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GENITORI E FIGLIINSIEME SI IMPARA QUADERNI per la … genitori... · via A. Ma cinghi Strozzi 42/a...

Date post: 14-Feb-2019
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1 GENITORI E FIGLI...INSIEME SI IMPARA Comunicazione, resilienza e orientamento nel percorso di crescita QUADERNI per la SCUOLA a cura di Enrichetta Spalletta Codice CUP F84H13000220009 A.S.P.I.C. per la SCUOLA via A. Ma cinghi Strozzi 42/a 00145 Roma [email protected] www.aspicperlascuola.it Via V. Carpaccio, 32 – 00147 RM Tel. 06 54135113 e-mail [email protected] www.aspicarsa.it www.studentiefuturo.it MATERIALE DIVULGATIVO RELATIVO AL PROGETTO ORIENTA-MENTI. Percorsi efficaci per scelte giuste.
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GENITORI E FIGLI...INSIEME SI IMPARA

Comunicazione,

resilienza e

orientamento

nel percorso di crescita

QUADERNI

per la SCUOLA

a cura di

Enrichetta Spalletta

Codice CUP F84H13000220009

A.S.P.I.C. per la SCUOLA via A. Ma cinghi Strozzi 42/a 00145 Roma [email protected] www.aspicperlascuola.it

Via V. Carpaccio, 32 – 00147 RM Tel. 06 54135113 e-mail [email protected] www.aspicarsa.it www.studentiefuturo.it

MATERIALE DIVULGATIVO RELATIVO AL PROGETTO ORIENTA-MENTI. Percorsi efficaci per scelte giuste.

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INDICE

PROFESSIONE GENITORE: UN MESTIERE POSSIBILE p. 3

CARATTERISTICHE E CAMBIAMENTI NELLO SVILUPPO :

RIFLESSIONI SUL CRESCERE

p. 5

COSA SUCCEDE NELLA TESTA DELL ’ADOLESCENTE…E I VANTAGGI DEL

SAPERLO

p. 9

LO SPAZIO DELLA RELAZIONE : CONSAPEVOLEZZA DI SÉ , RICONOSCIMENTO

DELL 'ALTRO , COSTRUZIONE DEL RAPPORTO

p. 12

FATICHE EMOTIVE DI GENITORI E FIGLI p. 15

COMUNICAZIONE E DIALOGO : COSA, COME, QUANDO DIRE? p. 17

LE RISORSE DELL 'ASCOLTO ATTIVO p. 18

L'EDUCAZIONE: UNA DANZA TRA REGOLE E CAREZZE p. 22

CHE FARE QUANDO UN PROBLEMA DIVENTA UN PROBLEMA ? p. 23

L’ARTE DI COSTRUIRE SOLUZIONI p. 27

LA RESILIENZA NELLA RELAZIONE EDUCATIVA p. 29

L’ORIENTAMENTO AUTOREVOLE p. 29

QUANDO E A CHI CHIEDERE AIUTO E ORIENTAMENTO p. 37

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI p. 38

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PROFESSIONE GENITORE: UN MESTIERE POSSIBILE

Genitori attenti, preoccupati, indaffarati, distratti, affannati, spesso stanchi,

stupiti, a volte delusi accompagnano la crescita di quei figli che all’improvviso non

corrono più tra le loro braccia, non amano più le loro coccole, e non si divertono più

con le loro favole e contemporaneamente, proprio in questa fase evolutiva delicata,

vengono chiamati a scegliere il percorso formativo che contribuirà a orientare la

carriera scolastica e professionale.

Arriva il momento dei silenzi, dei “non ho niente, lasciami in pace“, dei “so io

cosa fare”, il momento delle “tracce trasgressive” lasciate dappertutto, della lotta per

gli spazi, per i tempi e per le regole, il momento, che dura qualche anno, in cui ogni

cosa, decisione o evento sembra diventare un problema e come tale viene vissuto.

Arrivano gli anni dell’adolescenza e il genitore, osservatore partecipe e

protagonista al tempo stesso, vive la trasformazione, le nuove solitudini, e

“l’irreparabile corsa del tempo” con cui il figlio si appresta a gareggiare.

Spunti per riflettere: Mi accorgo che mio figlio sta cambiando? Cosa provo? Come reagisco quando sento di non comprenderlo? Sono disponibile al confronto? Quali sono le discussioni più difficili da gestire? Ritengo importante quello che mio figlio pensa, sente e dice? Come gli faccio capire che sono interessato al suo modo di essere, alle sue gioie ed ai suoi problemi? Propongo o accetto la sua proposta di argomenti di discussione, su tematiche che ci interessano? Colgo le sue domande manifeste e nascoste? Quanta importanza attribuisco alle sue richieste e quando, invece, le ritengo banali? Quando penso al suo futuro, quali scenari si aprono? Conosco mio figlio, i suoi interessi, le sue attitudini, le sue inclinazioni? Quali sono le sue qualità migliori? Quali sono gli aspetti critici del suo modo di essere? Qual è il mio timore più serio per il suo futuro? Quale la mia speranza? Indicazioni: rifletta sulle domande sopra indicate e ne faccia oggetto di dialogo e confronto, se possibile, con l’altro genitore o con un’altra figura educativa che conosce suo/a figlio/a

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Non esistono né genitori né figli perfetti e non ci sono nozioni scientifiche o

informazioni tecniche che possano dire con assoluta certezza cosa sia giusto fare o

non fare con un figlio, o libri che possano spiegare come non sbagliare mai.

Di certo esiste, oggi più forte che in passato, la difficoltà di rispondere alla

velocità delle trasformazioni e dei cambiamenti, a costruire risposte efficaci, flessibili

e coerenti in un mondo in profonda crisi. In parallelo alla rapidità delle trasformazioni

corre l’incertezza, l’instabilità di garanzie rassicuranti che appartengono ormai al

passato più che al futuro. La messa in pericolo dei requisiti minimi per una vita

decorosa produce disagio a livelli psicologici e sociali, l’incremento della sfiducia in

un futuro migliore e la conseguente carenza di speranza.

L’adolescenza dei figli corrisponde in genere all’età in cui l’adulto si trova a

fare un bilancio della propria vita, da cui spesso emergono frustrazioni, delusioni e

rimpianti, necessarie separazioni dal passato, oppure, a volte, la percezione di avere

ancora sogni ed energie da investire verso una nuova fase della vita.

I vincoli familiari diventano un rifugio, non sempre confortevole, oppure un

impedimento all’espressione libera di sé: così padri, madri e figli vivono un

cambiamento che li coinvolge, contemporaneamente e a più livelli, tutti importanti

per la qualità della vita personale, relazionale e sociale.

I genitori hanno il patrimonio dell’esperienza della propria vita da adolescenti,

così diversa nei contenuti da quella dei loro figli, e così simile nei vissuti, nei

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sentimenti, nell’esperienza del cambiamento. Tutti hanno attraversato i territori

dell'infanzia e dell'adolescenza, seppure con modalità ed esperienze diverse. A volte

l’esperienza personale del genitore può diventare un’ombra inconsapevole che si

sovrappone all’esperienza e all’autodefinizione del figlio. Sviluppare consapevolezza

di sé permette di evitare di ripetere “errori” già vissuti nel proprio percorso evolutivo.

E’ la memoria emotiva, l’intelligenza del cuore, che può guidare le scelte: il

compito, forse il più importante, per un genitore sta nell’imparare ad intuire, proprio

attraverso il sentimento, il significato ed il senso che le cose e gli eventi possono

avere per il proprio figlio.

E ancora di più lo è imparare a comportarsi di conseguenza, fidandosi di

questo intuito che può suggerire come vivere integralmente l'esperienza di essere

genitore.

Non ci sono risposte giuste "preconfezionate", ed è vero che sentirsi in colpa

per le difficoltà del figlio non è utile. E' vero però che i figli imparano a vivere, più o

meno bene, grazie al tipo di relazioni che sperimentano nella famiglia, ed è in questo

senso che i genitori hanno una determinante responsabilità per la loro crescita.

Spunti per riflettere: Quando mio figlio rifiuta le mie osservazioni, le mie proposte e si oppone a me, cosa mi dico? Mi accorgo della sua vulnerabilità, dietro la sua aria da invulnerabile e impenetrabile? So riconoscere e condividerne i sentimenti? Sento di prendere le decisioni su misura per lui/lei nella sua educazione?

CARATTERISTICHE E CAMBIAMENTI NELLO SVILUPPO : RIFLESSIONI SUL CRESCERE

Con i figli adolescenti il genitore si trova ad entrare in relazione con le

dinamiche di attaccamento e separazione tipiche dell'età, ricche di movimenti

ambivalenti, contraddittori e spesso contrappositivi.

L'adolescente mette alla prova se stesso e la relazione con i genitori secondo

modalità di base acquisite nelle prime fasi della vita. Durante i primi due anni di

interazione con la madre ed il padre, figure di attaccamento dalla cui cura e

attenzione deriva la sopravvivenza fisica e affettiva, il bambino arriva a strutturare

alcuni schemi articolati e complessi di comportamento e di pensiero, personale ed

interpersonale, che riguardano se stesso, il mondo e se stesso in relazione al

mondo, che orienteranno il percorso del suo sviluppo. Si tratta di schemi che, come

mappe, guidano il modo in cui la realtà soggettiva e relazionale viene decodificata e

vissuta. Una "mappa sicura" guiderà con curiosità e fiducia in sé e nell'ambiente, una

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ansiosa lo farà con preoccupazione o distacco dalle gioie e dai rischi, entusiasmanti,

dell'esplorazione.

Il grado di costanza e di continuità delle cure ricevute, la prevedibilità e

l'affidabilità delle risposte ai propri bisogni affettivi e fisiologici da parte delle figure di

attaccamento, fanno sì che il bambino costruisca una sensazione di fiduciosa

aspettativa, la sensazione di poter contare su una "base sicura" da cui partire per le

sue esplorazioni del mondo interno ed esterno, e dove poter tornare in ogni

momento per rifornirsi di sostegno e sicurezza.

Quando il processo di attaccamento si svolge con una figura genitoriale

rassicurante, responsiva e incoraggiante, il bambino cresce armonizzando le

aspettative verso di sé e verso il mondo con le risposte che ottiene. Si stabilisce una

congruenza di base tra intenzioni e risultati che sviluppa il senso di autoefficacia e

l'autostima.

In adolescenza i movimenti esplorativi di "contatto/attaccamento" e

"distanza/separazione", sono da considerare "fisiologici", e vengono resi più

comprensibili a partire da vissuti e sensazioni personali da parte del genitore:

"Cosa provo nel constatare che mio figlio cresce e si separa da me?"

