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Garibaldi: La Leggenda Letteraria e la Storia - Liceo Classico · Da dove provenga il Messia della...

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Luca Sorrentino Garibaldi: La Leggenda Letteraria e la Storia 22 Novembre 2007 Celebrazioni garibaldine Sala estense Varese
Transcript

Luca Sorrentino

Garibaldi:

La Leggenda Letteraria e la Storia

22 Novembre 2007

Celebrazioni garibaldine

Sala estense Varese

2

on si dà popolo senza una mitologia e non c è mitologia senza

un ascrizione genealogica degli eventi e dei protagonisti a un Olimpo

di divinità intermedie, a una catalogazione di eroi per virtù dei quali

l imperscrutabile volontà del fato si commisura alle circostanze storiche con

cui viene a coincidere.

Si proceda per le vie teogoniche dell epos, come accadeva nella celebrazione

dei fasti epici dell antichità, o venga raccontata secondo le linee di una

coscienza collettiva esaltata da un eroe, la mitografia svolge il compito di una

fondazione topografica per opera di un ecista della nazione. Egli agisce per

impulso di una volontà soprannaturale prima di prendere congedo dall azione

che l ha visto protagonista, a testimonianza che l opera sua è una

consummatio humani et divini iuris.

Il Genio di un popolo non dorme- anche nella latenza di sovrani legislatori- e

a tempo opportuno suscita l eroe liberatore da incoronare e proporre alla

civile devozione dei posteri.

Da dove provenga il Messia della nazione non è lecito sospettarlo, non è

educato nelle corti dei re, non è addestrato nelle accademie del genio militare,

non appartiene agli apparati centrali delle decisioni ministeriali, non ha una

genealogia; come Melchisedech non ha progenitori, è profetico e messianico

insieme, mostra la sua virtù sui campi di battaglia, sbaraglia i Golia della

tirannia e come Davide, armato di pochi ciottoli, colpisce mortalmente la

fronte del campione filisteo a gloria del Dio di Israele.

3

Il Dio di Israele, per elaborazione concettuale mazziniana, si è incarnato nel

popolo immagine di Dio sulla terra 1; l origine dei doveri ha fondamento in

Lui, la scoperta progressiva e l applicazione della sua legge appartengono

all Umanità.2 Dopo la rivoluzione copernicana astronomica e quella filosofica

kantiana, quella politica mazziniana ebbe in Giuseppe Garibaldi il suo braccio

armato.

Nessun grande disegno storico ha fortuna se alla sua esecuzione non mette

mano una volontà celeste, che chiama a testatore il braccio di un eroe. Essa è

esplicitata nell elezione di Davide, nel sortilegio di Giovanna d Arco, nella

epopea fulminea di Napoleone e di Giuseppe Garibaldi e di tanti esecutori di

un imperscrutabile volontà, che dopo averli utilizzati li abbandona al peccato,

al rogo, all esilio, alla relegazione, mutando lo spartito della rappresentazione

storica, che passa dall epica alla tragedia come pagine contrapposte dello

stesso abbecedario.

Il popolo nella sua peristalsi emotiva con cui anticipa le faglie del tempo e

nelle connessioni intuitive con la storia, per una virtù profetica sua peculiare,

percepisce che è nato per lui un salvatore e lo segue, incurante del rischio e

della improbabilità del numero e degli armamenti; sul campo di battaglia si

celebra una liturgia sacramentale dei mille contro diecimila, da cui non è

possibile sortire vincitori senza una assistenza dall alto, un surplus di Grazia

che rende conto a tutti del fatto che i tempi sono compiuti.

Il principio calvinista che ammette l elargizione di una Grazia necessaria al

successo dell impresa è solo un estensione al mercato dell antico giudizio di

Dio e della successiva trasmutazione della gloria militare nella più borghese

1 G. Mazzini, Doveri dell uomo, a cura del Centro napoletano di studi mazziniani, Napoli 1965, p.56 2 Ivi. p. 55

4

logica dell arricchimento. Sui campi di battaglia l audacia prevale sulla

strategia del calcolo, l azzardo sulla cauta assicurazione delle retrovie e la

vittoria suscita l esaltazione di chi scopre che Gott mit uns ; senza giusta

causa non è data l esaltazione che lega un generale ai suoi soldati, la fedeltà

nella milizia o la perseveranza nelle fatiche della guerra. E stato il Còrso che

ha suscitato il sentimento di universale partecipazione alla gloria militare del

suo esercito liberatore coniugato nella figura retorica dell endiadi cittadino-

soldato . La coccarda tricolore era fregio comune del pileo plebeo e della

uniforme del granatiere, nelle marce napoleoniche si muoveva una nazione

intera, non solo un popolo.

Fu l imperium di una nazione che rese odioso quel epos. L esilio di

Napoleone fu, forse, il debito pagato alla giustizia delle nazioni, l ozio di

Garibaldi a Caprera invece- non fu la catastrofe di una stella, ma il calare di

un sole che brillò durante il suo meriggio e si ritirò ad Occidente per prestarsi

non al giudizio ma alla memoria dei posteri.

Il mito di Garibaldi è quello dei liberatori che vengono dalle acque e si

inoltrano nelle acque. Come Mosè, come Pizzarro , così Garibaldi dopo aver

corso le acque dell Oceano, in un viaggio di andata e ritorno, come un

Cristoforo Colombo della libertà dei popoli, approda sulle rive selvagge di un

mare da cui, come un moderno Mosè, sospira -da lontano- alla terra promessa

di Roma liberata e capitale d Italia.

Il successo crea la storia, ma il recesso la racconta; se la figura di Garibaldi è

così popolare in Italia, se ovunque si apra una piazza si erge un monumento

alla sua memoria, se vie, corsi e campielli delle nostre province sono a lui

dedicati, oltre tutte le mutazioni istituzionali e partecipative, questo assicura

che la sua opera -anche geniale- non fu quella di un fortunato stratega, ma

5

una taumaturgica apparizione, che riuscì nell immaginario popolare a ridurre

sincretisticamente la distanza sussistente tra il credo religioso e quello

politico, a sovrapporre nella camicia rossa dei suoi garibaldini il colore della

carità cristiana e della bandiera socialista, ad essere, insomma, mentore

insospettato di tutta la mitologia politica, che sarà il sangue e l anima della

storia d Italia dalla sua fondazione fino ad oggi.

Vola tra i gaudi del periglio, o forte

Vegga il mondo che mai non fosti vinto

Né le virtù romane anco son morte

Così Carducci nel sonetto celebrativo a Giuseppe Garibaldi3 esalta la virtù del

campione nizzardo, a cui sui fumanti spalti di Roma plaudono le ombre

amiche dei Deci e Curzi. La gloria dell eroe è una luminosa tunica di

invincibilità; nella battaglia, tra la polverosa confusione del tumulto, rifulge il

volto del condottiero come un apparizione tutoria di un arcangelo nella

teomachia apocalittica contro le forze della tirannide.

L essenza del comando riposa in una trasfusione energetica della forza del

condottiero, che eccita l impulso gregario dei suoi soldati istintivamente

assicurati sulla fortuna dell impresa proposta.

