico e culturale dei propri valori,sublimati nella esperienza concentra-zionaria, a costruire una democraziasul modello costituzionale nel nostroP a e s e .

L'Aned è nata, come conclama il suostatuto, come associazione assoluta-mente unitaria. Una eccezione inEuropa. Una eccezione in Italia.Tutte le associazioni nate dopo laResistenza, inizialmente e naturalmen-te, furono unitarie, ma nel 1948, con larottura dell'unità antifascista resisten-ziale, l'unicità del sindacato dei lavora-

tori s'infranse e generò tre confedera-zioni sindacali e l'unicità dell'associa-zione dei partigiani s'infranse e generòtre associazioni.Dal 1945 l'Aned ebbe sempre uno sta-tuto unitario aperto a tutte le forze poli-tiche e sociali della Resistenza: sociali-sti, democristiani, comunisti, partitod'azione, liberali, senza partito, ebrei e"diversi". E dal 1945 l'Aned ebbe sem-pre una presidenza unitaria.

Dario Segre, in questa presidenza e inquesto quadro statutario unitario, rap-presentò i socialisti e gli ebrei, essendomilitante socialista e figlio di SalvatoreSegre e fratello di Alberto Segre, ebreie partigiani torinesi deportati a Mau-thausen in quanto politici nel mese digennaio del 1944 e in quel KZ assassi-nati il 5 maggio 1945 il padre, il 2 apri-le 1945, il fratello. Dario, componentedi una presidenza unitaria accanto aldemocristiano Fausto Barbina diUdine, deputato e componente delConsiglio nazionale della DemocraziaCristiana, accanto al democristianoPeroni di Verona, accanto al rappresen-tante del Partito d'Azione Vasari, tuttivice presidenti accanto prima al presi-dente socialista Piero Caleffi, senatoreed accanto poi al comunista Gian-franco Maris senatore, i quali tutti, nes-

Il padre e un fratello, e b rei e antifascisti, erano morti a Mauthausen

La scomparsa di Dario Segre

di Gianfranco Maris

Dario Segre (asinistra) durante unconvegno dell’Aned.Accanto a lui MiucciaGigante, GianfrancoMaris e DarioVenegoni, Pre s i d e n t edell’Aned di Milano.In basso Dario Segread una manifestazionenel campo diM a u t h a u s e n .

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suno escluso, vollero sin dal 1945 che ilnostro Paese – con la ricostruzione eco-nomica, con la cura delle ferite sociali,con l'affermazione dei valori che quellaunità aveva già espresso nella sua lottadi Liberazione e trasmesso nella nostraCostituzione – potesse diventaredemocrazia viva, al di là di ogni revi-sionismo delegittimante e al di là diogni indebito uso politico della storia.

Questa unità l'Aned ha saputo far viverein questi 64 anni che ci separano dallafine della guerra, dimostrando che èpossibile fare politica democraticacostruttiva, culturalmente antifascista,quando si è mossi soltanto dalla volontàdi fare il bene del Paese, rifiutando laderiva negativa che segue fatalmenteogni azione politica adeguata al propriotornaconto personale e di gruppo.

Nel corso degli anni Dario Segre ed iolavorammo a lungo insieme per realiz-zare memoriali dell'Aned nei campi diGusen, di Mauthausen e diRavensbrück e negli anni '70 per realiz-zare anche nel campo di Auschwitz unmonumento testimonianza dei delitti dainazisti e dai fascisti, perpetrati per ilgenocidio del popolo ebraico.La deportazione finalizzata alla mortecon il lavoro e nell'immediato sterminiodella donne, dei vecchi, dei bambiniebrei con il gas, fu un dramma dell'u-

manità, per cui costituimmo, all'internodell'Aned, per il memoriale diAuschwitz, un comitato formato daPrimo Levi, da Maris, da Segre, il quale,sulla base degli schemi etici e storicitracciati da Primo Levi, realizzò un per-corso narrativo di arte dell'architettoLodovico Belgiojoso e del pittore PupinoSamonà e del regista Dino Risi, conmusiche di Luigi Nono.

