Anno Accademico 2011-2012
FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA AZIENDALE
TESI DI LAUREA IN
ECONOMIA DELLE AZIENDE NON PROFIT
DALLA FILANTROPIA ISTITUZIONALE ALL’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA: IL CASO DELLE «FONDAZIONI DI COMUNITÀ»
Relatore Prof.ssa ANTONIETTA COSENTINO Correlatore Prof.ssa DANIELA COLUCCIA
Laureando MARCO CARONI
«È un vero peccato che impariamo le lezioni
della vita solo quando non ci servono più.»
(Oscar Wilde, Il ventaglio di Lady Windermere)(1
)
(1) WILDE O., Aforismi, Mondadori, Milano, 2010, pag. 4.
SIMONE MARTINI
LA DIVISIONE DEL MANTELLO
(Assisi, 1317)(2
)
(2) La divisione del mantello è un affresco (265 x 230 cm) di Simone Martini (Siena, 1284 -
Avignone, 1344) facente parte della decorazione della Cappella di San Martino nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi. L’opera ritrae una scena delle Storie di Martino, vescovo di Tours. In una fredda giornata invernale, Martino, mentre stava uscendo da una porta civica di Amiens, venne avvicinato da un pover’uomo con pochi stracci addosso e molto infreddolito. Non appena Martino lo vide, con un deciso colpo di spada squarciò il suo mantello in due parti, offrendone una al mendicante, nel quale Gesù si era incarnato. Fonte: in http://it.wikipedia.org/wiki/Simone_Martini.
Alla cara memoria
dei miei genitori
INDICE
V
INDICE
INTRODUZIONE PAG. XIII
RINGRAZIAMENTI » XVIII
CAPITOLO PRIMO
LE AZIENDE NON PROFIT
1. IL “TERZO SETTORE”: LINEAMENTI SOCIOLOGICI » 2
1.1. LE STRUTTURE DEL TERZO SETTORE
1.2. LA CULTURA
1.3. LA NORMATIVITÀ
1.4. L’ORGANIZZAZIONE OPERATIVA
1.5. IL RUOLO SOCIETARIO
1.6. I CRITERI DEFINITORI
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4
5
5
5
6
8
2. LE ORGANIZZAZIONI AZIENDALI » 9
2.1. I CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
2.1.1. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL SOGGETTO
GIURIDICo
2.1.2. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL SOGGETTO
ECONOMICO
2.1.3. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL FINE
2.1.4. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA DESTINAZIONE
DELLA PRODUZIONE
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9
9
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11
12
3. LA TIPOLOGIA DELLE AZIENDE NON PROFIT » 14
3.1. L’IMPRESA
3.2. L’AZIENDA DI AUTOPRODUZIONE
3.3. L’AZIENDA FILANTROPICO-EROGATIVA
»
»
»
15
17
18
INDICE
VI
3.4. L’IMPRESA SOCIALE PAG. 20
4. LA QUALIFICAZIONE ECONOMICO-SOCIALE DELLE AZIENDE NON
PROFIT
»
22
5. LE TEORIE SULLA FORMAZIONE DELLE AZIENDE NON PROFIT » 24
5.1. LA TEORIA DEL “FALLIMENTO DELLO STATO”: IL MODELLO
DELL’ELETTORE MEDIANO DI WEISBROD
5.2. LA TEORIA DEL “FALLIMENTO DEL CONTRATTO” DI
HANSMANN
5.3. ALTRE TEORIE SULLE AZIENDE NON PROFIT
»
»
»
24
26
27
6. LE FONDAZIONI: DEFINIZIONE ED ELEMENTI COSTITUTIVI » 31
6.1. L’ATTO DI FONDAZIONE
6.2. LO STATUTO
6.3. IL PATRIMONIO
6.4. LO SCOPO
»
»
»
»
33
34
34
35
7. LA TASSONOMIA DELLE FONDAZIONI » 35
7.1. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL CRITERIO FUNZIONALE
7.1.1. LE FONDAZIONI DI GESTIONE (OPERATING
FOUNDATION)
7.1.2. LE FONDAZIONI DI EROGAZIONE (GRANT-MAKING
FOUNDATION)
7.1.3. LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ (COMMUNITY
FOUNDATION)
7.1.4. LE FONDAZIONI D’IMPRESA (CORPORATE
FOUNDATION)
7.2. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AI MODELLI GIURIDICI
ADOTTATI
7.2.1. LE FONDAZIONI DI DIRITTO COMUNE
7.2.2. LE FONDAZIONI DI PARTECIPAZIONE
7.2.3. LE FONDAZIONI DI DIRITTO SPECIALE
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35
36
36
37
37
38
38
38
39
INDICE
VII
CAPITOLO SECONDO
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
1. LA FILANTROPIA ISTITUZIONALE PAG. 43
2. GLI STRUMENTI DI PERSEGUIMENTO DEGLI OBIETTIVI
FILANTROPICI
»
45
2.1. LA GESTIONE DIRETTA
2.2. LA DONAZIONE DELLE RISORSE AD UN ENTE SPECIFICO
2.3. LA COSTITUZIONE DI UN’ASSOCIAZIONE
2.4. LA COSTITUZIONE DI UNA FONDAZIONE
»
»
»
»
45
45
46
46
3. L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA » 46
3.1. IL CONCETTO DI «COMUNITÀ»
3.2. L’INFRASTRUTTURAZIONE SOCIALE DEL TERRITORIO
»
»
47
49
4. LA TEORIA DEL CICLO DI VITA DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 50
5. IL “CAPITALE SOCIALE” DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 52
6. LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ COME «INTERMEDIARI FIDUCIARI» » 54
7. IL «MERCATO» DELLE DONAZIONI » 56
7.1. LE DONAZIONI DIRETTE
7.2. LE DONAZIONI INDIRETTE
7.2.1. DONAZIONI AD INTERMEDIARI OPERATIVI
7.2.2. DONAZIONI AD INTERMEDIARI FINANZIARI
FILANTROPICI
»
»
»
»
56
57
57
58
8. LE CAUSE DI FORMAZIONE DEGLI INTERMEDIARI FILANTROPICI » 58
8.1. LE ASIMMETRIE INFORMATIVE
8.2. I COSTI DI TRANSAZIONE
8.3. LE DIMENSIONI DELLE DONAZIONI
8.4. I VANTAGGI FISCALI
»
»
»
»
58
59
60
62
9. I PROBLEMI DI AGENZIA TRA I DONATORI E L’INTERMEDIARIO
FINANZIARIO FILANTROPICO
»
64
9.1. INTERMEDIARI FINANZIARI FILANTROPICI NATI DA UNA SOLA
GRANDE DONAZIONE
»
64
INDICE
VIII
9.2. INTERMEDIARI FINANZIARI FILANTROPICI NATI DA MOLTE
PICCOLE DONAZIONI
9.3. VINCOLO DI NON DISTRIBUZIONE DEI PROFITTI
9.3.1. LA TEORIA NEO-ISTITUZIONALISTA DELL’IMPRESA
9.3.2. IL CASO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
FILANTROPICI
9.4. REGOLAZIONE DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
FILANTROPICI
PAG.
»
»
»
»
65
66
67
67
68
10. LE PROBLEMATICHE DI GOVERNANCE DEGLI INTERMEDIARI
FINANZIARI FILANTROPICI
»
70
CAPITOLO TERZO
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
1. LA GOVERNANCE DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 75
1.1. GLI STAKEHOLDERS DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
LOCALI
»
76
2. I RAPPORTI TRA LA FONDAZIONE DI COMUNITÀ E GLI ENTI LOCALI » 78
3. GLI ORGANI ISTITUZIONALI » 79
3.1. IL PRESIDENTE E IL VICE PRESIDENTE
3.2. IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
3.3. IL SEGRETARIO GENERALE (O DIRETTORE GENERALE)
3.4. IL COLLEGIO DEI REVISORI
3.5. IL COMITATO ESECUTIVO
3.6. IL COLLEGIO DEI PROBIVIRI
3.7. IL COMITATO DEI DONATORI
»
»
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»
82
82
85
85
86
86
86
4. LE EROGAZIONI E LE DONAZIONI: ASPETTI INTRODUTTIVI » 87
5. GLI STRUMENTI DELLE DONAZIONI » 89
5.1. I BENEFICI FISCALI » 91
6. LE TIPOLOGIE DI FONDI » 93
INDICE
IX
7. LE PROCEDURE DI EROGAZIONE DEI CONTRIBUTI PAG. 97
7.1. L’EROGAZIONE “A SPORTELLO”
7.2. IL BANDO “APERTO”
7.3. IL BANDO “CHIUSO”
7.4. IL BANDO “CON RACCOLTA”
7.5. L’EROGAZIONE “CON RISULTATO”
7.6. L’ATTIVITÀ EROGATIVA SOTTO ALTRE FORME
7.7. IL MODELLO OPERATIVO DELL’ATTIVITÀ EROGATIVA DELLA
FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO
»
»
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»
»
»
»
98
98
99
99
99
100
101
8. I PROBLEMI DI GOVERNO DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 102
CAPITOLO QUARTO
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
1. IL “PROGETTO FONDAZIONI DI COMUNITÀ” DELLA FONDAZIONE
CARIPLO
»
106
1.1. L’ORIGINE
1.2. LE LINEE GUIDA DEL PROGETTO
1.3. LA MISSION
1.4. L’«EROGAZIONE SFIDA»
»
»
»
»
106
107
112
113
2. LA PROCEDURA DI COSTITUZIONE DI UNA FONDAZIONE
COMUNITARIA
»
114
2.1. IL COMITATO D’ONORE
2.2. IL COMITATO PROMOTORE
»
»
115
116
3. I SETTORI DI INTERVENTO » 117
4. L’ACCOUNTABILITY » 119
4.1. LA RENDICONTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA NELLA
NORMATIVA CIVILISTICA
4.2. LA RENDICONTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA NELLA
NORMATIVA FISCALE
»
»
120
122
INDICE
X
4.3. LA CLASSIFICAZIONE DEI BILANCI «ETICI»
4.4. IL BILANCIO DI MISSIONE
4.5. IL “RAPPORTO ANNUALE” DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
PAG.
»
»
123
126
128
5. UN MODELLO ITALIANO DI COMMUNITY FOUNDATION? » 128
6. LA PROCEDURA DI NOMINA DEI CONSIGLIERI DI
AMMINISTRAZIONE
»
132
6.1. IL REGOLAMENTO DEL COMITATO DI NOMINA
6.2. LA PROCEDURA DI EVIDENZA PUBBLICA PER L’ELEZIONE DEI
CONSIGLIERI DI DIRETTA COMPETENZA DELLE DIVERSE
AUTORITÀ PUBBLICHE
»
133
134
7. L’ASSOCIAZIONE ITALIANA FONDAZIONI ED ENTI DI EROGAZIONE
(ASSIFERO)
»
139
7.1. LE LINEE STRATEGICHE » 141
8. LE POSSIBILI DIRETTRICI DI SVILUPPO » 142
CAPITOLO QUINTO
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA
ESPERIENZE INTERNAZIONALI
1. L’ADATTABILITÀ DEL MODELLO AI DIVERSI CONTESTI SOCIALI,
CULTURALI ED ECONOMICI
»
146
2. LE COMMUNITY FOUNDATIONS NEGLI STATI UNITI » 148
2.1. LA CLEVELAND FOUNDATION
2.2. LINEAMENTI GENERALI
»
»
149
151
3. LE COMMUNITY FOUNDATIONS IN GRAN BRETAGNA » 155
4. LE BÜRGERSTIFTUNG IN GERMANIA » 158
4.1. LA STADT STIFTUNG GÜTERSLOH » 160
5. LA FONDATION DE FRANCE » 161
CONCLUSIONI » 165
INDICE
XI
BIBLIOGRAFIA
1. AGENZIA PER IL TERZO SETTORE PAG. 177
2. AGENZIA DELLE ENTRATE » 177
3. ASSOCIAZIONE DI FONDAZIONI E DI CASSE DI RISPARMIO » 178
4. MONOGRAFIE » 178
5. SAGGI » 181
6. ARTICOLI, RIVISTE E PERIODICI » 187
7. ATTI DI CONVEGNI E SEMINARI » 191
8. RAPPORTI E RICERCHE » 192
9. ENCICLICHE PAPALI » 192
10. ALTRE FONTI » 193
11. STATUTI, REGOLAMENTI E RAPPORTI ANNUALI » 194
12. SITI INTERNET ISTITUZIONALI DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 198
NOTA REDAZIONALE:
QUESTA TESI SI COMPONE DI 220 PAGINE.
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
XIII
La crisi finanziaria(1) che dagli anni settanta ha colpito lo Stato, ha determinato la
progressiva crisi del welfare state(2
La crisi dello stato sociale è profonda e ben difficilmente potrà essere superata
senza un radicale ripensamento dell’intero modello di welfare che coinvolga anche il
«paradigma che ha guidato la costruzione dello stato sociale in questi ultimi secoli, la
cui pietra angolare deve essere cercata proprio nel concetto di diritto soggettivo. […]
L’idea che la giustizia possa essere perseguita attraverso la soddisfazione dei diritti
soggettivi si è infatti rivelata un’astrazione.»(
) e dei modelli di intervento che esso aveva
sviluppato.
3
Questa situazione ha aperto la strada all’introduzione di nuove metodologie di
azione in campo sociale che s’ispirano ai modelli sviluppati dalla filantropia(
).
4
La società civile(
)
istituzionale americana all’inizio del XX. 5
(1) La crisi finanziaria del settore pubblico, o crisi fiscale dello Stato, si manifesta nel fatto che,
mentre le spese pubbliche aumentano progressivamente, le corrispondenti entrate tributarie non aumentano in misura corrispondente. In particolare «l’attività economica pubblica deve essere in qualche modo finanziata. […] la crescita assai sostenuta delle attività pubbliche ha posto il problema di una adeguata crescita delle entrate tributarie necessarie al loro finanziamento. Anche se le entrate tributarie sono molto cresciute, esse non sono state sufficienti a finanziare completamente la spesa, e si è dovuto quindi ricorrere all’emissione di moneta e all’indebitamento pubblico per colmare il deficit. […] Ciò significa che […] un terzo della spesa pubblica è stato finanziato col ricorso al debito o con l’emissione di moneta. […] la massa di debito pubblico adesso in circolazione ha quasi raggiunto la consistenza del reddito nazionale; la pericolosità della situazione è evidente se si pensa da un lato all’ingente massa di interessi da pagare sul debito pubblico, e dall’altro al fatto che l’equilibrio finanziario dello Stato dipende, ogni anno, dalla propensione dei detentori di debito a rinnovare i titoli in scadenza, e a sottoscriverne di nuovi per un ammontare pari al deficit dell’anno stesso.»: FOSSATI A., Economia Pubblica, FrancoAngeli, Milano, 1999, pagg. 14-15.
) italiana, pertanto, è stata recentemente innervata da un nuovo
attore sociale: le community foundations.
(2) Il termine welfare viene «sovente usato con riferimento al concetto di Stato del benessere, ovvero quell’insieme di processi decisionali, azioni e contesti istituzionali, variamente organizzati, attraverso cui gli Stati sviluppano politiche sociali orientate a creare situazioni di sicurezza per i cittadini e a ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle risorse.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, Editrice San Raffaele, Milano, 2011, pag. 310.
(3) CASADEI B., Filantropia istituzionale e dignità della persona, in «Studi Zancan», Fondazione «Emanuela Zancan», Padova, n. 6, novembre/dicembre 2011, pag. 118.
(4) La parola filantropia «deriva dal greco e indica un sentimento di amore (philía) nei confronti dell’uomo (ánthropos). La filantropia è, dunque, un sentimento di amore e interesse per il prossimo, che si traduce in atti di fattiva solidarietà, normalmente nell’elargizione di una somma di denaro a favore di una determinata causa o persona.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 151.
(5) L’espressione società civile connota il «rapporto tra la soggettività dei cittadini e dello Stato e si caratterizza per il riconoscimento, da parte dell’ordinamento, di una serie di diritti di libertà, garantiti costituzionalmente e politicamente attraverso il riconoscimento di diritti politici attivi e passivi.»: IBIDEM, op. cit., pag. 270.
INTRODUZIONE
XIV
Queste entità costituiscono una forma particolare di fondazione il cui raggio
d’azione è circoscritto alla comunità locale(6
Le fondazioni di comunità rappresentano un modello evoluto di intermediario
filantropico i cui obiettivi sono la promozione della «cultura del dono»(
).
7) e il
miglioramento della qualità della vita degli abitanti di una determinata area geografica
attraverso il finanziamento dei progetti promossi dalle organizzazioni appartenenti al
cosiddetto “terzo settore”(8
Per promuovere le donazioni, le fondazioni di comunità offrono ai potenziali
donatori servizi diversi che li agevolino nel perseguimento dei propri scopi filantropici.
Esse inoltre si «coinvolgono in numerose iniziative fungendo da “facilitatori”,
“catalizzatori” e “collaboratori” per la soluzione di problemi particolarmente rilevanti
per la comunità locale.»(
) nei campi scientifico, culturale e dell’assistenza
sociosanitaria.
9
Le fondazioni di comunità rappresentano una «forma organizzativa “leggera” e
particolarmente flessibile, sia in termini strutturali sia in termini operativi.»(
).
La fondazione di comunità combina nella stessa struttura due funzioni, quella di
raccolta dei fondi, il cosiddetto fund raising, e quella di erogazione dei contributi, il
cosiddetto grant-making, in precedenza svolte da organismi diversi.
L’autonomia e l’indipendenza dalla sfera pubblica e da quella privata e la
trasparenza e la rendicontabilità (accountability) della loro attività nei confronti
dell’opinione pubblica, sono i loro elementi caratteristici che vengono declinati in modo
specifico a seconda del contesto locale di riferimento.
10
In base agli schemi tecnico-economici elaborati dalla dottrina aziendalistica, le
fondazioni di comunità sono organizzazioni intermedie che raccolgono le donazioni da
).
(6) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, Vol. II, Il
caso delle fondazioni di comunità, FrancoAngeli, Milano, 2010, pag. 53. (7) BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, pag.
52, sul sito www.chiesacattolica.it: «La carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza.».
(8) La locuzione «Terzo settore (traduzione del corrispettivo inglese Third Sector) indica quell’insieme, vasto ed eterogeneo, di aggregazioni collettive che sotto un profilo strettamente funzionale intendono collocarsi su una terza via rispetto allo Stato e al mercato.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 293.
(9) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pag. 55.
(10) IBIDEM, op. cit., pag. 56.
INTRODUZIONE
XV
una pluralità di piccoli donatori, garantiscono una gestione indirizzata alla
massimizzazione del rendimento del patrimonio, effettuano una selezione preventiva dei
progetti da finanziare e un monitoraggio successivo degli obiettivi raggiunti.
Il presente studio intende delineare quello che è stato il passaggio dalla
tradizionale filantropia istituzionale alla moderna intermediazione filantropica e fornire
un quadro d’insieme sul poliedrico mondo delle fondazioni di comunità.
La prima parte, costituita dal I capitolo, analizza sinteticamente le tipologie di
aziende non profit operanti nell’ambito del “terzo settore”, soffermandosi poi su
un’esplicitazione specifica delle medesime rappresentata dalle fondazioni che
costituiscono ancora oggi delle «scatole nere poco conosciute e ancor meno comprese»
(Diaz, 1999).
La seconda parte, rappresentata dal II capitolo, è dedicata alla disamina del
fenomeno della filantropia istituzionale e, più in particolare, dell’intermediazione
filantropica. Vengono, quindi, analizzate le cause di formazione degli intermediari
filantropici che sono all’origine dello sviluppo della fondazione di comunità.
La terza parte comprende i capitoli III e IV e approfondisce il fenomeno delle
fondazioni di comunità in Italia. L’analisi dettagliata delle caratteristiche strutturali ed
operative delle fondazioni comunitarie italiane è preceduta dalla descrizione della loro
genesi nell’ambito del progetto promosso dalla “Fondazione Cariplo”. La ricerca è
orientata fondamentalmente sulle fondazioni di comunità che sono emanazione delle
fondazioni di origine bancaria ed è svolta mediante l’analisi dei loro statuti e
regolamenti.
La quarta parte, con l’ultimo capitolo, completa il lavoro e, nell’effettuare un
parallelo tra i principali modelli internazionali di community foundations, dimostra che
la «globalizzazione non necessariamente “distrugge” le comunità locali», ma innesca
processi di adattamento alle diverse situazioni economiche e sociali da cui possono
nascere nuovi attori collettivi capaci di mobilitare ulteriori risorse per la promozione del
benessere locale(11
«Le community foundations ricopriranno, con ogni probabilità, un ruolo sempre
più importante nella costruzione di comunità in grado di vincere le sfide che
).
(11) IBIDEM, op. cit., pag. 55.
INTRODUZIONE
XVI
contraddistinguono la società contemporanea. Esse sembrano essere uno strumento
agile e sufficientemente flessibile per rispondere alle esigenze della società civile»(12
L’ipotesi alla base di questo lavoro è quella che le fondazioni di comunità, inserite
nel tessuto italiano, abbiano subito una forma di morfogenesi(
).
13) sviluppando uno
specifico modello “italiano” in grado di implementare nuove tipologie d’intervento di
lungo periodo(14) per promuovere il welfare societario(15
La tesi che vogliamo verificare è se l’azione delle fondazioni di comunità è
circoscritta alla semplice redistribuzione di risorse economiche tra le organizzazioni
locali del “terzo settore” ovvero se questo strumento può trasformarsi in un «vettore di
sviluppo» economico e sociale non solo in aree caratterizzate da maturità economica ma
anche in aree depresse e assumere un ruolo di leadership in ambito locale. L’assunzione,
pertanto, di un ruolo sistemico essenziale per lo sviluppo economico e sociale del paese.
) a livello locale.
La metamorfosi di questo “veicolo” non è ancora completata ed è quindi di grande
interesse cercare di comprendere quali sono le sue dinamiche di funzionamento.
(12) CASADEI B., Le community foundations: una scelta strategia per le fondazioni delle casse di
risparmio, in AA.VV, Fondazioni e organizzazioni non profit in USA, Maggioli, Rimini, 1997, pag. 183. (13) La differenziazione delle culture organizzative «può dar luogo a due esiti: la riproduzione delle
strutture esistenti (morfostasi) oppure l’elaborazione strutturale prodotta dall’agire interattivo dei soggetti che modificano la struttura (morfogenesi)»: FERRUCCI F., Come pensano (e agiscono) le fondazioni italiane? Morfogenesi e morfostasi delle culture filantropiche, in «Politiche sociali e servizi», Vita & Pensiero, Milano, anno IX, n. 1, gennaio-giugno 2007, pag. 80.
(14) «Le community foundations concentrandosi nel futuro, proprio mentre domina un’enfasi nei confronti degli obiettivi di corto periodo, possono dare un’importante contributo nel costruire una vera visione civile.»: CASADEI B., Le community foundations: una scelta strategia per le fondazioni delle casse di risparmio, op. cit., pag. 183.
(15) Il welfare societario corrisponde «a un sistema sociale in cui l’impegno per il benessere sociale, in qualche modo è parte integrante della vita di ogni giorno». Il welfare state corrisponde «a tutto ciò che un parlamento delibera e che un governo mette in atto». La prospettiva del welfare societario «riguarda invece le azioni, gli atteggiamenti e le opinioni della gente, rispetto le questioni che hanno rilevanza per il benessere della collettività» quindi «mette in evidenza come le politiche sociali non si identifichino più con gli interventi delle pubbliche amministrazioni volte alla promozione del benessere della collettività.»: FERRUCCI F., La promozione del welfare societario a livello locale: il ruolo delle Fondazioni Comunitarie, in BARTOLINI I. (a cura di), Capitale sociale, reti comunicative e culture di partecipazione, FrancoAngeli, Milano, 2008, pagg. 91-92.
RINGRAZIAMENTI
RINGRAZIAMENTI
XVIII
Devo un sentito ringraziamento alla Dott.ssa Silvia Cordero –
Segretario Generale della Fondazione della Comunità di
Mirafiori – per il contributo di pensiero e per il materiale
fornitomi.
Rivolgo un ringraziamento all’Arma dei Carabinieri e in
particolare agli Ufficiali che si sono avvicendati negli incarichi di
Capo dell’Ufficio Personale Marescialli e di Capo della 1^
Sezione Impiego per la incondizionata disponibilità e fiducia
dimostrata nei miei confronti.
Ringrazio la Dott.ssa Elisabetta Bonocore – Responsabile della
Biblioteca del Dipartimento di Diritto ed Economia delle Attività
Produttive della Facoltà di Economia dell’Università “Sapienza”
– per la gentile disponibilità.
In ultimo, perché in fondo a questa lista ma primi nella realtà,
ringrazio gli studenti, tutti ben presenti nei miei pensieri, della
Facoltà di Economia con cui ho condiviso sogni, speranze e
difficoltà.
CAPITOLO PRIMO
LE AZIENDE NON PROFIT
SOMMARIO: 1. Il “terzo settore”: lineamenti sociologici – 1.1. Le strutture del terzo
settore – 1.2. La cultura – 1.3. La normatività – 1.4. L’organizzazione operativa – 1.5. Il ruolo societario – 1.6. I criteri definitori – 2. Le organizzazioni aziendali – 2.1. I criteri di classificazione – 2.1.1. La classificazione in base al soggetto giuridico – 2.1.2. La classificazione in base al soggetto economico – 2.1.3. La classificazione in base al fine – 2.1.4. La classificazione in base alla destinazione della produzione – 3. La tipologia delle aziende non profit – 3.1. L’impresa – 3.2. L’azienda di autoproduzione – 3.3. L’azienda filantropico-erogativa – 3.4. L’impresa sociale – 4. La qualificazione economico-sociale delle aziende non profit – 5. Le teorie sulla formazione delle aziende non profit – 5.1. La teoria del “fallimento dello Stato”: il modello dell’elettore mediano di Weisbrod – 5.2. La teoria del “fallimento del contratto” di Hansmann – 5.3. Altre teorie sulle aziende non profit – 6. Le fondazioni: definizione ed elementi costitutivi – 6.1. L’atto di fondazione – 6.2. Lo statuto – 6.3. Il patrimonio – 6.4. Lo scopo – 7. La tassonomia delle fondazioni – 7.1. La classificazione in base al criterio funzionale – 7.1.1. Le fondazioni di gestione (operating foundation) – 7.1.2. Le fondazioni di erogazione (grant-making foundation) – 7.1.3. Le fondazioni di comunità (community foundation) – 7.1.4. Le fondazioni d’impresa (corporate foundation) – 7.2. La classificazione in base ai modelli giuridici adottati – 7.2.1. Le fondazioni di diritto comune – 7.2.2. Le fondazioni di partecipazione – 7.2.3. Le fondazioni di diritto speciale.
CAPITOLO PRIMO
2
1. IL “TERZO SETTORE”: LINEAMENTI SOCIOLOGICI(1)
Il termine “terzo settore”(2) identifica, nell’accezione corrente, un complesso di
valori, organizzazioni, culture e sistemi che presentano caratteri eterogenei. Questa
circostanza rende l’analisi della realtà del terzo settore estremamente complessa e
problematica(3
Il punto di partenza per definire il terzo settore, è rappresentato dall’ottica in cui si
pone l’osservatore rispetto a questo fenomeno.
).
Possiamo individuare due punti di osservazione quello:
esterno in cui le altre istituzioni, presenti nella società, osservano il terzo settore e ne
danno la propria definizione;
interno in cui il terzo settore osserva la società e si autodefinisce rispetto a
questa’ultima.
Le due prospettive, tuttavia, non sono complementari, ma possono essere
dissomiglianti e contrastanti tra loro(4
Da un punto di vista esterno e negativo, il terzo settore può essere definito come
tutto ciò che non è ricompreso né nello Stato né nel mercato e quindi come il prodotto
da un lato della crisi del welfare state e dall’altro dei fallimenti del mercato. Questa
prospettiva, tuttavia, è in grado di cogliere solo un aspetto della realtà.
).
(1) DONATI P., Che cos’è il terzo settore: cultura, normatività, organizzazione, ruolo societario, in
DONATI P. (a cura di), Sociologia del terzo settore, Carocci, Roma, 1998, pagg. 25-42. (2) «Con il termine “terzo settore” si fa riferimento a un ambito sociale specifico entro il quale è
inscrivibile una gamma articolata di organismi diversi. Tuttavia il dibattito scientifico vede la presenza di altre dizioni accanto a quella di terzo settore. Esse sono: privato sociale, terza dimensione, economia sociale, terzo sistema, settore delle organizzazioni non profit. Ognuna di queste definizioni, pur se con confini e motivazioni diverse, ha contribuito a identificare l’area in questione e il suo specifico significato sociale.»: BOVA A. - ROSATI D., Il terzo settore e l’impresa sociale: sostegni o sfide per il welfare state?, Apes, Roma, 2009, pagg. 16-17.
(3) «Lo studio della realtà del terzo settore sotto un profilo economico-aziendale non è esente da complessità e anche da problematicità, considerata l’eterogeneità delle organizzazioni che nel linguaggio comune si fanno rientrare nell’espressione terzo settore. Ne consegue la necessità di definire l’oggetto di studio, che sicuramente non risulta agevole, alla luce delle differenziate e molteplici tassonomie elaborate nelle diverse discipline.»: BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non profit, FrancoAngeli, Milano, 2010, pag. 16.
(4) «Si evince che definire i confini del terzo settore non risulta agevole, in quanto si tratta di un settore sui generis che può assolvere a ruoli anticipatori, complementari, ma anche concorrenziali rispetto alla Stato e al mercato e, infine, anche a ruoli residuali e di retroguardia, in relazione al contesto geografico e all’ambito di attività. A loro volta lo Stato e il mercato possono creare condizioni favorevoli o sfavorevoli per lo sviluppo del terzo settore»: IBIDEM, op. cit., pag. 17.
LE AZIENDE NON PROFIT
3
Da un punto di vista più ampio e positivo, il terzo settore dovrebbe essere
considerato come il «prodotto della crisi del progetto illuministico moderno» che aveva
tentato di costruire una società basata sull’asse individuo-Stato con la conseguente
marginalizzazione di tutte quelle formazioni sociali intermedie che dal medioevo hanno
caratterizzato l’esistenza delle società occidentali.
Per giungere alla definizione del fenomeno, dobbiamo quindi utilizzare un “terzo
punto di vista” diverso da quello liberistico e da quello statuale che ci consenta di
inquadrare le relazioni che si generano nella società prima del loro scambio sul mercato,
come valore di scambio, o della loro regolazione politica da parte dello Stato. Il terzo
settore, pertanto, non è qualcosa di estraneo, ma è una realtà connaturata alla società e
prodotta dalla «differenziazione societaria in condizioni di crescente complessità
sociale».
In quest’ottica, il terzo settore è un modo di essere «positivo e propositivo» della
società e una «forma sociale emergente» che nasce dall’esigenza di trovare nuove
risposte a specifici problemi sociali determinati dall’accresciuta articolazione della
società.
Le società moderne possono essere scomposte in quattro sotto-sistemi:
a) economia (mercato);
b) istituzioni politico-amministrative (Stato e sue articolazioni);
c) terzo settore (organizzazioni di solidarietà sociale);
d) settore informale (famiglia).
Sulla base di questo schema interpretativo, il terzo settore si caratterizza in modo
differente a seconda che lo osserviamo dall’interno o dall’esterno.
Dall’esterno il terzo settore corrisponde, dal punto di vista:
economico
, all’economia sociale (efficienza del sistema societario);
politico
, a nuovi soggetti politici rappresentanti di identità e interessi e portatori di
proprie strategie e finalità (efficacia del sistema societario);
regolativo
, a nuove reti di sociabilità (integrazione interna per il sistema societario);
culturale
Dall’interno, invece, il terzo settore deve assumere i seguenti requisiti, sotto
l’aspetto:
, ad una nuova cultura civile (impegni di valore per il sistema societario).
− economico, deve disporre di propri mezzi finanziari e operativi;
CAPITOLO PRIMO
4
− politico
−
, deve essere in grado di mobilitare risorse umane e materiali per il
perseguimento dei propri fini;
regolativo
−
, deve avvalersi di un particolare reticolo di norme formali e informali;
culturale
Il terzo settore, quindi, si caratterizza per una propria cultura, normatività,
operatività e funzione societaria anche se poi ogni singola organizzazione sociale
valorizza una di queste categorie rispetto alle altre (ad esempio il volontariato accentua
l’altruismo).
, deve ricorrere a determinate modalità di utilizzazione dei beni e delle
relazioni sociali.
1.1. Le strutture del terzo settore
Il terzo settore si sviluppa in maniera preponderante nelle società avanzate perché
è solo dove lo Stato e il mercato sono già sufficientemente diversificati, che emergono
altre esigenze. È solo quando lo Stato e il mercato si specializzano in determinate
funzioni che nasce la necessità che le relazioni sociali, diverse da quelle basate sul
valore di scambio e da quelle oggetto di regolazione politica, trovino una loro
organizzazione.
I processi che danno vita al terzo settore sono processi di «differenziazione
reticolare» poiché rappresentano la creazione di reti sociali più complesse di quelle
esistenti nella società precedente. Le reti del terzo settore si caratterizzano, quindi, per
una maggiore mobilità e capacità di dotarsi di nuove forme di relazione che
costituiscono l’organizzazione del terzo settore.
I “movimenti sociali” sono l’humus su cui si sviluppano i “soggetti sociali” del
terzo settore che rispondono alle esigenze di relazionalità degli individui. Pertanto le
organizzazioni del terzo settore non possono presentare né un elevato grado di
formalizzazione (paragonabile a quella delle strutture statali) né una gestione guidata
esclusivamente da criteri di utilità economica (paragonabili a quelli del mercato).
Il terzo settore è l’elemento che caratterizza la “società relazionale” quella in cui il
problema principale è costruire un nuovo contratto sociale su cui basare le società post-
moderne. Gli attori del terzo settore sono portatori di una cittadinanza che non fa più
riferimento allo Stato nazionale, ma a un nuovo sistema sociale che si collega a valori
globalizzanti e a realtà multietniche radicate sul territorio.
LE AZIENDE NON PROFIT
5
1.2. La cultura
I valori culturali che esprime il terzo settore sono quelli dell’altruismo, del dono,
della solidarietà, della fiducia, della reciprocità e dell’attenzione alla persona umana.
La cultura del terzo settore si muove dentro tutte le relazioni che stanno tra il
profitto e il non profitto, fra l’inter-soggettività dei cittadini e le azioni dello Stato,
quindi, non può identificarsi con la mera beneficienza e assistenza ma aspira a
combinare le motivazioni “ideali” con forme di intervento efficaci, stabili e dirette a
rispondere a bisogni sociali non occasionali.
1.3. La normatività
Il terzo settore crea e utilizza forme autonome di scambio sociale in cui si
manifesta la sua normatività. Questi scambi si basano sul valore d’uso, anziché di
scambio, di beni e servizi e sul carattere relazionale dello scambio che deriva da
motivazioni soggettive, anziché dall’adempimento di un’obbligazione.
Queste forme di scambio basate sulla reciprocità si differenziano sia dagli scambi
di mercato (attuati tra equivalenti con riferimento al denaro e ad un sistema di prezzi)
sia dagli scambi redistributivi (tipici dello Stato che raccoglie i contributi da una
collettività e li ridistribuisce in base a criteri di equità e solidarietà).
Tuttavia anche i sistemi basati sulla reciprocità devono conformarsi a un numero
crescente di norme statali (legislazione sul welfare state) e utilizzare un metro
monetario se vogliono poter calcolare l’efficienza e l’efficacia dei servizi resi.
1.4. L’organizzazione operativa
I soggetti del terzo settore esprimono forme organizzative e operative specifiche
attraverso la combinazione di peculiari risorse, al fine di poter realizzare la propria
mission.
I gruppi sociali, a diverso grado di organizzazione, devono assumere una forma
giuridica, che sarà un compromesso fra la propria natura (missione) e le forme
istituzionali disponibili.
In Italia le strutture giuridiche utilizzabili sono quelle dell’associazione e della
fondazione (libro I del codice civile), delle società di cui al libro V del codice civile
CAPITOLO PRIMO
6
subordinatamente all’acquisizione della qualifica di “impresa sociale”(5) e della
cooperativa sociale di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 “Disciplina delle
cooperative sociali”(6
In ogni caso l’organizzazione implica sempre dei dilemmi culturali e strutturali, in
particolare il vero e proprio paradosso del terzo settore è rappresentato dal fatto che per
raggiungere i propri obiettivi, deve adottare gradi più elevati di formalizzazione, ma
quanto più si formalizza, tanto più perde quelle connotazioni relazionali che ne
assicurano lo spirito, la mission, le motivazioni.
).
Per il terzo settore, l’ottimizzazione organizzativa consiste nel trovare un punto di
equilibrio dinamico fra risultati e risorse umane, tenendo in considerazione il fatto che
un eccesso di informalità determina una mancanza di crescita di professionalità mentre
un eccesso di formalizzazione comporta una spersonalizzazione che produce un deficit
motivazionale dei membri.
La maggior parte dei soggetti del terzo settore sorgono come iniziative informali
che vanno successivamente formalizzandosi assumendo modalità operative articolate
che fanno riferimento al “gruppo originario”.
1.5. Il ruolo societario
Il ruolo societario del terzo settore si manifesta nella produzione di nuovi beni
detti “relazionali”. Questi beni soddisfano bisogni che non possono essere coperti né dai
beni pubblici, prodotti dallo Stato, né dai beni privati, forniti dal mercato.
(5) Art. 1, comma 1, “Nozione” del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 “Disciplina dell’impresa sociale,
a norma della L. 13 giugno 2005, n. 118”: «Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4.». Inoltre alle ONLUS e agli enti non commerciali di cui al D.Lgs. 460/1997, che acquisiscono anche la qualifica di impresa sociale, continuano ad applicarsi le disposizioni tributarie previste per le ONLUS.
(6) «Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini. Tale scopo è perseguito attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi o con lo svolgimento di attività diverse, agricole, industriali, commerciali o di servizi, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. È fatto obbligo, al fine di facilitare la responsabilità ai terzi, di inserire nella denominazione sociale, comunque formata, l’indicazione di «cooperativa sociale». […] Oltre ai soci previsti dalla normativa vigente, è consentito che delle cooperative sociali facciano parte i «soci volontari» (art. 2, comma 1, l. n. 381, del 1991), purché prestino la loro attività gratuitamente e la loro presenza sia prevista dagli statuti. […] Le persone svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa sociale e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa (art. 4, comma 2).»: TATARANO M. C., La nuova impresa cooperativa, Giuffrè, Milano, 2011, pagg. 411-414. Le cooperative sociali sono ONLUS di diritto in forza dell’art. 10, comma 8, del D.Lgs. 460/1997.
LE AZIENDE NON PROFIT
7
CARATTERE DEL CONSUMO non competitivo competitivo
CARATTERE DEL
CONSUMATORE
Bene pubblico
(Stato)
Bene relazionale
collettivo (terzo settore) non
sovrano
Bene relazionale primario (quarto settore)
Bene privato
(mercato) sovrano
FIG. 1.1 – Matrice delle tipologie di beni
Per il terzo settore si parla di una “economia della condivisione” (sharing) cioè
della produzione di “beni relazionali collettivi”. I beni relazionali sono tutti quei beni
che possono essere prodotti e fruiti soltanto congiuntamente a coloro che ne sono gli
stessi produttori e fruitori, attraverso le relazioni che connettono i soggetti coinvolti (il
bene sta nella relazione).
I “beni relazionali collettivi” sono interrelati con il quarto settore cioè con quella
parte della società, costituita da famiglie, reti amicali e parentali, che produce i “beni
relazionali primari”.
Le quattro tipologie di beni possono essere individuate attraverso una matrice (cfr.
FIG. 1.1).
In base al livello più o meno elevato di condivisione abbiamo che:
a) il bene pubblico rappresenta una forma costrittiva di condivisione;
b) il bene privato non comporta alcuna condivisione;
c) i beni prodotti dal terzo settore implicano condivisione cioè possono essere prodotti e
fruiti soltanto insieme e su basi volontarie attraverso una serie di relazioni
gradualmente formalizzate.
La teoria economica, tuttavia, non è ancora pervenuta a una sistematizzazione
soddisfacente dei beni relazionali poiché non è ancora riuscita a superare la precedente
CAPITOLO PRIMO
8
dicotomia pubblico/privato con l’inserimento di una “terza categoria” indicata come non
profit o “economia sociale”.
Il terzo settore non è semplicemente una combinazione di pubblico e privato ma è
una realtà sui generis con propri caratteri sociali e che si interrelaziona con gli altri
settori. Il ruolo societario del terzo settore diventa di conseguenza osservabile attraverso
gli scambi che i suoi soggetti realizzano con lo Stato, il mercato e il quarto settore. Gli
altri settori hanno bisogno di input che possono essere forniti solo dal terzo settore
mentre, per converso, il terzo settore ha la necessità di acquisire risorse dagli altri
settori.
1.6. I criteri definitori
Il terzo settore può essere identificato attraverso quattro criteri fondamentali.
In primo luogo una cultura che induce gli individui e i gruppi sociali a relazionarsi
in modo solidale verso gli altri. I soggetti del terzo settore non perseguono finalità
puramente economiche, questa condizione può anche essere garantita attraverso
l’inserimento nello statuto o nell’atto costitutivo dell’organizzazione di una clausola di
non distribuzione degli utili.
In secondo luogo un’auto-regolazione dell’attore che s’ispira a norme che vanno
dal dono allo scambio di reciprocità, però sempre senza fini di lucro.
In terzo luogo un’organizzazione operativa dotata di un certo grado di
formalizzazione in particolare per quanto concerne la trasparenza e la rendicontazione
delle attività.
In quarto luogo la produzione di “beni relazionali collettivi”.
A seconda che accentuino l’una o l’altra di queste caratteristiche, i diversi attori
del terzo settore tendono a specializzarsi per campi di intervento e modalità
organizzative. Avremo così il volontariato, la cooperazione sociale e l’associazionismo
sociale.
LE AZIENDE NON PROFIT
9
2. LE ORGANIZZAZIONI AZIENDALI
L’oggetto di indagine dell’economia aziendale(7
un «centro organizzato per la produzione sistematica di beni e servizi». Il termine
“centro” indica che la produzione deve essere svolta in modo sistematico ed
organizzato in quanto non può parlarsi di azienda in presenza di una produzione di
carattere occasionale ovvero in assenza di un coordinato e durevole impiego di mezzi
e persone;
) è l’azienda che è definita come:
un «istituto economico atto a perdurare», intendendosi con ciò che essa è un’entità
che vive di vita propria indipendentemente dalle persone che l’hanno ideata.
2.1. I criteri di classificazione
Le aziende possono essere classificate con diversi criteri ognuno dei quali in
grado di porne in evidenza un particolare aspetto.
Pur tenendo presente che la realtà aziendale non può essere inquadrata in rigide
tassonomie, alcuni dei criteri di classificazione fanno riferimento:
− al soggetto giuridico;
− al soggetto economico;
− al fine;
− alla destinazione della produzione.
2.1.1. La classificazione in base al soggetto giuridico(8
«Il soggetto giuridico è la persona (fisica o giuridica) o l’insieme di persone cui
fanno capo i diritti […] e gli obblighi […] derivanti dalle operazioni effettuate nello
svolgimento dell’attività aziendale.».
)
Secondo il soggetto giuridico le aziende si classificano in pubbliche e private.
Le aziende pubbliche sono regolate dalle norme del diritto amministrativo e si
caratterizzano per il fatto che il soggetto giuridico è di tipo pubblico. Esse
comprendono, gli:
(7) «l’Economia aziendale […] è la scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni
di vita delle aziende»: CAPALDO P., L’economia aziendale oggi, Giuffrè, Milano, 2010, pag. 5. (8) HINNA L., Economia delle aziende: introduzione e classificazione, in HINNA L. (a cura di),
Appunti di economia aziendale, Cedam, Padova, 2008, pagg. 30-32.
CAPITOLO PRIMO
10
1) Enti Pubblici Territoriali
2)
(Stato, Regione, Provincia e Comune) che perseguono
obiettivi istituzionali e devono essere gestiti nel rispetto del principio di efficienza;
Enti pubblici non economici
3)
(Università, I.N.P.S., ecc.) che non hanno una
limitazione territoriale e provvedono al soddisfacimento di bisogni particolari di
gruppi sociali o della collettività in genere;
Enti pubblici economici
Le aziende private, che si contraddistinguono per la circostanza che il soggetto
giuridico è di tipo privato, si dividono a loro volta in due categorie, le:
(Istituto per il credito sportivo, ecc.).
1) Imprese
2)
disciplinate dal libro V del codice civile;
Aziende non profit
− associazioni (artt. 14 e seguenti del codice civile), costituite da un’organizzazione
stabile, composta da un sistema di persone, le quali utilizzando un patrimonio,
pongono in essere delle operazioni volte al conseguimento di fini di natura privata
e non lucrativi;
regolate dal libro I del codice civile e dalle legislazioni speciali.
Esempi di aziende non profit di diritto privato sono, le:
− fondazioni o istituzioni (artt. 14 e seguenti del codice civile), costituite da
un’organizzazione stabile, creata per la gestione di un patrimonio fruttifero
destinato ad uno scopo privato e non lucrativo delineato dal fondatore che per
donazione o per testamento ne delinea i vincoli e i beneficiari esterni all’ente.
2.1.2. La classificazione in base al soggetto economico
Il soggetto economico è «la persona fisica o il compatto insieme di persone che
ha il più alto potere di decisione e di indirizzo nella conduzione aziendale.»(9). Si dice
anche che il soggetto economico «è colui che esercita di fatto il “supremo potere
decisionale” nell’azienda; è cioè la persona o il gruppo di persone che prende le
decisioni che determinano gli orientamenti di fondo della gestione.»(10
Secondo questo parametro, le aziende si distinguono in:
). Il soggetto
economico non è sempre individuabile con facilità perché non è un’entità dai contorni
ben definiti.
1) aziende nelle quali le decisioni:
(9) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, Roma, 2008 (edizione provvisoria fuori commercio),
pag. 80. (10) ZANDA G., Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2006, pag. 140.
LE AZIENDE NON PROFIT
11
− dipendono durevolmente da un singolo individuo o da gruppi di persone, legate da
accordi formali (patti di sindacato) o informali;
− derivano da un procedimento molto formalizzato che vede il concorso di più
soggetti e la convergenza di più volontà;
2) aziende nelle quali il controllo è detenuto:
− sulla base della titolarità di diritti patrimoniali (controllo di diritto);
− di fatto;
3) aziende che fanno capo ad:
− associazioni a larga base personale;
− organismi a forte contenuto patrimoniale e a ristretta base personale (ad esempio
le fondazioni).
Questo criterio è fondamentale per analizzare il processo di formazione delle
decisioni aziendali, la cosiddetta corporate governance(11
).
2.1.3. La classificazione in base al fine(12
Il «fine non è dell’azienda in sé ma delle persone che le danno vita, che la
conducono e che ne indirizzano di tempo in tempo la gestione: tesi alla quale si
contrappone quella secondo la quale l’azienda ha un fine in sé ed è costituto dal
perseguimento dell’equilibrio economico di gestione»(
)
13
Secondo lo scopo le aziende si suddividono in due gruppi, le:
).
1) Aziende orientate al profitto anche dette “for profit” o “profit oriented” o
imprese(14
2)
);
Aziende orientate a finalità diverse dal profitto anche dette «non profit»(15
Il soggetto che costituisce un’impresa ha come obiettivo il perseguimento di un
profitto indipendentemente dal tipo di produzione realizzata.
).
(11) «Per corporate governance intendiamo il sistema delle istituzioni e delle regole, sia formali sia
informali, che governano il funzionamento dell’impresa […] e in particolare la dinamica fra proprietà e controllo.»: GOGLIO A. - GOLDSTEIN A., Corporate governance. Un cardine della crescita economica, Il Mulino, Bologna, 2010, pagg. 11-12.
(12) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 122-125. (13) IBIDEM, op. cit., pag. 117. (14) «Le imprese sono complessi sistemi socio-tecnici, duraturi e probabilistici che producono beni
e/o servizi destinati allo scambio; esse possono soddisfare i bisogni umani in modo diretto e/o indiretto.»: D’ALESSIO L., La gestione delle aziende pubbliche, Giappichelli, Torino, 1992, pag. 10.
(15) «Le aziende non profit sono complessi sistemi socio-tecnici, duraturi e indirizzati a soddisfare direttamente i bisogni sociali.»: HINNA L., Economia delle aziende: introduzione e classificazione, op. cit., pag. 29.
CAPITOLO PRIMO
12
Al contrario, nelle aziende non profit, il fine è strettamente legato all’oggetto
della produzione da realizzare. Il soggetto che dà vita ad un’azienda non profit lo fa per
produrre determinati beni o servizi in quanto ritiene che solo quelli siano in grado di
soddisfare quei bisogni per i quali l’azienda viene creata. L’azienda non profit, quindi,
ha ragione di esistere solo fintanto che ci sono quelle esigenze.
Condizione necessaria per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’azienda è il
mantenimento, nel medio-lungo periodo, dell’equilibrio economico. L’equilibrio
economico si configura in maniera diversa a seconda del tipo di azienda:
− nell’impresa l’«equilibrio economico è la capacità […] di sviluppare nel corso della
sua vita ricavi superiori ai costi in modo da remunerare in misura congrua il fattore in
posizione residuale»(16
− nell’azienda non profit invece «è sufficiente che i proventi, […], coprano tutti i costi
inerenti la produzione»(
);
17
).
2.1.4. La classificazione in base alla destinazione della produzione(18
Questo criterio si basa sulla destinazione che le aziende danno alla loro
produzione e conseguentemente sulle modalità con le quali ottengono le risorse per la
copertura dei costi.
)
Secondo questo criterio possiamo segmentare le aziende in tre classi, le:
1) Imprese cioè le aziende di produzione per lo scambio. Queste istituzioni economiche
destinano la loro produzione al mercato e nei ricavi, caratterizzati da elevata
variabilità, conseguiti dallo scambio, trovano le risorse necessarie per coprire i costi
della produzione(19
2)
). Nell’impresa il meccanismo economico è rappresentato dalla
relazione «costi-ricavi» poiché produce in previsione di una domanda di mercato;
Aziende di autoproduzione
(16) Il termine congruo significa «in linea con i compensi che il fattore in posizione residuale
conseguirebbe fuori dell’impresa. Non è perciò sufficiente coprire i costi. L’obiettivo dell’impresa è rendere quanto più elevato possibile il valore del reddito d’esercizio (differenza tra ricavi e costi).» secondo l’«Equazione dell’equilibrio economico: Ricavi = Costi + Reddito d’esercizio congruo»: ZANDA G., Lineamenti di economia aziendale, op. cit., pag. 139.
cioè le entità economiche che destinano la produzione a
soggetti predeterminati. Quest’azienda viene costituita per soddisfare i comuni
(17) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pag. 39. (18) IBIDEM, op. cit., pagg. 119-121. (19) «sono aziende che realizzano la loro funzione produttiva operando su mercati concorrenziali
sia dal lato della domanda (acquisizione dei fattori produttivi) che dell’offerta (collocamento dei prodotti)»: HINNA L., Economia delle aziende: introduzione e classificazione, op. cit., pag. 33.
LE AZIENDE NON PROFIT
13
bisogni di un gruppo omogeneo di soggetti. Questi soggetti, che sono gli unici
destinatari della sua produzione, la mantengono in vita in quanto gli forniscono le
risorse necessarie alla copertura dei costi. Nelle aziende di autoproduzione il
meccanismo economico è rappresentato dalla relazione «costi-proventi» in quanto
producendo sulla base di una domanda già definita proveniente dai soggetti che
l’hanno costituita, sono questi ultimi che gli dovranno far pervenire le risorse
necessarie;
3) Aziende filantropico-erogative
All’interno del terzo settore è ricompreso, quindi, un sottoinsieme di
organizzazioni, denominate aziende non profit, che presentano caratteristiche peculiari.
La contrapposizione dei termini utilizzati per definirle, rende subito evidente quello che
è il loro carattere distintivo cioè l’impossibilità di distribuire utili.
o più specificatamente aziende di erogazione. Queste
entità destinano la loro produzione a beneficio di determinate persone o dell’intera
collettività e lo fanno senza ricevere alcuna controprestazione ovvero ottenendo una
controprestazione puramente simbolica. Le aziende filantropico-erogative producono
beni e servizi, nei campi della sanità, della cultura, dell’assistenza e della ricerca
scientifica, che vengono offerti, gratuitamente, per soddisfare i bisogni di persone
che vivono in condizioni di disagio sociale ovvero per contribuire alla crescita e al
miglioramento delle condizioni dell’intera comunità. L’elemento che
contraddistingue questa tipologia di aziende è il principio che poiché la loro
produzione viene ceduta attraverso “atti di liberalità”, per coerenza anche la
copertura dei loro costi deve avvenire attraverso “atti di liberalità” realizzati da
individui che ne sostengono l’attività. Quindi all’origine di queste istituzioni c’è un
gruppo di persone che condividono gli stessi valori etici e che offrono, senza ricevere
nulla in cambio, risorse economiche e impegno personale. Nell’azienda di
erogazione il meccanismo economico è rappresentato dalla relazione «costi-
proventi» inversa cioè essa può sostenere costi solo nei limiti delle risorse che gli
provengono gratuitamente da suoi sostenitori.
CAPITOLO PRIMO
14
3. LA TIPOLOGIA DELLE AZIENDE NON PROFIT
Per approfondire l’analisi dell’universo delle aziende non profit, dobbiamo
procedere alla sovrapposizione di due degli schemi di classificazione esaminati nel
paragrafo precedente. Secondo il criterio:
della destinazione della produzione le aziende si distinguono in:
− a1) aziende che destinano allo scambio quello che producono;
− a2) aziende di autoproduzione;
− a3) aziende filantropico-erogative;
del fine le aziende si ordinano in:
− b1) aziende che operano per il profitto cioè le imprese;
− b2) aziende non profit.
Le classi a1 e b1 non coincidono completamente poiché mentre tutte le aziende
profit oriented destinano al mercato la loro produzione; ci sono aziende che pur
destinando al mercato ciò che producono operano per finalità diverse dal profitto. Da
questa considerazione deriva che la categoria b2 è più grande dell’aggregazione delle
categorie a2 e a3 in quanto include entità che, pur non volte al perseguimento del
profitto, hanno caratteristiche diverse dalle aziende di autoproduzione e di erogazione.
Queste aziende scambiano la loro produzione sul mercato ma per finalità diverse
dall’ottenimento di un surplus, come ad esempio:
− dare lavoro a persone svantaggiate non in grado di inserirsi nel mercato del lavoro
senza specifica assistenza;
− offrire beni e servizi, che non vengono prodotti attraverso i consueti canali dello
Stato e del mercato, per rispondere alla domanda di gruppi sociali economicamente
deboli.
Queste aziende ottengono le risorse di cui hanno bisogno da un lato attraverso atti
di liberalità da parte degli individui che ne condividono i valori e dall’altro attraverso lo
scambio di mercato. Esse si avvicinano, pertanto, sia alle aziende di erogazione sia alle
imprese e potrebbero essere classificate indistintamente nel gruppo a1 sulla base della
destinazione della produzione o nel gruppo b2 sulla base dello scopo.
Appare a questo punto evidente la necessità di creare una nuova species del genus
azienda che può essere denominata «impresa filantropica» o «impresa sociale».