La sinechia militare prefigura la naturale costituzione politica di una volontà

che deve imporsi alle altre e determinare una vincolante asseverazione a

prescindere dalle ipotesi concordatarie dei conflitti civili, per i quali il

consenso accordato non riguarda assolutamente la vita e la morte. Non si

combatte per la vita e per la morte (o Roma o morte!) senza l intimo

3 G.Carducci, A Giuseppe Garibaldi, Iuvenilia, Tutte le poesie a cura di L. Banfi, vol. I, Milano1964

6

convincimento del successo della causa, della giustizia dell impresa e della

fortuna del condottiero destinato alla vittoria.

Garibaldi è descritto dai suoi biografi e dal suo poeta-soldato, Ippolito Nievo,

come il campione naturalmente fornito della grazia del comando. Gli occhi e

la fronte spaziosa e altera, su cui era espressa la mappa militare dell Ideale,

l eleganza e il vigore del suo portamento e soprattutto la profondità sicura

della sua voce imprimevano al comando una perentorietà dell esecuzione, un

anelito a conseguire la vittoria, visualmente anticipata, a prescindere dal

numero dei nemici, dalla penuria degli armamenti e dalle trame che la politica

infaticabilmente imbastisce per abbattere i simulacri che il favore popolare

innalza ai suoi eroi:

Ha un non so che nell occhio

Che splende dalla mente

Chi nol vide talfiata

Sulle inchinate teste

Passar con un occhiata

Che infinita direste?

E allor che nelle intense

Luci avvampa il desio

delle Pampas immense

E del bel mar natio!

Fors anco altre memorie

Ingombran l orizzonte

Di quella altera fronte

E il sogno d altre glorie!4

4 Ippolito Nievo, Il generale, in gli amori garibaldini , Opera omnia Milano 1970 vol I, p. 515

7

L autorità che si esprime nel comando rimanda a una fisiognomica che funge

da trasduttore della perentorietà e della immediatezza dell esecuzione,

sottratta alla disquisizione dubitativa sull esito dell imperium, in altre parole:

Fede. C è una mistica militare che rende conto dell affiliazione del soldato al

suo comandante, che è la risoluzione di ogni cesarismo. Garibaldi coagulò

magicamente intorno al suo cuore di frugale e disarmato cavaliere dell Ideale

gli empiti e le aspettative di una sospirante generazione con lo stesso furore

che- inversamente- nel secolo successivo - altre infernali apparizioni

condurranno a più tragico e infame destino. La forza è un energia che resta

indeterminata prima di risolversi in una direzione; l aforisma classico

dell arte retorica del vir bonus dicendi peritus per analogia si estende

all arte militare del vir bonus agendi peritus ; è dal cuore dell uomo che

procede ogni virtù e ogni malizia, perciò l arte militare va compresa sotto la

specie dell etica; il cavaliere senza macchia e senza paura merita di vincere e

vince anche morendo.

Nella sua voce essenzialmente risuonava quella frequenza originaria che

azzera tutte le distonie generate dalla simulazione e dissimulazione

all autenticità della parola. Le pecore conoscono la voce del pastore e non

seguono il mercenario; là dove la voce suona come un corno di battaglia si

aprono le tombe e si levano i morti, da tutte le contrade uomini e giovinetti,

patrizi e plebei si scuotono; anche gli evasi dalle galere e tutta la meschina

genia dei profittatori di ogni turbamento storico, avvertono di potere

guadagnare nella generale partecipazione un proprio riscatto.

Si radunano senza armi se non baionette per l assalto corpo a corpo, senza

divise se non prestate o accattate tra cadaveri e risarcite al bisogno da mani di

8

sorelle e spose, ausiliarie di un corpo d armata un po cencioso; la divisa

militare è un distintivo della nazione e Garibaldi è stato sempre un irregolare:

la poesia a cavallo. Nievo che ne fu l entusiasta cantore celebra questa armata

Brancaleone, questa accozzaglia /garibaldina,/ Pezzente e ilare/ come

Gesù./Chi con la sciabola/ chi col moschetto/chi con la tunica/chi col

farsetto,/ tutti son laceri/ e scalzi i più/. Un caporale austriaco crederà di

mettere in fuga un tale ridicolo esercito facendo solo sbattere sul lastrico i

tacchi degli stivali croati, ma chi tacchi sbattere/scalzo non seppe/li farà

battere a Cecco Peppe / risponde un diavolo Garibaldin/. 5

Il convincimento della invincibilità è un sacramento che lega il condottiero ai

suoi soldati. Durante le infinite peripezie della sua vita di corsaro egli aveva

sempre conservato, come osserva il Rüstow6, che gli fu lungamente familiare,

il rossore virgineo ad ogni oscena volgarità, estrema moderazione nelle

bevande e nei cibi, il disdegno per le minacce di morte, quasi si sentisse

protetto da invisibili ali d angelo, come è degno chiunque sappia conservare-

come dice Manzoni- il cuore casto e la mente . Egli stesso confessa nelle

sue Memorie di essere sorto illeso dai frangenti dell oceano, dalle grandini

del campo di battaglia, e che vide che si presentava genuflessa al cospetto

dell Infinito, l amorevole sua genitrice implorante per la vita del nato dalle

sue viscere. Anche l Hoffstetter a Roma nel 1849 osservò dei miracoli, quasi

quotidiani, di incolumità che si verificavano per Garibaldi. Le granate gli

scoppiavano vicino, tutti i soldati si gettavano a terra o si riparavano al

coperto, mentre il solo generale rimaneva eretto e impassibile come una statua

di bronzo, tremanti di vederlo caduto mentre era lì sorridente che spolverava

gli abiti da quel poco di terra che le bombe gli avevano di rimbalzo scagliato

5 Op.cit. battere i tacchi, p.550 6 Erinnungen aus dem italienischen Feldzüge von 1860,vol. II,p.103, citato in A. Luzio, discorso commemorativo, Varese1907.p.25

9

addosso. Fatto segno di un attentato a Caserta per opera di un sicario, che lo

aggredì gridando di averlo finalmente in pugno, la pistola si inceppò e dopo

averlo arrestato vietò che fosse sottoposto a giustizia sommaria e lo volle in

seguito prosciolto. Tale generosità si accorda con il convincimento della sua

predestinazione, perché solo chi sa intravedere negli eventi i segni di una

volontà superiore può essere benevolo con i tristi.

L invulnerabilità di un eroe è una percezione istintiva che il popolo avverte e

riporta a un astrificazione solenne, ad una genealogia celeste, come avvenne a

Palermo, là dove i palermitani lo indicarono come discendente di S. Rosalia o

come lo vollero rappresentare le plebi meridionali, benedicente insieme a

Cristo. Anche la sua controfigura di assatanato, che veniva propalata nelle

sacche della resistenza borbonica, faceva riferimento, comunque, ad una

speciale alleanza faustiana senza la quale non sarebbe stato possibile che

1089 garibaldini in male arnese potessero prevalere su un esercito agguerrito

di 30000 soldati e sbaragliarlo con grande confusione e perdite di uomini e

mezzi.

Ferito all Aspromonte il Trasibulo di Caprera 7 è il simulacro di Achille

sotto le porte Scee; come avvenne al Pelide la vita fugge attraverso la vena del

calcagno, perché gli eroi con esso soltanto toccano la terra, resecata la quale

lo spirito s invola nell empireo dell Ideale da cui proviene e a cui si

ricongiunge dopo aver sofferto la passione della testimonianza.

