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Date post: 16-Sep-2018
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Gli attimi e gli elementi dell’esistenza A cura di Matteo Urgesi
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Gli attimi e gli

elementi

dell’esistenza

A cura di

Matteo Urgesi

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Capitolo 1: Gli Attimi dell’esistenza

Avete mai immaginato come sarebbe stata la vostra morte? Il nostro protagonista, fin da

quando ha iniziato a parlare, invece, se lo è sempre immaginato. Egli immaginava che la

sua fine sarebbe stata in un giorno di neve su una lastra di ghiaccio, con una ferita d’arma

da fuoco e, soprattutto, la ragazza dei suoi sogni, inginocchiata accanto a lui. In

quest'ultimo punto, si chiedeva chi potesse essere quella "lei". Per tutta la vita l’ha cercata,

pensando di non trovarla mai, ma il destino è imprevedibile e ognuno ne ha un proprio. Il

destino del nostro protagonista, ora, era giunto al termine e tutto era come lo aveva

immaginato, una ferita d’arma da fuoco, neve, una lastra di ghiaccio sotto di se e una

ragazza. Ciò che però non previde fu l’immediato futuro, poiché pensava che ormai fosse

giunta la sua ora. Il nostro protagonista chiuse gli occhi, mentre quella ragazza che era lì

piangeva. Nell’attimo in cui stai per morire, si dice che ricordi tutta la tua vita fino a

quell’istante e dopo non senti, non vedi e non percepisci più nulla, poiché sei diventato

solo un corpo senz’anima. Era così che adesso si sentiva il nostro protagonista, come se

la sua fine fosse sempre più vicina, quindi ricordò gli attimi. Noi uomini non viviamo l’intera

esistenza, bensì singoli attimi, attimi che ci danno la forza di andare avanti ogni singolo

giorno della nostra piccola vita. Erano quegli attimi, quelli che danno forza e speranza che

adesso egli ricordava. Ora, questi attimi gli si paravano davanti come flashback di una vita

intera.

Capitolo 2: Attimo primo, La Famiglia

La storia della nostra vita inizia in un posto e finisce in un altro completamente diverso. Il

nostro protagonista inizia la sua storia in un paesino di provincia, italiano del sud. I suoi

genitori possedevano una casa in una zona di campagna. Una mattina si svegliò e iniziò la

sua routine quotidiana: facendo colazione, lavandosi, vestendosi e andando a scuola.

Aveva capelli neri, ricci, occhiali e vestiva da quelli che gli altri definiscono nerd. Aveva

l’età di diciassette anni e frequentava il terzo anno delle superiori alla scuola di ingegneria

del suo paesino. La scuola non era molto lontana dalla sua abitazione, quindi andava a

piedi. Ogni giorno, doveva sopportare i bulli e il fatto che le ragazze lo notavano solo se le

aiutava. Era, almeno per lui, una vita da schifo, ma immaginava che forse un giorno le

cose sarebbero cambiate. L’unica cosa che lo faceva andare avanti era, sapere che i suoi

genitori erano fieri di lui; che, la sua famiglia lo avrebbe sempre sostenuto in ogni sua

scelta. Lui, questo lo sapeva, ma non era per niente felice di andare avanti in questa

maniera. Voleva, che la sua vita cambiasse, ma non arrivò ciò che si aspettava, ma

qualcosa di migliore. Il suo nome era Bruno Valente, suo padre era Carlo Valente e la

madre era la signora Fatima Manto Valente. Bruno era figlio unico, il che non li dispiaceva,

in quanto a Natale, quando era più piccolo, aveva tutto per se. Aveva una specie di dono,

immaginava avvenimenti e fatti che, però, non si realizzavano mai. Ad esempio, una volta,

partecipò a un concorso, immaginò la vittoria, ma questa non avvenne. Aveva sempre

maledetto questo dono e si era rassegnato a vivere la sua vita in solitudine. Aveva, però,

una famiglia e due amici che lo sostenevano, quindi non era del tutto da solo. La sua

routine finiva con studio, cena e letto. Non usciva molto spesso, perché non adorava il

casino, anzi lo odiava. Sua madre una sera gli chiese: “Bruno, tu sai che ci saremo

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sempre per te, vero?”. Bruno rispose: “Si lo so mamma!”. I due si abbracciarono, ed era

quello il primo degli attimi che ora Bruno, nel momento in cui stava per morire, ricordava.

Capitolo 3: Attimo secondo, L’Amicizia

Bruno aveva due amici che lo sostenevano fin da quando era bambino, un ragazzo

albanese di nome Adhurim Kodra che per gli amici era solo Adù e una ragazza che veniva

da Venezia di nome Lucia Boscolo, per gli amici Luçy. Adù si era trasferito con i suoi

genitori dall’Albania, scappando alla guerra del Kosovo, quando era ancora in fasce. I suoi

genitori comprarono una casa vicino a quella di Bruno e i due ragazzi fecero amicizia. I

bulli insultavano molto spesso Adù per le sue origini ma Bruno lo difendeva e finiva

sempre nei guai. Una volta Adù gli chiese perché lo aiutava e lui gli rispose: “Perché mi

sembra la cosa più giusta da fare”. Luçy invece, veniva da Venezia, conosceva quei due

dalla prima media, i suoi genitori si erano trasferiti, poiché il padre temeva che la città di

Venezia sarebbe sprofondata nel mare. A differenza dei due, Luçy abitava in centro ed

essendo una ragazza abbastanza strana, le compagne la tenevano a debita distanza. Lei

si diceva che, l’importante era la carriera e non gli amici, quindi se ne fregava altamente di

tutto e di tutti. Il padre era un ambasciatore italiano, quindi viaggiava molto spesso e lei

non lo vedeva mai, la madre al contrario era una casalinga che passava le sue giornate

con le amiche a sperperare i soldi del marito. La maggior parte della giornata Luçy, allora,

la trascorreva con il suo maggiordomo e la sua colf, rispettivamente, il signor Cassio e la

signorina Laine. Per lei, oramai abituata, erano loro due la sua famiglia. Un giorno, in

prima media, litigò con una ragazza che pensava di essere la regina della scuola, solo

perché era bella. Le due stavano per avere un confronto all’uscita della scuola e i ragazzi

si misero intorno gridando: “Rissa, rissa, rissa…”. Bruno era nei paraggi con Adù e si fece

spazio tra la folla creatasi per vedere chi fosse. La ragazza atterrò Luçy con un pugno e gli

disse: “Vieni dal nord ecco perché sei scarsa nel combattimento!” seguì una risata

malefica. Luçy stava per contraccambiare quando un ragazzo gli si parò davanti, era

Bruno che chiese gentilmente alla reginetta di lasciare stare Luçy, la ragazza disse: “Ok,

ma ricorda che la prossima volta non ci sarà il tuo ragazzo a salvarti!”. La folla se ne andò

con la reginetta, Bruno si girò verso Luçy e chiese se stava bene, poi li porse la mano ma

Luçy la cacciò con un gesto, si alzò e disse: “Ti chiami Bruno, vero?”. Bruno rispose di sì e

lei continuando disse: “Bene, grazie, ma la prossima volta me la saprò cavare, anche da

sola.” “Non ho bisogno del tuo aiuto!”. Arrabbiata per il gesto compiuto da quel ragazzo,

Luçy se ne andò. Bruno non capiva, il motivo che spingeva quella ragazza a non fidarsi di

nessuno. Voleva indagare su di lei, così chiese aiuto al suo amico Adù; Adù iniziò a

inseguire Luçy e più la pedinava, più capiva le sue ragioni, più se ne innamorava. Un

giorno Adù confessò il suo amore per Luçy a Bruno e gli chiese di aiutarlo. Bruno aveva in

mente un piano per aiutare il suo amico. Il giorno dopo si presentarono nell’hotel dove

alloggiava, il quale era il più famoso della città. Adù sapeva che la sua stanza era una

suite che si trovava al quinto piano, del palazzo. Così i due lasciarono alla reception una

lettera per Luçy firmata in via anonima. Luçy ricevette la lettera e la lesse nella sua suite.

La lettera era in realtà una canzone di Eros Ramazzotti, dal titolo “Io Prima Di Te”. A

Bruno pareva una buona idea, anche perché era il cantante preferito di Luçy o almeno

così credevano. La lettera chiedeva, infine, di incontrarla al parco della zona; insospettita

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della faccenda Luçy andò al parco si sedette su di una panchina e aspettò il suo anonimo

fan. Bruno e Adù erano dietro un albero ad aspettarla, quando la videro entrare si

nascosero per non farsi vedere. Adù era molto imbarazzato e aveva paura così rimase lì a

guardarla, mentre Bruno lo spronava ad avvicinarsi. Passò un'ora e il tempo non

prometteva niente di buono, così Luçy si alzò e se ne andò. Adù era dispiaciuto, ma non

aveva avuto il coraggio di dirgli ciò che provava per lei. Il giorno dopo la videro a scuola

più strana del solito, molto probabilmente aveva pianto. Bruno convinse Adù ad avvicinarsi

e riparare il danno leso. Adù si convinse, si fece forza e coraggio e alla fine si avvicinò a

Luçy e gli chiese come stava e a cosa pensava. Luçy gli disse che non erano affari che lo

riguardassero, allora Adù disse: “Ok, fai come vuoi! Ma noi stiamo per giocare a fiori, frutta

e città, se vuoi unirti sei la benvenuta!”. Luçy rispose seccamente: “Non gioco a giochi di

bambini di due anni!”. Adù rispose: “Va bene, come ho detto prima, fai come vuoi!”. Adù si

sedette al banco e, visto che avevano un’ora di supplenza con un professore che poco gli

importava cosa facessero, iniziarono a giocare. Adù era in vantaggio rispetto a Bruno e

gioiva; vedendoli euforici Luçy sorrise pensando a quanto fossero infantili, ma al contempo

che era quello ciò che gli mancava, cioè una profonda amicizia con qualcuno, non sapeva

ancora se fidarsi o no. Prese una decisione, si avvicinò ai due e chiese di giocare, Adù

contentissimo della notizia accettò e i tre divennero amici. Luçy non venne mai a sapere

dell’amore che Adù provava per lei. D’altro canto ad Adù gli bastava anche solo averla

come amica. I tre continuarono le superiori nell’ambito dell’ingegneria, fino al terzo anno.

Era quello ora il secondo ricordo che Bruno aveva come attimo, l’amicizia.

Capitolo 4: Elemento primo, L’Aria

Per continuare con gli attimi, dobbiamo prima dire cosa è successo quel giorno, cioè il

giorno in cui Bruno morì. Era un venerdì mattina, l’aria era nuvolosa e la nebbia copriva

tutto. Bruno andò a scuola, ora aveva diciassette anni e frequentava il terzo anno di

ingegneria insieme ai suoi due amici Adù e Luçy. Iniziò a piovere e, mentre le gocce

tintinnavano sul vetro della finestra, Bruno guardò fuori, pensando a quanto la sua vita in

quel momento non avesse alcun preciso scopo. Nella classe c’era un casino

inimmaginabile, persone che giocavano a scopa, altre che si divertivano creando modellini

di carta e altre ancora lanciavano oggetti e iniziavano delle battaglie e lì Bruno

immaginava, quei conflitti, come fossero guerre tra nazioni importanti o fra troll ed elfi.