LE AZIENDE NON PROFIT
15
Questo nuovo fenomeno imprenditoriale è sostenuto dalle persone che,
condividendone le motivazioni etico-sociali alla base, gli forniscono senza oneri risorse
finanziarie e materiali.
L’universo delle aziende, quindi, può essere scomposto in quattro gruppi
principali che tuttavia non sono esaustivi del complesso mondo aziendale per la
presenza di «zone grigie», le:
1) Imprese;
2) Aziende di autoproduzione;
3) Aziende di erogazione;
4) Imprese sociali.
3.1. L’impresa(20
Il codice civile fornisce la nozione generale di imprenditore e quindi «i requisiti
minimi […] che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto all’applicazione
delle norme del codice civile dettate per l’impresa e per l’imprenditore. E dall’art. 2082
si ricava che l’impresa è attività (serie coordinata di atti); ed attività caratterizzata sia da
uno specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi), sia da specifiche modalità
di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità)»(
)
21
Per l’impresa, l’acquisizione dei fattori produttivi comporta il sostenimento di
costi mentre la cessione della produzione sul mercato permette il conseguimento di
ricavi. Un’impresa viene costituita e si sviluppa esclusivamente se è in grado di
generare una congrua eccedenza dei ricavi sui costi(
).
L’attività dell’impresa può essere scomposta in tre momenti consecutivi: α)
l’acquisizione dei fattori produttivi, i cosiddetti input (lavoro e capitale); β) la
combinazione di questi elementi per ottenere la produzione cioè l’output (beni e servizi)
e γ) lo scambio della produzione sul mercato.
22
L’impresa produce per il mercato per rispondere ad una domanda variabile e
difficilmente prevedibile, ne consegue che anche gli eventuali ricavi presentano gli
stessi requisiti di variabilità. Dall’altra parte, invece, l’impresa si trova di fronte costi di
).
(20) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 125-135. (21) CAMPOBASSO G. F., Manuale di diritto commerciale, Utet, Torino, 2004, pagg. 11-12. (22) Il surplus «questo «di più» costituisce la vera molla, il sale dell’attività d’impresa»: CAPALDO
P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pag. 136.
CAPITOLO PRIMO
16
produzione che per la maggior parte sono rigidi (costi di struttura). Il disallineamento
tra ricavi aleatori e costi certi, determina un rischio di cui si deve far carico colui che dà
vita all’impresa. Da qui prende anche origine la distinzione tra “fattori in posizione
contrattuale” la cui remunerazione è contrattualmente prestabilita sia nella quantità che
nelle modalità e nei tempi di pagamento; e “fattori in posizione residuale” la cui
remunerazione è variabile, in relazione all’andamento economico della gestione, e
postergata e subordinata rispetto alla remunerazione dei fattori del primo tipo.
Da quanto detto emergono con chiarezza due osservazioni:
− la prima è che i “fattori a remunerazione residuale” sono destinati ad assumere
istituzionalmente e consapevolmente il rischio d’impresa;
− la seconda è che nell’impresa i “fattori a remunerazione residuale” non possono
assolutamente mancare a causa dell’insopprimibile presenza del rischio.
3.2. L’azienda di autoproduzione(23
Le aziende autoproduttrici nascono per iniziativa di soggetti che condividendo le
stesse esigenze e gli stessi bisogni, ritengono di poterli meglio soddisfare attraverso
un’azione coordinata invece che in forma individuale(
)
24
L’esigenza di costituire questa tipologia d’azienda si origina quando determinati
beni o servizi:
).
non sono disponibili sul mercato in quanto non è economicamente conveniente
produrli;
non sono offerti dallo Stato ovvero sono offerti ma con caratteristiche di
qualità/quantità ritenute insoddisfacenti;
sono disponibili sul mercato ma a prezzi o condizioni meno favorevoli di quelle che
presumibilmente si otterranno attraverso una produzione diretta.
I beni e servizi prodotti tendono a soddisfare:
− i bisogni essenziali dei soggetti che costituiscono l’organizzazione e dei loro
familiari (ad esempio nel campo della sanità);
(23) IBIDEM, op. cit., pagg. 141-149. (24) «Nelle aziende autoproduttrici, quindi, poiché è prevalente il carattere della mutualità, il
gruppo dominante (coloro che detengono il potere decisionale e che danno vita al processo produttivo) ed il gruppo beneficiario (destinatari dell’output) coincidono.»: CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i modelli di riferimento, in CARRERA D. - MESSINA A. (a cura di), Economia e gestione delle aziende nonprofit, Aracne, Roma, 2008, pag. 55.
LE AZIENDE NON PROFIT
17
− il perseguimento di valori etici fortemente sentiti (ad esempio nel settore
dell’istruzione);
− la tutela di interessi economici (ad esempio gli acquisti concertati di determinati
prodotti);
− l’impiego del tempo libero (ad esempio nell’ambito culturale o sportivo).
Le aziende di autoproduzione possono nascere anche per iniziativa di altre
imprese che trovano vantaggioso svolgere congiuntamente alcune specifiche funzioni
ovvero acquisire fattori produttivi a costi più bassi.
La forma giuridica assunta da queste aziende spazia dall’associazione, al
consorzio o alla società per azioni. Ciò che le distingue, da un punto di vista tecnico-
economico, è che le risorse necessarie per coprire i costi della produzione vengono
fornite dagli aderenti in quanto unici destinatari della produzione. Si apre, pertanto, il
problema di come stabilire le modalità di ripartizione dei costi della produzione tra i
diversi aderenti. A questo riguardo si possono verificare tre casi: beni e servizi a
domanda divisibile, beni e servizi a domanda indivisibile e beni e servizi a domanda
mista.
a) Nel primo caso (domanda divisibile) i beni e servizi sono forniti agli aderenti sulla
base di una loro specifica domanda. I partecipanti, quindi, pagheranno, per ogni unità
richiesta, un quid pari tendenzialmente al relativo costo complessivo di produzione.
Questo corrispettivo non è un vero e proprio prezzo, in quanto non è il risultato di
uno scambio di mercato, ma può essere assimilato ad una “tariffa concordata” cioè
ad un compenso fissato di concerto tra tutti gli associati. In particolare l’uguaglianza
tariffa-costo può essere realizzata non giorno per giorno, ma con riferimento a
determinati intervalli temporali e questo per evitare di modificare continuamente la
tariffa.
Altre due modalità di ripartizione dei costi sono: I) la “doppia tariffa” in cui una
parte del corrispettivo è fisso, quindi svincolato dalla quantità richiesta, mentre l’altra
parte è variabile, in funzione della quantità effettivamente domandata e II) il
“minimo garantito” in cui gli associati si impegnano a richiedere ogni anno una
determinata quantità di prodotto e a pagare il relativo costo.
b) Nel secondo caso (domanda indivisibile) i beni e servizi sono fruiti indistintamente
da tutti gli aderenti, pertanto, il contributo di ciascun aderente alla copertura dei costi
CAPITOLO PRIMO
18
sarà effettuato sulla base di parametri (ad esempio il fatturato delle imprese
associate) che manifestino indirettamente il vantaggio che i singoli associati ricavano
dall’attività aziendale.
c) Nel terzo caso (domanda mista) i beni e servizi sono in parte goduti indistintamente
da tutti gli aderenti e in parte forniti ai singoli su loro richiesta.
Il meccanismo di copertura dei costi è ciò che differenzia l’impresa dall’azienda
di autoproduzione in quanto in quest’ultima il sostenimento dei costi è garantito dai
destinatari della produzione. L’azienda autoproduttrice può subire, nel corso del tempo,
un processo di evoluzione che la porta verso il modello:
dell’impresa. Questo accade in due casi: I) quando l’azienda non produce a costi
competitivi e quindi è necessario introdurre elementi di concorrenza attraverso
l’apertura al mercato e II) quando l’elevata qualità della produzione consente di
attrarre una domanda esterna all’azienda;
dell’azienda di erogazione. Questo avviene quando l’azienda svolge un’attività
diretta al perseguimento di determinati valori etici degli associati ovvero alla cura di
bisogni essenziali. In questa evenienza l’attività filantropica può concretizzarsi o nel
cedere la capacità produttiva inutilizzata a persone estranee all’azienda che non sono
in condizioni di pagarla ovvero nell’ampliare la struttura produttiva esistente.
In conclusione ciò che distingue l’azienda di autoproduzione è la circostanza che
la produzione è destinata a soggetti determinati che devono assicurare la copertura dei
relativi costi.
3.3. L’azienda filantropico-erogativa(25
Le aziende filantropico-erogative nascono per iniziativa di soggetti che, spinti da
motivazioni etiche, culturali, religiose o filantropiche, decidono di fondare un’azienda
diretta a perseguire sistematicamente la diffusione di questi valori.
)
Queste aziende si caratterizzano per la circostanza che la loro produzione viene
ceduta senza una diretta controprestazione a persone in condizioni di disagio ovvero
all’intera comunità(26
(25) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 149-155.
). In alcuni casi è dovuta una controprestazione di natura simbolica
(26) «In questa tipologia di azienda, il gruppo beneficiario ed il gruppo dominante non coincidono: i servizi sono resi anche (e soprattutto) all’esterno del gruppo dei soci/associati e le leve decisionali ed operative non sono nelle mani dei destinatari dell’output.»: CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i modelli di riferimento, op. cit., pag. 56.
LE AZIENDE NON PROFIT
19
allo scopo di ridurre il rischio di sprechi che si possono verificare quando un servizio è
ceduto gratuitamente.
Le risorse per coprire i costi di produzione devono pervenire all’azienda da parte
di soggetti che non chiedono alcuna controprestazione. In particolare le fonti di
finanziamento possono derivare da apporti in natura o in denaro.
Le risorse in natura comprendono:
− donazioni
−
di beni vari, materiali, derrate alimentari, ecc.;
prestazioni di lavoro gratuito
Le risorse in denaro includono:
il cosiddetto «volontariato». Il volontariato costituisce
la risorsa più importante delle aziende di erogazione perché consente di produrre
servizi di buona qualità a costi contenuti ed inoltre immette nell’organizzazione
elementi «meta-economici», quali la solidarietà, la condivisione, la partecipazione,
che aumentano l’efficacia dei servizi resi.
− contributi volontari
−
. I contributi possono essere versati con carattere di regolarità
attraverso quote associative quindi da persone legate stabilmente all’azienda ovvero
con carattere episodico in occasione di apposite campagne di raccolta di fondi
denominate fund raising;
redditi da beni patrimoniali
−
. L’azienda potrebbe essere dotata di un patrimonio
costituito da obbligazioni statali o corporate, fabbricati, terreni, azioni, ecc.. Questi
beni possono generare dei redditi, come dividendi, interessi o canoni di affitto,
oppure essere utilizzati direttamente nell’attività istituzionale;
proventi di attività collaterali
−
. La struttura produttiva dell’azienda di erogazione può
essere utilizzata, oltre che per lo svolgimento della prevalente attività filantropica,
anche per la produzione e la vendita di beni su richiesta di terzi. Queste attività
collaterali generano l’entrata di proventi aggiunti, equivalenti a veri e propri ricavi,
che, in alcuni casi, possono diventare molto consistenti richiedendo una contabilità
autonoma;
trasferimenti da enti pubblici. L’ente filantropico può ricevere erogazioni da parte
delle pubbliche amministrazioni centrali o locali quando la sua attività si esplica in
settori, in particolare nel campo dei servizi sociali, dove l’ente pubblico dovrebbe
comunque intervenire;
CAPITOLO PRIMO
20
− redditi da lavoro
La differenza principale tra queste due classi di organizzazioni aziendali risiede
nel fatto che nelle:
. I membri delle congregazioni religiose possono svolgere
contemporaneamente sia un lavoro esterno, per il quale ricevono una regolare
retribuzione (come l’insegnamento nelle scuole pubbliche), e sia un’attività interna
diretta al perseguimento degli scopi istituzionali. L’emolumento verrà, pertanto,
versato all’ente che provvederà sia al mantenimento della confraternita e sia alla
realizzazione delle sue attività benefiche.
aziende di autoproduzione «i proventi sono subordinati alle spese», poiché i
destinatari della produzione devono assicurargli un flusso di risorse sufficiente alla
copertura dei costi;
aziende filantropiche, invece, sono i proventi fondamentalmente instabili a
condizionare le spese sostanzialmente rigide, in quanto non vi è la possibilità di
incrementare i primi per il solo fatto che aumentano i secondi.
Le aziende di erogazione possono costituirsi sotto la forma giuridica di:
associazioni, comitati e fondazioni.
3.4. L’impresa sociale(27
Le organizzazioni aziendali che producono per scambiare la loro produzione sul
mercato, ma perseguendo finalità non lucrative, sono definite come imprese sociali(
)
28
Per le imprese sociali, quindi, il profitto rappresenta esclusivamente uno
strumento per raggiungere i loro fini che consistono:
).
− nel favorire l’inserimento di persone svantaggiate nel mondo del lavoro;
(27) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 159-167. (28) «l’impresa sociale è un soggetto giuridico privato e autonomo (dalla pubblica amministrazione
e da altri soggetti privati), che svolge attività produttive secondo criteri imprenditoriali (continuità, sostenibilità, qualità), ma che persegue, a differenza delle imprese convenzionali, un’esplicita finalità sociale che si traduce nella produzione di benefici diretti a favore di un’intera comunità o di soggetti svantaggiati. Essa esclude la ricerca del massimo profitto in capo a coloro che apportano il capitale di rischio ed è piuttosto tesa alla ricerca dell’equilibrio tra una giusta remunerazione di almeno una parte dei fattori produttivi e le possibili ricadute a vantaggio di coloro che utilizzano i beni o i servizi prodotti. Un’impresa quindi che può coinvolgere nella proprietà e nella gestione più tipologie di stakeholder (dai volontari ai finanziatori), che mantiene forti legami con la comunità territoriale in cui opera e che trae le risorse di cui ha bisogno da una pluralità di fonti: dalla pubblica amministrazione (quando i servizi hanno una natura meritoria riconosciuta), dalle donazioni di denaro e di lavoro, ma anche dal mercato e dalla domanda privata.»: BORZAGA C. - ZANDONAI F., L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni, Donzelli, Roma, 2009, pagg. 3-4.
LE AZIENDE NON PROFIT
21
− nell’offrire beni e servizi, soprattutto in campo sociale, che il settore pubblico o le
imprese tout court non producono ovvero producono ma a prezzi troppo onerosi per
larghi strati della collettività;
− nell’«adottare percorsi di auto-imprenditorialità in cui l’agire dell’impresa possa
veicolare e diffondere principi e valori sul territorio e sulla comunità locale»(29
− nel «contribuire alla creazione di nuova (e buona) occupazione e di nuova
domanda»(
);
30
Anche le imprese sociali si fondano sull’opera del volontariato che svolge due
funzioni essenziali:
).
− una economica, in quanto la possibilità di acquisire manodopera a condizioni non di
mercato gli consente di contenere i prezzi dei beni e servizi prodotti, di aumentare la
remunerazione dei soggetti svantaggiati e di ampliare l’ambito di operatività
dell’iniziativa; e
− l’altra etica, in quanto il lavoro di persone, mosse da forti motivazioni morali,
permette di rendere più umana l’attività dell’impresa.
Per quanto concerne la gestione economica dell’impresa sociale, l’acquisizione
dei fattori produttivi può avvenire a prezzi di mercato, a valori non di mercato (ad
esempio il volontariato) o gratuitamente (ad esempio le donazioni e gli atti di liberalità);
mentre la vendita dell’output agli utenti/clienti può effettuarsi a prezzi di mercato o a
prezzi inferiori a quelli di mercato.
Analogamente alle imprese classiche anche nelle imprese sociali vi deve essere la
presenza di “fattori a remunerazione residuale” che hanno la funzione di fronteggiare il
rischio generico d’impresa. La presenza di soli “fattori a remunerazione contrattuale”,
infatti, non consentirebbe di sostenere i costi di struttura che anche lì sono presenti.
La differenza principale tra questi due gruppi d’imprese sta nel fatto che nelle:
imprese profit oriented coloro che hanno apportato il capitale di rischio si
appropriano di tutta l’eccedenza dei ricavi sui costi;
imprese sociali, invece, la remunerazione dei portatori del capitale di rischio è
soggetta ad un limite massimo stabilito dagli stessi titolari di questi fattori(31
(29) CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i
modelli di riferimento, op. cit., pag. 56.
).
(30) IBIDEM, op. cit., , pag. 56. (31) «In questa tipologia di organizzazione, si riscontra una parziale coincidenza tra gruppo
beneficiario e gruppo dominante, in cui quest’ultimo può essere ricompensato sia sotto forma di vantaggi
CAPITOLO PRIMO
22
Indipendentemente dai criteri utilizzati per la determinazione di questo livello
massimo, si genera un’eccedenza che non è appropriabile da parte di alcun soggetto.
Questo utile viene lasciato all’interno dell’impresa e utilizzato per l’espansione della
sua attività. Anche sul patrimonio grava un vincolo d’indisponibilità perché non è
mai possibile, nemmeno in caso di scioglimento, distribuire fondi o riserve a
vantaggio di coloro che ne fanno parte, bensì l’intero patrimonio deve essere
devoluto ad altre associazioni non lucrative indicate nello statuto (analogamente a
quanto avviene nelle aziende filantropiche).
4. LA QUALIFICAZIONE ECONOMICO-SOCIALE DELLE AZIENDE NON PROFIT(32)
«Per impresa non profit, in genere, s’intende un’organizzazione che abbia finalità
vocatamente solidaristiche, non dia luogo a distribuzione di utili ai soci, ma anzi destini
qualsiasi utilità prodotta (nella forma di beni e/o servizi) con carattere di esclusività in
favore di terzi, e che non svolga attività commerciali, se non limitatamente ad azioni
meramente strumentali al conseguimento degli scopi sociali.»(33
Dall’analisi condotta nei capitoli precedenti, emergono quali sono le
caratteristiche che consentono di enucleare le organizzazioni non profit abbiamo:
).
a) creazione di valore sociale. Le aziende non profit «sono in grado di trasformare
valori individuali (solidarietà umana, altruismo, dedizione, ecc.) in valori economici
(vere e proprie attività sostenibili sul piano economico) e in valori sociali (risposta a
bisogni giudicati rilevanti dalla comunità di riferimento)»(34
b)
);
rapporto privilegiato con la società civile. La prossimità alla comunità di riferimento
favorisce la legittimazione e lo sviluppo delle aziende non profit(35
derivanti, tra le altre, dalle migliori condizioni attribuite ai soci nell’acquisto di beni e servizi, sia sotto forma di parziale remunerazione del capitale investito.»: IBIDEM, op. cit., pag. 57.
);
(32) FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, Cedam, Padova, 2007, pagg. 20-21.
(33) BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non profit, op. cit., pag. 9.
(34) BORGONOVI E., La funzione dell’Azienda non profit come trasformatore di “valori” individuali in “valore” economico e sociale: elementi di teoria aziendale, in BANDINI F. (a cura di), Manuale di economia delle aziende non profit, Cedam, Padova, 2003, pag. 7.
(35) ZAMAGNI S., Dell’identità delle imprese sociali e civili: perché prendere la relazione sul serio, in ZAMAGNI S. (a cura di), Il nonprofit italiano al bivio, Egea, Milano, 2002, pagg. 3-31.
LE AZIENDE NON PROFIT
23
c) logiche di funzionamento. La produzione è diretta al soddisfacimento di «bisogni o
esigenze che non rientrano nei calcoli di convenienza delle aziende for profit o nelle
procedure delle pubbliche istituzioni, sia alla predisposizione di un’organizzazione in
grado di offrire opportunità di inserimento per soggetti svantaggiati»(36
d)
);
finalità primaria di natura sociale
e)
. Nelle aziende non profit gli aspetti economici sono
strumentali al perseguimento delle finalità sociali;
non distribuibilità del profitto
f)
. Queste aziende non perseguono il profitto, ma non è
escluso che possa comunque formarsi un’eccedenza dei proventi sulle spese. In ogni
caso gli eventuali utili non possono essere distribuiti né in forma diretta né in forma
indiretta, ma devono essere utilizzati per l’autofinanziamento o per migliorare le
capacità dell’ente di raggiungere i fini sociali;
settori di intervento
g)
. Le aziende non profit «operano in settori (servizi socio-
assistenziali, sanitari ed educativi), in cui esiste un’asimmetria informativa tra
produttori del servizio e utenti dello stesso ed in cui risulta problematica la
misurazione della qualità e dei risultati»;
identità ed autonomia. Le aziende non profit sono indipendenti dal settore pubblico e
dal settore profit, tendono alla valorizzazione delle loro diverse componenti, vedono
la partecipazione al board di soggetti privi di eventuali “conflitti d’interessi” che
screditerebbero la “reputazione” dell’organizzazione, sono orientate ad acquisire
legittimazione sociale attraverso una gestione economica sostenibile nel lungo
periodo(37
h)
);
assenza di ben definiti interessi proprietari
i)
. Questo «può determinare il venir meno di
un punto di riferimento per le scelte gestionali e per il governo dell’organizzazione
con le connesse diminuzioni delle performance gestionali»;
modelli di governo. Le aziende non profit prevedono «una struttura “orizzontale”,
associata a modelli di governance partecipativa»(38
).
(36) CASELLI L., La produzione e distribuzione del valore, in AA.VV., Le aziende nonprofit tra
Stato e mercato, Accademia Italiana di Economia Aziendale, Atti del XVIII convegno annuale, CLUEB, Bologna, 1996, pag. 185.
(37) CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i modelli di riferimento, op. cit., pag. 52.
(38) IBIDEM, op. cit., pag. 47.
CAPITOLO PRIMO
24
5. LE TEORIE SULLA FORMAZIONE DELLE AZIENDE NON PROFIT(39)
La scienza economica ha ricondotto l’origine delle aziende non profit a due cause
principali:
a) i fallimenti dello Stato;
b) il fallimento del contratto.
5.1. La teoria del “fallimento dello Stato”: il modello dell’elettore mediano di
Weisbrod(40
La teoria di Weisbrod si basa sull’analisi delle modalità di fornitura dei beni
pubblici(
)
41
I mercati di concorrenza perfetta(
) da parte dello Stato. 42) si caratterizzano per lo scambio di beni che
mostrano rivalità nell’uso, tuttavia, la realtà dei mercati evidenzia anche la presenza di
beni pubblici. L’esistenza di beni pubblici determina i cosiddetti fallimenti del mercato,
con la conseguenza che l’intervento pubblico si sostituisce ai privati nella fornitura di
questi beni(43
(39) MONTEDURO F., Economia delle aziende non profit, in HINNA L. (a cura di), Appunti di
economia aziendale, Cedam, Padova, 2008, pagg. 183-191. Cfr. anche sull’argomento SACCO P. L. - ZARRI L., Perché esiste il settore non profit?, Working Paper n. 29, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Economia di Forlì, Febbraio 2006, pagg. 3-14 e BORZAGA C., Sull’impresa sociale, Working Paper n. 19, ISSAN, Università degli Studi di Trento, 2005, pagg. 7-12.
).
(40) WEISBROD B. A., The Nonprofit Economy, Harvard University Press, Cambrige, MA, 1988. (41) I Beni pubblici sono quei beni che presentano le caratteristiche della non rivalità nel consumo
e della non escludibilità nella fruizione. Non rivale significa che «l’aumento del consumo da parte di un soggetto non riduce la disponibilità per il consumo» da parte di un altro soggetto, mentre non escludibilità significa che «non è possibile escludere dal consumo nessun operatore, per la natura stessa del bene e/o per ragioni tecniche»: ACOCELLA N., Elementi di economia politica, Carocci, Roma, 2002, pag. 43.
(42) «Per concorrenza perfetta intendiamo un regime di mercato caratterizzato, dal lato sia della domanda che dell’offerta, da: − omogeneità dei beni; − ampia (al limite, infinita) numerosità degli operatori; − assenza di intese o accordi fra essi; − libertà di entrata e di uscita dal mercato; − perfetta informazione. La perfetta informazione […] è un requisito di trasparenza, necessario per evitare la segmentazione dei mercati e ottenere l’unicità del prezzo su tutto il mercato per un dato bene.»: IBIDEM, op. cit., pag. 32.
(43) «I beni e servizi sociali spesso hanno carattere di bene pubblico e per ovviare alle perdite di benessere collettivo generate dal fenomeno di free riding che si presenta in questi casi, l’offerta pubblica risulta paretianamente più efficiente del mercato.»: PIZZUTI F. R., Welfare state, economia e società, in PIZZUTI F. R. (a cura di), L’economia italiana dagli anni ’70 agli anni ’90, McGraw-Hill, Milano, 1994, pag. 215.
LE AZIENDE NON PROFIT
25
Lo sviluppo delle aziende non profit, a sua volta, è da ricercare nelle inefficienze
dello Stato come fornitore di beni pubblici e in particolare nel processo di
determinazione della quantità offerta. In un sistema politico le decisioni pubbliche
dipendono dall’esito di elezioni guidate da meccanismi elettorali di tipo maggioritario.
All’interno di uno schema elettorale di questo tipo, saranno determinanti le
preferenze dell’elettore mediano dal momento che risulterà vincitore il candidato che
riuscirà a conquistare il 50% + 1 dei consensi.
Poiché ogni cittadino finanzia la produzione di un bene pubblico in misura
equivalente al beneficio che ne riceve, in un sistema politico di tipo maggioritario la
produzione del volume di bene pubblico rifletterà le preferenze e la disponibilità a
pagare dell’elettore mediano che sarebbe l’unico ad essere perfettamente soddisfatto del
livello di fornitura deliberato dal Governo.
Nella realtà, invece, poiché non è possibile uguagliare, per ogni elettore,
contributo marginale e beneficio marginale associati al bene, si verifica che due gruppi
di cittadini risulteranno insoddisfatti del livello dell’offerta pubblica che verrà giudicato
come troppo alto (cittadini over-satisfied) e come troppo basso (cittadini under-
satisfied). I cittadini over-satisfied, che sopportano un’imposizione fiscale superiore al
proprio beneficio marginale, sarebbero favorevoli ad una riduzione del livello di bene
offerto mentre i cittadini under-satisfied sarebbero disposti a pagare di più per una
ulteriore espansione dell’offerta.
Per risolvere il problema delle minoranze, insoddisfatte dal livello di bene
pubblico offerto dallo Stato, non è possibile rivolgersi alle imprese private in quanto i
loro beni non sono perfetti sostituti di quelli prodotti dall’attore statale.
A questo punto entrano in gioco le aziende non profit che consentono, alle
minoranze insoddisfatte, di produrre “dal basso” i beni pubblici desiderati a livelli
quantitativi e qualitativi adeguati.
In particolare le aziende non profit generano un’espansione dell’offerta di beni
pubblici tale da soddisfare la domanda residuale dei cittadini under-satisfied.
Sono stati rilevati due elementi di criticità nella teoria di Weisbrod:
− il primo è rappresentato dal fatto che i cittadini under-satisfied, invece che rivolgersi
alle organizzazioni non profit, potrebbero fare opera di lobbying per modificare le
decisioni dell’attore pubblico. In questo caso, tuttavia, bisogna considerare che le
CAPITOLO PRIMO
26
aziende non profit possono rispondere con maggiore rapidità ad una domanda
eterogenea rispetto alla qualità del servizio; eventualità questa non consentita alle
organizzazioni pubbliche a causa della loro eccesiva burocratizzazione;
− il secondo è rappresentato dal fatto che le aziende non profit non operino in una scala
dimensionale efficiente in quanto la loro eccessiva frammentazione non gli
consentirebbe di sfruttare eventuali economie di scala. In questo caso si devono
perciò immaginare forme di collaborazione tra le organizzazioni non profit.
5.2. La teoria del “fallimento del contratto” di Hansmann(44
La teoria di Hansmann si fonda sui fallimenti del contratto che si determinano in
presenza di asimmetrie informative(
)
45
Nella realtà gli acquirenti di un bene sono nell’impossibilità di controllare ex-post
se il fornitore rispetti gli standard di qualità del prodotto fissati ex-ante nel contratto. In
aggiunta, se il produttore è un’azienda for profit, questa avrà un forte incentivo a non
rispettare gli accordi, attraverso una riduzione dei costi e quindi della qualità dei beni, al
fine di massimizzare i profitti.
) tra produttore e consumatore.
Il fallimento del meccanismo contrattuale è la causa dello sviluppo delle aziende
non profit. Le organizzazioni non lucrative, infatti, offrono, oltre a quello di mercato, un
ulteriore strumento di protezione a favore dei consumatori che è rappresentato dal
vincolo di non distribuzione degli utili. L’introduzione di questa condizione determina il
fatto che queste aziende non hanno alcun incentivo a diminuire la qualità dei prodotti
perché non possono avvantaggiarsene dal lato dei profitti.
Le aziende non profit operano nel campo dei servizi sanitari, sociali, culturali,
ecc., dove gli scambi sono ostacolati dalla difficoltà da parte dell’acquirente di
controllare la qualità del prodotto.
Hansmann spiega il fallimento del contratto, nel caso dei beni pubblici, con
l’impossibilità per il consumatore di valutare la qualità dei servizi offerti.
(44) HANSMANN H.B., The Role of Nonprofit Enterprise, in The Yale Law Journal, volume 89, n. 5, 1980, pagg. 835-901.
(45) Le asimmetrie informative si verificano «quando uno dei due operatori coinvolti in una transazione, quello che vende il bene o cede la prestazione, dispone di un vantaggio informativo sull’acquirente, essendo a conoscenza di alcune caratteristiche qualitative del bene venduto o della prestazione da effettuarsi che l’acquirente non è in grado di controllare»: MUSELLA M - D’ACUNTO S., Economia Politica del non profit, Giappichelli, Torino, 2000, pag. 12.
LE AZIENDE NON PROFIT
27
5.3. Altre teorie sulle aziende non profit
Diversi studiosi hanno criticato la teoria di Hansmann in particolare:
James(46
− la prima è che le aziende non profit, nella maggior parte dei casi, hanno come
controparti le amministrazioni pubbliche e non le imprese come invece ipotizzato
da Hansmann;
) mette in evidenza due incongruenze della teoria di Hansmann:
− la seconda è che quella teoria non è in grado di spiegare perché in mercati in cui
sono presenti rilevanti asimmetrie informative, non vi sia la presenza di
organizzazioni non profit.
La studiosa reputa quindi opportuno integrare la teoria di Weisbrod con argomenti
che siano in grado di spiegare perché negli stati moderni si verifichi un
ridimensionamento del settore pubblico a favore del settore non profit, con la diretta
conseguenza che la maggior parte del finanziamento a questo settore sia di origine
pubblica. La scienziata individua due ordini di problemi: la crisi fiscale dello Stato e
la difficoltà di un sistema burocratizzato di rispondere adeguatamente ad una
domanda altamente eterogenea per lingua, cultura, etnia, ecc.. Affidare la produzione
dei servizi sociali alle organizzazioni non profit, consente di raggiungere due
obiettivi: differenziare l’offerta ed esigere più facilmente contributi dagli utenti
(riducendo il costo per lo Stato);
Ben-Ner(47
(46) JAMES E., How Nonprofit Grow: a Model, in Journal of Policy Analysis and Management, n.
2, 1983, pagg. 350-365.
). L’approccio di Ben-Ner si basa sull’ipotesi che le aziende non profit
permettono ai consumatori di massimizzare il controllo sull’output al fine di superare
le asimmetrie informative tra produttore e consumatore. Nel caso di un bene
escludibile, non rivale e qualitativamente di difficile valutazione, i consumatori sono
in grado di superare gli squilibri informativi negli scambi di mercato attraverso: I) il
monitoraggio sistematico della qualità ovvero II) il controllo diretto della
produzione. Queste tecniche presentano, in entrambi i casi, dei costi elevati per il
consumatore ma quando i costi della prima soluzione superano quelli della seconda,
allora i consumatori sceglieranno quest’ultima metodologia. Il caso è simile a quello
di una cooperativa di consumo ma si va oltre a questa considerando il carattere non
(47) BEN-NER A., Non-profit Organisations: Why Do They Exist in Market Economies?, in ROSE-ACKERMAN S. (a cura di), The Economics of Nonprofit Institutions: studies in structure and policy, Oxford University Press, Oxford, 1986, pagg. 94-113.
CAPITOLO PRIMO
28
rivale del bene. La non rivalità nel consumo, infatti, rende non conveniente offrire il
bene a persone diverse dai soci e impossibile diversificare la qualità a seconda del
destinatario. A differenza di Hansmann, quindi, Ben-Ner pone l’accento sul ruolo di
controllo esercitato dai consumatori;
Krashinsky(48) parte dall’ipotesi che le aziende non profit, analogamente alle altre
aziende, presentano una serie di costi di transazione(49) e che esse riescano a
prevalere sulle altre esclusivamente quando i costi generati siano inferiori a quelli
delle imprese o delle istituzioni pubbliche. I costi di transazione derivano
dall’incompletezza contrattuale che caratterizza le relazioni tra i diversi gruppi di
stakeholders (donatori, amministratori, lavoratori, beneficiari). Questi costi vengono
sensibilmente ridotti quando gli individui che aderiscono ad un ente non profit
condividono lo stesso insieme di valori. L’approccio di Krashinsky segnala
l’importanza della motivazione “personale” e della condivisione della mission
aziendale ai fini della riduzione dei costi. In pratica un processo decisionale
condiviso tra tutti i portatori d’interessi costituisce una forma di controllo e garanzia
della qualità. In definitiva le organizzazioni non profit sarebbero «in grado di ridurre
i costi di transazione, vale a dire i costi decisionali, in quanto, data la natura ideale
delle motivazioni degli operatori che vi operano, risulta meno difficoltosa la
risoluzione dei conflitti d’interesse»(50
Young(
); 51) e Rose-Ackerman(52
(48) KRASHINSKY M., Transaction Cost and the Theory of The Nonprofit Organizations, in ROSE-
ACKERMAN S. (a cura di), The Economics of Nonprofit Institutions: studies in structure and policy, Oxford University Press, Oxford, 1986, pagg. 114-132.
) spiegano la nascita delle aziende non profit con
l’azione di particolari gruppi di pressione, sociali o religiosi, diretti ad allargare la
(49) La «teoria dei costi di transazione parte dall’affermazione che le imprese hanno l’obiettivo di minimizzare i costi di produzione e di transazione. I costi di transazione, in particolare, emergono quando occorre effettuare una transazione, cioè uno scambio di risorse, e possono assumere numerose forme. Si tratta di oneri di incerta determinazione e di difficile valutazione, ma che riguardano o la fase preparatoria dello scambio (per esempio, ricerca del contraente, preparazione dell’accordo, definizione del contratto) o la fase di esecuzione della transazione (per esempio, controllo delle prestazioni, gestione delle inadempienze, modifiche delle prestazioni che si rendono successivamente necessarie). Secondo questa teoria, i costi di transazione derivano da due circostanze, connesse da un lato alla razionalità limitata degli agenti economici, dall’altro lato, al rischio che, tra le parti, emergano comportamenti opportunistici.»: GIACCARI F., Le aggregazioni aziendali, Cacucci, Bari, 2003, pag. 54.
(50) ALLEVA F., L’impresa sociale italiana, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 9. (51) YOUNG D. R., If Not for Profit, fot What?, Lexington Books, Lexington, MA, 1983. (52) ROSE-ACKERMAN S., Altruism, Non Profit and Economic Theory, in Journal of Economic
Literature, volume 34, n. 2, 1996, pagg. 701-728.
LE AZIENDE NON PROFIT
29
propria influenza, anche finanziando attraverso il reddito non distribuito, attività di
proselitismo;
Borzaga(53
a) fallimento dovuto alla presenza di asimmetrie tra produttore e consumatore;
) definisce le aziende non profit come “strutture di incentivi” e le
suddivide sulla base della titolarità dei diritti di controllo (donatori, lavoratori o
volontari, consumatori). Quindi rileva che ad ogni tipologia aziendale è associabile
una struttura di incentivi diretta a ridurre eventuali comportamenti opportunistici. Lo
studioso individua, di conseguenza, altre tre classi di fallimenti del contratto che si
vanno ad aggiungere a quello di Hansmann:
b) fallimento che si verifica quando i consumatori hanno un vantaggio informativo in
ordine alla loro disponibilità a pagare per determinati servizi;
c) fallimento dovuto all’incompletezza dei contratti di agenzia tra manager e
lavoratori.
La possibilità che si verifichi un tipo di fallimento piuttosto che un altro dipende
dalle caratteristiche del servizio prodotto e dai portatori di interessi coinvolti. Un ente
non profit prevale su un’impresa di mercato se è in grado di minimizzare i costi di
transazione connessi ai suddetti tipi di fallimento, ma per riuscirci deve scegliere la
giusta forma organizzativa ossia la più idonea “struttura di incentivi”;
Zamagni si differenzia dagli autori precedenti perché ipotizza che il consumatore
tenda a ricomprendere all’interno della sua funzione di preferenza oltre al rapporto
qualità-prezzo anche le caratteristiche della modalità di fornitura dei beni che
acquista(54). I principi di funzionamento delle aziende non profit potrebbero quindi
essere individuati nel peculiare “rapporto fiduciario” che si instaura tra consumatori e
fornitori dei servizi e nel principio di “reciprocità”(55
(53) BORZAGA C. - A. BACCHIEGA, Social Enterprises as Incentive Structures: An Economic
Analysis, in BORZAGA C. - DEFOURNY J. (a cura di), The Emergence of Social Enterprise, Routledge, London, New York, NY, 2001, pagg. 273-295.
). La reciprocità è costituita da
una serie di trasferimenti bidirezionali, indipendenti, ma allo stesso tempo
interconnessi. Essendo i trasferimenti volontari, colui che effettua il trasferimento
non assume nessuna obbligazione e di conseguenza nessuno scambio è il presupposto
(54) BRUNI L. - ZAMAGNI S., Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 165.
(55) Il principio di reciprocità è il principio fondante dell’Economia Civile ed è caratterizzato dalla presenza di tre soggetti (struttura triadica), di cui uno (homo reciprocans) compie un’azione nei confronti di un altro mosso non da “pretesa” di ricompensa dell’azione stessa, bensì da aspettativa, pena la rottura della relazione tra le due: IBIDEM, op. cit., pagg. 167-168.
CAPITOLO PRIMO
30
di quello successivo. Queste caratteristiche differenziano il principio di “reciprocità”
dal principio dello scambio di equivalenti che caratterizza lo scambio di mercato.
L’altruismo puro, invece, si manifesta attraverso trasferimenti unidirezionali;
Salomon(56
a)
) analizza il rapporto tra amministrazioni pubbliche e aziende non profit
nella realtà statunitense ed arriva alla conclusione che storicamente il rapporto Stato-
settore non profit è stato visto come un rapporto tra un settore principale,
rappresentato dallo Stato, ed uno residuale, rappresentato dal non profit. Di fatto però
quel rapporto dovrebbe essere invertito e quindi sarebbero le organizzazioni non
profit a dover garantire, in via primaria, l’offerta dei servizi sociali mentre le autorità
pubbliche dovrebbero intervenire solo in caso di inefficienze del settore non
lucrativo. Lo studioso individua successivamente le situazioni nelle quali il settore
non profit fallisce e cioè:
Insufficienza filantropica
b)
. In questa ipotesi il settore non profit, attraverso la
contribuzione volontaria, non riesce a produrre un volume di risorse sufficiente a
sopperire ai bisogni sociali ritenuti essenziali. Bisogna quindi ricorrere a forme di
contribuzione involontaria (tassazione);
Particolarismo filantropico
c)
. In questo caso gli enti non profit concentrano la loro
offerta su determinate categorie sociali, rendendo indispensabile l’intervento
pubblico allo scopo di assicurare un determinato livello di equità sociale;
Paternalismo e carattere amatoriale della filantropia
(56) SALOMON L. M., Partners in public service: The scope and theory of the government-nonprofit
relations, in POWELL W. W. - STEINBERG R. (a cura di), The Nonprofit Sector: A Research Handbook, Yale University Press, New Haven, CT, 1987, pagg. 99-117.
. In questa ipotesi i soggetti
interessati allo scambio valutano il bene da prospettive diametralmente opposte.
Gli individui in condizioni di disagio considerano il servizio sociale come un
diritto, mentre le aziende non profit lo vedono in chiave paternalistica come
spirito di carità. Questo determina come conseguenza che mentre le persone in
stato di bisogno richiedono un approccio professionale nella gestione dei servizi
sociali, le organizzazioni non lucrative offrono un approccio di tipo amatoriale.
Per superare questo problema è necessario un forte investimento in formazione
andando oltre il semplice volontariato.
LE AZIENDE NON PROFIT
31
Secondo Salomon la soluzione a questi problemi non risiede nell’esclusione di
uno dei due attori (pubblico o non profit) ma in opportune forme di collaborazione
tra i due:
− le amministrazioni pubbliche, infatti, sono in grado di raccogliere maggiori
risorse grazie alla tassazione, di risolvere il problema del particolarismo
attraverso processi politici democratici e di introdurre regole per l’accesso ai
servizi sociali che li individuino come diritti;
− le aziende non profit, invece, possono assicurare standard qualitativi più
elevati.
6. LE FONDAZIONI: DEFINIZIONE ED ELEMENTI COSTITUTIVI(57)
Dopo una panoramica sull’universo del non profit, focalizziamo la nostra
attenzione su una tipologia particolare di azienda filantropico-erogativa che è costituita
dalle fondazioni che rappresentano uno dei canali d’intervento più importanti
nell’ambito sociale.
Una fondazione è costituita da una stabile organizzazione privata, senza fini di
lucro, dotata di un patrimonio vincolato al perseguimento degli scopi fissati dallo
statuto. La centralità dell’elemento patrimoniale, rispetto a quello associativo, è la
caratteristica fondamentale della fondazione(58
La fondazione nasce per volontà di un fondatore (persona privata o ente pubblico)
che, spinto da motivazioni etiche, decide di distaccare una parte del proprio patrimonio
per destinarla al perseguimento di uno scopo di pubblica utilità, determinando nel
contempo la struttura organizzativa attraverso la quale perseguire tale fine.
).
(57) Cfr. sull’argomento TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Giuffrè,
Milano, ventesima edizione, 2011, pagg. 163-168; GALGANO F., Trattato di diritto civile, volume I, Cedam, Padova, 2010, pagg. 263-284; GUZZI D., Le fondazioni. Nascita e gestione, FAG, Assago (MI), 2010, pagg. 32-43; MONTEDURO F., Economia delle aziende non profit, op. cit., pagg. 198-201; TRIMARCHI P., Istituzioni di diritto privato, Giuffrè, Milano, diciottesima edizione, 2009, pagg. 83-85 e FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, op. cit., pagg. 27-28.
(58) Tuttavia occorre precisare che «la fondazione non è, propriamente, il patrimonio destinato allo scopo: è, piuttosto, l’organizzazione collettiva, anche qui formata da esseri umani (gli amministratori della fondazione), che si avvale del patrimonio per realizzare lo scopo. Le fondazioni si presentarono, al pari delle associazioni, come «organizzazioni di uomini», […]»: GALGANO F., Trattato di diritto civile, op. cit., pag. 263.
CAPITOLO PRIMO
32
Occorre precisare che mentre «l’associazione ha anche un organo dominante:
l’assemblea degli associati; la fondazione, invece, ha solo organi serventi.»(59
La fondazione si costituisce attraverso un atto unilaterale, il cosiddetto “atto di
fondazione” o “atto costitutivo”, e acquista la personalità giuridica con il
riconoscimento(
). Un
organo servente è il Consiglio di Amministrazione.
60
a) la presentazione della domanda di riconoscimento, corredata di atto di fondazione,
statuto e atto di dotazione, alla Prefettura nella cui provincia è stabilita la sede della
fondazione;
) che comporta:
b) il controllo da parte della Prefettura dei requisiti previsti dalla legge;
c) l’iscrizione dell’ente nel registro delle persone giuridiche.
Il riconoscimento viene concesso solo in seguito alla verifica della sussistenza di
determinati requisiti(61
− la liceità dello scopo perseguito;
) che concernono:
− la congruità della dotazione patrimoniale rispetto allo scopo da perseguire;
− il modello di organizzazione prescelto.
In seguito al riconoscimento, la fondazione risponde delle obbligazioni assunte
dagli amministratori per lo svolgimento dell’attività sociale esclusivamente con il suo
patrimonio(62
(59) TRIMARCHI P., Istituzioni di diritto privato, op. cit., pag. 83.
).
(60) «La domanda per il riconoscimento va presentata alla Prefettura nella cui Provincia è stabilita la sede legale dell’ente e l’acquisizione della personalità giuridica si ottiene con l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche da essa tenuto. La Prefettura deve disporre o negare l’iscrizione entro 120 giorni dalla presentazione della domanda, previo esame del rispetto delle norme di legge o regolamento relative alla costituzione dell’ente che richiede il riconoscimento, della possibilità e liceità del suo scopo e della adeguatezza del suo patrimonio, la cui consistenza deve essere dimostrata da idonea documentazione da allegare alla domanda, alla realizzazione dello scopo stesso (artt. 1, 3 e 4 del d.P.R. n. 361/2000). La domanda per il riconoscimento deve essere presentata alla Regione, che ha istituito con legge o regolamento regionale il suo registro valido solo per quelle persone giuridiche la cui sede legale è ubicata nel territorio regionale, le cui attività sono attinenti alle competenze legislative della Regione, individuate dall’art. 117 Cost., e le cui finalità statutarie si esauriscono nell’ambito territoriale di quella sola Regione (art. 7 del d.P.R. n. 361/2000 ed art. 14 del d.P.R. n. 616/1977). In questi casi la durata del procedimento è fissata dalle norme regionali e la Regione è anche l’Autorità governativa che esercita la vigilanza ed il controllo sulla persona giuridica previsti dalla legge (dagli artt. 25 e 26 c.c. per le fondazioni).»: VISCONTI G., Guida alle organizzazioni non profit e all’imprenditoria sociale. Disciplina civilistica, fiscale e amministrativa, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2010, pag. 27.
(61) «Benché non pacificamente condiviso dalla dottrina, si ritiene che il riconoscimento si configuri come un atto discrezionale, presupponendo una valutazione di opportunità della pubblica amministrazione quanto alla congruità dei presupposti dell’ente per il suo funzionamento e l’utilità sociale del fine perseguito.»: BANDIERAMONTE F., Enti no profit, fondazioni e patrimoni destinati allo scopo non lucrativo, Booksprint, Buccino (SA), 2011, pag. 44.
LE AZIENDE NON PROFIT
33
«Gli organi che assolvono i compiti di governo e d’amministrazione sono:
− il Consiglio d’Amministrazione composto dai rappresentanti eletti dai fondatori e dai
sostenitori aderenti;
− il Consiglio Generale che riunisce i fondatori;
− l’Assemblea generale ha potere consultivo sui bilanci e formula proposte per la
programmazione dell’attività dell’ente;
− l’Advisory Board(63): con funzione consultiva per le scelte strategiche e culturali
della fondazione, è composto da rappresentanti nominati dagli enti pubblici o scelti
tra persone con elevata professionalità negli specifici settori d’intervento.»(64
Gli elementi costitutivi della fondazione sono quattro: a) il patrimonio; b) lo
scopo; c) l’atto di fondazione e d) lo statuto.
).
6.1. L’atto di fondazione
L’atto di fondazione con cui il fondatore manifesta la volontà di destinare una
quota del proprio patrimonio per il perseguimento di una finalità non economica, può
essere un atto inter vivos (dichiarazione di volontà) o un atto mortis causa cioè
contenuto in una disposizione testamentaria (art. 14 cod. civ.).
L’atto di fondazione deve rivestire la forma dell’atto pubblico e disciplinare gli
elementi fondamentali dell’organizzazione (art. 16 cod. civ.) tra i quali:
− la denominazione dell’ente;
− lo scopo, il patrimonio e la sede;
− l’assetto organizzativo;
− le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione;
− i criteri e le modalità di erogazione delle rendite;
(62) «Delle obbligazioni della fondazione risponde solo quest’ultima con il suo patrimonio (c.d.
autonomia patrimoniale perfetta).»: TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 166.
(63) «Lo statuto può prevedere che il consiglio d’indirizzo, qualora lo ritenga utile per lo svolgimento delle attività programmate, istituisca un advisory board o comitato scientifico. Nella prassi recente si prevede che esso sia composto da un numero variabile di membri, scelti e nominati, dal consiglio d’indirizzo, fra persone italiane e straniere che possiedono un particolare prestigio, una determinata qualifica o un profilo proprio nelle materie in cui opera l’ente. Il comitato scientifico svolge attività di consulenza, collaborando sia con il consiglio d’indirizzo che con l’organo di gestione nella definizione dei programmi e delle attività della fondazione.»: IORIO G., Le trasformazioni eterogenee e le fondazioni, Giuffrè, Milano, 2010, pag. 48.
(64) FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, op. cit., pagg. 27-28.
CAPITOLO PRIMO
34
− le norme relative alla trasformazione, all’estinzione e alla devoluzione del
patrimonio.
Queste indicazioni possono essere contenute in un documento separato rispetto
all’atto di fondazione denominato statuto(65
).
6.2. Lo statuto
Lo statuto è l’insieme delle norme che disciplinano la vita e l’organizzazione della
fondazione e le modalità con le quali si vuole raggiungere lo scopo sociale.
6.3. Il patrimonio
Il patrimonio riveste un ruolo centrale nel riconoscimento della personalità
giuridica. Esso costituisce la garanzia per i terzi dell’assolvimento delle obbligazioni
sociali e lo strumento a disposizione degli amministratori per la realizzazione degli
obiettivi istituzionali.
Il fondatore deve, pertanto, porre in essere un atto, il cosiddetto “atto di
dotazione”, in forza del quale si spoglia gratuitamente, in modo definitivo ed
irrevocabile, della proprietà di beni a favore della fondazione con il vincolo di
destinazione(66
«Gli statuti delle fondazioni sono soliti distinguere fra patrimonio (o «fondo di
dotazione») della fondazione e fondo di gestione. Il primo è costituito dai beni (danaro o
altri beni) che il fondatore ha destinato al perseguimento dello scopo della fondazione; il
secondo è formato dal reddito del patrimonio. La distinzione è corretta: solo dal reddito,
e non anche dal capitale, gli amministratori possono attingere i mezzi finanziari
necessari al perseguimento dello scopo di fondazione.»(
) degli stessi al perseguimento dello scopo stabilito dal fondatore.
67
La sopravvenuta insufficienza del patrimonio, in relazione ai fini da raggiungere,
comporta l’estinzione della fondazione o la sua trasformazione.
).
(65) «Il contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto può essere determinato, ma anche
determinabile, essendo ammessa l’integrazione degli atti fondamentali da parte della legge o dall’atto di riconoscimento. Peraltro l’indicazione del patrimonio non è necessaria ove i beni siano conferiti con separato atto.»: BANDIERAMONTE F., Enti no profit, fondazioni e patrimoni destinati allo scopo non lucrativo, op. cit., pag. 43.
(66) «Il vincolo di destinazione impresso sul patrimonio della Fondazione ha natura reale ed è opponibile ai terzi, […].»: IBIDEM, op. cit., pag. 72.
(67) GALGANO F., Trattato di diritto civile, op. cit., pagg. 266-267.
LE AZIENDE NON PROFIT
35
6.4. Lo scopo
Lo scopo è l’elemento di unione tra patrimonio e organizzazione. «La fondazione
può, […], essere costituita solo per scopi nei quali sia riconoscibile una pubblica
utilità.»(68
Il concetto di pubblica utilità non è definito in maniera specifica cosicché il suo
significato si è evoluto nel corso del tempo in seguito al modificarsi del contesto socio-
economico in cui operano le fondazioni.
) per questa ragione non si possono costituire fondazioni il cui fine sia quello
di procurare un vantaggio economico per il fondatore.
Lo scopo stabilito in origine non può più essere modificato né dal fondatore(69) né
dagli amministratori della fondazione(70
) (artt. 28, comma 1, e 32 cod. civ.). Gli
amministratori possono esclusivamente decidere le modalità con le quali perseguirlo.
7. LA TASSONOMIA DELLE FONDAZIONI
Il legislatore italiano non ha ancora provveduto alla raccolta in un testo unico di
tutta la normativa concernente le fondazioni, pertanto, esistono tanti tipi di fondazioni
quante sono le diverse norme istitutive.
Le fondazioni possono classificarsi in base ai modi posti in essere per raggiungere
il fine statutario (criterio funzionale) ovvero in base ai modelli giuridici adottati.
7.1. La classificazione in base al criterio funzionale(71
In base al criterio funzionale le fondazioni si suddividono in:
)
− Fondazioni di gestione (operating foundation);
− Fondazioni di erogazione (grant-making foundation);
− Fondazioni di comunità (community foundation);
(68) IBIDEM, op. cit., pag. 276. (69) Questo vincolo rappresenta una forma di garanzia per i beneficiari della fondazione «i quali
dovrebbero essere in tal modo tutelati dal rischio che in un momento successivo, il fondatore modifichi surrettiziamente lo scopo originariamente stabilito, recando pregiudizio agli interessi dei beneficiari stessi»: TIEGHI M., Le fondazioni. Obiettivi finalizzanti, sistema informativo e bilancio di esercizio, CLUEB, Bologna, 1995, pagg. 22-23.
(70) «Il vincolo di destinazione non può cessare né per volontà del fondatore né per deliberazione degli amministratori né, fino a quando lo scopo sia attuabile, per provvedimento dell’autorità governativa: […]»: GALGANO F., Trattato di diritto civile, op. cit., pagg. 277.
(71) GUZZI D., Le fondazioni. Nascita e gestione, op. cit., pagg. 34-35.
CAPITOLO PRIMO
36
− Fondazioni d’impresa (corporate foundation).
7.1.1. Le fondazioni di gestione (operating foundation)
Questi enti svolgono direttamente le attività connesse al perseguimento dello
scopo sociale attraverso la gestione di proprie strutture operative (case di cura, scuole,
biblioteche, ecc.). In questa categoria rientrano le organizzazioni di volontariato e le
ONLUS. La dotazione di una struttura comporta diversi problemi quali gli elevati costi di
funzionamento, la motivazione del personale e l’individuazione di indicatori di
soddisfazione della domanda.
TIPOLOGIE PATRIMONIO CONTROLLO AREE DI INTERVENTO
Fondazioni operative
prevalentemente da un’unica fonte
la direzione è solitamente affidata ad un comitato (board) indipendente
eroga servizi o compie ricerche
Fondazioni di erogazione
diverse fonti la direzione è solitamente affidata ad un comitato (board) indipendente
erogazione di contributi alle organizzazioni non profit e sostegno a progetti specifici
Fondazioni di comunità
diverse fonti tra cui donazioni dei cittadini e lasciti testamentari
la direzione è affidata a un board rappresentativo degli interessi della comunità
erogazioni limitate alle non profit che operano in ambito locale
Fondazioni d’impresa
da un’unica fonte (la società madre)
nel comitato siedono rappresentanti della società e a volte qualche membro indipendente
erogazioni in tutti i settori, anche se privilegia il settore correlato all’attività della casa madre
FIG. 1.2 – Tabella delle principali caratteristiche delle diverse tipologie di fondazioni(72)
7.1.2. Le fondazioni di erogazione (grant-making foundation)
Questi enti svolgono indirettamente le attività connesse al perseguimento dello
scopo sociale attraverso l’erogazione di sussidi e contributi ad altri soggetti (tipicamente
(72) MAGNANI E. - PADOVANI S., Valutazione dell’efficacia dei contributi erogati nelle fondazioni
filantropiche: un tentativo di sistematizzazione, in AA.VV, Fondazioni e organizzazioni non profit in USA, Maggioli, Rimini, 1997, pag. 190.
