Date post: | 01-Apr-2016 |
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Poesia p. 3
La Parola della Fondatrice oggi p. 5
Noi … del Consiglio p. 6
Ministeri e Dimensioni p. 7
I Laici Canossiani p. 11
“Dalla parte degli ultimi” p. 12
L’educazione: radici e fiori p. 14
L’Anno della Fede p. 18
La Voce dei Territori p. 23
Parliamo di… p. 39
Semi di riflessione p. 50
Prossimi Appuntamenti p. 54
Freschi di Stampa p. 55
Papa Francesco p. 56
SOMMARIO
3
Quella Vecchietta ceca, che incontrai
la notte che me spersi in mezzo ar bosco,
me disse : - Se la strada nu' la sai,
te ciaccompagno io, chè la conosco.
Se ciai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò una voce
fino là in fonno, dove c'è un cipresso,
fino là in cima, dove c'è la Croce... -
Io risposi: - Sarà... ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede...
La Ceca, allora, me pijò la mano
e sospirò: - Cammina! -
Era la Fede
Trilussa.
Non sarà irriverente, in questo anno della fede, non cercare tanto una definizione di un
teologo, ma il sensus fidei nascosto dietro l’opera, apparentemente scanzonata, di un
poeta come Carlo Alberto Salustri, noto come Trilussa.
La poesia presenta la situazione drammatica di un giovane uomo perdutosi, di notte, in
mezzo al bosco. L’immagine evoca la selva oscura dantesca o, comunque, un luogo
intricato in cui è facile perdersi. Sembra l’immagine della vita nella quale bisogna
sapersi orientare, per trovare la strada.
Una vecchietta cieca si propone come guida: ella sa, conosce, può accompagnare l’uomo
smarrito. La proposta si specifica come una compagnia per l’uomo viator. E’ una
compagnia lungo tutto il cammino dell’uomo, che va verso il cipresso (fino là in fonno),
fino alla fine della vita, nella tomba, che vede il riposo custodito dall’ombra di tale
albero, sempreverde. E’ una compagnia lungo il cammino del credente (fino là in cima),
che ha il suo culmine nella Croce.
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La fede avanza innanzi, mostra la strada, fa sentire la sua voce che giunge, per il poeta,
dalla gente semplice, da chi ha fiducia in Dio, al di là e in mezzo alla fatica del vivere
quotidiano.
Di fronte a tale proposta, la voce narrante, l’uomo, esita. L’uomo non riesce a trovare il
senso della sua vita con le sole armi razionali e la fede, che appare irrazionale agli occhi
della ragione umana, sembra la guida meno adatta. Ma qui sta il paradosso: cieca agli
occhi della ragione, appare invece esistenzialmente vedente.
E’ evidente un richiamo al testo della Lettera agli Ebrei che ripropone l’esempio di Mosè:
“Per fede lasciò l'Egitto…; rimase infatti saldo, come se vedesse l'invisibile” (Eb.11,27)
La fede è restare saldi, avere un punto di riferimento, un senso che dà fondamento ed
orientamento esistenziale. Essa prende per mano il vero cieco, ossia l’uomo smarrito e
confuso, nonostante le sue pretese conoscitive, scientiste e razionaliste, e lo invita a
camminare. (Il gesto è lo stesso di Gesù con il cieco di Betsaida (Mc. 8,23).
Camminare vuol dire progredire nella via della vita, sotto lo sguardo di Dio, nella
luce della fede.
A questo punto il Poeta scioglie la tensione narrativa e rivela che si tratta della
personificazione della fede.
Giovanni Paolo I, riferendosi a questa poesia nell’Udienza Generale del 13 settembre
1978, ebbe a dire che “ era graziosa come poesia, ma difettosa come teologia”. E,
ancora prima, in una delle sue “lettere” inserite nella raccolta intitolata “Illustrissimi”,
chiariva che la fede è una buona guida solo quando “ha ormai messo radici, come
convinzione, nella mente e di là pilota e dirige le azioni della vita”. Certo! Ma la
suggestione che il poeta lascia a noi è che la fede, pur nella sua fragilità argomentativa
agli occhi degli uomini, ha una forza vitale per la qualità della vita di ogni uomo.
A cura di Don Emilio Salvatore
5
.
Lett. 1439 (Bergamo - 31.07..1824)
La Parola della Fondatrice
V .G. e M. Carissima Figlia,
… Non vi prendete pena… pel tempo ch'io fui a Venezia, spero che quando un'altra
volta il Signore mi comanderà potremo fare il rimanente e potrò lungamente con voi
fermarmi, intanto non ci pensate più. Già vedete che…sapendo che certe piccole cosette
dipendono più dalla debolezza che dalla volontà certa del vostro cuore, e del vostro desiderio
di compiacermi in tutto, vado con voi con piena libertà in ogni cosa onde state quieta e
parliamo dell'affare di cui mi farete scrivere dal nostro buon Signor Alessandri, al quale non
posso oggi scrivere come tanto desiderava.
Se dunque l' ottimo Signor Don Carlo Roggia desidera veramente una piccola storica
relazione del come sia stato piantato, come sia cresciuto, e come siasi dilatato il minimo
nostro Istituto ben volentieri lo servirò, e tanto più volentieri che trattasi di servire unitamente
l'amantissimo nostro Pastore Monsignor Patriarca. La prego solo ad accordarmi un po’ di
tempo.
Peraltro potete dirgli che l'Istituto ebbe la sua origine in Verona quantunque non
abbia presa a dirittura la forma, ed il nome d'Istituto, questo accadette alcuni anni dopo in
Venezia, da dove fu privatamente trapiantato a Milano, indi a Bergamo. La canonica formale
erezione dell'Istituto medesimo fatto dopo la sovrana, e governativa approvazione seguì prima
in Venezia, poi in Verona, indi a Bergamo, ultimamente a Milano. In questa città l'erezione fu
fatta dopo Bergamo quantunque quella Casa sia stata molto prima stabilita, perchè non aveva
l'Istituto in quella città casa propria, che solo ultimamente acquistò.
Il numero delle Figlie della Carità, componenti queste quattro Case attualmente è di
sessantadue, dico 62, e presto altre due, anzi tre entreranno.
Voi poi adesso mia Cara Figlia scrivetemi più presto che potete quello che vi dirà il
Signor Don Roggia perchè possa regolarmi a scrivere, o a non iscrivere questo piccolo
ragguaglio come gli accomoda, giacchè, fuori di me, difficilmente potete farlo voi altre
essendo voi altre state sempre ferme nelle case ed avendo girato sempre io unicamente.
Dirigetemi la lettera adesso a Milano. Molto mi sono consolata come già vi dissi col
nostro Ospitale, e nostro caro Burano, vi scriverò più a lungo un'altra volta.
Vi abbraccio tutte di vero cuore, lasciandovi tutte nel Cuor Santissimo di Maria. La
mia salute va bene, sono un po’ stanca.
Di Voi Carissima Figlia
Bergamo li 31 luglio 1824 Vostra Aff.ma Madre
Maddalena Figlia della Carità
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Scrivere alcune note per “Noi del Consiglio” è
l’occasione trimestrale per ripensare al cammino
percorso. Tre mesi! Il tempo scorre veloce e
porta via vissuti densi di impegni, di incontri
personali, di lunghi momenti di discernimento.
CONSIGLI PROVINCIALI
Dopo la sospensione per la Visita Canonica
Provinciale, si riprende il ritmo mensile
degli appuntamenti romani.
In aprile, si impone la necessità di
“rivisitare l’Italia” con le scoperte fatte, i
problemi incontrati, il buono spirito
canossiano, respirato da ciascuna di noi.
Con l’occasione favorevole di confrontarci
con il Consiglio Generale - anch’esso fresco
dell’esperienza italiana - intravvediamo
nuove luci per il futuro.
A maggio, dopo la consultazione delle
comunità, il nostro discernimento si
incentra sul quadro delle Superiore, da
confermare o da nominare. Non fa caldo
ancora, ma si suda nello sforzo di
rispondere in modo adeguato a tutte le
situazioni.
In giugno, si riprende il quadro e si invoca
lo Spirito perché ci illumini anche circa il
Progetto Apostolico della Provincia da
presentare al Capitolo Provinciale, il
prossimo ottobre.
QUESTIONARI
Un lavoro interessante, anche se
impegnativo, ci ha viste immerse nella
lettura e nella sintesi dei questionari sul
tema del Capitolo Generale 2014:
“Inspice et fac”.., “perché il mondo creda”
chiamate ad essere testimoni gioiose e
profetiche…, questionari riconsegnati con
puntualità lodevole da ogni comunità.
L’ovvia fatica, legata alla loro rilettura, si è
dissolta nella gioia di constatare come la
proposta carismatica abbia fatto vibrare le
nostre comunità nella riscoperta del “gran
dono” che Dio ci ha fatto, chiamandoci nel
nostro Istituto.
La ricca sintesi, condivisa in Consiglio, è
stata poi consegnata al Consiglio Generale,
unitamente al lavoro che, pure “noi del
Consiglio”, siamo state chiamate a svolgere.
CONSULTAZIONI
La primavera 2013 ha coinvolto tutte le
comunità in più consultazioni: anzitutto
quella per le Superiore locali, e poi quella
per la nomina delle 50 Sorelle che
parteciperanno al prossimo Capitolo
Provinciale.
Certamente, come Provincia, possiamo
registrare il primato numerico! Circa 900
schede con 20 nomi riportati: una sfida alla
resistenza e alla perseveranza per lo spoglio
dei dati fedelmente annotati. Ma …, ce
l’abbiamo fatta!
Per la seconda consultazione – e lo spoglio
non sarà meno impegnativo del primo – ogni
Sorella ha ora in mano una nuova scheda
con i nomi di 100 Sorelle e il rispettivo
curriculum vitae.
VERSO L’ESTATE
Non sarà – non lo è mai stata – un’ estate
rilassante: incontri con singole Sorelle, da
parte della Madre Provinciale e delle
Consigliere Territoriali, per discernere
insieme il progetto di Dio; Esercizi Spirituali
da accompagnare con la presenza e
l’ascolto; la ricomposizione delle comunità; i
Seminari ministeriali a cui partecipare …,
tutto fa pensare ad un’estate laboriosa,
senza dimenticare che, oltre tutto, c’è un
Capitolo Provinciale da preparare.
Ma, “Niente paura!” – dice S. Maddalena - “Fidiamo nel Cuore SS di Maria; già la mia Madonna è una grande Madre”.
M. Giovanna Radice
Noi … del Consiglio
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Quale grande dono, quale grande gioia, quale grande opportunità poter continuare a
“Rischiare per la carità”.
Se, per Santa Maddalena di Canossa, era urgente andare ed annunciare l’amore del Signore
anche fino ai confini del mondo, offrire a tutti la certezza di essere figli amati, valorizzati,
vocati, inviati…
Se, per la nostra Fondatrice, il fuoco dell’Amore era questa Carità universale verso tutti e in
particolare i più poveri e si esprimeva con la passione e il cuore di madre, educatrice … per
noi, oggi, in questa storia, in questa multiculturalità, interreligiosità…in una società del
relativismo…dell’individualismo…???
Quale profezia educativa? Quale approccio pedagogico profetico?
Possiamo fare anche noi qualcosa di più e di diverso…
La sfida profetica e la crisi del nostro tempo ci ha mosse, come piccola comunità educante,
a ripensare il quotidiano senza variare il già ricco bene che si attua nell’ordinario
ministeriale.
Ci siamo accorte che, al nostro interno, pur nella precarietà del momento, abbiamo ancora
grandi scorte di: Spirito Santo, saggezza di età, esperienze educative, passione per gli altri,
Carisma attualissimo, adolescenti e giovani pronti al dono di sè, spazi ambientali
multifunzionali, materiali didattici ed educativi…
Accogliamo la sfida e la crisi diviene feconda.
Ministeri e Dimensioni
Verona – San Zeno 1808…
Milano – Tagliamento 2013…
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Siamo in una grande Città: Milano.
La crisi è presente…a più dimensioni…da quella economica a quella vocazionale
Bene, rendiamoci testimoni visibili di prossimità gratuita.
Le sfide educative sono presenti… dal bisogno di formazione e accompagnamento della
persona… al disagio scolastico dei bambini.
Un cambiamento epocale…un volto universale … la terra è abitata da “Cittadini del mondo”
Bene, privilegiare i piccoli e gli ultimi.
Le scorte di tempo per gli altri non sono ancora esaurite!. C’è ancora spazio per servire…
abbiamo da offrire risorse a “zero costi”, possiamo aprire cuore e casa rendendo gli spazi
ambientali “multifunzionali”.
Quale profezia educativa nel qui ed ora?
Quale approccio pedagogico profetico per gli “ultimi arrivati”?
In questi anni, si è notato che sono molti i bambini provenienti da diversi Paesi del mondo
che arrivano nella nostra città , in qualunque mese dell’anno.
Una volta arrivati a Milano, per loro si presenta la difficoltà di un inserimento: familiare,
culturale e scolastico, completamente nuovo.
La non conoscenza della nostra lingua rafforza il disagio, creando maggiori fatiche
relazionali, nell’apprendimento, con sofferenze anche psicologiche e segni di
emarginazione sociale.
Ecco allora il nascere del nostro piccolo Progetto: “Giocando s’impara”
Questo Laboratorio non ha grandi finalità se non quella di offrire uno spazio gioco, di
apprendimento ludico della lingua italiana, aperto all’accoglienza dei bambini di età
compresa fra i 6 e i 10 anni.
In esso cercheremo di valorizzare, con creatività e
attenzione alle diversità dei bambini, la metodologia
della didattica “ludica”. Essa è in armonia con i
principi comunicativo-funzionali.
Giocando si valorizza la funzione comunicativa della
lingua, si metteranno in primo piano i bisogni
linguistico-comunicativi dell'apprendente, nonché il
contesto sociolinguistico.
Ministeri e Dimensioni
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Una prassi didattica di ispirazione ludica sostiene, inoltre, la teoria delle intelligenze
multiple di Howard Gardner, in quanto i giochi valorizzano la diversità intellettiva degli
allievi.
Un ulteriore aspetto attivo e positivo del nostro Progetto sono i nostri meravigliosi
“Volontari”: Stefano, Veronica, Jasmine, Cristina. Giovani entusiasti, creativi, disponibili,
studenti del C.F.P. Canossa e….non solo.
Tranne un ragazzo e una ragazza di lingua italiana, abbiamo chiesto la disponibilità a
ragazze provenienti da diversi Paesi Extraeuropei invitando così una ragazza di origine
filippina che ben conosce la lingua inglese e il tagallo, una ragazza
di origine marocchina che conosce l’arabo e l’inglese…
Questi volontari, oltre la conoscenza di lingue, appartenenti
ai loro Paesi di origine, intuiscono le fatiche di questi
bambini, entrano in relazione, per le diverse
comunicazioni, con i genitori e traducono
simultaneamente le lingue con il nostro Italiano.
Essi, insieme a noi Madri, sono anche testimoni che la
diversità di lingua, provenienza, età, religione, non sono un
ostacolo, ma una ricchezza offerta a tutti, un segno di cooperazione e collaborazione per
il bene comune. Una vera risorsa !!! Un grande dono!
Il Progetto è iniziato da poco, il sabato mattina e, con il “passa parola”, i bambini stanno
arrivando.
Vivremo con loro un’esperienza che durerà fino al mese di giugno.
Volutamente, la conclusione di questo Laboratorio coinciderà, con la chiusura del
percorso scolastico e con l’apertura degli “oratori estivi – GREST”.
Così, inviteremo le famiglie ad iscrivere i loro bambini negli oratori della zona e questo
nuovo percorso favorirà un inserimento in contesti educativi cristiani e il contatto
relazionale con un gruppo allargato di coetanei per una socializzazione più equilibrata,
mista, armoniosa e una continuità nell’apprendimento della lingua italiana, oltre alla
serenità di crescita di questi bambini.
I nostri primi piccoli….sono stupendi e arrivano dalla: Cina, Bolivia, Filippine, Equador.
Ministeri e Dimensioni
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Lunedì mattina: Priscilla chiede alla sua mamma “Mamá hoy
es sábado?” (Mamma, oggi è sabato?)
“No, amore, è solo lunedì!” risponde la mamma.
Riprende Priscilla: “Oh ... si la escuela también fue en este
momento!" (“Oh… se la scuola fosse sempre sabato!”).
Candy: “Me gusta venir aquí y aprender italiano”
E noi, insieme a Santa Maddalena, nel guardare i volti di questi piccoli, diciamo con gioia e
gratitudine a Dio e alla Vita:
Sr. Maria Grazia Borgarzone
Ministeri e Dimensioni
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Al sentire di oggi è necessario
aggiungere una preghiera, l'avevo in
mente e lì è rimasta.
