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II mmaatteerriiaallii ccoommppoossiittii
1.1 Generalità sui materiali compositi
I materiali compositi sono una classe di materiali particolari rispetto ai classici materiali
da costruzione quali le leghe metalliche.
Queste ultime presentano caratteristiche di omogeneità e di isotropia, cioè le
caratteristiche termo-meccaniche sono le stesse qualunque sia la sezione presa
all’interno del materiale. Al contrario, per i compositi, si ha una spiccata anisotropia sia
delle proprietà elastiche sia delle proprietà di resistenza.
Il termine “composito” è del tutto generico ed indica un complesso di materiali, tra loro
diversi, che uniti svolgono un lavoro che individualmente non sarebbero in grado di
realizzare. I vari componenti del composito devono essere insolubili tra loro.
Quanto detto è valido a livello macroscopico, altrimenti anche una lega metallica può
essere considerata un materiale composito.
I materiali compositi sono ortotropi e bifasici, cioè costituiti da due fasi solide, una con
funzione rinforzante (fibre) ed una con un compito di legante (matrice).
Anche in natura possiamo trovare esempi di materiali compositi. Il legno, ad esempio, è
costituito dalla lignina (matrice) e da fibre di cellulosa. Il primo esempio tecnologico
però è rappresentato dal mattone di argilla con paglie incorporate.
I requisiti fondamentali delle costruzioni aeronautiche sono la leggerezza, la robustezza
e la rigidezza. I materiali compositi rispondono perfettamente a tali specifiche, sebbene
la fase matrice tenda ad abbassare queste proprietà.
La bifasicità dei compositi è la condizione necessaria affinché vi sia ortotropia.
I compositi, inoltre, hanno un comportamento elastico lineare e fragile. Per questo
motivo sono retti da una legge costitutiva “elastofragile”, in altre parole arrivano a
rottura senza campo plastico non presentando nessuna deformazione permanente se si
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riporta il carico a zero. Tale comportamento è proprio sia delle fibre che della matrice,
sebbene abbiano un modulo elastico differente (minore per la matrice, con un ordine di
grandezza che può arrivare anche a cinquanta volte inferiore).
L’anisotropia, come caratteristica peculiare dei compositi, può complicare molto il
progetto e la verifica di questi materiali. Tuttavia permette di sfruttare al pieno il
materiale disponendo le fibre nella direzione del carico, ottenendo così
un’ottimizzazione della struttura.
In tal modo si giunge al cosiddetto “tailoring”, ovvero alla progettazione congiunta di
materiale e struttura ritagliata in base alle sollecitazioni da sopportare.
Le fibre, infatti, tutte allineate parallelamente nella singola lamina, possono essere
disposte in più orientazioni, secondo la direzione del carico.
Questo si realizza sovrapponendo più strati orientati diversamente, ognuno dei quali è
costituito da una lamina. Si ottiene così un “laminato”.
Le angolazioni delle varie lamine sono riferite ad un sistema di riferimento principale
del laminato, che viene definito in fase di progettazione.
L’uso dei materiali compositi in campo aeronautico si è esteso sempre di più negli
ultimi anni. Negli anni ’80 si è giunti alla realizzazione dei primi velivoli, sia civili sia
militari, costruiti in maniera estesa con questi materiali.
Le applicazioni più comuni, sviluppate in composito a bordo di aeromobili, includono:
• Cappottature
• Superfici di controllo
• Portelli del carrello di atterraggio
• Pannelli del bordo di attacco e di uscita sulle ali e sullo stabilizzatore
• Interni cabina
• Alcune strutture primarie del Boeing 777
Aerei militari, come l’AV8B Harrier II, hanno invece le ali costruite completamente in
composito, mentre negli aerei civili (Boeing 767 e ATR 42) lo sono tutte le superfici
mobili delle ali e del timone.
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Verso la fine del decennio sono stati costruiti i primi velivoli quasi interamente in
composito. Ne è un esempio significativo il convertiplano a rotori basculanti
Bell/Boeing V22 Osprey, nella cui struttura, pesante complessivamente circa 12000 Kg,
sono presenti leghe metalliche per un totale di soli 450 Kg, mentre tutto il resto del peso
è costituito esclusivamente da fibre di carbonio in resina epossidica.
Un altro aereo civile realizzato in questo modo è il Voyager, aereo sperimentale che ha
effettuato il primo giro del mondo senza scalo di circa 43000 Km, della durata
ininterrotta di nove giorni.