LE AZIENDE NON PROFIT
37
enti non-profit) che, in seguito, interverranno con una propria struttura per offrire beni e
servizi alla collettività. In questa categoria rientrano ad esempio le fondazioni bancarie.
Il finanziamento di soggetti terzi fa emergere diversi problemi tra cui la selezione dei
progetti più meritevoli, il rendimento del patrimonio e l’incremento delle donazioni.
Anche le fondazioni di erogazione possono svolgere attività collaterali di tipo
commerciale finalizzate all’incremento del patrimonio(73
).
7.1.3. Le fondazioni di comunità (community foundation)
Queste fondazioni presentano caratteristiche intermedie tra la prima e la seconda
tipologia di enti. Il modello è nato negli Stati Uniti e si è successivamente diffuso negli
altri paesi. Le fondazioni comunitarie svolgono il ruolo di «catalizzatore di risorse»
della comunità grazie all’autorevolezza dei promotori e alla destinazione delle risorse ad
iniziative in ambito locale. Inoltre il coinvolgimento, nei processi decisionali, dei
soggetti beneficiari e dei rappresentanti più autorevoli della comunità, crea un circolo
virtuoso per cui la collettività è stimolata a donare risorse. La gestione di questi enti
presenta alcune criticità in particolare per quanto riguarda la necessità di un maggior
grado di apertura verso l’esterno (trasparenza contabile/gestionale e bilancio sociale) e
l’esigenza di una cura particolare per i risultati conseguiti (per non bloccare il circolo
virtuoso della fiducia).
7.1.4. Le fondazioni d’impresa (corporate foundation)
Questa tipologia si sta affermando come modello organizzativo scelto dalle
imprese per attuare efficacemente la propria strategia di responsabilità sociale
(corporate social responsibility) e per migliorare l’impatto delle proprie iniziative
filantropiche nella comunità. Le imprese costituiscono, quindi, delle fondazioni dotate
di elevati livelli di patrimonializzazione e operanti direttamente nel sociale, ma
soprattutto specializzate nel finanziamento di progetti sociali di carattere assistenziale,
sanitario, scientifico, culturale, ambientale, civile promossi dagli istituti non profit(74
(73) TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 165.
).
(74) GRUMO M., Le Partnership tra fondazioni d’impresa e istituti non profit, Vita & Pensiero, Milano, 2007, pagg. 30-31: «Per fondazioni d’impresa s’intendono pertanto quegli istituti non profit (giuridicamente configurati come fondazioni):
CAPITOLO PRIMO
38
7.2. La classificazione in base ai modelli giuridici adottati
In base al modello giuridico di riferimento le fondazioni si suddividono in:
− Fondazioni di diritto comune;
− Fondazioni di partecipazione;
− Fondazioni di diritto speciale.
7.2.1. Le fondazioni di diritto comune
Le fondazioni di diritto comune sono disciplinate dal libro primo, titolo II, capo
II del codice civile (artt. 14-35). La legge non indica lo scopo che deve perseguire la
fondazione, tuttavia, una consolidata giurisprudenza prevede un generico fine di
pubblica utilità. Questa interpretazione è il risultato dell’analisi dell’art. 699 del codice
civile e della circostanza che il vincolo della destinazione, cui è soggetto il patrimonio
della fondazione, si pone in contrasto con i principi di libera circolazione dei beni e di
libero sfruttamento delle risorse economiche, che pervadono l’ordinamento giuridico
italiano. Questi vincoli, pertanto, possono trovare giustificazione esclusivamente se il
patrimonio è destinato ad uno scopo di pubblica utilità che, in ogni caso, non deve
essere eccessivamente generico.
7.2.2. Le fondazioni di partecipazione(75
Le fondazioni di partecipazione costituiscono un modello atipico di ente privato,
non previsto dall’ordinamento ma scaturito dalla prassi e diffusosi all’inizio del
)
XXI
secolo, che uniscono all’elemento patrimoniale, proprio della fondazione, l’elemento
personale proprio dell’associazione. Si tratta di uno strumento sovente utilizzato dagli
enti pubblici per svolgere attività di pubblica utilità con il concorso di privati.
1. costituiti da un’impresa profit, come strumento (più o meno articolato) di attuazione della propria
strategia di responsabilità sociale, e cioè di miglioramento costante delle relazioni con i propri stakeholder critici;
2. ‘capitalizzati’ da parte dell’impresa di riferimento, almeno nella fase di start-up; 3. sostenuti periodicamente dall’impresa fondatrice, con varia intensità e in molteplici forme e, in
generale, aventi con tale impresa un legame molto stretto; 4. aventi organi di governo propri e una struttura organizzativa strumentale allo svolgimento dell’attività
statutaria; 5. aventi una finalità differente da quella dell’impresa fondatrice, a beneficio del sociale, e che si esplica
in attività di carattere erogativo od operativo.» (75) Vds. sul punto IORIO G., Le trasformazioni eterogenee e le fondazioni, op. cit., pagg. 38-50.
LE AZIENDE NON PROFIT
39
7.2.3. Le fondazioni di diritto speciale(76
Le fondazioni di diritto speciale sono state istituite per rispondere a precisi
bisogni della collettività e si caratterizzano per delle particolarità, rispetto alla normativa
civilistica ordinaria, soprattutto in materia di controlli e autorità di vigilanza. Le
principali categorie di fondazioni di diritto speciale sono le:
)
− Fondazioni di famiglia
−
(art. 4 del regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99). Questi enti
hanno l’obiettivo di fornire prestazioni educative e/o assistenziali ai discenti di una o
più famiglie determinate;
Fondazioni assistenziali
−
(regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2841);
Fondazioni di istruzione agraria
−
(art. 1 della legge 19 giugno 1913, n. 770). Questi
enti hanno come scopo principale l’istruzione agraria, industriale e commerciale, il
miglioramento dell’agricoltura e lo sviluppo dell’industria e del commercio;
Fondazioni scolastiche
−
(art. 550 del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297). Questi
enti hanno come scopo prevalente l’assistenza scolastica agli alunni meritevoli e
bisognosi, attraverso l’erogazione di borse di studio;
Fondazioni militari
−
(art. 849 del regio decreto 10 febbraio 1927, n. 443). Questi enti
hanno come scopo l’assistenza ai militari, agli ex militari e alle loro famiglie;
Fondazioni di culto
−
(leggi concordatarie del 1929 e 1985). Questi enti hanno come
scopo prevalente il culto o la religione;
Fondazioni per la gestione del patrimonio artistico
−
(art. 10 del decreto legislativo 20
ottobre 1998, n. 368). Il Ministero per i beni culturali e ambientali, al fine di
realizzare le proprie finalità istituzionali, può cooperare con enti pubblici, privati o
misti (tipicamente fondazioni);
Fondazioni a sostegno della lettura
−
(art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 250). Il
Ministero dei beni e delle attività culturali, al fine di promuovere l’editoria culturale,
gestisce un fondo per l’assegnazione di contributi a fondazioni ed enti non profit
operanti nel settore;
Fondazioni universitarie
(76) GUZZI D., Le fondazioni. Nascita e gestione, op. cit., pagg. 36-43.
(legge 23 dicembre 2000, n. 388). Sono entità costituite
dalle università per lo svolgimento di funzioni di supporto all’attività istituzionale
con la partecipazione di enti e amministrazioni pubbliche;
CAPITOLO PRIMO
40
− Fondazioni bancarie(77
In seguito la legge 23 dicembre 1998, n. 461, nota come “legge Ciampi”, e il decreto
legislativo 17 maggio 1999, n. 153, definirono la natura delle fondazioni bancarie
riconoscendole come «persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena
autonomia statutaria e gestionale».
). La legge 30 luglio 1990, n. 218, cosiddetta “legge Amato-
Carli”, avviò in Italia la privatizzazione della forma giuridica delle Casse di
risparmio e degli Istituti di credito di diritto pubblico. Il provvedimento prevedeva la
scissione tra l’ente conferente, che detiene la partecipazione nell’azienda di credito e
si dedica ad attività filantropiche, e l’impresa bancaria, costituita sotto forma di
società per azioni, che si dedica all’attività creditizia. Questo scorporo era favorito
attraverso la concessione di incentivi fiscali e avrebbe dato origine ad un sistema con
due attori distinti: I) la fondazione di origine bancaria e II) il gruppo creditizio.
La legge 21 dicembre 2001, n. 448 («riforma Tremonti») determinò,
successivamente, i «settori ammessi» nel cui ambito possono operare le fondazioni:
1) famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione
e formazione, incluso l’acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato,
filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani;
diritti civili;
2) prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e
agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale(78
(77) Cfr. sull’argomento anche GALANTI E., La storia dell’ordinamento bancario e finanziario
italiano fra crisi e riforme, in GALANTI E. (a cura di), Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Cedam, Padova, 2008, pag. 96 e CORSICO F. - MESSA P., Da Frankenstein a principe azzurro. Le fondazioni bancarie fra passato e futuro, Marsilio, Venezia, 2011, pagg. 27-45.
); protezione
dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e
riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze;
patologia e disturbi psichici e mentali;
(78) «‘Housing Sociale’ significa pertanto l’insieme di alloggi e servizi, di azioni e strumenti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. La finalità dell’housing sociale è di migliorare e rafforzare la condizione di queste persone, favorendo la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso all’interno del quale sia possibile non solo accedere a un alloggio adeguato, ma anche a relazioni umane ricche e significative. […] Data la limitatezza delle sovvenzioni pubbliche disponibili, gli interventi di housing sociale condotti da soggetti privati - incluse le fondazioni di origine bancaria - tendono a focalizzarsi su situazioni di disagio ‘solvibili’, relative a soggetti che non riescono a sostenere un affitto di mercato ma che possiedono comunque una moderata capacità di reddito, condizione che generalmente li esclude dalle graduatorie dell’Edilizia Residenziale Pubblica.»: URBANI S. - FERRI G., Fondazioni di origine bancaria e Housing Sociale, in ACRI, Tredicesimo Rapporto sulle Fondazioni di origine bancaria, Roma, 2009, pag. 167, sul sito www.acri.it.
LE AZIENDE NON PROFIT
41
3) ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale;
4) arte, attività e beni culturali.
CAPITOLO SECONDO
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
SOMMARIO: 1. La filantropia istituzionale – 2. Gli strumenti di perseguimento degli
obiettivi filantropici – 2.1. La gestione diretta – 2.2. La donazione delle risorse ad un ente specifico – 2.3. La costituzione di un’associazione – 2.4. La costituzione di una fondazione – 3. L’intermediazione filantropica – 3.1. Il concetto di «comunità» – 3.2. L’infrastrutturazione sociale del territorio – 4. La teoria del ciclo di vita delle fondazioni di comunità – 5. Il “capitale sociale” delle fondazioni di comunità – 6. Le fondazioni di comunità come «intermediari fiduciari» – 7. Il mercato delle donazioni – 7.1. Le donazioni dirette – 7.2. Le donazioni indirette – 7.2.1. Donazioni ad intermediari operativi – 7.2.2. Donazioni ad intermediari finanziari filantropici – 8. Le cause di formazione degli intermediari filantropici – 8.1. Le asimmetrie informative – 8.2. I costi di transazione – 8.3. Le dimensioni delle donazioni – 8.4. I vantaggi fiscali – 9. I problemi di agenzia tra i donatori e l’intermediario finanziario filantropico – 9.1. Intermediari finanziari filantropici nati da una sola grande donazione – 9.2. Intermediari finanziari filantropici nati da molte piccole donazioni – 9.3. Vincolo di non distribuzione dei profitti – 9.3.1. La teoria neo-istituzionalista dell’impresa – 9.3.2. Il caso degli intermediari finanziari filantropici – 9.4. Regolazione degli intermediari finanziari filantropici – 10. Le problematiche di governance degli intermediari finanziari filantropici.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
43
1. LA FILANTROPIA ISTITUZIONALE
La “filantropia istituzionale” nasce negli Stati Uniti nel diciannovesimo secolo
con lo sviluppo delle fondazioni private (public foundations, independent foundations,
community foundations, corporate foundations and operating foundations) e
l’affermarsi della cosiddetta “filantropia scientifica” che, attraverso nuove modalità di
erogazione, aveva lo scopo di alleviare la povertà intervenendo non sugli effetti, ma
contrastando direttamente le cause.
La “filantropia istituzionale” può essere definita come una «cultura diffusa per cui
la beneficienza e il sostegno a istituzioni meritevoli costituivano un preciso «dovere
sociale» connesso al ruolo preminente che si era chiamati a svolgere nella società.
Filantropia non come atto paternalistico ed estemporaneo, perciò, ma come ruolo
«istituzionale», in una concezione della vita in cui la ricchezza personale, anche recente,
non era vista solo come un fatto privato ma imponeva un impegno nella sfera pubblica,
così come lo status sociale comportava parimenti diritti e doveri. Un impegno civico
prima ancora che politico.»(1
Questo nuovo tipo di approccio richiedeva, però, un’organizzazione molto
strutturata e dotata di personale altamente specializzato. Successivamente nel corso del
ventesimo secolo questo nuovo modello di intervento comincia a diffondersi anche in
Europa.
).
In Italia la “filantropia istituzionale” si afferma in ritardo a causa di alcune
caratteristiche specifiche del paese dovute in sintesi:
alla pervasiva presenza della tradizione cattolica e delle sue organizzazioni;
all’assenza di un’adeguata politica di incentivi fiscali;
ad una forte egemonia partitocratica e sindacale;
ad una struttura assistenziale basata sulle istituzioni parastatali.
Dagli anni ’90 la “filantropia istituzionale” conosce una nuova fase di espansione.
In questo periodo crescono sia il numero delle fondazioni private che l’efficacia dei loro
(1) SCARPELLINI E., Il Teatro del popolo. La stagione artistica dell’Umanitaria fra cultura e
società, FrancoAngeli, Milano, 2000, pagg. 169-170.
CAPITOLO SECONDO
44
interventi grazie all’elaborazione di nuove “strategie della donazione”(2
La “filantropia istituzionale” tende ad essere considerata ancora oggi come
«un’attività caritatevole, benefica, benevolente, estemporanea: una concezione che, di
fatto, è agli antipodi della filantropia istituzionale volta a produrre un potenziale di beni
relazionali.»(
) e questo
nonostante una perdurante mancanza di visibilità che colpisce la loro azione.
3
La moderna “filantropia istituzionale” è orientata alla ricerca e alla costruzione di
nuovi modelli d’intervento. Il Prof. Carlo Borzaga esprime l’esigenza che la “filantropia
istituzionale” diventi un «motore di innovazione» passando da un intervento di tipo
“passivo” basato sulla domanda ad un intervento di tipo “attivo” che individui
autonomamente i bisogni da soddisfare e che sia in grado di selezionare tra le modalità
di offerta dei servizi quelle più capaci di innovazione anche nell’organizzazione
dell’offerta(
).
4
Secondo il Prof. Pellegrino Capaldo, la filantropia istituzionale ha «titolo per darsi
un ruolo più importante di quello di generico integratore del ruolo svolto dallo Stato. Un
ruolo più ambizioso che deve passare attraverso la destatalizzazione del sociale e una
distinzione di funzioni più precisa. Non l’abbandono da parte dello Stato di un certo
impegno in campo sociale, ma un processo alla fine del quale lo Stato smette di essere
operatore e recupera un ruolo di orientatore e di garante di ultima istanza della copertura
di tutti i bisogni; mentre il privato in senso lato e la filantropia istituzionale possono
esserne il motore.»(
).
5
).
(2) PORTER M. - KRAMER M., The Competitive Advantage of Corporate Philanthropy, Harvard
Business Review, LXXX, 2, Cambrige, MA, 2002, pagg. 56-68. (3) MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita
e Ruolo, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia delle aziende non profit”, Università degli Studi di Roma “Sapienza”, Facoltà di Economia, Dipartimento di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, 9 dicembre 2010, sul sito www.assifero.org., pagg. 2-3.
(4) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Rapporto Annuale 2011, Brescia, pag. 3, sul sito www.fondazionebresciana.org.
(5) CAPALDO P., E in Italia le fondazioni devono destatalizzare il sociale, in Non Profit Magazine, Società editoriale Vita, Milano, 10 giugno 2011, pag. 3.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
45
2. GLI STRUMENTI DI PERSEGUIMENTO DEGLI OBIETTIVI FILANTROPICI(6)
Un donatore, che desideri perseguire i propri scopi benefici, ha a disposizione
diversi strumenti con cui realizzarli. In particolare può scegliere tra la gestione diretta
dell’erogazione, la donazione ad un ente specifico, la creazione di un’associazione e la
costituzione di una fondazione. Tuttavia ognuna di queste modalità presenta degli
svantaggi.
2.1. La gestione diretta
In questo caso il donatore eroga direttamente i contributi a favore dei beneficiari.
Si tratta, però, di una modalità operativa estremamente complessa e onerosa. Effettuare
una donazione, infatti, non significa semplicemente selezionare il beneficiario della
stessa, ma soprattutto monitorare come il soggetto utilizzerà i contributi ricevuti,
raccoglierne la rendicontazione e verificarne l’impatto. Queste procedure
presuppongono un impegno notevole in termini di tempo ma più di tutto richiedono
competenze specifiche che difficilmente il donatore ha a disposizione in ambito
familiare o aziendale.
2.2. La donazione delle risorse ad un ente specifico
In questa ipotesi il donatore dona il proprio contributo ad un ente specifico che lo
utilizzerà per raggiungere le proprie finalità. Questa modalità richiede che il donante
condivida gli scopi dell’ente beneficiario ma soprattutto che abbia completa fiducia nel
suo operato poiché questa soluzione comporta, come conseguenza, la perdita di
controllo sull’utilizzo finale delle risorse donate.
L’elemento negativo di questa strategia di elargizione è rappresentato dal fatto
che, una volta effettuata la donazione, non è più possibile cambiarne la destinazione,
quindi, nell’eventualità che dovesse nascere un nuovo soggetto che meglio rispondesse
alle esigenze del donatore, questi non potrà chiedere all’ente che ha già ricevuto il
contributo di stornarne una quota per sostenere un progetto realizzato da un’altra
organizzazione non profit.
(6) CASADEI B., Fondazioni di comunità: novità e problematiche, Il Sole 24 Ore, Milano, in «I
Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato», Atti del Convegno Non profit: le sfide dell’oggi e il ruolo del notariato, Milano, 5 novembre 2010, pagg. 87-88.
CAPITOLO SECONDO
46
2.3. La creazione di un’associazione
Un’altra possibilità per finalizzare i propri obiettivi filantropici è la creazione di
un’associazione. In questo caso, però, il donatore deve affrontare una serie di problemi
tipici, legati alla gestione di una pluralità di soggetti, che comportano da una parte la
necessità di organizzare e gestire complesse assemblee e dall’altra parte il rischio che
con le difficoltà subentri un certo grado di stanchezza che determini, di fatto, il fermo
operativo dell’organizzazione.
2.4. La costituzione di una fondazione
L’ultima opportunità offerta al donatore è la costituzione di una fondazione che
rappresenta lo strumento più efficace e flessibile per il perseguimento degli obiettivi
filantropici. Tuttavia la gestione di una fondazione è molto onerosa sia in termini di
tempo sia di denaro e si giustifica solo in presenza di capitali molto consistenti se si
vuole evitare il rischio che tutte le risorse siano assorbite dal funzionamento della
struttura.
Inoltre le fondazioni presentano altri inconvenienti come ad esempio il fatto che
con il tempo i Consigli di Amministrazione abbiano finito per tradire la volontà dei
fondatori oppure che i consiglieri perdono interesse per la vita della fondazione che
cessa di funzionare. Anche gli interventi dell’autorità governativa, di fatto estremamente
sporadici, non sono in grado di modificare la situazione. Ne consegue che le fondazioni
sono spesso abbandonate a se stesse. Comunque al di là di questi problemi rimane che
questa modalità d’intervento è solitamente appannaggio dei ricchissimi.
3. L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
La “filantropia istituzionale” per superare questi problemi ha sviluppato una
nuova modalità operativa che tecnicamente viene definita come «intermediazione
filantropica».
Questa nuova filosofia d’intervento è rappresentata da una fondazione avente le
caratteristiche di ONLUS, in modo da poter consentire ai donatori di massimizzare i
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
47
benefici fiscali, che mette a disposizione degli aspiranti filantropi la propria
infrastruttura(7
In questo modo i donatori, attraverso donazioni modali, possono costituire dei
fondi che hanno ognuno un proprio regolamento e sono indirizzati esclusivamente al
perseguimento degli obiettivi filantropici stabiliti dal benefattore. In pratica il donante
ha la possibilità di usufruire di uno strumento che presenta gli stessi vantaggi di una
fondazione privata, ma senza i rischi e i costi connessi alla sua costituzione e gestione.
).
Un altro vantaggio dei fondi è rappresentato dalla rapidità e semplicità della loro
costituzione e gestione. Essi, infatti, a differenza della fondazione, non necessitano per
la costituzione né di atto pubblico né di riconoscimento amministrativo e, inoltre, non
richiedono per la gestione l’implementazione di tutte quelle prassi contabili e
amministrative richieste alle fondazioni.
Quindi con la trasformazione della “filantropia istituzionale” si afferma un nuovo
soggetto istituzionale evoluto: la fondazione di comunità.
Secondo la definizione di Suzanne Feurt (1999) una community foundation «è una
organizzazione filantropica indipendente la cui finalità è di migliorare la qualità della
vita di una comunità nel lungo periodo. Essa deve coinvolgere i cittadini e generare
nuove risorse permanenti volte al sostegno dei bisogni della comunità a livello locale e
territoriale»(8
).
3.1. Il concetto di «comunità»
La comunità degli «uomini non è solo communis (comune), qualcosa che è di
tutti, è anche cum-munus. Non è solo una proprietà, una tradizione o un territorio da
difendere, ma anche munus (dono), luogo del dono che si dà perché non si può non dare
e della gratitudine che attende di essere ricambiata. Nel termine munus sono contenuti i
concetti di reciprocità e mutualità: un dare che consegna l’uno all’altro, una scelta di
(7) CASADEI B., Le fondazioni di comunità come intermediario filantropico, Relazione tenuta al
convegno su “Fondazioni di Comunità, società civile e bene comune” organizzato dalla Fondazione Riviera-Miranese, Salzano (VE), 26 novembre 2011, pag. 3, sul sito www.assifero.org: «Un ente, di norma una fondazione avente caratteristiche onlus, mette a disposizione la sua struttura per gestire risorse filantropiche sulla base delle indicazioni stabilite dal donante, che gode dei benefici di una gestione professionale delle proprie donazioni ad oneri ridotti.».
(8) GEMELLI G., Le Community foundation tra futuro e passato, in HOELSCHER P. - CASADEI B. (a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pag. 60.
CAPITOLO SECONDO
48
appartenere per fare, una relazione che vede ciascuna parte in dialogo costante con le
altre parti.»(9
Le community foundations «sono, […], la specie di un genere più ampio che è la
community philanthropy» che secondo la definizione della “Mott Foundation”(
).
10): “è la
pratica di catalizzare e raccogliere risorse da una comunità a beneficio della
comunità”(11
La letteratura sul “terzo settore” traduce il termine anglosassone “community
foundation” con l’espressione “fondazione di comunità”.
).
Tuttavia il termine community richiede di essere «correttamente interpretato, non
potendosi esso pedissequamente tradurre, né fare semplicemente corrispondere al nostro
termine comunità.»(12
«Il termine e la connessa nozione di comunità come intesa dal nostro ordinamento
non possono quindi essere acriticamente trasposti ed utilizzati per tradurre il termine
anglosassone di community, che nasce invece ed è riferito ad un contesto profondamente
diverso dal nostro, di impronta calvinista e liberale»(
).
13
Il significato che i soggetti, che si relazionano con questa forma organizzativa,
attribuiscono al termine “comunità” è riconducibile alla definizione di “comunità
locale” spazialmente intesa cioè «quella collettività i cui membri dividono un’area
territoriale comune come loro base di operazioni per le attività quotidiane»(
).
14
Nel caso italiano la comunità è contenuta nei confini amministrativi della
provincia.
).
(9) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del
non profit, op. cit., pag. 97. (10) The “Charles Stewart Mott Foundation” è una fondazione privata grantmaking fondata nel
1926 a Flint nel Michigan da Charles Stewart Mott (1875 – 1973) che era diventato uno dei principali industriali della città attraverso la sua associazione con la General Motors, sul sito www.mott.org.
(11) GEMELLI G., Le Community foundation tra futuro e passato, in HOELSCHER P. - CASADEI B. (a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pag. 61.
(12) STEFANELLI M. A., L’intervento delle fondazioni di origine bancaria e la mission delle community foundations nel settore dei servizi sociali, in «Sanità Pubblica e Privata», Maggioli, Rimini, giugno 6/2004, pag. 606.
(13) IBIDEM, op. cit., pag. 607. (14) PARSONS T., Il sistema sociale, Edizioni di Comunità, Torino, 1996, pag. 98 (ed. or. The Social
System, The Free Press, New York, 1951).
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
49
3.2. L’infrastrutturazione sociale del territorio
La “filantropia comunitaria” unisce da un lato, la filantropia, cioè la “gestione
professionale del dono”, dall’altro, il sentimento di appartenenza nei confronti della
propria comunità locale(15
La “filantropia comunitaria” è il settore più dinamico e in più rapida crescita del
privato sociale e grazie ad essa è stata promossa l’infrastrutturazione sociale(
).
16
Le infrastrutture sociali sono costituite dall’insieme degli impianti e dei servizi
destinati a soddisfare interessi e bisogni collettivi. La dotazione d’infrastrutture sociali
viene considerata, insieme a quella d’infrastrutture economiche, tra i fattori in grado di
determinare il potenziale di sviluppo ed attrazione di un’area.
)
individuata come leva strategica per lo sviluppo del territorio.
Le fondazioni di comunità(17
L’insediamento di queste strutture vede una netta prevalenza delle regioni
settentrionali e, più recentemente, di quelle meridionali. Mentre è totalmente assente da
) vanno a rafforzare e integrare le reti di
infrastrutture sociali presenti sul territorio (volontariato, cultura, formazione,
promozione delle risorse umane, inclusione sociale, riduzione delle disparità) in modo
da accrescerne la capacità di azione e di adeguarle al fabbisogno della comunità.
(15) CASADEI B., Nuove prospettive per il privato sociale: la filantropia comunitaria, in «Terzo
Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 10 - ottobre 2001, pag. 74. (16) L’infrastruttura sociale comprende «le attività della pubblica amministrazione, i servizi di
welfare, l’istruzione, la cultura, le organizzazioni economiche e sindacali e del tempo libero. In sostanza ci si riferisce ai servizi non di mercato, nel senso che la loro tipologia risulta legata alla soddisfazione di un insieme di bisogni collettivi e di sicurezza sociale. È necessario tuttavia fare attenzione: la caratteristica non di mercato non implica un’assenza di operatori privati, soprattutto nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria e dell’istruzione, quanto che i livelli di dotazione e di distribuzione sul territorio delle singole attività sono direttamente sottoposti al controllo pubblico. L’interazione tra pubblico e privato, in campi come l’istruzione e la sanità, tiene conto della necessità di garantire determinati livelli di servizio, sia quantitativo che qualitativo. L’evoluzione di questa categoria è quindi strettamente collegata alle caratteristiche della popolazione presente e all’evoluzione della struttura sociale nel suo complesso». CAVALLO M., Per una globalizzazione responsabile: qualità dello sviluppo e coesione sociale, FrancoAngeli, Milano, 2001, pag. 47:.
(17) EVERETT J. - EVERETT S. & ASSOCIATES, Community Foundations: An Introductory Report on International Experience and Irish Potential, Combat Poverty Agency, Dublin, 1998, pag. VIII: «Essentially a community foundation is a charitable organisation that exists to build a permanent endowment fund that will provide financial and other resources to meet a specific community’s needs through six co-ordinated functions: • fund-raising; • grant-making; • donor; • convening; • mentoring; and • researching».
CAPITOLO SECONDO
50
questa dinamica di sviluppo il Centro Italia che è attualmente privo di queste
infrastrutture.
Le fondazioni di comunità potrebbero costituire la base per la costruzione di
quella infrastruttura sociale nazionale, ipotizzata dal Prof. Pellegrino Capaldo(18), che è
sostanzialmente «una «rete di ascolto e di monitoraggio» dei bisogni umani che copra
l’intero territorio nazionale. Una «rete» composta da una miriade di piccole strutture
locali, dotate di ampia autonomia ma capaci, all’occorrenza, di coordinarsi e di fare
sistema tra loro. Penso, in particolare, ad alcune migliaia di strutture locali (grosso
modo 1 per ogni 10.000 abitanti) con un responsabile a tempo pieno coadiuvato da
molti collaboratori, per lo più volontari. Penso a strutture, organizzativamente molto
agili, capaci di ascoltare le persone che chiedono aiuto ma anche di cogliere – nel
territorio di loro competenza – i bisogni nascosti e di individuare le persone che, il più
delle volte, ne sono silenti e appartate portatrici.»(19
).
4. LA TEORIA DEL CICLO DI VITA DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ(20)
Le fondazioni di comunità, secondo Graddy e Morgan(21
la prima è centrata sui servizi ai donatori (donor service). In questo caso il ruolo
delle fondazioni di comunità consiste nell’agevolare i donatori nel perseguimento dei
loro obiettivi filantropici attraverso la fornitura di servizi professionali. Le fondazioni
comunitarie più giovani tendono a privilegiare il rapporto con i donatori in quanto il
loro obiettivo principale è l’incremento della dotazione patrimoniale, mentre il
), possono sviluppare tre
diverse strategie di azione (mission):
(18) CAPALDO P., E in Italia le fondazioni devono destatalizzare il sociale, op. cit., pag. 3.:
«Occorre creare una rete di monitoraggio del territorio, articolata in tante piccole unità: cinque o seimila unità sul territorio libere di operare non rigidamente governate dal centro, ma tra loro coordinate, e impegnate a leggere i bisogni, dare risposte alle richieste. Un rete di questo tipo è indispensabile. Rischiamo altrimenti di lasciare inappagati bisogni che meritano di essere soddisfatti.».
(19) CAPALDO P., Filantropia istituzionale: forma di una moderna responsabilità civile, Relazione tenuta al 2° Convegno Nazionale delle Fondazioni e degli Enti d’Erogazione sul tema “Oltre i progetti: responsabilità, potenzialità e strategie della filantropia istituzionale per lo sviluppo del Paese”, Roma, 11 marzo 2011, pagg. 2-3, sul sito www.assifero.org.
(20) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg. 72-74.
(21) GRADDY E. - MORGAN D., Community Foundations, Organizational Strategy and Public Policy, «Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly», XXXV, 4, 2006, pagg. 605-630.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
51
rapporto tra fondazioni e organizzazioni non profit è “debole”. L’allocazione delle
risorse è vincolata dalla volontà del donatore e per questa ragione le fondazioni
comunitarie devono essere in grado di gestire le relazioni con i donatori con una
duplice logica di “coinvolgimento” e “distacco” in modo da non chiudersi ai bisogni
emergenti della comunità;
la seconda è focalizzata sul ruolo delle fondazioni di comunità come intermediari tra
i donatori e le organizzazioni del “terzo settore” (matchmaker) e quindi tra risorse e
bisogni. In questo caso le fondazioni si muovono in due direzioni parallele: da un
lato i servizi ai donatori e dall’altro la conoscenza dei bisogni della comunità locale.
L’acquisizione di tali informazioni apre la strada ad una migliore allocazione delle
risorse in quanto consente di orientare le scelte dei donatori verso le organizzazioni
non profit maggiormente efficienti. Questa metodologia di intervento è conveniente
per le organizzazioni del “terzo settore” in quanto riescono a raggiungere dei nuovi
potenziali donatori che prima gli erano preclusi. Questo approccio richiede, però, alle
fondazioni di comunità di avvalersi di figure professionali in grado di “leggere” i
bisogni del territorio, concentrandosi sulla situazione esistente;
la terza è puntata sull’assunzione di un ruolo di leadership nell’ambito della
comunità locale (community leadership). In questo caso la fondazione di comunità
mira ad assumere la governance della comunità locale attraverso l’elaborazione di
programmi di intervento che migliorano la qualità della vita. La funzione di
leadership richiede la capacità di condizionare l’opinione pubblica ma rischia di fare
assomigliare le fondazioni di comunità alle fondazioni di erogazione comuni che
stabiliscono le priorità di intervento e finanziano solo le organizzazioni in grado di
realizzarle.
I fattori che guidano l’emergere di una determinata strategia sono rappresentati
dalle:
a) caratteristiche dell’ambiente sociale in cui operano le fondazioni di comunità
(capacità filantropica, capacità dei partner ed esistenza di concorrenti a livello
locale);
b) caratteristiche organizzative delle fondazioni di comunità (età, dimensioni operative,
principali fondi patrimoniali istituiti);
CAPITOLO SECONDO
52
c) caratteristiche esterne (presenza di partner strategici e concorrenti a livello
nazionale).
In base a questi elementi, il modello del ciclo di vita delle fondazioni di comunità
ci dice che:
− nella fase iniziale le fondazioni privilegiano i servizi ai donatori;
− nella fase di consolidamento patrimoniale, le fondazioni sviluppano strategie di
intermediazione o di leadership.
Le fondazioni di comunità italiane si trovano in una fase di consolidamento che le
spinge verso un modello matchmaker dal quale però si allontanano per il basso livello di
professionalizzazione del personale che è composto per la maggior parte da volontari
non in possesso di competenze specifiche per la lettura dei bisogni del territorio. Quindi
la teoria del ciclo vitale non si adatta completamente al caso italiano.
Le fondazioni di comunità italiane autodefiniscono il loro ruolo in quello di
«intermediari della solidarietà». In questa ottica le fondazioni di comunità
rappresentano da un lato degli intermediari creditizi che riducono l’incertezza e il costo
della raccolta dei fondi e dall’altro lato soggetti con funzioni redistributive che si
affiancano, senza sostituirli, ai canali statali e locali.
5. IL “CAPITALE SOCIALE” DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ(22)
La transizione dal welfare tradizionale al welfare societario, che include oltre allo
Stato e al mercato anche la dimensione comunitaria, richiede che le fondazioni di
comunità:
siano in grado di generare e valorizzare il “capitale sociale” presente nella comunità
locale;
sappiano istituzionalizzare il dono a livello locale.
Il “capitale sociale”(23
(22) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg.
77-86.
) favorisce lo sviluppo della filantropia e delle istituzioni
filantropiche quali le fondazioni di comunità.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
53
Il “capitale sociale” viene definito come una «risorsa connessa alle relazioni
sociali»(24
L’atto di donare comporta un certo rischio in quanto il donatore ha bisogno di
informazioni perché quelle possedute non sono sufficienti. Purtroppo l’attività di
raccolta delle informazioni richiede tempo e competenze specifiche e potrebbe
comportare costi elevati.
).
Secondo James S. Coleman(25
1) il
) le fondazioni di comunità dispongono di tre forme
di “capitale sociale”:
potenziale informativo
− dei potenziali donatori una serie di informazioni che agevolano la donazione;
che consente di ridurre le asimmetrie informative presenti
all’interno della comunità e che ostacolano le donazioni alle organizzazioni non
profit. Le fondazioni comunitarie mettono a disposizione:
− delle organizzazioni del “terzo settore” un bacino più vasto di potenziali donatori
a cui promuovere i loro progetti.
Pertanto sia le relazioni tra fondazione di comunità e donatori sia le relazioni tra
fondazione di comunità e organizzazioni del “terzo settore” costituiscono una forma
di “capitale sociale”;
2) i doveri e le aspettative
(23) Il capitale sociale è «l’insieme delle relazioni fiduciarie fondate sul principio di reciprocità che
si instaurano tra persone appartenenti a una determinata comunità.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 74.
in sospeso della collettività (i “titoli di credito”).
L’«erogazione sfida» lanciata dalla Fondazione Cariplo per la costituzione del
patrimonio delle fondazioni di comunità genera una sorta di obbligazione morale
nella comunità locale. L’impegno a donare della Fondazione Cariplo costituisce un
“titolo di credito” che spinge la comunità a reciprocare la donazione al fine di
vincere la sfida. La stessa cosa si verifica nel caso del finanziamento dei progetti da
parte della fondazione di comunità che stimola la comunità a contribuire per la parte
non finanziata. In quest’ottica le fondazioni di comunità rappresentano un
moltiplicatore delle risorse monetarie in quanto le loro donazioni rimettono in moto
costantemente il principio di reciprocità su scale locale;
(24) Per una classificazione delle diverse definizioni di capitale sociale cfr. COLOZZI I., Il capitale sociale in prospettiva relazionale, in BARTOLINI I. (a cura di), Capitale sociale, reti comunicative e culture di partecipazione, FrancoAngeli, Milano, 2008, pagg. 25-27.
(25) COLEMAN J. S., Fondamenti di teoria sociale, Il Mulino, Bologna, 2005, pagg. 388-408 (ed. or. Foundations of Social Theory, Belknap Press, Cambrige, MA, 1994).
CAPITOLO SECONDO
54
3) le organizzazioni sociali appropriabili
Da quanto detto emerge che la principale forma di “capitale sociale” delle
fondazioni di comunità è rappresentata dal loro potenziale informativo. Tuttavia gli
investimenti per creare “capitale sociale” sono scarsi perché «molti dei vantaggi delle
azioni che producono capitale sociale favoriscono persone diverse da chi compie queste
azioni» e quindi le persone non hanno interesse a produrlo.
sono organizzazioni costituite per un fine
determinato, ma che possono essere utilizzate dai singoli e dalla comunità anche per
altri scopi. Quindi si verifica che i soggetti che hanno rapporti con le fondazioni di
comunità possono mettere a loro disposizione il proprio network di relazioni e le
risorse in essi circolanti. Ad esempio i commercialisti, che compongono il Collegio
Sindacale delle fondazioni, possono favorire la diffusione di notizie riguardanti l’ente
nell’ambito del loro ordine professionale.
6. LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ COME «INTERMEDIARI FIDUCIARI»(26)
La principale forma di “capitale sociale” prodotto dalle fondazioni di comunità è
il loro potenziale informativo che riduce l’incertezza che rende rischiosa qualsiasi
relazione di scambio e che frena le donazioni.
Le donazioni «contribuiscono a creare una rete di relazioni fra gruppi sociali
distanti fra loro, “iniettando” e facendo circolare la fiducia necessaria».
Il ruolo delle fondazioni di comunità può essere meglio compreso se si
considerano come «intermediari fiduciari» tra i potenziali prestatori di fiducia (i
donatori) e i fiduciari cioè coloro a cui la fiducia è accordata (le organizzazioni del
“terzo settore”).
Le fondazioni di comunità sono in grado di gestire l’incertezza esistente nella
comunità locale che condiziona l’atteggiamento nei confronti del dono, generando e
facendo circolare la fiducia.
Gli «intermediari fiduciari» si suddividono in tre categorie: i “garanti”, i
“consiglieri” e gli “imprenditori”.
(26) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg.
89-91.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
55
I potenziali donatori, in assenza di informazioni sull’affidabilità delle
organizzazioni non profit, potrebbero evitare di donare. Questo problema può essere
superato con l’intervento della fondazione di comunità che mostra di avere fiducia nelle
capacità operative dell’organizzazione non profit.
Le fondazioni di comunità quando:
utilizzano i bandi si comportano sia come:
− “imprenditori” perché attraverso la pratica del matching grant (sovvenzione
paritaria) sollecitano la fiducia dei donatori sui progetti delle organizzazioni non
profit selezionate. I donatori si fidano della competenza delle fondazioni
comunitarie nel monitorare l’attuazione dei progetti;
− “garanti” della capacità di prestazione delle organizzazioni non profit perché
partecipano al finanziamento del progetto per un importo del 50%. Se
l’organizzazione selezionata non completa il progetto subiranno una perdita sia il
donatore che la fondazione. Quindi è essenziale che l’intermediario conosca in
modo approfondito l’organizzazione del “terzo settore”;
istituiscono dei fondi patrimoniali, ma non quelli con diritto di indirizzo, si
comportano come “consiglieri” dei potenziali donatori e questo perché la selezione e
il cofinanziamento dei progetti da parte delle fondazioni di comunità, le trasformano
in consulenti di coloro che utilizzano i loro servizi professionali per effettuare la
donazione.
Le fondazioni di comunità quindi non veicolano solo risorse economiche ma
anche risorse informative che sono alimentate da tre fonti:
1) dalla prestazione del fiduciario (le organizzazioni del “terzo settore”);
2) da coloro che hanno un interesse simile a quello del potenziale prestatore di fiducia;
3) da coloro che hanno un interesse diverso da quello del potenziale prestatore di
fiducia.
Le variazioni della fiducia dipendono dalle modalità con cui si combinano queste
tre fonti. Il successo delle fondazioni di comunità, quali «intermediari fiduciari», e la
loro attitudine a generare “capitale sociale”, dipenderà dalla loro capacità di valutare
correttamente le prestazioni delle organizzazioni del “terzo settore” e di suscitare
continuamente dei donatori.
CAPITOLO SECONDO
56
In conclusione se le fondazioni di comunità vorranno conseguire livelli crescenti
di fiducia dovranno favorire la diffusione delle informazioni provenienti dalle
organizzazioni del “terzo settore”, riguardanti la loro capacità di prestazione,
nell’ambito della comunità locale.
7. IL «MERCATO» DELLE DONAZIONI(27)
Donare significa dare spontaneamente qualcosa a qualcuno senza un compenso.
Gli individui donano frequentemente denaro o altre utilità a persone cui non sono legate
né da amicizia né da parentela e lo fanno per le motivazioni più diverse (altruismo,
pubblicità, ecc.).
Se considerassimo il dono equivalente ad un bene potremmo ipotizzare che la
donazione(28
) sia l’oggetto di un ipotetico scambio di mercato. Il beneficiante può
realizzare questo scambio di mercato secondo due modalità alternative: direttamente o
indirettamente.
7.1. Le donazioni dirette
Nel caso dell’elemosina effettuata a persone indigenti incontrate sulla pubblica
via, il donante seleziona e beneficia personalmente il destinatario della propria
donazione, trasferendogli direttamente parte del proprio reddito o patrimonio.
In questo esempio l’offerta di donazioni (da parte dei soggetti filantropici)
incontra direttamente sul mercato la domanda di donazioni (da parte di soggetti
bisognosi), senza il bisogno di alcun tipo d’intermediario. I “datori” e i “prenditori” di
donazioni realizzano, quindi, una transazione diretta.
Tuttavia l’ammontare complessivo di queste donazioni dirette è molto ridotto.
(27) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle
fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, Il Mulino, Bologna, 2000, pagg. 141-144 e MARINO S., Il mercato delle donazioni, in SPAZZOLI F. - MATTEINI M. - MAURIELLO M. - MAGGIOLI R., Manuale di fund raising e comunicazione sociale, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2009, pagg. 45-52.
(28) La donazione è il «gesto di elargizione di una somma di denaro, di un bene o del proprio tempo, fatto da una persona a un’altra o a un’organizzazione non profit.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 129.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
57
7.2. Le donazioni indirette
In altre situazioni il donatore non sceglie personalmente il destinatario del proprio
dono, ma si serve di un intermediario.
In questa eventualità l’offerta di donazioni (da parte dei soggetti filantropici) non
incontra direttamente sul mercato la domanda di donazioni (da parte di soggetti
bisognosi), ma si avvale di un intermediario che può essere rappresentato da
un’organizzazione “operativa” o “finanziaria”. I “datori” e i “prenditori” di donazioni
realizzano, quindi, una transazione indiretta.
Sul mercato sono dunque presenti due tipologie diverse di strutture che
interfacciano donante e donatario, gli:
a) intermediari operativi;
b) intermediari finanziari filantropici.
7.2.1. Donazioni ad intermediari operativi
L’intermediario operativo è costituito da un’organizzazione che riceve la
donazione dal benefattore ed eroga direttamente beni e servizi ai soggetti in stato di
bisogno.
Rientrano in questa categoria le organizzazioni di soccorso umanitario, come la
Croce Rossa o la Caritas, che intervengono in situazioni di emergenza (ad esempio
guerre o calamità naturali) con proprie strutture (come ospedali, mense o centri di
accoglienza).
Le ragioni per cui un soggetto decide di avvalersi di un intermediario operativo
piuttosto che effettuare direttamente una donazione, possono essere ricondotte alle
seguenti:
− in primo luogo il donante potrebbe incontrare delle difficoltà ad individuare un
singolo soggetto bisognoso da beneficiare;
− in secondo luogo il donante potrebbe scegliere di offrire beni e servizi piuttosto che
denaro, trovandosi però nell’impossibilità di eseguire personalmente un trasferimento
specifico;
− in terzo luogo il donante potrebbe non essere in grado di selezionare il soggetto più
meritevole e bisognoso.
CAPITOLO SECONDO
58
In tutti questi casi, pertanto, il beneficiante può trovare conveniente avvalersi di
un ente che, per suo conto, seleziona i soggetti meritevoli di assistenza e gli fornisce i
beni e servizi occorrenti.
7.2.2. Donazioni ad intermediari finanziari filantropici
L’intermediario filantropico è costituito da un’organizzazione che raccoglie le
donazioni dai vari benefattori e si impegna a finanziare altri soggetti che provvederanno
a erogare i beni e i servizi alle persone in stato di bisogno. Pertanto l’intermediario non
fornisce ne produce direttamente i servizi richiesti dalla collettività, ma effettua una
selezione dei vari progetti presentati dalle organizzazioni non profit che chiedono
finanziamenti e contributi.
Sono intermediari finanziari le fondazioni grant-making, le community
foundations e i chests.
8. LE CAUSE DI FORMAZIONE DEGLI INTERMEDIARI FILANTROPICI(29)
Le ragioni che spiegano l’origine degli intermediari finanziari filantropici, cioè
di soggetti che si interpongono tra donatore e beneficiario, possono essere fatte risalire
alle inefficienze che si determinano nel cosiddetto «mercato» delle donazioni. In
particolare facciamo riferimento alle asimmetrie informative, ai costi di transazione, alle
dimensioni delle donazioni e ai vantaggi fiscali.
8.1. Le asimmetrie informative(30
I rapporti tra donatore e beneficiario finale o intermediario operativo possono
essere assimilati ad un contratto di agenzia in cui il primo rivesta il ruolo di “principale”
e il secondo quello di “agente”. Nell’ambito di questo rapporto, possiamo ritenere che
colui che effettua la donazione soffra di asimmetrie informative nei confronti del
)
(29) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle
fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 144-151.
(30) Cfr. supra capitolo I, paragrafo 5.2.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
59
beneficiario sia prima di avere effettuato il dono cioè ex ante che successivamente cioè
ex post. Questi squilibri informativi aumentano i costi di agenzia del rapporto.
Le asimmetrie informative ex ante si manifestano quando il benefattore non è in
grado di selezionare un destinatario in quanto non ha la capacità tecnica o le
informazioni necessarie, per valutare prioritariamente la meritorietà dei potenziali
beneficiari. Nell’ipotesi in cui la donazione sia di entità modesta, il costo della raccolta
di informazioni da parte di un singolo donatore può risultare addirittura proibitivo.
Le asimmetrie informative ex post si manifestano quando il benefattore non è in
grado di osservare senza costi il risultato della propria donazione. Il donante, di
conseguenza, dovrà spendere delle consistenti risorse per controllare in che modo il
beneficiario ha utilizzato l’elargizione ricevuta. Il donatario, infatti, ha un notevole
margine di discrezionalità nell’impiego delle donazioni ricevute e proprio questa
circostanza determina la necessità del monitoraggio. Il contratto di donazione, pertanto,
si contraddistingue per un ampio grado di incompletezza.
I costi di monitoraggio del beneficiario sono spesso proibitivi per il singolo
donatore. L’intervento di un intermediario finanziario può consentire di ridurre gli oneri
generati dalle asimmetrie informative. L’intermediario, infatti, nella procedura di
raccolta delle informazioni, di selezione dei possibili beneficiari dei contribuiti e di
verifica delle modalità di effettivo impiego delle risorse, può sfruttare rilevanti
economie di scala.
Per questo motivo i donatori troverebbero vantaggioso delegare tutto il processo
di donazione all’intermediario filantropico che gli consentirebbe di ridurre i costi di
agenzia connessi alla relazione tra donatore e beneficiario.
8.2. I costi di transazione(31
I rapporti tra donatori e beneficiari sono disturbati anche dalla presenza dei
cosiddetti costi di transazione che sono particolarmente evidenti nel caso di donazioni di
ammontare non elevato.
)
In molti casi l’obiettivo del donatore non può essere perseguito a causa
dell’esiguità della sua donazione. In questa evenienza, le donazioni individuali
dovranno aggregarsi tra di loro per raggiungere una massa critica sufficiente
(31) Cfr. supra capitolo I, paragrafo 5.3.
CAPITOLO SECONDO
60
all’attivazione del progetto. Tuttavia il processo di raccolta fondi o di sollecitazione di
donazioni, denominato fund raising(32
Un ulteriore problema è rappresentato dalla durata temporale del beneficio della
donazione, nel senso che un donatore potrebbe desiderare che il proprio atto di liberalità
non esaurisca il suo effetto nel momento presente ma continui a esplicare la sua utilità
anche in futuro. In questo caso il donatore si orienterà verso la costituzione di una
fondazione che gli consentirà, attraverso i redditi prodotti dall’investimento di un
patrimonio, di sostenere nel corso del tempo un’iniziativa benefica.
), può risultare estremamente oneroso per il
singolo donatore, mentre l’intermediario finanziario filantropico può sostenere costi di
transazione che un singolo donatore non potrebbe affrontare.
Questa strategia presuppone che i patrimoni donati siano investiti in modo da
produrre redditi adeguati. La gestione patrimoniale presenta, però, costi fissi di
transazione che potrebbero essere ridotti all’aumentare delle dimensioni delle masse
amministrate grazie alla realizzazione di consistenti economie di scala.
Un donatore che investa singolarmente il proprio patrimonio sarà meno efficiente
di un intermediario finanziario filantropico che amministri i patrimoni donati da una
pluralità di benefattori. Inoltre un intermediario finanziario potrà realizzare una
diversificazione del portafoglio investito irraggiungibile ai singoli donatori.
8.3. Le dimensioni delle donazioni
I problemi riguardanti la presenza di asimmetrie informative e di costi di
transazione sono amplificati dalle dimensioni dell’atto di liberalità. Nel caso di piccole
donazioni, infatti, i donatori difficilmente possono sopportare i costi connessi alla
(32) «Per sollecitazioni di donazioni si intendono tutte le richieste dirette o indirette di denaro, beni
mobili o immobili, crediti, servizi di volontariato o altre cose di valore, da erogarsi al momento oppure in modo dilazionato, dietro accordo che i beni donati saranno utilizzati senza scopo di lucro, a fini didattici, religiosi, benefici, patriottici, civici o altre cause non profit. Tra le sollecitazioni, figurano anche gli inviti ad aderire a un’organizzazione non profit e gli appelli a chi è già membro di organizzazioni che hanno tra i requisiti principali di appartenenza l’elargizione di una donazione. […] operativamente il fundraising si delinea come la sollecitazione di donazioni; le attività, gli eventi e i materiali che fanno parte integrante della pianificazione, creazione, produzione e comunicazione della sollecitazione; inoltre, la raccolta di fondi, beni immobili o altri beni di valore richiesti in qualità di donazione. Il fundraising comporta ma non si risolve nell’acquisizione e nel rinnovo delle donazioni, né nella raccolta di fondi o risorse, né nell’acquisizione di nuovi fundraiser, né nell’ottenimento di contratti o grant.»: MELANDRI V., Fund raising e accountability, in ZAMAGNI S. (a cura di), Il nonprofit italiano al bivio, Egea, Milano, 2002, pag. 193.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
61
selezione e al monitoraggio dei beneficiari, mentre nel caso di grandi donazioni questi
oneri diventano più sostenibili.
Nella realtà, pertanto, potremmo rilevare la presenza sia d’intermediari filantropici
che raccolgono piccole donazioni da una molteplicità di filantropi con scarse possibilità
economiche, sia di filantropi con elevate disponibilità finanziarie che sostengono
direttamente i costi del processo di donazione.
Nel panorama statunitense le community foundations e i chests sono esempi di
organizzazioni specializzate nella raccolta di piccole donazioni, mentre le private
foundations sono esempi di strutture che ricevono poche donazioni di grande entità a
volte un’unica grande donazione da parte di una sola persona.
In presenza di un patrimonio di dimensioni significative vengono meno le cause
che giustificano la presenza di un intermediario filantropico, infatti, in questa ipotesi i
donatori possono sopportare agevolmente sia i costi di agenzia che quelli dei sistemi di
selezione e monitoraggio. Pertanto la presenza di grandi fondazioni filantropiche,
originate dal patrimonio di un singolo donatore, deve essere interpretata facendo
riferimento a cause aggiuntive rispetto a quelle viste in precedenza.
Le grandi fondazioni private in realtà non sono assimilabili alla categoria degli
intermediari finanziari filantropici, ma rappresentano piuttosto l’esito ad una scelta
organizzativa del fondatore.
Il grande donatore potrebbe fare filantropia senza avvalersi di una struttura
specifica ma acquisendo volta per volta sul mercato i servizi di cui necessita. Ad
esempio potrebbe affidare la gestione del patrimonio ad una istituzione finanziaria e
remunerare un professionista per valutare le richieste di contributi. In pratica potrebbe
segmentare ed esternalizzare le varie fasi del processo di donazione. Oppure potrebbe
costituire un’organizzazione che esegua tutte queste operazioni. Quindi la preferenza tra
queste due possibilità dipenderà esclusivamente dal rapporto tra costi e benefici.
La decisione di un grande donatore di costituire una fondazione è legata, tuttavia,
anche a cause di natura psicologica e sociale. Il grande donatore, infatti, a differenza del
piccolo donatore che non è interessato ad ottenere un ritorno di notorietà dalla sua
donazione, persegue espressamente un obiettivo di «visibilità pubblica».
In questo caso la costituzione di una fondazione «personale», che non è una
struttura totalmente separata dal suo fondatore, ma è un’organizzazione che gli consente
CAPITOLO SECONDO
62
di raggiungere meglio i suoi obiettivi filantropici, risponde a logiche di visibilità e
promozione sociale.
Occorre comunque rilevare che i problemi di asimmetria informativa colpiscono
anche le grandi fondazioni filantropiche private quando queste orientino le proprie
contribuzioni ad una molteplicità di piccoli beneficiari. In questo caso le fondazioni
filantropiche private valutano economicamente conveniente servirsi di un intermediario,
generalmente una community foundation, per le azioni di selezione e monitoraggio dei
beneficiari di una determinata area territoriale.
8.4. I vantaggi fiscali(33
In Italia l’affermarsi degli intermediari finanziari filantropici nella forma delle
community foundations, è stata determinata dall’art. 30, comma 4, del decreto legge 29
novembre 2008, n. 185, convertito nella legge 28 gennaio 2009, n. 2 che ha introdotto
nell’art. 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, il nuovo comma 2-bis che
dispone che si «considera attività di beneficenza, ai sensi del comma 1, lettera a),
numero 3), anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme
provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore
di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo
comma 1, lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale.».