Nello scorso mese di novembre e neiprimi giorni di questo mese di dicembre,Dario Segre ed io ci incontrammo ripetu-tamente per risolvere la tristissima vicen-da del nostro memoriale di Auschwitz, inquanto esponenti delle associazioniebraiche rivendicano per sè lo spazio cheil memoriale dell 'Aned occupa nelBlocco 21 in quel campo, per poterviallestire una propria storia della Shoah.Segre soffriva doppiamente di questaincomprensione calata sul nostro memo-riale di Auschwitz e al suo ritorno dalKenya avremmo dovuto riprendere ilnostro impegno per risolvere questadolorosa vicenda.Tu, Dario, con mio lacerante dolore, nonsarai più al mio fianco, ma sentirò sem-pre accanto a me la tua presenza. Tu t t inoi ti avremo sempre al nostro fianco,forti per la tua solidale presenza, rag-giungeremo insieme le nostre mete dilibertà e giustizia.

Gianfranco Maris

La scomparsa di DarioS e g re

Arbeit machtf re i(Il lavororende liberi)!

Dario Segre e GianfrancoMaris ascoltano l’interventodi Moni Ovadia alX I V c o n g resso nazionaledell’Aned a Marzabotto nels e t t e m b re del 2008.

La targa con la scritta “Ar-beit macht frei” posta all’in-gresso del campo di stermi-nio di Auschwitz rubata il 18dicembre è stata ritrovatadalla polizia due giorni doponel nord della Polonia. Unarapida e brillante operazio-ne, conclusasi con l’arrestodi cinque persone, trasferiteimmediatamente a Cracoviaper i necessari approfondi-menti delle indagini. L’ i n d i-gnazione per questo furtoaveva provocato un fortissi-mo sdegno, che aveva attra-versato, si può dire, l’interopianeta. Sin da subito il presidentedell’Aned, Gianfranco Ma-ris, aveva inviato, a nomedel Consiglio nazionale, unalettera di piena solidarietà aldirettore del Museo di Au-schwitz, Piotr Cywinski, ilcui testo pubblichiamo inquesta stessa pagina.

Sulle vicende tragiche diquel campo sono statiscritti numerosi libri, il

più famoso del quali, è quel-lo di Primo Levi dal titolo“Se questo è un uomo”. Gli uomini arrestati, secon-do le notizie della polizia,avrebbero un’età variantedai 25 ai 39 anni. Giovani,dunque, e non certo ladrun-coli per realizzare un mode-stissimo gruzzolo di zloty.Anche se si tratta di un col-lezionista, questa infameprofanazione del simbolo

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Caro Direttore Piotr Cywinski,

abbiamo appreso con sdegno e dolore dell’ultima criminosa offesa che è stataapportata al campo di Auschwitz ed a tutti i suoi morti mediante l’asportazione delsuo simbolo dalla sommità del cancello principale: il telaio metallico con la ”.

I criminali che hanno operato sono “ignoti”, ma a tutti noi è ben nota la lorocollocazione politica, che è quella dell’ultradestra fascista e nazista, la quale,purtroppo, è in ascesa in tutta Europa, come denuncia un rapporto dell’Universitàtedesca di Bielefeld dei primi giorni di questo mese di dicembre.

L’Aned, con tutti i suoi aderenti, è vicina al Museo di Auschwitz e indica comenecessaria la più ferma unità di tutte le forze democratiche per battere i rigurgitifascisti e nazisti che macchiano le nostre democrazie.

Con questi sentimenti la prego di accettare questa partecipazione dell’ANEDalla condanna ferma e sdegnata di quanto è accaduto.

Cordiali saluti Il presidente nazionale Aned Gianfranco Maris

IT

Non è soltanto una scritta ma un simbolo per tutta l’umanità

La vicenda della targa del lagerdi Auschwitz ci ammonisce che i rigurgiti del nazismo sono sempre p re s e n t i

della deportazione non è me-no grave. Per compiere que-sta criminale operazione nonc’è bisogno di avere il mar-chio ufficiale di una delle or-ganizzazioni neonaziste.

L’antisemitismo, inPolonia, è da sem-pre piuttosto diffu-

so. Lo era persino durantel’ultima guerra, quando lacaccia all’ebreo aveva as-sunto forme spietate. In ognicaso la vigilanza contro que-ste criminali provocazioni,deve essere fermissima econtinua. In un periodo di crescenterevisionismo, quando i co-siddetti negazionisti allarg a-no vieppiù il loro raggio diazione, la risposta delle for-ze democratiche non deveconcedersi fasi di riposo.Condanna intransigente eunità di tutti i democraticiper sconfiggere ogni tipo dir i g u rgito nazifascista. E’ c o nquesto spirito che il nostropresidente Gianfranco Marisha inviato la lettera che pub-blichiamo qui accanto al di-rettore del Museo di Au-schwitz.