All’improvviso, però arrivò il silenzio, tutti sedettero ai banchi ed entrò dalla porta la

signora Anita Hoffman, per tutti la prof An. An veniva dalla Svizzera si era trasferita col

marito e il figlio dopo che aveva litigato con un importante parlamentare del paese, per

delle avance fatte da quest’ultimo nei suoi confronti. Vestiva sempre elegante aveva dei

capelli biondi ed era abbastanza alta, alcuni studenti ne erano innamorati, quindi non c’era

da sorprendersi che, nonostante l’età di cinquantatré anni, qualcuno le facesse ancora

delle avance. In Svizzera faceva la segretaria del parlamentare, ma si era laureata in

chimica all’università Turincenziss di Zurigo in Svizzera. Arrivata in Italia, è stata ospite

della sorella in quel paesino e ora insegnava ciò che aveva imparato in tutti quegli anni

all’università, cioè chimica. Quell’oggi, però, portava con sé una cartella strana, era rossa,

la mise sopra la cattedra e la aprì, dicendo: “Oggi ragazzi non si farà lezione!". Fece una

pausa e, continuando disse: "Faremo un test!”. La prof vide tutti quanti con la faccia

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stupita, la reazione non fu delle migliori. Un ragazzo si alzò aveva un cappello da rapper e

occhiali da sole, faceva il bullo e si cacciava sempre nei guai, e quel giorno era più

euforico che mai, sicuramente si era fatto o doveva ancora digerire la sbronza presa la

sera prima. Alzandosi disse più sfrontato che mai: “Hei prof! Penso di parlare a nome di

tutti, non siamo preparati ad un test idiota da fare!”. Seguì una risata da parte dei

compagni. Lo studente poi proseguì dicendo: “Quindi le consiglio di ficcarseli in quel posto,

se capisce cosa intendo!”. Seguì un'altra risata ed uno dei suoi amici gli disse: “Ah ah,

bravo! Così si fa amico!”. I due si diedero un cinque con la mano destra e stavano per

controbattere, quando all’improvviso si viderò davanti la loro prof più arrabbiata che mai, la

quale, lì spedì in presidenza. La prof continuò dicendo: “Non gli ho fatti io questi test, ma

bensì il preside, quindi vedete di farmi fare buona figura! Intesi?” La classe rispose

all’unisono: “Si prof!”. Il test riguardava chimica e matematica in generale, erano venti

domande a scelta multipla e la prof si assicurava che i suoi studenti non copiassero. Alla

fine dell’ora, la prof prese i fogli e si mise subito a correggerli, poi li prese e andò fuori

dicendo ai suoi studenti: “Ragazzi, io mi assenterò dieci minuti, non fate casino, mi

raccomando!”. Si sa, però, che quando il gatto non c’è i topi ballano e quindi i ragazzi

iniziarono a far festa, continuando a giocare con palline di carta, fogli di aereoplanini e

oggetti pericolosi. All’improvviso si bloccarono, la porta si spalancò ed entrarono due

figure, erano i due compagni che l’ora prima la prof aveva spedito dal preside. Più furiosi

che mai, iniziarono a far baldoria e dissero: “Ah.. Quasi dimenticavamo Bruno, Sofia, vi

vuole il preside, forse siete nei guai ah ah!”. I due si guardarono, non capendo, si alzarono

e andarono dal preside. Sofia era un’atea con capelli color castani, occhi neri, aveva una

statura di un metro e sessantasette, mentre Bruno era un metro e settantatré, quindi era

più alto di lei. Sofia aveva un padre di origini ebraiche e una madre italiana mussulmana, il

padre aveva esplorato il mondo e si era innamorato dell’Italia e di sua moglie, perché era

uno dei rabbini più illustri del momento e ripudiava la guerra che si stava svolgendo nel

suo paese natio. Viaggiando per il mondo ha scoperto che nei paesi, diversi dal suo,

esiste l’uguaglianza tra le persone senza distinzioni di razza o religione. Innamoratosi di

una signora italiana di quel paesino, decise di sposarla, ma lei era di una religione diversa,

però trovò lo stesso un sistema. Dal loro amore nacque Sofia che ora studiava in quella

scuola, non aveva molti amici e adorava rimanere da sola senza che nessuno la

distraesse dal suo sogno. Ora i due camminarono per il corridoio e videro la porta del

preside aprirsi, ne uscì la signora An dicendo: “Finalmente ragazzi, su dai, il preside vi

aspetta!”. I ragazzi entrarono, la prof chiuse la porta dietro di loro e andò nella classe,

dove mise in punizione tutti con un tema su Einstein e la teoria della relatività. Entrati nella

stanza, i due ragazzi si sedettero, il preside aveva una di quelle sedie che si girano su se

stesse e da lì guardava il cortile della sua scuola. Si girò e disse: “Ragazzi, abbiamo un

problema!”. I ragazzi chiesero in che senso e lui, continuando, disse: “Voi, avete copiato?”.

I ragazzi risposero all’unisono con un “no” secco, il preside continuò: “Allora, spiegatemi

questo!”. Il preside uscì i fogli del test e i due videro che lo avevano superato, facendo un

singolo errore, ma quello che li sorprese fu che l’errore era lo stesso. Bruno, a questo

punto, disse: “Signor Preside, le posso assicurare che è impossibile!”. Il preside si

spazientì e disse: “M’illumini allora signor Valente!”. Bruno rispose: “Punto primo, io ero

lontano dal banco di Sofia ed era impossibile per entrambi sbirciare; punto secondo, io

non porto telefono né mezzi di comunicazione, poiché li uso fuori di qua; e punto terzo,

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non sono un tipo disonesto e non credo che Sofia lo sia!”. Il preside lo squadrò e disse:

“Tu hai perfettamente ragione e, infatti, so perfettamente che nessuno di voi ha copiato!”.

Bruno rimase sconcertato, non capiva perché si trovassero lì, così lo chiese. Il preside si

alzò e disse: “Siete comodi?”. I ragazzi risposero con un cenno di assenso e poi chiesero

del perché di tale domanda e il preside disse: “Bene!”. All’improvviso il pavimento si aprì e

le sedie caddero nel vuoto insieme ai due ragazzi. Si sentì un urlo e poi il silenzio come in

un vuoto d’aria.

Capitolo 5: Elemento secondo, La Terra

Bruno si risvegliò, era atterrato con le mani e adesso cercava di rialzarsi, il suo primo

pensiero fu a Sofia, così iniziò a urlare il suo nome, ma senza avere risposta.

All’improvviso sentì una voce che lo chiamava da lontano, corse verso la voce e vi trovò

Sofia, la quale, a suo dire, si era rotta una caviglia. Il luogo era buio, Bruno rialzò Sofia e la

portò, dove c’era un po’ di luce data da un led a intermittenza. La poggiò a terra e le

guardò la gamba, ma delle figure uscirono dal buio e lo presero alle spalle, cercò di

dimenarsi, ma non ci riuscì e poi lo vide, un uomo alto si avvicinò a Sofia, mise una mano

a terra e chiuse gli occhi. Bruno non riusciva a vederlo bene in viso, ma non per la poca

luce, bensì perché indossava una maschera. Il terreno sotto di quell’uomo iniziò a tremare

e Sofia fu inghiottita. Bruno cercò di liberarsi dalla stretta, ma fu inutile, i due uomini dietro

di lui lo portarono via e quell’uomo sparì nel nulla, portandosi via Sofia. I due uomini

portarono Bruno in una stanza e lo rinchiusero sbattendolo a terra. Chiusero la porta e

Bruno sentì lo scricchiolio irritante e il rumore delle chiavi. Si rese conto di trovarsi in una

sala fatta di vetro con niente all’interno tranne un’altra luce a led sul soffitto. All’improvviso

sentì un rumore di passi lenti e costanti che si avvicinavano sempre di più, finche non si

fermarono e lì, dal buio sbucarono tre uomini, due erano abbastanza muscolosi, invece,

quello al centro era vestito in maniera più elegante, giacca grigia, che nascondeva una

camicia bianca ed una cravatta rossa, pantaloni grigi, scarpe nere, dei baffi e un cappello

che si intonava coi vestiti, aveva, infine, occhi marroni e capelli neri e corti. Con un

accento italiano dialettale disse: “Ti docu lu benvetu a qa!” “So ca tu sint nu brav

picciruddu!” “E, se mada rispond, io non tagghi cit!” “Magghi spiegat signorin?” Bruno

comprendeva poco il dialetto, ma aveva capito perfettamente, ciò che voleva quell’uomo e

ora non li rimaneva che stare alle richieste di quella specie di gangster. Quest’ultimo,

continuando disse: “Ok, picciruddu, io sonto Carlo Tagliano, mi chiaman accussì piccè

sontu brav a sgozzà le cap a li pirsun!” “Chiss a qa sont man d fer e ped d puerk!” “Iun si

chiam d’accussi piccè et nu pugile d’intra-strada. Laat ad andovinà piccè si chiam

d’accussi!” Bruno azzardò una risposta dicendo: “Perché era una promessa del calcio?”.

Carlo rispose: “No! Nu non né facim promiss allu calcio! Iid si chiam d’accussi piccè ten nu

problem seri all’aiam, iid ten nu com si chiam?”. L’uomo muscoloso disse con voce roca:

“Si chiam protesi signo!”. Carlo continuò: “Né ma capisciut picciruddu, quindi statt’attient e

rispondm, altrimenti t shstak chedda cap ca tien e la doc in pasht alli can, né ma

capisciut?”. Bruno assentì e Carlo iniziò a interrogarlo, poi si girò verso i suoi uomini e

disse: “Picciotti mu pigghiat u ragaz e scittatu inda mar.” I due si avvicinarono alla porta e

Bruno disse: “Ma io ho risposto a ogni sua domanda, perché vuole farmi questo?”. Carlo

non rispose, preferì andarsene e Bruno fu portato via da mani possenti come la terra.

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Capitolo 6: Elemento terzo, L’Acqua

Sofia si risvegliò e la prima cosa che sentiva adesso, era il forte odore di alcool utilizzato

negli ospedali. Aprì gli occhi e pensò che tutto ciò che era successo fosse solo un incubo,

ma, appena si mise supina, sul letto incrociò lo sguardo con un uomo alto. Sofia lo

riconobbe immediatamente, era lo stesso uomo che qualche istante prima l’aveva fatta

risucchiare dal terreno. Vestiva una tuta verde fatta di un materiale alquanto strano,

portava una maschera che sembrava fatta di pietre e delle scarpe che si abbinavano alla

tuta. Con una voce profonda disse in un italiano perfetto: “Vedo che ti sei svegliata!” “Io

sono Leo Santoro, ma puoi chiamarmi Leo!”. Leo li porse la mano ma Sofia non si fidava

di lui, così il cavaliere della terra disse: “Non ti devi prendere paura di me, sono un umano

come lo sei tu!”. Sofia voleva informazioni di Bruno, quindi chiese, dove si trovasse e Leo

rispose: “Il tuo amico è nella stanza qui accanto e sta riposando”. Sofia a questo punto

disse: “Voglio vederlo immediatamente!”. Detto questo, si alzò dal letto e si avvicinò alla

porta, ma la trovò chiusa a chiave, fu lì che si accorse di portare solo un pigiama da

paziente. Leo le disse: “È inutile che cerchi di scappare, la porta è chiusa a chiave e se

non l’hai ancora capito, sei mia prigioniera!”.

Nel frattempo Luçy e Adù incominciarono a preoccuparsi per i loro compagni, così Luçy

volle indagare. Andarono dal preside, ma costui disse che se ne erano andati da un bel pò

di tempo, così andarono a casa di Bruno, ma i genitori non lo avevano visto e iniziavano a

preoccuparsi. Luçy li rassicurò e gli disse che avrebbe ritrovato Bruno. Camminarono per

la città, quando, all’improvviso, sentirono le sirene della polizia. Luçy disse ad Adù che

poteva essere un indizio, così seguirono le auto con le loro bici e arrivarono vicino a

un’abitazione. Questa si ergeva maestosa come un castello, aveva un cancello color nero,

ora aperto per le auto della polizia, un viale di pini e infondo una villa. Una volta dentro,

Luçy e Adù si nascosero, videro uscire dall’auto il comandante dei carabinieri del paesino,

Oronzo Baschi, per tutti il comandante Baschi. Luçy e Adù si avvicinarono alla casa e

sbirciarono dalla finestra, ascoltando la conversazione tra Baschi e una signora. Luçy,

riconobbe subito la signora, l’aveva già vista ai colloqui della scuola. Adù disse a bassa

voce a Luçy: “Ma quella non è la signora Mahlberg, la madre di Sofia?”. Luçy disse: “Sì,

ma ora fai silenzio, vediamo cosa dice, potrebbe darci informazioni per trovare Bruno!”,

Adù fece un segno di assenso e i due rimasero all’ascolto.

