UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE
CNT DURANTE LA GUERRA
CIVILE SPAGNOLA
Tesi di Laurea di: Massimo Riva
Relatore: Prof. Maurizio Antonioli
Anno Accademico 2009/2010
"Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo
proprio adesso, mentre sto parlando con te"
Buenaventura Durruti
INDICE
1. IL CASO DELLA CONFEDERACIÓN NACIONAL DE
TRABAJO (1936-39)
1.1 Peculiarità spagnole
1.2 Un sindacato particolare
2. LA RIVOLUZIONE SOCIALE
2.1 Le collettivizzazioni
2.1.1 Esempio di collettivizzazione della terra durante la
rivoluzione spagnola nel villaggio aragonese catalano
di Cretas
2.1.2 Restaurazione statale
2.2 Muejeres libres
2.3 Le milizie
3. LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA E LA CNT (1936-39)
3.1 Prime fasi della rivoluzione (luglio-settembre 1936)
3.2 Il ruolo dei sindacati e il primo governo Caballero
(settembre-novembre 1936)
3.3 Gli anarchici entrano nel secondo governo Caballero
(novembre 1936-gennaio 1937).
3.4 L’autoritarismo degli stalinisti: repressione degli
anarchici e del POUM ( maggio 1937)
3.5 Ultime fasi della guerra ( gennaio-dicembre 1938)
3.6 La sconfitta dei rivoluzionari ( gennaio-aprile 1939)
4. MUSICA NELLA RIVOLUZIONE
4.1 “A las barricadas”
4.2 Testo canzone
5. BIBLIOGRAFIA
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CAPITOLO 1
IL CASO DELLA CONFEDERCIÒN NACIONAL DE
TRABAJO (1910-1936)
1.1 Peculiarità spagnole
Il conformarsi del movimento operaio e popolare in Spagna presenta
dei tratti caratteristici rispetto alle esperienze coeve del resto del
continente europeo e in special modo con l'Europa centrale e
insulare. La Spagna fu, infatti, l'unico paese in cui le idee
dell'anarchismo riuscirono a dar creare un movimento di massa che
tentò di mettere alla prova le proprie concezioni sociali fino alla
vittoria del regime franchista, nel 1939. Fu anche l'unico paese in
cui gli anarchici riuscirono seriamente a organizzare centinaia di
migliaia di persone, nelle proprie organizzazioni specifiche (in primo
luogo la Federación anarquista ibérica (FAI) e le Juventudes
libertarias) e tramite la Confederación nacional del trabajo (CNT),
organizzazione sindacale di ispirazione e direzione prevalentemente
libertaria.
Nella CNT coesistevano almeno due orientamenti: uno certamente
anarchico, che prendeva corpo dalle teorie di Bakunin importate in
Spagna nel 1868 da Giuseppe Fanelli; un altro d’impronta
puramente sindacalista, simile alla Confédération Générale du
Travail francese forgiata da Pelloutier. Una terza tendenza è quella
marxista rivoluzionaria che prende corpo sull'onda di entusiasmo
scatenata dalla rivoluzione russa del 1917. I suoi principali
esponenti furono Andreu Nin e Joaquìn Maurìn, segretari generali
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del sindacato nel 1920-21, e più tardi animatori del Partido Obrero
de Unificación Marxista (POUM).
Quest'ultima tendenza fu sempre assai minoritaria, se non per il
prestigio dei due dirigenti e non ebbe mai la stessa rilevanza delle
altre due, segno delle difficoltà del marxismo nell'imporsi come
riferimento teorico per le classi subalterne spagnole.
Se è vero che all’interno della CNT la componente anarchica fu
sempre quella dominante, è altrettanto verificabile la complessità
delle fonti che costruirono questa organizzazione e la costante
dialettica tra le diverse interpretazioni della lotta e della società da
costruire.
Con l'intenzione di affrontare l'esperienza anarco-sindacalista
spagnola, mi propongo di osservare questa strana organizzazione
per quello che fu, o perlomeno per ciò che tentò di essere: una
creazione collettiva di individualità libere ed eguali, in cui le voci dei
dirigenti non vollero mai essere “la linea politico-sindacale” quanto
piuttosto espressioni del clima culturale dell'organizzazione o
suggerimenti rivolti ai propri compagni di lotta.
Sarebbe scorretto da parte mia non palesare che nel trattare questo
argomento sono motivato dalla vicinanza e la simpatia, non solo
culturale ma anche sentimentale e umana, verso questa porzione di
umanità che ebbe il coraggio, oltre che l'occasione, di mettere in
pratica la propria affascinante idea di mondo.
Bandiera rosso-nera, spesso associata al comunismo libertario.
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1.2 Un sindacato particolare
La Confederación Nacional del Trabajo (CNT) è una storica
organizzazione anarco-sindacalista fondata nel 1910 a Barcellona.
Fu protagonista principale durante la rivoluzione spagnola.
La CNT trova la sua origine nei centri operai anarchici dei militanti
della I Internazionale degli anni 1860. Infatti, la sezione spagnola
dell’Internazionale - come la sua sorella italiana – era piuttosto
influenzata dalle idee bakuniste. Dopo il fallimento della I
Internazionale, società operaie persistettero comunque, in
particolare la società Solidaridad Obrera di Barcellona nata il 3
agosto 1907.
Nel 1910, quest’organizzazione e altre minori si riunirono a
Barcellona (secondo congresso di Solidaridad Obrera: 30, 31 ottobre
e 1° novembre 1910), dove diedero vita alla costituzione della CNT,
creata in opposizione all’Unión General de Trabajadores (UGT),
sindacato d’ispirazione socialista e legata al Partido Socialista
Obrero Español (PSOE).
Dopo il primo congresso della CNT, l’8 settembre del 1911, il
sindacato fu dichiarato illegale fino al 1914, poiché fu promotore di
uno sciopero generale. Nel 1916 iniziò un dialogo con l'UGT, che
portò nel 1917 ad un altro sciopero generale represso molto
duramente dall’esercito che causerà 71 morti, 37 dei quali soltanto
a Barcellona, al quale collaborarono entrambe le associazioni.
Nel 1918 una forte crisi industriale colpì la Catalogna e questo
spinse molti lavoratori ad assumere posizioni sempre più radicali e
molti di loro decisero di entrare a far parte della CNT. La borghesia
intimorita dall’avanzata del sindacato anarchico rispose con la
violenza dei “pistoleros”, ovvero con l’impiego di mercenari
paramilitari che avevano lo scopo di "colpire" l’attivismo dei militanti
anti-borghesi.
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I rapporti tra la CNT e l’UGT si solidificarono e nel secondo
congresso, nel 1919, da qualcuno emerse l'idea di fondere i due
sindacati per unire la classe lavoratrice. Fu anche approvata una
temporanea alleanza con la Terza Internazionale ma, quest’alleanza
si ruppe nel 1922 dopo che Angel Pestaña, inviato dalla CNT a
Mosca, venne a conoscenza della repressione contro i libertari e
quindi dalla sua relazione negativa che fece.
Nel 1919 la CNT tenne il proprio congresso nazionale a Madrid che
riunì 450 delegati in rappresentanza di 700.000 confederati. In
questo congresso fu approvata una dichiarazione di principi in cui è
contenuta un'inequivocabile affermazione identitaria anarchica:
“Tenendo conto che la tendenza che si manifesta con più forza nel
seno delle organizzazioni operaie di tutti i paesi è quella che procede
verso la completa, totale e assoluta liberazione dell'Umanità, […] e
considerando che quest’obiettivo non potrà essere raggiunto finché
non saranno socializzati la terra, gli strumenti di produzione e di
scambio e finché non sia sparito il potere soffocante dello Stato, [i
delegati] propongono al congresso che, in accordo con lo spirito dei
postulati della Prima Internazionale dei lavoratori, dichiari che il fine
perseguito dalla CNT di Spagna sia il Comunismo Anarchico.”[1].
Nel 1927, gli anarchici della CNT, contribuirono alla costituzione
della Federación anarquista ibérica (FAI), storica organizzazione
anarchica che integra gruppi anarchici spagnoli e portoghesi e che
controllerà progressivamente la CNT durante il periodo
repubblicano. Fu protagonista durante la rivoluzione spagnola,
impegnata, durante quegli anni, principalmente a mettere in piedi
diversi tentativi di destabilizzazione del regime di Rivera.
La CNT mise in chiaro un nuovo modo di concepire l’organizzazione
rivoluzionaria.
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Nel suo programma è evidente come si tentasse di trovare un punto
di incontro, se non una sintesi vera e propria, tra il comunismo
anarchico rurale e le espressioni più moderne del sindacalismo
rivoluzionario, che cominciava a svilupparsi presso il nascente e
agguerrito proletariato industriale catalano.
L'organizzazione rivoluzionaria della società si sarebbe dovuta
sviluppare dal basso in alto e dalla circonferenza al centro; sono
perciò nettamente rifiutati lo Stato e tutte le sue istituzioni, così
come la Chiesa cattolica. L'organizzazione della società si sarebbe
data come federazione internazionale di Comuni autonome. La parte
economica prevedeva l'abolizione della proprietà privata e la confisca
delle terre e dei capitali che sarebbero dovuti essere utilizzati
collettivamente dalle associazioni dei produttori.
