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Festival Anatomia - Marsilio Editori · 2021. 1. 25. · Bari e Nada vinse-ro il festival di...

Date post: 09-Feb-2021
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PAOLOERCOLANI L8 essereumanofor- malapropriaiden- tità attraverso il rapporto costante conunasortadispecchio,che per comodità chiamiamo «realtà». Ineffettinoiriconosciamo noistessi,conipregieidifetti, leinclinazionieleidiosincra- sie,medianteilrapportocon lecoseelepersoneconcuien- triamoincontatto,echecire- stituiscono un8immagine che contribuisceafarcidiventare consapevolidinoistessiedel- lenostrecaratteristiche. Nonsitrattadiun8attività automatica, perché in realtà essarichiedeilnostroimpe- gnocostanteeilnostroragio- nare.Nonacasoilterminestes- so,specchio,derivadallatino «speculum»,lacuiradiceèla medesimadi«speculare»,cioè pensare. L8essere umano, insomma, definisceunapropriaidentità, perquantopossibileequilibra- taeconsapevole,attraversoil confronto ragionato con la realtà,poichéèinquest8ulti- madimensionecheeglisitro- vaadoperarelungoquelper- corsochesiamosolitichiama- re«vita». Ciòèstatoverofinoapoco tempofa,maogginonpiù. Lasocietàtecnologica,infat- ti,quelladeisocial,deiselfiee delnostrocontinuointerveni- reinvarieformenellaretedi Internet,cihamessoperlapri- mavoltanellastoriadifronte aun8umanitàinvertita. Sì,un8umanitàchesipreoc- cupamoltodipiùdiapparire bella,interessante,pienadire- lazionieimpegninellagalas- siavirtuale,trascurandoinmi- suracostantementecrescente ilfattodirisultareincattivita, omologata,incapacedidialo- goedisoccupatainquellarea- le. Ilpassaggiodaun8umanità perquantopossibilepensante (impegnata a riflettere sulla realtàcircostante),auna«po- stante»(concentratasuiconte- nutidaimmettereodicuiusu- fruireinrete),èstatotantove- locequantoirreversibile. Edirecheilpensierononè un8attivitàcheèsalutaretra- scuraredapartedell8umanità. Platonelaritenevailveroele- mento caratterizzante degli uomini,esserimedianifragli dèieglianimali.Questiultimi duenonhannobisognodipen- sare, poiché la vita per loro noncostituisceunproblema, sostenevailgrandefilosofoan- tico. Glidèiposseggonolacono- scenzaassoluta,mentregliani- malisonofornitidiquellaspe- ciedinavigatoresatellitarein- ternochesichiamaistintoe chelispingeadagireinmanie- raautomaticainvistadelpro- prioutile. Soltantoperl8uomo,sprov- vistodellaconoscenzaassolu- taepoverodiistinti,lavita stessarappresentaunproble- ma.Altrotermineeloquente sindall8etimologia,chelove- derisalireall8anticoverbogre- co proballein , ilcuisignificato era«guardareinnanzi»,consi- derare il dopo, preoccuparsi delfuturo,seguendounatra- duzionelibera. Insomma,èsugliesseriuma- nichegravailproblemadeldo- mani,lacostruzionedisestes- siediunrapportocolmondo circostantechesiaequilibrato eispiratoalbenecomune.In questocontestoilpensieroèil suostrumentopiùefficaceallo scopo. Ilguaioèchel8uomodell8era tecnologicarisultasemprepiù sprovvistodiunpensierocriti- co,maincompensosempre piùimmersoinunnarcisismo chelorendeaffamatodiconti- nueattenzioni,dinotificheco- stantiprovenientidalmondo virtuale. Anchequi,narcisismorisale