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Francesca Diosono e l'importanza di uno scavo internazionale

Date post: 22-Mar-2016
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Cosa capireste se una spagnola vi chiedesse “Passami il cubo” e intorno a voi ci fossero solo attrezzi di scavo (Baustellenwerkzeuge)? Scopriamolo in una chiacchierata con Francesca Diosono che del lavoro di squadra (Teamarbeit), con studenti e collaboratori di altri Paesi, ha fatto il proprio credo. Con tutte le sorprese, i fraintendimenti (Missverständnisse) e l’arricchimento mentale che questo comporta.
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Francesca Diosono e l'importanza di uno scavo internazionale Intervista di: Mara Zatti; foto: Wolfgang Filser Cosa capireste se una spagnola vi chiedesse “Passami il cubo” e intorno a voi ci fossero solo attrezzi di scavo (Baustellenwerkzeuge)? Scopriamolo in una chiacchierata con Francesca Diosono che del lavoro di squadra (Teamarbeit), con studenti e collaboratori di altri Paesi, ha fatto il proprio credo. Con tutte le sorprese, i fraintendimenti (Missverständnisse) e l’arricchimento mentale che questo comporta. Francesca Diosono (al centro) con il suo team a Nemi JanusBlog: Prima di diventare ricercatrice a Perugia hai potuto fare delle esperienze all’estero. Puoi dirci dove? Francesca Diosono: Dunque, io ho cominciato, mentre ero studentessa, con il progetto Leonardo con cui sono stata a Parigi al Museo di Antichità Nazionali e lì ho trovato i contatti per poter andare a scavare (ausgraben) a Lattes, uno scavo del CNRS. Poi, poco dopo essermi laureata, ho partecipato allo scavo di Tiermes, che è nella provincia di Soria in Spagna, all'interno di (im Rahmen) un progetto di collaborazione dell’Università di Perugia, e anche lì ho potuto fare ulteriori esperienze all’estero come neolaureata. Non avevo nessun incarico particolare ma ho potuto venire a contatto con situazioni nuove, diverse. Come sei riuscita a lavorare all’estero, a prendere i contatti? Allora, prima di tutto, subito dopo essermi laureata, ho preso una borsa di studio (Stipendium) per l’estero. In Italia non ci sono molti studenti interessati a questa esperienza, preferiscono
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Francesca Diosono e l'importanza di uno scavo internazionale

Intervista di: Mara Zatti; foto: Wolfgang Filser

Cosa capireste se una spagnola vi chiedesse “Passami il cubo” e intorno a voi ci fossero solo attrezzi di scavo (Baustellenwerkzeuge)? Scopriamolo in una chiacchierata con Francesca Diosono che del lavoro di squadra (Teamarbeit), con studenti e collaboratori di altri Paesi, ha fatto il proprio credo. Con tutte le sorprese, i fraintendimenti (Missverständnisse) e l’arricchimento mentale che questo comporta.

Francesca Diosono (al centro) con il suo team a Nemi

JanusBlog: Prima di diventare ricercatrice a Perugia hai potuto fare delle esperienze all’estero. Puoi dirci dove?

Francesca Diosono: Dunque, io ho cominciato, mentre ero studentessa, con il progetto Leonardo con cui sono stata a Parigi al Museo di Antichità Nazionali e lì ho trovato i contatti per poter andare a scavare (ausgraben) a Lattes, uno scavo del CNRS. Poi, poco dopo essermi laureata, ho partecipato allo scavo di Tiermes, che è nella provincia di Soria in Spagna, all'interno di (im Rahmen) un progetto di collaborazione dell’Università di Perugia, e anche lì ho potuto fare ulteriori esperienze all’estero come neolaureata. Non avevo nessun incarico particolare ma ho potuto venire a contatto con situazioni nuove, diverse.

Come sei riuscita a lavorare all’estero, a prendere i contatti?

Allora, prima di tutto, subito dopo essermi laureata, ho preso una borsa di studio (Stipendium) per l’estero. In Italia non ci sono molti studenti interessati a questa esperienza, preferiscono

rimanere invece in Italia. Io sono stata all’Università di Granada e poi da lì, continuando a stare in Spagna, ho partecipato a dei cantieri d'emergenza (Notgrabungen) a Granada e in generale in Andalusia. Poi, grazie al fatto che facevo il dottorato, con il Professor Coarelli e la sua collaboratrice Giovanna Battaglini, sono entrata in progetti di ricerca europei: il progetto Cost, più precisamente progetto Cost A 27 sull’archeologia del paesaggio, il progetto Life, sull’archeologia e i beni storico-culturali e antropologici come veicolo di valorizzazione dei territori, e l’Azione Integrata Italia-Spagna, che era uno scambio di ricercatori tra Italia e Spagna. Grazie a questi progetti mi sono creata dei contatti che hanno fatto sì che io venissi sia presa per fare lo studio dei materiali allo scavo a Tiermes, ora completato, sia per dirigere lo scavo della via Domizia in Francia, ancora in corso.

Lago di Nemi

Quali sono le differenze più salienti (wesentlich) che hai riscontrato, tra l’Italia e l’estero, nei metodi lavorativi?

