+ All Categories
Home > Documents > FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Date post: 24-Mar-2016
Category:
Upload: freaks-cinema-e-altri-fenomeni
View: 225 times
Download: 5 times
Share this document with a friend
Description:
Interviste, indagini curiose, poesia, sceneggiature inedite, analisi e approfondimenti, fotografia, arte e grafica saranno la persona seduta al nostro fianco mentre si spegne la luce e partono i titoli di testa, analizzando insieme in maniera diversa, e speriamo originale, gli elementi della vita attraverso il cinema.
52
#1 2012/ FREEMAGAZINE / Zero
Transcript
Page 1: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

#1

2012

/ FR

EEM

AGA

ZIN

E /

Zer

o

Page 2: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

“Amico mio,il tempo quando entra qui

si ferma un attimo e si leva il cappello...Anche tu avrai un posto simile a questo,

ma il mio è questo qua.” (G. Albertazzi - Ora e per sempre)

Page 3: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

1

Klaatu-Barada-Nikto!

L’editoriale di Freaks

Dopo il viaggio sulla Luna, Freaks torna sulla ter-ra a bordo della navicella Omicron di Gregoretti e atterra a Torino, la città dove è nato il cinema in Italia nel 1907.Sulle note di Fred Buscaglione ci lasciamo tra-sportare per “Augusta Taurinorum” alla ricerca di fenomeni da reclutare, ma un poeta di nome Macario ci ricorda che il Cinema non è la Vita, an-che se le reminiscenze di Steve Della Casa direb-bero il contrario…Il racconto è sempre rosso e profondo quando c’entra Dario Argento, anche se questa volta di sangue non troveremo traccia; la ruvidezza esta-tica della Rosa Tigre di Tonino De Bernardi ci darà invece quei cupi profili di cui la città è pregna. A proposito di profili oscuri, ma che ci faceva Fede-rico Fellini a cena con Gustavo Rol con un miste-rioso plico in mano? Il mistero svelato in esclusiva per Freaks! Osserviamo i set di autentici capolavo-ri del cinema e i visi di celluloide della Film Com-mission attraverso gli originali scatti realizzati per questo numero, andiamo per le strade di Mirafiori e della Falchera, le due periferie estreme che di-ventano puro cinema grazie ad un metallurgico di nome Mimì e all’immenso Marcello Mastroianni, (con la preziosa partecipazione di Davide Ferrario). Non potevano mancare qualche Demone (in tra-sferta da San Pietroburgo), le memorie catodiche di una maschera del fu “Cinema Giovani” e la vera natura sabauda di Diabolik.Vi lasciamo comunque con un quesito irrisolto… Ma perché i ragazzi di Torino, sognano Tokio ma poi vanno a Berlino?

Buona visione.Stefano Delmastro / Roberto Melle

concept / TORINO

Page 4: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

/Stampa: GRAFARTCorso Novara 35 • 10078 Venaria Reale (TO) • tel: 011 4551433

2

Alla regia di FREAKS #1

/Regia: Roberto Melle,

Stefano Delmastro

/Aiuto regia: Pierpaolo Bottino

/Collaboratori: Katia Bernacci, Filippo d’Arino,

Matteo Emme, Fabrizio Esposito, Valentina Mannone, Mauro Melis,

Luigi Nervo, Macs Padrini,P. Palù, Gabriele Peirolo,

Dario Quattrini, Giorgio Rubbio,Francesca Trinca, Antonio Verteramo.

/Ringraziamenti: BlahBlah di via PO a Torino,

Steve della Casa,Davide Ferrario,

Film Commission Torino,Janka per il video promozionale,

Mauro Macario,Vintage Movie Collection.

/Seguici e contattaci su: facebook alla pagina

Freaks, cinema e altri fenomeni

oppure cercaci e scaricaci su:www.issuu.com

Freaks è una rivistaa distribuzione gratuita.

Rivista in attesa di registrazione,tutti i diritti riservati© 2012

/Copertina: Giorgio Rubbio

Page 5: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

3

46/Gustavo degli spiriti_di R. Melle

37/Proiezione privata_di M. Macario

40/Fattore K_di M. Padrini

38/Attrice protagonista:

Falchera_di A. Verteramo

44/I ragazzi di Torino sognano Tokio

e vanno a Berlino_di P. Palù

48/Lyrics_Freaks concept

24/Vintage Movie Collection_Freaks concept22/Di rose, tigri

ed estasi_di F. Trinca

26/Torino, il grande set_ph: S. Delmastro

20/Cinema giovane,

estetica catodica_di G. Peirolo

32/La fine che fanno i cuori oltre i

cancelli di Mirafiori_di F. d’Arino

34/I demoni di S.Pietroburgo

a Torino_di K. Bernacci

4/Cullato dal cinema_di L. Nervo

6/Viaggi interstellari_di P. Bottino

8/In profondo rosso_di V. Mannone

10/Movies on the move_ph: F. Esposito

14/Il cinema non è la vita_di M. Macario

Index/

interview

poetry

classic

Page 6: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

4

Il rapporto tra Torino e il cinema è antico, profondo e in continua evoluzione. Molti registi affermati si sono innamorati della città e molti giovani hanno scelto le strade del capoluogo piemontese per girare le loro prime pellicole e sperimentare nuove forme espressive e tecniche innovative. Il merito per il fermento che si vive sotto la Mole va so-prattutto a quelle associazioni e a quei personaggi che con la loro passione ne sono l’anima pulsante. Tra loro uno dei nomi più noti è quello di Steve Della Casa, che da studente aveva dato vita allo storico Movie Club. Da sempre legato alla sua città, è stato anche il direttore del Torino Film Festival, rassegna dedicata al cinema indipendente che a fine ottobre com-pirà 30 anni.

STEVE DELLA CASA RACCONTA COMEÈ NATO IL SUO SOGNO

CULLATO DAL CINEMA FIN DA BAMBINO

4

freaksinterview

Page 7: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

5

Steve, quando è nato il suo amore per il cinema? Che cosa ha fatto scattare la scintilla?

“Come tutti gli amori è nato quando ero molto piccolo. Mio padre insegna-va già all’università, mia madre invece insegnava in una scuola serale. C’era per mio padre il problema di farmi ad-dormentare. Lui lo risolse così. Sicco-me vicino a casa mia (in via Palmieri, quartiere Cit Turin) c’erano molte sale aperte tutte le sere, lui mi portava allo spettacolo delle otto. Io resistevo mezz’ora poi mi addormentavo. Ma le immagini che vedevo in quella mezz’o-ra mi affascinavano tantissimo. Anco-ra oggi mi capita di vedere vecchi film pensando di non averli visti ma poi vedo un’immagine che mi fa pensare (forse è autosuggestione, forse no) di averlo visto in quel periodo, che va dai due ai cinque anni. Era un po’ come una tata che mi cullava prima del son-no”.

Con chi andava al cinema da bambino e quali film le piaceva guardare?

“Fino a quell’età praticamente solo con mio padre. Poi avevo almeno due uscite cinematografiche a settimana: il sabato pomeriggio al cinema Esedra (che c’è ancora) con i miei amici, la do-menica con mio padre, mia madre, mio nonno, mia nonna e il mio fratellino. Poi ogni tanto riuscivo anche a poter andare qualche sera infrasettimana-le. Beh il ricordo più curioso riguarda un sabato pomeriggio quando in pro-gramma c’era “Il tiranno di Siracusa” di Pietro Francisci con Rossano Brazzi. Allo spettacolo delle 14 ho visto il film, allo spettacolo delle 16 come d’abitu-dine con alcuni amici ci nascondeva-mo in un angolo del cinema e scher-nivamo i bambini che passavano. A un certo punto uno reagisce e noi lo pren-diamo in giro ancora di più. Era una scena particolarmente buia e quindi non vedevamo bene con chi avevamo a che fare. Era padre Bartolomeo, che era molto piccolo e che era anche il nostro catechista. Riconobbe solo me e fui sospeso dall’accesso al cinema per tre mesi. Una tragedia”.

La sua Torino è stata scelta come loca-

tion da molti registi sia di cinema che di tv? Qual’è la magia di questa città? E il suo rapporto con essa?

“Il mio rapporto con Torino è ottimo soprattutto da quando non vivo più solo lì ma passo metà del mio tempo a Roma. Come diceva Soldati (che su questo scrisse anche un romanzo, “Le due città”) Torino la si apprezza molto di più quando ci si torna. Credo che sia lo stesso spirito che fa sì che pratica-mente tutti coloro che ci girano un film siano entusiasti e soddisfatti. Siccome però il cinema non è solo emozione ma anche business, un altro argomen-to che molto aiuta a scegliere Torino sono i vari incentivi che la Film Com-mission mette in atto nei confronti di chi gira in città”.

Il cinema a Torino è in continuo fermen-to, con giovani professionisti di talento aiutati da iniziative come quella del Film Festival. Su quali aspetti dovrà puntare la città per crescere ancora?

“La città non deve mettere in atto par-ticolari incentivi, ma mantenere quelli che sono già in atto. Il sistema cine-ma è una ricchezza per la città, pro-cura lavoro e conferisce un’immagine positiva. E un sistema che viene fuori da trent’anni di lavoro, che ho vissuto in prima persona (lavoravo già al To-rino Film Festival nel 1982, alla sua prima edizione, poi ne sono diventato il direttore). Toglietemi tutto ma non il mio orologio, dice una pubblicità. Io direi: togliete tutto a Torino, ma non il cinema.

Se no che senso a-vrebbe aver scelto la Mole, simbolo di To-rino, come sede del Museo del Cinema più visitato d’Europa?”

Test

i: Lu

igi N

ervo

5

Page 8: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Dallo spazio la stazione di controllo Mole (da noi riconvertita) sembra un piccolo puntino luccicante, gli impulsi emessi dalla sua punta indicano come un faro la giusta rotta intergalattica verso la città. A distanza di cinquant’anni esatti dalla prima missione come esploratore scelto per l’invasione del pianeta, eccomi qui nell’atmosfera terrestre, in fase di atterraggio sulla piattaforma circoscrizione 4 della città, installata con le imponenti tecnologie del pianeta Ultra. Promosso ad esploratore di prima classe, dovrò relazionare i miei superiori sui luoghi deputati a comporre il catalogo turistico del nuovo programma V.I.A (viaggi interstellari alieni).In effetti, la fabbrica, dove le creature di seconda scelta erano impiegati, non è più redditizia, così le creature di prima scelta da noi controllate hanno deciso di diver-sificare le attività produttive. Alla base mi aspetta un corpo confortevole di seconda scelta, chiamato Bilancia, sulla trentina, capelli e occhi scuri, di corporatura robusta verosimilmente somi-gliante al povero Trabucco. Eccomi al suo interno, grazie all’utilizzo dei nuovi kit di invasione dotati di “tou-chscreen” (nostra grande invenzione), accedere alla coscienza è diventato un gioco da ragazzi. Il corpo risponde perfettamente a tutti gli input, generando i consueti primitivi movimenti meccanici. Sono pronto! Si apre di scatto il portellone, la luce abbagliante è il passaggio dall’in-terno all’esterno della sala di preparazione, intravedo la città di Torino. Via all’esplorazione!

