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Giugno 2010 “La cultura del progetto arriva in tavola” - intervista su Brand Care magazine n°...

Date post: 30-Mar-2016
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Ilaria racconta delle sue attività professionali connesse a un nuovo tipo di approccio al cibo - il Food Design, teorizzato da Paolo Barichella e direttamente esperito all’interno di Zona7 e Food Design Studio. Ilaria, tra le altre cose, descrive come occorra confrontarsi continuamente con modi, tempi e strumenti nuovi per la fruizione del food e con altrettanti nuovi metodi per produrre, conservare, concepire e presentare il cibo.
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b u s i n e s s t h i n k i n g La trasmissione dei saperi attraverso il design PROGETTARE LA BELLEZZA Brand Care magazine • ISSN: 2036-621 • Anno II numero 005 • giugno-agosto 2010 | Poste Italiane SpA - Spedizione in abb. post. 70% DCB Roma
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La trasmissione dei saperi attraverso il design

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a cura di BCm

zona7 e Il food desIgn IntervIsta a IlarIa legato

Brand Care magazine: Ilaria, cos’è Zona7?Ilaria Legato: Zona 7 è una società di consulenza formata da 7 professionisti complementari tra loro, che da anni (ciascuno con le proprie skills) si occu-pano di Food e di Design.Io curo naturalmente l’aspetto marketing e comuni-cazione; Paolo Barichella è un industrial designer e si occupa della progettazione del prodotto; chi è poi bravo nell’ingegnerizzazione del prodotto stesso e nello sviluppo dei punti vendita è Aurelio Latel-

la, fondatore di Very Italian Food; poi abbiamo Marco Pietrosante e Fran-cesco Subioli, designers in grado di dare forma ai nuovi oggetti ma anche di posizionarli nello spazio, ottenendo un coordinamento ottimale tra gli elementi; e infine c’è Franco Zeri, la nostra colonna portante nell’elaborazione culturale e nella comunicazione visiva: è un esperto di arte contemporanea e lavora per Rai International, spaziando dal digital a tutti i nuovi media.

BCm: Su cosa si fonda con esattezza il vostro business?IL: Su tre pilastri.Il primo è rappresentato dalla ricerca e dallo sviluppo di nuovi concept e format legati al mondo del Food e del Design: dalla vera e propria

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ILARIA LEGATO

Ilaria Legato è un’esperta di marketing e comunicazione nel settore HoReCa.Laurea in scienze politiche all’università di Firenze, Master in Pubbliche Relazioni all’Istituto Europeo di Design di Milano, specializzazione in Food and Beverage Managment.Dal 1997 al 2001 si occupa di Pubbliche Relazioni per L’Istituto Europeo di Design e la “Biennale d’arte contemporanea” di Firenze, per poi passare nel 2002 al settore Food, attraverso la consu-lenza Marketing e Comunicazione per la Ristorazione.Docente in “Marketing nei luoghi consumo della ristorazione” nel Master di Food Design, presso l’Istituto Europeo di Design di Roma, attualmente si occupa di Food Event Management: analisi, pianificazione, implementazione e controllo di eventi legati al mondo del cibo in tutte le sue de-clinazioni; è consulente per la nota società di Banqueting Bachini & Bellini Srl di Firenze, l’Italian Food Academy e il Food Design Studio Milano.Dal 2009 è socio fondatore di Zona7 Communication Design and Food, società di servizi per il design ed il food e direttrice di IED Comunicazione a Roma.