algrecoantico narkosis , incui stavaasignificarel8addormen- tamento.Nelnarcisistatecno- logico,adessereaddormenta- toègiustoilpensiero,lafacol- tàautonomaecriticaconcui costruireun8identitàpropria, afavorediunbisognocompul- sivodisoddisfaregli«amici» virtuali,ifollower,ladimen- sionesocialchesembrachiede- reunanostraopinionesuogni campo dello scibile umano, promettendoincambioquegli attestatidistimafreddicheso- noi«like». LopsicologoEricErickson, nellametàdelNovecento,ci spiegavacheilmomentodella formazionediun8identitàau- tonomarappresentaunatap- pafondamentalenellacresci- tadellapersona.Taleforma- zione,scrivevaErickson,avvie- neattraversoilprocessodiin- trospezione di cui abbiamo parlatosopra.L8individuo,in rapportoconlecoseeleperso- nedellarealtà,trovadeimo- mentiperguardarsidentroe comprendere, per esempio, qualisonolecoseelepersone chepiùglivannoagenio,con cuipuòprogettareunfuturo adeguatoalleproprieinclina- zioni. L8uomocontemporaneo,in- vece,immersosemprepiùfre- quentementenelladimensio- ne social, rischia di vedere frantumatolospecchiointerio- reconcuielaborareinmanie- raautonomaglistimoliesterni epervenireaun8identitàstrut- turata.Ciòperché,innanzitut- to,lapresenzacostantedegli smartphonenellenostremani annullapressoché quei«tempimorti» medicoosemplicem liincasa)cheren bile l8introspezi frontoconsestes chéglistessisoci noquellacheilp Howard Gardner chi qualcheannofaun preconfezionata», nevolutaallalog ca. Pensiamo sopra piùgiovanieallo stantementeinve un prodotto comm unabellafotograf toccataallabisog sionichemanifest amicizieeilsucc deltitolaredella ingeneraleun8im centeattraversoq propriamonetavir noilike,ifollower dipersonechecon commentano ciò ch attestando il suc tuaidentitàinven Questiiparametr nuovegenerazioni mate a costruire identità,secondou diomologazionee quantitativacher sformarliinripe deglistessigesti «selfizzare»ogni la propria quotid drogatidinotific semprepiùnumeros socuimisurareil propriavita. Sono pochi quelli adammetterlo,mac modifronteauna priamutazioneant chemaicomeoggi trasformarelepe chequestaparola ginariamente:mas toallequalipotr varcimoltoprest chenonc8èpiùnul 3 c BYNCNDALCUNIDIRITTIR Modena,CarpieSa PaoloErcolani, docentedifil all8universitàdiUrbino, ètra delfestivalfilosofia2019 c h e oggiedomaniaModena, Carpie 40luoghi, 200appuntamentip fuocolaquestionedella«Per c iviltàefragilitàumana.F Bodei, Bianc hi, Caciari, Crouc h , Ehren Galimberti, Giovannini, Marzan Nancy, Quante, Recalcati, Rosen, Ro Severino, VegettiFinzi.Inpro s pettacolieanc heotto«menufi perricordare TullioGregory (www.festivalfilosofia.it dallasocietàapertaallasocietàottusa Postodunquesono I lnarcisismotecnologico,affamatodilikeefollower,spegneilpensierocritico Èinattounamutazioneantropologicachetrasformalepersoneinmaschere Festival Losmartphone fissoinmano annullailtempo dell8introspezione ANSA PaoloErcolani «Figlidiuniominore. Dalla societàaperta alla societàottusa» Marsilio pp.333, Â16 Ilsuosaggio XXII LA STAMPA SABATO 14 SETTEMBRE 2019 tuttolibri
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    PAOLO ERCOLANI