"Io mi permetto di separarmi da lui?"

"In che modo le sensazioni di oggi sono legate alla mia storia, al modo in cui io

stessa ho elaborato la mia separazione dai miei genitori in adolescenza?".

Spunti per riflettere :

Come vivo i suoi tentativi di staccarsi da me per affermarsi come individuo fuori del

contesto familiare?

Sono capace di rispettare i suoi spazi ed i suoi tempi, senza rinunciare ai miei?

So distinguere in lui un comportamento preoccupante dalle disarmonie emotive

fisiologiche per l'età?

Faccio qualche volta insieme a lui progetti per il futuro, riconoscendo la diversità

delle aspettative?

Quali sono le mie reazioni, quando mi sembra che la situazione mi sfugga?

Qual è il mio atteggiamento riguardo alle amicizie dei figli?

Come affronto le difficoltà del distacco necessario?

Accetto in pari misura l'autonomia spazio-motoria e di pensiero, i distacchi fisici e

quelli affettivi?

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Un processo essenziale che favorisce oppure ostacola l'individuazione

dell'adolescente è la regolazione della "distanza" affettiva, elemento necessario a

consentire la separazione e la delineazione di confini chiari e riconoscibili. Il

processo non è indolore per nessuno dei partecipanti ed a volte il genitore ha

concentrato così fortemente gli obiettivi della sua esistenza sulla crescita del figlio

che all'adolescente non resta che "fare molto rumore" con i suoi comportamenti

trasgressivi, distruttivi e autodistruttivi, per segnalare il suo naturale bisogno di

crescere senza fare del male al genitore.

L'adolescente non vuole essere capito e conosciuto come un libro aperto, può

sentire questa come un'invasione del suo spazio intimo che può spingerlo a cercare

di fare cose che il padre o la madre proprio non immaginerebbero.

E' difficile mettere la giusta distanza da un genitore con cui c'è stato un

rapporto conflittuale o di incomprensione: che dire del dolore della separazione da

un genitore meraviglioso?

L'adolescenza, sia per le sue caratteristiche generali di grandi mutamenti, sia

perché la nuova forma di pensiero, si consolida quello astratto, amplia gli strumenti e

la complessità dei campi di riflessione, si offre come un momento in cui è possibile

correggere, riparare difficoltà di relazione, di distanza e confine, o quelli che sono

stati considerati "errori educativi".

Questo è il momento per avvicinarsi, prendere distanza, fare silenzio, porre

regole chiare, "allentare il freno", ascoltare.......

Perché si possa strutturare una percezione di sé come individuo unico,

autonomo, con la consapevolezza profonda che l'oggetto affettivo è parte integrante

di questo sé, ciascuno di noi ha avuto e ha alcuni bisogni fondamentali da

soddisfare:

PROTEZIONE (calore, sicurezza, senso di appartenenza)

APPROVAZIONE (i “permessi")

FIDUCIA IN SE' (sensazione di potenza, di "farcela nella vita").

Ciascuno di questi bisogni viene espresso con modalità e vissuti diversi durante la

vita.

Per crescere abbiamo bisogno di sentire intorno a noi un ambiente che ci confermi,

con parole e comportamenti, che "va bene che esistiamo, che agiamo e facciamo ciò

che risponde ai nostri bisogni, e che sviluppiamo un pensiero autonomo e libero".

Quanto nella nostra vita sentiamo di aver soddisfatto queste necessità

fondamentali? Ecco di seguito due spunti per riflettere.

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I PERMESSI IMPORTANTI IN ADOLESCENZA

OGGI: FACILI O DI D A

FFICILI DA

PERMESSI

Ricevuti in PASSATO?

DARE

RICEVERE

"va bene che impari a fare le cose a modo tuo"

"puoi pensare prima di fare tua una regola"

"fidati delle tue sensazioni e dei tuoi sentimenti"

"fidati del tuo intuito"

"non devi soffrire o star male per avere ciò che vuoi"

"va bene che tu esprima il tuo disaccordo"

"va bene che tu abbia i tuoi principi morali"

"va bene che tu sia del tuo sesso"

"va bene che tu abbia un posto tra gli adulti"

"va bene che tu abbia successo"

"puoi essere autonomo ed avere ancora dei bisogni"

"va bene che tu sia come ti piace e scegli di essere"

" anche quando andrai via, sarai sempre il benvenuto"

"ti voglio bene comunque ed il mio amore ti appartiene"

Leggendo i "permessi" sopra elencati, rifletta su quali tra questi ritiene di avere ricevuto in passato e scriva SI o NO nella colonna "ricevuti in passato?"; pensi poi a quali permessi sono oggi facili da dare o difficili da dare ai propri figli o da ricevere dalle figure affettive attualmente importanti (partner, genitori...) e annoti FACILE o DIFFICILE nelle colonne "dare" o "ricevere". Volendo si può fare una verifica con i figli, i quali, considerando i permessi che sentono di ricevere dai genitori, possono rispondere Sì o No alla prima colonna. I risultati reciproci potrebbero costituire un interessante spunto di discussione.

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COSA SUCCEDE NELLA TESTA DELL ’ADOLESCENTE…E I VANTAGGI DEL SAPERLO

La mente emerge dalle attività del cervello, le cui strutture e funzioni sono

direttamente influenzate dalle esperienze. Quelle relazionali, primarie soprattutto,

sembrano avere un potere di influenzamento forte nell’esito delle interazioni tra

fattori protettivi e di rischio nello sviluppo.

Tra i 12 e i 14 anni si verificano trasformazioni strutturali del cervello che spiegano

comportamenti altrimenti poco comprensibili. Uno di questi, la distrazione tipica di

questa età, dipende dal fatto che in realtà le aree cerebrali deputate

all’organizzazione delle azioni non sono ancora completamente sviluppate.

Il cervello è l’organo meno differenziato alla nascita (100 miliardi di neuroni, lo

stimolo proveniente da un neurone può provocare l’attivazione di circa 10 mila

neuroni…). A fronte di un intenso processo di attivazione di connessioni sinaptiche

(la sinapsi è il punto di congiunzione delle cellule nervose) nella fasi iniziali della vita,

le sinapsi che non vengono usate, o vengono usate raramente, subiscono processi

di “potatura”. In adolescenza c’è un secondo momento di crescita delle sinapsi e

ancora una “potatura” delle connessioni. Nuove connessioni si formano e altre

scompaiono, fino a costituire la struttura cerebrale adulta.

Strutture sottocorticali legate al controllo degli impulsi e al giudizio seguono sviluppi

differenti in maschi e femmine: l’ippocampo, con i recettori per gli estrogeni, legato

alla memoria a breve termine, aumenta di volume nelle ragazze. L’amigdala, con i

recettori per gli androgeni, legata al processamento di informazioni emozionali,

aumenta di volume nei ragazzi.

I circuiti cerebrali coinvolti nella valutazione del rischio, nella pianificazione di attività

a lungo termine e nel controllo degli impulsi in adolescenza non sono completi.

La maturazione delle aree cerebrali deputate alle funzioni cognitive complesse di

ragionamento e valutazione si può dire completa intorno ai 24-25 anni. Il processo di

maturazione cerebrale dell’adolescente è complesso e asincronico.

Il cervello dell’adolescente è anche “malleabile”: con un giusto addestramento si

sviluppano competenze avanzate di ragionamento, generalizzabili a diversi ambiti di

apprendimento, da quello logico, scientifico ad ambiti che richiedono un

ragionamento contestualizzato, come nel caso delle decisioni rischiose (Reyna et

al., 2012).

In adolescenza le aree cerebrali legate alla dopamina si sviluppano intensamente e

spingono alla ricerca di stimoli piacevoli con gratificazione immediata, con la

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possibile conseguenza della perdita di interesse per impegni e fatiche (soprattutto

scolastiche) di cui è difficile immaginare la soddisfazione spostata in un futuro.

“UNA TESTA BEN FATTA È MEGLIO DI UNA TESTA… BEN PIENA!”

Educare alla testa ben fatta e l’attenzione costante a esercitare “pensiero critico”

non riguarda solo la testa o il pensiero razionale privo della componente emotiva, la

testa ben fatta è quella connessa con ciò che “dicono” il cuore la pancia!

Possiamo passare dal guardare il mondo con un solo occhio alla volta, con una

visione “piatta”, bidimensionale, al guardarlo con entrambi gli occhi e godere di una

visione tridimensionale. Sviluppando la “mindsight” (Siegel, 2013), una sorta di

attenzione focalizzata, si può osservare il funzionamento interno della mente e

disinserire il pilota automatico dei comportamenti e delle risposte abituali. Dando un

nome, identificandole, attraversandole e attribuendo loro significato si arriva a

padroneggiare le emozioni di cui facciamo esperienza, piuttosto che esserne

sopraffatti e sentirci in balia degli eventi che le attivano.

La “mindsight” include tre competenze di base:

l’insight, che consente di dare un senso pieno e chiaro alla propria vita mentale

profonda. Ci permette di sapere chi siamo, chi siamo stati e chi vorremmo essere nel

futuro prossimo, dando un filo conduttore temporale al senso di sé;

l’empatia , la capacità di sentire come l’altro sente, dal suo punto di vista,

“immaginare di camminare con le sue scarpe…mentali”, apre la via della

compassione e della genntilezza, è la chiave dell’intelligenza sociale, permette di

comprendere le intenzioi e i bisogni dell’altro per interagire in mdo soddisfacente;

l’integrazione , l‘abilità di comnnettere diverse parti in un tutto. Consente

l’esperienza di equilibrio e coordinazione della nostra vita fisica, mentale profonda e

interpersonale/relazionale (ibidem).

Favorire uno sviluppo ottimale significa offrire stimoli per aiutare tutte le parti del

cervello (emisfero sinistro, destro, cervello rettiliano e il cervello mammifero che ci

porta a stringere legami e relazioni) a lavorare bene insieme, ossia in modo

integrato. Grazie all’integrazione le diverse parti funzionano in sinergia l’una con

l’altra, come una totalità organica. È importante aiutare i ragazzi a raggiungere un

livello più elevato di integrazione, affinché possano usare la totalità delle proprie

risorse cerebrali in modo coordinato. Si dovrebbe realizzare un’integrazione:

- orizzontale , ossia che la logica dell’emisfero sinistro del cervello operi in

sinergia con l’emotività dell’emisfero destro.