“Vorrei pregare per tutti i giovani che si
sono formati sin da piccoli nel
“territorio” di S. Maddalena e da lì
hanno raggiunto ognuno un posto
diverso, più vicino o più lontano.
Ma quale compagnia aerea consente di
comperare un volo se si sa dove si vuol
arrivare, ma non si compila la casella
del posto dal quale si parte?
Partendo dalla Santa di Verona si può
andare ovunque: dalle favelas ai
principati più esclusivi.
Il Tema dell'incontro di domenica era
appunto questo: partire da una porta
aperta e raggiungere un pozzo.
Da un varco ad un contenitore.
Lì in mezzo la forza ed il coraggio di chi
da solo, o più saggiamente accompagnato, sa
percorrerne, con fede, lo spazio. Quel pozzo
sarà un saluto o un incipit?
E' lì che ho scorto ancora lo sforzo sereno
delle Madri che ci chiedevano con un punto
interrogativo, che prima di esserci destinato
aveva attraversato il loro cuore: <Voi che
volete fare?>.
Non lo sappiamo, cara Madre Paola, è un
tentativo, con tutti i suoi limiti e le sue
speranze.
Appunto i limiti e le speranze, ovvero i confini
del cuore che sembrano riduttivi, ma se poi ci
ricordiamo di Pietro, sì, quello che ha gettato
le reti a destra della barca, vuol dire che
tutto è possibile.
Al centro di tutto questo c'è una buona
predisposizione, la nostra, un cuore grande,
Altissimo, il Suo.
...E, perciò, porta aperta e pozzo. Estremi tra
incontro e divenire.
Nel fascino dell'ascolto verso chi ha
impegnato il proprio sentire, il proprio sapere,
il proprio tempo per far chiarezza o dare solo
luce sul grigio di tante domande che si
colorano appena all'alba e che si oscurano
velocemente la sera, voglio ringraziare la
buona volontà, lo sforzo, la mitezza,
l'impegno di chi testimonia, nel tempo, come
Maddalena non abbia fatto strada invano.
Maria Lucia Stolfi
I Laici Canossiani
28 aprile 2013
12
Sono le 8,10 del mattino e, fingendo di
correre, perché Madre M. ora corre solo
col desiderio, arriviamo alla fermata
dell’autobus che ci porta alla cappella
parrocchiale per la Santa Messa. Appena
salite, salutiamo sempre i vari autisti che
ormai ci conoscono e le persone che
quotidianamente incontriamo, soprattutto
i bambini che vanno a scuola. “Buon
giorno, ciao… buona giornata a tutti”.
Poi silenzio: i bambini sono ancora
assonnati; ognuno degli adulti porta con
sé i propri pensieri, le preoccupazioni: ci
sono pochi soldi, il marito ha perso il
lavoro, c’è in pericolo la casa ecc..
Te ne accorgi subito, basta un saluto
personale, una domanda anche generica e
le parole danno voce a ciò che passa nella
mente e nel cuore. Il percorso è breve… il
tempo di assicurare a ciascuno una
preghiera al Signore lungo la strada e
nell’Eucaristia.
Ma su quell’autobus andiamo con
frequenza a tutte le ore della giornata e i
passeggeri si diversificano: chi va a fare
la spesa, chi alla stazione, chi alla posta…
chi in cerca di lavoro.
“Sorella, io cerco lavoro; la vecchietta che
accudivo è morta, lei sa chi ha bisogno?”
“Sorella, dove posso andare per avere il
latte per il mio bimbo di pochi mesi? Io ho
pochi soldi… A tutti rispondo cercando di
dare con gentilezza una soluzione per ciò
che posso e so.
E poi sull’autobus dalle 9 in poi, ti capita di
trovare la R. e il L. e il Sign. C.
discretamente vestiti che salutano volentieri
e ti chiedono di sedersi accanto, se c’è il
posto. Solite domande: “ Dove vai di bello
oggi?” e solite risposte: ”Sto facendo i giri
sull’autobus… Cosa vuole, sono sola, la
giornata è lunga, a casa mi annoio e mi
intristisco; qui almeno sto al caldo, seduta,
incontro la gente, e intanto arriva l’ora del
pranzo. Con la L. vado alla Caritas a
mangiare e poi, dopo qualche passo sul
lungo mare, torno sull’autobus e faccio
ancora qualche giro”.
Con altre risposte alcuni uomini ripetono lo
stesso “giro” sull’autobus. Hanno sempre un
posto a sedere, perché la gente è attenta a
cedere il proprio. Questi sono i poveri, non i
senza dimora, perché hanno un’abitazione,
ma sono soli, con i pochi soldi della pensione
da risparmiare, magari per pagare le bollette
di luce e gas dei figli disoccupati, separati,
che si appoggiano al padre per andare
avanti. E così il padre gira sull’autobus al
caldo in inverno, al fresco dell’aria
condizionata in estate.
Ma c’ è anche L. che “gira” qualche volta: lui
ha assunto la figura del “senza dimora” ,
disordinato sempre, con in mano tante carte
che all’occasione regala. A me offre con
delicatezza i suoi disegni, su carta sgualcita:
non mi è facile accettarli, ma so di dargli
gioia e con un sorriso allungo la mano.
“Dalla parte degli ultimi”
13
L’autobus in alcune ore diventa un
piccolo mondo di etnie, culture, lingue.
Lo rilevi dal volto, dall’ abbigliamento,
dalle chiacchierate al cellulare di cui
non capisci nulla.
Mi colpisce la loro attenzione a cedermi
il posto. Quanto posso imparare anche
da loro!
Un giorno sull’autobus c’era poca gente
e con uno sguardo si abbracciava tutto.
Gli occhi caddero subito su un sedile
rovesciato a terra. Come tutti anch’io lo
scansai e mi sedetti dietro. La gente,
rivolgendosi anche a me, cominciò a
imprecare contro i “vandali” , i giovani
di oggi, gli stranieri, i capi dell’Azienda
delle autolinee che non provvedono,
trattano gli abitanti di Ostia come
fossero di serie B e via dicendo.
Sale una giovane coppia con un bimbo
in braccio: si vede dal volto che sono di
un’altra nazione. L’uomo vede il sedile
a terra; senza parlare, lo prende, lo
sistema al suo posto, si assicura che sia
affrancato, fa sedere la donna e con un
gesto di soddisfazione si siede accanto.
Tutti guardiamo in silenzio, stupiti e
ammirati. Ci voleva tanto poco!
“Signore,viandante sull’autobus 01 nella
carne di questi uomini e donne semplici,
desiderosi di relazioni, di una vita
dignitosa, di un futuro più rassicurante.
Insieme a Gesù Cristo, mi apro a Te, Padre, a
nome di tutti quelli che sono qui, i cui volti
parlano di fatica, di lotte, di coraggio, di
amicizie, di disperazione.. Io sono qui, in
mezzo a tutti nel tuo nome, impastata della
loro medesima umanità. Sono qui per loro,
anche se lo ignorano. E nel silenzio contemplo
la tua appassionata apertura alla nostra
umanità così complessa”.
Ho letto un’espressione di Madeleine Delbrel
che mi accompagna: “Non abbiamo diritto a
parlare di Dio agli altri, se non impariamo
anche a parlare a Dio a nome degli altri, a
partire magari, da quanti si sono rassegnati
alla sua assenza o al suo silenzio”
La nuova evangelizzazione incomincia
proprio dalla contemplazione e dalla
preghiera.
“Grazie, Signore, di questa “Casa” ambulante
dove si “gira e rigira” nel Quartiere, dove i
poveri mi educano e mi evangelizzano”.
M. Marialuisa Leggeri
“Dalla parte degli ultimi”
14
“Maestro, è bello per noi essere qui!”
(cf Mt 17,4 )
L’attenzione di Maddalena si focalizza quasi
esclusivamente sull’ansia di “far
conoscere e amare Gesù”. L’educazione
è per lei “cosa di cuore” e spende tutta la
sua vita per il bene e la promozione di tutti,
in particolare per i giovani e le donne.
A noi il compito di come ispirare le persone,
comunicare con loro e ascoltare i loro
bisogni. Questa è la cultura dell’eccellenza
da caldeggiare in famiglia, nella scuola,
nell’ambiente di lavoro, in società.
La crisi attuale serve anche a questo:
aiutare a respirare un elevato livello di
fiducia.
Cosa chiediamo allora alle nostre
carissime Ex-allieve?
Devono continuare a far sentire la loro
voce, quale prolungamento, nel tempo
presente e futuro, della nostra voce, ma
senza alcuna delega, poiché “Gesù non è
amato perché non è conosciuto”.
L’ occasione non manca; infatti si è
già realizzata, in aprile, una proposta,
una pausa di spiritualità proprio per
le Ex - allieve.
Meta dell’incontro: il Centro Internazionale
Canossiano di Roma-Ottavia.
L’accoglienza, la familiarità dell’ambiente, la
fioritura multicolore delle rose nello
spazioso giardino, favoriscono l’immersione
del gruppo, circa 30 Ex-allieve con mariti o
figli, in un clima di serenità, di ricco ascolto
e di vivace scambio.
Desiderio di tutte non è quello di sentirsi
“Ex”, quasi a significare la conclusione
di un’importante esperienza di vita, un
ricordo del passato che affiora solo in
determinate scadenze, ma Ex - allieve
compartecipi, convinte e convincenti di
quello spirito animato da S. Maddalena di
Canossa, la quale:
amava il Crocifisso, suo unico,
grande modello di riferimento;
amava la Madonna Addolorata, la
sola in grado di capire le sofferenze e
le fragilità di ognuno;
amava la Carità, a cominciare da
quella diretta verso il vicino più
bisognoso.
Le nostre Ex hanno incontrato le
Canossiane in comunità scolastiche
aperte e fraterne e hanno sperimentato il
coinvolgimento attivo di un laicato
consapevole, che le incoraggia, ancora
oggi, ad essere evangelizzatrici e
missionarie in famiglia e in città.
Il gruppo, presente a Roma, è
espressione del Nord e Sud Italia e
dimostra di non aver paura della
“novità” che segnala strade nuove, e
non sente la “diversità” come chiusura,
come difesa dei propri particolarismi e
spesso motivo di conflitti.
È un gruppo eterogeneo per età, scelte di
vita e di lavoro, ma che vuol camminare
insieme, confrontandosi seriamente con
quel dono speciale che è il “carisma
canossiano”.
Nulla, nelle idee e nella vivacità degli
interventi, fa pensare a un movimento di
Ex-allieve omologato o spersonalizzato.
Educazione: radici e fiori …
Roma 6-7 aprile 2013
15
Il loro coraggio e la loro apertura verso
orizzonti sempre più grandi affiorano nei
momenti “clou” della riflessione biblica,
guidata dall’amico p. Alessandro Barban,
Priore Generale dei Camaldolesi.
Due lectio magistrali vengono offerte sui
simboli della Pasqua: il pane, la croce,
la strada, la casa, il giardino … e
stanno a dimostrare come questo tipo di
contemplazione non sia solo modello per il
monaco, ma per ogni laico, per tutti
coloro che non hanno deciso di far uscire
Dio dalla propria vita.
“Una coerenza nuova viene oggi chiesta al
credente” sottolinea p. Alessandro,
facendo sintesi ai vari interventi che
animano la sala, “coerenza nell’ambito
morale, economico e sociale. Una
coerenza che dipende anche dalla prassi
religiosa e dalla qualità della nostra fede”.
La condivisione-dibattito convince tutti e
si traduce in impegno personale e di
gruppo, per un servizio più umano,
pedagogico e spirituale.
Le libere e naturali testimonianze che si
susseguono poi nei diversi momenti del
pranzo, dei break, della preghiera …
parlano di vite sostenute da motivazioni
forti, di grande pazienza, di compassione
e di capacità di risposta alle vere
necessità.
Le nostre Ex sentono di dover mantenere
vivo il legame con le loro Madri
Canossiane, del passato e del presente, di
mantenere vivo quello speciale alito di
vita che ci fa sentire appartenenti alla
stessa famiglia. Un linguaggio profondo e
carico di affetto è il loro, non solo racconti di
piccoli o grandi aneddoti, ma dono gratuito
di storie sincere, ritratti di riconoscenze
memorabili e ancora capaci di emozionare.
A scadenza regolare, annuale, si ripete il
ritrovo Ex-allieve e si rafforza la consegna:
accompagnare le “new entry” sia in Italia
sia all’estero. È invito ad andare in altri
Paesi per incontrare chi, come loro, ha
sviluppato lo stesso desiderio: essere la
“lunga mano” dell’opera canossiana nel
mondo, a partire dalla propria gente, per
uno sviluppo possibile, per una solidarietà
promozionale e per un’evangelizzazione
rispettosa.
Carissime, la vostra presenza nelle pieghe
del quotidiano, la semplicità e la generosità
dei vostri gesti, non fa sentire noi religiose
delle “espropriate”, ma genera e rafforza
legami di continuità e passione per ogni
donna e uomo del nostro tempo.
“Prendersi cura” è uno stile, più che
un’azione precisa.
Ovunque si sente ripetere quanto il mondo
sia in sofferenza e come la miseria, sia
materiale sia spirituale, si allarghi sempre
più, per questo con voi vogliamo essere
voce di riconciliazione e cammino di
convivenza vicino ai meno fortunati.
Stare con la gente, per contribuire al
disegno di Dio, è la nostra e vostra
sfida: la profezia che si realizza.
Grazie.
Sr. Liliana Ugoletti
16
Mi chiamo Daniela Comaschi e vivo a
Pavia.
Nel periodo dal 1971 al 1975, anno in cui
mi sono diplomata, sono stata allieva
presso L’Istituto Magistrale delle Madri
Canossiane nella mia città, mentre da
quasi ventidue anni insegno nella Scuola
Primaria nell’ambito dello stesso
complesso. Perciò, prima discente e poi
docente!
Del primo periodo di cui ho accennato
sopra, porto in me tanti cari ricordi: quelli
erano gli anni della formazione, quando le
preoccupazioni erano costituite solo
dall’interrogazione o dal compito in classe
da affrontare, in un’età cioè in cui non si è
ancora totalmente consapevoli che poi la
vita riserverà ben altri tempi e modi per le
verifiche…
Ricordo con affetto profondo e
riconoscente i miei insegnanti, Religiose e
Laici: da loro ho imparato tanto e non
certo solo dal punto di vista didattico,
soprattutto, invece, ho ricevuto importanti
lezioni di vita, che ho fatto mie in tanti
momenti.
Li ringrazio per tutto questo, per il loro
esempio, per essere stati maestri a 360
gradi.
Oggi, a mia volta, sono un’insegnante.
Devo sottolineare subito che i tempi sono
cambiati: prima il maestro, la maestra
erano figure oserei dire “sacre”, ora
invece bisogna adeguarsi a una mentalità
molto cambiata, che vede il docente
responsabile di ogni manifestazione
dell’alunno: le difficoltà di
apprendimento, l’eventuale disagio
nell’affrontare la realtà scolastica sono
infatti spesso imputati all’insegnante
stesso. Questo è un po’ l’atteggiamento
generale verso i docenti.
La mia esperienza nell’ambito della
Scuola Primaria “Maddalena di Canossa”
è comunque positiva.
Di questo Istituto apprezzo
principalmente la serietà professionale
con cui si opera, mi piacciono lo spirito
di collaborazione, di unione tra le Madri
e gli insegnanti laici e il desiderio
profondo di compendiarsi e di
ottimizzare le caratteristiche specifiche
di ciascuno per raggiungere i vari
obiettivi.
Noto con piacere che gli alunni sono al
centro dell’attenzione e che, con
impegno, si cerca di incentivare
ciascuno, promovendone l’autostima.
Questi aspetti mi hanno maturata tanto
e mi hanno spronata a migliorarmi
giorno per giorno, in un cammino di
crescita umana e spirituale davvero
importante e gratificante.
Certo, la perfezione non abita neppure
nel nostro Istituto ma, d’altra parte, si
sa che sono i piccoli gesti, che
continuano nel tempo, a lasciare i grandi
segni. L’antico detto latino: “gutta cavat
lapidem” è più che mai pertinente
quando si lavora con i ragazzi, cioè con
gli uomini e le donne del futuro.
I nostri sforzi sono premiati a lungo
termine, lo si capisce quando si incontra
un ex alunno che magari manifesta con
gioia la sua riconoscenza: quello è
davvero un bel momento!!!
Daniela Comaschi Pavia
Educazione: radici e fiori …
17
Quella volta c’era l’arcobaleno, quando
l’allora direttrice della scuola dei miei
figli, sei anni fa, mi invitò a partecipare
ad un ritiro spirituale che si sarebbe
tenuto nella sede di Roma. “Vedrai, ti
piacerà”, mi aveva assicurato,
conoscendo le mie ritrosie riguardo il
mondo clericale.
