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Europa del 3 feb

Date post: 25-Mar-2016
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Europa del 3 Feb - prova
10
P er noi sono una notizia da prima pagina i centotremila toscani delle province di Pistoia, Siena e Arezzo che domenica si sono messi in fila per votare alle primarie e scegliere 34 candida- ti sindaci e tre candidati presi- denti di provincia alle prossime amministrative: erano circa un terzo in più – dicono i dati – dei votanti del 14 ottobre 2007, in alcuni casi il doppio. Bisogna tener conto che in alcuni casi – non in tutti – si è trattato di pri- marie di coalizione, ma questi numeri ci dicono anche altro. Ci di- cono che il Pd esiste, in primo luogo per- ché esiste ancora il suo popo- lo: gente che non ha paura delle diffi- coltà e nemmeno delle polemi- che; che in presenza di difficoltà e polemiche, forse, anziché stu- farsi e restarsene a casa si sente ancor più responsabile e più in dovere di impegnarsi e parteci- pare. Ci dicono che non bisogna avere paura di ricorrere a quel popolo, di interpellarlo e di chie- dergli di decidere. Ci dicono anche, non si può nasconderse- lo, che specialmente in alcune zone il Pd ha ancora una poten- za organizzativa, ereditata dal suo passato, che consente di rea- lizzare eventi popolari di questa portata e di gestirli politicamen- te in maniera impeccabile. Ci dicono che il Pd dovrebbe anda- re avanti sulla strada dell’inno- vazione non dimenticando quel- lo che è già, che non è poco. (ch.g.) Cosa dicono le primarie toscane Il Pd non deve avere paura e deve saper innovare non dimenticando ciò che è già Chiuso in redazione alle 20,30 Il governo si indigna per il “leghismo” inglese contro gli italiani, ma la Lega lo difende Maroni: serve cattiveria. Napolitano: raccapriccianti episodi di razzismo Sull’immigrazione la destra si scopre inutile e confusa M ARTEDÌ 3 F EBBRAIO 2009 A NNO VIII • N° 23 1,00 POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46) ART.1, COMMA 1, DCB ROMA seven Italian jobs for italian workers. E Beckham? E Amauri? E, so- prattutto, chi glielo dice a Mo- ratti? Italian job ROBIN D opo i fatti di Nettuno, il capo dello stato lancia l’allarme: «Siamo di fronte a episodi racca- priccianti da considerare non come fatti isolati ma come sintomi allar- manti di tendenze diffuse». Netta la condanna del presidente della camera Fini e del senato Schifani, mentre il Pd invita invita la politica a non alimentare paure e a investi- re più risorse per le forze dell’ordine e la prevenzione. Sull’immigrazio- ne botta e risposta fra l’ex ministro dell’interno Pisanu (che dalle colon- ne del Corriere della Sera smonta punto per punto la politica leghista, unicamente centrata sulla sicurez- za), e l’attuale titolare del Viminale. Maroni dà del buonista a Pisanu e ribatte: «Per contrastare i clandesti- ni bisogna essere cattivi». Il Pd: «Parole pericolose». Altra questione in cui la mag- gioranza si scopre divisa è quella della protesta anti-italiana dei lavo- ratori inglesi. Qui la Lega va per conto suo, riconscendosi nei timori particolaristici degli operai d’oltre- manica. La globalizzazione selvag- gia va regolamentata, i posti di la- voro riservati ai cittadini residenti, la libera circolazione e il mercato unico europeo vanno rivisti. A bat- tere il ferro è soprattutto il Carroc- cio di lotta, quello impersonato dai parlamentari padani duri e puri co- me Cota, Dussin o D’Amico. Più prudente quello di governo, che tramite Maroni ha fatto sapere di non essere d’accordo con i lavorato- ri di Grimsby. In questo un filo più vicino all’impostazione governativa: i ministri Sacconi, Frattini, Matteo- li e Prestigiacomo hanno difeso a spada tratta la libera circolazione nella Ue, vero principio fondativo delle istituzioni comunitarie. ALLE PAGINE 2 E 5 FEDERICO ORLANDO M arco Pannella, Rocco Berardo e Antonella Ca- su ci hanno scritto (ed Europa ha pubblicato sabato) sull’incontro del “Comitato per la democra- zia”, promosso dai partiti piccoli che lo sbarramento al 4 per cento escluderebbe dall’assemblea di Stra- sburgo. Abbiamo confermato in quella sede – dicono i leader radicali – che «non condividiamo la centra- lità della vicenda pre-elettorale europea per ricon- quistare la democrazia e la legalità costituzionale, indispensabili anche solo a ipotizzare uno stato di diritto, scomparso da tempo e sempre più totalita- riamente in Italia». SEGUE A PAGINA 7 Strasburgo conta ancora La battaglia d’Inghilterra e i rischi del federalismo fiscale Il primo baco di Google. Dopo la caduta arriva il riscatto Su Foxlife va in onda l’educazione sentimentale di una squillo perbene STAMPA BLOG TV SANDRO GOZI S ono tre le ragioni fondamen- tali per modificare la legge elettorale per il parlamento euro- peo. La prima riguarda la disper- sione degli eletti italiani nei grup- pi politici del parlamento europeo: avere delle delegazioni italiane piccole all’interno di ciascun grup- po diminuisce il nostro peso spe- cifico e si riflette in una minore visibilità ed influenza nella vita parlamentare. SEGUE A PAGINA 7 Sbarramento sì, ecco perché STEFANO FASSINA P er discutere utilmente dell’ac- cordo sul rinnovo del modello contrattuale dobbiamo mettere da parte comode e strumentali sem- plificazioni: chi sostiene l’accordo è per il sindacato partecipativo; chi è contro è per il sindacato conflit- tuale; chi è per l’accordo è un vero riformista perché riconosce l’auto- nomia tra partiti e sindacati; chi è contrario, persevera nel vecchio collateralismo; chi firma l’accordo riconosce la necessità di un “patto tra produttori”; chi non firma è prigioniero di una residuale cultu- ra antagonista. L’accordo va valutato per gli effetti in grado di produrre. Pro- viamo a valutarli. Allentare le ma- glie del contratto nazionale di la- voro e potenziare la contrattazione decentrata è certamente utile al- l’innalzamento della produttività. Tuttavia, nonostante quanto affer- ma chi va alla moda, i suoi effetti sulla produttività possono essere soltanto modesti. Infatti, nel dibat- tito pubblico si fa confusione, a volte inconsapevole, spesso deli- berata, tra produttività del lavoro e produttività del lavoratore. SEGUE A PAGINA 6 A chi conviene quel contratto ❱❱ IL FESTIVAL DI MODENA NELLA BUFERA ❰❰ A Modena non si parla d’altro. Da quando, poi, anche la ceramica si è mes- sa in mezzo nessuno può più fare finta di niente. Il fatto è che non si vedono spesso dei filosofi salire sul- le barricate, anche solo sim- boliche, e organizzare boi- cottaggi per niente simboli- ci. In questo caso il leader dei ribelli è il mansueto Re- mo Bodei, 70 anni, docente alla Ucla di Los Angeles, che parla di «un colpo di mano per impadronirsi del Festival di filosofia», e che difende Michelina Borsari, ormai ex direttrice di un fe- stival noto e imitato un po’ ovunque, dimessasi o fatta fuori a seconda delle versio- ni. Sulla carta è tutta una questione di risorse che mancano, di tagli e finan- ziamenti. In pratica è più complicato. C’è chi dice che la Borsari fosse diven- tata troppo ingombrante anche per la potente fonda- zione San Carlo che guida il comitato promotore, nel quale siedono gli enti loca- li di Modena, Carpi e Sas- suolo (dove si svolge il fe- stival ogni terzo weekend di settembre) e che è pre- sieduta da Roberto Fran- chini, portavoce del presi- dente della regione Vasco Errani. C’è chi è arrivato a dire che si vuole mettere un bavaglio politico a un festi- val noto per la sua indipen- denza culturale e chi azzar- da che dietro le manovre si nasconda un disegno «cle- rico-destrorso» della curia modenese. Improbabile. (gio.co.) SEGUE A PAGINA 9 Lo sciopero dei filosofi contro il Pd News analysis LO SBARRAMENTO ARRIVA IN AULA DIETRO LE CRITICHE DI PISANU A MARONI DOPO L’ALLARME DEL CAPO DELLO STATO Il dissenso nel Pd sul quattro per cento non diventerà una rottura Ecco i catto-Pdl: una corrente anti-leghista nel nuovo partito MARIO LAVIA FRANCESCO LO SARDO FABRIZIA BAGOZZI G ioca a lascia o raddoppia il pre- sidente del consiglio, Silvio Berlusconi. E lo fa con i fondi anti- crisi che, a suo dire, sono stati mes- si a disposizione dal governo per far uscire il paese dalla crisi. Nel corso di una telefonata a “Governincontra” ad Avellino, il premier riscrive i con- ti dei primi mesi del suo governo: finora si era sempre parlato di 5 mi- liardi messi a disposizione dal go- verno per la crisi, ma Berlusconi ha rifatto i conti sostenendo che «i prov- vedimenti presi valgono 40 miliardi di euro per i prossimi tre anni e sono soldi reali che transitano dallo stato all’economia reale e che potranno salire a 80 miliardi grazie ai fondi europei». Nel preannunciare per i prossi- mi consigli dei ministri nuovi prov- vedimenti a sostegno di settori indu- striali strategici come auto e compo- nentistica e del credito al consumo, il premier si spinge anche oltre fino a sostenere che i debiti di Alitalia (pari a 4 miliardi) saranno pagati dalla Cai e non dai cittadini. Il Pd definisce gravissime queste afferma- zioni e chiede chiarimenti. (ra. c.) Eterna campagna elettorale di Berlusconi: contro la crisi 40 miliardi. Anzi no, 80 ASPETTANDO FIRENZE Primarie da record in Toscana, al voto più gente che il 14 ottobre RUDY FRANCESCO CALVO A PAGINA 4 L’ALTRO ATLANTISMO DI FANFANI Lo statista dc intrecciò fedeltà agli Usa e prospettive di pace globale AGOSTINO GIOVAGNOLI A PAGINA 9 LE PAGINE DI EUROPA Cultura Stiamo diventando un popolo di razzisti? Parlano Livi Bacci e Sciortino A PAGINA 3 È presidente da dieci anni e per festeggiare ha ideato un giorno di festa nazionale. E non è finita. Il venezuelano Hugo Chávez, giunto alla vigilia della fine del suo secondo mandato, spera di modificare la Costituzione e restare ancora in carica. Caracas in festa per Chávez IL PRESIDENTE È IN CARICA DA DIECI ANNI
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Page 1: Europa del 3 feb

Per noi sono una notizia da prima pagina i centotremila

toscani delle province di Pistoia, Siena e Arezzo che domenica si sono messi in fila per votare alle primarie e scegliere 34 candida-ti sindaci e tre candidati presi-denti di provincia alle prossime amministrative: erano circa un terzo in più – dicono i dati – dei votanti del 14 ottobre 2007, in alcuni casi il doppio. Bisogna tener conto che in alcuni casi – non in tutti – si è trattato di pri-marie di coalizione, ma questi numeri ci dicono anche altro.

Ci di-cono che il Pd esiste, in primo luogo per-ché esiste ancora il suo popo-lo: gente che non ha paura delle diffi-

coltà e nemmeno delle polemi-che; che in presenza di difficoltà e polemiche, forse, anziché stu-farsi e restarsene a casa si sente ancor più responsabile e più in dovere di impegnarsi e parteci-pare. Ci dicono che non bisogna avere paura di ricorrere a quel popolo, di interpellarlo e di chie-dergli di decidere. Ci dicono anche, non si può nasconderse-lo, che specialmente in alcune zone il Pd ha ancora una poten-za organizzativa, ereditata dal suo passato, che consente di rea-lizzare eventi popolari di questa portata e di gestirli politicamen-te in maniera impeccabile. Ci dicono che il Pd dovrebbe anda-re avanti sulla strada dell’inno-vazione non dimenticando quel-lo che è già, che non è poco. (ch.g.)

Cosa dicono le primarie

toscane

Il Pd non deve avere paura e deve saper innovare non dimenticando ciò che è già

Chiuso in redazione alle 20,30

Il governo si indigna per il “leghismo” inglese contro gli italiani, ma la Lega lo difende

Maroni: serve cattiveria. Napolitano: raccapriccianti episodi di razzismo

Sull’immigrazione la destrasi scopre inutile e confusa

M A R T E D Ì 3 F E B B R A I O 2 0 0 9 A N N O V I I I • N ° 2 3 • € 1 , 0 0POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. -

D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46) ART.1, COMMA 1, DCB ROMA

seven

Italian jobs for italian workers.

E Beckham? E Amauri? E, so-

prattutto, chi glielo dice a Mo-

ratti?

Italian job

ROBIN

Dopo i fatti di Nettuno, il capo dello stato lancia l’allarme:

«Siamo di fronte a episodi racca-priccianti da considerare non come fatti isolati ma come sintomi allar-manti di tendenze diffuse». Netta la condanna del presidente della camera Fini e del senato Schifani, mentre il Pd invita invita la politica a non alimentare paure e a investi-re più risorse per le forze dell’ordine e la prevenzione. Sull’immigrazio-

ne botta e risposta fra l’ex ministro dell’interno Pisanu (che dalle colon-ne del Corriere della Sera smonta punto per punto la politica leghista, unicamente centrata sulla sicurez-za), e l’attuale titolare del Viminale. Maroni dà del buonista a Pisanu e ribatte: «Per contrastare i clandesti-ni bisogna essere cattivi». Il Pd: «Parole pericolose».

Altra questione in cui la mag-gioranza si scopre divisa è quella

della protesta anti-italiana dei lavo-ratori inglesi. Qui la Lega va per conto suo, riconscendosi nei timori particolaristici degli operai d’oltre-manica. La globalizzazione selvag-gia va regolamentata, i posti di la-voro riservati ai cittadini residenti, la libera circolazione e il mercato unico europeo vanno rivisti. A bat-tere il ferro è soprattutto il Carroc-cio di lotta, quello impersonato dai parlamentari padani duri e puri co-

me Cota, Dussin o D’Amico. Più prudente quello di governo, che tramite Maroni ha fatto sapere di non essere d’accordo con i lavorato-ri di Grimsby. In questo un filo più vicino all’impostazione governativa: i ministri Sacconi, Frattini, Matteo-li e Prestigiacomo hanno difeso a spada tratta la libera circolazione nella Ue, vero principio fondativo delle istituzioni comunitarie. ALLE PAGINE 2 E 5

FEDERICOORLANDO

Marco Pannella, Rocco Berardo e Antonella Ca-su ci hanno scritto (ed Europa ha pubblicato

sabato) sull’incontro del “Comitato per la democra-zia”, promosso dai partiti piccoli che lo sbarramento al 4 per cento escluderebbe dall’assemblea di Stra-sburgo. Abbiamo confermato in quella sede – dicono i leader radicali – che «non condividiamo la centra-lità della vicenda pre-elettorale europea per ricon-quistare la democrazia e la legalità costituzionale, indispensabili anche solo a ipotizzare uno stato di diritto, scomparso da tempo e sempre più totalita-riamente in Italia». SEGUE A PAGINA 7

Strasburgo conta ancora

La battaglia d’Inghilterra e i rischi del federalismo fi scale

Il primo baco di Google. Dopola caduta arriva il riscatto

Su Foxlife va in onda l’educazione sentimentale di una squillo perbene

S T A M P A B L O G T V

SANDROGOZI

Sono tre le ragioni fondamen-tali per modificare la legge

elettorale per il parlamento euro-peo. La prima riguarda la disper-sione degli eletti italiani nei grup-pi politici del parlamento europeo: avere delle delegazioni italiane piccole all’interno di ciascun grup-po diminuisce il nostro peso spe-cifico e si riflette in una minore visibilità ed influenza nella vita parlamentare. SEGUE A PAGINA 7

Sbarramentosì, ecco perché

STEFANOFASSINA

Per discutere utilmente dell’ac-cordo sul rinnovo del modello

contrattuale dobbiamo mettere da parte comode e strumentali sem-plificazioni: chi sostiene l’accordo è per il sindacato partecipativo; chi è contro è per il sindacato conflit-tuale; chi è per l’accordo è un vero riformista perché riconosce l’auto-nomia tra partiti e sindacati; chi è contrario, persevera nel vecchio collateralismo; chi firma l’accordo riconosce la necessità di un “patto tra produttori”; chi non firma è prigioniero di una residuale cultu-ra antagonista.