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L i a n aM i l l u

In una ricca

opera letteraria descrive la sua tragedia nei campi di sterminio

Liana Millu nasce a Pi-sa il 21 dicembre1914. La madre muo-

re quando Liana aveva solodue anni e viene allevata dainonni materni, mentre il pa-dre che era ferroviere si tra-sferisce in Friuli e si rispo-sa. Nel 1937 consegue il di-ploma magistrale e inizia adinsegnare, coltivando anchela sua vera passione, quellaper il giornalismo, inizian-do a collaborare con il quo-tidiano livornese Il Te l e -g r a f o. Mentre muove i pri-mi passi nel giornalismovince il concorso magistralee ottiene l’insegnamento inun paesino nei pressi di Vo l-t e r r a .Nel 1938, a causa delle leggirazziali, non può più prose-guire la sua carriera di inse-

Dalla Resistenza in To s c a n a . . .

I GRANDI DELLA D E P O RTA Z I O N E

gnante e per mantenersi tro-va un impiego come istitutri-ce presso una famiglia ebrai-ca di Firenze, impiego chemantiene fino al 1940.In quell’anno si trasferisce aGenova, facendo lavori sal-tuari, continuando però acoltivare la scrittura.Dopo l’armistizio dell’8 set-tembre 1943 entrò in contat-to con la Resistenza nelgruppo clandestino “Otto”che si occupava di man-tenere i collegamenti tra glialleati e i prigionieri inglesie americani che erano riusci-ti ad evadere dai campi diconcentramento, liberati inseguito all’armistizio.

Liana venne arrestata aVenezia, dove si trova-va in missione, a cau-

sa di una delazione. Riconosciuta come ebreavenne dapprima internatanel campo di Fossoli e da quideportata ad AuschwitzBirkenau nel maggio del1944.

All’avvicinarsi delfronte russo fu spo-stata dapprima a Ra-

vensbrück, il Lager femmi-nile posto a circa 80 chilo-metri da Berlino. Non restòa lungo a Ravenbrück: daqui fu inviata a Malchow, unsottocampo dipendente daRavensbrück, dove lavoròpresso una fabbrica di arma-m e n t i .Rientrò in Italia nel mese diagosto e si stabilì a Genova,riprendendo l’insegnamentoin un piccolo paesino del-l’entroterra ligure, in Val

Polcevera, dove rimase perdodici anni e contempora-neamente scrisse la sua testi-monianza sull’esperienza inLager, Il fumo di Birkenau,uno dei testi più precoci sul-la deportazione, pubblicatopresso “La Prora” nel 1947 ein seguito ristampato daGiuntina con la prefazione diPrimo Levi che era legato aLiana da sentimenti di stimae amicizia.

Èstata attiva nell’Asso-ciazione nazionale exdeportati politici nei

campi nazisti dove ha rico-perto incarichi di responsa-bilità e ha attivamente porta-to la sua testimonianza fra igiovani e nelle scuole.Si è spenta a Genova nel feb-braio del 2005.

Ad

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Il fumo di Birkenau a p p a r eimmediatamente un’opera incui alla documentazione insenso stretto si accompagnail gusto della narrazione. Sicompone di sei brevi storieincentrate sulla vita in Lager,vista da un punto di vistastrettamente femminile econcepite dalla Millu ancoraquando era deportata, comesi può evincere dal suo libropostumo, Ta g e b u c h. Fin dal primo racconto, L i l yM a r l e n e, è facile compren-dere l’abilità narrativa diLiana Millu: il racconto nonsolo è ben costruito, ma inesso l’autrice mescola sa-pientemente tutte le cordedella vita in Lager: la speran-za, la crudeltà, l’invidia, non-ché il tema pochissimo trat-tato delle relazioni sessuali

...ad una vasta opera letteraria sulla memoria

di Alessandra Chiappano

in campo. Questo stesso te-ma, strettamente connesso aquello della difficoltà dicompiere scelte moralmenteirreprensibili una volta che sisia entrati nella realtà del La-g e r, emerge anche nel rac-conto L’ a rdua sentenza, incui la Millu, con finezza esensibilità, ci racconta di unascena di seduzione e del di-lemma che scuote la sua ami-ca Lise: accettare la corte diS e rgio, un lavoratore libero,

il che significava anche pro-curarsi qualche mezzo di so-stentamento, o mantenersifedele al marito? Chiede consiglio a Liane, al-la Millu stessa, che è incapa-ce di darle una risposta con-vincente, proprio perché ilcampo rende impossibile de-cidere e scegliere in base aduna etica convenzionale: insostanza la Millu si rifiuta digiudicare il comportamentodi Lise.