Non sapevo minimamente di cosa si
trattasse, del resto, erano quasi venti
anni che non volevo sentir parlare di
chiesa, né tantomeno di preti, avendo
avuto con uno di loro un po’ di dissapori.
Vincendo dubbi e pregiudizi, ero andata
per darle la risposta ed acconsentire così
a quella che, per me, sarebbe stata una
“esperienza come le altre”.
Partimmo in autobus e, mentre
guardavo dal finestrino, di nuovo
l’arcobaleno
a salutarmi e a farmi riflettere su questa
strana “coincidenza”. Non leggevo mai
la Bibbia, quindi non potevo sapere che
l’arcobaleno a salutarmi in quel
momento mi stava allungando la mano
di Dio.
Arrivammo a Roma e, oltrepassare le
alte mura dell’Istituto di Ottavia,
significò allora come ora, lasciare fuori il
rincorrere frenetico di un mondo fatto di
caotici orari da inseguire, impegni da
onorare, maschere da indossare.
Oltre quelle mura, invece, ad
accogliermi i sorrisi rassicuranti delle
Madri Canossiane, il tempo ritmato della
preghiera, lo scandire del silenzio, il
momento dell’ascolto, lo spazio della
vita comunitaria; tempi e spazi a cui
non ero abituata, ma che mi hanno
cominciato a prospettare un altro aspetto
della vita: quello della crescita interiore e di
un modo diverso di concepire il creato e
ciò che lo anima.
Dove stavano andando le mie certezze
granitiche riguardo la creazione e l’uomo,
come spiegare le nuove “coincidenze e
sincronicità”, quando per me era solo il
“caso” a decidere?
Ogni volta ripeto questa esperienza con
rinnovato interesse; a Fonte Avellana, come
ad Ottavia, lo spazio-tempo sembra
annullarsi e il viaggio nei miei conflitti
interiori continua. Grazie a M…ho scalato alte
cime, come il parlare delle proprie emozioni
o leggere in pubblico.
Ricordo ancora a Fonte Avellana, dove un
albero di tasso, molto anziano, mi aspetta
nei miei momenti di raccoglimento e
solitudine con quanta facilità, davanti a tutti,
ho confessato di averlo abbracciato!
Ritornare alla propria quotidianità significa
lasciare in parte quello stato di leggerezza
acquisito in quel breve periodo prima che,
nuovamente, il pensiero dell’ordinario
prenda il sopravvento.
Percepisco ben presto la differenza fra la
serenità dei giorni trascorsi in ritiro e la
frenesia di quelli seguenti; perciò, lavoro
ogni giorno su me stessa per ricreare nel
quotidiano l’impronta di quei giorni. Tento di
trasmutare emozioni negative in positive:
cerco di ringraziare, non giudicare e non
lamentarmi; il cammino è lungo e faticoso,
ma percepire la differenza fra ciò che sono
stata e ciò che ora sono, non può che farmi
pensare che sono sulla strada giusta.
Di tutto questo non posso che ringraziare
Dio di avermi fatto un dono così grande
mettendo sulla mia evoluzione P. Barban e
le Madri Canossiane. GRAZIE
Grazia Rago
18
L’ Anno della Fede invita a considerare
e verificare attentamente la qualità, la
natura, la consistenza della vita cristiana.
Essa è intrinsecamente vita di fede in
rapporto alla rivelazione della Trinità nella
storia della salvezza e vissuta come
oggetto sostanziale della fede “cristiana”.
Di qui emerge l’importanza della
conoscenza e dell’esperienza dell’atto di
fede, la sua strutturazione nella vita
personale, la sua proiezione prospettica
nella vita eterna.
Sotto questi profili si evince la decisività
della domanda di Gesù posta da Luca (18,
8). Al riguardo val bene vedere il contesto
della “domanda” stessa che si situa nella
parabola del “giudice iniquo e la vedova
importuna” narrata da Gesù per inculcare
“la necessità di pregare sempre, senza
stancarsi mai” (Lc 18, 1).
E tuttavia il senso va oltre il suo contesto
immediato. Pregare infatti misura il grado
della fede richiesta a chi segue Gesù nel
cammino verso la passione, morte,
resurrezione.
Dunque la preghiera è qui richiamata per
chi si pone nella sequela del destino
tragico e glorioso di Gesù.
In tale prospettiva l’improvvisa domanda
di Gesù appare nella sua drammaticità. A
partire da quel “ma” iniziale, costringe ad
acuire l’attenzione dell’uditore e del
discepolo, presente e futuro, ponendo in
correlazione di antitesi la conclusione del
pensiero parabolico con la “domanda” che
sta per essere enunciata da Gesù stesso.
Forse che, rispetto alla testardaggine
fiduciale della vedova che giunge ad un
esito felice, la possibilità concreta che si
prospetta al credente volgerà ad un esito
fatalmente opposto, una volta che verrà a
trovarsi di fronte alla dura prova della
fede? No, sembra di poter concludere, a
patto tuttavia che si persista nella
preghiera. Così la preghiera assume un
carattere discriminante.
In realtà Gesù si rivolge a coloro che, pur
avendo abbracciato la fede, non prendono
seriamente in conto le condizioni
consequenziali. Così rischiano di perderla.
E tuttavia il senso appare più profondo, se
si tiene in considerazione l’atteggiamento
della vedova e il contesto lucano della
salita di Gesù a Gerusalemme. Ciò che
impressiona infatti è che Gesù ponga una
tale domanda.
La pertinenza della domanda riguarda la
persistenza della fede, quasi ad anticipare
una situazione di un apparente fallimento,
L’Anno della Fede La Parola ai Vescovi
(Lc 18, 8)
19
L’Anno della Fede La Parola ai Vescovi
dove la non-fede del credente sta a
significare l’inefficacia della sua venuta, o
dove l’incredulità sembra generata dal
rifiuto dell’evidenza della fede.
Come si può arguire, si tratta di una
questione cruciale ed è tutta giocata
all’interno della coscienza dei credenti.
Perché la fede si può perdere o quanto
meno può affievolirsi fino a diventare
insignificante.
Perdere la fede per inerzia o per
assuefazione o per distrazione appare
davvero un rischio imperdonabile, perché
significa negare ciò per cui si è scelto
come fondamento e ragione di vita.
Infatti può avvenire che nello scorrere
del tempo, le circostanze delle diverse
situazioni di vita possono accumulare
urgenze ed emergenze tali da
sovrapporre alla fede priorità senza
numero.
E questo assillo può diventare talmente
sovrabbondante e ingombrante da
inficiare e adombrare l’essenzialità e la
necessità della fede nell’orizzonte
esistenziale del credente: per restare
inerti e mediocremente sospesi, con una
fede ininfluente.
Allora si fa evidente che ciò che può
rimuovere l’indifferenza della fede è la
preghiera, nella misura dell’invocazione
continua. Qui viene richiesta, con urgenza
improcrastinabile, una preghiera
incessante, una preghiera desiderante,
una preghiera amante. Nel qual caso la
sfida sta tutta nella perseveranza, la sola
capace di sbrogliare la matassa delle
aridità diffuse e degli estesi deserti
dell’anima, restituendo la bellezza
travolgente della fede.
La fede sussiste se alimentata da una
preghiera “impportuna”, cioè senza limiti.
Ha bisogno della scossa della preghiera. Il
torpore, la sonnolenza, la dimenticanza,
l’eccesso delle faccende, soffocano la fede.
Allora una scossa è necessaria perché si
faccia saltare la coperta che imbriglia le
corde genuine della coscienza e il soffio
liberante dello Spirito.
Proprio sulla scorta del modello “vedova
importuna”, la fede non verrà meno, anche
nella prova più dura, a patto che sia
sorretta da un’irresistibile tenacia nel
domandare l’intervento del Signore quale
risolutore dell’imprevidenza mortale in cui
si è caduti. In tale condizione di
lontananza, la domanda di Gesù troverà
nel credente una risposta illuminante e
attiva che lo avvierà alla conversione del
cuore.
+ Carlo Mazza
Vescovo di Fidenza
20
Il 3 febbraio 1941,
Hetty Hillesum,
una ragazza ebrea
di 27 anni, incontra
Julius Spier, psicologo
e entrando chirologo
in analisi con lui.
Un mese dopo,
(8 marzo), su sua
indicazione inizia a scrivere un diario.
Nelle prime pagine ci appare una ragazza
disturbata, piena di problemi, ossessionata
dall’idea di essere preda degli stessi disturbi
psichici di cui soffrono i suoi due fratelli. Etty
ha però anche notevoli potenzialità, umane e
intellettuali, e un sogno: diventare scrittrice.
L’Olanda, dove vive, come quasi tutta
l’Europa, è in quel momento vittima della
violenza nazista. Mentre il suo paese è
soffocato dall’odio razziale e dalla rapacità
degli sgherri di Hitler, questa giovane donna
ebrea inizia un luminoso, incredibile
cammino.
In breve tempo (16 mesi) raggiunge una
maturità spirituale che solo pochi uomini, in
tutta la nostra storia, sono riusciti a
conquistare. Ma non sarà il suo un percorso
lineare di sola luce.
Ci saranno anche momenti difficili, in cui la
speranza sembra spegnersi e tutto diventa
cupo in lei. Sono i suoi momenti di crisi, che
tuttavia ogni volta supera, diventando
sempre più forte e luminosa.
Un primo momento di autentica luce lo
incontriamo in una nota del giugno 41: sono
passati solo quattro mesi da quando ha
incontrato Spier:
“Credo che tutte le mattine, prima di
mettermi al lavoro dovrò immergermi
in me stessa, potrei anche dire
meditare…Solo che un’ora di pace non è
così semplice da raggiungere. Bisogna
costruirla, cancellando nel nostro intimo
tutti i guazzabugli, tutte le meschinità,
tutte le nostre miserie. Dobbiamo creare
dentro di noi una grande, vasta pianura,
priva di quelle insidiose sterpaglie che
offuscano la vista. A questo dovrebbe
servire la meditazione. In altre parole si
tratta di far entrare qualcosa di divino in
noi. …Non parlo dell’amore elevato, di
quell’amore che mi fa sentire tanto fiera
dei miei alti sentimenti. Parlo invece di un
amore più concreto che possa raggiungere
gli altri nella quotidianità della nostra
giornata…“
Etty si propone semplicemente un flusso,
una corrente limpida d’amore da
trasmettere agli altri durante ogni sua
giornata.
Passano poco più di due mesi (26 agosto
’41) e un’altra grande intuizione emerge
dal fondo della sua anima:
“Dentro di me c’è una sorgente molto
profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A
volte riesco a raggiungerla, più spesso è
coperta da pietre e sabbia: allora Dio è
sepolto, allora bisogna dissotterrarlo di
nuovo.“
Queste significative parole sono state
ricordate da Benedetto XVI in una delle
sue ultime celebrazioni pubbliche
(mercoledì delle Ceneri) quando ha citato
Etty Hillesum come esempio di conversione
e di limpida fede.
Etty continua con tenacia il suo cammino e
l’11 gennaio 1942 scrive:
“Ti ringrazio, Dio; nel mio grande regno
interiore adesso dominano tranquillità e
pace, grazie al forte potere centrale che
L’Anno della Fede Sui Passi dei Testimoni
21
tu eserciti. Le più lontane zone di confine
avvertono il Tuo potere e il Tuo amore, e si
lasciano guidare da Te.”
La grande scoperta di Etty è Dio, è la sua
capacità di sentirlo dentro di sé, di entrare
in rapporto con lui. Inizia a pregare, scopre
la meraviglia e la dolcezza dell’
inginocchiarsi. E’ qualcosa di totalmente
nuovo per lei: inginocchiarsi è un gesto
sconosciuto agli ebrei.
Percepisce l’amore di Dio e questo le dà
gioia e pace. Vuole rispondere con amore
all’amore di Dio. E’ allora che si rende
conto di come questo sia possibile solo
attraverso altri: nel rapporto concreto,
quotidiano con tutti gli altri uomini che
incontra. Il 22 febbraio 1942 scrive:
“Sono colma d’amore, amo i miei buoni
amici e l’amore che nutro per loro non è
una barriera che mi divide dagli altri.
L’amore che sento mi porta così lontano, è
talmente inglobante, vasto, comprende così
tante persone che giunge anche a quelle
che spontaneamente non mi piacciono.
Devo dar spazio a questo sentimento: è
proprio quello che devo compiutamente
realizzare. “
La situazione poco dopo precipita. I nazisti
fanno un censimento di tutti gli ebrei
olandesi: sono 140.000. Decidono di
dislocarli gradatamente a Westerbork, un
campo situato al confine tra l’Olanda e la
Germania. Ma è una collocazione
temporanea.
Ogni lunedì pomeriggio arrivava al campo
un treno formato da vagoni merci
completamente vuoti e nudi, solo con al
centro una botte come bugliolo Nella notte
ogni vagone veniva stipato di ebrei, più di
settanta in uno spazio angusto: uomini,
donne, vecchi, bambini.
Il martedì mattina i vagoni merci venivano
sigillati e il treno partiva carico di circa mille
persone. Destinazione, quasi sempre
Auschwitz. Vennero deportati 105.000 ebrei:
solo 3000 sopravvissero. Sfuggirono alla
deportazione solo quelli che si nascosero.
Quasi tutti coloro che entrarono in
clandestinità si salvarono.
Il 30 luglio 1942 Etty Hillesum arriva a
Westerbork su sua richiesta, come funzionaria
del Consiglio Ebraico. Vuole mettersi a
servizio degli altri. Non essendo internata al
campo può però ritornare ad AmsterdaM.
Questo avviene tre volte, l’ultima per ben sei
mesi perché malata (calcoli biliari). Ma
quando è ad Amsterdam desidera una cosa
soltanto: tornare a Westerbork. Cosa la
induce a questa ostinazione per il campo di
Westerbork?
22 settembre 1942
“… D’un tratto, sono stata scaraventata in un
centro di dolore umano – su uno dei tanti
piccoli fronti di cui è disseminata l’Europa.
…Come è possibile che quel pezzetto di
brughiera recintato dal filo spinato, dove si
riversava e scorreva tanto dolore umano, sia
diventato un ricordo quasi dolce? Che il mio
spirito non sia diventato più tetro in quel
luogo, ma più luminoso e sereno? “
Sono quegli esseri sofferenti e l’amore che
prova per loro, che l’attirano a Westerbork.
Tuttavia conosce benissimo i rischi che corre
e non si fa nessuna illusione.
Già il 3 luglio 1942 aveva chiaramente
compreso i progetti dei nazisti.
“Dobbiamo trovare posto per una nuova
certezza: vogliono la nostra fine e il nostro
annientamento, non possiamo farci nessuna
illusione… Ora lo so. Continuo a lavorare e a
vivere con la stessa convinzione e trovo
L’Anno della Fede Sui Passi dei Testimoni
Bisogna osar dire che si Crede.
22
la vita ugualmente ricca di significato,
anche se non ho quasi più il coraggio di
dirlo quando mi trovo in compagnia “
Ormai trova la sua forza in Dio e
nell’amore. Questo le consente di vivere
con serenità e gioia una situazione che a
noi sembra del tutto disperata e
insostenibile. Dal campo di Westerbork
scrive il 24 agosto 1942:
”Vivere è cosa buona dovunque, perfino
dietro il filo spinato, nelle nostre baracche
aperte a tutti i venti, purché si viva pieni
d’amore per le persone e per la vita
stessa.””
Dice chiaramente, e lo ripeterà più volte
nel diario e nelle lettere, che la vita è bella
in qualsiasi situazione, ma sempre con una
condizione: essere pieni d’amore per le
persone e per la vita stessa. La Vita per
Etty è Dio!
Molti amici non ebrei cercarono in tutti
i modi di convincerla a nascondersi.
Klaas Smelik le offrì di rifugiarsi in una sua
casa di campagna e cercò inutilmente di
costringerla ad accettare la sua offerta. In
un drammatico colloquio poco prima del
suo definitivo ritorno a Westerbork (5
giugno 1943) la afferrò cercando di farle
comprendere a che cosa andava incontro.
Lei si divincolò dicendogli: “Tu non
comprendi”. Klaas replicò gridando: “No, io
non posso capire il tuo comportamento,
resta qui sciocca ragazza”.
Con calma Etty replicò: “voglio condividere
il destino del mio popolo”.
Etty prosegue senza cedimenti nel suo
cammino, seminando intorno a sé, proprio
nel campo di Westerbork, pace, bontà e
amore.