Le tattiche di lotta quotidiana da perseguire si confermarono al
congresso del 1919. Lo sciopero generale a oltranza è ritenuto
l'unica forma di lotta che possa portare alla liberazione del
proletariato stesso. Le mediazioni di tipo corporativo (attualmente
diremmo “concertativo”) avrebbero distolto da questo obiettivo
portando ad una deriva riformistica. Il sabotaggio è raccomandato
come forma di lotta contro il capitale da utilizzarsi con intelligenza e
solo quando realmente indispensabile. Lo sciopero è una forma di
“azione diretta” intrapresa dai proletari. Un'azione diretta è
caratterizzata dal conflitto tra i due protagonisti di una
contraddizione, senza figure di mediazione. Così l'azione diretta
nella sfera economica è la contrapposizione pura e semplice tra il
padrone e il salariato e, per estensione, tra sindacato e
organizzazioni padronali; mentre nella sfera politica è il semplice
scontro tra i proletari e il potere politico (spesso con il suo apparato
repressivo), nella forma dell'insurrezione generalizzata, delle
sommosse e anche nell'uso del terrorismo quando necessario a
difendere l'organizzazione dai nemici di classe. È sempre rifiutata la
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lotta basata sul piano politico-istituzionale, almeno fino alla
rivoluzione del 1936.
Non bisogna dimenticare l'apporto che il sindacalismo francese
diede ai fratelli spagnoli.
Nel 1906, al congresso d’Amiens, la Confédération Générale du
Travail anche in ragione dell'influenza di Émile Pouget affermò
risolutamente il doppio ruolo del sindacato, da una parte
organizzazione di lotta rivendicativa e dall'altro attore della
“emancipazione integrale, che non può realizzarsi che attraverso
l'espropriazione capitalista; preconizza come mezzo d’azione lo
sciopero generale e considera che il sindacato, oggi organizzazione di
resistenza, sarà nell'avvenire l'organizzazione di produzione e
distribuzione, base della riorganizzazione sociale.”
L'idea stessa del sindacalismo rivoluzionario in Francia è fatta
risalire a Fernand Pelloutier, che nel 1895 propose il sindacato come
organizzazione di produttori ostili al padronato e tendente
all'autonomia economica e politica. Il sindacato era concepito come
una leva per spezzare il dominio del capitale e nello stesso tempo
come embrione della società futura.
Il pensiero di Pelloutier, di tendenza libertaria e ispirato molto da
Bakunin, ebbe facile influenza tra le giovani leve spagnole, in
particolar modo Angel Pestaña e Salvador Seguì. Questi fu in
maniera quasi esclusiva un organizzatore più che un teorico, mentre
Pestaña diede un contributo maggiore al formarsi del pensiero della
CNT, in special modo alla fine degli anni Venti quando ne animò la
corrente trentista.
Questa corrente, che prese il nome dal numero dei firmatari del
proprio manifesto, sostenne una critica brillante all'avventurismo
rivoluzionario proprio dei sostenitori del mito dello sciopero
generale, concentrò un'attenzione particolare alla problematica dello
Stato (con cenni alla sua dimensione psicologica) e a come fosse
possibile distruggerlo realmente, dato che sarebbe stato “primitivo”
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pensare che potesse scomparire grazie “ai miracoli della santa
rivoluzione”.
Chi sosteneva questo tipo di rivoluzione sarebbe un “puro demagogo
che consegnerebbe il potere al primo partito politico che si
presentasse”. Il manifesto continuava dichiarando la propria fede
rivoluzionaria, ma rinnegando il “mito della rivoluzione”. Si
delineava così un'ipotesi più gradualistica e complessa per la
preparazione della rivoluzione, più attenta agli aspetti educativi e
capace di “lasciare spazio sufficiente all'iniziativa individuale, al
gesto e all'azione attraverso cui l'individuo si esprime”. Dalle righe
che precedono sarebbe difficile fare una caratterizzazione riformista
della frazione di Pestaña e Peirò, ma conviene dare uno sguardo a
ciò che avveniva in Spagna in quegli anni.
Nel 1929 si fecero sentire gli effetti della crisi e la sostanziale
incompetenza della squadra di governo, la quale porterà nel 1930
alla caduta della dittatura di Primo de Rivera e fu istituita la
Seconda Repubblica, si alternarono al potere delle coalizioni
socialiste-repubblicane e quelle di conservatori e clericali. I primi
quattro anni repubblicani furono il periodo di maggior antagonismo
mai sviluppato dalla CNT contro tutti i governi in carica.
Effettivamente nel primo biennio, con i repubblicani e i socialisti al
governo, questo tentò di arrivare a compromessi con la parte più
“moderata” della CNT, quella che faceva capo a Pestaña, che fu
attirata verso la collaborazione con le nuove autorità repubblicane,
mentre verso i militanti dell'organizzazione più vicini alla FAI fu
usato il pugno di ferro. I dirigenti anarchici furono, di fatto,
incarcerati, espulsi e uccisi in scontri a fuoco o durante gli scioperi
insurrezionali.
Nel giro di poco tempo la corrente riformista fu espulsa, fu sostituita
la direzione di Solidaridad Obrera (principale quotidiano della CNT),
per poi trovare una ricomposizione alla vigilia della rivoluzione del
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1936, proprio mentre Angel Pestaña stava fondando un proprio
partito politico.
Certamente furono i fatti successivi a dirimere la questione,
soprattutto togliendo l'imbarazzo del “governo amico” dal momento
che nel 1934 le destre vinsero le elezioni e di nuovo, due anni dopo,
cambiando completamente l'ordine del giorno con la rivolta militare
e la rivoluzione.
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CAPITOLO 2
LA RIVOLUZIONE SOCIALE
La rivoluzione coincise pienamente con la guerra civile spagnola,
combattuta dal 1936 al 1939.
Operai, contadini, militanti politici e sindacali, intellettuali scesero
in campo contro il golpe del generale Francisco Franco. Eressero
barricate e assaltarono le caserme dei militari. Il popolo in armi
bloccò il fascismo in gran parte della Spagna. Cuore di questa rivolta
furono la Catalogna e la CNT. Ma non si trattò soltanto di una
risposta al fascismo.
In quel breve periodo (1936-1939) venne scritta una delle pagine più
esaltanti dell’emancipazione umana. Fu un momento di grandi
speranze, di forti passioni, di febbrile attività, in cui le terre vennero
collettivizzate, le fabbriche occupate e le città liberate dalle milizie
popolari. La società venne riorganizzata dal basso e in senso
libertario.
La quasi scomparsa delle istituzioni clericali annullò il
condizionamento ideologico e pratico esercitato su ampi settori della
società spagnola. La mancanza del ricatto psicologico, che i preti
realizzavano da lungo tempo, contribuì alla liberazione del mondo
femminile, sollecitato d'altra parte dalla moltiplicazione delle
occasioni d'incontro e di socializzazione che, nei centri urbani come
nei villaggi, vennero proposte da gruppi di donne sia antifasciste che
libertarie. L'attività intensa e pionieristica delle Mujeres Libres,
organizzazione femminile e femminista, riuscì a scuotere, tra
difficoltà e incomprensioni anche nel movimento libertario, certi
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pilastri della secolare subordinazione della donna imposta nella
Spagna dal cattolicesimo e dal diffuso maschilismo.
Rivoluzione sociale che verrà purtroppo soffocata dalle esigenze della
guerra, dalla politica e dall’azione controrivoluzionaria del partito
comunista e delle altre forze repubblicane e infine dalla sconfitta
militare.
Analizzare e ricordare questa esperienza oggi provoca ancora
riflessioni e confronti incredibilmente stimolanti, sia sulla valenza e
l’attuabilità dell’anarchismo e dell’autogestione, sia sulle strategie e
le capacità di rinnovarsi del potere.
Manifesto della CNT-FAI durante la Rivoluzione Spagnola
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2.1 Le collettivizzazioni
La collettivizzazione di ampi settori dell'industria, dei servizi e
dell'agricoltura hanno costituito uno dei tratti salienti della
rivoluzione: una scelta radicata nella forte politicizzazione della
classe operaia, organizzata principalmente in seno alla CNT e in
misura minore nell'UGT.
In una Spagna che contava allora ventiquattro milioni di abitanti, il
sindacato anarchico aveva oltre un milione di iscritti, e, fatto unico
nella storia del sindacalismo, un solo funzionario a tempo pieno
remunerato.
Alcuni mesi prima del colpo di stato militare del 18 luglio 1936, il
Congresso di Saragozza della CNT (maggio 1936) aveva adottato una
mozione che non lasciava dubbi sulla sua concezione dell'azione
sindacale: «Una volta conclusa la fase violenta della rivoluzione, si
dichiarerà l'abolizione della proprietà privata, dello Stato, del
principio d'autorità e di conseguenza delle classi che dividono gli
uomini in sfruttatori e sfruttati, oppressori e oppressi. Una volta
socializzata la ricchezza, le organizzazioni dei produttori, finalmente
libere, si faranno carico dell'amministrazione diretta della
produzione e dei consumi».
Questo programma fu avviato dagli stessi lavoratori, senza attendere
nessun tipo di comando da parte dei loro «capi».