L’interno della villa era molto caratteristico, con una scala teatrale, che conduceva ai piani

superiori e tre stanze inferiori; la cucina, dove cinque cuochi preparavano i pasti, la sala da

pranzo, dove, la famiglia Mahlberg, faceva colazione, pranzo e cena, e il salotto, dove la

signora ora stava piangendo. La signora Mahlberg aveva l’età di quarantotto anni, capelli

corti e rossi e un fisico abbastanza robusto, vestiva sempre abiti alla moda né troppo

ricchi, né troppo poveri. Il comandante Baschi, invece aveva quarant’anni, era alto, aveva

capelli castani folti e dei baffi, era sempre vestito in borghese, odiava le divise da lavoro.

Quel giorno aveva una giacca lunga, scarpe nere, pantaloni neri e una camicia blu. Entrò

dalla porta principale, con due uomini alle spalle, gli lasciò a sorvegliare la porta e si

addentrò nel salotto, dove ebbe l’incontro con la signora Mahlberg. Baschi disse: “Mi

dispiace per ciò che le capitato?” “Vuole del tempo prima di rispondere?”. La signora

rispose: “Non si preoccupi, dica pure!”. Baschi allora continuò: “Bene, sa chi può avercela

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con suo marito?”. La signora scoppiò in lacrime e rispose: “Non ne ho la minima idea!”

“Era un brav’uomo nessuno lo voleva morto!”.

Luçy e Adù ascoltarono la conversazione e furono sorpresi, a quanto pareva il padre di

Sofia era morto, la sua auto era stata trovata nel fiume con il suo cadavere. Baschi chiese

alla signora, se sua figlia sapeva qualcosa. La madre, pur non sapendo dove si trovasse,

non ne era preoccupata, poiché la figlia era solita a tornare la sera tardi, poiché passava

tutto il tempo all’osservatorio del paesino e ne informò il comandante. Sentito ciò, Luçy e

Adù, si diressero all’osservatorio, con le loro bici. Arrivati, rimasero stupefatti delle

dimensioni interne, le sale erano piene di raffigurazioni e opere dell’ingegneria spaziale.

Trovarono poche persone, all’interno, per lo più turisti. Una guida donna, li portava in giro

per l’osservatorio, parlava in inglese e spiegava ai turisti tutte le meraviglie di quel posto.

Luçy si avvicinò alla guida e le chiese se conosceva Sofia, questi le disse, in un italiano

perfetto, che la conosceva. Adù si avvicinò anche lui e chiese: “Ci sa dire dove la

possiamo trovare?”. La guida rispose: “Mmmh…, fatemi pensare, oggi non lo vista, ma di

solito è al piano di sopra, le piace guardare le stelle!”. I due ringraziarono la guida, salirono

le scale e si ritrovarono in una stanza, con una sola luce, un tavolo, con una sedia, dietro

una cartina geografica dello spazio, e un telescopio gigantesco. Adù guardò all’interno del

telescopio e disse: “Luçy, guarda qui, è spettacolare!”; Luçy rispose: “Non è il momento,

dobbiamo trovare Bruno e Sofia e informarli che il padre di Sofia è morto”. Adù pensò che

avrebbe voluto essere lì con Luçy in un momento migliore, ma lei aveva ragione,

dovevano trovare i loro compagni.

La signorina Cassandra Veri, aveva viaggiato per tutto il mondo e una volta partecipò a

una missione nello spazio, per riparare un satellite di un’importante azienda televisiva.

Tornata a terra decise di terminare la sua carriera nel suo paesino natio, facendo la guida

nell’osservatorio dove si era innamorata dello spazio. Con i viaggi nel mondo, aveva

imparato a parlare otto lingue: Turco, Cinese, Russo, Francese, Inglese, Creolo Haitiano,

Finlandese e Arabo. Portava sempre i capelli a coda di cavallo, un cappello blu e una tuta

da guida, con scarpe da ginnastica. Aveva conosciuto Sofia, nell’osservatorio e ogni volta

che la osservava, gli ricordava lei quando era bambina. Le due erano diventate come

sorelle e ogni giorno Sofia la andava a trovare, tranne quell’oggi. Mentre, però si dirigeva

con i suoi turisti, che non erano sempre molti, vide un ragazzino entrare dall’ingresso e

avvicinarsi, verso di lei, era vestito con una tuta blu, scarpe blu ed una maschera da ninja

blu. Dalla poca pelle sotto gli occhi, Cassandra, capì che era un ragazzino di colore nero.

Questi si avvicinò e disse: “Signora Cassandra ha visto due ragazzi dirigersi qui?”.

Cassandra pensò che doveva essere un amico dei due ragazzi che, qualche istante prima,

avevano chiesto di Sofia, così gli disse che erano andati al telescopio. Il ragazzino la

ringraziò e poi mise le mani a terra, Cassandra sentì un tonfo e vide qualcosa che non si

sarebbe mai aspettato in tutta la sua vita.

Luçy e Adù erano in cerca d’indizi, quando sentirono un tonfo venire dal basso. Adù prese

la decisione e andò a controllare, dopo due istanti ritornò all’interno della stanza e disse a

Luçy: “Vieni a vedere, è successo qualcosa che ha dell’incredibile!”. Senza capire Adù,

Luçy si avvicinò alle scale e rimase con gli occhi spalancati. Il primo piano era invaso

dall’acqua.

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I turisti galleggiavano, tenendosi sulla ringhiera della scala; Cassandra era con loro e vide

uscire i due ragazzi, il suo pensiero fu di dire “scappate”, ma non riusciva a proferire

neanche una parola era bloccata dallo shock. Il ragazzino con la tuta, ora, camminava

sull’acqua, come se fosse un dio, prese le scale e raggiunse i ragazzi. Una volta vicino

disse: “Io sono Abasi Ousmane, ma mi potete chiamare Aby, sono qui per uccidervi, siete

pronti a morire?”. Luçy afferrò per un braccio Adù e lo portò nell’osservatorio, poi sbarrò la

porta e spinsero il tavolo per bloccarla. Aby disse: “È inutile scappare !” “Accettate la

vostra morte!”. Adù vide una presa d’aria, ma era troppo piccola per lui, mentre Luçy ci

poteva passare benissimo, così disse: “Vedi quella?” “Bene vai dentro e scappa via!”. Luçy

controbatté: “E tu, che farai, nel frattempo?” “Non ti posso lasciare mica qui!”. Adù prese

una decisione, disse: “Luçy, hai visto cosa può fare quello?” “Oltre a camminare

sull’acqua, credo anche che sia stato lui a invadere il piano, non so ancora come!” “Ma ho

preso una decisione e se dobbiamo morire, ti devo confessare una cosa!”. La porta fece

per aprirsi tre volte, spalancandosi del tutto alla terza. Aby entrò e disse: “Ci sei solo tu!”

“Dov’è la ragazza?”; Adù rispose: “Al sicuro, lontana da te!”.

Luçy si trovava nella presa d’aria e con sua grande sorpresa c’era un cunicolo, pieno di

strade che portavano all’interno dell’osservatorio. Rimase a guardare la scena, Adù prese

una riga e minacciava il suo aggressore, questi aprì il palmo della mano dal quale uscì

dell’acqua che colpì Adù. Aby disse: “Bene!” “Se non mi vuoi dire dov’è, riempirò

l’osservatorio d’acqua e tutti morirete!”; Adù agonizzante a terra si rivolse alla presa d’aria

e disse con poca voce: “Scappa!”. Luçy non se lo fece ripetere due volte, corse a gattoni

via per i cunicoli e si ritrovò sul soffitto del primo piano, dove da una griglia vide l’acqua del

piano crescere a dismisura e che ora toccava il soffitto. Dopo sentì un rumore, vide l’acqua

entrare dal cunicolo di dietro e dalla griglia. Iniziò a correre gattonando, ma l’acqua fu più

veloce di lei. Luçy fu travolta e finì nelle fognature, l’acqua era troppo forte nel tombino e

non riusciva a galleggiare. Il fiume della fogna la portava sempre più lontano, finché non si

accorse, che finiva in una cascata. Gridò aiuto, ma non servì, pensava che ormai fosse

giunta la sua ora. Luçy stava per cadere nel vuoto, ma una mano le prese il braccio

destro e Luçy fu portata sul marciapiede sotterraneo. La persona che l’aveva salvata

aveva un volto familiare, ma era troppo sotto choc per capire chi era.

Il comandante Baschi arrivò sul posto, quando i suoi uomini lo avevano informato che un

ragazzino vestito in tuta blu aveva invaso l’osservatorio della città d’acqua, ma la signorina

Cassandra era riuscita a nuotare sott’acqua e ad aprire le porte, facendo scorrere via

l’acqua. Il ragazzino era sparito, con una certa Luçy e un ragazzo albanese del posto, era

in ospedale in condizioni critiche, a quanto pareva, aveva ingerito una sostanziosa

quantità d’acqua. Il comandante voleva vederci chiaro, così iniziò a indagare, trovando un

elemento comune con un uomo che conosceva. Si diresse su di un palazzo e disse: “Lo

so che sei qui, Cavaliere!”. Un uomo apparve dal nulla e disse: “Ciao Baschi, come stai?”.

Baschi rispose: “Bene, ma abbiamo un problema e vorrei che te ne occupassi tu!”. Il

Cavaliere disse: “Ok, spara!”. Baschi raccontò cosa era successo e il Cavaliere disse:

“Bene da questo momento ci penso io, voi non vi intromettete!”. Baschi disse: “Si,

signore!”. Il Cavaliere svanì e Baschi si disse: “Chissà se riuscirà a capire il mistero

dell’acqua!”.

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Capitolo 7: Elemento quarto, Il Fuoco

Erano da poco le due di notte e non vedendo arrivare suo figlio, la Signora Valente, prese

il cordless e iniziò a comporre il numero della polizia. Appena premette l’uno, però,

qualcuno gli puntò un’arma dietro la schiena dicendo: “Io non mi muoverei se fossi in lei!”.

La voce sghignazzò e la signora Valente rimase impietrita, non riusciva a muovere

neanche un muscolo per reagire. Il marito tornò a casa, aprì la porta e disse: “Amore, sono

qui!”. La signora iniziò a piangere e disse: “Non fare del male a lui, ti prego!”. Il rapitore

non gli diede ascolto, la colpì alla testa con la pistola e si addentrò nel corridoio. Il marito,

sentito il rumore, si addentrò anch’egli nel corridoio, ma il rapitore sparò un colpo. Il signor

Valente chiuse gli occhi, pensando che fosse giunta la sua ora, ma non sentiva dolore.

Così decise di riaprirli e vide dinanzi a se un uomo, vestito con un abito nero, fatto

probabilmente di ferro, indossava anche un elmo. L’uomo si girò verso di lui e disse: “Tutto

bene, signor Valente?”. Carlo Valente, in tutta la sua vita, non aveva mai visto niente di

simile ed era per lo più sconcertato, non sapeva cosa dire. L’uomo si girò e disse: “Vada

signor Valente!” “A lui ci penso io!”. Il signor Valente si addentrò in cucina e iniziò a

comporre il numero della polizia.