L’accordo va valutato per gli effetti in grado di produrre. Pro-viamo a valutarli. Allentare le ma-glie del contratto nazionale di la-voro e potenziare la contrattazione decentrata è certamente utile al-l’innalzamento della produttività. Tuttavia, nonostante quanto affer-ma chi va alla moda, i suoi effetti sulla produttività possono essere soltanto modesti. Infatti, nel dibat-tito pubblico si fa confusione, a volte inconsapevole, spesso deli-berata, tra produttività del lavoro e produttività del lavoratore. SEGUE A PAGINA 6

A chi convienequel contratto

❱❱ IL FESTIVAL DI MODENA NELLA BUFERA ❰❰

A Modena non si parla d’altro. Da quando, poi,

anche la ceramica si è mes-sa in mezzo nessuno può più fare finta di niente. Il fatto è che non si vedono spesso dei filosofi salire sul-le barricate, anche solo sim-boliche, e organizzare boi-cottaggi per niente simboli-ci. In questo caso il leader dei ribelli è il mansueto Re-mo Bodei, 70 anni, docente alla Ucla di Los Angeles, che parla di «un colpo di mano per impadronirsi del Festival di filosofia», e che

difende Michelina Borsari, ormai ex direttrice di un fe-stival noto e imitato un po’ ovunque, dimessasi o fatta fuori a seconda delle versio-ni.

Sulla carta è tutta una questione di risorse che mancano, di tagli e finan-ziamenti. In pratica è più complicato. C’è chi dice che la Borsari fosse diven-tata troppo ingombrante anche per la potente fonda-zione San Carlo che guida il comitato promotore, nel quale siedono gli enti loca-

li di Modena, Carpi e Sas-suolo (dove si svolge il fe-stival ogni terzo weekend di settembre) e che è pre-sieduta da Roberto Fran-chini, portavoce del presi-dente della regione Vasco Errani. C’è chi è arrivato a dire che si vuole mettere un bavaglio politico a un festi-val noto per la sua indipen-denza culturale e chi azzar-da che dietro le manovre si nasconda un disegno «cle-rico-destrorso» della curia modenese. Improbabile. (gio.co.) SEGUE A PAGINA 9

Lo sciopero dei fi losofi contro il Pd

Newsanalysis LO SBARRAMENTO

ARRIVA IN AULA

DIETRO LE CRITICHEDI PISANU A MARONI

DOPO L’ALLARMEDEL CAPO DELLO STATO

Il dissenso nel Pdsul quattro per centonon diventeràuna rottura

Ecco i catto-Pdl:una correnteanti-leghistanel nuovo partito

MARIO LAVIA

FRANCESCO LO SARDO

FABRIZIA BAGOZZI

Gioca a lascia o raddoppia il pre-sidente del consiglio, Silvio

Berlusconi. E lo fa con i fondi anti-crisi che, a suo dire, sono stati mes-si a disposizione dal governo per far uscire il paese dalla crisi. Nel corso di una telefonata a “Governincontra” ad Avellino, il premier riscrive i con-ti dei primi mesi del suo governo: finora si era sempre parlato di 5 mi-

liardi messi a disposizione dal go-verno per la crisi, ma Berlusconi ha rifatto i conti sostenendo che «i prov-vedimenti presi valgono 40 miliardi di euro per i prossimi tre anni e sono soldi reali che transitano dallo stato all’economia reale e che potranno salire a 80 miliardi grazie ai fondi europei».

Nel preannunciare per i prossi-

mi consigli dei ministri nuovi prov-vedimenti a sostegno di settori indu-striali strategici come auto e compo-nentistica e del credito al consumo, il premier si spinge anche oltre fino a sostenere che i debiti di Alitalia (pari a 4 miliardi) saranno pagati dalla Cai e non dai cittadini. Il Pd definisce gravissime queste afferma-zioni e chiede chiarimenti. (ra. c.)

Eterna campagna elettorale di Berlusconi:contro la crisi 40 miliardi. Anzi no, 80

ASPETTANDOFIRENZE

Primarie da recordin Toscana,al voto più genteche il 14 ottobre

RUDY FRANCESCO CALVOA PAGINA 4

L’ALTRO ATLANTISMODI FANFANI

Lo statista dc intrecciò fedeltà agli Usa e prospettive di pace globale

AGOSTINO GIOVAGNOLIA PAGINA 9

LE PAGINE DI EUROPA

Cultura

Stiamo diventandoun popolo di razzisti? Parlano Livi Bacci e Sciortino

A PAGINA 3

È presidente da dieci anni e

per festeggiare ha ideato un

giorno di festa nazionale. E

non è finita. Il venezuelano

Hugo Chávez, giunto alla

vigilia della fine del suo

secondo mandato, spera di

modificare la Costituzione e

restare ancora in carica.

Caracas in festaper Chávez

IL PRESIDENTE È IN CARICA DA DIECI ANNI

Page 2: Europa del 3 feb

Hanno ragione gli operai inglesi, approva uno. Hanno torto gli operai inglesi,

disapprova l’altro. Perché stupirsi? Si dirà: normale dibattito tra esponenti di partiti diversi, magari uno della maggioranza e l’altro dell’opposizione. Errore. Qui si parla del capogruppo leghista alla camera dei deputati, Roberto Cota, e del ministro dell’interno, leghista anch’egli, Roberto Maroni. Stesso partito, due posizioni che più opposte proprio non si può.

Prima deduzione: sulla vicenda della contestazione alla raffineria Total in Lincolnshire la Lega è spaccata. Seconda deduzione: sulla Lega spaccata, per giunta su un tema che ha a che fare con l’identità stessa del partito, domani (oggi per chi legge) saranno fiumi di inchiostro,

analisi, interviste, retroscena, dotti pezzi di opinionisti, tabelle di chi sta con chi. La seconda deduzione, stando almeno all’esperienza – e pronti a fare ammenda – si mostrerà errata. Né fiumi né ruscelli di inchiostro, e nemmeno paginette dedicate al contrasto in casa del Carroccio. E se i protagonisti fossero stati esponenti del Partito democratico? Sicuro, strasicuro, che il giorno dopo i quotidiani, tutti, avrebbero destinato ampi servizi all’argomento. Garantiti i retroscena. Assicurate le interviste. Questa consuetudine della stampa tempo addietro venne ribattezzata da Walter Veltroni come la tecnica della laparotomia applicata al Pd.

Dalle parti dei democrat nemmeno un sospiro, uno sguardo momentaneamente corrucciato, un battito di ciglia viene trascurato dai giornali. Altrove, perfino le ditate negli occhi spariscono. Sia chiaro, il Pd è generoso di suo con la stampa, terreni di conflitto spuntano quasi ogni giorno e dirigenti di primo, secondo e terzo piano disposti ad alzare la voce non si faticano a trovare. Ma sbaglierebbe chi non notasse una diversità di approccio da parte dei giornali, magari solo perché è più facile trovare nella sinistra gente litigiosa, però è così. E del resto se la seconda deduzione dovesse confermarsi sbagliata se ne ricaverebbe che la stampa

continua ad avere verso la Lega un atteggiamento antiquato, considerandola un movimento folkloristico nelle mani del padre-padrone Umberto Bossi. Quella stessa Lega che dopo l’exploit di aprile (tre milioni di voti, l’8,3% nazionale, poco meno del 20% in Piemonte, Lombardia, Veneto, per la prima volta un parlamentare nelle Marche, cifre ragguardevoli nella “rossa” Emilia…) più d’un commentatore aveva paragonato alla Csu bavarese di Strauss o Stoiber. Se le cose stanno così, se di Csu subalpina trattasi, un conflitto siffatto tra ministro e capogruppo su una materia così qualificante nell’azione di governo non può finire nel cestino. Altrimenti dopo il voto sono state sprecate parole e pagine di giornale.

2martedì 3 febbraio 2009

P R I M O P I A N O

GUELFO FIORE

Cota contro Maroni. Ma per la Lega niente laparotomia

VIP CLIC

L ’ E D I T O R I A L E

ANIELLOFORMISANOSegretario regionaledell’Idv in Campania

La nostra linea politica non cambia. Presenteremo la mozione di sfiducia a Napoli e in Campania. Chi non ci sta si pone fuori dalla linea del partito.

Aniello Formisano, detto Nello, ha ottenuto la piena fiducia del

proprio partito, che nel caso di Italia dei valori vuol dire essenzialmente del suo leader Antonio Di Pietro. Seppure sia stato “retrocesso” da pre-sidente del gruppo misto del senato a semplice deputato con il cambio di legislatura, l’ex esponente di Pci, del-l’Asinello e della Margherita, è torna-to al centro dell’attenzione in qualità di segretario regionale del suo parti-to in Campania. A tirarlo in ballo è stato il suo collega Francesco Barba-to che, al grido di «occorre fare puli-zia nell’Idv», ha accusato un suo as-

sistente di aver «minacciato una nostra collega di partito di cambiare versione su fatti gravi». Niente di più è dato sapere. Formisano ha mes-so perfino sul tavolo le proprie dimissio-ni, prontamente

respinte dal leader Tonino.Nello torna allora a guidare la

battaglia etica del proprio partito, annunciando, dopo il ritiro di tutti gli assessori dalle giunte campane, una mozione di sfiducia contro le giunte Jervolino e Bassolino. Annun-cio che è stato accolto con molta fred-dezza da consiglieri comunali e re-gionali «riottosi» (copyright Fabio Evangelisti), che evidentemente alla poltrona ci tengono eccome. Ma a coprire ancora una volte le spalle del buon Aniello è arrivato Tonino, che ieri al consiglio nazionale di Idv ha tenuto ferma la linea: «Tutti i nostri rappresentanti lasceranno i loro in-carichi e chi non lo farà sarà consi-derato decaduto dal partito».

La strategia dipietrista, però, guarda lontano. Come ha conferma-to Mannheimer sul Corriere di ieri, cavalcare l’onda dell’antipolitica pa-ga. Soprattutto se i competitor storici in questo campo (Berlusconi e la Lega) si spostano su posizioni sem-pre più “governative”. Più che lascia-re, Di Pietro pensa allora a raddop-piare. Non a caso, il leader dell’Idv ha precisato «l’impegno a ricostruire un’alleanza con il Pd» alle ammini-strative a alle politiche. Certo, andare da soli è un obiettivo ancora un po’ troppo arduo. Ad maiora. (r. f. c.)

«La battaglia non fi nisce mai, ma la devo a Franco»La vedova Fortugno sulle condanne all’ergastolo: un segnale per i calabresi

GABRIELLAMONTELEONE

«È un segnale importante. E credo che bisogna ribadirlo perché que-

sto non è un processo celebrato a Milano o Roma, ma a Locri con giudici popolari, del-la zona. E questo dà fiducia ai cittadini e alla giustizia di questa Calabria». Batte e ribatte su questo tasto Maria Grazia Laganà, perché in effetti sono ben pochi i processi che si istruiscono e che arrivano a sentenza quelli che si celebrano in questa regione. Ora almeno la vedova ha in mano un ver-detto che dice che Franco Fortugno è stato ucciso il 16 ottobre del 2005 per mano di Salvatore Ritorto accompagnato sul luogo del delitto – palazzo Nieddu a Locri – da Giuseppe Marcianò mandante dell’omicidio insieme al padre Alessandro. È quanto ha stabilito ieri la corte di assise di Locri pre-sieduta da Olga Tarsia, dopo otto giorni di camera di con-siglio, condannando i tre, insieme a Domenico Audi-no, all’ergastolo. Condanna esemplare per un delitto che ha scosso la Calabria e l’Italia intera e «sconvolto» la vita di Maria Grazia Laganà e dei suoi due figli.

Un delitto politico-mafioso si disse su-bito per l’obiettivo scelto – Fortugno era vi-cepresidente del consiglio regionale calabre-se – e la sede scelta – quella mattina a palaz-zo Nieddu si tenevano le prime primarie della storia repubblicana che avrebbero in-coronato Romano Prodi alla guida del cen-trosinistra.

Sono passati solo poco più di tre anni, ma quel 16 ottobre è lontano. Come la rea-zione, inaspettata in una regione descritta sempre come un “buco nero” che inghiotti-sce tutto anche la speranza, dei giovani ca-labresi che si ribellarono al grido di “E ades-so ammazzateci tutti” di Aldo Pecora. Ma

ieri, nell’aula della corte di assise a Locri, quei giovani non c’erano, quasi a riprova di un destino inesorabile per la Calabria dove a prevalere sono sempre le divisioni fratri-cide, quando manca il sodalizio familistico. La vedova Laganà non ne vorrebbe parlare, «sono successe tante cose in questi tre anni – dice – ma questa è una giornata che dedi-co anche a loro per tutto quello che hanno fatto, così come a tutte le vittime di mafia». Parla invece, tra le tante ricevute, della tele-fonata del presidente Ciampi – «quella che mi ha più commosso» – del presidente Romano Prodi e di Franco Marini, e anche del ministro della giustizia Alfano. Ieri la soddisfazione che ha accolto la sentenza naturalmente è stata unanime. Diversa è stata invece la solidarietà che ha accompa-gnato la vedova Fortugno, ora deputata del Pd, in questi tre anni: «Quella ricevuta il primo anno – racconta – è andata un po’

scemando come forse è anche naturale, anche se chi mi è stato vicino dal primo momento c’è rimasto fino all’ultimo. Quan-to al mio partito: devo dire che oggi in aula non ho registrato altre presenze se non quella di Giuseppe Lumia. In questi anni il mio partito è stato un po’ distratto... forse anche per problemi interni, anche se su queste cose nessuna distrazione può essere ammessa».

La voce di Maria Grazia Laganà arriva stanca dall’altro capo del telefono. Lei piut-tosto si definisce «svuotata» dopo una mat-tinata di tensione che ha lasciato andare scoppiando in lacrime alla lettura delle con-danne inflitte. «Soddisfazione? No, non si

prova nemmeno soddisfazione, ma tanta amarezza perché niente mi potrà restituire Franco». Dall’altra parte c’erano i familiari degli imputati che hanno inveito contro i giudici gridando «venduti». Lei si è appena accorta del trambusto. Ottenuto comunque questo primo importante risultato, Maria Grazia Laganà continua a credere che non è finita qui: «Io sono sempre stata convinta che l’omicidio di Franco non fosse un fatto localistico e dunque chiedo che si accertino, laddove si ritiene che ci siano, altre respon-sabilità». Lo si chiami terzo livello, respon-sabilità politico-mafiose fa lo stesso, purché si vada avanti.

La tenacia a volte anche veemente con cui la vedova ha chiesto in questi anni giu-stizia l’ha vista rivolgersi anche alla Dna di Grasso, «frizioni superate – dice ora – la mia è stata una provocazione dettata dalla voglia di verità». Significativo comunque è che ai mandanti dell’omicidio non sia stata rico-nosciuta l’associazione mafiosa: sono stati ritenuti insomma estranei alla cosca Cordì (mentre Vincenzo Cordì – che aveva scritto una lettera di minacce implicite al pentito Lo Piccolo poi suicidatosi – è stato condan-nato a 12 anni più tre di libertà vigilata). Ma sempre Alessandro e Domenico Marcianò sono coinvolti anche nell’inchiesta di Reg-gio Calabria su presunti intrecci tra politica e ’ndrangheta nella gestione della sanità in quella provincia e nella quale, il 27 gennaio scorso, è stato rinviato a giudizio per con-corso esterno in associazione mafiosa Do-menico Crea insieme al figlio, quel Crea che subentrò a Fortugno in consiglio regionale dopo la sua morte. Un altro filone di inchie-sta per il quale le denunce (inascoltate) di Fortugno sulla malagestione dell’Usl di Lo-cri e dell’ospedale «certamente hanno fatto la loro parte» dice la vedova rappresentata al processo dal professore Guido Calvi: «È una battaglia che non finisce mai, ma lo devo a Franco».

Le telefonate di Ciampi, Prodi e Marini, la distrazione del partito e i ragazzi di Locri: nel giorno del verdetto, parla Grazia Laganà

I funerali di Franco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale calabrese, ucciso il 16 ottobre del 2005 a Locri (foto Agf)

Quanto costa la super neveUn miliardo di sterline. A tanto ammonterebbe, secondo la Federazione delle piccole imprese britanniche, il costo del clima polare che da ieri imperversa sulla Gran Bretagna e che ha già impedito ad almeno un quinto degli inglesi di andare al lavoro.

Le condizioni di Aung Suu KyiIncontrando l’inviato speciale Onu, Gambari, Aung San Suu Kyi ha chiesto che il segretario generale Ban Ki Moon aspetti ad andare in Birmania finché tutti i prigionieri politici non saranno liberati. La leader dell’opposizione dell’Lnd è in carcere da 19 anni.