La cronologia degli avvenimenti in Catalogna ne offre un buon
esempio.
A Barcellona, il 18 luglio 1936 i comitati direttivi della CNT avevano
lanciato l'appello allo sciopero generale, ma senza impartire
consegne per la collettivizzazione. Ma fin dal 21 luglio, i ferrovieri
catalani collettivizzarono le ferrovie. Il 25 fu la volta dei trasporti
urbani, tram, metro e autobus, il 26 dell'elettricità e il 27 delle
agenzie marittime. L'industria metallurgica fu immediatamente
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riconvertita alla fabbricazione di veicoli blindati e di granate per le
milizie che partivano per combattere sul fronte dell'Aragona.
In breve, in pochi giorni, il 70% delle imprese industriali e
commerciali erano divenute proprietà dei lavoratori, in questa
Catalogna che concentrava da sola due terzi delle industrie del
paese.
«Qualcosa per cui lottare». Nel suo celebre libro “Omaggio alla
Catalogna”, George Orwell ha descritto questa euforia rivoluzionaria:
«Barcellona offriva uno spettacolo straordinario, al di là di ogni
aspettativa. Per la prima volta nella mia vita mi trovavo in una città
dove la classe operaia aveva preso il sopravvento. Quasi tutti gli
edifici di una certa importanza erano nelle mani dei lavoratori, e su
tutti sventolavano bandiere rosse, o quelle rosse e nere degli
anarchici (...).
In tutti i negozi, in tutti i bar c'erano scritte che ne annunciavano la
collettivizzazione. Il movimento delle collettivizzazioni doveva
coinvolgere complessivamente tra un milione e mezzo e due milioni e
mezzo di lavoratori.
Nelle imprese collettivizzate veniva insediato un comitato composto
da membri eletti dai sindacati, che si sostituiva al direttore.
Quest'ultimo poteva continuare a lavorare nell'impresa, ma con lo
stesso salario degli altri dipendenti. L'attività di alcuni settori, come
quello del legname, fu unificata e riorganizzata, dalla produzione
alla distribuzione, sotto l'egida del sindacato. Nella maggior parte
delle imprese con capitali esteri (come i telefoni e alcuni grossi
stabilimenti metallurgici, tessili o agro-alimentari) il proprietario
americano, britannico, francese, tedesco o belga rimaneva
ufficialmente al suo posto, per riguardo alle democrazie occidentali,
ma un comitato operaio prendeva in mano la gestione. Le banche
non furono collettivizzate, ma dovettero cedere gran parte della loro
autonomia di gestione al governo, che disponeva così di un
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importante mezzo di pressione sulle collettività in difficoltà di
tesoreria.
L'organizzazione dei settori socializzati ricalcava quella dei sindacati:
un comitato di fabbrica eletto dall'assemblea dei lavoratori; un
comitato locale, composto dai delegati dei comitati di fabbrica della
rispettiva località; comitati di zona, comitati regionali e comitato
nazionale. In caso di contenzioso su scala locale decideva
l'assemblea plenaria dei lavoratori; se il conflitto sorgeva a un livello
più elevato, il compito di dirimerlo spettava alle assemblee dei
delegati o al congresso.
Ma per il suo ascendente e la sua stessa presenza, la CNT deteneva,
di fatto, il potere in Catalogna.
Col passare dei mesi la situazione si andò degradando, nonostante
gli sforzi delle collettività per modernizzare la produzione. Nel campo
economico come negli altri, la guerra divorava la rivoluzione.
Mancavano le materie prime, gli sbocchi commerciali si
restringevano sempre più con l'avanzata territoriale dei militari
insorti. Tutti gli sforzi si concentravano sulle industrie militari, e la
produzione subì un tracollo negli altri settori, con le conseguenti
ondate di disoccupazione tecnica, penuria di beni di consumo,
mancanza di valuta estera e un'inflazione galoppante.
Nell'ottobre del 1936 la Generalitat, il governo catalano, ratificò per
decreto l'esistenza delle collettività e tentò di pianificarne l'attività.
Fu decisa la nomina di «controllori» governativi delle imprese
collettivizzate. L'indebolimento politico degli anarchici portò ben
presto al ristabilimento del controllo dello stato sull'economia.
Senza che «nessun partito, nessuna organizzazione» avesse impartito
una consegna in questo senso, si costituirono anche collettività
agrarie. Furono collettivizzati soprattutto i latifondi, i cui proprietari
erano fuggiti nella zona franchista, o erano stati sommariamente
giustiziati. Nell'Aragona, dove fin dal luglio 1936 i miliziani della
colonna Durruti avevano dato impulso al movimento, furono
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coinvolti quasi tutti i villaggi: la federazione delle collettività arrivò a
comprendere mezzo milione circa di contadini.
Sulla piazza del villaggio furono raccolti e bruciati gli atti di
proprietà fondiaria. I contadini consegnavano alla collettività tutto
ciò che possedevano: terre, attrezzi, animali da tiro ecc. In alcuni
villaggi il denaro fu abolito e sostituito da tagliandi. Non si trattava
però di una vera moneta, dato che con quei buoni non si potevano
acquistare mezzi di produzione ma solo beni di consumo, peraltro in
quantità limitata. Il denaro accantonato dal comitato fu utilizzato
per acquistare all'estero i prodotti mancanti che non potevano
essere ottenuti con gli scambi.
«Moneta» emessa dagli anarchici durante la Guerra di Spagna.
L'adesione alle collettività, considerata come un mezzo per battere il
nemico, era volontaria. Chi preferiva la formula dell'azienda
familiare poteva continuare a lavorare la propria terra, ma non
sfruttare il lavoro altrui né beneficiare dei servizi collettivi. Vi sono
stati anche molti casi di coesistenza tra le due forme di produzione,
ad esempio in Catalogna, peraltro non senza conflitti. La messa in
comune delle terre serviva oltre tutto ad evitarne il frazionamento e
a favorire la modernizzazione delle colture.
Gli operai agricoli, che pochi anni prima avevano distrutto le
macchine per protestare contro la disoccupazione e la riduzione dei
salari, le usavano volentieri per alleggerire la loro fatica. Si era
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sviluppato l'uso dei fertilizzanti e l'avicoltura. Furono migliorati i
sistemi d’irrigazione e le vie di comunicazione, e promosse aziende
pilota.
Sotto l'egida dei sindacati, nella regione di Valencia si riorganizzò la
commercializzazione delle arance, la cui esportazione costituiva
un'apprezzabile fonte di valuta. Le chiese che non erano state date
alle fiamme furono adibite a usi civili: magazzini, sale di riunione,
teatri, ospedali.
E poiché, secondo il credo anarchico, l'educazione e la cultura erano
le basi dell'emancipazione, sorsero scuole, biblioteche e club
culturali anche nei più remoti villaggi.
L'assemblea generale dei contadini eleggeva un comitato
d'amministrazione, i cui membri non ricevevano alcun vantaggio
materiale. Il lavoro si svolgeva in gruppi, senza capi, dato che questa
funzione era stata soppressa. I consigli municipali si confondevano
spesso con i comitati, che costituivano, di fatto, gli organi del potere
locale. Generalmente la remunerazione si percepiva come salario
familiare, e nelle zone in cui il denaro era stato abolito veniva
erogata sotto forma di buoni.
Le collettività si scontrarono non solo con le forze politiche ostili alla
rivoluzione, ma anche con quelle interne allo schieramento
repubblicano.
2.1.1 Esempio di collettivizzazione della terra durante la
rivoluzione spagnola nel villaggio aragonese-catalano di
Cretas
Il villaggio di Cretas si trova in pratica sul confine tra Aragona e
Catalogna ed è attratto dalla cittadina catalana di Tortosa.
È la zona della Franja, una sottile striscia di territori amministrati
dall'Aragona, ma con una netta connotazione linguistica affine alla
Catalogna. Da quest’ultima regione, con forte radicamento
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sindacalista e libertario, provengono le idee e le aspirazioni che
saranno alla base della corta, ma intensissima, esperienza di
“comunismo libertario” del 1936-38.
La gran parte degli abitanti attivi è dedita all'agricoltura, ma gli
uomini che emigrano – in conseguenza di gravi crisi agrarie e in
genere per periodi brevi con occupazione nell'edilizia –, vanno a
Barcellona, la città più industriale dell'intera Spagna. Qui giungono
anche le ragazze di Cretas che svolgono lavori domestici, quasi
sempre per molti anni, nelle famiglie borghesi della metropoli.
Dalla Rosa de foc, definizione diffusa che rende omaggio alla vita
ribelle e creativa della capitale, chi torna a Cretas porta nuove
visioni del mondo, con nuovi valori di giustizia e di solidarietà
sociale e con esperienze concrete di lotte e agitazioni.
Da qui nascono le locali strutture sindacali, motori di una vita
associativa animata che coinvolge settori importanti della
popolazione più povera del villaggio e suscita timori e reazioni dei
ceti privilegiati.
Occorre tener conto che i contadini poveri, e i meno frequenti
braccianti, spingono per la soluzione collettivista nell'estate del 1936
per migliorare le proprie condizioni di vita ridotte a livello di pura
sussistenza se non peggio.
