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Già nel XIII secolo si hanno le prime notizie della Nel tardo Medioevo arriva sulle tavole della...

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LA GASTRONOMIA LIGURE Un lineamento di evoluzione storica Sono poche le notizie relative alla dimensione storica più arcaica per quanto riguarda la cucina sanremese. E’ sicuramente presente il forte riflesso dell’influen- za genovese, già in equilibrio fra sapori di mare e di terra. I documenti relativi alla colonizzazione del territo- rio sanremese, voluta dal Vescovo di Genova nel 979 d.C. citano i prodotti del suolo più coltivati e dun- que più utili alla cucina del tempo: la vite in primo luogo e poi i fichi, i seminativi, i legumi, gli ortag- gi, la frutta e solo in maniera marginale l’olivo. I se- minativi comprendevano, nel Medioevo locale, una gran quantità di prodotti, compresi la spelta, l’orzo, l’avena, la palmola, l’erba panica: tutto era utile per la produzione di rustici pani e focacce, di cui peraltro resta memoria nell’abitudine alla produzione di torte salate. Fra i legumi sono tuttora importanti i ceci, alla base della somministrazione di attuali spuntini “velo- ci”, che imparerete a conoscere. Il fico era dominante, successivamente seguito dall’introduzione massiva della coltura degli agrumi, che sarebbe stata sostituita da quella floreale solo a fine XIX secolo. L’olivo era minoritario: la sua diffusione massiva viene supporta- ta solo a partire dal XV secolo. Già nel XIII secolo si hanno le prime notizie della produzione di pasta secca nel territorio ligure: ecco uno dei cardini della cucina mediterranea. Le colti- vazioni granarie collocate anche sulle alture di abitati prossimi al mare erano già determinanti, assieme alle importazioni di grano da tutta l’area mediterranea. Ne consegue anche la diffusione delle torte ripiene salate, vero e proprio mito culinario medievale, dif- fusissime in tutta Italia e giunte fino a noi in varie forme. Nel tardo Medioevo arriva sulle tavole della Ligu- ria anche il merluzzo del Mare del Nord. Baccalà o Stoccafisso che sia, le preparazioni tipiche di questo pesce diventano parte integrante della dieta locale. Allo stesso modo della “tonnina”, il tonno sotto sale, importato dalla Sardegna o comunque dall’intero Me- diterraneo occidentale. L’uso del pesce è poi fondamentale soprattutto duran- te i numerosi periodi “di magro”, a partire dalla Qua- resima. Sostituendo la carne, il pesce viene utilizzato in ogni modo e forma: trionfano le zuppe, che ancora oggi sono ben note alla gastronomia sanremese. La definizione ottocentesca Con l’arrivo sul territorio ligure dei prodotti di origi- ne americana si definisce la gastronomia tradizionale ligure, anche nella sua variante ponentina. Cosa po-
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LA GASTRONOMIA LIGURE

Un lineamento di evoluzione storicaSono poche le notizie relative alla dimensione storica più arcaica per quanto riguarda la cucina sanremese. E’ sicuramente presente il forte riflesso dell’influen-za genovese, già in equilibrio fra sapori di mare e di terra.

I documenti relativi alla colonizzazione del territo-rio sanremese, voluta dal Vescovo di Genova nel 979 d.C. citano i prodotti del suolo più coltivati e dun-que più utili alla cucina del tempo: la vite in primo luogo e poi i fichi, i seminativi, i legumi, gli ortag-gi, la frutta e solo in maniera marginale l’olivo. I se-minativi comprendevano, nel Medioevo locale, una gran quantità di prodotti, compresi la spelta, l’orzo, l’avena, la palmola, l’erba panica: tutto era utile per la produzione di rustici pani e focacce, di cui peraltro resta memoria nell’abitudine alla produzione di torte salate. Fra i legumi sono tuttora importanti i ceci, alla base della somministrazione di attuali spuntini “velo-ci”, che imparerete a conoscere. Il fico era dominante, successivamente seguito dall’introduzione massiva della coltura degli agrumi, che sarebbe stata sostituita da quella floreale solo a fine XIX secolo. L’olivo era minoritario: la sua diffusione massiva viene supporta-ta solo a partire dal XV secolo.

Già nel XIII secolo si hanno le prime notizie della produzione di pasta secca nel territorio ligure: ecco uno dei cardini della cucina mediterranea. Le colti-vazioni granarie collocate anche sulle alture di abitati prossimi al mare erano già determinanti, assieme alle importazioni di grano da tutta l’area mediterranea.

Ne consegue anche la diffusione delle torte ripiene salate, vero e proprio mito culinario medievale, dif-fusissime in tutta Italia e giunte fino a noi in varie forme.

Nel tardo Medioevo arriva sulle tavole della Ligu-ria anche il merluzzo del Mare del Nord. Baccalà o Stoccafisso che sia, le preparazioni tipiche di questo pesce diventano parte integrante della dieta locale. Allo stesso modo della “tonnina”, il tonno sotto sale, importato dalla Sardegna o comunque dall’intero Me-diterraneo occidentale.

L’uso del pesce è poi fondamentale soprattutto duran-te i numerosi periodi “di magro”, a partire dalla Qua-resima. Sostituendo la carne, il pesce viene utilizzato in ogni modo e forma: trionfano le zuppe, che ancora oggi sono ben note alla gastronomia sanremese.

La definizione ottocentescaCon l’arrivo sul territorio ligure dei prodotti di origi-ne americana si definisce la gastronomia tradizionale ligure, anche nella sua variante ponentina. Cosa po-

tremmo pensare del-la dieta mediterranea senza i pomodori, per esempio. Eppure tanto l’introduzione della coltura dei po-modori, quanto so-prattutto quella delle patate era stata for-temente impedita in Liguria. Basti pensa-

re alla trasformazione delle torte salate che vedono la sostituzione del “machetto” (pasta d’acciughe) con la salsa di pomodoro o l’aggiunta delle patate nel-l’amalgama delle “brandade” di stoccafisso (“branda-cujun”).

Fortunatamente si dispone di molti documenti relativi al XIX secolo, come ad esempio i “mercuriali”, tabel-le merceologiche con indicazione dei prezzi, che ci dicono esattamente qual era la situazione del mercato alimentare. Altri documenti sono quelli relativi al-l’uso agricolo del territorio, pure utili per capire l’ap-provvigionamento locale di derrate alimentari, spesso ormai scomparse.

L’uso agricolo del territorio sanremese nell’Otto-centoNel 1848, nel territorio di Sanremo, di fronte a 2420 ettari coltivati ad oliveto, vi sono 50 ettari coltivati a frumento, 30 a fagioli, 20 a fave ed a patate, nonché 130 a castagne, a quote più alte ed ai margini dei bo-schi che fanno corona alla città.

Nel 1868 si ravvisa ancora che le coltivazioni più im-portanti erano quelle degli agrumi e dell’olivo, segui-te dalle palme e dalla vite. Peraltro quest’ultima era già tormentata dalle malattie che avrebbero falcidiato

per tutta la seconda metà dell’Ottocento l’intera pro-duzione vitivinicola locale, nonché italiana.

Nel 1879 compare ancora la coltivazione di frumento, nonché dell’orzo, cui seguono quelle dei legumi (fa-gioli, piselli, fave). Le patate sono ormai affermate, le castagne in diminuzione e si notano le prime coltiva-zioni di “erbaggi e fiori”. Si tenga comunque presente che ancora a quella data, in un ettaro erano piantate almeno 1000 piante di agrumi, con una resa di 50000 frutti per ettaro.

Documentazione in Archivio di Stato di Imperia, Se-zione di Archivio di Stato di San Remo, Comune di San Remo, Serie III, scatola 10, f.55.

I mercuriali: come e dove si acquistava, come si formava la cucina modernaIn base ad un documento relativo all’andamento del commercio nell’area sanremese, datato 30 agosto 1828, si nota la notevole presenza del merluzzo e del-lo “Stokfix”, commercializzato dall’area genovese, ma in realtà proveniente dalla rotta atlantica.

Un minuzioso inventario commerciale per la “Pro-vincia di San Remo”, compreso fra gli anni 1853 e 1857 ed un mercuriale dei prezzi del 1857 costitui-scono una fonte preziosa. Il partner di scambio più presente è la Francia, seguito dai Ducati italiani (zona emiliana) e dalle Americhe: l’influenza del Nuovo Mondo era ormai affermata. Il cacao ed il “cioccolat-te” provenivano da Liverpool e dalla Francia in for-za dei possedimenti coloniali. Nonostante questo, a Sanremo, a fine Ottocento, esisteva uno stabilimento dedito al trattamento del cioccolato. Il thè giungeva dall’India. Il caffè era distinto a seconda dall’area di provenienza (Ceulon, Santiago, Avana, Puerto Rico, Costarica, Malabar, Rio, Bahia, Santos…). Il consu-

mo di questi alimenti si era diffuso nella zona, pres-so le classi abbienti, fin dal XVIII secolo e poi si era diffuso in molti ambiti sociali, anche grazie alla forte presenza di turisti d’élite, abituati ad un consumo di generi detti “coloniali”.

La carne era sicuramente legata ad un commercio lo-cale, legata alla presenza delle mandrie della pregiata razza piemontese direttamente sulle Alpi Marittime, senza dimenticare le greggi di ovini, presenti in gran numero anche nell’estremo Ponente ligure. Né va dimenticato il maiale, importante nell’arte culinaria tradizionale, specialmente nei centri rurali. I formag-gi olandesi, apprezzati dagli ospiti nordici, insidiano le pregiate produzioni del nostro entroterra pastorale. Carni e pollami potevano venire anche dall’Emilia, mentre il pesce salato, oltre alle sardelle ed alle alici, giungevano dall’Italia centrale. Il merluzzo veniva da Francia e Svezia e la variante dello stesso, lo Stocca-fisso, da Gibilterra, di passaggio rispetto all’origine norvegese, in quantità annuale di 40000 chilogrammi. Impressionante infine l’arrivo di grani e farine: Rus-sia, Turchia, Italia meridionale, tutti rivolti a servire la florida produzione di paste alimentari che fanno parte della cultura gastronomica mediterranea in modo as-soluto.

Documentazione in Archivio di Stato di Imperia, Se-zione di Archivio di Stato di San Remo, Comune di San Remo, Serie III, scatola 10, f.56.

Pur con queste brevi note di introduzione, si può capi-re che avvicinarsi alla cultura gastronomica della Li-guria di Ponente è un’avventura entusiasmante. Sare-te solleticati da una varietà inesauribile di sapori, che mantiene le sue radici in un passato remoto, legato al mare ed al territorio.

I piatti da non mancare• Per uno spuntino veloce, a tutto sapore Sardenaira Farinata Panissa Torta di bietole o torte “verdi” • I primi Ravioli di boraggine Ravioli di pesce Lasagne al pesto • Le carni Coniglio alla sanremasca Cima • Le verdure, i legumi Verdure ripiene Cavole verde ripieno (“u preve”) Torta di patate Frittelle di zucchine trombette di Albenga • Il pesce e non solo Stoccafisso “brandacujun” Ciuppin I bianchetti Baccalà ripieno Ajada Sarde ripiene • Dolci Torta di Badalucco Salame dolce Biscotti di Taggia

Olio di oliva

La gastronomia: il piacere delle semplicità gusto-saQuando in pieno Settecento il celebre pittore francese Fragonard visitò Sanremo non poté fare a meno di ritrarre una sua tipica cucina. La gastronomia sanre-mese, variante della rinomata cucina ligure, è ricca di sapori e di profumi. Ha vissuto una sua evoluzione, proprio per chi deve rilassarsi mantenendo l’energia per il divertimento. A tavola si incontrano il mare e la

terra, il pesce e le verdure.

I caratteri distintivi di questa raffinata quanto sempli-ce realtà sono facilmente individuabili:

• la varietà: non predomina un solo tipo di prodotto o di ingrediente, ma si spazia dal pesce alla ver-dura, alle carni fino alle torte salate e dolci, senza soluzione di continuità;

• si realizza l’incontro fra sapori di mare e sapori di terra, in ossequio alla stessa immagine della città;

• l’evoluzione di piatti di tradizione medievale si realizza nell’incontro con i “nuovi” prodotti di ori-gine americana, faticosamente, ma definitivamente accolti nel corso dell’Ottocento;

• il condimento principale è l’olio extravergine di oliva di varietà “taggiasca”, cultivar dominante nella zona;

• l’inserimento a pieno titolo nell’ambito della cul-tura gastronomica mediterranea;

• un tocco interregionale ed internazionale, in rap-porto ai continui scambi commerciali e culturali sia con l’area padana in Italia che con tutte le coste del Mediterraneo ed il Nordeuropa.

le caratteristiche organoletticheL’Olio prodotto nella Provincia di Imperia deriva da olive di una unica cultivar, la Taggiasca. Gli uliveti, situati ad una altitudine variabile fra il li-vello del mare e i 600 metri, consentono un abbon-dante raccolto che, iniziando a novembre, si protrae per tutto l’inverno, fino ad arrivare, nelle stagioni mi-gliori, ad aprile e maggio. Il trattamento delle olive prodotte in questi ultimi mesi, consente di ottenere un olio molto particolare, che tende ad un colore bianco lattiginoso denominato tradizionalmente ‘Biancardo’ o ‘Biancaldo’. Naturalmente gli oli migliori si otten-gono con olive raccolte nei mesi di gennaio, febbraio e marzo.

La cultivar Taggia-sca produce un frut-to che a maturazione presenta un colore nero violaceo ed una pezzatura media oscillante intorno ai 2 grammi. Nella Provincia di Impe-ria, viene impiegato

conservato in salamoia per il consumo quale ‘oliva da tavola’ e nella preparazione di alcuni tipici piatti ligu-ri quali la “Sardenaira”, il coniglio alla ligure, il patè di olive e molti altri, oltre alla tradizionale produzione di olio di ottima qualità. Quest’ultimo presenta un co-lore dorato sul pallido paglierino chiaro ed il profumo è gradevolmente fruttato negli oli vergini appena pro-dotti. Il gusto è delicato, tendente al dolce. Si abbina a tutti i piatti della tradizione mediterranea e grazie al suo gusto delicato, non aggressivo è ottimo sul pesce. Sempre in virtù del suo sapore ‘gentile’ rappresenta un ottimo approccio al consumo di olio di oliva extra vergine per chi, per tradizione e cultura, non è abitua-to ad usare questo prezioso alimento. Infine, alcuni consigli per la conservazione. A diffe-renza del vino, l’olio non migliora con l’invecchia-mento (vale il vecchio proverbio “olio nuovo vino vecchio”); conviene quindi non farne provviste ec-cessive. In genere l’olio di oliva extra vergine conserva le sue proprietà organolettiche integre per circa un anno.Deve però essere conservato ad una temperatura me-dia e costante ed al buio. La luce e un contatto pro-lungato con l’aria innescano processi di ossidazione che portano allo scadere delle sue proprietà organo-lettiche un irrancidimento, processo chimico comune a tutti i grassi

la cultivar TAGGIASCAÈ varietà propria della provincia di Imperia, per cui qui ripetiamo che le molte Piante che formano, con altre varietà, l’Oliveto Sperimentale, hanno pur’ esse raggiunto notevole sviluppo, con la caratteristica grande ed allargata chioma, maestosa per lo sviluppo della ramaglia molto allungata e assai pendula. Pure il frutto ha conservato la sua caratteristica forma cilin-drica ovalizzata, con una grossezza che ha raggiunto il peso medio di g. 2,31 e con la spiccata caratteri-stica della maturazione assai graduale. Varietà ottima di cui è costituito il territorio olivato della provincia di Imperia per il 99% . Si presta anche per un uso da tavola.

Caratteristiche NutrizionaliValore nutrizionaleI grassi, o lipidi, sono nutrienti indispensabili per l’uomo rappresentando la forma alimentare più con-centrata d’energia (ca. 9 cal/g) e fornendo acidi grassi

essenziali, cosiddetti perché devono es-sere introdotti come tali in quanto l’orga-nismo è incapace di produrli. Permettono inoltre l’assorbimen-to da parte dell’inte-stino delle vitamine liposolubili (A, D, E ,K).

Accanto allo scopo energetico (i grassi ne sono la for-ma di riserva), rivestono anche una funzione plastica, indispensabile per la formazione ed il mantenimento delle membrane cellulari; la loro carenza determina infatti un’incompleta formazione di diverse strutture dell’organismo (ovaio, fegato ecc.). I lipidi d’interesse umano sono prevalentemente co-stituiti da trigliceridi (formati da tre acidi grassi lega-ti ad una molecola di glicerolo). Ciò vale anche per l’olio di oliva, composto al 100% di materia grassa. Esso fa parte dei lipidi vegetali visibili, ossia di quel-li che sono stati completamente separati dai tessu-ti d’origine. Per grassi invisibili s’intendono invece quelli non estratti ma consumati come tali nella dieta (es.: quelli contenuti in carne, pesce, formaggi ecc.). Le catene di acidi grassi si differenziano tra loro per: 1.numero di atomi di carbonio (da 2 a 20) 2.numero di atomi d’idrogeno legati a ciascun carbo-nio (da 1 a 3) A tali caratteristiche fa riferimento la suddivisione dei grassi in saturi ed insaturi, fondamentale per le impli-cazioni nutrizionali. È varietà propria della provincia di Imperia, per cui qui ripetiamo che le molte

Grassi saturi ed insaturiI grassi saturi sono presenti prevalentemente negli ali-menti d’origine animale, i secondi, in quelli di deriva-zione vegetale. Il termine SATURI si riferisce agli acidi grassi in cui i vari atomi di carbonio sono accoppiati ad un atomo di idrogeno (immagine a sinistra); quando invece alcuni legami non sono saturati, gli acidi vengono definiti INSATURI . Questi ultimi presentano da un minimo di un doppio legame (es. acido oleico, monoinsaturo), a 2 (es. acido linoleico), a 3 (es. acido alfa-linoleico), ecc. In questi due ultimi casi, ed in altri d’insaturazio-ne maggiore, si parla di acidi grassi POLINSATURI

. I grassi saturi sono i più diretti responsabili dell’au-mento di colesterolo che si riscontra in età adulta. Tale eccesso, non potendo essere completamente smaltito dall’organismo, si accumula sotto forma di placca ateromasica all’interno della parete arteriosa determi-nandone un ispessimento direttamente responsabile di: • Riduzione del calibro, tanto più marcata quanto mi-nore è il lume; • Riduzione dell'elasticità del vaso con conseguente aumento pressorio; • Formazione di asperità all'interno del vaso stesso. Il sangue non fluisce più regolarmente ed uniformemen-te, ma forma vortici pericolosi che interrompendo la continuità del flusso favoriscono l'ulteriore deposito. In questo modo, una dieta eccessivamente ricca di grassi saturi e colesterolo si rivela spesso determi-nante nel favorire l’insorgenza di malattie cardio- e cerebro-vascolari. L’eccesso di acidi grassi polinsaturi ha dimostrato l’esistenza di una correlazione con un’aumentata in-cidenza di neoplasie (forse come co-carcinogeno). Va inoltre ricordato che l’autossidazione degli acidi grassi polinsaturi avviene più rapidamente di quella dell’acido oleico monoinsaturo, per cui quest’ultimo si mantiene più a lungo inalterata.

Digeribilità dell’olio di olivaRispetto ad altri oli, l’olio di oliva presenta un fat-tore di digeribilità maggiore, e pertanto risulta più facilmente assorbibile dalla mucosa intestinale (un alimento è tanto più digeribile quanto meno a lungo permane nel tratto digerente). Illustriamo brevemente il meccanismo di digestione delle sostanze lipidiche. Nella normale dieta i grassi costituiscono mediamen-te il 20 - 40% delle calorie totali ingerite giornalmen-te, vale a dire da 500 a 1000 calorie circa. Affinché l’intestino riesca ad assorbire i grassi, e quindi ad utilizzarli, essi devono essere modificati, ovvero at-taccati dagli enzimi digestivi liberati dalle ghiandole esocrine del pancreas che ne riducono le dimensioni scindendoli nei loro costituenti base. Perché questo avvenga correttamente occorre che i grassi siano pri-ma emulsionati ad opera dei sali biliari, il cui compito consiste in pratica nell’orientare il lipide nella giusta posizione, permettendone così un più facile attacco enzimatico. La digeribilità dei grassi dipende dalla lunghezza

della catena e dal tipo di acidi grassi presenti nella molecola del trigliceride. In particolare la velocità della digestione idrolitica è influenzata dalla presenza di quantità rilevanti di acidi grassi saturi (es. acido stearico). La predominanza di un certo tipo di acido, infatti, determina le qualità nutrizionali della sostanza grassa e quindi il suo destino metabolico. L’alta dige-ribilità dell’olio di oliva è data dalla presenza di acido oleico in posizione 2 del trigliceride, che fornisce un 2-monogliceride. In questo modo è facilitato l’attacco della bile e quin-di la penetrazione attraverso la mucosa intestinale.