)
La modifica della normativa sulle ONLUS ha ricondotto nell’attività di
beneficienza(34
− le somme erogate provengano dalla gestione patrimoniale o da donazioni
appositamente raccolte;
), con la possibilità di usufruire del relativo regime fiscale agevolato,
anche la cosiddetta “beneficienza indiretta” cioè le erogazioni in denaro effettuate dalle
cosiddette “ONLUS erogative”, cioè dalle fondazioni di comunità, a favore di
organizzazioni del terzo settore (che possono rivestire la natura di soggetto ONLUS o
meno) ed enti pubblici a condizione però che:
(33) EUTEKNE (a cura di), Tuir, IPSOA, Assago (MI), 2010, pag. 1826 e VISCONTI G., Guida alle
organizzazioni non profit e all’imprenditoria sociale. Disciplina civilistica, fiscale e amministrativa, op. cit., pag. 68.
(34) Vds. sul punto anche AGENZIA DELLE ENTRATE, circolare n. 12/E “Art. 30 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 - Enti associativi e norme in materia di ONLUS”, Roma, 9 aprile 2009 e la risoluzione n. 192/E “Istanza di interpello – Art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 – Articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460”, Roma, 27 luglio 2009, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
63
− gli enti beneficiari devono operare prevalentemente nei settori della ONLUS
“erogante” e devono utilizzare “direttamente” i contributi ricevuti per la
realizzazione di progetti di utilità sociale.
Quest’ultima condizione comporta da un lato la necessità, prima di effettuare
l’erogazione, dell’esistenza di un progetto già definito nell’ambito del settore di attività
dell’ente destinatario, quindi non di un programma generico, e dall’altro lato l’obbligo
per le organizzazioni non profit beneficiarie di non ridistribuire le donazioni ricevute a
favore di altri enti.
Quindi le fondazioni aventi natura di ONLUS offrono un ulteriore beneficio fiscale
rispetto a chi dona direttamente a favore di singoli enti non profit e cioè la possibilità di
usufruire della deducibilità fiscale anche per il sostegno di progetti sociali promossi da
enti non iscritti nell’anagrafe delle ONLUS(35
È significativo precisare che la specifica previsione normativa sia stata promossa
dalle fondazioni di origine bancaria che volevano favorire l’attività delle neonate
fondazioni di comunità che rivestivano la qualifica di ONLUS ma che intendevano
erogare fondi anche a soggetti non ONLUS, come le parrocchie(
).
36
Inoltre l’Agenzia delle Entrate, modificando una precedente interpretazione
normativa, ha stabilito che anche i cosiddetti «“enti esclusi” dalla qualifica di ONLUS
possano costituire (o partecipare ad) un soggetto giuridico autonomo avente la qualifica
fiscale di ONLUS, a prescindere dalla circostanza che i medesimi “enti esclusi”
intervengano o meno nell’assunzione delle determinazioni della ONLUS stessa.»(
).
37
).
(35) «In Italia, infatti, la possibilità di dedurre la propria donazione dalla propria dichiarazione dei
redditi dipende dalla natura del soggetto che riceve il contributo. Ne consegue che esistono un numero consistente di iniziative di utilità sociale che non offrono benefici fiscali, in quanto gestite da enti che per diverse ragioni non sono iscritti nell’anagrafe delle onlus. Si pensi solo alle attività sociali delle parrocchie. Ne consegue che, se si dona direttamente a questi enti la donazione non è deducibile, se invece si utilizza per tale fine una fondazione o un ente d’erogazione aventi le caratteristiche onlus che abbia fra le sue finalità la beneficenza, questa potrà in un secondo momento erogare il contributo all’ente non profit per il progetto che si vuole sostenere, in questo modo il donante avrà goduto del beneficio fiscale, anche se il proprio contributo è poi stato destinato a finanziare un progetto gestito da un ente che, pur essendo senza finalità di lucro, non è iscritto nell’anagrafe delle onlus.»: CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, Relazione tenuta all’incontro organizzato dalla Fondazione CAB, Brescia, 13 ottobre 2011, pag. 3, sul sito www.assifero.org.
(36) MAZZINI C., Beneficienza indiretta da Onlus alle parrocchie? Atroci dubbi, 2 settembre 2009, in http://www.quinonprofit.it/?p=565.
(37) AGENZIA DELLE ENTRATE, circolare n. 38/E “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460. Indirizzi interpretativi su alcune tematiche rilevanti.”, Roma, 1 agosto 2011, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.
CAPITOLO SECONDO
64
9. I PROBLEMI DI AGENZIA TRA I DONATORI E L’INTERMEDIARIO FINANZIARIO
FILANTROPICO(38)
I problemi di agenzia non terminano quando il donatore ha effettuato la propria
donazione ad un intermediario finanziario filantropico. Il rapporto che si stabilisce tra
intermediario e donatore è assimilabile ad un rapporto di agenzia con i conseguenti
problemi di asimmetria informativa.
9.1. Intermediari finanziari filantropici nati da una sola grande donazione
Nell’ipotesi in cui il patrimonio della fondazione sia costituito da una sola grande
donazione, come nel caso delle private o delle corporate foundations nordamericane,
l’asimmetria informativa tra il donatore e gli amministratori dell’intermediario è
limitata. Infatti, il fondatore è sempre in grado di governare direttamente o
indirettamente l’intermediario in quanto nomina gli amministratori e attraverso di essi il
management.
A questo scopo gli statuti delle citate fondazioni attribuiscono il potere di nomina
degli amministratori al fondatore, alla sua famiglia, all’impresa fondatrice, a persone da
questi designate, alla cooptazione ovvero a mandati a vita.
Pertanto gli eventuali problemi di agenzia sarebbero superabili grazie alla
possibilità da parte del fondatore di intervenire direttamente sui manager o sul Consiglio
di Amministrazione. Questa situazione rappresenta il tipico caso di concentrated
ownership che consente di risolvere i problemi di agenzia tra coloro che apportano il
capitale di rischio, cioè gli azionisti nel caso dell’impresa e i donatori del patrimonio nel
caso della fondazione, e gli amministratori.
La fondazione che nasce da una sola grande donazione può quindi essere
equiparata a un’impresa ad azionariato concentrato in cui il possesso di una quota
rilevante del capitale sociale dà il diritto di sedere nel Consiglio di Amministrazione.
Tuttavia anche questo meccanismo di governo delle fondazioni può generare
problemi poiché il potere del fondatore o degli amministratori da lui nominati può
(38) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle
fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 150-160.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
65
indurre gli altri stakeholders non owners (i manager e i destinatari dei programmi) a non
effettuare investimenti specifici per il timore di un hold-up problem(39
In una struttura in cui il fondatore può influenzare la gestione dei manager, questi
non avranno incentivi a sviluppare competenze specifiche nella valutazione delle
organizzazioni che richiedono le donazioni. Infatti, le competenze specifiche acquisite
dai manager non sarebbero rivendibili sul mercato – i costi per acquisirle sarebbero dei
sunk costs(
).
40
Questo potrebbe contribuire a spiegare l’esistenza di fondazioni amministrate da
un management scadente, governate dal fondatore mediante un approccio familistico e
in cui gli amministratori (nominati dal fondatore) decidono le elargizioni sulla base di
metodologie non trasparenti e poco professionali.
) – mentre la circostanza che il fondatore possa decidere in ultima istanza
sull’assegnazione dei finanziamenti riduce l’utilità dei manager.
Parafrasando le linee di interpretazione della corporate governance, possiamo
sostenere che quando nella fondazione diminuisce il potere decisionale dei manager,
questi saranno spinti a massimizzare la propria funzione di utilità (che non include la
capacità di valutare le organizzazioni che chiedono i finanziamenti) invece che il
benessere della collettività.
9.2. Intermediari finanziari filantropici nati da molte piccole donazioni
Nell’ipotesi in cui il patrimonio della fondazione sia costituito da una molteplicità
di piccole donazioni, i problemi di agenzia tra donatore e amministratore sono analoghi
a quelli esistenti nelle aziende ad azionariato diffuso le cosiddette public companies.
(39) Il termine hold-up fa riferimento ad una situazione nella quale due parti stanno per effettuare una transazione che richiede investimenti specifici da una parte o dall’altra. «La specificità degli investimenti si riferisce al grado in cui una risorsa può essere riutilizzata in modi alternativi e da altri fruitori senza sacrificarne il valore produttivo. […] più una delle parti si impegna in una transazione, più ha da perdere a causa di eventi imprevisti o per la possibilità che l’altra parte possa avere interesse a rinegoziare termini più favorevoli del contratto. Infatti, la parte in questione si è impegnata con investimenti in risorse non più liberabili senza costi, neppure nel lungo termine, se l’impresa cessa la produzione (sunk cost). Anticipando questo possibile problema di ricatto (hold-up), la parte che diviene più vulnerabile alle azioni dell’altra preferirà rinunciare all’investimento per evitare che questo si possa svalutare o per non vedersi forzata ad accettare condizioni per lei svantaggiose. La tentazione dell’hold-up è particolarmente allettante quando i contratti sono fortemente incompleti, per cui è difficile dimostrarne la violazione. Il rischio di hold-up fa salire il costo della transazione di mercato»: LA BELLA A. - BATTISTONI E., Economia e organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, 2008, pagg. 121-122.
(40) La «specificità del capitale, sia umano che fisico, […] implica costi di addestramento, progettazione e adattamento per lo svolgimento di funzioni particolari; […] simili costi sono irrecuperabili (costi “affondati” o “sommersi”, sunk costs) in caso di una diversa destinazione di quei componenti del capitale che appaiono più fungibili.»: ACOCELLA N., Elementi di economia politica, op. cit., pag. 38.
CAPITOLO SECONDO
66
Le public companies sono caratterizzate da quella che Berle A. e Means G.(41
1) da appositi comitati di nomina estranei ai donatori;
)
hanno definito “separazione tra proprietà e controllo” cioè la dissociazione tra il
possesso della società che è nelle mani di una pluralità di piccoli azionisti dispersi, e il
controllo che è il potere di scegliere gli amministratori.
Nelle fondazioni in cui il patrimonio è formato da tante donazioni di entità
modesta, i donatori non sono in grado di nominare direttamente gli amministratori. Gli
statuti delle community foundations prevedono infatti che gli amministratori siano
nominati:
2) sulla base del meccanismo della cooptazione.
In questa situazione emergono nella fondazione gli stessi problemi di agenzia
caratteristici delle public companies. Infatti, nelle società ad azionariato diffuso, il
frazionamento della proprietà azionaria attribuisce ai manager il controllo della società
pur non disponendo essi di capitale. La mancanza di controlli sul management da parte
degli stakeholders (i donatori, i beneficiari e la collettività) a causa degli elevati costi di
monitoraggio, farà sì che gli amministratori tenderanno a massimizzare i propri
benefici.
Negli intermediari finanziari filantropici, il superamento di questi problemi può
allora essere individuato nell’introduzione di un vincolo di non distribuzione dei
profitti.
9.3. Vincolo di non distribuzione dei profitti
I problemi di agenzia tra donatori e amministratori degli intermediari filantropici
possono trovare una soluzione nel “vincolo di non distribuzione dei profitti”(42
(41) BERLE A. - MEANS G., Società per azioni e proprietà privata, Einaudi, Torino, 1966, pagg. 69-
72 (ed. or. The Modern Corporation and Private Property, Macmillan, New York, 1932). (42) BARBETTA G. P. - TURATI G. (a cura di), Organizzazione industriale dei sistemi di welfare,
Vita & Pensiero, Milano, 2007, pagg. 35 e 46-47. Il vincolo di non distribuzione dei profitti significa che gli «eventuali avanzi di gestione che possono essere realizzati debbono essere necessariamente reinvestiti nell’attività» ed «è un segnale credibile del fatto che i manager del nonprofit non si approprieranno del risultato dello sforzo gratuito aggiuntivo per aumentare i profitti, ma lo utilizzeranno per produrre il servizio pubblico, per il quale si ipotizza non esistere alcun problema di asimmetria informativa».
) che
caratterizza questi enti. La natura non profit degli intermediari finanziari filantropici può
essere spiegata attraverso la teoria neo-istituzionalista dell’impresa.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
67
9.3.1. La teoria neo-istituzionalista dell’impresa
In base a questa teoria, le transazioni economiche possono realizzarsi attraverso:
relazioni di mercato
. In questo caso la transazione è regolata da un contratto che
vincola i comportamenti dei contraenti;
relazioni di autorità
Tuttavia i contratti di mercato possono non risultare completi poiché non è
possibile costruire ex ante degli accordi che limitino i comportamenti delle parti in tutte
le situazioni future. Questo potrebbe spingere una delle parti a ridurre il proprio
investimento, con la conseguenza che transazioni mutuamente convenienti non
sarebbero realizzate e la collettività subirebbe una perdita di benessere.
. In questo caso i contraenti stipulano un contratto ma una delle
parti attribuisce all’altra il potere di decidere ciò che non è fissato contrattualmente.
In questa ipotesi è allora vantaggioso fare ricorso alla relazione d’autorità cioè
all’impresa. Infatti l’attribuzione ad un unico soggetto dei diritti di proprietà
sull’impresa, consente di eliminare i comportamenti opportunistici degli altri contraenti.
Quindi l’impresa nasce come risultato del confronto tra il rapporto costi-benefici
della regolazione autoritaria delle relazioni di mercato e il rapporto costi-benefici della
regolazione attraverso i mercati. Inoltre questo meccanismo spiega anche perché i diritti
di proprietà sono attribuiti ad una specifica categoria di stakeholders in quanto si
riducono i costi di contrattazione tra questa classe e l’impresa.
Tuttavia l’assegnazione dei diritti di proprietà ad una categoria di stakeholders
se da un lato riduce i costi di contrattazione tra questi soggetti e l’impresa, dall’altro lato
fa sorgere «costi della proprietà» ad esempio il costo di prendere decisioni.
9.3.2. Il caso degli intermediari finanziari filantropici
Secondo Hansmann le organizzazioni non profit si sviluppano in quei mercati
dove la relazione di mercato determina consistenti problemi in quanto i clienti non sono
in grado di stabilire facilmente la qualità e la quantità dei servizi che ricevono dalle
aziende.
In questa ipotesi esisterà una categoria di stakeholders che sostiene costi di
contrattazione molto alti nei rapporti con l’impresa e per diminuire questi oneri, la
proprietà dell’impresa dovrebbe essere attribuita a questi soggetti.
CAPITOLO SECONDO
68
Tuttavia può verificarsi che, nel caso di transazioni di modesta entità, anche i
«costi della proprietà» siano troppo elevati per questa classe di stakeholders. Quindi in
questa evenienza diventa impossibile assegnare la proprietà dell’organizzazione ad una
categoria di stakeholder senza gravi conseguenze in termini di efficienza.
Per questa ragione vengono costituite le organizzazioni non profit cioè strutture
senza proprietari, gestite dai manager al servizio degli stakeholders. Se prendiamo in
considerazione non transazioni di mercato ma donazioni ad intermediari finanziari
filantropici od operativi, questa spiegazione diventa altamente significativa. I piccoli
donatori che affidano le proprie elargizioni all’intermediario filantropico, sono soggetti
a forti asimmetrie informative poiché non possono controllare l’uso della donazione da
parte dell’intermediario se non con costi molto elevati.
Da ciò deriva che la modalità più efficiente di attribuzione dei diritti di proprietà,
sarebbe quella di assegnare ai piccoli donatori la proprietà e il connesso controllo
dell’intermediario, riducendo in questo modo i costi di contrattazione.
Tuttavia nel caso di tante piccole donazioni, i «costi della proprietà»
dell’organizzazione potrebbero risultare più elevati dei benefici. Per questo possono
nascere organizzazioni non profit.
9.4. Regolazione degli intermediari finanziari filantropici
In una fondazione governata dai manager, il vincolo di non distribuzione degli
utili non garantisce il perseguimento della sua funzione obiettivo che consiste nella
massimizzazione del flusso delle erogazioni nei confronti dei donatori e dei beneficiari.
Quindi in un’organizzazione non lucrativa se: a) le caratteristiche dei beni e dei
servizi prodotti dipendono dallo sforzo dei manager, b) le caratteristiche dei beni
prodotti non sono osservabili e c) i manager sono avversi al rischio; allora un contratto
non profit che stabilisca la loro remunerazione spingerà i manager a minimizzare gli
sforzi per massimizzare la propria utilità. Le azioni dei manager potrebbero, in qualche
occasione, portare a delle buone erogazioni filantropiche ma ciò non è garantito.
La natura di enti non profit degli intermediari finanziari filantropici rappresenta
quindi esclusivamente una “garanzia minima” per i donatori poiché non assicura il reale
perseguimento dei fini della fondazione.
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
69
Nel caso di una fondazione nata da molte piccole donazioni, questi «problemi di
agenzia» nei confronti dei manager e degli amministratori, accomunano tutte le
categorie di stakeholders cioè i donatori, i beneficiari e la collettività, rappresentata
dall’amministrazione tributaria che effettua le cosiddette “spese fiscali”(43
Pertanto tutti questi soggetti andrebbero tutelati dagli eventuali abusi degli
amministratori anche facendo ricorso ad appropriati interventi regolativi pubblici. La
legislazione americana ha effettuato interventi in questo settore nei confronti sia delle:
), che
subiscono una perdita ogni qual volta la fondazione non persegue i propri obiettivi.
− fondazioni nate da una sola grande donazione per le quali è previsto l’obbligo di
distribuire annualmente in erogazioni almeno il 5% del valore corrente del
patrimonio netto (minimum payout requirement) e questo allo scopo di tutelare i
beneficiari e la collettività e di spingere le organizzazioni a fare rendere al meglio il
patrimonio;
− fondazioni nate da molte piccole donazioni, cioè le community foundations, per le
quali è previsto l’obbligo di raccogliere annualmente da un vasto pubblico un certo
ammontare di contributi destinati ad incrementare il patrimonio o alimentare le
erogazioni (public support test). Questo vincolo consente di allineare gli interessi
degli amministratori con quelli dei donatori e dei beneficiari in quanto la raccolta di
donazioni rappresenta un buon indice dell’efficacia dell’azione erogativa.
(43) «Uno strumento meno ovvio di protezione sociale è l’uso delle cosiddette tax expenditures. Il
sistema tributario può essere associato alla protezione sociale, tramite (a) la generazione di gettito; (b) la struttura impositiva; e (c) i sussidi impliciti e mirati, che vanno sotto il nome di tax expenditures. […] Disposizioni mirate del codice tributario, specialmente quelle riguardanti deduzioni o crediti di imposta per spese individuali ritenute socialmente importanti - quelle per la sanità, l’istruzione, la formazione, l’abitazione - sono tax expenditures o spese fiscali. Per i contribuenti le varie agevolazioni riducono il costo di queste spese, aiutandoli così a far fronte a particolari rischi. In questo modo, per molti ma non per tutti i contribuenti, le tax expenditures mirano a produrre risultati, in termini di protezione sociale o obiettivi simili, analoghi a quelli che ottenibili direttamente dallo Stato con la spesa pubblica. I governi spesso considerano le tax expenditures come diretti sostituti dei programmi di spesa. […] Le tax expenditures sono particolarmente rilevanti quando sono collegate alle imposte sul reddito personale e quando queste ultime hanno aliquote elevate e livelli bassi di reddito esente. I difetti delle spese fiscali sono da ricercarsi nel fatto che non si prestano a fungere da strumento di selezione dei beneficiari e che, specie quando assumono la forma di deduzioni dal reddito invece che detrazioni di imposta, assumono un valore maggiore per i contribuenti più ricchi, soggetti alle aliquote più elevate. Inoltre, chi è troppo povero per pagare l’imposta sul reddito non trae alcun beneficio dalle tax expenditures. Le spese fiscali, quindi, possono finire con il fornire protezione sociale a molti individui ma non ad alcuni che hanno maggiormente bisogno di tale protezione.»: BOSCO B. - PISAURO G. (a cura di), Politiche pubbliche, sviluppo e crescita, FrancoAngeli, Milano, 2005, pagg. 49-50.
CAPITOLO SECONDO
70
10. LE PROBLEMATICHE DI GOVERNANCE DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI
FILANTROPICI(44)
Il principale problema di governance(45
I modelli di corporate governance delle organizzazioni non lucrative sono stati
analizzati dalla letteratura economica sulla base degli schemi concettuali propri
dell’economia aziendale.
) delle fondazioni è rappresentato dalla
costruzione di architetture in grado di assicurare che gli amministratori si comportino in
modo tale da tutelare tutte le categorie di stakeholders.
Il problema del disegno ottimale della struttura di governo e in particolare di
un’adeguata composizione degli organi di governo, del bilanciamento dei relativi poteri
e della trasparenza dei processi decisionali, è particolarmente rilevante anche nel caso
delle fondazioni cioè di organizzazioni prive di azionisti che sopportano il rischio
generico d’impresa.
Questi problemi riguardano tutte le fondazioni sia quelle nate da una sola grande
donazione (private e corporate foundations) sia quelle nate da una pluralità di piccole
donazioni (community foundations)(46
Nelle fondazioni nate da una sola grande donazione i problemi di agenzia tra
donatore e amministratori sono limitati in quanto il donatore può controllare
direttamente o indirettamente gli amministratori(
).
47
(44) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle
fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 160-164.
). Questa tipologia di enti sono
assimilabili alle imprese la cui struttura di controllo è in mano ad un singolo azionista.
(45) Il termine governance «indica un complesso di valori, principi, regole, strutture e strategie che sottendono la gestione di un’organizzazione, sia essa uno Stato, un’impresa, un’istituzione o un ente non profit.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 164.
(46) In merito alle fondazioni di intermediazione filantropica, i «problemi di governance più spiccati che contraddistinguono questa tipologia di fondazioni derivano dal rapporto di agenzia che si crea fra il donatore e gli amministratori della fondazione stessa. […] non in tutte le fondazioni filantropiche il problema dell’asimmetria informativa si presenta con la medesima intensità; è quindi bene distinguere fra intermediari filantropici nati da una sola grande donazione e intermediari filantropici nati da molte piccole donazioni.»: CODINI A., Strutture organizzative e assetti di governance del non-profit, in PROVASI G. (a cura di), Lo sviluppo locale: una nuova frontiera per il nonprofit, FrancoAngeli, Milano, 2004, pag. 62.
(47) In una struttura di questo tipo sorgono due questioni. «La prima è quella relativa al caso in cui il fondatore, […], non sia più in grado di soddisfare i bisogni specifici della collettività di riferimento. In questo caso, analogamente a quanto si verifica nel caso di aziende profit, si pone un problema di agenzia tra la fondazione e la collettività: il fondatore (agente) si pone obiettivi ed attua comportamenti diversi da
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
71
Invece nelle fondazioni nate da una pluralità di piccole donazioni che sono
equiparabili alle imprese ad azionariato diffuso, è necessaria la realizzazione di
meccanismi di governance in cui i poteri di decisione, implementazione e controllo
siano attribuiti a soggetti diversi e questo al fine di meglio tutelare i vari stakeholders.
Nelle imprese ad azionariato diffuso, la separazione tra organi di governo ed
organi di controllo deriva dalla separazione tra i soggetti che assumono il «rischio
residuale»(48
Anche nelle community foundations cioè nelle fondazioni create da una
molteplicità di piccole donazioni, si determina un’analoga separazione. Occorre tuttavia
precisare che in questa architettura non sono presenti soggetti che sopportano il «rischio
residuale» poiché essendo vietata la distribuzione degli utili, non ci sono soggetti che
detengono il diritto alla remunerazione residuale.
) e quelli che godono della direzione delle decisioni (Fama e Jensen 1983).
I manager della fondazione che sono titolari dell’implementazione delle
decisioni(49
quelli auspicati dalla collettività di riferimento che la fondazione si propone di servire (principale). Si pone, [quindi], la necessità di identificare adeguati meccanismi di convergenza tra le esigenze della collettività e quelle della fondazione, al fine di scongiurare il rischio di eventuali trasposizioni di fini. La seconda questione [riguarda] l’eventuale successione di discendenti alla figura del fondatore. Anche in tal caso, sembra riproporsi un problema di agenzia.». Questo problema può essere risolto attraverso «meccanismi che possano favorire i passaggi di generazione in generazione o di consiglio di amministrazione in consiglio di amministrazione, oltre all’opportunità di un coinvolgimento all’interno degli stessi organi istituzionali della società civile, destinataria dei servizi della fondazione.»: IBIDEM, op. cit., pagg. 61-62.
), non devono quindi sopportare i rischi finanziari dei propri provvedimenti.
In questa situazione è conveniente che il potere di controllo delle decisioni sia affidato a
soggetti diversi (come i boards of trustees) rispetto a coloro che detengono il potere di
(48) In sostanza, con l’avvento della public company «ha fatto la sua apparizione il processo di disintegrazione del diritto di proprietà nelle due componenti del «potere di disposizione», sottoposto ad una forza centripeta, e della «facoltà di godimento», viceversa in moto centrifugo: in altri termini, mentre il controllo tende sempre più a concentrarsi nelle mani dei managers, la proprietà intesa in senso stretto, cioè come diritto di godimento, si sta polverizzando. Ne discende un ruolo dell’azionista confinato ad un mero finanziatore che partecipa al rischio d’impresa in via residuale (si parla infatti di risk bearer e residual claimant), trasferendo le funzioni imprenditoriali – a livello sia decisionale sia di controllo – al management, il vero «padrone» in quanto baricentro di guida privo di un qualsiasi polo dialettico.»: BIRINDELLI G., Strutture proprietarie e sistemi di governance: Riflessioni sull’esperienza delle banche italiane, FrancoAngeli, Milano, 2003, pag. 28.
(49) «Fama e Jensen articolano il processo decisionale in quattro steps: iniziativa, ossia presentazione di proposte per l’impiego di risorse e la predisposizione delle relazioni
contrattuali, endogene ed esogene; ratifica, vale a dire scelta delle decisioni da eseguire; implementazione, cioè esecuzione delle decisioni formalizzate; monitoraggio, inteso sia come misurazione della performance di coloro che ricoprono la veste di
«agente delle decisioni» sia come predisposizione del sistema premiante. I quattro momenti sono a loro volta associabili in modo da enucleare le componenti del sistema decisionale, chiamate dagli Autori «gestione delle decisioni» e «controllo delle decisioni»: nella gestione confluiscono la prima e la terza fase, nel controllo la seconda e la quarta.»: IBIDEM, op. cit., pag. 29.
CAPITOLO SECONDO
72
implementazione delle decisioni. La separazione tra questi due poteri impedisce che i
detentori del potere di implementazione delle decisioni, non essendo soggetti al «rischio
residuale», perseguano i propri interessi anziché quelli dei beneficiari
La struttura del Consiglio di Amministrazione dovrebbe rappresentare la
soluzione ai costi di agenzia del capitale proprio analogamente anche la formazione del
consiglio di una fondazione dovrebbe aiutare a risolvere i «problemi di agenzia».
Gli azionisti, che sostengono il rischio residuale nelle aziende ad azionariato
diffuso, delegano agli amministratori quindi a soggetti terzi l’implementazione ed il
controllo delle decisioni. Analogamente nelle fondazioni, la presenza nel Consiglio di
Amministrazione di soggetti esterni al fianco dei membri interni (manager) svolge due
importanti funzioni: a) limita la discrezionalità dei manager e b) apporta professionalità
specifiche nei settori di intervento sociale dell’ente. In particolare quindi dovrebbero
essere rappresentate nel consiglio della fondazione tutte le classi di stakeholders (i
donatori, i beneficiari e la collettività).
La conseguenza principale di questa impostazione è che nel Consiglio di
Amministrazione dovrebbe essere limitata la presenza dei manager poiché la
componente esterna apporta un concreto beneficio alle prestazioni dell’impresa solo se
essa è effettivamente indipendente dal management.
La composizione ottima del Consiglio di Amministrazione si ottiene dall’esame
del rapporto tra performances dell’impresa e composizione dell’organo.
Il Consiglio di Amministrazione dovrebbe essere composto da un’adeguata
combinazione di elementi:
interni (executive). Questa componente è costituita da soggetti di elevato profilo
professionale provenienti dall’interno dell’impresa e che hanno il compito di fornire
il punto di vista interno nel processo di valutazione del management;
esterni (monitoring). Questa componente è indipendente dal management ed ha la
funzione di controllare se il management agisce nell’interesse degli azionisti;
con competenze specifiche e legami con altre imprese (instrumental). Questa
componente è in grado di instaurare rapporti con i rappresentanti di altre imprese.
Questa tipologia di composizione del Consiglio di Amministrazione non
rispecchia quella adottata dalle fondazioni, in particolare dalle community foundations,
L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA
73
per la difficoltà di individuare l’azionista cioè il soggetto nel cui interesse dovrebbe
essere gestita l’istituzione.
I Consigli di Amministrazione delle fondazioni nate da una sola grande donazione
sono espressione della volontà del fondatore e pertanto il meccanismo di nomina dei
membri è rappresentato dalla cooptazione che assicura la perpetuazione nel tempo della
filosofia del fondatore(50
).
I Consigli di Amministrazione delle fondazioni nate da una pluralità di piccole
donazioni sono diversi e si basano sull’assunto che gli azionisti di riferimento di queste
fondazioni siano costituiti dai donatori e dai beneficiari. In questo caso i membri del
Consiglio di Amministrazione sono nominati da un insieme di organismi pubblici e
privati del territorio in cui operano gli enti, rappresentativi degli interessi dei donatori e
dei bisogni dei beneficiari. Questi amministratori hanno poi il potere di cooptare altri
membri che li affianchino nel governo della fondazione.
(50) «Gli organi di governo delle fondazioni, dunque, sono espressione, più o meno diretta, del
fondatore e dei suoi discendenti. Solitamente è proprio il fondatore stesso a designare, […], le persone alle quali spettano i compiti di governo. […] Gli amministratori possono essere nominati a vita, quindi l’incarico può avere durata illimitata. […] La rimozione dei membri a vita del consiglio di amministrazione dall’incarico avviene, solitamente, secondo il meccanismo dello svuotamento della carica di ogni potere effettivo e con il successivo conferimento di cariche onorarie.»: PROVASI G. (a cura di), Lo sviluppo locale: una nuova frontiera per il nonprofit, FrancoAngeli, Milano, 2004, pag. 61.
CAPITOLO TERZO
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
SOMMARIO: 1. La governance delle fondazioni di comunità – 1.1. Gli stakeholders delle
fondazioni di comunità locali – 2. I rapporti tra la fondazione di comunità e gli enti locali – 3. Gli organi istituzionali – 3.1. Il Presidente e il Vice Presidente – 3.2. Il Consiglio di Amministrazione – 3.3. Il Segretario Generale (o Direttore Generale) – 3.4. Il Collegio dei Revisori – 3.5. Il Comitato Esecutivo – 3.6. Il Collegio dei Probiviri – 3.7. Il Comitato dei Donatori – 4. Le erogazioni e le donazioni: aspetti introduttivi – 5. Gli strumenti delle donazioni – 5.1. I Benefici fiscali – 6. Le tipologie di fondi – 7. Le procedure di erogazione dei contributi – 7.1. L’erogazione “a sportello” – 7.2. Il bando “aperto” – 7.3. Il bando “chiuso” – 7.4 Il bando “con raccolta” – 7.5. L’erogazione “con risultato” – 7.6. L’attività erogativa sotto altre forme – 7.7. Il modello operativo dell’attività erogativa della Fondazione Comunitaria Nord Milano – 8. I problemi di governo delle fondazioni di comunità.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
75
1. LA GOVERNANCE DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
«Per corporate governance intendiamo il sistema delle istituzioni [e] delle regole,
sia formali sia informali, che governano il funzionamento dell’impresa.»(1
La «corporate governance fa appello alle competenze di economisti e giuristi per
gli aspetti normativi, ma la sua dinamica non può essere pienamente compresa senza
considerare i contributi della storia, della scienza politica e della sociologia.»(
) e in
particolare la dinamica fra proprietà e controllo.
2
Il concetto di corporate governance è nato nell’ambito delle teorie manageriali
delle imprese for profit ma si è successivamente esteso in diversi altri ambiti e questo
perché l’efficiente governo delle istituzioni pubbliche e private «è un fattore
fondamentale per la crescita e il buon funzionamento di tutto il sistema economico.»(
).
3
Da qui l’importanza di focalizzare l’attenzione sulla governance delle imprese
non profit che non è riconducibile ad un insieme di linee guida definite
aprioristicamente.
)
e potremmo aggiungere sociale.
Nelle imprese non profit «il sistema di governance potrebbe essere sia uno
strumento di controllo da parte degli associati e dei destinatari dell’attività istituzionale
e sia uno strumento competitivo, affinché l’impresa non profit sia gestita per realizzare
la mission attraverso gli obiettivi per cui è nata.»(4
Nelle «grandi fondazioni, bancarie e non bancarie, […] i problemi di governance
si focalizzano al più elevato livello dell’organizzazione aziendale, ossia quello della
selezione degli amministratori, […] dei rapporti tra gli stessi amministratori, i direttori e
gli staff professionalizzati interni»(
).
5
«Le aziende non profit si contraddistinguono per lo svolgimento di un’attività
svolta non nell’interesse della proprietà, bensì svolta direttamente nell’interesse dei
) nonché delle relazioni che si instaurano fra gli
organi di governo e gli stakeholders interni ed esterni.
(1) GOGLIO A. - GOLDSTEIN A., Corporate governance. Un cardine della crescita economica, op.
cit., pag. 11. (2) IBIDEM, op. cit., pag. 13. (3) IBIDEM, op. cit., pag. 7. (4) BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non
profit, op. cit., pag. 121. (5) IBIDEM, op. cit., pag. 154.
CAPITOLO TERZO
76
beneficiari e indirettamente, in un’ottica di sistema, anche per la collettività di
riferimento. Quest’ultima è costituita da soggetti con esigenze, attese e interessi
differenti.»(6
L’implementazione di un adeguato assetto istituzionale e di un razionale
meccanismo di governance, in grado di stimolare continui rapporti di verifica e
controllo (checks and balances) e di soddisfare i bisogni di tutte le parti in causa,
richiede la conoscenza preliminare di quelli che sono i portatori di interessi, i cosiddetti
stakeholders, nell’ambito delle fondazioni di comunità.
).
Tuttavia il vero obiettivo di ogni modello di governance delle fondazioni di
comunità dovrebbe essere quello di creare le condizioni per ridurre la tendenza ad
utilizzare in modo strumentale la filantropia istituzionale(7
).
1.1. Gli stakeholders delle fondazioni di comunità locali(8
Se consideriamo la fondazione come «il centro di una comunità che si crea attorno
a uno specifico bisogno sociale o problema. Tutti i membri di questa comunità
condividono il medesimo fine, con ruoli e livelli di coinvolgimento diversi: la ONP
costituisce il catalizzatore delle risorse messe a disposizione dai vari soggetti.».
)
La capacità di una fondazione di comunità di perseguire i propri obiettivi è
connessa alla sua capacità di costruire e gestire al meglio i rapporti con la comunità di
riferimento. I soggetti che identificano gli stakeholders(9
(6) IBIDEM, op. cit., pag. 122.
) della fondazione di comunità
si possono suddividere in sette gruppi:
(7) CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 15. (8) SAVOLDELLI A. - BORGNA F. - LETTIERI E., La gestione della conoscenza nelle organizzazioni
non-profit, FrancoAngeli, Milano 2004, pagg. 22-25 e BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non profit, op. cit., pagg. 122-123.
(9) Nell’approccio di Clarkons l’autore «distingue l’insieme degli stakeholder in: a) stakeholder primari definiti come l’insieme dei soggetti senza la cui continua partecipazione l’impresa
non può sopravvivere come complesso funzionante. Si tratta tipicamente dei conferenti capitale risparmio, dei conferenti lavoro, degli investitori, dei clienti, e dei fornitori, delle amministrazioni pubbliche e delle comunità locali che mettono a disposizione condizioni generali di ambiente quali le infrastrutture, i mercati, l’assetto normativo ecc.;
b) stakeholder secondari definiti come l’insieme dei soggetti che pur esercitando un’influenza sull’impresa ed essendo impegnati in processi di transazione con essa, non sono, tuttavia, essenziali per la sua sopravvivenza.
Nell’approccio della stakeholder theory, invece, si distingue tra stakeholder interni, individuati come coloro che sono parte integrante dell’assetto organizzativo ed istituzionale delle imprese (prestatori di capitale di risparmio, prestatori di lavoro), e stakeholder esterni soggetti che pur operando al di fuori dei confini organizzativi dell’azienda hanno, tuttavia, il potere di influenzarne direttamente o indirettamente la gestione.»: FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, op. cit., pag. 40.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
77
− i promotori sono rappresentati da tutte quelle autorità locali (Prefetto, Vescovo, ecc.)
o soggetti in vista della comunità, i cosiddetti civic leader(10
−
), che impegnano il
proprio prestigio personale e la propria autorevolezza per la riuscita dell’iniziativa;
gli operatori interni
−
sono coloro che contribuiscono con la loro opera all’attività della
fondazione. In questa categoria rientrano gli amministratori della fondazione (cioè i
componenti del Consiglio di Amministrazione e degli eventuali comitati interni), i
collaboratori (ad esempio professionisti esterni), i dipendenti (ad esempio il
personale di segreteria) e gli eventuali volontari;
i donatori o sostenitori
−
sono coloro che attraverso i loro contributi o legati danno vita
alla fondazione di comunità e nel tempo ne sostengono l’attività consentendogli di
svolgere in modo duraturo la sua attività e di raggiungere i suoi obiettivi. I donatori
possono contribuire all’attività della fondazione non solamente mediante donazioni
di risorse di natura finanziaria, ma anche di natura patrimoniale o personale;
le altre organizzazioni non profit
−
sono costituite da tutti quegli enti non lucrativi che
gestiscono operativamente le strutture assistenziali o benefiche dirette al
perseguimento dello scopo sociale;
i destinatari
−
sono le persone a cui è diretta, in via mediata, l’attività filantropica della
fondazione;
i simpatizzanti
−
sono tutti coloro che non rientrano in nessuna delle categorie
precedenti ma che conoscono e condividono le finalità dell’ente e seppur senza un
coinvolgimento diretto e materiale, se ne possono fare promotori presso i terzi;
la pubblica amministrazione
(10) I civic leader sono «soggetti riconosciuti da tutta la comunità come rappresentanti genuini di
una sua parte o della sua interezza, in grado di esercitare un forte ascendente sulla popolazione in genere o su una determinata categoria economica o sociale. La presenza di civic leader è elemento chiave per la connessione con la comunità e finisce per essere il primo fattore di comunicazione per la legittimazione della fondazione.»: CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Seconda parte: struttura e attività, Quaderni di discussione delle fondazioni italiane, Fondazione Cariplo, n. 2, marzo 1998, pag. 6.
(locale e regionale) nutre un duplice interesse nei
confronti della fondazione di comunità. Da un lato l’ente locale si può fare
promotore diretto della costituzione di una fondazione di comunità come nel caso
della “Fondazione di Comunità della Sinistra Piave per la Qualità di Vita” nata su
input della Conferenza dei Sindaci del territorio dell’Azienda ULSS n. 7 di Pieve di
Soligo (TV), mentre dall’altro lato il finanziamento delle organizzazioni non profit
CAPITOLO TERZO
78
del territorio consente all’ente locale di garantire un certo livello di servizi sociali
senza doverne sostenere i relativi costi.
2. I RAPPORTI TRA LA FONDAZIONE DI COMUNITÀ E GLI ENTI LOCALI(11)
I rapporti di collaborazione che possono instaurarsi tra gli enti locali territoriali e
la fondazione di comunità possono essere particolarmente intensi.
Le forme di collaborazione che possono concretizzarsi sono essenzialmente tre:
1) in primo luogo la fondazione di comunità può svolgere il ruolo di sostituto
dell’amministrazione locale
In questo caso l’ente locale potrebbe esternalizzare alla fondazione di comunità
alcuni segmenti dell’attività di selezione dei soggetti beneficiari di sovvenzioni,
contributi o sussidi pubblici. In particolare la fondazione potrebbe occuparsi della
valutazione dei progetti degli aspiranti beneficiari nell’ambito di procedure selettive
pubbliche di attribuzione di vantaggi economici a soggetti ed enti privati, disciplinate
dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. L’affidamento alla fondazione di comunità,
mediante accordi o convenzioni, di queste attività potrebbe trovare la sua
giustificazione nella necessità, da parte dell’ente pubblico, di avvalersi di specifiche
professionalità, non presenti al suo interno, e che se acquisite direttamente
comporterebbero il sostenimento di notevoli costi.
.
Un’altra attività che potrebbe essere esternalizzata alla fondazione è quella
riguardante il controllo degli standard qualitativi dei servizi sociali che l’ente locale
ha affidato con contratto a soggetti privati. Anche in questo caso la fondazione di
comunità potrebbe mettere in campo le proprie competenze tecniche sviluppate dai
comitati interni che selezionano i progetti cui erogare i contributi;
2) in secondo luogo la fondazione di comunità può divenire la beneficiaria diretta di
donazioni o atti di liberalità disposti dall’ente locale
Gli enti territoriali hanno piena capacità di diritto privato e quindi possono porre in
atto anche negozi di donazione purché ciò avvenga per ragioni d’interesse pubblico.
.
(11) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, in «Sanità Pubblica e Privata», Maggioli,
Rimini, giugno 6/2004, pagg. 273-281.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
79
In particolare la costituzione, mediante una donazione modale, di un fondo
patrimoniale destinato a realizzare nel tempo interventi di utilità sociale a beneficio
di una collettività (che già avrebbe usufruito di contributi), permetterebbe all’ente
locale di conseguire i medesimi fini d’interesse pubblico. Inoltre la donazione
modale rappresenta per la pubblica amministrazione uno strumento meno oneroso
rispetto ai diversi procedimenti amministrativi con cui l’amministrazione dovrebbe
periodicamente selezionare i beneficiari delle sovvenzioni;
3) in terzo luogo la fondazione di comunità e gli enti locali potrebbero individuare
idonee forme di coordinamento
Queste forme di coordinamento sono dirette a rendere complementari le attività
erogative degli enti locali e della fondazione di comunità nel settore dei servizi
sociali. Per quanto riguarda la fondazione di comunità, un’azione di coordinamento è
ipotizzabile solo relativamente a quei fondi che non abbiano una finalità già
determinata.
.
3. GLI ORGANI ISTITUZIONALI(12)
Secondo Bernardino Casadei è difficile parlare di governance e di modelli di
funzionamento delle fondazioni di comunità poiché ogni ente risponde ad esigenze e
principi specifici(13
(12) IBIDEM, op. cit., pagg. 258-262. (13) CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 2.
).
Il problema principale che deve essere affrontato nella costituzione di una
fondazione comunitaria è la definizione della composizione, dei poteri e del
funzionamento dell’organo di governo.
Un’altra decisione fondamentale riguarda i rapporti che devono essere instaurati
fra i vari organi che compongono la struttura e la dialettica all’interno di ciascun
organo.
Lo statuto è il documento che disciplina la struttura organizzativa, la governance e
lo scopo della fondazione di comunità.
CAPITOLO TERZO
80
«Per quanto riguarda la governance delle fondazioni comunitarie italiane, è
possibile distinguere tra organi necessari e organi eventuali. Sono organi necessari: il
presidente, il consiglio di amministrazione; il comitato esecutivo; il collegio dei
revisori. Sono, invece, organi eventuali: il vicepresidente; il segretario generale; il
collegio dei probiviri; il comitato o assemblea dei sostenitori.»(14
Le fondazioni comunitarie adottano una governance di tipo tradizionale e, dal
punto di vista macrostrutturale, assumono una struttura semplice o elementare(
).
15
Lo statuto stabilirà la composizione e le competenze dei vari organi che
compongono la struttura organizzativa, in particolare il:
).
a) Presidente;
b) Vice Presidente;
c) Consiglio di Amministrazione;
d) Segretario Generale;
e) Collegio dei Revisori;
f) Comitato Esecutivo;
g) Collegio dei Probiviri;
h) Comitato dei Donatori.
(14) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello
americano nel sistema giuridico italiano, in «InDret. Revista para el analis del derecho», Barcellona, n. 2/2005, maggio 2005, pag. 9, in www.indret.com/pdf/282_it.pdf.
(15) «La (macro) struttura organizzativa semplice, presente di fatto solo in fondazioni di piccole dimensioni, è coerente con una scelta strategica orientata al grant making, anche se non in modo totalitario e proattivo. L’area geografica di riferimento è tipicamente locale. L’organico è ridotto […]. La struttura organizzativa elementare, pure prevalente nelle fondazioni di piccola dimensione, è coerente con una scelta strategica orientata al grant making. La differenza rispetto alla tipologia semplice è rappresentata da un organico maggiore, da una maggiore strutturazione degli organi interni […]»: ACRI, Sesto rapporto sulle Fondazioni bancarie, Roma, 2001, pagg. 116-117 e 122, sul sito www.acri.it e CIOCCORELLI G. - PREVITALI P., La community foundation, in Le fondazioni ex bancarie. Orientamento strategico, assetto organizzativo e competenze manageriali, Giuffré, Milano 2002, pag. 112.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
81
Comitato di Nomina Nomina parzialmente o nella sua interezza il Consiglio d’Amministrazione
Può comprendere: • Il Vescovo o altra autorità religiosa • Il Prefetto • Il Presidente della Provincia • Il Sindaco del Capoluogo • Il Presidente CCIAA • Il Presidente del Tribunale
• Presidenti ordini avvocati, notai, commercialisti • Il Rettore dell’Università • Rappresentante di altre fondazioni • Presidente centro servizi per il volontariato • Altre autorità e personaggi noti
Collegio dei Revisori Controlla l’amministrazione
Collegio dei Probiviri Dirime le controversie
Consiglio d’Amministrazione
Dirige la fondazione
Presidente
Rappresenta la Fondazione
Comitato Esecutivo
Garantisce l’ordinaria amministrazione
Segretario Generale Gestisce le attività della
Fondazione
Comitato Marketing Si preoccupa di preparare il piano di marketing e comunicazione e quindi di verificare che esso venga effettivamente applicato
Comitato di Gestione Supervisiona le attività della struttura operativa e si preoccupa di garantire la corretta tenuta dei verbali e dei libri contabili
Comitato Risorse
Responsabile della strategia per la raccolta fondi sia di natura patrimoniale che da erogare immediatamente
Comitato Erogazioni
Individua le attività di utilità sociale da finanziare Eventuali sottocomitati specializzati in specifiche aree d’interesse
Comitato Investimenti Responsabile di elaborare i criteri che devono guidare l’investimento del patrimonio e di verificare la loro realizzazione
Ogni comitato, tranne il Comitato di Nomina, è di norma, presieduto da un membro del Consiglio d’Amministrazione
FIG. 3.1 – Organigramma di una fondazione di comunità(16
)
(16) FONDAZIONE CARIPLO, Quaderni operativi – La Struttura, Milano, sul sito www.assifero.org.
CAPITOLO TERZO
82
3.1. Il Presidente e il Vice Presidente
Il Presidente è nominato dal Consiglio di Amministrazione tra i suoi componenti
ed ha la rappresentanza legale della fondazione. Inoltre il Presidente:
− convoca e presiede il Consiglio di Amministrazione e il Comitato Esecutivo;
− cura l’esecuzione delle delibere adottate dagli organi collegiali;
− cura la corretta gestione amministrativa della fondazione e l’osservanza dello statuto;
− adotta, nei casi di necessità ed urgenza, ogni opportuno provvedimento che sarà
sottoposto alla ratifica del Consiglio di Amministrazione nella prima seduta
successiva all’assunzione.
Il Presidente può essere nominato a scrutinio segreto(17) ovvero a scrutinio palese
con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio(18
Analogamente il Vice Presidente o i Vice Presidenti sono nominati dal Consiglio
di Amministrazione fra i propri membri e sostituiscono il Presidente in caso di assenza
o impedimento.
).
Una determinazione molto importante riguarda il rapporto fra il Presidente ed il
resto del consiglio(19
primo la figura del presidente si identifica di fatto con quella del Direttore Generale
quindi è lui che comanda, mentre il resto dei consiglieri hanno un ruolo marginale e
spesso si limitano ad approvare o ad emendare quanto è loro proposto dal Presidente;
). In questo ambito sono possibili due modelli diversi nel:
secondo il Presidente è in realtà un primus inter pares perciò il suo compito è quello
di stimolare e coordinare il confronto all’interno del consiglio stesso e di valorizzare
il contributo di ciascun consigliere.
3.2. Il Consiglio di Amministrazione
Il «consiglio d’amministrazione di una fondazione non è il padrone della
fondazione e ciò neppure se fosse composto esclusivamente dai suoi fondatori. Il
consiglio d’amministrazione è infatti un organo al servizio della fondazione, il suo
(17) Art. 6 “Il Presidente” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DEL NOVARESE, Novara, 2008, sul sito www.fondazione.novara.it: «Il Presidente è nominato dal Consiglio di Amministrazione tra i propri membri a scrutinio segreto.».
(18) Art. 9 “Il Presidente” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it: «Il Presidente è nominato dal Consiglio di Indirizzo tra i propri membri a scrutinio palese con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio.».
(19) Cfr. sul punto CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 12.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
83
compito è quello di creare le condizioni affinché l’ente possa perseguire nel migliore dei
modi la propria missione.»(20
Il Consiglio di Amministrazione esercita l’ordinaria e la straordinaria
amministrazione della fondazione. In particolare rientrano tra le attribuzioni dell’organo
di amministrazione:
).
− l’elezione del Presidente, del Vice Presidente e dei componenti del Comitato
Esecutivo;
− le deliberazioni in ordine all’estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio;
− la redazione e l’approvazione del bilancio preventivo e consuntivo;
− l’elaborazione delle direttive concernenti la raccolta dei fondi necessari per
incrementare il patrimonio dell’ente, per finanziare progetti di utilità sociale e far
fronte alle spese operative della fondazione;
− la definizione delle direttive e l’adozione delle deliberazioni relative alle erogazioni
dell’ente;
− le decisioni in ordine ad eventuali modifiche dello statuto su proposta del Comitato
Esecutivo;
− la definizione delle linee concernenti gli investimenti del patrimonio della
fondazione;
− la nomina del Segretario Generale della fondazione;
− l’istituzione di comitati e commissioni.
In molte fondazioni di comunità il Consiglio di Amministrazione più che un
organo di governo è un organo di indirizzo in quanto: in primo luogo è composto da
volontari che non ricevono compensi e che quindi possono dedicare un tempo limitato
alla vita dell’ente e in secondo luogo si riunisce saltuariamente e concentra la propria
attività nella definizione di quelle che sono le scelte strategiche, lasciando di fatto la
gestione alla struttura operativa(21
In linea generale, lo statuto attribuisce il potere di designare i consiglieri ad alcune
autorità civili e religiose della comunità locale quali:
).
− il Prefetto;
− il Presidente della Provincia;
− i Sindaci dei Comuni interessati;
(20) IBIDEM, op. cit., pag. 11. (21) Cfr. sul punto IBIDEM, op. cit., pagg. 11-12.
CAPITOLO TERZO
84
− il Rettore dell’Università;
− i Vescovi delle diocesi interessate;
− il Presidente della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura.
Al riguardo occorre precisare che il fondatore e i principali donatori non hanno
diritto di essere rappresentati nell’organo di governo proprio in virtù della particolare
struttura della fondazione di comunità.
Al fine di garantire gli interessi della comunità locale globalmente intesa, sarebbe
preferibile che lo statuto attribuisse il potere di nomina dei membri del consiglio, non
alle autorità civili e religiose singolarmente considerate, ma ad un organo collegiale, il
cosiddetto Comitato di Nomina. Il comitato sarebbe, quindi, chiamato ad eleggere
collegialmente il Consiglio di Amministrazione sulla base di un regolamento dallo
stesso approvato.
Questa procedura collettiva consentirebbe di evitare il rischio che i consiglieri,
designati direttamente dalle autorità civili e religiose, si sentano investiti della
rappresentanza dei loro elettori in seno alla fondazione.
Sarebbe comunque importante che nessuna autorità potesse designare la
maggioranza dei consiglieri e che i componenti del Comitato di Nomina non siano di
diritto i rappresentanti di alcune istituzioni, ma siano scelti tra i cittadini emeriti della
comunità locale.
Una procedura di nomina alternativa dei nuovi consiglieri potrebbe essere
rappresentata dalla cooptazione(22) ovvero dalla designazione da parte del collegio
uscente(23
Per quanto attiene, infine, alla durata in carica degli amministratori, sarebbe
opportuno che lo statuto la statuisse in tre anni rinnovabili una sola volta, con l’ulteriore
accortezza di non procedere al rinnovo dell’intero consiglio ma di operare annualmente
soltanto la sostituzione di alcuni componenti.
).
(22) La Cooptazione è un «Sistema d’integrazione di un corpo consultivo o comunque collegiale,
per cui il nuovo membro viene assunto su designazione di quelli già in carica.». Cooptazione, ad vocem, in La Piccola Treccani. Dizionario Enciclopedico, Istituto della Enciclopedia Italiana, volume III, Roma, 1995, pag. 377.
(23) La designazione da parte del consiglio uscente è una modalità particolarmente diffusa nelle community foundations degli Stati Uniti. Questa procedura di nomina è prevista per le società di capitali dall’art. 2386, comma 1, cod. civ. “Sostituzione degli amministratori”: «Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall’assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea.».
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
85
Possiamo osservare, quindi, che le fondazioni di comunità «selezionano e
traducono in pratica, sovrapponendoli, due modelli di rappresentanza: quello fiduciario
e soprattutto quello «sociologico», mentre si esclude quello della delega. Sulla base del
primo modello si presuppone che gli amministratori delle FC agiscano nell’interesse
della comunità, mentre il secondo specifica il criterio di rappresentanza che è di tipo
territoriale.»(24
).
3.3. Il Segretario Generale (o Direttore Generale)
Il Segretario Generale è nominato dal Consiglio di Amministrazione ed è il
responsabile della gestione operativa della fondazione. In particolare collabora:
− alla preparazione del programma dell’attività dell’ente;
− al controllo successivo sui risultati;
− alla predisposizione degli schemi di bilancio preventivo e consuntivo;
− all’attuazione delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione.
Inoltre può essere incaricato dell’attuazione dei programmi di attività della
fondazione ed è il responsabile della loro buona amministrazione.
3.4. Il Collegio dei Revisori
Il Collegio dei Revisori è l’organo di controllo amministrativo dell’ente. In
particolare rientrano tra i suoi compiti: la vigilanza sull’osservanza della legge e dello
statuto e l’accertamento della regolare tenuta della contabilità.
I suoi componenti sono scelti dal Comitato di Nomina ovvero dagli ordini
professionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili tra gli iscritti nel
registro dei revisori contabili.
I membri effettivi del collegio partecipano, senza diritto di voto, alle adunanze del
Consiglio di Amministrazione.
(24) FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, in DONATI P. e
COLOZZI I. (a cura di), Generare “il civile”: nuove esperienze nella società italiana, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 89.
CAPITOLO TERZO
86
3.5. Il Comitato Esecutivo(25
Lo statuto può prevedere l’attribuzione al Consiglio di Amministrazione della
facoltà di delegare ad un Comitato Esecutivo l’esercizio dei poteri di ordinaria
amministrazione. Possono essere conferite al comitato anche le decisioni relative
all’investimento del patrimonio dell’ente e all’utilizzo dei beni strumentali di cui
dispone, sempre nel rispetto delle direttive del Consiglio di Amministrazione.
)
Il comitato è composto dal Presidente, dal Vice Presidente e da alcuni membri
designati dal consiglio stesso nel suo ambito.
3.6. Il Collegio dei Probiviri
Lo statuto della fondazione può anche prevedere la costituzione di un Collegio dei
Probiviri la cui nomina è attribuita al Comitato di Nomina(26
Il collegio ha il compito di:
).