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progettazione dei cibi a quella degli spazi di fruizione per il Food and Beverage, sempre in accordo con la filosofia del brand assistito, che secondo noi deve caratterizzare ogni con-cept store. Il mood del locale, insomma, non deve essere fine a se stesso: vi è una serie di passaggi che occorre consi-derare nella sua definizione (per esempio colori pantone, ma-teriali, elementi di riconoscibilità, vetrine tipo, elementi grafici, iconografici e di arredo, strumentazione). Ultimato il nostro intervento i clienti arriveranno ad avere un vero e proprio ca-talogo di tutti gli elementi trattati, con l’obiettivo di ottenere una trasmissione chiara dei loro brand values.La seconda specializzazione di Zona7 è rappresentata dal marketing e dalla comunicazione per il settore ri-storazione. Se fino a qualche tempo fa non c’era bisogno di particolari sforzi da parte degli esecrenti per “riempire” i locali, oggi con la crisi economica in atto è sempre più difficile cattu-rare l’attenzione degli avventori o crearsi una clientela fideliz-zata: in questo caso non sempre un mix di scenografia, suoni suggestivi, presentazioni impattanti, pubblicità martellante e soprattutto grossi investimenti portano automaticamente al successo di un locale.Il terzo ambito di specializzazione, infine, è la direzione creativa degli eventi legati al mondo del Food e del Design. Siamo in grado di creare contenuti di impatto che rendano memorabile l’evento stesso, anche collaborando con le agenzie di comunicazione. Tengo a sottolineare, a tal propo-sito, che il nostro lavoro non si esaurisce con il coinvolgimen-to una tantum degli invitati: “buttare gente dentro” per una sola serata, come succede attraverso il più comune lavoro dei PR, non è il nostro obiettivo. Noi dobbiamo far sì che il ristorante si posizioni su livelli economici e d’immagine soddisfacenti, raggiungendo una certa awareness e un consenso del target possibilmente costante.

BCm: Quello di food design è un concetto tanto inno-vativo quanto, almeno in parte, abusato da parte di alcuni. Ci spieghi più in generale di cosa si tratta?IL: Il primo a teorizzare questo nuovo approccio in Italia è stato proprio uno dei soci fondatori di Zona7: Paolo Barichel-la, con il suo Food Design Studio. Se design significa “dare forma a un’esigenza”, food design vuol dire “dare forma a un’esigenza alimentare”, basando i processi sulla po-lisensorialità e sull’applicazione di norme derivate dalle arti visive. Tale applicazione, in definitiva, è finalizzata a dare risal-to alll’“aura” espressiva dei piatti e degli ambienti in cui essi vengono consumati.Le direzioni di sviluppo del food design sono fondamentalmen-te tre: la progettazione per il cibo (pensiamo, ad esempio, a tutti quei nuovi accessori da cocktail e da banqueting realiz-zati per fornire soluzioni alle varie problematiche legate alla fruizione di cibo in contesti diversi); la progettazione con il cibo, nella quale collochiamo per esempio quegli chef che utilizzano un approccio progettuale nell’ideazione dei propri piatti; e la progettazione di portata.

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BCm: Cosa intendi per progettazione di portata?IL: Per evitare di creare squilibri di comunicazione, il cam-po che contiene l’alimento deve mantenere basso il livello di contrasto formale con il contenuto.Per possedere un corretto impatto espressivo la portata deve creare armonia, mantenendo un’equilibrata interazione tra il piatto e l’alimento: occorre ricordare che in una portata è il piatto a essere messo al servizio dell’alimento, e non viceversa. Il rapporto tra il contenitore e il contenuto, insomma, è per il food designer il punto principale di svi-luppo, e la progettazione di portata è una delle chiavi di tale sviluppo.

BCm: Siamo curiosi di sapere qual è stato il per-corso professionale che ti ha portato a compiere la scelta del marketing per il food, attività da un lato “di nicchia”, perché molto specialistica, dall’altro “di massa”, perché – come dire? – è ovvio che nes-suno può fare a meno di mangiare.IL: Giusto! Dopo aver frequentato un Master in Relazioni Pubbliche ed Eventi presso lo IED di Milano, e dopo diverse esperienze lavorative, tra cui una presso la divisione Software gestionali di Zucchetti, sentivo il bisogno di intraprendere una sfida professionale stimolante. Durante i primi tre anni trascorsi a Milano avevo raccolto una serie di contatti, com-preso quello di un imprenditore che operava nel campo della ristorazione. In una cena, tra una portata e l’altra, lui mi disse: «per te è facile fare marketing e comunicazione per aziende dal brand famoso, ma cosa combineresti se ti affidassi i miei quattro ristoranti?». Accettai la sfida, specificando il fatto che non ero una PR. L’obiettivo era congegnare un piano di comunicazione e marketing continuativo: il primo giorno fu devastante e non sapevo da dove iniziare, anche perché occuparmi di food non era mai stato il sogno della mia vita, almeno fino ad allora. Pian piano ho comunque capito che questo settore presenta un vantaggio in più rispetto agli altri: il prodotto lo vivi, riesci in contemporanea ad avere la visione dell’addetto ai lavori e quella del consumatore.