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Fig. 1.1 – Moderni Aeroplani costruiti con parti in composito -
In particolare, si può notare come nel velivolo ATR 42 siano usati tre compositi
differenti. Infatti, con il numero uno, si identificano parti in Kevlar-Carbonio e
sandwich in Nomex, con il numero due sandwich di Kevlar-Carbonio e con il numero
tre le fibre di carbonio, usate negli alettoni, nell’equilibratore e nel timone di direzione.
Le motivazioni che hanno portato all’impiego dei materiali compositi si possono così
riassumere:
• Migliore forma del velivolo
• Minore resistenza aerodinamica
• Maggiore leggerezza
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• Migliori rapporti ρ
Ee ρ
σ
• Migliore resistenza alla corrosione
• Migliore resistenza al logoramento
• Migliore finitura superficiale
• Migliore resistenza a fatica
• Migliore isolamento termico
• Migliore isolamento acustico
1.2 Costituzione e struttura dei materiali compositi
L’unione di due o più componenti (fibra e la matrice) deve necessariamente dare luogo
ad un materiale solido continuo, che sia in grado di trasmettere e ridistribuire gli sforzi
interni, dovuti alle sollecitazioni esterne, sui suoi componenti.
Il composito deve inoltre essere in grado di resistere ai carichi termici, se sottoposto a
differenze di temperatura, ed a quelli elettrici se sottoposto a campi elettromagnetici.
Esistono oggi moltissimi tipi di materiali appartenenti a questa famiglia. Non è semplice
eseguire una classificazione.
Un primo ordinamento può essere condotto in base al criterio di continuità:
• Materiali compositi a componenti continui (sia matrice sia fibra)
• Materiali compositi a due componenti, di cui uno continuo e l’altro discontinuo
• Materiali a più componenti, alcuni dei quali continui ed altri discontinui
Nel settore aeronautico si incontrano generalmente i compositi appartenenti al 3°
gruppo.
Un secondo tipo di classificazione può essere fatto in base alla forma geometrica dei
componenti strutturali:
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• Materiali fibrosi con o senza matrice
• Materiali a scaglie con o senza matrice
• Materiali laminati e/o stratificati
• Materiali a scheletro continuo associato con altri materiali continui
• Materiali particellari con o senza matrice
I materiali appartenenti al primo gruppo hanno parti filamentose unidimensionali che
devono essere orientate, sotto forma di tessuti, nelle direzioni più convenienti per
resistere ai carichi esterni. Al quarto gruppo appartengono i compositi a nido d’ape,
molto diffusi anch’essi in campo aeronautico, che richiedono l’associazione con altri
materiali di stratificazione e riempimento.
Prima di definire le caratteristiche delle fibre e della matrice, occorre analizzare il modo
con cui questi componenti interagiscono fra loro.
1.2.1 Interazione fibra-matrice
Le fibre, o rinforzi, sono costituite da corpi solidi resistenti di forma allungata, con
dimensione longitudinale prevalente rispetto a quella trasversale.
Esse forniscono al composito le proprietà di resistenza e rigidezza meccanica, mentre le
matrici funzionano da tessuto connettivo di riempimento tra le fibre.
Pertanto le matrici si trovano inizialmente allo stato fluido viscoso. Successivamente
subiscono un processo di solidificazione, che consente di dare stabilità dimensionale e
geometrica alla struttura.
Ciò consente al materiale di ricevere le sollecitazioni esterne, dovute ai carichi applicati,
redistribuendole alle fibre sotto forma di sollecitazioni interne.
Da ciò si evince che le matrici non hanno compiti strutturali, ma compiti di
trasferimento dei carichi, ad eccezione delle matrici ceramiche, per le quali occorre una
descrizione a parte.
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La trasmissione delle sollecitazioni avviene per effetto delle tensioni tangenziali ed è
assicurata dall’adesione superficiale tra le due sostanze allo stato solido, dovuta ad
effetti chimici, elettrici e meccanici.
Ciò che accade al composito sotto carico, fino all’eventuale rottura dei componenti, non
è di facile trattazione. Tuttavia è possibile fornire un’idea molto semplificata, attraverso
l’osservazione microscopica del comportamento di una cricca, che si propaga per effetto
dell’andamento delle tensioni interne.