D'altra parte esiste anche il fenomeno opposto: è diffusa una
considerevole litigiosità tra i proprietari (grandi, medi e piccoli) per
ragioni di spostamento di confini, di deviazione di corsi d'acqua, di
furti di animali o di raccolti.
È indicativo il fatto che la giustificazione della spedizione
anticollettivista (che tra l'altro sottrae inevitabilmente forze alla lotta
contro le truppe di Franco) si basava sull'accusa ai Comité locali di
aver terrorizzato i contadini proprietari per rubare loro attrezzi e
generi alimentari.
Al di là degli eventi più eclatanti, va comunque ricordato che la
repressione delle collettività non deriva da una semplice volontà dei
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comunisti filostaliniani di riprendere il controllo militare
dell'Aragona dove un Consiglio di Difesa, anche se a partecipazione
aperta a comunisti e socialisti, esprimeva intenti di autonomia
organizzativa dal governo centrale. La ragione di fondo andrebbe
invece collegata, come affermano studi antichi e recenti, all'intento
delle forze conservatrici (dai repubblicani ai socialisti moderati, dai
catalanisti ai comunisti ortodossi) di svuotare progressivamente la
rivoluzione sociale esplosa dopo la risposta popolare che aveva
bloccato il golpe del 18 luglio 1936.
Per alcune settimane l'iniziativa politica e sociale è nelle mani di chi
non intende semplicemente difendere la legalità repubblicana
infranta dai golpisti, ma pensa di poter realizzare un progetto più
radicale che coinvolge sia le campagne sia le città: i collettivisti,
interni o vicini alla CNT, ma anche dell’UGT, gestiscono la
produzione e i consumi; i miliziani, spesso appartenenti alla CNT-
FAI, detengono, di fatto, il potere militare; una miriade di comitati e
altre strutture popolari, di frequente apertamente libertarie, si
impegnano in una rivoluzione culturale caratterizzata dallo sforzo di
superare il clericalismo, di emancipare la donna, di cancellare
l'analfabetismo, di far partecipare tutta la società alla nuova
cultura, anche attraverso il teatro, il cinema, la musica.
La nota “breve estate dell'anarchia” si diffonde sui due terzi del
territorio spagnolo e tra i tre quarti della popolazione liberi dai
generali ribelli e dai gruppi reazionari che li appoggiano.
Già nell'ottobre del 1936 l'emergenza bellica prende il sopravvento e
gli scontri armati alle porte di Madrid assediata dalle truppe golpiste
portano ad un terremoto politico nel campo repubblicano.
La difesa della capitale assume un valore simbolico enorme, perfino
superiore a quello strategico, ed è giocata a livello internazionale
dalla propaganda della Terza Internazionale, strumento diretto
dell'Unione Sovietica, e più potente di quella del primo governo di
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coalizione antifascista diretto dal socialista Francisco Largo
Caballero.
Lo stesso intervento armato delle Brigate Internazionali per
soccorrere Madrid in pericolo è un “battesimo di fuoco” ampiamente
propagandato, dentro e fuori della Spagna.
Viene quindi oscurato il contributo di altre formazioni di volontari
antifascisti internazionali che combattevano con i miliziani già
dall'agosto del 1936, quando l'esercito golpista non si era ancora
ripreso dagli insuccessi di poche settimane prima.
Foto raffigurante una barricata della CNT-FAI
2.1.2 Restaurazione statale
In tale circostanza di estrema precarietà militare e politica nasce il
secondo governo di Largo Caballero al quale partecipano quattro
esponenti di primo piano della CNT-FAI. Dovrebbe essere la
dimostrazione della raggiunta unità antifascista e del controllo
istituzionale effettivo su una situazione dove si riducono
progressivamente gli spazi per le sperimentazioni sociali e politiche
in nome dell'urgenza della vittoria: “Primero ganar la guerra” è lo
slogan che giustifica la riduzione delle forze e delle iniziative
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19
rivoluzionarie. L'obiettivo del nuovo governo è di bloccare, con una
decisa azione diplomatica, gli aiuti di importanza strategica che
giungono ai generali, tra i quali si sta imponendo Franco, dall'Italia
fascista e dalla Germania nazista. Anche il popolarissimo leader
Buenaventura Durruti rilascia dichiarazioni che sembrano favorevoli
a subordinare ogni conquista sociale allo sforzo bellico.
Questi cenni sul contesto storico generale sembrano opportuni per
inquadrare l'evoluzione delle collettività rurali e industriali
attraverso un processo di legalizzazione, che significa sia
riconoscimento ufficiale che aumento del controllo statale, e poi di
limitazioni pratiche anticipatrici di un ridimensionamento brusco e
quindi, in particolare proprio nell'Aragona, di una vera e propria
eliminazione per mano militare.
Il protagonista di tale restaurazione del potere statale è il Partito
Comunista in forte crescita numerica e di influenza. Il suo punto di
forza è il controllo delle forniture degli armamenti che provengono
dall'Unione Sovietica, in pratica l'unico stato a sostenere
concretamente la Repubblica (insieme al debole Messico). In cambio
il PCE (il PSUC in Catalogna) ottiene posti sempre più rilevanti ai
vertici dell'esercito, della polizia e dell'apparato di propaganda.
Il ripristino del sistema democratico tradizionale, sia pure epurato
dalle destre golpiste, è l'obiettivo che lo unisce ad altre forze
repubblicane conservatrici e che lo mette in rotta di collisione con le
tendenze rivoluzionarie libertarie.
Tappe intermedie sono lo scioglimento delle milizie, la costruzione di
un esercito gerarchico, la creazione di un organismo di polizia e di
controllo del territorio, la concentrazione del potere decisionale nelle
mani del governo centrale (peraltro fuggito ai primi di novembre da
Madrid e rifugiato a Valencia).
In tale ambito si vara una politica economica basata sulla difesa
della proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla collaborazione
interclassista in nome degli interessi nazionali e accantonando
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20
quindi ogni trasformazione profonda, riformista o rivoluzionaria,
dell'assetto produttivo e sociale. Perciò le collettività sono
considerate dai restauratori che stanno conquistando un ruolo
egemonico, perlomeno inopportune e sbagliate fino ad attribuire loro
responsabilità di provocazione e di “alleate oggettive” di Franco.
Questo è il clima antirivoluzionario che monta in modo sempre più
evidente a partire dall'inizio del 1937. E i quattro ministri anarchici,
che avevano assunto tali cariche tra polemiche e contraccolpi interni
al movimento libertario affermando di voler difendere le conquiste
raggiunte sullo slancio del luglio 1936, appaiono progressivamente
emarginati dalle leve del comando e intrappolati nei labirinti
istituzionali.
I tragici fatti del maggio 1937 a Barcellona, con circa 500 morti, in
buona parte anarchici e comunisti dissidenti del POUM, segnano il
momento della rottura tra le forze dell'antifascismo e portano al
declino del protagonismo libertario. Se il mayo sangriento comporta
l'esclusione dal nuovo governo di Juan Negrín (socialista vicino ai
comunisti) della CNT-FAI, l'agosto del 1937, con lo scioglimento
forzato del Consiglio d'Aragona e delle collettività rurali della
regione, rappresenta una sorta di regolamento dei conti sul piano
della tentata, e in parte realizzata, rivoluzione sociale.
Nell'autunno del 1937 il potere è saldamente in mano ai
repubblicani conservatori che promettono di vincere la guerra in
tempi brevi ora che è quasi risolto l'ostacolo costituito da utopisti e
“incontrolados”.
Nel microcosmo di Cretas, questi avvenimenti provocano il
rovesciamento dei rapporti di forza, il ritorno all'ordine e alla
supremazia dei proprietari e dei burocrati sorretti da militari
disciplinati e obbedienti ai vertici governativi.
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2.2 Mujeres libres
Mujeres libres fu un’organizzazione specificatamente femminile nata
all’interno del movimento anarco-sindacalista spagnolo che ebbe
vita dall’aprile 1936 al febbraio 1939, durante la guerra Civile.
Molte donne che militavano nel movimento anarchico pensarono che
era necessaria la creazione di un’organizzazione specifica per
sviluppare pienamente le loro capacità e la loro lotta politica.
Cominciarono così a sorgere e ad organizzarsi gruppi.
Nel 1934 nasce a Barcellona il Gruppo Culturale Femminile, che
insieme al gruppo della rivista Mujeres Libres di Madrid (fondato da
Lucia Sanchez Saornil, Mercedes Camaposada Guillèn, Amparo
Poch y Gascòn) sarà l’embrione della futura organizzazione.
Mujeres Libres dichiara di voler liberare le donne dalla “schiavitù
dell’ignoranza, schiavitù in quanto donne e schiavitù come lavora-
trici”. Anche se durò meno di tre anni, Mujeres Libres mobilitò più
di 20.000 donne e sviluppò un vasto programma di attività, finaliz-
zate a sviluppare l’empowerment individuale ed allo stesso tempo a
costruire un senso di appartenenza comunitaria. Come il movimento
anarco-sindacalista spagnolo, di cui queste donne facevano parte,
Mujeres Libres riteneva che il pieno sviluppo dell’individualità delle
donne dipendesse dalla crescita di un forte sentimento di unione
con gli altri. Per questo due aspetti importanti dell’azione politica e
della lotta erano per loro il concetto di comunità e l’azione diretta.