In una delle sue ultime lettere dal campo
scrive all’amica Enny Tideman (18 agosto
1943 – verrà deportata 20 giorni dopo):
”La mia vita è diventata un colloquio
ininterrotto con te, mio Dio, un unico.
grande colloquio. A volte quando me ne
sto in un angolino del campo, i miei piedi
piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti
al cielo, le lacrime mi scorrono sulla faccia,
lacrime che sgorgano da una profonda
emozione e riconoscenza Anche di sera,
quando sono coricata nel mio letto e
riposo in te, mio Dio, lacrime di
riconoscenza mi scorrono sulla faccia e
questa è la mia preghiera. ”
Un ordine improvviso del comando
tedesco dell’ Aia fece deportare il
7 settembre 1943 Etty Hillesum, i suoi
genitori e il fratello minore Mischa.
Etty morì ad Auschwitz il 30 novembre di
quello stesso anno.
Dal vagone sigillato, che la portava al
campo di sterminio, Etty gettò fuori una
cartolina postale indirizzata alla sua amica
Christine van Nooten. Mani pietose
raccolsero quell’ultimo messaggio e lo
fecero arrivare a destinazione.
(Presso Glimmen 7 settembre 1943)
Christine, apro la Bibbia e trovo questo:
“Il Signore è il mio alto rifugio”. Sono
seduta sul mio zaino in mezzo a un
vagone merci gremito. Il papà, la mamma
e Mischa sono a qualche vagone di
distanza. La partenza è stata del tutto
imprevista. Un ordine improvviso dell’Aia
proprio per noi. Abbiamo lasciato il campo
cantando.”
Antonio Carlo Dall’Acqua
L’Anno della Fede Sui Passi dei Testimoni
Osar pronunciare il nome di Dio.
23
La Voce dei TERRITORI VERONA
A Verona, la peregrinatio di s. Zeno, iniziata il 7 settembre 2012 (vedi n. 10, Una
Finestra, p.26), si è conclusa solennemente il 23 aprile scorso, al Santuario della
Madonna di Lourdes, con la presenza di Padre Flavio Roberto Carraro, Vescovo Emerito.
L’urna contenente le reliquie del Santo, posta sul grande davanzale davanti al santuario
che domina tutta la città, sembrava abbracciare tutti i veronesi. Il cielo sereno, tappezzato
di stelle, faceva da sfondo creando una scena suggestiva, davanti allo stupore di tutti i
presenti.
L’Abate di S. Zeno, Mons. Gianni Ballarini, commentando l’evento ha affermato tra l’altro:
“La devozione popolare a S. Zeno ha avuto un risveglio naturale, dopo un periodo in cui si
erano attenuate la tradizione e la venerazione dei Veronesi .… è stata una sfida, voluta dal
nostro vescovo Mons. Zenti, che ha avuto un risultato insperato. Rimane comunque un
santo simpatico “San Zen che ride”, che ha portato il Vangelo come motivo di gioia, di
fede, di civiltà nella nostra Verona. …
L’attualità di questa figura si può esprimere sotto molteplici punti di vista.
Anzitutto che abbiamo bisogno di rinnovare la nostra
fede: e S. Zeno ha dedicato la sua vita per portare le
fede a Verona, per condurla al battesimo.
L’altro aspetto attualissimo è la sua provenienza dal
Nord Africa (Mauritania), che anche la ricognizione
scientifica ha riconfermato e pertanto il segno della
Chiesa missionaria.
Oltre a questo gesto, il fatto che siamo chiamati a una
integrazione umana e di fede con le tante persone che
vivono a Verona e che non sono tutte cattoliche e non
tutte provengono dalla terra veneta … sono rimasto
molto colpito al vedere negli Istituti femminili una cura
e una modalità di far festa come se Zeno fosse una
persona viva.
Come pure mi ha impressionato la devozione da parte dei detenuti, anche non cristiani,
della Casa Circondariale di Montorio.”
24
Come tocco finale, martedì 21 maggio, festa liturgica del patrono, la solenne Celebrazione
Eucaristica sul piazzale della Basilica, presieduta dal vescovo, Sua Ecc. Mons. Giuseppe
Zenti, con la presenza di un altro vescovo del Kenia, molti sacerdoti concelebranti,
numerosi fedeli e autorità civili.
I sindaci di quattro comuni, seguendo una lunga tradizione, hanno portato all’altare l’olio
che dovrà alimentare la lampada davanti all’urna del Santo per tutto l’anno.
E Maddalena? Cosa penserà dei suoi Sanzenati, “suo primo amore”?
Certamente ha seguito con amorevolezza gli eventi dell’anno zenoniano e ora, dal suo
monumento in piazza Corrubbio, dopo un lungo periodo di reclusione, nascosta dentro lo
steccato del cantiere per la realizzazione del parcheggio nel sottosuolo della piazza,
finalmente può sorridere ai passanti e ascoltare chi sosta ai suoi piedi per una preghiera o
anche semplicemente per esprimere i desideri e i problemi che porta in cuore.
Anch’io, quando passo davanti, mi fermo e il mio sguardo si incontra con il suo sorriso che
è anche un monito a vivere in autenticità, “a motivo di Cristo”.
Ora che la piazza ha assunto una nuova veste, con il verde e le panchine che si
aggiungono ai tavolini dei bar, può essere un punto di sosta serena e luogo di incontro.
Sr. Angelina Garonzi
La Voce dei TERRITORI VERONA
25
L’ esperienza vissuta durante il corso
degli Esercizi Spirituali, che si sono tenuti
a Caprino Bergamasco dal 21 al 28 aprile,
ha lasciato nel cuore di tutte le partecipanti il
desiderio di scoprire, sempre più, la bellezza
e la forza salvifica che la Parola sa suscitare
nell’animo di chi cerca il senso della propria
esistenza, nella quotidianità della vita.
Gli Esercizi, guidati da don Giambattista Biffi,
studioso di Sacra Scrittura, hanno avuto
come filo conduttore la lettura approfondita
del testo biblico che, ogni giorno, veniva
presentato e a cui facevano seguito la
preghiera e la riflessione personale; il tutto
in un clima molto raccolto.
Al “lavoro personale” seguiva il colloquio
individuale con il sacerdote, colloquio che
aveva la durata di una ventina di minuti per
ciascuna partecipante al corso.
E’ stato questo il momento più atteso, più
impegnativo e, senza alcun dubbio, più
costruttivo, perché il momento della
ricerca, del confronto, della
chiarificazione su quanto la Parola aveva
suscitato, veniva presentato al
Sacerdote, verificando così il cammino
che ciascuna era chiamata a percorrere.
Questo esercizio di introspezione, non
sempre facile, ci ha aiutate a
considerare, più in profondità, la nostra
vita, accompagnata dalla presenza
amorevole e misericordiosa del Padre
e, nello stesso tempo, ad essere
maggiormente coscienti della coerenza
e della testimonianza degli impegni
professati nel giorno della
consacrazione, in primo luogo le
relazioni fraterne che stanno alla base
delle nostre comunità.
Durante la celebrazione Eucaristica,
centro ed espressione dell’amore di Dio
fatto uomo, affidavamo a Lui i nostri
dubbi, le nostre debolezze, i nostri
desideri di bene, nella ricerca della
verità e convinzione che solo nel
Signore è la vera gioia.
Come introduzione al corso,
M. Natalina Mossini ci ha presentato
Il brano della Samaritana, accompa-
gnato anche da due segni molto belli:
un pozzo ed una brocca.
Ci auguriamo che, nel cuore di ciascuna,
ci sia sempre il desiderio di dissetarsi
all’Acqua che dà vita e godere dello
stupore che la Parola sa sorprendente-
mente generare.
M. Imperia Panarese
La Voce dei TERRITORI MILANO
Alcune riflessioni
26
“ Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo” Dietrich Bonhoeffer
Da qualche mese dedico la mattinata del
giovedì all’incontro delle persone in
difficoltà che arrivano al Centro di ascolto
cittadino della Caritas di Nova Milanese.
Sto imparando dai laici volontari, che fanno
questo servizio da anni, ad accogliere ed
ascoltare le persone che si rivolgono al
Centro alla ricerca di aiuto per la soluzione
dei loro problemi: genitori disoccupati con
figli; persone che hanno interrotto il mutuo
da pagare, che non riescono a pagare
l’affitto, le bollette di luce, acqua e gas, che
non riescono ad arrivare a fine mese, che
sono disperati, umiliati nella loro dignità, e,
pur sapendo che il Centro non è luogo di
erogazione di denaro, vengono lo stesso,
perché hanno bisogno di sentirsi accolti,
ascoltati e compresi.
Anche qui, a Nova, vediamo aumentare
sempre di più il numero degli Italiani in
difficoltà economica, psicologica e sociale.
Naturalmente dietro le richieste,
puramente economiche, emergono
“povertà” più profonde: crisi familiare,
solitudine, mancanza di punti di
riferimento, incapacità e dipendenze
varie.
Emerge, purtroppo, in loro una tale
sfiducia in se stessi da ritenere che il
semplice ed immediato aiuto economico
risolva ogni problema.
Cerchiamo di offrire un aiuto specifico,
sostenibile e rispettoso delle
potenzialità e della dignità di ciascuno,
e, compati-bilmente con le risorse
disponibili, in qualche caso, anche un
aiuto economico concreto.
Con tutti svolgiamo sempre un’azione di
orientamento e accompagnamento ai
servizi e alle risorse del territorio che, a
volte, ignorano.
Il Centro di ascolto di Nova è aperto due
giorni alla settimana, lunedì e giovedì. Ci
sono sempre due o tre volontari, i quali,
al termine del colloquio, lo rivisitano
insieme.
Una volta al mese abbiamo un incontro
formativo durante il quale ci avvaliamo
anche del sostegno di una mediatrice
familiare-counsellor.
La Voce dei TERRITORI MILANO
Presso Il centro di ascolto “Caritas” di Nova Milanese
27
Cerchiamo di agire in accordo con le
altre agenzie caritative, in particolare
con la S. Vincenzo, ed il Comune,
tramite l’assistente sociale.
Quasi sempre, durante il percorso,
affiora anche il discorso religioso ed è
meraviglioso vedere l’azione di Dio nella
vita delle persone che le apre, poco a
poco, ad una rinnovata fiducia in Lui.
Periodicamente questo centro si incontra
con tutte le altre forze caritative della
città nell’assemblea Caritas. L’incontro è
preceduto dalla riunione della Giunta,
formata dai vari responsabili, per
stabilire l’ordine del giorno.
A questo punto vorrei segnalare una
iniziativa emersa nell’ultima assemblea
Caritas, rappresentata dalla Caritas delle
tre parrocchie della città, dal centro di
ascolto cittadino, dal gruppo famiglie
aperte, dall’Unitalsi, da due centri di
aggregazione giovanile impegnati nel
recupero scolastico ed umano di ragazzi
ed adolescenti che vivono situazioni di
particolare disagio, e dal gruppo
missionario impegnato nelle adozioni a
distanza e nel sostegno ai missionari.
La conferenza di S. Vincenzo ha chiesto
ai presenti se si poteva sensibilizzare
i cittadini a donare 5 € mensili a
sostegno dei bisogni più urgenti,
segnalati dai poveri.
La proposta è stata subito caldeggiata dal
Parroco, don Luigi Caimi, che ha invitato a
pensare le modalità di sensibilizzazione
presso amici e gruppi parrocchiali vari, e ha
nominato le persone presenti quali referenti
della sottoscrizione mensile.
Accanto alle diverse raccolte annuali di
viveri e di vestiario, alla “carta delle
necessità e delle offerte, sempre aggiornate
sulla bacheca delle tre parrocchie, partirà
così anche questa iniziativa.
Ho subito pensato che questa boccata di
ossigeno sarà per la comunità cristiana di
Nova un’altra modalità concreta di
testimoniare ai più poveri la carità fraterna.
Ho pensato inoltre che anche S. Maddalena
aveva inventato per i poveri del suo tempo
la “compagnia dei tre soldi” a sostegno
delle sue attività caritative. A Lei ho affidato
questo nuovo progetto che ritengo urgente e
necessario perché il nostro servizio ai
poveri avvenga nel migliore dei modi.
Davvero la Carità, quando è vera, è sempre
un fuoco che arde e vuol raggiungere ed
abbracciare ogni cosa!.
Sr. Tina Cesati
La Voce dei TERRITORI MILANO
28
Frequentavo le scuole superiori in città e
ogni giorno facevo la spola fra Mompiano
e il centro storico.
Una mattina una anziana suora mi disse:
”Mentre fai la strada, semina Ave Marie!”
Presi l’invito come un gioco e cominciai a
infilare 3 Ave Marie nella borsa della spesa
di qualche signora pensando: chissà che
buon pasti preparerà con questi
ingredienti in più!
Altre 3 Ave Marie le mettevo nello zaino di
un ignaro studente. Forse per qualche
compito in classe o per qualche
interrogazione sarebbero state
provvidenziali!
Un’Ave Maria per l’anziana con il bastone,
un’altra per il vigile infreddolito là
all’incrocio… e tante altre alle fermate
del bus, davanti ai negozi, sulle
strisce pedonali… con il gusto giocoso e
fiducioso dell’ adolescenza e con quel
pizzico di idealismo sessantottino che mi
faceva sentire utile alla città come
costruttrice di questa rete invisibile di
grazia e di speranza.
Oggi sorrido di questo gioco, ma talvolta
lo faccio ancora.
E mi domando se, per caso, la nostra
grande città, avvolta da una maglia
sempre più intricata di fili di
comunicazione via etere, sotto terra e
sopra terra, non sia diventata un po’ più
fredda e un po’ più insicura, proprio
perché sono venuti a mancare sognatori,
capaci di farla fiorire di speranza con
quest’altra rete invisibile fatta con la
semina, ovunque e a piene mani, di AVE
MARIE!
Sr. Silvana Bettinelli
La Voce dei TERRITORI BRESCIA
29
Grande evento a Medole il 26 Maggio perché
22 bambini hanno ricevuto per la prima volta
Gesù Eucaristia. Il tutto è stato preparato
nell’arco di due anni con la celebrazione del
sacramento della Riconciliazione al primo
anno e dell’Eucaristia al secondo anno.
Ecco quanto scrivono alcuni di loro:
” Il giorno della mia prima Comunione è
stato bellissimo, ero molto agitata, però
quando sono andata alla Messa mi sono
calmata.” (Sonia)
“ Quando don Domenico era di fronte a me e
disse:” Il Corpo di Cristo”, ho provato tante
emozioni… è stata davvero, un’emozione
pazzesca…” (Alessandra)
“ I momenti più belli sono stati quando ho
ricevuto Gesù nel mio cuore, ringraziandolo
del grande dono, e quello della bella
giornata trascorsa insieme ai genitori e ai
parenti “ ( Francesca e Irene.)
“ I momenti più belli sono stati due:quando
siamo andati davanti alla Madonna a deporre
il fiore, e quando abbiamo ricevuto Gesù
dentro di noi. Il cuore mi batteva a
10.000.000… per fortuna mi sono calmata, …
ero felicissima.” (Chiara)
“ Mi sono svegliato alle sei del mattino
dicendomi che finalmente era arrivato quel
giorno, il giorno della mia prima Comunione.
Dopo aver detto una preghiera, mi sono
precipitato sul letto di mamma e papà
dicendo loro che volevo vestirmi per andare
in Chiesa. Finalmente alle ore nove sono
arrivato dalle Madri con tutti i miei amici e,
dopo aver fatto le foto, ci siamo incamminati
processionalmente in parrocchia provando
una sensazione di gioia e felicità. “ (Jacopo)
“Ero emozionatissima, ma nello stesso
tempo, non vedevo l’ora di poter ricevere
con i miei amici Gesù..” (Silvia)
Riassumiamo le altre risonanze dei bambini,
con un grande “Grazie a Gesù che, venendo
dentro di noi, ci divinizza e ci rende altri
Gesù per i fratelli.”
I genitori sono stati coinvolti nella giornata
di ritiro spirituale tenutasi domenica, 14
Aprile presso la nostra casa sul lago d’Iseo
con una comune catechesi con i loro figli,
mentre il lavoro di gruppo si è svolto in
modo differenziato. Il tutto si è concluso con
la celebrazione Eucaristica animata dai
genitori e bambini che all’offertorio si sono
esibiti con una danza.
Il pranzo al sacco ha coronato la prima parte
della giornata. Poi, insieme nella distensione,
lungo il lago che, data una bella giornata, ci
offriva vedute panoramiche stupende; visita
alla Pieve del XIV secolo, guidata da un
professore di storia dell’arte in pensione.
Il centro storico, con i suoi spazi pittoreschi
e caratteristici, ha dato l’opportunità di
passeggiare tra la gente che col passare del
tempo, aumentava sempre di più.
Sul far della sera, siamo rientrati stanchi,
ma felici.