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- Verticale , ossia che le aree che consentono di riflettere attentamente sulle

proprie azioni, si coordinino con le parti che si trovano in basso, le quali sono

collegate maggiormente all’istinto, alle reazioni viscerali e alla sopravvivenza.

L’integrazione riguarda proprio questo processo di creazione e modifica delle

connessioni cerebrali: significa fornire a bambini e ragazzi l’opportunità di fare

esperienze che favoriscano la creazione di connessioni fra le diverse parti del

cervello.

Strategie:

- entrare in sintonia e reincanalare : quando vostro figlio è sopraffatto da

emozioni intense, per prima cosa entrate in sintonia con lui sul piano emotivo,

da emisfero destro a emisfero destro (empatizzare con la sua emozione

senza svalutarla, giudicarla, anche se a voi sembra esagerata). È importante

ricordare che una mente agitata non lascia entrare alcuna informazione. Poi,

quando è maggiormente in controllo recettivo, ricorrete agli insegnamenti e

alla disciplina dell’emisfero sinistro.

- Nominare per dominare : quando, a partire dall’emisfero destro, esplodono

emozioni intense e incontrollabili, aiutate i vostri figli a raccontare cosa li fa

star male, affinché l’emisfero sinistro possa aiutarli a dare un senso

all’esperienza e a sentirsi più in controllo.

Costruire la scala della mente ( Siegel, Payne Bryson, 2012)

Provate a immaginare il cervello come una casa con un piano di sotto e un piano

di sopra.

Il “piano di sotto” comprende il tronco encefalico e la regione limbica, situati

nella parte inferiore del cervello. Sono le aree più primitive del cervello perché sono

responsabili delle funzioni di base (respirazione, battito delle palpebre), di reazioni e

impulsi innati (attacco o fuga), di emozioni intense. È il primo piano di una casa,

dove si soddisfano tanti bisogni primari di una famiglia. Qui si trovano quasi sempre

cucina, la sala da pranzo, bagno.

Il “piano di sopra ” costituito dalla corteccia cerebrale e dalle sue diverse parti,

quelle che si trovano dietro la fronte fra cui la corteccia prefrontale mediale. È più

evoluto ed è in grado di darci una visione più ampia del nostro mondo. Potremmo

immaginarlo come uno studio luminoso o una biblioteca dalle ampie vetrate che ci

consentono di vedere le cose più chiaramente. È qui che avvengono i processi

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mentali complessi, come il pensiero, l’immaginazione e la pianificazione. È qui che si

sviluppa:

- la capacità di decidere e pianificare con giudizio;

- la capacità di controllare il corpo e le emozioni;

- la comprensione di sé,

- l’empatia;

- la moralità.

Scopo dei genitori dovrebbe essere quello di aiutare il figlio a costruire e

consolidare la scala metaforica che collega il piano alto e quello basso del cervello,

affinché i due piani possano lavorare come una squadra.

LO SPAZIO DELLA RELAZIONE: CONSAPEVOLEZZA DI SE',

RICONOSCIMENTO DELL'ALTRO, COSTRUZIONE DEL RAPPORTO

Il disagio del giovane e quello del genitore sono speculari: la percezione del

distacco trasformativo pesa su entrambi, la consapevolezza di sé, una sincera auto-

osservazione dei propri vissuti, pensieri, sentimenti, diventa una precondizione

essenziale perché ciascuno possa riconoscersi come individuo nella propria

esistenza ed assumere la responsabilità di operare le proprie scelte.

Quando si presenta un momento critico che impone di attingere a tutte le

energie, ricordiamoci che se un problema trova ascolto, considerazione e affetto, la

sofferenza diviene un modo per crescere e maturare, mentre quando la risposta è

svalutante o di rifiuto, la sofferenza si aggrava.

Ogni problema o difficoltà ha in sé la funzione di segnalare qualcosa di cui

non si era ancora consapevoli, e possiede tutti gli elementi della sua risoluzione,

purché ci sia la disponibilità a vederli.

La relazione parte dall'ascolto interiore dei sentimenti e degli affetti legati alla

storia personale presente, passata, futura: soddisfazioni, delusioni, desideri,

rimpianti, progetti, diffidenze, aspettative.

Attraverso il lavoro sulla consapevolezza di sé emerge progressivamente una

percezione distinta e differenziata dell'Altro, più realistica e libera da proiezioni e

confusioni di spazi e confini, una percezione che consente di riconoscere che:

- l'Altro non sono Io;

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- l'Altro vede il Mondo, e me, con i suoi occhi, dunque ha un suo modo di dare

significato al Mondo, agli eventi ed alla relazione tra sé ed il Mondo, di cui faccio

parte anche Io;

- l'Altro ha la propria responsabilità di sé, dei suoi bisogni, delle sue aspettative e

delle sue scelte.

FATICHE EMOTIVE DI GENITORI E FIGLI

La sensazione di aver perso il senso di stabilità acquisita nell'infanzia, con le

sue tranquillizzanti certezze, non riconoscersi fisicamente, mentalmente e

affettivamente, il non essere riconosciuti dagli altri, la sensazione di attraversare il

territorio dell'esclusione dall'infanzia, dalla vecchia famiglia, senza aver chiaro verso

quale territorio si sta andando, la tristezza e la rabbia per ciò che si lascia,

l'eccitazione e la paura per quello che si sta diventando: ecco solo alcuni dei

sentimenti che abitano il cuore e la mente del ragazzo e della ragazza adolescenti.

Non hanno a disposizione un'esperienza simile a cui poter fare riferimento per

trovare soluzioni, quando sperimentano la rapidità dei cambiamenti di umore, di

interesse e disinteresse, la noia e l'esaltazione, l'accettazione e la negazione, il

bisogno ed il rifiuto, l'attrazione e la repulsione per la stessa cosa, persona ed

evento.

Disorientamento, vulnerabilità, insicurezza e stress vengono espressi con i

comportamenti conflittuali e ambivalenti, che durano il tempo necessario al ragazzo

a trovare un nuovo adattamento.

Si alternano fasi acute e di normalizzazione, momenti di malinconia profonda ed

esplosioni di aggressività, in cui le tensioni vengono scaricate.

Basta lasciargli il tempo perchè le cose dentro di lui assumano una forma

comprensibile e significativa, avere fiducia che questo accadrà, anche quando

sembra che stia facendo una strada davvero secondaria rispetto all'obiettivo.

Quando lo stress permane, anche quando la causa del disagio iniziale non è

più presente, allora si presenta una sofferenza più strutturata, di tipo psicosomatico,

che si esprime a livello fisico, psichico e comportamentale.

I sintomi fisici riguardano principalmente l'alterazione delle funzioni

fisiologiche fondamentali, cibo, sonno, oppure affaticamento cronico, dolori alla

muscolatura del collo e della schiena, emicranie, allergie, perdita dei capelli.

I sintomi emotivi si esprimono con incubi, panico, cambiamenti di umore con

picchi eccessivi, agitazione e irrequietezza, paura di tutto, assoluta sfiducia in sé,

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intolleranza estrema alla critica, depressione, pensieri ossessivi e rituali, tic, riso

nervoso.

A livello comportamentale ci può essere da un lato la perdita di interesse per

le cose, una sorta di ritiro estremo, dall'altra eplosioni frequenti di urla, aggressività e

litigiosità, l'uso di droghe e alcool, trasgressioni sociali, come rubare, incendiare o

compiere atti distruttivi e di vandalismo.

Il dialogo che il genitore può instaurare quando constata la presenza di più di uno di

questi sintomi deve essere incentrato all'apertura di una riflessione, con domande

del tipo:

Mi dispiace vederti nervoso e agitato: ti va che ne parliamo?

Come va con i tuoi amici?

Hai detto che hai avuto un incubo, ti é capitato altre volte, che ne dici di parlarmene?

C'è qualcosa che ti preoccupa e ti fa star male?

E lo stress del genitore?

Il lavoro, gli impegni, conciliare spazi personali con esigenze di famiglia,

negoziare la relazione con il partner e con i figli....è un carico che difficilmente non

genera stress. E' impossibile eliminarlo del tutto, ma è possibile imparare a gestirlo,

trasformarlo in eustress , cioè uno stress positivo nel senso di una sfida di ricerca e

di misurazione con se stessi, un' occasione di crescita.

Fase 1- Prevenire le condizioni che sappiamo possono costituire fattori di

stress:

• "decompressione": fermarsi dopo il lavoro in un luogo a propria scelta, dove poter

chiudere con gli eventi della giornata lavorativa, per trovare piena disponibilità ad

entrare in famiglia;

• Motivazione positiva: pensare ad un programma per la serata in casa, con una

proposta da condividere (un piatto nuovo da cucinare, un gioco da fare con i figli,

una barzelletta da raccontare)

• Flessibiltà: essere pronti a modificare il programma;

• Prevedere gli imprevisti prevedibili e cercare soluzioni alternative accettabili

• Regole della quotidianità familiare: stabilire una ruotine familiare che sia regolata

in modo semplice e condiviso, in cui ciascuno abbia le proprie mansioni da

svolgere.

Fase 2- Affrontare lo stress:

• Riconoscerne i segnali fisici

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• Guardare la situazione con realismo e non tormentrsi con colpevolizzazioni o

autosvalutazioni per quello che non è andato;

• Qual è il problema e cosa posso fare concretamente per risolverlo?

• Imparare dalla situazione, qualcosa di sé, del figlio, del partner.

Fase 3- Valutare e ristabilire lo stato di benessere:

• Utilizzare l'apprendimento per ridurre le occasioni di stress dello stesso tipo.

• Autodialogo positivo e costruttivo per aver affrontato comunque in modo diretto

l'evento stressante

• Ristabilre il proprio stato di benessere, chiudendo con l'evento, che

non deve essere trascinato o generatore di altre ostilità.

AVER CURA DI SÉ E "COMPITI" DEI GENITORI DURANTE LA FASE ADOLESCENZIALE DEI

FIGLI

• Mantenere alto il livello delle gratificazioni personali, così da poter disporre di

energia e buonumore durante le "contestazioni".

• Pianificare il proprio tempo, in modo da averne una parte riservata per sé, per

rinnovare le proprie energie e non deteriorare il proprio.

• Mantenersi disponibili a rivedere le regole della famiglia, sfruttando al meglio i

momenti di discussione.

• Sostenere la separazione del figlio creando per sé stessi spazi personali e di

coppia .

• Costruire, mantenere una “rete di supporto sociale e affettiva” e saper chiedere

sostegno e aiuto.

• Riconoscere le proprie competenze e risorse.

• Saper cercare confronti e conferme alle proprie scelte ed azioni.

• Individuare altri genitori con cui condividere esperienze.