Il Redentore della Nazione fu sottoposto al supplizio decretato dove Rattazzi

impera 8. Contro il desiderio del Re fu vilipeso e angariato da una truppa

superba, trasportato per nave con rischio di cancrena fino a Livorno,

7 G: Carducci, Dopo Aspromonte, v. 36, op. cit. p 335 8 G: Carducci, ivi.

10

imprigionato come un malfattore, liberato più per discrezione politica che per

raccapriccio di quel misfatto; trovato dopo molteplici tentativi un esperto

chirurgo che estrasse l empia palla ricevuta al malleolo fu relegato, infine, in

libertà vigilata a Caprera.

Altra volta negli agguati corsari lungo il rio della Plata ricevette una palla che

lo traforò da parte a parte sotto l orecchio, eppure in quella circostanza, senza

il soccorso della medicina riuscì a ristabilirsi. Allora, però, l eroe era diremo

così- in formazione; egli stesso doveva prendere consapevolezza di un destino

a lui riservato e che baluginava solo alla sua mente; egli lo rincorreva con il

suo istinto predatorio, sempre restando integro di mente e di cuore fino a

quando le sorti d Italia non si congiunsero alla sua. Ma all Aspromonte

l Achille italico deve tornare nell Ade di Caprera; la novella Troia, Roma

papale, dovrà cadere per mano di consiglieri fraudolenti, di ulissidi della

diplomazia. Dopo Aspromonte la stella si oscura, Bezzecca e Monterotondo

furono fuochi fatui che si spensero a Mentana, là dove la tecnica delle nuove

armi aveva sopraffatto l ardimento e il coraggio dei suoi camiciati negli

attacchi alla baionetta. L epopea romantica dell insurrezione dei popoli era

terminata, le armi automatiche, le mitraglie e i gas saranno i differenziali

strategici delle armate e quei centocinquanta morti di Mentana, che furono

compianti come termine di inopinata sciagura, saranno moltiplicati per

centomila nelle guerre successive e in quella catastrofica della I guerra

mondiale, con cui si concluse il percorso risorgimentale dell Italia.

Fatta l Italia la guerra insurrezionale si rivolge contro il nemico interno, a

favore dell umanità, contro la palude degli speculatori, che avevano ben

tradotto in prosa di profitto la poetica fanfara rivoluzionaria. Se la poesia di

Nievo e di Mercantini, i commentari di Abba e Bandi e tutta la letteratura

11

garibaldina in lingua e vernacolo lo celebrano pari agli Dei, nel suo tramonto

e nella sua morte altri,non meno ammirati ingegni, come Cavallotti e

Rapisardi lo commemorano come un nume da evocare contro i contemporanei

a favore dell Altra Italia , auspicata e vanamente sperimentata. A questo

punto la storia del generale diventa Leggenda. Come in quella del Re Artù i

garibaldini sono assunti come cavalieri difensori di una sede vacante, in

attesa di una renovatio imperii, di un ritorno del generale, di un gioachinismo

profetico che avrà in D Annunzio e in Mussolini le più attraenti imitazioni.

Le celebrazioni e gli anniversari servono talvolta a seppellire di nuovo più che

a resuscitare un eroe, a placarne il nume piuttosto che a risvegliarne il Genio, i

vivi hanno sempre sui morti il vantaggio di emettere una sentenza in

contumacia; da qui deriva la magniloquenza apodittica delle proposizioni,

ardite fino a toccare il cielo, o la banalità celata nell anacoluto del quotidiano,

insomma la retorica, come arte della mistificazione dei discorsi, che per

penuria di un linguaggio illustre ricorre a un concettismo, presente sotto la

specie di ossimori ingiustificatamente risolutori.

E sorprendente la nota di Carducci, a un anno dalla morte dell eroe,

sugli gnomi che hanno schiaffeggiato la volontà dell eroe facendo vista di

carezzarla, quegli gnomi che cantando alte le litanie dell eroe dicevano sotto

voce va giù vecchio babbuino, sotto terra: la tua carcassa potrà servirci

ancora a qualche cosa!. Oh come gli gnomi possono tutto e la retorica caccia,

a pedate di periodi epilettici, l epopea e una nazione non sa far chiasso che per

un giorno o due 9

9 G.Carducci, Da Confessioni e Battaglie, Roma, Sommaruga,1884

12

Il poeta laureato si riferiva in quella occasione alla inadempienza

testamentaria di due brave persone il Falleroni e il Pennesi che non attesero

alla volontà di Garibaldi circa la sepoltura. Egli sarebbe voluto salire sulla

pira come un Ercole dopo le fatiche; se gli atomi del suo corpo mortale

fossero stati dispersi in mare più difficile sarebbe stato il compianto

oltraggioso per chi carduccianamente sapeva che sol nella morte è il vero .

Nelle sedi istituzionali recentemente Garibaldi è stato celebrato secondo la

revisione di una storiografia più attenta alle emozioni che all esegesi, come un

rivoluzionario disciplinato , cioè un rivoluzionario obbediente, cosa che

contrasta con la logica del giudizio e con il racconto dei fatti. Garibaldi fu sì

un rivoluzionario, incarnò lo spirito dionisiaco di una generazione, fu il vento

oceanico che gonfiò le vele, ma non fu la nave. Raggiunto il porto va a

gonfiar altre vele ad altri porti, chiamato dal grido dei popoli alla libertà. Egli

fu veramente il Messia di quella religione del XIX sec, che Croce chiamò

religione della libertà ,10 religione paolina contro la legge, una religione

spirituale, storicamente religione di popolo. La ciurma politica ed

ecclesiastica stanno al popolo come ,in Paolo, la Legge sta allo Spirito.

Garibaldi fu sì un rivoluzionario, ma non fu mai obbediente, non obbediente a

Mazzini, non obbediente a Cavour, non a Rattazzi, non a tutte le

congregazioni dei politicanti che pensavano che fatta l Italia si dovessero fare

gli Italiani secondo la logica degli interessi, che prese il nome di

trasformismo. Egli fu sì obbediente, ma all Idea. L ossimoro usato nella

declamazione celebrativa è una coincidenza nello stesso genere di specie

diverse, diletta l orecchio ma non edifica la mente.

10 B.Croce, Storia d Europa del sec XIX, Bari 1960, p. 5-seg

13

Un tale uomo avrebbe in tempi eroici meritato la morte, che è l epilogo

naturale di ogni grandezza, ma l epoca moderna ha orrore del sangue, l esilio

e la galera hanno sostituito il patibolo. Garibaldi a Caprera, pensionato dello

Stato, accartocciato dall artrite, è emblema del carattere della moderna civiltà,

tendente all imborghesimento del mito, come era stato celebrato da Abba,

Pascarella, Carducci e Cavallotti, stazzonante quadriga bellica di un Italia

unenda e di un Italia unita.

14

La cattedra di Minosse

Carducci fu garibaldino in arte come Garibaldi fu carducciano in armi. Le

loro figure furono speculari; dalla cattedra bolognese il giovane poeta

celebrava con eolico canto le gesta di quel generoso, che sui campi di

battaglia resuscitava i Mani dei Deci, degli Orazi e delle rustica virtù dei

comuni d Italia oppressa sotto il piede della sacerdotale superstizione.