    L’ essere umano for-ma la propria iden-tità attraverso il rapporto costante con una sorta di specchio, che per comodità chiamiamo «realtà».

    In effetti noi riconosciamo noi stessi, con i pregi e i difetti, le inclinazioni e le idiosincra-sie, mediante il rapporto con le cose e le persone con cui en-triamo in contatto, e che ci re-stituiscono un’immagine che contribuisce a farci diventare consapevoli di noi stessi e del-le nostre caratteristiche.

    Non si tratta di un’attività automatica, perché in realtà essa richiede il nostro impe-gno costante e il nostro ragio-nare. Non a caso il termine stes-so, specchio, deriva dal latino «speculum», la cui radice è la medesima di «speculare», cioè pensare.

    L’essere umano, insomma, definisce una propria identità, per quanto possibile equilibra-ta e consapevole, attraverso il confronto ragionato con la realtà, poiché è in quest’ulti-ma dimensione che egli si tro-va ad operare lungo quel per-corso che siamo soliti chiama-re «vita».

    Ciò è stato vero fino a poco tempo fa, ma oggi non più.

    La società tecnologica, infat-ti, quella dei social, dei selfie e del nostro continuo interveni-re in varie forme nella rete di Internet, ci ha messo per la pri-ma volta nella storia di fronte a un’umanità invertita.

    Sì, un’umanità che si preoc-cupa molto di più di apparire bella, interessante, piena di re-lazioni e impegni nella galas-sia virtuale, trascurando in mi-sura costantemente crescente il fatto di risultare incattivita, omologata, incapace di dialo-go e disoccupata in quella rea-le.

    Il passaggio da un’umanità per quanto possibile pensante

    (impegnata a riflettere sulla realtà circostante), a una «po-stante» (concentrata sui conte-nuti da immettere o di cui usu-fruire in rete), è stato tanto ve-loce quanto irreversibile.

    E dire che il pensiero non è un’attività che è salutare tra-scurare da parte dell’umanità. Platone la riteneva il vero ele-mento caratterizzante degli uomini, esseri mediani fra gli

    dèi e gli animali. Questi ultimi due non hanno bisogno di pen-sare, poiché la vita per loro non costituisce un problema, sosteneva il grande filosofo an-tico.

    Gli dèi posseggono la cono-scenza assoluta, mentre gli ani-mali sono forniti di quella spe-cie di navigatore satellitare in-terno che si chiama istinto e che li spinge ad agire in manie-ra automatica in vista del pro-prio utile.

    Soltanto per l’uomo, sprov-visto della conoscenza assolu-ta e povero di istinti, la vita stessa rappresenta un proble-ma. Altro termine eloquente sin dall’etimologia, che lo ve-de risalire all’antico verbo gre-co proballein, il cui significato era «guardare innanzi», consi-derare il dopo, preoccuparsi del futuro, seguendo una tra-duzione libera.

    Insomma, è sugli esseri uma-ni che grava il problema del do-mani, la costruzione di se stes-si e di un rapporto col mondo circostante che sia equilibrato e ispirato al bene comune. In questo contesto il pensiero è il suo strumento più efficace allo scopo.

    Il guaio è che l’uomo dell’era tecnologica risulta sempre più sprovvisto di un pensiero criti-co, ma in compenso sempre più immerso in un narcisismo

    che lo rende affamato di conti-nue attenzioni, di notifiche co-stanti provenienti dal mondo virtuale.

    Anche qui, narcisismo risale al greco antico narkosis, in cui stava a significare l’ addormen-tamento. Nel narcisista tecno-logico, ad essere addormenta-to è giusto il pensiero, la facol-tà autonoma e critica con cui costruire un’identità propria,

    a favore di un bisogno compul-sivo di soddisfare gli «amici» virtuali, i follower, la dimen-sione social che sembra chiede-re una nostra opinione su ogni campo dello scibile umano, promettendo in cambio quegli attestati di stima freddi che so-no i «like».

    Lo psicologo Eric Erickson, nella metà del Novecento, ci spiegava che il momento della formazione di un’identità au-tonoma rappresenta una tap-pa fondamentale nella cresci-ta della persona. Tale forma-zione, scriveva Erickson, avvie-ne attraverso il processo di in-trospezione di cui abbiamo parlato sopra. L’individuo, in rapporto con le cose e le perso-ne della realtà, trova dei mo-menti per guardarsi dentro e comprendere, per esempio, quali sono le cose e le persone che più gli vanno a genio, con cui può progettare un futuro adeguato alle proprie inclina-zioni.

    L’uomo contemporaneo, in-vece, immerso sempre più fre-quentemente nella dimensio-ne social, rischia di vedere frantumato lo specchio interio-re con cui elaborare in manie-ra autonoma gli stimoli esterni e pervenire a un’identità strut-turata. Ciò perché, innanzitut-to, la presenza costante degli smartphone nelle nostre mani

    annulla pressoché totalmente quei «tempi morti» (in fila dal medico o semplicemente da so-li in casa) che rendevano possi-bile l’introspezione e il con-fronto con se stessi. Poi, per-ché gli stessi social ci impongo-no quella che il pedagogista Howard Gardner chiamava qualche anno fa un’«identità preconfezionata», con allusio-ne voluta alla logica economi-ca. Pensiamo soprattutto ai più giovani e al loro essere co-stantemente in vetrina come un prodotto commerciale: una bella fotografia, magari ri-toccata alla bisogna, condivi-sioni che manifestino le tante amicizie e il successo sociale del titolare della «bacheca», e in generale un’immagine vin-cente attraverso quella vera e propria moneta virtuale che so-no i like, i follower, il numero di persone che condividono o commentano ciò che «posti» attestando il successo della tua identità in vendita.