Prima di tutto, la differenza più grande sono i finanziamenti. Questo fa sì che si possa lavorare in maniera diversa all’estero. Poter disporre di finanziamenti maggiori, programmati e più regolari fa sì che ci sia una maggiore organizzazione e migliori degli strumenti di lavoro. Da noi purtroppo, essendo sempre “all’emergenza” , cioè in una situazione in cui si sa se si hanno i finanziamenti il mese prima per il mese dopo, non riesci mai a programmare niente, c’è molta più improvvisazione. Devi essere molto creativo, insomma (ride). Questo non aiuta, chiaramente. Ci sono poi delle differenze amministrative tra gli Stati, per quanto riguarda la documentazione, i permessi, eccetera, e anche degli approcci (Herangehensweise) diversi. Se vai all’estero puoi notare un approccio più tecnologico: disponendo infatti di maggiori mezzi economici si hanno anche maggiori possibilità di usare tecnologie di cui noi spesso non disponiamo. C’è però a volte un approccio troppo tecnico della ricerca, si perde un po’ l’approccio umanistico.

Hai potuto usare le esperienze fatte all’estero anche negli scavi che hai condotto e stai conducendo tu?

Io ho potuto usare le esperienze fatte all’estero nell’organizzazione di un’équipe di ricerca perché ho lavorato in progetti grandi in cui c’era molto personale. Ho potuto apprezzare come fossero organizzati fasi e gruppi di lavoro, come fosse dato un respiro più ampio al progetto, come ci si organizzasse per lavorare subito alla stesura e all’analisi dei dati per lo studio definitivo. Un’altra cosa che ho imparato dagli scavi all’estero è cercare di coinvolgere (hineinziehen) gli studenti in maniera attiva, farli sentire parte integrante del progetto. Quindi ho cercato di riproporre questo atteggiamento anche qui.

Il team completo a Nemi (2009)

Il tuo team è molto variegato: ci sono studenti da molte parti del mondo. Ce ne parli?

I primi contatti li devo al Professor Coarelli grazie ai suoi contatti in varie università all’estero, soprattutto in Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, Grecia, America e Canada. Questo ha fatto sì che venissero studenti di questi paesi a partecipare a nostri progetti. Questi chiaramente sono contatti proficui (nutzbringend) in cui entrambe le parti hanno modo di imparare l’una dall’altra: dato che si usano metodi diversi, ognuno apporta la propria esperienza (Erfahrung) arricchendo l’altro. Alcuni di questi studenti stranieri, dopo la laurea, sono entrati a fare parte dell’équipe di ricerca e collaborano allo studio dei materiali e delle strutture ed all’organizzazione dello scavo. Abbiamo quindi potuto creare un’équipe di ricerca internazionale.

Ci sono state difficoltà (Schwierigkeiten) nel lavorare insieme?

All’inizio c’è chiaramente la difficoltà legata alla diversità della lingua e le differenze culturali, che sono normali, venendo da vari paesi. Avendo però noi tutti una mentalità aperta e un atteggiamento collaborativo poi si supera tutto. Si crea quindi una specie di lingua franca (hier: gemeinsame Sprache) in cui tutti possono comunicare tra loro. Si crea anche una rete culturale in cui si scambiano esperienze, storie, ricette, canzoni, modi di divertirsi. Lo scavo è infatti anche molto vita in comune, che va al di là dell’attività di ricerca. È molto stimolante: molti italiani vengono nei nostri scavi anche perché hanno la possibilità di conoscere persone che vengono da altri Paesi.

Un esempio divertente di “non comprensione” tra studenti italiani e stranieri?

Posso raccontare quello che è capitato a me la prima volta che scavavo con gli spagnoli nel sito di Fregellae, in provincia di Frosinone, un altro scavo del Professor Coarelli: una ragazza spagnola stava scavando con me e mi dice “Dammi il cubo!”. Allora io cominciai a guardarmi intorno cercando un solido geometrico perché chiaramente non sapevo cosa lei intendesse per “cubo”, mentre lei intendeva semplicemente “il secchio (Eimer)”. Il problema sono quindi parole che esistono in due lingue ma che hanno significati completamente diversi. Ma alla fine si finisce per parlare l’italiano usando una parola in francese, una parola in inglese, una parola in spagnolo, e alla fine ne risulta una lingua comune assolutamente incomprensibile all’esterno.

Consiglieresti ad altri un’esperienza all’estero o di lavoro con persone di altri paesi?

Scavo a Nemi

Sì, io la consiglio assolutamente perché le esperienze all’estero aprono veramente la mente. Io personalmente, come tante altre persone che conosco, dopo aver potuto lavorare all’estero e aver conosciuto persone di altri paesi, sono molto cambiata nel mio metodo di lavoro e nel mio approccio in generale alla realtà. Mi ha dato infatti la possibilità di conoscere altre realtà e di non rimanere provinciale come purtroppo spesso si tende a rimanere. Purtroppo gli studenti italiani sono quelli che statisticamente approfittano meno delle esperienze all’estero, anche avendone la possibilità economica. Io invece consiglierei, durante gli studi o all’inizio del post-laurea, di fare un’esperienza all’estero perché sicuramente cambia la vita.

Allora grazie Francesca e in bocca al lupo per i tuoi scavi “internazionali”!

Informazioni:

Francesca Diosono è Assegnista di Ricerca presso l’Università degli Studi di Perugia. Ha lavorato in moltissimi progetti all’Italia e all’estero (Francia e Spagna), raccogliendo moltissime esperienze. Ora coordina uno scavo a Villa San Silvestro, in Umbria, per conto

dell’Università di Perugia e a Nemi per conto dell’università di Perugia e della Sovrintendenza e Beni archeologici del Lazio.


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