Mujeres Libres credeva inoltre in una pratica separata di auto-
valorizzazione (capacitaciòn) e avvertiva l’esigenza di canali separati
per l’educazione delle donne.
Infatti, le loro critiche, oltre che a numerosi settori della società
spagnola si indirizzarono anche ai militanti del movimento
anarchico stesso, l’ambiente della loro formazione politica. Si
condannava in particolare la mancanza di volontà e di preparazione
nel promuovere la partecipazione nei centri anarchici delle donne,
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22
alle quali la società negava la libera espressione di sé ed affidava un
ruolo passivo.
All’interno del movimento anarchico spagnolo, infatti, il tema
dell’emancipazione femminile aveva sempre riscosso un interesse
abbastanza modesto non riuscendo, nonostante le buone intenzioni,
ad oltrepassare i limiti di sincere ma, teoriche enunciazioni di
principio.
Libertaria spagnola con bandiera della CNT-FAI
Nonostante questo Mujeres Libres agì sempre in autonomia, ma
considerandosi parte integrante del movimento anarchico. La sua
connotazione di organizzazione femminista ed anarchica la spingeva
a promuovere cambiamenti integrali nella struttura della società,
prospettiva che la distanziava enormemente dalle aspirazioni di
emancipazione provenienti dalle organizzazioni femminili borghesi
allora esistenti e il femminismo dell’organizzazione ebbe come nodo
centrale il processo di emancipazione culturale delle donne operaie e
contadine.
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Su un piano teorico, le linee d’intervento dell’organizzazione si
articolavano su più punti: accesso al lavoro ad eguale salario,
indipendenza economica delle donne, rapporti di coppia basati su
unioni libere; istituzione di mense e asili per alleviare gli impegni
domestici femminili; educazione libertaria ed educazione sessuale
dei bambini; critica del potere maschile all’interno della famiglia;
accesso all’aborto e agli anticoncezionali. Riguardo alla
prostituzione, Mujeres Libres si opponeva allo sfruttamento sessuale
delle donne, però rifiutava di colpire le prostitute, lasciandole senza
una fonte di reddito: proponeva pertanto la possibilità di una
prostituzione assistita da medici e figure capaci di fornire un
sostegno alle prostitute, orientandole a cercare un’altra
occupazione.
L’organizzazione promosse una serie di iniziative culturali tra le
quali una campagna radiofonica, una serie di dibattiti e conferenze,
la raccolta di libri per la creazione di piccole biblioteche. L’interesse
che l’organizzazione maturò nei confronti del tema della diffusione
della cultura tra le donne, sfociò nella creazione, nelle città di
Madrid, Barcellona e Valencia, di istituti denominati Institutos de
Mujeres Libres. Nel Casal de la Dona Treballadora e nell’Instituto de
Mujeres Libres situati a Barcellona, vennero organizzati corsi
scolastici gratuiti che registrarono un’intensa partecipazione
femminile: nell’arco di pochi mesi, il numero delle iscritte sfiorò il
migliaio.
Forte rilievo si dava anche al tema dell’educazione sessuale: per
realizzarsi concretamente, l’emancipazione femminile non poteva
essere disgiunta dalla conquista dell’emancipazione sessuale, poiché
anche in questa sfera la donna non aveva ancora raggiunto una
piena libertà di comportamento. Gli scritti apparsi su Mujeres Libres
trattarono il tema della sessualità con semplicità e naturalezza,
distinguendosi per la capacità di superare il tabù dell’ignoranza in
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materia di conoscenze sessuali, oltrepassando la cortina di mistero e
reticenze che accompagnava i discorsi sull’argomento.
Mujeres Libres criticò senza falsi pudori le limitazioni poste al
comportamento femminile dalla morale sessuale borghese e, pur
senza schierarsi apertamente a favore del libero amore, sostenne il
diritto delle donne a vedere riconosciuta la loro libertà sessuale.
Vedeva nel matrimonio, nella forma in cui era concepito nel sistema
capitalista, un rapporto di scambio nel quale la donna barattava il
proprio corpo in cambio del mantenimento economico da parte
dell’uomo.
Durante i suoi tre anni di attività, Mujeres Libres riuscì a celebrare
un unico congresso che si svolse a Valencia a partire dal 20 agosto
del 1937 e che diede forma ufficiale alla sua struttura ed alle sue
attività.
Nell’ambito di tale struttura organizzativa, decentrata ed autonoma
nelle parti che la costituivano, un ruolo importante ebbe la rivista
Mujeres Libres che si rivelò prezioso strumento di collegamento tra
le varie parti dell’organizzazione.
I rapporti intrattenuti da Mujeres Libres con il movimento anarchico
furono sempre abbastanza tesi. Il Movimento Libertario partecipò,
seppure con contribuzioni economiche modeste, alle spese sostenute
dall’organizzazione, ma non pervenne mai ad un suo
riconoscimento, neppure nel 1938, quando questa consegnò una
relazione al Consiglio Regionale del Movimento informandolo
dettagliatamente riguardo alla propria natura e ai propri scopi. La
motivazione del rifiuto fu che la presenza di un’organizzazione
specificatamente femminile all’interno del movimento anarchico
avrebbe potuto avere su di esso un effetto disgregante, con
conseguenze nefaste sullo sviluppo futuro degli interessi della classe
operaia.
L’esperienza di Mujeres Libres, breve ma, ricca e innovativa, si
concluse definitivamente nell’aprile del 1939, con la sconfitta della
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Repubblica da parte del Generalísimo Francisco Franco; l’espatrio
forzato in paesi europei o sudamericani di molte delle sue militanti
più brillanti la rese irripetibile.
2.3 Le milizie
La rivoluzione spagnola si caratterizzò per le sue peculiarità
autogestionarie, che non persero forza nemmeno durante le fasi
militari dello scontro con i franchisti. Alla base di tutto vi erano le
milizie (10 giorni dopo l'insurrezione franchista si contavano già
circa 18.000 miliziani anarchici, oltre ad un retroterra di altri
150.000 pronti alla lotta), le quali procedettero anche
all'occupazione, all’espropriazione di grossi appezzamenti di terreno
da ridistribuire ai contadini ed all'occupazione delle fabbriche.
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L'organizzazione delle milizie era ben diversa da quella di un
normale esercito, non vi erano divise e l'appartenenza all'una od
all'altra formazione era indicata dal colore dei fazzoletti. Anche se
non tutte si strutturarono secondo i medesimi principi, in linea di
massima l'unità più piccola delle milizie era formata da il "gruppo",
formato da 10 miliziani, che aveva per rappresentante un delegato
democraticamente eletto; dieci gruppi formavano una Centuria, un
numero di centurie non prefissato, ma dipendente dalle esigenze
belliche delle diverse zone, costituiva una Colonna (l'appartenenza
all'una od all'altra formazione era indicata dal colore dei fazzoletti).
La Colonna era comandata da un comitato di guerra eletto dai
miliziani e rimovibile; in genere ogni colonna aveva aggregati ex
ufficiali dell'esercito ed esperti d'artiglieria e nell'uso degli esplosivi.
Tra le colonne più importanti si ricordano la Columna Durruti, la
Columna de Hierro, la Columna Ascaso, la Columna Roja y Negra.
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“Quante notti, riuniti gli uomini che formavano un grappolo o un
pugno, comunicando ai miei compagni, gli anarchici, le mie pene e i
miei dolori, ho trovato laggiù, nell'asprezza della montagna, di fronte
al nemico che ci spiava, una voce amica e delle braccia affettuose che
mi hanno nuovamente fatto amare la vita! E allora, tutte le sofferenze,
tutto il passato, tutti gli orrori ed i tormenti che hanno segnato il mio
corpo, li gettavo al vento come se fossero di altri tempi, e mi
abbandonavo allegramente a sogni d'avventura vedendo con la febbre
dell'immaginazione un mondo diverso da quello in cui ero vissuto, ma
che desideravo; un mondo dove nessuno di noi aveva vissuto, ma che
molti di noi avevano sognato. E il tempo passava volando, e le fatiche
non entravano nel mio corpo, e il mio entusiasmo aumentava, e
diventavo temerario e al mattino uscivo in ricognizione per scoprire il
nemico, e... tutto per cambiare la vita; per imprimere un altro ritmo a
questa nostra vita; perché gli uomini, ed io tra loro, possano essere
fratelli; perché l'allegria, almeno una volta, esplodendo nei nostri petti
esplodesse sulla terra; perché la Rivoluzione, potesse essere, in un
tempo non lontano, una realtà."
Un incontrolado della Columna de Hierro [2].
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CAPITOLO 3
LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA E LA CNT 1936-39
Nel 1936, la società spagnola è caratterizzata da forti contrasti a
tutti i livelli: fra le campagne e le città, fra il centro madrileno e le
periferie catalane e basche, fra le classi padronali e il proletariato
industriale, tra i latifondisti immobilisti e i braccianti ridotti alla
fame.