Nel suo studio, il comandante Baschi, era concentrato sulla morte di Mahlberg e guardava

gli indizi in cerca di prove. Bussarono alla porta, il comandante acconsentì l’ingresso ed

entrò una ragazza italiana con la divisa da polizia, occhi celesti capelli lisci e rossi, che

disse: “Signore ho ricevuto una chiamata, proveniva dalla casa del signor Valente” “La

cosa strana era che il signor Valente ha detto che un cavaliere lo ha salvato, ma ha

lasciato un cadavere nel suo appartamento e sua moglie svenuta!” “Ho mandato una

pattuglia e ho chiamato un ambulanza!” “Credo che l’alcol abbia giocato brutti scherzi al

signor Valente!”. Il comandante prese una decisione e chiese chi era l’uomo morto, la

ragazza proseguì dicendo: “A quanto pare l’uomo morto è Carlo Tagliano, il boss della

malavita che stavamo cercando!”. Il comandante si alzò dalla sedia e disse: “Cosa?” “Mi

ascolti molto attentamente, Stefany, so chi ha fatto questo e ora ci penso io!” “Non faccia

arrestare il signor Valente, lui non c’entra niente con questa storia!”. Stefany acconsentì e

si congedò, uscì dalla porta e diede disposizioni alla pattuglia arrivata nella casa Valente.

Il comandante telefonò a un suo vecchio amico e disse: “Carlo Tagliano è morto!” “Ora

cosa faccio signore?”. Dall’altra parte una voce profonda disse: “Non si preoccupi, è tutto

in regola!” “Lei deve solo trovare il responsabile della morte del signor Mahlberg, al resto

penseremo noi!”. Baschi chiuse la telefonata e continuò a scavare nella vita del signor

Mahlberg; quando, all’improvviso la vide, una gigantesca palla di fuoco si stava per

scagliare nella finestra dell’edificio. Il comandante uscì dalla porta e gridò: “Tutti a terra!”;

un’esplosione invase la stanza, colpendo le altre. L’edificio era al ventesimo piano di un

grattacielo di trenta e le persone sotto videro una figura rossa vicino all’edificio, pensando

fosse un mago, lo fecero continuare a fluttuare in quella zona, ma, senza preavviso, la

figura materializzò una gigantesca palla di fuoco dal nulla e l’aveva scagliata contro la

vetrata. Tutti rimasero a bocca aperta, la figura scomparve immediatamente e tutti

chiamarono i vigili del fuoco della zona, che accorsero dopo soli dieci minuti. Mentre i

pompieri erano intenti nello spegnere l’incendio, sull’edificio, la figura si alzò da terra;

qualche minuto prima qualcosa l’aveva scaraventata sul tetto dell’edificio e ora la

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osservava. La figura disse: “Cosa guardi?”; l’altro disse: “Te, guardo come sei diventata

Sofia!”. Sofia scoppiò a ridere e disse: “Sono finalmente ciò che volevo!” “Invece tu chi sei

e come fai a conoscermi?”. L’altro la guardò negli occhi e decise di risponderle: “Questa

città mi chiama il Cavaliere della notte!” “Quindi, mi puoi chiamare così se vuoi!”. Sofia

rispose: “Ah ho capito chi sei!” “Sei quell’idiota che va in giro travestito da Cavaliere e

importuna le vecchiette!”. Il Cavaliere in un primo momento non capiva a cosa illudeva

Sofia, poi, d’un tratto, ricordò che, una settimana prima, aveva salvato una vecchietta dallo

scippo di una borsa; ma, questi non lo aveva ringraziato, bensì lo aveva picchiato con la

borsa e il giorno dopo lo aveva denunciato alla polizia e al giornale locale. Il Cavaliere,

spazientito per quella storia, disse: “Se lo vuoi sapere, ho salvato quella vecchietta dal

rapinatore!”. Sofia iniziò ad arrabbiarsi e piangendo disse: “Tu, però, non hai salvato mio

padre!”. Un’esplosione di luce invase il tetto, il Cavaliere volò via e dall’alto disse: “Sofia,

questa non sei tu!” “Ti stanno manipolando, ti hanno fatto il lavaggio del cervello”. Sofia

era ancora più arrabbiata e gridò: “Tu non sei nessuno per giudicarmi!”. Congiunse i pugni

e fece uscire il fuoco che colpì il Cavaliere, ma questi lo fermò con la mano e iniziò uno

scontro tra i due fuochi.

Capitolo 8: Elemento quinto, La Forza

Luçy si risvegliò di sobbalzo credendo di aver avuto un brutto incubo. La prima cosa che la

sorprese fu la poca luce che emanava un fuoco, lì accanto a lei. Si alzò e si rese conto di

non trovarsi nel suo bel letto lussuoso, ma sulla pietra. La luce era data da un bidone della

spazzatura che stava prendendo fuoco. Aveva sempre i suoi vestiti, quindi, anche se si

trovava per strada, aveva capito che nessuno le aveva fatto del male. Un uomo si

avvicinò, era un barbone che si voleva riscaldare al fuoco. Mise le mani sul fuoco e poi

disse: “Ragazzina che ci fai qui?” “Lo sai?” “Questo non è un posto adatto a una ragazzina

come te!”. Luçy aveva già visto quell’espressione, era quella che molte volte i poveri gli

rivolgevano, quando andava a fare shopping con la colf Laine. Spazientita per quello

sguardo, disse al barbone: “Lei non sa cosa significa essere figli di gente ricca!” “Si guardi,

non ha neanche un soldo!”. Il barbone stava per tirargli uno schiaffo, ma un uomo

incappucciato lo fermò appena in tempo e lo guardò dritto negli occhi. Il barbone corse via,

più veloce che poteva. L’uomo incappucciato si girò e disse: “Non te la devi prendere con

le persone più povere di te ragazzina!”. Luçy con voce arrabbiata disse: “Io non sono una

ragazzina e poi chi è lei per dirmi questo?”. L’uomo incappucciato si tolse il cappuccio e lì

Luçy lo riconobbe, disse: “Non posso crederci, Sam!”.

Stefany guardava dalla vetrata il suo comandante che combatteva con la morte. Dalla

stanza uscì un medico che le disse: “Mi spiace informarla, che non sappiamo quanto

ancora resisterà!” “Le ustioni sul suo corpo sono troppo alte!” “Abbiamo fatto il possibile,

se riuscirà a sopravvivere alla notte, allora sarà salvo, altrimenti…”. Stefany scoppio in

lacrime e disse: “Sa, non è la prima volta che mi salva la vita!”. Stefany rammentò il

ricordo di quando fu la prima volta. Si sedette su di una panchina dell’ospedale e iniziò a

ricordare che, quando aveva solo quattordici anni, era finita in un giro di prostituzione

minorile. Il comandante arrestò i colpevoli e lei fu mandata in un orfanotrofio. Nessuno la

voleva per il suo passato e i suoi vecchi genitori erano in prigione per complicità nella

prostituzione. Il comandante, allora la accolse in casa sua e la addestrò per diventare una

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poliziotta, lei ce la mise tutta per ricambiarli il favore, ma adesso lui l’aveva salvata una

seconda volta, con il suo corpo l’aveva protetta dal fuoco e ora era su di un filo sospeso

tra la vita e la morte.

Sul tetto del grattacielo della polizia, la lotta tra Sofia e il Cavaliere continuava senza

sosta, lei vestita di una tuta rossa e una maschera sugli occhi color oro, lui vestito di

un’armatura di acciaio con un elmo in testa e una spada dietro la schiena. Il Cavaliere,

però, preferiva utilizzare i suoi poteri, poiché il suo capo voleva Sofia viva. Mentre

lottavano fuoco contro fuoco, una figura apparve dal nulla e tirò un pugno al Cavaliere, il

quale, finì a terra, si rialzò e lo vide, un ragazzo lo osservava volando dall’alto. Aveva una

tuta bianca e una maschera di tale colore, il Cavaliere sapeva chi era e disse: “Ben

arrivato Bruno!” “Perché ci hai messo tanto?”. Bruno, da sopra, rispose: “Ora assaggerai la

mia ira!”. Il Cavaliere era pronto per affrontarlo, ma fu circondato da altre cinque figure,

rispettivamente: Sofia, Leo, Aby e due ragazzi che non conosceva; uno era magro e

vestito di grigio con una maschera da ninja e l’altro vestito con un’armatura fatta di pietra.

Quest’ultimo era gigantesco, si mosse verso di lui e lo colpì; il Cavaliere ricordò che una

volta fu atterrato da un pugno simile, ma non se lo aspettava lì. Il gigante disse: “Tu sei un

uomo morto!” “Io sono Anatolio Ferri e tu sei un uomo morto!”. Il Cavaliere chiese:

“Perché?” “Vedi che ne ho affrontati di peggiori!”. Anatolio rispose: “Farai poco lo spiritoso

dopo che ti avrò ridotto a un colabrodo!”. Fece una pausa e disse: “Perché, io sono la

forza!”.

Capitolo 9: Elemento sesto, La Velocità

Sam camminava per le strade del paese con Luçy, quando passava, tutti avevano timore

di lui e scappavano via. Luçy non capiva, così chiese: “Come mai tutti scappano, quando ti

vedono?”. Sam rispose: “Perché non vedono me, ma il loro peggiore incubo!”. Luçy non

capiva: “Se loro vedono il loro peggiore incubo, perché io vedo il solito e vecchio Sam?”.

Sam rispose: “Perché lo voglio io!”. Luçy pensava che il suo vecchio amico fosse uscito

pazzo, ma per una volta era felice di stare fuori di casa con qualcuno che conosceva. Ora,

però, voleva sapere, dove andavano, così chiese e Sam rispose: “Stiamo andando

all’obitorio”. Luçy disse: “Dove?”. Sam rispose: “L’obitorio!” “Quel luogo, dove sono portati i

morti per fare le autopsie!”. Luçy sbuffando disse: “So cos’è un obitorio!” “Quello che non

so è perché ci stiamo andando!”. Sam rispose: “Per capire le cause della morte di un mio

vecchio amico!”. Luçy, per timore che fosse Adù o Bruno, chiese: “Quanti anni ha questo

tuo vecchio amico?”. Sam ci pensò su e poi disse: “All’incirca quaranta, perché?”. Luçy,

non sapendo che dire, rispose: “No, niente, tanto per sapere ecco…!”.

Stefany era vicino al letto del suo comandante, il quale, combatteva tra la vita e la morte.

Bussarono alla porta e chiesero permesso, Stefany riconobbe la voce della persona e gli

concesse il permesso di entrare. Una donna mora e di origine africana, entrò dalla porta;

aveva una maglietta grigia e una gonna color verde che faceva vedere le calze e le scarpe

nere con un tacco alto sei centimetri. I capelli erano castani e lisci, mentre, gli occhi erano

neri; portava una borsa verde e, vicino a lei c’era un bambino, anch’egli di origine africana.

Costui aveva capelli ricci e neri, occhi castani e all’incirca tredici anni, una maglietta blu,

pantaloni grigi e scarpe nere della nike. La signora chiese: “Come sta?”. Stefany si

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avvicino alla donna e le disse, ciò che, il medico, le aveva detto poco prima, le due si

abbracciarono e il bambino andò vicino al letto e disse: “Ti prego resisti, papà!”.

Il coroner Geremia D’Agostino, aveva preso la sua giacca, chiuso la porta e si stava per

avviare verso il corridoio dell’uscita. Aveva l’età di cinquantatré anni circa, un viso non

troppo vecchio e un corpo robusto, capelli grigi, occhi verdi e vestiva un completo marrone

con un cappello e una giacca. A metà strada, però, si fermò, vide due figure avvicinarsi

verso di lui e chiese: “Chi va là?”. La figura più alta rispose: “Jeremy sono Sam!”. Geremia

sapeva che solo una persona al mondo, oltre il comandante Baschi, lo chiamava così.