6

Page 9: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Test

i: Pi

erpa

olo

Bot

tino

/ Lay

out:

Mat

teo

Emm

e

- qualche tempo dopo -

STAZIONE DI LANCIO

TORRE DI CONTROLLO

PIATTAFORMA ATTERRAGGIO

CENTRO V.I.A.

7

Page 10: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

8

“Ciao risponde la mia segreteria

telefonica. Cioè, chi ti parla sono

io… registrato dalla segreteria.

Avrai capito che non sono in

casa, sempre che tu non abbia

già messo giù… quindi, se ti va,

lascia un messaggio. Così poi ti

richiamo. Ah, non c’è nemmeno

Diana. Ciaooo”.

Page 11: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

9

Test

i: Va

lent

ina

Man

none

Mi ero divertito a incidere quel mes-saggio, solo che non avrei mai più richiamato nessuno. Anzi, non sarei nemmeno più tornato a casa, dopo quella sera.

Dai dai, andiamo. Voglio vedere casa nostra al cinema.

Fu questo l’inizio della fine, quando Diana, la mia ragazza, iniziò a insiste-re per vedere casa nostra al cinema. Diana non aveva solo insistito per ve-dere casa nostra al cinema, ma anche per affittarla come location a quelli del cinema.

Diana, hai letto la sceneggiatura? Guarda che poi hai paura, già lo so.

Ovviamente Diana non aveva letto la sceneggiatura. Capiva solo la cifra dell’assegno prima e la possibilità di sfoggiare casa nostra (mia) a tutta To-rino dopo.

Ma vaaaaaa! È solo un film! Figurati se ho paura!

Ore e ore di affermazioni che, per l’ennesima volta, mi convincevano a fare come voleva Diana. Come quella volta che abbiamo preso Flaffy, il bar-boncino nano che cagava come un le-one, quella volta che abbiamo ospitato un surfista (a Torino?) californiano, che ha vissuto a casa nostra (mia) a scrocco per sei mesi, quella volta che mi sono fatto cotonare i capelli come il cantante dei Cugini di Campagna solo perché Diana voleva capire se “forse” gli somigliavo.

Usciti dal cinema nessuno parlava. La camminata lungo i portici di Via Roma sembrava la processione dei morti viventi. Proposi anche un brindisi nel-la casa dell’orrore, giusto per fare lo splendido.

E adesso, tutti su da noi. Chi vuole una bella coppa di sangue ghiacciato?Hahahahahahahah!

Nessuna risposta. Quando mi voltai lanciai gli occhi nel vuoto, riuscendo a intravedere solo il deretano del più lento della combriccola. Mentre ro-vistavo nel mio impermeabile alla ri-cerca delle chiavi di casa, Diana non accennava a mollarmi il braccio prima di esordire con la frase che avrebbe rovinato la mia vita.

Io lì non ci dormo. Come al solito, non stavo ascoltando una parola.

Sì ti amo anche i… cooosa?

Voglio andare in albergo.

Ma che dici? Sai quanto pago di mu-tuo per farti vivere qui, nella casa “così bella che ci girano i film”?

Che vuoi che ti dica? Ho paura!

Io ti avevo avvertita però. Quindi ades-so andiamo su, che ti piaccia o no. Prendere o lasciare. O così o niente. Cascasse il mondo.

Trenta minuti dopo eravamo già in al-bergo, naturalmente il più costoso di Torino. Quanto poteva durarle la pau-ra? Una settimana? Un mese? Sei? Diana serbava una sorpresa niente male.

Vendi la casa.

Diana, non è mica facile vendere una casa come quella. Ci vorrà tempo.

Allora prendiamo (che voleva dire prendi tu, paga tu, sgancia tu) un appartamen-to in affitto.

Fuori discussione, che ti piaccia o no si torna a casa. Prendere o lasciare. O così o niente. Cascasse il mondo.

Il pomeriggio stesso stavamo (stavo) già firmando il contratto d’affitto per un attico in Piazza Vittorio. Quanto poteva durarle ancora la paura? Non mi importava. Dopo altri sei mesi, la sorpresa stavo per farla io.

Diana, dobbiamo lasciare questa casa.

Scherzi?No. Non riesco a vendere la casa di Piazza C.L.N. e l’affitto qui è troppo caro. Andiamo in un bilocale.

Dove?

Porte Palatine.

Cosa? È una zona popolare quella.

Proprio per quello.

Non ci penso nemmeno.

Basta discutere, che ti piaccia o no, si va alle Porte. Prendere o lasciare. Così o niente. Cascasse il mondo.

E questa volta il mondo cascò davvero. Il giorno dopo Diana non c’era più. Al suo posto c’erano un mutuo, due affitti e diversi insoluti, per colpa di un film che conteneva nel titolo il destino del mio conto corrente ormai, inesorabil-mente, in profondo rosso.

Page 12: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

10

FILM COMMISSIONMOVIESON THE MOVE

ph: Fabrizio Esposito©

Page 13: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

11

Page 14: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

12

FILM

CO

MM

ISSI

ONM

OVIE

SON

THE

MOV

E

Page 15: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

13

Page 16: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

14

MEMORIE DI UN VECCHIO ARTIGIANO

IL CINEMA NON E’ LA VITA

involuzione antropologica.Chi come me sta alla frontiera dei due mondi, in attesa che l’uno sorga e l’al-tro scompaia, più che mettere il piede in avanti, volge lo sguardo al proprio vissuto.D’altra parte, anche un altro sacro “fe-ticcio umanistico” il libro, nella sua ve-ste cartacea, si sta trasformando quasi del tutto in e-book e un giorno la sua sopravvivenza puramente espositiva sarà solo museale ad uso esclusivo di collezionisti e archeologi.La morte della pellicola è una morte carnale, un lutto planetario, non la si potrà più toccare, guardare i fotogram-mi contro una fonte luminosa, né ve-dere in essa la sua protostoria e il per-corso fatto durante l’intero Novecento. Provate a toccare i pixel, se ci riuscite. E’ un’altra componente umanistica che se ne va, inghiottita e sepolta da quegli stessi mostruosi ingranaggi che Chaplin mostrava in “Tempi moderni” e, in modo differenziato, decenni dopo, Jean Luc Godard in “Missione Alpha-ville” e Francois Truffauti in “Fahren-heit 451”. Il senso profetico socio-storico è una peculiarità misteriosa che appartiene all’artista intuitivo che, come diceva Rimbaud, “deve farsi veg-gente” come ai tempi nostri fu veggen-te solitario, a lunga distanza, sul no-stro destino, il genio percettivo-critico di Pasolini: “credo nel progresso, non credo nello sviluppo”. In definitiva, tanto per ridere verde, la letteratura di fantascienza popolare degli anni ‘50 e ‘60 presente nelle edicole a pochi soldi e così tanto sconsiderata dai critici, si

Da orgoglioso e malinconico “passa-tista”, ne ravvedo un’intima congiun-zione già di per sé sufficientemente interattiva sul tema obbligato che ca-ratterizza l’impostazione editoriale di questa rivista che, guarda caso, nasce anch’essa là dove l’argomento del suo interesse sta morendo: prossimamen-te su questo schermo, nessun scher-mo. Dal vagito al canto del cigno. Infatti, tra breve, la pellicola cesserà la sua avventura circolare nelle grandi bobine dei proiettori cinematografici sostituita dal video attraverso il computer. Senza la pellicola il cinema muore come un corpo senza cuore.E poiché morirà innocente sarà il caso di definirlo “Cinema Paradiso” nel suo loculo onirico tutto rivestito di celluloi-de. Circolare però è anche il concet-to taoista che presuppone che nulla svanisce ma tutto si ricicla sotto altre forme energetiche e figurate. Finchè le affascinanti teorie filosofiche sulla ipotetica permanenza “trasformata” delle cose terrene non sarà comprova-ta nella realtà effettiva, non posso non accogliere questa notizia epocale se non con tutto lo scoramento genera-zionale che ne consegue perchè l’im-magine digitale sullo schermo sarà sempre la figlia illegittima della televi-sione e del videoclip. Questo trapianto artificiale non sarà così traumatico per la popolazione futura che, reciso il cor-done ombelicale con la cultura uma-nistica e assorbita completamente in quella tecnologica sarà perfettamente riconvertita ai nuovi criteri della sua

è rivelata più realistica del neoreali-smo stesso.Io vengo da un’Italia in bianco e nero dove l’autore cinematografico non era un perito elettronico né un cyborg informatico ma un umanista che sa-peva ritrarre la realtà del suo paese, il momento storico, l’evoluzione dei costumi, le sue istanze collettive e le sue pulsioni individuali a tal punto che la gente si rispecchiava sullo schermo riconoscendosi nella propria identi-tà culturale oggi spazzata via dal gas nervino della globalizzazione che ci ha reso orfani di noi stessi, delle nostre radici amniotiche, del patrimonio in-sostituibile del passato, nonché forse degli stessi archetipi ancestrali.Riconoscersi è il principio fondante del senso di appartenenza. Siamo tutti soli e tutti ottenebrati da un unico modello, come ha voluto l’America.Il popolo cileno (e altri popoli con altri poeti) si rifletteva nella poesia di Ne-ruda quando ancora la figura del poeta interagiva con lo spirito di una nazione interrogandolo, interpretandolo, rap-presentandolo nello snodo continuo degli eventi.E vengo da un’Italia artigianale, onesta, laboriosa, dove chi voleva intraprendere un mestiere doveva prima impararlo senza improvvisa-zioni dilettantistiche o forme di auto-esaltazione oggi indotte da un sistema mediatico che tende a declassare/ab-bassare i livelli qualitativi dei prodotti artistici. Quei parametri valevano per qualsiasi lavoro, da quello più umile a quello più nobile. Quando - e qui venia-

E’ strano - ma un qualche significato deve pur averlo - essere invitato a scrivere sul cinema (e sul rapporto con la vita), proprio adesso alle soglie della sua fine storica, simultaneamente al crepuscolo esisten-ziale dell’autore del presente articolo.