− dirimere, secondo equità (pro bono et aequo) e senza formalità di procedura, le
controversie tra gli organi della fondazione, tra l’ente e i donatori e tra l’ente e i
beneficiari delle erogazioni;
− deliberare in ordine ad eventuali contestazioni circa la decadenza o l’esclusione dalla
carica di consigliere di amministrazione.
3.7. Il Comitato dei Donatori
L’art. 14 dello statuto della “Fondazione Comunità Mantovana”(27
(25) Art. 12 “Comitato Esecutivo” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA,
Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org:
) prevede che
ogni anno il Collegio dei Revisori rediga una graduatoria di coloro (enti o persone
fisiche) che al 31 dicembre dell’anno precedente hanno maggiormente contribuito ad
1. «Il Comitato Esecutivo è costituito dal Presidente, dal Vice Presidente e da cinque a sette altri membri nominati dal Consiglio di Amministrazione tra i suoi componenti.
2. Il Comitato Esecutivo si occupa, su delega e sotto il controllo del Consiglio di Amministrazione, della ordinaria amministrazione.
3. Il Comitato Esecutivo provvede all’investimento più sicuro e redditizio dei mezzi economici che pervengono direttamente alla Fondazione, così come cura il migliore utilizzo dei beni strumentali di cui dispone anche mediante l’esercizio delle corrispondenti attività economiche nell’ambito delle direttive e delle deleghe conferite dal Consiglio di Amministrazione.».
(26) L’art. 13 “Collegio dei Probiviri” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA prevede che il Collegio dei Probiviri sia nominato dal Presidente del Tribunale di Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.
(27) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Statuto, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
87
incrementare il patrimonio della fondazione dalla data della sua costituzione. I primi
venti soggetti di tale graduatoria costituiranno il Comitato dei Donatori per l’anno
successivo.
Il Comitato dei Donatori ha il compito di nominare alcuni membri del Consiglio
di Amministrazione della fondazione.
4. LE EROGAZIONI E LE DONAZIONI: ASPETTI INTRODUTTIVI(28)
Nell’esperienza comune le erogazioni sono normalmente qualificate e confuse con
le donazioni. È necessario, pertanto, indagare sul rapporto tra erogazioni e donazioni e
in particolare sulla natura giuridica delle donazioni effettuate a favore delle fondazioni
di comunità.
La donazione, secondo la definizione data dall’art. 769 cod. civ., è un contratto
con il quale una parte (donante), per spirito di liberalità, arricchisce l’altra (donatario), o
disponendo a favore di questa di un suo diritto ovvero assumendo verso la stessa
un’obbligazione. Gli elementi denotativi del contratto di donazione sono, pertanto, lo
spirito di liberalità (animus donandi) e l’arricchimento (cioè l’incremento del
patrimonio del donatario). La donazione deve essere fatta nella forma dell’atto pubblico,
sotto pena di nullità (art. 782, comma 1, cod. civ.). La forma solenne non è invece
richiesta per le donazioni di modico valore, da valutarsi anche in rapporto alle
condizioni economiche del donante, aventi per oggetto cose mobili (art. 783 cod. civ.),
in questo caso, che è definito anche donazione manuale, è necessario che sia avvenuta la
consegna della cosa(29
Tuttavia la qualificazione delle erogazioni come donazioni determinerebbe come
conseguenza che le erogazioni debbano essere fatte nella forma dell’atto pubblico, a
pena di nullità, a meno che non si tratti di donazioni manuali.
).
Pertanto le erogazioni non possono essere assimilate alle donazioni, ai sensi
dell’art. 769 cod. civ., ma devono essere ricondotte nell’ambito dello schema civilistico
(28) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 262-271 e MANCINI S., La
filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita e Ruolo, op. cit., pagg. 9-10.
(29) TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, op. cit., pagg. 1343-1345.
CAPITOLO TERZO
88
della donazione modale prevista dall’art. 793 cod. civ.(30) che si caratterizza in ragione
dell’apposizione di un onere all’atto di liberalità da parte del donatore cioè di «una
clausola accessoria, […], che limita l’arricchimento del donatario imponendogli un
obbligo.»(31
In tale figura «diversamente da quel che accade nella donazione c.d. pura,
l’onorato riveste al tempo stesso la qualità di onerato o, secondo una diversa, ma
sostanzialmente coincidente prospettazione, sulla gratuità si innesta un elemento di
onerosità.»(
).
32
L’onere è ravvisabile, negli atti di disposizione a favore della fondazione di
comunità, nella specifica finalità che il donatore imprime alla destinazione del proprio
atto di liberalità.
).
La fondazione, quindi, non effettua spontaneamente le erogazioni ma in
adempimento di un vincolo statutario che la obbliga ad operare per il perseguimento di
uno scopo. Pertanto sull’erogazione effettuata dalla fondazione di comunità, sussiste
una sorta di coazione all’atto che esclude lo spirito di liberalità del disponente. Infatti
mentre un atto di liberalità è compiuto senza alcun obbligo legale cioè nullo iure
cogente(33), un adempimento costituisce al contrario un atto dovuto(34
La discrezionalità della fondazione di comunità nella scelta dei beneficiari delle
erogazioni, non esclude il dovere di agire ma costituisce soltanto la conseguenza di un
dovere che ha contenuto indeterminato e che la libertà di scelta del soggetto onerato va
a colmare.
).
(30) Art. 793 cod. civ. “Donazione modale”:
«La donazione può essere gravata da un onere. Il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata. Per l’adempimento dell’onere può agire, oltre il donante, qualsiasi interessato, anche durante la vita del donante stesso. La risoluzione per inadempimento dell’onere, se preveduta nell’atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi.».
(31) TRIMARCHI P., Istituzioni di diritto privato, op. cit., pag. 423. (32) MARINI A., Donazione modale, in PALAZZO A. (a cura di), I contratti di donazione, Utet
Giuridica, Torino, 2009, pag. 286. (33) «DONARI VIDETUR, QUOD NULLO IURE COGENTE, CONCEDITUR. Si considera che si doni, ciò che
viene dato senza alcun obbligo legale. Per mezzo di questa massima si mette in evidenza che si considera donazione quell’atto che una persona compie senza esservi costretta da un precedente obbligo, ma per spirito di liberalità. A tale modo di concepire la donazione, come risulta dall’art. 769 c.c., si è ispirato il nostro legislatore.»: ALBANESE U., Massime, enunciazioni e formule giuridiche latine, Hoepli, Milano, 1993, pag. 102.
(34) «DONATIO CUM ONERE. Donazione con onere. A questa espressione è demandato il compito di designare la donazione modale, cioè quella donazione che è accompagnata dall’obbligo del donatario di adempiere un onere. Tale tipo di donazione, come risulta dall’art. 793 c.c., è presente nella nostra legislazione.»: IBIDEM, op. cit., 1993, pag. 102.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
89
Le erogazioni delle fondazioni di comunità non costituiscono, quindi, donazioni
ex art. 769 cod. civ. e non sono sottoposte alla relativa disciplina.
Per l’adempimento dell’onere da parte del soggetto onerato (art. 793, comma 3,
cod. civ.), possono agire sia il donatore sia qualsiasi interessato (ad esempio un
organizzazione non profit che aspiri a ricevere contributi per realizzare determinati
progetti di utilità sociale).
Pertanto il rapporto giuridico che si instaura tra donatore e fondazione di
comunità, secondo le modalità dell’art. 793 cod. civ., è in grado di fornire adeguata
tutela all’interesse del donatore a che i beni donati siano effettivamente utilizzati per le
finalità specificamente indicate.
Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale per le obbligazioni contratte
dalla fondazione di comunità, occorre precisare che l’ente, a fronte delle pretese
creditorie versa nell’impossibilità di eccepire, ex art. 2740, comma 1, cod. civ.(35
), la
separazione tra il proprio patrimonio e i fondi nominativi costituiti per il perseguimento
di specifiche finalità. La conseguenza di questa presunzione giuridica è quella di
frustrare la volontà di coloro che hanno disposto a favore della fondazione, specificando
le finalità cui vincolare i frutti dei beni oggetto degli atti di liberalità.
5. GLI STRUMENTI DELLE DONAZIONI
Le fondazioni di comunità hanno elaborato diversi strumenti per agevolare il
donatore nella sua attività filantropica. Le entrate delle fondazioni di comunità possono
pervenire:
1) dai redditi del patrimonio
(35) Art. 2740 cod. civ. “Responsabilità patrimoniale”: «Il debitore risponde dell’adempimento
delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.».
. La rendita deriva dall’investimento del patrimonio della
fondazione in azioni, obbligazioni e titoli di stato di primari emittenti, generalmente,
con una vasta diversificazione geografica mondiale e settoriale e anche mediante
l’utilizzo di specifici fondi di investimento;
CAPITOLO TERZO
90
2) da donazioni correnti
3)
. Queste elargizioni, non espressamente destinate all’incremento
del patrimonio, permettono di finanziare iniziative specifiche con interventi
pianificati nel tempo;
da donazioni a patrimonio
4)
. Le fondazioni di comunità danno la possibilità, con una
donazione di 25.000 euro o superiore, di costituire un proprio fondo patrimoniale, i
cui frutti sono destinati perennemente a finalità individuate dal donatore;
da lasciti testamentari
5)
. Con un lascito testamentario è possibile creare un fondo
patrimoniale e scegliere le finalità cui destinarne i frutti, lasciando così un segno
permanente nella comunità;
dal cinque per mille. La legge finanziaria prevede la possibilità di destinare il 5‰
dell’IRPEF a finalità di interesse sociale scelte secondo la sensibilità del
contribuente. In sede di dichiarazione dei redditi, quindi, si può donare, senza alcun
onere a proprio carico, indicando il codice fiscale dell’ente beneficiario(36
6)
);
dall’esercizio di attività accessorie
7)
. Le fondazioni di comunità possono svolgere
attività connesse o strumentali agli scopi dell’ente;
dalla sottoscrizione di una o più cosiddette «Buone Azioni» da 250 o 500 euro(37
8)
).
Le Fondazioni di Comunità di Mantova e Pavia danno la possibilità di donare anche
cifre più basse per incrementare il patrimonio dell’ente;
dalla stipula di polizze vita vincolate. Questa modalità permette di creare un capitale
a favore della fondazione, con l’eventuale indicazione delle organizzazioni o dei
settori beneficiari finali del reddito(38
La “Fondazione della Comunità di Monza e Brianza” è stata la prima fondazione
comunitaria a superare nel novembre 2010 la verifica di conformità ai principi etici
).
(36) Il «5 per mille, […] consente ai privati cittadini di destinare una parte dell’imposta sul reddito
alle Onlus, mediante l’indicazione del codice fiscale di una particolare Onlus nella propria dichiarazione dei redditi. Tali fonti di finanziamento costituiscono però una forma di sostentamento irregolare e per le quali occorre una particolare attenzione e capacità di gestione affinché sia mantenuta viva nel tempo l’attenzione dei soggetti target verso l’azienda non profit mediante un costante flusso di informazioni fornito ai propri sostenitori e stakeholders.»: BRONZETTI G., Le aziende non profit. Un esame degli strumenti di controllo di gestione, FrancoAngeli, Milano, 2007, pag. 95.
(37) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI PAVIA, Rapporto Annuale 2010, Pavia, pag. 17, sul sito www.fondazionepv.it. e FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2010, Mantova, pag. 7, sul sito www.fondazione.mantova.it.
(38) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI PAVIA, Rapporto Annuale 2010, op. cit., pag. 11.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
91
della Carta della Donazione(39
) e ad ottenere l’autorizzazione all’utilizzo del marchio
“Donare con fiducia”.
5.1. I Benefici fiscali(40
L’Art. 14, comma 1(
) 41), del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 “Disposizioni
urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale”(42
Il sistema tributario prevede numerose agevolazioni fiscali per i contribuenti che
effettuano erogazioni liberali a favore di determinate categorie di enti di particolare
), nota come legge “più dai, meno versi”, ha modificato profondamente il
sistema delle agevolazioni fiscali concesse dallo Stato Italiano che, in questo modo, ha
riconosciuto l’importanza fondamentale degli enti non profit, quali motori di sviluppo e
coesione sociale.
(39) «La Carta della donazione nasce con l’intento di regolamentare il fund raising nel settore non
profit e conseguentemente incentivare la diffusione delle informazioni necessarie per conoscere e valutare tutte le attività poste in essere da un’azienda non profit a favore dei “donatori”, effettivi e potenziali, dei collaboratori, volontari e non, dei destinatari delle attività sociali, degli associati ed aderenti e comunque alla comunità. […] Aderendo alla Carta gli enti si assumono, di fronte ai soggetti richiamati, l’impegno di consolidare un contesto di fiducia e di trasparenza in cui possano moltiplicarsi le opportunità di donazione in campo sociale e possa pienamente realizzarsi la crescita del terzo settore. Si tratta di un codice di autoregolamentazione [presentato nel 1998] con il quale gli aderenti si impegnano a tutelare i diritti dei reciproci donatori, in particolare nel loro diritto ad una informazione precisa e trasparente che fornisca loro elementi per valutare l’efficacia delle attività poste in essere dall’ente e l’efficienza della gestione economica.»: BRONZETTI G., Le aziende non profit. Un esame degli strumenti di controllo di gestione, op. cit., pag. 96.
(40) AGENZIA DELLE ENTRATE, guida alle “Erogazioni liberali: le agevolazioni fiscali”, Roma, 2007, sul sito www.agenziaentrate.gov.it e AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, Linee guida per la raccolta dei fondi, Milano, 2011, sul sito www.agenziaterzosettore.it.
(41) Art. 14, comma 1, “ONLUS e terzo settore”: 1. «Le liberalità in denaro o in natura erogate da persone fisiche o da enti soggetti all’imposta sul reddito
delle società in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10, commi 1, 8 e 9, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, nonché quelle erogate in favore di associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale previsto dall'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, in favore di fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e in favore di fondazioni e associazioni riconosciute aventi per scopo statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono deducibili dal reddito complessivo del soggetto erogatore nel limite del dieci per cento del reddito complessivo dichiarato, e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui.».
(42) Convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 “Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”.
CAPITOLO TERZO
92
rilevanza sociale, sia sotto forma di detrazioni d’imposta che come deduzioni(43) dal
reddito imponibile(44
Le persone fisiche che effettuano erogazioni liberali a favore delle ONLUS
(T.U.I.R. - art. 15, comma 1, lett. i-bis)), possono, alternativamente:
) IRPEF.
a) dedurre, in sede di dichiarazione dei redditi, le liberalità in denaro o in natura nel
limite del 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque fino all’importo
massimo di 70.000 euro annui(45
b)
);
detrarre dall’IRPEF, le sole liberalità in denaro, nella misura del 19% da calcolare su
un importo massimo di 2.065,83 euro(46
Gli enti soggetti all’IRES, in particolare società ed enti commerciali e non
commerciali, che effettuano erogazioni liberali a favore delle ONLUS (T.U.I.R. - art.
100, comma 2, lett. h)), possono, alternativamente:
).
a) dedurre, in sede di dichiarazione dei redditi, le liberalità in denaro o in natura nel
limite del 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque fino all’importo
massimo di 70.000 euro annui(47
b)
);
dedurre, ma solo per le erogazioni in denaro, dal reddito di impresa dichiarato un
importo non superiore a 2.065,83 euro ovvero fino al 2% del reddito di impresa
dichiarato senza alcun massimale(48
Le donazioni devono sempre essere eseguite attraverso sistemi di pagamento
documentabili (bollettino postale, bonifico bancario, assegno bancario, carta di credito o
domiciliazione bancaria).
);
Inoltre le fondazioni di comunità offrono ai donatori due ulteriori vantaggi:
il primo è di natura fiscale ed è rappresentato dalla possibilità, fornita dagli
intermediari finanziari, della separazione, in due momenti distinti e distanti nel
(43) «Le deduzioni sono oneri che possono essere scomputati dalla base imponibile del tributo,
diminuendola, mentre le detrazioni sono riduzioni che operano direttamente sull’imposta, permettendo di limitarne l’ammontare»: ORSI C., Manuale di diritto tributario, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2011, pag. 39.
(44) La «Base imponibile del tributo è il valore o la grandezza cui è commisurata l’imposta.»: IBIDEM, op. cit., pag. 39.
(45) EUTEKNE (a cura di), Tuir, op. cit., pagg. 181 e 184. (46) IBIDEM, op. cit., pagg. 294 e 296. (47) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, Linee guida per la raccolta dei fondi, op. cit., pag. 84. (48) EUTEKNE (a cura di), Tuir, op. cit., pag. 1194.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
93
tempo, tra l’atto di donazione e l’individuazione del progetto caritativo da
finanziare(49
il secondo è di natura cautelare ed è rappresentato dalla garanzia, fornita dagli
intermediari filantropici, contro qualunque contestazione da parte del fisco(
);
50
).
6. LE TIPOLOGIE DI FONDI(51)
Le fonti di finanziamento delle fondazioni di comunità sono rappresentate dalle
donazioni. Le risorse provenienti dai donatori (privati cittadini, enti pubblici o
organizzazioni non profit) possono accrescere genericamente il patrimonio dell’ente,
alimentare uno specifico “fondo patrimoniale” già esistente oppure costituire ex novo un
fondo.
Le fondazioni, infatti, possono istituire dei “fondi specifici” che costituiscono dei
patrimoni separati nella disponibilità dell’ente, ciascuno dei quali destinato al
perseguimento di una specifica finalità in conformità delle disposizioni dei donatori.
Nel caso della costituzione di un nuovo fondo il donatore può decidere(52
− la denominazione del fondo;
):
− le finalità filantropiche;
− la durata;
− come e quando donare;
(49) «Non sempre, infatti, il momento che è più conveniente per il donatore fare la propria
elargizione coincide con quello in cui l’ente non profit può ricevere i soldi, soprattutto in un regime come il nostro, in cui il fisco ragiona rigorosamente per cassa, mentre, di norma, il donatore opera per competenza. Così, se il donante decide solo alla fine dell’anno quante risorse può destinare a beneficenza, non è detto che possa individuare entro il 31 dicembre le iniziative che rispondono ai suoi interessi. Se però l’erogazione non avviene entro quella data, essa non potrà essere inserita nella dichiarazione dei redditi dell’anno, ma in quella successiva, quando magari le condizioni saranno cambiate, con il rischio di perdere il beneficio fiscale.»: CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 3.
(50) «Da un lato la fondazione può svolgere il ruolo di schermo in grado di proteggere il donante da qualsiasi contestazione da parte del fisco. Una volta che l’ente è stato costituito nel rispetto della legge, le donazioni che gli vengono fatte sono deducibili o detraibili secondo quanto stabilito dalla normativa vigente. Se poi l’ente dovesse utilizzare tali somme in modo improprio, finanziando progetti che non sono d’utilità sociale, la responsabilità ricadrebbe solo sull’ente stesso e il donatore sarebbe esente da ogni responsabilità o sanzione.»: IBIDEM, op. cit., pag. 4.
(51) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 262-263 e MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita e Ruolo, op. cit., pagg. 6-7.
(52) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2010, op. cit., pag. 8.
CAPITOLO TERZO
94
− il ruolo che desidera avere;
− i soggetti che possono donare;
− la destinazione delle donazioni;
− come devono essere erogate le disponibilità;
− la composizione e il ruolo di eventuali comitati;
− come deve essere investito l’eventuale patrimonio;
− quali informazioni devono essere rese pubbliche.
Tra i vari tipi di “fondi specifici” che possono essere creati dalle fondazioni, sul
modello di quelli costituiti dalle community foundations statunitensi, possiamo
menzionare i:
a) FONDI NOMINATIVI
b)
il cui reddito è destinato al finanziamento degli specifici progetti
indicati dal donatore;
FONDI PER LA COMUNITÀ
c)
che sono destinati genericamente a progetti di utilità sociale
nella comunità di riferimento dell’ente;
FONDI PER AREE D’INTERESSE
d)
le cui risorse sono indirizzate a favore di una
particolare area tematica o geografica stabilita dal donatore al momento della
costituzione;
FONDI CON DIRITTO DI INDIRIZZO
e)
nei quali il costituente si riserva la facoltà di
imprimere, con scelte più o meno vincolanti, un indirizzo nella scelta dei beneficiari
e dei progetti da finanziare. In questo caso il donatore partecipa sostanzialmente
all’attività di erogazione;
FONDI DESIGNATI
f)
le cui erogazioni sono stabilmente indirizzate a favore di una o più
organizzazioni non profit selezionate dal donatore al momento della costituzione;
FONDI PER AREE GEOGRAFICHE(53) che sono istituiti per favorire progetti in aree
territoriali specifiche e più ristrette di quella di interesse della fondazione. La
distribuzione dei «contributi avverrà sulla base delle indicazioni di un’apposita
commissione composta da cittadini che vivono e operano in quella particolare
comunità.»(54
(53) Le fondazioni di comunità locali possono «valorizzare il patrimonio di storia, identità,
tradizioni che caratterizzano anche la più piccola località nel nostro Paese, evitando che l’amore per la propria terra non degeneri in campanilismo, ma si trasformi in solidarietà.»: CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, in «Studi Zancan», Fondazione «Emanuela Zancan», Padova, Anno I, n. 4, luglio/agosto 2000, pag. 74.
);
(54) IBIDEM, op. cit., pagg. 74-75.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
95
g) FONDI DI CATEGORIA
h)
che sono costituiti ad esempio dagli ordini professionali
provinciali o da associazioni di categoria;
FONDI MEMORIALI
i)
che sono istituiti da persone fisiche a memoria del loro nome. In
questo caso la costituzione di un fondo presso una fondazione di comunità già
esistente, rappresenta una possibilità meno onerosa della creazione di una nuova
fondazione;
FONDI D’IMPRESA
j)
che sono costituiti da società commerciali secondo lo schema della
fondazione d’impresa, ma con modalità più semplici e meno onerose;
FONDI COSTITUITI DAL PATRIMONIO DI SINGOLE ORGANIZZAZIONI
Inoltre le fondazioni possono promuovere la costituzione dei cosiddetti «granelli
di senape» cioè di contributi di modestissima entità che il singolo donatore può
annualmente donare alla fondazione affinché essa li utilizzi per la costituzione di un
fondo patrimoniale(
in cui le
organizzazioni non profit possono trasferire le proprie dotazioni patrimoniali. In
questo caso la fondazione di comunità costituisce degli appositi fondi che vengono
gestiti professionalmente dalla stessa fondazione per garantire all’organizzazione non
profit una fonte perpetua di finanziamento.
55
Le Fondazioni di Comunità di Mantova e Pavia hanno adottato l’iniziativa delle
cosiddette «buone azioni» in base alla quale i donatori possono donare cifre più basse al
patrimonio della fondazione e ricevere un “certificato” di buona azione, entrando così
nel novero dei cofondatori e venendo iscritti in un apposito albo(
).
56
La gestione dei fondi patrimoniali costituiti presso la fondazione di comunità non
prevede nessun onere burocratico o costo iniziale per il donatore. La fondazione si
limita a prelevare lo 0,5% del valore dei fondi patrimoniali quale contributo alle spese
di gestione(
).
57
La situazione patrimoniale delle principali fondazioni di comunità è qui
sintetizzata in una tabella (i dati sono espressi in euro e sono estrapolati dal bilancio
d’esercizio 2010).
).
(55) IBIDEM, op. cit., pag. 76. (56) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, in «Queste
Istituzioni», Queste Istituzioni Ricerche, Roma, Anno XXXVII, n. 158-159, luglio-dicembre 2010, pag. 143.
(57) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento e linee guida per la costituzione di fondi patrimoniali, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
CAPITOLO TERZO
96
Fondazione Mantovana Lodi Nord Milano Cremona (58 Bergamasca ) Bresciana
Patrimonio Netto (31.12.2010)
15.044.898 5.444.044 2.034.146 3.703.606 17.279.435 17.831.188
Fondazione Lecco Monza e Brianza ProValtellina Pavia Novarese Comasca
Patrimonio Netto (31.12.2010)
16.012.543 16.584.954 15.309.270(59 3.173.506 ) 20.505.457 16.586.733
Fondazione Clodiense (60 Varesotto )
Verbano Cusio Ossola
Ticino Olona
Riviera Miranese
Terra d’Acqua
Patrimonio Netto (31.12.2010)
1.283.511 15.439.829 3.055.434(61 1.704.745 ) 165.480(62 106.359() 63)
Fondazione Santo Stefano Mirafiori Ponente
Savonese Riviera dei Fiori
Centro Storico Napoli
Salernitana
Patrimonio Netto (31.12.2010)
637.381(64 312.790() 65 224.003() 66 445.569 ) 360.000(67 1.135.111 )
Fondazione Monnalisa Comunità Vicentina
del Territorio di Cerea
Comunità Veronese Treviglio Valle
d’Aosta
Patrimonio Netto (31.12.2010)
205.057(68 275.000() 69 243.149() 70 100.000 ) 2.054.015 55.820
(58) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione per le vie brevi il 27 febbraio 2012. (59) Il dato è stato estrapolato dal bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2011 in corso di
approvazione ed è stato fornito dalla Segreteria della fondazione tramite posta elettronica il 9 marzo 2012. (60) Il dato è stato fornito dalla Fondazione della Comunità Clodiense, Dott.ssa Sara Scarpa,
tramite posta elettronica il 2 marzo 2012. (61) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione tramite posta elettronica il 13 marzo
2012. (62) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione tramite posta elettronica il 9 marzo
2012. (63) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione per le vie brevi il 27 febbraio 2012. (64) Il Bilancio 2010 è stato fornito previa autorizzazione del Presidente della Fondazione di
Comunità Santo Stefano, tramite posta elettronica il 6 marzo 2012. (65) Il dato è stato fornito dal Segretario Generale della Fondazione della Comunità di Mirafiori,
Dott.ssa Silvia Cordero, tramite posta elettronica il 27 febbraio 2012. (66) Bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2009. (67) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione nelle vie brevi il 27 febbraio 2012. (68) Bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2009. (69) Il dato è stato fornito dal Segretario Generale della Fondazione di Comunità Vicentina, Silvio
Fortuna, per le vie brevi il 1° marzo 2012. (70) Il dato relativo al bilancio 2009 è stato fornito dal Segretario Generale della Fondazione della
Comunità del Territorio di Cerea, Dott. Nicola Tomezzoli, per le vie brevi il 16 marzo 2012.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
97
7. LE PROCEDURE DI EROGAZIONE DEI CONTRIBUTI(71)
«L’erogazione di contributi (grantmaking) è il fulcro della attività di una
fondazione comunitaria intesa come istituzione filantropica che non gestisce in prima
persona progetti propri.»(72
Sono molteplici le modalità con cui una fondazione di comunità può: sollecitare le
richieste di contributi da parte delle organizzazioni non profit, procedere alla selezione
dei progetti più meritevoli ed erogare i relativi finanziamenti.
).
Una delle decisioni fondamentali della politica di erogazione è la scelta tra un
approccio reattivo o propositivo(73
In particolare le fondazioni di comunità possono utilizzare: l’erogazione “a
sportello”, il bando “aperto”, il bando “chiuso”, il bando “con raccolta”, l’erogazione
“con risultato” e altre modalità.
).
I bandi vengono deliberati dall’organo amministrativo e pubblicizzati con vari
mezzi.
«La procedura di selezione dei progetti prevede:
i. una prima istruttoria e classificazione da parte della Segreteria Generale che mette in
evidenza la completezza e regolarità della domanda e la coerenza con le finalità e le
linee guida(74
(71) MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita
e Ruolo, op. cit., pagg. 7-9.
) previste dal bando;
(72) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Seconda parte: struttura e attività, op. cit., pag. 31.
(73) «Si parla di grantmaking reattivo per indicare una politica di erogazione impostata sulle domande pervenute alla fondazione, che si preoccupa quindi di selezionare i migliori progetti fra quelli proposti e di finanziarli in tutto o in parte. Si tratta di una politica prevalentemente passiva di fronte alla comunità, che si fonda necessariamente su una intensa e trasparente comunicazione con tutte le componenti del settore nonprofit, in modo che tutte le organizzazioni siano in grado di conoscere i requisiti necessari per fare una domanda di contributo e siano messe nelle condizioni di competere. Attuare questa politica significa presupporre che i bisogni emergenti della comunità possano trovare espressione nelle domande presentate ed adoperarsi perché ciò possa di fatto realizzarsi. Il grantmaking reattivo è scelto di frequente dalle fondazioni comunitarie di nuova costituzione in quanto non hanno i mezzi necessari, né hanno maturato le capacità adatte per una politica di erogazione più attiva.»: IBIDEM, op. cit., pag. 33.
(74) Le linee guida a «differenza dei codici, sono strumenti normativi leggeri (soft law), ovvero codici di autoregolamentazione, utili per la corretta osservanza di una particolare disciplina legislativa. Vengono definiti strumenti normativi “leggeri”, perché funzionano come norme non vincolanti e sulla loro base sono poi regolati casi specifici.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 186.
CAPITOLO TERZO
98
ii. una valutazione professionale da parte degli esperti di settore che esprimono il loro
parere sul progetto presentato;
iii. un esame approfondito di merito da parte del Comitato di Selezione che evidenzia
anche la suddivisione territoriale e settoriale [degli] interventi;
iv. la valutazione e la selezione finale del Consiglio di Amministrazione.»(75
).
7.1. L’erogazione “a sportello”
In questo caso l’ente eroga i contributi sulla base di richieste di finanziamento che
gli aspiranti beneficiari presentano a sostegno di un progetto ritenuto d’interesse per la
fondazione e rientrante tra le sue finalità istituzionali.
Ad intervalli regolari, il Consiglio di Amministrazione procede alla valutazione
dei progetti presentati e alla scelta di quelli ritenuti conformi agli obiettivi della
fondazione. L’organo amministrativo può essere sostituito in questa funzione da un
comitato di valutazione appositamente costituito.
7.2. Il bando “aperto”
Nell’erogazione “a sportello”, l’aspirante beneficiario conosce esclusivamente le
finalità della fondazione di comunità indicate nello statuto e sulla base di queste
presenta il suo progetto.
Nel bando “aperto”, invece, la fondazione rende pubblico(76
I bandi “aperti” si caratterizzano per la circostanza che non hanno una data di
scadenza (per questo si dicono “aperti”) e quindi rimangono attivi a tempo
indeterminato ovvero fino alla loro revoca.
) l’avvio di
un’erogazione specificando: le modalità di finanziamento, i settori di intervento, i criteri
di selezione dei progetti e altre informazioni.
(75) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2010, op. cit., pag. 12. (76) Il «bando pubblico dotato di un preciso regolamento, per selezionare i progetti da finanziare,
[è] lo strumento più idoneo a sollecitare il controllo di tutta la comunità, e nel contempo favorisc[e] anche i potenziali donatori nello scegliere le iniziative ritenute più meritevoli e rispondenti alle proprie sensibilità»: FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2001, Mantova, pag. 2, sul sito www.fondazione.mantova.it.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
99
7.3. Il bando “chiuso”
I bandi “chiusi” si differenziano da quelli “aperti” perché presentano una data di
scadenza entro la quale gli aspiranti beneficiari devono far pervenire, a pena di
decadenza, i progetti per i quali richiedono il contributo.
Il sistema dei bandi “chiusi” da una parte richiede una dettagliata programmazione
dell’attività erogativa della fondazione che dovrà precisare l’ammontare delle risorse da
finalizzare a quel bando, mentre dall’altra parte stimola una maggiore competizione
concorsuale fra i diversi aspiranti.
7.4. Il bando “con raccolta”
In questo caso l’erogazione del finanziamento viene subordinata alla capacità
dell’aspirante beneficiario di raccogliere contributi anche da altri donatori. Queste altre
donazioni, che in genere corrispondono ad una certa percentuale dell’erogazione
richiesta, sono destinate specificatamente al progetto presentato e vengono versate
direttamente alla fondazione che ha emanato il bando(77
7.5. L’erogazione “con risultato”(
).
Questa modalità di erogazione consente alla fondazione di finanziare solo quei
progetti che sono in grado di suscitare il gradimento e quindi di conseguenza anche il
sostegno della comunità di riferimento.
78
(77) La fondazione di comunità «può erogare soltanto il 50% del totale di un progetto pre-
selezionato, mentre il restante 50% dovrà essere apportato dall’organizzazione no profit che realizzerà il progetto. Tuttavia, la FC darà il suo 50% soltanto se la comunità contribuirà al progetto pre-selezionato con un 25%, che verrà destinato ad incrementare il patrimonio della stessa FC.»: FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit., pag. 142.
(78) IBIDEM, op. cit., pag. 141.
)
La “Fondazione Comunità Mantovana” utilizza una strategia di erogazione
denominata erogazione “con risultato”. I beneficiari di un contributo devono prima
realizzare il loro progetto e in seguito la fondazione eroga il grant (per un massimo del
50% del totale necessario per la realizzazione del progetto) quando gli obiettivi del
progetto vengono raggiunti. Questa modalità di erogazione da un lato presuppone che le
organizzazioni non profit già dispongano di mezzi propri per poter operare e dall’altro
lato favorisce l’integrazione tra fondazione e volontariato.
CAPITOLO TERZO
100
7.6. L’attività erogativa sotto altre forme
Le fondazioni di comunità possono erogare contributi, occasionalmente o
regolarmente, anche sotto forme diverse da quelle precedenti cioè fuori bando(79
). A
titolo di esempio possiamo indicare:
Microerogazioni derivanti nella maggior parte dei casi da richieste “a sportello”. Si
tratta di contributi, di modesta entità, concessi per far fronte con tempestività a
particolari situazioni di bisogno ovvero assegnati a favore di singoli progetti non
particolarmente onerosi(80
);
Sponsorizzazioni e patrocini di eventi e manifestazioni pubbliche. Il patrocinio
consiste in un sostegno organizzativo (non oneroso) o finanziario (oneroso) a
manifestazioni di carattere sociale, educativo, culturale, scientifico, economico e
sportivo subordinato al fatto che venga diffuso il logo della fondazione. Il logo della
fondazione rappresenta l’immagine della fondazione e dovrà essere sempre
accompagnato dalla formula “Con il contributo di”(81
). Sotto sono riportati i logo
designs di due fondazioni:
FIG. 3.2 – Logo ufficiale della Fondazione Comunitaria Nord Milano. Fonte: sul sito www.fondazionenordmilano.org.
FIG. 3.3 – Logo ufficiale della Fondazione Comunitaria del Ticino Olona Onlus. Fonte: sul sito www.fondazioneticinoolona.it.
(79) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento dell’attività erogativa fuori
bando, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it. (80) Art. 11 “Le Minierogazioni” del Regolamento attività istituzionali della FONDAZIONE
COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it: «Le erogazioni di importo unitario inferiore 5.000 euro per singola iniziativa potranno essere deliberate da un Comitato composto dal Presidente o suo delegato e dal Vice Presidente incaricato; quindi comunicate al primo Consiglio d’Amministrazione successivo all’erogazione.».
(81) Vds. sul punto gli artt. 1 “Finalità del patrocinio” e 2 “Soggetti ammissibili” del Regolamento per la concessione del patrocinio della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org e del Regolamento per la concessione del patrocinio della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
101
Erogazioni emblematiche e progetti pluriennali consistono in erogazioni di entità più
consistente e assegnate su più esercizi, a favore di iniziative rilevanti(82
);
Contributi molto modesti a persone indigenti
;
Borse di studio e premi
a studenti meritevoli o ricercatori.
7.7. Il modello operativo dell’attività erogativa della Fondazione Comunitaria Nord
Milano(83
La “Fondazione Comunitaria Nord Milano” è stata il primo ente, seguito dalla
“Fondazione Comunitaria del Ticino Olona”(
)
84
Il processo di erogazione si suddivide in sei fasi:
), ad avere formalizzato un modello
operativo riguardante l’attività erogativa svolta con i bandi, al fine di garantire la
massima trasparenza nei rapporti con le organizzazioni non profit partecipanti ai bandi.
1) Pubblicazione del bando
2)
. La fondazione, su indicazione della “Commissione Analisi
dei Bisogni” e l’eventuale intervento del “Comitato Analisi dei Bisogni” del
territorio, periodicamente definisce i settori finanziabili (cioè i macro e i micro settori
in cui effettuare l’attività erogativa) e delibera i criteri generali per la selezione e la
valutazione delle richieste che vengono approvati dal Consiglio di Amministrazione.
Si procede, quindi, alla pubblicazione dei bandi sulla stampa locale e sul sito web
istituzionale;
Presentazione delle domande
3)
. Lo staff della fondazione raccoglie le domande
presentate e verifica che siano state istruite correttamente secondo le modalità
indicate dal regolamento;
Valutazione dei progetti presentati
(82) «Gli interventi emblematici si concretizzano in progetti caratterizzati da un alto grado di
complessità organizzativa, strutturale ed economica, ed affrontano problemi specifici di un territorio, sperimentano politiche innovative in campo sociale, culturale, ambientale, scientifico ed economico. Mirano ad un cambiamento specifico delle condizioni di vita delle persone, attraverso un processo di progettazione e sperimentazione, gestito congiuntamente con altri soggetti pubblici e privati. In questo senso, gli interventi emblematici rispondono ai requisiti di esemplarità per il territorio e di sussidiarietà di intervento.»: FONDAZIONE CARIPLO, Regolamento per le erogazioni emblematiche, Milano, gennaio 2010, pag. 2, sul sito www.fondazionecariplo.it.
. Una commissione di esperti valuta le domande
presentate, predispone i “piani di erogazione” e formula una proposta (giudizio di
(83) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Modello operativo dell’attività erogativa, Rho (MI), 2011, Regolamento per la valutazione degli enti e progetti, Rho (MI), 2011 e Relazione Sociale 2010, Rho (MI), pag. 14, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
(84) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento dell’attività erogativa su bandi, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.
CAPITOLO TERZO
102
merito e qualitativo) al Consiglio di Amministrazione che approva l’elenco definitivo
dei progetti selezionati;
4) Raccolta donazioni (procedura valida solo per i bandi “con raccolta”)
5)
. La
fondazione comunica l’esito della selezione e pubblica sul sito i progetti che hanno
ottenuto provvisoriamente il contributo che diventerà definitivo solo in seguito alla
conclusione positiva della raccolta di donazioni. Lo staff della fondazione aggiorna
quotidianamente lo stato della raccolta sul sito della fondazione. In caso di mancata
selezione dei progetti presentati, verrà inviata una “lettera di non selezione”
personalizzata che riporterà le motivazioni che hanno determinato l’esito negativo
della selezione;
Conferma stanziamento contributo
6)
. Il Consiglio di Amministrazione, se l’esito della
raccolta è positivo, accetta le donazioni a sostegno dei progetti e formalizza l’esito
positivo della raccolta con l’invio di una comunicazione nella quale viene altresì
richiesta la compilazione del “modulo di accettazione del contributo”;
Erogazione del contributo
. Lo staff della fondazione riceve la domanda di
rendicontazione ed esamina la richiesta di pagamento. Se la domanda è completa, la
segreteria, dopo l’autorizzazione del Presidente all’erogazione del contributo,
predispone la “lettera di comunicazione liquidazione progetto” e liquida il contributo
e le eventuali eccedenze derivanti dalla raccolta di donazioni.
8. I PROBLEMI DI GOVERNO DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ(85)
I problemi di governo delle fondazioni comunitarie sono sostanzialmente due:
1) la legittimazione degli organi di governo;
2) la capacità della collettività di controllare e indirizzare l’operato della fondazione.
Il superamento di queste criticità, richiede la costruzione di un’architettura di
governo che separi le responsabilità di direzione da quelle di controllo delle decisioni.
La realizzazione di una struttura di governo «tripartita» formata da distinti organi
di indirizzo (l’Assemblea della società), di governo (il Consiglio di Amministrazione) e
(85) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle
fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 165-170.
LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
103
di controllo (il Collegio Sindacale); consentirebbe sia di creare dialettiche interne
all’istituzione sia di attribuire ai soggetti beneficiari degli interventi un ruolo di
controllo sull’attività della fondazione.
Il problema diventa quindi quello di riuscire ad identificare l’azionista di
riferimento delle fondazioni di comunità cioè il soggetto, assimilabile all’azionista di
una public company, che ha il diritto di nominare il Consiglio di Amministrazione.
In un intermediario finanziario filantropico, nato da una pluralità di piccole
donazioni, gli azionisti di riferimento sono rappresentati dai donatori e dai beneficiari in
quanto sono costoro che hanno diritto alla remunerazione residuale che in questo caso
non consiste nel diritto di appropriarsi di ciò che residua della gestione ma nel diritto in:
− primo luogo di vedere realizzate le finalità dell’organizzazione (donatori);
− secondo luogo di ricevere le erogazioni (beneficiari).
Nelle fondazioni di comunità il problema si semplifica poiché non essendo
individuabili i singoli donatori, gli azionisti si ridurrebbero ai soli beneficiari.
Perciò il problema diventa quello di capire da chi possa essere legittimamente
rappresentata la collettività di riferimento della fondazione. La collettività locale può
essere a buon diritto rappresentata dalle amministrazioni locali (gli enti pubblici
territoriali) e dalle organizzazioni della società civile. Quindi nell’organo di indirizzo,
che nelle fondazioni di comunità può essere assimilato al Comitato di Nomina,
dovrebbero trovare posto i soggetti designati da queste due categorie.
Tuttavia questa ipotesi può determinare alcuni problemi:
il primo inconveniente deriva dalla circostanza che i beneficiari-azionisti potrebbero
non riunire le competenze tecniche necessarie a svolgere le proprie funzioni di
indirizzo. In questo caso i soggetti designati dalla comunità potrebbero essere
affiancati da esperti indipendenti che potrebbero essere cooptati dall’organo di
indirizzo stesso ovvero essere proposti dalle altre categorie di soggetti che nominano
membri nell’organo di indirizzo;
il secondo inconveniente deriva dal fatto che i membri dell’organo di indirizzo, eletti
dalle amministrazioni pubbliche e dalle organizzazioni della società civile,
potrebbero essere spinti a favorire gli interessi di determinate amministrazioni
pubbliche od organizzazioni della società civile a danno di altri soggetti che
CAPITOLO TERZO
104
rappresentano comunque bisogni rilevanti della collettività. Questo potenziale
conflitto di interesse potrebbe essere parzialmente eliminato:
stabilendo l’incompatibilità tra la carica di membro dell’organo di
amministrazione e la carica di componente degli organi di governo delle
organizzazioni beneficiarie degli interventi della fondazione;
determinando la separazione tra funzioni di indirizzo e funzioni amministrative da
realizzare attraverso l’incompatibilità tra l’appartenenza all’organo di indirizzo e
l’organo di amministrazione e l’autonomia operativa del Consiglio di
Amministrazione (che non sarebbe influenzabile nelle singole decisioni dal
collegio di indirizzo);
prescrivendo il divieto di ricoprire più di un mandato in consiglio e l’obbligo di
prestare l’incarico senza vincolo di mandato;
attribuendo la nomina degli amministratori alle “organizzazioni di secondo
livello” (ad esempio ai consorzi) ed agli “organi assembleari” delle singole
organizzazioni (ad esempio il consiglio comunale) invece che a singole autorità
(ad esempio il sindaco) od organizzazioni (ad esempio gli enti locali).
CAPITOLO QUARTO
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
SOMMARIO: 1. Il “progetto fondazioni di comunità” della Fondazione Cariplo – 1.1.
L’origine – 1.2. Le linee guida del progetto – 1.3. La mission – 1.4. L’«erogazione sfida» – 2. La procedura di costituzione di una fondazione comunitaria – 2.1. Il Comitato d’Onore – 2.2. Il Comitato Promotore – 3. I settori di intervento – 4. L’accountability – 4.1. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa civilistica – 4.2. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa fiscale – 4.3. La classificazione dei bilanci «etici» – 4.4. Il bilancio di missione – 4.5. Il “rapporto annuale” delle fondazioni di comunità – 5. Un modello italiano di community foundation? – 6. La procedura di nomina dei consiglieri amministrazione – 6.1. Il regolamento del Comitato di Nomina – 6.2. La procedura di evidenza pubblica per l’elezione dei consiglieri di diretta competenza delle diverse autorità pubbliche – 7. L’associazione italiana fondazioni ed enti di erogazione (Assifero) – 7.1. Le linee strategiche – 8. Le possibili direttrici di sviluppo.
CAPITOLO QUARTO
106
1. IL “PROGETTO FONDAZIONI DI COMUNITÀ” DELLA FONDAZIONE CARIPLO(1)
Negli anni ’90 il processo di riforma delle fondazioni di origine bancaria aveva
comportato per questi enti sia la necessità di ripensare profondamente la propria identità
sia di elaborare una nuova strategia operativa che gli consentisse di generare
legittimazione sociale(2
Le fondazioni di origine bancaria, una volta reciso il cordone ombelicale che le
legava al gruppo creditizio, erano state chiamate dalla legge a intervenire in settori nei
quali non avevano competenze specifiche.
).
Per questi enti, quindi, era molto più semplice, anziché gestire direttamente propri
progetti, svolgere una funzione di fondazioni di erogazione che poteva giovarsi
dell’esperienza acquisita nella gestione delle attività di beneficenza che avevano
caratterizzato l’operato delle Casse di Risparmio fin dalla loro origine.
Le fondazioni di origine bancaria, per raggiungere questo scopo, dovevano
pervenire alla creazione di «network autonomi e indipendenti».
Il programma di riorganizzazione operativa della Fondazione Cassa di Risparmio
delle Provincie Lombarde (Cariplo), che avrebbe dato origine al “Progetto Fondazioni
di Comunità”, prende l’avvio da queste necessità.
1.1. L’origine
Dopo lo scorporo delle strutture della fondazione da quelle della banca, la
Fondazione Cariplo si era trovata ad affrontare tre problemi:
il primo era di carattere organizzativo in quanto la fondazione si era ritrovata senza
una propria articolazione territoriale. In precedenza, infatti, i soggetti che volevano
accedere ai contributi della fondazione potevano servirsi degli sportelli della banca,
mentre in seguito avrebbero dovuto rivolgersi direttamente agli uffici centrali di
Milano che, tuttavia, non avrebbero potuto servire un’area così vasta e complessa
come quella rappresentata da tutte le provincie lombarde e da quella di Novara;
(1) CASADEI B., Fondazioni di origine bancaria e società civile. Un progetto sulle fondazioni delle comunità locali, in «Queste Istituzioni», Queste Istituzioni Ricerche, Roma, Anno XXVII, n. 117-120, annale 1999, pagg. 73-91.
(2) Si trattava di volgere «in bene ciò che è nato male»: CLARICH M. - PISANESCHI A., Le fondazioni bancarie. Dalla holding creditizia all’ente non-profit, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 7.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
107
il secondo era di ordine informativo poiché con la separazione la fondazione non
poteva più contare su quel patrimonio di conoscenze, sia del territorio sia delle
esigenze specifiche della comunità, che gli erano garantite dai direttori delle filiali
della banca. Infatti, solo un’approfondita conoscenza della realtà locale può
consentire di verificare il reale impatto che un progetto avrà su un determinato
territorio, di stabilire priorità negli interventi o ancora di individuare i soggetti
effettivamente in grado di realizzare i progetti per cui chiedono sovvenzioni;
il terzo era di tipo quantitativo cioè la Fondazione Cariplo aveva sempre erogato una
grande quantità di contributi di modesta entità. Ma la gestione centralizzata di tutte
queste richieste si era rivelata estremamente antieconomica. I costi per analizzare e
processare una singola domanda erano superiori al contributo erogato.
Una delle possibili soluzioni a questi problemi era rappresentata dalla creazione di
un sistema di filiali decentrate della fondazione da affiancare a quelle della banca, ma
ciò avrebbe comportato il rischio di un appesantimento della struttura burocratica della
Fondazione Cariplo.
Così nel 1997 la Fondazione Cariplo decise di percorrere una via alternativa e
anticonvenzionale e, ispirandosi al modello nordamericano delle community
foundations, diede vita al “Progetto Fondazioni di Comunità” allo scopo di dotarsi di
una innovativa ed efficace articolazione territoriale(3
).
1.2. Le linee guida del progetto
L’obiettivo della Fondazione Cariplo era quello di dotarsi di una rete, un vero e
proprio network, di istituzioni tutte autonome e indipendenti(4
(3) La genesi del progetto è da «ricondurre ad un’iniziativa intrapresa dalla Fondazione Cariplo
con l’Istituto per la Transizione di Milano (Istra) che, nel 1996, organizzarono un master per manager nonprofit presso la Robert Wagner School della New York University. I partecipanti al master effettuarono degli stages presso varie organizzazioni nonprofit studiandone il funzionamento e traendo degli spunti per lo sviluppo del terzo settore in Italia.»: FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, op. cit., pag. 71.
) rispetto all’ente di
origine, ma che potessero costituirne i partner naturali.
(4) «Non una rete di filiali sul territorio, ma tanti soggetti giuridicamente autonomi, capaci di operare da moltiplicatori (secondo il modello anglosassone) per il reperimento di risorse da destinare alla crescita sociale delle singole realtà locali.»: NEGRI M. R., Fondazioni comunitarie: un modello vincente di fondazione di comunità locale italiana, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 3 - marzo 2002, pag. 28.
CAPITOLO QUARTO
108
Questo avrebbe consentito di realizzare una più efficiente capacità di erogazione
della beneficienza sul territorio senza appesantire la struttura organizzativa della
Fondazione-madre e, allo stesso tempo, di mobilitare le energie e le risorse locali.
Nel 1999, pertanto, la Fondazione Cariplo avvia lo start up della prima
fondazione di comunità locale la “Fondazione della provincia di Lecco”(5
La scelta di localizzare le fondazioni a livello provinciale prendeva spunto da un
lato dalla constatazione che ogni provincia aveva un proprio rappresentante nell’organo
di indirizzo della Fondazione Cariplo, la “Commissione Centrale di Beneficienza”, e
dall’altro lato dalla necessità di individuare con precisione i singoli territori.
). Le
fondazioni di comunità promosse finora dalla Fondazione Cariplo sono quindici e
coprono l’intero territorio della Lombardia e, in Piemonte, le provincie di Novara e del
Verbano Cusio Ossola.
Le costituende fondazioni dovevano svolgere tre funzioni fondamentali:
1) sviluppare un’approfondita conoscenza dei bisogni e delle potenzialità della società
civile della comunità locale;
2) dotarsi di una struttura operativa in grado di erogare contributi alle organizzazioni
non profit del territorio e di monitorare l’effettiva realizzazione dei progetti
finanziati;
3) offrire servizi ai potenziali donatori.
Tuttavia, la caratteristica principale del progetto era quella di rappresentare una
sfida per la comunità. La Fondazione Cariplo, infatti, non obbligava le comunità a
partecipare al progetto ma offriva esclusivamente un’opportunità. Le comunità, che
erano interessate al programma, avrebbero dovuto attivare tutte le risorse necessarie per
la costituzione della fondazione.
La comunità avrebbe dovuto, quindi, presentare alla Cariplo un progetto che
contenesse:
uno statuto che permettesse di costituire una fondazione di comunità;
un piano strategico triennale, comprensivo di bilancio operativo, destinato ad
indirizzare l’attività dell’ente;
l’indicazione di un Consiglio d’Amministrazione autorevole e rappresentativo;
(5) AMIGONI E., La Fondazione della provincia di Lecco, in «Studi Zancan», Fondazione
«Emanuela Zancan», Padova, Anno I, n. 4, luglio/agosto 2000, pagg. 90-101.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
109
l’individuazione di un’aliquota di personale, volontario o retribuito, in grado di
realizzare gli obiettivi stabiliti nel piano;
l’attestazione della disponibilità di una sede adeguatamente arredata ed attrezzata;
l’impegno a sostenere tutti i costi relativi alla gestione della struttura.
Le fondazioni di comunità oggi presenti in Italia sono complessivamente
trentadue. In particolare di queste:
n. 15 sono nate nell’ambito del progetto Cariplo:
− Fondazione della Provincia di Lecco;
− Fondazione Provinciale della Comunità Comasca;
− Fondazione Comunità Mantovana;
− Fondazione della Comunità del Novarese;
− Fondazione della Comunità Bergamasca;
− Fondazione della Comunità di Monza e Brianza (con sede a Monza);
− Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona;
− Fondazione Comunitaria del Varesotto;
− Fondazione della Comunità Bresciana;
− Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia;
− Fondazione della Comunità Locale “Pro Valtellina” (con sede in Sondrio);
− Fondazione Comunitaria della Provincia di Lodi;
− Fondazione Comunitaria del Ticino Olona (con sede in Legnano – MI);
− Fondazione Comunitaria del Verbano Cusio Ossola (con sede in Verbania);
− Fondazione Comunitaria Nord Milano (con sede in Rho – MI);
n. 4 sono state promosse dalla Fondazione di Venezia nel 2000 nell’ambito del
territorio provinciale:
− Fondazione della Comunità Clodiense (con sede in Chioggia - VE);
− Fondazione Riviera Miranese (con sede in Dolo - VE);
− Fondazione di Comunità Santo Stefano (con sede in Portogruaro - VE);
− Fondazione Terra d’Acqua (con sede in San Donà di Piave - VE);
n. 4 sono state promosse dalla Compagnia di San Paolo:
− Fondazione Comunitaria della Riviera dei Fiori (con sede in Imperia);
− Fondazione della Comunità di Mirafiori (con sede in Torino);
CAPITOLO QUARTO
110
− Fondazione Comunitaria del Verbano Cusio Ossola (in partenariato con la
Cariplo);
− Fondazione Comunitaria della Valle d’Aosta;
n. 3 sono state promosse dalla Fondazione con il Sud (un soggetto privato nato nel
2006 dall’alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e
del volontariato per promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno):
− Fondazione della Comunità Salernitana;
− Fondazione di Comunità del Centro Storico di Napoli;
− Fondazione di Comunità di Messina – Distretto Sociale Evoluto(6
n. 1 è stata promossa dalla Banca di Credito Cooperativo di Treviglio (BG) e cioè
la Fondazione Cassa Rurale di Treviglio;
);
n. 1 è stata promossa dalla Banca Popolare di Verona e dalla Diocesi di Verona e
cioè la Fondazione della Comunità Veronese;
n. 4 sono state promosse da una pluralità di enti locali e istituzioni civili e religiose:
− Fondazione di Comunità Vicentina per la Qualità di Vita (con sede in Montecchio
Precalcino - VI);
− Fondazione di Comunità della Sinistra Piave per la Qualità di Vita (con sede in
Pieve di Soligo - TV);
− Fondazione Comunitaria del Ponente Savonese (con sede in Albenga - SV);
− Fondazione della Comunità del Territorio di Cerea (VR);
n. 1 è stata promossa da un’impresa (Monnalisa S.p.A.) e cioè la Fondazione
Monnalisa (con sede in Arezzo).
(6) L’Ente non dispone ancora di un proprio sito internet dove reperire le informazioni d’interesse.
Il Distretto Sociale evoluto «nasce per promuovere sviluppo umano innovando e favorendo la crescita di interconnessioni tra sistema educativo, sistema di welfare, sistema di produzione, dotazione di conoscenze (anche tecnologiche) e social capabilities.».