Jeremy rispose: “Sam!” “Da quanto tempo!”. Il coroner raggiunse i due e poi chiese: “Chi è

questa ragazzina, tua figlia?”. Sam voleva vedere il corpo del suo amico e rimaneva poco

tempo, ormai quindi rispose: “No, è la figlia di un mio amico!” “Spero che l’obitorio non sia

chiuso, dovrei vedere un corpo!”. Jeremy incominciò a insospettirsi, ma se si trattava di

Sam, le cose non erano mai normali, e lui lo aveva imparato a sue spese, così disse: “Per

te, mio amico, questo posto è sempre aperto!” “Tu, invece, ragazzina, pensi di sopportare

la vista di un cadavere?”. Luçy rispose: “Ho visto di peggio stanotte!”. Il coroner, porse la

mano e disse: “Come vuoi!” “Ricorda però che io ti ho avvisata!” “Sono Geremia

D’Agostino, ma puoi chiamarmi anche Jeremy!”. Luçy strinse la mano e disse: “Piacere,

Jeremy, io sono Lucia Boscolo, ma puoi chiamarmi Luçy”. Il coroner si diresse verso la

porta e i due lo seguirono.

Il Cavaliere, sul tetto del palazzo, combatteva contro il gigante Anatolio, i due lottavano e,

nonostante la massa, Anatolio si muoveva abbastanza velocemente. Il Cavaliere gli prese

la mano destra, il gomito, lo tirò in alto e lo atterrò. Il tetto si frantumò e iniziò a crollare, ma

si arrestò dopo pochi attimi. Il Cavaliere disse: “Su avanti chi è il prossimo?”. Bruno, Sofia,

Leo e Aby lo circondarono e dissero all’unisono: “Preparati a morire!”. L’uomo magro,

vestito di grigio, si avvicinò a una velocità sorprendente, colpì allo stomaco il Cavaliere. Gli

altri nel frattempo, misero le mani dinanzi a loro e Bruno uscì una sfera d’aria, Sofia una

sfera di fuoco, Leo una sfera di terra e Aby una sfera d’acqua. L’uomo magro colpiva il

cavaliere a una velocità sorprendente, si fermò e disse: “Finitelo ragazzi!”. Gli altri tirarono

le sfere e il Cavaliere, non fece in tempo a evitarle, il tetto esplose e la gente sotto scappò

dalla paura. Bruno e gli altri guardarono il tetto e si misero alla ricerca del corpo, senza

però trovarlo. L’uomo magro e grigio si mise all’opera e, non trovandolo, disse: “Ce

l’abbiamo fatta!” “Lo abbiamo disintegrato, quel buono a nulla!”. Tutti festeggiarono, ma da

dietro una voce disse: “Io non canterei vittoria se fossi in voi!”. L’uomo grigio si girò e

disse: “Guarda, guarda chi si vede!” “Ciao Sam io sono Daisetsu Nakamura, ma puoi

chiamarmi Des, colui che ha sconfitto il Cavaliere!”. Sam non ne era tanto convinto, così

disse: “Sentiamo un po’, con cosa lo hai sconfitto?”. Des rispose: “Che domande!”. Fece

una pausa e poi continuò: “Con la mia super velocità!”. Seguì una grossa risata, poi il

gruppo circondò Sam con sorprendente velocità.

Capitolo 10: Elemento settimo, Il Cavaliere

Stefany si era fermata alla macchinetta del caffè digitando il numero e la quantità di

zucchero, erano passate le quattro di notte e, il comandante, non faceva progressi. I

distributori automatici, ormai, avevano invaso l’Italia e li potevi trovare dappertutto, quello

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da cui Stefany, ora attendeva il caffè, era distribuito dall’azienda di caffè italiano Moka, ma

non era per lei, bensì per la signora Baschi. Stefany si diresse verso la panchina e le

porse il caffè, poi si sedette accanto e la signora chiese: “Prenditelo anche tu, cara!”.

Stefany rispose: “No, grazie!” “Non esco pazza per il caffè!”. La signora Baschi continuò:

“Vedrai che ce la farà, lui è sempre stato il migliore!” “Sai, quando l'ho conosciuto, mi

aveva detto che un giorno avrebbe sposato una donna come me e ora eccoci qua a dieci

anni di distanza da quel momento!” “Lui mi ha salvata dalla clandestinità e gli sono

riconoscente, ma se dovessi perderlo non me lo perdonerei per niente al mondo!”. Stefany

ebbe lo stesso pensiero, ma disse: “Ricordi che non è colpa sua ciò che è successo, deve

essere forte!” “Non lo faccia per lei, ma per suo figlio!”. La signora si rese conto che

Stefany aveva ragione, fece un segno di assenso e le due rimasero in silenzio per un po’

di tempo. Un medico si avvicinò alle due correndo e con l’affanno disse: “Meno male che

l’ho trovata agente!” “Deve venire con me un ragazzo è scomparso!”. Stefany si alzò,

seguì il medico e girandosi disse alla signora: “Ricordi ciò che le ho detto!” “Sia forte!”.

All’obitorio Sam e Luçy videro il corpo dell’uomo che Jeremy aveva estratto dalla cella.

Sam disse: “Lasciatemi due minuti con lui!”. Jeremy sapeva cosa voleva fare Sam, poiché

non era la prima volta; così prese Luçy per un braccio e la portò vicino al tavolo degli

strumenti e le disse: “Tutto ciò che vedrai, sarà pura illusione ottica, Sam è un mago

eccezionale!”. Luçy, sapeva che Sam non era un mago, così disse: “Credo di conoscerlo

meglio di te!”. Jeremy era sorpreso della risposta e disse: “Se ne sei così sicura, guarda!”.

Luçy vide Sam che alzava le mani e il corpo del cadavere aprire gli occhi e guardarla,

stava per lanciare un urlo, ma fu zittita dalla mano di Jeremy, con poca voce chiese: “Ma si

muove, come fa a muoversi?”. Jeremy se lo chiedeva anche lui, ma tutte le volte, Sam gli

rispondeva che era un’illusione, che egli stesso creava. Sam disse: “Guarda me!” “Carlo

Tagliano, guardami e non spaventare la ragazza, lei non fa parte di questo!” “Ora dimmi,

prima di morire, chi ti ha ucciso!”. Carlo non credeva ai suoi occhi, era di nuovo vivo, ma

per poco, e sapendolo disse: “Il Cavaliere!”. Poi morì una seconda volta e Sam disse:

“L’ho perso!” “È andato!”. Luçy non ci credeva e chiese spiegazioni ma Sam disse solo di

essere un mago e Jeremy rammentò a Luçy di aver avuto ragione. Sam lesse la cartella

del paziente, mentre Jeremy chiese a Luçy: “Allora, Luçy, come hai conosciuto il mio

amico Sam?”. Luçy disse che era un vecchio amico del padre scomparso un anno prima e

poi lei fece la stessa domanda a Jeremy, il quale, pensandoci su, rispose: “Vedi, quando

ero giovane e avevo terminato gli studi, non trovavo lavoro a causa della crisi, ma un

giorno dei banditi mi attaccarono, Sam arrivò e gli atterrò con estrema facilità, il che è

strano per un vecchietto come lui!”. Fece una pausa e dopo continuò: “Mi disse di essere

della polizia e di sapere che avevo bisogno di un lavoro, una settimana dopo ottenni il

posto qui e lui qualche volta veniva, riesumava i morti che gli interessavano e scompariva

nel nulla!” “Un giorno gli chiesi come faceva e lui mi disse che era un mago!”. Sam,

ascoltando la conversazione disse: “Già e ora devo andare, grazie ancora Jeremy!”.

Jeremy rispose: “Di niente Sam, per me è sempre un piacere aiutarla!”. Sam disse a Luçy:

“È ora di andare signorina!” “Saluta il coroner e vieni qua accanto a me!”. Luçy non capiva,

ma si avvicinò a Sam e salutò il coroner, il quale li vide scomparire nel nulla e si disse: “Il

solito e vecchio Sam!”. Chiuse tutto, si riprese la giacca, uscì, chiuse a chiave la porta e si

avvio verso il corridoio, ma si fermò di nuovo. Stavolta sentiva un bruciore allo stomaco, si

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portò istintivamente la mano destra, sul punto e, quando la ritirò, la trovò piena di sangue,

capì, così di essere stato sparato. Jeremy cadde a terra e morì in una pozza di sangue, il

killer gli si avvicinò e lo guardò mentre moriva. Jeremy vide il buio seguito dal rumore di

passi di qualcuno e poi, solo il silenzio.

Stefany era appena giunta nella stanza del ragazzo e aveva notato che la finestra era

chiusa; quindi, non poteva essere scappato da lì. Il telefono vibrò e Stefany rispose,

dall’altro lato una voce le disse: “Ste sono Gianni, c’è stato un omicidio all’obitorio!”. Gianni

fece una pausa e dopo con voce affranta disse: “Mi spiace, ma Jeremy è morto!”. Stefany

si portò una mano alla bocca e cercò di non piangere, ma senza risultato. Gianni continuò:

“Mancherà a tutti!” “Ma adesso ascolta!” “Troveremo il colpevole e lo porteremo in

prigione!” “Puoi starne certa!” “Aspetto i risultati del R.I.S.!” “Ti faccio sapere!”. Gianni

chiuse la telefonata e Stefany si asciugò le lacrime, prese la cartella del paziente e chiamò

i rinforzi.

Il killer prese il telefono e chiamò il suo capo: “Signore è tutto a posto, non si preoccupi!”

“Ho sistemato la faccenda!”. All’altro capo del telefono, una voce riluttante disse: “Bravo!”

“E la polizia?”. Il killer rispose: “Ho mandato prove false al R.I.S. !” “Il dna sarà di un

poliziotto che si trova nelle vicinanze!”. Il killer chiuse la telefonata si diresse alla sua auto

e mise in moto. Nel bagagliaio, Adù si dimenava per liberarsi, ma non ci riusciva; le corde

erano troppo strette, quando all’improvviso vide che l’auto iniziò a muoversi.

Sam e Luçy riapparvero nella strada del palazzo della polizia. Luçy chiese a Sam come

aveva fatto ed egli le chiese: “Lo vuoi rivedere?”. Un’improvvisa esplosione avvenne sopra

il palazzo e un pezzo di pietra stava per cadere su di un ragazzino che tornava con la

madre da una sessione di karate. Sam si materializzò sotto il masso e lo disintegrò,

toccandolo con il suo bastone, prima che potesse cadere a terra. Luçy rimase a bocca

aperta e il ragazzino chiese: “Wow, m’insegni come si fa?”. Sam rispose: “Magari un’altra

volta!” “Ora devo andare!” “Ci vediamo Luçy!”. Sam scomparve nel nulla e Luçy rimase

impietrita.

Il capo aveva detto a Des e agli altri di non affrontare mai Sam da soli, poiché era più

potente di tutti loro messi insieme. Des, però, quando vide Sam, pensò che non potesse

essere più veloce o più forte degli altri; in quanto, Sam era un vecchietto con la barba

lunga, un vestito da frate marrone, alto un metro e ottanta, magro e con un bastone. Gli

altri pensarono lo stesso, quindi lo circondarono. Sam si rivolse a tutti dicendo: “Vi do dieci

secondi per andarvene via di qui, prima che vi batta!”. Des scoppiò a ridere e disse: “Noi ti

diamo dieci secondi per andartene, vecchietto!”. Sam gli rispose: “Non sottovalutare mai il

tuo avversario, Des!”. Des s’infuriò e con rabbia disse: “Come vuoi, muori!” “Attaccate!”.