di Mauro Macario

freaksclassic

Page 17: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

15

mo al punto - per diventare un regista di cinema, partivi col ruolo di secondo assistente, quindi passavi a primo as-sistente, poi ad aiuto regista, infine a regista della II° unità (leggesi anche: umiltà). Solo con questa procedura e numerosi film alle spalle come espe-rienza diretta non filtrata attraverso teorie astratte, è possibile imparare la tecnica cinematografica che è com-plessa, ha un suo alfabeto settoriale, regole obbligate, e richiede tempi me-ditati di assorbimento ed elaborazio-ne. Sappiamo bene che in letteratura non puoi creare uno stile con la sola conoscenza delle aste e che si scrive “scuola” e non “squola”. La tecnica che diventa stile è l’anima profonda del regista nello specifico del linguaggio, il vero contenuto di un film, più della storia narrata. La storia, tutto sommato, è seconda-

ria. Ci sono belle sceneggiature nau-fragate nella mediocrità e script ba-nali divenuti dei capolavori. Nessuno di noi si sognerebbe mai di criticare De Pisis perchè ha dipinto un mazzo di fiori in un vaso. Anche nel cinema il segno, lo stile, la forma, il linguaggio, sono gli elementi sui quali dovrebbero poggiare le ragio-ni valutative degli addetti ai lavori. Poi se ci sono urgenze contenutistiche da esprimere e comunicare ben ven-gano, ne abbiamo bisogno. Non dimentichiamo però che “il pen-siero” giunse in una fase successiva alla nascita della settima arte, mentre dopo “la presa degli intellettuali” iniziò un decorso persecutorio e sprezzante nei confronti del cinema spettacolare. Per avere una visione professional-mente illuminata e corrispondente al vero, occorre l’apprendistato, il tiroci-

nio pratico, aver vissuto il set in tutte le mansioni e trascorso un tempo in-terminabile in sala di montaggio dove aprendo il ventre del materiale girato, osservandone i più segreti meccani-smi, ti si disvelano tutti “i perchè” che ti domandavi durante la lavorazione. Non pochi registi del cinema d’autore odierno, veri e propri “cult”, sono tec-nicamente rozzi, puerili, incapaci, a un occhio esperto, di muovere la macchi-na da presa con talento inventivo, peri-zia, padronanza; appaiono sgramma-ticati rispetto alle regole elementari, piatti e statici nelle inquadrature, sen-za ritmo interno. Forse sarebbero più idonei a scrivere che a dirigere. Anche la direzione recitativa comporta una precedente esperienza teatrale. Ad una rassegna estiva di cinema “emergente” un critico presentava

1973 - da sinistra: Mauro Macario, Maurice Ronet, Micky Pignatelli, Beba Loncar, Marco Reims.

©Archivi Farabola

Page 18: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

16

tempi di produzione strettissimi: solo quattro settimane! Il minimo possibile. Anche quaranta inquadrature al gior-no! Imparare era obbligatorio.

Il grande impatto con il cinema l’ho avuto da ragazzo con la “nouvelle vague” francese, frequentando ne-gli anni Sessanta a Milano le mitiche sale i cui nomi ci rimandano a tempi eroici: l’Orchidea, il Meravigli, il Rubi-no. Sale che si facevano carico di di-

un giovane autoreesaltandolo come una figura tra le più promettenti del nuo-vo cinema italiano. Alla fine del primo tempo sono scappa-to via preda di uno sconcerto disperato. Le riprese sembravano fatte da un bambino di otto anni; probabilmente un turista a Rimini con la sua teleca-merina domenicale avrebbe fatto di meglio. Se ne deduce che anche un critico dovrebbe fare l’apprendistato, non da un altro critico, ma sul cam-po, a fianco di una troupe e poi tanta sala di montaggio fino a saturarsi. Lo scandalo di oggi in taluni ma comun-que troppi casi è l’incompetenza del linguaggio scelto, la faciloneria ama-toriale di chi, da un giorno all’altro, de-cide di dirigere un film. Da un giorno all’altro io non so fare il pizzaiolo né il pediatra. Un chirurgo se sbaglia operazione non può trincerarsi dietro al fatto che aveva poca esperienza oppure che sa alcune cose della chirurgia, ma non tutte. Perchè poi il paziente muore. Riguardate, se vi capita, i titoli di coda del cinema in bianco e nero e rende-tevi conto chi erano gli aiuto registi: i futuri grandi autori del cinema italiano o almeno degli ottimi professionisti cui affidare le sorti di una produzione.Anche la tendenza dominante che solo il cinema d’autore è degno d’at-tenzione denota una visuale limitata e fuorviante. Come non esiste un’arte minore e un’arte maggiore (nella can-zone Léo Ferré, Jacques Brel, Geor-ges Brassens, e Fabrizio De André lo hanno ben dimostrato) ma solo artisti minori o maggiori, così non esiste un genere cinematografico superiore e uno inferiore. Esistono semplicemente dimensioni diversificate di generi se-parati, ciascuno degni di una propria storia e di una propria catalogazione critica. Ho letto una recensione molto tempo fa che demoliva con toni sprez-zanti un certo film di stampo spettaco-lare (in realtà non solo) che dal punto di vista squisitamente registico era un capolavoro. D’altro canto, lo stesso critico confondeva un “carrello” con

una “panoramica”. E qui si ritorna al già detto.Prima di debuttare come regista ho fatto l’assistente, poi l’aiuto, e infine il regista della seconda unità per circa dodici film a fianco di Bruno Corbucci, un regista di indirizzo popolare. Erano film che appartenevano ad ogni gene-re: musicali, cappa e spada, comici, storici. La migliore scuola è quella del cinema definito di serie B. Film che dovevano essere girati con

1973 - da sinistra: Maurice Ronet, Luciano Rossi, Mauro Macario.

©Archivi Farabola

Page 19: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

17

vulgare quell’ondata innovatrice di re-gisti geniali. Furono soprattutto i film di Jean Luc Godard, Louis Malle, Alain Resnais, a colpire il mio immagina-rio, ma anche figure meno note come Jean Gabriel Albicocco e Jean Louis Richard.Non per lo sperimentalismo sban-dierato e troppo presto storicizzato in gelide analisi postume, ma per la poe-sia, la poesia che aveva trovato sul-lo schermo una sua ricollocazione e

negli spettatori della mia generazione un’implosione identificativa che sfiora-va la commozione. È inspiegabile, ma credetemi, pur essendo allora senza nessuna cognizione tecnica (ovvia-mente), intuivo in modo trasversale che lo stile di ripresa e la particolare fotografia in bianco e nero, alla “Raoul Coutard” per capirci, stavano miste-riosamente alla base di quella com-mozione imprimendomi per sempre un marchio d’amore incancellabile.

Un film su tutti rimase nel mio cuore: “Fuoco Fatuo” di Louis Malle, tratto dal romanzo omonimo di Pierre Drieu La Rochelle. Una storia “pavesiana” si potrebbe definire, interpretata magi-stralmente da un sofferto e straziato Maurice Ronet, che offriva la sua in-tensità espressiva al personaggio del bel Alain, intellettuale alcolizzato che a Parigi vive i suoi ultimi giorni preda di uno smarrimento esistenziale irrever-sibile che lo porterà al suicidio.Negli anni ‘70 altri due registi seguii con ammirata partecipazione: Claude Lelouch e Claude Sautet. Citare Le-louch in Italia è come parlare del dia-volo.Il regista tacciato dai nostri critici di essere un melenso narratore di se-conda categoria una sorta di Liala in versione cinematografica, è uno tra i registi più straordinari sul profilo tec-nico e stilistico, pochi potranno ugua-gliare un linguaggio formale così alto e poeticamente originale. Ogni sua inquadratura, soprattutto del primo gruppo di film, è pura poesia. Claude Sautet, colto e raffinato, dai toni più pacati, entroflessi, timidi, fu un altro punto di riferimento entusiasmante e insostituibile. Il cinema intimista non ha mai fat-to presa nel nostro paese ma ricordo un caso unico e struggente: “Le sta-gioni del nostro amore” di Florestano Vancini. Lo dissi con slancio all’autore che avevo incontrato casualmente agli stabilimenti della FonoRoma e lui mi rispose tristemente:”Un film che non è stato amato né dalla critica né dal pubblico”.

La poesia che vie-ne dallo schermo... l’intricato mondo dei sentimenti...il sen-so del sogno che si trasferisce nel no-stro quotidiano... Una trappola illusoria. Il sogno è salvifico e al contempo ci fa a pez-zi. No, il cinema non è la vita.

Page 20: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

18

Il mio unico film come regista (scrissi anche il soggetto e la sceneggia-tura), “Perché si uccidono”, girato nel 1973 a Torino e distribuito sul territo-rio nazionale solo nel 1976, è un tipico esempio di “ibrido ‘70”.

1973 - da sinistra: Mauro Macario, Mauro Reims, Eleonora Fani, Maurice Ronet, Luciano Rossi.

©Archivi Farabola

Page 21: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

19

Mi spiego. In quel periodo a Roma, numerosi registi cercavano, credo in buona fede, una terza via rispetto ai due canoni cinematografici codificati: il cinema di cassetta e quello d’autore. Come? Unificandoli in un dispe-rato e ingenuo tentativo di parto gemellare o parto misto.Una sorta di innesto OGM che racchiudesse i due generi storicamente e esteticamente contrapposti. Sarebbe giusto rivisitare la produzione d’allora per verificare quei film di buona confezione formale e di ac-cettabile dignità contenutistica da salvare.In verità, l’innesto raramente riuscì ma qualche figlio non riconosciuto forse meriterebbe almeno una vecchiaia decente. Naturalmente quando sento dire che qualcuno considera “Perché si uccidono” addirittura un “cult”, sorrido. Certo è il primo film italiano sul tema della droga o forse tra i primissimi, ma è un film datato che non necessita di esegeti; il metro critico di Tarantino ha i suoi meriti e i suoi demeriti. Sono trascorsi circa quarant’anni da allora e le imper-fezioni narrative e i dialoghi sarebbero da cancellare. Parlo in questi termini lucidi e onesti anche perché pacificato con me stesso dal mo-mento che la mia creatività ha preso da molti anni un’altra direzione: la letteratura poetica. Salvo solamente la bontà interpretativa degli attori e il lato tecnico della regia che è sempre stato il mio interesse primario. Ottimo il montaggio (Franco Fraticelli) e il doppiaggio (Ferruccio Amendola). Il cast comprende: Maurice Ronet (il mio mito), Marco Reims (Marco Calleri), Beba Loncar, Micky Pignatelli, Eleonora Fani, Antonio Pier-federici, Luciano Rossi, Enrico Longodoria, e i torinesi Lia Dezmann, Armando Rossi, Margherita Fumero. La storia in breve andò così. La Mondialpol prestava i suoi agenti e le sue macchine sul set di un film giallo che si stava girando in città e dove il sottoscritto svolgeva il suo lavoro di aiuto regista. Gli interni erano ambientati negli studi della Fert in uno scenario di pre-abban-dono molto malinconico se si pensa a quanta storia del cinema era passata in quei luoghi. Anche mio padre girò alcuni suoi film degli anni ‘40 in quei teatri di posa leggendari. L’elenco delle cose perdute è infinito. Lì, si respirava un’atmosfera fatiscente e evocativa. Il luogo suggeriva l’idea di una grande soffitta dove per caso, ci torni da adulto e ritrovi, integri ma polverosi, i giocattoli dell’infanzia. A fine riprese, Marco Calleri e suo fratello Giorgio mi proposero di girare un film a condizione che il soggetto trattasse la problematica della tossico di-pendenza. Ancora oggi verso i fratelli Calleri conservo una profonda gratitudine. La lavorazione durò per ben dieci settimane tutte consumate in am-bienti dal vero.Dalle ville dell’alta borghesia industriale disseminate sulla collina dietro la Gran Madre, fino ad un caseggiato diroccato sui rilievi di Moncalieri, e, passaggio obbligato, nella gotica periferia suburbana. Il film, alla sua uscita, non ebbe successo commerciale a causa di una distribuzione inadeguata e debole che sbagliò programmazione. Il grande dono fu l’amicizia con Maurice Ronet. Mi ricordo che una sera gli mostrai la frase che Pavese lasciò sul fron-tespizio dei “Dialoghi di Leucò” quando si suicidò all’albergo Roma in una anonima stanza del terzo piano. Maurice sussurrò: “Fantastico...” e si chiuse in una sua tristezza impenetrabile. Forse, per un attimo, tornò a rivivere il personaggio del bel Alain del film “Fuoco Fatuo”... Avrei voluto che quel film fungesse da deterrente a tutti i ragazzi dediti alla droga, invece proprio tra loro divenne un “cult”...No, il cinema non è la vita, è un falso d’autore come la clonazione che non riproduce l’originale ma crea un’altra cosa dalle sembianze apparenti e illusorie.