    Questi i parametri con cui le nuove generazioni sono chia-mate a costruire la propria identità, secondo un processo di omologazione e una logica quantitativa che rischia di tra-sformarli in ripetitori passivi degli stessi gesti insulsi (come «selfizzare» ogni momento del-la propria quotidianità) e in drogati di notifiche e consensi sempre più numerosi attraver-so cui misurare il valore della propria vita.

    Sono pochi quelli disposti ad ammetterlo, ma ci trovia-mo di fronte a una vera e pro-pria mutazione antropologica che mai come oggi rischia di trasformare le persone in ciò che questa parola significa ori-ginariamente: maschere. Sot-to alle quali potremmo ritro-varci molto presto a scoprire che non c’è più nulla. —

    c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

    ANDREA VITALI

    Nel 1971 Nicola di Bari e Nada vinse-ro il festival di San-remo con la canzo-ne intitolata Il cuore è uno zingaro. Con compiaciute ri-me baciate il testo della can-zone recitava tra l’altro che «catene non ha, il cuore è uno zingaro e va». Mai frase più semplice, canticchiata e fischiettata da chissà quanti all’epoca e anche dopo, pro-pose e propone una sacro-santa verità, e cioè che il cuo-re, tra gli organi nobili della nostra anatomia, è quello che tiene maggiormente al-la sua libertà d’azione, poi-ché da essa la vita degli altri dipende. Vero è che si po-trebbe facilmente obiettare quanto sarebbe difficile la vita senza cervello, inteso quale organo vero e pro-prio, oppure senza fegato. Ma senza cuore chi potreb-be spingere in ogni dove, fi-no agli estremi confini dell’anatomico impero, ciò di cui i suoi abitanti si nutro-no?

    Sandeep Jauhar, cardiolo-go di origine indiana e diret-tore di un programma di prevenzione delle malattie cardiovascolari presso il Long Island Jewish Medical Center, ha scritto un libro, Il cuore. Una storia (Bollati Bo-ringhieri), facendo dell’or-gano menzionato il vero protagonista e di ciò gli va reso il primo di una serie di meriti. Essendo egli stesso cardiologo, infatti, avrebbe potuto anteporsi all’ogget-to delle sue cure e, cedendo a una più che umana vanità, essere il primo attore del suo racconto. Cosa che inve-ce non ha fatto, o perlome-no non in maniera invasiva, consapevole della suprema-zia di quest’organo sui più li-

    mitati destini di chi se lo por-ta in petto. Ecco quindi spie-gata la semplicità del titolo del libro, Il cuore, cui si è vo-luto aggiungere il significa-tivo sottotitolo, «Una sto-ria». L’autore ha portato a compimento la non facile impresa di embricare due racconti paralleli facendo sì che il libro in oggetto diven-ti, da una parte, un sobrio, per quanto puntiglioso, sag-gio di storia sulle varie tap-pe che hanno portato allo sviluppo delle tecniche più avanguardistiche che per-

    mettono di curare molte tra le patologie, congenite o ac-quisite, del cuore. È una se-zione del libro che, senza di-menticare le declinazioni metaforiche di cui il cuore è stato ed è oggetto, offre uno spaccato a volte crudele, narrato senza timore di am-mettere che la via dell’ap-prendimento e del progres-so spesso è segnalata da un discreto numero di croci. Valga per tutti, quale esem-pio tra i tanti riportati, il vis-suto di Clarence Walton Lil-lehei, innovatore tra i più

    grandi nel campo della chi-rurgia del ventesimo seco-lo, ideatore della circolazio-ne incrociata controllata, sorta di progenitore della circolazione extracorporea.