All’ordine detto Bruno lanciò una sfera d’aria ma Sam scomparve e riapparve dietro di lui,

colpendolo con il bastone al collo. Le ossa della colonna vertebrale si bloccarono e Bruno

cadde a terra, incapace di muoversi. Des rimase a bocca aperta ma non si arrese, ordinò

un nuovo attacco e stavolta, Sofia attaccò con una sfera di fuoco, Sam la bloccò con il

bastone, spedendola in aria. Sofia si avvicinò, mise una mano sul petto di Sam e cercò di

creare la sfera, ma senza risultato. Sam la afferrò per il collo e la mise KO, Sofia non

riusciva più ad alzarsi, si sentiva come se fosse precipitata da un palazzo. Preso dall’ira,

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Aby tirò una sfera d’acqua a Sam che la bloccò con il bastone, la trasformò in proiettili di

ghiaccio e li scaraventò contro il nemico. Aby li fermò e li rispedì al mittente, ma costui era

scomparso e i proiettili stavano per finire contro Des, ma si bloccarono, improvvisamente.

Aby sentì un dolore allo stomaco, guardò in basso e vi trovò Sam che lo aveva colpito con

il bastone. Aby cadde a terra e Sam fu colpito, alle spalle da una sfera rocciosa. Sam

barcollò e vide Leo che si preparava a riattaccare, era ormai stanco di giocare, quindi gli

puntò il bastone e disse: “Bloccati!”. Il masso creato si frantumò e Leo rimase fermo come

una statua, non sentiva più niente, ma vide la scena di dopo. Des, preso dall’ira, iniziò a

muoversi a grande velocità verso Sam, ma, a metà strada, si bloccò e indietreggiò. La

lama di una spada si stagliava contro il suo petto e Des rimase a bocca aperta, quando

vide dinanzi a sé, il Cavaliere. Anatolio si rialzò prese Des e si lanciò dal tetto, atterrò e si

dileguò, scomparendo nella notte. Il Cavaliere disse: “Me ne devo occupare io?”. Sam

rispose: “No, per ora prendi loro e portali alla base!” “Ci vediamo là ho una faccenda da

sbrigare!”. Il Cavaliere rispose: “Come vuole, signore!” “Comunque ce l’avrei fatta anche

da solo, sa?”. Sam rispose: “Sogna, finché puoi!”. Scomparve nel nulla e il Cavaliere prese

i corpi dei ragazzi.

Anatolio e Des arrivarono al quartier generale e il loro capo lì sgridò per aver affrontato da

soli Sam. Des azzardò: “Signore, stavolta aveva un valido aiuto, non pensavamo che ci

potessero sconfiggere!”. Il capo s’infuriò di più e gli disse: “Andate via prima che vi

disintegri!”. I due non se lo fecero ripetere e uscirono dalla porta. Il capo si girò e chiamò

un numero di telefono. Dall’altro capo rispose una voce roca che disse: “Quale stato il

problema?”. Il capo rispose: “Sam signore!”. L’altro, con voce arrabbiata, disse: “È giunta

l’ora, sai cosa fare!”. Il capo rispose: “Si signore!”. Chiuse la telefonata e chiamo il killer,

dicendogli: “Sono io!” “Dopo aver eliminato Adù, occupati del Cavaliere!”. Chiuse la

telefonata e pensò: “Chissà se batterà il mio killer personale, questo famoso, Cavaliere!”.

Capitolo 11: La storia dei cavalieri, I Pianeti

Stefany era accorsa alla chiamata di un agente, all’edificio della polizia. Tutti erano alle

prese con i preparativi per l’imminente caduta del palazzo. I poliziotti evacuavano la zona,

i pompieri erano pronti ad aiutare le persone eventualmente rinchiuse ancora nel palazzo

e, le ambulanze preparavano i kit del pronto-soccorso e le barelle. L’edificio era stato

evacuato, ma qualcuno poteva essere ancora rinchiuso in ascensore o poteva non aver

ascoltato la polizia. Stefany era pronta anche lei e si teneva a debita distanza, dietro la

corda di sicurezza. Il palazzo non resistette per molto e dopo solo pochi attimi crollò.

Mentre il palazzo crollava, Stefany vide un vecchietto con la barba lunga e un vestito da

frate, che stava sotto il palazzo. Gridò: “Si tolga di lì!”. Il vecchietto, però, non la sentì,

rimase fermo immobile a guardarla, poi il palazzo, in un assordante tonfo cadde a terra,

sul vecchietto e Stefany, pensò che fosse morto. Diede disposizioni, per cercare il corpo,

ma, una ragazzina le si avvicinò e le disse: “Non si preoccupi, lui è ancora vivo!”. Stefany

pensava che la ragazzina fosse abbastanza grande da comprendere così le disse in tono

di rammarico: “Ragazzina, tuo nonno è morto e mi spiace, ma non c’è più niente da fare!”.

Una voce profonda da dietro le rispose: “Non sono suo nonno signorina!”. Stefany si girò

di colpo e non credette ai suoi occhi, rimase senza parole e riusciva solo a farfugliare

qualche “come”. La ragazzina si mise vicino al vecchietto fece una linguaccia alla poliziotta

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e disse: “Visto!”. Poi i due scomparvero e Stefany lanciò un urlo e, in preda al panico,

corse via.

Sam e Luçy riapparvero all’obitorio, trovandolo pieno di agenti, Gianni li vide e corse verso

di loro, gridando: “Sam, Sam…”. Li raggiunse con il fiatone e, vedendo Luçy, disse: “Ti sei

portato compagnia!”. Sam rispose: “Già!” “Che abbiamo?”; Gianni li rispose: “Il coroner è

morto, lo ha ucciso qualcuno, ma non sappiamo ancora chi, ma sto aspettando i risultati

dal R.I.S.!”. Sam si girò verso Luçy e le disse: “Ora, dobbiamo andare!”. I due salutarono

Gianni e scomparvero nel nulla. Gianni non era sorpreso, conosceva quell’uomo ormai da

anni, glielo aveva presentato Baschi e insieme avevano risolto, una serie di omicidi.

Luçy e Sam riapparvero su di un marciapiede, vicino a un semaforo. Il semaforo divenne

rosso e una Mercedes nera, si bloccò; Sam si mise davanti e disse: “Scendi!”. Il guidatore

mise la retromarcia, parcheggiò, spense il motore e scese dall’auto. Luçy non credette ai

suoi occhi, vide un uomo abbastanza grosso, con una divisa da polizia, degli occhiali e un

cappello, era Gianni. Luçy chiese se fosse un mago come Sam, ma Sam le rispose: “No,

la forza oscura lo è!” “È stato lui a trasformarlo in un sosia perfetto di Gianni, vero,

Mario?”. Mario lo guardò e disse: “Come hai fatto a capire che ero io?”. Sam li rispose:

“Facile!” “Ho sentito il tuo odore nelle vicinanze!”. Allora chiese Mario: “E di che cosa

odorerei?”. Sam li rispose con tono attonito: “Bhe…, di sterco di cavallo!”. Luçy scoppiò in

una tremenda risata e Mario si arrabbiò e gridò: “Andosir, non voglio più essere un

umano!”. Sam capite le sue intenzioni gli disse: “Non farlo, Mario!” “Le persone non sono

abituate a vedere un uomo così grosso!”. Mario, però si arrabbiò di più e Luçy non capiva

perché Sam temesse tanto Mario, così glielo chiese e Sam rispose: “Perché Mario è

l’ultimo superstite del pianeta Uliu, che nella loro lingua vuol dire Titano, cioè un pianeta

fatto di Giganti!”. Luçy non credeva negli alieni, anche se molti erano convinti che alcuni

pianeti fossero abitati, lei invece credeva che fosse solo frutto dell’immaginazione di

qualcuno. Mario si trasformò, diventando un gigante, alto come un grattacielo di quaranta

piani e grosso quanto la cupola di Santa Sofia, che adesso si trova a Istanbul. Portava dei

vestiti giganteschi, una t-shirt marrone, fatta di cuoio, con degli strappi alle braccia e allo

stomaco; dei mutandoni in cuoio, con due fodere, per due pistole, nere; e, i piedi, erano

scalzi. Aveva dei capelli arancioni e lunghi fino alla fine del dorso, una barba folta,

arancione, che finiva con un pizzetto. Sam disse a Luçy: “C’è una cosa che non ti ho

detto!”. Luçy gli chiese: “Cioè, cosa?”; Sam rispose: “Mario è il miglior cecchino del suo

pianeta!”.

Bruno si risvegliò al suono degli uccellini e si accorse di essere su di un prato, vestito di

una canottiera a maniche corte bianca, pantaloni grigi di cotone e zoccoli di pelle e stoffa.

Si alzò da terra e scoprì di essere su di un prato e vide qualcosa che lo stupì, due case. La

prima, era grande quaranta metri cubi, fatta di mattoni, con una porta in legno, una

finestrella sopra la porta ed un tettuccio spiovente; la seconda, invece, era una casa in

stile giapponese, costruita su un'intelaiatura di pali e travi di legno su cui erano inserite le

pareti esterne, costituite da pannelli scorrevoli in legno e carta di riso che permettevano di

areare e ventilare le stanze interne. Il fatto che, però, lo sorprese di più, fu che, alle spalle

dei due edifici, c’era una montagna innevata; però non percepiva il freddo anzi, sentiva

un’aria mite. La porta scorrevole si aprì e ne uscì un nano di colore verde acqua, con un

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naso dantesco e vestito da faraone, che disse: “Tu devi essere Bruno!”. Bruno gli rispose:

“Sì, tu, invece, chi sei?”; il nano gli rispose: “Mi chiamo Candor, sono l’ambasciatore degli

Etalanteans, una razza quasi del tutto estintasi secoli orsono!” “Il Saggio ha detto di

spiegarti ogni cosa, quindi, zitto e ascolta!”. Bruno rimase in silenzio e Candor continuò: “I

tuoi amici si sono svegliati prima di te e sanno tutto, sono andati a combattere contro di

una creatura conosciuta come Jec: un gigante burbero e eccellente cecchino!” “Per

andare, devi prima conoscere perché combatterai!”. Candor iniziò il racconto e Bruno

rimase attento all’ascolto.

Mario uscì dalle fodere, due pistole giganti e iniziò a sparare all’impazzata, Luçy chiuse gli

occhi sperando di risvegliarsi nella sua lussuosa stanza da letto, sentì gli spari sempre più

vicini, finche arrivò d’improvviso il silenzio. Luçy, pensando di aver ragione, riaprì gli occhi,

ma si trovò dinanzi a sé un cavaliere con un'armatura blu, che si girò verso di lei. Luçy si

accorse che era un bambino, che le disse: “Tutto bene?”; lei rispose: “Sì, sto bene, grazie,

ma tu chi sei?”. Egli rispose: “Sono Abasi Ousmane, il cavaliere dell’acqua!”. Luçy ricordò

quello sguardo e ne ebbe paura, ma una ragazza con un’armatura rossa da cavaliere, le

disse: “Non devi più temerlo Luçy, adesso è uno dei buoni!”. Mario era pronto per

riattaccare, ma un calcio lo colpì in piena guancia ed egli barcollò. Si riprese in fretta e

puntò l’arma alla sua destra contro il cavalier Leo che, vestito di un’armatura verde era

appena atterrato e, sguainando la spada, era pronto a riattaccare.