• Mantenere, rinnovare e dare spazio ai propri interessi.

• Coltivare amicizie significative dal punto di vista affettivo.

• Riconoscere, considerare e soddisfare i propri bisogni.

• Prendersi cura della propria salute.

Quali di questi bisogni ritiene di soddisfare pienamente, quali in parte e quali invece

pensa di inibire o frenare?

Qual è il bisogno più desiderato.... e quello più impedito?

16

Come fa ad impedirselo ? (non ho tempo, o non lo voglio trovare? Lo metto dopo

tutti gli altri impegni e alla fine non resta più tempo)

Cosa sarebbe della sua vita se lo realizzasse?

Che cosa in particolare cambierebbe ?

In quale comportamento si concretizzerebbe?

Di che cosa ha bisogno per poterlo appagare?

Provi ad individuare delle concrete possibilità di compiere il primo passo per

realizzare il più piccolo cambiamento possibile rispetto a questo desiderio: cosa

accadrebbe se.....?

Quali sono gli ostacoli con cui potrebbe "autosabotare" la sua realizzazione?

(pensieri come: "tanto ormai è tropo tardi....", "ci sono prima ben altre cose più

importanti nella vita...". Che altro?)

COMUNICAZIONE E DIALOGO : COSA, COME, QUANDO DIRE?

La comunicazione ha un andamento circolare, in cui ad una trasmissione del

messaggio, attraverso il comportamento verbale e non verbale (gesti, postura,

distanza tra le persone, inflessioni della voce), corrisponde un comportamento di

ricezione e feed back, processo non direttamente visibile e manifesto, che

trasmette un'informazione di ritorno all'interlocutore, attraverso segnali

comportamentali verbali e non verbali.

Questo vuol dire anche che la risposta che otteniamo dall'altro ci dice quanto

ci siamo fatti comprendere, o quanto siamo stati chiari nell'esprimerci.

Anche quando decidiamo di non rispondere con le parole, ogni

comportamento, anche il silenzio, i gesti o i movimenti, pure se inconsapevoli,

trasmettono un'informazione su ciò che sta accadendo nella relazione.

I segnali di ascolto dell' altro:

• apertura accogliente attraverso i segnali verbali e l'atteggiamento corporeo;

• attenzione libera da ipotesi personali e pregiudizi

• atteggiamento partecipativo e interessato

• capacità di "cogliere" il discorso dell'altro nei suoi aspetti di contenuto ed

emozione: "come" viene detto, ciò che viene detto

• consapevolezza delle risonanze personali: ascolto di sé stessi

17

L'elaborazione del messaggio consiste in comportamenti sostanzialmente

non manifesti, in cui sono presi in considerazione gli elementi dell'ascolto dell'altro e

dell' ascolto di sé:

cosa mi sta dicendo di sé?

come me lo sta dicendo?

cosa sta chiedendo?

che effetto mi fa quello che sto ascoltando, quali sono i miei vissuti, emozioni,

sentimenti?

All'elaborazione segue la risposta: attraverso parole, gesti, atteggiamento

posturale, mimica, distanza e tono viene emesso un atto comunicativo che puo'

facilitare od ostacolare la prosecuzione del dialogo.

Perché la comunicazione risulti efficace, ovvero raggiunga lo scopo per cui

viene emesso il messaggio, è necessario che sia chiara a sé e all'altro e

consapevole rispetto agli obiettivi e alle risonanze personali.

Durante la "disorganizzazione creativa" dell'adolescenza, anche i termini della

comunicazione non sono più gli stessi e non è chiaro come ci si possa rapportare

con una persona che da un lato chiede considerazione e dall'altro oppone

costantemente opposizioni e rifiuti, con o senza parole.

Ci si può trovare di fronte alla paura di esporsi e di scoprirsi, alla paura di creare

tensioni e di litigare, di lasciare che l'altro si avvicini troppo e invada lo spazio intimo:

diventa allora necessario trovare la motivazione al dialogo, la voglia di cercare di

sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda reciproca per mettersi in gioco e costruire, con

tempo e pazienza, un rapporto di reciprocità e rispetto.

Spunti per riflettere

Trovo momenti di svago che trascorro da solo con mio figlio?

Se decidiamo di fare qualche cosa insieme, chi di noi sceglie cosa ?

Conosco i suoi interessi?

Ogni discussione deve essere orientata ad un risultato o valorizzo anche il dialogo?

Quando non ci troviamo d'accordo, prevale lo scontro o lo scambio di idee?

LE RISORSE DELL 'ASCOLTO ATTIVO

Presi dal desiderio di fare il meglio e di dimostrare di essere bravi e competenti

spesso ci si dimentica di un elemento fondamentale del processo interattivo: l'ascolto

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che, anche quando è semplicemente attento e silenzioso, può sanare difficoltà e

favorire un dialogo denso di significati e costruttivo.

Attraverso la modalità comunicativa dell'ascolto attivo ci disponiamo a favorire

nell'interlocutore il processo comunicativo con noi.

Ascoltare attivamente vuol dire:

• manifestare con le parole e con il comportamento non verbale l'intenzione

di ascoltare con attenzione e partecipazione;

• usare un linguaggio semplice e comprensibile;

• rispondere frequentemente (senza interrompere con tinuamente o

sovrapporsi );

• dare segno di voler comprendere ed essere compres i;

• rispondere al contenuto ed al sentimento espressi dall'altro;

• cogliere l'essenziale del discorso;

• comprendere i segnali non verbali dell'altro ed e ssere consapevole dei

propri;

• assumere la responsabilità del proprio messaggio, espresso in modo

esplicito e diretto.

Spunti per riflettere Mio figlio non vuole parlare: quali possono essere i motivi? Com'è la comunicazione nella mia famiglia? Essere riuniti a tavola é un’opportunità per scambiarsi le idee oppure per guardare la televisione? Come si concludono di solito i nostri colloqui? La sera prima di addormentarsi i miei figli fanno in modo che io li stia ad ascoltare? Mi scoraggio di fronte al rifiuto, al silenzio e all’ostilità? Quando mio figlio torna da scuola, tendo a chiedergli il voto o com'è andata la giornata ? Quando i miei figli arrivano a casa e raccontano qualcosa che hanno fatto, mi fermo ad ascoltarli e a parlare?

I fondamenti dell'ascolto attivo:

• l'accettazione incondizionata dell'Altro così come si presenta a noi, con pregi e

difetti, e, quando è necessario, si esprime con la critica costruttiva: "ti amo e ti

accetto per ciò che sei , anche se non sono d'accordo con ciò che fai . Sentirsi

accettati incondizionatamente è nutrimento fondamentale per l’autostima e la

sicurezza di ogni individuo. In quest'ottica il comportamento inaccettato viene

esplicitato senza danneggiare la sicurezza di sé e senza mettere in discussione il

rapporto né l’appoggio del genitore.

19

• l'entrare in empatia, sintonizzarsi con i suoi sentimenti, entrare in gioco con il

proprio sentire, cercare di mettersi nei "suoi panni".

Attraverso l’ascolto attivo il genitore assume una posizione empatica, sintonizzata a

livello emotivo con il vissuto del figlio (anche quando non si è d’accordo con il suo

comportamento) che consente di aprire la strada al dialogo, piuttosto che dare

spazio al conflitto e all’incomprensione.

Sintonizzarsi significa entrare profondamente in rapporto con un’altra persona

stabilendo un contatto a livello emotivo e facendo sì che la persona si “senta

sentita ”. E quando genitore e figlio realizzano questo tipo di sintonizzazione,

provano un senso di unione. Quando i figli provano sensazioni positive, come in

momenti di gioia e di eccitazione, i genitori possono condividere questi stati

emozionali e confermarli con entusiasmo; nello stesso modo, di fronte a

sensazioni negative e spiacevoli, come in momenti di delusione o sofferenza i

genitori possono offrire una presenza che è fonte di consolazione e conforto.

Queste situazioni di empatia e unione permettono al bambino di “sentirsi sentito”,

di sentire che lui esiste all’interno della mente del genitore. Quando un bambino

prova una sensazione di sintonia con un adulto responsivo ed empatico si sente

bene con se stesso, perché le sue emozioni sono state riconosciute e condivise

in uno stato di risonanza. E questo predispone allo sviluppo di un individuo

consapevole delle proprie risorse e qualità, capace di scegliere e con alta

resilienza nella vita.

Possiamo mostrare e confermare accettazione ed empatia in diverse maniere:

- con gesti ed atteggiamenti di attenzione e di interesse a ciò che si sta ascoltando

ed alla persona;

- con occasionali riformulazioni e riepiloghi di quanto l'altro ci sta comunicando, per

assicurarci (e rassicurare l'interlocutore) circa l'efficacia del contatto comunicativo

("Quindi, se ho ben capito, tu sei andato dal tuo amico per chiedere una spiegazione

del suo mancato appuntamento e lui non ti ha prestato attenzione");

- con domande che stimolino l'interlocutore a proseguire la comunicazione ("Mi

sembra che questa faccenda ti stia preoccupando, ti va di dirmi come sono andate le

cose?").

A questo proposito è bene tenere presente che sono molto efficaci le domande

aperte , cioè domande che non obbligano l'interlocutore a rispondere con un sì o con

un no .

20

Ad esempio: "Ti sei divertita?" (domanda chiusa) può essere sostituita con "Cosa hai

fatto ieri sera?" (domanda aperta, senza tono indagatorio ); oppure: "Che ne dici di

parlare un po’ di come stai?" è meglio di: "Sei giù di corda?".

Altre regole utili :

Rispettare i confini e le differenze reciproche .

Distinguere le responsabilità individuali .

Mantenere aperta disponibilità al disaccordo e al confronto .

Eprimere il positivo, sottolineare ciò che è apprezzabile

Suggerimenti: "La bacheca delle qualità"

Si tratta di un gioco da fare in famiglia.

In uno spazio visibile, lavagnetta o foglio alla parete di una stanza frequentata

abitualmente, ciascun componente della famiglia annota una qualità che ha

utilizzato, una cosa di cui si può sentire contento e soddisfatto per sé e/o per gli altri.