Nozze di cotone per i SarkozyUna cena a lume di candela. Così Carla e Nicolas hanno festeggiato ieri il primo anno di matrimonio. Per la Bruni anche un’occasione per distrarsi dalle malignità di certa stampa scandalistica, che insinua: con Madame Sarkozy in copertina non ci si guadagna.

Come ti lancio la scarpaIl lancio di scarpe contro i leader continua a fare scuola. A Cambridge è toccato al cinese Wen Jabao riceverne una, atteratagli a un metro di distanza e scagliata da un giovane che gridava allo «scandalo» contro il «dittatore» all’università.

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3martedì 3 febbraio 2009

N E W S A N A L Y S I S

Arriva in aula lo sbarramento al 4%, ultimo catalizzatore dei malumori nel Pd. Che cosa c’è dietro le critiche di Pisanu alla politica di Maroni: una partita interna al Pdl. Dopo l’allarme di Napolitano: perché, e quanto, stiamo diventando un popolo di razzisti.

l copione della riunione dei deputati dem di oggi è tutto

da scrivere («Ognuno attende la mossa dell’altro», sintetizza la prodiana Sandra Zampa) ma alla vigilia ci sono alcuni punti fermi. Primo fra i quali la determinazione con cui il gruppo dirigente intende con-durre in porto la riforma: pro-va ne sia il fuoco di sbarra-mento di ieri, prima con un’in-tervista di Franceschini, poi con le dichiarazioni di Bettini, Fioroni, Tonini, Ceccanti e con le assicurazioni ufficiose che

Veltroni non teme una conta e anzi quasi la evoca, convinto (anche grazie ad un son-daggi Ipsos) che la stragrande mag-gioranza dei suoi elettori voglia pro-seguire con la semplificazione

politica e che perfino una me-tà degli elettori della sinistra non sia contraria.

Prima dell’assemblea si riunirà il coordinamento del Pd per fare il punto. Poi po-trebbe essere Franceschini o Soro a chiedere un voto sulla proposta uscita dal caminetto del 14 gennaio se la discussio-ne evidenziasse insuperabili dissensi. In questo caso, su un plenum di 218 deputati (anche se chiaramente stamane sa-ranno di meno) quante saran-no le mani alzate in segno di dissenso? C’è chi si azzarda a prevedere che i sì sarebbero almeno due terzi. Probabil-mente di più. Ma davvero si vorrà contare, l’area dalemia-na, meglio, l’area di Red? Mi-chele Ventura pensa che «una conta non ci sarà», e altri indi-zi depongono per il no. Alme-no a guardare l’andamento della riunione dei segretari regionali nella quale, sul pun-to, esponenti vicini a D’Alema come il segretario calabrese Marco Minniti e quello tosca-no Andrea Manciulli si sono espressi convintamente a fa-

vore della riforma e (anche col lombardo Maurizio Martina) hanno negato ripercussioni negative sul territorio, che è esattamente una, forse la prin-cipale, delle argomentazioni critiche di D’Alema. Anzi, Manciulli ha sottolineato co-me, in occasione delle prima-rie toscane, i rapporti fra il Pd e le altre formazioni di sinistra siano rimasti intatti e che sul territorio non ci sia quel terre-moto paventato da alcuni.

Dunque, certamente ci sa-rà una discussione ma difficil-mente una spaccatura dram-matica. Per di più, dietro le quinte si lavora ad ipotesi se non proprio di mediazione quantomeno in grado di stem-perare il clima, si preparano emendamenti di gruppo sulla possibilità che il rimborso elettorale non venga collegato agli eletti (dunque al supera-mento della soglia di sbarra-mento) ma ad una certa per-centuale, secondo l’idea affac-ciata da D’Alema nell’intervi-sta di domenica scorsa al Messaggero o sull’abbassamen-to del numero delle firme per presentare le liste.

Secondo i dirigenti vicini a Veltroni, la componente da-lemiana ha sostanzialmente deciso da un lato di rendere ufficiale che al congresso con-trapporrà Bersani al segretario attuale e dall’altro di stipulare una tregua seppure armata con il segretario e Franceschi-ni, seppure in un quadro di crescente disagio, e se questo è vero non avrebbe senso rom-pere su una questione come la legge elettorale.

Nel pomeriggio poi co-mincerà a Montecitorio l’esa-me della legge. I radicali cer-cano le 30 firme previste dal regolamento perché si voti a scrutinio segreto: e i franchi tiratori non sarebbero pochi, pronti ad unire i loro no a quelli che si paleseranno nelle prossime ore, dagli stessi pan-nelliani ai dissidenti di en-trambi i campi.

Dire che puntano a liquida-re l’alleanza del Pdl con la

Lega è una forzatura, ma dire che per ora si propongono di riprofilarla è un dato di fatto. Se il Pdl come partito unico anco-ra non c’è, le sue prime corren-ti invece sono in via di rapida formazione. E come temeva Berlusconi, che vede nell’orga-nizzarsi di gruppi interni al Pdl – anche attraverso le preferenze che lui vorrebbe estirpare a 360 gradi, dalle europee alle regio-nali – un fattore di destabilizza-zione del partito unico e dell’al-leanza, i primi sintomi del male corrosivo dentro la mag-gioranza sono già esplosi.

Il duro attacco di Beppe Pi-sanu, ex ministro dell’interno forzista ora presidente dell’an-timafia al partito di Bossi che fa politica «con l’orecchio teso alle voci delle osterie della Bassa padana» non è isolata nel Pdl. Nel Pdl le acque si stanno muo-vendo e l’onda è ripartita dal-

l’area cattolica. L’al-leato e il punto di riferimento orga-nizzativo forte del-l’ex dc Pisanu è Roberto Formigo-ni, ex dc anche lui, il governatore ciel-lino della Lombar-dia che all’ultimo consiglio naziona-

le di Forza Italia ha lanciato un’aperta sfida alla Lega invo-cando quel rapporto «più com-petitivo» tra Pdl e Bossi che ha fatto venire i brividi al Cavalie-re. È nell’asse Pisanu-Formigo-ni, col governatore nel ruolo di aspirante successore del Cava-liere, il nocciolo duro della cor-rente cattolica che intende op-porsi all’ascesa nel Pdl del tec-nocrate ex socialista Tremonti.

La minaccia della Lega, che alle amministrative di giugno rischia di travolgere elettoral-mente come un’uragano il Pdl e di assumere il definitivo con-trollo del nord, aumentando il suo potere sul governo che tie-ne in piedi con i suoi voti deter-minanti alla camera e al senato,

ha fatto scattare l’allarme e le contromisure. Perché Silvio Berlusconi, come ha detto sen-za mezzi termini Pisanu al Cor-riere della Sera «subisce il peso condizionante della Lega».

In Sardegna, dove la Lega non c’è e viceversa l’Udc è allea-ta, Pisanu e Formigoni hanno sperimentato a loro spese che ai catto-pdl marciare divisi non conviene. Sia il candidato del primo che del secondo a gover-natore, il sindaco Floris e il ciel-lino La Spisa, sono stati spazza-ti via dal protégée del Cavaliere, Cappellacci. Il patto, ora, è coor-dinarsi ovunque possibile.

L’intesa con l’Udc, che la Lega vorrebbe sfrattare dalle alleanze locali del centrodestra, è uno dei punti fermi del duo, al fine di controbilanciare il Carroccio. Mentre sul versante interno del nuovo Pdl, Pisanu e Formigoni molto si attendono da An, in particolare da Ale-manno: l’attuale sindaco di Ro-ma è il loro vero interlocutore privilegiato. Perché sì, Fini è in prima fila a difendere i principi dell’integrazione, della lotta al razzismo e alle discriminazio-ni, il diritto di voto agli immi-grati. Ma il leader di An declina questi temi con accenti “laici-sti”: e dai suoi tre sì ai referen-dum sulla fecondazione assisti-ta fino alle critiche a Pio XI sulle leggi razziali spesso colpi-sce duro Vaticano e Chiesa.

Alemanno no. S’è dimesso da vicepresidente di An in po-lemica con Fini all’epoca dei referendum, ha un solido rap-porto con Formigoni (sua mo-glie Isabella Rauti è di Cl) e i principi della dottrina sociale della Chiesa permeano il pon-deroso documento presentato al recente convegno alemannia-no sul “Futuro delle identità” in vista della nascita del Pdl: dal federalismo che «deve rigene-rare l’unità nazionale» ai richia-mi alla famiglia, al valore della vita, al principio della sussidia-rietà. Che Berlusconi lo voglia o no le grandi manovre, nel Pdl, sono già cominciate.

Povero e straniero. Bruciando Singh Navte, trentacinquen-

ne indiano ridotto quasi in fin di vita da un gruppo di ragazzi a Nettuno nella notte fra sabato e domenica, il branco in cerca di emozioni forti si è scatenato su una marginalità doppia. E non c’è bisogno di schierarsi fra chi spinge sul tasto del razzismo brutale e chi invece minimizza (a destra va molto la crisi dei valori), per rendersi conto che l’Italia attraversata dalla crisi, e sempre più spaventata, attacca ciò che vede come diverso e per-

cepisce come più debole. In un clima che per gli immi-grati si fa sempre più pesante e certo i casi di cronaca non aiutano l’opi-nione pubblica a essere meno emo-tiva. Come del resto evidenzia la (scon-

certante) sequela di insulti (di ogni tipo: non mancano la miso-ginia e le minacce) che si è presa on line la deputata radicale Rita Bernardini, “colpevole” di aver visitato in carcere gli stupratori di Guidonia e di aver denunciato gli abusi a cui sono stati sottopo-sti.

Un clima tale che il presi-dente della repubblica lancia un allarme: «Siamo di fronte a epi-sodi raccapriccianti che vanno ormai considerati non come fat-ti isolati ma come sintomi allar-manti di tendenze diffuse che sono purtroppo venute crescen-do», dice Napolitano, invitando a «fermare qualsisi manifesta-zione e rischio di xenofobia, raz-zismo e violenza». Condanne arrivano anche dal presidente della camera Fini («gravissimo episodio di violenza razzista») e da quello della camera Schifani, che ieri è andato a trovare Sin-ght. E dalle colonne del Corriere della Sera, un’ex ministro dell’in-terno, Giuseppe Pisanu, smonta uno a uno i pilastri della politica leghista sull’immigrazione e nel-lo specifico il suo fondamento, l’identificazione con la sicurezza.

Un lettura apprezzata dal Pd. Non da Maroni che, fedele al-l’immagine del ministro che non perdona, gli dà del buonista e ribatte: «Per contrastare i clande-stini bisogna essere cattivi».

Massimo Livi Bacci, demo-grafo esperto di immigrazione e senatore dem, spiega che Napo-litano registra un vento che spi-ra: «A prescindere dallo specifico episodio, ciò che è accaduto do-menica è sintomatico e s’inseri-sce in forme di xenofobia stri-sciante che stanno crescendo e che sono sempre più riscontra-bili». E del resto «ci troviamo di fronte una parte consistente del centrodestra che ha fatto della paura un’arma politica e che vede l’immigrazione solo in ter-mini di sicurezza. La Lega, a cui il governo ha appaltato la que-stione, tiene acceso il fuoco del-l’intolleranza». Ma il nodo delle migrazioni va affrontato in tut-t’altro modo, e nella maggioran-za «temo siano pochi a pensarla come Pisanu». Fatti come quelli di Guidonia, nota Livi Bacci, «in-dicano che un problema esiste. Ma «il punto non è forzare i giu-dici sull’interpretazione della legge, ma eventualmente correg-gerla». E, per esempio, fare una politica che faciliti l’ingresso di stranieri con famiglia e con un progetto migratorio di lungo pe-riodo, rispetto a chi ragiona a breve: giovani, sradicati e più esposti al conflitto. Per Giuseppe Sciortino, docente di sociologia all’università di Trento, con i fat-ti di Nettuno il razzismo non c’entra: «Io ci vedo più una logi-ca da branco». Ed è difficile «ca-pire se gli episodi a matrice raz-zista in Italia siano in aumento, non ci sono dati certi». Piuttosto c’è un clima, facilitato da alcuni proclami «che rendono certi sog-getti ancora più deboli, esponen-doli a chi va a caccia di provoca-zioni o peggio». Ma, avverte, l’insicurezza più grande «deriva dal contrasto fra i proclami e il fatto che nulla cambia. La Lega enuncia una tolleranza zero sul-la quale, nei fatti, non riesce ad essere conseguente».

Perché il dissenso non diventa rottura

Chi sono i catto-Pdl corrente anti Lega

Il branco frustratoe il nuovo razzismo

FRANCESCO LO SARDO FABRIZIA BAGOZZI

Stamane riunione del gruppo Pd, poi la legge elettorale va in aula

Dietro Pisanu Formigoni e l’An post-Fini di Alemanno. Che guardanoanche all’Udc

Il capo dello stato lancia l’allarme. Parlano Livi Bacci e Sciortino

MARIO LAVIA

Page 4: Europa del 3 feb

4martedì 3 febbraio 2009

NETWORK

GIANCLAUDIOBRESSAvicepresidente dei deputatidel Partito democratico

Per le politiche di immigrazione il governo dimostra non tanto di avere la faccia feroce ma la faccia ridicola.

ANDREAORLANDOportavocedel Partito democratico

Possiamo dire di tutto sul presidente del consiglio tranne che sia privo di fantasia.

PIERLUIGIBERSANIministro ombradell’economia

Sulla crisi le chiacchiere del governo sono sempre più consistenti e i fatti sempre meno reali.

L A P A G I N A D E M

Agendaper segnalare gli appuntamenti:

[email protected] / fax 06.45401041

3 febbraioRomaCINEMA

Oltre il cinema. Contro la privatizzazione del sapere, la cultura è un bene comune: è il titolo del seminario promosso dal Pd all’ex Hotel Bologna. Vittoria Franco e Vincenzo Vita illustrano le proposte per una riforma sul cinema. Interviene Vincenzo Cerami, conclude Anna Finocchiaro. Presenti, tra gli altri Barbagallo, Battisti, Bignardi, Brai, Catini, Cicutto, Conforti, Conti, Corsi, De Biasi, De Paolis, Francesconi, Ghini, Giambrone, Giulietti, Giustini, Greco, Lizzani, Lucisano, Manna, Maselli, Matarazzo, Purgatori, Rusconi, Scola, Signetto, Sovena, Tozzi.ORE 9 - VIA SANTA CHIARA

RomaFANFANI

Amintore Fanfani e la politica estera italiana: apertura alla Farnesina del

convegno promosso dal Comitato nazionale per il Centenario di Fanfani, con il cardinale Achille Silvestrini, Cesare Mirabelli. Mercoledì Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Massimo D’Alema, Gianni De Michelis e Lamberto Dini partecipano alla tavola rotonda conclusiva del convegno alle ore 17 presso la sala del Cenacolo in vicolo Valdina.ORE 9,45

4 febbraioRomaFEDERALISMO

Gianfranco Fini, Roberto Calderoli, Giuliano Amato, Francesco Paolo Casavola e Massimo D’Alema partecipano alla discussione sul tema Verso il Federalismo organizzata dalla Fondazione ItalianieuropeiORE 10 - ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA

RUDY FRANCESCOCALVO

Centotremila votanti per scegliere 34 candidati a sindaco e tre a presiden-

te della provincia. Le primarie toscane che si sono svolte domenica hanno fatto registrare un successo inatteso, «una grande prova per il Pd e per tutta la coa-lizione», come le ha definite Andrea Manciulli. La partecipazione, infatti, è stata di circa il 30 per cento più alta ri-spetto a quella fatta segnare il 14 ottobre 2007, alla nascita del nuovo partito, e in alcuni comuni l’affluenza è addirittura raddoppiata. Un buon risultato, se si tiene conto che in molte di queste realtà si sono svolte primarie riservate ai soli candidati del Pd, mentre nelle tre realtà provinciali e in altri comuni la competi-zione interessava l’intera coalizione di centrosinistra.

Il segretario regionale dei Democra-tici ha sottolineato «il clima di confronto sereno e pacato che si è visto un po’ dappertutto», evidenziando che «questa tornata di primarie è la prova che un

ruolo del partito e la partecipazione dei cittadini possono coesistere. È su questa strada che dobbiamo lavorare per co-struire e rafforzare il nostro partito». Anche il vicepresidente del senato Van-nino Chiti ha letto nell’alta affluenza ai seggi «una bella lezione di democrazia» e, pur sottolineando che «sulla base del-le esperienze, occorrerà mettere meglio a fuoco le regole», si augura che «le pri-marie divengano la via normale per de-signare i nostri candidati alle cariche più significative nelle istituzioni: sindaco, presidente di provincia e di regione, pre-sidente del consiglio».