Nel frattempo Bruno ascoltava il racconto di Candor e ne rimase stupefatto, soprattutto dal

fatto che Il Saggio era un uomo così sapiente da aver salvato il pianeta Terra, diverse

volte, ma senza che qualcuno se ne accorgesse. Rimase poi senza parole quando Candor

gli svelò che si trovavano sul Monte Bianco, in una fessura nella roccia, ingrandita dal

Saggio e che tutto quello che ora vedeva, toccava e sentiva, l’avesse creato lui. Candor

continuò: “Sai, dove sono finiti i dinosauri?”. Bruno lo chiese e Candor gli rispose:

“Guardati dietro, Il Saggio li ha salvati nella fessura!”. Bruno si girò e non credette ai suoi

occhi, si trovavano su di una pietra, vicino a una cascata che sprofondava in una foresta

immensa, dove la vegetazione si era evoluta, ma gli animali erano dei dinosauri,

giganteschi. Bruno chiese: “Con i T-rex come fate?”; Candor gli rispose: “Il Saggio

provvede al loro cibo e loro in cambio non attaccano!”. Bruno, allora chiese: “Se sono

rimasti qui tutto il tempo, perché non si sono evoluti?”; Candor rispose: “Alcuni di loro si

sono evoluti e parlano tra di loro, hanno creato anche un villaggio, sono i rettili più piccoli,

e si chiamano Ascalaboi e il Saggio provvede al loro fabbisogno!” “Ma, Il Saggio non ha

solo salvato la Terra, qualche hanno fa ha salvato un pianeta aldilà di questa galassia

chiamato Vazd”. Candor continuò: “Ha combattuto contro una forza oscura dal nome

Andosir!” “Andosir è il fratello gemello del Saggio, e lo odia a tal punto da voler distruggere

l’universo!”. Candor fece un sospiro e poi continuò: “Dopo una guerra durata secoli, Il

Saggio riuscì a sconfiggerlo e intrappolarlo in una prigione, ma uno dei suoi scagnozzi

riuscì a liberarlo e da quel giorno alcuni eroi, figli del Saggio, lo sfidarono e riuscirono a

batterlo diverse volte!”. Questa parte era sempre la più difficile ma Candor, continuò lo

stesso a raccontare: “Dopo l’ennesima sconfitta, Andosir, attraversò la galassia e iniziò a

conquistare pianeti, tra i quali Vazd e ne mise a capo quattro re!”. Candor iniziò l'elenco:

“C’era il re di Bumuk, un pazzo che dava la popolazione in pasto a dei Nekark, mostri

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giganti che adorano il ghiaccio, la regina di Jaugu, pazza e spietata, aveva trasformato, la

popolazione del suo pianeta in schiavi al suo servizio, il re di Zodu, un altro pazzo che

aveva fatto il lavaggio del cervello ai suoi sudditi e gli aveva trasformati, letteralmente a

sua immagine e somiglianza.” “Il loro capo era il re di Bumuk, ma il peggiore fra loro, fu il

re di Vazd!”. Bruno ascoltò il racconto di Candor con sempre più stupore: “Lui, a differenza

degli altri, era più intelligente e governava come un re medioevale, ghigliottinando

chiunque si opponesse a lui!”. Ora la cosa si fece più interessante: “Il Saggio incaricò Il

Cavaliere, di sconfiggere i re e lui, però, ne sconfisse solo tre, poiché uno riuscì a fuggire,

era il re di Vazd!”. Bruno iniziò a capire chi era questo Cavaliere, Candor continuò: “Costui

chiese aiuto ad Andosir ed egli scese sul campo di battaglia!”. Candor divenne più scuro in

volto: “Il Cavaliere, aveva sei amici, ai quali il saggio diede dei poteri, ma costoro furono

sconfitti da dei soldati copiatori di Andosir.” “Furono uccisi tutti, tranne la ragazza del

Cavaliere, che perse solo i poteri.” “Si scatenò, così la furia del Cavaliere, il quale uccise le

copie, sconfisse Andosir e cacciò il re dal pianeta!” “Pensavamo che l’incubo fosse finito,

ma Andosir tornò e più furioso che mai, iniziò ad attuare un piano di vendetta contro Il

Cavaliere e Il Saggio!”. Candor fece un sospiro e poi continuò: “Creò una macchina in

grado di catturare le anime e prese quelle degli amici del Cavaliere e anche della sua

ragazza.” “Lei sta bene è solo svenuta, ma ha bisogno della sua anima per tornare in vita!”

“L’unico modo che abbiamo e quello di sconfiggere Andosir!” “Vi ha fatto il lavaggio del

cervello e ha utilizzato le vostre emozioni contro di voi, rendendo la vostra anima malvagia

e trasferendo, all’interno del vostro corpo, le anime degli amici del Cavaliere!” “Avete

attaccato Il Cavaliere e lui vi ha sconfitti, con l’aiuto del Saggio!” “Abbiamo riportato la

vostra mente allo stadio originario, anche se non per tutti!” “Ci sono sfuggiti due di voi, ma

li riprenderemo!”.

Capitolo 12: La storia dei cavalieri, La Teoria Dimensionistica.

Bruno più ascoltava e più si rese conto di quanti errori aveva fatto, ma gli venne implicito

di chiedere una domanda: “Se questo Saggio è così fenomenale, come mai non ha

impedito le guerre?”. Candor si aspettava questa domanda e sapeva la risposta: “Per via

di suo padre!”. Bruno allora chiese: “In che senso?”. Candor rispose: “Nel senso che suo

padre, il Creatore dell’Universo gli ha detto di non intervenire in certi ambiti!” “In quanto,

l’uomo deve imparare, a sue spese, che la vita di ogni singola persona è importante!”

“Quando l’uomo riuscirà a comprendere che si ha il diritto di professare qualsiasi religione,

forse sarà pronto alla <<religione dimensionistica>>!”. Bruno, non sapendo cosa fosse, lo

chiese e Candor gli rispose: “È la domanda che l’uomo si è posto da una vita, cioè cos’è e

da dove viene!” “Te lo dirò perché mi sembri la persona adatta!”. Candor fece una pausa e

proseguendo, disse: “Vedi, la vita di una persona, famosa o meno, è segnata da atti ed

elementi essenziali ai quali essa decide se adempiervi o meno.” “Ogni volta che prende

una singola decisione attacca una decisione di un’altra dimensione, così, ad esempio, se

decido di prendere il caffè, si creerà una dimensione dove il caffè non lo prendo!” “Le

religioni, in realtà sono scelte di vita che l’uomo fa, create da idee!” “L’idea di un caffè crea

qualcosa di piccolo, in quanto lo ha immaginato una singola persona, immagina se ci sono

miliardi di persone che portano la stessa idea, questa idea si ramifica a tal punto nella

realtà, da diventare all’istante realtà!” “Questo vuol dire che esistono diverse dimensioni,

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per ogni idea che l’uomo ha e non ha ancora avuto!” “Ti spiego meglio!” “Le dimensioni

sono come pezzi di tessuto quadrato, dove, le galassie si muovono, espandendosi e,

quando arrivano all’estremo, ritornano indietro divenendo un pianeta fatto di pura energia,

costui si scontra contro un altro pianeta fatto di pura antienergia.” “L’antienergia crea una

dimensione, dove le leggi della fisica sono rovesciate letteralmente, attraverso

l’antimateria.” “Al contrario l’energia crea una dimensione, dove quasi tutto può essere

spiegato, attraverso lo studio della materia.” “Così si crea un ciclo di distruzione e

creazione continua!” “Ogni singolo essere vivente, quindi, rivive la propria vita, ogni santa

volta, non esistono né paradiso né inferno, solo il rivivere la stessa vita il rifare le stesse

scelte e allo stesso tempo cambiarle!” “Ogni essere, però ha contemporaneamente, una

parte di quell’energia e la sfrutta per creare nuove dimensioni.” “Può farlo anche non

accorgendosi!” “L’uomo è riuscito a creare più dimensioni, di qualsiasi altro essere vivente,

perché ha in se il maggior potere di quell’energia, cioè la ragione, la quale ha trasformato

l’uomo nella macchina dimensionistica più incredibile che ci sia!” “Avete pensato a universi

creati dagli Dei, da un unico Dio, dalla Magia, da Supereroi, dalla Scienza e da Agnostici,

cioè coloro che non si interessano di come siamo venuti all’esistenza!” “In tutto questo,

non vi siete accorti, di aver creato diverse dimensioni dove i personaggi inventati prendono

vita!” “Avete creduto negli dei e loro adesso esistono in diverse dimensioni, con le storie

che gli avete attribuito, avete creduto nel paradiso e nell’inferno, ed essi esistono in altre

dimensioni, avete creduto nella magia ed essa esiste, avete creduto in eroi e supereroi ed

essi esistono, avete creduto ad un universo spiegabile ed esso esiste, avete creduto ad un

universo inspiegabile ed esso esiste, avete creduto nella non credenza ed essa esiste,

infine avete creduto di non pensarci e avete cambiato solo le scelte della vostra vita!” “In

quanto, puoi anche non interessarti, ma inconsciamente stai creando un altro o altra te

che fa le scelte opposte!” “Questa è la teoria dimensionistica!” “Avete creato voi tutto

questo, non dico che sia un male ma pensateci quando andate in chiesa a pregare,

quando scrivete libri o quando solo andate a bervi un caffè!” “ Pensate se è davvero

questo ciò che dovreste fare!” “Vi siete stabilizzati, più o meno, il fatto però è che per

quanto possiamo rivivere la nostra vita, questa sarà sempre la stessa, con decisioni

diverse!”.

Mario sparò contro il cavaliere verde, ma costui creò un muro, con il quale si riparò. Le

pistole avevano una canna da mitragliatrice, quindi a ogni sparo equivalevano all’incirca

milleottocento proiettili di calibro quaranta, sparati a raffica, uno di seguito all’altro. Lì, Lucy

si accorse che Sam era sparito e si chiedeva, dove fosse finito, ma soprattutto non capiva,

cosa stava accadendo. Sofia le disse di ripararsi dietro l’autovettura e Lucy non se lo fece

ripetere due volte. Sentì Mario che sbraitava qualcosa nella sua antica lingua, poi chiuse

gli occhi, si tappo le orecchie e si ripeté per una decina di volte: “È un incubo!”. Poi,

d’improvviso, sentì solo il silenzio; riaprì gli occhi, si stappò le orecchie, uscì dalla fiancata

destra dell’auto e, inorridita dalla scena, si tappò la bocca e iniziò a versare lacrime.

Nel frattempo, Candor continuò il suo discorso chiedendo a Bruno: “Qual è il tuo ultimo

ricordo?”. Bruno ci pensò e rispose: “Mi hanno portato sul molo, mi hanno incatenato i

piedi nel cemento, mi hanno messo le manette e mi hanno buttato giù con un calcio.”