Senza dubbio il problema centrale è quello della proprietà della
terra. Gli immensi e aridi territori del Centro e del Sud sono
controllati da un ristretto numero di famiglie di antica origine
nobiliare che considera la terra e il lavoro agricolo con disprezzo ed
estraneità: è un patrimonio da sfruttare, ma senza correre rischi,
senza investire capitali per aumentare la produttività del terreno e
pagando salari bassissimi ai braccianti. Questi ultimi potevano
trovare occupazione solo per pochi mesi all'anno e il loro numero
elevato li costringeva ad una disastrosa concorrenza e ad accettare
compensi nettamente insufficienti anche alla pura sopravvivenza.
Tale situazione insopportabile aveva dato vita ad una costante
tensione fra una grande quantità di uomini costretti alla miseria e
un ristretto gruppo di terratenientes. Le rivolte rurali costellano la
storia sociale agricola, in particolare nell'Andalusia, la più
meridionale e la più assolata: qui lo Stato, anche quello
repubblicano e sedicente riformista dei primi anni Trenta, era
intervenuto di frequente con repressioni sanguinose e
indiscriminate.
La CNT, ricostituitasi dopo l’instaurazione della prima Repubblica
(1931), e forte di due milioni di aderenti, fu una delle principali
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componenti della rivoluzione spagnola e della resistenza,
particolarmente nella città di Barcellona liberata in poche ore dopo il
colpo di Stato del 16 luglio 1936.
Il sindacato anarchico, nelle zone sotto il suo controllo, lanciò un
vasto movimento di collettivizzazione delle terre e delle industrie. I
militanti anarchici, organizzati entro colonne furono i primi a
frapporsi all’avanzata delle truppe franchiste, fianco a fianco dei
soldati fedeli della Repubblica e dei militanti marxisti.
La CNT sviluppò una strettissima collaborazione con la FAI e dal cui
rapporto scaturì l’entrata di elementi faístas nell’organizzazione
anarco-sindacalista. L’intenzione fu quella di favorire la fazione della
CNT denominata “faista” in opposizione a quella "treintista".
La strategia degli anarchici della CNT, schiacciati tra l’imperativo
della guerra contro i fascisti e l’urgenza della rivoluzione sociale, fu
un grande elemento di discordia, sia all'interno del movimento
libertario e sia con l’ala comunista della fazione repubblicana. In
questo quadro alcuni sindacalisti anarchici scelsero di entrare nel
governo repubblicano: Juan Garcia Oliver divenne "Ministro della
Giustizia" e Federica Montseny "Ministro della Sanità".
Per questi militanti la rivoluzione sociale doveva attendere in nome
della lotta antifranchista, ritenuta in quella fase storica la priorità
assoluta. Questa scelta fu da tanti criticata e osteggiata, nell’ambito
dell’anarchismo nazionale e internazionale, e considerata un
tradimento dei principi anarchici e delle istanze rivoluzionarie (in
seguito si rivelò anche una strategia fallimentare).
Il seguito della guerra vedrà il costante indebolimento della CNT,
soprattutto a causa delle manovre fortemente autoritarie dei
militanti comunisti stalinisti. La fine della guerra, nel 1939,
comportò l’inizio di una dura repressione contro gli anarchici,
costringendo molti di loro a rifugiarsi nel Sud della Francia, dove
contribuirono alla fondazione, nel 1945, della CNT francese.
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Il 1936 fu un anno di svolta per il movimento operaio spagnolo e in
particolare per la sua corrente libertaria. A febbraio era stato eletto
un parlamento con maggioranza alla coalizione di Fronte popolare,
mentre l'agitazione sindacale e popolare crescente si dimostrava
difficilmente contenibile entro i limiti della costituzione liberal-
democratica del 1931. Il 17 luglio vide finalmente il sollevamento
militare e la risposta rivoluzionaria del popolo spagnolo.
Nel 1936 la Confederación nacional de trabajo organizzava circa due
milioni di lavoratori, suddivisi in sindacati di categoria, per la
maggior parte contadini andalusi e aragonesi e operai catalani e
valenciani. Il congresso della CNT che si tenne a Saragozza nel
maggio del 1936 riveste un'importanza particolare perché fu
approvato un documento programmatico di elevata importanza, in
cui venivano puntualizzati gli obiettivi ideologici della
Confederazione.
La commissione che scrisse la risoluzione, composta da personalità
di rilievo all'interno del sindacato, tra cui Eusebio C. Carbò,
Federica Montseny, Juan Garcia Oliver e Juan Lopez, continua
precisando la concezione cenetista della rivoluzione, innanzi tutto
denunciando il fatto che
“si è tollerato eccessivamente il luogo comune, secondo il quale la
rivoluzione non è altro che un episodio violento, per mezzo del quale si
distrugge il regime capitalista. […] La rivoluzione inizia nel momento
in cui proviamo la differenza tra lo stato sociale e la coscienza
individuale.”.
Fatta chiarezza su questa premessa necessaria la risoluzione si
addentra nel descrivere la rivoluzione come “fenomeno psicologico
contro uno stato di cose determinato che è in contrasto con le
aspirazioni e le necessità individuali”; questo fenomeno diviene una
manifestazione sociale quando prende corpo nella collettività e si
dirige contro le istituzioni del capitalismo, trasformandosi in
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organizzazione per realizzare le proprie finalità. La necessità di
distruggere le basi oggettive del capitalismo (la sua etica, la sua
economia, la sua espressione politica democratica o burocratica)
determinerà “l'apparizione del fatto violento che deve lasciare il posto
al momento veramente progressivo della rivoluzione ovvero
l'instaurazione del Comunismo libertario.”.
Da queste righe appare chiaro come la rivoluzione sia, immaginata
soprattutto come momento insurrezionale e con caratteristiche
necessariamente violente, per quanto limitate nel tempo. Ma nello
stesso momento racchiude la presa di coscienza dei protagonisti che
irrompono sulla scena per distruggere i vincoli (lo stato sociale) che
impediscono il pieno sviluppo delle aspirazioni umane (fenomeno
psicologico e cosciente). Perciò la rivoluzione è il momento di
rottura, di palingenesi che, sola, può portare all'instaurazione del
comunismo libertario.
I motivi della rivoluzione sono rintracciabili anche nel mondo
interno di ogni proletario, ma è solo con l'esperienza della società
che questi motivi acquistano corso d'azione.
In altri termini la rivoluzione necessita di un’approfondita
preparazione da parte della soggettività che si propone di spezzare
l'ordine esistente.
La libertà è assurta come unica creatrice dell'ordine dell'umanità,
mentre l'eguaglianza economica e sociale è presupposto
irrinunciabile all'instaurazione del comunismo libertario.
L'inizio della rivoluzione, nel luglio 1936, effettivamente vide il
potere statale crollare in quasi tutto il territorio rimasto sotto il
controllo nominale della Repubblica, sostituito dai comitati delle
milizie antifasciste, dalla socializzazione dei mezzi di produzione e
dalla collettivizzazione delle terre, fino alla successiva fondazione
delle comuni libertarie.
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Nell'estate dello stesso anno, su «Solidaridad obrera» si poteva
leggere un articolo che spiegava come la situazione fosse quella di
una guerra sociale. Lo Stato moderatore, basato sull'equilibrio e
sulla conservazione delle classi, e concretizzato nel governo di
Fronte popolare, non rappresentava nient'altro che il compromesso
tra le masse popolari e il capitalismo. L'idea di costituire un forte
governo rivoluzionario non avrebbe portato ad altro che alla
liquidazione dell'attività autonoma delle masse lavoratrici e perciò
stesso della rivoluzione.
3.1 Prime fasi della rivoluzione (luglio-settembre 1936)
I sindacati CNT e UGT convocarono lo sciopero generale dal 19 al 23
luglio, quale risposta unitaria tanto al sollevamento militare quanto
all’apatia dello Stato. Durante questo sciopero generale molti
sindacalisti e rivoluzionari assaltarono le caserme delle forze
dell’ordine, s'impadronirono delle armi e le distribuirono alla
popolazione.
Durante queste prime settimane si consolidarono tra i repubblicani
due correnti di pensiero: il gruppo radicale della CNT (oltre ad altri
gruppi minoritari), vincolato alla Federazione Anarchica Iberica (di
tendenza rivoluzionaria), e il gruppo “possibilista” (moderato)
formato da altri settori della CNT che ambivano alla partecipazione
ad un fronte ampio, successivamente chiamato Fronte Popolare
Antifascista (ottenuto dall’aggiunta dei sindacati alla coalizione
elettorale del Fronte Popolare).
Contemporaneamente alla guerra i libertari svilupparono strutture
amministrative a carattere popolare e libere dall’influenza dello
Stato.
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Le più importanti furono:
� Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste di Catalogna (ne
fanno parte la CNT e l’UGT, poi il PSUC, il POUM e
l'Esquerra).
� Comitato esecutivo Popolare di Valencia
� Comitato di Salute Pubblica di Malaga
� Comitato di Guerra di Gijon
� Consiglio della Cerdona
Le strutture più importanti, soprattutto i Comitati di Guerra e di
Difesa, erano controllate dai settori più rivoluzionari, mentre quelli
meno importanti erano sotto il controllo dei moderati.