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
111
Monza e Brianza
Nord Milano
ProValtellina
Bergamasca
Comasca
Mantovana
Bresciana
Ticino Olona
Valle d’Aosta
Mirafiori
Centro Storico Napoli
Riviera dei Fiori
VerbanoCusioOssola
Novarese
Varesotto
Pavia
Fondazione di Comunità di Messina
Lecco
Cremona
Lodi
Riviera Miranese
Clodiense
Ponente Savonese
Territorio di Cerea
Santo Stefano
Comunità Veronese
della Sinistra Piave
Salernitana
Comunità Vicentina
Treviglio
Terra d’Acqua
Monnalisa
FIG. 4.1 – La dislocazione territoriale delle fondazioni di comunità italiane. LEGENDA (COLORE LINEA CASELLA DI TESTO): FdC promosse dalla Fondazione Cariplo (BLU); FdC promosse dalla Compagnia di San Paolo (ROSSO); FdC promosse dalla Fondazione di Venezia (ARANCIONE); FdC promosse dalla Fondazione con il Sud (VIOLA);
FdC promosse da Banche (VERDE); FdC promosse da enti locali e istituzioni civili e religiose
(GIALLO); FdC promossa dalla Monnalisa S.p.A. (INDACO).
CAPITOLO QUARTO
112
Inoltre è stato avviato il processo di costituzione di diverse altre fondazioni di
comunità mediante la formazione del Comitato Promotore come nel caso della
Fondazione “Molise Comunità”(7), della Fondazione di Comunità di Crotone(8), della
Fondazione di Comunità del Canavese(9), della Fondazione di Comunità di Malnate
(VA)(10), della Fondazione di Comunità del Calatino “Don Luigi Sturzo”(11) e della
Fondazione della Comunità “Regionale dell’Economia Sociale e della Creatività per
l’Occupazione in Basilicata”(12
).
1.3. La mission
Le fondazioni di comunità promuovono la filantropia nei confronti del territorio di
riferimento attraverso lo sviluppo di una funzione di intermediazione tra potenziali
donatori/investitori e le organizzazioni non profit che realizzeranno concretamente i
programmi di assistenza in campo sociale. Infatti, il motto che descrive meglio la
funzione della fondazione di comunità è che “non si dona alla fondazione, ma attraverso
di essa”.
Tuttavia lo scopo di una fondazione comunitaria non è semplicemente quello di
finanziare progetti di utilità sociale, ma è quello:
in primo luogo di promuovere una cultura della donazione e quindi di accrescere le
donazioni, nella consapevolezza che «bisogna creare sinergie finanziarie per lo
sviluppo del Terzo Settore e, dunque, che è necessaria una maggiore mobilitazione di
risorse private e un’autonoma iniziativa della società civile per corrispondere alle
attese e ai bisogni della comunità.»(13
in secondo luogo di favorire la crescita delle organizzazioni del terzo settore del
territorio, stimolandone le capacità progettuali;
);
in terzo luogo di «migliorare la qualità della vita» di coloro che abitano in una
determinata area geografica. Il miglioramento della qualità della vita non è il risultato
(7) Vds. il sito www.molisecomunita.it. (8) Vds. il sito www.fondazionecomunitacrotone.it. (9) SIGNETTO E., La fondazione del Canavese, Il Canavese, 7 dicembre 2012, pag. 43 e VIGLIO E.,
Nasce la Fondazione di Comunità del Canavese, LaVallèe Notizie, 28 gennaio 2012, pag. 50. (10) (E.P.), Obiettivo: donare alla propria città. Al via l’iter per creare una Fondazione che
raccolga e distribuisca le offerte, La Prealpina, 26 gennaio 2012, pag. 18. (11) Vds. il sito www.fdcdonluigisturzo.it e M. M., Fondazione di comunità firmato il protocollo,
La Sicilia, Edizione di Catania, 25 gennaio 2012, pag. 40. (12) Vds. il sito www.visioniurbanebasilicata.net. (13) NEGRI M. R., Fondazioni comunitarie: un modello vincente di fondazione di comunità locale
italiana, op. cit., pag. 31.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
113
di un progetto definito ex ante dalla fondazione di comunità ma richiede l’impegno
di tutti i componenti di una collettività nel perseguimento del bene comune. La
fondazione quindi sostiene gli sforzi degli individui nella consapevolezza che le
modalità attraverso cui si può concorrere al bene comune sono molteplici e talora
confliggenti tra loro(14
In definitiva, secondo Bernardino Casadei(
). 15), l’autentica mission delle fondazioni
di comunità consiste nell’«individuare un bisogno che sia veramente comune a tutti e
alla cui soluzione tutti possano dare un reale e concreto contributo, così che ognuno si
senta contemporaneamente protagonista e beneficiario di questa attività.»(16
).
1.4. L’«erogazione sfida»(17
L’elemento più interessante nel progetto della Fondazione Cariplo era
rappresentato dalla cosiddetta «erogazione sfida».
)
La Fondazione Cariplo, una volta approvato il progetto presentato dal Comitato
Promotore, provvedeva a donare un primo contributo di 100 milioni di lire necessario
ad ottenere il riconoscimento dalla Regione e contemporaneamente istituiva un ulteriore
fondo di 9 miliardi e 900 milioni di lire il cui reddito era conferito alla fondazione di
comunità per finanziare progetti di utilità sociale. Questo fondo sarebbe diventato di
proprietà della nuova fondazione se questa avesse raggiunto gli obiettivi previsti nel
piano.
L’approvazione del piano strategico consentiva alla fondazione di comunità anche
di partecipare a due meccanismi sfida:
(14) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pag. 59.
(15) Segretario Generale di Assifero. (16) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pag.
61. (17) Le sfide legano il contributo della Fondazione Cariplo al raggiungimento di precisi risultati a
livello locale. «Prima sfida: dar vita alla fondazione, contenendo i costi di gestione del capitale disponibile. La sfida consiste nella possibilità di usufruire per tre anni del reddito di un fondo patrimoniale di 10 miliardi per ogni provincia da destinarsi al finanziamento di progetti d’utilità sociale da realizzarsi nel territorio della stessa. Seconda sfida: possibilità di raddoppiare il fondo disponibile. La seconda sfida consiste nella possibilità di raddoppiare il fondo patrimoniale di 10 miliardi qualora la fondazione locale sia in grado di raccoglierne almeno 5 per analoga finalità. L’obiettivo di questa seconda sfida non è semplicemente quello di aumentare il patrimonio della fondazione, ma piuttosto quello di dar vita a un meccanismo che permetta allo stesso di crescere anche quando le disponibilità della sfida si saranno esaurite. Terza sfida: un capitale che, se donato, può raddoppiare. La terza sfida consiste in un ulteriore contributo di 200 milioni da distribuire in progetti d’utilità sociale qualora se ne raccolgano altrettanti con analoga finalità.»: CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, op. cit., pagg. 82-84.
CAPITOLO QUARTO
114
il primo avrebbe consentito di ottenere un ulteriore contributo di 200 milioni di lire,
da destinare a progetti di utilità sociale, qualora l’ente fosse riuscito a raccogliere
altri 200 milioni per scopi analoghi;
il secondo avrebbe permesso di incrementare il patrimonio della fondazione di altri
15 miliardi di lire. La Fondazione Cariplo, infatti, avrebbe raddoppiato ogni
contributo destinato ad aumentare il patrimonio della fondazione locale, fino ad un
massimo di 10 miliardi di lire (in pratica la Cariplo elargisce due lire per ogni lira
raccolta dalla fondazione di comunità). In definitiva, al termine dell’«erogazione
sfida», la fondazione di comunità avrebbe potuto contare su di un patrimonio
complessivo di 25 miliardi di lire cioè 10 + 10 da parte della Fondazione Cariplo e 5
da raccogliersi sul territorio(18
Inoltre lo strumento dell’«erogazione sfida» «asseconda […] dinamiche di
autodirezione che accrescono contemporaneamente libertà e responsabilità. Libertà nel
predisporre la strategia che più si adatta allo specifico contesto locale e responsabilità
nel render conto del proprio operato»(
).
19
).
2. LA PROCEDURA DI COSTITUZIONE DI UNA FONDAZIONE COMUNITARIA(20)
Prendendo come punto di riferimento l’esperienza maturata nell’ambito del
progetto della Fondazione Cariplo, si visto che il processo per la costituzione di una
fondazione comunitaria richiede un periodo di lavoro di 12-15 mesi.
Prima di avviare la procedura è essenziale procedere ad una serie di colloqui con i
rappresentanti delle più importanti istituzioni politiche, economiche, sociali,
amministrative, culturali e religiose presenti sul territorio e questo allo scopo di creare il
consenso necessario all’iniziativa ed evitare possibili veti incrociati.
(18) L’erogazione sfida della Fondazione Cariplo prevede attualmente:
il conseguimento di un primo «obiettivo sfida» di 516.000 euro; la raccolta, entro dieci anni dalla costituzione della fondazione di comunità, di un patrimonio pari a 5
milioni e 164.000 euro che saranno poi triplicati dalla Cariplo con il versamento di un premio di 10 milioni e 328.000 euro. Quindi al termine della sfida il patrimonio della fondazione ammonterà a 15 milioni e 492.000 euro.
(19) FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, op. cit., pagg. 74-75.
(20) NEGRI M. R., Fondazioni comunitarie: un modello vincente di fondazione di comunità locale italiana, op. cit., pag. 29.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
115
L’elemento più importante per la riuscita del progetto è l’esistenza di un gruppo di
cittadini che si faccia promotore dell’iniziativa e che sia disposto ad impegnarsi in
prima persona per il conseguimento del risultato.
Un errore da «evitare è quello di affidare la realizzazione del progetto
all’amministrazione provinciale. È indispensabile stabilire buoni rapporti con le
istituzioni politiche, ma è anche necessario assicurare l’indipendenza della fondazione
da ogni ingerenza da parte dei partiti.»(21
La procedura per l’istituzione di una fondazione di comunità locale prevede
dapprima la costituzione di un Comitato d’Onore e in seguito quella di un Comitato
Promotore.
).
2.1. Il Comitato d’Onore
Il primo step della procedura è la nomina di un Comitato d’Onore composto da
personaggi, particolarmente autorevoli e rappresentativi della comunità, disposti a
legare il proprio nome all’iniziativa e, quindi, in grado di farsi garanti della serietà del
progetto.
Di questo comitato fanno generalmente parte le autorità più importanti del
territorio come il Prefetto, il Rettore dell’Università, il Vescovo, ecc.. Nel caso della
prima fondazione comunitaria italiana istituita, quella di Lecco, il Comitato si insediò
nei locali della Prefettura.
La prima incombenza del Comitato d’Onore è quella di individuare i componenti
di un Comitato Promotore cioè di una struttura operativa che possa concretamente
procedere all’elaborazione del progetto in quanto è ipotizzabile che i componenti del
Comitato d’Onore essendo autorità pubbliche oberate da impegni ben difficilmente
avrebbero il tempo di lavorare alla preparazione del progetto.
Il Comitato d’Onore dovrà comunque fornire la massima assistenza al Comitato
Promotore anche mettendo a disposizione una segreteria che possa coordinare il lavoro
di tutti i componenti.
(21) CASADEI B., Fondazioni di origine bancaria e società civile. Un progetto sulle fondazioni delle comunità locali, op. cit., pag. 84.
CAPITOLO QUARTO
116
2.2. Il Comitato Promotore
I membri del Comitato Promotore sono scelti sulla base dei seguenti requisiti:
− credibilità e probità personale
−
;
provenienza geografica
−
poiché i componenti dovrebbero farsi portatori delle istanze
provenienti dalle diverse comunità in cui si articola il territorio provinciale;
conoscenze tecnico-professionali possedute
I compiti del Comitato Promotore sono essenzialmente i seguenti:
in quanto si cerca di inserire all’interno
del collegio soggetti con differenti competenze lavorative (avvocati, notai, professori
universitari, ecc.).
1) elaborare lo statuto;
2) individuare il primo Consiglio d’Amministrazione della costituenda fondazione;
3) preparare il piano strategico triennale che dovrà essere strutturato in almeno cinque
sezioni che sviluppino i seguenti temi:
• marketing e comunicazione;
• raccolta fondi;
• modalità di investimento del patrimonio raccolto(22
• politiche di erogazione dei contributi;
);
• problemi relativi alla gestione complessiva della fondazione locale.
4) predisporre un bilancio triennale delle spese operative della fondazione riportante
sia le entrate che le uscite;
5) individuare una sede opportunamente arredata e il personale sia volontario sia
retribuito.
Alla luce dell’evidente complessità del progetto, è opportuno che il Comitato
Promotore crei delle sottocommissioni cioè dei gruppi di lavoro in grado di assisterlo
nell’elaborazione delle diverse parti del piano strategico. Questo sia per favorire il
(22) Al raggiungimento dell’«erogazione sfida», le fondazioni di comunità hanno provveduto a delineare i principi di fondo in base ai quali effettuare la gestione del patrimonio e degli investimenti. L’obiettivo principale è quello di gestire il patrimonio per incrementarlo e preservarne il valore di mercato. Le fondazioni hanno pertanto definito una assett allocation di medio/lungo termine ed introdotto un benchmark di riferimento per il rendimento degli impieghi. I criteri fondamentali cui fare riferimento nella scelta degli investimento sono i seguenti: 1) orizzonte temporale del proprio investimento; 2) tolleranza per il rischio di perdita: quanto e su quale orizzonte; 3) osservanza ai dettami statutari o regolamenti interni; 4) obiettivi di liquidità dell’investimento per le necessità di erogazione. Vds. sul punto il Regolamento per gli impieghi del patrimonio della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
117
coinvolgimento più ampio possibile della società civile, che è il requisito principale del
successo dell’operazione, sia perché questi gruppi di lavoro potranno successivamente
continuare la loro opera di assistenza anche dopo la costituzione dell’ente.
Il piano predisposto dal Comitato Promotore dovrà essere fatto proprio dal
Comitato d’Onore e approvato dalla Fondazione-madre, e il relativo contenuto dovrà
essere portato a conoscenza della comunità locale attraverso seminari e convegni.
Al termine della procedura di costituzione, il Comitato Promotore si trasforma nel
primo Consiglio d’Amministrazione della fondazione.
Nel caso della “Fondazione della provincia di Lecco”, il Comitato d’Onore ha
proposto i nominativi dei membri del Comitato Promotore alla Fondazione Cariplo che
ha proceduto alla designazione, quali consiglieri d’amministrazione, in sede di
costituzione della fondazione.
Alla scadenza del mandato triennale, alla Fondazione Cariplo si è sostituito nella
designazione dei consiglieri il Comitato d’Onore, ridenominato Comitato di Nomina.
L’ultima fase è la costituzione formale della fondazione, da iscriversi presso il
registro regionale e rientrante nella categoria delle ONLUS.
3. I SETTORI DI INTERVENTO(23)
I due terzi delle fondazioni di comunità italiane sono state costituite come ONLUS.
Il quadro normativo di riferimento è definito dal decreto legislativo 4 dicembre 1997, n.
460 “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.
L’appartenenza alla categoria delle ONLUS garantisce precisi vantaggi di ordine
fiscale sia all’ente non profit sia a chi esegue donazioni in suo favore, tuttavia, questo
implica che i settori di intervento dell’organizzazione sono limitati ex art. 10
“Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, comma 1, lettera a), esclusivamente ai
seguenti:
1) assistenza sociale e socio-sanitaria(24
(23) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit.,
pagg. 139 e 154.
);
CAPITOLO QUARTO
118
2) assistenza sanitaria;
3) beneficenza;
4) istruzione;
5) formazione;
6) sport dilettantistico;
7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico(25
8) tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente,
);
9) promozione della cultura e dell’arte(26
10) tutela dei diritti civili;
);
11) ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni
ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni.
Le ONLUS devono, inoltre, rispettare anche i sottoindicati vincoli:
− l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale;
− il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione;
− l’uso, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione
rivolta al pubblico, della locuzione «organizzazione non lucrativa di utilità sociale» o
dell’acronimo «ONLUS».
(24) In questo settore ad esempio «sono state sostenute iniziative a favore di famiglie in difficoltà
(percorsi di sostegno ed accompagnamento, la creazione di reti solidali tra nuclei affini, sussidi scolastici) e progetti rivolti alle problematiche connesse alla disabilità (inserimento lavorativo, attività per il tempo libero, momenti di sollievo per le famiglie, sviluppo di percorsi di vita autonoma, laboratori di artiterapia). È stato dedicato un bando all’assistenza domiciliare ed alle dimissioni protette col quale sono state individuate iniziative volte ad agevolare la cura di persone malate o non autosufficienti presso il proprio domicilio attraverso la fornitura di attrezzature specifiche, l’assistenza nella somministrazione di cibo, spazi di ascolto ed orientamento per i familiari, la promozione di reti solidali.»: FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Relazione sociale 2010, Monza, pag. 7, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org.
(25) La fondazione ha contribuito a progetti di «valorizzazione del patrimonio storico ed artistico quali attività di catalogazione ed archivio di documenti storici; visite guidate nel territorio rivolte ai giovani; interventi di restauro conservativo.»: IBIDEM, op. cit., pag. 8.
(26) Per quanto riguarda il settore cultura «sono state sostenute iniziative volte a favorire coesione sociale ed occasioni di aggregazione della Comunità: festival di musica antica, blues, jazz e da camera; un concorso pianistico di respiro internazionale; laboratori vocali e teatrali per i più giovani.»: IBIDEM, op. cit., pag. 8.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
119
4. L’ACCOUNTABILITY(27)
Nelle aziende non profit è di fondamentale importanza il concetto di
accountability con il quale si indica «l’esigenza, sentita da chi governa le aziende non
profit, di dover render conto delle performance ottenute nel caso in cui si utilizzano
risorse non proprie. Più precisamente, il focus è sull’importanza che assume un
comportamento orientato alla trasparenza, alla rendicontabilità degli obiettivi e dei
risultati realizzati sotto il profilo economico-sociale.»(28
L’oggetto dell’accountability nelle organizzazioni non profit attiene al «valore
sociale creato» e alle modalità con cui viene perseguita la mission per cui l’ente è stato
costituito.
).
Il termine accountability(29
) richiama l’attenzione degli amministratori delle
aziende non profit all’adozione, nella gestione, di comportamenti:
responsabili
− accountability obbligatoria che fa riferimento a puntuali disposizioni normative
che impongono determinate forme di comunicazione;
e questo esige la necessità di dover rendere conto all’esterno
sull’utilizzo delle risorse e sui risultati conseguiti. In quest’ottica l’accountability si
può suddividere in due categorie:
− accountability volontaria che fa riferimento a documenti informativi che vengono
predisposti, autonomamente e volontariamente, dalle aziende non profit per
comunicare con i propri stakeholders;
informativi
(27) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto,
Giappichelli, Torino, 2007, pagg. 66-69.
che trovano il loro fondamento in un sistema di comunicazione interna ed
esterna. In quest’ottica l’accountability si può suddividere in due tipologie:
(28) Per Matacena l’accountability «esprime la responsabilità informativa dell’azienda medesima e sostanzia quel sistema di comunicazioni, interne ed esterne, che nella trasparenza e nel controllo d’esito trovano la loro piena conformazione; accountability da intendersi sinteticamente come esigenza […] del dover render conto dei risultati ottenuti nel caso si utilizzino risorse non proprie»: MATACENA A., La responsabilità sociale e la comunicazione sociale nelle aziende non profit, in HINNA L. (a cura di), Il Bilancio sociale, Il Sole 24 Ore, Milano, 2002, pag. 146.
(29) Per creare «un clima di fiducia all’interno della collettività/comunità di riferimento […] occorre che l’attività dell’Enp sia trasparente e coerente con le decisioni intraprese (accountable). Nella […] Relazione di missione, l’Enp deve dare prova della propria attenzione alle regole di responsabilità nei confronti della collettività di riferimento (responsibility), indicando, laddove utile ai fini informativi e comunicativi, i livelli di efficacia ed efficienza raggiunti.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI e ORGANISMO ITALIANO DI CONTABILITÀ, Principi Contabili per gli Enti non profit, Principio n. 1: Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bilancio degli enti non profit, 20 maggio 2011, pagg. 11-12.
CAPITOLO QUARTO
120
− accountability esterna che è diretta a produrre le informazioni da destinare alle
diverse categorie di stakeholders affinché possa attuarsi un controllo sulle
decisioni di impiego delle risorse, sui risultati conseguiti e sul conseguimento
della mission;
− accountability interna che è diretta a supportare il management aziendale nelle
decisioni sull’allocazione e sull’impiego delle risorse;
trasparenti
− trasparenza istituzionale cioè la possibilità di controllare l’efficacia delle azioni
svolte rispetto alle finalità perseguite;
che si realizzano mediante adeguate forme e strumenti di comunicazione.
In quest’ottica le informazioni dovrebbero assicurare la:
− trasparenza gestionale cioè la possibilità di controllare l’osservanza dei vincoli
economici;
− trasparenza amministrativa cioè la possibilità di controllare l’osservanza delle
disposizioni di legge.
La comunicazione riveste, quindi, per le organizzazioni non profit un ruolo
strategico essenziale per favorire la legittimazione sociale, la fiducia degli stakeholders
di riferimento e la raccolta delle risorse finanziare.
Anzi dovrebbe essere proprio la natura etica delle aziende non profit «ad
implicare un’informativa esterna volta ad illustrare, in modo trasparente ed esaustivo,
quale uso gli amministratori abbiano fatto delle risorse a vario titolo gestite e quali
risultati istituzionali essi abbiano così raggiunto»(30
).
4.1. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa civilistica(31
Il codice civile non prevede per le organizzazioni non profit di cui al libro I
particolari obblighi contabili, come è invece previsto per le imprese commerciali ex art.
2214 cod. civ..
)
La normativa civilistica non impone alle fondazioni di redigere il bilancio
d’esercizio. Tuttavia, questo vincolo emerge implicitamente dagli artt. 25(32) e 28(33
(30) TIEGHI M., Le fondazioni. Obiettivi finalizzanti, sistema informativo e bilancio di esercizio, op.
cit., pag. 183.
)
(31) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit., pagg. 83-86.
(32) Art. 25 cod. civ. “Controllo sull’amministrazione delle fondazioni”:
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
121
cod. civ. poiché l’autorità governativa per poter effettuare il controllo e la vigilanza
sugli enti deve potersi avvalere di atti formali.
Per le fondazioni la redazione del bilancio d’esercizio può essere resa obbligatoria
dalle norme statutarie. Queste disposizioni, però, richiedono esclusivamente che siano
predisposti e approvati un bilancio preventivo e un bilancio consuntivo(34
Le fondazioni sono tenute alla redazione delle scritture contabili limitatamente
allo svolgimento di attività strumentali di tipo commerciale.
).
Determinati obblighi contabili sono previsti esclusivamente per particolari
tipologie di aziende non profit disciplinate da leggi speciali.
Ad esempio le fondazioni bancarie, ai sensi del D.Lgs. 153/1999, sono tenute alla
redazione del bilancio d’esercizio costituito dai documenti previsti dall’art. 2423 cod.
civ.(35
«L’autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull’amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell’atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all’atto di fondazione, all’ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l’amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge.
) e seguenti. Inoltre il decreto Ciampi ha imposto alle fondazioni bancarie di
L’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima. Le azioni contro gli amministratori per fatti riguardanti la loro responsabilità devono essere autorizzate dall’autorità governativa e sono esercitate dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori.».
(33) Art. 28 cod. civ. “Trasformazione delle fondazioni”: «Quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto insufficiente, l’autorità governativa, anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore. La trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell’atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione dei beni a terze persone. Le disposizioni del primo comma di questo articolo e dell’articolo 26 non si applicano alle fondazioni destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate.».
(34) A titolo di esempio possiamo fare riferimento alle seguenti norme dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, sul sito www.fondazione.mantova.it: − art. 10 “Poteri”: «Spetta al Consiglio di Amministrazione: […] redigere ed approvare, entro il mese
di novembre, il bilancio preventivo dell’anno successivo, ed entro il mese di aprile il bilancio consuntivo dell’anno precedente»;
− art. 16 “Bilancio”: «Gli esercizi decorrono dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno. Il Bilancio dovrà rispondere ai requisiti della chiarezza e della completezza e dovrà essere accompagnato da Relazioni del Consiglio di Amministrazione e del Collegio dei Revisori.».
(35) Art. 2423 cod. civ. “Redazione del bilancio”: «Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio.».
CAPITOLO QUARTO
122
illustrare, in un’apposita sezione della relazione sulla gestione, gli obiettivi sociali
perseguiti dall’ente e gli interventi realizzati.
4.2. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa fiscale(36
L’art. 25-bis(
) 37
− redigere le scritture contabili, finalizzate a rilevare le operazioni della gestione, che
costituiranno le informazioni su cui costruire il bilancio di esercizio;
) del D.P.R. 600/1973, introdotto dal D.Lgs. 460/1997, ha
apportato rilevanti modifiche nella rendicontazione delle ONLUS che è la forma assunta
dalla maggior parte delle fondazioni di comunità.
Il nuovo articolo stabilisce che le ONLUS debbano:
− sottoporre il bilancio d’esercizio a controllo esterno qualora i proventi dell’ente
superino per due anni consecutivi l’ammontare di due miliardi di lire.
Inoltre l’art. 14, comma 2(38
(36) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit.,
pagg. 86-89. (37) Art. 20-bis “Scritture contabili delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”:
), del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, stabilisce,
ai fini della deducibilità fiscale delle donazioni effettuate a loro favore, che le ONLUS
tengano un sistema di scritture contabili e redigano il bilancio d’esercizio.
1. «Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) […], a pena di decadenza di benefici fiscali per esse previsti, devono: a) in relazione all’attività complessivamente svolta, redigere scritture contabili cronologiche e
sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare adeguatamente in apposito documento, […], la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali, con obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall’articolo 22;
b) in relazione alle attività direttamente connesse tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui agli articoli 14, 15, 16 e 18; […].
2. Gli obblighi di cui al comma 1, lettera a), si considerano assolti qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro degli inventari, […].
5. Qualora i proventi superino per due anni consecutivi l’ammontare di due miliardi di lire, […], il bilancio deve recare una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori contabili.».
(38) Art. 14, comma 2, “ONLUS e terzo settore”: «Costituisce in ogni caso presupposto per l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 la tenuta, da parte del soggetto che riceve le erogazioni, di scritture contabili atte a rappresentare con completezza e analiticità le operazioni poste in essere nel periodo di gestione, nonché la redazione, entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio, di un apposito documento che rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale, economica e finanziaria.».
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
123
4.3. La classificazione dei bilanci «etici»(39
I principali modelli di rendicontazione sociale si ricollegano alle diverse
macrocategorie in cui sono suddivisi i settori economici: profit, non profit e pubblica
amministrazione.
)
I documenti per la rendicontazione sociale variano per forma, contenuto e finalità,
in funzione delle caratteristiche dei settori economici, della forma e dello scopo di ogni
organizzazione che vi opera in quanto si modificano da categoria a categoria, le
esigenze, gli orientamenti e gli strumenti.
L’azione socialmente responsabile si colloca nello «spazio del comportamento
etico» cioè quello spazio che accoglie le azioni delle organizzazioni e degli individui
che si rifanno a principi etici non espressamente richiesti dalle norme giuridiche.
Tuttavia, il significato di spazio etico si perde quando vengono presi in
considerazione i settori del non profit e della pubblica amministrazione che sono etici
per definizione e in cui «l’opzione etica» diventa un «dovere etico».
profit non profit pubblica amministrazione
esigenza dimostrare il proprio livello di responsabilità sociale
legittimazione sociale ri-legittimazione politica presso i cittadini
orientamento alla RSI(40 misurare la coerenza tra risultati e missione
) nuova accountability (RSP)(41)
strumento bilancio sociale bilancio di missione bilancio di ricaduta sociale
FIG. 4.2 – La coniugazione della rendicontazione sociale nei tre settori economici.
(39) DI GIANDOMENICO M. E., Il bilancio sociale e il modulo aziendale etico, Giuffrè, Milano,
2008, pagg. 293-296. (40) Responsabilità Sociale di Impresa. (41) Rendicontazione Sociale Pubblica.
CAPITOLO QUARTO
124
La ragione di ciò è da ricercarsi nel fatto che in queste organizzazioni il fine
sociale coincide con lo scopo istituzionale (pubblica amministrazione) o statutario (non
profit). Quindi le loro azioni sono comunque etiche a prescindere che gli sia richiesto
per legge o meno.
Le organizzazioni non profit e quelle pubbliche non utilizzano la rendicontazione
sociale per dimostrare il livello di responsabilità sociale raggiunto, ma ai fini della loro
legittimazione sociale presso i soggetti con cui vengono in contatto o a cui fanno
riferimento.
Gestione caratteristica
Gestione extra-caratteristica
società
Bilancio di missione
dipendenti-soci azienda
azionisti società
Bilancio sociale
Bilancio d’esercizio
dipendenti impresa
FIG. 4.3 – Il posizionamento della rendicontazione sociale in una struttura non profit e in una for profit e i soggetti destinatari del valore creato.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
125
Quello della pubblica amministrazione è specificatamente un tentativo di
riavvicinamento alla collettività (ri-legittimazione) dopo la crisi politica degli anni
novanta. Nel settore non profit invece l’asimmetria informativa che esiste tra produttori
ed erogatori di servizi, determina la necessità per le organizzazioni non lucrative di
essere trasparenti attraverso l’impiego di sistemi di accountability che misurino la
coerenza tra la mission e l’operatività della gestione.
Sulla base di questi elementi possiamo quindi suddividere i bilanci in tre
categorie:
BILANCIO SOCIALE. Il bilancio sociale(42) è il documento redatto dall’azienda for
profit che vuole sviluppare «l’opzione etica» e che accanto ai risultati economico-
finanziari rendicontati nel bilancio vuole illustrare anche gli outcome(43
) sociali della
gestione;
BILANCIO DI MISSIONE
. Il bilancio di missione è il documento redatto dall’azienda
non profit che deve dimostrare come sia stata perseguita la mission prevista dallo
statuto;
BILANCIO DI RICADUTA SOCIALE
. Il bilancio di ricaduta sociale è il documento redatto
dalle pubbliche amministrazioni che devono documentare oltre all’efficienza anche
l’efficacia della loro gestione cioè misurare l’outcome che devono produrre.
(42) Il bilancio sociale è un «dispositivo di rendicontazione che, oltre ai numeri contenuti nel
classico bilancio d’esercizio, illustra le responsabilità, i comportamenti e i benefici diretti e indiretti (risultati sociali, ambientali ecc.) conseguenti alle attività svolte da un’organizzazione nel periodo di riferimento.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 62.
(43) «Il valore aggiunto, quale sintesi dei flussi patrimoniali economici, da solo non basta a dar conto della complessità delle aziende no profit nei termini più volte ripetuti di molteplicità e di eterogeneità di relazioni con i sistemi ambientali. […] L’insufficienza espressiva dei flussi patrimoniali economici riguarda, in prima approssimazione, le relazioni tra le aziende no profit e gli utenti finali dei beni e/o servizi prodotti, alle quali sono sottesi interessi più direttamente economici, e, in seconda approssimazione, le relazioni tra le predette aziende e tutti i soggetti esterni coinvolti dalla loro attività amministrativa, compresa la collettività in generale, alle quali sono sottesi interessi meno direttamente economici. […] nelle aziende no profit assumono maggiore rilievo le consistenze di risorse non patrimoniali rispetto a quelle patrimoniali perché tali aziende finalizzano la gestione economica di servizi al benessere di soggetti esterni. Le variazioni della consistenza di benessere economico e sociale costituiscono i flussi non patrimoniali che originano dagli svolgimenti delle attività aziendali […] è possibile trattare distintamente i flussi delle esternalità […] I primi di tali flussi, denominabili appunto benefici e sacrifici sociali esterni, esprimono in sintesi l’outcome economico, cioè gli effetti sull’ambiente che derivano da quelli patrimoniali omonimi, ancorché non siano sempre coincidenti con essi, e sono passibili di quantificazione monetaria; i secondi, denominabili allo stesso modo, invece, esprimono in sintesi l’outcome sociale, cioè gli omonimi effetti sull’ambiente dell’attività amministrativa delle aziende no profit, e sono prevalentemente passibili di quantificazione non monetaria e di varia qualificazione.»: GUZZO G., Le aziende no profit, FrancoAngeli, Milano, 2010, pagg. 174-176.
CAPITOLO QUARTO
126
4.4. Il bilancio di missione(44
Il bilancio è quel «documento che, attraverso una visione d’insieme
dell’andamento gestionale, si pone la finalità di soddisfare le legittime esigenze
informative dei portatori di interessi aziendali rispetto all’attività dell’organizzazione,
mettendoli in grado […] di assumere delle decisioni razionali nei confronti
dell’organizzazione stessa.»(
)
45
Il bilancio d’esercizio presenta un elevato grado di sinteticità e unitarietà che lo
rendono idoneo a svolgere la funzione di «vettore di informazioni» nei riguardi di
numerosi soggetti, direttamente o indirettamente, collegati all’azienda. Tuttavia, il
bilancio contabile è uno strumento d’analisi monodimensionale cioè basato
esclusivamente su valori economico-finanziari (dati quantitativi) e non è in grado,
perciò, di rappresentare la complessità dell’azione aziendale e allo stesso tempo di
soddisfare le esigenze informative di tutti gli stakeholders(
).
46
Poiché nel contesto moderno sono aumentate le relazioni informative che le
organizzazioni intrattengono con l’ambiente, è emersa la necessità di costruire uno
strumento d’analisi multidimensionale(
).
47) cioè basato su dati qualitativi, quantitativi e
descrittivi. Il rendiconto sociale o «rendiconto “istituzionale” o “etico” o “bilancio di
missione” […] costituisce un documento che, pur avendo una propria autonomia
informativa, va ad integrare il sistema informativo di bilancio»(48
Il bilancio di missione (o rendiconto «istituzionale») è il bilancio sociale delle
aziende non profit ed è «il documento cui spetta il compito di illustrare come sia stata
perseguita la mission indicata nello statuto e la performance conseguita
dall’organizzazione sotto il profilo istituzionale.».
), ed è lo strumento
che consente di comunicare quali sono i risultati conseguiti da una istituzione dal punto
di vista dell’utilità sociale.
In particolare il bilancio di missione svolge una duplice funzione:
(44) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit., pagg. 135-138.
(45) GIORDANO F., Il bilancio sociale come strumento di accountability delle aziende non profit, in BANDINI F., Economia e management delle aziende non profit e delle imprese sociali, Cedam, Padova, 2009, pag. 159.
(46) MAGGI D. - GIORDANO F., Il Bilancio di missione, in MAGGI D., Il Bilancio di missione delle aziende non profit, Giuffrè, Milano, 2008, pag. 50.
(47) GIORDANO F., Il bilancio sociale come strumento di accountability delle aziende non profit, op. cit., pag. 160.
(48) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit., pag. 126.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
127
strumento informativo esterno
. In questo caso il documento di missione informa gli
stakeholders sulle modalità con cui sono state impiegate le risorse nelle attività
istituzionali e sui benefici sociali prodotti in termini di beni e servizi erogati e
progetti realizzati. Di conseguenza consente la riduzione dei differenziali informativi
tra gli stakeholders favorendo il consenso e la legittimazione sociale;
strumento organizzativo e gestionale
consente agli amministratori di controllare se gli obiettivi dichiarati sono stati
effettivamente realizzati;
. In questo ruolo il documento sociale:
migliora lo scambio informativo tra le diverse aree organizzative;
permette di controllare il posizionamento dell’organizzazione rispetto alle attese
dei portatori di interessi;
favorisce la coesione delle persone all’interno dell’azienda(49
è di grande utilità nei processi di adattamento organizzativo(
); 50
Il bilancio di missione, secondo la proposta di autorevole dottrina (Luciano
Hinna), è suddiviso in due sezioni:
).
nella prima sezione è indicato «cosa vuole fare» l’organizzazione e «come intende
operare» per raggiungere i suoi scopi. Sono chiarite in modo particolare:
la mission aziendale. Le informazioni che vengono fornite riguardano l’identità
aziendale cioè i settori d’intervento, le linee di azione, i valori, l’assetto giuridico
e gli organi istituzionali;
i principi e i valori che orientano le scelte e la gestione. Le informazioni che
vengono fornite attengono alla gestione cioè al modello operativo, all’assetto
organizzativo, ai processi e alle attività;
nella seconda sezione sono illustrati i «fatti intesi come risultati ottenuti». In questa
parte vengono rappresentate le iniziative e i progetti realizzati e sono identificati i
portatori d’interessi di riferimento. Inoltre per ogni progetto vengono fornite
informazioni sui risultati ottenuti in relazione agli stakeholders coinvolti.
Il documento di missione è quindi indirizzato a dimostrare la coerenza delle scelte
relative alla governance, ai progetti intrapresi e ai risultati conseguiti, con la mission
dichiarata.
Il bilancio di missione deve garantire:
(49) MAGGI D. - GIORDANO F., Il Bilancio di missione, op. cit., pag. 67. (50) IBIDEM, op. cit., pag. 66.
CAPITOLO QUARTO
128
in primo luogo: la trasparenza dell’operato dell’organizzazione e quindi deve
rappresentare uno strumento di comunicazione con cui creare un rapporto duraturo
con la comunità di riferimento;
in secondo luogo: il controllo sociale da parte delle diverse categorie di stakeholders
che possono anche interagire con l’organizzazione attraverso processi di feedback e
proposte di miglioramento.
4.5. Il “rapporto annuale” delle fondazioni di comunità
Le norme statutarie stabiliscono che le fondazioni di comunità redigano il bilancio
d’esercizio che «deve essere accompagnato da una relazione che illustri l’attività nel suo
complesso e l’andamento della gestione nei vari settori in cui la fondazione ha operato,
anche con riferimento alle singole erogazioni effettuate nell’esercizio. La relazione deve
anche esplicitare la politica degli investimenti e accantonamenti. Alla relazione deve
essere allegato l’elenco completo dei soggetti che hanno beneficiato dei contributi e
delle erogazioni effettuate in qualsiasi forma dalla Fondazione con l’indicazione
dell’importo delle singole erogazioni.»(51
L’attività erogativa effettuata dalle fondazioni di comunità è quindi rendicontata
in un documento che prende il nome di “rapporto annuale” e che è la versione
divulgativa del bilancio di missione. Il “rapporto annuale” che è denominato anche
“relazione sociale” rappresenta il principale strumento per illustrare l’operato delle
fondazioni comunitarie.
).
5. UN MODELLO ITALIANO DI COMMUNITY FOUNDATION?(52)
La fondazione di comunità è un’organizzazione grant-making che:
1) «mira a migliorare la qualità della vita di tutte le persone presenti in una determinata
area geografica;
2) è indipendente da controlli o influenze di altre organizzazioni, governi o donatori;
(51) Art. 16, comma 3, “Bilancio” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA,
Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org. (52) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit.,
pagg. 137-144.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
129
3) fa donazioni ad altre organizzazioni no profit per soddisfare una varietà di bisogni
emergenti nella comunità di riferimento;
4) cerca di costituire delle risorse permanenti per la comunità, molto spesso attraverso
la creazione di fondi sovvenzionati da differenti donatori, cittadini, imprese, governi,
altre fondazioni e soggetti no profit;
5) fornisce servizi ai donatori per aiutarli a raggiungere i loro fini filantropici;
6) intreccia collaborazioni e agisce quale mediatore per risolvere problemi ed elaborare
soluzioni alle questioni più importanti per la comunità;
7) opera con politiche aperte e pratiche trasparenti;
8) informa regolarmente la comunità circa le sue proposte, le attività e la sua situazione
finanziaria.».
In conformità a questi standard internazionali di riferimento, la domanda alla
quale dobbiamo rispondere è se le fondazioni di comunità italiane presentino dei
caratteri specifici che ci possano far parlare di un modello italiano di community
foundations.
A) AREA DI INTERVENTO. Le fondazioni di comunità operano in un’area geografica
delimitata, rappresentata dalla regione o dalla provincia in cui sono state fondate e
la loro denominazione e il logo identificano la città e/o la regione che sono oggetto
dei loro interventi. La maggior parte di esse ha assunto la qualifica di ONLUS e
quindi le loro attività sono quelle previste dal decreto legislativo 4 dicembre 1997,
n. 460(53
B) ATTIVITÀ EROGATIVA. Le fondazioni di comunità erogano principalmente alle
organizzazioni non profit locali e cercano di individuare i settori di intervento in
base ad una analisi precisa delle esigenze del territorio. Tuttavia anche gli enti
ecclesiastici e gli enti pubblici possono beneficiare di erogazioni(
) anche se alcune di esse individuano alcuni settori prioritari d’intervento.
Le fondazioni comunitarie generalmente non effettuano un’attività di verifica
dell’attuazione dei progetti finanziati e il controllo si limita all’analisi della
rendicontazione delle spese sostenute.
54
(53) Cfr. supra capitolo IV, paragrafo 3.
). La
(54) Art. 2 “Scopo” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org: «L’attività di beneficenza sarà attuata: − direttamente a favore di soggetti svantaggiati;
CAPITOLO QUARTO
130
“Fondazione Comunitaria della Riviera dei Fiori”(55) e la “Fondazione della
Comunità di Mirafiori”(56
C)
) realizzano anche progetti propri secondo un modello di
operating community foundation che è diffuso soprattutto in Germania.
SERVIZI AI DONATORI
D)
. Tutte le fondazioni offrono diversi servizi ai donatori idonei
ad agevolare la raccolta di risorse in particolare mediante la costituzione di una
molteplicità di fondi.
INDIPENDENZA. Le fondazioni di comunità presentano un rapporto forte con i
soggetti promotori sia dal punto di vista economico sia per la presenza di
rappresentanti negli organi direttivi. Questi elementi si riscontrano in modo
particolare in quelle realtà che sono nate per gemmazione dalle fondazioni di
origine bancaria. Per quanto riguarda, invece, la presenza di rappresentanti delle
istituzioni pubbliche, locali e nazionali, all’interno degli organi delle fondazioni;
diversi enti tra cui quelli di Lodi(57), Mantova(58), Riviera dei Fiori(59), Ponente
Ligure(60) e Centro Storico di Napoli(61
− indirettamente, tramite l’erogazione di fondi, a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale
(ONLUS) ed Enti pubblici che operano nei settori previsti dalla lett. a), art. 10, del D. Lgs. n. 460/97.».
), prevedono delle forme di incompatibilità.
(55) Art. 4 “Modalità di intervento” del Regolamento attività istituzionali della FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it: «Nell’ambito delle attività istituzionali, la Fondazione opera attraverso: 1. la concezione e la realizzazione di iniziative e progetti propri;».
(56) Art. 2 “Scopo” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it: «Per il perseguimento del proprio scopo, la Fondazione può realizzare progetti ed iniziative gestiti direttamente o indirettamente».
(57) Art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI LODI, Lodi, sul sito www.fondazionelodi.org: «Non possono essere nominati membri del Consiglio di Amministrazione coloro che: − si trovino in una delle condizioni previste dall’art. 2382 del Codice Civile; − siano dipendenti in servizio della Fondazione o abbiano con essa un rapporto di collaborazione
remunerato; − ricoprano la carica di Parlamentare Europeo, Parlamentare Nazionale, membro del Governo o della
Corte Costituzionale; − siano membri di altri organi costituzionali o di rilevanza costituzionale o di organi dell’Unione
Europea e della Magistratura ordinaria o speciale; − ricoprano la carica di Consigliere Regionale della Lombardia, Consigliere Provinciale della Provincia
di Lodi ovvero siano componenti delle giunte regionali, provinciali, comunali o amministratori di altri enti locali territoriali.».
(58) Art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it: «L’incarico di membro del Consiglio di Amministrazione è incompatibile con qualsiasi altra carica pubblica o politico-associativa rivestita al momento della nomina o da meno di tre anni. La candidatura a ricoprire dette cariche produrrà immediata decadenza dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione.».
(59) Art. 10 “Ineleggibilità, decadenza ed esclusione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it: «Non possono far parte del Consiglio di Amministrazione coloro che:
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
131
E) STRATEGIE DI INCREMENTO DEL PATRIMONIO. Le fondazioni di comunità hanno
elaborato diverse strategie di incremento del patrimonio in particolare attraverso
l’istituzione di fondi o il cosiddetto bando “con raccolta”(62
F) CAPACITÀ DI LEADERSHIP. La creazione di una rete sociale duratura dipende dalle
capacità di leadership delle fondazioni di comunità. Le fondazioni di comunità
italiane pur esercitando un’azione di coordinamento dei soggetti sociali presenti
nella comunità, di fatto non hanno ancora assunto un ruolo di leadership
consistente. Inoltre non esiste una rete nazionale delle fondazioni comunitarie né
uno scambio consolidato di informazioni ed esperienze tra le stesse.
). Una tecnica
particolare per ampliare il patrimonio è stata elaborata dalla fondazione di Pavia
che procede all’assorbimento di altre fondazioni operanti sul territorio che non
hanno più capacità operativa, mentre in altri casi si è fatto riferimento a soggetti del
luogo particolarmente ricchi come le banche.
G) ATTIVITÀ INFORMATIVA. Tutte le fondazioni di comunità informano regolarmente la
comunità, prevalentemente attraverso il proprio sito web istituzionale, in ordine alle − si trovino in una delle condizioni previste dall’art. 2382 del Codice Civile; − siano dipendenti in servizio della Fondazione o abbiano con essa un rapporto di collaborazione
remunerato; − ricoprano il ruolo di Parlamentare Europeo, Parlamentare Nazionale, di membro del Governo o della
Corte Costituzionale; − siano membri di altri Organi costituzionali o di rilevanza costituzionale o di Organi della Unione
Europea e della Magistratura ordinaria e speciale; − ricoprano il ruolo di Consigliere Regionale, Consigliere Provinciale e Consigliere dei Comuni della
provincia di Imperia con oltre 500 residenti, ovvero siano componenti delle Giunte Regionali, Provinciali o dei Comuni della provincia di Imperia con oltre 500 residenti.».
(60) Art. 17 “Ineleggibilità, decadenza ed esclusione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org: «Non possono far parte del Consiglio di Indirizzo coloro che: − si trovino in una delle condizioni previste dall’art. 2382 del Codice Civile; − siano dipendenti in servizio della Fondazione o abbiano con essa un rapporto di collaborazione
remunerato; − ricoprano il ruolo di Parlamentare Europeo, Parlamentare Nazionale, di membro del Governo o della
Corte Costituzionale; − siano membri di altri Organi costituzionali o di rilevanza costituzionale o di Organi della Unione
Europea e della Magistratura ordinaria e speciale; − ricoprano il ruolo di Consigliere Regionale, Consigliere Provinciale e Consigliere dei Comuni della
provincia di Savona con oltre 500 residenti, ovvero siano componenti delle Giunte Regionali, Provinciali o dei Comuni della provincia di Savona con oltre 500 residenti.».
(61) Art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE DI COMUNITÀ DEL CENTRO STORICO DI NAPOLI, Napoli, sul sito www.fondcomnapoli.it: «Non possono ricoprire l’incarico di membro del Consiglio di Amministrazione i Parlamentari, i Presidenti della Regione e della Provincia, i Consiglieri Regionali, Provinciali e Comunali, i Sindaci e i componenti delle Giunte Regionale e Comunale e i Segretari dei partiti politici. Ogni candidatura o nomina a ricoprire dette cariche comporterà immediata decadenza dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione.».
(62) Cfr. supra capitolo III, paragrafo 7.4.
CAPITOLO QUARTO
132
erogazioni effettuate, ai progetti intrapresi e alla situazione finanziaria. Tutte
mettono a disposizione il proprio statuto e i regolamenti e la maggior parte pubblica
anche i propri bilanci e il rapporto annuale.
Dall’esame effettuato emerge chiaramente che i soggetti promotori, in generale le
fondazioni di origine bancaria, hanno sviluppato un modello ben determinato di
fondazione di comunità tanto da poter parlare di uno specifico “modello italiano”.
Questa struttura presenta tre elementi caratterizzanti:
in primo luogo il forte radicamento territoriale. L’ambito geografico di intervento è
circoscritto al livello provinciale o infraprovinciale in quanto un’area più estesa
rischierebbe di inglobare comunità non omogenee;
in secondo luogo il collegamento con l’entità sorgente. Nonostante i geni
dell’indipendenza e dell’autonomia facciano parte del codice genetico delle
fondazioni di comunità, il collegamento tra soggetto promotore ed entità promosse
non viene mai meno. Questo legame può essere diretto, con la presenza nel Consiglio
d’Amministrazione o nel Comitato di Nomina, o indiretto, attraverso il sostegno
economico alle erogazioni;
in terzo luogo la tipologia di attività svolta. Le fondazioni di comunità svolgono
nella maggior parte dei casi esclusivamente attività granting.
6. LA PROCEDURA DI NOMINA DEI CONSIGLIERI DI AMMINISTRAZIONE
Le fondazioni di comunità hanno in media 14 consiglieri nel Consiglio di
Amministrazione o nel Consiglio di Indirizzo. I consiglieri sono nominati senza vincolo
di mandato e la carica è esercitata a titolo gratuito.
I componenti dell’organo di governo delle fondazioni sono eletti, ordinariamente,
da un Comitato di Nomina costituito dalle personalità civili e religiose di rilievo della
comunità.
Il funzionamento del Comitato di Nomina è disciplinato da un regolamento
emanato dal comitato stesso o dal Consiglio di Amministrazione(63
(63) Vds. ad esempio l’art. 9, comma 5, “Comitato di Nomina” dello Statuto della FONDAZIONE
DELLA COMUNITÀ SALERNITANA, Salerno, sul sito
).
www.fondazionecomunitasalernitana.it: «Il Comitato
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
133
Fondazione Mantovana Lodi Nord Milano Lecco Bergamasca Bresciana
№ membri CdA 11 da 9 a 21 da 7 a 15 9 da 11 a 19 27
Fondazione Cremona Monza e Brianza ProValtellina Pavia Novarese Comasca
№ membri CdA 9 da 9 a 15 15 da 9 a 15 da 11 a 15 11
Fondazione Ticino Olona Varesotto Verbano
Cusio Ossola Clodiense Riviera Miranese
Terra d’Acqua
№ membri CdA da 7 a 16 da 11 a 19 da 9 a 15 da 5 a 15 da 3 a 7 da 4 a 11
Fondazione Santo Stefano
Mirafiori (64
Riviera dei Fiori )
Savonese (65
Centro Storico Napoli ) Salernitana
№ membri CdA da 7 a 11 da 9 a 15 11 da 11 a 15 da 9 a 15 da 7 a 11
Fondazione Territorio di Cerea
Comunità Veronese
della Sinistra Piave
Comunità Vicentina Treviglio Valle
d’Aosta
№ membri CdA 7 da 15 a 18 10 da 9 a 15 da 7 a 11 da 11 a 21
Tuttavia, in alcuni casi, la nomina di un determinato numero di consiglieri è
attribuita direttamente ad alcune autorità pubbliche locali (Sindaco, Vescovo, Rettore
dell’Università, ecc.).
6.1. Il regolamento del Comitato di Nomina(66
Nel caso della “Fondazione della Comunità di Mirafiori”, il Comitato di Nomina,
in base all’art. 1, è composto dal Sindaco di Torino, dal Rettore dell’Università di
)
di Nomina opera sulla base di un regolamento predisposto dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione.», l’art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Monza, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org: «Il Comitato di Nomina opera sulla base di un regolamento elaborato dal Consiglio di Amministrazione.» e l’art. 10, comma 4, “Il Comitato di Nomina” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Legnano (MI), sul sito www.fondazioneticinoolona.it: «Il Comitato di Nomina opera secondo un regolamento approvato dal Comitato stesso, sentito il Consiglio di Amministrazione della Fondazione.».
(64) Art. 11 “Consiglio di Indirizzo” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it.
(65) Art. 15 “Consiglio di Indirizzo” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org.
(66) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Regolamento del Comitato di Nomina, Torino, 2008.
CAPITOLO QUARTO
134
Torino, dal Rettore del Politecnico di Torino, dal Presidente della Compagnia di San
Paolo, dall’Arcivescovo della Diocesi di Torino, dal Presidente della Camera di
Commercio di Torino e da un rappresentante del Comitato dei Fondatori.
Il Comitato di Nomina provvede a designare un Coordinatore dei lavori che
modera la riunione e redige il verbale della stessa che è conservato, in forma riservata,
presso la sede della Fondazione (art. 8).
La selezione dei membri del Consiglio di Indirizzo avviene tra persone
maggiorenni, senza pregiudizi penali, che siano state indicate:
dall’Associazione Miravolante (nel numero di 3);
dal Comune di Torino (nel numero di 3);
dalla Compagnia di San Paolo (nel numero di 2).
I citati enti predispongono delle rose di candidati in numero superiore di almeno
uno rispetto a quello dei membri in designazione.
Il Comitato di Nomina provvede inoltre, attraverso selezione diretta, alla nomina
dei sette consiglieri di sua competenza.
Il Comitato di Nomina non rende pubbliche le motivazioni delle proprie decisioni,
che sono insindacabili (art. 9).
Il Coordinatore, al termine della selezione dei candidati, comunica le designazioni
effettuate al Presidente del Consiglio di Indirizzo che ne dà proclamazione in apertura
della successiva riunione del Consiglio di Indirizzo medesimo.
6.2. La procedura di evidenza pubblica per l’elezione dei consiglieri di diretta
competenza delle diverse autorità pubbliche
Nell’ambito del Consiglio di Amministrazione o del Consiglio di Indirizzo delle
fondazioni di comunità, la nomina di un determinato numero di consiglieri è attribuita
direttamente ad alcune autorità pubbliche locali (Sindaco, Vescovo, Rettore
dell’Università, ecc.).
In particolare nel caso della fondazione:
Mantovana: 5 membri sono nominati dal Comitato dei Donatori mentre i rimanenti
sono designati nel numero di 1 dall’Ordinario Diocesano di Mantova, 1
dall’Associazione Industriali di Mantova, 1 dalla Fondazione Cariplo, 1 dai Rettori
dell’Università di Pavia e del Politecnico di Milano (d’intesa tra loro o, qualora
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
135
dovesse istituirsi un’Università in Mantova, dal Rettore di questa), 1 dal Presidente
dell’Ordine dei Medici della Provincia di Mantova (sentiti i Presidenti degli Ordini
Professionali della Provincia maggiormente interessati all’attività della Fondazione)
e 1 dal Presidente del Collegamento del Volontariato della Provincia di Mantova;
Bresciana: 19 consiglieri sono nominati dal Consiglio uscente, che ne sceglie almeno
dieci fra gli iscritti all’Albo dei Donatori(67
), e altri 8 sono designati nel numero di 1
dal Presidente della Fondazione Cariplo, 2 dal Presidente della Provincia di Brescia,
1 dal Vescovo della Diocesi di Brescia, 1 dal Sindaco del Comune di Brescia, 1 dal
Presidente dell’Associazione dei Comuni Bresciani, 1 dal Rettore dell’Università
degli Studi di Brescia e 1 dal Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore;
Nord Milano: un terzo dei componenti del Consiglio di Amministrazione è nominato
dal Comitato dei Donatori(68) fra coloro che sono stati attivi nell’Associazione Amici
della Fondazione del Nord Milano. A questi si aggiunge di diritto il Presidente
dell’Associazione Amici della Fondazione del Nord Milano a decorrere dal momento
in cui la stessa abbia almeno 250 soci(69
);
del Ticino Olona: fino ad un massimo di 4 Consiglieri sono nominati dal Comitato
degli Enti Locali(70
);
del Varesotto: il 30% dei consiglieri è designato dell’Assemblea dei Soci
Sostenitori(71
(67) Art. 17, comma 1, “Albo dei donatori” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ
BRESCIANA, Brescia, sul sito
);
www.fondazionebresciana.org: «Le finalità specifiche dei fondi e delle donazioni vengono trascritte in un apposito Albo unitamente alle generalità dei donatori che non intendono conservare l’anonimato nei modi e alle condizioni previste da specifico regolamento.».