L inno a Satana fu un proemio lucreziano vòlto a fomentare l impeto della

nazione ad appropriarsi della natura non per disprezzarla ma per goderla. La

storia come la natura deve essere purificata, tale lustrazione avviene non

attraverso una trasmutazione dei valori, ma per via di una restaurazione della

memoria divenuta peana dei combattenti.

Il Vate della terza Italia, non fu il buccinatore della propaganda nazionale, ma

il profeta che trasse dalla congerie letteraria il troppo e il vano per farsi

legislatore dei metri e delle virtù civili. In tale palinsesto dei secoli brilla ai

suoi occhi:

.di Nizza il marinaio

Biondo che dal Gianicolo spronava

Contro l oltraggio gallico: d intorno

Splendevagli, fiamma di piropo al sole

L italo sangue 5

15

Per l editore Zanichelli Guido Mazzoni raccolse in occasione del I centenario

della nascita del Dittatore tutti gli scritti di Carducci riferiti a Garibaldi: A

Giuseppe Garibaldi , Sicilia e Rivoluzione , Per Eduardo Corazzino , Per

l anniversario di Mentana , In morte di Giovanni Cairoli , Scoglio di

Quarto ecc. insieme alle prose varie e al suo epicedio in occasione della di

lui morte.

Sono tutti testi che la memoria di ogni italiano appena coltivato conserva

come patrimonio del suo curriculum scolastico. Ma in tale raccolta vi sono

contenuti i meno noti versi che Garibaldi scrisse per Carducci, in cui si

percepisce il magistero del maremmano, che sintonicamente risuona con i

suoi versi nella vibrante spada del generale.

In entrambi la lucreziana forza vindice della ragione è un appello a Satana,

a un daimon che scuote nel profondo le forze della coscienza oltre le

flammantia moenia mundi della Menzogna, alla conquista del Vero:

O vate illustre di Satana, accogli

Un abbraccio fraterno. Alla menzogna

Sostituire il Vero, ecco la méta

Della tua vita intemerata. E ai regi

Mostrar le colpe onde van lorde ai danni

Delle misere genti.11

Come per Lucrezio la menzogna della religio induce al sacrificio di Ifigenia,

qui la religio regale, monarchica e sacerdotale, cospira al sacrificio dei

popoli; Carducci e Garibaldi purificano il popolo dalla teocrazia come

l illuminista latino aveva purificato la natura dalla superstizione dei poeti

teologi.. L equivalente della natura naturans lucreziana è il popolo come

11 ibidem

16

soggetto politico Dopo la rivoluzione francese non si potrà più prescindere

da tale soggetto; Satana è lo spirito rivoluzionario che spinge i popoli

all autocoscienza contro la canaglia che li calpesta. E una proposta

rivoluzionaria, non nei termini di un Aufhebung dialettica, ma in quella di un

radicamento della coscienza nella tradizione dei padri, nella azione

pedagogica al cui scopo fungevano ad unguem un cattedratico e un eroe.

.. e il nostro sole

Che dalla terra d Archimede, ai laghi

Su cui Volta crescea, tanta irraggiava

Lieta campagna di fiorenti méssi

Spense dunque il suo lume?12......

La posizione rivoluzionaria di Garibaldi e di Carducci è identificabile con

quella binità mistica: Italia e Poesia, còlta da Papini 13 come la religione di

Carducci -e noi diremo d entrambi- se la poesia è non solo invenzione di

metri ma anche atto creativo di organismi politici.

Per quei Dioscuri d Italia la decadenza dell una e dell altra è ascrivibile ad

una condizione di fatto. Il rimedio non è offerto dalle aracniche tele di quel

vinattier di Stradella , che portava già nel nome lo stigma del suo pretesco

trasformismo, ma da una flagellazione dei costumi e una permanente

vigilanza dei padri sulle corruzione dei figli. Essi finirono per essere ,rispetto

alla loro generazione, degli inattuali , pur essendo dei protagonisti; per

entrambi quindi era fatale il confino dalla patria e dalle lettere nelle

cateratte della universale compromissione, ove a stento anche nelle

celebrazioni

si troverà un ricercatore d oro sepolto in quel Reno:

12 ibidem 13 G: Papini, L uomo Carducci, Milano1963,p.55

17

I colli ancora ove crebber del mondo i vincitori

Splendon ancor della bellezza antica.

L ha un popol d aborto isterilita,

L hanno corrotta i reggitori suoi

Che stretti con la lue sacerdotale

Fecer mercato delle sue ricchezze.14

.

Non è scandalosa l invettiva contro la lue sacerdotale , perché in Garibaldi, a

suo modo religioso, essa fa parte di un topos letterario che ha il più illustre

riscontro nell Alighiero. L invettiva, infatti, è un connotato specifico della

valutazione degli eventi secondo griglie morali. Parafrasando Pascal si

potrebbe dire che la politica ha delle ragioni che il cuore non comprende, ma

Machiavelli non era una fonte di ispirazione né per Garibaldi né per Carducci.

Così in Garibaldi che fu un uomo d arme si natura vetat facit indignatio

versus ; la causa della decadenza politica è di prezzolati sgherri,

..Infami

Delle vecchie tirannidi istrumenti

Gavazzano al governo; e i sacerdoti

Della menzogna a lor stan presso, e insieme

Opprimono le genti. E gemon queste

Alla miseria condannate e a l onta.15

Il moralismo a causa di un deficit di strumenti interpretativi è corrivo al

qualunquismo; ogni nobile magistero nella sua senescenza diventa fomite di

risentimento e occasione di declamazione, suasoria inascoltata o

pazientemente sopportata.

14 Garibaldi, op.cit 15 ibidem

18

Carducci è il poeta hölderliano post-romantico che nella notte va inseguendo

le tracce degli dei fuggiti; sono i poeti-eroi e sacerdoti, quelli delle primavere

sacre, che benedicevano le armi dei difensori della libertà comunale e

consacravano a Dio la terra con i suoi frutti. La religione carducciana è una

liturgia pagano-pontificale, che celebra il carmen secolare dell antica Roma;

l unione della spada e del pastorale è una grifagna generazione, secondo la

tradizionale figurazione ghibellina. La rivoluzione francese ha ghigliottinato

tale bestialità dell unione del trono e dell altare. Carducci esulta alla generosa

difesa di Garibaldi della repubblica francese. Egli dimentico del 48 e di

Mentana, non poteva dimenticare il 1789 e il 1793 e contro la politica delle

mani nette della diplomazia e del giornalismo italiano, ove non mancano i

nepotucoli di Machiavelli rinforzati nell aceto dei gesuiti e conservati nella

salamoia delle polizie dei passati governi ,16 corre in aiuto della sua patria

ideale, dopo che Villafranca l ha fatto straniero alla sua.

Anche lì, nel parlamento francese, dopo essere stato il solo dei generali

francesi che ebbe riportato vittoria in campo, fu ammutolito dai deputati,

perchè straniero, e se non fosse sorta in quella assemblea la voce autorevole di

Victor Hugo -innalzata a difenderlo- la Francia avrebbe perduto il suo onore

e il Parlamento la sua dignità.