Anche nella narrativa dellaMillu, come in quella di Giu-liana Tedeschi, troviamo ilracconto di una nascita in La-ger; occorre però notare chequi la concatenazione degliavvenimenti e la descrizionedei personaggi è assai piùriuscita rispetto a quella checi arriva dal testo della Te d e-schi, c’è una maggiore ironiae una utilizzazione più sofi-sticata dei modelli espressivi.Tuttavia, secondo l’analisi diRisa Sodi, una studiosa ame-ricana che ha analizzato lescrittrici italiane che hannotrattato il tema della Shoah, I lfumo di Birkenau di LianaMillu è, ex aequo con C’è unpunto sulla terr a di GiulianaTedeschi, quello che megliorappresenta l’esperienza del-le donne italiane nei Lager.

Auschwitz come

p a rtigiana e come

e b re a Targa in memoria di Liana Millu a GenovaBoccadasse. In basso l’arrivo di un trasport oad Auschwitz-Birkenau. Nella foto del titolouna fotografia presa da lontano del fumo chesale dal forno crematorio di un Kz.

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È commovente questoincontro a Birkenau traLiane e una ragazzinaolandese conosciuta durantela quarantena: la giovane è molto mal ridotta e Liana fa fatica a riconoscerla. È unoscambio breve, unmomento di umanità nellaquotidianità del lager, fatta di violenza, percosse,urla, indiff e r e n z a :

Già da tre giorni lavoravo al Comando Cucina del R e -v i e r, e ogni notte mi svegliavo col cuore agitato dal ti-more di perdere un posto tanto prezioso: un simile col-po di fortuna non mi era capitato da quando ero in lager,e sapevo quanto difficilmente si sarebbe ripetuto.Portare la zuppa al R e v i e r significava piegarsi e sbuff a-re due volte al giorno sotto pesanti barili di ferro ricolmidi broda bollente, ma aver tutto il resto della giornatameravigliosamente libero, padrona di sedermi in qual-che angolo riparato della strada se era bel tempo, e di ri-fugiarmi nella calda aria di stalla dei gabinetti quandopioveva.Una volta entrate nel Waschraum di una baracca si pote-va riposare aspettando che ci restituissero i barili vuoti,e nell’attesa finivamo sempre col curiosare sulla sogliadella corsia, fermandoci a guardare la lunghissima stan-za mal rischiarata dagli abbaini aperti nel soffitto, men-tre decine di occhi stanchi ci osservavano dalle varie al-tezze delle cuccette sovrapposte in tre ordini. Quel mattino di settembre – il quarto glorioso mattinodel mio servizio all’Esskolonne del Revier – stavo aspet-tando i barili di ritorno alla soglia della corsia del Block9 quando mi sentii chiamare con insistenza, nella solitamaniera del lager, da una debole voce, che tossendo esforzandosi cercava di farsi più distinta.– Allò, tu, Allò, tu!Guardai: il richiamo veniva da una cuccetta bassa, unadi quelle cattive cuccette quasi a terra, buie e soff o c a t edal pagliericcio soprastante che le infermiere davanosempre alle malate troppo deboli per protestare.Rimaneva troppo in ombra per distinguere chi c’erasdraiata e mi avvicinai, dopo essermi assicurata che lagrossa Hanka, una cattiva infermiera cui piaceva batte-re, non fosse alle viste.– Liane! Tu sei Liane l’italiana! – disse la debolissimavoce.– Sì sono Liane – risposi.La cerea ragazza che mi guardava ansiosamente dal fon-do della sua cuccia buia, non mi ricordava assolutamen-te nulla; con indifferenza osservavo il viso consunto co-sì magro e piccolo, quasi tagliato dal grigio celeste didue grandi occhi chiari.Doveva stare molto male la ragazzina, ma queste erano