BCm: In che differisce il marketing per il food rispet-to a quello concepito per altri settori merceologici?IL: Direi che l’operatività del marketing per il food non è mol-to differente da quella concepita per gli altri settori merceolo-gici, perché occorre anche qui lavorare sul valore del prodotto e sul suo posizionamento attraverso le leve della notorietà e del consenso presso il pubblico di riferimento. Il consulen-te, sulla base di un’accurata analisi del locale, del target e del territorio, deve capire quale può essere il giusto target da raggiungere e, attraverso una scelta di azioni e mezzi appro-priati, deve raggiungerlo e fidelizzarlo, ottenendo il massimo risultato possibile con il minor dispendio economico… Bi-sogna capire di quante persone in più il locale ha bisogno per raggiungere il “break even point” (punto di pareggio, termine che indica il valore minimo che l’attività deve raggiungere

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affinché non si subiscano perdite); da qui inizia lo studio di posizionamento del prodotto.L’attenzione in più che dobbiamo dimostrare, semmai, è di natura “etica” e culturale. Da un lato in gran parte del pianeta ancora oggi il cibo costituisce, per la sua distribuzione territoriale iniqua, una problematica rilevante; dall’altro esso porta con sé un carico di valori che non si fermano al nutri-mento: è, ed è sempre stato, un contenitore culturale, un vero e proprio linguaggio, per dirla alla Barthes.

BCm: Nelle tue strategie di marketing per la ristora-zione ti è mai capitato di iniziare cambiando il nome del ristorante?IL: Una delle cose che facciamo spesso è proprio questa. La cosa difficile però è che a volte il proprietario è così affezio-nato al nome e sicuro del fatto che sia adeguato, che fa molta resistenza. In questi casi sottolineo al titolare che si tratta di un atteggiamento tipico di coloro che non arrivano dal mondo della ristorazione, e gli faccio notare che il loro caso è ben diverso da quello delle famiglie di ristoratori, imprenditori na-vigati che di generazione in generazione non hanno mai avuto problemi di gestione poiché nascono e muoiono nel ristoran-te, sanno come trasformare la location, e alle volte proprio il non trasformarlo costituisce il loro plus.Il problema più grande in questo settore, insomma, è quando si ha di fronte l’imprenditore improvvisato, che apre un risto-rante e lo chiama “I Cinque Sensi”, trascurando che magari quando entri nel suo locale riesci ad attivare soltanto il senso dell’olfatto, magari attraverso un odore cattivo... Riuscire a renderli partecipi della strategia non è sempre semplice. Si tratta di un percorso che facciamo insieme, in cui cerchiamo di far capire che cambiando con oculatezza si può avere l’oc-casione di ri-comunicare che il posto è sempre dello stesso proprietario, seppure con un nuovo nome e una nuova curio-sità da andare a scoprire.