(68) Art. 9, comma 1, “Il Comitato dei Donatori” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org: «Il Comitato dei Donatori è composto fino ad un massimo di 20 soggetti composto fra le persone fisiche viventi o le persone giuridiche esistenti, diverse dai Fondatori, che hanno maggiormente contribuito attraverso le loro donazioni alla vita della Fondazione.».
(69) Art. 10 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org.
(70) Art. 9 “Il Comitato degli Enti Locali” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Legnano (MI), sul sito www.fondazioneticinoolona.it: «1. Membri del Comitato degli Enti Locali sono quelle amministrazioni, non aventi la qualifica di Fondatori, che, entro il 30 settembre di ogni anno, abbiano donato o deliberato di donare, senza vincoli di destinazione, un contributo pari ad un importo fissato periodicamente dal Consiglio di Amministrazione e che per il primo triennio di attività della Fondazione sarà pari a 33 centesimi per ogni cittadino residente sul territorio di riferimento di ciascuna amministrazione.».
(71) Art. 12 “Assemblea dei Sostenitori” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL VARESOTTO, Varese, sul sito www.fondazionevaresotto.it: «Sono sostenitori tutti quei soggetti pubblici e privati che hanno partecipato con almeno € 25.822,84 all’incremento del patrimonio della Fondazione Comunitaria, e che non facciano parte del Comitato di Nomina di cui all’art. 8.».
CAPITOLO QUARTO
136
Salernitana: un consigliere è nominato dal Comitato dei Fondatori(72
);
della Riviera Miranese: 1 membro è eletto dall’Assemblea di Partecipazione(73
);
della Riviera dei Fiori
: i consiglieri sono designati nel numero di 1 dalla Provincia di
Imperia, 1 dal Vescovo della Diocesi di Albenga-Imperia, 1 dal Vescovo della
Diocesi di Ventimiglia-Sanremo, 1 dalla Camera di Commercio della Provincia di
Imperia, 1 dal Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Imperia, 1 dalla
Compagnia di San Paolo, 1 dalla Fondazione Carige (Fondazione Cassa di Risparmio
di Genova e Imperia), 1 dalla persona fisica privata che ha più donato alla
Fondazione nel periodo della Consigliatura in scadenza e 3 dal Consiglio di
Amministrazione, che li individua fra persone in possesso dei requisiti di onorabilità
e professionalità confacenti ai fini statutari;
del Ponente Savonese
: i consiglieri sono designati nel numero di 1 dal Presidente
della Provincia di Savona, 2 dai Sindaci dei Comuni membri della Fondazione, da un
minimo di 1 fino ad un massimo di 2 dal Vescovo della Diocesi di Savona-Noli, da
un minimo di 1 fino ad un massimo di 2 dal Vescovo della Diocesi di Albenga-
Imperia, 1 dalla Fondazione A. De Mari di Savona, 1 dalla Fondazione Carige, da un
minimo di 4 fino ad un massimo di 6 dalle persone giuridiche e fisiche private che
hanno contribuito al patrimonio e al fondo di gestione della Fondazione, con propria
deliberazione collegiale adottata a maggioranza;
della Valle d’Aosta
(72) Art. 9, comma 1, “Comitato dei Fondatori” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA
COMUNITÀ SALERNITANA, Salerno, sul sito
: un consigliere ciascuno è nominato dal Vescovo della Diocesi di
Aosta, dal Sindaco di Aosta, dal Presidente del Consorzio Enti Locali della Valle
d’Aosta, dal Presidente della Camera di Commercio valdostana delle imprese e delle
professioni, dal Rettore dell’Università della Valle d’Aosta, dalla Compagnia di San
www.fondazionecomunitasalernitana.it: «Il Comitato dei Fondatori è composto: a) da tutti i soggetti, pubblici e privati, che hanno costituito la Fondazione con la sottoscrizione di una
quota del fondo di dotazione iniziale (“Fondatori iniziali”); b) da tutti i soggetti, pubblici e privati, cui sia successivamente attribuita, dal Consiglio
d’Amministrazione, la qualifica di Fondatore (“Fondatori successivi”), che si impegnano a contribuire alla realizzazione degli scopi della Fondazione, costituendo, entro cinque anni, un fondo patrimoniale senza vincoli di destinazione, del valore minimo di 60.000 euro.».
(73) Art. 17 “Assemblea di Partecipazione” dello Statuto della FONDAZIONE RIVIERA MIRANESE, Dolo (VE), sul sito www.fondazionerm.org: «L’assemblea di partecipazione è costituita dagli aderenti e dall’Organo di Sorveglianza». Gli “aderenti” sono le persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private che, condividendo le finalità della Fondazione, contribuiscono al fondo di dotazione (patrimonio) oppure a quello di gestione mediante contributi in denaro. Mentre l’Organo di sorveglianza riunisce gli enti pubblici, territoriali e non, che hanno aderito alla Fondazione versando un contributo al fondo di dotazione (patrimonio) o di gestione.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
137
Paolo, dal Presidente dell’Ordine dei notai della Valle d’Aosta e dal Presidente
dell’Associazione per la Filantropia in Valle d’Aosta;
di Mirafiori: i consiglieri sono designati nel numero di 3 dall’Associazione
Miravolante, 3 dal Comune di Torino e 2 dalla Compagnia di San Paolo. Le norme
sull’elezione del Consiglio di Indirizzo sono in fase di aggiornamento/modifica(74
);
del Verbano Cusio Ossola
: i consiglieri sono scelti nel numero di 2 tra i dieci soggetti
viventi ed operanti che hanno maggiormente contribuito al patrimonio della
Fondazione e 2 sulla base delle candidature avanzate dalle organizzazioni del
Verbano Cusio Ossola più rappresentative nei settori di attività della fondazione
comunitaria;
del Centro Storico di Napoli
: la “Fondazione con il Sud” potrà nominare un suo
membro nel Consiglio di Amministrazione a partire dall’anno successivo al
completamento della raccolta fondi prevista nel Bando della stessa fondazione;
del Territorio di Cerea
: i consiglieri sono designati nel numero di 3 dal Consiglio
Comunale di Cerea (tra cui uno espressione della minoranza consigliare), 1
congiuntamente dal Terzo Settore (Istituto per Anziani Casa de Battisti, Cooperativa
Sociale Anderlini, Istituto Sacra famiglia, Associazione Piccola Fraternità), 1
congiuntamente dalle Associazioni di Cerea impegnate nel volontariato sociale, 1
espresso congiuntamente dalle rappresentanze dei quartieri ed 1 dal Comitato dei
Sostenitori;
Vicentina per la Qualità di Vita
La procedura di nomina richiede l’avvio di una selezione ad evidenza pubblica
che rispetti i criteri di trasparenza e pubblicità.
: i consiglieri sono nominati nel numero di 4
dall’Azienda ULSS N. 4 Alto Vicentino congiuntamente alla Conferenza dei Sindaci
del territorio della ULSS N. 4, 3 dalla Provincia di Vicenza e 2 dalla Camera di
Commercio di Vicenza;
(74) Il Segretario Generale della Fondazione della Comunità di Mirafiori, Dott.ssa Silvia Cordero,
ha rappresentato – nelle vie brevi il 13 gennaio 2012 e tramite posta elettronica – che lo statuto della fondazione è in corso di aggiornamento in particolare per quanto riguarda le norme sulla nomina del Consiglio di Indirizzo. La modifica si è resa necessaria per superare i problemi riscontrati nella nomina dei consiglieri derivanti in: − primo luogo dalla difficoltà di fare incontrare tutte le autorità che compongono il Comitato di Nomina
allo scopo di procedere alla designazione dei consiglieri; − secondo luogo dalla circostanza che le rimanenti nomine di diretta competenza delle diverse autorità
(Vescovo, Rettore dell’Università, ecc.) richiedono l’avvio di una procedura di selezione ad evidenza pubblica (presentazione e raccolta di candidature) che determina un rilevante allungamento dei tempi del procedimento di nomina.
CAPITOLO QUARTO
138
Il Sindaco ha la facoltà di nominare, designare e revocare i rappresentanti del
Comune presso altri enti, aziende e istituzioni in base all’art. 50, comma 8, decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali”(75
Nel caso della “Fondazione della Comunità di Mirafiori” al Sindaco di Torino
compete la nomina di 3 consiglieri. La procedura è disciplinata anche dall’art. 51 dello
statuto della Città di Torino(
).
76), dall’art. 82 del regolamento del Consiglio Comunale(77)
e dalla delibera di indirizzo nomine del Consiglio Comunale (78
(75) Art. 50, comma 8, “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”: «Sulla base
degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni.».
).
(76) Art. 51, commi 1 e 3, “Nomine dei rappresentanti del Comune”. CITTÀ DI TORINO, Statuto, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/amm_com/statuto: 1. «Le nomine e la revoca dei rappresentanti del Comune presso enti, istituzioni e aziende e società
spettano al Sindaco, che provvede con l'osservanza degli indirizzi deliberati dal Consiglio Comunale. Il Sindaco, nell'esercizio del proprio potere di nomina, deve tener conto delle disposizioni di legge per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle Amministrazioni.
3. Le nomine sono effettuate nel rispetto di criteri di trasparenza e pubblicità delle procedure, di competenza ed esperienza dei nominati, nonché di garanzia della rappresentanza degli interessi della Città.».
(77) Art. 82 “Nomina, designazione e revoca da parte del Sindaco dei rappresentanti del Comune”. CITTÀ DI TORINO, Regolamento del Consiglio Comunale, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/consiglio/regolamento: 1. «Il Sindaco nomina, designa e revoca i rappresentanti del Comune sulla base delle disposizioni
statutarie e regolamentari, e secondo gli indirizzi deliberati dal Consiglio Comunale a norma di legge. 2. Le nomine da effettuare nelle aziende speciali, istituzioni, società di capitali e consortili, istituti di
credito e loro enti di controllo o fondazioni, università, Politecnico, Teatro Stabile, musei, istituzioni culturali a rilevanza internazionale, fondazioni culturali, devono avvenire nel rispetto delle procedure di cui al comma successivo. Il Consiglio Comunale, con la deliberazione d’indirizzo di cui al comma 1, può stabilire l’applicazione della stessa procedura alle nomine in altri enti.
3. Il Sindaco deposita, almeno dieci giorni prima di procedere alla nomina, la dichiarazione di disponibilità ed il curriculum dei soggetti che intende nominare, dandone notizia scritta al Presidente del Consiglio Comunale ed ai capigruppo. Qualora il Presidente lo decida o capigruppo che rappresentino almeno un quarto dei consiglieri comunali lo richiedano entro i cinque giorni successivi alla comunicazione, la Conferenza dei Capigruppo, eventualmente integrata dalla commissione consiliare competente per materia, procede all’audizione pubblica dei candidati proposti dal Sindaco. Il verbale sintetico, o la registrazione delle eventuali audizioni ed ogni eventuale memoria scritta sulle candidature, devono essere rimessi al Sindaco almeno 48 ore prima della scadenza del termine per la nomina.
4. Per le nomine da effettuare in altri enti, il Sindaco deposita almeno cinque giorni prima della nomina il curriculum dei soggetti che intende nominare, dandone informazione scritta al Presidente del Consiglio Comunale ed ai capigruppo consiliari.
5. Quando il Sindaco procede ad una revoca, ne informa contestualmente il Presidente del Consiglio Comunale e i capigruppo.
6. Quando un rappresentante della Città rassegna le dimissioni, ne viene data immediata informazione al Presidente del Consiglio Comunale e ai capigruppo.».
(78) CITTÀ DI TORINO, Delibera di indirizzo nomine, Torino, 4 ottobre 1993, in http://www.comune.torino.it/amm_com/nomine/delibnomine.htm: «Annualmente, anche a mezzo stampa verrà pubblicato l’elenco di tutte le nomine da effettuare nell’anno seguente. Gli interessati potranno
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
139
Ogni anno il Comune pubblica, sui quotidiani locali e sul sito internet
istituzionale, l’elenco di tutte le nomine da effettuare nell’anno successivo.
Gli interessati possono presentare al Gabinetto del Sindaco una “dichiarazione di
disponibilità” alla nomina accompagnata da un curriculum vitae che contenga
l’indicazione dei requisiti professionali e scientifici relativi alla carica da ricoprire, le
esperienze lavorative pregresse, l’eventuale iscrizione ad albi professionali.
I rappresentanti del Comune dovranno essere in possesso di competenze tecniche,
giuridiche o amministrative, adeguate all’incarico da ricoprire e inoltre dovranno
assicurare la rappresentanza degli interessi della Città.
7. L’ASSOCIAZIONE ITALIANA FONDAZIONI ED ENTI DI EROGAZIONE (ASSIFERO)(79)
Una delle possibili linee di sviluppo delle fondazioni di comunità italiane è
rappresentata dalla creazione di una rete nel settore della filantropia istituzionale
analogamente a quanto realizzato negli Stati Uniti(80
Nel Regno Unito, nel 1991, è stata creata un’associazione delle fondazioni di
comunità denominata Association of Community Trust and Foundation successivamente
) e in Gran Bretagna, dove
l’esperienza delle community foundations è maggiormente diffusa e sviluppata.
presentare al Settore I Gabinetto del Sindaco una dichiarazione di disponibilità alla nomina unitamente all’indicazione dell’Ente al quale si riferisce, accompagnata da un curriculum redatto secondo un modello predisposto dal Comune e dalla eventuale proposta di Enti, Associazioni ed Organismi. […] I rappresentanti del Comune nei vari Enti dovranno possedere comprovata competenza tecnica, giuridica o amministrativa adeguata alle caratteristiche specifiche dell’attività che dovrà essere svolta. Essi dovranno essere scelti considerando a tal fine, ed in relazione agli obiettivi del Comune e degli Enti, i requisiti emergenti dall’iscrizione in albi professionali, dagli incarichi accademici ed in Istituzioni di Ricerca, dall’esperienza amministrativa o di direzione di strutture pubbliche e private, dall’impegno sociale e civile.».
(79) Le informazioni sull’Associazione Italiana Fondazioni ed Enti di Erogazione sono state reperite sul sito internet istituzionale www.assifero.org e nei seguenti documenti Brochure istituzionale e Rapporto Annuale 2010 sempre disponibili sul sito.
(80) Le associazioni di fondazioni svolgono «un ruolo essenziale […] per lo sviluppo dei soggetti di cui finiscono per essere uno specchio. Attraverso i servizi da esse offerti, […], influenzano in misura a volte determinante la qualità, e, con questa, i risultati raggiunti dall’attività dei propri associati, costituendo uno dei fattori determinanti per lo sviluppo del settore» e «la prima e più importante distinzione all’interno delle organizzazioni non profit va tracciata fra le organizzazioni cui i grantmakers aderiscono come membri, attraverso un’iscrizione rinnovata periodicamente (membership organizations); e quelle, invece, a cui le fondazioni partecipano come finanziatori, senza che il loro contributo assuma i contorni della creazione di un vincolo associativo (non membership organizations).»: BUSIA G., Le associazioni di fondazioni negli Stati Uniti e in Italia: un’applicazione della teoria del vantaggio istituzionale comparato, in AA.VV, Fondazioni e organizzazioni non profit in USA, Maggioli, Rimini, 1997, pagg. 259-260 e 267.
CAPITOLO QUARTO
140
rinominata, nel 2000, Community Foundation Network (CFN). Grazie a questa iniziativa
il settore dell’intermediazione comunitaria ha vissuto negli anni novanta un’ulteriore
forte crescita. Inoltre la CFN ha stabilito un sistema di certificazione della qualità
(Quality Accreditation) che ha reso più professionale il settore dell’intermediazione
comunitaria e ha stimolato l’adozione di best practises(81
Gli obiettivi del CFN sono(
). 82
dare maggiore credibilità alle fondazioni di comunità davanti agli occhi dei donatori
e dell’opinione pubblica;
):
promuovere gli interessi, l’immagine e la diffusione delle fondazioni di comunità in
ambito nazionale;
fornire consulenza e formazione alle fondazioni di comunità per il miglioramento dei
processi erogativi;
favorire lo scambio di esperienze all’interno della rete.
In questa direzione si sta muovendo l’Associazione Italiana Fondazioni ed Enti di
Erogazione (ASSIFERO), nata il 14 luglio 2003, con lo scopo di raggruppare tutti i
soggetti che operano nel settore dell’intermediazione filantropica (fondazioni private o
di famiglia, fondazioni d’impresa, fondazioni di comunità e altri enti erogativi).
I soci di ASSIFERO sono attualmente 77 e di questi circa la metà sono fondazioni
di comunità.
FIG. 4.4 – Logo ufficiale dell’associazione. Fonte: sul sito www.assifero.org.
(81) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit., pagg. 149-150.
(82) IBIDEM, op. cit., pag. 153.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
141
7.1. Le linee strategiche
La mission principale di ASSIFERO è quella di diventare il punto di riferimento nel
settore della filantropia istituzionale in Italia.
Per perseguire questo obiettivo l’associazione ha elaborato le sotto indicate linee
strategiche:
1) il miglioramento del contesto in cui opera la filantropia istituzionale
2)
. L’impegno di
ASSIFERO si manifesta nel diffondere, attraverso l’organizzazione di seminari,
convegni e gruppi di lavoro, la conoscenza del ruolo e delle potenzialità della
filantropia istituzionale e nel promuovere l’approvazione di norme di specifico
interesse del settore;
la nascita di nuove fondazioni di comunità
3)
. A questo scopo ASSIFERO mette a
disposizione di coloro che vogliono dare vita ad una fondazione di comunità, le
proprie competenze e conoscenze. In particolare sul sito internet istituzionale è
possibile consultare uno statuto tipo di una fondazione di comunità locale e i
quaderni operativi per la costituzione di una fondazione di comunità (elaborati dalla
Fondazione Cariplo). Inoltre ASSIFERO ha reso disponibile un nuovo sistema
informativo on line per la gestione integrata di tutte le attività di una fondazione di
comunità;
l’assistenza agli enti d’erogazione
4)
. In questo campo ASSIFERO predispone strumenti
che possano coadiuvare gli enti di erogazione nell’attività di fund raising, offre agli
aderenti una rete di professionisti cui fare riferimento per risolvere problematiche
specifiche e collabora all’elaborazione di standard comuni in ordine agli schemi di
bilancio per gli enti d’erogazione;
lo sviluppo della rete fra le fondazioni d’erogazione
5)
. In questo caso l’azione di
ASSIFERO è diretta a favorire lo scambio di esperienze fra i soci;
l’approfondimento delle relazioni internazionali
6)
. In campo internazionale ASSIFERO
monitora l’evoluzione delle normative di settore e facilita lo scambio di esperienze a
livello internazionale;
il rafforzamento della propria struttura interna
.
CAPITOLO QUARTO
142
8. LE POSSIBILI DIRETTRICI DI SVILUPPO(83)
Il modello delle fondazioni di comunità che è nato nelle regioni dell’Italia
settentrionale, si sta rapidamente diffondendo nel resto della penisola, ma soprattutto
molte comunità dimostrano interesse per questo strumento filantropico.
Il consolidamento delle prime esperienze consente di tracciare un bilancio di
quella che è l’efficacia del modello:
nell’implementare l’infrastrutturazione sociale del territorio;
nell’incrementare il radicamento e la legittimazione sociale nella comunità di
riferimento.
Ma, soprattutto, permette di ipotizzare alcune possibili direttrici di sviluppo per
rendere maggiormente efficiente la struttura.
Le possibili azioni da intraprendere per superare alcune criticità dell’architettura
fondazionale e contribuire al suo ulteriore sviluppo sono le seguenti:
a) sviluppare il livello organizzativo e professionale delle fondazioni di comunità
In Italia il personale che presta la propria opera a favore delle fondazioni di comunità
è tutto volontario ad eccezione di qualche dipendente che svolge mansioni di
segreteria a tempo pieno. Nelle fondazioni di comunità britanniche, invece, ci sono
ben 383 lavoratori retribuiti a tempo pieno.
.
Questa circostanza denota l’alto livello di professionalità raggiunta dalle fondazioni
d’oltremanica che possono contare stabilmente su personale in possesso di
consolidata esperienza in un settore che richiede l’utilizzo di raffinate tecniche
economico-giuridiche. La realtà italiana è completamente diversa sia a causa della
mancanza di risorse sia a causa di una radicata cultura che prevede che tutto ciò che
riguarda il “terzo settore” debba essere fatto a titolo gratuito.
Una modifica di questo stato di cose con l’inserimento nelle fondazioni italiane di
figure stabili di alto profilo, consentirebbe di elevare il livello complessivo della
gestione;
b) creare un network in grado di svolgere attività di coordinamento e che fornisca
servizi di formazione e consulenza alle fondazioni di comunità
(83) IBIDEM, op. cit., pagg. 152-153.
.
LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA
143
In questa direzione si sta muovendo l’Associazione Italiana Fondazioni ed Enti di
Erogazione (ASSIFERO) già esaminata nel precedente paragrafo 7 a cui si rimanda;
c) offrire rappresentanza agli interessi sociali(84
Le fondazioni di comunità sono caratterizzate da una forma di governance verticale
che nel modello italiano emerge con ancora più forza data la presenza di un Comitato
Promotore e di un Comitato di Nomina. Le decisioni, quindi, non sempre riescono a
coinvolgere l’intera comunità.
Nel quadro di un’allocazione più efficiente delle risorse, sarebbe opportuna
l’adozione di un modello di governance orizzontale che, senza giungere all’ingresso
automatico negli organi di gestione della fondazione, consentisse di coinvolgere nella
fase di decisione i rappresentanti delle diverse componenti sociali.
Quindi nella fattispecie, l’introduzione di meccanismi di consultazione obbligatori
per il Consiglio di Amministrazione, diretti ad indagare i reali bisogni della
comunità;
).
d) erogare contributi a favore di enti pubblici
Nel capitolo III, paragrafo 2, abbiamo già dibattuto della possibilità che la
fondazione di comunità riceva contributi dall’ente locale e arrivi fino al punto di
sostituirsi a quest’ultimo nelle procedure di erogazione di sua competenza.
Adesso possiamo provare a ipotizzare che sia la fondazione di comunità ad erogare
contributi a favore dell’ente pubblico. Questa eventualità è tacitamente ammessa
dalla maggior parte delle fondazioni di comunità italiane. In questo caso le risorse
dei privati finirebbero per finanziare servizi pubblici, i cui costi dovrebbero essere
già assicurati dalla fiscalità generale. Se da una parte questa circostanza potrebbe
snaturare il ruolo delle fondazioni di comunità, dall’altra, però, sarebbe in grado di
aprire la strada a interessanti forme di collaborazione;
.
e) istituzionalizzare forme di contribuzione continuativa da parte delle imprese(85
Il tessuto industriale italiano è formato per oltre il 90% da piccole e medie imprese.
La ridotta dimensione impedisce a queste aziende di dedicarsi, in maniera strutturale,
ad attività solidali, se non come conseguenza della sensibilità personale
).
(84) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello
americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pagg. 11-12. (85) CASADEI B., Imprese solidali e intermediari filantropici, in AA.VV., La responsabilità sociale
nelle piccole e medie imprese, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003, pag. 152.
CAPITOLO QUARTO
144
dell’imprenditore. Un’azione proattiva nei confronti del settore delle PMI
consentirebbe alle fondazioni di comunità di diventare il catalizzatore delle ingenti
risorse che collettivamente il sistema delle piccole e medie aziende potrebbe mettere
a disposizione della comunità, ma che rischiano invece di non essere utilizzate o di
venire disperse in sterili rivoli;
f) sviluppare forme di imprenditorialità locale
Il sistema italiano delle fondazioni di comunità si limita all’erogazione di risorse a
favore di opere ed attività circoscritte nel tempo. Sarebbe, invece, auspicabile che le
fondazione comunitarie finanziassero anche forme di imprenditorialità locale, nei
settori di intervento, in grado di autosostenersi nel lungo periodo(
.
86
In questa ipotesi sarebbe possibile utilizzare non solo i rendimenti ma lo stesso
patrimonio, per il finanziamento di iniziative avviate nella forma dell’impresa sociale
che sarebbero potenzialmente in grado di restituirlo e remunerarlo(
).
87
).
(86) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello
americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pag. 11. (87) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Rapporto Annuale 2011, op. cit., pag. 3.
CAPITOLO QUINTO
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
SOMMARIO: 1. L’adattabilità del modello ai diversi contesti sociali, culturali ed
economici – 2. Le community foundations negli Stati Uniti – 1.1. La Cleveland Foundation – 1.2. Lineamenti generali – 3. Le community foundations in Gran Bretagna – 4. Le Bürgerstiftung in Germania – 4.1. La Stadt Stiftung Gütersloh – 5. La Fondation de France.
CAPITOLO QUINTO
146
1. L’ADATTABILITÀ DEL MODELLO AI DIVERSI CONTESTI SOCIALI, CULTURALI ED
ECONOMICI(1)
Le community foundations costituiscono un modello di fondazione di erogazione
che dagli Stati Uniti si è successivamente diffuso in molti altri paesi anche fuori
dell’area della common law(2). Strutture analoghe sono oggi presenti in Canada,
Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Messico, Giappone, Russia, Costa Rica, Gran
Bretagna, Germania, Francia, Belgio, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca(3
Le community foundations rappresentano la frontiera più avanzata del terzo
settore in cui ricoprono un ruolo di leadership. Le fondazioni di comunità hanno avuto
origine per rispondere ai bisogni di una specifica comunità di riferimento, ma la loro
caratteristica più importante è quella di unire nella stessa struttura l’attività di fund
raising e quella di grant-making.
) e
Slovacchia.
Tuttavia il requisito che ha consentito a queste organizzazioni di raggiungere una
diffusione planetaria è costituito dalla loro estrema flessibilità e neutralità che gli hanno
permesso di adeguarsi alle esigenze specifiche delle realtà più diverse. Questa
flessibilità permette loro di raccogliere doni nelle forme più diverse: contante, proprietà
reali, titoli, assicurazioni sulla vita, testamenti. Inoltre i donatori possono partecipare al
processo di erogazione dei contributi o lasciare tutto alla discrezionalità della
fondazione.
(1) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e
cenni storici, in Quaderni di discussione delle fondazioni italiane, Fondazione Cariplo, n. 1, novembre 1997, pag. 1 e pagg. 36-38 e CASADEI B., Le community foundations: una scelta strategia per le fondazioni delle casse di risparmio, op. cit., pagg. 182-183.
(2) Le fondazioni di comunità «stanno dimostrando di essere in grado di svilupparsi, anche in realtà caratterizzate da una forte tradizione latina e cattolica come […] il Messico ed altri Paesi dell’America centrale. È perciò probabile che quel che ha favorito la nascita di queste istituzioni in Paesi di tradizione anglosassone non deve essere cercato nei principi della riforma protestante, ma piuttosto in quel diritto consuetudinario d’origine medioevale che, a differenza di quello continentale, ha conservato e venerato quei corpi intermedi, che la furia iconoclastica della Rivoluzione francese prima e del Codice Napoleone poi, avevano distrutto nel continente europeo.»: CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e cenni storici, op. cit., pag. 38.
(3) Vds. SZANTON J. E., Iniziative a beneficio delle comunità. Il caso della Repubblica Ceca, in «Queste Istituzioni», Queste Istituzioni Ricerche, Roma, Anno XXVII, n. 117-120, annale 1999, pagg. 92-112.
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
147
Queste entità presentano delle caratteristiche comuni che sono riscontrabili in tutti
gli specifici modelli nazionali cioè:
a) operano in un determinato territorio;
b) sono dotate di un patrimonio indipendente;
c) sono amministrate da un organo di governo autonomo e rappresentativo dei vari
settori della comunità;
d) danno l’opportunità di fare filantropia anche ai piccoli donatori;
e) mettono a disposizione dei potenziali donatori servizi filantropici professionali.
Le diversificazioni del modello avvengono sul piano dei metodi di finanziamento
e della struttura organizzativa.
Per verificare l’estrema adattabilità dello schema ai vari contesti sociali, culturali
ed economici procederemo ad un’analisi comparativa dei modelli di fondazione di
comunità di quattro paesi:
1) Stati Uniti;
2) Gran Bretagna;
3) Germania, dove «la costituzione di fondazioni comunitarie appare come uno
strumento in grado di contrastare fenomeni di nazionalismo»(4
4) Francia, dove le fondazioni di comunità sono state costituite «sulla base di un preciso
disegno politico da parte del potere centrale. Esse, più che essere espressione delle
singole comunità, servono l’intera nazione nella quale sono costituite.»(
);
5
Per quanto riguarda gli stati europei occorre subito rilevare che, nonostante un
certo processo di convergenza in atto nei diversi campi: sociale, economico e giuridico,
in questo settore nei citati paesi «si è chiaramente sviluppato un concetto autonomo di
fondazione comunitaria che dipende da molti fattori come il contesto in cui essa viene
istituita o tradizioni e circostanze sociali specifiche. Ciò rende difficile identificare per
le fondazioni comunitarie un unico modello europeo.»(
).
6
).
(4) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e
cenni storici, op. cit., pag. 37. (5) IBIDEM, op. cit., pag. 36. (6) HOELSCHER P., Le fondazioni comunitarie tedesche in Europa/Deutsche Bürgerstiftungen in
Europa, in HOELSCHER P. - CASADEI B. (a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pag. 24.
CAPITOLO QUINTO
148
2. LE COMMUNITY FOUNDATIONS NEGLI STATI UNITI(7)
Le community foundations nascono negli Stati Uniti agli inizi del novecento
quando lo sviluppo del capitalismo industriale consente a diversi imprenditori di
accumulare immense fortune. Questa impetuosa crescita economica si accompagnava,
però, ad un incremento della massa dei diseredati che popolavano i grandi centri urbani
americani. La situazione spinse alcuni grandi miliardari a promuovere i principi che
Andrew Carnegie aveva affermato nel suo libro, scritto nel 1889, “The Gospel of
Wealth” (Il Vangelo della ricchezza)(8
Tuttavia, in quel periodo, la filantropia americana si trovava ad affrontare due
grandi problemi:
). Carnegie, magnate delle ferrovie americane,
dopo una vita da capitano d’industria divenne un apostolo della beneficenza e sviluppo
un’intensa attività filantropica. Così diversi notabili costituirono grandi fondazioni
private che avevano lo scopo di aiutare quelle comunità che gli avevano consentito di
raggiungere il successo economico. Furono fondate, in questo modo, alcune grandi
fondazioni: la Carnegie Corporation (1911) e la Rockefeller Foundation (1913).
• da un lato c’era l’esigenza di una certa “professionalizzazione” degli istituti
caritatevoli che portasse più razionalità ed efficienza negli interventi;
• dall’altro lato si cercava uno spazio comune che avrebbe consentito alle diverse
organizzazioni religiose (chiesa cattolica, sette protestanti e associazioni ebraiche) di
collaborare tra loro.
Il terreno era ormai maturo per la creazione del primo intermediario filantropico
che avrebbe permesso alle diverse organizzazioni caritatevoli di collaborare
indipendentemente dalle divisioni religiose o ideologiche.
(7) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e
cenni storici, op. cit., pagg. 27-28. (8) MAGRIS F., La filantropia, arma a doppio taglio, in CARNEGIE A., Il Vangelo della ricchezza,
Garzanti, Milano, 2007: «È una filantropia che risulta fortemente personalizzata, perché il processo di trasferimento della ricchezza che dal donor giunge ai beneficiari è verticale e diretto, non passa per altri intermediari istituzionali, ma giunge direttamente dalla persona fisica del filantropo, con la conseguenza che la visibilità di quest’ultimo è massima».
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
149
2.1. La Cleveland Foundation(9
La prima fondazione di comunità fu fondata a Cleveland nell’Ohio nel 1914 su
iniziativa del banchiere, Frederick Harris Goff. Sull’esempio della Cleveland
Foundation furono istituite numerose altre fondazioni nelle principali città degli Stati
Uniti (Chicago, Los Angeles, Detroit, Milwaukee). Nel 1920 fu fondata la New York
Community Trust che diventerà la fondazione di comunità più grande del mondo con un
patrimonio gestito, alla fine del 2010, di 1,9 miliari di dollari ed erogazioni effettuate
per 141 milioni di dollari(
)
10
1) combattere la manomorta(
).
Gli scopi che Goff si prefiggeva, nel costituire questo nuovo tipo di fondazioni,
erano sostanzialmente tre: 11
2) permettere anche a persone con mezzi modesti di fare filantropia;
);
3) ottenere vantaggi gestionali per la propria banca.
Nel diritto anglosassone i legati per fini d’utilità generale erano istituiti nella forma
del trust(12
(9) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e
cenni storici, op. cit., pagg. 28-29. (10) THE NEW YORK COMMUNITY TRUST, annual report 2010, New York, NY, pag. 3, sul sito
www.nycommunitytrust.org. (11) Il termine Manomorta designo i beni che, per il fatto di appartenere a enti perpetui (p.e. chiese
e conventi), «sfuggivano alla tassa di trasferimento per causa di morte e si consideravano stretti nella mano di un morto senza la possibilità di uscirne. Diverse erano le specie di m.; la più importante storicamente ed economicamente è la m. ecclesiastica, che si cominciò a formare da quando le comunità cristiane, dopo il riconoscimento della Chiesa da parte di Costantino, poterono, come i templi pagani, ricevere per testamento. Contribuirono a svilupparla i molti privilegi che le furono concessi in materia di successione, di testamenti, di legati, di esecutori testamentari e di prescrizioni; […] Le frequenti donazioni di privati e di principi, congiunte a questi privilegi, contribuirono a formare della Chiesa la maggiore proprietaria di beni immobili. I danni derivati da questi accumulamenti non furono rilevati fino a quando le vendite relative furono destinate a scopi di beneficienza, di culto e di educazione; quando però la Chiesa trascurò queste finalità si trovò di fronte lo Stato, il quale rilevando il danno delle pubbliche finanze e dell’economia generale, intervenne per limitare gli acquisti degli enti ecclesiastici e privare questi ultimi dei loro privilegi.». Quindi Manomorta indica il patrimonio immobiliare degli enti, civili o ecclesiastici, la cui esistenza è perpetua e che per tale ragione riduce la capacità impositiva dello Stato perché non dà luogo né al pagamento di imposte sulla vendita né a imposte di successione. Manomorta, ad vocem, in La Piccola Treccani. Dizionario Enciclopedico, Istituto della Enciclopedia Italiana, volume VII, Roma, 1995, pagg. 140-141.
). Questi lasciti venivano gestiti dalle banche che si occupavano anche della
distribuzione dei modesti redditi prodotti. Inoltre ognuno di questi legati era costruito
(12) Il Trust (letteralmente “affidamento”) è un istituto giuridico nato in Inghilterra nel Medioevo e quindi diffusosi nel mondo anglosassone, in base al quale uno o più beni sono affidati a un soggetto fiduciario (trustee) affinché li gestisca per un determinato scopo ovvero in favore di uno o più beneficiari. Il trust ha trovato applicazione anche in Italia dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 (legge 364/1989, in vigore dal 1° gennaio 1992). LUPOI M., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Cedam, Milano, 2011.
CAPITOLO QUINTO
150
con caratteristiche peculiari che determinavano sia problemi di gestione sia un elevato
spreco di risorse. I problemi più gravi, però, erano rappresentati:
a) in primo luogo dal fatto che una volta che gli scopi, fissati originariamente dal
testatore, fossero divenuti obsoleti non era possibile modificarli se non mediante la
sentenza di una corte di giustizia, attraverso un procedimento lungo e costoso, in
base alla dottrina del cy-près(13
b) in secondo luogo dalla constatazione che i banchieri non si sarebbero dovuti
occupare della selezione degli enti meritevoli di beneficienza poiché non avevano le
competenze necessarie, ma il loro ruolo doveva essere limitato esclusivamente alla
gestione dei patrimoni.
);
Goff pensò, quindi, di istituire una nuova organizzazione che accanto alle strutture
proprie del trust avesse un comitato che si occupasse della distribuzione del reddito e
fosse dotato del potere di utilizzare la clausola del cy-près senza passare attraverso le
Corti di giustizia. Questo nuovo ente avrebbe gestito tutti i lasciti come se si trattasse di
un unico fondo con evidenti economie di scala e recuperi di efficienza. Infine i cittadini
avrebbero avuto la garanzia che le elargizioni sarebbero state gestite da soggetti
competenti che conoscevano le reali esigenze della comunità, mentre i donatori
avrebbero avuto la sicurezza che gli scopi, da loro stabiliti, non sarebbero mai divenuti
obsoleti, in quanto il comitato avrebbe provveduto ad adeguarli alle mutate esigenze
sociali.
(13) La dottrina del cy-près ebbe origine nella legge sulle “Charitable trust”. Essa stabilisce che
quando l’obiettivo originale del disponente o del testatore è diventato impossibile, impraticabile o illegale da perseguire, ad esempio perché il patrimonio del “Charitable trust” è diventato troppo modesto per far fronte agli impegni ovvero perché gli scopi sono esauriti, allora questa charity potrà su istanza dei trustes e provvedimento del giudice di equity, essere convertita ad altri scopi, purché il più vicini possibili a quelli originari. «Affinché la cy-près doctrine possa trovare applicazione, è innanzi tutto necessario che dall’atto istitutivo del trust risulti un generale intento caritatevole del disponente. Tanto nel caso del trust testamentario, quanto nel caso del trust inter vivos, deve emergere la volontà di perseguire finalità benefiche […]. L’altro elemento ritenuto necessario affinché la cy-près doctrine possa operare, come è emerso, è l’impossibilità di conseguire lo scopo caritatevole descritto dal disponente. Cosa si intenda per impossibilità va ricercato nei precedenti giurisprudenziali […]. In linea generale, la case law consente la seguente elencazione: la disposizione caritatevole è stata effettuata in favore di enti o istituzioni in realtà mai esistiti, o comunque cessati; lo scopo è stato raggiunto senza che fossero impiegati tutti i beni a ciò destinati […]; non è più necessario perseguire lo scopo in quanto venuto meno il bisogno che lo aveva determinato; i beni in trust non sono sufficienti a perseguire lo scopo; i beni (immobili) in trust non sono idonei o utili per perseguire lo scopo; […]; l’ente caritatevole, in favore del quale il disponente ha disposto, rifiuta la donazione; lo scopo rappresenta un modo illegale per perseguire scopi comunque legittimi; lo scopo è divenuto illegale o impraticabile o non corrisponde più ad alcun bisogno; coloro che possono trarre vantaggio dal trust sono venuti a mancare»: BARLA DE GUGLIELMI E., Charitable Trust e Trust di Scopo Non-Charitable, in BARLA DE GUGLIELMI E. - PANICO P. - PIGHI F., La legge di Jersey sul trust, Trust e attività fiduciarie, Quaderni n. 8, IPSOA, Milano, 2007, pagg. 173 e 175.
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
151
Negli anni successivi questa struttura subì delle importanti modifiche. In
particolare con l’introduzione nel 1931 dei primi donor-advised fund (fondi consigliati
dal donatore) che consentivano al donatore di perseguire finalità filantropiche anche in
vita in quanto il donatore forniva periodicamente indicazioni su come distribuire il
reddito prodotto da questi fondi patrimoniali; e con la riforma fiscale del 1969 in
seguito alla quale molte fondazioni di comunità abbandonarono la forma del trust per
acquisire la personalità giuridica.
2.2. Lineamenti generali(14
Nella legislazione statunitense non esiste una definizione generale di community
foundations, tuttavia, il Council on Foundations(
)
15) definisce la fondazione di
comunità(16) come «un’organizzazione non profit: che, perseguendo un public benefit
[…] è una public foundation, [cioè] una public charity, e, in quanto tale, esente da
imposte; che ha un organo di amministrazione indipendente, ampiamente
rappresentativo degli interessi della comunità locale; che opera principalmente come
istituzione grantmaking, […] che è radicata in un ben determinato territorio (negli
U.S.A. solitamente coincide con quello di una municipality, o di una county o di una
multi-county region o di una metropolitan area); che riceve un ampio sostegno
finanziario a livello locale sotto forma di donazioni e contribuzioni da parte di individui
singoli e di enti che non hanno alcun rapporto tra loro e mirano spesso al perseguimento
di differenti scopi charitable; la cui attività erogativa è ad ampio spettro, non risultando
limitata né per campi di interesse né per segmenti di popolazione ricompresi nel
territorio di riferimento; che ha come obiettivo di lungo periodo la crescita del proprio
patrimonio, al fine di poter soddisfare le esigenze future della comunità locale.»(17
(14) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 241-251 e CASADEI B. -
GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e cenni storici, op. cit., pagg. 15-19.
).
(15) Il Council on Foundations è la più importante associazione di fondazioni grantmaking degli USA, a cui possono aderire soltanto enti fondazionali riconosciuti dall’Internal Revenue Service (IRS), agenzia federale del Dipartimento del Tesoro, sulla base delle previsioni dell’Internal Revenue Code (cioè del codice tributario).
(16) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, Arlington, VA, pagina consultata il 9 dicembre 2011, in http://www.cfstandards.org/standards, par. I, lett. a): «A community foundation is a tax-exempt, nonprofit, autonomous, publicly supported, nonsectarian philanthropic institution with a long-term goal of building permanent, named component funds established by many separate donors to carry out their charitable interests and for the broad-based charitable interest of and for the benefit of residents of a defined geographic area.».
(17) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 242-243.
CAPITOLO QUINTO
152
Il Council on Foundations ha elaborato anche degli standard nazionali, i
“National Standards for U.S. Community Foundations”(18
In particolare le fondazioni comunitarie:
), che hanno l’obiettivo di
rendere omogenee l’organizzazione e le funzioni degli enti associati. Queste norme di
autoregolamentazione sono indirizzate a rendere l’attività delle community foundations
più trasparente e controllabile da parte dei donatori, del Governo e dei mass-media; a
comunicare pubblicamente l’impegno verso la comunità locale e ad accrescere la
capacità delle fondazioni di realizzare la propria mission. Questi standard si suddividono
in sei classi: a) missione, struttura e governance; b) risorse e sviluppo; c)
amministrazione e responsabilità; d) erogazioni e ruolo guida della comunità; e)
rapporto con i donatori/contribuenti ed f) comunicazioni.
a) sono riconosciute come enti fiscalmente esenti in base alle norme dell’Internal
Revenue Code(19). Le fondazioni di comunità rientrano nella categoria delle
charities, tuttavia, per ottenere tale qualifica devono soddisfare alcuni requisiti(20
divieto di distribuzione degli utili sia in forma diretta che indiretta (non
distribution constraint principle);
):
obbligo, inserito nello statuto o nell’atto costitutivo, di agire esclusivamente per
scopi altruistici (organizational test);
divieto assoluto di partecipare a campagne politiche;
b) agiscono prioritariamente come organizzazioni grant-making;
c) operano in una determinata area geografica;
d) devono superare un test diretto a dimostrare che ricevono un ampio sostegno
pubblico (public support test)(21
(18) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.
) e di conseguenza perseguono scopi a beneficio
della collettività. Il public support test serve per dimostrare che l’ente non persegue
fini privati. Le modalità per superare il test e ottenere lo status di public charities
sono due:
(19) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. b): «A community foundation is recognized by the Internal Revenue Service (IRS) as tax-exempt under Internal Revenue Code Section 501(c)(3) and organized and operated exclusively for charitable purposes.».
(20) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pagg. 4-5.
(21) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit., par. II, lett. c): «A community foundation meets the public support test set forth in Internal Revenue Code Section 170(b)(1)(A)(vi) as modified by Treasury Regulation Section 170A-9(e)(10).».
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
153
il test “meccanico” in base al quale è sufficiente che il public support cioè il
reddito che proviene dal pubblico in generale, sia almeno pari ad un terzo del
reddito totale della fondazione. Sono considerati redditi che provengono dal
pubblico: le quote associative, gli apporti degli enti pubblici e i contributi dei
donatori che tuttavia non devono superare singolarmente il 2% del reddito
complessivo della fondazione;
il test dei “fatti e delle circostanze” che è riservato agli enti che hanno un public
support che supera il 10% del proprio reddito. In questo caso vengono prese in
considerazione: le fonti di finanziamento, la rappresentanza degli interessi della
collettività di riferimento nell’organo di amministrazione, la presenza di pubblici
servizi e il grado di partecipazione del pubblico nella definizione delle politiche
della fondazione;
e) sono dotate di un Consiglio di Amministrazione (board of directors o board of
trustee) largamente rappresentativo della comunità locale di riferimento(22) e i cui
membri sono generalmente non remunerati. L’organo di governo non deve essere
controllato da altre organizzazioni non profit o da una determinata famiglia o da un
ente non commerciale o governativo o da altro ristretto gruppo sociale della
comunità locale(23). Inoltre il consiglio è responsabile della specifica missione e
direzione strategica della fondazione di comunità(24), dell’erogazione dei contributi
finanziari(25) e dell’approvazione del bilancio(26
(22) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.,
par. II, lett. d): «A community foundation has an independent governing body broadly representative of the community it serves.».
(23) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. f.5): «A community foundation’s governing body is not controlled by any other nonprofit organization, or by any single family, business, or governmental entity or any narrow group within the community.».
(24) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. f.1): «A community foundation’s governing body is responsible for the mission, strategic direction, and policies of the organization.».
(25) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. f.10): «A community foundation’s governing body approves all grants.».
(26) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pag. 249. I fondi che possono essere costituiti sono di cinque tipologie:
);
unrestricted funds cioè fondi che non hanno alcun vincolo di destinazione; restricted funds cioè fondi il cui reddito deve avere una determinata utilizzazione; designed funds cioè fondi vincolati in cui i beneficiari delle erogazioni sono definiti dai donatori; discretionary funds cioè fondi il cui reddito è impiegato per effettuare erogazioni la cui destinazione è
determinata secondo il libero apprezzamento di uno o più trustees; donor advised funds cioè fondi istituti e gestiti da una fondazione di comunità che effettua le
erogazioni tenendo conto dei suggerimenti del donatore che però non sono vincolanti;
CAPITOLO QUINTO
154
f) sono costituite da un aggregato di fondi patrimoniali nominativi(27) diretti al
perseguimento di fini caritatevoli stabiliti dal donatore. Le donazioni sono destinate
alla costituzione di fondi patrimoniali, finalizzati a rispondere alle esigenze della
comunità locale(28). Inoltre le fondazioni di comunità devono amministrare i fondi di
cui hanno il controllo legale e fiduciario (legal and fiduciary control) con
prudenza(29
g) assicurano la trasparenza degli investimenti e della spending policy(
); 30
h) sono dotate del cosiddetto “variance power”(
); 31) che è il potere assegnato al
Consiglio di Amministrazione di modificare la destinazione degli assets dell’ente.
Questo istituto differenzia le fondazioni di comunità dal trust in quanto mentre nel
trust per modificare lo scopo del fondo è necessario fare ricorso al meccanismo del
cy-près, nelle fondazioni comunitarie il board of directors può esercitare
autonomamente il variance power e cambiare la destinazione di un fondo nel caso in
cui lo scopo è stato raggiunto o il beneficiario ha cessato di esistere. Tale possibilità
significa una maggiore rapidità e flessibilità nell’utilizzo dei fondi residui(32
donor designed funds cioè fondi istituti e gestiti da una fondazione di comunità ma con riferimento ai
quali i donatori abbiano stabilito che il reddito prodotto deve essere destinato a determinate organizzazioni caritatevoli;
);
field of interest funds cioè fondi istituti e gestiti da una fondazione di comunità per il perseguimento di uno specifico scopo caritatevole.
(27) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pag. 246. (28) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.,
par. III, lett. d): «A community foundation accepts and administers a diversity of gift and fund types to meet the varied philanthropic objectives of donors and the needs of the community it serves.».
(29) IBIDEM, op. cit., par. IV, lett. a): «A community foundation is a steward of charitable funds, investing and prudently managing funds and maintaining accurate financial records.».
(30) IBIDEM, op. cit., par. IV, lett. h): «A community foundation ensures sound oversight and transparency of its investment and spending policies.». Per spending policy si intende «un piano d’azione concordato con cui si determini la percentuale di un certo patrimonio che deve essere utilizzata per coprire sia i costi di gestione sia le erogazioni di un’istituzione non profit.»: MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pag. 249.
(31) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. e): «A community foundation's governing body retains variance power by which it may modify any restriction or condition on the distribution of assets, if circumstances warrant. Further, with respect to assets held in trust, the governing body must have the power to replace any participating trustee for breach of fiduciary duty under state law or for failure to produce a reasonable return of net income.».
(32) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pagg. 5-6.
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
155
i) comunicano all’esterno con trasparenza e regolarità (mediante un report annuale) le
attività svolte, le erogazioni effettuate, i programmi realizzati, le operazioni
finanziarie effettuate e il resoconto della gestione patrimoniale(33
).
3. LE COMMUNITY FOUNDATION IN GRAN BRETAGNA(34)
La Gran Bretagna ha un settore filantropico molto sviluppato che affonda le sue
radici nel Preamble of the Charities Act del 1601.
Nel 2006 il Charities Act ha aggiornato la disciplina precedente in due punti: I)
specificando puntualmente gli obiettivi sociali perseguibili dalle organizzazioni non
profit e II) richiedendo la verifica che il loro operato persegua “il bene comune”.
La politica della “terza via”, portata al governo negli anni novanta dal “New
Labour” di Tony Blair, ha determinato una maggiore autonomia delle autorità
pubbliche locali che hanno aumentato i finanziamenti al “terzo settore”. Questo ha
comportato l’aumento del numero delle organizzazioni non profit nel Regno Unito e il
loro ruolo nell’erogazione dei servizi pubblici.
Il modello delle community foundations si inserisce perfettamente in questa linea
di sviluppo e infatti il loro numero è cresciuto notevolmente negli ultimi anni nel Regno
Unito. Tuttavia, le community foundations si trovano a dover risolvere tre problemi:
la riduzione della dipendenza dai finanziamenti pubblici;
il conseguimento di una maggiore visibilità a livello nazionale;
la consapevolezza di una maggiore responsabilità sia rispetto ai donatori che ai
fruitori dei servizi.
La prima fondazione di comunità fu fondata in Gran Bretagna nel 1976 con il
nome di “Dacorum Community Trust”, tuttavia, le community foundations trovarono il
terreno ideale per la loro espansione nella metà degli anni ottanta, un periodo
caratterizzato da una pesante recessione e da un elevato numero di disoccupati che
(33) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.,
par. VII, lett. a): «A community foundation communicates openly and transparently on a regular basis.». (34) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit.,
pagg. 148-151.
CAPITOLO QUINTO
156
rendevano necessaria la ricerca di nuove fonti di finanziamento per il settore del
volontariato e per le attività delle comunità locali.
Nel 1991 con la creazione dell’Association of Community Trust and
Foundation(35
Attualmente lo Stato invece che finanziare direttamente le organizzazioni che
erogano i servizi pubblici, preferisce affidare le proprie risorse a degli intermediari
filantropici che provvedono successivamente ad erogare i fondi agli enti non profit che
forniscono i servizi. E le fondazioni comunitarie sono le istituzioni maggiormente prese
in considerazione a questo fine.
) il movimento delle fondazioni di comunità ha conosciuto un’ulteriore
forte crescita che è stata favorita anche dall’adozione dei programmi di «endowment
challenge» cioè la cosiddetta “dotazione sfida”. In pratica alcune fondazioni di
comunità hanno sostenuto una campagna di raccolta fondi nei loro territori allo scopo di
raccogliere il doppio di quanto hanno in seguito ricevuto dall’ente promotore della sfida
ad incremento del loro patrimonio (un meccanismo simile a quello sperimentato dalla
Fondazione Cariplo in Italia).
Un altro potente motore per lo sviluppo del settore non profit in Gran Bretagna è
stato la riforma del sistema delle agevolazioni fiscali che ha previsto misure più
generose. In particolare i contribuenti possono ora beneficiare di tre incentivi fiscali:
il “gift aid”: in questa ipotesi le persone fisiche e le imprese possono donare una sola
volta o regolarmente ad un’organizzazione non profit e questo ente può chiedere una
deduzione delle tasse per questa donazione. L’agevolazione fiscale è data sia al
donatore sia all’organizzazione;
il “payroll giving”: in questo caso la donazione è fatta direttamente sullo stipendio,
prima che sullo stesso incidano le tasse e l’agevolazione fiscale è data al
donatore(36
(35) Questa associazione, che è essa stessa una fondazione di comunità, coordina e supporta le
community foundations nell’attività di raccolta fondi e nel 2000 è stata rinominata Community Foundation Network. Vds. IBIDEM, op. cit., pag. 156.
);
(36) «Sta crescendo anche in Italia e apre nuovi canali di sostegno alla solidarietà il Payroll Giving, un meccanismo pratico e con regole precise che consente al lavoratore dipendente di donare in beneficienza anche una sola ora del proprio lavoro, direttamente con una trattenuta mensile sulla propria busta paga. […] il dipendente, principale sostenitore dell’iniziativa, […] compilando il modulo di adesione che trova negli uffici del personale o allegato alla busta paga, sceglie di destinare mensilmente una somma definita a favore di un’associazione benefica. […] La donazione è deducibile e si può ricevere il rimborso fiscale direttamente dal datore di lavoro nel conguaglio di fine anno.»: ORSI R., Payroll Giving, il sostegno sociale “trattenuto” nella busta paga, La Repubblica, Economia&Finanza, 31 gennaio 2012, in http://www.repubblica.it/economia/2012/01/31/news/non_solo_profitto_45-29078020/.
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
157
il “tax relief”: in questa ipotesi è possibile usufruire di sgravi fiscali sul reddito nel
caso di donazione o vendita di azioni alle organizzazioni non profit. La fondazione
fornisce al donatore una ricevuta che riporta il valore di mercato delle azioni del
giorno in cui la donazione è stata effettuata. Il donatore può quindi utilizzare questa
quietanza per ridurre il reddito imponibile.
Una delle caratteristiche peculiari delle fondazioni di comunità del Regno Unito è
la presenza di Consigli di Amministrazione notevolmente impegnati nel fund raising.
Tuttavia gli investimenti nelle attività di raccolta fondi, marketing e comunicazione
sono insufficienti a causa dei costi di gestione.
Le fondazioni comunitarie del Regno Unito effettuano normalmente erogazioni di
importo modesto, tuttavia, quelle più affermate stanno cominciando anche a finanziarie
progetti più grandi e pluriennali. Le organizzazioni di volontariato, che beneficiano di
finanziamenti a lungo termine, sono in grado di sviluppare capacità organizzative che
altrimenti non avrebbero.
Lo Stato riveste in Gran Bretagna un ruolo fondamentale nello sviluppo del
settore non profit, tuttavia, questo fattore potrebbe determinare da un lato una forma di
dipendenza dai finanziamenti pubblici e dall’altro un’ingerenza nella gestione delle
fondazioni che sarebbero spinte a favorire interessi politici. Il rischio principale per le
community foundations e le altre organizzazioni del terzo settore, è rappresentato dal
venir meno del supporto finanziario statale che avrebbe conseguenze drammatiche.
La popolazione britannica manifesta ancora serie perplessità sulla capacità delle
organizzazioni non profit di erogare servizi pubblici efficienti, tuttavia, questo giudizio
si sta modificando e l’effetto principale di ciò è rappresentato dall’aumento delle
donazioni private.
Da quanto detto emerge con chiarezza che le potenzialità delle community
foundations ne fanno l’elemento centrale nello sviluppo del settore non profit in Gran
Bretagna.
CAPITOLO QUINTO
158
4. LE BÜRGERSTIFTUNG IN GERMANIA(37)
In Germania l’istituto delle fondazioni, intese come la destinazione di determinati
patrimoni per scopi non lucrativi, è un fenomeno molto antico che, tuttavia, dagli anni
novanta ha conosciuto una nuova fase di espansione.