Ci auguriamo che questa esperienza di Prima
Comunione dei nostri bambini sia sempre più
feconda e li renda protagonisti del loro cam-
mino di fede per un legame più forte,
gioioso e profondo con il Signore, la Chiesa e
i fratelli.
M. Anna e M. Piera
con i rispettivi Catechisti: Matilde,
Chiara, Federica, Andrea e Federico
La Voce dei TERRITORI BRESCIA
(MN)
30
Ben conosciamo che a Venezia … ci sono
molti ponti….
Si dice siano 416 che collegano tra loro
118 isole della Laguna, attraverso circa
200 canali …
I loro nomi richiamano spesso arti e
mestieri d’un tempo, memorie storiche,
chiese vicine..: il bel Ponte di Rialto, con i
suoi negozi pensili; quello dell’ ultimo
pensiero alla terra, il Ponte dei Sospiri;
quello che porta in casa canossiana, il
Ponte di S. Alvise; il Ponte dei Pugni; il
Ponte del Panetier…..
Molti di questi ponti fanno parte del
percorso della famosa maratona “Su e zo
per i ponti”, che si svolge in primavera e
che vede quali partecipanti i piccoli e i
grandi.
Tra questi ponti si è svolta, per la
durata di ben due secoli, anche un’altra
maratona: la “su e zo per i ponti della
Carità”….
Cominciando dalla nostra Fondatrice,
quante Canossiane hanno attraversato
questi ponti per raggiungere il “luogo del
Ministero” ! Sembra di vederle: … nel
rigido inverno, avvolte dal nero scialle, o
sotto il sole cocente e l’umido scirocco del
mare nei mesi estivi, arrivare al grande
Ospedale per consolare in tempo di dolore;
come raggiungere le aule del Catechismo
nelle Parrocchie vicine per portare la Parola
di Gesù…Come anche alla ricerca, lungo le
calli, delle bimbe più abbandonate e povere
per offrire loro un delizioso tocco di
dignità….
Questo camminare per seminare la carità,
non entrava nei gusti del maligno….
Fu proprio sopra un ponte, il Ponte del
Malcanton, che nel 1814 S. Maddalena,
mentre si recava all’ospedale, fu avvicinata
“da una figura spaventosa” per impedirle di
fare il bene…
Oggi, i ponti da attraversare sono anche
dentro le nostre case: essi uniscono le
sponde del nostro servizio ministeriale. Non
ci sono isole “isolate”, perché la carità ha
bisogno dei ponti….: del “ ponte dell’aiuto
fraterno” che rende bella la famiglia; “il
ponte della pazienza” che rende alta anche
la statura di chi è troppo diverso da noi; “il
ponte della misericordia” che toglie dal
pericolo di cadere nell’acqua stagna della
freddezza; … e di tutti quei ponti che
sanno disegnare le giornate con le tinte
dell’arcobaleno….
Il nostro Dio è l’architetto dei ponti che mai
crolleranno: …. alla sua scuola non ci sono
né “debiti”, né “crediti” ….
E nemmeno la tassa d’iscrizione per
accedervi… Sr. Giulia Gallocchio
La Voce dei TERRITORI PADOVA
31
Mercoledì 15 Maggio, presso l’auditorium
dell’Istituto Canossiano di Feltre, in
occasione dell’annuale festa per Santa
Maddalena di Canossa, si è esibita in un
incontro-concerto la band vicentina The Sun.
La banda nasce nel 1997, in un garage, con
Riccardo Rossi (batteria) e l’amico Francesco
Lorenzi (chitarra e voce) a cui poi si
aggiunsero Gianluca Menegozzo (chitarra) e
Matteo Reghelin (basso e fisarmonica).
In origine “The Sun eats hours”, dal detto
veneto “il sole mangia le ore”, la band dal
sound punk-hardcore ottiene un discreto
successo con esibizioni sui palchi esteri,
aprendo i concerti di altri famosi gruppi,
pubblicando album, apparendo sulle più
famose riviste del settore e ottenendo
riconoscimenti a livello mondiale.
I ragazzi vivevano il loro sogno: erano in quel
magico mondo che avevano desiderato e
finalmente raggiunto. Credevano di vivere la
musica, in realtà non si accorgevano di aver
intrapreso una strada parallela e devastante
con tutto quello che comportava: feste,
spettacoli, fan, alcol, sesso, droga.
In quel periodo la band brillava sulle scene,
ma, a quel punto, qualcosa all’interno del
gruppo cominciò a minarne la stabilità. I
ragazzi, travolti dagli eccessi a cui si erano
desolatamente abituati, stavano prendendo
strade diverse, allontanandosi dal gruppo e
dalla loro vita: invece di crescere, rimanevano
fermi, fino addirittura a retrocedere e perdere
l’ispirazione.
Non posso dilungarmi sulle rispettive storie
che narrano come Gesù Cristo li abbia sedotti
tutti, ciascuno in un modo strettamente
personale e, devo dire, piuttosto avvincente
(un lato di Dio che adoro è il suo sense
of humour alquanto sottile).
L’illuminazione giunse per prima a Francesco
che cominciò ad avvicinarsi a Dio negli
incontri di un gruppo giovanile. Il Mister lo
vinse. Lui, e lentamente anche Matteo,
Riccardo e Gianluca.
Siamo abituati a un’idea del rock che prevede
una certa immagine per chi frequenta quel
mondo. Cosa che io trovo assolutamente
sbagliata: un genere di musica, un vestito. La
musica non ha vestiti, non indossa accessori
stravaganti e non obbliga a comportarsi come
dei deficienti autodistruttivi. La musica è vita
e vuole essere vissuta. È espressione
dell’anima, di qualsiasi sentimento nasca da
essa. Perciò è libertà.
Le canzoni dei The Sun hanno tutte una loro
storia e un loro perché; hanno un significato
concreto. Sono un inno a capire che non
bisogna negarsi per essere conformi al
bisogno di una società perduta di inquadrarci
in freddi schemi assoluti.
Certo, i riferimenti, nei testi di Francesco, al
Credo cristiano sono innegabilmente presenti,
ma le verità espresse sono universali. E la
musica sa ammaliare: in quell’auditorium
diversi tra chi si riteneva scettico batteva il
tempo a ritmo della batteria di Riccardo.
Ciascuno di questi personaggi è unico (specie
Matteo con la sua chioma bionda) e l’empatia
che si percepisce dalla platea è esaltante.
Riccardo (Trash), “quello bello”, racconta in
modo semplice e con onestà la sua storia, non
tace episodi che non gli fanno onore. Non
prendersi sul serio sembra essere il suo
modo per conquistare il pubblico che
rimane rapito da come accarezza la batteria
La Voce dei TERRITORI PADOVA
il coraggio si misura quando spicchi il salto nel vuoto"
32
a ritmo dei pensieri di chi lo ascolta
indirizzandoli e facendo eco alle battute dei
compagni, quando non sta seduto sul
divanetto gonfiabile.
Francesco (the President), “la voce”, ha uno
sguardo che ti scuote l’anima; destabilizzante.
Quello e la sua presenza sono così gentili e
così potenti da farlo brillare così forte da non
aver bisogno d’altro per attirare la folla. Mi
sarebbe piaciuto conoscerlo anche prima della
sua rinascita per poterne scoprire la fonte.
Gianluca (Boston), “il nonno”, è il più
vecchio della band; sembra in un mondo a
parte mentre se ne sta seduto in disparte tra le
chitarre, silenzioso. Provvisto di un umorismo
lapidario; si nota ancora qualche guizzo del
suo passato da ribelle o, parafrasando Matteo,
da “coglionazzo”.
Matteo (Lemma), “quello strano”, sembra una
bottiglia di acqua gasata. Frizzante e subito
sulla lunghezza d’onda del pubblico di
ragazzi delle superiori. Con quei rasta biondi
e gli occhi azzurri che scintillano di
un’elettricità contagiosa. Credo che,
vivendolo in diretta (stessa casa), sia stato il
più ribelle al cambio di rotta musicale di
Francesco; ma il successo che ottiene anche
coi nuovi testi è sconvolgente e raggiunge
l’apogeo quando tira fuori a sorpresa la
fisarmonica facendosi sostituire al basso da
Michele Rebesco, il loro manager.
Questi quattro personaggi sono sorprendenti,
come sorprendente è stata la loro
trasformazione.
Ero piuttosto scettica su questo gruppo; e non
perché la loro musica e la loro storia mi
fossero state proposte da Madre Angie.
Diciamocelo: spesso la gente si predispone
ad accogliere una cosa in relazione a chi e
come gliela propone; e se a proporti una
band che si chiama “il sole” e canta in
italiano è una suora, per quanto
all’avanguardia sia (e la Angie lo è…), un
po’ perplesso tendi a essere. Perciò capisco
benissimo chi, soprattutto studenti, abbia
istantaneamente schifato l’idea e sia entrato
in quell’auditorium prevenuto. Io stessa alle
parole “rock cristiano” sono scoppiata a
ridere pensando a un remake dei salmi
(SYMBOLUM 77 con la chitarra elettrica
che frigge e i bassi che sfondano le casse);
ma, tentando di mantenermi il più obiettiva
possibile in fatto di musica (ricordando
quanto detto) i miei dubbi non erano tanto
su questo.
Dubitavo della veridicità di una così
radicale e improvvisa conversione. La storia
di quattro rockettari profondamente logorati
nonostante la giovane età che si riscoprono
nel Signore mi lasciava incerta. Trovavo
fantastica la storia della conversione che
arriva come un raggio di sole al tramonto,
talmente fantastica da essere una rarità
troppo distante. Troppo meravigliosamente
impossibile, tanto da portarmi a sospettare
un motivo commerciale.
Sentirli parlare della loro crescita, però, è
come ascoltare una canzone d’amore. che
mi ha rapito. E non vedo l’ora di poterli
riascoltare dal vivo.
Lo ammetto liberamente, annunciando di
essermi ricreduta: c’è qualcosa in quegli
occhi che mi fa credere che la vera Fede ci
sia.
Il Mister fa ancora centro.
Noemi Angeli
La Voce dei TERRITORI PADOVA
33
Durante quest’anno della Fede ciascun
cristiano è invitato a riscoprire la bellezza
della Fede.
Cosa significa: “Aver Fede? Credere”?
Credere significa soprattutto vedere il
Signore in tutto ciò che la vita ci offre,
scoprirne il volto nei fratelli, cogliere le
manifestazioni del suo amore nella trama
degli avvenimenti (RdV, 12).
“ La storia è il luogo in cui constatare
l’intervento di Dio sulla terra. Lui ci viene
incontro in vari modi che noi dobbiamo
imparare a discernere ” (Benedetto XVI,
Papa emerito).
Bakhita, una semplice schiava africana, ci
è maestra in questo. Nel leggere il suo
Racconto autobiografico si ha subito
l’impressione di trovarsi davanti a una
“guidata da Dio” come lo siamo tutti … si
tratta di crederci: “ Nella mia schiavitù …
non mi sono mai
disperata … una
forza misteriosa mi
sosteneva …”.
In casa del vice-
console, Calisto
Legnani, costretto
dagli eventi a
rientrare in Italia,
Bakhita: “Sentendo la
parola - Italia- mi nacque in cuore un
desiderio vivissimo di seguire il padrone …
osai pregarlo di condurmi con sé … Era
Iddio che lo voleva, lo conobbi poi. Ancora
gusto la gioia che provai allora”.
Ritornata in Africa con la signora Turina
Michieli e la piccola Alice, quando anche
lei può salire sulla nave per far ritorno in
terra veneta, Bakhita: “Diedi allora in
cuore un eterno addio all’Africa. Una
voce interna mi diceva che non l’avrei
più rivista”.
Quando, a Zianigo, il signor Illuminato
Checchini le parlò per la prima volta di Dio,
regalandole un piccolo Crocifisso, si vide
aprire un nuovo grande orizzonte che già
aveva intravisto, ma che non sapeva
comprendere. Fin da piccola, guardando il
cielo stellato e le bellezze della natura, si
trovava spesso a ripetere: “Chi è mai il
padrone di queste belle cose? E provavo una
gran voglia di vederlo, di conoscerlo e di
prestargli omaggio”.
Già si coglie il desiderio di affidarsi …
diventerà affidamento totale nella sua scelta
di consacrata:
“Io ho dato tutto al Paron, Lui penserà a
me: ne è obbligato”.
*Amore e Fiducia è il binomio che si è
soliti sottolineare nella Fede di Bakhita.
Esso però è preceduto e accompagnato da
un altro binomio:
*Stupore e Gratitudine
*Stupore, sorpresa, gioia
Nella liturgia natalizia risuona il festoso
annuncio dell’Angelo ai pastori: “ Oggi per
voi è nato il Salvatore …”(Lc 2, 11).
In quest’Anno Fidei ci è chiesto di ravvivare
la nostra Fede nel Figlio di Dio che si fa
uomo per salvarci, per farci suoi figli.
Quanto ha da dirci anche a questo
riguardo S. Bakhita!
Per lei il Battesimo non è stato una
semplice celebrazione pur devota, ma in
modo tutto singolare si è resa conto del
miracolo dell’opera divina: si sentì “creatura
nuova”, lei, giovane schiava, diventa
realmente “figlia di Dio”.
“… Trascorso il tempo dell’istruzione,
ricevetti con una gioia che solo gli angeli
potrebbero descrivere, il santo battesimo il 9
gennaio 1890”.
E dopo aver ricordato i doni della Cresima e
La Voce dei TERRITORI PADOVA
34
Prima Comunione, aggiunge: “ Oh, che indimenticabile data!”
La signora Giulia Dalla Fonte, che ebbe la gioia di partecipare oltre alla cerimonia religiosa anche al pranzo riservato a pochi intimi, offerto dal rettore dei Catecumeni,don Jacopo dei conti di Avogadro, ricordando quel giorno (allora era una ragazzina) dirà:
“Pareva trasfigurata. Parlava poco, ma la felicità traspariva da ogni suo atto, da ogni suo detto. Io le chiedevo che cosa aveva sentito dentro di sé, ma ella non sapeva rispondermi e non faceva che accarezzarmi e sorridermi”.
Anche a distanza di anni, quando aveva occasione di rivedere a Venezia la chiesa dei Catecumeni, madre Bakhita davanti al fonte battesimale si inginocchiava a baciare la terra esclamando: “ Qui, qui sono diventata figlia di Dio, io povera schiava ”, e la gioia brillava nei suoi occhi.
“Sapeste che grande grazia è conoscere il Signore! Se nella vita di schiava avessi conosciuto Dio, che conforto ne avrei avuto! Pregate per chi non conosce Dio”.
Ascoltando le sue dolorose avventure di schiava, a qualcuno veniva spontanea l’espressione: “Oh poareta!”. E lei subito: “Io poveretta? No, io non sono poveretta, perché sono del Paron e sto nella sua casa; quelli che non sono tutti del Signore, sono poveretti”.
“Oh, se i miei sapessero dove sono!”.
Non finiva di stupirsi per il grande dono della Fede: “Ma come ha fatto il Signore a prendere proprio me?”.
“Vi annuncio una grande gioia …” (Lc 2, 10). Ogni gioia non è piena se non è condivisa! Così la gioia della Fede in madre Bakhita si fa: ANNUNCIO!
Nei tanti anni di servizio in portineria, tutti testimoniano che lei aveva una parola buona per grandi e piccoli. Ma il suo slancio apostolico superava i confini della comunità
per abbracciare il mondo intero, la sua Africa
in particolare: “Vorrei volare laggiù per
arrivare a tutti e illuminarli nella Fede, perché i missionari son pochi e l’Africa è grande”.
A un sacerdote in partenza per le missioni: “ … Prego sempre perché il Signore mandi missionari e missionarie anche nel centro dell’Africa dove stavo io … Ho sempre speranza che i miei cari abbiano a conoscere il Signore.”
* Gratitudine, riconoscenza: solo e sempre, verso Dio e verso tutti.
“Se stessi in ginocchio tutta la vita non direi mai abbastanza tutta la mia gratitudine al buon Dio”.
“Tutta la mia vita è stata un dono di Dio: gli uomini suoi strumenti; grazie a loro ho avuto il dono della Fede”.
“Fortunati voi, (Italiani), che avete ricevuto da piccoli, il dono della Fede. Io ci sono arrivata tardi. Siatene riconoscenti a Dio e alla Madonna”.
Madre Giuseppina così si esprime con la sua Superiora: “... Come dovrei essere buona e riconoscente al Signore che mi ha liberata dalla schiavitù e accolta nella sua Casa, tra le sue Spose! Mi aiuti, lei, a ringraziarlo e a chiedergli perdono per il poco amore e la poca corrispondenza alle sue grazie”.