BCm: A tal proposito, connettere principi organizza-tivi e comunicativi “freddi” a dinamiche esperien-ziali, che hanno direttamente a che fare, appunto, con i sensi, sembra essere la direzione più in voga nel marketing, a partire dall’approccio relazionale e da quello olistico. Per questo la scelta di lavorare sul “gusto” appare molto in sintonia con le tendenze attuali...IL: Assolutamente sì. Oggi il cibo ha esasperato più che mai la sua funzione comunicativa, complici i vari media che lo esaltano mettendo in luce questo aspetto. Così ad esempio i produttori di cibi industriali (ma non solo loro) si affidano, per l’identificazione del proprio prodotto, all’aspetto e al valore simbolico. In questo modo il cibo diventa in sé insignifican-te, ciò che acquista importanza è il modo nel quale si con-suma, ma soprattutto i valori che veicola: gioventù , vigore, sensualità, opulenza, moda, stile.Oggi parlare di finger food, fast food, slow food, street food e soprattutto food design è diventato di gran moda, ma quello che realmente emerge è che i ritmi accelerati propri del pro-cesso industriale, pronto a dover rifornire costantemente un mercato globale, sembrano andare di pari passo con i ritmi sempre più frenetici del consumatore tipo, il quale trascorre gran parte della propria giornata fuori casa fra la-voro, spostamenti e attività varie, riducendo così al minimo il tempo dedicato ai bisogni primari, primo fra tutti quello del nutrimento. Ci si trova a mangiare pasti frugali in piedi men-tre si cammina, si lavora o addirittura si guida, prendendo il cibo con le mani o servendosi di nuovi invisibili strumenti e utensili; “invisibili” in quanto non li riconosciamo come og-getti dotati di identità propria, ma li associamo unicamente a quel cibo a quel prodotto (basti pensare alle posate usa e getta, che “nascono e muoiono in un sol boccone”). Sempre per mancanza di tempo ci si ritrova ad acquistare pietanze sur-gelate, precotte, pronte da mettere a tavola, che riconosciamo

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Davide Oldani, per esempio, chef milanese che ha fatto tan-tissima esperienza all’estero e che adesso è tornato in Italia, viene chiamato il “designer chef”, proprio perché, in modo olistico, crea un intero universo intorno al suo ristorante, a partire dagli accessori.

BCm: Tornando al discorso sulle forme di produzio-ne e consumo sostenibili, quanto vanno d’accordo il food design e lo slow food, che prima hai nomina-to?IL: Slow food significa buono, giusto e pulito e uno dei principi del food design è che con il cibo non si gioca: il cibo è, come detto, una risorsa scarsa per la maggior parte delle popolazioni mondiali. Per questo motivo “dare forma ad un’esigenza alimentare” significa pensare a qualcosa che sia necessariamente in linea con la sostenibilità.In altre parole non bisogna assolutamente associare il food design al cibo veloce, tanto che ci sono molti designer iscritti a Slow Food. Per quanto riguarda noi stiamo sviluppando an-che un progetto per alcuni parchi, nell’ambito dell’Expo 2015, che si chiama PicNic 2.0 e che prevede l’allestimento di iso-le verdi, nei parchi ciascuna città, in cui ci si possa fermare e rigenerare delle piastre a pannelli solari tramite l’USB del proprio telefonino. L’obiettivo è quello di potersi nutrire allo stesso tempo sia di comunicazione che di “food to walk”.

e scegliamo sugli scaffali non perché prodotte con cibi di sta-gione, maturi e freschi ma perché attirati dal packaging, dalla grafica e dai colori della confezione. Per nostra fortuna però esiste un’altra tendenza per cui l’atto del mangiare non si associa esclusivamente al frettoloso consumo di cui sopra ma ridiventa occasione edonistica di ricerca e condivisione del piacere attraverso i sapori, i profumi e le forme del cibo. Noi oggi ci inseriamo in questo spazio e ci confrontiamo continuamente con modi, tempi e strumenti nuovi per la fruizione del food e con altrettanto nuovi meto-di per produrre, conservare, concepire e presentare il cibo. Ecco che la cultura del progetto, motore indispensabile all’ideazione e allo sviluppo di tutti gli strumenti necessari per soddisfare i bisogni contemporanei, arriva in tavola.

BCm: Gli chef guardano con sospetto le vostre pro-poste, si sentono minacciati dalla vostra presenza, o avete avuto modo di trovare dei punti di convergenza anche con loro, oltre che con i gestori?IL: Quando sono davvero bravi gli chef sono i nostri miglio-ri alleati. L’esperienza del Food Design Studio, per esempio, nasce dall’unione di uno chef e un industrial designer: gli chef più all’avanguardia vedono il nostro servizio come un’occa-sione poiché il progettista con il suo intervento può dare vita a un piatto in grado di esaltare il significato simbolico della ricetta di cucina.

©Picnic 2.0


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