Page 22: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Confessioni di una maschera

CINEMA GIOVANE,

In quegli anni non potevo saperlo, ma la differenza esteti-ca fra il cinema in televisione e la televisione tout court è di carattere tecnico. Le immagini fisse che nel cinema creano l’illusione del movimento hanno una frequenza di 24 foto-grammi al secondo, mentre quelle televisive si alternano a 50 semiquadri (fotogrammi interlacciati) a secondo. Tutto questo si traduce in una rappresentazione del movimento più fluida che è sempre stata il mio campanello di allarme. La pochissima profondità di campo delle telecamere, che quasi sempre generano un’immagine in cui tutto è a fuoco, solitamente conferma il sospetto iniziale.

Le immagini dei cortometraggi proiettati al cinema Massimo soffrivano della stessa malattia. Per quanto ambiziosa fosse la sceneggiatura il risultato finale era sempre più simile a Ciranda de Pedra o a Topazio che a Heimat, per citare un’os-sessione cinefila coeva. Estetica Catodica, suona quasi come una malattia e, per quanto mi riguarda, lo è.

Hollywood endingQuesta storia ha un finale felice. Da qualche anno le macchi-ne fotografiche reflex digitali sono in grado di produrre filmati dalle caratteristiche molto simili a quelli prodotti da una co-stosissima cinepresa cinematografica da 35mm. Non ci sono più scuse, andate a fare Cinema!

Primi anni ’90. Giovane, torinese e cinefilo: non potevo che frequentare il Festival Internazionale Cinema Giovani di Torino. Anzi, finii per lavorarci come volontario tuttofare e, in veste molto più glamorous, come maschera di sala duran-te i pomeriggi dedicati alla rassegna di cortometraggi Spazio Torino.

Il ruolo di maschera offriva, oltre ad un nutrito numero di si-tuazioni spassose/frustranti alla Clerks, la possibilità di ve-dere o per lo meno intravvedere i film in concorso. L’entusia-smo per l’attesa scorpacciata di metraggio non durò molto. “Questo non è Cinema.” ricordo di aver pensato alla fine del primo giorno.

La mia delusione non era legata alla qualità artistica delle opere presentate, avevano i tipici pregi e i difetti del cinema amatoriale. Qualcosa però non funzionava dal punto di vista visivo. Senza considerare fotografia e scenografia, c’era una tara comune a tutte le opere presentate: nessuna era girata in pellicola. Dal proletario VHS al professionale BVU, tutti i formati utilizzati presentavano lo stesso difetto, ai miei occhi non erano Cinema.

“La colpa è della televisione”. Questo era il mantra degli indi-gnati genitori della mia generazione, cresciuta con le prime TV private e la valanga di film, telefilm e cartoni animati tra-smessa a tutte le ore. In questo caso mi sentivo di dar loro ragione: la colpa della mia fissazione estetica ce l’aveva la televisione.

Nel caotico palinsesto delle TV degli anni ’80 il cinema era onnipresente. Le emittenti locali compravano per due lire li-brerie di film classici che spesso venivano trasmessi più vol-te nell’arco dello stesso giorno. Il cinema era un’esperienza quotidiana, interrotta qua e là dalle prime pubblicità locali, dai telegiornali e dalle telenovelas sudamericane. Questi “elementi di disturbo” avevano caratteristiche estetiche to-talmente differenti dai film che interrompevano. Erano sì im-magini in movimento, ma un movimento più fluido di quello cinematografico. La poca attenzione dedicata alla fotografia e alla scenografia in questo tipo di produzione accentuavano ulteriormente la sensazione del reale, contrapposto alla fin-zione cinematografica. Queste caratteristiche le avrei asso-ciate per sempre a prodotti di nullo o scarso valore artistico. Te

sti e

layo

ut: G

abri

ele

Peir

olo

20

Page 23: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

21

Horror, fantasy, drammatico o western, oggi il film lo scegli tu. Appartamenti ristrutturati recentemente, con finiture di pregio, arredamento originale, ascensore panoramico e bar kitsch nell'androne, subito dopo il gabbiotto della portinaia. Cosa aspetti? Prenota ora a un prezzo vantaggiosissimo il tuo "set", tanto il mutuo lo paga il turista curioso. Sì, hai capito bene. Grazie al con-tributo dei visitatori avrai il piacere di condividere i tuoi momenti quotidiani con centinaia di migliaia di persone e di intrattenerti con loro in piacevoli conversazioni qualunquiste sul cinema. Chiamaci subito, il tuo sogno è solo a una serie di Fibonacci da qui.

Per ulteriori informazioni non esitare a chiamarci.

Tel. 011 1 1 2 3 5 8 13oppure visita il nostro sito:

Minialloggi Mole Antonelliana, dove il vero protagonista sei tu.

Page 24: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

“…Ces robes folles sont l’emblèmeDe ton esprit bariolè;Folle dont je suis affolè,Je te hais autant que je t’aime!...”A CELLE QUI EST TROP GAIE – Charles Baudelaire – 1852

dolo-re

Il profilo ruvido di una città è disegnato sulle ombre tracciate dai marciapiedi, ove marciano lenti, talvolta annoiati, corpi in cerca di adorazione; si espongono all’apparenza, fondamento stesso del mondo, e – nella loro oscura natura - divengono emblemi della creazione. Anni passati, ricordi di volti inconsueti e amici dall’aria ambigua. Intorno a Porta Nuova girano facce nocive; odorano di oscenità, scarti dell’impero sonante. In me vive il fascino per le rose sfiorite, pulsa il seme delle disarmonie. Si fanno incontri curiosi. Scene di compravendita di carne all’ingrosso, pelli mature date vie per pochi soldi, travestite da qualcos’altro; maschi che si fingono signore. Questo universo umano aprirà in me il gusto per una categoria estetica che giungerà fino al mio presente. Lo ritroverò in altre forme nel tempo a venire; abiterà infinite espressioni artistiche, passando attraverso note, arti figurative, testi e pellicole - sempre ne subirò l’incanto. Conosco Rosa Tigre un pomeriggio d’autunno e subito mi travolge. Calpesta le strade fasciato da vesti stravaganti; dall’alto dei tacchi acrobatici, vorace, divora la realtà e i suoi occhi sono ebrezza di umanità, luce viva. Scintille di divinità lo investono, donando ai suoi tratti colori sempre nuovi. Intorno il mondo lo scruta, lo studia, quasi fosse pezzo da museo, e non coglie il senso del suo esistere; il suo è il linguaggio cifrato di chi vuole uscire da sé per trovare l’amore e, nella sincerità estrema del gesto, si sacrifica, si vende appunto. La ricerca dell’identità diviene un affare di corpi e - nonostante il dolore intimo di chi è costretto a vendere la propria carne - culmina nella possibilità infinita di incontri. Il senso di decadenza che apparentemente investe un uomo che si fa donna per offrirsi a vari acquirenti non è da ricercare nello squallore delle forme, ma nell’indipendenza stessa delle sue pose; la sua essenza si decompone infatti in una moltitudine

di attimi in cui trova compimento l’esistenza. L’universo evocato non è una fantasia estetizzante, ma un infinito organico. Solcando l’asfalto consunto, Rosa Tigre brilla come un astro nascente, si accende di vita, brucia come un vulcano, recita mille ruoli per divenire infine se stesso/a. La nostra Torino è il centro ultimo deputato a tale “miracolo”, geometria di vie che sono un autentico invito al viaggio la cui meta è l’io ritrovato. È la regione ideale di un’anima che nella sua frammentarietà ritrova l’unione, terra straniera entro cui è possibile rinascere ed ascoltarsi; è il luogo fisico (e della mente) che segna una zona di confine, entro cui sono applicabili modelli differenti, terreno “romantico” nel quale convivono armonicamente gli opposti. Le rose profumano, incantano, ammaliano, e nel loro fulgore si intravede già l’appassimento; al tempo stesso pungono, dolgono, come le tigri feriscono. “L’unico rischio non è la fine” mi confidano le labbra luccicanti di un uomo completo nella sua doppiezza, come se le peripezie di chi fa la vita fossero la chiave ultima per la speranza, perché “il fuoco brucia, deve bruciare”.

DI ROSE, TIGRI ED ESTASI

22

Page 25: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Cinema da artigiano che si sporca le mani, le dita ricoperte di calli di chi lavora ancora la materia grezza fino a trarne prototipo di bellezza, Tonino De Bernardi esplora angoli di mondo con lo sguardo fresco di chi osserva le cose con stupore, senza artifici, senza trucchi, con giovane candore. Il suo interprete, maestoso Fufluns entro cui scorre la linfa della vita nella sua manifestazione più assoluta, dona alla settima arte il ritratto esuberante di una creatura multiforme, cassa di risonanza entro cui risuona l’eco di mille esperienze.

scin-tille

amo-re

2323

Test

i: Fr

ance

sca

Trin

ca /

Layo

ut: G

iorg

io R

ubbi

o

Page 26: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Visita la pagina facebook Vintage Movie Collection

freaksvinmocol

Page 27: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1
Page 28: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

26

TORINO, IL GRANDESET.