Questa cricca interessa inizialmente la matrice, per poi propagarsi attraverso di essa e
raggiungere un certo numero di fibre, causandone il danneggiamento e l’eventuale
rottura. Il comportamento delle fibre assume quindi un ruolo fondamentale per quanto
riguarda la resistenza ai carichi esterni, bloccando, ritardando o favorendo la
propagazione della cricca stessa.
Dalla Fig. 1.2 è possibile notare la presenza di fibre corte disposte in modo casuale.
Le modalità di rottura possono essere di tre tipi:
• Rottura delle fibre di rinforzo
• Estromissione con sfilamento per distacco della fibra dalla matrice
• Separazione della fibra dalla matrice per cedimento di quest’ultima nella zona di
contatto.
Fig. 1.2 – Propagazione di una cricca per effetto di tensioni interne –
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Nel primo caso, la sollecitazione ha superato il carico massimo sostenibile dalla singola
fibra. Il fenomeno può essere evitato aumentando il numero di fibre o cambiandone le
dimensioni o la tipologia.
Nel secondo caso, la fibra non è più in grado di opporsi, in modo valido, alla
sollecitazione di distacco. Essa viene quindi estratta completamente, venendo a mancare
l’adesione tra fibra e matrice.
Se il fenomeno si fosse limitato al solo distacco, senza sfilamento completo, allora la
fibra sarebbe rimasta parzialmente nella matrice, offrendo una residua resistenza
meccanica.
Nel terzo caso, la fibra è in grado di esercitare un minimo di reazione alla sollecitazione
esterna, essendo ancora parzialmente in sede.
La resistenza del composito, vale a dire la capacità di opporsi all’allargamento della
zona di rottura, dipende fortemente dall’estensione della superficie di contatto, oltre che
dall’adesione fibra-matrice.
Fig. 1.3 – Tessuti del tipo biassiale e triassiale –
Fig. 1.4 – Tessuto a maglia ortogonale –
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Fig. 1.5 – Sovrapposizione di diversi strati di tessuto impregnati
con orientazione diversa delle fibre -
La superficie di contatto deve essere grande in rapporto alla sezione delle fibre
considerate. Pertanto risulta elevato il rapporto tra la lunghezza ed il diametro delle
fibre, raggiungendo anche valori superiori a 100.
Le fibre lunghe rafforzano quindi il composito più di quanto non facciano le fibre corte,
a parità di sezione resistente. E’ fondamentale progettare preventivamente la geometria
interna del composito, controllando il più possibile l’orientamento delle fibre, in modo
che siano orientate secondo le direzioni di sollecitazione.
Esistono diverse possibilità di realizzazione del composito, in relazione alla forma ed
alla disposizione delle fibre. Si possono utilizzare fibre particellari o anche singole fibre
relativamente corte e disposte in modo casuale.
In tali casi il materiale non ha doti particolari di resistenza, ma i costi sono accettabili.
Si possono adoperare fibre più lunghe, sotto forma di lane o paglie intrecciate in
maniera irregolare. Per ottenere le desiderate caratteristiche di continuità e resistenza
meccanica, si preferisce riunire le singole fibre in fasci di varie centinaia, sotto forma di
fili o nastri di fibre parallele o attorcigliate.
I fili o trefoli possono essere intessuti tra loro, utilizzando tipi di tessuto diversi secondo
le funzioni del materiale. Nelle Fig. 1.3 e 1.4 sono mostrati tessuti a fili biassiali,
triassiali e a maglia ortogonale.
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In questi tipi di tessuto varia la disposizione delle fibre, ma la loro giacitura complessiva
è bidimensionale: in pratica i fili sono disposti su di un unico piano.
Il tessuto ottenuto ha così uno spessore poco più elevato del diametro dei fili
componenti.
Per ottenere pezzi di spessore rilevante, occorre sovrapporre diversi strati di tessuto,
orientando in modo opportuno la trama, come mostrato nella Fig. 1.5.
Si possono anche realizzare tessuti nei quali l’intreccio dei fili non avviene sul piano,
ma nello spazio, con i fili orientati nelle direzioni previste di massima sollecitazione. In
questo modo, già nella fase di tessitura, si determinano sia la forma sia lo spessore della
sezione finale resistente del composito. Naturalmente i costi di produzione sono elevati.
Prima di essere impregnati con la resina allo stato fluido, i tessuti a secco sono tagliati e
contornati secondo la forma e le dimensioni complessive del pezzo da realizzare.