Il 4 giugno 1882 Carducci teneva una solenne commemorazione per la morte

di Garibaldi. Nel teatro Brunetti la sua eloquenza risuonò come quella di

Antonio sulle misere spoglie di Cesare, se il Dittatore fosse stato Cesare e il

Vate Antonio:

La parte migliore di noi è finita egli esordì-, quella bionda testa con la

chioma da leone e il fulgore d arcangelo, che passò risvegliando le vittorie

16 G. Carducci op. cit, p. 54

19

romane e gettando lo sgomento e lo stupore negli stranieri, lungo i laghi

lombardi e sotto le mura aureliane, quella testa giace immobile e fredda sul

capezzale di morte. 17

Con Garibaldi si conclude un eone storico; come il Napoleone manzoniano

egli è l orma di un Onnipotenza che ha stampato sul suo volto la luce

angelica che suscita sgomento ai tiranni e stupore agli oppressi. .

L antimanzonismo carducciano fu di natura letteraria non etica. L angelo

dell Apocalisse nazionale insieme allo sgomento suscita stupore , come

accade di fronte ad un apparizione celeste. Un coccodrillo moderno avrebbe

usato per penuria dei differenziali lessicali la parola terrore , incurante della

inconciliabilità semantica tra cielo e terra.

Garibaldi per il maremmano è familiare di un Olimpo ove dimorano

Timoleone, Milziade, Epaminonda e Pelopida, che il destino della nazione a

tempo opportuno chiama ad incarnarsi per le missioni fatali.

Il campo di battaglia fu per l eroe dei due mondi il Tabor della sua

trasfigurazione; come Gesù conversava con Elia e Mosè nella mistica

comunione dei profeti, i grandi condottieri sono in comunione mistica con il

Dio degli eserciti , che invocato dai miseri viene in soccorso agli oppressi. Si

spiega così lo sgomento che produceva in battaglia la pulcelle d Orleans e lo

stupore che incuteva Napoleone sui campi di Austerlitz. I forti hanno un

proprio Wahalla a cui intemerati sospirano.

Ma cosa accadrà alla sua morte? Calato il sole incombe la notte e quindi

avanti la destra anarchica e socialista per riagguantare il potere! Avanti la

Sinistra, conservatrice e sbirra per ritenerlo!... e voi progressisti con le

17 G. Carducci, Discorso per la morte di Garibaldi, op. cit. 88

20

soperchierie dei saliti ad altezze insperate e con le paure di aver fatto troppo o

di troppo fare per rimanerci! E voi repubblicani, col bizantinismo sonante,

con le frasi che si infingono di minacciare e spaventare e mal richiamano a un

Bengodi in aria a un popolo che non vi intende, voi spicciolati in tante sétte

quante sono le formule se non le idee, quante le vanità se non le ambizioni, sì

che gli avversari possono dire di voi. ei fanno del gran rumore, ma sono

quattro noci in un sacco! .18

Nel tempo dell assenza ai vivi non è lecito ricongiungersi con i morti se non

attraverso quelle liturgie funerarie, quelle nekuie, che la civiltà omerica ha

tramandato alla posterità, ove gli amici gettavano sul feretro e imponevano

sulla pira le cose a sé più care ad indicare la comunione eroica con il morto.

Qui, invece, nel tempo della tristezza ci sarebbe ristoro se i partiti dal

monarchico il quale vantasi alleato Giuseppe Garibaldi al socialista, che da

lui si credè iniziato e abilitato, intorno alla pira che fumerà sul mare

gettassero non le loro cose più care, ma tutto quello che hanno di tristo 19

Questa liturgia proposta da Carducci ai contemporanei di rimettere sulla

tomba di Garibaldi non i segni della loro gloria, ma della loro miseria esalta il

dittatore al rango del Redentore. Così si spiega il gemellaggio che

nell immaginario popolare fu fatto tra Garibaldi e Cristo. Esso riguarda le

figure non le persone, sono equivalenze metaforiche, e quindi poetiche, che il

popolo è solito stabilire tra cose di diverso ordine e di diverso genere per

connotare nella sua povera grammatica la forma del superlativo.

18 ibidem 19 ibidem

21

Una colonna Traiana per Garibaldi

Il racconto è la cassa armonica delle grandi imprese; la poesia è una

partecipazione mimetica alla gloria militare attraverso lo schieramento

ordinato di parole, affinché colui che non vi ha partecipato possa

rappresentarsela alla immaginazione e chi vi ha preso parte possa ravvivarla

nella memoria.

Gli aedi sono i delegati dei posteri a certificare il coraggio e il dolore dei

pochi, che hanno procurato la fortuna di molti. Quando tra l evento accaduto e

quello narrato si distende lo spazio dei secoli allora le Muse invocate

ammantano l epos in una temporalità aoristica, che vince di mille secoli il

silenzio.

Se la catarsi del racconto è impedita dalla crudeltà dell esperienza, allora

all epos si sostituisce il diario, lo zibaldone, il brogliaccio delle furerie

militari, le schegge dell esperienza, salvate per essere poi raccolte dai poeti.

Quando accade, poi, che tali annotazioni siano registrate da un poeta, che

trascrive i suoi appunti non su un taccuino di fureria, ma sulla pergamena

rullante di un tamburo, allora avremo l Iliade garibaldina fedelmente

raccontata da Giuseppe Cesare Abba.

Le sue noterelle da Quarto al Volturno20 risolvono una questione poetica

giudicata irresolubile riguardo alla mostruosità di genere nella stesura di un

componimento storico. Qui non è la storia che deve essere trasposta in poesia,

ma è la poesia stessa che si fa storia. La navigazione dei Mille sul Piemonte e

20 Giuseppe C. Abba, Da Quarto al Volturno, Bologna 1970.

22

Lombardia è una ricognizione geografica dei confini d Italia, un acquisizione

territoriale procurata attraverso la storia ad essi legata, un periplo in cui non si

fa il punto sul mare guardando le stelle nel cielo, ma sulla terra ricapitolando

la storia patria.

Ponti, chiese, città e campagna, uomini e cose sembrano bloccati come

prigioni nel marmo della storia invocanti un riscatto ai sopravvenienti

liberatori.

E stato Luigi Russo21 il primo che ha colto lo spirito mistico effuso in

quest opera, una sorta di Filotea garibaldina per accendere i cuori, perché non

c è pedagogia efficace se non si accendono i giovani col fuoco

dell entusiasmo e con l onesto incitamento alla magnanimità. L errore

pedagogico moderno consiste nel convincimento che il metodo critico possa

risultare efficace alla educazione dei giovani, nel sostenere che il criterio delle

scienze sia applicabile alla politica (perché politico è il compito

dell educazione), mentre i giovani reagiscono mimeticamente ad esempi che

li esaltino alla grandezza.

Abba si era proposto questo compito pedagogico narrando non solo le gesta di

Garibaldi ma anche del suo Labieno, Nino Bixio, questa furia di guerra,

artefice della vittoria di Calatafimi e tramite severo tra i soldati dell autorità

del suo Generale. Scrivendo una storia dei Mille narrata ai giovinetti egli si

proponeva che quella tenera età non disdegnasse di farsi emula della

grandezza dei padri. Quella spedizione non fu, come quella di Troia, adunata

dei più eletti duci d Italia, ma di popolo minuto di diverse lingue convocata

dai campi, dalle cattedre, dalle professioni e anche dalla suburra delle città,

perché un popolo non è solo una galleria di busti eroici, ma anche un

21 L. Russo, La letteratura garibaldina, in Il tramonto del letterato , Bari 1968, p. 264 seg.

23

coacervo di provenienze e destini diversi, di timidi, di transfughi, di

millantatori.