Le primarie, insomma, anche (e for-se soprattutto) quando sono aperte a ogni risultato, accendono l’interesse dei citta-dini. Lo si è visto, ad esempio, nel caso di Pistoia, con un derby tutto al femmi-nile interno al partito tra Federica Frato-ni (sostenuta dai dirigenti cittadini del Pd) e Cecilia Turco (vicina alla segretaria provinciale del partito e appoggiata an-che dalla componente A sinistra), con Daniela Gai (proveniente dal mondo del-le associazioni) a fare da terzo incomodo.

I circa 18mila elettori che si sono recati alle urne hanno scelto Fratoni con il 44 per cento dei voti, mentre Turco si è fermata a quota 39. Il candidato del cen-trosinistra per la provincia di Siena sarà invece Simone Bezzini, mentre ad Arez-zo la coalizione sosterrà Roberto Vasai.

Lo scontro con la sinistra radicale che deriva dalla possibile introduzione di uno sbarramento al 4 per cento nella legge elettorale per le europee non ha portato conseguenze nella partecipazio-ne di quei partiti alle primarie di coali-zione già svolte. Altre competizioni, so-prattutto in Umbria, sono state per il momento “congelate”, ma il responsabi-le enti locali del Pd Paolo Fontanelli con-fida in una rapida soluzione per poter proseguire nel percorso intrapreso.

Il 15 febbraio, sempre in Toscana, toccherà ai cittadini fiorentini recarsi alle urne per scegliere il candidato a sin-daco (con probabile ballottaggio la dome-nica successiva). Lo stesso giorno, le primarie interesseranno anche la provin-cia del capoluogo e quelle di Prato e Grosseto.

Toscana, molti votanti al primo round di primarieCittadini alle urne in 3 province e 34 comuni. Aspettando Firenze

La sindrome di TafazziTafazzismo. Non so spiegarmi diversamente la polemica sullo sbarramento al 4% alle europee. Che protestino i partitucoli di infima rappresentanza lo capisco ma che anche D’Alema senta il dovere di parteggiare per loro mi fa indispettire. Non mi pare che D’Alema debba sostenere le ragioni dei Mastella e dei Ferrero per fare nuovamente una coalizione perdente. GMBRICK

Bersani si faccia avantiSpero che Bersani si candidi alla segreteria, che lo faccia con un progetto alternativo a quello di Veltroni, così vedrà che la sua forza nel partito è limitata al solo ceto politico e che la grande maggioranza degli elettori del Pd è stanca dei giochetti, degli sgambetti, delle polemiche a cui Bersani e D’Alema ci stanno impegnando da mesi. Berlusconi ringrazia. NOMOS

Telefonarsi, no?Ancora una volta D’Alema e Veltroni dialogano, si fa per dire, attraverso i giornali. Così D’Alema chiede a Veltroni di ripensarci sulla legge elettorale. Non potrebbero telefonarsi? Quanto altro male dobbiamo farci? Non voglio il partito con il pensiero unico, come il Pdl, ma visto che siamo in crisi di consensi forse un po’ di riservatezza non guasterebbe. PAMAFRA

Nel Pd troppi leaderSe il Pd vuole tornare nel cuore e nella testa delle persone deve promuovere un solo leader e questo deve essere forte e autorevole. Se non facciamo emergere e se non diamo visibilità ad un leader saremo sempre punto e a capo. Altri partiti insegnano, dal Pdl ai Democratici Usa. Troppe facce nel Pd oggi. ALE.ITALY

(www.partitodemocratico. gruppi.ilcannocchiale.it)

Basta masochismo, il leader è uno

CANALE 890 DI SKYCANALE 813 DI SKY

MARTEDÌ 3 FEBBRAIO 2009

10.00 OGGI con Piero Vizzani

e Fabio Martini

11.00 .DEM in studio Tiziano Treu

e Felicia Masocco

12.00 AROUNDYOU

12.30 MONDO - Rassegna stampa estera

12.40 LA BORSA E LA VITA Economia

18.15 .DEM in studio Carlo Bonini

20.00 100 SECONDI

21.30 MOLESKINE Appunti di viaggio

con M. Carlino,

J.L. Touadi e J.B. Onama

IN BREVE

In vista della conferenza programmatica che si terrà a Milano dal 16 al 18 aprile, Goffredo Bettini ha chiarito che essa avrà un duplice fine: «Elaborare l’ispirazione di fondo del Pd in tempi lunghi e intervenire con indirizzi concreti nella situazione dell’Italia di oggi». Sul primo versante si «affronterà il tema dell’identità culturale del partito», mentre sul secondo si indicherà «una via per uscire dalla spaventosa e sottovalutata crisi economica». Nell’organizzazione dell’evento sarà dato spazio alla periferia: «Le assemblee regionali eleggeranno le delegazioni e filtreranno i contributi e le opinioni alternative proposte dai circoli», ha sottolineato il coordinatore politico del Pd. Anche le fondazioni della galassia dem saranno parte attiva organizzando, in vista della conferenza, una serie di appuntamenti tematici: «Italianieuropei preparerà un convegno sull’Europa, il Cesp uno sulla crescita e le proposte anticrisi, i Democratici in rete uno sulla forma-partito. Infine ci sarà un’assemblea delle donne». Bettini, al termine della riunione con i segretari regionali che si è svolta ieri, ha sottolineato che «tutti hanno condiviso l’impostazione che stiamo dando alla conferenza». Il documento («leggibile, di 15-20 cartelle») e il regolamento saranno discussi in una riunione della direzione entro febbraio.

CONFERENZA PROGRAMMATICA

Bettini traccia il percorso

MARTEDÌ 3 FEBBRAIO 2009

7.35 STAMPA E REGIME

10.10 MORNING SHOW

10.20 REDazione con C. Geloni

11.45 FINIMONDO

14.05 RIGHTS

15.15 LA ZONA BUIA

16.30 GLOBAL WATCH

19.15 TITOLI

21.00 GIORNATA ITALIANA

21.30 EUROPA OCCIDENTE

23.15 JAZZLIFE

23.45 MUSIC IN RED

Page 5: Europa del 3 feb

GIANNIDEL VECCHIO

La Lega ha una faccia buona e una cattiva. Una di lotta e

una di governo, come fu Rifon-dazione comunista durante il governo Prodi. La faccia buona è quella di Roberto Maroni, ed è tutto dire. Il ministro dell’in-terno, in un’intervista al Gior-nale, s’è schierato senza mezzi termini contro i disoccupati inglesi di Grimsby, che anche ieri hanno protestato duramen-te per la scelta della Total di affidare l’appalto all’azienda si-ciliana Irem. La faccia cattiva invece è quella del capogruppo alla camera, Roberto Cota, che in un’intervista parallela alla Stampa s’è detto pienamente d’accordo con gli operai inglesi, travolti da una globalizzazione selvaggia e senza regole. In-somma, ora è Grimsby ma do-mani potrebbe anche toccare a Treviso. Quindi bisogna adotta-re la stessa logica: moratoria sui flussi migratori e sospen-sione degli accordi di Schen-gen.

Due linee diverse, quindi. Fra le quali quella che più rap-presenta la pancia leghista cer-tamente non è quella istituzio-nale di Maroni. Basta fare un giro di telefonate con i parla-mentari padani, che la solida-rietà verso i lavoratori inglesi trabocca naturalmente. «Capi-sco la protesta degli inglesi, del resto in Italia avremmo fatto lo stesso – dice il deputato lom-bardo Claudio D’Amico –. Non è corretto, ad esempio, che gli stranieri continuino ad arrivare nel nostro paese per cercare lavoro quando gli italiani lo per-dono, bisognerebbe bloccare i flussi». Un blocco che per i le-ghisti dovrebbe riguardare an-che i lavoratori comunitari, in barba alla Ue e al mercato uni-co. «Le regole stabilite a Bruxel-les non sono oro colato, i tempi sono cambiati, bisogna comin-

ciare a ragionare su di una mo-difica sostanziale», suggerisce D’Amico. Stessa musica a sen-tire Luciano Dussin, vicecapo-gruppo alla camera e parlamen-tare veneto, di quel Veneto che secondo Cota potrebbe essere la Grimsby italiana. «Nella mia

regione si vive in tempo reale l’impatto della crisi sull’econo-mia – spiega Dussin –. I primi a chiudere sono stati quegli ar-tigiani che lavorano per conto terzi, ora il contagio si sta espandendo ai laboratori arti-gianali, alle aziende del tessile

e delle calzature. Quindi com-prendo quello che provano gli operai inglesi. E penso sia nor-male, visti questi chiari di luna, che i governi pensino a proteg-gere i propri lavoratori». Prin-cipale imputata la globalizza-zione. «Basta con un mercato

selvaggio del lavoro – conclude Dussin – c’è bisogno di regole dure verso l’ingresso di immi-grati. E non per razzismo ma esclusivamente per proteggere le conquiste sociali e i diritti per i quali i lavoratori si sono sem-pre battuti». Una posizione questa che trova una insperata sponda negli ambienti di Bru-xelles, soprattutto in campo avverso. Per Poul Rasmussen, leader del Partito socialista eu-ropeo, è tutta colpa della tigre della globalizzazione e del-l’iperliberismo praticato da Bar-roso e compagni. «Gli scioperi in Gran Bretagna sono l’ultimo esempio della frustrazione e della paura crescente dei lavo-ratori. Stanno cominciando a contestare la libera circolazione perché una commissione euro-pea liberista ha permesso che questa venga usata per modifi-care in peggio i salari e le con-dizioni di lavoro».

L’inedito asse Lega-Pse ha provocato la reazione stizzita di diversi esponenti del governo italiano e della sua maggioran-za, in particolare quelli da sem-pre su posizioni liberal. I mini-stri Sacconi, Frattini, Matteoli e Prestigiacomo, l’ex radicale Della Vedova e l’ex socialista Boniver. Tutti concordi nel di-fendere la libertà di circolazio-ne nell’Unione europea, princi-pio fondativo della stessa istitu-zione comunitaria. Certo è che la voce dissonante della Lega corre il rischio di essere una mina vagante per l’unità del-l’azione di governo, come del resto lo è stato nel recente pas-sato sul nodo della tassa sugli immigrati.

La questione infine è stata anche oggetto di un incontro fra il sottosegretario Letta e l’ambasciatore inglese a Roma Chaplin, con quest’ultimo che ha confermato la linea Brown di condanna degli scioperi, par-lando di «rapporti splendidi» con l’Italia.

RAFFAELLACASCIOLI

Messo a dura prova in questi anni dalla tentazio-ne dilagante di accordi regionali o di area, il

multilateralismo commerciale è arrivato all’appun-tamento con la crisi con le pile scariche.

Convocato senza troppa convinzione in fretta e furia dopo gli attentati alle torri gemelle, il Doha Round, avviato nel novembre del 2001 in Qatar, ha conosciuto alterne fortune. Lanciato dopo sette anni dalla conclusione dell’Uruguay Round che ha porta-to alla costituzione della World Trade Organization, il nuovo ciclo di negoziati multilaterali ha conosciu-to fin dall’inizio più di un ostacolo al punto da trasci-narsi stancamente nel totale (o quasi) disinteresse dei principali governi che avrebbero dovuto impe-gnarsi invece a proseguire lungo la strada della libe-ralizzazione degli scambi. Una via che negli ultimi quindici anni ha contributo a stimolare fortemente l’economia mondiale portando fra l’altro alla riduzio-ne dei costi commerciali. Non è stato così. Appena pochi mesi fa il presidente della Wto ha dovuto prendere atto di non poter convocare una riunione per l’assenza di una posizione chiara degli americani paralizzati tra le due amministrazioni. Non si sa ancora quale sarà l’orientamento di Obama anche se il Buy American, contenuto nel piano anticrisi Usa, non lascia ben sperare per il futuro; ieri a mettere in guardia dall’imboccare una strada senza ritorno è stato il presidente della Fed di Dallas Fisher che ha definito il protezionismo «il crack dell’economia, una dro-ga che dà alla testa e porta alla morte economica». Fino-ra al centro della paralisi dei negoziati multilaterali non c’è stato solo lo scontro tra i paesi del nord e del sud del mondo, ma anche e soprat-tutto le forti divisioni tra i paesi più industrializzati.

Le tentazioni protezioni-stiche nelle quali in diverse occasioni è inciampata la precedente amministrazione americana non sono andate più in là del tentativo, più o meno riuscito, di far prevalere gli egoismi nazionalistici. La crisi, però, scombina le carte in tavola e potrebbe far pendere o per il protezionismo o per una nuova ondata di libe-ralizzazione degli scambi. Non c’è dubbio che dalla crisi si può uscire solo rilanciando i negoziati multi-laterali e riavviando l’economia mondiale con un forte incremento degli scambi commerciali, abbat-tendo dazi, barriere tariffarie e sussidi per prodotti agricoli e industriali. Tuttavia, il pressing esercitato dai ministri del commercio a Davos e sostanziato con l’appello del presidente della Wto Lamy secondo cui il libero mercato è parte «urgente e integrale del pacchetto anticrisi» non è andato al di là della dichia-razione d’intenti. Il rischio di un ritorno al protezio-nismo perfino all’interno dell’Ue diventa giorno dopo giorno sempre più tangibile al punto che lo sciopero dei lavoratori inglesi contro gli italiani in una raffi-neria del Lincolnshire rischia di essere solo la punta di un iceberg. Eppure la libera circolazione dei lavo-ratori nell’Ue così come la creazione del mercato interno finora hanno garantito nuova occupazione.

Preoccupa la non tempestiva reazione della Com-missione europea che solo ieri ha trovato la forza per sostenere il primo ministro britannico Brown nel definire indifendibili gli scioperi contro gli italiani. Bruxelles ha fatto sapere che si illude chi ritiene che i posti di lavoro siano messi a repentaglio dall’aper-tura del mercato europeo. Non c’è dubbio che oggi i lavoratori inglesi siano più preoccupati dei colleghi europei: non solo perché la Gran Bretagna avverte prima degli altri la crisi, ma anche perché scopre di non poter contare su un’industria forte né sull’om-brello della sterlina. Non è un caso che ieri l’euro-commissario Almunia abbia definito “alta” la possi-bilità che la Gran Bretagna entri nell’euro. Rinnega-re il mercato interno significa però minare alla base il comodo scudo dell’euro che ha tenuto al riparo dalla crisi tanti paesi, a cominciare dall’Italia.

Ma rilanciare i negoziati multilaterali fi nora è solo un esercizio di stile

FILIPPO SENSI

Piove, anzi nevica su Gordon Brown. La bufera che ha paralizzato Heathrow e

messo in ginocchio Londra non è nulla ri-spetto alla tormenta che flagella il consenso verso il primo ministro britannico. Roba da era glaciale ormai il giudizio positivo che Gordon si era guadagnato nei giorni più bui della crisi finanziaria, quando pareva il ca-pitano Aubrey di Master and Commander alle prese con le procelle dei mercati. Ieri l’Independent scodellava le cifre dell’ultimo “sondaggio dei sondaggi”, colando a picco ogni velleità di ripresa da parte di Brown. A vuoto, almeno finora, anche le operazioni di soccorso e recupero da parte della vecchia guardia blairiana, arruolata da Peter Man-delson in giù a tentare di rianimare la boc-cheggiante maggioranza laburista.

E il paradosso è che a mordere di più sia proprio la situazione economica, per anni punto forte dell’attuale premier, pri-ma di trasferirsi dall’11 (il suo indirizzo da cancelliere) al 10 di Downing street. Su quelle credenziali Brown aveva di recente fondato la sua controffensiva nei confron-ti del conservatore David Cameron, un peso troppo leggero per uscire dalla tem-

pesta finanziaria globale. Sembrava quasi funzionasse, e invece.

Prendete Davos, ad esempio. La setti-mana scorsa i due hanno incrociato – a di-stanza – le lame al World Economic Forum. Sembrava una passeggiata per Gordon che, al solito, sulla crisi economica sprizzava gravitas. Fin troppa, però, tanto che il suo robusto intervento ha finito per fare plof nello stagno alpino, mentre l’assai più ge-nerico appello di Dave a moralizzare il ca-

pitalismo, alla fine, è suonato meno ostico alle orecchie delle classi medie e dei disoc-cupati britannici.

Oppure le proteste contro la nostra Irem, che hanno fatto il giro di Europa. Una beffa per chi a lungo è stato considerato come l’architetto del New Labour sentire le proprie parole sui “posti di lavoro britanni-ci per lavoratori britannici” trasformate nel mantra dello sciopero contro gli italiani. Ai conservatori è bastato etichettare i goffi

sforzi del premier come parte del problema, piuttosto che la sua soluzione. Così, anni di ottimismo nei confronti della globalizzazio-ne, vero e proprio marchio di fabbrica dei laburisti al governo, sono evaporati tra im-barazzi e retromarce.