“Cabiria” (regia Giovanni Pastrone, 1914 - bianco nero) - Riproduzione del Molok - Museo del Cinema - Via Montebello

ph: Stefano Delmastro©

Page 29: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

27

Page 30: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

28

“Han

no c

ambi

ato

facc

ia”

(reg

ia C

orra

do F

arin

a, 1

971

- co

lore

) - G

ratt

acie

lo R

ai -

Via

Cer

naia

Page 31: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

29

“The Italian job” (regia Peter Collinson, 1969 - colore) - Lungo po Murazzi

Page 32: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

30

“Profondo Rosso” (regia D

ario Argento, 1975 - colore) - Villa Scott - Corso G

iovanni Lanza

Page 33: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

mu

sic

a e

pA

RO

LE

Maurizio Blatto è nato a Torino nel 1966. Ha accantonato sul nascere una carriera da avvocato preferendo Backdoor, stori-co negozio di dischi cittadino. Da dietro il bancone “cura” e alleva plotoni di maniaci musicali. Collabora da anni con la rivista musicale Rumore. È titolare di un corso di “Storia dei dischi fondamentali” al Circo-lo dei Lettori di Torino. La sua canzone è How Soon Is Now? degli Smiths. Dovendo scegliere, sceglie vinile. L’ultimo disco dei Mohicani (Castelvecchi) è il suo primo libro.

Giorgio Pilon / selfimperfectionist

Page 34: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

32

Test

i: Fi

lippo

d’A

rino

/ La

yout

: Dar

io Q

uatt

rini

Page 35: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Prendi i primi anni settanta. Prendi un operaio siciliano. Fai conto che il suo nome sia Carmelo Mardocheo, ma accorcialo pure in Mimì perché

suona meglio. Fagli perdere il posto di lavoro (perché lui, di scendere a patti con la Mafia, proprio non ne vuole sapere). Poi fagli lasciare la sua terra, fallo emigrare a Torino. Più di duemila chilometri a nord del suo mondo. Dal sole alla nebbia. Dai carretti ai tram. Dalla coppola all’eskimo. Dai muri di fichi d’India ai cancelli di Mirafiori. Che la giovanissima moglie Rosalia rimanga in Sicilia. E che Mimì invece, spaesato ed avvilito, a Torino si adatti come può. Che cambi idea. Che scenda a qualche compromesso. Che la Mafia (che è dappertutto e lui non lo sapeva) cominci ad andargli a genio. E che le sue vera necessità finiscano alimentate da finte virtù. Lascia perciò che diventi metallurgico un po’ bieco ed arrivista. Illecito e colluso fuori, sognatore dentro. Poi lascia che per beffa del destino si innamori nel frattempo di una sottoproletaria onesta e pura di nome Fiore. Il parco del Valentino in autunno a fare da complice. Le soffitte nei dintorni di Porta Palazzo a fare da contorno. Il freddo che avvicina. Che lei lo faccia tribolare come si deve, ma che i due alla fine si innamorino. E per davvero. Perché è giusto così. Fai che nasca un bambino bello e paffuto. Poi capovolgi tutto. Via dalla Mole. Via dalla fabbrica. Via dalle tribolazioni del proletariato. Duemila chilometri indietro. Riprendi Mimì e rieccolo in Sicilia, insieme a Fiore. Insieme al bambino. Sfacciatamente al cospetto della giovanissima moglie, che è rimasta lì dov’era ma non del tutto immobile. Che nel frattempo ha avuto un figlio, quasi per inerzia, con un triste brigadiere. Lascia che Mimì a questo punto sia Mimì, fagli fare il siculo ferito nell’onore, cornificato dentro e fuori. Lasciagli dimenticare quel minimo di emancipazione che credeva di aver conquistato. E fagli sanare la ferita a modo suo. Solo un po’ meno siculo di quanto sarebbe dovuto. Invece di vendicare le corna a colpi di lupara, che le vendichi in modo persino più atroce. Che trovi modo e fegato e coglioni per ingravidare l’orripilante moglie del brigadiere, l’amante di Rosalia. E poi lascia che tutta sta commedia, che in fondo è anche un piccolo dramma, faccia il suo corso così come deve. Lascia Mimì in balìa di se stesso e delle circostanze: che un sicario della

mafia uccida il brigadiere amante di sua moglie e che riesca a far ricadere la colpa su Mimì mettendogli la pistola in mano. Cose che possono capitare. Non doveva andare così, ma è così che va. Perciò adesso prendi Mimì e fagli scontare il carcere. Il tempo che serve, neanche un giorno in più. Che all’uscita trovi ad aspettarlo una piccola folla disgraziata: la moglie fedifraga, l’amante torinese, la vedova del brigadiere, più i bambini. Lascia a Mimì l’unica scappatoia per mantenerli tutti: diventare galoppino per un boss della mafia. Lo stesso da cui era scappato all’inizio, prima di approdare a Torino. Lasciaglielo fare. Lascialo lì. Solo, sfinito, finito. E lascia che Fiore, delusa, se ne vada. Non è certo se a Torino. Di sicuro lontano da lì. E dal suo Mimì.

Ora togli i primi anni settanta. Togli la Sicilia, il proletariato, la Mafia, l’emigrazione di massa. Togli Mimì. Togli Fiore. Togli le corna, la lupara, le gravidanze (coatte e non), il debito con la giustizia, i compromessi, la disfatta. Via tutto. Lascia però l’amore, se ne resta. Lascia l’affanno. Lascia i cancelli di Mirafiori a fare da testimoni silenziosi. Cambia la sceneggiatura, ma non cambiare scenario. Non saranno più gli stessi tram, non sarà più la stessa nebbia. Ma la città è ancora quella. Solo più scintillante, più estenuante, più città che mai. Prendi una ragazza carina e in gamba laureata a Palazzo Nuovo. Giovane speranza aperta al mondo ma già annichilita in un call center. Falla abitare

dalle parti di C.so Settembrini. Falle incontrare un operaio all’uscita del primo turno, pronto ad altri sei mesi di cassa integrazione. Non è siciliano, lui. E’ tunisino, che è poi quasi la stessa cosa. Bel tipo. Silenzioso. In gamba. Si chiama Almoud. Lo chiamano Moumou. Siamo nella seconda decade degli anni duemila. Tutto è cambiato e niente è diverso. I cancelli di Mirafiori sono ancora lì a fare da sfondo a ogni storia possibile. Per finta. Per davvero. Allora prendi tutto questo. Ma non farne un film. Lascia perdere. Non ne verrebbe fuori granché. Già visto mille volte, già sentito. Perfino nelle peggiori fiction in seconda serata. Tutto così credibile. Così possibile. Così prevedibile. Lasciala perdere, la realtà. Ne hanno già fatto scempio. Lasciala lì dov’è. All’ombra della Mole o dietro i cancelli di Mirafiori. Dove comunque, come sempre, la noteranno appena. //

MIM

I’ M

ETAL

LUR

GIC

O F

ERIT

O N

ELL’

ON

OR

E / I

talia

197

2 / S

ogge

tto,

sce

negg

iatu

ra e

reg

ia d

i Lin

a W

ertm

ülle

r C

on G

ianc

arlo

Gia

nnin

i e M

aria

ngel

a M

elat

o.

33

Page 36: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

I demoni di Sanpietroburgo è stato girato quasi interamente tra Torino, Venaria Reale e Sanpie-troburgo nel 2007, ed ha visto la luce nell’aprile del 2008, dedicato ad un pubblico che non si accontenta di essere guidato nella visione ma che preferisce avere spunti che lascino spazio al ragionamento analogico e ad un gioco di scatole cinesi al quale pare proprio che il regista si sia affi-dato, in una crescente ricerca del si-gnificato nel significato. La trama ci parla di Dostoevskij, il grande scrittore russo, che si reca in visita ad un pazzo internato in un manicomio, Gusiev, dal quale ha ricevuto una strana lettera. L’uomo racconterà a Dostoevskij che il Granduca sta per essere ucciso da un gruppo terroristico del quale il folle fa parte dai tempi dell’università, e che solo Fjodor, in virtù di quanto ha scritto sulla libertà nei suoi libri, può fermare l’assassinio. L’intento di Gusiev è sal-vare la donna di cui è innamorato, che comanda i terroristi e che potrebbe con questo attentato rimetterci la vita, oppure essere imprigionata e tortura-ta. La storia continua in un avvincen-te inserimento di personaggi, come Anna, la stenografa che aiuterà, anche nella vita reale, Dostoevskij a finire il libro che deve consegnare all’editore entro una data precisa, pena la perdi-ta di tutti gli introiti dei libri per i dieci anni a venire, o ancora Aleksandra, la donna che comanda i terroristi, e che si scopre essere la ricca nipote della moglie del Prefetto di Sanpietroburgo.

34

Page 37: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Ma l’idea che dà il film è che la trama potrebbe anche essere meno articolata, perché ciò che veramente colpisce è la danza che si snoda tra i fotogrammi: tra Torino e Sanpietro-burgo, tra il passato ed il futuro, e an-cora tra Dostoevskij e Torino. Un gioco che sembra divertire il regista, che forse in quest’opera ha voluto anche versare un po’ del suo mondo inte-riore, proponendo un qualcosa di non standardizzato e che può a prima vista avere un ritmo di altri tempi, ma che scopriamo invece molto attuale nell’a-nalisi dell’uomo e anche nella reazione politica del popolo e delle istituzioni. È un vortice che forse solo noi torinesi possiamo comprendere appieno, gui-dati dalla musica incalzante di Ennio Morricone, mentre osserviamo la no-stra città che fa da sfondo alla storia di un uomo e forse di tutti gli uomini, stretti nel dubbio, negli accadimenti passati, nella politica e nella colpa. Le scene, fumose, scure, spesso girate durante la notte o in ambienti chiusi, ricordano il nostro inverno, forse an-che un po’ il carattere torinese, spesso intimista e malinconico. È una visione onirica, come gli incontri che si fanno in una notte solitaria, nella nebbia del primo mattino, nel freddo della spirale dei pensieri, sotto il pallido riparo dei sontuosi edifici settecenteschi e dei portici che ripetono le loro arcate sem-pre uguali. Le similitudini tra Sanpie-troburgo e Torino sono sconvolgenti, non solo per i motivi di cui sopra, ma anche per una certa fratellanza urba-nistica, non dimentichiamo che Pietro il Grande, dopo la bonifica della zona, chiamò a sè i migliori architetti e pitto-ri europei per il suo grande progetto: la costruzione di una città bellissima, alla quale parteciparono alcuni dei mi-gliori artisti torinesi, che riprodussero in quel luogo, lontano, ma solo sulle carte geografiche, gli edifici di Torino.