Quella spedizione servì a fare veramente un volgo popolo, come dice

Manzoni uno d arme, di lingua d altar, di memorie, di sangue, di cor ,

perché l unità nazionale non esiste ante rem, ma è il risultato di una dolorosa

partecipazione ad un evento comune. Solo fino a quando permane tale

memoria sussiste una nazione come unità organica.

A Quarto si raccoglie una moltitudine di uomini, che non avevano una

cognizione di causa precisa dell impresa che andavano a compiere; in molti

risuonava ancora come una fanfara l eco del 48 e del 59. Come avvenne

nella spedizione di Colombo la ciurma non ha nel viaggio di andata una

consapevolezza dell impresa che va a iniziare, si affida alla stella di un capo,

acquieta i moti di insubordinazione al solo vederlo, resiste alla tentazione

della fuga nel pericolo e solo nel regesto del ritorno i tentennamenti e i dubbi

dell incertezza diventano coefficienti integrativi dell umano eroismo.

I caduti vengono chiamati per primi nell assegnazione delle medaglie al

valore ed essi rispondono all appello nella coscienza dei commilitoni

sopravvissuti, perché questo è il miracolo compiuto da ogni milizia, che nel

cuore nessuna croce manca . Altri -come Catoni- che aveva consumata la

sua età sulle pagine dei classici, mette in corrispondenza i luoghi geografici

che visita con quelli letterari, che emergono dalla sua memoria e i personaggi

della vita quotidiana con il lustro di quelli celebrati dai poeti. Così presso

Benevento un ponte dirupo viene indicato come quello in co del ponte

presso Benevento ove cadde in battaglia Manfredi e la fuggitiva bellezza

delle donne siciliane è assimilata alla fugace seduzione di Pia dei Tolomei.

24

La letteratura ha anche questo ufficio, quello di nobilitare la vita della gente

meccanica e di esaltarla uguagliandola a quella dei grandi.

Non solo il cavaliere dell Ideale, si aggira nella Mancia d Italia; al suo seguito

si accompagna il Sancho di Leonforte, Mangiaracina, un ippopotamo che con

la sua mole fa rompere il passo a tutta la compagnia. Egli non ha la forma del

soldato e risponde all ingiuria del capitano Tanara: Ma tu perché sei venuto

con noi, l Italia che se ne deve fare della carnaccia tua? , con un evangelico

cavedano, ci aggio no core anch io! 22. Tanara gli strinse la mano.

Questo è il nucleo del futuro esercito italiano, fatto non di elmi chiodati e di

passi marziali, ma di virtù domestiche aduse alla pazienza, al sacrificio, alla

misericordia.

E un cuore ce l hanno anche i frati e preti siciliani che all arrivo dei mille

offrono accoglienza agli scomunicati. Fra Pantaleo si sveste del suo saio e

rifacendo a ritroso il percorso di S. Francesco veste l armatura di cavaliere per

la liberazione del sacro sepolcro d Italia dal saracino borbonico. Come in

una cerimonia di investitura medioevale egli impone la Croce nella cattedrale

di Alcamo sul capo di Garibaldi, che si sottomette, perché il dittatore non fu

alieno dalla religiosità popolare come dimostrò a Napoli, quando baciò le

reliquie di S. Gennaro. La comunione organica tra religione e popolo fu il

connotato della civiltà medievale esautorata dalla Controriforma. Garibaldi fu

in questo un apparizione del Medio-Evo nell età moderna. Parcere victis et

debellare superbos è il carattere dell imperium e Garibaldi ha sempre

osservato questo principio che fa della guerra, che è uno scatenamento

primitivo e mortale di energie ancestrali, un arte cavalleresca e infine un

evento umano, ove è possibile lucrare benemerenze, come in tutti gli altri

22 G:C:Abba, op.cit. p.178

25

ambiti in cui si esprime il coraggio pietoso dell uomo come attore e

protagonista della propria storia.

A Capua al Grinzotti, colonnello dei Mille, che gli consigliava di lanciare due

bombe sulla cittadella per abbreviarne la resa (soluzione Hiroshima?) rispose:

No, se un fanciullo, una donna, un vecchio morisse per una bomba lanciata

dal nostro campo non avrei più pace! 23 e alle proteste del Grinzotti che

opponeva il fatto che così si sarebbero risparmiate molte vite dei suoi soldati

che morivano di febbri e di malattie e che la vittoria sarebbe stata usurpata dai

Piemontesi, Garibaldi rispose che erano venuti non per la gloria e che

partendo avevano messo in conto di morire. La spedizione dei Mille fu

l ultima spedizione epica classica e l opera di Abba fu il reportage di una

crociata, prosecuzione della Gerusalemme Liberata e capitolo inconcluso di

altre imprese auspicate dall autore in futuro:

Questo vento ( le discordie civili che si profilano all orizzonte) ci piglierà

tutti, ci mulinerà un pezzo come foglie, andremo a cadere ciascuno sulla porta

di casa nostra, fossimo come foglie davvero, ma di quelle della Sibilla;

portasse ciascuna una parola: potessimo ancora raccoglierci a formar qualcosa

che avesse senso, un dì; povera carta!...rimani pur bianca .. finiremo

poi 24.

Quelle battaglie non erano ancora entrate in un economia di guerra dall esito

catastrofico. Le memorie di Abba sono la registrazione documentale di fatti,

nomi e persone, una prosopopea sinottica edificata in tutte le piazze d Italia,

con il monumento a Garibaldi e ai garibaldini, prima che le trincee, i lager e le

fosse comuni rendano abominevole la guerra e perciò più orribile e

incombente.

23 op. cit. p. 260 24 op. cit. p. 264-265

26

Tantae molis erat Romanam condere gentem (Verg. Aen )

Per auspicare ogni fondazione gli Dei chiedono sacrifici; il pomerio della città

è un tracciato di sangue. La città è un temenos sacrificale di compensazione

riservato agli ecisti -mitologici o storici- che per primi vi hanno innalzato un

altare. Essi sono gli eroi tutori di un area civile inespropiabile senza una

liturgia compensativa, ben conosciuta dai Romani come evocatio . Roma è

una città sacra perché è l urna dei suoi morti ante diem; il prezzo della vita

personale e collettiva è pagato dal sacrificio, da un rito di sostituzione.

L antica Roma è stata edificata così, sul sacrificio dei Camilli, dei Deci e dei

Fabi, la seconda Roma sul sangue dei martiri cristiani e la terza Roma, quella

risorgimentale, ha dovuto pagare al dazio della storia lo stesso tributo.

Giuseppe Cesare Abba ha trasferito il romanzesco della gente meccanica e di

picciolo affare nell epillio di contadini e artigiani effigiati nella colonna

traiana del trionfo garibaldino; il destino della famiglia Cairoli-invece-

appartiene al mythos della tragedia, perché dei cinque figli che Adelaide,

questa Niobe italica, educò all amore e al sacrificio della patria, solo uno

ritornò, come un soldato Ryan, colpito dal destino e risparmiato come ultima

riserva di coraggio e di patriottismo per i posteri.