Questi procedimenti sono utilizzati principalmente per i tessuti in fibra di carbonio, di
kevlar e di vetro. Esistono anche materiali fibrosi, ottenuti da materiali metallici o
ceramici, che sono usati non solo nella forma di fili più o meno lunghi, ma anche nello
stato solido di Wiskers. Questi ultimi sono costituiti da monocristalli filamentosi lunghi
circa 1 mm, con dimensioni trasversali dell’ordine del millesimo di millimetro.
Essi hanno struttura cristallina interna esente da difetti reticolari e quindi possiedono
una resistenza meccanica notevolmente superiore a quella dei normali metalli
corrispondenti.
1.2.2 Le fibre
Sotto il profilo strutturale, le fibre hanno il compito di fornire al materiale composito, le
doti di resistenza e di rigidezza.
Il termine corretto per indicare la singola fibra è “filamento”, ovvero un elemento di
struttura allungata, sottile, con dimensioni longitudinali molto maggiori rispetto al
diametro (circa 10 µm). Riunendo più filamenti in fasci paralleli, si ottiene il cosiddetto
“TOW”, le cui caratteristiche dipendono dal numero di filamenti che lo costituiscono.
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Attorcigliando un TOW su se stesso, si ottiene lo “YARN”. Una caratteristica peculiare
di quest’ultimo risiede nel fatto che, ad ogni pollice di lunghezza, corrisponde un giro
d’attorcigliamento. Ciò conferisce una certa stabilità nei confronti dello sfaldamento. Il
“TREFOLO”, detto anche “ROVING”, è costituito da più YARN avvolti tra loro.
Nella Tab. 1.1 sono riportati gli indici di merito di alcuni tipi di fibre.
TIPO
DI FIBRA
DENSITA’
[Kg/m3]
MODULO
DI YOUNG [Gpa]
RESISTENZA
FIBRA [Mpa]
VETRO 2200 63 3400
KEVLAR 1450 131 3620
CARBONIO 1700 200 2600
BORO 2500 400 3400
ACCIAIO 7860 206 420
ALLUMINIO 2750 71 620
TITANIO 4540 115 1900
Tab. 1.1 – Indici di merito di alcune importanti fibre –
In particolare sono evidenziate le caratteristiche della fibra di carbonio e dell’acciaio.
A parità di modulo di Young, le fibre di carbonio, in relazione all’acciaio, presentano
una densità minore, ma soprattutto una resistenza sei volte superiore.
Con il termine “MAT” si indica un particolare feltro bidimensionale, ottenuto
dall’unione di ROVING e TOW, compattati ed incollati mediante resina e sparsi in
modo randomatico. Statisticamente si può considerare isotropo.
Il “TAPE” è costituito da fibre orientate in una singola direzione, per questo è anche
denominato “UNIDIREZIONALE”. Quando il TAPE non è preimpregnato, le fibre
resistenti sono tenute insieme da fibre meno resistenti, tessute trasversalmente. La
maggior parte del TAPE usato dalla BOEING è in fibra di carbonio, sebbene nei
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pannelli del pavimento sono usati TAPE in fibra di vetro. L’unidirezionale di carbonio è
identificato dalla grammatura, ovvero dal numero di grammi di carbonio per metro
quadrato. Tale fattore è denominato “grade”.
Le grammature usate dalla BOEING sono 95, 145 e 190. La grammatura indica inoltre
lo spessore del TAPE.
Il semilavorato maggiormente utilizzato, denominato “secco”, è il “TESSUTO”,
costituito da una parte di fibre ad andamento rettilineo (ORDITO) e da una parte ad
andamento ondulatorio (TRAMA). Il tessuto risulta più resistente nella direzione
dell’ordito piuttosto che nell’altra direzione, in quanto l’andamento sinusoidale della
trama consente un ulteriore allungamento.
La più comune struttura tessile è la “PLAIN WAVE”, cioè ad onda piana, nella quale la
trama si infila tra un ordito e l’altro.
Le fibre di rinforzo, maggiormente utilizzate in campo aerospaziale per i materiali
compositi, sono sostanzialmente di tre tipi:
• Fibre di vetro (Fiberglass)
• Fibre di carbonio (Carbon Fiber)
• Fibre poliaramidiche (Kevlar)
Si possono impiegare, secondo il tipo di utilizzo, anche altri tipi di fibre come quelle
metalliche e ceramiche.
Per le caratteristiche meccaniche e per le tecnologie di produzione dei singoli tipi di
fibre, si rimanda al rif.[1].
1.2.3 La matrice
Si distinguono diversi tipi di matrice, in base al valore massimo della temperatura di
impiego.