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Il 24 luglio del 1936 da Barcellona partì la prima milizia volontaria
in direzione d’Aragona. Tra le varie milizie popolari, organizzate nelle
cosiddette colonne, si distinse la Colonna Durruti, formata da 3000
uomini e coordinati dalla figura carismatica di Buenaventura
Durruti.
In Aragona giunsero pure varie centinaia di anarchici italiani, tra
cui Camillo Berneri, inquadrati nella Colonna Rosselli-Berneri o
nella "Ascaso" (tra questi, in tempi diversi, Tomaso Serra, Enrico
Zambonini, Tintino Rasi, ecc.). Il primo italiano morto in terra di
Spagna fu l'anarchico Agostino Sette.
I rivoluzionari di tendenza libertaria non pensarono esclusivamente
alla lotta contro il franchismo, ma si preoccuparono di organizzare le
comunità, che incontravano lungo il loro percorso, secondo i principi
del comunismo libertario. L’economia spagnola veniva gestita “dal
basso”, mediante l’attività dei lavoratori organizzati nei sindacati e
senza nessun dirigismo autoritario.
Nelle aree sotto il controllo degli anarchici, come la Catalogna,
questa gestione collettiva caratterizzò l’industria, l’agricoltura, la
medicina, i trasporti urbani e ferroviari, ma anche attività minori
come gli hotel, i ristoranti, ecc. I terreni espropriati e collettivizzati
furono il 70% in Catalogna, il 70% in Aragona, il 70% nella provincia
di Badajoz, il 58% in CastillaLaMancha, il 49% in Andalusia e il
13 % nella comunità valenciana.
In Aragona si formarono 450 comuni agricole controllate dalla CNT,
mentre l’UGT ne gestiva 20. Nell’area valenciana le collettività della
CNT furono 264, quelle dell’UGT 69 e quelle miste 20.
Il principio dell’ autogestione si applicò seguendo la massima
comunista: «Da ognuno secondo le sue possibilità ad ognuno
secondo i suoi bisogni», senza che questo determinasse un calo delle
produzioni che, al contrario, subirono addirittura un incremento. La
moneta nazionale venne sostituita con altre a carattere locale o
regionale, e talvolta sostituita con il baratto.
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35
Alla rivoluzione sociale si affiancò quella culturale: venne ritenuto
lecito l’aborto, l'amore libero, la parità dei sessi.
Il 2 agosto il governo centrale tentò di frenare il prestigio dei
rivoluzionari costituendo i “Battallones de Volontarios”, embrione del
futuro Esercito Popolare della Repubblica, oltre ad emettere decreti
tendenti a riacquistare prestigio tra la popolazione: licenziamento
dei militari e dei funzionari simpatizzanti degli insorti golpisti ecc.
Lentamente cominciarono anche le tensioni tra la CNT e il Partido
Comunista de España (PCE): il 6 agosto i membri del Partido
Socialista Unificado de Cataluñya (PSUC), diramazione catalana del
PCE, vennero esclusi dal governo autonomo catalano su pressione
degli anarco-sindacalisti.
3.2 Il ruolo dei sindacati e il primo governo Caballero
(settembre-novembre 1936)
Tanto in questa fase quanto nella precedente, furono i sindacati e i
rivoltosi a tenere in mano l’effettivo controllo della Rivoluzione,
cedendo saltuariamente, e solo quando ciò fu strettamente
necessario (per es. per la Battaglia di Madrid, ottobre e novembre
1936), il controllo delle “Colonne” allo Stato Repubblicano. Questa
convergenza di idee tra i partiti del Fronte Popolare e i sindacati si
concretizzò nella formazione del Governo di Largo Caballero il 4
settembre 1936.
Il nuovo governo emanò diversi decreti legislativi, tra cui:
� Decreto di sequestro dei beni immobili dei condannati dei
tribunali popolari statali (17 settembre)
� Decreto di collettivizzazione e controllo operaio del governo
autonomo di Catalogna (27 ottobre)
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36
In realtà dietro queste misure il governo tendeva a riappropriarsi del
controllo della Rivoluzione che stava assumendo un carattere
libertario ed effettivamente popolare. La Repubblica cercò di
potenziare e riproporre le strutture dell’esercito, pur sempre
autoritarie, attraverso una serie di decreti:
� Decreto di dissoluzione dei Comitati di Difesa e di Guerra
� Costituzione di Milizie di Vigilanza di retroguardia (16
settembre)
� Decreto di trasferimento dei volontari delle milizie popolari
all’esercito regolare repubblicano (28 settembre)
� Decreto d’applicazione del codice di Giustizia Militare per le
milizie popolari (29 settembre)
I reazionari franchisti già controllavano buona parte della Spagna,
tra cui Siviglia, invece i repubblicani avevano "in mano" Madrid e
Barcellona.
Il prolungamento della guerra fece sorgere dei problemi tra i vari
partiti interni al Fronte Popolare, soprattutto a causa della pesante
ingerenza dell’Urss che prevedeva il rinvio di ogni rivoluzione sociale
(collettivizzazione) ad una fase successiva, in modo da non alienarsi
le simpatie della piccola e la media borghesia. Gli anarchici e i
trotzkisti non condividevano la separazione della fase rivoluzionaria
da quella della guerra e questo fu uno dei motivi principali di
conflitto tra le due anime rivoluzionarie.
Lo Stato repubblicano ostacolò quindi gli anarchici e coloro che
erano contrari alle posizioni staliniste, iniziando una serie di
operazioni di intensità sempre maggiore, tendenti a dissolvere le
strutture rivoluzionarie popolari. L’Aragona fu un’eccezione poiché vi
arrivarono migliaia di miliziani libertari, da Valencia e dalla
Catalogna (base principale, da sempre, dell’anarco-sindacalismo
operaio). La stessa CNT di Aragona (settembre 1936) propose la
formazione di Consigli Regionali di Difesa federati in un Consiglio
Nazionale, che avrebbero avuto le funzioni di “ governo centrale”,
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deliberando inoltre la creazione del Consiglio Regionale di Difesa di
Aragona.
In nome della collaborazione antifascista, per sconfiggere l'esercito
dei reazionari e dei clericali, la CNT accettò di entrare nel governo
catalano della Generalitat e di sciogliere il Comitato delle Milizie,
discioltosi il 1 ottobre 1936. D’altra parte il “Consiglio Regionale di
Difesa d’Aragona” venne regolamentato, limitandone l’autonomia,
per decreto il 6 ottobre, il che fece abortire anche lo sviluppo del
Consiglio Nazionale di Difesa. La Generalitat Catalana sostituirà
tutti i comitati locali di Catalogna con i Consigli Municipali del
Fronte Popolare Antifascista.
3.3 Gli anarchici entrano nel secondo governo Caballero
(novembre 1936-gennaio 1937)
Al secondo governo Caballero il 4 novembre 1936 parteciparono, in
nome delle circostanze belliche, anche quattro membri della CNT:
Juan Garcia Oliver, Juan Lopez, Federica Montseny e Juan Peirò,
pagandone però un elevato prezzo in termini di identità e coerenza.
Il nuovo governo dovette fronteggiare i sempre più insistenti scontri
tra le fazioni libertarie e quelle autoritarie marxiste, che si facevano
sempre più insistenti; a Valencia si registrarono 30 morti tra le
opposte fazioni.
I golpisti, ormai giunti alle porte di Madrid, vennero fronteggiati da
migliaia di combattenti arrivati da altri fronti, tra cui quelli della
“Columna Durruti” giunti dal fronte aragonese. Buenaventura
Durruti cadde nella battaglia e la sua morte determinò l'inizio della
parabola discendente dell’influenza libertaria nell'ambito della
rivoluzione.
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La rivoluzione quindi non sopravisse come forza indipendente al
secondo governo Caballero, visto che si susseguirono le misure volte
alla diminuzione dell’autogestione popolare: il 15 dicembre 1936 il
Consiglio Supremo di sicurezza centralizzò la polizia politica, il 17
dicembre 1936 il giornale sovietico «Pravda» annunciò che «in
Catalogna è già cominciata la pulizia dei trotzkisti e degli anarco-
sindacalisti; e verrà condotta con la stessa energia che nell'Unione
Sovietica», il 24 dicembre 1936 fu decretato il divieto di portare
armi; lentamente la rivoluzione sociale anarchica si andò a
spegnere, anche se la guerra al franchismo continuava.
Da gennaio 1937, la CNT e l’UGT, per non perdere le posizioni
conquistate, firmarono vari patti di collaborazione che prevedevano
l'aumento della produttività e forme di controllo istituzionale sui
lavoratori e sulle collettività. Secondo la stessa logica lo Stato
repubblicano proseguì la militarizzazione, considerata una
“necessità ineluttabile” pure da una parte del movimento anarchico,
anche se venne confermata la vocazione antimilitarista e antistatale
degli stessi.
Tra Febbraio e Marzo del 1937 fu proibita la pubblicazione del
periodico della FAI, «Nosotros», inoltre il governo della Catalogna
approvò anche un decreto che ordinava il sequestro delle armi e
degli esplosivi in mano alle milizie popolari. Il 27 marzo si dimisero i
consiglieri anarchici del governo catalano e fu completata la
militarizzazione dell’Esercito regolare, determinandone il
depotenziamento delle milizie popolari. In opposizione alle scelte
politiche che la "dirigenza" della CNT-FAI stava attuando, si costituì
il gruppo di lotta rivoluzionaria “Los Amigos de Durruti”, formatosi
sulla base delle istanze popolari della CNT e che si prefisse
l'obiettivo di portare avanti un'opposizione alle strategie decise dallo
stesso sindacato.