le figure normali del R e v i e r, e ormai non mi facevanopiù la minima impressione. Piuttosto cercavo di ricor-darmi dove l’avevo conosciuta, ma tutti i miei sforzinon approdavano a niente.– Tu sei Liane – ripeté la ragazzina – e io dormivo vici-no a te nella baracca della quarantena, non ti ricordi? Tiprestavo sempre il temperino per tagliare il pane; non tiricordi?Allora si fece dentro di me una schiarita e rividi in unlampo soffocante il Block della quarantena, e le duegentili sorelline olandesi Lotti e Giuntine che non mi ri-fiutavano mai il temperino e lo richiedevano con tantabuona grazia quando tardavo troppo a restituirlo.– Giustine! – esclamai. E subito feci uno sforzo per re-primere la mia esclamazione spontanea e desolata: –Dio, come sei ridotta!Giuntine se ne avvide benissimo, e scosse la testa conamarezza, mentre si guardava le mani quasi trasparentiabbandonate sulla coperta grigia.– Ormai sono kaputt – disse- non tornerò più a casa.

(Il fumo di Birkenau, Giuntina,Firenze 1986, pp.119-121).

I GRANDI

Gli sportelli del treno merci si aprono e ne scendono folle di deportati. In alto l’interno di una delle baracche di A u s c h w i t z .

Liana Millu

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Liana è convinta, e lodimostra la sua scritturacosì attenta all’analisi deicomportamenti femminiliin campo, che le donneabbiano resistito in Lagerin modo “diverso emigliore degli uomini” e che abbiano saputoresistere non tanto grazie a virtù eroiche, mapiuttosto grazie alle “virtùq u o t i d i a n e ” :

Al sabato, giorno di «supplemento»; si faceva la fila conla mano tesa e le Kapo sbattevano nel palmo un cuc-chiaio di margarina. C’erano tecniche diverse per spal-marlo sul pane: disperderlo su una fetta intera o arric-chirne soltanto un pezzetto. Ma la mia amica Jeannette– e prendo Jeannette a simbolo – non faceva come meche leccavo il palmo della mano fino a toglierne ognitraccia di untuosità. No! In ultimo, Jeannette passava lamano sul contorno degli occhi: margarina come cremaantirughe.Ebbene, quel gesto apparentemente frivolo era gesto diforza, gesto di resistenza. Significava che Jeannette nonaveva dubbi sul suo tornare a casa, non aveva dubbi sultrionfo sulle morti e le abiezioni del Lager. Tornando acasa, per una ragazza era carino non avere rughe, e lei sipreparava. Anche la mia amica Bianca Paganini Moriracconta che, a Ravensbrück, non appena la crescita deicapelli lo permetteva, cercavano di aggiustarli con deibigodini di fortuna. Frivolezze? Eppure, Bianca avevacombattuto nella Resistenza al punto da finire davantialla Gestapo. Ebbene, nella resistenza delle donne delL a g e r, nel loro ostinato volersi umane, bigodini e mar-garina antirughe facevano la loro parte.Furono importanti, come quel classico saluto «Oh,bonjour madame, comment ça va?» quando il brutale«Hallo, tu! » era nel linguaggio del campo. «Hallo, tu».La prima volta che una francese mi si rivolse col «voi»e con Madame mi commossi. E la sorellanza? Non amoi miti, soprattutto quelli postdatati. Il mito della sorel-lanza mi fa pensare a una doratura su qualcosa che oronon è. In Lager c’erano disuguaglianze feroci, feudali,identificabili subito con l’avere qualche chilo di più. Co-sa avevano a che fare le floride ragazze delle cucine:fiancute, poppute, con bei grembiuli dovuti alla mafiadei magazzini, con le miserabili che sfidavano le basto-nate pur di arraffare qualcosa nei mucchi della spazza-tura? Niente. Certo, anche loro erano prigioniere. Manell’estate del ‘44, a Birkenau erano rimaste pochesquadre scelte a vestire la famosa divisa zebrata. Lamassa indossava i vestiti dei morti, i capi peggiori, quel-li che non potevano essere messi nei pacchi di assisten-za per i sinistrati, germanici.Vestire i capi degli uccisi non provocava pensieri. A n z i .