LE BARRIERE PIU' FREQUENTI NELLA COMUNICAZIONE:

VALUTARE, GIUDICARE, CRITICARE

INDAGARE, INTERROGARE

SOLUZIONARE, COSIGLIARE PREMATURAMENTE

SOSTENERE , "FARE" AL POSTO DELL'ALTRO

INTERPRETARE, DEDURRE, "LEGGERE NEL PENSIERO"

E ancora:

MORALIZZARE ("non si deve", "bisogna": giudicare secondo il pr oprio sistema

di valori come se fosse universale)

DOGMATIZZARE, PROFETIZZARE ("così è e così dovrebbe essere, o non

essere" "Te l'avevo detto!": le affermazioni sono l ontane dall'esperienza

dell'altro, suonano come inevitabili, non comprend ono l'altro nelle sue

motivazioni emotive)

DIAGNOSTICARE ("la tua situazione è questa": l'altro viene reso oggetto della

comunicazione, e dipendente dalla "diagnosi")

GENERALIZZARE ( "succede sempre così": in questo modo viene vanif icato il

senso dell'unicità dell'esperienza, nonché l'import anza che questa riveste per

chi la vive)

MINIMIZZARE ("non è poi tanto grave": viene disconfermato il v issuto

personale)

IDENTIFICARSI ("anche a me è successo")

21

Lo stile del nostro comunicare è qualcosa di appreso, possiamo dunque imparare a

sostituire modalità di colloquio consuete ma inefficaci con altre più significative per la

relazione:

Quando ascoltiamo è meglio evitare di interrompere l'interlocutore .

Senza valutare e giudicare possiamo avvicinarci al mondo dell'altro con sincera

curiosita', disponibilita' e apertura alle differen ze;

Non offriamo interpretazioni personali , o facciamolo precisando che si tratta di

un'ipotesi, facendo attenzione a non "forzare" l'Altro nel fare sua la nostra idea,

piuttosto consideriamolo come una Persona unica ed irripetibile e non come uno

stereotipo, al quale si adattano affermazioni generali.

- soluzioni e consigli risultano spesso inutili in quanto in anticipo sui tempi dell’altro

oppure non richiesti, allora può essere più utile informare ed offrire così la

possibilità di comprendere da soli la soluzione del problema ;

- invece di un sostegno sdrammatizzante a tutti i costi diamo a noi stessi la

possibilità di fare l'esperienza di esserci come presenza : un contenitore per il mondo

di sentimenti ed emozioni dell'altro, senza volerne fare altro che accoglierli.

- spesso di fronte al figlio adolescente che improvvisamente si chiude nel suo

mondo è facile cadere nell'indagine incalzante per giungere a quello che noi

riteniamo essere il nucleo del problema (problema che in realtà è dell'interlocutore).

Errore comune tra i genitori è quello di far pesare duramente gli sbagli e di far

passare sotto silenzio le azioni in cui va tutto bene. I comportamenti desiderabili,

compaiono più facilmente quando i sentimenti di soddisfazione del ragazzo, la

contentezza per un risultato raggiunto vengono confermati senza offrire lodi e premi

per l’azione messa in atto dal ragazzo. Premi e punizioni rendono i figli dipendenti

dall’ambiente, depotenziando la capacità di scelta autonoma e responsabile.

Più che la valutazione positiva dell’adulto che, pur essendo un incentivo, può

creare l'ansia di dover mantenere standard di prestazione che il figlio non sa se

riuscirà a raggiungere, conta la condivisione dei sentimenti positivi legati ai successi

ed alle conquiste. Invece che "sei stato bravo" possiamo dire "mi fa davvero piacere

vederti contento del risultato!" I riconoscimenti e gli apprezzamenti permettono lo

sviluppo di una sicurezza emotiva e comportamentale che favorisce la motivazione a

crescere ed esplorare nuovi spazi, fisici, sociali, mentali e affettivi.

Eccessive punizioni e sgridate provocano un sentimento di rifiuto e danneggiano

quasi sempre la sicurezza e l’immagine di sé. Uno degli effetti della critica

controllante è il silenzio oppositivo: l'adolescente esagera la sua indipendenza, non

22

parla di sé, di, quello che gli piace, di quello che fa o vorrebbe fare, per sfuggire al

controllo del genitore.

E' più facile che il rapporto proceda meglio quando c'è rispetto dei ritmi e dei

confini reciproci . Quando veramente ci vogliamo avvicinare ai figli ed al loro mondo

è più importante ascoltare che parlare , anche quando l'ascolto non è riferito alle

parole, ma al modo in cui il figlio manifesta il suo essere al mondo.

L'EDUCAZIONE: UNA DANZA TRA REGOLE E CAREZZE

E' molto importante il come ci diciamo, più che il cosa ci diciamo; e conta di più

la presenza , l'esserci, che non la prestazione.

E' in questo modo che possiamo sperare che i nostri messaggi vengano accolti

ed ascoltati: solo offrendo per primi un modello di comportamento verso gli altri, in

cui dignità e rispetto assumono valore e significato.

E tutto questo non significa abbandonare la dimensione di guida e controllo

insita nella relazione educativa.

Quando l'autorità non è imposta, ma deriva dalla trasmissione coerente del

proprio vivere, viene rispettata anche quando l'adolescente la combatte.

La sicurezza di sé, non è prepotenza o manipolazione supplichevole, è

l'espressione diretta, esplicita e assertiva delle proprie convinzioni profonde.

Di questa forza hanno bisogno i figli per costruire la loro. Hanno bisogno di

confrontarsi con il genitore e verificare che non basta un alterco o una contestazione

per smontare i suoi principi.

E' responsabilità dell'adulto stabilire delle regole necessarie, fondate sui principi

di vita che lo stesso adulto fa proprie e segue, necessarie a consolidare il senso di

realtà, con i relativi limiti, confini, impedimenti, ed offrire così un polo di confronto per

strutturare la personalità.

Quando i limiti sono troppo stretti si pensa solo a trasgredire, quando non ci

sono, la trasgressione non viene neanche riconosciuta ed i genitori ottengono il

contrario di quanto si erano proposti.

La fermezza del genitore si manifesta nella proposta di limiti accetttabili, più che

nell'intransigenza.

Dire sì o no con una motivazione convincente, ascoltare e dare spazio e tempo

di riflessione all'altro, riduce lo stress ed il margine di errore.

23

Nella relazione educativa il potere positivo si esprime attraverso un calore ed

una vicinanza emotiva rispettosa e attenta, ed in questo modo garantisce sicurezza,

protezione e guida. Quando invece al potere manca la tonalità affettiva, si trasforma

in controllo eccessivo e sopraffazione, oppure in disinteresse.

Consideriamo dunque la possibilità di imparare a sostituire modelli interattivi

inutili con altri più educativi e funzionali.

Per esempio nel caso degli ORDINI che implicano un alto grado di controllo

autoritario si sa che:

- provocano passività (si diventa un semplice esecutore) e deresponsabilizzano

chi esegue l'ordine;

- non sono reversibili, cioè non possono essere rivolti dal ragazzo all'adulto;

- quindi non forniscono un valido modello di interazione sociale imitabile;

- stimolano un atteggiamento autoritario verso i pari.

Questo non significa che non si può o non si deve e ssere mai direttivi , ma

che si possono usare degli accorgimenti che agevolino l'interazione e ci consentano

di ottenere dei risultati positivi, cioè invece che ordinare potremo:

INVITARE

PROPORRE

INFORMARE.

Nello stesso contesto si collocano le domande rimprovero :

"Perché te ne stai lì senza fare niente sul divano?"

"Non puoi proprio fare a meno di rispondermi così?"

I sentimenti evocati in chi le ascolta sono sostanzialmente:

frustrazione, autosvalutazione, colpa (e invenzione delle più fantasiose

giustificazioni), confusione circa le cause reali del comportamento (pigrizia,

cattiveria, sbadataggine vengono confuse con stanchezza, ritmi personali, necessità

di differenziarsi, diverso focus dell'attenzione, poca chiarezza nelle richieste, ecc…).

Di nuovo l'alternativa sembra essere l'espressione, chiara degli obiettivi,

l’adesione alla realtà all’evento e l’esplicitazione del sentimento e dell'emozione

associati all'evento stesso.

CHE FARE QUANDO UN PROBLEMA DIVENTA UN PROBLEMA?

• Acquisire sensibilità al problema, conoscerlo, esplorarlo:

• raccogliendo informazioni ed elementi descrittivi attraverso una analisi concreta e

verificabile;

• Accettare il fatto che il problema è realmente un problema,

24

• A chi appartiene il problema ed in che misura?

• Quali aspetti del problema possono essere accettati e quali modificati?

• Quali sono i cambiamenti desiderabili considerati realisticamente, definendo sia

l'obiettivo minimo che quello massimo?

• Quali gli ostacoli prevedibili?

• Formulare gli obiettivi in termini descrittivi, chiari e verificabili

• Valutare la risolvibilità del problema

• Valutare il rapporto costi-benefici (le energie ed il tempo che dovrò investire nel

risolvere il problema saranno sufficientemente controbilanciate dai vantaggi che

otterrò dalla soluzione?)

A QUESTO PUNTO SI AVRA' UNA SITUAZIONE CHIARA E DEF INITA :

• degli elementi del problema

• dell'appartenenza

• dei termini della risolvibilità

• dei possibili ostacoli

• del tempo e degli sforzi necessari

Dunque si potrà passare alla ricerca delle strade di risoluzione :

• valutando i risultati di esperienze analoghe precedenti e verificando quando le

cose non sono andate male;

• usando la creatività e mettendo per un po' "la testa in una tempesta", con il brain

storming, lasciando fluire liberamente le idee, anche quelle apparentemente più

lontane dal problema;

• scegliere tra le idee quella che ci sembra più equilibrata nella considerazione di

costi e benefici.

Si passa poi alla sperimentazione ed alla valutazione dell'efficacia risolutiva ,

considerando che spesso non basta un solo tentativo per arrivare a risolvere un

problema relazionale.

E' molto importante stabilire l'APPARTENENZA DEL PROBLEMA .

Se, ad esempio, il problema fosse stato quello del disordine nella stanza della

ragazza, ci sarebbe stato da domandarsi di chi fosse effettivamente il problema (nel

caso in cui la stanza della ragazza sia solo sua e non condivisa come il bagno).

E' bene quindi tenere conto dei presupposti che spesso si nascondono dietro

certe richieste (in questo caso il presupposto è quello del genitore che dice "la casa

è mia e si fa come dico io"), perché è su questi presupposti che frequentemente

25

nasce il conflitto (ad esempio, in questo caso, perché la ragazza ritiene che la sua

stanza sia uno spazio che lei può gestire autonomamente).

Si giunge dunque alla necessità di una contrattazione in cui entrambe le parti

possano trovare la propria soddisfazione.

Questo può accadere se gli interlocutori si sentono liberi di assumersi la

responsabilità dei propri punti di vista e di accettare criticamente quello dell'altro.