35

Page 38: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

AncheDostoevskij ha però un forte legame con la nostra città, nel film il suo problema con il gioco viene ripetutamente citato, ed è la causa del contratto che lo lega all’editore truf-faldino, stipulato solo per poter avere un forte anticipo che consente all’au-tore di pagare i creditori e non finire in prigione. Ebbene proprio in quegli anni, a seguito di una visita a Torino ed a ripetute perdite al gioco in que-sta città, Dostoevskij rimase senza un soldo e finì di scrivere “Il giocatore”, un romanzo di grande successo in quegli anni inquieti. Affascinante anche il ri-mando al passato, ed alla prigionia di Dostoevskij, che viene in gioventù ar-restato e condannato a morte per le idee espresse nei suoi libri, per poi es-sere graziato sul patibolo e subire una condanna alla deportazione in Siberia per quasi dieci anni. La prigionia torna continuamente nei pensieri dello scrit-tore, ed è questa esperienza che lo fa sentire vicino a Gusiev, il folle, sino a spingerlo ad acquistare un cappotto per l’uomo, (che arriverà però troppo tardi), sino a fargli venire attacchi epi-lettici anche negli anni a venire, molto tempo dopo questa esperienza, quan-do ancora la dolce Anna, diventata sua moglie, lo accudirà, cercando di sopire i suoi demoni. Altri elementi colpisco-no l’immaginazione, come gli splendidi costumi dell’epoca (l’ambientazione, ci dice l’incipit nelle prime scene, è nel 1860), che ha consentito al film di vin-cere due Nastri d’Argento nel 2008 per fotografia e scenografia e due David di Donatello nel 2009, per migliori costu-mi e miglior scenografia. Sono anche interessanti l’impianto teatrale ed il linguaggio usato, quasi metaforico, un sottolineare le immagini che in alcu-ni punti diventa eccessivo, ma in linea con il secolo di cui si parla. Il film ha infine il pregio di comunicare pensieri, non potrebbe essere altrimenti con un grande testimone come Dostoevskij, e come dice lui stesso in seguito all’ar-resto: “Qualcuno di voi ha provato a leggere nella mia anima?”. Quanto sono differenti le anime degli uomini? E quanto lo sono i luoghi dove vivono? Te

sti:

Kat

ia B

erna

cci

36

Page 39: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

37

Non è come in un filmnon funziona cosìdalla banchina del portodalla scaletta dell’aereodal binario della stazionelei non correrà verso di tegridando il tuo nomecon le lacrime agli occhie tanto meno al rallentatorené ci sarà musica in play-backad esaltare l’emozione di quell’abbraccioripreso con carrello circolaree dolly finalein campo lungo dall’altotu che hai immaginatolo stesso scenariosostituendo i protagonisticon altre facce in primo pianosei rimasto troppo tempoin quel pulciaio dei sognicon il cuore contrattoin ultima filae troppi annisulla banchina del portoalla scaletta dell’aereoin fondo al binario della stazionead aspettare nessunoguardando gli abbracci degli altriudendo una musica che solo tu sentivila vita non è un film franceseloro non tornanoné al rallentatorené a passo normalesemplicementevanno in un altro film

riceviamo un bacio onlusgiusto sul letto di mortea volte neanche quellonon si capisce cosa frenala libera espressionedi un gesto naturaleche salverebbe il mondofermando gli orologisull’ora da inventareesseri umanihanno coperto la distanzatra la terra e la lunaci sono pochi centimetritra due labbraeppure quelle labbranon riescono a coprireuna distanza infinitesimaleecco perché tanti pianetinon sono visibili a occhio nudoe capita sempre più spessodi piangere come servettea una pellicola sentimentale

non è come al cinemahai solamente venduto i gelatialla fine del primo tempoinghiottito dai tuoi stessi sognitra il buio e quel fascio di lucesenza neanche sentire i tuoi capelli caderecerto potremmo rigirare il finalee dire che il film è per tuttima non è cosìquella corsa al rallentatorenon è per tuttie poi è tardisullo schermo biancoè già apparsa la parolaFINE

PROIEZIONEPRIVATA(la poesia del non)

da “La Screanza” di Mauro Macario,Premio Eugenio Montale Fuori di Casa 2012, edizioni Liberodiscrivere

freakspoetry

Page 40: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

38

Non

osta

nte

abbi

a po

co p

iù d

i 50

anni

di v

ita, s

ono

tant

e le

ani

me

del-

la F

alch

era,

il q

uart

iere

-vill

aggi

o sv

ilupp

atos

i tra

gli

anni

’50

e gl

i an

ni ’

70 a

ll’es

trem

ità s

ette

ntri

onal

e di

Tor

ino.

Nes

suno

per

ò so

-sp

etta

che

Fal

cher

a in

rea

ltà

sia

un “

pers

onag

gio

film

ico”

. No,

non

una

sem

plic

e lo

catio

n di

per

iferi

a, m

a un

ver

o e

prop

rio

prot

ago-

nist

a ci

nem

atog

rafic

o, c

on u

na lu

nga

carr

iera

alle

spa

lle.

Tutt

o in

izia

nei

pri

mi a

nni ’

80. C

ome

un b

oss

alla

Sca

rfac

e, F

alch

e-ra

è d

ispo

sta

a tu

tto

pur

di a

rriv

are

e di

fars

i not

are.

E la

cro

naca

di

queg

li an

ni è

un

vero

Rom

anzo

Cri

min

ale,

che

con

trib

uisc

e a

crea

re

la m

itolo

gia

del q

uart

iere

: dal

l’om

icid

io d

i Ton

ino

Mic

cich

é al

le c

ase

oc-

cupa

te. D

agli

scon

tri t

ra b

ande

, tip

o I G

uerr

ieri

del

la N

otte

, ai v

anda

lism

i ne

lle s

cuol

e. M

a è

negl

i an

ni ’

90 c

he a

rriv

a la

ver

a sv

olta

nel

la c

arri

era

cine

mat

ogra

fica

della

Fal

cher

a. D

avid

e Fe

rrar

io,

regi

sta

cons

ider

ato

spe-

rim

enta

le,

cerc

a un

qua

rtie

re o

pera

io in

cui

am

bien

tare

Tut

ti gi

ù pe

r Te

rra

e s’

inna

mor

a de

lla F

alch

era:

“L’

ho t

rova

ta fa

ntas

tica

da u

sare

com

e se

t ci

ne-

mat

ogra

fico

– sp

iega

– u

n qu

artie

re a

ffasc

inan

te, p

erch

é Fa

lche

ra è

un

luog

o so

spes

o. È

cer

tam

ente

una

per

iferi

a, c

on t

utti

i suo

i asp

etti,

ma

una

peri

feri

a co

n un

a su

a po

esia

”.

I lun

ghi v

iali

del q

uart

iere

dim

ostr

ano

di a

vere

tale

nto

per

la c

omm

edia

leg-

gera

, e

così

dop

o il

film

tra

tto

dal

libro

di

Cul

icch

ia,

Falc

hera

si

guad

agna

un

ruo

lo a

nche

nei

suc

cess

ivi fi

lm d

i Fer

rari

o: F

igli

di A

nnib

ale

e, s

opra

ttut

-to

, D

opo

Mez

zano

tte.

Am

anda

, An

gelo

e l

a su

a ba

nda

sono

del

la F

alch

era,

Dal

le c

aset

te a

tre

pia

ni s

tile

ingl

ese

per

i pro

fugh

i ist

rian

i, ai

pal

azzo

ni

occu

pati

dagl

i im

mig

rati

mer

idio

nali,

da

Bro

nx v

iole

nto

e fa

mig

erat

o a

quar

tiere

dor

mito

rio

per

gli o

pera

i...

Page 41: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

e lo

rib

adis

cono

con

tut

to l’

orgo

glio

di

chi

sa

di v

iver

e in

una

rea

ltà

spe-

cial

e e

dive

rsa:

“Q

uello

che

col

pisc

e di

que

sto

quar

tiere

è c

he è

un

post

o do

ve d

evi a

ndar

e ap

post

a -

aggi

unge

Fe

rrar

io -

ha

solta

nto

due

acce

ssi.

Que

sto

ha c

reat

o un

suo

mic

roco

smo,

do

ve c

’è t

utto

un

mon

do c

he s

embr

a se

para

to d

al r

esto

”.N

el

curr

icul

um

cine

mat

ogra

fico

del

quar

tiere

non

pos

sono

man

ca-

re,

natu

ralm

ente

, le

int

erpr

etaz

ioni

de

l di

sagi

o gi

ovan

ile e

del

deg

rado

. Lo

ste

sso

Ferr

ario

, ut

ilizz

ando

ma-

teri

ale

gira

to p

er T

utti

giù

per

Terr

a,

real

izza

il d

ocu-

film

La

Rab

bia,

qua

si

una

risp

osta

a L

’Odi

o di

Kas

sovi

tz, g

i-ra

to n

ella

ban

lieu

pari

gina

. Il

prim

o re

gist

a a

port

are

sullo

sc

herm

o le

diffi

cili

real

tà d

el q

uar-

tiere

è p

erò

un r

agaz

zo d

i Fa

lche

ra

Nuo

va,

Gia

com

o Fe

rran

te,

che

già

nel

‘91

in

Rea

l Fa

lche

ra

Foot

ball

Clu

b tr

acci

a un

o sp

acca

to d

i vita

dei

ra

gazz

i di z

ona

attr

aver

so la

sto

ria

di

una

squa

dra

di c

alci

o di

per

iferi

a. “

Il fil

m h

a vi

nto

il pr

emio

Gab

bian

o d’

Oro

al

Fes

tival

di

Bel

lari

a -

spie

ga F

er-

rant

e -

e pu

r ra

ccon

tand

o un

a st

oria

lo

cale

, vu

ole

aver

e un

val

ore

univ

er-

sale

”.

Sfru

ttan

do l

e po

tenz

ialit

à de

l do

cu-

men

tari

o, F

erra

nte

utili

zza

Falc

he-

ra e

i s

uoi

pers

onag

gi a

nche

nel

le

succ

essi

ve p

rodu

zion

i: B

arri

era

d’I-

talia

(20

00),

stor

ia d

ella

zon

a no

rd

di T

orin

o: “

In p

artic

olar

e, h

o vo

luto

ri

cord

are

la m

orte

di T

onin

o M

icci

ché

- co

ntin

ua F

erra

nte

- un

eve

nto

che

inse

risc

e la

Fa

lche

ra

dire

ttam

ente

ne

lla s

tori

a d’

Italia

e i

n qu

el d

iffici

le

peri

odo

degl

i ann

i di p

iom

bo”.