Sempre riconoscente per ogni minima attenzione, anche da ammalata, ripeteva: “Qui io sono la regina, tutti mi vogliono bene, non mi manca niente … Se tutti gli Africani avessero avuto la fortuna che ho avuto io, quanto sarebbero contenti!”.
E, pur nella grande sofferenza fisica degli ultimi giorni, dal suo cuore grato e riconoscente ancora sale l’interrogativo di stupore e sorpresa: “Perché il Signore mi ha prediletta così?”. .
Santa Bakhita, “Egli ci sorprende sempre! Il Signore è così”, ce lo ricorda, in questi tempi, anche Papa Francesco.
La Comunità Canossiana S. Bakhita–Schio
La Voce dei TERRITORI PADOVA
35
Nelle Parrocchie ottobre è tempo di
programmazione delle attività pastorali,
con particolare attenzione alla catechesi.
Nella nostra comunità parrocchiale, si
tracciano i diversi percorsi partendo dai
piccoli di 6 anni; particolare cura viene
data agli itinerari per l’iniziazione
cristiana, senza trascurare gli adulti così
che a tutti è offerto un adeguato tempo
di formazione per crescere nel cammino
di fede.
Padre Antonio, Canossiano, incontra il
gruppo delle catechiste per illustrare i
diversi cammini; si stabilisce la
domenica di inizio e le attività prendono
il via.
Rivolge poi la sua attenzione formativa
agli adulti: incontri con i genitori delle
diverse classi e, soprattutto, la lectio
divina settimanale rivolta a tutti coloro
che vogliono approfondire la Parola e
vivere, con maggior consapevolezza, la
vita cristiana.
Per l’Anno della Fede dedica un secondo
incontro settimanale al Catechismo della
Chiesa Cattolica.
Appartiene alla nostra Parrocchia anche
la Casa di Reclusione dove, ogni
domenica è celebrata la S. Messa a cui
partecipa un gruppo di detenuti che, con
tanta buona volontà, si impegna per
proclamare la Parola di Dio e vivere un
tempo di riflessione e di preghiera.
Padre Antonio, che è cappellano dell’Istituto
detentivo, offre inoltre un incontro di
catechesi settimanale a tutti i detenuti che
vogliono scoprire o approfondire aspetti della
vita cristiana e risvegliare la fede.
Quest’anno alcuni giovani, desiderosi di
riprendere in mano la propria vita, hanno
chiesto di ricevere il sacramento della
Cresima. Così, a novembre, iniziamo gli
incontri settimanali per la preparazione.
Il gruppo è formato principalmente da giovani
che, candidamente, confessano la loro
lontananza dagli argomenti proposti:affiorano
lontani ricordi della Prima Comunione; uno
ha ricevuto solo il Battesimo, ma vogliono
sapere, conoscere.
Per me è un’esperienza nuova, un mondo
tutto da scoprire. Tuttavia, dopo i primi
timorosi incontri, si stabilisce un clima di
partecipazione e di dialogo.
Così scopro giovani consapevoli dei loro
errori, ma con tanta voglia di riprendere il filo
della loro esistenza per orientarla verso valori
più veri e appaganti.
Settimana dopo settimana, incontro dopo
incontro, trascorrono sette mesi e arriviamo
al giorno tanto atteso: il primo giugno.
Padre Antonio, delegato dal Vescovo di
Trapani per amministrare il Sacramento,
prepara e organizza con cura ogni momento.
La Voce dei TERRITORI CATANIA
36
Favignana
La Voce dei TERRITORI CATANIA
La mattina incontra ogni giovane per un
colloquio di riconciliazione, predisponen-
do ciascuno a ricevere il dono dello
Spirito nel modo migliore.
Nel pomeriggio, alle ore 15,00,
l’appuntamento è nella cappella
dell’Istituto detentivo. I cresimandi
sono in prima fila.
Alla S. Messa partecipa un bel gruppo di
detenuti; si provano i canti e le letture.
Inizia la liturgia.
Il Parroco invita i presenti a vivere con
intensità e fede questo momento e a
unirsi ai cresimandi perché lo Spirito
scenda abbondante su tutti. Si respira
un clima di festa e di piena
partecipazione.
Dopo l’omelia e la preghiera con l’imposizione
delle mani, i giovani sfilano davanti a Padre
Antonio per ricevere l’unzione crismale. I loro
occhi brillano di luce: avranno sicuramente
assaporato una gioia inedita, vera…
Alla fine non mancano i ricordi: una
pergamena, una corona del S. Rosario,
da loro tanto desiderata. Il tutto immortalato
dalle foto-ricordo.
I saluti finali sono velati da un po’ di
nostalgia: ”Ci mancherà il ritrovarci
settimanalmente, si dicono reciprocamente i
neo-cresimati!”
Sr. Teresina D’Angelo
37
La Voce dei TERRITORI CATANIA
ESERCIZI SPIRITUALI AL “GRUPPO DELLA TENEREZZA” DI GALLARATE
Tra le trenta e quaranta persone hanno
partecipato agli Esercizi spirituali a Gallarate,
che ho guidato su invito della responsabile
Sara Paladino.
C’erano giovani, ancora in ricerca, e adulti.
Avendo già iniziato un cammino con il
gruppo, circa due anni fa, ora si trattava di
continuarlo, pur prevedendo presenze di
persone nuove.
Il percorso si è snodato tra giovedì 31
gennaio e giovedì 7 febbraio, in questo modo
chi non ha potuto venire ogni sera si è unito
al gruppo nel giorno d’inizio e di chiusura
degli Esercizi, dalle 20.30 alle 22.30, presso
l’Aloisianum, e, per due giorni, anche
nell’Istituto canossiano in Gallarate.
I colloqui si sono svolti al mattino ed al
pomeriggio nella casa di Sara, dove un
piccolo appartamento era stato messo a
disposizione, mentre la sera, alle 20.00,
prima dell’incontro per tutti, c’è stato spazio
per altri colloqui.
Dopo l’introduzione, seguita da laboratori
della Parola e adorazione dell’Eucaristia
sempre in presenza del Crocifisso, come
Maddalena di Canossa faceva, abbiamo
celebrato insieme il ‘laboratorio della luce’,
momento finale di ciascun incontro nel
quale abbiamo rivissuto tutti i sacramenti
usando delle candele, che abbiamo accese
gli uni agli altri, e le cui fiamme si sono,
per gli sposati, unite tra loro per diventare
‘focolari’, e, per i consacrati e non sposati,
unite alla fiamma di Gesù per esprimere il
servizio dell’amore indiviso e l’accoglienza
della sua volontà.
I temi approfonditi sono stati: la Trinità - il
Battesimo, il Padre – la Riconciliazione, il
Figlio – l’ Eucaristia, la fede di Gesù vissuta
nella carità (sosta domenicale), lo Spirito
Santo – la Confermazione, La Chiesa –
l’Ordine e il Matrimonio, Maria – l’Unzione
degli Infermi, Il Rinnovo del Battesimo –
“Credo la vita eterna” durante l’ Eucarestia
conclusiva.
38
La Voce dei TERRITORI CATANIA
Passi scelti da ciascun Vangelo ci hanno
accompagnati ogni sera: in Matteo abbiamo
incontrato il Padre, in Marco il Figlio, in Luca
lo Spirito Santo ed in Giovanni la Chiesa.
Maria l’abbiamo colta in tutto il Vangelo e,
giunti con lei al Calvario, l’abbiamo vista
“donna delle beatitudini”, esempio vivente
del discorso della montagna.
Con lei ci sentivamo giunti alla sorgente, al
cuore del Figlio da cui trabocca la divina
misericordia.
Qui potevamo pregare con il salmista “È in
te la sorgente della vita, alla tua luce
vediamo la luce” (Sal 36(37),10b, Parola
scelta quale traccia di tutto il cammino,
cadenzata con gli inni della Liturgia delle
Ore adatti a ciascun tema.
Se due anni fa negli Esercizi avevamo
focalizzato sul Principio e
Fondamento, questa è stata la tappa
successiva, quella del Regno!
Ed effettivamente, in linea con il
senso di convivialità spirituale
sperimentato, la vera chiusura si è
verificata in pizzeria, dove, anziché la
pizza, ci univa ciò che ci eravamo
consegnati reciprocamente.
Gli occhi facevano vedere lo splendore
del cuore. La gioia era profonda tanto
che, pur senza parlare, sentivamo di
comunicare.
Una coppia si è riconciliata e si sono
ridonati l’anello nuziale; una persona
anglicana ha scelto di ricevere tutti i
sacramenti nella Chiesa Cattolica;
ferite spirituali che minavano famiglie
hanno cominciato a rimarginarsi, tutto
per il dono di un amore purificato
dalla riconciliazione, dall’accogliere
l’altro nella fede.
È stata riconfermata la disponibilità a
servizi di volontariato, intravedendo
nuove espressioni. Porto nella mia
preghiera molte consegne, molti volti
che vedo ancora brillare di gioia per
l’incontro con Gesù.
Sr. Maria Carla Frison
39
Caro don Sturzo,
in questi tempi in cui la navigazione del nostro Paese appare così difficile, cerco di
immaginare il tuo travaglio intellettuale e spirituale negli anni bui dell'avvento del
fascismo. Senza fare facili sovrapposizioni di epoche tanto lontane, cerco di immaginare
non tanto il tuo impegno politico di quella stagione, ma la tua vita quotidiana, i piccoli gesti
di ogni giorno che corredano gli attimi delle grandi scelte, prese fra la violenza dello
squadrismo, le incomprensioni politiche ed ecclesiali, gli imperativi della coscienza.
Hai chiamato i tuoi contemporanei ad essere "liberi e forti". Il tuo appello non fu una facile
ricerca di scorciatoie per accaparrarsi i consensi. Fu un appello al cuore delle coscienze di
ogni donna e di ogni uomo, un richiamo al senso della responsabilità di tutti in un
momento tanto difficile della nostra storia. Il tuo fu il gesto coraggioso di una profezia
laica, testardamente impegnata a scoprire il senso delle cose penultime.
"A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare
ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti
insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà": così cominciava il
tuo appello che apriva, a fatica, un sentiero subito chiuso con brutalità, per riapparire poi,
come un fiume carsico, con la caduta del fascismo e la fine della guerra.
Quanto abbiamo bisogno oggi di un richiamo simile! Quanto dobbiamo inchiodare le nostre
coscienze al senso del dovere, fissando i nostri occhi sui nuovi sentieri della libertà, della
pace, della solidarietà! Non possiamo più attendere paurosi sul ciglio della crisi. Qualche
anno dopo la tua morte, il Concilio Vaticano II mise noi laici di fronte ai nostri compiti di
donne e uomini adulti: la tua lezione e di tanti altri tornava così ad interrogare le nostre
menti e i nostri cuori.
La nostra società si crogiola sempre più, in questi mesi, in una serie infinita di sterili
polemiche che ci mettono l'uno contro l'altro. Sì, sono tempi difficili, ma nulla è
irreparabile. Paolo VI ci insegnò che abbiamo bisogno di testimoni più che di maestri.
Abbiamo bisogno di diventare "liberi e forti" per non avere paura delle nostre
responsabilità, per scoprire il senso, il valore e la bellezza di un cammino comune di
ricostruzione materiale e spirituale.
Caro don Sturzo, quello che dobbiamo fare veramente oggi è tenere ferma la bussola del
nostro agire morale e civile. Tenere con coraggio la "schiena dritta", sempre, come hai
fatto tu, significa non cedere alle sirene della violenza, del disimpegno, del gregarismo. Lo
hai imparato bene, in anni fortunatamente irripetibili, a non ascoltare queste sirene: il
terreno aperto della libertà spesso richiede la solitudine dei "liberi e forti" e questa
solitudine può essere la premessa irrinunciabile, il prezzo da pagare per costruire una
democrazia solidale.
Un caro saluto.
Andrea Fedeli
Consigliere Parlamentare
Senato della Repubblica
Parliamo di
40
Roma! Volti noti in ambienti ancora più
noti… Visi conosciuti nel tempo e rimasti
impressi nell’anima, là dove la giovinezza,
nella sua danza ritmante, scalpella le
visioni più belle e significative che il
tempo, nel suo trascorrere, trasforma in
rughe luminose cariche di vita!
Così sono apparsi i nostri volti dopo
50 anni di pianto e di riso… d’incontenibile
gioia e di silenzioso dolore… Icone sfiorate
dal tempo perché acquisissero saggezza e
bellezza, quella vera: la Bellezza riflessa,
giorno dopo giorno, sotto lo specchio del
Cielo, dove anche il limite e la colpa
diventano luoghi abitabili da Dio, dal suo
perdono e dalla sua misericordia
Espressioni e parole conosciute ci hanno
di nuovo raggiunto, in quella purezza con
la quale le avevamo avvertite la prima
volta, quando il cuore - troppo colmo di
desiderio di Dio e del suo Regno –
coglieva soltanto, senza preconcetti o
malizie, la risata di una, il buon garbo
dell’altra, l’impeccabilità di una terza …
il rigore della quarta e la freschezza
fanciulla della quinta…la ponderatezza
della sesta e la sbadataggine della
settima…e le lasciava alla loro verità,
quella verità che nessuno conosceva
davvero se non Lui che le aveva chiamate
a Sé così com’erano… e già sapeva che
sarebbe stato per sempre.
Ci siamo guardate reciprocamente e ci
siamo riconosciute in quel D.N.A. nel
quale il Sì per sempre, a Dio e alla Sua
fedeltà, ha conservato il “sapore antico del
tempo”, restituendoci quella inebriante
manciata di entusiasmo e di speranza che
ha accompagnato tutti questi lunghi anni,
sbriciolandosi - a poco a poco - sulla
strada della vita e trasformando i sentieri
dell’uomo in scie luminose verso l’Infinito.
Teresa, Rosanna, Franca, Orsolina,
Giacomina, Elide, Anna, Elena…Marisa,
Jole...Rosita, Roberta… Gabriella, Noemi,
Lorenzina, Edda, Sandra… Caterina,
Gabriella M., Lidia… tutte! Proprio tutte!
Parliamo di
Un memoriale di Volti…davanti al Suo Volto
ROMA – Ottavia 17/19 maggio 2013
41
E’ stato allora che, per tacito assenso,
abbiamo raccolto le note più belle che
ancora uscivano dal flauto della nostra
esistenza ed abbiamo tentato
l’orchestra… un’orchestra da far vibrare
davanti a quel Volto, il Suo, cercato per
tanti anni e ancora non del tutto
trovato… Quel Volto che ci ha legate a
Sè e che si rivelerà gradualmente,
ancora fino a “… renderci
costituzionalmente Eucarestia”, come ci
ha ricordato Padre Giancarlo Bruni,
Servita …”corpi messi a servizio per
prendersi cura… corpi donati alla terra
per non privarla del Cielo…”
Ora che la compagnia di questo Volto è
stata intensamente vissuta lungo i
giorni, gli anni, e le stagioni… Ora che il
sole pare abbassarsi all’orizzonte …
“anche se la parabola della luce è
ancora alta”, come ha detto qualcuno…
Ora ci chiediamo:
Chi abita la nostra vita? Ci ha chiesto il
Padre.
Chi dite chi io sia? Ha incalzato la
Madre Provinciale.
Le risposte sono rimaste sospese per
l’irrompere del canto di Suor Chiara
Cori…
La piccola Suora Pastorella. L’avevamo
conosciuta quasi tutte quando si arrivava
a Roma per gli incontri di Animazione
Vocazionale o Pastorale. Nella voce un
po’ incrinata, il canto era quello di un
tempo, ma le vibrazioni delle note della
chitarra si erano fatte molto più ampie
e profonde, come profondo era ora il suo
sguardo e ampio il suo volto incorniciato
dai capelli grigi, lievi nel nascondere le
rughe che accompagnavano il canto con
un realismo tale di incarnazione, da
trasmettere energia nuova di
ricominciamento che, nella lode e nel
grazie, si sprigionava da tutti i pori della
nostra pelle, come da infiniti flauti
traversi…
Nove canti, come le nove beatitudini:
armonia di Dio per gli uomini non ancora
giunta a compimento. La musica, infatti,
non è ancora cessata e la danza deve
continuare per quel dono di vita che il
Signore vorrà ancora concedere a
ciascuna.
“Signore, completa in me l’opera tua!”
Ha esordito la Madre Provinciale nel suo
saluto. Perché:
“Dio vi ha fatto un grande dono, mie care
Sorelle, nel darvi la vocazione, a questo
santo Istituto di carità…” come diceva
Maddalena.
E ancora: “Io sono con voi tutti i giorni
fino alla fine del mondo” “ Chi berrà
dell’acqua che io gli darò, non avrà più
sete in eterno”
Sì, abbiamo ancora bisogno di un pozzo,
c’è ancora strada da fare…altri solchi
irrigati devono attraversare la terra dei
nostri Volti per altre semine…in quel
mistero di fecondità che fa di noi delle
Madri per sempre!