Cosa stiamo dicendo esplicitamente?

Cosa abbiamo detto "implicitamente"?

Cosa "vogliamo" in realtà?

Quali sono i nostri sentimenti? Sono presenti o occultati nel messaggio che

inviamo?

Vogliamo "comunicare" o "dimostrare" qualcosa?

Qual è il problema. E di chi è? Vogliamo spiegarci o vogliamo vincere?

E' importante che queste domande siano poste, non che abbiano delle risposte

assolute ed immediate.

Ognuno, poi, ha occasione di verificare con quali modalità -e con quali scopi,

consapevoli o meno,- organizzi le proprie relazioni con i suoi figli e di condividere

queste esperienze in un confronto di gruppo.

Un modo efficace per mantenere aperta la comunicazione con il proprio figlio é

quello di invitarlo a manifestare la sua disapprovazione e, quando è possibile

accettarla.

Suggerimenti:

"Effetto sorpresa": sperimentare qualcosa che ancora non è stato tentato, una

cosa insolita che non rientra nei comportamenti prevedibili dell'adulto.

"Effetto modeling": se si vuole comunicare che va bene essere autonomo" il

genitore offre esmpi di comportamento in questo senso;

"Effetto inversione di ruolo": da questo "gioco" si ottengono spesso

informazioni preziosissime su come i flgli ed i genitori si vedono reciprocamente,

consiste semplicemente nello scambio momentaneo del ruolo per sperimentare

come ci si sente a ricevere una certa comunicazione o comportamento.

Affrontare e risolvere una difficoltà, un cambiamento, vuol dire imparare nuovi

modi per gestire la situazione, critica.

26

Dobbiamo allora ricordare che ci sono alcune condizioni fondamentali da

rispettare in ogni situazione che richieda un comportamento nuovo da apprendere,

un modo nuovo di pensare...

La motivazione ai comportamenti di apprendimento d eriva da situazioni

e attività che:

• stimolano a coinvolgersi personalmente e attivamente nel processo di

apprendimento

• permettono una scelta personale ed un controllo in base alle capacità

personali e alle richieste del compito

Ci sentiamo motivati a raggiungere un obiettivo quando questo:

• è direttamente collegato ad interessi, esigenze ed aspettative personali

• presenta livelli di difficoltà adeguati, tali da consentire uno svolgimento

con successo

• non è troppo facile, da risultare svalutante delle capacità già

padroneggiate.

La naturale motivazione ad apprendere si sviluppa in ambienti

psicologicamente sicuri, protetti e di supporto caratterizzati da:

• rapporti umani positivi con "altri" (insegnanti, genitori, direttori di ufficio

ecc.) che dimostrano un interessamento genuino e sono in grado di cogliere le

potenzialità personali

• interventi educativo-formativi rispondenti alle specifiche necessità di

apprendimento della persona

• opportunità di apprendere cose nuove, di correre dei "rischi" senza il

timore delle conseguenze del risultato

Si impara a confrontarsi con i compiti dello svilup po attraverso:

La fiducia in sé e nell'ambiente.

La curiosità : scoprire è piacevole e positivo.

l'intenzionalità : desiderio di sentirsi competenti ed efficaci.

l'autocontrollo : senso di padronanza di sé, del proprio mondo interno e delle

proprie azioni.

La capacita' di relazionarsi, di comunicare e di coope rare con gli altri.

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L'ARTE DI COSTRUIRE SOLUZIONI

Il conflitto è un evento normale, mette in evidenza le diversità di pensiero, affetto

comportamento tra le persone, ha la funzione di evidenziare la discrepanza tra

posizioni ed avviare una mediazione risolutiva.

Di fronte ad una situazione conflittuale, è bene procedere per PASSI:

-individuare il problema e definirlo in termini real i (comportamentali) ;

-stabilire a chi appartenga il problema .

Ad esempio:

- vostra figlia che trasforma il bagno in una palude ogni volta che si fa la doccia e

non si preoccupa di asciugare il pavimento (individuazione del problema);

- c'è un solo bagno a disposizione di tutta la famiglia, che quindi è tutta investita

dalla questione (appartenenza del problema).

A questo punto esprimeremo in modo diretto ed esplicito, la nostra opinione sulla

situazione:

"Sono infastidito quando allaghi il bagno perché questo mi obbliga a perdere

tempo per asciugare per terra e mi fa tardare al lavoro".

Quindi nell'espressione del nostro punto di vista, noi:

-usiamo la prima persona ("IO sono infastidito…");

-ci riferiamo alla situazione ("…quando allaghi il bagno…");

-mostriamo gli effetti concreti di quel comportamento (asciugare per terra e

tardare al lavoro);

-esprimiamo chiaramente le nostre esigenze ed i nostri stati d'animo;

-non sottovalutiamo o minimizziamo i nostri sentimenti (anche quelli che

consideriamo "negativi");

-esprimiamo il problema e non la soluzione del problema;

-evitiamo offese ed imperativi (sei proprio ….! Asciuga immediatamente!), che

non rispettano l'altro e gli fanno assumere necessariamente il ruolo di sottomesso o

di trasgressore (“è meglio avere a che fare con un cittadino che con un suddito”). Tra

l'altro autoritarismo e controllo, nel tempo, generano quasi sempre la necessità di

rivalsa piuttosto che la collaborazione.

Quindi nella gestione del conflitto:

-avere come obiettivo il meglio per le parti in gioco;

-mettere in gioco emozioni e sentimenti personali;

-esprimere comprensione e fiducia anche nelle situazioni in cui si deve

intervenire su un comportamento socialmente non accettato.

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Spunti per riflettere

Sento di gestire i termini dei conflitti?

Mi capita facilmente di esprimere dei giudizi?

Prometto solo per rimandare il confronto o per ottener quello che voglio?

Ho fiducia in mio figlio e glielo esprimo sia con le parole che con i

comportamenti?

Quando sperimento un comportamento nuovo, un cambiamento, lo faccio una

volta e, se non raggiungo l’effetto desiderato, non ci provo più?

SCHEDA DI VALUTAZIONE GENITORIALE (A CURA DEL FIGLIO…)

La scheda aiuta a valutare le impressioni soggettive che i figli hanno sui loro

genitori. La scheda va compilata per entrambi i genitori ed essere oggetto di

riflessione personale o familiare.

Per ciascun argomento cerchia il "voto" corrispondente al comportamento di tuo

padre, e fai una crocetta per quello corrispondente al comportamento di tua madre,

nell'arco di quest'ultimo mese.

A= Troppo

B= Molto

C= Abbastanza

D= Poco

E= Troppo poco

1. Mi aiuta nelle cose che ho da fare, quando glielo chiedo.

2. Comprende i miei stati d'animo.

3. Mi "coccola" con i gesti e con le parole.

4. Mi dice che mi vuole bene e mi dimostra il suo affetto.

5. Mi fa vivere la mia età: comprende i miei bisogni, le mie scelte ed i miei sogni.

6. E' gentile con i miei amici.

7. Sa accogliere le mie confidenze e mantenere i miei segreti.

8. E' disposto a rivedere le regole che stabilisce.

9. Prende in considerazione le mie idee, anche quando sono diverse dalle sue.

10. Cucina le cose che mi piacciono.

11. Mi dà sostegno nel cercare di ottenere il meglio per me e da me stesso.

12. Sulle decisioni comuni chiede il mio parere e lo prende in considerazione.

13. Non cerca di vincere a tutti i costi quando discutiamo.

14. Quando parliamo mi fa sentire a mio agio.

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15. Discute con me di argomenti interessanti.

16. Tiene in ordine la casa.

17. Facciamo insieme cose che ci piacciono.

18. Trova il tempo per ascoltarmi ed aiutarmi.

19. Cerca di spiegarmi le ragioni delle sue scelte.

20. Sa farmi ridere.

21. Mi fa sentire libero di prendere le mie decisioni.

22. Sa rendere speciali i momenti di svago e di vacanza.

23. Mi lascia personalizzare la mia stanza e mi aiuta a farlo, se lo chiedo.

24. Mi incoraggia quando sono stanco.

25. Mi insegna a gestire i miei risparmi.

26. si prende cura di me, è attento alla mia salute sia fisica che psichica.

27. Risponde alle mie domande sul sesso.

28. Non mi sgrida quando è arrabbiato

29. E' comprensivo quando sbaglio.

30. E' fermo, chiaro e comprensibile nelle regole che pone.

LA RESILIENZA NELLA RELAZIONE EDUCATIVA

La resilienza corrisponde a un atteggiamento costruttivo nei confronti delle

criticità della vita. Comprende diverse caratteristiche e competenze, dalla tendenza a

vedere le cose con una dose di ottimismo realistico, al vedere i problemi come

occasioni di crescita ed evoluzione piuttosto che come ostacoli fonti di sola

frustrazione. Forza d’animo, tenacia, perseveranza, motivazione a fronteggiare le

situazioni in modo attivo e proattiva, fiducia in sé e nelle proprie capacità, senso di

autoefficacia, intelligenza emotiva: possiamo considerare questi i fattori che

caratterizzano una persona resiliente. Alcune di queste caratteristiche

(temperamentali) sono presenti sin dall’inizio della vita, la loro traiettoria evolutiva

dipenderà anche dall’interazione con l’ambiente. Da qui l’importanza del ruolo di un

genitore che sappia sviluppare in sé e nei propri figli un atteggiamento resiliente.

A livello relazionale la resilienza prende forma attraverso la postura dell’ascolto

empatico, dell’osservazione priva di giudizio, del sostegno alle risorse, della proposta

di esperienze di frustrazione ottimale per la crescita. Tutto quanto espresso finora in

termini di comunicazione empatica entra a far pare di un atteggiamento educativo

resiliente.

30

L’ORIENTAMENTO AUTOREVOLE

Scegliere un percorso che durerà cinque anni e avrà un suo peso sulle scelte

successive e sulle esperienze di vita implica un lavoro di auto-osservazione,

conoscenza di sé e capacità di proiettarsi nel futuro che non è affatto semplice

affrontare a tredici anni. Il processo decisionale coinvolge più parti: i ragazzi i genitori

e la scuola. Deve tenere in considerazione diverse motivazioni alla base della scelta:

cosa conviene per un futuro ingresso nel mondo del lavoro? Per che cosa è più

“portato” il ragazzo”? In cosa riesce bene, anche se non sembra aver molto a che

fare con un futuro lavorativo?

L’auto-orientamento è un processo centrato sulla persona protagonista del proprio percorso di ricerca, che è soggetto attivo, autonomo, detentore di specifiche potenzialità e in grado di fare scelte responsabili e di vivere coerentemente ad esse.