E

poi,

il co

rto

Fram

men

ti di

qua

rtie

-re

, pre

sent

ato

alla

Fie

ra d

el L

ibro

di

Tori

no,

Alza

barr

iera

, vi

deoi

nchi

esta

39

sulla

per

iferi

a to

rine

se, e

Str

anam

o-re

. At

tent

i a

quei

2,

stor

ia d

’am

ore

tra

raga

zzi “

nati

ai b

ordi

di p

erife

ria”

. Fa

lche

ra è

pro

tago

nist

a da

lle m

olte

-pl

ici

sfac

cett

atur

e, n

on s

olo

soci

ali,

ma

anch

e vi

sive

: “L

’arc

hite

ttur

a, d

i As

teng

o pr

ima

e de

lle to

rri d

opo,

cre

a m

olta

gra

fica

visi

va”

conf

erm

a D

avi-

de F

erra

rio,

che

, nat

ural

men

te, n

on

ha r

inun

ciat

o al

la F

alch

era

nem

me-

no n

el s

uo u

ltim

o fil

m:

“Ho

appe

na

finito

di

gira

rlo

e no

n ho

nem

men

o an

cora

il

titol

o -

ci r

ivel

a -

ci s

ono

delle

sce

ne g

irat

e al

la b

occi

ofila

di v

ia

Tana

ro. È

un

post

o in

cui

torn

o se

mpr

e co

n pi

acer

e, t

anto

che

mi h

anno

dat

o la

“ci

ttad

inan

za fa

lche

rese

”.In

tant

o, l

a ca

rrie

ra c

inem

atog

rafic

a de

l qu

artie

re e

splo

ra n

uovi

mon

di:

Laur

a H

alilo

vic,

nom

ade

tras

feri

ta

alla

Fal

cher

a, c

oron

a il

suo

sogn

o di

di

vent

are

regi

sta

e re

aliz

za n

el 2

009

“Io,

la m

ia fa

mig

lia r

om e

Woo

dy A

l-le

n”.

Le s

cene

, gi

rate

tra

il

cam

po

nom

adi d

i via

Ger

mag

nano

e le

cas

e di

Fal

cher

a, r

acco

ntan

o le

mill

e st

o-ri

e di

zii,

cug

ini

e al

tri

amic

i ch

e si

sp

osta

no s

ulle

rou

lott

e, e

si r

itrov

a-no

a v

iver

e in

una

situ

azio

ne n

uova

, di

visi

tra

il de

side

rio

di a

bita

re in

una

ca

sa n

orm

ale

e il

mir

aggi

o di

ess

ere

sem

pre

in m

ovim

ento

...E

in f

ondo

il

dest

ino

cine

mat

ogra

-fic

o de

lla F

alch

era

era

scri

tto.

Già

ne

l 19

79, n

el r

oman

zo A

Che

Pun

to

è la

Not

te, F

rutt

ero

e Lu

cent

ini a

m-

bien

tano

alc

une

scen

e in

un

quar

-tie

re d

i per

iferi

a a

Tori

no, s

enza

fare

pe

rò n

essu

n ri

feri

men

to p

reci

so. M

a qu

ando

nel

199

1 N

anny

Loy

gir

a il

film

tra

tto

dal l

ibro

, con

Mas

troi

an-

ni n

el r

uolo

del

com

mis

sari

o Sa

nta-

mar

ia, n

on h

a du

bbi:

la lo

catio

n no

n pu

ò ch

e es

sere

Pia

zza

Falc

hera

!

Testi: Antonio Verteramo

Page 42: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

IL FATTORE

La signora Angela non era solita usare il treno e quella mat-tina dell’agosto del 1962 si trovava, suo malgrado, a dover risalire controcorrente il fiume in piena dei pendolari che come tutti i giorni venivano a lavorare a Milano affollando la stazione Nord.Era una splendida quarantenne, e non passava certo inos-servata. Forse qualcuno avrebbe ancora potuto riconoscer-la in quella modella che qualche anno prima era stata la testimonial della pubblicità della nota marca di saponette LUX e in svariate foto di moda, o magari confonderla con sua sorella Luciana di qualche anno più giovane ed eletta Miss Sport nel 1948.Angela era abituata ad essere controcorrente. Fin da ragazza aveva sempre avuto un carattere forte, estroverso e ribelle. Come poteva essere considerata una ragazza che negli anni 50 già aveva la patente e guidava un’auto sua, praticava sva-riati sport solitamente riservati ai maschi e aveva addirittura un brevetto di pilota d’aereo? Elegantemente “anticonformi-sta” e “controcorrente”, ma più prosaicamente scandalosa e impertinente. Ad assecondarla in queste sue scelte era stato suo marito Gino Sansoni, un vulcanico editore milanese, già fondatore di una delle prime agenzie pubblicitarie del dopoguerra, con il quale da poco più di un anno dirigeva una casa editrice.

Angela era da sempre attenta e curiosa e amava osservare la gente intorno a se fantasticando sulla loro vita, personalità e sogni. E quale posto in prima fila poteva essere migliore di un vagone di un treno, mentre la città sfilava veloce fuori da finestrino?Quel signore corpulento due sedili avanti, ad esempio, doveva essere di Torino perché sembrava essersi perso nelle pagine de La Stampa. E come accadeva sempre più frequentemente in prima pagina i titoli annunciavano nuovi macabri ed effe-rati delitti, furti e rapine.E la ragazza alla sua sinistra che sfogliava avidamente il nuo-vo numero di GrandHotel? Era di certo alla ricerca dei momenti clou in cui il bel tene-

K40

Page 43: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

broso dallo sguardo magnetico faceva cadere ai suoi piedi la giovane ingenua di turno, avvinghiandola in un bacio passio-nale per almeno due pagine del fotoromanzo. Forse cercava il suo principe azzurro, ma più probabilmen-te un’inconfessabile avventura di una notte che le regalasse brividi ed emozioni.Sul sedile di fianco a lei qualcuno aveva dimenticato un volu-minoso libro di Marcel Allain, dalla cui copertina faceva ca-polino l’audace e spietata figura della sua creatura letteraria: Fantomas, con tanto di mascherina e cilindro.Appena salita sul treno in corridoio aveva incrociato un ele-gante signore in giacca e cravatta con un ottimo profumo e un fiore all’occhiello; forse era stato proprio lui a dimenti-carlo o forse a lasciarlo di proposito; non era una lettura con cui presentarsi ad un’incontro galante e di certo non poteva trovare posto nella tasca della sua giacca.

Angela correva con lo sguardo nel vagone fantasticando su questo e quel passeggero mentre un’idea si faceva rapida-mente strada nella sua mente fino ad apparire addirittura ovvia in tutta la sua semplicità.Le persone intorno a lei erano diverse, certo, splendidamente eterogenee ma accomunate da una cosa.Tutte passavano quotidianamente un tempo più o meno lun-go su un mezzo di trasporto che fosse treno o tram cittadino, e cercavano letture di svago ma avvincenti che gli permettes-sero di vincere la pena di quei noiosi spostamenti.Leggevano la cronaca nera, si appassionavano agli intrighi, al brivido, e sognavano l’avventura e l’amore. E certamente avrebbero apprezzato riviste e giornali che potessero essere comodamente infilati in una borsetta o in una tasca di una giacca. Ecco, diciamo un formato tascabile!

Nel giro di pochi mesi, affiancata dalla sorella Luciana, una piccola redazione di grafici e un reticente disegnatore (tal Zarcone detto “il tedesco”) il suo progetto era pronto a vede-re la luce. Il primo novembre del 1962 in edicola la pubblicità annunciava:

“Volete un’ora da brivido? Episodio completo. Leggete Dia-bolik! Chi è Diabolik? Diabolik è il re del terrore! Diabolik è il genio del delitto! Diabolik vuol dire mistero! Compratelo subito!” La copertina ritraeva una donna atterrita dinanzi a un uomo dagli occhi di ghiaccio, inguainato in una tuta nera attillata che brandiva un coltello. E il bello era che il “Re del Terrore” non era il cattivo di turno ma il protagonista.Alla modica cifra di 150 lire il primo numero di Diabolik face-va la sua apparizione nel mondo del fumetto.Dopo un timido inizio il suo successo era stato travolgente, tanto che sulla sua scia erano nati tantissimi altri personaggi e testate. Anti-Eroi dai nomi piuttosto eloquenti: Kriminal, Satanik, Killing, Mister X e molti altri, accumunati dal “fattore K”. Di un vero e proprio fenomeno di costume come quello dei fumetti “neri” non poteva non accorgersi l’industria ci-nematografica e diversi di loro avevano già visto la propria trasposizione cinematografica, ben prima quindi del vero ed originale RE del Terrore.Addirittura sotto forma di parodia, con Dorellik interpretato dal popolare Johnny Dorelli, sigh…

Cinque anni dopo, la stazione Nord non era molto cambiata. Dopo una breve sosta in edicola, giusto il tempo per acquista-re il corriere e l’ultimo numero di Diabolik , Mario affrettava il passo in direzione della stazione.Il suo cognome era Bava, di mestiere faceva il regista e con i suoi film si era guadagnato l’appellativo di “Regista Male-detto”. I suoi detrattori riferivano che “maledetto” fosse l’e-sclamazione che gli riservava chi, in piena notte, si trovava in preda agli incubi dopo aver visto un suo film.Altri critici, pochi in verità, lo consideravano invece un ottimo regista che era stato capace in pochi anni di creare un nuovo modo di fare film gialli e thriller e inventare praticamente il genere horror italiano. Figlio d’arte, aveva inoltre ereditato dal padre perizia tecnica e inventiva nel realizzare effetti speciali, cosa che gli era as-sai utile nelle scene più “splatter”.Mario era reduce dal buon successo di Operazione Paura

41

Page 44: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

42

dell’anno precedente e quando, qualche mese prima, era squillato il telefono e aveva udito quel nome “Diabolik” gli era sembrato un vero colpo di fortuna. Dall’altro capo del telefo-no c’era Dino De Laurentis, il famoso e pluripremiato produt-tore cinematografico e c’era un progetto ambizioso; portare al cinema il popolare fumetto nero delle sorelle Giussani, un budget alto, il più alto fosse mai stato messo a sua disposi-zione e una distribuzione internazionale.Il fatto che De Laurentis avesse licenziato dopo una sola set-timana Tonino Cervi dalla regia del film chiamandolo come seconda scelta gli era sembrato più uno scherzo del destino che un cattivo presagio. E poi gli era capitato più di una volta di subentrare in corsa ad un altro collega.Ma, giorno dopo giorno, le incompatibilità caratteriali con Dino e le differenti visioni su come dovesse essere il film era-no venute prepotentemente a galla.