Colesterolo ed olio di olivaLa suddivisione in colesterolo cattivo e buono fa rife-rimento alle lipoproteine che lo trasportano. Il livello di LDL (Low Density Lipoprotein), che portano il co-lesterolo ai tessuti, aumenta in presenza di un eccesso di quest’ultimo. Le HDL (High Density Lipoprotein) trasportano invece quest’eccesso al fegato che prov-vederà ad eliminarlo attraverso le vie biliari. Per questa ragione le HDL svolgono un’azione pro-tettrice nei confronti dell’aterosclerosi: tanto più ne é alto è il tasso, tanto più colesterolo viene allontanato. Gli acidi grassi polinsaturi (caratteristici degli oli di semi) si sono dimostrati capaci di abbassare il cole-sterolo ematico, agendo però indifferentemente sulle LDL ed HDL. L’acido oleico, monoinsaturo (conte-nuto nell’olio di oliva in percentuale del 75%), agisce riducendo esclusivamente il livello di LDL ed aumen-tando quello di HDL.

l’Olio di oliva in cucinaLa maggior resistenza dell’olio di oliva si dimostra anche alle alte temperature raggiunte durante la cottu-ra, ed ancor più durante la frittura. Infatti la formazio-ne di sostanze tossiche (polimeri, perossidi e quindi aldeidi, chetoni, idroperossidi) è favorita dalla pre-senza dei doppi legami dei polinsaturi. Questo non significa eliminare gli acidi grassi con più punti d’insaturazione, essenziali per esempio al mantenimento di un’ottimale fluidità e permeabilità di membrana, ma piuttosto ridimensionarne la quota introdotta. I livelli consigliati d’assunzione di acidi grassi polin-saturi per un’equilibrata alimentazione sono attorno al 3% delle calorie totali, con un aumento al 4.5% nella gestante e 5-7% nella nutrice. L’olio di oliva, rispetto agli eccessi contenuti negli

oli di semi, rispetta bene questo fabbisogno. Sembra inoltre che l’acido oleico, contenuto in alte quantità soltanto nell’olio di oliva, influisca , entro certi rap-porti, sulla trasformazione di acido linoleico in acido arachidonico, il più attivo fisiologicamente. Accanto alla componente grassa acidica troviamo nel-l’olio di oliva importanti sostanze quali il tocoferolo (vitamina E), polifenoli e squalene, questi due ultimi principali responsabili del suo elevato potere antios-sidante essendo il tocoferolo presente in basse quan-tità, al contrario che negli oli di semi. È stato peraltro visto che un eccesso di vitamina E potrebbe facilitare la crescita tumorale.

Proprietà dell’Olio di olivaLe principali proprietà dell’olio di oliva e dell’acido oleico possono essere così sintetizzate: • Effetto protettivo nell'epatite e nelle malattie delle vie biliari; • Effetto colecistocinetico; • Facilitazione dell'assorbimento del calcio da parte dell'intestino (limitato dagli acidi grassi saturi); • Stimolazione dell'attività pancreatica; • Miglioramento di ulcera e gastrite legato alla ridotta ipersecrezione acida ed all'ipermotilità; • Ruolo limitante i danni provocati dall'eccesso di acidi grassi saturi (aterosclerosi) e di acidi grassi po-linsaturi (invecchiamento cellulare precoce); • Migliore resistenza all'ossidazione a temperatura ambiente; • Migliore resistenza alle alte e durature temperature raggiunte durante la cottura e la frittura.

l’AssaggioCome assaggiare un olio di olivaPer un buon assaggiatore è fondamentale avere i sensi del gusto e dell’olfatto sviluppati ed allenati. L’assaggio riveste un ruolo di notevole importanza al fine della valutazione di un olio. L’esperienza e la pratica perfezionano questa professione, che va con-siderata come una vera e propria “Arte”. Nelle zone a vocazione olivicola esistono associazioni che orga-nizzano periodicamente corsi specifici allo scopo di far apprendere le tecniche di assaggio. Ne risulta così valorizzato un prodotto naturale, ormai considerato fondamentale ed indicato da dietologi e nutrizionisti come base per una corretta alimentazione. Per ottenere i migliori risultati nell’assaggio di un olio

è importante osservare alcune regole: • le ore migliori per effettuare la prova sono conside-rate quelle centrali della mattinata lontano dai pasti; • le vie respiratorie devono essere libere; • lo stato di salute deve essere perfetto. Un imbaraz-zo di stomaco, stanchezza o altro, possono portare a giudizi errati; • sin dal giorno precedente non bisogna avere inge-rito cibi fortemente aromatizzati (es.:cipolle, aglio, cioccolato, caffè ecc.); • non fumare almeno per un ora prima dell’assaggio; • non usare profumi, dopobarba o simili durante l’as-saggio; • tra un assaggio e l'altro occorre che passi un breve periodo di tempo, poichè gli organi sensibili devono ri-posare per non condizionare la prova successiva;nella pratica olearia si usa masticare un pezzetto di mela, ma sarebbe meglio evitare qualsiasi alimento, sciacquare la bocca con l’acqua e aspettare. Nel caso dell’olio di oliva non e’ conveniente usare il pane in quanto que-st’ultimo lascerebbe note di fermentato o di tostato molto simili ad alcuni difetti del prodotto; • l'ambiente deve essere privo di rumori, i quali pos-sano deconcentrare l'assaggiatore, e soprattutto privo di odori, al fine di non disturbare l'analisi. L’olio ha infatti una grande capacità di assorbire e sciogliere molte sostanze chimiche odorose anche derivanti da altri alimenti. Per questa ragione occorre fare molta attenzione al luogo di conservazione. Per ottimizzare l’assaggio i panel (gruppo di persone riunite per esprimere un giudizio) ufficiali o aziendali usano apposite cabine in ambiente condizionato. Anche se i pareri sono ancora discordanti, assaggian-do un olio non si effettua l’esame visivo. Si ritiene infatti che il colore possa falsare il giudizio creando nell’assaggiatore dei preconcetti sulle caratteristiche percettive del prodotto. Il consumatore fa invece lar-go uso dell’analisi visiva in quanto si tratta dell’unica esperienza che può fare prima di acquistare il prodot-to. Si tende a pensare che gli oli chiari provengano da re-gioni settentrionali ed oli più verdi siano stati prodotti nel Meridione. In realtà non sempre vi è una relazione fra colore e zona di origine. Il colore dipende dalla cultivar e dalle varie modalità di estrazione e lavora-zione. L’assaggio viene quindi effettuato in appositi bicchie-ri scuri come quello visualizzato in questa pagina.

ESAME OLFATTIVO DIRETTO: E’ il primo esa-me che si effettua. Si porta il campione (la cui tem-peratura ottimale prescelta è compresa tra i 27°C ed i 29°C) vicino alle narici. Si compie una profonda inspirazione cercando di cap-tare tutte le diverse sensazioni aromatiche. Per evitare che la membrana olfattiva si stanchi trop-po, conviene non ripetere più di tre volte questa ope-razione. In genere la prima sensazione è quella che conta. Successive elaborazioni possono solo confon-dere le idee

ESAME OLFATTIVO INDIRETTTO: Dal cam-pione si assume un piccolo sorso di olio, circa un cucchiaio. L’olio andrà a lambire la mucosa orale permettendo di percepire l’intensità dell’amaro. Dei quattro gusti (dolce, acido, salato ed amaro) l’amaro è l’unico percepibile. Può capitare occasionalmente di avere un lieve sentore di di dolce, che però, non de-riva da sostanze zuccherine presenti, ma è un effetto psicologico, dovuto alla mancanza della sensazione di amaro. Inoltre sono percepibili sensazioni chimiche comuni quali: piccante, caldo e metallico e sensazioni cine-stetiche quali viscosità e densità. Successivamente si aspira aria dalla bocca mantenen-do la lingua contro il palato. Ciò provoca effetti sono-ri sicuramente poco eleganti, ma necessari. Tale ope-razione può essere ripetuta varie volte. Occorre pre-stare attenzione a non ingerire violentemente l’olio, in quanto il gusto piccante potrebbe causare colpi di tosse. Con questa tecnica si permette l’ascesa delle moleco-le aromatiche lungo i turbinati nasali, fino alla mem-brana olfattiva, consentendo di apprezzare l’aroma in tutta la sua pienezza. Infatti la nota retrolfattiva è la sensazione più intensa e meglio definita nell’ assaggio rispetto a quella olfattiva diretta.

VINO DEL PONENTEVenticinque secoli per il vino nella Liguria di Po-nenteNella Liguria di Ponente ci sono i vini liguri di mag-giore personalità. Certo, la regione è famosa per la produzione delle Cinque Terre, per quei vigneti mi-racolosamente disposti su terreni altamente scoscesi e digradanti verso il mare. Dopo la Provinca della Spezia, è la Provincia di Imperia che ha quasi 1000 ettari di terreno coltivati a vigna. E anche qui spesso la volontà di condurre la vigna costringe ad una con-tinua lotta con le condizioni del territorio…anche qui sono necessari terrazzamenti ed una continua opera di regimazione delle acque, per poter mantenere vigne spesso ai limiti della possibilità fisica. A Ponente si concentrano due aree DOC. La prima, verso il confi-ne con la Francia, è la più antica, datata al 1972 e fa riferimento al celebrato Rossese di Dolceacqua, det-to anche semplicemente Dolceacqua, che può avere, con opportuno affinamento in botte e crescita di gra-do alcolico, anche la qualifica di Superiore. Nel 1988 è stata creata la DOC “Riviera Ligure di Ponente”, estesa tra le Province di Imperia e di Savona. Vi si comprendono i bianchi Vermentino e Pigato, il rosso Ormeasco, che può anche essere Superiore o rosato Schiacchetrà, nonché il Rossese di Albenga, piuttosto diverso da quello di Dolceacqua. Il fenomeno di defi-nizione della DOC ha messo in fondo un po’d’ordine nella complessa tradizione vinicola del Ponente ligu-re. Qui infatti prosperano molti vitigni diversi, spesso vinificati insieme in base ad una ricerca quantitativa. Si producono anche moltissimi vini da tavola, i cosid-detti “nostralini”, il cui valore è assai vario. Li si trova spesso nei ristoranti e talvolta anche questi meritano l’assaggio.

La Liguria di Ponente terra da vino ?Certo, terra da vino. E con proposte ricche di qualità

e varietà. Perché le vigne sono a quote diverse ed in situazioni microclimatiche diverse. E i vini sono “fat-ti dalla pietra, dal sole, dal respiro del mare, e hanno il profumo dell’alba nelle calme di luglio” (Vittorio G.Rossi). Il vino della Liguria di Ponente sarà il vino prezioso fatto per casa tua, frutto di indicibili fatiche e di attenzioni sopraffine.

Sono passati venticinque secoli da quanto i Liguri conoscevano il vino dei Greci di Marsiglia e Nizza. Venticinque secoli di passione e di lotta, per avere oggi un prodotto raro ed invidiato, forse non ancora adeguatamente conosciuto.

Nel mezzo una storia fatta di grandi vini. Di importa-zioni di vitigni e di esportazioni del prodotto in ogni luogo. Tante vicende da rimettere insieme, da collega-re, da conoscere. Lo storico Massimo Quaini ancora dice che “quello della viticoltura ligure rimane ancora un capitolo poco noto non solo nella storia agrarie li-gure, ma anche e soprattutto nella storia della vite e del vino in Europa”.

Lo spirito del vi-gnaiolo ligure a li-vello storicoIl contadino ligure di Ponente ama la vigna . Non si spie-gherebbe altrimenti perché si abbiano vigne in luoghi qua-si inaccessibili, ma produttivi. Perché le vigne ci siano anco-ra nonostante la massiccia presenza dell’olivo. Perché comunque tutti vogliano avere il vino prodotto dalla propria vigna.

Le condizioni favorevoli ad una produzione di qua-lità e variata ci sono: le tre fasce colturali, in primo luogo. Una pressoché costiera, l’altra collinare, l’ulti-ma montana. Inoltre una dimensione di rapporto con l’ambito piemontese e padano e con l’intero Mediter-raneo in ogni caso. La tradizione del contadino ligure vuole la cantina piena di ogni qualità di vino. Voleva poi una varietà di vitigni tale da assicurare una discre-ta produzione ogni anno. Produzione che si ottiene mettendo insieme quello che proviene anche da vigne

diverse. E si crea così il “vino di casa”. Anche la Ligu-ria di Ponente è ricca di questi vini, detti “nostralini”. La qualità è molto varia: vi sono aree e produzioni maggiormente vocate. Bisogna avere naso e gusto nel cercarle. Però c’è anche la base del continuo lavoro che ha portato alla selezione delle DOC.

Sopravvivono comunque in Liguria di Ponente tan-ti vitigni, eredità storica di un ligure che commercia e che importa. Se l’Ormeasco è in rapporto con il Dolcetto piemontese ed il Vermentino con le Mal-vasie spagnole (forse), abbiamo ancora i moscati, il sangiovese, il croileura dal Piemonte, il verdea dalla Grecia…ed i vitigni iberici, l’aramon ed il madera. E ancora i più rurali barbarossa e ciliegiolo…

E tanto resta da scoprire, per Voi e per lo studioso.

Prime testimonian-ze: gli antichi Ligu-riEbbene, sì, gli an-tichi Liguri cono-scevano il vino . Un popolo ancora per molti versi misterio-so, assai primitivo. Fiero e combattivo, diviso in tribù pe-

rennemente in lotta fra di loro. Un popolo abituato a lottare con la natura e con i popoli nemici, i Romani soprattutto. Le fonti letterarie ci parlano del rappor-to tra i Liguri ed il vino. Strabone dice che i Liguri esportavano legname, animali, pelli e miele, vivendo di latte e di una bevanda a base di orzo. Ricevevano in cambio anche il vino italico, molto apprezzato. Ma producevano pure loro il vino, che però Strabone de-finisce “scarso, resinoso ed aspro”. La produzione di vino è citata anche nella cosiddetta “tavola di Polce-vera”, che riguarda questioni confinarie fra tribù ligu-ri, nell’entroterra genovese.

Da chi avevano imparato a coltivare la vite, che ne aveva migliorato le capacità di coltivazione ? A pro-posito è quasi certo il contatto con le colonie greche focesi di Marsiglia e Nizza, presenti fin dal VI secolo a.C..

Le prove: ancora oggi, il palo di sostegno della vigna,

in Liguria si dice carassa, termine derivato dal greco di Marsiglia Karax, cioè “palo da vigna”.

Inoltre i Liguri Epanteri Montani, che vivevano le ter-re ai margini delle Alpi liguri, nel versante piemonte-se della val Tanaro, producevano già vino, accanto ai cereali.

I conquistatori romani, per piegare queste tribù, ave-vano dovuto distruggere proprio le loro coltivazioni di cereali e soprattutto le loro vigne. StraboneEra un geografo ed uno storico dell’antica Grecia. Nato ad Amasia nel 63 a.C., abita fin da giovane a Roma. Viaggia molto e scrive 47 libri di geografia parlando di terre e popoli conosciuti. La citazione è in Strabone, IV 6, 2.

La colonizzazione romana: si forma una ‘cultura del vino’Anche sotto i Romani, la vite è una coltivazione im-portante nella Liguria di Ponente.

Si impone una colonizzazione a ridosso della costa, ove passava la via Julia Augusta. Le coltivazioni, va-riate ed estese, fanno capo a fondi rustici, spesso lega-ti ad una villa o ad un insediamento familiare. Davan-ti alle coste e nei porti liguri transitano regolarmente navi che trasportano vino. Si tratta perlopiù di vino spagnolo, di svariata qualità. Vino spesso destinato anche a Roma, ove si beveva annacquato e mescolato al miele. La nave romana di età repubblicana affon-data di fronte ad Albenga era carica di anfore vinarie. E così anche quella trovata nelle acque di Diano Ma-rina. I reperti di entrambi i relitti possono essere visti nei musei di Albenga e di Diano Marina (quest’ultimo di prossimo ordinamento).

Nel Ponente ligure c’era dunque una “cultura del vino”, anche se di provenienza non locale. La colo-nizzazione romana ha sicuramente rafforzato ed am-pliato la produzione della vite anche lungo i pendii e nei fondovalle.

Si segnala, ad esempio, una struttura per la fabbri-cazione di anfore vinarie nei pressi di Santo Stefano al Mare, poco a levante di Taggia e di Sanremo. La località è quella detta di Porzani che ricorda quella del fondo Porciano citato in un documento del 980.

L’insediamento era probabilmente legato ad una vil-la. Vi si fabbricava ceramiche ed anfore in relazione alla produzione di vino, custodito e commerciato nel-le anfore prodotte sul posto. Il momento di massimo sviluppo della struttura sembra essere stato il I secolo d.C.. Dopo le invasioni barbariche: i primi documentiSecoli di devastazioni e difficoltà: ma il vino piace, sempre. Si perde molto rispetto all’età romana nella fase delle invasioni barbariche. La popolazione la-scia la linea di costa e ritorna ad abitare in luoghi più interni ed elevati. Ma la coltivazione della vite non viene eliminata. Ne favorisce il mantenimento anche il controllo territoriale operato da governi di tradizio-ne latina, come quello bizantino nel VI e VII secolo. Peraltro anche la porzione germanica della popolazio-ne, dai longobardi in avanti, sa apprezzare la prezio-sa bevanda. Inoltre non va dimenticato il ruolo della diffusione della religione cristiana, che si afferma nel IV secolo. La simbologia legata alla vite ed al vino sono comunque fattori di mantenimento e di cura del patrimonio storico della vigna.

Si ricordano le produzioni scultoree delle botteghe locali altomedievali, riferibili al periodo dell’occu-pazione longobarda e concentrate nell’ottavo secolo d.C.: il grappolo d’uva è un motivo ricorrente.

Il vescovo di Genova Teodolfo nel 979 d.C. conce-de in affitto ampi territori nell’area matuziana (cioè dell’attuale Sanremo) e taggese ad una quarantina di coloni. Costoro dovevano ripristinare le coltivazioni abbandonate in seguito al pericolo dei pirati saraceni. Un canone fisso e poi una porzione di prodotto do-veva essere consegnato al prelato. La vite viene no-minata, in particolare per la zona taggese, fin verso l’attuale area di Riva Ligure. Per i primi dieci anni il canone d’uso era fissato in un pollo, quindi nella metà del raccolto. Dopo dieci anni le nuove viti avrebbero raggiunto una valida produttività. Produzioni scultoree delle botteghe locali altome-dievaliUn rilievo dell’ottavo secolo d.C. conservato nel-la cripta della Cattedrale di Ventimiglia mosta tipici grappoli d’uva a forma di cuore. E così a Sanremo gli scavi del Battistero hanno restituito un pilastrino sem-pre dell’ottavo secolo, ora in Museo Civico, recante motivi a grappolo d’uva. Grande capacità, infine, è dimostrata da questi scultori di età longobarda in una

lastra centrale di una recinzione conservata nel com-plesso del Battistero di Albenga. Il pieno Medioevo: l’affermazione della vite. A le-vante di SanremoTanti documenti ed una conferma: la vite non solo vie-ne reintrodotta, ma la coltivazione era già vivace. Nel 1029 gli affittuari delle terre del monastero di Santo Stefano di Genova, a levante di Taggia (territorio di Villaregia, tra le odierne Riva Ligure e Santo Stefano al Mare), si impegnano ad aumentare le superfici del-le vigne, affiancate ad orzo, grano e fave. Nel 1049 la contessa Adelaide di Susa cede al monastero di Santo Stefano di Genova i suoi diritti sull’ambito di Villa-regia, citando la presenza delle vigne in questo terri-torio. Nel XII secolo le vigne si concentrano lungo la costa, tra la collina e la riva del mare, tanto nella pia-na di Taggia quanto oltre l’attuale Riva Ligure. Quasi tutti i documenti relativi ai rapporti tra i benedettini di Santo Stefano e gli abitanti locali hanno la vigna nel ruolo di protagonista. Ad esempio, alla fine del XII secolo, un tale Bonavida viene privato della vigna da parte del severo giudizio dell’abate di Santo Stefano: la figlia aveva infatti commesso evidente adulterio… L’affermazione della vite: Taggia, Bussana ed il sanremeseA ponente, la vigna trionfa tra Taggia e Bussana. L’in-sediamento di Arma viene distrutto nel 1270 e resta a lungo disabitato. La vigna vi occupa sempre maggiori spazi. Così anche in valle Armea, verso Bussana. Tra il 1357 ed il 1428 Bussana è compresa nella giursdi-zione di Taggia. Fra i motivi di conflitto fra i due pae-si c’era però la tassa sulle misure di vino vendute. Im-posta da Taggia, colpiva duramente Bussana, perché quest’ultima comunità affermava di produrre un vino di qualità inferiore a quello taggese. La piana locale era dunque luogo di eccellenza per la produzione vi-nicola: facilità di accesso, spazi ampi, buona ventila-zione ed insolazione, clima allora secco e piacevole. E soprattutto grande perizia dei vignaioli locali, che prediligono alcune qualità, evitando di mescolare i vitigni. Inoltre vi sono grandi aziende leader. Basti ri-cordare i cistercensi della convento un tempo presente sopra l’attuale Riva Ligure, accertato già alla fine del XII secolo. Dipendevano da quello di Sant’Andrea di Sestri. La loro più grande vigna è ricordata nello Sta-tuto di Taggia del 1381: era ai margini del confine con il territorio dell’Arma, a circa 750-800 m. dall’attuale linea di costa. Oggi non vi si trova neanche più un vitigno, ma molti palazzi moderni.

L’affermazione della vite: a ponente di SanremoTanti documenti ed una sola realtà: il vino quale pro-dotto principale. Ci si può basare sugli atti del notaio Giovanni di Amandolesio, attivo a Ventimiglia tra 1256 e 1264. La vigna è presente in modo massiccio, in quel periodo, fra Ventimiglia e Taggia. I produttori vendevano direttamente, fino a 9000 litri per volta. La pruduzione ventimigliese del 1258-59 era stata di 16000 litri di vino, ma l’anno successivo aveva su-perato i 20000 litri. I documenti non distinguono i tipi di vino, ma solamente la zona di produzione. In ogni caso si capisce che si tratta di vino buono, di alta gradazione e conservabile. A Ventimiglia funzionava un’attiva taverna, frequentata dai soldati delle guar-nigioni dei castelli locali. Doveva essere un ambiente piuttosto rumoroso e vivace. Una buona quantità di vino era destinata all’esportazione, nei principali cen-tri liguri, compresi Genova ed il Levante, nonostante quest’area fosse a sua volta notevole produttrice vi-nicola.

In Liguria di Ponente si producevano botti di casta-gno (veges) e di rovere (butis), che potevano contene-re più di trecento litri di vino.