Oltre tale temperatura si verificano fenomeni di degradazione.
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• Matrici polimeriche (PMC)
Queste matrici si possono suddividere, secondo la loro lavorabilità, in matrici
termoindurenti (TI) e matrici termoplastiche (TP).
Le matrici TI sono caratterizzate da un’elevata “bagnabilità”, ovvero si mescolano
facilmente con le fibre. Il legame, di tipo chimico, è molto forte e garantisce
continuità nel composito.
Le matrici TP, essendo fluidi viscosi, richiedono forti pressioni di esercizio durante
la lavorazione. Occorrono quindi macchinari molto potenti che comportano un
grosso onere tecnologico oltre che un elevato costo.
Il legame con le fibre non è di tipo chimico, bensì meccanico. Questo legame nasce
da uno stato di sforzo iperstatico di compressione sul contorno, dovuto al diverso
coefficiente di contrazione termica durante il raffreddamento.
Tra le resine TI spiccano la resina poliestere e la resina epossidica, entrambe di tipo
organico.
Le resine poliestere hanno bassi costi e basse prestazioni e vengono solitamente
impiegate con fibre di vetro, anch’esse di basso costo, per costituire un composito
denominato “VETRORESINA”, molto usato negli scafi delle imbarcazioni.
Tali resine polimerizzano con grande facilità ed in tempi brevi, anche a temperatura
ambiente, per cui si adattano a lavorazioni molto veloci ed economiche. Hanno
discrete caratteristiche meccaniche fino a 250°C, sono resistenti alla fiamma ed
hanno buone proprietà dielettriche.
Le resine epossidiche (“EPOX”) sono adatte a lavorare fino a temperature di 150°C
e, se opportunamente additivate, anche fino a 200°C. Esse possiedono una resistenza
meccanica maggiore rispetto alle resine poliestere, nonché un’ottima adesione alle
fibre, buona resistenza chimica e notevole stabilità termica.
Aggiungendo un additivo elastomero come il BUTADIENE, si conferisce tenacità
alla matrice, diminuendone la fragilità, ma abbassando leggermente le caratteristiche
meccaniche.
Le resine epox rappresentano veri e propri adesivi strutturali.
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• Matrici metalliche (MMC)
Esse costituiscono il settore nel quale è maggiormente concentrata l’attività di
ricerca attuale, per le loro elevate caratteristiche meccaniche ed il basso peso. I
maggiori problemi si riscontrano nell’interfacciamento con le fibre. Tale operazione,
infatti, richiede metalli allo stato liquido, le cui temperature non sono compatibili
con l’integrità delle fibre, dando luogo ad una bassa bagnabilità. I principali
materiali usati sono l’Alluminio, il Magnesio ed il Titanio. Questi compositi sono
ancora in fase sperimentale. I più promettenti sviluppi futuri riguardano i compositi
in grafite-alluminio e grafite-magnesio. Le percentuali di fibra in ogni caso non
superano il 20%, a fronte del 50% nei materiali compositi a matrice polimerica.
Naturalmente gli MMC costano molto di più dei PMC, a causa degli evidenti
problemi tecnologici.
• Matrici ceramiche
Nei velivoli transatmosferici le temperature d’esercizio dei materiali superano
abbondantemente il migliaio di gradi, raggiungendo valori anche di 1600°C per il
volo a Mach 10. Per tali valori di temperatura, i compositi normali non sono più
utilizzabili ed entrano in gioco i compositi a matrice ceramica, ancora in fase
sperimentale. Queste matrici vengono realizzate solitamente con tecnologie di
consolidamento di polveri ceramiche. Il procedimento consiste nella sinterizzazione
dei costituenti, ridotti sotto forma di polveri o granuli minuti e sottoposti a
temperature e pressioni elevate. Le principali caratteristiche delle matrici ceramiche
sono l’elevata rigidezza e resistenza meccanica, l’elevata resistenza all’ossidazione,
alla corrosione ed allo scorrimento viscoso a temperatura elevata.
1.3 Analisi delle difettologie
L’esistenza dei difetti nei compositi è insita nei processi produttivi che li caratterizzano,
sia come semilavorati sia come prodotti finiti.
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I difetti variano per tipo, quantità ed estensione in relazione alla tecnologia impiegata ed
all’attenzione posta durante l’intera fase di produzione.