    Sull’altro binario, la narra-zione si nutre invece di un’a-ria familiare poiché l’autore racconta le proprie origini e soprattutto racconta come la morte improvvisa del non-no, avvenuta per un attacco cardiaco, abbia avuto su di lui una sorta di «effetto voca-zione», non priva peraltro di una certa ossessione,

    spingendolo verso lo studio del cuore e delle sue patolo-gie. In tal senso questa è la parte più narrativa e umani-stica del lavoro di Jauhar, laddove la terminologia scientifica e gli excursus nel-la storia della medicina car-diologica lasciano invece il passo al processo di forma-

    zione di un medico, a ciò che si sperimenta vivendo la camera operatoria e la corsia d’ospedale e che non è mai facile trasmettere ai pazienti in cura: la parteci-pazione emotiva alla soffe-renza altrui cioè, la com-prensione del dolore e del disagio, un patrimonio dell’affettività e della cultu-ra umanistica di cui la medi-cina e pregna ma che talvol-ta deve cedere il passo allo sterile rigore della tecnica per poter raggiungere il ri-sultato sperato.

    A ogni avvio di capitolo le esperienze personali del dottor Jauhar sembrano vo-ler ribadire al lettore che tut-to ciò che la medicina e la ri-cerca fanno hanno per sco-po quello di poter permette-re che medico e paziente continuino a guardarsi ne-gli occhi per il maggior tem-po possibile. Non solo medi-co e paziente, però. Uno di fronte all’altro ci possono stare anche medico e medi-co, poiché, pur se del ramo, anche quello di un professio-

    nista è in fondo solo un cuore come gli altri, sog-getto come tutti alla possi-bilità di ammalarsi. Che è il destino dell’autore del li-bro in oggetto quando sco-pre di appartenere lui stes-so alla categoria dei cardio-patici. Nemesi? Chi lo sa! A titolo di rassicurazione conviene segnalare che il dottor Jauhar è vivo e vege-to e «lotta insieme a noi», e per noi, come dimostra il suo ultimo capitolo, «Pau-sa compensatoria», ove chiaro è l’invito a non pre-tendere che la specialisti-ca, quale che sia, si sostitui-sca a noi nel preservarci in salute. Dobbiamo collabo-rare invece, controllando il nostro stile di vita affinché il nostro cuore non patisca fino a fermarsi. Oppure, nel caso lo debba fare, che sia come cantava la canzo-ne di Nicola di Bari e Nada: dopo aver trovato il prato più verde che c’è e permet-tendoci di ammirare uno splendido cielo stellato. —

    c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

    Modena, Carpi e Sassuolo

    Sandeep Jauhar

    La vita va dove la porta il cuoreUn cardiologo ripercorre la storia dell’organo che più di tutti governa la nostra esistenzaScoperte e interventi si intrecciano con le vicende personali del medico e con quelle dei suoi pazienti

    Paolo Ercolani, docente di filosofia all’università di Urbino, è tra gli ospiti del festivalfilosofia 2019 che si svolge oggi e domani a Modena, Carpi e Sassuolo. 40 luoghi, 200 appuntamenti per mettere a fuoco la questione della «Persona» tra diritti, civiltà e fragilità umana. Fra gli ospiti Augé, Bodei, Bianchi, Cacciari, Crouch, Ehrenberg, Galimberti, Giovannini, Marzano, Massini, Nancy, Quante, Recalcati, Rosen, Roy, Severino, Vegetti Finzi. In programma mostre, spettacoli e anche otto «menu filosofici» per ricordare Tullio Gregory (www.festivalfilosofia.it)

    dalla società aperta alla società ottusa

    Posto dunque sonoIl narcisismo tecnologico, affamato di like e follower, spegne il pensiero criticoÈ in atto una mutazione antropologica che trasforma le persone in maschere

    Festival Anatomia

    La via del progesso è segnata

    da un discreto numero di croci

    Lo smartphone fisso in mano

    annulla il tempo dell’introspezione

    Sandeep Jauhar«Il cuore. Una storia»(trad. di Benedetta Antonielli d’Oulx)Bollati Boringhieripp. 261, € 28

    ANSA

    Paolo Ercolani«Figli di un io minore. Dalla società aperta alla società ottusa»Marsiliopp. 333, € 16

    Cardiologo di origine indianaSandeep Jauhar è direttore dell’Heart Failure Program presso il Long Island Jewish Medical Center, dove vive. È autore di due memoir sulla sua esperienza di medico, entrambi bestseller del «New York Times», su cui tiene una rubrica

    Il suo saggio

    XXII LASTAMPA SABATO 14 SETTEMBRE 2019 tuttolibri


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