Sulla tavola, il vino era portato nei cevari. Erano re-cipienti formati da doghe. Le maggiori quantità era-no conservate in botti e botticine di varie dimensioni, nella dispensa. Il vino dall’Oriente alla Liguria: una nuova pro-spettivaAutorevoli studi ribaltano alcune opinioni in meri-to alla diffusione della viticoltura in Liguria. Non si pensa più all’importanzione dei vitigni dalla Spagna in Liguria, ma semmai al percorso inverso. Gli studi del Dion e del Quaini ipotizzano e chiariscono: i vini liquorosi erano presenti fino alla metà del XIII secolo nell’Oriente europeo. Da qui sarebbero stati importati in Occidente, penisola iberica compresa. Ma sicco-me le Cinque Terre e Taggia appaiono precocemente come produttori di vini liquorosi, è assai probabile che la Liguria abbia accolto i vitigni orientali prima del-la Spagna, dove poi sarebbero stati importati in fase tardomedievale. La situazione rientra comunque nel-l’ambito di una serie di rapporti assai stretti fra l’in-tero ambito dell’Occidente mediterraneo, in cui non è facile ritrovare l’esatto andamento dei percorsi. Il vino negli Statuti di SanremoGli Statuti di Sanremo del 1435 parlano molto del

vino. Si coltivava la vite, di produceva vino da espor-tare e se ne importava. C’era una “cultura del vino”. Per questo molte informazioni arrivano dai registri delle gabelle (tasse di importazione ed esportazione). E una vendita della gabella del vino è citata in un do-cumento del 15 maggio 1376. La vigna era protetta dai furti fin dalla festa di San Giovanni (24 giugno) fino a San Michele (29 settembre). Si perdonavano solo i bambini sotto i 14 anni. Perché qui tutti i bam-bini sono sempre andati a rubacchiare un po’ d’uva matura. Si regolamentava la vendita, perché il prodot-to era destinato al mercato interno come all’esporta-zione, data la gradazione e la qualità. Si utilizzavano misure fisse e certificate (pinta, mezza, terzo, quarta). E si salvaguardava la qualità. Oggi, solo da pochi anni si fa attenzione di nuovo alla qualità. Gli osti non po-tevano annacquare il vino, né si poteva vendere vino troppo giovane, mosto o, peggio, vino vecchio misto ad acqua. Il vino negli Statuti di TaggiaNegli Statuti di Taggia del 1381 non mancano molti aspetti relativi al vino. La cosa è ovvia: la vite era la principale coltivazione, sostenuta anche da istituzioni pubbliche e religiose. La vendemmia non era regolata in base a giorni fissi di inizio e termine. Poteva essere stabilita di anno in anno, in base allo stato delle uve ed alle condizioni climatiche. E’ questo un particolare importante, indice di attenzione alla qualità.

Anche qui era proibito entrare nelle vigne altrui nel periodo tra il primo di aprile fino alla vendemmia. Le pene erano più pesanti se nella vigna si entrava di notte. La vigilanza era affidata ai “campari”, cioè gli ufficiali che controllavano i campi.

Si venga ora al prodotto: in ogni caso il vino poteva essere venduto solo fino all’Ave Maria della sera. Poi c’era un “coprifuoco” alcolico. La notte, assieme alle abbondanti bevute, poteva condurre ad eccessi crimi-nali.

Nel 1488 la Repubblica di Genova istituisce la magi-stratura dei Provvisori del vino. Il prodotto arrivava dalle Riviere, così come da Piemonte, Lombardia e Corsica. Veniva immagazzinato nei fondaci e control-lato dal governo. Nasce il “fondaco del vino pubbli-co”, a prezzo calmierato e appaltato periodicamente. Taggia tra XV e XVI secolo: il mito del ‘moscatel-lo’

Allora, com’era questo vino moscatello ? Il vino mi-tico di cui si parla nel tardo Medioevo. Il vino che an-cora nell’Ottocento era un vanto delle aree a levante di San Remo. Ne è testimone Agostino Giustiniani, nei suoi Annali del 1534: un vino che si coltivava tra Taggia, Bussana (oggi nel comune di Sanremo), Ca-stellaro, Pompeiana, Terzorio, Piano della Foce (oggi Santo Stefano al Mare) e la Marina di Taggia (oggi Riva Ligure). Era un vino di “tanta bontà che è repu-tato niente inferiore delle malvasie Candiotte, né dei vini Cipriotti, dé dei Grechi di Napoli”. Un vino dora-to, amabile e profumato, dolce, che oggi gusteremmo assieme a delicati e prelibati dessert.

Il vitigno era sostenuto e protetto a livello regionale. Il catasto di Porto Maurizio del 1405 obbliga, pian-tando una nuova vigna, a porvi il 20% di moscatello. Ecco dunque il coltivatore ligure ponentino che im-mette tutte le varietà di vite possibili, ma è costretto a salvaguardare la produzione principale della regione.

Il vino moscatello era apprezzato anche in navigazio-ne. Sicuramente dava coraggio e forza ai navigato-ri. La flotta di Luciano Doria ne imbarca una grande quantità nel 1416, mentre partiva in caccia di un peri-coloso pirata. Sicuramente alcune difficoltà all’espor-tazione erano poste dalle tasse locali. In ragione di un documento del 1456 si conosce il calcolo del tributo per il moscatello: due soldi ogni metreta (circa 100 litri). Ma soprattutto si parla delle altre qualità di vino prodotte, variamente tassate, anche a seconda del me-todo di trasporto: il rocesio (l’odierno rossese), il ver-milio ed i mosti. Il moscatello in InghilterraIl vino ligure di Ponente diventa famoso in Europa. E lo fa molto prima della diffusione delle attuali DOC. A metà del Trecento peggiorano le condizioni meteo-rologiche globali. Nelle isole britanniche non si può più coltivare la vite. Le classi agiate sono disperate, poiché bevevano vino e non la “popolare” birra. Ini-zia l’importazione di vino dal Mediterraneo. I preziosi vini taggesi e della Liguria di Ponente vengono imbar-cati. Raggiungono la Manica, Ecluse sul continente, Southampton e Londra in Inghilterra. Le navi tornano cariche di merci nordiche, talora preziose, come gli alabastri inglesi, talora semplici, come lo stoccafisso del Mare del Nord.

La cronaca del domenicano Padre Nicolò Calvi affer-

ma che nel 1531 il vino era la produzione più impor-tante per Taggia. Un commercio che garantiva 900-1000 scudi di introito all’anno. E non manca di segna-lare l’esportazione di vino in Inghilterra, perdurante nel 1507. Come tutti i taggesi, il Calvi conosceva le proprietà del vino. A proposito della terra dell’Alba-reto di proprietà del suo convento, sita in un luogo piuttosto elevato, sconsiglia l’impianto di viti: il vino restava acido perché il posto era troppo freddo. C’è ancora il moscatello ?Il vitigno si trova ancora, certo. Ma non in quanti-tà sufficiente per una produzione da DOC. Il clima è cambiato. Non più limpido, secco e generoso tale da ottenere un vino dolce di tipi meridionale e mediter-raneo. La vite ha perso terreno nelle valli di Taggia e Bussana, dove si erano favoriti l’olivo prima e poi i fiori. Le malattie della vite nell’Ottocento hanno deci-mato le antiche vigne, nonostante la buona resistenza dei moscati. Ma qualcuno che si occupa di moscatello c’è ancora. E magari, al modo antico e tradizionale, ne mescola la produzione assieme a quella di altri vi-tigni. L’aroma del moscatello, fruttato e muschiato, ci è regalato da un grappolo allungato, con acini tondi e dorati, con la “piga” (macchia) all’estremità. ‘La caratata’ del 1531: una conferma della vite al-lora più importante dell’olioNel 1531 il governo genovese impone una “carata-ta”. Cos’è ? Un’indagine territoriale compiuta a fini fiscali. La quale dà molte informazioni in merito alla natura produttiva dei territori genovesi interessati. E allora sono importanti le informazioni per gli ambiti del Ponente ligure. Si viene a sapere se erano man-chevoli, autosufficienti o ricchi (tanto da esportare) di olio, di vino e di frutta. Se si osserva l’odierna gestione delle campagne della Liguria di Ponente, i risultati sono sorprendenti. Infatti dove ora trionfa l’olivo, prosperava la vite. I territori di Porto Mauri-zio, Taggia e Santo Stefano al Mare producono vino sovrabbondante, tanto da poterlo esportare. Anche la podesteria di Triora, con il suo capoluogo a 30 km.dal mare, non è da meno, con l’autosufficienza produtti-va. Il contributo viene dalla media valle Argentina e dalla coltivazione di vigneti in montagna. Il sommelier del Papa racconta i vini liguri del XVI secoloLa prima guida enologica ragionata d’Italia. E’ il cop-piere del Papa Paolo III che parla, Sante Lancerio. Paolo III conosceva la Liguria. Nel 1538 aveva stretto la pace di Nizza tra Carlo V e Francesco I. Poi, assie-

me all’imperatore e ad Andrea Doria, si era fermato ad Oneglia. E ne aveva conosciuto gli amabili vini bianchi. Così il coppiere aveva scritto che il vino del-la Riviera di Genova era molto buono, delicato e pia-cevole d’estate. Veniva trasportato via mare e, levato di barca, poteva irrobustirsi nel gusto. Taggia è ricor-data, per il suo buon moscatello. E così Oneglia. E così i vini sia bianchi che rossi, anche se erano meglio i bianchi. Si nomina il Razzese di Bussana e Castel-laro, che il Papa di solito non beveva. Anche se poi poteva farsene una zuppa d’inverno. Oppure in tarda estate “alla stagione del fico buono”, per accompa-gnare proprio il fico, “gran nutrimento per i vecchi”. Nel 1522 il papa Adriano Florensz, l’ultimo papa non italiano prima di Giovanni Paolo II, aveva pranzato in Liguria, durante il viaggio di avvicinamento a Roma. I vini erano generosi: bianchi limpidissimi, rosati e neri, dolci e secchi, amabili ed aspri. Vengono subi-to in mente le varietà DOC della Riviera di Ponente, imperniate sui paglierini Vermentino e Pigato, e sui Rossi, come l’Ormeasco ed il Rossese… L’ufficio del vino’ e le gabelle a Sanremo: dal 1550 al XVII secoloSanremo centro di mercato del vino. Da non crede-re, poiché oggi è soprattutto mercato dei fiori. Nel XVI secolo c’era il fondaco (magazzino) del vino al molo. Si applicava la gabella (tassa) sulle vendite. A fine Cinquecento si parla di vino nero e di vino “bru-scho”. Quest’ultimo è un vino giovane, nostralino, un po’ acerbo…come si potrà leggere più avanti. Si importa però: dalla Corsica, tanto quanto il bianco ed il brusco mazzacano di Napoli. A metà Seicento re-siste la divisione in vino bianco e vino nero, ma si distingue pure il moscatello: pochi barili, venduti ad alto prezzo. Il vino di Sanremo e dintorni è “buono e mercantile, senza difetto alcuno”. Più bianco o più nero ? Un rapido calcolo, fra i barili commerciati nel 1649: 104 erano di vino nero, più pregiato, forse sul tipo dell’odierno rossese…solo 77 di bianco. I “libri di Sanità” dal Seicento in avanti citano spesso il com-mercio vinicolo quale elemento portante dell’econo-mia marittima sanremese. Toponomastica: le tracce dell’antica viticolturaDal Cinquecento in avanti l’olivo sottrae terreno alla vigna. Le tracce: nei nomi delle campagne…ci vuole pazienza, per indagare sugli antichi catasti… Ci sono terreni che richiamano il termine della “vigna” oggi occupati dall’olivo o da altre colture. In zone meno costiere, però, può accadere anche di vedere una nuo-

va diffusione della vite. Per esempio nella zona della valle Aroscia, oltre Pieve di Teco. Si è nell’area del-l’Ormeasco, pregevole dolcetto ligure dalle caratteri-stiche specifiche. Infatti, anche se il clima di quei ter-ritori quasi montani non è sempre benevolo, si registra uno sviluppo vitivinicolo nel corso del XVII secolo. Nel 1626 sono segnalati vigneti nella località Glori di Rezzo. Nel 1689 la Comunità di Rezzo vigilava sulla vendemmia. La vite era spesso piantata assieme ad altre colture, come il fico. Il Seicento: la vite resiste all’olivoDurante il XVII secolo l’olivo trova sempre nuovo spazio. La vite, invece, viene sempre più limitata. Si mantiene una certa attenzione alla qualità. Inoltre, in seguito ai continui arrivi di vitigni mediterranei, le varietà aumentano e si mescolano. Nel 1639 si rive-dono le norme genovesi sulla vendita del vino di Sta-to. Bartolomeo Paschetti scrive molto del vino ligure. Parla di “bianchi e sottili”, poco nutrienti, ma leggeri e piacevoli, soprattutto d’estate. Come non pensare agli odierni vermentino e pigato ? Sempre secondo il Paschetti vi sono tre tipi di vini liguri: piccoli, medio-cri e grandi. I piccoli sono, purtroppo, diremmo noi, i più diffusi. Paragonabili a certi nostralini attuali delle Riviere, erano “bruschi ed acerbi”, vino da giovani, da dieta ferrea, da cibo leggero ed estivo. I vini me-diocri possono avvicinarsi ai grandi, ma anche agli estivi. Però ci sono i grandi, che salvano l’onore: an-cora “i Moscatelli di Tabbia, gli Amabili, e i Razzesi delle Cinque terre”. Ancora il moscatello, gli Amabi-li (ovvero lo Schiacchetrà) ed il Rossese (ma quello delle Cinque Terre, che è bianco e non rosso come quello di Ponente). Vini dolci e soavi. Come i grandi francesi ed italiani di oggi, sono destinati perlopiù al-l’esportazione, verso Roma o verso la Germania e il Nordeuropa. Le opinioni dell’erudito ventimigliese Angelico Aprosio (1607-1681)“Buon pro le faccia”…così l’amico Jacopo Lapi scri-veva nel 1662 allo studioso ventimigliese Angelico Aprosio. Il quale aveva parlato ai suo corrispondenti della bella vita del Ponente ligure, ove si mangiano buone trote e si beve del buon vino. Anche l’Aprosio parla del moscatello di Taggia, come di vino “apiano” (dolce come il miele delle api). In più rivela che il moscatello, ancora più buono, si trova a Ventimiglia. Vino celebre e prezioso, soave e delicato, migliore degli Amabili e dei Rossesi delle Cinque Terre. Le opinioni dell’Aprosio, come era nel gusto barocco,

raggiungono espressioni eccessive e complesse nel descrivere questo vino, che appare quindi come un valore assoluto. Angelico Aprosio Famoso studioso ed erudito ventimigliese. Era frate agostiniano, battezzato come Ludovico Aprosio. Si era fatto frate contro l’opinione dei genitori e aveva girato l’Italia come oratore sacro. Ritorna a Ventimi-glia attorno alla metà del XVII secolo. Manteneva un’assidua corrispondenza con molti letterati italia-ni, anche di primo piano. Ha scritto opere letterarie e moralistice ed ha fondato la prima biblioteca pubbli-ca della Liguria, tuttora esistente a Ventimiglia. Quel che è rimasto della biblioteca del fondatore si trova nel fondo antico, il quale conserva anche esemplari unici. Il XVIII secolo: crisi e confermeI furti d’uva aumentavano e così anche i danni prodot-ti dai volatili. L’olivo aveva ormai preso piede quasi ovunque. Non si aspetta più la piena maturazione del-le uve e così ne risulta un vino di bassa gradazione, di gusto non pieno. Da un lato, si dice: “i contadini amano talmente la vigna, che pare non possano starne senza”. Ma poi vendemmiano prima del tempo, per la ricerca di guadagno. Sovente ha bisogno di “tagli” con vini esteri, abbondantemente importati e comun-que bevuti anche come vini più pregiati dei locali. Spagna e Francia meridionale sono i mercati ove ci si rivolge. Viticoltura ligure in età napoleonicaAnche il vino è protagonista nel riordino ammini-strativo napoleonico. Nei primi anni dell’Ottocento, i grandi prefetti del Ponente ligure, Chabrol a Savona e Du Bouchage a Nizza, si preoccupano delle statistiche produttive, commerciali e sociali del territorio. Cha-brol ci ha lasciato una fotografia completa del mondo ligure-piemontese dei suoi tempi. Assieme agli stu-diosi del tempo si preoccupa del miglioramento della viticoltura. La Liguria appartiene all’Impero Francese dal 1805. Il nuovo governo importa nuovi vitigni dal-la Francia, allo scopo di migliorare la qualità: mentre in Provenza ed in Spagna la viticoltura aveva grande sviluppo, in Liguria era irrimediabilmente contrastata dallo sviluppo dell’oliveto.

Per i territori di Porto Maurizio e Santo Stefano al Mare, più vicini a Sanremo, Chabrol descrive tecniche colturali e di trattamento del prodotto. Fondamentale è la citazione dell’esistenza di “venti specie d’uva”,

che si mescolano per fare il vino: ecco la tradizione del vignaiolo ligure.

Si ritrovano già ben definiti alcuni vitigni delle DOC attuali: fra i più produttivi si cita il rossese ed i dolcet-ti. Ed il vino migliore si poteva dare con il vermen-tino, il rossese, il pisano (altro nome del rossese di Albenga) oltre al barbarossa, vitigno ancora coltivato nelle campagne liguri. Vino e vitigni ottocenteschiNotizie sempre più chiare sul vino ottocentesco. Spic-ca Giorgio Gallesio, che pubblicava interessantissime dispense legate ai singoli vitigni. Sono ormai affer-mati il vermentino ed il rossese. Di quest’ultimo si valuta però la pruduzione delle Cinque Terre. Poi si considerano tanti altri vitigni diffusi nel Savonese ed ancora più a Ponente, tra le quali varietà tuttora diffu-se o comunque già presenti nella vinificazione tradi-zionale. Si parla della Barbarossa, di origine toscana, oppure dell’uva Crovino o Trinchera di Nizza, che, quale uva nera, si usava per correggere i vini bian-chi. Altre notizie riguardano i metodi per vinificare e le decadenze commerciali dei vini liguri, a confronto con la concorrenza francese e spagnola e nella con-corrente espansione dell’olivicoltura.

Più defilata la posizione di Agostino Bianchi, il quale, nel primo Ottocento, abitando a Diano Castello, cita soprattutto il valore del vino della sua terra d’origine. Le sue osservazioni storiche sul favore goduto anche in Liguria dal vino francese a partire dal XVIII seco-lo sono molto acute. E così anche la citazione degli altri vini importati. Dei vitigni apprezzati nel Ponen-te ligure ricorda il moscatello, il nebbiolo ed il dol-cetto “detto ormeasco”, nonché il Madera. Gli ultimi due sono ancora ben presenti in provincia di Imperia. L’ormeasco è anzi riconosciuto a livello di DOC. La produzione nell’OttocentoPer l’Ottocento i documenti parlano chiaro. Si viene a sapere facilmente cosa e come si produceva a San-remo. E quali vini si vendevano e si importavano in Liguria di Ponente.

Ma ci sono anche i momenti di crisi, se non di blocco, a causa di devastanti malattie. Si sono distrutti antichi vigneti. Spesso la vigna è ripartita con l’innesto della vite americana. Molto è cambiato, tra XIX e XX se-colo.

Sanremo è ancora un emporio per il vino, nella secon-da metà dell’Ottocento.

Nel 1848 si producono 1080 ettolitri di vino.

All’inizio del 1871 il prezzo di un ettolitro di vino varia tra le 29 e le 30 £.. A Sanremo nel 1874 c’erano 100 ettari coltivati a vigna. Nella descrizione dell’at-tività agricola relativa al 1879 si parla di 500 ettolitri di produzione. 100 solamente di vino pregiato. Erano coltivati a vigna 62 ettari di terreno. L’uva viene pi-giata, senza un’attività di scelta del grappolo. Messa in botti e lasciata fermentare “in modo tumultuoso”. Poi si travasa dopo due mesi, anche per una buona conservazione. Si crede che la Liguria sia terra di grandi vini bianchi…ma allora predominava il vino rosso. Sono infatti indicati i vitigni: Salerno, Rossese, Vermentino, Massarda, Barbarossa, Vasselle ed altro. Si conferma la varietà ricercata dal vignaiolo ligure, a scapito della qualità offerta dall’uso del vitigno unico. Tanto che fra i DOC oggi risultano solo Rossese e Vermentino. Quali vini si vendevano e si importavano in Ligu-ria di PonenteIn un documento detto “mercuriale” con i prezzi delle derrate alimentari per il territorio di Oneglia nel 1827 compaiono, tra i vini, quello di Spagna di prima qua-lità, quello di Linguadoca, di Provenza, di Sardegna ed il nostrale, la cui DOC di allora, se così si può dire, era detta Riviera bianco. Costava ovviamente meno di tutti gli altri.