Ernesto, Enrico, Giovanni, Benedetto, Luigi, furono i moschettieri che

difesero fino al sangue l impresa che il loro Generale aveva iniziata, quando

approdò sulla sponda lombarda del lago Maggiore.

Nella prima battaglia ingaggiata con le truppe dell Urban cadde a Varese

Ernesto, stelo appena spuntato sul campo di battaglia e subito reciso, come a

segnare l incipit del martirologio della sua famiglia. Luigi si spense a Napoli

27

per le febbri tifoidi colà endemiche, Benedetto miracolosamente risanato dallo

spappolamento della gamba, fu conservato solo perché su di lui si riversasse

la pietà e la devozione degli italiani per la sua casa; Enrico e Giovanni

caddero uno e l altro in

e in seguito all assalto di Villa Gloria, novelli

Eurialo e Niso balzanti dai versi di Pascarella come da un Virgilio

vernacolare.

In XXV sonetti, che sono lapidi d osteria, Pascarella fu il reporter

dell impresa dei settanta di villa Gloria, di cui fu partecipe protagonista:

Storia autoptica diremo con Tucidide, composta di racconti rifatti secondo il

metro della retorica popolare, che è l iperbole. Se la retorica classica è il

sublime procurato con la locupletatio verborum, quella popolare è una

locupletatio figurarum; la gigantografia è ottenuta attraverso una reductio del

sommo all infimo, della sovrapposizione nella diegesi popolare dell umile e

alto compendiato nella pericope familiare del diminutivo: Righetto e

Ninetto, come se fossero due capetti di borgata.

Per questo, prima di pija er fucile,

si qualcuno de vui non se la sente,

Lo dica e sòrta fòra dalle file-

dice:-non c è nessuno che la pianta?

E siccome nessuno disse gnente

Dopo pranzo partissimo in settanta.25

Pascarella ha una naturale vena a trasporre in endecasillabi eroici l onda sonora del

dialetto romanesco. Egli è il Tito Livio della storia garibaldina, tradotta nella lingua

fresca di Trastevere, epilogo della vera storia universale che fu per lui quella

romana. Quivi i fatti diventano leggenda; i suoi sonetti sono cantari spiritosamente

25 A riscontro del fatto che la trasposizione vernacolare di Pascarella non si allontana dalla redazione certificata dei fatti come erano veramente accaduti cfr. Pietro del Vecchio, La centuria di Ferro, Milano 1937,p. 89

28

innaffiati di Frascati. L osteria è un opera dei pupi ove a Garibaldi cedono il passo

Orlando, Rinaldo e il Saladino.

Tutta! E dovunque la portava in guerra, L eserciti più forti, nelle mura, Chiusi nella fortezza più sicura,

Tremavano e cascavano per terra. E tutte l imposture della terra

Non furno bone a métterje paura Tutte! Manco la morte in sepportura,

Manco la Morte giù da sottoterra. Chè quanno che framezzo alla battaja

Nel mejo der pericolo più forte, je s accostava in mezzo alla mitraja, Come che lui, capisci?, la sfidava, La morte, pure lei ch era la morte!

Buttava via la farcia e se n annava.26

L epica di Garibaldi in Storia nostra è quella del vincitore, in Villa Glori

è quella dei vinti, entrambe appartengono al registro del racconto popolare.

L eroe popolare nasce nell arena ove si combatte per la vita e per la morte; In

un caso è il soldato vittorioso che nobilita la causa, nell altro è la causa che fa

l eroe, l eroismo coincide con la pietas. Se la vittoria di Achille non fosse

sostenuta della morte di Ettore, l Iliade sarebbe la rapsodia della spietatezza.

Mentre l idioma di Porta, Meli, Belli è quello parlato da una giuria popolare

sentenziosa e parodistica, quello del Pascarella, invece, è tratto dalla

commiserazione plebea, che percepisce nella sventura dei grandi la propria.

Perciò non l amplifica secondo i canoni della retorica dotta, ma la riduce alle

dimensioni del domestico, l iperbole è una figura retorica utilizzabile solo

quando la morte è lontana, ma quando essa si appressa fa gli umili simili ai

grandi. Righetto morendo non pensa alla patria ma al fratello Benedetto, alla

madre, a Gropello, dove spera di riposare. Per il popolo la morte è la fine di

26 Cesare Pascarella, CCXXII Storia Nostra, Milano 1955, p.390

29

una rappresentazione, è la misura dell ideale, direbbe de Sanctis; Ninetto

ferito si piega sul fratello

.Strillò più forte, nun rispose. Lo prese pe na mano,

era gelata. Er gelo de la morte! Je diede un bacio, e tertajanno a stento,

speranno d eser inteso da lontano, Strillò:-M è morto Erìgo in sto momento.

.Io puro Sento che moro e vado a rivedello.

Eurialo e Niso, Giulietta e Romeo, Cecilia e sua madre, sono testimonianze

letterarie che Amore e Morte ad un tempo generò la sorte , perché è scritto

che non c è amore più grande di chi dà la vita per gli amici. La voce del

sangue, l affinità elettiva sono incentivi per i buoni a dare la vita per l altro,

ma percepire l Italia come prosopon personale e collettivo per la quale si

muore gridando: Viva l Italia! è una rivelazione né della carne né del

sangue ma solo dello Spirito della nazione, da cui gli eroi morti per la patria

attendono la Resurrezione.

30

La marcia di Leonida e l Isola di Atlantide

Se Pascarella fu il Turpino del ciclo di Garibaldi Cavallotti ne fu il Tirteo27.

L esposizione dei fatti in lui è un chronicon ricavato da un apeiron di

gerarchie assiologiche e non di sequenze cronologiche. I viventi che

pòpolano l isola dei beati sono incarnazioni testimoniali della stessa virtus

solidalmente circolante attraverso l arco dei secoli. La storia è una ripetizione

del Medesimo negli eoni del tempo in cui essi sono destinati a manifestarsi.

Se non fosse così la storia non avrebbe il carattere del Sacro .

Se essa è concepita solo come progressione tendente all infinito non si spiega

il fatto che possa essere celebrata, perché la celebrazione è l auspicio di un

ritorno di ciò che sempre è stato. In quanto narrazione di eventi auspicati e

non solo accaduti la Storia ha una parentela con la poesia. Sottoposta a critica

-invece- si riduce a un entropica pulverulenza dei fatti, depotenziati di

quell energia che li ha fatti sorgere all orizzonte del mondo e per

disquisizione ideologica diviene tutta aporetica.

Nei pleniluni sopra le Termopili, con altera fronte e sguardo fulminante,

sorge dal tumulo l ombra di Leonida. Il fiero difensore delle porte greche

attraversa in un baleno l onda dei secoli e da Oriente a Occidente visita i

campi ovunque si combatté con cinque contro venti. Ai miseri che invocano

che lì fermi il suo passo, ché la loro virtù non è meno degna di quei prodi che

dietro a lui fermarono la furia dei Persi, nega ogni indugio; egli si avanza e

va, come a un ultimo albergo predestinato: stanotte vuole/ coi morti di

Mentana Leonida morir.