Nei tempi lunghi dello Zählappell osservare i panni del-le compagne distraeva un po’. Compagne: cioè personetra cui la differenza delle lingue creava spesso estraneitàinvalicabile, il prevalere dei pregiudizi, diffidenze temi-bili. Perciò, si erano reinventate le amiche del cuore.Due, tre, con la funzione protettiva, consolatrice, pre-ziosa, che da sempre ebbero, hanno, avranno le amichedel cuore. Potevano essere generose: scegliere anche perte la zappa leggera sfidando l’ira di una compagna for-zuta, dividere in tre la carota intera pescata miracolosa-mente nella zuppa. La zuppa di mezzogiorno era il mo-mento dolce delle amiche del cuore. La insaporivanoevocando gli odori e i sapori della cucina di casa, comu-nicando ricette. Ed era ancora fede:«Quando tu verrai a Parigi... quando voi verrete a Geno-va».Su questo argomento, i nostri ex compagni di Lager in-s o rgono. «Anche noi si parlava di cucina! anche noi cisi scambiava ricette!». È vero. Ma poteva capitare unJean Améry seccatissimo: lui voleva parlare di filosofia,discutere con interlocutori dotti: le ricette culinarie dellamoglie che insisteva a raccontargli un compagno di let-to lo esasperavano. Anche tra le donne c’erano delle in-tellettuali. Ma, sicuramente, nessuna avrebbe rifiutatoun’apertura gastronomica. Nella saggezza femminilec’era anche questo.Quanto da meditare e quanto da ricordare. Le poesie cher i a ffiorano dalla memoria e si recitano mentalmentequando il lavoro permette una pausa di estraneamento.Curiosamente, riaffioravano anche le lontane, ingenuepoesiole dell’infanzia: «Vivendo, volando, che male tifo?». La vispa Teresa non era una nota stonata. «Va’, tor-na all’erbetta, gentil farfalletta!». Certo, non era l’esor-tazione cara a Primo Levi «Fatti non foste a viver comebruti...». Ma faceva bene al cuore, ugualmente, facevacamminare, libere, nel verde dei prati dove: volavano lefarfalle.

(Intervento di Liana Millu al Convegno internazionalepromosso dall’Aned sulla deportazione femminile,

Torino 20-21 ottobre 1994, i cui atti sono stati pubblicati presso Franco Angeli nel 1995

a cura di Lucio Monaco).

DELLA D E P O RTA Z I O N E

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Il secondo lavoro letterariodi Liana Millu è ilromanzo autobiografico Iponti di Schwerin s c r i t t onegli anni Settanta, in cuiracconta del diff i c i l eritorno dal Lager, ma anchedi se stessa e della sua vitaprima dell’esperienza del

Esce postumo, nel 2006,Ta g e b u c h. Il diario delritorno dal Lager: si trattadi un testo che la Milluaveva affidato a PieroStefani, con la preghiera dinon renderlo pubblico, senon dopo la sua morte. È ildiario che Liana scrive findai primi giorni dopo la

Quando Elmina cominciava a sbandare, la rimettevano insesto con uno strattone. Lei spalancava gli occhi, li richiu-deva e di nuovo si concentrava a rievocare le violette diDino; quelle che le aveva regalate l’ultima volta che si era-no visti, le violette della sera di febbraio. Amava Dino. Mal’istinto di conservazione la spingeva a cercare assolutoconforto non tanto nel ricordo della persona di lui, quantonegli sfondi, nei colori, negli odori, negli oggetti che glierano connessi. Le cose, infatti, mancavano del risvoltodoloroso inscindibile da ogni relazione umana. In quella sera di febbraio, sembrava che tutto, a Genova,le cose e le persone, fossero colore della cenere. Le lam-padine oscurate spargevano piccoli cerchi di luce gialla-stra e Dino l’Imprevedibile!, si era avvicinato nasconden-do dietro la schiena il mazzetto di violette.Perciò si dedicava a rievocarle, con la massima pedante-ria, fino a vedere il filo bianco che le teneva unite, il punti-no giallo del cuore violetto scuro delle corolle, le pochefoglie disposte intorno. Si concentrava intensamente, ma con calma. Senza pensa-re a niente, senza rimpiangere niente senza sperare niente.Voleva soltanto vedere le violette. E, finalmente, le violet-te arrivarono. All’improvviso. Così vicine che non ebbemodo di scorgere la mano che le porgeva, così profumate