Tanto che gli spin-doctor di Brown han-no spedito Mandelson in tv a difendere l’onore del governo e a spiegare che lungi dall’esecutivo qualsivoglia tentazione pro-tezionistica. Peggio mi sento; la giornata di

ieri è trascorsa tra chiari-menti e promesse che, nel caso avessero bisogno di nuovo personale, gli italia-ni ricorreranno alla forza-lavoro britannica. Avanzi c’è posto, insomma.

Intanto i tabloid, tanto per cambiare, martellavano sulla comples-sità della normativa Ue in materia di mer-cato del lavoro. «È solo il primo sbuffo di fumo del vulcano», rifletteva minaccioso l’eurofobo Sun. Col duplice effetto di servi-re gratis ai conservatori l’opportunità di fare una bella figura internazionale, colla difesa d’ufficio della libera circolazione, portando per di più all’incasso a casa i mu-gugni contro l’ennesima gaffe di Brown.

Paga, dunque, la presa di distanza dagli

anni della Thatcher che Cameron si appun-ta come una medaglia di quanto siano cam-biati nel frattempo i tories. Lontana l’epoca liberista della Lady di ferro, Dave mostra agli elettori il volto fresco di un capitalismo ben temperato da “responsabilità sociale” e “bussola morale”. Niente male per un par-tito considerato ancora radioattivo dagli elettori fino a pochi mesi fa.

E come sberleffo il leader conservatore si è preso la licenza di mettere in dubbio la capacità di far di conto del premier, con un nuovo spot sul fallimento del governo nella matematica insegnata nelle scuole del re-gno. «Gli studenti coi voti peggiori perde-ranno i migliori posti di lavoro» era la ram-pogna del ministro-ombra all’istruzione Michael Gove. Come a dire, non siete capa-ci a difendere il posto di lavoro degli operai e non avete una strategia per qualificare le professionalità di domani. Un disastro.

L’unico prodotto degli anni del New Labour che ancora tira sui mercati inter-nazionali sembra rimasto David Beckham. Forse, invece che richiamare Alastair Campbell – prossimamente sugli schermi della Bbc per un reality – Capitan Gordon avrebbe fatto meglio a tenere in squadra il centrocampista posh. Poi vagli a dare del protezionista.

Cameron gioca al capitalista responsabile. Brown nell’angoloLONDRA ■ IL PREMIER CROLLA NEI SONDAGGI, PER I TORIES PAGA LA SCELTA DI PRENDERE LE DISTANZE DAGLI ANNI DELLA THATCHER

La pancia leghista trova una sponda inattesa nel Pse

I lumbàrd strizzano l’occhio

a Grimsby

La protesta anti-italiana dei lavoratori inglesi a Grimsby (foto Ansa)

5martedì 3 febbraio 2009

P R I M O P I A N O

Per il leader dei socialisti europei, Poul Rasmussen, le tensioni sociali

sono tutta colpa dell’eccesso liberista che ha spinto i salari verso il basso.

Ma Sacconi e Frattini difendono la libera circolazione.

Anni di ottimismo sulla globalizzazione, marchio di fabbrica del Labour al governo, sono evaporati tra imbarazzi e retromarce

Barack Obama ha detto di sperare che il pacchetto di stimoli all’economia americana da oltre 800 miliardi di dollari – da ieri in discussione al senato dopo l’approvazione alla camera – venga approvato «entro le prossime due settimane». Il presidente si è detto fiducioso che «piccole differenze» di vedute tra democratici e repubblicani non

interferiranno sull’approvazione del pacchetto. Ma il capogruppo dei repubblicani al senato, Mitch McConnell, ha chiesto di eliminare la clausola “buy american” dallo stimulus bill. Nella versione approvata dalla camera, la norma prevede che le opere pubbliche finanziate dal piano siano costruite ricorrendo solo a ferro e acciaio di provenienza Usa. Nella

versione giunta in senato, però, la restrizione vale per tutti i prodotti industriali, e McConnell ha espresso timore per le reazioni che una simile misura può scatenare nei partner commerciali. Proprio ieri il ministro del commercio canadese ha avvertito che iniziative protezioniste da parte degli Usa «non potrebbero che portare a delle ritorsioni».

USA ■ Obama: il pacchetto di stimoli approvato in 2 settimane. I repubblicani: via la clausola “buy american”

Doha è l’unico argine

al protezionismo

Page 6: Europa del 3 feb

6mercoledì 5 maggio 2007

P R I M O P I A N O

Questo è un testo finto. Duro, segnato, praticamente il numero 1. L’appuntamento è stasera al tramonto, ci si vedrà noi 2 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 3ccani. Il

primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 4 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male. “5 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, statale 6, un casino pazzesco”.

Questo è un testo finto duro, segnato

Questo è un testo finto. Duro, segnato, praticamente il numero 1. L’appuntamento è stasera al tramonto, ci si vedrà noi 2 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 3ccani. Il

primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 4 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male. “5 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, statale 6, un casino pazzesco”.

Questo è un testo finto duro, segnato

NOMECOGNOME

Questo è un testo finto. Duro, segnato, praticamente il numero 1. L’appun-

tamento è stasera al tramonto, ci si vedrà noi 2 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 3ccani. Il primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 4 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchio-stro andato a male. “5 minuti!” mmh. “Ritardo...”.

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Forse in 10 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di rimorso, 11 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 12 soli, piccolo bar semivuo-to, osceno cartello pubblicità birra 13cca-ni. Il primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 14 passi, il suo odore è fortis-simo, d’inchiostro andato a male.

Testo per il titolino su una riga“15 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah,

ecco... scusa, statale 16, un casino pazze-sco”. Mi guarda, gli occhi liquidi, sbatte 17 volte le palpebre con mossa innaturale, quasi illogica. 18 volante dell’umore mio, cane fetido e rabbioso, ora ha 19 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. In 20 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di rimorso, 21 anni di mancan-za d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 22 soli, piccolo bar semivuoto, osce-no cartello pubblicità birra 23ccani. Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 24 passi, il suo odore è fortissimo, d’in-chiostro andato a male. “25 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, sta-tale 26, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli occhi liquidi, sbatte 27 volte le palpebre con mossa innaturale, quasi illogica. 28 volante dell’umore mio, cane fetido e rab-

bioso, ora ha 29 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. Forse in 30 città diver-se abbandonati, cani umani bruciano di rimorso, 31 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 32 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 33ccani.

Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 34 passi, il suo odore è fortissi-mo, d’inchiostro andato a male.

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no cartello pubblicità birra 43ccani. Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 44 passi, il suo odore è fortissimo, d’in-chiostro andato a male. “45 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, sta-tale 46, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli occhi liquidi, sbatte 47 volte le palpebre con mossa innaturale, quasi illogica. 48 volante dell’umore mio, cane fetido e rab-bioso, ora ha 49 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. Forse in 50 città diver-se abbandonati, cani umani bruciano di rimorso, 51 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 52 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 53ccani. Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 54 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male. “55 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, statale 56, un casino pazzesco “15 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, statale 16, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli occhi liquidi, sbatte 17 volte le palpebre con mossa in-naturale, quasi illogica. 18 volante del-l’umore mio, cane fetido e rabbioso, ora ha 19 piccoli bastardi perduti, venduti o

NOMECOGNOME

Questo è un testo finto. Du-ro, segnato, praticamente

il numero 1. L’appuntamento è stasera al tramonto, ci si vedrà noi 2 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 3ccani. Il primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 4 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male. “5 minuti!” mmh. “Ritardo...”.

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Forse in 10 città diverse ab-bandonati, cani umani bruciano di rimorso, 11 anni di mancanza

d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 12 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pub-blicità birra 13ccani. Il primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 14 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male.

Testo per il titolino su una riga

“15 minu-ti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, statale 16, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli oc-chi liquidi, sbatte 17 volte le palpebre con mossa innaturale, quasi il-logica. 18 volante dell’umore mio, cane fetido e rabbioso, ora ha 19 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. In 20 città

diverse abbandonati, cani uma-ni bruciano di rimorso, 21 anni di mancanza d’affetto colpisco-no la carne, fuoco come 22 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 23ccani. Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 24 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato

a male. “25 mi-nuti!” mmh. “Ritardo. . .” . “Ah, ecco... scusa, statale 26, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli oc-chi liquidi, sbatte 27 volte le palpebre con mossa innatu-

rale, quasi illogica. 28 volante dell’umore mio, cane fetido e rabbioso, ora ha 29 piccoli ba-stardi perduti, venduti o regalati. Forse in 30 città diverse abban-

donati, cani umani bruciano di rimorso, 31 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 32 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pub-blicità birra 33ccani.

Il contatto è da shock, faccia-mo in silenzio 34 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male.

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è da shock, facciamo in silenzio 44 passi, il suo odore è fortissi-mo, d’inchiostro andato a male. “45 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, statale 46, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli occhi liquidi, sbatte 47 volte le palpebre con mossa innaturale, quasi illogica. 48 volante del-l’umore mio, cane fetido e rab-bioso, ora ha 49 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. Forse in 50 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di rimorso, 51 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 52 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 53ccani. Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 54 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchio-stro andato a male. “55 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scusa, statale 56, un casino paz-zesco “15 minuti!” mmh. “Ritar-do...”. “Ah, ecco... scusa, statale

Litolo 30. Questo è un testo fi nto. Duro, segnato, QUESTO ■ QUESTO È UN TESTO FINTO. DURO, SEGNATO, PRATICAMENTE IL NUMERO 1. L’APPUNTAMENTO È STASERA

Sottotitolo 18. Questo è un testo fi nto. Duro, segnato, praticamente Sottotitolo 18. Questo è

Litolo 48. Questo è un testo fjnto. Duro, segnato, il numero 1

Da sinistra il ministro degli affari regionali Lanzillotta, il sottosegretario Letta e il ministro dell’interno Amato (foto Ap)

NOMECOGNOMEQuesto è un testo finto. Duro,

segnato, praticamente il numero 1. L’appuntamento è stasera al tramonto, ci si

La prossima settimana arrivano all’esame del cdm la seconda

tranche del pacchetto Bersani e la riforma della Finanziaria

predisposta dal ministro Padoa-Schioppa. Riparte intanto

NOMECOGNOME

Questo è un testo finto. Duro, segnato, praticamente il numero 1. L’appunta-

mento è stasera al tramonto, ci si vedrà noi 2 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartel-lo pubblicità birra 3ccani. Il primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 4 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male. “5 minuti!” mmh. “Ritardo...”.

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Forse in 10 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di rimorso, 11 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuo-co come 12 soli, piccolo bar semivuoto, osce-no cartello pubblicità birra 13ccani. Il primo contatto è da shock, facciamo in silenzio 14 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male.

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co... scusa, statale 16, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli occhi liquidi, sbatte 17 volte le palpebre con mossa innaturale, quasi il-logica. 18 volante del-l’umore mio, cane fe-tido e rabbioso, ora ha 19 piccoli bastardi per-duti, venduti o regala-ti. In 20 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di ri-morso, 21 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 22 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pub-blicità birra 23ccani. Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 24 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male. “25 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scu-sa, statale 26, un casino pazzesco”. Mi guar-da, gli occhi liquidi, sbatte 27 volte le palpe-bre con mossa innaturale, quasi illogica. 28 volante dell’umore mio, cane fetido e rab-bioso, ora ha 29 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. Forse in 30 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di rimor-so, 31 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 32 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pubblicità birra 33ccani.

Il contatto è da shock, facciamo in silen-zio 34 passi, il suo odore è fortissimo, d’in-chiostro andato a male.

“35 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ec-co... scusa, statale 36, un casino pazzesco”. Mi guarda, gli occhi liquidi, sbatte 37 volte le palpebre con mossa innaturale, quasi il-logica. 38 volante dell’umore mio, cane feti-do e rabbioso, ora ha 39 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. Forse in 40 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di rimorso, 41 anni di mancanza d’affetto colpiscono la carne, fuoco come 42 soli, piccolo bar semivuoto, osceno cartello pub-blicità birra 43ccani. Il contatto è da shock, facciamo in silenzio 44 passi, il suo odore è fortissimo, d’inchiostro andato a male. “45 minuti!” mmh. “Ritardo...”. “Ah, ecco... scu-sa, statale 46, un casino pazzesco”. Mi guar-da, gli occhi liquidi, sbatte 47 volte le palpe-bre con mossa innaturale, quasi illogica. 48 volante dell’umore mio, cane fetido e rab-bioso, ora ha 49 piccoli bastardi perduti, venduti o regalati. Forse in 50 città diverse abbandonati, cani umani bruciano di rimor-

Litolo 24. Questo è un testo fi nto. Duro, segnato,

OCCHIELLO

Questo è un testo fi nto. Duro, segnato, praticamente il numero 1.

Page 7: Europa del 3 feb

Cara Europa, ho seguito i servizi tg sulle inaugurazioni dell’anno giudiziario, prima alla Cassazione poi nelle corti d’appello (tra parentesi: sapete dirmi perché a fianco al presidente della repubblica o delle autorità regionali compare sempre un cardinale, come ai tempi della vecchia Democrazia cristiana?). Fra le cose che mi hanno positivamente colpito nelle relazioni dei procu-ratori generali e dei presidenti, al di là delle denunce, sempre inascoltate dai governi, delle deficienze struttu-

rali e delle lungaggini processuali, c’è stata quest’anno la rivendicazione a veder eseguite le sentenze definitive rese dalla magistratura. Tra queste, qui a Milano hanno ricordato le sentenze sul caso di Eluana Englaro (corte d’appello, cassazione, tar della Lombardia, ecc.) tutte unanimi nell’accogliere la richiesta del padre di por termine alle torture inflitte in nome dei “sacri principi” alla figlia. Succederà qualcosa?

ALBERTO VILLA, MILANO

Caro Villa, lo chiede a me? Credo che non lo sappiano nemmeno gli alti magistrati che hanno pronunciato le sentenze e svolto le relazioni che lei ricorda. E questo perché in Italia non c’è più uno stato di diritto, secondo cui tutti debbono rispettare la legge, le sentenze sono emesse per essere eseguite, se una materia non è rego-lata dalla legge interviene la giurisprudenza (cioè il giudizio della magistratura) finché il parlamento non abbia legiferato. In materie attinenti ai “sacri principi” (quand’ero ragazzo c’era un regime che in nome dei “sacri principi” ci imponeva

di cantare a ogni ora del giorno d’essere pronti a “combattere e morir”), in Italia non c’è lo stato di diritto perché non c’è indipendenza e sovranità dello stato su quelle materie, checché ne dica la Costituzione repubblicana. Pochi giorni fa Ezio Mauro denunciava sul suo giornale la Repubblica che in Italia c’è doppia cittadinanza e quindi doppia obbedienza, alla legge e all’etica clericale, ma l’etica è più forte perché i politici sono convinti che i preti (quanti preti? Non tutti la pensano allo stesso modo) portano voti. Così il Pdl affida a un cardiologo di Lucera «vicino all’Opus Dei», il senatore Raffaele Calabrò, di scrivere il testo base per la legge sul testamento biologico, che dovrebbe colmare il vuoto legislativo in materia. Il 27 gennaio il testo è stato presentato al senato. Se fosse stato già legge, avrebbe impedito ai giudici di Milano di pronunciare le note sentenze su Eluana.Infatti, stracciando la Costituzione della repubblica, stabilisce che idratazione e alimentazione forzata non sono «cure» che il malato possa rifiutare, neanche se scri-ve in piena lucidità le sue disposizioni anticipate di trattamento (Dat). Come si legge su La Stampa, i ciellini Toccafondi e Farina (il noto agente Betulla) avvertono: «Guai a trascurare le parole del pontefice nell’elaborazione di proposte di legge sul fine vita». Guai. È questa la repubblica italiana, oggi. Umberto Veronesi, che è di parere opposto ai ciellini ma che nella sua lunga vita ha operato vecchi anche ultranovantenni per conservarli a una vita accettabile, ha rac-contato da Fabio Fazio in tv cosa avviene negli ospedali tra medici e famiglie di malati terminali. Ma la nostra cultura, prima quella religiosa ora anche quella politica, insegna a mettere la testa nella sabbia. E i giornali e i partiti tacciono. Complimenti a Panorama, giornale di destra, che nell’ultimo numero ha dedicato a “Eluana” ben 5 pagine, con 12 domande e 12 risposte senza reticenze; e con sondaggi che danno la stragrande maggioranza degli italiani dalla parte del padre e contro le prepotenze del ministro e della sottosegretaria al welfare.