Alcuni difetti tipici dei semilavorati sono:
• Rottura delle fibre
• Anomala disposizione delle fibre
• Distribuzione non uniforme della matrice
• Contaminazione della matrice
• Prepolimerizzazione della matrice
L’entità dei difetti elencati è strettamente dipendente dall’estensione del semilavorato.
Questi difetti non sono recuperabili durante la fase produttiva del pezzo, se non
scartando la parte difettosa.
La rottura delle singole fibre non è rilevabile, a causa delle ridotte dimensioni delle
stesse. Anche la rottura dei fasci di fibre è difficile da rilevare, sebbene essi abbiano
dimensioni superiori, poiché la discontinuità non risiede nel piano del composito, ma
nel piano perpendicolare.
Le anomalie delle fibre, non rilevabili con CND a US tradizionali, possono essere
rilevate con microscopi ultrasonori.
I semilavorati in carbonio necessitano di una particolare cura durante lo stoccaggio,
disponendo di celle frigorifere particolari. Ciò permette di evitare la contaminazione
delle matrici, causata da polveri ed umidità, nonché la pre-polimerizzazione delle stesse.
Per contaminazione del preimpregnato si intende l’assorbimento superficiale o profondo
di sostanze che degradano le proprietà di bagnabilità ed adesione delle fibre.
I difetti tipici, causati dalla contaminazione, sono le delaminazioni. Queste consistono in
un mancato incollaggio tra le superfici delle lamine. La mancata adesione può essere più
o meno estesa o irregolare, in funzione dell’entità della contaminazione e della forma
della parte contaminata.
Un simile difetto può derivare anche da una pre-polimerizzazione della resina.
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Di diversa natura sono i difetti tecnologici dovuti alla mancata fuoriuscita di gas e alla
irregolare distribuzione della matrice. Questi difetti possono essere ridotti modificando
in modo opportuno il processo tecnologico di produzione, il quale ne influenza il
numero e la tipologia.
Nei pezzi finiti si hanno invece i seguenti difetti:
• Delaminazioni determinate da contaminazione. Questi difetti possono esistere in una
posizione qualsiasi del laminato e presentano superfici di discontinuità più o meno
distanziate nel piano dello stesso.
Sono tipicamente indagabili con indagini US (Fig.1.6).
• Inclusioni di aria o gas, generate durante la fase d’impaccamento delle lamine, più o
meno estese in funzione della lavorazione. Come le delaminazioni, anche questi
difetti sono randomatici ed hanno forme irregolari, ma presentano superfici di
discontinuità più distanziate. Sono indagabili con US (Fig.1.7).
• Porosità, ovvero piccole e diffuse inclusioni di gas. Esse si presentano come piccole
bolle, la cui rilevabilità è legata alla loro dimensione ed al numero per unità di
volume (Fig.1.8).
• Pre-polimerizzazione causata dai difetti dei semilavorati. Essa può degradare in
delaminazione durante la vita operativa. Trattandosi di difetto interlaminare, non
presenta superfici di discontinuità ed è difficilmente rilevabile agli US (Fig.1.9).
• Eccesso di matrice, causato da un irregolare addensamento di resina durante la
polimerizzazione, soprattutto nelle zone del laminato caratterizzate da curvature.
Anche in questo caso il difetto è funzione della lavorazione ed è difficilmente
rilevabile con US.
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• Non ottimale interfacciamento tra matrice e fibra, dovuto al degrado dei
semilavorati impiegati, oppure ad un non corretto ciclo di polimerizzazione.
Rottura superficiale della matrice, specialmente nel caso di lamine unidirezionali,
evidenziata da cricche di profondità pari alle dimensioni della singola lamina ed
estese in direzione parallela alle fibre.
Tali difetti sono difficilmente rilevabili con gli US, mentre possono essere
evidenziati con i raggi X e con i liquidi penetranti.
• Rottura della matrice all’interno del laminato, difficilmente rilevabile con sonde
angolate e non rilevabile con sonde diritte.
• Rottura delle fibre di rinforzo che si presenta attraverso uno sfilacciamento delle
stesse, caratterizzato da una superficie di discontinuità leggermente frastagliata e di
spessore limitato.
Questi difetti sono difficilmente rilevabili con gli US, mentre lo sono con i raggi X,
laddove sia possibile l’assorbimento del liquido di contrasto nella frattura.
Fig. 1.6 – Delaminazione –
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Fig. 1.7 – Inclusione –
Fig. 1.8 – Sacche di gas –
Fig. 1.9 – Pre-polimerizzazione –