Altri solchi… quali?
Quante domande si sono rincorse nella
mente! Domande che chiedevano risposte
e promesse…
Parliamo di
42
Parliamo di
Puntuale, il programma finemente
preparato, e via via presentato da
M. Giovanna Radice, provocava quelle
risposte e preparava quelle promesse.
Quel mattino di festa grande: la
Pentecoste, prima che l’Eucarestia ci
raccogliesse attorno alla Mensa nella nostra
Cappella canossiana - vero scrigno di
bellezza e di significanza - nella quale
sarebbe risuonata ancora una volta “Quella
Parola di Dio che ha illuminato per 50 anni
le nostre parole…”, prima che rinnovassimo
il nostro SI’ davanti al Suo Volto, la Madre
Generale M. Margaret, appena rientrata
dall’estero, aveva voluto vivere con noi
quel momento di grazia.
Si era affacciata alle nostre vite, con il
silenzio e la memoria che le sono
caratteristiche, e ci aveva testimoniato, con
il dono di un augurio e un biglietto
personalizzato, scritto a mano, tutta la sua
riconoscenza e il suo affetto per quello che
le nostre vite costituiscono per l’Istituto, la
Chiesa, il Mondo… Ed era stata ancora Lei
che, dopo l’Eucarestia celebrata da Padre
Cesare, aveva consegnato a ciascuna la
Benedizione Apostolica del Papa emerito
Benedetto XVI, unitamente a Papa
Francesco.
Ognuna è stata posta là, nel punto centrale
della Cappella, là dove rifluisce l’acqua
dello Spirito, sotto lo sguardo
dell’Addolorata e del Crocefisso, come in
una nuova iniziazione:
“Il Signore sia la tua Luce e…la tua vita
continui ad essere un canto di lode…”
Abbiamo detto “prima che”… Infatti prima
che tutto questo accadesse, in sala,
abbiamo vissuto l’indimenticabile
condivisione delle nostre “storie di vita”.
Venti storie diverse e simili al contempo.
Venti paragrafi biblici in quella genealogia di
Dio che, se affidata al Suo Amore, diventa
sempre e comunque Salvezza per sè e per
gli altri.
Ognuna si è presentata alle altre con il suo
carisma particolare, speciale, unico… ma
tutte ci siamo ritrovate nell’unico carisma
che ci fa Canossiane, figlie di Maddalena e
Madri dei poveri.
Ce lo ha ricordato la M. Provinciale nel
sintetizzare quelle “storie di amore” che si
ricomponevano in un ulteriore impegno, un
impegno che ora ognuna custodisce dentro
di sé come un tesoro:
“Dio ci aiuti ad accogliere le mediazioni
umane…e strada facendo continuiamo a
bene-dirci.”
Così, uscendo dalla Cappella, dopo i tanti
momenti intensi vissuti nel cuore di Ottavia
e nella Basilica di San Pietro dove, sulla
Tomba del Beato Giovanni Paolo II,
avevamo ascoltato la S. Messa celebrata da
Mons. Luigi Telesca, e visitato gli scavi di
S. Pietro nel desiderio di ripartire pure noi
da quelle origini – … uscendo dalla
Cappella, “consacrate” di nuovo all’Amore,
siamo state sospinte a ripartire danzando.
L’indicazione ci è arrivata dalla Fondatrice e
dalle Sorelle che, con lei, sembravano
staccarsi dal muro di fondo della chiesa per
diventare compagne di viaggio, quel viaggio
che ancora ci restava da fare.
“Il credente è colui che ha in mano la Vita e
la Parola… Vita e Parola da spendere in
quella ministerialità che ci è data… in un
rapporto di fraternità che è il nostro vero
bisogno.“
Penso che tutti questi eventi, rimescolati nel
ricordo, e che pur cambiando posto -
43
come ciò che è perfetto - non perdono né
valore né forma, siano un altro pezzo di
Storia Sacra, quella che il nostro minimo
Istituto sta ancora scrivendo sul libro della
vita!
“Dio vi ha fatto un gran dono Sorelle!”
ci aveva ripetuto la nostra Fondatrice.
“Non abbiate paura!“ ci aveva incoraggiate
la M. Generale.
“Continuate a benedirvi!” era stato l’invito
della M. Provinciale.
“Io sarò con voi sempre!” ci confermava
Gesù!
In silenzio, per troppa urgenza di gridare la
gioia, abbiamo ripreso la strada del
ritorno… i fianchi cinti e i calzari ai piedi… la
Terra Promessa è più avanti…
Intanto con Miriam cantiamo il canto della
liberazione:
“Mia forza e mio canto è il Signore,
egli mi ha salvato.
“E’ il mio Dio e lo voglio lodare,
è il Dio di mio Padre e lo voglio esaltare!”…
E con Maria di Nazareth, ripetiamo con la
vita:
“L’anima mia Magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore
perché ha guardato all’umiltà della sua
serva, da ora tutte le generazioni mi
chiameranno… MADRE! “
… Il nostro grazie alle Sorelle delle
comunità di Ottavia.
Un grazie dunque sincero e profondo a voi
tutte Sorelle di Roma! A voi che vi siete
prese cura di noi in quell’accoglienza squisita
e generosa, letta in filigrana fin dal nostro
arrivo alla stazione Termini.
Un’accoglienza che va dalle vostre presenze
attente e discrete, ai vostri gesti ritrovati
nella preparazione degli ambienti curati e
forniti di ogni bene… nella Cappella ornata
come si adorna l’altare per una sposa…
nella cucina, in cui, cuore e mani attente -
cariche di arte e di esperienza - ci hanno
preparato proprio di tutto, fino a alla
sorpresa del pranzo di nozze! Grazie
Sorelle!
E mentre il suono dell’organo, di quel giorno
di festa, continua ad accompagnare la
nostra quotidianità, vi raggiunga tutto il
nostro affetto fraterno e quella benedizione
che invochiamo per ciascuna di voi.
Sr. Roberta C.
Parliamo di
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Ripensando ai fatti che si sono susseguiti nei
primi mesi del 2013, torna alla mente
un’espressione della Santa Madre Fondatrice:
“Il cuore degli uomini è nelle mani di Dio”. che
si potrebbe così attualizzare: “La storia degli
uomini è nelle mani di Dio”.
E’ proprio questa prospettiva di fede che ci
permette di rileggere le vicende della storia
contemporanea cercando di coglierne il
significato profondo, al di là delle reazioni
emotive immediate, nella confortante certezza
che la fedeltà del Signore guida e governa gli
eventi, anche quando essi appaiono
inaspettati, sconvolgenti, difficili da
interpretare.
Le dimissioni di Benedetto XVI.
Quando, il 10 febbraio 2013, tutte le fonti di
informazione hanno divulgato la “declaratio”
con cui il Santo Padre annunciava ai Cardinali,
riuniti nel Concistoro, e al mondo intero la
decisione di “rinunciare al ministero di
Vescovo di Roma, successore di S. Pietro”,
siamo stati colti da un senso di sgomento,
come se stesse accadendo qualcosa di
drammatico, che avrebbe sconvolto la vita
della Chiesa intera.
Rileggendo poi con pacatezza le parole
pronunciate da Papa Benedetto, abbiamo
potuto cogliere la profondità della scelta e
la grande libertà di spirito che l’ha
animata.
Ci siamo sentite solidali con una persona
anziana, umilmente consapevole dei propri
limiti, legati all’età e al venir meno del
vigore del corpo e dell’animo, libera da
condizionamenti esterni, desiderosa di
continuare il servizio alla Chiesa in un
modo diverso ma ugualmente efficace,
mediante la preghiera, l’intercessione, il
silenzio, il nascondimento.
L’inizio del pontificato di Papa
Francesco. Il 13 marzo 2013,
l’attesissima fumata bianca ha fatto capire
a tutti che i Cardinali, riuniti nel Conclave,
avevano eletto il nuovo Papa.
Da giorni si
rincorrevano le
voci sui possibili
successori di
Benedetto XVI,
se ne
tratteggiava
l’identikit in base
alle qualità e al
prestigio di cui
godevano alcuni “papabili”.
Ma nessuno, fuori dalla Cappella Sistina,
aveva considerato la possibilità che sulla
cattedra di Pietro sedesse un Cardinale
latino-americano, Monsignor Bergoglio, il
quale non era mai stato citato tra gli
eleggibili favoriti.
Ancora una volta lo Spirito Santo si è
rivelato superiore ad ogni calcolo e
previsione umana, mostrandosi veramente
Parliamo di
45
come il Signore libero e liberatore, che
anima e vivifica la sua Chiesa e sceglie i
suoi strumenti non in base ai nostri
criteri umani, bensì secondo i suoi
meravigliosi ed imperscrutabili disegni.
Così, appena è stato annunciato al
mondo il nome del nuovo Papa, abbiamo
vissuto nel profondo del cuore
l’esperienza indescrivibile di una inattesa
Pentecoste.
Anche le prime scelte del nuovo Papa
Francesco ci hanno colpito, come hanno
scosso tutti, credenti e non credenti, per
la semplicità delle parole, la spontaneità
dei gesti, la volontà di manifestare
l’autentico volto della Chiesa di Gesù
Cristo, una Chiesa povera, materna,
attenta ad ogni persona, specialmente se
piccola, provata dalla sofferenza,
segnata dall’emarginazione.
La situazione dell’Italia.
Nei primi mesi di questo anno si sono
accentuati i segnali di crisi nel nostro
Paese: una crisi trasversale, profonda,
che tocca giovani e anziani, famiglie ed
istituzioni, che si manifesta, spesso in
modo drammatico, a livello sociale,
politico ed economico.
I mezzi di comunicazione riferiscono
quotidianamente fatti di cronaca e
testimonianze che documentano le
situazioni di grande difficoltà, i conflitti,
l’incapacità di trovare punti comuni su cui
dialogare per favorire una generale
ripresa.
La situazione precaria di tanti fratelli e
sorelle che non riescono a trovare un
lavoro
o l’ hanno perduto, l’ aumento della
povertà che spesso non permette alle
famiglie di affrontare le spese quotidiane,
l’umiliante condizione di chi si trova
improvvisamente a dover chiedere aiuto
ad un ente caritativo per aver qualcosa da
mangiare, ci interpella e ci scuote.
Ci fa capire il valore di una comunità in
cui, nonostante i limiti e le difficoltà, non ci
manca nulla a livello materiale e spirituale;
ci fa apprezzare quanto la Provvidenza ci
dona giorno dopo giorno; ci stimola alla
gratitudine, alla sobrietà, alla condivisione.
Specialmente ci interpella a diventare
solidali con gli uomini e le donne del nostro
tempo, nella preghiera, nell’offerta, nella
rinuncia al superfluo, affinché la Speranza
non venga “rubata” (come si è espresso
Papa Francesco in un invito ai giovani) a
nessuno, la Fede non venga mai meno,
anche nelle situazioni più difficili, la
Misericordia del Signore avvolga ogni
creatura in un abbraccio consolante e
rigenerante.
Madre Giuseppina Corti
Parliamo di
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Fratello Francesco,
mai avrei pensato che avrei potuto rivolgermi a un papa così; ma poiché tu, nel tuo saluto
iniziale, non ci hai chiamato “figli e figlie”, ma “fratelli e sorelle”, sento che posso
permettermi di chiamarti così. E mi viene spontaneo anche il “tu”, sempre pieno di rispetto,
perché non credo che a un fratello si possa dare del “lei”.
Nel giornale “La Naciòn” del 14 marzo ho letto che la tua elezione “è stata balsamica” e mi è
parso un aggettivo perfetto per esprimere quello che stiamo vivendo, dal momento in cui ci
salutasti dal balcone con quel tono che univa timidezza e fiducia. Primo effetto balsamico: ti
vediamo sereno e con un certo senso dell’umorismo; non dai assolutamente l’impressione di
essere schiacciato sotto il peso immenso di reponsabilità che i Papi si sono gettati sulle spalle,
come se fosse unicamente loro la responsabilità di condurre la Chiesa universale; come se non
esistessero altri Pastori; come se il popolo di Dio fosse un peso di cui farsi carico e non una
comunità di uomini e donne capaci di iniziative e desiderosi di partecipare e collaborare, come
ci fece credere il Concilio Vaticano II.
Tu, invece, stai riuscendo a farci capire che questa strada che hai iniziato vuoi percorrerla
assieme a noi. Un modo di indicare un nuovo stile ecclesiale, così francescano, per la sua
semplicità e così ignaziano per la sua chiarezza. Perché se quello che desideri è che ci vengano
riconosciuti fraternità, amore e fiducia, cominciano ad essere superflui e di disturbo tanti
atteggiamenti, pratiche e usanze che facevano confondere la dignità con la magnificenza e la
solennità con il lusso.
E’ una sorpresa balsamica sentire che ora ti abbiamo complice nel desiderare che debbano
essere cambiati usi e inezie che nessuno si decideva a definire obsolete, e vane erano state le
voci di allarme di tanti profeti. Non sono questioni irrilevanti, sono indicatori che rivelano
preoccupante atrofia dei sensori che avrebbero dovuto allertarci già da tempo che stavamo
camminando su sentieri che non erano quelli di Gesù. Quindi sia benvenuto il compito che ti sei
Parliamo di
47
assunto di ritornare alla freschezza del Vangelo e alla radicalità delle sue Parole: ci
accorgiamo che non ci darai tregua per tutto quello che riguarda i poveri!
Cominci il tuo cammino in un momento di estrema debolezza della Chiesa: come quel giovane di
cui parla Marco che, nel Getsemani, fuggì nudo, lasciando in mano ai soldati il lenzuolo che lo
copriva; così stanno strappando alla chiesa i paludamenti che la proteggevano: il segreto
ermetico, l’occultamento anche di quello che era evidente, come la pedofilia. Ma è proprio ora
che, finalmente, appare nuda e indifesa dinnanzi ai giudizi del mondo, che le si presenta
l’occasione di riverstirsi unicamente del mantello di gloria del suo Signore.
Ci hai dato il compito di sostenerti con la preghiera e, in questo momento, sto chiedendo per te
alcune cose, soprattutto pazienza di fronte alla puntigliosa ricerca che la stampa sta facendo del
tuo passato. Del resto tu hai detto loro: “Avete lavorato, eh? E state lavorando”.
Chiedo anche che non ti soffochino tutte le grandi aspettative che stai suscitando e che ti senta
libero (e anche molto abile) nello scegliere chi può aiutarti nel governo della Chiesa. Troverai
molte pietre d’inciampo su questo cammino: critiche, resistenze e perfino sgambetti, quindi,
seguendo le raccomandazioni della tua bella omelia del giorno di S. Giuseppe, cerca di aver un
poco cura di te stesso. E se non riesci a fare tutto, si prendano cura del resto le sante della
Chiesa di Roma: Cecilia, Agnese, Domitilla, Taziana, Agrippina, Demetria, Melania, Anastasia,
Emerita, Martina e Sabina.
Sono andati a cercarti “quasi alla fine del mondo” ed è stata una cosa indovinata: grazie per
aver accettato di restare, senza poter raccogliere le tue cose. Meno male che le scarpe che calzi
sembrano comode.
Molti di noi si sentono oggi responsabili di pregare per te, anche se non siamo della tua diocesi
e ci rallegra sapere che sei anche incaricato di vegliare sulla Chiesa universale.
Improvvisamente ricupera senso chiamare Papa il vescovo di Roma.
Che il Signore ti benedica, ti custodisca e sparga su di te il balsamo della sua pace.
jj
Parliamo di
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Abitare a Roma è un'impresa assai difficile di
questi tempi.
Le difficoltà legate all'accesso alla casa sono
di diversa natura e coinvolgono un numero
enorme di persone, circa 100.000 secondo
un recente studio del dipartimento di
Urbanistica dell'Università di Roma Tre,
ripartite in 40.000 nuclei familiari. Dietro ai
numeri dell'emergenza casa si incontrano i
volti delle persone sotto sfratto, preoccupate
per la mancanza di alternative che le
investe: famiglie a basso reddito che non
sanno più quali spese tagliare nel proprio
bilancio familiare; giovani precari che vivono
l'urgenza di una stabilità che continua ad
esser loro negata; degli anziani che molte
volte, dopo una vita di sacrifici, non possono
godersi una vecchiaia dignitosa.
Spesso i volti che incontriamo hanno colori
diversi dal nostro: sono quelli dei migranti
che abitano la nostra città, e che, senza una
casa, non potranno mai realizzare nessun
tipo di integrazione.