Nel Prezzo corrente legale delle merci in Porto-Fran-co, emanato a Genova nel 1856, si incontrano i prezzi dei vini di Malaga, di Marsala, di Spagna, di Francia (in varie qualità) e di Sardegna. Il dramma per la vite nell’OttocentoMalattie terribili hanno tormentato la vigna ligure dell’Ottocento. A metà secolo compare la crittogama. Nel 1868 a Sanremo è ancora attiva. Era uno dei primi fattori di scomparsa della vite, sostituita da altre col-tura. Si scopre però la cura, che consiste nello spar-gere lo zolfo sulle viti. E’ cosa che si fa ancora oggi. I buoni risultati permettono una ripresa della vigna, che il contadino ligure di Ponente ama particolarmen-te. Più tardi compare la micidiale fillossera. Si arriva alla necessità di un sistema di lotta internazionale, in base alla convenzione di Berna del 1881. Nel Ponen-te ligure vi sono segnali di rischio nel 1883, poi si

raccomanda di non portare tralci recisi dalle Langhe, grande ambito vinicolo. Alla fine, il flagello arriva. Negli elenchi dei comuni colpiti, datati al 1900 ed al 1907, ci sono tutti quelli del Ponente ligure. Un dramma, anche perché prima la malattia aveva col-pito la Provenza ed i vignaioli della Liguria aveva-no avuto fortuna nel rifornire quelle regioni rimaste senza vino. La malattia si curava con metodi curiosi, compreso l’uso di solfuro di carbonio. Tutto inutile. Il salvataggio sarebbe derivato dall’innesto della vite americana, immune. Molto era però andato perduto. Tutto ciò mentre cuneese, albese ed astigiano erano riusciti a proteggersi adeguatamente. Indagini ed iniziative di fine OttocentoI segni di una riscossa. Nonostante i danni dalle ma-lattie, ecco che agronomi e studiosi gettano le basi per il rinnovamento dell’enologia ligure. Appare chiaro che l’attuale situazione di sviluppo dipende anche da questi provvedimenti antichi. A Ponente si intro-duce una selezione dei vitigni. In valle Argentina si limitano le scelte: brachetto, crovaiolo, barbarosse e soprattutto rossese ed ormeasco, quest’ultimo adatto alle alte quote. E’ fondamentale l’impegno dei Comi-zi Agrari. Essi offrono l’organizzazione per limitare e sconfiggere le malattie e per il rinnovamento delle colture. Si limitano i vitigni e si cerca di scegliere la via della qualità. In una iniziativa del 1873, per esem-pio, nasce l’attenzione per l’uva pigato, che oggi rap-presenta una produzione di notevole valore. Interes-santissima è la relazione del Comizio Agrario di San Remo del 1873, rintracciata in Archivio di Stato. Si afferma che i vini migliori sono il moscato di Bussana ed il rossese della val Nervia. I coltivatori dovevano dunque limitare i vitigni e puntare sul rossese a quote medio-basse e sul vino detto “triorese” a quote alte. In questo caso il riferimento è il già celebre vino di Co-sio e Pornassio…ovvero l’attuale DOC “ormeasco”. MisureLa grande misura da esportazione nel Medioevo è la metreta (circa 100 litri). Il barile è l’unità di trasporto. Ma ancora nel XVI secolo si calcola al minuto in pin-ta, mezza, terza e quarta. La pinta è pari a 0,953 litri. La mezzarola arriva a 91, 488 litri, cioè due barili da 48 pinte ciascuno.

Nel XVIII secolo, a Porto Maurizio era in voga la so-mata minore divisa in due barili da 40 amole l’uno o in cinque rubbi vinari da 8 amole ciascuno. Nelle contrattazioni all’ingrosso si arrivava anche ai 10 ba-

rili per volta. Le misure non erano poi così diverse da quelle sanremesi.

Una somata corrisponde a 80-81 litri; un barile a 40-41 litri, un’amola a 1-1,025 litri ed è la misura più vicina all’antica pinta. Il rubbo vinario a 8 litri e le cinque somate sono di 400 litri.

Il sistema di commercio è basato alla mezzarola divi-sto in due barili, ovvero 180 amole, corrispondenti a 157,94-159 litri di vino. TestimonianzeA.GIUSTINIANI, Castigatissimi annali con la loro copiosa tavola della eccelsa et illustris-sima Repubblica di Genova, Genova, 1537. “et tutto questo tratto (zona di Taggia e piana fino a Santo Stefano ndr) e dottato di gran quantita di vigne, che producono vino moscatello in tanta preciosita et in tanto bonta, che e reputato niente inferiore delle malvasie Candiote ne de i vini Ciprioti de de i Grechi di Napoli”.

F.MARCALDI, Narrazioni del-lo stato della Repubblica di Genova, 1588. “La Riviera di Ponente è piena di frutti, vini, oli”.

GASPARE ENTE, Deliciae Italiae…, Colonia, 1608. Taggia “castello illustre per il vino Apiano (ndr. Dol-ce come il miele delle api), invero di scarsa produ-zione, ma celeberrimo per il nome, per la generosità del succo e che per soavità non cede né al Malvatico di Creta né al vin di Cipro, o a nessun altro, italico o straniero”.

GIO DOMENICO PERI, Negotii di mercantie osiano industrie principali che sono nella città di Genova, 1682. “I vini che nascono nel paese sono buonissimi, ma sopra tutti pretiosi i moscatelli di Taggia”.

FILIPPO CASONI, Breve descrittione del-la Liguria e della città di Genova, 1700 ca.. “…Taggia, colle sue coline famose per il moscato che vi nasce…oltre al vino di tanta eccellenza et oltre l’oglio perfettissimo…”.

“Nascono nella provincia vini buoni, fra i quali sono riputati eccelenti i moscati di Taggia e l’amabile pre-tioso per la sua generosità e per certa fragranza simile a quella che danno le droge indiche a’ liquori, co’ qua-

li si mescolano. Il vino che in abbondanza nasce nella Liguria non è però sufficiente agli abitanti, onde si smaltiscono nel Stato di Genova anco vini forastieri, particolarmente quelli di Linguadoca, della Corsica, della Toscana, del Regno di Napoli, che sono traspo-rati per mare e i vini leggieri e dolci che vengono con-dotti per terra a Genova dal Monferrato.

G.BRACELLI-F.BIONDO,Descrizione della Liguria (1543). “Quindi cinque mi-glia lontano è un castello, duo miglia appresso al mar, detto Tabia, notissimo per gli buoni vini, che vi si fan-no, percioché i moscatelli di questo luogo non cedono né a quelli di Cipro, né di Candia, né agl i Falerni”.

“Poi viene Diano, città, quasi 2 miglia discosto dal mare, et abondante d’oliveti e di vigne…”.

G.BOTERO, La Liguria nel-le “Relationi Universali (1593). “Il suo sostegno (della Liguria ndr) dipende pricipal-mente dagli agrumi, frutti’ogni sorte, vini eccellenti (ma non molti), massime a Tabia e nelle Cinqueter-re”.

Testimonianze tratte da M.QUAINI, La conoscenza del territorio ligure tra Medioevo ed Età Moderna, Genova, 1986. Bibliografia

Fonti archivistiche.

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Archivio di Stato di Imperia, Fondo Provincia di Imperia, f.292, 299.

Bibliografia.

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M.D.BIANCHI, Fonti giuridiche del castello di Dia-no e gli scritti inediti di Agostino Bianchi sotto ispet-tore delle foreste per il dipartimento di Montenotte durante il periodo napoleonico, Diano Marina, 1980.

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M.QUAINI, Per la storia del paesaggio agrario in Liguria, Savona, 1973.

M.QUAINI, La conoscenza del territorio ligure tra Medioevo ed Età Moderna, Genova, 1986.

P.RAIMONDI, Vini di Liguria, Genova, 1976. Pigato DOCil PigatoQui c’è tutta la natura e tutto il gusto del Ponente li-gure . E’ il compagno ideale, assieme al Vermentino, per una gustosa serata dove il pesce è protagonista. Annuncia il pranzo, tiene compagnia e accompagna una chiacchierata estiva, sotto il pergolato, mentre ar-riva dal mare una brezza che ravviva. la StoriaNel 1873 il Comizio Agrario circondariale aveva ca-pito che l’eccessivo numero di vitigni utilizzati dan-neggiava la produzione vinicola ligure. Si fece allo-ra un confronto per individuare quelli più adatti alla coltivazione regionale. Le varietà censite furono ben 20 di uve nere e 16 di uve bianche. Fra queste ultime la scelta come vitigno più adatto a vaste aree della Liguria fu quella del Pigato di Albenga. Era nata uffi-cialmente l’attenzione per questo prodotto.

Va detto peraltro che a Loano, Pietra Ligure e Finale questo vitigno era confuso con il vermentino.

Realmente il vitigno pigato fa parte della complessa realtà presente nel Ponente ligure probabilmente per prestiti ed importazioni di ambito secolare. Rientra nel novero dei vini bianchi “simili ad acqua”, che ac-compagnano piacevolmente tutto il pasto.

La formazione del vitigno comprende quattro compo-nenti. La stessa nomenclatura (presente il cosiddetto “grecanico”), lascia intendere che ci può trovare di fronte ad una precisa linea di importazione storica. Secondo la tradizione farebbe dunque parte dei viti-gni greci giunti in Liguria (cfr. il verdea). In ogni caso

vitigni detti “grecanico” si trovano anche in Sicilia (DOC Contessa Entellina, Menfi, Santa Margherita del Belice). Si dovrebbe quindi valutare anche la se-colare dimensione di rapporto storico, tutto Mediter-raneo, tra Liguria e Sicilia.

Il nome di “pigato” deriva verosimilmente dalla tipica macchia che compare sull’acino (dialettale “pigau”, la macchia è la “piga”). La DOCL’Ormeasco di Pornassio o Pornassio D.O.C. è rico-nosciuto con D.D. 16 settembre 2003. Riconoscimen-to della denominazione di origine controllata dei vini «Pornassio» o «Ormeasco di Pornassio» e successiva rettifica con decreto 27 luglio 2004 Rettifica al decre-to direttoriale 16 settembre 2003 di riconoscimento della denominazione di origine controllata del vino «Pornassio» o «Ormeasco di Pornassio». Le Caratteristiche Zona di produzione: prevalenza per l’Albenganese, dalla piana fino alla media valle Arroscia, ove si con-centra il 40% del prodotto. Notevoli produzioni ad Ortovero, Bastia e Salea, ove a settembre si svolge la “sagra del Pigato”.

Tipo: bianco tranquillo da pasto.

Vitigno: Il vitigno del pigato è in realtà composto da quattro specie diverse: grecanico dorato, aminea ge-mina, favorita, garganega. E’ prodotto da uve del vi-tigno Pigato minimo 95%. Resa massima consentita delle uve, 110 Q.li per ettaro.

Gradazione alcolica: Alcool 11%.

Colore: Colore giallo paglierino più o meno carico.

Profumo: Il Profumo è caratteristico, generalmente intenso e persistente, leggermente aromatico con sen-tori che pur variando da zona a zona, ricordano la pe-sca bianca, la mela, la mandorla ed i fiori come la gi-nestra e le erbe aromatiche (talvolta, nell’entroterra).

Sapore: Il Sapore è secco ma morbido, pieno, sapido, di buon corpo ed equilibrato, continuo con fondo lie-vemente amarognolo, mandorlato

Età ottimale: Va bevuto preferibilmente entro 2 anni

dalla vendemmia.

Conservazione: Va conservato coricato in cantina alla temperatura di 12-14°.

Temperatura di servizio: La temperatura di servizio è di 8 -10°.

Bicchiere: Per bianco tranquillo da pasto o slanciato per coglierne meglio l’aroma.

Accostamenti: Antipasti, secondi piatti a base di pe-sce di mare con erbe aromatiche e olive taggiasche, cima ed altri piatti della cucina nazionale ed estera. Pansotti, ravioli, branzino al cartoccio, trenette al pesto Antipasti a base di funghi. E’ tradizionalmente considerato un vino che accompagna in modo piace-vole il pesce della Riviera Ligure di Ponente, esaltan-dosi con il branzino, i costacei pregiati ed i molluschi. Facilmente accompagna i pasti leggeri tipici dell’en-troterra collinare. il DisciplinareArt. 1 La denominazione di origine controllata Riviera Ligu-re di Ponente accompagnata da una delle specificazio-ni previste dal presente disciplinare di produzione, e’ riservata ai vini bianco, rosso e rosato che rispondono alle condizioni ed ai requisiti in appresso indicati

Art. 2 L:a denominazione di origine controllata Riviera Li-gure di Ponenteaccompagnato dall’indicazione di uno dei seguenti vitigni Pigato, V ermentino, Rossese e’ riservata ai vini ottenuti dalle uve dei vigneti costituiti per almeno il 95% dei corrispondenti vitigni.

Possono concorrere, da sole o congiuntamente alla produzione di ciascuno dei vini sopra indicati, le uve a bacca di colore analogo dei vitigni non aromatici raccomandati o autorizzati nelle province di Geno-va, Savona ed Imperia presenti nei vigneti fino ad un massimo del 5%

La denominazione di origine controllata Riviera Li-gure di Ponente con la specificazione ‘Ormeasco’ e’ riservata al vino rosato o ros so ottenuto dai vigneti composti per almeno il 95% dal vitigno Dolcetto.

Possono concorrere alla produzione di detto vino

anche le uve a bacca rossa dei vitigni non aromatici raccomandati od autorizzati in provincia di Imperia presenti nei vigneti fino ad un massimo del 5%

I vini Pigato, Vermentino, Rossese della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente , possono essere designati con una delle seguenti sot-todenominazioni geografiche: Riviera dei fiori Albenga o Albenganese Finale o Finalese

se esclusivamente ottenuti da uve prodotte nelle ri-spettive zone delimitate nel successivo articolo 3

Il vino Ormeasco della denominazione di origine con-trollata Riviera Ligure di Ponente puo’ essere desi-gnato con la sottodenominazione geo grafica Riviera dei fiori se esclusivamente ottenuto da uve prodotte nella corrispondente zona delimitata nel successivo articolo 3

Tutte le specificazioni aggiuntive della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponen-te debbono essere indicate in etichetta con caratteri grafici di dimensio ne non superiori a quelli usati per indicare la denominazione di origine stessa

I conduttori aventi vigneti iscritti all’Albo dei vigneti per la produzione della DOC Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua riconosciuta ai sensi del d ecreto del presidente della Repubblica 28.01.72, possono effet-tuare, in alternativa, la denuncia di produzione delle uve previste dall’articolo 11 del decreto del Presiden-te della Repubblica del 12.07.63 nr. 930, per rivendi-care la produzione del vino Rossese della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente qualora le uve abbiano i requisiti previsti nel presente disciplinare di produzione. Art. 3 La zona di produzione del vino Vermentino della de-nominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente comprende i sottoindicati territori delle pro-vince di Imperia, Savona e Genova.

La zona di produzione dei vini Pigato e Rossese della denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente comprende i sottoindicati territori delle province di Savona e Imperia:

In provincia di Imperia per tutto il loro territorio i co-muni di: Airole, Apricale, Aquila d’Arroscia, Armo, Aurigo, Badalucco, Baiardo, Bordighera, Borghetto d’Arroscia, Borgomaro, Camporosso, Caravonica, Carpasio, Castellaro, Castelvittorio, Ceriana, Cervo, Chiusanico, Chiusavecchia, Cipressa, Civezza, Costa-rainera, Diano Aretino, Diano Castello, Diano Mari-na, Diano San Pietro, Dolceacqua, Dolcedo, Imperia, Isolabona, Lucinasco, Molini di Triora, Moltalto Li-gure, Montegrosso Pian Latte, Olivetta San Michele, Ospedaletti, Perinaldo, Pietrabruna, Pieve di Teco, Pi-gna, Pompeiana, Pontedassio, Prela’, Ranzo, Rezzo, Riva Ligure, Rocchetta Nervina, San Bartolomeo al Mare, San Biagio della Cima, San Lorenzo al Mare, Sanremo, Santo Stefano al Mare, Seborga, Soldano, Taggia, Terzorio, Vallebona, Vallecrosia, Vasia, Ven-timiglia, Vessalico, Villa Faraldi e parte del territorio dei comuni di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Pornas-sio e Triora (delimitato a nord dal crinale alpino);

In provincia di Savona per tutto il loro territorio i co-muni di: Alassio, Albenga, Albisola Superiore, Albis-sola Marina, Andora, Arnasco, Balestrino, Bergeggi, Boissano, Borghetto Santo Spirito, Borgio Verezzi, Casanova Lerrone, Castelbianco, Celle Ligure, Ce-riale, Cisano sul Neva, Erli, Finale Ligure, Garlen-da, Giustenice, Laigueglia, Loano, Magliolo, Nasino, Noli, Onzo, Orco Feglino, Ortovero, Pietra Ligure, Quiliano, Rialto, Savona, Spotorno, Stella, Stellanel-lo, Testico, Toirano, Tovo San Giacomo, Vado Ligure, Varazze, Vendone, Vezzi Portio, Villanova d’Albenga, Zuccarello e parte del territorio dei comuni di Calice Ligure e Castelvecchio di Rocca Barbena (delimitato a nord dal crinale appenninico);

In provincia di Genova per tutto il loro territorio i co-muni di: Arenzano e Cogoleto.

La zona di produzione della denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente Ormeasco com-prende l’intero territorio dei seguenti comuni in pro-vincia di Imperia: Armo, Cosio d’arroscia, Mendati-ca, Montegrosso Pian Latte, Pieve di Teco, Pornassio, Rezzo, Molini di Triora, Carpasio, Borgomaro, Pigna, Castelvittorio, Aurigo, Badalucco, Triora, Montalto Ligure, Ranzo, Borghetto d’Arroscia, Vessalico, Ac-quila d’Arroscia.

La zona di produzione della denominazione di origi-ne controllata Riviera Ligure di Ponente aventi diritto alla sottodenominazione Riviera dei Fiori comprende in provincia di Imperia l’intero territorio dei seguenti comuni: Airole, Apricale, Aquila d’Arroscia, Armo, Aurigo, Badalucco, Baiardo, Bordighera, Borghetto d’Arroscia, Borgomaro, Camporosso, Caravonica, Carpasio, Castellaro, Castelvittorio, Ceriana, Cer-vo, Cesio, Chiusanico, Chiusavecchia, Cipressa, Ci-vezza, Costarainera, Diano Aretino, Diano Castello, Diano Marina, Diano San Pietro, Dolceacqua, Dolce-do, Imperia, Isolabona, Lucinasco, Molini di Triora, Moltalto Ligure, Montegrosso Pian Latte, Olivetta San Michele, Ospedaletti, Perinaldo, Pietrabruna, Pieve di Teco, Pigna, Pompeiana, Pontedassio, Pre-la’, Ranzo, Rezzo, Riva Ligure, Rocchetta Nervina, San Bartolomeo al Mare, San Biagio della Cima, San Lorenzo al Mare, Sanremo, Santo Stefano al Mare, Seborga, Soldano, Taggia, Terzorio, Vallebona, Val-lecrosia, Vasia, Ventimiglia, Vessalico, Villa Faraldi e parte del territorio dei comuni di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Pornassio e Triora (delimitato a nord dal crinale alpino);

La zona di produzione della denominazione di origi-ne controllata Riviera Ligure di Ponente aventi dirit-to alla sottodenominazione Albenganese comprende in provincia di Savona l’intero territorio dei seguenti comuni: Alassio, Albenga, Andora, Arnasco, Casano-va Lerrone, Castelbianco, Ceriale, Cisano sul Neva, Erli, Garlenda, Laigueglia, Nasino, Onzo, Ortovero, Stellanello, Testico, Vendone, Villanova d’Albenga, Zuccarello e parte del territorio dei comuni di Castel-vecchio di Rocca Barbena (delimitato a nord dal cri-nale appenninico);

La zona di produzione della denominazione di ori-gine controllata Riviera Ligure di Ponente aventi diritto alla sottodenominazione Finalese comprende in provincia di Savona l’intero territorio dei seguenti comuni: Balestrino, Boissano, Borghetto Santo Spiri-to, Borgio Verezzi, Finale Ligure, Giustenice, Loano, Magliolo, Noli, Orco Feglino, Pietra Ligure, Rialto, Toirano, Tovo San Giacomo, Vezzi Portio, e parte del territorio dei comuni di Calice Ligure (delimitato a nord dal crinale appenninico); Art. 4 Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti de-stinati alla produzione dei vini di cui all’art. 1, devo-

no essere quelli tradizionali della zona e comunque unicamente quelle atte a conferire alle uve ed al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualita’. I se-sti d’impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati e comunque atti a non modificare le caratteristiche pe-culiari dell’uva e del vino.

E’ vietata ogni pratica di forzatura

La resa massima di uva ammessa per la produzione dei vini di cui all’art. 1, non deve essere superiore a q.li 110 per ettaro di vigneto in coltura specializzata per i vini bianchi Pigato e Vermentino ed a q.li 90 per ettaro di vigneto in coltura specializzata per i vini rossi Ormeasco e Rossese.

Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per il vigneto in coltura promiscua deve essere calcolata rispetto a quella specializzata, in rapporto all’effettiva superficie coperta dalla vite. A tale limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovra’ essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purche’ la produzione non superi del 20% il limite massimo.

La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70% per tutti i vini Riviera Ligure di Po-nente.

Qualora la resa uva-vino superi il limite sopra indica-to, l’eccedenza non avra’ diritto alla denominazione di origine controllata.

La regione Liguria, annualmente, prima della ven-demmia, con proprio decreto, sentite le organizzazio-ni professionali di categoria e tenuto conto delle con-dizioni ambientali e di coltura, puo’ fissare produzioni massime per ettaro inferiori a quelle stabilite dal pre-sente disciplinare di produzione anche in riferimento a singole zone geograiche o a tipi di vino, dandone comunicazione al Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste ed al comitato nazionale per la tutela delle de-nominazioni di origine dei vini. Art. 5 Le operazioni di vinificazione devono essere effet-tuate nell’interno della zona di produzione del vino a denominazione di origine controllata Riviera Ligu-re di Ponente delimi tata nell’art. 3. Tuttavia, tenuto

conto delle situazioni tradizionali, e’ consentito che tali operazioni siano effettuate nell’intero territorio dei comuni, anche se soltanto in parte compresi nella zona delimitata.

Le uve destinate alla vinificazione dovranno essere sottoposte a preventiva cernita in modo da assicurare al vino una gradazione alcoolica complessiva mini-ma naturale di gradi 10.5 per i vini Ormeasco, Pigato, Rossese e Vermentino.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, tradizionali della zona, atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche.

Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco puo’ es-sere ottenuto con la tradizionale vinificazione parziale in bianco che conferisce ad esso colore rosato e puo’ portare, in tal caso la menzione specifica tradizionale Sciac-Trà che distingue tale tipologia. Art. 6 I vini di cui all’art. 1 all’atto della loro immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteri-stiche:

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Colore: rosso rubino, vivo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole, leggermente amarogno-lo, discreto corpo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 22 per mille

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Sciac-Trà Colore: rosa corallo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 18 per mille

Riviera Ligure di Ponente Pigato Colore: giallo paglierino piu’ o meno carico Odore: intenso, caratteristico, leggermente aromatico Sapore: asciutto, pieno, lievemente amarognolo man-dorlato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille

Estratto secco netto minimo: 16 per mille

Riviera Ligure di Ponente Rossese Colore: rosso rubino chiaro Odore: delicato, caratteristico, vinoso Sapore: asciutto, delicato, morbido, amarognolo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 20 per mille

Riviera Ligure di Ponente Vermentino Colore: paglierino Odore: delicato, caratteristico, fruttato Sapore: asciutto, fresco, armonico, delicatamente fruttato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 16 per mille

E’ facolta’ del Ministero dell’Agricoltura e delle fo-reste con proprio decreto, di modificare per i vini di cui sopra i limiti minimi indicati per l’acidita’ totale e l’estratto secco netto.