che le empirono i polmoni di fragranza. Una gran macchiaviola rivelata dalla corona verdissima delle foglie, un fa-scio di violette scure e fresche. Le vide e nello stesso istan-te le sentì sul viso. Una carezza profumata sulla bocca e ilnaso e le guance; una sconvolgente carezza di velluto. Unb a c i o .Si fermò di colpo. Le violette!Sotto l’urto dell’emozione, il cuore batté disordinatamen-te e violento. Le violette!Le parve di vedere ancora un confuso lampo verde-viola.Poi tornò il buio: gli abeti come un nero più nero, la stradacome una guida biancastra, l’odore asprigno della forestagelata. Intanto le sue vicine avevano perso il passo e pro-testavano: in lingue diverse, ma con lo stesso rimproverorabbioso. “Che cosa ti succede? Tu es folle? Idiokta!Verrückte!” Per giorni e giorni Elmina pregò, con deside-rio, con fede, che le violette torrnassero a visitarla. Le im-plorava come un fedele l’immagine più venerata, ma ogniimplorazione fu inutile. Mai più le violette ripeterono il viaggio.

1944: le violette di Malchow in La camicia di Josepha,Racconti, ECIG, Genova 1988, pp. 108-109.

I GRANDI Lager: è un romanzofortemente autobiograficoin cui la scrittrice, (usandol’alter ego di Elmina) parladi sé, dei suoi sogni digiovane donna tesa aconquistarsi, in una societàancora molto retriva comequella italiana degli anniTrenta, una suaindipendenza. Nel corso degli anni LianaMillu continua la suaattività di scrittrice, sebbenecon un maggiore successodi critica che di pubblico, ealmeno apparentementesembra allontanarsi dallatematica concentrazionaria;tuttavia nella raccolta diracconti intitolata Lacamicia di Josepha,

pubblicata nel 1988, inmodo quasi inaspettatoritorna al mondo del Lager.1944: le violette diM a l c h o w, questo il titolodel racconto, è di unabellezza struggente. Laprotagonista, che si chiamaancora una volta Elmina,nel sottocampo diM a l c h o w, durante una

marcia di trasferimento, sisforza di ricordare leviolette che le erano stateregalate, a Genova, da unuomo molto amato.Finalmente riesce aricordarle nitidamente, cosìcome a ritrovare dentro disé l’atmosfera diquell’incontro amoroso:quel ricordo intenso lastrappa per un momento aldolore e allo squallore delpresente. Ma si tratta di unmomento estremamentefugace ed illusorio, nelvolgere di pochi minuti laprotagonista è richiamataalla realtà da unacompagna che la strattonaperché non riesce a stare alp a s s o .

liberazione: mentre erraper la Germania, devastatadalla guerra, trova undiario abbandonato e se neappropria e qui annotaquel che vede e quel chesente. Si tratta, come notagiustamente Marta Baiardi,di un «testo scombinato,spesso non chiaro, privo di

u n ’ o rganizzazione tematicastrutturata, che nasceinnanzitutto come unasorta di strumento di auto-aiuto di cui lasopravvissuta si dota nellalunga strada del rimpatrioe che la accompagnanell’estate del 1945 nellestanze bianche

dell’ospedale di Ve r d e n » .(Marta Baiardi, LianaMillu. Due libri postumi,“DEP”, n. 7, 2007, pp.301-313, la citazione è a p.309). A d i fferenza diFausta Finzi, deportata aRavensbrück, che scrive unvero e proprio Diario,Liana Millu non racconta:

Liana Millu

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La salvò la scrittura el’insegnamento «ancoraoggi ritengo che insegnaresia una delle cose piùimportanti nelle qualipossa impegnarsi unapersona» e infine, dopotanto, l'avere una casatutta sua:

«Solo dieci anni dopo ilmio ritorno ho provato dinuovo il sentimento dellafelicità. È successo quandoper la prima volta hotrovato un alloggio tuttoper me. Ero cosìsopraffatta dalla felicitàche ho persino baciato ilpavimento della mia casa.I miei anni terribili erano

DELLA D E P O RTA Z I O N Eil Tagebuch si presentapiuttosto come una serie diannotazioni, pensieri,ritratti di persone

incontrate, ma nonmancano neppure momentidi autoanalisi, soprattuttoquando l’autrice si lascia

andare a pensare al ritorno,che si prospetta, come ine ffetti sarà, durissimo.Sono pregnanti i momenti

in cui la Millu si rendeconto che uscire dal Lagere riprendere a vivere èd i fficilissimo.