IL PROGETTO ORIENTA-MENTI Percorsi efficaci per scelte giuste, realizzato

all’interno del bando on demand FUORICLASSE della Regione Lazio (2014-2015),

ha utilizzato i presupposti dell’auto-orientamento, il processo finalizzato ad aiutare le

persone a costruire i propri percorsi professionali. Quest’ottica mette al centro la

Persona nel suo essere e divenire all’interno dei micro e macro contesti di vita,

aderisce all’approccio pluralistico-integrato e al modello innovativo di life desingn di

Van Esbroeck (2011), si colloca nella cornice del paradigma narrativo del career

counseling (Savickas, 2014). Il progetto è stato articolato in molteplici azioni

specifiche interconnesse, rivolte a destinatari diversi: studenti, docenti, genitori.

Ha proposto un insieme complesso di attività per promuovere lo sviluppo di

competenze trasversali adatte a facilitare una progettualità in continua evoluzione,

relativa alla vita e alle modalità di svolgimento del percorso di studi e professionale.

Le attività proposte negli incontri con le classi sono state finalizzate a formare e a

potenziare le capacità degli studenti di conoscere se stessi, l’ambiente in cui vivono,

i mutamenti culturali e socio-economici, le offerte formative, come protagonisti di un

personale progetto di vita e capaci di auto-orientarsi in base alle intelligenze

soggettive specifiche e alla consapevolezza dei propri processi mentali di scelta.

Cosa significa facilitare l’auto-orientamento?

Il processo di auto-orientamento richiede di sviluppare l’autoconoscenza, di

scoprire le proprie caratteristiche individuare i condizionamenti esterni, sapersi

sperimentare in situazioni diverse, passare dall’immagine al concetto di sé.

Di seguito alcuni fattori fondamentali considerati nel processo di auto-orientamento.

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Empowerment

Tutto ciò che supporta, facilita, potenzia la padronanza della propria vita, la

capacità di affrontare la realtà con metodo e orientamento al risultato efficace. Il

senso di empowerment corrisponde all’incremento del potere interno, il potere “di”

piuttosto che il potere “su” .

Il cambiamento nell’empowement, assume il significato di ampliamento,

apertura di nuove possibilità .

I nostri “killer interiori ” tendono a emergere per ostacolare il desiderio di

cambiamento: “non ne sarò mai capace” oppure “non sarà mai possibile nella mia

situazione”. Combattere i killer interiori dell’empowerment è necessario per

sostenere il processo di ampliamento delle possibilità.

Autostima

Senso soggettivo e duraturo di auto-approvazione del proprio valore personale,

basato su appropriate percezioni di sé. L’autostima non può essere nutrita solo da

apprezzamenti e incitamenti esterni, dipende da ciò che si pensa di sé stessi, in un

continuo lavoro di integrazione rispetto a quanto interiorizzato nel corso della propria

storia personale. Sentirsi adeguati, avere stima di sé permette di avventurarsi

fiduciosi verso il contatto pieno con l’ambiente. Chi vive un senso di inadeguatezza,

di disistima, tende a oscillare tra il movimento e l’immobilismo, il bisogno di contatto

e il ritiro difensivo e ciò aumenta l’insicurezza e la rinforza. Le reazioni conseguenti

vanno dall’evitamento dell’esperienza (per non incappare nell’autocritica patologica),

alla focalizzazione sui propri fallimenti, alla tendenza invalidante di ogni nuova

apertura verso l’esterno, alla deflessione difensiva che immobilizza nell’attesa del

momento giusto.

Locus of control

I risultati delle nostre esperienze dipendono dall’interazione delle nostre risorse

con ciò che offre l’ambiente. Ritenerci completamente responsabili dei risultati di

tutto ciò che ci accade senza considerare la parte che svolgono gli eventi ambientali

(locus of control interno) porta a letture distorte delle esperienze di vita con eccessivi

sensi colpa e diminuzione del senso di autoefficacia. È altrettanto disfunzionale

spostare la responsabilità dei risultati esclusivamente all’ambiente che ci circonda

(locus of control esterno). Quando riusciamo a progettare e sperimentare un incontro

ottimale tra risorse personali e risorse dell’ambiente ci sentiamo efficaci. Quanto più

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forte il senso di efficacia, tanto più le nostre probabilità di incidere sull’ambiente sono

forti.

Metacognizione

Indica la capacità del soggetto di riflettere sui propri processi di pensiero.

Possiamo individuare la metacognizione come una consapevolezza declinata in

tre domande fondamentali:

1 Cosa sto facendo?

2 Perché lo faccio?

3 Come posso rendere efficace quello che intendo fare?

Abituarsi a porsi queste domande facilita lo sviluppo nei ragazzi della

consapevolezza di quello che stanno facendo, del perché lo fanno, di quanto è

opportuno farlo e in quali condizioni. L'approccio metacognitivo tende poi anche a

formare le capacità di essere registi attivi e protagonisti dei propri processi cognitivi,

dirigendoli attivamente con proprie valutazioni e indicazioni operative.

Autoefficacia

Il senso di autoefficacia è costituito da una serie di convinzioni che l'individuo ha

sulla propria capacità di far fronte a determinate situazioni, sulla base di esperienze

dirette di successo e conferme ottenute dall’ambiente. Le stesse convinzioni

contribuiscono alla creazione di una rete di aspettative di autoeficacia per il futuro.

L'aspettativa di autoeficacia può influenzare il comportamento non solo nel

momento della sua attivazione iniziale ma anche nella sua persistenza,

determinando la quantità di sforzo che ogni individuo è disposto a fare per

raggiungere un certo obiettivo.

Perché si possa sviluppare il senso di autoefficacia il ruolo dell’ambiente

(familiare, scolastico, dei pari) è importante: confermare le risorse, i successi in

qualunque ambito, sottolineare realisticamente qualità e offrire suggerimenti correttivi

costruttivi, facilitare una visione realisticamente ottimista della vita, adottare un’ottica

resiliente.

Intelligenza emotiva

Gli studi sull’intelligenza emotiva partono dall’assunto fondamentale: che il buon

funzionamento della nostra mente dipende dal giusto equilibrio tra competenze

cognitive e abilità emotive. La componente emotiva spesso non viene

adeguatamente educata: di conseguenza, l’incapacità di gestire efficacemente le

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emozioni rischia di sabotare alla base le nostre abilità cognitive. Scopo educativo è

quello d’insegnare a gestire intelligentemente le proprie emozioni, in modo che siano

di supporto e di guida al comportamento e al pensiero. In questo senso si parla di

alfabetizzazione emozionale.

L’intelligenza emotiva si articola in 5 dimensioni:

• autoconsapevolezza delle proprie emozioni;

• capacità di gestire le emozioni;

• capacità di automotivarsi;

• percezione dell’esperienza emozionale altrui (empat ia);

• gestione efficace delle relazioni interpersonali.

Autoconsapevolezza delle proprie emozioni

Per gestire efficacemente le emozioni è quello di conoscere approfonditamente

la propria esperienza emozionale nel momento in cui inizia. Il primo passo consiste

nell’insegnare a percepire la propria esperienza emotiva nel momento stesso in cui

nasce. In questa fase i livelli di attivazione cerebrale sono ancora sufficientemente

bassi da rendere possibile un controllo.

Individuare e riconoscere quei segnali fisiologici che preannunciano l’erompere

di un’emozione negativa può consentire di escogitare soluzioni alternative:

• esercizi di rilassamento, volti ad abbassare il livello di ansia, in modo

tale da preservare l’efficacia delle proprie capacità cognitive;

• distrarsi con pensieri e occupazioni piacevoli,

• sviluppare un dialogo interno adeguato per contrastare i pensieri

negativi (mi sono preparato a sufficienza e risponderò in modo adeguato…);

• costruire con l’allievo un vocabolario di termini utili per descrivere

l’esperienza emotiva.

Come imparare a monitorare le diverse componenti dell’esperienza emotiva:

Capacità di gestire le emozioni

E’ importante insegnare all’allievo a gestire le proprie emozioni. Questo fine può

essere raggiunto soprattutto ampliando il numero delle possibili risposte

comportamentali a una certa emozione. Questo può essere fatto trasmettendo loro

delle abilità di risoluzione razionale dei conflitti interpersonali.

Capacità di automotivarsi

E’ importante insegnare agli allievi a sviluppare un pensiero positivo, orientato

all’ottimismo realistico e improntato alla convinzione di poter raggiungere determinati

risultati, attraverso il potenziamento del senso di autoefficacia.

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Percezione dell’esperienza emozionale altrui (empat ia)

La causa delle difficoltà di rapporti interpersonali tra allievi, o tra allievi ed

insegnanti; è l’incapacità di cogliere l’esperienza emozionale altrui. E’ utile avviare

una precoce educazione al riconoscimento delle emozioni altrui (osservando

fotografie).

Gestione efficace delle relazioni interpersonali

Molto spesso all’origine di profonde difficoltà scolastiche è possibile rinvenire

l’incapacità di instaurare e mantenere buone relazioni interpersonali. Questo è

evidente soprattutto in allievi aggressivi o molto timidi: in entrambi i casi, il loro

comportamento finisce per isolarli dal gruppo, rafforzando così le loro difficoltà

relazionali. E’ utile insegnare una serie di abilità interpersonali:

- comunicare efficacemente con gli altri;

- esprimere le proprie difficoltà

- richiedere l’aiuto altrui;

- gestire e risolvere conflitti interpersonali;

- ascoltare attivamente l’interlocutore;

- collaborare per raggiungere obiettivi comuni.

Obiettivo primario dell’educazione emozionale, allora, è quello di insegnare a

distinguere nettamente i fatti dai nostri peculiari punti di vista. Insegnando così al

ragazzo ad assumersi la responsabilità delle proprie emozioni nel rapporto con gli

altri usando il pronome IO invece del pronome TU.

Il processo decisionale riveste un ruolo fondamentale nell’ambito

dell’orientamento, come una facilitazione del soggetto perché sviluppi appieno e

autonomamente le sue potenzialità e la sua autodeterminazione attraverso la

dimensione della consapevolezza per una scelta responsabile.