Art. 7 Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco derivante da uve aventi una gradazione alcoolica minima natra-le di 12 ed immesso al consumo con una gradazione alcoolica complessiva minima di 12.5, puo’ portare la qualificazione aggiuntiva ‘Superiore’. Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Superiore non puo’ es-sere immesso al consumo prima del 1 novembre del-l’anno success ivo a quello della vendemmia.

Art. 8 Alla denominazione di cui all’art. 1 e’ vietata l’ag-giunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista nel presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi ‘Extra’, ‘Fine’, ‘Scelto’, ‘Ri-serva’.

E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferi-mento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, pur-che’ non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l’acquirente. Fatto salvo l’uso di nomi aziendali, non e’ consentito l’uso di altre indi-cazioni, geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, tenute, zone e lo-calita’ comprese nella zona delimitata nel precedente

art. 3.

Le bottiglie o alri recipienti di capacita’ non superio-re a 5 litri, contenenti vini Riviera Ligure di Ponente di cui al presente disciplinare, in vista della vendita devono essere, anche per quanto riguarda il confezio-namento e la presentazione, consoni ai tradizionali caratteri di un vino di pregio.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti i vini Ri-viera Ligure di Ponente puo’ figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve, purche’ docu-mentabile. Tale i ndicazione e’ obbligatoria per i vini designati in conformita’ dell’art. 7 del presente disci-plinare e quelli posti in commercio con una delle sot-todenominaizioni di cui all’art. 3

Art. 9 Chiunque produce, vende, pone in vendita o comun-que distribuisce per il consumo con la denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente vino che non risponde al le condizioni ed ai requisiti sta-biliti dal presente disciplinare, e’ punito a norma del-l’art. 28 del Decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963 nr. 930 Il vitignoLe prime notizie sulla coltura del Pigato risalgono alla fine del secolo scorso, quando dal lavoro delle Commissioni Ampelografiche Proviciali risultò che il vitigno era presente nel circondario di Porto Maurizio (1881b) e nel Genovesato (1883), quì con riferimento ad un Pigà e ad un Vermentino Pigato, ed in effetti ciò è quanto è emerso da un’indagine ampelografica comparativa compiuta su cloni dei due vitigni, con l’agigunta della Favorita del Piemonte, in ambienti colturali liguri e piemontesi (SCHNEIDER e MAN-NINI, 1990).

Pur riconoscendo ai genotipi esaminati proprie carat-teristiche, queste non sono risultate decisive ai fini di una distinzione in cultivar separate. Lo stesso caratte-re riconosciuto al Pigato di presentare macchie rug-ginose sulla superficie dell’acino a maturità (da cui il vitigno ha tratto il nome) non sembra costante in ogni ambiente di coltura, nè sua prerogativa esclusi-va, comparendo spesso anche sul Vermentino e talora sulla Favorita.

Per la descrizione ampelografica del Pigato e gli

aspetti colturali si rimanda pertanto a quanto riportato per il Vermentino.

Va aggiunto però che gli scritti delgi anni ‘60 dan-no una distinta descrizione del ‘Pigato’ (CARLONE, 1963a) e lo indicano come coltivato su di una superfi-cie pari a circa il 20% in provincia di Savona e al 15% in quella di Genova, considerandolo sempre ben di-stinto dal Vermentino (DALMASSO e DELL’OLIO 1964).

Attualmente il Pigato rientra nella denominazione di origine Riviera ligure di Ponente Pigato con una su-perficie di 20 ha iscritti in provincia di Imperia e 65 ha in provincia di Savona. La produzione del 1991 di 4.400 hl, rappresenta oltre un quarto del vino a DOC della Liguria

Tratto da Orientamenti per la vitivinicoltura ligure edito da Regione Liguria Servizio Assistenza Tecnica e Sperimentazione in Agricoltura Autori A. Schnei-der, F. Mannini, N. Argamante Rossese di Dolceacqua DOCil DolceacquaPrima DOC del Ponente ligure (1972!). Un indimen-ticabile rosso…un vino che si ama bere, che accom-pagna il pasto robusto con piacevolezza mediterranea. Un vino dove si ritrova il sole dell’entroterra tanto quanto la brezza del mare che risale nelle valli del ventimigliese la StoriaRossese o “Razzese”…Liguria per eccellenza. Nel XVI secolo il De Franchi, in una simpatica poesia, dice che forse neanche in Paradiso si può trovare un vino come il Rossese. Il sospetto è che facesse riferi-mento al Rossese delle Cinque Terre, che però è un bianco.

In realtà il vitigno del rossese sembra essere uno dei più tipici della Liguria e forse autoctono. In ogni caso la sua presenza sul territorio risale veramente a tem-pi non pienamente identificabili. Il portamento della pianta riporta alla memoria il vigneto provenzale. Può sembrare verosimile, ma non documentabile, la sua importazione proprio dalla Francia meridionale. In ogni caso

Il Gallesio , agli inizi del XIX secolo, parla del ros-sese come di uno dei due vitigni più diffusi in Ligu-

ria. Si sofferma in modo particolare sul Rossese del-le Cinqueterre, che però è vino bianco. Il Rossese di Dolceacqua è invece un rosso, che definisce come prodotto da “uve nere…uva particolare da cui si cava un vino da pasteggiare, asciutto che ha della analogia col vino di Nizza”. La DOCRossese di Dolceacqua - Caratteristiche Il Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua , D.O.C. e’ riconosciuto con DPR del 28.01.1972 G.U. 15.05.1972 Le Caratteristiche Zona di produzione: valli di Ventimiglia, con capo sulla Val Nervia (Dolceacqua, Camporosso) e val Verbone (San Biagio della Cima, Soldano). Si posso trovare anche filari del non comune rossese bianco.

Tipo: rosso da pasto.

Vitigno: Rossese, minimo 95%. La resa massima consentita delle uve e’ di 90 Q.li per ettaro.

Gradazione alcolica: L’alcool e’ di 12% per il Dol-ceacqua e 13% per il Dolceacqua superiore, il quale puo’ esssere immesso in commercio dopo un invec-chiamento di almeno 12 mesi.

Colore: Da giovane ha un Colore rosso rubino più o meno carico in relazione alla zona di produzione, granata con riflessi a volte aranciati, sia il superiore che il normale se invecchiati.

Profumo:

Sapore: Il Profumo vinoso, intenso e floreale da gio-vane. con l’affinamento diventa ampio, fine con sen-tori di rosa appassita, frutti di bosco, erbe aromatiche e spezie. Il Sapore asciutto, abbastanza morbido, cal-do, sapido, lievemente tannico da giovane; armonico con un finale gradevolmente amarognolo con un ade-guato affinamento.

Età ottimale: Va bevuto da 2 a 3 anni dalla data di vendemmia. Se Dolceacqua superiore 2-5 anni ed ol-tre (ma solo le annate migliori, come il 1988 o simi-li).

Conservazione: Deve essere conservato in cantina, in posizione coricata ad una temperatura tra i 12° ed

i 14° C

Temperatura di servizio: La temperatura di servizio e’ di 18°-19° C.

Bicchiere: per rosso nel caso del Dolceacqua, calice o comunque slanciato per il Dolceacqua superiore.

Accostamenti: Stoccafisso alla ligure (con Dolceac-qua giovane). Primi piatti con sughi di carne (per il Dolceacqua). Cacciagione, carni con funghi, selvag-gina in umido e formaggi di media stagionatura (per il Dolceaqua superiore ). Notevole l’accostamento con le formaggette pastorali dell’alta val Nervia (zona di Pigna, Buggio-Langan). Faraona in umido con crema di funghi. Coniglio arrosto alla ligure. Pollo alla cac-ciatora. L’accostamento più “classico” in val Nervia è con la capra e fagioli o con il cosciotto d’agnello in umido. In questo caso la tradizione pastorale della Liguria interna trova il suo accompagnamento enolo-gico più coinvolgente. Il DisciplinareArt. 1 La denominazione di origine controllata Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua e’ riservata al vino rosso che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione

Art. 2 Il vino Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua deve es-sere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti com-posti dal vitigno Rossese. Possono concorrere alla prod uzione di detto vino le uve rosse non aromatiche provenienti da; vitigni presenti nei vigneti fino ad un massimo complessivo del 5%

Art. 3 La zona di produzione del vino Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua comprende in tutto i territori dei comu-ni di Dolceacqua, Apricale, Baiardo, Camporosso, Ca stelvittorio, Isolabona, Perinaldo, Pigna, Rocchetta Nervina, San Biagio della Cima e Soldano, nonche’ la frazione Vallecrosia Alta del Comune di Vallecrosia, e quella di Mortola Superiore, S.Bartolomeo-Carletti, Ville, Calandri, S.Lorenzo, S.Bernardo, Sant’Antonio, Sealza, Villatella, Calvo-S.Pancrazio, Torri, Verrandi e Calandria di Trucco del Comune di Ventimiglia, a quella parte del territorio del comune di Vallebona che e’ situato sulla riva destra del torrente Borghetto.

Art. 4 Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti de-stinati alla produzione del vino Rossese di Dolceac-qua o Dolceacqua devono essere quelle tradizionali de lla zona e, comunque, atte a conferire alle uve ed al vino derivante le specifiche caratteristiche di qualita’. Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini della iscri-zione all’albo previsto dall’art. 10 del DPR 12 luglio 1963 n. 930, unicamente i vigneti ubicati in terreni ben esposti, a quote non superiori ai 600 metri, con esclusione di quelli siti nei fondovalle.

I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i siste-mi di potatura devono essere quelli generalmente usa-ti o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini.

E’ vietata ogni pratica di forzatura. La resa massima di uva ammessa per la produzione del vino Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua non deve essere superiore ai quintali 90 di uva per ettaro di coltura specializza-ta.

Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di vigneto in coltura promiscua deve essere calcolata, rispetto a quella specializzata, in rap-porto alla effettiva superficie coperta dalla vite. A tale limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovra’ essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purche’ la produzione non superi del 20% il limite massimo.

La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%

Art. 5 Le operazioni di vinificazione devono essere effettua-te nell’interno della zona di produzione delimitata nel precedente articolo 3.

Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione, e’ consentito che tali operazioni siano ef-fettuate nell’interno del territorio dei comuni anche se soltanto in parte compresi nella zona delimitata.

Le uve destinate alla vinificazione devono assicura-re al vino Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua una gradazione alcoolica complessiva minima naturale di

11,5 .

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche lealie costanti, tradizionali della zona, atte a conferire al vino le sue peculiari caratteristiche.

Art. 6 Il vino Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua, all’atto della immissione al consumo, deve rispondere alle se-guenti caratteristiche: Colore: rosso rubino, granato se invecchiato Odore: vinoso intenso, ma delicato, caratteristico Sapore: morbido, aromatico, caldo Gradazione alcoolica minima complessiva: 12 Acidita’ totale minima: 4,5 per mille Estratto secco netto minimo: 23 per mille E’ facolta’ del Ministro per l’agricoltura e le foreste, con proprio decreto, di modificare i limiti minimi so-pra indicati per l’acidita’ totale e l’estratto secco net-to

Art. 7 Il vino Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua, deri-vante da uve aventi una gradazione alcoolica mini-ma naturale di 12,5 ed immesso al consumo con una gradazione alcoolica complessiva minima di 13, puo’ portare la qualificazione aggiuntiva ‘superiore’

Il vino Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua superio-re non puo’ essere immesso al consumo prima del 1 Novembre dell’anno successivo a quello della ven-demmia

Art. 8 Alla denominazione di cui all’articolo 1, e’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quel-la prevista nel presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi ‘extra’, ‘fine’, ‘scelto’, ‘selezionato’ e simi-lari

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti vino Ros-sese di Dolceacqua o Dolceacqua puo’ figurare l’indi-cazione dell’annata di produzione delle uve, purche ‘ veritiera e documentabile.

E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che faccia-no riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente.

E’ consentito altresi’ l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, fattorie, zone e localita’ comprese nella zona delimitata dal precedente articolo 3

Art. 9 Chiunque produce, vende, pone in vendita o comun-que distribuisce per il consumo con la denominazione di origine controllata Rossese di Dolceacqua o Dol-ceacqua vini che non rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di pro-duzione, e’ punito a norma dell’articolo 28 del dpr 12 luglio 1963 nr. 930. Il vitignoLe notizie storiche riguardo al Rossese , oggi colti-vato a Dolceacqua, sono sovente complicate dalla presenza in Liguria (e nel vicino Piemonte) di altri Rossesi dalla importanza colturale probabilmente più rilevante. Un Rossese a frutto bianco, o al massimo debolmente rosato, era coltivato a Mondovì (DI RO-VASENDA, 1877). Un Rossese bianco (o meglio Ro-xeise) era considerato il vitigno tipico della Liguria Oriendale ed era rinomato fin dal Rinascimento per i vini che se ne ottenevano (GALLESIO, 1839). Un Rossese a frutto rosso era presente nei dintorni di Ivrea (DI ROVASENDA, 1877). Il Rossese nero (o meglio ‘nericcio’, come lo definisce il Di Rovasenda) andò assumendo importanza colturale in tempi più recen-ti rispetto al Rossese bianco, ma sembra comunque già affermato nell’attuale principale area colturale nei pressi di Ventimiglia e SanRemo almeno da un seco-lo e mezzo (GALLESIO, 1839). Dalmasso e Mariano (1963) indicano la presenza di un diverso Rossese a frutto colorato (che però non descrivono) in provincia di Savona, e ciò troverebbe conferma nella distinzio-ne del Rossese di Ventimiglia da quello di Campo-chiesa che congiuntamente erano coltivati negli anni ‘60 su circa il 20% della superficie vitata del versante tirrenico della provincia di Savona (DALMASSO e DELL’OLIO, 1964).

Il Rossese quì descritto, a frutto colorato, si presenta caratterizzato da una certa eterogeneità morfologica soprattutto nella colorazione di germogli ed uve, nella dimensione di grappoli e foglie, nonchè nella tormen-tosità di queste ultime. Tale eterogeneità fenotipica dipende da numerosi fattori, tra cui non è da escludere una componente genetica

Principali caratteri ampelografici

Germoglio prima della fioritura: apice aperto, lanu-ginoso, giallo verdastro con orli più o meno inten-samente rosati; foglioline dalla 1a alla 3a piegate a gronda, di colore verde giallastro o biancastro (per la presenza di tomento), più o meno intensamente rama-te; foglioline dalla 4a alla 6a spiegate, verdi giallastre con sfumature ramete e talora punto peziolate ramato; la 4a è superiormente aracnoidea, inferiormente molto lanuginosa; la colorazione antocianica del germoglio è di media o debole intensità a seconda dei biotipi.

Tralcio erbaceo: tratto apicale ricurvo, sezione circo-lare e contorno angoloso, di oclore verde sulla parte ventrale, striato di rosso sulla dorsale, viticci molto sviluppati di colore giallo con sfumature ramate

Infiorescenza: conica, ramificata con estremità apicali dei racimoli principali ramate.

Foglia adulta: media, medio-grande o grande a secon-da dei cloni, pentagonalem eptalobata (ma non rara-mente con più di sette lobi); seno peziolare a U+V, stretto o chiuso con bordi un poco sovrapposti spesso con dente; seni laterali profondi, a lira con i bordi so-vrapposti i superiori, a U gli inferiori; lembo di me-dio spessore, a superficie lisca e nervature principali spesso ginocchiate, margini ondulati di colore verde con base delle nervature principali rosata; denti mol-to pronunciati a margini concavi o concavi/convessi; pagina inferiore con lembo lanuginoso e nervature da setolose a vellutate (ovvero con tomento corto molto abbondante) a seconda dei cloni (figura a lato), pic-ciolo lungo, da quasi glabro ad abbondantemente se-toloso a seconda dei cloni, di colore verde sfumato di rosa

Grappolo a maturità : di medie dimensioni o medio-grande, piramidale con 1-2 ali, o più spesso ramificato con numerose ali ben sviluppate o lungamente pedu-colare; più o meno spargolo a seconda dell’incidenza della colatura; peduncolo lungo e robusto, di colore verde sfumato di ros, lignificato nel primo tratto; aci-no da medio a medio-piccolo, ellissoidale corto, con buccia di medio spessore, mediamente pruinosa, di colore blu-nero violetto; vinacicoli medio-piccoli, in numero di 1 a 4 per acino (più frequentemente 2).

Tralcio legnoso: di colore nocciola chiaro

Caratteri distintivi: germoglio lanuginoso, più o meno intensamente ramato; foglia eptalobata o con più di sette lobi, a superficie liscia e nervature spesso ginoc-chiate, inferiormente nervature più o meno vellutate, denti molto pronunciati; grappolo spargolo, spesso ramificato con molte ali, acino ellissoidale corto, blu-nero violetto

Aspetti colturali

L’accentuato polimorfismo che questa cultivar pre-senta dal punto di vista morfologico riguarda anche le caratteristiche agronomiche e produtive. Si hanno pertanto biotipi caratterizzati da vigore vegetativo e fertilità notevoli, altri di vigore e produttività conte-nuti. Anche la colorazione del frutto non pare molto uniforme, ma si presenta al contrario piuttosto varia-bile. Interazioni fra fattori genetici, climatici ed affe-zioni virali concorrono probabilmente ad accentuare tali fenomeni.

Il vitigno possiede una fertilità basale molto spiccata per cui predilige una potatura corta. La produzione è però fortemente condizionata da fenomeni di colatura ed acinellatura spesso verde, dei grappoli. Per quanto riguarda lamoltiplicaizone per innesto, è opportuno segnalare un fenomeno di incompatibilità tra il Ros-sese ed il Kober 5 BB clone MIK9, cui fanno eccezio-ne solo i biotipi vigorosi.

I problemi legati ad anomalie nell’allegagione ed al-l’incompatibilità d’innesto si possono considerare in relazione con l’elevata diffusione di malattie viral, con particolare riferimento all’arricciamento ed al le-gno riccio

Tratto da Orientamenti per la vitivinicoltura ligu-re edito da Regione Liguria Servizio Assistenza Tecnica e Sperimentazione in Agricoltura Autori A. Schneider, F. Mannini, N. Argamante Rossese DOCil RosseseRiviera Ligure di Ponente Rossese (detto anche Ros-sese di Campochiesa ovvero Riviera dei Fiori, Alben-ganese o Finalese).

Bere il rossese è comprendere lo spirito dell’intera regione ligure di Ponente. Un vino generoso, a suo modo prezioso…lo si ritrova nelle valli, nelle piccole pianure assolate, sente la montagna quanto il mare…è un compagno di viaggio, dà sempre le risposte che si desiderano, assieme a piatti molto vari ed a sapo-ri anche rustici, come certi formaggi dell’entroterra profondo. la StoriaCi si allontana dall’area ventimigliese e si incontra ancora il rossese…la capacità di armonizzazione con il territorio, con le caratteristiche del territorio, è no-tevole. Resta dunque in sospeso la possibilità di avere a che fare con un vitigno assolutamente tipico del-la regione della Liguria di Ponente. Il rapporto con il sud della Francia è senza dubbio notevole, anche in materia di rapporto con l’uva e di tecniche di pro-duzione. In tal senso è importante la relazione sto-rica tra la Liguria di Ponente e la Provenza. Da qui dapprima si è determinata una spinta espansionistica angioina, guelfa e aggressiva, ma ricca di contenuti culturali, bloccata dai genovesi nel XIII secolo. Nel Quattrocento molti liguri si sono recati a colonizzare siti provenzali spopolati dalle pestilenze. Contempo-raneamente si erano sviluppate relazioni commerciali molto intense, legate proprio all’importazione di vini e di sale dalla Provenza, dove invece si dirigeva l’olio e altri derivati oleari, utilizzati anche nella cosmesi e nella fabbricazione del famoso sapone di Marsiglia. La DOCIl Riviera ligure di Ponente - Rossese , D.O.C. è rico-nosciuto con DPR del 31.03.1988 G.U. 31.01.1989. Le Caratteristiche

Zona di produzione: molti comuni della Liguria di Ponente, con accentramento nella piana di Albenga e nel Finalese.

Tipo: rosso.

Vitigno: Rossese, minimo 95%. Resa massima con-sentita delle uve, 90 Q.li per ettaro.

Gradazione alcolica: Alcool 11%.

Colore: Rosso rubino più o meno intenso.

Profumo: Il Profumo è delicato, caratteristico, vino-so.

Sapore: Il Sapore è asciutto, delicato, morbido, pia-cevolmente caldo. Sentori di rosa, lampone e fragola. Ha una consistenza media ,mai esuberante ed un buon equilibrio con un tipico finale amarognolo.

Età ottimale: Da uno a due anni dopo la vendemmia, secondo l’annata.

Conservazione: In cantina, coricato, nel settore de-stinato ai rossi, ad una temperatura di 12-14 %.

Temperatura di servizio: La temperatura di servizio e’ di 16°-18° C..

Bicchiere: per rosso ovvero a calice con stelo medio.

Accostamenti: Ravioli alla ligure, con ripieno di verdura. Paste o risotti, con ragu’ di carne, pollame, spezzatino di vitello. Coniglio al rossese. Cima alla ligure. Cannelloni al ragù. Formaggi semiduri. Pollo alla cacciatora. il DisciplinareArt. 1 La denominazione di origine controllata Riviera Ligu-re di Ponente accompagnata da una delle specificazio-ni previste dal presente disciplinare di produzione, e’ riservata ai vini bianco, rosso e rosato che rispondono alle condizioni ed ai requisiti in appresso indicati

Art. 2 L:a denominazione di origine controllata Riviera Li-gure di Ponenteaccompagnato dall’indicazione di uno dei seguenti vitigni Pigato, V ermentino, Rossese e’ riservata ai vini ottenuti dalle uve dei vigneti costituiti per almeno il 95% dei corrispondenti vitigni.