6martedì 3 febbraio 2009

L E T T E R E E C O M M E N T I

A chi conviene quel contrattoSTEFANO FASSINA

segue dalla prima

Nel campo dell’economia main-stream, non dell’eterodossia eco-nomica, è la prima la variabile rilevante. E, come noto, dipende da un ventaglio di fattori al di fuori del controllo di imprendito-ri e lavoratori (dalla dotazione infrastrutturale alla regolazione dei mercati, dalla qualità della forza lavoro al livello di civismo ed efficienza/efficacia delle isti-tuzioni politiche, eccetera) e da altri fattori al di fuori del control-lo del lavoratore (dalle strategie aziendali al livello e qualità degli investimenti, dalla qualità del management alla contendibilità

degli assetti proprietari e alla di-mensione delle imprese). Certo, motivare il lavoratore legando una quota della sua retribuzione alle performance dell’impresa contribuisce ad aumentare la pro-duttività, ma in modo margina-le.

Per valutare gli effetti dell’ac-cordo, oltre a fuoriuscire dall’ideo-logia della produttività del lavora-tore, dobbiamo anche considerare il contesto di politica economica nel quale si iscrive. La politica economica del governo non solo non porta avanti riforme sulle va-riabili rilevanti ai fini della pro-duttività, ma cancella i timidi avanzamenti finora faticosamen-te raggiunti. L’elenco dei passi

indietro è lungo. Richiamo sol-tanto: 1) lo smantellamento delle misure pro-concorrenza nei mer-cati (dai servizi professionali al-l’opa, dai servizi bancari ed assi-curativi alle farmacie, dall’indebo-limento delle Authority di vigilan-

za e regolazione, ai servizi pubbli-ci locali); 2) il sostanziale svuota-mento degli incentivi fiscali auto-matici per gli investimenti nel Mezzogiorno, per le spese in R&S, per le ristrutturazioni eco-logiche e le fonti rinnovabili di energia; 3) l’indebolimento delle misure contro il lavoro nero, per

i diritti e per la sicurezza dei lavo-ratori e l’eliminazione delle prin-cipali misure anti-evasione che, al di là dei loro effetti sull’equità, incidono anche sulla qualità delle forze in campo. Insomma, la pro-duttività non aumenterà perché

le rendite che la lega-no non ven-gono intac-cate.

Oltre al contesto di politica eco-

nomica, vi è un punto specifico dell’accordo di cui valutare appie-no le conseguenze. Perché l’indi-catore di ’inflazione da assumere nei rinnovi contrattuali (Ipca) de-ve essere applicato solo ad una parte della retribuzione (dal 70 al 85% a seconda dei settori, le “pe-core nere” sono, ovviamente, i dipendenti pubblici, fannulloni per definizione)? Perché i lavora-tori, tutti i lavoratori, non dovreb-bero vedersi garantito almeno il potere d’acquisto delle retribuzio-ni? Inoltre, mentre al fine di evi-tare una spirale inflazionistica è corretto escludere daIl’Ipca previ-sionale l’andamento dei prezzi dei prodotti energetici, perché anche l’Ipca a consuntivo li deve esclu-dere? Se gli altri redditi non si (auto-) moderano in relazione al-l’andamento dei prezzi dei pro-dotti energetici, certo non lo fa-ranno data la scarsa concorrenza in molti mercati interni, perché l’inefficienza di sistema deve sca-ricarsi sul reddito da lavoro dipen-dente? La risposta è che il governo e una parte di Confindustria con-sidera il reddito da lavoro la varia-bile per compensare l’inefficienza

generata dalla congerie di rendite di cui sopra. Una congerie di ren-dite che il governo non intende affatto scalfire, come continua a segnalarci il ministro Tremonti (da ultimo ad Alba: «A me non importa parlare di riforme strut-turali perché le abbiamo già fat-te»), dato che con i rispettivi per-cettori ha stretto patti corporativi. Mettendo insieme l’effetto dell’ac-cordo sul potere d’acquisto delle retribuzioni, l’assenza di recupero del fiscal drag, i tagli al “salario indiretto” (scuola, assistenza, sa-nità, ecc), l’allentamento delle misure antievasione, viene fuori un massiccio spostamento di red-dito ad ulteriore svantaggio dei lavoratori dipendenti.

Dato il contesto di politica economica e considerati i punti specifici richiamati, quali saran-no le conseguenze dell’accordo?

1) una riduzione delle retribu-zioni nette dovuta alla base di calcolo sulla quale si applica l’Ipca e all’insufficiente recupero via produttività, nonostante gli scon-ti fiscali. Saranno minoranze le realtà produttive nelle quali i la-voratori avranno retribuzioni più elevate rispetto all’attuale assetto contrattuale;

2) un ampliamento della va-rianza territoriale delle retribu-zioni, causato non dalla qualità della prestazione del lavoratore, ma da variabili assolutamente al

di fuori della sua portata. È vero che la retribuzione effettiva è già largamente sfuggita al contratto nazionale di lavoro in tante aree “sottoutilizzate” del paese. Tutta-via, l’ampliamento delle diver-genze è insostenibile al di fuori di politiche di riequilibrio dei ter-ritori;

3) un utilizzo in larga misura inefficace di preziosissime ed in-genti risorse pubbliche dato che l’anemia della produttività deter-minata dall’assenza di riforme strutturali spingerà le parti socia-li a spostare al secondo livello contrattuale quote della retribu-zione di primo livello. Tali risorse pubbliche si dovrebbero, invece, concentrare a sostegno di ricerca ed innovazione o per interventi più incisivi sui redditi da lavoro. Si ripete l’errore fatto dal governo Prodi con l’intervento “a pioggia”

sul cuneo fiscale.

In sinte-si, ancora una volta, con l’accor-do del 22 g e n n a i o

l’Italia sceglie l’illusoria scorcia-toia della competizione di costo: prima si praticava anche attra-verso la svalutazione della lira e con l’accumulazione di debito pubblico, ora non rimane che la svalutazione del lavoro. La stra-da scelta non solo è profonda-mente iniqua, non porta al mi-glioramento strutturale della competitività del paese. E nell’at-tuale congiuntura è anche l’op-posto di quanto sarebbe neces-sario per sostenere la domanda e i consumi.

Una volta c’era l’impero inglese, ora si lamentanoGLI OPERAI inglesi si sono arrabbiati contro una società italiana che ha ottenu-to una commessa dalla Total e starebbe per far arrivare manodopera specializzata dall’Italia, togliendo in questa maniera posto di lavoro ai britannici. Notare che nonostante la committente sia francese, contro di essa nessuno ha avuto nulla da ridire, eppure i francesi in questo caso tol-gono lavoro alla locale British Petroleum. Un paio di settimane fa discutendo in materia di crisi economica con un cliente britannico, venivo informata del fatto che lassù il glorioso tessile è completamente scomparso, è finito tutto nelle ex colonie e gli operai inglesi di quel settore sono una specie estinta per sempre. Questa delocalizzazione messa in atto anche da manager britannici ha finito per provo-care danni enormi anche fuori dall’isola, tutta Europa ha risentito pesantemente di questo dumping che veniva messo in pratica da chi faceva produrre in India a costi sensibilmente inferiori. Da sempre i britannici hanno prosperato grazie al lavoro di milioni di persone appartenenti all’impero e grazie ad una globalizzazione esistita già due secoli fa. Ora i loro eredi si lamentano se gli italiani hanno saputo offrire lo stesso servizio a prezzi inferiori. That’s the European Union! Don’t you agree? Leave it!

MARA DONÀ, VIA WEB

Giustizia: era meglio riporre gli ermelliniSI È svolta a Napoli l’inaugurazione del-l’anno giudiziario durante la quale sono stati gli stessi vertici della magistratura ad ammettere senza mezzi termini che quel mondo è completamente allo sfascio, lo stato di diritto che si chiama Italia è all’ultimo posto in Europa, tra gli ultimi al mondo. Le immagini del guardasigilli che legge i dati di quella Caporetto sono

ancora più tristi per chi ancora crede nella giustizia. Dalla voce degli addetti ai lavori non un filo di vergogna, non un mea culpa nei confronti del popolo so-vrano. Quest’anno mi sarei aspettata che per una volta i vertici della magistratura lasciassero negli armadi le varie pellicce di ermellino, optando per abiti più sobri in segno di rispetto per tutti noi. Avendo ascoltato i numeri e viste le condizioni economiche della gente comune, sarebbe stato meglio per una volta tralasciare lo sfarzo e la pompa.

CASIMIRA COLOSI, NAPOLI

Qui i manager incapaci vengono sempre premiati SIA NEGLI Stati Uniti sia nel lontano Giappone si stanno prendendo delle mi-sure drastiche nei confronti dei manager che hanno percepito fino a ieri stipen-di da favola e che oggi si scopre hanno portato le aziende in cattive acque. Cosa fanno gli italiani? Non ho sentito ancora nessuno che abbia pensato a prendere provvedimenti simili. I giapponesi si so-no ritrovati per la prima volta a ridurre gli stipendi perché dopo decenni di aziende con bilanci floridi ora hanno toccato con mano cosa significhi l’eccezionalità di una perdita. Per molte aziende italiane privatizzate e per altrettanti carrozzoni statali la perdita è la norma, così come sono la norma i milioni di euro donati in stock options da consigli di amministra-zione senza troppo rispetto per i piccoli azionisti. C’è chi ha affermato che i re-sponsabili di questi danni devono andare a casa o in galera. Apprezziamo le buone intenzioni ma al momento le celle che dovrebbero ospitare coloro che hanno distrutto i risparmi di milioni di italiani sono ancora desolatamente vuoti così co-me i loro conti correnti sono tremenda-mente pieni. In Giappone avrebbero già fatto seppuku-harakiri.

FILIPPO TENUSA, VIA WEB

FEDERICO

ORLANDO

RISPONDE

Le lettere (max 1500 battute) vanno spedite a «Europa» Rubrica Lettere - Via di Ripetta 142, 00186 Roma • email: [email protected]

Englaro, magistratura, governo:come si sfascia lo stato di diritto

La maggior parte delle retribuzioni nette si ridurranno, anche per colpa della crisi

e nonostante gli sconti fi scali

Con l’accordo del 22 gennaio l’Italia sceglie ancora una volta l’illusoria

scorciatoia della competizione di costo

Page 8: Europa del 3 feb

7martedì 3 febbraio 2009

C O M M E N T I

Defi cit o surplus di comunismo? L’amarcord di VendolaLUIGI

GIORGI

«Quel mondo era crepato non per un eccesso di co-

munismo, ma per un clamoroso deficit di comunismo».

Così Nichi Vendola a Chiancia-no, parlando dei paesi dell’Est, du-rante l’ultimo incontro della fronda interna a Rifondazione comunista. Un’opinione e una lettura della sto-ria che fa pensare, in quanto, a mio giudizio, dimostra una “tara” (pe-sante e forse ineliminabile) che gra-va sulla sinistra italiana.

Se anche uno dei suoi dirigenti più avvertiti, oratoriamente efficaci e amministrativamente impegnati

in una delle regioni più difficili del nostro paese, dà una lettura di que-sto tipo di ciò che è successo a Est e della caduta (o meglio della sconfit-ta) del comunismo, allora il cammi-no per la ricostruzione e l’aggiorna-mento della sinistra è lungo e si presenta arduo.

Allontanarsi dai propri miti di fondazione, ripensarli criticamente, è difficile e doloroso. Allo stesso tempo però è forse necessario per ripartire. Ma non è neanche questo il punto, il problema sta nella let-tura del proprio passato e della propria storia, nella percezione del proprio divenire.

Il comunismo applicato alla storia (l’unico di cui si è avuta espe-

rienza diretta), e quindi non parlia-mo dell’ ideologia studiata sui ma-nuali di storia e filosofia, non poteva che vivere e svilupparsi, per ragioni intrinseche alla sua dottrina, secon-do l’esperienza autoritaria sovietica. Altro non avrebbe potuto essere, anche di fronte ad un surplus di co-munismo. Pensarlo significa, a mio parere, fare un torto ai tanti che in buona fede vi aderirono. Oltrettutto

basta guardare la realtà, senza anda-re indietro a periodi lontani e a mondi defunti. Non si può, infatti, non riflettere su quello che oggi è il comunismo “messo in pratica” in Cina, Corea del nord e Cuba.

Certo c’è stata l’esperienza e la declinazione italiana del comuni-smo. Una storia dolorosa e di sacri-fici, di grande penetrazione e presa fra i lavoratori e di indubbi meriti

democratici e sociali, che ha contri-buito alla costruzione democratica della nostra repubblica ma che, allo stesso tempo, per concorrere a ciò ha dovuto di molto stemperare le sue idee di fondo e adattarle alla realtà del paese: la svolta di Salerno, l’amnistia ai fascisti, l’idea togliattia-na di “partito nuovo”, soltanto per citarne alcuni, stanno lì a dimostrar-lo. D’altra parte anche in Emilia,

come ha scritto Ginsborg, il co-munismo è stato un’efficiente e umana sistemazione del capitali-smo.

Certo non bisogna stare qui a fare una lezione di storia o di filo-sofia, resta comunque la perples-sità di fronte ad un movimento (di

cui si sente la “mancanza” in Parla-mento e nel paese) che per ripartire e distaccarsi da una dirigenza rite-nuta (a torto o a ragione) troppo settaria torce lo sguardo così indie-tro e fornisce una lettura delle storia consolatoria ed eccessivamente in-dulgente, ma soprattutto inutile allo scopo.

Forse sarebbe meglio lasciare la storia alla storia e dirigersi verso altre mete con una rilettura più cri-tica e consapevole dei propri errori e anche dei propri meriti. D’altra parte lo stesso Vendola ha detto: «L’amarcord della sinistra mi intriga e mi serve, ma a condizione di non pensare a pratiche di riesumazio-ne».

FEDERICO ORLANDOsegue dalla prima

La proposta, lanciata in quell’incontro, di creare un nuovo Comitato di libera-zione nazionale, come quello che nel 1943-45 condusse l’Italia alla libertà dal nazifascismo, è suggestiva – concludo-no –, ma deve trovare concordi i suoi componenti sia sul regime da abbattere sia su quello con cui sostituirlo.

Anche noi temiamo che in nuovo regime possa trasformarsi proprio il “monopartitismo bipartitico” o bifronte che si sta realizzando a colpi di “sistemi elettorali coercitivi”. In questo timore s’incontrano tutte le aggregazioni (cul-ture, riviste, partiti) liberalradicali. Un volume di imminente uscita, dei “Libel-li” nuovi o classici editi dalla Fondazione Critica liberale, Libello Europa, sostiene che l’anomalia italiana rispetto all’Euro-pa occidentale si chiama non solo destra (anche un demente capisce che Berlu-

sconi, Bossi, Gasparri, Cicchitto, Formi-goni sono agli antipodi di Merkell, Sarkozy, Rajoy, Cameron, eccetera); ma anche sinistra, che nei suoi quadri e truppe non giovani continua a nutrire nei confronti della liberaldemocrazia la stessa idea che ne aveva prima di usarne la bandiera: idea caricaturale, come quel-la che a destra ne ha Berlusconi. Più che di reciproca legittimazione si può parla-re di reciproca berlusconizzazione, spe-cie in fatto di usi, costumi, cronache giudiziarie, diritti civili e ogni altra es-senza dello stato di diritto. Inutile quin-di riscrivere le regole del sistema, se non si ridefiniscono usi, costumi, diritti, do-veri per i quali le regole si fanno. A ride-finirli dovrebbe mirare il nuovo Comi-tato di liberazione nazionale. Se no, sa-rebbe stato come se nel ’43-’45 avessimo combattuto il fascismo per rilegittimar-ne un altro. Modello Grandi anziché Mussolini.