La materia delle fondazioni in Germania è disciplinata da alcune sezioni
normative della legge federale, mentre è molto regolata dalle leggi dei singoli Länder.
Inoltre non esiste nel codice civile tedesco una definizione di fondazione. La fondazione
è caratterizzata dalla presenza di un fondo patrimoniale e dall’attribuzione ad esso di
uno scopo specifico, ma soprattutto dall’assenza di membri (associati). Nella
Repubblica Federale Tedesca esistono diverse tipologie di fondazioni: le fondazioni
familiari, le fondazioni municipali e le fondazioni collegate alle imprese(38
In Germania «regna un concetto peculiare di fondazione comunitaria. E questo
emerge già dall’etimologia del termine tedesco: nella Bürgerstiftung (letteralmente:
‘fondazione di cittadini’) il Bürger tedesco, cioè il singolo cittadino, riveste un ruolo più
importante rispetto a quello che gioca un cittadino italiano in una fondazione
comunitaria italiana.».
).
Le fondazioni comunitarie tedesche si differenziano da quelle italiane per:
il capitale di dotazione iniziale
. Il patrimonio delle Bürgerstiftung è molto inferiore a
quello delle fondazioni italiane (la maggior parte delle fondazioni ha un capitale che
non supera i 100.000 euro);
le modalità di costituzione
(37) HOELSCHER P., Le fondazioni comunitarie tedesche in Europa/Deutsche Bürgerstiftungen in
Europa, op. cit., pagg. 11-24.
. Le fondazioni comunitarie italiane sono state costituite
secondo il modello top-down al contrario di quelle tedesche, dove è prevalente la
modalità bottom-up cioè le Bürgerstiftung sono state create per l’iniziativa privata di
singoli o più cittadini e soprattutto «nell’assemblea dei fondatori si riflette la forte
posizione del singolo cittadino: le fondazioni comunitarie britanniche, italiane e
russe, […], non hanno un organo corrispondente.»;
(38) RAINER WALZ W., Organizzazioni non profit: l’esperienza tedesca, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 2 - febbraio 2003, pag. 64.
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
159
l’opera molto consistente dei volontari
. Nelle Bürgerstiftung l’esiguità delle risorse
non consente l’utilizzo di personale in forma stabile e pertanto è forte la presenza di
volontari;
l’offerta di servizi ai donatori
. I donor services e l’amministrazione di patrimoni,
destinati ad uno scopo specifico, sono ancora molto limitati presso le fondazioni
comunitarie tedesche;
la tipologia di attività svolta
. Le Bürgerstiftung danno maggiore rilevanza all’attività
operativa rispetto a quella di erogazione, circostanza che le porta a non perseguire
con sufficiente determinazione il reperimento di fondi;
i rapporti con la politica e l’amministrazione
. In Italia, al contrario della Germania,
gli enti pubblici hanno un ruolo significativo nella nomina del consiglio direttivo
delle fondazioni di comunità e da questo nasce un contatto stabile che accresce il
prestigio della fondazione;
la trasparenza
. Le fondazioni comunitarie tedesche hanno più difficoltà, rispetto a
quelle italiane, a fornire pubblicamente informazioni dettagliate sulle loro attività;
la rappresentanza degli interessi sociali
. Le fondazioni di comunità dovrebbero
rispecchiare la composizione della società civile. Le Bürgerstiftung grazie
all’assemblea dei fondatori potrebbero essere particolarmente agevolate nel
perseguire questa funzione, anche se nella realtà le fondazioni comunitarie tedesche
sono dominate da gruppi omogenei;
la cultura del dono. Bernardino Casadei evidenzia come nella «cultura delle
Bürgerstiftung tedesche, il dono abbia un ruolo tutto sommato marginale. In Italia,
invece, esso è l’essenza stessa di tutto il nostro lavoro. Nelle esperienze che ci
vengono descritte, il dono ha una funzione meramente strumentale. […] Il principio
che invece stiamo elaborando, seppur lentamente e con difficoltà, qui in Lombardia è
che il dono può assurgere a fine in sé. Il dono è infatti un valore che viene perseguito
per il suo significato intrinseco. […] In altri termini, le fondazioni comunitarie
italiane non promuovono il dono perché hanno bisogno di soldi per sostenere progetti
d’utilità sociale, […], promuovono il dono in quanto fondamento di civiltà.»(39
(39) CASADEI B., L’esperienza italiana/Die italienische Erfahrung, in HOELSCHER P. - CASADEI B.
(a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pagg. 25-26.
).
CAPITOLO QUINTO
160
Le fondazioni comunitarie in Germania operano soprattutto nel settore giovanile
in quanto i «progetti-giovani» hanno un ampia visibilità e consentono un reperimento
più facile delle risorse.
In modo speculare alla situazione italiana (dicotomia nord-sud), anche in
Germania la condizione delle fondazioni di comunità presenta delle differenze a
seconda della localizzazione macroregionale est-ovest degli enti. In particolare le
fondazioni di comunità tedesco-orientali possono contare su elargizioni e donazioni
d’importo molto contenuto e l’esiguità del capitale spesso le porta ad eseguire progetti
propri a differenza invece di quanto avviene nelle fondazioni dell’area tedesco-
occidentale che sono più orientate ad attività grant-making. Inoltre mentre le fondazioni
di comunità tedesco-occidentali nascono nell’ambito di élite locali, quelle tedesco-
orientali sorgono in un paesaggio locale di organizzazioni non statali; differenza questa
che si manifesta in un più forte orientamento verso la base delle fondazioni comunitarie
orientali e in un maggiore potere dell’assemblea dei fondatori.
4.1. La Stadt Stiftung Gütersloh(40
La prima fondazione di comunità fu fondata in Germania nel 1996 su iniziativa
del magnate dei media Reinhard Mohn, già fondatore della Fondazione Bertelsmann,
che mise a disposizione il patrimonio iniziale. La “Stadt Stiftung Gütersloh” cioè la
“Fondazione cittadina di Gütersloh” si richiama espressamente al modello americano di
fondazione di comunità. Il principio guida della Stadt Stiftung Gütersloh è racchiuso
nello slogan: “Wir für unsere Stadt” (Noi per la nostra città). La cittadina di Gütersloh
è situata nella parte nord-occidentale della Germania (regione Renania Settentrionale-
Vestfalia).
)
La fondazione è diretta da un Consiglio di Amministrazione indipendente mentre
un comitato di cittadini di Gütersloh, rappresentativo delle diverse categorie sociali e
professionali, promuove le sue attività. La fondazione comunitaria di Gütersloh, come
recita lo statuto, è una fondazione di cittadini per i cittadini(41
(40) ACRI, Rapporto sulle Community Foundations. Principi generali e aspetti operativi, Roma,
1998, pagg. 79-84 e SPALLEK N., Germany’s first community foundation: Stadt Stiftung Gütersloh (City Foundation of Gütersloh), pagina consultata il 6 dicembre 2011, in http://www.bertelsmann-stiftung.de/cps/rde/xchg/SID-AEE0F80E-E6798F24/bst_engl/hs.xsl/11242.htm.
).
(41) STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, Stiftungssatzung, Gütersloh, 2001, pag. 1, sul sito www.bertelsmann-stiftung.de.
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
161
La fondazione non è in concorrenza con le amministrazioni pubbliche locali o con
il governo statale, ma lavora per integrare i propri servizi con iniziative pilota efficaci in
campo sociale. La Stadt Stiftung Gütersloh seleziona i suoi progetti concentrandosi
soprattutto sulle questioni sociali e culturali più importanti per i residenti della città.
Lo scopo della fondazione è quello di promuovere, nella regione di Gütersloh,
l’educazione, l’istruzione, lo sport, la scienza, la ricerca, la tutela dell’arte, della cultura,
della salute pubblica, dell’ambiente, del paesaggio e la comprensione tra persone di
nazioni e culture diverse(42
Gli organi della fondazione sono il “Consiglio di fondazione” (Kuratorium) e il
“Comitato consultivo” (Beirat)(
).
43). Il “Consiglio di fondazione” è formato da 5 a 12
membri che sono individuati tra personalità che soddisfano i seguenti criteri: a) legami
con la città di Gütersloh; b) capacità di leadership e c) qualificazione per la raccolta di
fondi(44
Il “Comitato consultivo”, composto da 10 a 30 membri, svolge funzioni di
rappresentanza della cittadinanza di Gütersloh e di consulenza nei confronti del
consiglio in merito alla realizzazione dei programmi e all’utilizzo dei fondi. È formato
da personalità che soddisfano i seguenti requisiti: a) attaccamento alla città di
Gütersloh; b) possesso di competenze sociali; c) disponibilità al volontariato o
all’impegno finanziario e d) essere degni rappresentanti della comunità(
).
45
).
5. LA FONDATION DE FRANCE(46)
La Fondation de France è stata creata nel 1969, su impulso del Generale De
Gaulle, prendendo come modello le community foundations degli Stati Uniti. Lo scopo
era quello di costituire un organismo che aiutasse i soggetti privati (cittadini o imprese)
nella realizzazione di progetti filantropici.
(42) Art. 2 “Zweck und Aufgaben der Stiftung” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (43) Art. 5 “Organe der Stiftung” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (44) Art. 7 “Zusammensetzung des Kuratoriums” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (45) Art. 16 “Zusammensetzung des Beirats” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (46) ACRI, Rapporto sulle Community Foundations. Principi generali e aspetti operativi, op. cit.,
pagg. 70-78.
CAPITOLO QUINTO
162
In particolare la fondation avrebbe dovuto incoraggiare il «mecenatismo» privato
in vari settori d’interesse generale e sostenere quelle iniziative in grado di rispondere ai
nuovi bisogni della collettività.
L’iniziativa per la concreta realizzazione della fondation fu affidata alla Caisse
des Dépôts e a 17 banche che dotarono l’ente del patrimonio iniziale.
In seguito la fondation, attraverso la raccolta di fondi, divenne autonoma e
indipendente e oggi rappresenta uno strumento unico a disposizione di tutti i soggetti
che vogliono compiere interventi di solidarietà.
La Fondation de France è un ente privato non lucrativo, riconosciuto di pubblica
utilità, apolitico e aconfessionale. Il diritto francese distingue le fondazioni in tre
tipologie:
1) fondations reconnues d’utilité publique (fondazioni riconosciute di pubblica utilità)
sono create con decreto del Ministro dell’Interno previo parere del Consiglio di
Stato. La dotazione iniziale non è fissata per legge ma in pratica varia da 750.000
euro a 1 milione di euro a seconda del progetto(47
2) fondations d’entreprise (fondazione d’impresa) è un regime giuridico riservato alle
imprese e agli enti pubblici a carattere imprenditoriale o economico. Il prefetto del
dipartimento in cui è situata la sede della fondazione è competente a rilasciare
l’autorizzazione amministrativa. Le fondazioni d’impresa devono avere un obiettivo
di carattere generale. Le imprese fondatrici devono impegnarsi a rispettare un
programma d’azione pluriennale, il cui ammontare dovrà essere superiore o uguale a
150.000 euro (articolo 7 del decreto 91-1005 del 30 settembre 1991). Questo importo
potrà essere versato a rate per un periodo di cinque anni;
). Questi enti devono perseguire
obiettivi d’interesse generale, possono raccogliere fondi dal pubblico e ricevere legati
e donazioni;
(47) La Fondation Reconnue d’Utilité Publique (Loi n° 87-571 du 23 juillet 1987) «est créée par un
décret en Conseil d’Etat, selon une procédure administrée par le ministère de l’Intérieur dans les mêmes conditions que pour les associations. […] L’un des critères habituellement d’une fondation celui de la viabilité économique de l’entité, c’est-à-dire le montant de la dotation qui lui est affectée pour financier ses missions, qui doit être d’au moins 800 000 euros.». «Créée pour une durée illimitée, La Fondation Reconnue d’Utilité Publique (FRUP) doit avoir: − un objet d’intérêt général à but non lucratif, − une dotation suffisante pour accomplir son objet, − un conseil d’administration ou un conseil de surveillance avec directoire pour assurer sa
gouvernance.»: SAINT-MARS M. - RONZANI L., Fondation et Optimisation Patrimoniale, Emerit Publishing, Paris, 2009, pagg. 44 e 62.
I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI
163
3) fondations abritées (fondazioni protette) sono create, per testamento o da uno o più
fondatori viventi, nell’ambito di una fondazione di pubblica utilità e pertanto non
costituiscono un’autonoma entità giuridica. Queste fondazioni possono perseguire un
obiettivo generico o specifico.
La Fondation de France ha lo scopo di creare e gestire le fondazioni “protette”
che però devono avere un capitale iniziale di almeno 200.000 euro(48
). Queste
fondazioni “protette” hanno piena autonomia decisionale in ordine all’oggetto della loro
attività che tuttavia si rivolge ai problemi concreti di una comunità territoriale.
Quello che differenzia la Fondation de France dalle community foundations è che
quello francese è un intermediario filantropico nazionale e, pertanto, alcuni servizi
vengono spostati dalla periferia al centro a differenza di quello che accade nel modello
nordamericano in cui queste funzioni sono svolte a livello locale.
Questo elemento potrebbe rappresentare un vantaggio per le fondazioni “protette”
che tuttavia è controbilanciato dal fatto che le fondations abritées non sono strutture
pienamente autonome. La Fondation de France, pur non potendo interferire nelle scelte
gestionali delle fondazioni “figlie”, è giuridicamente responsabile delle loro iniziative e
questo determina un potere di veto motivato da parte del presidente della Fondation de
France.
La Fondation de France rappresenta quindi un modello francese di community
foundations.
(48) FONDATION DE FRANCE, Créer une fondation sous l’égide de la Fondation de France, Paris,
2009, pag. 6, sul sito www.fondationdefrance.org. All’interno della Fondation de France possono essere creati tre tipi di fondazioni: 1) «Les fondations sans dotation qui fonctionnent grâce à des versements réguliers effectués par le
fondateur ou par des tiers sollicités par lui. Les donateurs doivent s’engager à verser un montant minimum de 200 000 euros dans un délai maximum de 5 ans.
2) Les fondations, avec dotation, à durée limitée dont les ressources sont constituées des revenus et de la consommation progressive de la dotation.
3) Les fondations, avec dotation, pérennes dont seuls les revenus excédant l’inflation seront utilisés chaque année au bénéfice de la cause choisie. […] Les montants minimum pour créer une fondation avec dotation s’élèvent à 200 000 euros pour les fondations à durée limitée et à 500 000 euros pour les fondations pérennes. […] Toutefois, il est possible de créer un fonds individualisé à partir de 10 000 euros, si ce fonds possède un objet suffisamment général pour rejoindre un fonds de regroupement dont les interventions seront rattachées aux programmes collectifs de la Fondation de France.».
CONCLUSIONI
CONCLUSIONI
165
La decisione di affrontare un tema così complesso come quello delle “fondazioni
di comunità”(1
L’obiettivo del nostro lavoro è stato quello di sviluppare un’analisi critico-
descrittiva del modello delle fondazioni di comunità per valutare se e a quali condizioni
esso si sia adattato al contesto italiano e se sia stato in grado di sviluppare nuove
modalità d’intervento in ambito locale.
) ha rappresentato da subito una sfida sia per la novità dello strumento nel
panorama italiano sia per la raccolta del materiale bibliografico. Tuttavia, devo
ringraziare la Professoressa Antonietta Cosentino che ha saputo orientare la mia scelta
su un argomento così stimolante.
Il nostro tentativo, in pratica, ha avuto come scopo di “indagare” se le nuove
tendenze o pratiche filantropiche in atto siano state in grado di avviare, a livello locale,
un nuovo corso che potremmo quasi definire “Rinascimento filantropico”.
Analogamente a quel movimento che influenzò profondamente la storia dell’Italia
del Quattrocento(2
(1) Il tema del presente lavoro (eccetto gli accenni necessari a spiegare) è focalizzato sulle
fondazioni di comunità originate da fondazioni di origine bancaria.
), portando a un profondo rinnovamento dell’arte e della cultura, così
la filantropia comunitaria rappresenta la rigenerazione, in forma moderna, della
tradizione della filantropia.
(2) Il termine Rinascimento «si riferisce a un movimento intellettuale e artistico che cominciò in Italia nel XIV secolo, ebbe il suo culmine nel XVI secolo e influenzò il resto dell’Europa in modi molto diversi. La nozione di rinascita si riferisce al ritorno dei valori del mondo classico; questo concetto iniziò a essere usato all’inizio del XV secolo negli ambienti culturali italiani, in cui si riteneva di vivere in un periodo in cui le qualità dell’arte e della letteratura antiche stessero rifiorendo dopo secoli di barbarie. Nel secolo successivo Vasari diede forma compiuta all’idea di questa rinascita: riteneva infatti che l’arte avesse subito un declino nel medioevo, fosse stata riportata sulla retta via da Giotto e avesse raggiunto il suo apice con il suo amico ed eroe Michelangelo. […] Michelet vedeva il rinascimento come antitesi del medioevo, e anche se Burckhardt non condivideva questa visione, anche lui aveva una concezione del movimento piuttosto romantica, considerandolo come un’eccezionale fioritura dello spirito umano: “la scoperta del mondo e dell’uomo”. Nelle parole di Gombrich, “il XIX secolo considerava il rinascimento come un movimento di liberazione dal dogmatismo monacale del medioevo, che esprimeva il gusto ritrovato del piacere dei sensi nella celebrazione artistica della bellezza fisica”. […] Masaccio, come i suoi amici Brunelleschi e Donatello, viveva a Firenze, ed è quindi ragionevole considerare Firenze la culla del rinascimento, e il periodo intorno al 1425, a cui risalgono alcune delle loro opere più innovative, il momento di svolta fondamentale per l’arte europea. Firenze continuò a essere di importanza primaria per tutto il XV secolo, ma nel XVI secolo Roma e Venezia divennero centri artistici altrettanto significativi. L’apice del rinascimento fu raggiunto all’incirca tra il 1500 e il 1520, un periodo che oggi viene chiamato pieno rinascimento. Durante questo periodo i tre più famosi artisti del tempo - Leonardo, Michelangelo e Raffaello - realizzarono opere che per secoli sono state considerate esempi di impareggiabile perfezione e compimento di tutti gli ideali che gli artisti avevano perseguito da Giotto in poi. In architettura Bramante rappresenta un simile apice, e i suoi contemporanei ritenevano che i suoi progetti nobili e solenni avessero ricatturato la maestà degli edifici romani.»: “Rinascimento”, in CHILVERS I. (a cura di), Dizionario dell’Arte, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008, pagg. 714-715.
CONCLUSIONI
166
Ripercorrendo sinteticamente le fasi storiche della filantropia, vediamo che essa,
sempre presente fin dal medioevo, era stata relegata in un ruolo subalterno a partire
dall’avvento della Rivoluzione Francese che aveva posto il diritto soggettivo alla base
del soddisfacimento dei bisogni(3
Tuttavia «l’assolutizzarsi del diritto soggettivo favorisce l’isolamento
dell’individuo nei confronti della comunità.»(
).
4
La filantropia comunitaria consente, prima di tutto, di rompere questo schema e di
ricollocare la persona al centro della comunità.
).
La crisi del welfare state e l’esplodere di problemi sociali, molteplici e
diversificati, richiede un approccio pragmatico per individuare soluzioni e strumenti
d’intervento innovativi.
In linea generale i punti di forza di una fondazione sono rappresentati dalla sua
«stabilità e permanenza nel tempo: esse sono dei veri e propri monumenti destinati a
lasciare un perpetuo ricordo del fondatore o di persone a lui care e, nel contempo, in
grado di garantire un futuro ai suoi sogni e ideali. Infine esse non corrono i rischi di
degenerazioni assembleari e, non dovendo sottostare ai principi della democraticità
interna e della porta aperta, possono dotarsi di una struttura più agile ed efficiente
rispetto alle associazioni.»(5
Le fondazioni possono essere declinate attraverso due modelli di intervento
diversi: operativo ed erogativo.
).
Tuttavia la superiorità del modello erogativo emerge chiaramente in quanto le
fondazioni di erogazione «godono di interessanti vantaggi rispetto alle fondazioni
operative. Esse possono infatti usufruire al meglio del principio della divisione del
lavoro, potendo concentrare le proprie competenze nella gestione del patrimonio e
nell’individuazione delle iniziative più interessanti. Non dovendo gestire in proprio i
progetti, godono poi di tutti i benefici dell’outsourcing e quindi possono dotarsi di una
(3) «L’ipotesi era che l’azione della pubblica amministrazione e quella dei principi del libero mercato, ormai svincolate da ogni vestigia feudale, avrebbero potuto generare una valida soluzione a tutti i problemi sociali. […] L’attività caritatevole che superava la mera dimensione privata del singolo rischiava, da un lato, di distogliere risorse dai meccanismi del libero mercato generando la cosiddetta manomorta e, dall’altro, di creare centri di potere svincolati dal controllo del parlamento e dei partiti politici, che soli avevano una legittimazione democratica.»: CASADEI B., La filantropia comunitaria: uno strumento per vivere la solidarietà, in «Sociologia e Politiche Sociali», FrancoAngeli, Milano, volume 8, fascicolo 3, 2005, pag. 115.
(4) CASADEI B., Filantropia istituzionale e dignità della persona, op. cit., pag. 118. (5) CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, op.
cit., pag. 70.
CONCLUSIONI
167
struttura più snella e flessibile. Grazie a questa flessibilità sono poi in grado di
rispondere con maggiore efficacia e rapidità alle mutevoli sfide e ai bisogni emergenti
di una realtà in perpetuo cambiamento.»(6
Nel panorama italiano da alcuni anni stanno assumendo un’importanza crescente,
le fondazioni di comunità, che dopo l’iniziale incertezza dovuta sia alla “novità” che
alla lacunosità della normativa, che non ha favorito un ricorso sistematico a tale istituto,
appaiono sempre più come strumenti idonei alla riqualificazione della filantropia.
).
Nel nostro paese, quindi, si sta progressivamente assistendo all’abbandono
dell’impostazione precedente, in cui gli interventi caritatevoli erano lasciati alla
benevolenza individuale, per abbracciare quella in cui gli interventi filantropici sono
effettuati in forma scientifica e programmata. Questo cambiamento di prospettiva è stato
attuato prendendo come punto di riferimento i paesi più avanzati nel settore della
filantropia.
La rapidità con cui le fondazioni di comunità si stanno «diffondendo è un
indicatore della pervasività dei processi di globalizzazione, i quali accentuano su scala
locale il bisogno di appartenenza»(7
Le fondazioni di comunità, sotto l’aspetto economico, sono assimilabili alle
banche o agli intermediari finanziari in quanto operano in base alle stesse logiche di
funzionamento. In maniera analoga agli istituti creditizi attuano l’intermediazione
finanziaria tra i donatori e le organizzazioni del “terzo settore”. Esse effettuano la
selezione preventiva dei progetti da finanziare e il controllo successivo sulla
realizzazione degli interventi.
).
La data di nascita delle fondazioni di comunità, sebbene il progetto della
“Fondazione Cariplo” risalga al 1998, coincide con l’introduzione del comma 2-bis
all’art. 10 della legge sulle ONLUS che di fatto «legittima e promuove l’intermediazione
filantropica in Italia.»(8
La modifica legislativa ha rappresentato un «cambiamento radicale della
prospettiva» con cui erano stati gestiti, fino a quel momento, gli incentivi fiscali sia
).
(6) IBIDEM, op. cit., pag. 71. (7) FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, op. cit., pag. 71. (8) «Grazie alla nuova definizione di beneficienza introdotta con questa modifica, i cittadini e le
imprese potranno utilizzare l’intermediazione di fondazioni d’erogazione per sostenere progetti d’utilità sociale, usufruendo degli incentivi fiscali previsti dalla cosiddetta “più dai, meno versi”.»: CASADEI B., Intermediazione filantropica e fondazioni di comunità, in «Non Profit», Maggioli, Rimini, n. 2.2009, anno XV, aprile/giugno 2009, pag. 11.
CONCLUSIONI
168
perché tali «incentivi non sono più in funzione della soggettività dell’ente, ma
dell’attività svolta» sia perché in questo modo si «valorizza il ruolo del terzo settore,
nell’assicurarsi che le risorse vengano effettivamente utilizzate per finalità d’utilità
sociale.»(9
Il primo dato che emerge con forza dall’analisi effettuata è rappresentato da una
disomogenea diffusione territoriale del fenomeno.
).
Le fondazioni di comunità sono riuscite ad adattarsi ai diversi contesti locali
tuttavia risultano localizzate principalmente nell’Italia Settentrionale e in piccola parte
in quella Meridionale. Esse sono, invece, completamente assenti dal Centro Italia.
Questa anomalia è particolarmente significativa in primo luogo perché il tessuto
socioeconomico e culturale dell’Italia Centrale è molto simile a quello del Nord Italia e
in secondo luogo perché il Centritalia vede la presenza di molte fondazioni di origine
bancaria.
A titolo di esempio possiamo citare la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la
Fondazione Tercas (Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo), la Fondazione
Cassa di Risparmio di Perugia e la Fondazione Roma (ideale continuazione della Cassa
di Risparmio di Roma).
La Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia aveva predisposto un viaggio negli
Stati Uniti per studiare le community foundations locali, ma non sono poi seguiti passi
concreti per realizzarne in Italia(10
Perché queste fondazioni hanno scelto di non implementare progetti simili a
quello della Fondazione Cariplo privando il loro territorio del motore principale per lo
sviluppo di fondazioni di comunità?
).
La ragione principale di questa scelta va ricondotta a tre ordini di fattori: l’ambito
territoriale d’intervento della fondazione di origine bancaria, la caratteristica
dell’indipendenza delle fondazioni di comunità e il problema della concorrenza con gli
altri soggetti del “terzo settore”.
Per quanto riguarda il primo punto, la Fondazione Cariplo(11
(9) IBIDEM, op. cit., pag. 12.
) e la Compagnia di
San Paolo svolgono la propria attività nell’intero territorio regionale, mentre le
(10) CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, op. cit., pag. 86.
(11) Art. 3, comma 3, “Finalità e settori d’intervento” dello Statuto della FONDAZIONE CARIPLO, Milano, 2007, sul sito www.fondazionecariplo.it: «La Fondazione svolge la propria attività
CONCLUSIONI
169
fondazioni dell’Italia Centrale, anche a causa delle ridotte dimensioni, hanno un ambito
d’intervento limitato alla provincia di insediamento(12
Nondimeno una realtà grande e articolata come la città di Roma, richiederebbe la
creazione di fondazioni di comunità a livello di quartiere/circoscrizione analogamente a
quanto realizzato nel quartiere Mirafiori di Torino(
). Quindi mentre nel primo caso la
demoltiplicazione della struttura della fondazione originaria ha consentito un
avvicinamento alle diverse realtà locali, nel secondo caso la struttura della fondazione
già coincide con la comunità provinciale e pertanto non vi è la necessità di una
maggiore prossimità.
13
prevalentemente nel territorio e per le Comunità delle province della Lombardia, di Novara e di Verbania, nonché in ogni altra parte del territorio e della Comunità nazionale».
(12) Art. 2, comma 2, “Ambito territoriale e sede”. FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI PERUGIA, Statuto, Perugia, sul sito www.fondazionecrpg.it: «La Fondazione svolge la sua attività prevalentemente nell’ambito della provincia di Perugia.» e art. 3 “Ambito territoriale” dello Statuto della FONDAZIONE ROMA, Roma, www.fondazioneroma.it: «La Fondazione svolge le proprie attività istituzionali in Italia, con particolare riguardo al territorio della Provincia di Roma ed a quello della Regione Lazio».
(13) Considerazioni di carattere personale, basate su materiale esaminato, notizie acquisite o colloqui intercorsi con i responsabili delle strutture.
).
Per quanto riguarda il secondo punto, il blocco delle regioni dell’Italia Centrale è
caratterizzato dalla presenza di una forte infrastruttura sociale di impronta laica che
priva il contesto ambientale di uno degli attori necessari alla promozione delle
fondazioni di comunità.
In Toscana vi è un robusto associazionismo laico che presumibilmente considera
le fondazioni di comunità come potenziali concorrenti. Per questa ragione, pur in
presenza di una fondazione bancaria importante come quella di Siena, non si è andati
nella direzione della costituzione di fondazioni di comunità.
Invece in un contesto socialmente più destrutturato come quello del Molise si è
riusciti a ricondurre ad unità le diverse anime della solidarietà avvicinandole al progetto
della fondazione di comunità.
Inoltre le fondazioni di comunità per essere efficienti devono essere indipendenti
sia dai fondatori sia dalle organizzazioni del “terzo settore”, ma questa caratteristica mal
si coniuga con una certa cultura politica che mira a controllare le erogazioni.
Per quanto riguarda l’offerta di servizi ai donatori questa novità non è stata ancora
adeguatamente pubblicizzata risultando di fatto confinata all’ambito degli addetti ai
lavori.
CONCLUSIONI
170
Se sorretta da campagne di stampa e di marketing sociale(14
Il patrimonio delle famiglie che si estingueranno per mancanza di eredi diretti,
nella sola Lombardia, nei prossimi anni sarà di oltre venti miliardi di euro. In particolare
«Il valore economico dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti ad istituzioni di
beneficenza nel periodo 2004-2020 si può stimare in circa € 105 miliardi, con
riferimento all’intero Paese»(
) adeguate,
l’intermediazione filantropica potrebbe vedere crescere esponenzialmente la propria
importanza nei prossimi venti anni in quanto in quel periodo si verificherà il più grande
passaggio generazionale di ricchezza della storia.
15
Le fondazioni di comunità potrebbero intercettare una parte considerevole di quei
lasciti testamentari re-immettendoli nel circuito della solidarietà ed evitando il rischio
che vadano ad aumentare gestioni improduttive.
).
Anche altre tipologie di fondazione si stanno strutturando per poter offrire servizi
di intermediazione filantropica come nel caso della Fondazione Talenti(16) a Roma e
della Fondazione Paideia a Torino(17
Le fondazioni di comunità «sono nelle condizioni migliori per poter investire le
proprie risorse in progetti interessanti, ma in cui il rischio di fallimento è elevato o i cui
benefici potranno farsi sentire solo nel lungo se non nel lunghissimo periodo.»(
).
18
(14) Il marketing sociale è una «strategia del marketing utilizzata per influenzare un gruppo di
soggetti o target ad accettare, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario, allo scopo di ottenere un vantaggio per i singoli individui o per la società nel suo complesso. […] Nella pratica, il marketing sociale crea opportunità concrete affinché gli individui e le collettività scelgano in modo responsabile e consapevole comportamenti favorevoli alla tutela del benessere fisico, sociale e psicologico.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 188.
).
(15) BARBETTA G. P. - CANINO P. - CIMA S., Il valore potenziale dei lasciti di beneficienza, Collana Quaderni dell’Osservatorio n. 2, Fondazione Cariplo, Milano, 2009, pag. 14, sul sito www.fondazionecariplo.it/osservatorio.
(16) La Fondazione Talenti, il cui Presidente è il Prof. Pellegrino Capaldo, ha lo scopo di promuovere la cultura e la prassi dell’uso sociale dei beni, ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa e ai principi universali della solidarietà e del bene comune. L’Ente non eroga contributi ma mette a disposizione di quanti desiderano condividere i propri “talenti” servizi di consulenza e assistenza progettuale. Alle congregazioni, agli ordini religiosi e agli enti ecclesiastici, in possesso di beni immobili inutilizzati o sottoutilizzati, la Fondazione offre gratuitamente la propria collaborazione al fine di valutare le caratteristiche della struttura e il possibile riutilizzo a fini sociali. Agli enti, alle istituzioni e alle imprese pubbliche e private, che guardano con sempre maggiore attenzione alla valorizzazione del proprio ruolo sociale, la Fondazione offre la possibilità di valutare ed individuare iniziative meritevoli di essere sostenute attraverso la disponibilità di conoscenze, professionalità e contributi finanziari. Notizie acquisite il 2 febbraio 2012 sul sito www.fondazionetalenti.it.
(17) CASADEI B., Filantropia istituzionale e intermediazione filantropica, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia civile e crescita locale: l’emergere di nuove opportunità imprenditoriali e professionali”, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Economia “Richard M. Goodwin”, Polo di Arezzo, 8 aprile 2011, pag. 16, sul sito www.assifero.org.
CONCLUSIONI
171
In prospettiva gli strumenti più importanti per promuovere lo sviluppo delle
fondazioni di comunità sono rappresentati dalla leva fiscale e dall’investimento nelle
risorse umane.
La fiscalità di vantaggio dovrebbe prevedere il «meccanismo del credito
d’imposta»(19) a favore dei soggetti che contribuiscono ad attività sociali (ma anche
culturali, scientifiche, ecc.). «Il credito d’imposta può variare a seconda dell’attività
svolta dall’Istituzione destinataria del contributo e potrebbe raggiungere anche il 90 -
95% delle erogazioni se queste sono dirette ad attività di grandissima rilevanza sociale.
Per essere veramente efficace, il credito d’imposta dovrebbe essere disciplinato dal
«principio della cassa»(20) e non dal consueto «principio della competenza»(21). Ciò
significa che il credito matura immediatamente al momento della donazione e da quel
momento può essere portato in detrazione delle imposte da pagare.»(22
(18) CASADEI B., Donazioni, erogazioni e sostenibilità: una nuova strategia per gli enti
d’erogazione, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 3 - marzo 2004, pag. 52. (19) «Il credito d’imposta è un istituto del diritto tributario che può essere relativo a più vicende
rispetto alle quali la legge tributaria produce l’effetto del sorgere d’un debito dell’ente impositore verso determinati soggetti.»: DE MITA E., Principi di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 223. ORSI C., Manuale di diritto tributario, op. cit., 2011, pag. 123: «Il contribuente che si trovi a credito di imposta può scegliere fra una delle seguenti quattro opzioni:
).
Il personale che opera nelle fondazioni è fondamentalmente volontario questo se
da un lato consente di ridurre i costi della struttura dall’altro lato priva gli enti
dell’apporto di professionalità importanti.
− chiedere il rimborso dell’imposta a credito all’Ufficio territorialmente competente. […]; − riportare il credito nella dichiarazione annuale d’imposta successiva; − compensare il credito riferito a quell’imposta con i debiti relativi ad altri tributi e/o contributi, […]; − cedere il credito.».
(20) In base al criterio di cassa le scritture contabili tengono conto dei proventi e degli oneri effettivamente incassati e pagati nell’esercizio. Quindi l’azienda è tenuta a registrare solo le entrate effettive e le spese realmente sostenute.
(21) In base al criterio di competenza «i costi e i ricavi si considerano conseguiti nel momento in cui hanno luogo i fatti e le operazioni aziendali che li originano, indipendentemente dall’effettiva entrata o uscita monetaria. Infatti, spesso costi e ricavi non danno luogo ad immediate variazioni monetarie». Quindi l’azienda è tenuta a registrare le entrate e le uscite quando queste siano maturate, essendo irrilevante che la percezione o l’erogazione sia realmente avvenuta: DE MITA E., Principi di diritto tributario, op. cit., pag. 243.
(22) «Così, ad esempio, se il 10 giugno del 2011 un cittadino dona 1.000 euro ad una Istituzione sociale, iscritta in apposito elenco, diventa subito titolare di un credito d’imposta di 900 e lo può utilizzare immediatamente. Sicché, poniamo, se in quello stesso giorno egli deve pagare 4.000 euro di imposte (a seguito della dichiarazione dei redditi del 2010) ne verserà solo 3.100. Insomma occorre fare in modo che, per il cittadino, la riduzione delle imposte sia semplice e immediata. Per ottenere questo risultato anche in capo ai percettori di reddito fisso, non tenuti alla dichiarazione dei redditi, occorrerà la collaborazione dei «sostituti d’imposta», ai quali sarà chiesto di tener immediatamente conto – nel calcolo delle trattenute fiscali – degli eventuali crediti d’imposta maturati dai propri dipendenti.»: CAPALDO P., Filantropia istituzionale: forma di una moderna responsabilità civile, op. cit., pagg. 1-2.
CONCLUSIONI
172
Le fondazioni di comunità dovrebbero fare affidamento su «personale che curi in
modo particolare i rapporti con le OTS (ad esempio approfondendo la conoscenza e i
risultati della loro azione e curandone la sistematica diffusione), e con i donatori
intenzionati a sostenere specifiche finalità sociali (ai quali fornire servizi innovativi e
differenziati rispetto ad altri possibili fornitori). L’acquisizione di tali informazioni e la
loro circolazione, così come l’offerta di servizi ai donatori, potenzierebbe la funzione di
broker sociale delle FdC: favorendo la circolazione delle buone idee e suscitando forme
di collaborazione stabile fra una pluralità di attori.»(23
«Il ruolo che le FdC sapranno svolgere nel welfare locale dipenderà dalla loro
capacità di diffondere assieme alla cultura del dono anche un’autentica cultura
associazionale, e dal concepire il proprio capitale umano non soltanto come un costo,
ma come un investimento per valorizzare il capitale sociale della propria comunità.»(
).
24
Le nuove strategie d’intervento che potrebbero essere sviluppate dalle fondazioni
di comunità sono rappresentate dalla:
).
«venture philanthropy» in base alla quale la fondazione, invece di «limitarsi a
finanziare un progetto dell’organizzazione non profit, stabilisce con quest’ultima
una relazione molto più stretta, finanziandone per alcuni anni la stessa struttura
amministrativa, con l’obiettivo di creare le condizioni affinché essa possa, una volta
concluso il rapporto con la fondazione, essere pienamente autonoma, indipendente
ed economicamente sostenibile. Il rapporto fra la fondazione e l’organizzazione
beneficiaria è quindi molto stretto, con un coinvolgimento diretto di quella nella
vita di questa.»(25
«impatto collettivo». Questa modalità operativa, nata negli Stati Uniti e applicata in
Italia dalla Fondazione Comunitaria della Provincia Comasca, si basa sullo
sviluppo di una strategia comune che possa coinvolgere una pluralità di entità
provenienti da tutti i settori e disponibili a contribuire al miglioramento del bene
comune. Questa metodologia parte dalla necessità di individuare un’esigenza
comune, sufficientemente ampia per attirare l’interesse di una pluralità di soggetti,
e quindi di promuovere una riflessione partecipata che abbia come obiettivo quello
);
(23) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg.
243-244. (24) IBIDEM, op. cit., pag. 244. (25) CASADEI B., Donazioni, erogazioni e sostenibilità: una nuova strategia per gli enti
d’erogazione, op. cit., pag. 53.
CONCLUSIONI
173
di articolare e definire tale esigenza, così che possa essere condivisa dai vari
soggetti coinvolti. Quest’elaborazione deve diventare la cornice di riferimento
nell’ambito della quale sia poi possibile elaborare diverse strategie in cui ciascuno
possa svolgere un ruolo che ne valorizzi le proprie specificità. In questo modo ogni
soggetto può inserire il proprio sforzo in un obiettivo più ampio e nel contempo
essere a conoscenza di quanto altre entità stanno svolgendo così da poter più
facilmente individuare sinergie o evitare frizioni(26
Un altro elemento molto importante su cui puntare, che non è stato ancora
sufficientemente sviluppato, è la diffusione della conoscenza del modello delle
fondazioni di comunità nell’ambito delle categorie professionali dei commercialisti e
dei notai. Queste categorie potrebbero utilizzare le fondazioni comunitarie per offrire
nuovi e interessanti servizi ai loro clienti. In questo caso il problema principale da
superare è rappresentato dalla difficoltà di far comprendere a questi soggetti la
differenza fra le fondazioni di comunità, che sono uno strumento al servizio dei
donatori, e gli altri enti non profit, che invece perseguono un loro scopo particolare.
Solamente una conoscenza più approfondita del fenomeno da parte di questi
professionisti, gli consentirebbe di coglierne tutte le opportunità offerte.
).
Anche le banche e gli altri intermediari finanziari, che stanno scoprendo
l’importanza che i servizi filantropici possono avere per la gestione dei rapporti con i
clienti e soprattutto per la loro fidelizzazione, potrebbero dare vita a interessanti e
convenienti partnership con le fondazioni di comunità.
Il progetto delle fondazioni di comunità rappresenta il migliore esempio di
filantropia strategica a livello continentale, ma deve confrontarsi con alcune importanti
sfide. La più importante è rappresentata dal cambiamento culturale che deve investire la
classe dirigente ai diversi livelli di governo.
«Le classi dirigenti da cui di norma vengono scelti gli amministratori degli enti di
filantropia comunitaria, si sono necessariamente formate in una cultura che faceva fatica
a concepire il significato sociale del dono.»(27
(26) CASADEI B., La filantropia prossima ventura, Relazione tenuta alla tavola rotonda sul tema
“La filantropia prossima ventura: esperienze di frontiera tra grant-making ed investimento sociale” organizzata nell’ambito del Master in Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative, SDA Bocconi, Milano, 21 settembre 2011, sul sito www.assifero.org.
).
(27) CASADEI B., La filantropia comunitaria: uno strumento per vivere la solidarietà, op. cit., pag. 130.
CONCLUSIONI
174
L’Establishment ha spesso dimenticato la propria responsabilità sociale e, mentre
la cultura del dono è molto diffusa fra le persone comuni, lo è molto meno fra chi è stato
abituato a credere che il bene comune dovesse essere perseguito unicamente con le
risorse pubbliche. Solo se le élite sapranno riscoprire il piacere di contribuire
personalmente alla realizzazione del bene comune, sarà possibile dotare questi enti di
Consigli d’Amministrazione che ne comprendano il loro vero significato e ne
valorizzino pienamente le grandi potenzialità.
La deriva sociale della nostra società potrà essere arrestata solo se saremo capaci
di «sostituire lo stato sociale con una società solidale»(28
Le fondazioni di comunità, il cui modello è stato importato dagli Stati Uniti,
affondano le loro radici nella cultura caritatevole e nell’operosità delle genti italiche di
cui vogliono diventare uno strumento d’azione.
) e lo strumento della
fondazione di comunità è l’unico in grado di far rinascere una vera solidarietà e
riannodare i fili spezzati delle nostre comunità.
Forse questa persona giuridica non ha un’“anima”, di sicuro, però, finora ha
dimostrato di avere una “testa” e a dimostrazione di ciò vi sono gli interventi realizzati
in molte situazioni sociali difficili.
La nostra ricerca ha messo in evidenza che alle fondazioni e agli strumenti
d’intervento “tradizionali” se ne è aggiunto uno nuovo.
L’attuale crisi dello stato sociale sta disgregando il tessuto comunitario e a tale
proposito, riteniamo che sia definitivamente concluso il tempo della pianificazione
dall’alto, fallita per l’assenza di una visione d’insieme e di confronto sulle scelte da fare,
e sia giunto il momento dell’iniziativa dal basso che coinvolga i singoli e le comunità.
Le fondazioni di comunità potrebbero davvero costituire un’arma in più per
vincere la sfida della solidarietà.
Siamo davanti a uno strumento nuovo e potenzialmente “esplosivo” che
nonostante alcune perplessità, che sicuramente la prassi contribuirà a chiarire, può
rappresentare un “catalizzatore” per i processi di intervento in campo sociale.
Potenzialità queste che sono state colte dalle fondazioni di origine bancaria, in
primis dalla Cariplo, la cui opera va perciò ulteriormente apprezzata ma soprattutto
studiata.
(28) IBIDEM, op. cit., pag. 131.
CONCLUSIONI
175
In generale, il successo di iniziative come quella delle fondazioni di comunità, ma
l’osservazione vale per tutti i casi analoghi, poggia sulla consapevolezza che la
riqualificazione dello Stato Sociale debba diventare centrale nell’ambito della nuova
cultura del dono e che tali interventi, per la quantità di risorse che richiedono, debbano
coinvolgere sempre di più gli individui. Anche se ciò, ovviamente, non significa per le
amministrazioni pubbliche di rinunciare a svolgere il proprio ruolo. La più grave
carenza dei piani e dei programmi che si sono succeduti nel corso degli anni, infatti, è
stata soprattutto la mancanza di una complessiva e organica visione di lungo periodo, in
grado di affrontare le molteplici problematiche delle comunità.
A nostro parere, i principi di solidarietà e sussidiarietà che presuppongono la
responsabilità sociale di ogni persona stanno gradualmente attuando un passaggio
fondamentale: da un “governo delle emergenze” a una “politica della solidarietà”, in
quanto non è più possibile, specialmente negli ambiti comunitari, redigere piani
d’intervento privi di qualsiasi visione strategica, in grado cioè di realizzarsi nella
semplice erogazione dei contributi. In questo panorama, le fondazioni di comunità si
propongono come uno strumento di ingegneria filantropica veramente innovativo, in
grado di contemperare e garantire gli elementi essenziali di un moderno piano d’azione
sociale: strategia, concertazione e sostenibilità.
Le fondazioni di comunità rappresentano una storia di successo e speriamo che lo
rimangano a lungo.
BIBLIOGRAFIA
SOMMARIO: 1. Agenzia per il terzo settore – 2. Agenzia delle entrate – 3. Associazione
di fondazioni e di casse di risparmio – 4. Monografie – 5. Saggi – 6. Articoli, riviste e periodici – 7. Atti di convegni e seminari – 8. Rapporti e ricerche – 9. Encicliche papali – 10. Altre fonti – 11. Statuti, regolamenti e rapporti annuali – 12. Siti internet istituzionali delle fondazioni di comunità.
BIBLIOGRAFIA
177
«Farsi una bibliografia significa
cercare quello di cui non si
conosce ancora l’esistenza.»(1
)
1. AGENZIA PER IL TERZO SETTORE
1) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, Editrice San Raffaele, Milano, 2011.
2) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, Linee guida per la raccolta dei fondi, Milano, 2011, sul sito www.agenziaterzosettore.it.
2. AGENZIA DELLE ENTRATE
1) AGENZIA DELLE ENTRATE, circolare n. 12/E “Art. 30 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 - Enti associativi e norme in materia di ONLUS”, Roma, 9 aprile 2009, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.
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3) AGENZIA DELLE ENTRATE, guida alle “Erogazioni liberali: le agevolazioni fiscali”, Roma, 2007, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.
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41) VIGLIO E., Nasce la Fondazione di Comunità del Canavese, LaVallèe Notizie, 28 gennaio 2012.
7. ATTI DI CONVEGNI E SEMINARI
1) CAPALDO P., Filantropia istituzionale: forma di una moderna responsabilità civile, Relazione tenuta al 2° Convegno Nazionale delle Fondazioni e degli Enti d’Erogazione sul tema “Oltre i progetti: responsabilità, potenzialità e strategie della filantropia istituzionale per lo sviluppo del Paese”, Roma, 11 marzo 2011, sul sito www.assifero.org.
2) CASADEI B., Dono e sussidiarietà: le fondazioni di comunità, Relazione tenuta al “Seminario di introduzione alla sussidiarietà come principio di regolazione e governance sociale”, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche, Bologna, 19 gennaio 2012, sul sito www.assifero.org.
3) CASADEI B., Filantropia istituzionale e intermediazione filantropica, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia civile e crescita locale: l’emergere di nuove opportunità imprenditoriali e professionali”, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Economia “Richard M. Goodwin”, Polo di Arezzo, 8 aprile 2011, sul sito www.assifero.org.
4) CASADEI B., Fondazioni di comunità: novità e problematiche, Il Sole 24 Ore, Milano, in «I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato», Atti del Convegno Non profit: le sfide dell’oggi e il ruolo del notariato, (Milano, 5 novembre 2010), pagg. 86-93.
5) CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, Relazione tenuta all’incontro organizzato dalla Fondazione CAB, Brescia, 13 ottobre 2011, sul sito www.assifero.org.
6) CASADEI B., Le fondazioni di comunità come intermediario filantropico, Relazione tenuta al convegno su “Fondazioni di Comunità, società civile e bene comune” organizzato dalla Fondazione Riviera-Miranese, Salzano (VE), 26 novembre 2011, sul sito www.assifero.org.
7) CASELLI L., La produzione e distribuzione del valore, in AA.VV., Le aziende nonprofit tra Stato e mercato, Accademia Italiana di Economia Aziendale, Atti del XVIII convegno annuale, CLUEB, Bologna, 1996.
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8) MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita e Ruolo, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia delle aziende non profit”, Università degli Studi di Roma “Sapienza”, Facoltà di Economia, Dipartimento di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, 9 dicembre 2010, sul sito www.assifero.org.
9) CASADEI B., La filantropia prossima ventura, Relazione tenuta alla tavola rotonda sul tema “La filantropia prossima ventura: esperienze di frontiera tra grant-making ed investimento sociale” organizzata nell’ambito del Master in Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative, SDA Bocconi, Milano, 21 settembre 2011, sul sito www.assifero.org.
8. RAPPORTI E RICERCHE
1) BARBETTA G. P. - CANINO P. - CIMA S., Il valore potenziale dei lasciti di beneficienza, Collana Quaderni dell’Osservatorio n. 2, Fondazione Cariplo, Milano, 2009, sul sito www.fondazionecariplo.it/osservatorio.
2) BORZAGA C., Sull’impresa sociale, Working Paper n. 19, ISSAN, Università degli Studi di Trento, 2005.
3) PRELE C., Le fondazioni di comunità nell’ambito del terzo settore in Piemonte, Torino, IRES, 2010, in http://213.254.4.222/cataloghi/pdfires/785.pdf.
4) SACCO P. L. - ZARRI L., Perché esiste il settore non profit?, Working Paper n. 29, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Economia di Forlì, Febbraio 2006.
9. ENCICLICHE PAPALI
1) BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, sul sito www.chiesacattolica.it.
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10. ALTRE FONTI
1) CAMPOBASSO G. F., Manuale di diritto commerciale, Utet, Torino, 2004.
2) CHILVERS I. (a cura di), Dizionario dell’Arte, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008.
3) Cooptazione, ad vocem, in La Piccola Treccani. Dizionario Enciclopedico, Istituto della Enciclopedia Italiana, volume III, Roma, 1995.
4) DE MITA E., Principi di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2007.
5) EUTEKNE (a cura di), Tuir, IPSOA, Assago (MI), 2010.
6) GALGANO F., Trattato di diritto civile, volume I, Cedam, Padova, 2010.
7) LUPOI M., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Cedam, Milano, 2011.
8) Manomorta, ad vocem, in La Piccola Treccani. Dizionario Enciclopedico, Istituto della Enciclopedia Italiana, volume VII, Roma, 1995.
9) ORSI C., Manuale di diritto tributario, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2011.
10) TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, ventesima edizione, 2011.
11) TRIMARCHI P., Istituzioni di diritto privato, Giuffrè, Milano, diciottesima edizione, 2009.
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11. STATUTI, REGOLAMENTI E RAPPORTI ANNUALI
1) CITTÀ DI TORINO, Delibera di indirizzo nomine, Torino, 4 ottobre 1993, in http://www.comune.torino.it/amm_com/nomine/delibnomine.htm.
2) CITTÀ DI TORINO, Regolamento del Consiglio Comunale, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/consiglio/regolamento.
3) CITTÀ DI TORINO, Statuto, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/amm_com/statuto.
4) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, Arlington, VA, pagina consultata il 9 dicembre 2011, in http://www.cfstandards.org/standards.
5) FONDATION DE FRANCE, Créer une fondation sous l’égide de la Fondation de France, Paris, 2009, sul sito www.fondationdefrance.org.
6) FONDAZIONE CARIPLO, Quaderni operativi – La Struttura, Milano, sul sito www.assifero.org.
7) FONDAZIONE CARIPLO, Regolamento per le erogazioni emblematiche, Milano, gennaio 2010, sul sito www.fondazionecariplo.it.
8) FONDAZIONE CARIPLO, Statuto, Milano, 2007, sul sito www.fondazionecariplo.it.
9) FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI PERUGIA, Statuto, Perugia, sul sito www.fondazionecrpg.it.
10) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2001, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.
11) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2010, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.
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12) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Statuto, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.
13) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento dell’attività erogativa su bandi, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.
14) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento dell’attività erogativa fuori bando, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.
15) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento per la concessione del patrocinio, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.
16) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Statuto, Legnano (MI), sul sito www.fondazioneticinoolona.it.
17) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL VARESOTTO, Statuto, Varese, sul sito www.fondazionevaresotto.it.
18) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI LODI, Statuto, Lodi, sul sito www.fondazionelodi.org.
19) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI PAVIA, Rapporto Annuale 2010, Pavia, sul sito www.fondazionepv.it.
20) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Regolamento attività istituzionali, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it.
21) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Statuto, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it.
22) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Modello operativo dell’attività erogativa, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
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23) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento e linee guida per la costituzione di fondi patrimoniali, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
24) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento per gli impieghi del patrimonio, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
25) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento per la concessione del patrocinio, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
26) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento per la valutazione degli enti e progetti, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.
27) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Relazione Sociale 2010, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org.
28) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Statuto, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org.
29) FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Statuto, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org.
30) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Rapporto Annuale 2011, Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org:
31) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Statuto, Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org.
32) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DEL NOVARESE, Statuto, Novara, 2008, sul sito www.fondazione.novara.it.
33) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Regolamento del Comitato di Nomina, Torino, 2008.
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34) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Statuto, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it.
35) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Statuto, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it.
36) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Relazione sociale 2010, Monza, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org.
37) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Statuto, Monza, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org.
38) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ SALERNITANA, Statuto, Salerno, sul sito www.fondazionecomunitasalernitana.it.
39) FONDAZIONE DI COMUNITÀ DEL CENTRO STORICO DI NAPOLI, Statuto, Napoli, sul sito www.fondcomnapoli.it.
40) FONDAZIONE RIVIERA MIRANESE, Statuto, Dolo (VE), sul sito www.fondazionerm.org.
41) FONDAZIONE ROMA, Statuto, Roma, sul sito www.fondazioneroma.it.
42) STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, Stiftungssatzung, Gütersloh, 2001, sul sito www.bertelsmann-stiftung.de.
43) THE NEW YORK COMMUNITY TRUST, annual report 2010, New York, NY, sul sito www.nycommunitytrust.org.
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12. SITI INTERNET ISTITUZIONALI DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ
1) www.fdcdonluigisturzo.it.
2) www.fondazione.mantova.it.
3) www.fondazione.novara.it.
4) www.fondazionebergamo.it.
5) www.fondazionebresciana.org.
6) www.fondazionecerea.it.
7) www.fondazioneclodiense.it.
8) www.fondazione-comasca.it.
9) www.fondazionecomunitasalernitana.it.
10) www.fondazionecrtreviglio.it.
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11) www.fondazionelodi.org.
12) www.fondazionemirafiori.it.
13) www.fondazionemonnalisa.org.
14) www.fondazionemonzabrianza.org.
15) www.fondazionenordmilano.org.
16) www.fondazioneponentesavonese.org.
17) www.fondazioneprovcremona.it.
18) www.fondazionepv.it.
19) www.fondazionerdf.it.
20) www.fondazionerdf.it.
21) www.fondazionerm.org.
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22) www.fondazionesantostefano.it.
23) www.fondazionesinistrapiave.it.
24) www.fondazioneterradacqua.it.
25) www.fondazioneticinoolona.it.
26) www.fondazionevaresotto.it.
27) www.fondazionevco.it.
28) www.fondazionevda.it.
29) www.fondazioneveronese.org.
30) www.fondazionevicentina.it.
31) www.fondcomnapoli.it.
32) www.fondprovlecco.org.
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33) www.molisecomunita.it.
34) www.provaltellina.org.
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L’autore, per quanto è stato possibile, ha sempre citato la
provenienza delle opere e dei testi. Con riferimento al
materiale di cui non è stata rintracciata la fonte, si precisa
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