Possono concorrere, da sole o congiuntamente alla produzione di ciascuno dei vini sopra indicati, le uve a bacca di colore analogo dei vitigni non aromatici raccomandati o autorizzati nelle province di Geno-va, Savona ed Imperia presenti nei vigneti fino ad un massimo del 5%

La denominazione di origine controllata Riviera Li-gure di Ponente con la specificazione ‘Ormeasco’ e’ riservata al vino rosato o ros so ottenuto dai vigneti composti per almeno il 95% dal vitigno Dolcetto.

Possono concorrere alla produzione di detto vino anche le uve a bacca rossa dei vitigni non aromatici raccomandati od autorizzati in provincia di Imperia presenti nei vigneti fino ad un massimo del 5%

I vini Pigato, Vermentino, Rossese della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente , possono essere designati con una delle seguenti sot-todenominazioni geografiche: Riviera dei fiori Albenga o Albenganese Finale o Finalese

se esclusivamente ottenuti da uve prodotte nelle ri-spettive zone delimitate nel successivo articolo 3

Il vino Ormeasco della denominazione di origine con-trollata Riviera Ligure di Ponente puo’ essere desi-gnato con la sottodenominazione geo grafica Riviera dei fiori se esclusivamente ottenuto da uve prodotte nella corrispondente zona delimitata nel successivo articolo 3

Tutte le specificazioni aggiuntive della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponen-te debbono essere indicate in etichetta con caratteri grafici di dimensio ne non superiori a quelli usati per indicare la denominazione di origine stessa

I conduttori aventi vigneti iscritti all’Albo dei vigneti per la produzione della DOC Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua riconosciuta ai sensi del d ecreto del presidente della Repubblica 28.01.72, possono effet-tuare, in alternativa, la denuncia di produzione delle uve previste dall’articolo 11 del decreto del Presiden-te della Repubblica del 12.07.63 nr. 930, per rivendi-care la produzione del vino Rossese della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente qualora le uve abbiano i requisiti previsti nel presente disciplinare di produzione. Art. 3 La zona di produzione del vino Vermentino della de-nominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente comprende i sottoindicati territori delle pro-vince di Imperia, Savona e Genova.

La zona di produzione dei vini Pigato e Rossese della denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente comprende i sottoindicati territori delle

province di Savona e Imperia:

In provincia di Imperia per tutto il loro territorio i co-muni di: Airole, Apricale, Aquila d’Arroscia, Armo, Aurigo, Badalucco, Baiardo, Bordighera, Borghetto d’Arroscia, Borgomaro, Camporosso, Caravonica, Carpasio, Castellaro, Castelvittorio, Ceriana, Cervo, Chiusanico, Chiusavecchia, Cipressa, Civezza, Costa-rainera, Diano Aretino, Diano Castello, Diano Mari-na, Diano San Pietro, Dolceacqua, Dolcedo, Imperia, Isolabona, Lucinasco, Molini di Triora, Moltalto Li-gure, Montegrosso Pian Latte, Olivetta San Michele, Ospedaletti, Perinaldo, Pietrabruna, Pieve di Teco, Pi-gna, Pompeiana, Pontedassio, Prela’, Ranzo, Rezzo, Riva Ligure, Rocchetta Nervina, San Bartolomeo al Mare, San Biagio della Cima, San Lorenzo al Mare, Sanremo, Santo Stefano al Mare, Seborga, Soldano, Taggia, Terzorio, Vallebona, Vallecrosia, Vasia, Ven-timiglia, Vessalico, Villa Faraldi e parte del territorio dei comuni di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Pornas-sio e Triora (delimitato a nord dal crinale alpino);

In provincia di Savona per tutto il loro territorio i co-muni di: Alassio, Albenga, Albisola Superiore, Albis-sola Marina, Andora, Arnasco, Balestrino, Bergeggi, Boissano, Borghetto Santo Spirito, Borgio Verezzi, Casanova Lerrone, Castelbianco, Celle Ligure, Ce-riale, Cisano sul Neva, Erli, Finale Ligure, Garlen-da, Giustenice, Laigueglia, Loano, Magliolo, Nasino, Noli, Onzo, Orco Feglino, Ortovero, Pietra Ligure, Quiliano, Rialto, Savona, Spotorno, Stella, Stellanel-lo, Testico, Toirano, Tovo San Giacomo, Vado Ligure, Varazze, Vendone, Vezzi Portio, Villanova d’Albenga, Zuccarello e parte del territorio dei comuni di Calice Ligure e Castelvecchio di Rocca Barbena (delimitato a nord dal crinale appenninico);

In provincia di Genova per tutto il loro territorio i co-muni di: Arenzano e Cogoleto.

La zona di produzione della denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente Ormeasco com-prende l’intero territorio dei seguenti comuni in pro-vincia di Imperia: Armo, Cosio d’arroscia, Mendati-ca, Montegrosso Pian Latte, Pieve di Teco, Pornassio, Rezzo, Molini di Triora, Carpasio, Borgomaro, Pigna, Castelvittorio, Aurigo, Badalucco, Triora, Montalto Ligure, Ranzo, Borghetto d’Arroscia, Vessalico, Ac-quila d’Arroscia.

La zona di produzione della denominazione di origi-ne controllata Riviera Ligure di Ponente aventi diritto alla sottodenominazione Riviera dei Fiori comprende in provincia di Imperia l’intero territorio dei seguenti comuni: Airole, Apricale, Aquila d’Arroscia, Armo, Aurigo, Badalucco, Baiardo, Bordighera, Borghetto d’Arroscia, Borgomaro, Camporosso, Caravonica, Carpasio, Castellaro, Castelvittorio, Ceriana, Cer-vo, Cesio, Chiusanico, Chiusavecchia, Cipressa, Ci-vezza, Costarainera, Diano Aretino, Diano Castello, Diano Marina, Diano San Pietro, Dolceacqua, Dolce-do, Imperia, Isolabona, Lucinasco, Molini di Triora, Moltalto Ligure, Montegrosso Pian Latte, Olivetta San Michele, Ospedaletti, Perinaldo, Pietrabruna, Pieve di Teco, Pigna, Pompeiana, Pontedassio, Pre-la’, Ranzo, Rezzo, Riva Ligure, Rocchetta Nervina, San Bartolomeo al Mare, San Biagio della Cima, San Lorenzo al Mare, Sanremo, Santo Stefano al Mare, Seborga, Soldano, Taggia, Terzorio, Vallebona, Val-lecrosia, Vasia, Ventimiglia, Vessalico, Villa Faraldi e parte del territorio dei comuni di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Pornassio e Triora (delimitato a nord dal crinale alpino);

La zona di produzione della denominazione di origi-ne controllata Riviera Ligure di Ponente aventi dirit-to alla sottodenominazione Albenganese comprende in provincia di Savona l’intero territorio dei seguenti comuni: Alassio, Albenga, Andora, Arnasco, Casano-va Lerrone, Castelbianco, Ceriale, Cisano sul Neva, Erli, Garlenda, Laigueglia, Nasino, Onzo, Ortovero, Stellanello, Testico, Vendone, Villanova d’Albenga, Zuccarello e parte del territorio dei comuni di Castel-vecchio di Rocca Barbena (delimitato a nord dal cri-nale appenninico);

La zona di produzione della denominazione di ori-gine controllata Riviera Ligure di Ponente aventi diritto alla sottodenominazione Finalese comprende in provincia di Savona l’intero territorio dei seguenti comuni: Balestrino, Boissano, Borghetto Santo Spiri-to, Borgio Verezzi, Finale Ligure, Giustenice, Loano, Magliolo, Noli, Orco Feglino, Pietra Ligure, Rialto, Toirano, Tovo San Giacomo, Vezzi Portio, e parte del territorio dei comuni di Calice Ligure (delimitato a nord dal crinale appenninico); Art. 4 Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti de-

stinati alla produzione dei vini di cui all’art. 1, devo-no essere quelli tradizionali della zona e comunque unicamente quelle atte a conferire alle uve ed al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualita’. I se-sti d’impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati e comunque atti a non modificare le caratteristiche pe-culiari dell’uva e del vino.

E’ vietata ogni pratica di forzatura

La resa massima di uva ammessa per la produzione dei vini di cui all’art. 1, non deve essere superiore a q.li 110 per ettaro di vigneto in coltura specializzata per i vini bianchi Pigato e Vermentino ed a q.li 90 per ettaro di vigneto in coltura specializzata per i vini rossi Ormeasco e Rossese.

Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per il vigneto in coltura promiscua deve essere calcolata rispetto a quella specializzata, in rapporto all’effettiva superficie coperta dalla vite. A tale limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovra’ essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purche’ la produzione non superi del 20% il limite massimo.

La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70% per tutti i vini Riviera Ligure di Po-nente.

Qualora la resa uva-vino superi il limite sopra indica-to, l’eccedenza non avra’ diritto alla denominazione di origine controllata.

La regione Liguria, annualmente, prima della ven-demmia, con proprio decreto, sentite le organizzazio-ni professionali di categoria e tenuto conto delle con-dizioni ambientali e di coltura, puo’ fissare produzioni massime per ettaro inferiori a quelle stabilite dal pre-sente disciplinare di produzione anche in riferimento a singole zone geograiche o a tipi di vino, dandone comunicazione al Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste ed al comitato nazionale per la tutela delle de-nominazioni di origine dei vini. Art. 5 Le operazioni di vinificazione devono essere effet-tuate nell’interno della zona di produzione del vino a denominazione di origine controllata Riviera Ligu-

re di Ponente delimi tata nell’art. 3. Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali, e’ consentito che tali operazioni siano effettuate nell’intero territorio dei comuni, anche se soltanto in parte compresi nella zona delimitata.

Le uve destinate alla vinificazione dovranno essere sottoposte a preventiva cernita in modo da assicurare al vino una gradazione alcoolica complessiva mini-ma naturale di gradi 10.5 per i vini Ormeasco, Pigato, Rossese e Vermentino.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, tradizionali della zona, atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche.

Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco puo’ es-sere ottenuto con la tradizionale vinificazione parziale in bianco che conferisce ad esso colore rosato e puo’ portare, in tal caso la menzione specifica tradizionale Sciac-Trà che distingue tale tipologia. Art. 6 I vini di cui all’art. 1 all’atto della loro immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteri-stiche:

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Colore: rosso rubino, vivo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole, leggermente amarogno-lo, discreto corpo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 22 per mille

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Sciac-Trà Colore: rosa corallo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 18 per mille

Riviera Ligure di Ponente Pigato Colore: giallo paglierino piu’ o meno carico Odore: intenso, caratteristico, leggermente aromatico Sapore: asciutto, pieno, lievemente amarognolo man-dorlato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11

Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 16 per mille

Riviera Ligure di Ponente Rossese Colore: rosso rubino chiaro Odore: delicato, caratteristico, vinoso Sapore: asciutto, delicato, morbido, amarognolo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 20 per mille

Riviera Ligure di Ponente Vermentino Colore: paglierino Odore: delicato, caratteristico, fruttato Sapore: asciutto, fresco, armonico, delicatamente fruttato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 16 per mille

E’ facolta’ del Ministero dell’Agricoltura e delle fo-reste con proprio decreto, di modificare per i vini di cui sopra i limiti minimi indicati per l’acidita’ totale e l’estratto secco netto.

Art. 7 Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco derivante da uve aventi una gradazione alcoolica minima natra-le di 12 ed immesso al consumo con una gradazione alcoolica complessiva minima di 12.5, puo’ portare la qualificazione aggiuntiva ‘Superiore’. Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Superiore non puo’ es-sere immesso al consumo prima del 1 novembre del-l’anno success ivo a quello della vendemmia.

Art. 8 Alla denominazione di cui all’art. 1 e’ vietata l’ag-giunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista nel presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi ‘Extra’, ‘Fine’, ‘Scelto’, ‘Ri-serva’.

E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferi-mento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, pur-che’ non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l’acquirente. Fatto salvo l’uso di nomi aziendali, non e’ consentito l’uso di altre indi-cazioni, geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, tenute, zone e lo-

calita’ comprese nella zona delimitata nel precedente art. 3.

Le bottiglie o alri recipienti di capacita’ non superio-re a 5 litri, contenenti vini Riviera Ligure di Ponente di cui al presente disciplinare, in vista della vendita devono essere, anche per quanto riguarda il confezio-namento e la presentazione, consoni ai tradizionali caratteri di un vino di pregio.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti i vini Ri-viera Ligure di Ponente puo’ figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve, purche’ docu-mentabile. Tale i ndicazione e’ obbligatoria per i vini designati in conformita’ dell’art. 7 del presente disci-plinare e quelli posti in commercio con una delle sot-todenominaizioni di cui all’art. 3

Art. 9 Chiunque produce, vende, pone in vendita o comun-que distribuisce per il consumo con la denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente vino che non risponde al le condizioni ed ai requisiti sta-biliti dal presente disciplinare, e’ punito a norma del-l’art. 28 del Decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963 nr. 930 Il vitignoLe notizie storiche riguardo al Rossese, oggi coltivato a Dolceacqua, sono sovente complicate dalla presenza in Liguria (e nel vicino Piemonte) di altri Rossesi dal-la importanza colturale probabilmente più rilevante. Un Rossese a frutto bianco, o al massimo debolmen-te rosato, era coltivato a Mondovì (DI ROVASEN-DA, 1877). Un Rossese bianco (o meglio Roxeise) era considerato il vitigno tipico della Liguria Orien-dale ed era rinomato fin dal Rinascimento per i vini che se ne ottenevano (GALLESIO, 1839). Un Ros-sese a frutto rosso era presente nei dintorni di Ivrea (DI ROVASENDA, 1877). Il Rossese nero (o meglio ‘nericcio’, come lo definisce il Di Rovasenda) andò assumendo importanza colturale in tempi più recen-ti rispetto al Rossese bianco, ma sembra comunque già affermato nell’attuale principale area colturale nei pressi di Ventimiglia e SanRemo almeno da un seco-lo e mezzo (GALLESIO, 1839). Dalmasso e Mariano (1963) indicano la presenza di un diverso Rossese a frutto colorato (che però non descrivono) in provincia di Savona, e ciò troverebbe conferma nella distinzio-ne del Rossese di Ventimiglia da quello di Campo-

chiesa che congiuntamente erano coltivati negli anni ‘60 su circa il 20% della superficie vitata del versante tirrenico della provincia di Savona (DALMASSO e DELL’OLIO, 1964).

Il Rossese quì descritto, a frutto colorato, si presenta caratterizzato da una certa eterogeneità morfologica soprattutto nella colorazione di germogli ed uve, nella dimensione di grappoli e foglie, nonchè nella tormen-tosità di queste ultime. Tale eterogeneità fenotipica dipende da numerosi fattori, tra cui non è da escludere una componente genetica

Principali caratteri ampelografici

Germoglio prima della fioritura (figura a destra): api-ce aperto, lanuginoso, giallo verdastro con orli più o meno intensamente rosati; foglioline dalla 1a alla 3a piegate a gronda, di colore verde giallastro o bianca-stro (per la presenza di tomento), più o meno inten-samente ramate; foglioline dalla 4a alla 6a spiegate, verdi giallastre con sfumature ramete e talora punto peziolate ramato; la 4a è superiormente aracnoidea, inferiormente molto lanuginosa; la colorazione anto-cianica del germoglio è di media o debole intensità a seconda dei biotipi.

Tralcio erbaceo: tratto apicale ricurvo, sezione circo-lare e contorno angoloso, di oclore verde sulla parte ventrale, striato di rosso sulla dorsale, viticci molto sviluppati di colore giallo con sfumature ramate

Infiorescenza: conica, ramificata con estremità apicali dei racimoli principali ramate.

Foglia Adulta : media, medio-grande o grande a se-conda dei cloni, pentagonalem eptalobata (ma non ra-ramente con più di sette lobi); seno peziolare a U+V, stretto o chiuso con bordi un poco sovrapposti spesso con dente; seni laterali profondi, a lira con i bordi so-vrapposti i superiori, a U gli inferiori; lembo di me-dio spessore, a superficie lisca e nervature principali spesso ginocchiate, margini ondulati di colore verde con base delle nervature principali rosata; denti mol-to pronunciati a margini concavi o concavi/convessi; pagina inferiore con lembo lanuginoso e nervature da setolose a vellutate (ovvero con tomento corto molto abbondante) a seconda dei cloni (figura a lato), pic-ciolo lungo, da quasi glabro ad abbondantemente se-

toloso a seconda dei cloni, di colore verde sfumato di rosa

Grappolo a maturità : di medie dimensioni o medio-grande, piramidale con 1-2 ali, o più spesso ramificato con numerose ali ben sviluppate o lungamente pedu-colare; più o meno spargolo a seconda dell’incidenza della colatura; peduncolo lungo e robusto, di colore verde sfumato di ros, lignificato nel primo tratto; aci-no da medio a medio-piccolo, ellissoidale corto, con buccia di medio spessore, mediamente pruinosa, di colore blu-nero violetto; vinacicoli medio-piccoli, in numero di 1 a 4 per acino (più frequentemente 2).

Tralcio legnoso: di colore nocciola chiaro

Caratteri distintivi: germoglio lanuginoso, più o meno intensamente ramato; foglia eptalobata o con più di sette lobi, a superficie liscia e nervature spesso ginoc-chiate, inferiormente nervature più o meno vellutate, denti molto pronunciati; grappolo spargolo, spesso ramificato con molte ali, acino ellissoidale corto, blu-nero violetto

Aspetti colturali

L’accentuato polimorfismo che questa cultivar pre-senta dal punto di vista morfologico riguarda anche le caratteristiche agronomiche e produtive. Si hanno pertanto biotipi caratterizzati da vigore vegetativo e fertilità notevoli, altri di vigore e produttività conte-nuti. Anche la colorazione del frutto non pare molto uniforme, ma si presenta al contrario piuttosto varia-bile. Interazioni fra fattori genetici, climatici ed affe-zioni virali concorrono probabilmente ad accentuare tali fenomeni.

Il vitigno possiede una fertilità basale molto spiccata per cui predilige una potatura corta. La produzione è però fortemente condizionata da fenomeni di colatura ed acinellatura spesso verde, dei grappoli. Per quanto riguarda lamoltiplicaizone per innesto, è opportuno segnalare un fenomeno di incompatibilità tra il Ros-sese ed il Kober 5 BB clone MIK9, cui fanno eccezio-ne solo i biotipi vigorosi.

I problemi legati ad anomalie nell’allegagione ed al-l’incompatibilità d’innesto si possono considerare in relazione con l’elevata diffusione di malattie viral,

con particolare riferimento all’arricciamento ed al le-gno riccio

Tratto da Orientamenti per la vitivinicoltura ligu-re edito da Regione Liguria Servizio Assistenza Tecnica e Sperimentazione in Agricoltura Autori A. Schneider, F. Mannini, N. Argamante Vermentino DOCil VermentinoIl sapore più classico del Ponente ligure…un vino leggero, armonioso, ricco di gusto. Il biglietto da visi-ta per il pranzo tipico, per un pomeriggio assolato, per una serata tra amici, al calar del sole sul mare…il vino che trovi su ogni tavola, diffuso in tutto il Ponente ligure. Un gusto che rientra nei proverbi tipici tanto quanto nella mentalità della gente. la StoriaE’ curiosa la storia del Vermentino.

Perché lo stesso vitigno è presente in Sardegna ed in Toscana.

La tradizione comune fa riferimento alla possibilità che il vitigno del vermentino debba essere compre-so nell’ambito delle malvasie giunte nel Mediterra-neo centro-occidentale tramite la Spagna. In realtà il Quaini già nel 1973 metteva in rilievo che i vitigni a base di vini amabili e di forte personalità dal Medio Oriente avrebbero raggiunto prima la Liguria e le aree ad influenza ligure e solo successivamente la Spagna. Qui solo molto tardi, ed in particolare tra XVII e XVIII secolo, si sarebbe avuto uno sviluppo notevole della viticoltura.

Infatti, agli inizi dell’Ottocento, ecco cosa dice lo Chabrol a proposito del cantone di Diano Marina (area di notevole produzione del vermentino) : “Si produce anche del vino, ma in piccola quantità: non copre neppure un quarto del fabbisogno locale, e bi-sogna importarne soprattutto dalle coste della Francia e della Spagna”.

Sempre lo Chabrol cita il vitigno del vermentino come produttore di uno dei migliori vini nell’ambito del ponente ligure. Mette altresì in rilievo la possibi-lità di coltivazione della vite a quote medio alte: “Si è già osservato che i terreni collinari, sostenuti da muri a secco che formano delle terrazze, sono composti di roccia frantumate mescolate con terra. Il vino che vi

si produce e migliore e più forte di quello delle pianu-re. I terreni in piano sono più grassi e profondi: qui la vite produce benissimo e più abbondantemente che in collina, ma il vino ha una gradazione inferiore”.

Agli inizi del XIX secolo, il Gallesio ricorda il ver-mentino come uno dei due vitigni più importanti dif-fusi in Liguria. Anzi, lo nomina, come il “vitigno pre-diletto del Genovesato…la sua fecondità, la precocità e la dolcezza della sua uva, e la qualità del vino che produce formano un insieme di pregi difficili a tro-varsi riuniti in un altro vitigno…il suo vino naturale è un vino asciutto, maturo e gentile…ei si conserva secco che gli è proprio e il dolce che spiega resta così ben combinato cogli altri principi che cangia caratte-re e prende un rilievo che lo fa gareggiare coi vini di Spagna…”. La sua particolare presenza nel territorio ligure è affermata dal fatto che il vermentino non si trova in Provenza. Trova piuttosto una importante af-fermanzione nella fertilissima piana di Latte, dove si trovano le grandi proprietà dei nobili di Ventimiglia.