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Ad Aprile si susseguirono, in varie città e villaggi, conflitti tra
anarchici e bolscevichi del Partito Comunista (si diffusero notizie su
carceri segrete, a Valencia e a Murcia, gestite dagli stalinisti).
Il 26 Aprile 1937, le forze reazionarie franchiste, bombardarono
violentemente, con il sostegno della "Legione Condor tedesca", la
città basca di Guernica, simbolo dell'autonomia Basca e in seguito
simbolo del martirio spagnolo.
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3.4 L’autoritarismo degli stalinisti:
repressione degli anarchici e del POUM (maggio 1937).
«Il maggio 1937 di Barcellona si può considerare una “guerra civile
nella guerra civile”. Vi furono circa cinquecento morti, in maggioranza
libertari». [3]
Dal 3 all’8 maggio 1937, a Barcellona, si verificarono degli scontri
"fratricidi" tra il POUM (partito comunista antistalinista), la CNT,
"Los Amigos de Durruti" (forte di circa 5000 miliziani) e tutta una
serie di combattenti anarchici (Liberto Callejas, Gregorio Jover, Abel
Paz, Ada Martí e Maximo Franco, comandante della Columna Roja y
Negra) da una parte, contro il PSUC (Partito Comunista stalinista
catalano) e la Guardia de Asalto (polizia) dall'altra, in seguito ai
decreti governativi che imponevano lo scioglimento delle milizie non
staliniste e alla “presa” della Telefónica (sede del servizio telefonico
di Barcellona autogestito dai lavoratori stessi) da parte delle forze
governative. Durante questi scontri numerosi esponenti di spicco del
POUM e del movimento anarchico vennero arrestati, tra questi il
trotzkista Gorge Orwell, che poi riuscì a sfuggire alla repressione, e
uccisi circa 500: tra questi Camillo Berneri, Francesco Barbieri e il
segretario dell'UGT.
Nell’ambito di questi scontri interni al fronte repubblicano, il 13
dello stesso mese alcuni ministri stalinisti (Hernandez e Uribe)
proposero la repressione della CNT e del POUM. Il 17 maggio Largo
Caballero fu costretto a dimettersi, che venne succeduto da Juan
Negrín, un socialista molto vicino agli stalinisti, ma senza ottenere
l’appoggio degli anarchici e dei rivoluzionari.
Iniziò così la persecuzione di tutte le forze antistaliniste.
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3.5 Ultime fasi della guerra (gennaio 1938-dicembre 1938)
La Rivoluzione sociale e popolare ormai era stata quasi del tutto
seppellita, rimaneva quindi da combattere la guerra contro il
franchismo che ormai stava drammaticamente prevalendo. A
gennaio del 1938, il governo proibì l’immissione di banconote e
monete locali, intimando il ritiro dalla circolazione delle stesse e, di
fatto, infliggendo un duro colpo ai processi di autogestione e
indipendenza dal potere centrale. Vista la drammatica situazione in
cui si trovava il fronte repubblicano, il Presidente del Consiglio Juan
Negrín, cercando di salvare il salvabile, negoziò la pace con
Francisco Franco e decise di ritirare le Brigate Internazionali dalle
zone di combattimento, nella speranza di poter godere di un maggior
sostegno in nome del diritto internazionale. Anche i libertari nel
tentativo di salvare le conquiste ottenute, presero decisioni sbagliate
e controproducenti: la CNT e la UGT introdussero gli ispettori del
lavoro con facoltà coercitive e contemporaneamente la Generalitat
della Catalogna ridusse le facoltà dei Comitati di controllo operaio
nelle imprese non collettivizzate.
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Le controversie interne continuarono e in Catalogna si registrarono i
primi scontri armati (aprile 1938) tra anarchici e comunisti
filostaliniani. Nello stesso periodo la stessa Barcellona e l’Aragona
subivano i pesanti attacchi dei nazionalisti: a Dicembre del 1938
iniziò la battaglia di Barcellona.
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3.6 La sconfitta dei rivoluzionari
(gennaio 1939 - aprile 1939)
Il 26 gennaio anche Barcellona dovette capitolare. Centinaia di
migliaia di profughi si spinsero sino alla frontiera francese, ma il
governo transalpino fu impreparato e sostanzialmente ostile. Non
pochi speravano che quella terra li salvasse dall'atroce destino che
gli riservava il nazional-cattolicesimo franchista, ormai trionfante,
ma in realtà molti di loro morirono nei campi profughi (fame, freddo,
disperazione ecc.), più simili a veri e propri lager, allestiti dall'ostile
governo francese.
Il governo Negrín fu ben attento a salvare se stesso, aumentando la
repressione sui libertari che si ribellarono agli ennesimi soprusi
stalinisti. Juan Negrín e vari dirigenti filostalinisti, che ormai
avevano perso quel poco di “prestigio” che gli era rimasto, furono
costretti a fuggire, ma ormai il destino della Repubblica era segnato.
Il 28 marzo, con l'aiuto di forze pro-franchiste all'interno della città
(l'infame "quinta colonna"), Madrid cadde nelle mani dei
Nazionalisti. Il giorno seguente anche Valencia si arrese.
Il 1° aprile 1939 termina ufficialmente la guerra civile con un
terribile bilancio di circa 700.000 morti, più di un milione di mutilati
e quasi un milione di profughi.
Il volto della Spagna è ormai deturpato irrimediabilmente:
l'economia è distrutta, la società è violentata, gli spagnoli, quasi
tutti, sono disperati.
Inizia la lunga e terribile serie di limpieza (pulizia): fino al 1945
continuano le fucilazioni di circa 100.000 oppositori, le carceri sono
piene d’individui sospettati, la chiesa cattolica riprende la sua
funzione di sorveglianza sul popolo e di fiancheggiamento dei
potenti.
Un tetro ordine regna ormai sulla penisola iberica.
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CAPITOLO 4
MUSICA NELLA RIVOLUZIONE
La rivoluzione spagnola non fu solo resistenza al colpo di Stato e
collettivizzazioni, ma si espresse anche per mezzo di canzoni.
4.1 A las barricadas
"A las barricadas" (Alle barricate) è forse la più famosa canzone
anarchica cantata nel periodo della rivoluzione spagnola.
La partitura della Marcha triunfal, sottotitolo A las barricadas!, fu
pubblicata nel novemebre 1933 nel supplemento della rivista Tierra
y Libertad di Barcellona. Il testo fu scritto da Valeriano Orobón
Fernández e adattato alla Warszawianka, canzone polacca scritta
nel 1883 per omaggiare il movimento operaio polacco in lotta.
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Attualmente è anche l'inno della Confederación Nacional del Trabajo
(CNT spagnola), a cui si fa riferimento anche nell'ultimo verso “Per il
trionfo della Confederazione!”.
4.2 Testo canzone
Negras tormentas agitan los aires
nubes oscuras nos impiden ver
Aunque nos espere el dolor y la
muerte
contra el enemigo nos llama el
deber.
El bien más preciado
es la libertad
hay que defenderla
con fe y con valor.
Alza la bandera revolucionaria
que llevará al pueblo a la
emancipación
En pie el pueblo obrero a la batalla
hay que derrocar a la reacción
¡A las Barricadas!
¡A las Barricadas!
por el triunfo
de la Confederación.
Nere tormente agitano l'aria
Nubi oscure ci impediscono di
vedere.
Anche se ci aspettassero il dolore
e la morte
Contro il nemico ci chiama il
dovere.
Il bene più prezioso è la libertà
Bisogna difenderla con fede e con
valore.
Alza la bandiera rivoluzionaria
Che porterà il popolo
all'emancipazione.
In piedi popolo operaio, alla
battaglia
Bisogna abbattere la reazione.
Alle barricate! Alle barricate!
Alle barricate! Alle barricate!
Per il trionfo della
Confederazione!
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La collettivizzazione delle campagne liberò i contadini dal potere
opprimente dei grandi proprietari terrieri, della borghesia e della
Chiesa, che si videro da un giorno all’altro espropriati e privati di
ogni forma di potere e di supremazia gerarchica. Furono molti i
piccoli e medi commercianti e i proprietari terrieri che vennero
costretti, loro malgrado, a prendere parte alle collettivizzazioni, nel
nome della Rivoluzione Sociale.
L’espropriazione della proprietà privata costituì quindi un passo
molto concreto, anche se rappresentò solo la prima tappa verso la
socializzazione, fine ultimo dell’anarchia.
Gli sforzi e la lotta per arrivare a questo traguardo sono presenti in
numerose canzoni libertarie:
Salud proletario: llegó el gran día
dejemos los antros de la explotación,
no ser más esclavos de la burguesía,
dejemos suspensa la producción.
Iguales derechos e iguales deberes
Tenga por norma la sociedad,
y sobre la tierra los humanos seres
vivan felices en fraternidad. [4]
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