La preoccupante novità dietro a queste
cifre è che, rispetto agli anni passati,
anche il ceto medio stenta a vivere con
serenità le spese legate all'abitazione, la
cosiddetta fascia grigia, che, investita da
questa dura crisi economica, non riesce a
far fronte alle spese necessarie per
accedere al mercato immobiliare o per
mantenere una casa che ha già, ma che è
troppo ricca per rivendicare un alloggio di
edilizia residenziale pubblica o un
sostegno economico per l'affitto.
E' la linea della povertà che avanza verso
l'alto, inglobando una fascia di
popolazione che prima viveva una
maggiore stabilità economica.
Riferendosi alla realtà capitolina, il
sociologo Franco Ferrarotti la descrive
come «la povertà dignitosa, quella che
cerca disperatamente di salvare le
apparenze, la neo-povertà del ceto medio,
quella che si vergogna di sé stessa».
Il limite di reddito per accedere al bando
delle case popolari a Roma è di circa
19.000 euro annui, una cifra che lascia
fuori tante famiglie, tutte in attesa di una
politica di welfare adeguata a rispondere
alle esigenze di questa nuova povertà. I
nuclei più poveri, che possono invece
presentare domanda al Comune per avere
Parliamo di
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in assegnazione un alloggio di edilizia
popolare, si devono scontrare con una
gestione degli immobili assai
disorganizzata e fuori controllo: sonocirca
un centinaio le case che ogni anno si
riescono a consegnare a chi occupa le
lunghe graduatorie.
E…poi..sono centinaia ancora le persone
invisibili, difficili anche da censire, che
invece vivono ancora per strada, i
senzatetto che occupano le sponde del
Tevere, poco lontano dalla Roma ricca e
sfarzosa che cammina sulle loro teste
inconsapevole.
Sotto i ponti di Trastevere si intravedono
tende e insediamenti precari, persone
che vivono in condizioni igienico-sanitarie
disumane. Le stesse che affollano le mense
della Caritas, e che non riescono ad essere
ospitati nei suoi ostelli, sempre
completamente pieni.
L'emergenza è aspra e ha mille
sfaccettature. Si materializza in tanti angoli
della città, dal centro alle periferie, e
coinvolge trasversalmente i ceti sociali,
anche se, a farne maggiormente le spese,
sono i più deboli.
Ci rimettiamo fiduciosi nelle mani della
politica, quella buona, che sa fissare le
giuste priorità e riconoscere che l'accesso
all'abitazione è di primaria importanza per
ogni essere umano. Marica Sicilia
Parliamo di
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Quando ho sentito queste parole di Papa
Francesco rivolte alle religiose, non ho
potuto fare a meno di collegare ciò che
Maddalena disse alle sue sorelle di allora
e di sempre: “Vi chiamerete MADRI
perché di una madre dovrete avere il
cuore”. Non ho potuto fare a meno di
pensare al nome che precede quello del
mio battesimo e con il quale la gente mi
chiama: MADRE.
Ho sempre desiderato, fin da bambina,
diventare mamma, avere dei bambini …
forse perché ho sempre pensato che
essere madre fosse la vocazione più
grande, più difficile e più bella. Quando mi
raggiunse la chiamata del Signore o
meglio, quando io la seppi riconoscere ed
ascoltare, non nascondo che la cosa più
faticosa fu la rinuncia ad avere dei figli
miei, ad essere mamma.
Sono entrata dalle Canossiane senza nulla
conoscere del carisma o dell’Istituto, solo
“attirata” dalla testimonianza di una
Madre che altri mi avevano fatto
conoscere. Una Madre che subito mi si
rivelò con un cuore di mamma, di donna
ricolma di forza e di tenerezza, di ascolto
e di misericordia, di accoglienza e di
disponibilità.
Nel momento in cui la incontrai e notai in
lei queste caratteristiche, decisi che
volevo essere come lei… Il Signore si
serviva di una sua testimone per attirarmi
a Sé …
Poi, lungo la strada che mi accompagnava
verso la consacrazione, ho incontrato altre
Sorelle dal cuore di Madre ed ho scoperto
che proprio così ci voleva Maddalena,
desiderava che questo fosse il nostro
nome, che così vivessero le sue figlie in
mezzo alla gente alla quale erano inviate.
Fu così che scoprii che il grande sogno
custodito nel cuore fin da piccola, non era
per nulla in contrasto con ciò che stavo
per abbracciare, non dovevo rinnegarlo né
soffocarlo ma lasciare che si esprimesse
nella semplicità e nella trasparenza.
Dio mi chiamava ad essere madre in
modo diverso da quello che avevo
pensato, ma non meno esigente e meno
bello.
Lungo gli anni della mia vita consacrata
ho potuto sperimentare cosa significhi
incontrare religiose dal cuore duro, acido
… ho sentito uomini e donne maledire le
suore perché quelle incontrate non
avevano certo rivelato loro il volto
gioioso, tenero, materno di Dio. Li ho visti
rinunciare a credere in Gesù perché le
donne che dicevano di seguirlo e che
avrebbero dovuto testimoniarlo si erano
rivelate, in realtà, acide, senza calore,
incapaci di ascoltare e di comprendere i
loro problemi.
Di fronte alle loro parole mi sono sentita
male nel cuore, ho capito la grande
responsabilità che ci veniva affidata dal
Signore e la mia preghiera è sempre stata
una sola:
“Signore, costruisci in me un cuore di
madre, di donna matura ma capace di
amare, di provare emozioni, commozione,
tenerezza,allegria, empatia … senza
paura”.
Ho avuto, però, anche l’immensa gioia
di incontrare Sorelle che non hanno
Semi di riflessione
51
rinunciato alla loro maternità e che
l’hanno saputa vivere nel modo più
trasparente. Queste sono state per me
l’invito concreto ad andare avanti nella
mia vocazione, a non rinunciarvi, a
credere che, non solo si deve, ma si può
essere suore e restare donne e madri.
Oggi, ogni volta che mi sento chiamare
“madre” da adulti e bambini, non riesco
ad essere indifferente, a non pensare alla
mia identità, a ciò che il Signore vuole che
sia in mezzo a fratelli e sorelle sempre più
soli, sempre più tristi e senza calore
umano.
Vorrei, a questo punto, condividere
un’esperienza un po’ “strana” di maternità
che sto cercando di vivere in questo
periodo. La chiamo “strana” perché non è
naturale ma … necessaria. E’ forse
naturale sentirsi madre e cercare di
esserlo nei confronti delle persone che si
incontrano, ma non è la stessa cosa con i
propri genitori.
Eppure, oggi mi ritrovo a dover fare da
“mamma” a coloro che mi hanno
generato. Ed essere madre di tuo papà e
di tua mamma non è per nulla semplice.
E’ come se tutto in me si ribellasse, come
se capissi che è contro natura, che non è
così che dovrebbero funzionare le cose …
ma poi, nel silenzio e nella vita concreta
di ogni giorno, mi accorgo che qui il
Signore mi invita ora a vivere la mia
maternità.
E’ stato bello e abbastanza facile cercare
di essere madre in Africa, ma ora accolgo
questa nuova missione chiedendo
perdono per quando la “zitella” che è in
me prevale seminando tristezza e
sofferenza e godendo della gioia che vedo
brillare intorno a me quando lascio
sgorgare dal cuore tutta la tenerezza, la
passione, l’attenzione che porto dentro e
che non vengono certo da me.
Una carezza, un sorriso, una pezza bagnata
di acqua fresca su una fronte che brucia di
febbre, un’ora tolta al sonno per essere
vicina nel dolore… piccole cose ma credo
preziose per dire che il Signore c’è e non
lascia mai soli.
“Siate madri, non zitelle!”. Non posso che
custodire nel cuore questo invito del Papa e
cercare di farne uno stile di vita.
Non posso che augurare a me e ad ogni
Canossiana di non aver mai paura della
tenerezza, del calore umano, dell’amicizia,
del sorriso, di un abbraccio, di una carezza,
della passione che portiamo dentro … che
doniamo e riceviamo.
La maternità ci può esporre a rischi e ad
“incidenti” ma, parafrasando un’altra
espressione di Papa Francesco pronunciata
durante la veglia di Pentecoste e rivolta alla
Chiesa, è meglio essere una consacrata
“incidentata” che una consacrata
“ammalata”.
Preferisco rischiare di sbagliare piuttosto
che obbligare il mio cuore a rimanere
freddo, duro, di ghiaccio per evitare
incidenti.
E allora, Signore, fammi essere fedele al
nome che porto, al nome che Maddalena ha
sentito più suo ed ha consegnato a chi
vuole seguirla.
Fa’ che, quando qualcuno mi chiama
“Madre” possa veramente trovare in me un
cuore che non smentisce quel nome tanto
benedetto che appartiene ad ogni donna
che viene in questo mondo.
Sr. Maria Rosa Rota
Semi di riflessione
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Nella primavera prossima, aprile-maggio
2014, il nostro Istituto celebrerà un
nuovo Capitolo generale, il XVI.
La lettera di indizione ufficiale, inviataci
dalla madre Generale, lascia emergere
chiari due propositi :
a) La continuità col precedente Capitolo
che nel tema ‘ A motivo di Cristo con
Maddalena’ evidenziava la ragione
fondante, il ‘perché’, della nostra scelta
di vita.
b) La novità di prospettiva del nuovo
Capitolo che, col classico binomio,
‘Inspice et fac’, sembra richiamare al
‘come’ attuare oggi, nell’ottica del nostro
Carisma, questa istanza di fondo per
esserne ‘testimoni gioiose e profetiche’.
L’ essere ‘Anacorete e Apostole ’ è un
imperativo che ha attraversato tutta la
nostra tradizione formativa, anche se la
precisazione ‘in casa e fuori’ che ne
seguiva sempre, specificando ambiti e
tempi, riportava alla superata
distinzione tra preghiera e lavoro, vita
contemplativa ed attiva.
S Maddalena, pur formata in una
direzione di stampo monastico e non
sprovvista di esperienze mistiche, aveva,
tuttavia, ben chiara la visione della
“orazione mentale del cuore” come di un
cammino dove si impara ad approssimarsi
al mistero di Dio, per esserne toccati e
mossi a vivere secondo il suo cuore.
Questo itinerario di conoscenza, amore,
disposizione a vivere e ad operare in
modo sempre più conforme alle attese di
Dio, ha il proprio modello esemplare in
Gesù Cristo Crocefisso.
E’ Gesù operante la salvezza del mondo, nel
mistero della sua vita e della sua morte;
Gesù che perpetua, fino alla consumazione
del tempo, il suo mistero di Incarnazione
nella storia di ogni uomo, di ogni povero,
l’oggetto primo della contemplazione e la
conseguente norma dell’operare.
Da questa istanza cristologica di matrice
contemplativa, così antica nella
spiritualità della Chiesa e pur nuova in
alcune traduzioni care all’ esperienza
religiosa dell’Ottocento, Maddalena deriva
il suo codice di lettura dell’uomo e del
mondo e l’ispirazione per il progetto di vita
e di azione della sua famiglia: Regole,
Preghiera, Formazione, Missione.
“Inspice”: - dice Ella incessantemente
- guardalo in profondità, scoprilo nel volto
di ogni uomo, contemplalo, imparalo a
memoria
“Et fac secundum Exemplar “:
copialo, per quanto audace e assurda sia
l’impresa, fanne la forma della tua
esistenza, lascia rivivere in te il Suo
Spirito, le Sue “virtù”, la sua misura di
vivere e d’amare senza misura, servilo,
fallo conoscere..
Potrebbe essere, quindi, che il prossimo
Capitolo si riservi il compito di riflettere
sulla centralità di questo ”Oggetto primiero”
a cui la Madre attribuiva una importanza
Semi di riflessione
Es.25,40
53
Semi di riflessione
così esclusiva nella spiritualità e nella
vita delle sorelle e, pertanto, di
ripensare al come e al quanto, oggi, la
unificazione - più consequenziale, più
esplicitata, più pervasiva - di tutto
attorno al mistero di Gesù Crocefisso
potrebbe rendere la vita più semplice,
più evangelicamente vera e più
gioiosamente capace di testimonianza
e di profezia.
Potrebbe essere che dal Capitolo ci
vengano sollecitazioni e spunti per una
revisione dei processi su cui declinare,
nel contesto secolarizzato del presente,
quella ‘pratica’ della contemplazione
che la nostra Regola di Vita definisce
“mentalità di fede che ci guida a
contemplare la presenza del Signore
nell’universo, a scoprirne il volto nei
fratelli, a cogliere le manifestazioni del
Suo amore nella trama degli
avvenimenti.” (R.d.V.par. 12)
Potrà essere, semplicemente, che si
lascino emergere – come anticipa il
testo di indizione ufficiale del Capitolo
– le dimensioni catartiche della
Memoria e della Verifica:
La Verifica di tutto quanto, lungo
gli anni della nostra vita, la nostra
dissipazione ha sottratto alla
conoscenza sapienziale, sia pur
mediata dall’universo di tutte le
altre esperienze, dell’unica Parola
meritevole di essere ascoltata.
La memoria grata di come il progredire,
nel tempo, della nostra familiarità con
Gesù e col dono sorgivo del Suo immenso
amore ci ha liberate , poco a poco, da
molte remore, paure, egoismi.
ll Racconto, infine. Un invito che ci ha ,
forse, un po’ sorprese all’inizio.
Abituate come siamo ad intendere la
preparazione ad un Capitolo come
l’inventario delle problematiche e delle
istanze che riguardano il ‘ sistema’ –
opere, missione, formazione, governo o
altro – questa sollecitazione a narrarci in
ciò che ci è più intimo e personale ci è
parsa desueta e, persino,forse, anche un
po’ indiscreta e disturbante.
Ma la rilettura cristologica dell’antico
adagio di Esodo 25 è un programma di
vita diretto proprio a ciascuna di noi e, nel
racconto di ciò che esso – malgrado le
nostre resistenze e povertà - ha
significato, e può ancora significare , in
ciascuna delle nostre esistenze potrebbe ,
veramente, innescare il “rinnovato
impegno di un processo di rivitalizzazione
del Carisma”.
Sr. Isa Roda
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Calendario dei Prossimi Appuntamenti
22-29 giugno
29.06- 6 luglio
5-10 luglio
11-13 luglio
14-21 luglio
17-20 luglio
18-22 luglio
03-07 agosto
12-26 agosto
20-23 agosto
29.07-19 agosto
31 agosto
7 settembre
8 settembre
10-12 settembre
14 settembre
15 settembre
17-21Settembre
21-29 Ottobre
Volontariato formativo Adolescenti 1°turno - Roma
Volontariato formativo Adolescenti 2°turno - Roma
Consiglio Provinciale - Roma
Seminario 1° Ministero - Venezia S. Trovaso
Volontariato formativo Giovani - Roma
Incontri Econome - Verona
Esercizi Spirituali Laici - Moccone
Giornate di spiritualità Giovani - Roma
Campo di solidarietà Giovani - Albania
Seminario 2° Ministero - Ballabio
3° Tappa Sorelle Juniores - Asiago
Assemblea territoriale Catania - Moccone
Assemblea Territoriale Brescia
Assemblea Territoriale Verona
Incontri Econome - Verona
Assemblea Territoriale Milano
Assemblea Territoriale Padova
Consiglio Provinciale - Roma
Celebrazione Capitolo Provinciale - Roma (Ottavia)
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Freschi di stampa (documenti di Chiesa – Novità librarie)
1. Benedetto XVI La mia eredità spirituale Ed. S. Paolo 2. Alessandro Barban Antonio Carlo Dall’Acqua Etty Hillesum - Osare Dio Cittadella Editrice 3. Vincenzo Bortolone La sapienza del sorriso Il martirio di don Giuseppe Puglisi Ediz. Paoline 4. Andrea Gallo In cammino con Francesco Reverse Ediz. 5. Neria De Giovanni Ildegarda di Bingen. La donna, la monaca, la santa Lib.Edit. Vaticana
6. Cristiana Doner Che cosa sono queste pietre? Ed. Messaggero 7. Papa Francesco Enciclica “Lumen Fidei” Lib.Edit. Vaticana
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Ricordiamolo bene:
essere parte della Chiesa vuol dire essere uniti a Cristo
e ricevere da Lui la vita divina che ci fa vivere come cristiani,
vuol dire rimanere uniti al Papa e ai Vescovi
che sono strumenti di unita’ e di comunione,
e vuol dire anche imparare a superare personalismi e divisioni,
a comprendersi maggiormente,
ad armonizzare le varieta’àe le ricchezze di ciascuno”;
in una parola a voler più bene a Dio e alle persone che ci sono accanto,
in famiglia, in parrocchia, nelle associazioni.
Corpo e membra per vivere devono essere uniti!
L’unità è superiore ai conflitti, sempre!
Papa Francesco - Udienza Generale 19.06.2013