Va infine detto che spesso, a fine Ottocento, si confon-deva il vino vermentino con il pigato, quest’ultimo tipico dell’area a ridosso di Albenga. La DOCIl Riviera ligure di Ponente - Vermentino , D.O.C. è riconosciuto con DPR del 31.03.1988 G.U. 31.01.1989 Le Caratteristiche Zona di produzione: la Riviera Ligure di Ponente, con prevalenza per diverse tipologie di quota. Pos-sono trovarsi vigneti anche sulla linea di costa o an-che pregevoli produzioni che rientrano nel novero dei “vini di montagna”.

Tipo: Bianco secco.

Vitigno: Vermentino, minimo 95%. Resa massima consentita delle uve, 110 Q.li per ettaro. Conosciu-to anche come Malvasia grossa, Carbesso o Carbes. In Francia è Malvoise à gros grains e Malvoise du Dourc.

Gradazione alcolica: Alcool 11%. Può arrivare an-che a 12-12%.

Colore: Colore giallo paglierino con lievi riflessi ver-

dolini.

Profumo: Il Profumo delicato, caratteristico, fruttato e floreale fine con sentori di fiori di campo, mela, pe-sca e raramente banana.

Sapore: Asciutto, sapido, anche leggermente acidulo, rinfrescante per il palato.

Età ottimale: Entro uno o due anni dalla vendem-mia.

Conservazione: Va conservato coricato in cantina alla temperatura di 12-14 gradi C.

Temperatura di servizio: La temperatura di servizio è di 8-10° C.

Bicchiere: Per bianco, slanciato per coglierne meglio l’aroma.

Accostamenti: Antipasti di mare, lasagne e gnocchi al pesto, trofie al pesto. Secondi piatti a base di pe-sce di mare lesso, branzino al cartoccio con olio extra vergine di oliva, ed altri piatti di cucina nazionale ed estera. Formaggi freschi, non acidi. Interessante come aperitivo, è tradizionalmente vino da compagnia, per l’incontro da tardo pomeriggio assieme a sfiziosità. il DisciplinareArt. 1 La denominazione di origine controllata Riviera Ligu-re di Ponente accompagnata da una delle specificazio-ni previste dal presente disciplinare di produzione, e’ riservata ai vini bianco, rosso e rosato che rispondono alle condizioni ed ai requisiti in appresso indicati

Art. 2 L:a denominazione di origine controllata Riviera Li-gure di Ponenteaccompagnato dall’indicazione di uno dei seguenti vitigni Pigato, V ermentino, Rossese e’ riservata ai vini ottenuti dalle uve dei vigneti costituiti per almeno il 95% dei corrispondenti vitigni.

Possono concorrere, da sole o congiuntamente alla produzione di ciascuno dei vini sopra indicati, le uve a bacca di colore analogo dei vitigni non aromatici raccomandati o autorizzati nelle province di Geno-va, Savona ed Imperia presenti nei vigneti fino ad un massimo del 5%

La denominazione di origine controllata Riviera Li-gure di Ponente con la specificazione ‘Ormeasco’ e’ riservata al vino rosato o ros so ottenuto dai vigneti composti per almeno il 95% dal vitigno Dolcetto.

Possono concorrere alla produzione di detto vino anche le uve a bacca rossa dei vitigni non aromatici raccomandati od autorizzati in provincia di Imperia presenti nei vigneti fino ad un massimo del 5%

I vini Pigato, Vermentino, Rossese della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente , possono essere designati con una delle seguenti sot-todenominazioni geografiche: Riviera dei fiori Albenga o Albenganese Finale o Finalese

se esclusivamente ottenuti da uve prodotte nelle ri-spettive zone delimitate nel successivo articolo 3

Il vino Ormeasco della denominazione di origine con-trollata Riviera Ligure di Ponente puo’ essere desi-gnato con la sottodenominazione geo grafica Riviera dei fiori se esclusivamente ottenuto da uve prodotte nella corrispondente zona delimitata nel successivo articolo 3

Tutte le specificazioni aggiuntive della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponen-te debbono essere indicate in etichetta con caratteri grafici di dimensio ne non superiori a quelli usati per indicare la denominazione di origine stessa

I conduttori aventi vigneti iscritti all’Albo dei vigneti per la produzione della DOC Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua riconosciuta ai sensi del d ecreto del presidente della Repubblica 28.01.72, possono effet-tuare, in alternativa, la denuncia di produzione delle uve previste dall’articolo 11 del decreto del Presiden-te della Repubblica del 12.07.63 nr. 930, per rivendi-care la produzione del vino Rossese della denomina-zione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente qualora le uve abbiano i requisiti previsti nel presente disciplinare di produzione. Art. 3 La zona di produzione del vino Vermentino della de-nominazione di origine controllata Riviera Ligure di

Ponente comprende i sottoindicati territori delle pro-vince di Imperia, Savona e Genova.

La zona di produzione dei vini Pigato e Rossese della denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente comprende i sottoindicati territori delle province di Savona e Imperia:

In provincia di Imperia per tutto il loro territorio i co-muni di: Airole, Apricale, Aquila d’Arroscia, Armo, Aurigo, Badalucco, Baiardo, Bordighera, Borghetto d’Arroscia, Borgomaro, Camporosso, Caravonica, Carpasio, Castellaro, Castelvittorio, Ceriana, Cervo, Chiusanico, Chiusavecchia, Cipressa, Civezza, Costa-rainera, Diano Aretino, Diano Castello, Diano Mari-na, Diano San Pietro, Dolceacqua, Dolcedo, Imperia, Isolabona, Lucinasco, Molini di Triora, Moltalto Li-gure, Montegrosso Pian Latte, Olivetta San Michele, Ospedaletti, Perinaldo, Pietrabruna, Pieve di Teco, Pi-gna, Pompeiana, Pontedassio, Prela’, Ranzo, Rezzo, Riva Ligure, Rocchetta Nervina, San Bartolomeo al Mare, San Biagio della Cima, San Lorenzo al Mare, Sanremo, Santo Stefano al Mare, Seborga, Soldano, Taggia, Terzorio, Vallebona, Vallecrosia, Vasia, Ven-timiglia, Vessalico, Villa Faraldi e parte del territorio dei comuni di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Pornas-sio e Triora (delimitato a nord dal crinale alpino);

In provincia di Savona per tutto il loro territorio i co-muni di: Alassio, Albenga, Albisola Superiore, Albis-sola Marina, Andora, Arnasco, Balestrino, Bergeggi, Boissano, Borghetto Santo Spirito, Borgio Verezzi, Casanova Lerrone, Castelbianco, Celle Ligure, Ce-riale, Cisano sul Neva, Erli, Finale Ligure, Garlen-da, Giustenice, Laigueglia, Loano, Magliolo, Nasino, Noli, Onzo, Orco Feglino, Ortovero, Pietra Ligure, Quiliano, Rialto, Savona, Spotorno, Stella, Stellanel-lo, Testico, Toirano, Tovo San Giacomo, Vado Ligure, Varazze, Vendone, Vezzi Portio, Villanova d’Albenga, Zuccarello e parte del territorio dei comuni di Calice Ligure e Castelvecchio di Rocca Barbena (delimitato a nord dal crinale appenninico);

In provincia di Genova per tutto il loro territorio i co-muni di: Arenzano e Cogoleto.

La zona di produzione della denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente Ormeasco com-prende l’intero territorio dei seguenti comuni in pro-

vincia di Imperia: Armo, Cosio d’arroscia, Mendati-ca, Montegrosso Pian Latte, Pieve di Teco, Pornassio, Rezzo, Molini di Triora, Carpasio, Borgomaro, Pigna, Castelvittorio, Aurigo, Badalucco, Triora, Montalto Ligure, Ranzo, Borghetto d’Arroscia, Vessalico, Ac-quila d’Arroscia.

La zona di produzione della denominazione di origi-ne controllata Riviera Ligure di Ponente aventi diritto alla sottodenominazione Riviera dei Fiori comprende in provincia di Imperia l’intero territorio dei seguenti comuni: Airole, Apricale, Aquila d’Arroscia, Armo, Aurigo, Badalucco, Baiardo, Bordighera, Borghetto d’Arroscia, Borgomaro, Camporosso, Caravonica, Carpasio, Castellaro, Castelvittorio, Ceriana, Cer-vo, Cesio, Chiusanico, Chiusavecchia, Cipressa, Ci-vezza, Costarainera, Diano Aretino, Diano Castello, Diano Marina, Diano San Pietro, Dolceacqua, Dolce-do, Imperia, Isolabona, Lucinasco, Molini di Triora, Moltalto Ligure, Montegrosso Pian Latte, Olivetta San Michele, Ospedaletti, Perinaldo, Pietrabruna, Pieve di Teco, Pigna, Pompeiana, Pontedassio, Pre-la’, Ranzo, Rezzo, Riva Ligure, Rocchetta Nervina, San Bartolomeo al Mare, San Biagio della Cima, San Lorenzo al Mare, Sanremo, Santo Stefano al Mare, Seborga, Soldano, Taggia, Terzorio, Vallebona, Val-lecrosia, Vasia, Ventimiglia, Vessalico, Villa Faraldi e parte del territorio dei comuni di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Pornassio e Triora (delimitato a nord dal crinale alpino);

La zona di produzione della denominazione di origi-ne controllata Riviera Ligure di Ponente aventi dirit-to alla sottodenominazione Albenganese comprende in provincia di Savona l’intero territorio dei seguenti comuni: Alassio, Albenga, Andora, Arnasco, Casano-va Lerrone, Castelbianco, Ceriale, Cisano sul Neva, Erli, Garlenda, Laigueglia, Nasino, Onzo, Ortovero, Stellanello, Testico, Vendone, Villanova d’Albenga, Zuccarello e parte del territorio dei comuni di Castel-vecchio di Rocca Barbena (delimitato a nord dal cri-nale appenninico);

La zona di produzione della denominazione di ori-gine controllata Riviera Ligure di Ponente aventi diritto alla sottodenominazione Finalese comprende in provincia di Savona l’intero territorio dei seguenti comuni: Balestrino, Boissano, Borghetto Santo Spiri-to, Borgio Verezzi, Finale Ligure, Giustenice, Loano,

Magliolo, Noli, Orco Feglino, Pietra Ligure, Rialto, Toirano, Tovo San Giacomo, Vezzi Portio, e parte del territorio dei comuni di Calice Ligure (delimitato a nord dal crinale appenninico); Art. 4 Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti de-stinati alla produzione dei vini di cui all’art. 1, devo-no essere quelli tradizionali della zona e comunque unicamente quelle atte a conferire alle uve ed al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualita’. I se-sti d’impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati e comunque atti a non modificare le caratteristiche pe-culiari dell’uva e del vino.

E’ vietata ogni pratica di forzatura

La resa massima di uva ammessa per la produzione dei vini di cui all’art. 1, non deve essere superiore a q.li 110 per ettaro di vigneto in coltura specializzata per i vini bianchi Pigato e Vermentino ed a q.li 90 per ettaro di vigneto in coltura specializzata per i vini rossi Ormeasco e Rossese.

Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per il vigneto in coltura promiscua deve essere calcolata rispetto a quella specializzata, in rapporto all’effettiva superficie coperta dalla vite. A tale limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovra’ essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purche’ la produzione non superi del 20% il limite massimo.

La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70% per tutti i vini Riviera Ligure di Po-nente.

Qualora la resa uva-vino superi il limite sopra indica-to, l’eccedenza non avra’ diritto alla denominazione di origine controllata.

La regione Liguria, annualmente, prima della ven-demmia, con proprio decreto, sentite le organizzazio-ni professionali di categoria e tenuto conto delle con-dizioni ambientali e di coltura, puo’ fissare produzioni massime per ettaro inferiori a quelle stabilite dal pre-sente disciplinare di produzione anche in riferimento a singole zone geograiche o a tipi di vino, dandone comunicazione al Ministero dell’Agricoltura e delle

Foreste ed al comitato nazionale per la tutela delle de-nominazioni di origine dei vini. Art. 5 Le operazioni di vinificazione devono essere effet-tuate nell’interno della zona di produzione del vino a denominazione di origine controllata Riviera Ligu-re di Ponente delimi tata nell’art. 3. Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali, e’ consentito che tali operazioni siano effettuate nell’intero territorio dei comuni, anche se soltanto in parte compresi nella zona delimitata.

Le uve destinate alla vinificazione dovranno essere sottoposte a preventiva cernita in modo da assicurare al vino una gradazione alcoolica complessiva mini-ma naturale di gradi 10.5 per i vini Ormeasco, Pigato, Rossese e Vermentino.

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, tradizionali della zona, atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche.

Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco puo’ es-sere ottenuto con la tradizionale vinificazione parziale in bianco che conferisce ad esso colore rosato e puo’ portare, in tal caso la menzione specifica tradizionale Sciac-Trà che distingue tale tipologia. Art. 6 I vini di cui all’art. 1 all’atto della loro immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteri-stiche:

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Colore: rosso rubino, vivo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole, leggermente amarogno-lo, discreto corpo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 22 per mille

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Sciac-Trà Colore: rosa corallo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 18 per mille

Riviera Ligure di Ponente Pigato Colore: giallo paglierino piu’ o meno carico Odore: intenso, caratteristico, leggermente aromatico Sapore: asciutto, pieno, lievemente amarognolo man-dorlato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 16 per mille

Riviera Ligure di Ponente Rossese Colore: rosso rubino chiaro Odore: delicato, caratteristico, vinoso Sapore: asciutto, delicato, morbido, amarognolo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 20 per mille

Riviera Ligure di Ponente Vermentino Colore: paglierino Odore: delicato, caratteristico, fruttato Sapore: asciutto, fresco, armonico, delicatamente fruttato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 16 per mille

E’ facolta’ del Ministero dell’Agricoltura e delle fo-reste con proprio decreto, di modificare per i vini di cui sopra i limiti minimi indicati per l’acidita’ totale e l’estratto secco netto.

Art. 7 Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco derivante da uve aventi una gradazione alcoolica minima natra-le di 12 ed immesso al consumo con una gradazione alcoolica complessiva minima di 12.5, puo’ portare la qualificazione aggiuntiva ‘Superiore’. Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Superiore non puo’ es-sere immesso al consumo prima del 1 novembre del-l’anno success ivo a quello della vendemmia.

Art. 8 Alla denominazione di cui all’art. 1 e’ vietata l’ag-giunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista nel presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi ‘Extra’, ‘Fine’, ‘Scelto’, ‘Ri-serva’.

E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferi-

mento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, pur-che’ non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l’acquirente. Fatto salvo l’uso di nomi aziendali, non e’ consentito l’uso di altre indi-cazioni, geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, tenute, zone e lo-calita’ comprese nella zona delimitata nel precedente art. 3.

Le bottiglie o alri recipienti di capacita’ non superio-re a 5 litri, contenenti vini Riviera Ligure di Ponente di cui al presente disciplinare, in vista della vendita devono essere, anche per quanto riguarda il confezio-namento e la presentazione, consoni ai tradizionali caratteri di un vino di pregio.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti i vini Ri-viera Ligure di Ponente puo’ figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve, purche’ docu-mentabile. Tale i ndicazione e’ obbligatoria per i vini designati in conformita’ dell’art. 7 del presente disci-plinare e quelli posti in commercio con una delle sot-todenominaizioni di cui all’art. 3

Art. 9 Chiunque produce, vende, pone in vendita o comun-que distribuisce per il consumo con la denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente vino che non risponde al le condizioni ed ai requisiti sta-biliti dal presente disciplinare, e’ punito a norma del-l’art. 28 del Decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963 nr. 930 Il vitignoSul valore qualitativo dell’uva di Vermentino, che si accompagna ad una produzione abbondante, tutti sono concordi. Il Gallesio (1839), che lo dice godere della massima reputazione da Ventimiglia a Sarzana, lo definisce ‘Vitis ligustica feracissima’, ma ne esalta nel contempo la precocità e dolcezza dell’uva (anche ottima per il consumo allo stato fresco) e la bontà del vino.

Meno certa sembra invece la zona d’origine di questo vitigno, che alcuni vogliono sia la Spagna (MAS e PULLIAT, 1874/79), da cui si sarebbe diffuso sulle coste tirreniche settentrionali dove ancora oggi è am-piamente coltivato: Francia, Sardegna, Corsica, To-scana oltre che in tutta la Liguria. Malvoisie Précoce d’Espagne, Malvoisie à gros grains o semplicemente

Malvoisie era il nome del Vermentino in varie regioni francesi ed in Corsica, mentre già Molon (1906) ne segnalava la sinonimia (più tardi confutata da Carlone 1963 b) con la Favorita del Piemonte. Viene conside-rata cultivar non disgiunta dal Pigato (SCHNEIDER e MANNINI, 1990). In Lunigiana prende il nome di Vermentino reale.

Un’altra sinonimia riportata da Truel (1984/85) si avrebbe tra Vermentino, I e Varlentin francesi. Ma Galet (1990) non pare di questo avviso e suggerisce ulteriori indagini comparative. È vero però che pro-prio il Gallesio (1839) aveva rilevato l’identità del Vermentino con il Rolle di Nizza ed il Verlantin di Antibes, mentre indicava il nome di Picca-bon in uso nelle Cinque Terre. Del resto in questa zona il Ver-mentino, coltivato insieme all’Albarola ed al Rosse-se (bianco), dava un vino eccellente, la Vernaccia di Corniglia, celebrato nelle novelle del Boccaccio e del Sacchetti. Secondo il Gallesi, la Vernaccia sarebbe proprio da identificarsi con il vino ottenuto dal Ver-mentino, coltivato in associazione con Rossese anche nel Svonese, dove si produceva della Vernaccia, cui si riferiscono del 1391. Alla grande rinomanza che que-sto vino andò acquistando anche lontano dal luogo di origine, conseguì l’uso di chiamare vernaccia anche altri vitigni a frutto bianco, che nulla avevano in co-mune con il Vermentino dela Liguria come accadde per quella di S.Gimignano.

Principali caratteri ampelograficiGermoglio prima della fioritura : apice aperto, coto-noso, bianco con orli di colore carminio; foglioline dalla 1a alla 3a lievemente piegate a gronda, di colore bianco verdastro con orlo carminato e talora sfuma-ture ramate; foglioline dalla 4a alla 6a spiegate, di colore verde con sfumature giallo dorate e ramate; la 4a è inferiormente molto lanuginosa; intensità della colorazione antocianica media.

Tralcio erbaceo: tratto apicale ricurvo o a pastorale, sezione generalmente circolare e contorno angoloso, di colore verde sulla parte ventrale, rosso su quella dorsale, viticci mediamente sviluppati

Infiorescenza: mediamente sviluppata, cilindrica, spesso con una ramificazione, estremità apicale dei racimoli appena rosata

Foglia adulta : di media grandezza o medio-grande, pentagonale od orbicolare, quinquelobata o più spes-so eptalobata; seno peziolare a lira o chiuso con bordi generalmente poco sovrapposti e talora un dente; seni laterali superiori a lira con bordi sovrapposti e spes-so con un dente, gli inferiori sono a U p a òora, più raramente con bordi sovrapposti; lembo spesso, fine-mente bolloso su tutta la superficie e bolloso alla base delle nervature principali; la colorazione del lembo è verde con nervature talora rosse o rosate alla base; il profilo è irregolare, con margini tormentati o un o’ revoluti; denti molto pronunciati, con margini di tipo misto, anche se prevalgono i concavi/convessi; la pa-gina inferiore è da aracnoidea a lanuginosa; picciolo di media lunghezza, verde striato di rosa scuro

Grappolo a maturità : di medie dimensioni, conico o cilindrico alato, talvolta con un’ala lungamente pe-duncolata, da spargolo a mediamente compatto; pe-duncolo di media lunghezza, legnoso nel primo tratto; acino medio o medio-grande, può essere da rotondo a ellissoidale molto corto; ha buccia di medio spes-sore, mediamente pruinosa, di colore giallo verdastro che diventa giallo dorato od ambrato se ben esposta al sole; l’esposizione al sole provoca inoltre delle ti-piche machie color ruggine sulla superficie dell’aci-no, dette in ligure ‘pigge’ o ‘pigghe’, da cui deriva il nome dell’uva e del vitigno Pigato; i vinacioli sono medio-piccoli, in numero da 1 a 4 per acino (più fre-quentemente 1 o 2).

Tralcio legnoso: di colore nocciola

Caratteri distintivi: germoglio cotonoso, bianco con orli carminati; foglia quinque o eptalobata, bollosa con margini tormentati, denti molto pronunciati; grappolo conico o cilindrico, alato, acino medio o medio-gran-de, buccia di colore giallo verdastro, dorato o ambrato se ben esposta al sole

Aspetti colturaliVigoria notevole ed elevata produttività caratteriz-zano questo vitigno, che presenta anche una buona resistenza alle crittogame. La produttività delle fem-minelle nel Vermentino può essere anche rilevante, soprattutto nei cloni di notevole vigore e fertilità. Si adatta sia alla potatura mista che corta e si moltiplica senza difficoltà con i più comuni portinnesti. L’otte-nimento di un prodotto di migliore qualità si ha co-

munque negli ambienti meno umidi e meglio esposti, e quando con la potatura od altri interventi si evitano i carichi produttivi eccesivi.

L’interesse nei confronti di questa cultivar è meritate-mente in aumento, così come la sua diffusione, perchè dimostra doti di buon adattamento a condizioni coltu-rali disparate, mantenendo un buon livello produtti-vounitamente a quello di qualità del frutto

Tratto da Orientamenti per la vitivinicoltura ligure edito da Regione Liguria Servizio Assistenza Tecnica e Sperimentazione in Agricoltura Autori A. Schnei-der, F. Mannini, N. Argamante Ormeasco DOCBevi il Medioevo!Bevi il Medioevo. Bevete il Medioevo della Liguria di Ponente. Il sapore del rapporto secolare tra Liguria di Ponente e Piemonte meridionale. Uno dei vitigni più tipici del Piemonte si fa ligure, conosce l’aria di mare che si mescola a quella dei monti assolati e di-venta vino singolare e piacevole. StoriaE’ una storia tutta medievale. In questo vino di mon-tagna, che offre prodotti variati tra l’Ormeasco, l’Or-measco Superiore e l’Ormeasco Sciacchetrà, si ritro-va lo spirito dei rapporti tra piccoli signorie e arditi cavalieri a ridosso delle Alpi. Liguri da un lato, bas-sopiemontesi dall’altro. Gli Scarella di Pornassio da un lato, arroccati nel loro castello, i signori di Ormea e di Ceva eredi di una lunga tradizione cavalleresca dall’altro. Un rapporto che porta il vitigno Dolcetto, tradizionalmente ritenuto piemontese, ad avere un ra-dicamento nella valle Aroscia fin dal XIV secolo.