Fin qui, se abbiamo capito l’articolo

di Pannella, il nostro accordo coi radica-li è totale (a parte la simbologia una volta eccessiva un’altra inadeguata, in casi esemplari: il caso Villari per le rego-le, il caso Englaro per i diritti). Meno ci convince la non centralità ricono-sciuta alle imminenti ele-zioni europee, che secon-do noi si riflette anch’essa nella “questione italiana”. Dalle precedenti europee alle prossime il mondo è cambiato. L’Europa a 27 sembra sempre più una medusa che si scioglie al sole. Abbiamo un presi-dente della commissione che per il suo semestre non alza sul castello di Praga la bandiera dell’Unione, alla quale non crede. Abbiamo in Inghilterra operai in rivolta contro gli operai in arrivo dalla Sicilia, perché la crisi mondiale toglie lavoro e spazza anche il libero scambio

degli uomini e delle merci nell’Unione. Abbiamo in Italia la rivolta contro l’im-migrato romeno che, a differenza del-l’“idraulico polacco” che terrorizzò la

Francia per la temuta con-correnza ai locali, e la spinse a votare contro il Trattato costituzionale, non è il fantasma di qual-che cervello accademico (liberale, in quel caso), ma è umanità vera, spesso immatura per una convi-venza fra eguali. Aveva ragione Mitterrand quan-do, contro la fretta del-l’élargissement, chiedeva

priorità all’approfondissement. È evidente che l’Europa va ripensata,

non più nei termini del Trattato di Ro-ma, da cui nacque, ma com’è oggi, con gli acciacchi di cinquant’anni dopo. So-prattutto perché al termine della crisi economica mondiale le prospettive di

autosussistenza politica dei singoli stati-nazione si riveleranno ancor più preca-rie di quanto sono oggi. Occorrerà pen-sare a forme nuove di integrazione fra gruppi di stati europei più omogenei – come fu il Benelux, nato prima della Comunità – e riprendere i discorsi delle diverse velocità e delle cooperazioni raf-forzate. Concezioni nuove potrebbero consentire ad alcuni stati membri di procedere fra loro verso forme di fusione federale, almeno in tre settori: per le politiche energetiche, per la sicurezza e la difesa (come la forza d’intervento ra-pida, in accordo con strategie meno imperiali e più realistiche di Obama), per le politiche del clima, rendendole centrali nelle decisioni finanziarie con-tro la recessione. Il primo nucleo duro a cui guardano forze intellettuali di ispi-razione liberalradicale, interessate alle prospettive del prossimo parlamento europeo, è naturalmente il nucleo “ger-manico”, l’Europa carolingia dei Sei che

fondò la Comunità a Roma. Non dimen-ticando, tuttavia, che proprio due di quei sei paesi, Francia e Olanda, ne siluraro-no il Trattato costituzionale, quando, fi-no a qualche anno fa, i miti dell’Europa delle patrie erano più forti che non le realtà della globalizzazione, della cata-strofe finanziaria mondiale, del consta-tato sfilacciamento dell’Europa dei 27, della necessità di unire il nucleo duro per rilanciare il Federalismo con la maiuscola e la sua medicina progressi-sta: l’economia sociale di mercato speri-mentata per cinquant’anni nell’integra-zione, come ricordava Mario Monti sul Corriere della Sera. Non crede l’amico Pannella che una prospettiva (se non è un’illusione) come questa, meriterebbe l’impegno dei radicali alle elezioni euro-pee? E che un centrosinistra convinto di questa prospettiva troverebbe in Italia la via per essere se stesso, anziché rischia-re d’apparire il Giano bifronte del berlu-sconismo?

SANDRO GOZIsegue dalla prima

La maggior parte dei grandi paesi europei concentra in solo 2-3 gruppi al massimo la quasi totalità dei propri connazionali. La seconda riguarda il contenuto squisita-mente nazionale che assume la tornata elettorale europea. Le elezioni europee stanno diventando in Italia esclusiva-mente un test sulla performance del governo in carica e sullo stato di salute delle opposizioni ed un’occasione di sperimentazione in vista delle elezioni politiche successi-ve. La terza riguarda la persistente carenza di una classe politica europea in Italia. Ad ogni elezione assistiamo al coinvolgimento del tutto fittizio dei leader politici nazio-nali, di noti esponenti di partito o di famosi personaggi mediatici che una volta eletti decidono, solitamente, di rinunciare al seggio.

Le elezioni di giugno si terranno sulla base del Tratta-to di Nizza, che riduce i deputati europei da 785 a 736. I seggi saranno diversamente ripartiti fra i vari stati membri a seconda della popolazione. Si andrà da un massimo di 99 seggi per la Germania ad un minimo di 5 per Malta. All’Italia spetteranno 72 seggi contro i 78 di oggi. Quando entrerà in vigore il Trattato di Lisbona – ad oggi mancano la ratifica di Irlanda e Repubblica ceca – il numero di seggi sarà di 751 (73 per l’Italia) e 15 deputati non eletti nei 27 paesi membri si aggiungeranno ai 736 eletti in giu-gno.

Gli stati membri possono stabilire a livello nazionale la soglia di voti necessaria per ottenere un seggio, non oltre il 5 per cento dei suffragi espressi: 11 stati la praticano, pur con delle varianti (Germania, Francia, Slovacchia, Lituania, Repubblica ceca, Polonia e Ungheria 5 per cento, Austria e Svezia 4 Grecia 3).

L’attuale legge elettorale è stata concepita quasi trent’an-ni fa, per un parlamento europeo che non aveva potere legislativo. Oggi il parlamento europeo è un vero e proprio legislatore assieme al consiglio dei ministri e incide su

materie della massima rilevanza per la vita interna dei paesi membri. È pertanto evidente che occorra rivederne anche il modo di elezione dei nostri rappresentanti.

La frammentazione è tra le cause storiche della nostra scarsa influenza nel parlamento europeo. Dal 1979 – data delle prime elezioni dirette a suffragio universale – l’Italia, al contrario di tutti gli altri “grandi paesi”, non ha espresso nessun presidente. La dispersione tra i vari gruppi politici esistenti è troppo elevata. Solo due terzi degli attuali 78 deputati italiani corrispondenti a ben 11 partiti diversi fanno parte dei tre gruppi principali: un valore molto più basso e frammentato rispetto agli altri “grandi paesi”. La previsione di una soglia di sbarramento è quindi un utile strumento aggregativo. La dispersione del contingente italiano a Strasburgo discende da un sistema elettorale che

consente anche a formazioni con lo 0,5 per cento di eleg-gere parlamentari europei. Non solo quindi vi sono euro-deputati italiani in tutti i gruppi politici europei (compresi i non-iscritti), ma vi sono spesso più partiti italiani all’in-terno dello stesso gruppo politico.

La dispersione ha un prezzo altissimo in termini di influenza e lo si può capire pienamente avendo presente le regole di funzionamento del parlamento europeo, met-tendo a fuoco i criteri per l’assegnazione delle cariche ai gruppi e, al loro interno, alle singole delegazioni naziona-li. Le assegnazioni avvengono su base proporzionale, se-condo il metodo D’Hondt, che è una formula matematica impiegata anche per l’attribuzione delle cariche ai partiti, ai gruppi e alle delegazioni nazionali nei sistemi propor-zionali. Il metodo D’Hondt ha una caratteristica accertata:

avvantaggia i partiti (gruppi) più grandi e penalizza i più piccoli. A livello europeo questa caratteristica è ancora più significativa perché il metodo D’Hondt viene in realtà applicato due volte: una prima volta per attribuire ai grup-pi il numero di cariche che spettano loro in ragione del numero di membri ed una seconda volta per ripartire le cariche, all’interno di ciascun gruppo, tra le varie delega-zioni nazionali. Vengono dunque premiati, in prima bat-tuta, i gruppi più grandi, e, in seconda, le delegazioni na-zionali più numerose all’interno dei gruppi più grandi.

Il che significa anche che delegazioni nazionali di peso identico o simile possono ottenere “premi” molto diversi a seconda di come dosano i propri membri all’in-terno dei vari gruppi. È una delle ragioni per cui i tedeschi, gli inglesi ma anche gli spagnoli sono più influenti di noi a Strasburgo. La soglia di sbarramento è un primo passo in avanti. Il prossimo passo dovrà essere quello di stabilire un rapporto di stretta connessione tra territori, eletti ed Europa, riducendo l’ampiezza delle circoscrizioni elettora-li (tendenzialmente facendole corrispondere alle attuali Regioni, accorpando le più piccole) rendendo più imme-diato il rapporto tra territorio e suoi rappresentanti in Europa, riducendo i costi della campagna elettorale e vie-tando le candidature multiple. Il dibattito attuale si è inve-ce concentrato sugli effetti collaterali dello sbarramento, sull’impatto sulle alleanze locali, sul tipo di partito e sulla scelta di sistema politico che tende a configurare. Sono questioni rilevanti che richiedono però un altro tipo di confronto: su quale partito vogliamo essere, quale sistema politico desideriamo sviluppare, con quali alleati vogliamo costruire un’alternativa al governo delle destre. Facciamo-lo questo confronto, alla luce del sole e nelle istanze legit-time, innanzitutto l’assemblea costituente. Se ne discuta in seno al coordinamento e alla direzione nazionale in modo aperto e franco in vista del Congresso (scusate ma continuo a chiamarlo così). Ma tutto questo almeno per una volta non avvenga a scapito dell’Europa e della presen-za italiana in Europa.

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LA VIGNETTA

Sbarramento sì, ecco perché

Strasburgo conta ancora

I radicali dovrebbero rivedere la

posizione sulla non centralità delle europee

Page 9: Europa del 3 feb

L’educazione sentimentale di una squilloL A T E L E D I P E N D E N T E

Doppia vitaHannah è una ragazza perbene, Belle è una squillo. Entrambe sono la stessa persona: questo racconta la nuova serie inglese Diario di una squillo per bene, su (FoxLife), tratta dall’omonimo best seller prima blog di una “vera” squillo. La protagonista è Han-nah (la bravissima Billie Piper), una ventiseienne londinese, col-ta, indipendente, sagace e un po’ arrogante, che ha deciso di fare la squillo. Perché le piace, perché fa soldi, perché è felice. Niente vittimismi per lei, che sul lavoro si fa chiamare Belle. Non è com-pletamente sola nel gestire la sua

professione: deve infatti contrat-tare la sua agenda con Stefanie (Cherie Lunghi), una donna ric-ca, bella, cinica. Una sorta di “magnaccia” perbene, insomma. Nella vita di Belle c’è anche il suo migliore amico, nonché ex fidan-zato, Ben (Iddo Goldberg), uno dei pochi a sapere della sua dop-pia identità.

Londra-New York«Amo Londra. Amo la sua incivil-tà, la sua mancanza di solidarietà, la sua impazienza. Per non parlare del clima. Ma la cosa che prediligo di Londra è l’anonimato». Così di-ce la voce narrante di Hannah/Bel-le, che non fa mistero di amare Londra proprio per degli aspetti che altri definirebbero negativi. E invece la metropoli è personaggio-

doppio della protagonista come New York lo è di Carrie in Sex and the city. In fondo Diario di una squillo perbene non fa mistero di essere una serie inglese capace di rivaleggiare con i telefilm america-ni. Tanto che il telefilm è andato in

onda nella sue versione originale su Showtime (quella di Dexter, per intenderci), che l’ha giudicato per-fetto e quindi niente remakie (an-che se, forse, ci metterà mano per la versione americana Darren Star, l’autore di Sex)

Un’anima divisa in dueCome Sex, Diario non è la crona-ca di rapporti sessuali, ma un’educazione sentimentale. Più cinica però, e con un umorismo più crudo. Diario racconta un’ani-ma divisa in due. Hannah e Belle sono le due personalità di una sola persona, un’ipotetica Anna-bella che non riesce mai a mate-rializzarsi sullo schermo. Han-nah è dimessa, acqua e sapone. Belle è sexy, libera. Possibile con-ciliare in un solo corpo queste

opposte personalità? E così si spacca anche la narrazione: le parole Hannah/Belle da una par-te, le immagini di Hannah/Belle dall’altra. Le une contraddicono le altre, e viceversa. Hannah/Bel-le crede di saper decifrare il mon-do che la circonda, ma un parti-colare dell’immagine manda al-l’aria quanto lei pensava di sape-re. L’immagine e la voce ci rac-contano, come in Sex and the city, una realtà sentimentale e sessua-le complessa e sfumata. Il Diario diventa così la cronaca della soli-tudine di un’anima divisa: «Certe volte non sono i clienti più giova-ni o più ricchi quelli che preferi-resti. O quelli con cui hai più cose in comune. Per me, il clien-te perfetto è quello con cui non dovrò mai essere me stessa».

Il primo baco di Google. E il riscattoB L O G G E R I A

Il bug di Big GUn fallimento tocca anche a Google, primo bug per Big G. Google per alcune ore sabato ha segnalato ogni sito come potenzialmente dannoso. Tra le 15,30 e le 16,30 circa ogni sito proposto tramite il motore di ricerca porta-va la dicitura «Questo sito potrebbe arrecare danni al tuo computer» e non era possibile aprirlo cliccando sul link. L’errore sarebbe di tipo umano, ed è dovuto al sistema di aggiornamento nella lista di siti pericolosi. Questa lista viene modificata oltre che in maniera automatica anche da persone in carne ed ossa, e una di queste avrebbe inse-rito nell’elenco uno slash “/” di troppo, che avrebbe indi-cato ogni sito esistente.

Le spiegazioniGoogle collabora con Stopbadware per trovare i siti peri-

colosi e proprio da questa azienda sarebbe nato il proble-ma. La risposta ufficiale di Google Italia è arrivata presto: «Il messaggio comparso nel periodo in questione, che indicava qualunque link risultato di una ricerca come sospetto e a rischio di contenere materiale pericoloso è stato chiaramente un errore. Quel messaggio compare solo per i siti che vengono dichiarati effettivamente a ri-schio dopo un controllo accura-to da parte di una organizzazio-ne non-profit, la StopBadware.org, e la lista, proprio per la sua delicatezza la lista dei siti a ri-schio viene gestita manualmen-te e non dalle macchine». An-che Stopbadware ha pubblicato una spiegazione dell’inconveniente.

Un ettaro coltivato a marijuanaDopo la caduta, il successo. La polizia svizzera ha scoper-to un campo di marijuana esteso per 7.500 metri quadra-

ti grazie a Google Earth nel corso di un’indagine antidroga nel Canton Turgovia. La piantagione era nascosta all’inter-no di un campo di grano. Grazie a Google Earth e basan-dosi sugli indirizzi dei sospettati, i poliziotti sono riusciti a scovarlo.

Sedici arrestatiL’operazione ha portato al-l’arresto di seduci persone e al sequestro di 1,1 tonnel-late di marijuana per un valore di 900 mila franchi svizzeri (circa 605 mila eu-ro). «Abbiamo scoperto una possibilità interessan-

te» ha commentato Norbert Klosser, capo dell’unita spe-ciale antinarcotici della polizia di Zurigo. Una vittoria che addolcisce il sapore di un fine settimana fastidioso per Big G.

www.marioadinolfi.ilcannocchiale.it

La polizia svizzera ha scoperto un campo di marijuana di 7.500 metri quadrati grazie a Google Earth. Sedici gli arrestati

MARIO LAVIA

Molti giornali hanno già dato conto degli aspetti più poli-

tici, di cronaca, contenuti nel libro di Franco Giordano Nessun Dio ci salverà (Donzelli), a partire dal-la puntuale rievocazione della dif-ficile esperienza di Rifondazione comunista alla prova del governo.

Oggi che l’ala vendoliana, di cui Giordano fa parte, è uscita dal Prc e si rimette in cammino (tra-versie elettorali permettendo) è più interessante cercare di cogliere il nucleo forte del “programma fon-damentale” di questa area della sinistra italiana. Se dovessimo in-serire le tesi di Giordano nella grande enciclopedia della sinistra, diremmo che esse si inquadrano nel capitolo delle moderne e più avanzate socialdemocrazie euro-pee, tese come sono al recupero di categorie via via marginalizzate, come la programmazione, e di ri-lancio di politiche ritornate invece

alla ribalta, come l’inter-vento dello stato nel-l’economia e l’auspicato varo di avan-zate forme di copertura sociale (sus-sidi, salario minimo).

Le ricette socialdemocratiche, viene da osservare, concepite in fasi “alte” dello sviluppo economi-co a garanzia di possibili redistri-buzioni del reddito, ritornano dun-que in epoca di crisi mondiale a protezione dei soggetti più deboli. Ovviamente, per Giordano la fase socialdemocratica è preliminare a qualcos’altro, ad «una prospettiva radicalmente e frontalmente anti-capitalistica», mediante una lotta per l’egemonia con le forze rifor-miste: uno schema che si riconnet-te al filone della sinistra socialista, della sinistra sindacale e della sini-stra comunista: e d’altronde quello che va da Riccardo Lombardi a Pie-tro Ingrao, passando per il primo Trentin, non è forse il brodo di coltura di Bertinotti e dello stesso autore del libro?

Ovviamente Giordano aggior-na l’analisi all’oggi. E in questo senso pone al centro del conflitto la nuova forma di subalternità sul lavoro che è la precarietà: «Per le nuove generazioni di lavoratori, le conquiste dei padri non esistono più (...) l’unica forma possibile di progettazione del futuro finisce per essere rappresentata dalle tan-te modalità di consumo (...) persi-no la dimensione, già astratta del denaro, ha raggiunto vette in pas-sato impensabili di ulteriore astra-zione grazie all’istituzionalizzazio-ne del debito determinata dalla carta di credito». Ed è a partire da questa nuova contraddizione che è possibile creare – dice Giordano – «un nuovo movimento operaio». Attraverso quali strutture politi-che, è pagina ancora da scrivere.