Le decisioni sono parte integrante della nostra vita, ogni azione intrapresa è

frutto di decisioni che stabiliscono chi siamo, chi vogliamo essere e cosa vogliamo

fare nella vita. Decidere diventa spesso un automatismo, che porta di fatto a perdere

la consapevolezza di avere il controllo sulla propria vita. Per trasformare i sogni in

risultati bisogna prendere le nuove decisioni in modo consapevole. Le differenze

personali e motivazionali influenzano la velocità con cui si prendono le decisioni, chi

con un orientamento a breve termine, che con un stile a lungo termine. Dal punto di

vista evolutivo sembra che le capacità di scelta siano influenzate dal clima

decisionale che caratterizza la vita familiare. I bambini fino all’età della

preadolescenza sono poco “attrezzati cognitivamente” per tenere conto di tutte le

molteplici variabili necessarie per compiere una buona scelta e, per questo

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necessitano di persone che li aiutino a esercitare questa abilità. L’imitazione di

modelli familiari, soprattutto appartenenti allo stesso sesso, si è rivelata una modalità

di apprendimento decisionale spontanea e molto significativa. Inoltre si è verificato

che in adolescenza, i suggerimenti offerti dai genitori sono utilizzati soprattutto per

scelte impegnative e importanti, mentre quelli dei coetanei vengono presi in

considerazione di fronte a decisioni meno rilevanti.

Il problem solving è uno strumento di autocontrollo cognitivo adeguato per

sviluppare uno stile di comportamento affermativo e va, quindi, inteso come una

strategia metacognitiva che la persona utilizza per trovare un'adeguata soluzione;

consiste nelle seguenti fasi:

Definizione del problema - Raccogliere tutte le informazioni necessarie per

identificare e definire con precisione il problema da risolvere. In questa fase è utile

porsi delle domande per facilitare il processo di soluzione.

• Qual è il problema?

• Dove e quando si manifesta il problema?

• Come e perché si è creato il problema?

• Quali soluzioni sono state già tentate?

• In quali circostanze simili il problema non si presenta? Posso trovare in

queste occasioni eccezionali spunti per la soluzione?

• Cosa posso cambiare della situazione?

• Quali sono gli ostacoli alla risoluzione?

• Quali le risorse?

• Cosa succederà intorno a me quando avrò praticato la soluzione che

ho scelto?

Ricerca della soluzione - In questa fase è utile la tecnica del brainstorming ,

che consiste nel darsi il permesso di individuare ed esprimere qualsiasi idea venga

in mente per poi capire il legame con ciò che dobbiamo fare e come dobbiamo

elaborarla. Questa pratica mantiene il pensiero in espansione e aiuta a generare più

alternative possibili, perché non sono soffocate dal giudizio e dalla critica.

Per decidere e operare una scelta è necessario avere più alternative, poterle

confrontare e adottare quella più vantaggiosa:

- avere solo una soluzione è una scelta obbligata;

- solo due soluzioni può costituire un dilemma;

- con tre o più soluzioni si è nella condizione di poter effettuare una

scelta basata sulla valutazione.

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Individuare la soluzione migliore - Dopo aver definito il risultato che si vuole

raggiungere è necessario stabilire un criterio per scegliere l’alternativa più adeguata

alla situazione. Le soluzioni possono essere più facilmente individuate e create

quando si pone l’attenzione su ciò che funziona piuttosto che sulle difficoltà.

I passi da compiere sono:

- fare un elenco delle possibili soluzioni;

- esaminare la lista delle soluzioni;

- immaginare come ciascuna soluzione funzionerebbe se fosse scelta;

- cancellare le soluzioni costose o non valide;

- scegliere la soluzione che ha meno difficoltà di attuazione ed è più

vicina al risultato;

Stabilire un piano d’azione - Questa è la fase operativa si attua la decisione

presa e si individuano i criteri di verifica per la valutazione dell’efficacia e

dell’efficienza della soluzione. In questa fase si sviluppa un’ampia gamma di

strategie operative; scegliere quella più idonea alla soluzione del problema

attraverso una valutazione dell’investimento rispetto ai costi e ai benefici. È utile

chiedersi:

- la soluzione ha cambiato la situazione?

- che cosa ha funzionato?

- cosa va migliorato?

- quali altre iniziative mettere in atto?

Il problema diventa un’occasione per attivare la mente creativa, sfidando i limiti

ed evidenziando la molteplicità di risorse nella ricerca di percorsi alternativi nuovi e

più efficaci.

I genitori possono tener conto di quanto detto finora e utilizzare gli spunti sulle

modalità comunicative illustrate per impostare processi educativi che vadano verso

un orientamento autorevole, ovvero rispettoso di interessi, attitudini, competenze,

desideri e passioni dei figli.

“Puoi trasformare in realtà una speranza, solo attraverso passione, impegno e

perseveranza”

A volte la scelta presa in considerazione dal figlio sembra poco compatibile con

alcuni aspetti importanti della realtà (le sue competenze scolastiche, il mercato del

lavoro, ecc.), ma a guardare meglio si potrebbero scoprire altre risorse, legate ai suoi

interessi extrascolastici, alla passione, alla determinazione, tali da metterlo in grado

di fronteggiare gli ostacoli facili da prevedere.

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Spunti di riflessione Frasi tipiche? Valuti quali frasi connotano meglio i suoi dialoghi (reali o anche solo pensati) con suo/a figlio/a Vuoi fare questa scuola? Ma è troppo difficile per te! So io cosa è meglio per te! Te lo dico per il tuo bene, questa scuola non è adatta a te! Lascia stare, ti aiuto io a decidere, non ti preoccupare, ci penso io. Scegli tu: per me va tutto bene. Tu puoi fare qualunque cosa, devi solo scegliere. Capisco la tua incertezza rispetto alla scelta: parliamone insieme. Mi fa piacere esserti di aiuto, visto che hai scelto questa strada. Hai deciso di fare questa scuola: vediamo insieme i pro e i contro. Sarà difficile, ma vedo che ti piace così tanto e starò con te. Immagino che ci saranno delle difficoltà e che ne incontrerai, allo stesso tempo vedo che sei così interessato ed entusiasta: questo ti aiuterà a superare i diversi ostacoli, io, comunque, ci sono. Vederti così appassionato mi rende molto felice. Non era questo che mi aspettavo da te…. Mi faresti proprio felice se tu scegliessi questa scuola… Tra le frasi sopra riportate, quali appartengono di più al dialogo con suo/a figlio/a? Se per un momento si mettesse nei panni di suo/a figlio/a e si sentisse dire quella/e frase/i, cosa proverebbe? Cosa penserebbe? Cosa farebbe? A volte le frasi riportate rimangono solo pensieri inespressi: anche in questo caso pensi a come si sentirebbe nel cogliere che nella mente del suo genitore passa un pensiero nei confronti di lei come figlio?

QUANDO E A CHI CHIEDERE INFORMAZIONI, ORIENTAMENTO E AIUTO?

Genitori e figli non possono fare a meno di confrontarsi con le difficoltà

dell'esistenza, difficoltà che paradossalmente aumentano, quanto più ci appropriamo

della responsabilità della nostra libertà.

Condividere con l'altro queste difficoltà, senza temere la perdita di immagine o di

potere nei suoi confronti, può aiutarci ad essere "noi stessi con l'altro".

Quello che abbiamo finora detto riguarda sostanzialmente situazioni di vita

quotidiana, non patologiche, si tratta piuttosto di un disagio francamente fisiologico,

al quale è importante dare legittimità e ascolto. Quando invece è necessario dare un

seguito specifico alle preoccupazioni dei genitori, quando possiamo ritenere

importante consultare un parere specifico e a chi rivolgerci?

Esiste un limite, superato il quale un genitore deve preoccuparsi, e quali

possono essere i primi segnali indicatori di un possibile disagio?

Questi gli interrogativi che spesso affliggono i genitori di fronte al figlio triste e

chiuso in se stesso, che smette di mangiare, che si ritira dal contesto sociale o

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scolastico, o che mette in atto trasgressioni eclatanti, ruba, fugge, fa uso di

stupefacenti...

Non c'è neanche in questo caso una regola assoluta: vale di più il buon senso e

il coraggio di non nascondere a sé stessi se si sta vivendo una difficoltà o una

preoccupazione rispetto al proprio compito genitoriale. E' meglio scoprire di aver

considerato come un problema una situazione che rientra nella normalità, piuttosto

che trovarsi di fronte ad una situazione critica derivante da un disagio transitorio

trascurato.

Nella vita può capitare di avere un problema emotivo, psichico, mentale, il vero

problema diventa il volerlo nascondere o negare, mentre chiedere aiuto è già il primo

passo per risolverlo, perché si riconosce e si legittima la sua esistenza. Solo quando

il problema entra nella sfera del reale può essere affrontato e risolto.

La forza e la sicurezza si esprimono proprio attraverso il riconoscimento del

bisogno, in questo gli adulti possono fornire un modello ai propri figli.

A volte è la ragazza o il ragazzo ad esprimere direttamente il bisogno di essere

aiutato ed in questo caso ha a disposizione alcuni servizi sia all'interno della scuola

(Lo Sportello), che sul territorio (Consultorio, SERT, Dipartimento di Salute Mentale,

Centri Ascolto).

Con il suo comportamento, il figlio sta dicendo qualcosa che ha tentato di dire in

altri modi senza riuscire a farsi comprendere, dunque i primi ad avere bisogno di un

confronto sono proprio i genitori.

A chi può rivolgersi un genitore, o l'intera famiglia, per un consiglio, un

orientamento o un supporto?

Un elemento di confronto e sostegno di valore preventivo sono i Corsi per

Genitori, che in genere vengono svolti nella scuola e sono anche disponibili sul

territorio (es.: La Scuola dei Genitori di ASPIC per la SCUOLA), che offrono

un'occasione di condivisione e riflessioni spesso ricche di spunti educativi.

Quando le domande riguardano la scelta del percorso di studi, informazioni

orientative possono essere reperite sul sito

www.studentiefuturo.it , attraverso il quale si può concordare anche un

colloquio di orientamento.

ASPIC per la SCUOLA offre colloqui di Counseling nel Centro di Ascolto e

Orientamento, che accoglie anche le richieste dei genitori, dei giovani, degli

insegnanti sia sul territorio romano che nella provincia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

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Enrichetta Spalletta, psicoterapeuta, supervisore associato A.S.P.I.C., svolge la sua attività nell'ambito clinico, nella formazione e supervisione di counselor, psicoterapeuti e operatori del settore psicosociale. Presidente di ASPIC per la SCUOLA, dirige il Master in Counseling professionale per l’Età Evolutiva , i Master in ART-Counseling , La scuola dei genitori , e diversi corsi di approfondimento in area educativa e psicologica. ASPIC per la SCUOLA via Alessandra Ma cinghi Strozzi, 42/a 00145 Roma 06 51435434 [email protected] www.aspicperlascuola.it


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