27 F. Cavallotti, La marcia di Leonida, in Poeti minori dell Ottocento , vol. I, Milano-Napoli 1958, p.767

31

Nella sua fase ascendente la vita di una nazione è una compartecipazione alle

ragioni collettive non obliose della morte imminente, perché la vita e la morte

in tale fase sono solo trasparenze dell eterno nel tempo. Il Vero traluce

nell Ideale, che non è una disposizione finzionica di mentori acuti e

interessati, ma l idea stessa incarnata e sanguinante nelle complessioni

gangliari della storia.

Il Vero che diviene documento positivo e riserva plurima dell esperienza, per

decadimento organico rientra nel dominio dell amministrazione. La

politica,così, è solo un succedaneo della immaginazione creatrice e il risvolto

prosaico del Vero, che solo per occasionali contingenze interseca i centri

biviali della Storia.

Nella prima fase la tenzone seleziona i provetti e i capaci; quando la morte è

giudice dell impresa non c è spazio per i capziosi sofismi dei letterati e dei

giureconsulti, contra factum non valet argumentum e la spada è in ultimo il

tribunale di ogni giustizia. Quando i conquistatori dopo aver svolto il compito

per il quale la Provvidenza li ha evocati fanno ritorno alle loro sedi, una

micotica popolazione di gazzettieri, di letterati, di starnazzanti anatre sedicenti

custodi del Capidoglio, diventano gli ermeneuti della volontà dei fondatori. Al

loro risveglio essi direbbero che Altra patria avevano nel cuore, come

scrisse Garibaldi in una lettera da Caprera dell ottobre 1880. Povero

vecchio! Il desiderio acqueta! /Ecco, l Italia dei tuoi sogni è questa28 .

I generosi, i forti, i poeti(come sempre)sono ancor chiusi nelle prigioni

divenute italiane, i birri minacciano ancora gli inermi, sono non più spade

straniere ma domestiche, come se la persecuzione dei giusti fatta dalle patrie

leggi fosse meno vergognosa di quella straniera per cui si era insorti in armi.

28 Op.cit. p.774

32

Né il suolo patrio accoglie i suoi figli, e che differenza c è tra l esilio e

l espatrio se non che quello è subìto e questo è volontario? Un seggio di

cadetto nelle cancellerie del potere europeo sfregia l onore di una bandiera

innalzata in combattimento per più nobili imprese. Prima che il principe di

Salina concludesse il suo filosofico entimema sull epopea garibaldina

secondo la sapienza antica di Gorgia siciliano, Cavallotti e Rapisardi avevano

con maggior pena e più disperato grido cantato nenie all Italia e al secolo

che muore.

La palingenesi si imbarca sul naviglio dell Utopia; il tempo del nostos è

l approdo ad un isola senza tempo, a un porto sepolto, ad Atlantide, splendida

della luce del Vero:

Nulla al mondo è sì vivo e sì perfetto/come quel che già sogno al mondo

parve:/ Dai vapori del sogno esce il pensiero/ La pietosa Utopia madre è del

Vero./ Edea- figlia delle sue sante vision/ con Essa abita il regno/ ed Espero

a cui un intima fede/nel trionfo del Ver l anima gli arde 29 da lei

infiammato percorre la via del ritorno in un viaggio iniziatico oltre la coltre

delle maschere civili e il galateo dei vili.

Quando un ordinamento sociale non risponde più ai suoi fini, ogni nobile

attività deve essere rivolta ad affrettarne la totale rovina, e a sgomberare il

campo alle nuove idee 30 Il poeta come attore delle sorti civili veste i panni

dell Apocalittico e l Utopia diventa la risorsa in dotazione dei profeti

disarmati contro la corruzione borghese, che non ha nemmeno il carattere

della grandiosità, per essere ascritta, comunque, alla naturale inclinazione

dell uomo al male.

29 Mario Rapisardi, Atlantide, Sandron1894, Cap.I 30 Op.cit. introduzione

33

Contro di essa non la satira, che è un genere letterario nobile, ma la parodia è

la versificazione adeguata alla schizzinosa morale borghese , perché il riso è

fomite di rivolta contro le menzogne e le turpitudini del tempo. I poeti e i

filosofi assegnano a categorie morali o umorali (coscienza di classe, invettiva,

parodia) l innesco della detonazione rivoluzionaria; Espero invoca -contro il

labirinto del Gran Prete, il tempio del dogma, il pantano dei gazzettieri, i

cesellatori del vuoto e tutta la infame famiglia dei conti Zero- il Mane di

Garibaldi che ne faccia vendetta nella battaglia più pericolosa della sua

carriera di generale: Garibaldi, ove sei?/ Dove l anima tua palpita ancora/

viver si attenta una sì rea masnada?/ Trammi da questa gora all infinita/

Pace a cui sempre il mio pensiero è intento,/Tu cittadin d un aereo regno/

Dell Età che fu tua me non indegno .31

31 Op.cit. cap.II

34

Conclusione

Garibaldi è venuto a portare la spada nella tradizione nazionale; con lui e

dopo di lui il nostro Risorgimento ha esacerbato il vulnus che a distanza

secolare è ancora sanguinante. L Italia privata nella sua storia della Riforma,

che fu la rivolta della cultura tedesca contro l imperium di Roma, senza la

quale la Germania non si sarebbe indirizzata verso quella riforma dei costumi

che ebbe in Kant il suo pontefice massimo, rivolse il risentimento della sua

minorità politica contro l organizzazione gerarchica del cattolicesimo.

Scartata l elaborazione dottrinale e teologica, che rese la Riforma organica

alle sorti della nazione tedesca, adottò il costume comunale della divisione

politica, scelse il partito, cosicché i cattolici e i liberali si guardarono per

lungo tempo come reciproci nemici, della Chiesa gli uni e della Patria gli altri.

Il poncho di Garibaldi come le vesti di Cristo venne diviso tra gli assertori di

una ortodossia laica simmetrica a quella cattolica, ma - per difetto di autorità

trascendente- più rigorosa. Tutti i regni fondati da Mahatma religiosi o

politici sono esposti alle dilacerazioni e alle lotte di successione degli epigoni,

i centenari servono anche a questo, come diceva Carducci, a deporre le armi

sul loro monumento perché la loro opera risulti pienamente compiuta.

Luca Sorrentino

35

Fonti ulteriori di letteratura garibaldina

Borghetti Giuseppe

Tutto per lei! Racconto storico (da Villafranca a Bezzecca, Milano 1904

La Canzone di Garibaldi, di G. D Annunzio, Milano, Sandron, 1903

Cocchi

Giovanni, Memorie patrie, Milano,Carminati-Venturini, 1895

Conrad

Joseph, Nostromo, Milano Sonzogno,1930

Curatolo

Giacomo Emilio, Aneddoti garibaldini,Roma, Formaggini,1929

Dall Ongaro

Francesco, Rime e Prose Varie, Como, Gagliardi 1911

Guerrazzi

Francesco Domenico, Il secolo che muore, Roma, Verdesi 1985

Marrani Giovanni, Rapsodia garibaldina,Firenze, Barbera1867

Orsini Luigi, Sonetti garibaldini, Bologna 1903

Ottolini Vittore, Castelfidardo, Milano 1863

Pascoli Giovanni, Poemi del Risorgimento. Inno a Roma, Bologna 1919

Perini Osvaldo, Roma e Venezia a G. Garibaldi.1861

Rigo Pietro, L Ombra di Garibaldi, Milano, Simonetti, 1882

Mameli

Goffredo,Poesie,Milano, Brigola 1878

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