Quello che è strano è che trovandomi in mezzo a dellagente allegra, allegra io pure, e mentre ridiamo escherziamo, improvvisamente provo un distaccoassoluto da tutto quello che mi circonda. Isolata, mifisso a guardare le cose e le persone intorno a me: essemi danno un senso di stranezza e di irrealtà, come senon esistessero che per un inganno della fantasia. Ionon ho niente a che fare con loro, io sono di un mondocrudele e doloroso, aspetto quasi che tutto si dilegui eche un secco comando mi riconduca nella “mia”realtà. Sono io – penso – che rido e vivo come loro?Sono io, questa che è in mezzo a questa vita, o eraun’altra quella che ha vissuto esperienze dure? È unasensazione tristissima e acuta che turba; e solo congrande sforzo riesco a nasconderla.

Liana Millu, Tagebuch p. 47.

E quanto sia stato difficile il ritorno, il reinserimento sipuò capire da questa pagina.

Mai ho parlato del mio ritorno dal Lager e dopo oggi,mai più ne parlerò. Non avevo più genitori né parentistretti: ad Auschwitz questa mancanza mi aveva solle-vato dai pensieri torturanti di chi aveva lasciato la fami-glia. In ottobre decisi di accogliere l’invito di mia zia,abitava a Pisa, la città dove sono nata e cresciuta. Ci ab-bracciammo, poi cominciarono i racconti. E io volevoparlare, avevo bisogno di raccontare, far sapere e alla

zia, qualche volta venivano gli occhi lucidi. Ma inter-rompeva sempre, sovrapponeva ai miei ricordi i suoi cheerano quelli di una sfollata e a lei sembravano tremendi,a me sembravano acqua di rose. Cominciavo già a con-vincermi che la gente non poteva capire. [...] Furono gliamici a pilotarmi nei meandri della burocrazia, a darsida fare per ottenere il mio trasferimento a Genova e l’ot-tennero. Col nuovo anno sarei tornata ad insegnare.[…] Camminavo per strade sempre più buie: non vole-vo tornare a casa presto, disturbare la cena dei miei ospi-ti. Camminavo una strada dopo l’altra. In una di quellesere decisi di lasciar perdere la vita. Ero senza sogni,senza speranze, senza amore; la non speranza è condi-zione quieta dei morti.Fui coerente e decisi per il suicidio: stare sulla terra midisgustava. Lo decisi poco prima di Natale, ma mi osta-colava non avere un’arma. Poi camminando nelle vici-nanze della stazione Brignole sentii il fischio di un trenoe la soluzione mi piacque. Un soffio che atterra, un urtoche stritola. Il treno!Sono ancora qui: mi salvò la pioggia. La pioggia e l’in-domabile forza della giovinezza. La pioggia o – così midisse una volta un religioso – la vigile mano di Dio. Nonlo so. So soltanto che quando piovve forte, cominciai acorrere. Le gambe mi portarono a casa, caddi sul letto emi addormentai, di colpo profondamente. Un sonno chefu un suggello: chiuse il mio dopo Lager.

(Liana Millu, Dopo il fumo,Morcelliana, Brescia 1999, pp. 69- 73).

veramente finiti». Liana Millu ha anchesvolto un’intensa opera ditestimone: riteneva chefosse importante andare araccontare ai ragazziquello che era successosottolineando quella cheera per lei la lezione piùsignificativa appresa daAuschwitz:

«Lo ripeto spesso e nonmi stancherò mai diaffermarlo, finché avròvoce: tutto inizia daldisprezzo che ti faconsiderare l’altro diversoda te. Quando siincomincia a vedere chi tista di fronte come un

qualcosa che appartiene auna specie aliena, unsottoprodotto del mondoanimale, si finisce conl’agire di conseguenza opermettere che nei suoiconfronti siano perpetrati ipeggiori crimini, magari innome della preservazionedi una supposta“identità”». (RobertoPettinaroli, Campo dibetulle. Shoah: l’ultimatestimonianza di LianaMillu, Giuntina, Firenze2006, p. 82).Liana è morta nel 2005,oggi ad alcuni anni didistanza le sue parolerisuonano più che maiprofetiche.


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