Mario aveva letto avidamente Diabolik e si era fatto un’idea chiara di quella che riteneva fosse l’essenza del personaggio, le caratteristiche peculiari da cui non si poteva prescindere. Diabolik era un anti-eroe, cupo e anticonformista. Perfetto per poter realizzare una pellicola con echi dark e horror, il genere a lui più congeniale, dove poter realizzare molti “ef-fetti speciali” già parzialmente provati in altre produzioni ma mai sviluppati appieno per limiti di budget.Dino invece aveva in mente ben altro; una sorta di James Bond in calzamaglia che potesse essere visto dal grande pubblico e distribuito senza timori di censura.De Laurentis era un produttore di grande successo, visiona-rio e istintivo e aveva intuito le grandi potenzialità del mondo del fumetto con quelle storie che erano praticamente già del-le sceneggiature per immagini.Ma era anche scaltro e pragmatico. Oltre ai diritti per il Re del Brivido, si era infatti anche assicurato quelli di Barba-rella, l’eroina sexi-fantascentifica di una popolare serie a fu-metti francese.E siccome il film aveva avuto dei ritardi nella produzione, aveva dirottato John Phillip Law, partner della bellissima Te

sti e

layo

ut: M

acs

Padr

ini

Page 45: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

43

KJane Fonda, sul set di Diabolik, di fatto imponendolo a Bava.Per Eva Kent si erano avvicendate tra le altre Catherine De-Neuve prima di Marisa Mell.E se i due si stavano rivelando per quello che erano, bellocci senz’anima, malgrado l’impegno registico profuso, una qual-che consolazione la davano le scelte azzeccate di Michel Piccoli alias Ginko e Ralph Valmont, personaggio creato apposita-mente per la sceneggiatura cinematografica e interpretato da Adolfo Celi.Discussioni interminabili e compromessi avevano infine par-torito una sceneggiatura ibrida, con un Diabolik cattivo ma non troppo, morti edulcorate e relegate sullo sfondo e grandi scene di inseguimenti. Il suo amico Morgherini aveva lavora-to alle scenografie ed era riuscito a dare un’atmosfera POP al film che non era niente male, ma in definitiva, Danger Diabo-lik (questo il titolo previsto per l’uscita nei cinema) era stato per Mario un’occasione persa.

Dal finestrino del treno, il paesaggio cambiava velocemente, come in un film, come le pagine di una storia a fumetti, quella che avrebbe comunque portato a termine non appena arriva-to a Torino, dove lo aspettava la sua troupe per girare l’ultima parte degli esterni.Strano il destino, dove tutto era cominciato, in qualche modo, almeno per lui, tutto sarebbe finito.Sì, perché si ricordava bene tutta quella storia del killer che alla fine degli anni ’50 aveva tenuto con il fiato sospeso tutt’Italia e la cui triste popolarità aveva addirittura trovato ampio spazio sui quotidiani stranieri.Tutto era iniziato il 25 febbraio del 1958 con il ritrovamento del cadavere di un operaio della Fiat nel quartiere popolare di Vanchiglia, il borgo del fumo come lo chiamavano i torinesi, in via Fontanesi. La mattina dopo la Stampa di Torino si era vista recapitare una lettera firmata da “Diabolich” che, con enigmi e giochi di parole, rivendicava l’omicidio del giovane meridionale.Il serial killer non aveva in realtà inventato nulla di nuovo per-ché nome (identico ma senza “h” finale) e modi di agire alla ricerca dell’omicidio perfetto li aveva praticamente copiati dal

romanzo giallo “Uccidevano di notte”di Italo Fasan, edito un anno prima. Gli agenti della squadra mobile di Torino si era-no dati un gran d’affare per risolvere il caso di via Fontanesi ma senza successo; il nome di Diabolich sarebbe probabil-mente finito tra i molti misteri dimenticati, se le sorelle Gius-sani non l’avessero “recuperato” e rivisitato con il “fattore k” per il popolarissimo antieroe dei fumetti.

Case e palazzi cominciavano rapidamente a prendere il posto della campagna.Mario era sceso a Porta Nuova e stava cercando trafelato un Taxi per raggiungere la troupe per gli ultimi ciak.Un ultimo sforzo e si sarebbe lasciato alle spalle una così travagliata produzione. Sul sedile del treno aveva dimenticato, senza neppure averlo sfogliato, “il cuore di fuoco” numero 88 di Diabolik.

Danger Diabolik ebbe un buon successo di pubblico ed è considerato oggi come uno dei migliori esempi di film Pop degli anni sessanta. È stato “citato” dal regista Nathaniel Hörnblowér nel video Body Movin’ dei Beastie Boys (versione remix di Fat Boy Slim).

Mario Bava non realizzò mai il sequel di Diabolik anche se De Laurentis glielo propose:“Mi ha chiamato, gli ho fatto dire che sono ammalato, invali-do a letto, permanentemente” dichiarò il regista.

Diabolik fumetto è ormai un’icona mondiale della nona arte; continua a vivere le sue avventure mese dopo mese in edico-la, su miriadi di oggetti di merchandising e cartoons per i più piccoli. Nel 2012 festeggia, sempre a fianco della bellissi-ma Eva, i suoi primi 50 anni.

Page 46: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

mediatamente tornano a riaffiorare ricordi che credevo irrimediabilmen-te cancellati. Suoni e colori ritornano nitidamente, portando con se tutte le emozioni provate allora e ricomin-cio a sognare. Ritorno a leggere per alimentare la memoria rediviva e di nuovo mi fermo incuriosito; la cau-sa scatenante che ha spinto l’autore a scrivere è stato un film! La cosa si fa sempre più interessante... Può un film dare vita ad un libro? La risposta è si a quanto pare. Quindi, finalmente appagato, mi addormento fra dolci re-

“Il perché noialtri non avessimo il viso ustionato da lampade generose e non affollassimo i negozi alla moda alla ricerca dell’ultimo modello di qualsia-si cosa è una domanda a cui non so rispondere, quello che ci guidava era pura passione per l’amicizia, la con-divisione e un’abbondante dose di ec-centrico individualismo.”Da “20 negli 80”

2011 (edizioni Vis Vitalis)

Lascio cadere il libro. Questa frase mi ha letteralmente pietrificato... Im-

miniscenze New Wave. Il giorno dopo mi precipito in videoteca, devo trovare quel film ma non è impresa facile. Si tratta di un film girato a Torino nel 1985 da Vincenzo Badolisani, il titolo è “I Ragazzi di Torino sognano Tokio e vanno a Berlino” praticamente intro-vabile, narra la leggenda che sia stato trasmesso da qualche rete privata in programmazione notturna e in qual-che proiezione eroica da cineclub da combattimento, poi nulla più. Mi affido alla rete disperato, dove trovo recen-sioni devastanti e definitive ma vado

44

Page 47: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Test

i e la

yout

: P.P

alù

oltre, devo vederlo assolutamente! In qualche forum ne ritrovo il fugace passaggio, sempre condito da impie-tosi giudizi negativi ma del film non c’è traccia, non risulta neanche nel database dei film girati a Torino e la cosa mi getta nello sconforto; quale capolavoro di bruttura sarà mai que-sto film per non essere neanche con-siderato degno di menzione nel serio-so e documentatissimo sito? Mistero... Poi quando ormai sto per gettare la spugna un messaggio altrettanto mi-sterioso su Facebook riaccende la

speranza. Un ignoto personaggio che si presenta come “Clay Cabiria” dice di aver letto il mio appello e rivela di possedere una copia digitale del film che sarebbe felice di donarmi gratu-itamente. Eureka! Breve scambio di coordinate per fissare l’appuntamento davanti ad una buona birra e poi final-mente l’incontro. Mi trovo davanti ad un autentico cinefilo che la birra rossa rende ancor più loquace e disponibile; infine mi dona un dvd, credo masteriz-zato per l’ennesima volta che io ricevo come una reliquia, quindi ancora eb-

bro per le abbondanti forniture alco-liche corro a casa famelico per la vi-sione tanto desiderata. Vedo il film con ingordigia e immediatamente capisco tutto; il lavoro di Badolisani, vilipeso e dileggiato, mediocre dal punto di vista tecnico e recitativo ha però un valore antropologico incommensurabile, è probabilmente l’unica testimonianza di costume fedele e appassionata di un periodo magico, quello della scena Wave torinese, che negli anni ‘80 ha raggiunto livelli altissimi in chiave di creatività artistica e musicale. Il tem-po ci dirà chi ha ragione!

45

Page 48: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1
Page 49: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1
Page 50: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

freakslyrics

48

PORFIRIO VILLAROSA

Esta é la cancion de Porfirio Villarosache faceva el manoval alla Viscosa PORFIRIO!

che, me conosse?Conoscete Porfirio Villarosa

dalla bocca fascinosa lo credevano spagnolo o portoghese,

egli invece è torinese era un rude e modesto terrazziere faceva il suo mestiere

ch’era un piacere

Ora invece Porfirio Villarosa todo el giorno se reposa ogni diva dello schermo

che lo vede dice t’amo e lui ci credee così per salvarsi un po’ le spese

lui deve divorziare tre volte al mese! Olé olé, Porfirio Villarosa

che faceva el manoval alla Viscosa col suo sguardo conturbante

egli é l’oscar degli amanti quante donne ha conquistato non se sa

Ed un bel dì Porfirio Villarosa abbandona su due piedi la Viscosa

bello più di Valentino,prediletto dal destino s’è sposato ed or la grana lui ce l’ha Porfirio,

Porfirio alle donne cosa fai tutte quante tu le inguai, come mai, come mai Porfirio,Porfirio alle dive sai piacer,

qualche cosa devi aver come fai, come fai

Olé, olé, Porfirio Villarosaè soltanto più un recuerdo la Viscosa

quante volte s’è sposato, tante volte ha divorziato

ed ora fa l’innamorato di Zaza… Che cannone quel Porfirio Villarosache faceva el manoval alla Viscosa

Fred

Bus

cagl

ione

Page 51: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

49

freaksinside

ph: Livio Ninni©

ph: Livio Ninni©

Global Warning by Ninja1+Mach505Il messaggio di quest’opera è sufficientemente chiaro: il tempo stringe e la Terra, così come noi, ha bisogno di un rapido cambiamento attitudinale da parte nostra. Le due immagini sono state scattate da parti diametralmente opposte circondanti la vasca, così come sono due i modi di osservare il problema: in maniera drammatica, contemplando il nostro pianeta mentre viene distrutto dalle nostre stesse mani, e in maniera attiva, dando un messaggio forte e un consiglio per il futuro. Qual miglior posto per far da cornice se non la gabbia dell’orso in un ex zoo?

Truly Design, a cominciare dal 2003, nasce come una tradizionalissima crew di graffiti, unendo quattro amici che avevano altre passioni in comune: illustrazione, grafica, pittura tradizionale e altre forme d’arte. La crew è presto divenuta una fucina di idee che sfidava i confini tradizionali dei graffiti, sviluppando la collaborazione, fino alla nascita di uno studio vero e proprio di comunicazione visiva nella natìa Torino. Le capacità complementari dei quattro amici hanno dato luogo a un calderone di arte eclettica. Truly Design è: Mauro149, Rems182, Ninja1 e Mach505.

Page 52: FREAKS, cinema e altri fenomeni #1

Recommended