E qui il Dolcetto si fa “Ormeasco”, in un rapporto di riferimento piemontese.

Le citazioni storiche sono sovente lusinghiere. Al-l’inizio dell’Ottocento Agostino Bianchi cita il dol-cetto “detto ormeasco”, quale uno dei migliori vitigni della zona. Alla fine del XIX secolo anche il vino del-la zona di Triora, a quote piuttosto alte, si vuole avvi-cinare alla dimensione del dolcetto ormeasco.

I metodi di conservazione e di vinificazione ne diver-sificano le qualità, che si evolvono anche in Ormea-sco Superiore ed in Schiacchetrà o Sciac-trà.

Si è in pieno entroterra, a quote mediamente alte, col-linari e di buona esposizione. Il terreno può essere bruno, marnoso calcareo, permeabile e di buona fer-tilità. la DOCIl Riviera ligure di Ponente - Ormeasco, D.O.C. e’ ri-conosciuto con DPR del 31.03.1988 G.U. 31.01.1989. L’Ormeasco Superiore può essere messo in commer-cio dopo un invecchiamento di 12 mesi. Zona di produzioneLa zona di produzione delle uve atte alla produzio-ne dei vini a denominazione di origine controllata «Pornassio» od «Ormeasco di Pornassio» ricade nel-la provincia di Imperia. Comprende i terreni vocati alla qualità dell’intero territorio dei comuni di Aquila d’Arroscia, Armo, Borghetto d’Arroscia, Montegros-so Pian Latte, Ranzo, Rezzo, Pieve di Teco, Vessalico e, per il solo versante tirrenico, il territorio dei comuni di Mendatica, Cosio d’Arroscia e Pornassio in Valle Arroscia; l’intero territorio del comune di Molini di Triora in Valle Argentina ed il versante orografica-mente ricadente in Valle Arroscia del comune di Ce-sio. Ormeasco - Caratteristiche Zona di produzione: alte valli ingaune, zona dell’al-ta valle Arroscia, con centro a Pornassio.

Tipo: rosso tranquillo da pasto. Più corposo il Supe-riore.

Vitigno: Prodotto con uve del vitigno dolcetto mini-mo 95%. Resa massima consentita delle uve, 90 Q.li per ettaro.

Gradazione alcolica: Alcool 11% per l’Ormeasco, 12,5% per l’Ormeasco Superiore.

Colore: Colore rosso rubino vivo con riflessi porpo-ra

Profumo: Il Profumo fragrante, fruttato con sentori di ciliegia e violetta, vinoso da giovane. Se giustamen-te affinato (come nal caso del superiore)diventa più complesso e fine.

Sapore: Il Sapore asciutto e spigoloso in gioventù, di discreto corpo, con l’affinamento diventa armonico, evidenziando colore, morbidezza, sapidità e continui-

tà. Tipico finale gradevolmente amarognolo.

Età ottimale: Va bevuto preferibilmente da 1 a 4 anni dalla vendemmia. In alcuni casi (il superiore), l’Or-measco sopporta il medio invecchiamento.

Conservazione: Va conservato coricato in cantina alla temperatura di 12-14°.

Temperatura di servizio: La temperatura di servizio e’ di 16 -18°.

Bicchiere: per rosso tranquillo da pasto.

Accostamenti: Paste, Primi piatti con salse o sughi grassi, Piatti con carni bianche, spezzatino di carne per l’Ormeasco Superiore, Farinata, Coniglio alla li-gure, Formaggi semiduri. Si affianca positivamente alla “cucina bianca” tipica dell’area montana della Liguria Occidentale, basata su formaggi, anche fer-mentati, minestre d’erbe, lardi, carni d’agnello, sughi di porri, patate. Ormeasco Sciac-Tra Denominazione di Origine Controllata istitutita con D.D. 16 settembre 2003. Riconoscimento della deno-minazione di origine controllata dei vini «Pornassio» o «Ormeasco di Pornassio» e successive variazioni. Zona di produzione: alte valli ingaune, zona dell’alta valle Arroscia, con centro a Pornas-sio e in valle Argentina a Molini di Triora. Tipo: Rosato. E’ prodotto con il sistema tradizionale di parziale vinificazione in bianco Vitigno: Prodotto con uve del vitigno dolcetto mini-mo 95%. Resa massima delle uve, 90 Q.li per ettaro. Gradazione alcolica: Alcool 11%. Colore: Colore cerasuolo tenue, tendente al vivo. Profumo: Il Profumo è ampio, fruttato e fragrante, con sentori che ricordano la ciliegia ed i frutti di bo-sco. Sapore: Il Sapore è secco, sapido, abbastanza morbi-do, persistente e generalmente equilibrato. Età ottimale: Va bevuto preferibilmente entro 1-2 anni dalla vendemmia Conservazione: Va conservato coricato in cantina alla temperatura di 12-14°. Temperatura di servizio: La temperatura di servizio è di 12 -14°.

Bicchiere: Tranquillo da pasto. Accostamenti: Nel contesto ligure ponentino è un vino che si potrebbe considerare estivo e piacevole. Si affianca al pesce d’acqua dolce, barbo o cavedano, catturato nei torrenti locali. Accompagna il pasto tipi-co dell’entroterra. Antipasti di pesce con salsa rosa Primi piatti con salsa di pomodoro, zuppa di pesce, triglie alla livornese Ormeasco Sciac-Tra - Caratteristiche Zona di produzione: alte valli ingaune, zona dell’al-ta valle Arroscia, con centro a Pornassio.

Tipo: Rosato. E’ prodotto con il sistema tradizionale di parziale vinificazione in bianco

Vitigno: Prodotto con uve del vitigno dolcetto mini-mo 95%. Resa massima delle uve, 90 Q.li per ettaro.

Gradazione alcolica: Alcool 11%.

Colore: Colore cerasuolo tenue, tendente al vivo.

Profumo: Il Profumo è ampio, fruttato e fragrante, con sentori che ricordano la ciliegia ed i frutti di bo-sco.

Sapore: Il Sapore è secco, sapido, abbastanza morbi-do, persistente e generalmente equilibrato.

Età ottimale: Va bevuto preferibilmente entro 1-2 anni dalla vendemmia

Conservazione: Va conservato coricato in cantina alla temperatura di 12-14°.

Temperatura di servizio: La temperatura di servizio è di 12 -14°.

Bicchiere: Tranquillo da pasto.

Accostamenti: Nel contesto ligure ponentino è un vino che si potrebbe considerare estivo e piacevole. Si affianca al pesce d’acqua dolce, barbo o cavedano, catturato nei torrenti locali. Accompagna il pasto tipi-co dell’entroterra. Antipasti di pesce con salsa rosa. Primi piatti con salsa di pomodoro, zuppa di pesce, triglie alla livornese il Disciplinare

D.D. 16 settembre 2003. Riconoscimento della de-nominazione di origine controllata dei vini «Por-nassio» o «Ormeasco di Pornassio». Art. 1 – Denominazioni e vini – La denominazione di origine controllata «Pornassio» od «Ormeasco di Pornassio» è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produ-zione per le seguenti tipologie: rosso, sciac-trà, rosso superiore, passito e passito liquoroso.

Art. 2 – Base ampelografica – I vini rossi e «sciac-trà» a denominazione di origine controllata «Pornassio» od «Ormeasco di Pornassio» devono essere ottenu-ti dalle uve prodotte dai vigneti di vitigno Ormeasco o Dolcetto aventi, nell’ambito aziendale la seguente composizione ampelografica: Ormeasco o Dolcetto percentualmente non inferiore al 95%. Per il comples-sivo rimanente possono concorrere, fino ad un massi-mo del 5%, le uve di vitigni a bacca di colore analogo non aromatici, da soli o congiuntamente, comunque inseriti nella classificazione dei raccomandati ed au-torizzati della provincia di Imperia.

Art. 3 – Zona di produzione delle uve – La zona di produzio-ne delle uve atte alla produzione dei vini a denomina-zione di origine controllata «Pornassio» od «Ormea-sco di Pornassio» ricade nella provincia di Imperia. Comprende i terreni vocati alla qualità dell’intero ter-ritorio dei comuni di Aquila d’Arroscia, Armo, Bor-ghetto d’Arroscia, Montegrosso Pian Latte, Ranzo, Rezzo, Pieve di Teco, Vessalico e, per il solo versante tirrenico, il territorio dei comuni di Mendatica, Cosio d’Arroscia e Pornassio in Valle Arroscia; l’intero ter-ritorio del comune di Molini di Triora in Valle Argen-tina ed il versante orograficamente ricadente in Valle Arroscia del comune di Cesio.

Art. 4

– Norme per la viticoltura – 4.1. – Condizioni naturali dell’ambiente – Le condi-zioni ambientali dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Por-nassio» od «Ormeasco di Pornassio» devono essere quelle normali della zona e atte a conferire alle uve le specifiche caratteristiche di qualità. I vigneti devono essere ubicati in terreni ritenuti idonei per le produ-zioni della denominazione di origine di che trattasi. Sono da escludere i terreni di sfavorevole giacitura ed esposizione. 4.2. – Densità dell’impianto – Per i nuovi impianti e i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 4.500 in coltura specializzata. 4.3. – Forme di allevamento e sesti di impianto – I sesti di impianto e le forme di allevamento consenti-ti sono quelli tradizionali della zona: in particolare è raccomandata la spalliera semplice ed autorizzata la pergola a tetto orizzontale. I sesti di impianto sono adeguati alle forme di allevamento. La regione può consentire diverse forme di allevamento qualora siano tali da migliorare la gestione dei vigneti senza deter-minare effetti negativi sulle caratteristiche delle uve. 4.4. – Sistemi di potatura – La potatu-ra, in relazione ai suddetti sistemi di alleva-mento della vite, deve essere di tipo misto. 4.5. – Irrigazione, forzatura – È vietata ogni forma di forzatura. È consentita l’irrigazione di soccorso.

Art. 5 Norme per la vinificazione5.1 - Zona di vinificazione. Le operazioni di vinificazione, ivi compresi, l’invec-chiamento obbligatorio, l’arricchimento del grado al-colico, l’alcolizzazione dei vini liquorosi, 1’appassi-mento delle uve devono essere effettuate nel territorio dei comuni di cui all’art. 3. Il Ministero delle politiche agricole e forestali - Co-mitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geogra-fiche tipiche dei vini, sentita la regione Liguria ed in

deroga a quanto sopra disposto, puo’ consentire che le operazioni di vinificazione siano effettuate all’interno della zona delimitata dal disciplinare dei vini a de-nominazione di’ origine controllata «Riviera Ligure di Ponente», riconosciuto con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, ad operatori che, su specifica richiesta, dimostrino di aver rivendicato tale operazione nelle ultime due campagne viticole ante-cedenti alla data di approvazione del presente disci-plinare. 5.2 - Zona di imbottigliamento. L’imbottigliamento dei vini a denominazione di origine controllata «Por-nassio» od «Ormeasco di Pornassio» deve avvenire all’interno della zona delimitata dal disciplinare dei vini a denominazione di origine controllata «Riviera Ligure di Ponente», riconosciuto con decreto del Pre-sidente della Repubblica 31 marzo 1988. 5.3 - Produzione di varie tipologie da uno stesso vigneto. Qualora le uve di un determinato vigneto vengano uti-lizzate per la produzione di diverse tipologie previste dall’art. 1, e’ consentito destinare una parte delle uve di tale vigneto alla produzione delle tipologie «Por-nassio» od «Ormeasco di Pornassio», e le relative ti-pologie «Superiore», «Sciac-tra», «Passito», «Passito liquoroso», purche’ risultino rispettati tutti i requisiti posti dal presente disciplinare sia per le uve destinate separatamente a una data tipologia sia per le rimanen-ti uve dello stesso vigneto destinate ad altra tipologia. 5.4 - Arricchinienti e colmature. E’ consentito l’arricchimento dei mosti e dei vini di cui all’art. 1 nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti concentrati ottenuti da uve dei vigneti iscritti all’albo della stessa denominazione di origine controllata oppure con mosto concentrato retti-ficato o a mezzo concentrazione a freddo o comunque con le tecnologie consentite dalla normativa in vigore. 5.5 - Elaborazioni. Le diverse tipologie previste dall`art. 1 devono essere ela-borate in conformita’ alle norme comunitarie e nazionali. La tipologia «Pornassio» od «Ormeasco di Por-nassio» deve essere ottenuta soltanto con le pra-tiche enologiche tradizionali della zona, atte a conferire al vino le peculiari caratteristiche. La tipologia « Pornassio» od «Ormeasco di Pornas-sio» con la menzione «Superiore» prevede la vinifi-cazione delle uve che assicuri una gradazione alcolica minima naturale di gradi 12. La tipologia «Pornassio» od «Ormeasco» di «Pornas-sio» con la menzione «Sciac-tra» prevede la vinifi-

cazione delle uve con un limitato contatto del mosto con le parti solide onde assicurare la caratteristica del colore di cui al successivo articolo. Le tipologie «Pornassio» od «Ormeasco di Pornas-sio» con la menzione «Passito» e «Passito liquoroso», devono essere ottenute utilizzando uve prodotte da vi-tigno Ormeasco o Dolcetto nella zona delimitata dal presente disciplinare, che devono essere state appas-site naturalmente sulla pianta, su graticci od in locali idonei, con esclusione dell’aria riscaldata artificial-mente, anche con deumidificatori; le uve dovranno presentare un tenore zuccherino minimo di 260 gr/l. 5.6 - Resa uva/vino e vino/ettaro. La resa massima dell’uva in vino, compresa l’even-tuale aggiunta correttiva e la produzione massima di vino per ettaro, comprese le aggiunte occorrenti per l’elaborazione dei vini sono le seguenti:

Tipologia vino/ha: Pornassio - Ormeasco di Pornas-sio Resa uva/vino: 70 % Prod. mass.: 63/hlTipologia vino/ha: Pornassio - Ormeasco di Pornas-sio Superiore Resa uva/vino: 70 % Prod. mass.: 63/hl

Tipologia vino/ha: Pornassio - Ormeasco di Pornas-sio Sciac-tra Resa uva/vino: 70 % Prod. mass.: 63/hl Tipologia vino/ha: Pornassio - Ormeasco di Pornas-sio Passito Resa uva/vino: 50 % Prod. mass.: 45/hl Tipologia vino/ha: Pornassio - Ormeasco di Pornas-sio liquoroso Resa uva/vino: 50 % Prod. mass.: 45/hl Qualora la resa uva vino superi i limiti di cui sopra, ma non oltre il 75 %, anche se la produzione ad ettaro resta al di sotto del massimo consentito, l’ecceden-za non ha diritto alla denominazione di origine. Ol-tre detto limite decade il diritto alla denominazione d’origine controllata per tutta la partita. La regione Liguria, con proprio decreto, sentite le or-ganizzazioni di categoria interessate, ogni anno prima della vendemmia puo’, in relazione all’andamento climatico ed alle altre condizioni di coltivazione, sta-

bilire un limite massimo di produzione di uva per et-taro inferiore a quello fissato dal presente disciplinare, dandone comunicazione al Ministero per le politiche agricole e forestali ed al Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di ori-gine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini. 5.7 - Invecchiamento. I seguenti vini devono essere sottoposti ad un periodo di invecchiamento: per la tipologia «Pornassio» od «Or-measco di Pornassio» e «Pornassio» od «Ormeasco di Pornassio» con la menzione «Sciac-tra» l’immissione al consumo non puo’ essere effettuata prima del 1° mar-zo dell’anno successivo a quello della vendemmia. Per la tipologia «Pornassio» od «Ormeasco di Pornassio» con la menzione «Superiore» l’immissione al consu-mo non puo’ essere effettuata prima del 1° novem-bre dell’anno successivo a quello della vendemmia. Per la tipologia «Pornassio» od «Ormeasco di Por-nassio» con la menzione «Passito» la durata di invec-chiamento e’ di 12 mesi a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello della vendemmia. Per la tipologia «Pornassio» od «Ormeasco di Pornassio» con la menzione «Passito Liquoroso» la durata di in-vecchiamento e’ di 12 mesi a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello della vendemmia. Per le tipologie «Pornassio» od «Ormeasco di Pornassio» con la menzione «Superiore» e «Passito» e’ previsto, in questo periodo, un affinamento in botti di rovere o castagno per almeno quattro mesi. Art. 6 I vini di cui all’art. 1 all’atto della loro immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteri-stiche:

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Colore: rosso rubino, vivo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole, leggermente amarogno-lo, discreto corpo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 22 per mille

Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Sciac-Trà Colore: rosa corallo Odore: vinoso, gradevole, caratteristico Sapore: asciutto, gradevole Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille

Estratto secco netto minimo: 18 per mille

Riviera Ligure di Ponente Pigato Colore: giallo paglierino piu’ o meno carico Odore: intenso, caratteristico, leggermente aromatico Sapore: asciutto, pieno, lievemente amarognolo man-dorlato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 16 per mille

Riviera Ligure di Ponente Rossese Colore: rosso rubino chiaro Odore: delicato, caratteristico, vinoso Sapore: asciutto, delicato, morbido, amarognolo Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 20 per mille

Riviera Ligure di Ponente Vermentino Colore: paglierino Odore: delicato, caratteristico, fruttato Sapore: asciutto, fresco, armonico, delicatamente fruttato Gradazione alcoolica minima complessiva: 11 Acidita’ totale minima: 5 per mille Estratto secco netto minimo: 16 per mille

E’ facolta’ del Ministero dell’Agricoltura e delle fo-reste con proprio decreto, di modificare per i vini di cui sopra i limiti minimi indicati per l’acidita’ totale e l’estratto secco netto.

Art. 7 Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco derivante da uve aventi una gradazione alcoolica minima natra-le di 12 ed immesso al consumo con una gradazione alcoolica complessiva minima di 12.5, puo’ portare la qualificazione aggiuntiva ‘Superiore’. Il vino Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Superiore non puo’ es-sere immesso al consumo prima del 1 novembre del-l’anno success ivo a quello della vendemmia.

Art. 8 Alla denominazione di cui all’art. 1 e’ vietata l’ag-giunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista nel presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi ‘Extra’, ‘Fine’, ‘Scelto’, ‘Ri-serva’.

Testi a cura diAlessandro GiacobbeVia San Martino 107, 18038 San Remo Tel e Fax + 39 0184/575862 Priv. 335/6661323

Via Colombo 30, Villa Viani, 18027 Pontedassio (IM)Tel + 39 0183/279119

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E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferi-mento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, pur-che’ non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l’acquirente. Fatto salvo l’uso di nomi aziendali, non e’ consentito l’uso di altre indi-cazioni, geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, tenute, zone e lo-calita’ comprese nella zona delimitata nel precedente art. 3.

Le bottiglie o alri recipienti di capacita’ non superio-re a 5 litri, contenenti vini Riviera Ligure di Ponente di cui al presente disciplinare, in vista della vendita devono essere, anche per quanto riguarda il confezio-namento e la presentazione, consoni ai tradizionali caratteri di un vino di pregio.

Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti i vini Ri-viera Ligure di Ponente puo’ figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve, purche’ docu-mentabile. Tale i ndicazione e’ obbligatoria per i vini designati in conformita’ dell’art. 7 del presente disci-plinare e quelli posti in commercio con una delle sot-todenominaizioni di cui all’art. 3

Art. 9 Chiunque produce, vende, pone in vendita o comun-que distribuisce per il consumo con la denominazione di origine controllata Riviera Ligure di Ponente vino che non risponde al le condizioni ed ai requisiti sta-biliti dal presente disciplinare, e’ punito a norma del-l’art. 28 del Decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963 nr. 930

Distillatii DistillatiLiguria di Ponente come terra dei buoni distillati…rari ed aromatici.

La tradizione di trovarsi una sera, al ritorno dai duri lavori di campagna, una campagna che non rega-la niente. Assaggiare qualcosa che concilia la dige-stione…ecco allora le grappe di monovitigno, sia di rossese, che di pigato, che di vermentino… Quella di rossese ha spesso una pronuncia forte e una notevole fineszza…mentre quelle tratte dalla vinacce dei bian-chi sono limpide, elegante, sublimi nell’impalpabile. la TradizioneEsiste in Liguria di Ponente una lunga tradizione le-

gata ai distillati. Nella campagne ancora molti conser-vano gli antichi alambicchi necessari alla creazione dell’acquavite per la casa. Il continuo rapporto con il Piemonte, per motivi commerciali, favorisce lo scam-bio di informazioni in merito alla produzione dei li-quori. E così è possibile giungere anche all’impianto di fabbriche artigianali.

Nel 1889/1890 nell’allora provincia di Porto Mauri-zio si trovavano dieci fabbriche di liquori ed acquavi-te, con 10 alambicchi a fuoco diretto, che distillavano 207 ettolitri di vinacce e 50 di vino. Era una produzio-ne limitata, ma di notevole qualità.

La produzione di liquori era sovente affiancata alla fine pasticceria. La presenza di una clientela esigente e selezionata lungo la costa, in ville ed alberghi, ri-chiedeva la produzione di dolci prelibati ed elaborati.

Fra le antiche ditte, si ricordano la Stefano Marga-ria di Oneglia, fondata nel 1867, la Fratelli Ranzini sempre di Imperia, fondata attorno al 1910 ed ancora esistente, nonché la Pricipe di Nervia di Camporosso e la Joseph Gazan di Ventimiglia, una piccola “multi-nazionale” italo-francese. A San Remo si era imposta la Bersano Rossotti e C..

Attualmente tutte le principali case di produzione enologica della Riviera di Ponente presentano una li-nea di raffinate grappe di monovitigno.


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