La prima ricerca post-Prc

LAB

La fiction di Raiuno Tutti pazzi per amore trasmessa domenica sera ha stravinto il prime time avendo ottenuto nel primo episodio 6 milioni 35 mila spettatori e uno share del 21.07 e nel secondo 5 milioni 700 mila con il 25.08.

La fiction premia la Rai

Altroconsumo lancia la campagna per lo sviluppo della cultura e del mercato digitale con una lettera a Mauro Masi. Il governo, si legge, si occupadel mercato digitale in maniera non soddisfacente, affidandosi a una legge antipirateria.

Petizione per il digitale

Guardare troppa tv o trascorrere troppo tempo su internet può «rendere i bambini malati mentali». L’eccessiva esposizione renderebbe il bambino materialista, lo dice una ricerca riportata sul quotidiano britannico Daily Telegraph.

Troppa tv rende malati

Nel libro di Franco Giordanoalcune idee per il futurodella sinistra

8martedì 3 febbraio 2009

S T A M P A ■ B L O G ■ T V

Federalismo e Grimsby, battaglie sui media S C R I P T A M A N E N T

Rischio federalismoLa crisi è globale, per contrastare la recessione ci vorrebbe un maggior coordinamento a livello internazionale, ma l’identità è sempre più locale. Ana-lizzando questa con-traddizione, Tito Boeri commenta su Repub-blica quanto accade in Gran Bretagna e «le acrobazie verbali» di Gordon Brown: «A Da-vos lancia un appello contro il protezioni-smo, contro “la gara a chi dà più soldi alle proprie banche e indu-strie”, a Londra conia lo slogan “lavori britannici per i lavoratori britannici” prontamente raccolto dai lavoratori del Lincolnshire

che protesta contro l’arrivo di operai italiani». Insomma, per dirla sempre prendendo in pre-stito le parole del premier britan-nico, si assiste oggi a un “total disconnect” fra quello che si dice a casa propria e quello che si afferma fuori confine. L’identità nazionale è stata «tutt’altro che

spazzata via dalla glo-balizzazione». E oggi, con la crisi, arriva il conto. In Europa e nel nostro paese. Tanto che Boeri conclude il com-mento in chiave tutta italiana: «Questa legi-slatura sarà inevitabil-mente dominata dalla

crisi. Il governo, lo ha ribadito più volte, vuole anche che sia la legislatura del federalismo fisca-le. È un progetto ancora larga-mente indefinito, tant’è che neanche il ministro dell’econo-

mia si azzarda a offrirne una stima dei costi. Un federalismo non ben definito, in questo cli-ma, rischia di dare sfogo alle pulsioni centrifughe che si sca-tenano durante le recessioni». Conclusione dell’economista: «Se così fosse, non solo il fede-ralismo costerebbe alle casse dello stato molto di più che in tempi normali, ma renderebbe ancora più difficile il varo di quelle politiche, neces-sariamente su scala nazionale e internazio-nale, che ci possono far recuperare rapidamen-te il terreno perduto in questa recessione».

Lega ingleseLe sagge considerazioni di Ti-to Boeri trovano un (indiretto) riscontro a mezzo stampa. In-

tervistato da la Stampa il ca-pogruppo della Lega alla came-ra, Roberto Cota, afferma sicu-ro: «Hanno ragione gli operai inglesi» perché quello che suc-cede a Grimsby «è l’esempio più classico della globalizza-zione che ci presenta il conto». Per essere ancora più chiaro,

Cota aggiunge: «Ades-so tocca a Grimsby. Prima o poi si parlerà del Veneto. Nel Nord Est sta cominciando lo stesso problema. Arriva manodopera straniera che toglie lavoro ai nostri». La proposta di Cota è che

potrebbero essere sospesi gli accordi di Schengen, poi ci vuole una moratoria sui flussi perché «abbiamo bisogno di garantire l’occupazione ai no-stri».

Lega italianaMa anche nella Lega qualche con-traddizione – e non certo sotter-ranea – emerge. Il ministro del-l’interno è in disaccordo totale con il collega di partito Cota. «So-no preoccupato per quanto sta avvenendo in Inghilterra – dice intervistato dal Giornale –. Per-ché si rischia di far implodere il modello europeo definito a Lisbo-na nel 2000, quando si decise per la progressiva integrazione nel settore welfare. E sarebbe un dan-no per tutti, la risposta peggiore da dare alla crisi economica». La reazione dei lavoratori inglesi nei confronti di quelli italiani, per il titolare del Viminale, «non è ac-cettabile. Si tratta di un compor-tamento che va condannato, per-ché se si condivide lo stare insie-me, all’interno dell’Europa, non si può poi reagire così». Urge te-lefonata (o mail) a Cota.

seven

PANORAMIX

MARIOADINOLFI

STEFANIACARINI

Page 10: Europa del 3 feb

9martedì 3 febbraio 2009

C U L T U R A

segue dalla prima

È vero, la fondazione San Carlo è l’erede del vecchio collegio religio-so ed è storicamente espressione di quel cattolicesimo ponte tra il centro bianco e la sinistra rossa, ma l’arcivescovo è il progressista Benito Cocchi, ex presidente della Caritas, e in ogni caso la curia con-trolla solo un voto su sette nel con-siglio di amministrazione del fe-stival.

In realtà, se proprio la si vuole buttare in politica, si può parlare di una questione tutta interna al Partito democratico, ma non di ex diessini contro ex margheritini e nemmeno di dalemiani contro veltroniani. In realtà il sindaco e il presidente della provincia di Mo-dena (il primo ds, il secondo dl) hanno preso le difese della nuova gestione, mentre a favore della Borsari si è schierato il primo cit-tadino di Carpi, sentitosi tagliato fuori dalle decisioni. Il sindaco di Sassuolo non parla ma uno degli sponsor storici del festival, Viva Ceramica, che a Sassuolo conta, si è ritirato perché «l’allontamento della direttrice è un fatto grave».

Bodei, supervisore scientifico del festival ormai in uscita, sta rac-cogliendo le firme di tutti i princi-pali filosofi che in questi otto anni hanno partecipato alla manifesta-zione, imitata un po’ ovunque e nota non solo per le piacevoli dis-sertazioni en plein air ma anche per le divagazioni gastronomiche preparate da un altro pensatore dimissionario, Tullio Gregory. Con loro hanno già firmato per sabota-re la prossima edizione Roberta De Monticelli, Umberto Galim-berti, Maurizio Ferraris, Umberto Curi e molti altri, anche stranie-ri.

Tutti usano toni pesanti. Bodei scrive «che la città è infuriata ed è con noi», la De Monticelli usa la parola «vergogna», Galimberti di-ce che «quando una persona è isolata e ha successo è più facile avere la tentazione di metterla da parte», e ipotizza appunto un com-plotto «clerico-destrorso per im-possessarsi della manifestazione». La Fondazione San Carlo, per boc-ca di Franchini, risponde accusan-do l’ex direttrice di avere abbando-nato la barca in una situazione difficile. Al suo posto è stato chia-mato, ironia della sorte, un suo ex allievo.

L’edizione 2009 sarà presenta-ta al consiglio di amministrazione domani. Non si sa chi parteciperà. L’unica cosa certa, per ora, è il te-ma di quest’anno: la “comunità”. A Modena, oggi, ce n’è molto biso-gno. (gio.co.)

Lo scioperodei fi losofi

contro il Pd

FestivalITALIANO

Le dieci parolepiù conosciutein EuropaVotate, sul sito www.ladante.it, le dieci parole italiane entrate a far parte delle lingue dei 27 stati membri dell’Unione europea. Spiccano in particolare pizza (8%), cappuccino (7%), spaghetti (7%) ed espresso (6%). È quanto emerge dal sondaggio proposto dalla Società Dante Alighieri che in tre mesi di permanenza on line (dal 5 novembre 2008 a oggi) ha fatto registrare quasi diecimila voti, ciascuno dei quali ha indicato dieci parole da una lista di cento tratta dal Dizionario degli italianismi nel mondo, a cura dei linguisti Luca Serianni, Lucilla Pizzoli e Leonardo Rossi.

ARTE

Resta nei museibritanniciun “Tiziano”Un capolavoro di Tiziano, Diana e Atteone, da più di sessant’anni in custodia alle Gallerie nazionali di Edimburgo, resterà nel Regno Unito e non andrà all’asta con il rischio di essere venduto all’estero. Il dipinto è stato comprato, infatti, per 50 milioni di sterline dalla National Gallery di Londra e dalle National Galleries of Scotland, mettendo così fi ne a una lunga trattativa segnata anche da vivaci polemiche politiche sull’opportunità di utilizzare fondi pubblici per acquistare un’opera d’arte in un periodo di grave crisi economica. Diana e Atteone sarà esposto periodicamente nei musei di Londra e Edimburgo, ha precisato il notiziario della Bbc.

ROMA

LiberiesperimentiteatraliRiparte oggi LET-Liberi Esperimenti Teatrali, la rassegna nata per promuovere la drammaturgia contemporanea, alla sua quinta edizione. Ospitata anche quest’anno negli spazi della Cometa Off di Roma, si allunga fi no al 29 marzo mantenendo la formula della doppia serata, alle 20.45 e alle 22.30. Ogni compagnia effettuerà da due a sei repliche, per un totale di 23 spettacoli e quasi 90 rappresentazioni. Si comincia con un omaggio a Dino Campana, La più lunga ora, di e con Vinicio Marchioni, da stasera all’8 in prima serata. A ruota, in seconda, da domani fi no al 6, una lieve rifl essione sui tempi moderni, Facce da Facebook, di e con Rosanna Sferrazza.

Diario

AGOSTINOGIOVAGNOLI

La politica estera dei governi di cui la Dc ha costituito la componente prin-

cipale è stata spesso definita in chiave polemica, utilizzando espressioni come “giro di valzer”, “Italia, Bulgaria della Nato”, “politica della sedia” ecc. Molte polemiche hanno riguardato in partico-lare la scarsa affidabilità atlantica dei leader democristiani, specie in riferi-mento ai dossettiani, da cui proveniva Amintore Fanfani, e per quale si è parla-to di contrapposizione fra Pax cristiana e Pax atlantica, di atlantismo cattolico o democristiano, di atlantismo relativo. Per quanto riguarda Fanfani, infine, si nota un’alta concentrazione di luoghi comuni che enfatizzano presenzialismo, attivismo, presunzione, megalomania, velleitarismo, ambiguità, incoerenza quali tratti caratteristici della sua politica estera: tali giudizi, nati sul terreno poli-tico o giornalistico, hanno poi influenza-to anche la storiografia. Ma, per svilup-pare una riflessione di lungo periodo sulla politica estera italiana è oggi neces-sario andare al di là delle polemiche e delle apologie, confrontandosi con i do-cumenti e misurandosi sui fatti.

Dopo il ritiro di Dossetti dalla vita politica, nel 1951, Fanfani riprese ad ela-borare una visione internazionale a par-tire soprattutto da due figure, molto di-verse tra loro: De Gasperi e La Pira. Du-rante un momento di crisi del gruppo dossettiano, infatti, entrambi, erano riu-sciti a portare sul terreno politico un’istan-za di pace molto sentita dal mondo catto-lico dopo lo scoppio della guerra di Corea, senza contraddire la scelta atlantica del-l’Italia. Su questa strada, Fanfani ha poi intrecciato fedeltà atlantica e prospettive di pace all’interno di una visione “plane-taria” priva di tratti neutralisti, antiame-ricani o europeisti in senso strumentale. Molti studi – da ultimo, quello di Evelina Martelli, L’altro atlantismo – hanno ormai chiarito il costante orientamento atlanti-co ed europeistico della politica estera fanfaniana. Centrale, in tale politica, è stata la ricerca di una piena cooperazione tra alleati al fine di rendere operativamen-

te più efficace l’unità occidentale. Per Fanfani, ciascun membro dell’alleanza atlantica doveva dare un contributo crea-tivo, perché fronteggiare militarmente il nemico non era sufficiente per sconfig-gerlo veramente. Il carattere non distrut-tivo ma propositivo del suo anticomuni-smo, l’obiettivo di una “conquista” ai va-lori occidentali e cristiani dei popoli sot-tomessi o tentati dal comunismo, la spinta verso uno “svuotamento” dall’in-terno di questa grande minaccia per il mondo contemporaneo hanno impresso un peculiare impulso dinamico alla sua azione in campo internazionale.

Il suo rapporto con gli Stati Uniti – leale ma non passivo – è in questo senso illuminante. Nei suoi contatti oltreocea-no, Fanfani non cercò solo di rafforzare lo status internazionale dell’Italia o di acquisire successi d’immagine a fini di consenso interno. Gli americani avevano già notato che non era un intento presen-zialistico ma propositivo ad ispirare il suo intenso attivismo e a Washington egli cercò di farsi accettare come un interlo-cutore paritario con l’obiettivo di sugge-rire proposte efficaci all’alleato più impor-tante, in particolare per quanto riguarda-va Nasser, l’Egitto e il mondo arabo in generale. Cinque anni dopo, le proposte di Fanfani non riguardavano più obiettivi limitati, ma la stessa impostazione dei rapporti Est-Ovest. Egli cercò di convin-cere gli alleati che era necessario intra-

prendere la via del negoziato per evitare da parte sovietica pericolosi atti unilate-rali, come quelli minacciati a proposito di Berlino e della Germania. Non erano ambiguità neutralistiche o velleità media-trici ad ispirarlo, ma l’intento di rendere più efficace l’azione occidentale grazie ad una strategia modellata su una conoscen-za più ravvicinata della leadership sovie-tica e sull’intento di indebolirne gli inten-ti aggressivi.

Si è molto discusso sulla politica eu-ropeistica di Fanfani, ricondotta talvolta a semplice riverniciatura retorica dell’in-teresse nazionale o ad incostanti oscilla-zioni tra grandi obiettivi di piena unità politica e modeste cadute pragmatiche. Egli perseguì come una priorità l’avvici-namento della Gran Bretagna all’Europa, che però urtò contro le resistenze france-si e tedesche. Fanfani non era contrario all’asse franco-tedesco, egli era fedele al-l’insegnamento di De Gasperi che lo con-siderava positivo e irrinunciabile, ma nel corso del tempo, gli sembrò che De Gaul-le non intendesse collaborare davvero con gli altri paesi europei, dentro il quadro dell’alleanza atlantica, preferendo piutto-sto seguire un proprio disegno, e che Adenauer non riuscisse a guardare oltre il dramma, indubbiamente pesante, del-la nazione tedesca attraversata da una lacerazione tanto dolorosa e innaturale. Per Fanfani, le motivazioni dei singoli paesi non dovevano impedire traguardi, come l’avvicinamento britannico, che persino la geografia e la storia sembrava-no indicare come necessari ed urgenti. In questo quadro, anche il rapporto di Fanfani con l’interesse nazionale italiano non può essere interpretato semplicisti-camente. Egli si è impegnato per difen-dere l’interesse nazionale italiano nelle sedi internazionali, ma tale impegno gli appariva funzionale ad un disegno più ampio: ai suoi occhi, una politica estera rispondente al ruolo dell’Italia nel mondo non poteva non contribuire ad un com-plessivo progresso planetario, come si vede dal suo atteggiamento sugli aiuti ai paesi emergenti, in campo culturale, eco-nomico, energetico.

Illustrazione di Stefano Navarrini

Nel cinquantesimo anniversario dalla morte di don Primo Mazzolari (1959-2009), esce questo saggio di Anselmo Palini. Postfazionedi mons. Loris Francesco Capovilla (Editrice Ave).

TestimoniQual è il destino dell’opera d’ingegno nell’epoca della sua riproducibilità digitale? Luca Neri indaga su questo tema ne La baia dei pirati. Assalto al copyright (Cooper).

InchiestaUn fuoriclasse vero di Sergej Samonov (Isbn Edizioni) rompe con le storie edificanti sul calcio che realizza i sogni, portandoci, col ritmo di una spy story, nell’incubo del calcio apocalittico.

RomanzoElecta pubblica la monografia dedicata ad Alik Cavaliere (Roma 1926 - Milano 1998), uno degli scultori più raffinati e singolari del secondo Novecento.

Scultori

C U L T U R A

L’altro atlantismodi Fanfani

Lo statista dc intrecciò fedeltà agli Usa e prospettive di pace globale

IL CONVEGNO

Il testo che pubblichiamo è uno stralcio

della relazione del professor Giovagnoli al

convegno “Fanfani e la politica estera

italiana”, che si svolge oggi e domani al

ministero degli affari esteri nell’ambito

delle celebrazioni per il centenario della

nascita dello statista dc. All’incontro,

promosso dalla Fondazione Fanfani,

partecipano, fra gli altri, venticinque storici

e cinque ex-ministri degli esteri: Andreotti,

Colombo, D’Alema, De Michelis, Dini.

Politica estera italiana


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