“Nell’acqua non riuscivo più a respirare, pensando che era arrivata la mia ultima ora, mi

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sono lasciato andare.” “Ho provato un dolore agghiacciante seguito dal nulla!”. Una voce

profonda gli disse da dietro: “Ma non sei morto!”. Bruno si girò e vide un vecchietto con

una barba lunga e una tonaca. Costui gli porse una mano e disse: “Sono Il Saggio!”. Bruno

gli strinse la mano e poi gli chiese: “Lei sa che cosa mi è accaduto?”. Il Saggio disse:

“Certo!” “Il re di Vazd, ha cercato sulla Terra persone che avessero lo stesso carattere dei

Cavalieri, in modo tale che i poteri potessero essere assorbiti più velocemente!” “Per il

Cavaliere della terra ha trovato Leo Santoro, un soldato americano, che aveva perso i suoi

compagni, nella guerra santa a causa di un missile.” “Leo si trovava in coma, ma il re di

Vazd lo ha preso e gli ha dato i poteri del Cavaliere della Terra!” “Aby è un ragazzino

sudafricano, che ha rischiato la morte per assenza di cibo, ma il re di Vazd lo ha preso con

se dandogli i poteri del Cavaliere dell’acqua!” “Anatolio aveva vinto la gara di pesi massimi

due anni fa, ma a causa di steroidi, il suo corpo non si reggeva più in piedi, così, per

salvare la sua pellaccia ha fatto un patto con il re, e costui gli ha dato il potere del

Cavaliere della forza!” “Daisetsu era il figlio di un magnate giapponese e, una notte, si

mise al volante di una Lamborghini, con droga e alcool nel corpo.” “Il risultato fu un

incidente che lo portò quasi alla morte, se non fosse stato per il re di Vazd, che in cambio

lo aveva assoggettato al suo volere!” “Infine con te e Sofia ha cercato due persone in

perfetta sintonia e quando lo ha scoperto ha preso Carlo e lo ha cacciato per averti quasi

ucciso!” “Quest’ultimo è impazzito, è andato a casa tua ha cercato di uccidere i tuoi

genitori, ma il Cavaliere li ha salvati uccidendo Carlo!”. Bruno rimase stupito della notizia,

e chiese: “Come mai ho una sintonia perfetta con Sofia?”. Il Saggio gli rispose:

“Sorprendentemente tu e Sofia avete una sintonia perfetta, poiché la vostra energia è

perfettamente identica!”. Bruno non sapeva cosa dire, ma Il Saggio continuò: “Vedi sopra

quel piedistallo che si trova sulla casa c’era una statua, che Andosir mi ha sottratto, in

essa è contenuta una parte del mio immenso potere, il vostro compito è recuperarla e per

farlo vi ho lasciato i poteri, per affrontare le tre sfide di Andosir!” “Per prima cosa, dovrete

sconfiggere Mario e per farlo ti darò l’armatura dell’aria e i poteri inerenti ad essa!” “Ci

sono domande?”. Bruno rispose: “Sì, una sola, perché servivano due cavalieri in sintonia

perfetta?”. Il Saggio rispose: “Poiché i due cavalieri dell’aria e del fuoco erano fratello e

sorella!”. Bruno si convinse che era il momento di entrare in azione e disse: “Sono

pronto!”.

Capitolo 13: La prima prova, Mario.

Sofia era a terra e, come gli altri due Cavalieri, non riusciva più ad alzarsi e Mario stava

per sferrare il colpo di grazia, ma all’improvviso sentì un ruggito, si girò e dietro di sé

comparve un Nekark. Su di esso scorse una figura, era un cavaliere dall’armatura bianca,

che, sguainando la sua lucente spada, gridò: “All’attacco!”. Il Nekark corse verso il gigante

e costui iniziò a sparare, ma il mostro evitò i suoi attacchi con estrema abilità. Mario lasciò

cadere le pistole a terra e si preparò allo scontro, assumendo la posizione del toro contro il

torero. Iniziò a correre e i due si scontrarono in un boato così potente da spazzar via tutto

ciò che incontrava. Lucy rimase impietrita e sentì una voce vicino a lei, che le disse: “Ora

se ne occuperà il Nekark!”. Si girò e non credette ai suoi occhi, quando vide che accanto a

lei c’era Bruno in un’armatura bianca che brandiva una spada lucente. Il Nekark e Mario

indietreggiarono, quest’ultimo riprese le pistole, colpendo mortalmente il mostro.

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Lasciando, il tempo, a Bruno per pararsi dietro a Mario, il quale si accorse della sua

presenza e si girò, puntandogli l’arma contro. Bruno scomparve nel nulla e,

materializzandosi, in aria dietro il gigante, trasferì il potere dell’aria alla sua arma,

sferrando un colpo allo stomaco di Mario, tagliandolo in due. Il gigante cadde al suolo, e,

con grande sorpresa di Bruno, non uscì del sangue o del liquido simile; inoltre, atterrando,

vide che il corpo del gigante era vuoto. Gli altri cavalieri si rialzarono e, ringraziandolo,

rimasero anche loro stupefatti della notizia, Mario era un cyborg, cioè un essere vivente

per una parte uomo e per una macchina. I cavalieri, al suo interno, vi trovarono una

piccola cassetta di legno, chiusa con un lucchetto. Dietro di loro, comparve una figura, era

Il Cavaliere che gli disse: “Bravi, prima prova superata, ne rimangono due!”. Bruno chiese:

“E tu chi sei?”; Il Cavaliere rispose: “Io sono Il Cavaliere nemico del re di Vazd!” “In quella

cassetta ci sono cinque biglietti, che ci serviranno per accedere alla seconda prova!” “Qui

vi darò una mano anch’io!”. Bruno era abbastanza contento della notizia, anche se non

aveva capito bene in cosa consistesse la seconda prova.

Dal tetto di un palazzo, due figure scomparvero, riapparendo in una specie di laboratorio

chimico. Ora erano al cospetto del re di Vazd, il quale, rimanendo stupito della notizia,

congedò i suoi uomini e parlò con la forza oscura, la quale gli ordinò di fare i preparativi

per la seconda prova.

Capitolo 14: La seconda prova, Zenbe.

I Cavalieri giunsero sul monte bianco e, attraversando un varco nascosto, si ritrovarono su

di un prato, di fronte alle due case del Saggio e di Candor. Lucy riabbracciò Il Saggio,

gridando: “Sam!”. Sam la guardò e le disse: “Visto!” “Ho rimesso le cose al loro posto!”.

Lucy rispose: “Sì, ma ora che dobbiamo fare?”. Sam le rispose: “Non ti preoccupare, ho

guarito il Nekark, ma stavolta non vi potrà aiutare, dovrete affrontare i nemici per lo Zenbe,

da soli!”. Bruno chiese cosa fosse e Il Saggio rispose: “Ricordi quando ti ho parlato della

statua?”. Bruno rispose: “Sì, mi ha detto che per riaverla avremmo dovuto affrontare tre

prove.”. Il Saggio, capì che era arrivato il momento e, continuando disse: “Bene, la prima

prova era il cyborg Mario, ultimo superstite della tribù degli Jec; al suo interno avete

trovato cinque biglietti, questi ultimi vi porteranno a una competizione, dove dovrete

affrontare vari nemici, solo quando gli avrete sconfitti tutti, vi apparirà un Nekark di fuoco, il

cui nome è, Zenbe!”. Bruno rimase stupefatto della notizia e chiese: “Cos’è un Nekark di

fuoco?”. Sam gli rispose: “Nella zona, dove si trova il pianeta Vazd, ci sono cinque

pianeti.” “Quattro erano governati dai re, i quali, per raggiungere i loro scopi, si

appropriarono della specie che governava il quinto pianeta, i Nekark!” “Costoro, sono divisi

in quattro gruppi: Il Nekark di fuoco, il quale adora le zone calde e può arrivare a sputare

fuoco, Il Nekark di ghiaccio, il quale adora le zone fredde e può sputare acqua glaciale, Il

Nekark di terra, il quale adora le zone miti e ha una forza micidiale e, infine Il Nekark

dell’aria, il quale è l’unico dotato di ali, adora le zone montuose e può sferrare attacchi

dall’alto, così potenti da tagliare in due, tutto ciò che incontrano!”. Bruno, allora chiese: “Se

Il Nekark del ghiaccio, può sferrare l’acqua glaciale, come mai il nostro non ci riesce?”.

Sam, sapeva che lo avrebbe chiesto e, rispose: “Perché il nostro amico, non ha ancora

imparato, mentre Zenbe si lo ha fatto!” “State attenti e, un ultima cosa, Zenbe, protegge la

statua e, una volta recuperata, essa riavrà i poteri solo quando avrete superato la terza

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prova!”. Leo chiese: “Come apriamo la cassetta?”. Sam usò i suoi poteri e il lucchetto si

aprì, i Cavalieri vi trovarono i cinque biglietti e ne presero uno a testa, Il Saggio gli augurò

buona fortuna e ordinò a Lucy di rimanere sul monte, in quanto, questa volta era troppo

pericoloso per lei. I biglietti s’illuminarono e i cinque Cavalieri, scomparvero nel nulla.

Lucy, chiese a Sam: “Secondo te se la caveranno?”. Una voce che Lucy conosceva, le

rispose da dietro: “Devi smetterla di preoccuparti sempre!”. Lucy si girò e non credette ai

suoi occhi, iniziò a versare lacrime di gioia e gli corse in contro, abbracciandolo.

I cinque cavalieri si materializzarono in una stanza molto bizzarra, era grande all’incirca

cento metri quadri, non aveva finestre ed era circondata da una platea, dove non sedeva

alcuno spettatore. All’improvviso, dal buio nel quale erano immersi, i cavalieri videro una

luce che gli abbagliò. Sotto di essa apparve una figura, era un uomo alto con i capelli a

spina, con lo smoking che disse: “Benvenuti allo Zenbe!”. Le luci si accesero e si sentì una

folla sbraitare, anche se la folla non c’era. L’uomo con lo smoking disse: “Mi presento, io

sono Plukc, arbitro della competizione!” “Voi siete gli sfidanti, giusto?”. I cavalieri gli

risposero all’unisono, confermando e Plukc disse: “Bene, vi spiego meglio come funziona

lo Zenbe!” “Dovrete affrontare dieci avversari, due a testa, chi di voi sopravvivrà, dovrà

affrontare lo Zenbe!”. A questa parola la folla inesistente sbraitò festosa, Bruno chiese al

Cavaliere, da dove provenisse e costui gli rispose che molto tempo fa una folla veniva

sempre allo Zenbe, ma quando ci fu la guerra per il controllo dell’universo, queste

popolazioni persero la vita e Plukc aveva registrato il loro chiasso, quindi quella era una

registrazione. Sofia chiese allora: “Perché mai uno si dovrebbe registrare il rumore di una

folla?”. Il Cavaliere le rispose: “Perché, Plukc è un Nihonno, una razza che sa vivere solo

di chiasso!”. I ragazzi rimasero senza parole ma Plukc ruppe il ghiaccio presentando la

prima prova: “Ed ecco a voi, la prima sfida, Lay!”. Leo scoppiò in una risata tremenda e

pensò a quanto potesse essere forte, uno sfidante dal nome così banale, ma, con sua

grande sorpresa, il terreno sotto i suoi piedi si alzò, creando un ring e, dal nulla si

materializzò un T-rex di gigantesche proporzioni. Per fortuna, dei partecipanti il soffitto era

più in alto e il T-rex lo sfiorava con la testa. Plukc disse: “Chi è il primo sfidante?”. Leo

indietreggiò dalla paura e Plukc disse: “Forza!” “E ricordate che chiunque sfidi Lay se la

dovrà vedere dopo con Ejlht, la seconda sfida!”. I cavalieri si misero d’accordo e decisero

che, a sfidare il T-rex e la prossima sfida, dovesse essere Aby. Quest’ultimo salì sul ring e

Plukc, incitò: “Combattete!”. Il T-rex provò a colpire il cavaliere con le sue zanne, ma

costui si trasformò in acqua, scivolò dietro al dinosauro e ridivenne umano. Il T-rex si girò

e cercò di mangiarselo, ma il cavaliere fu più veloce e gli conficcò la spada sotto il mento;

questa, trasformò il dinosauro in ghiaccio. Il Cavaliere dell’acqua estrasse la spada dalla

mandibola del dinosauro, fece un giro su se stesso e colpì con veemenza il T-rex, che si

frantumò in miliardi di pezzi di ghiaccio, lasciando tutti sbalorditi.

Stefany arrivò sulla strada e non credette al casino combinato da un avvistamento di un

gigante, il quale aveva terrorizzato la zona. Le persone intorno erano agitate, erano state

appena svegliate dal suono dei proiettili; incuriosite, sono uscite e hanno trovato la strada

mezza distrutta. Stefany cercava di capire, qualcuno diceva che era stato un tornado, altri

avevano visto un gigante con due pistole; di certo Stefany non credette alla versione del

gigante, ma effettivamente, i vigili del fuoco, avevano trovato un’auto tempestata di

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proiettili, con il bagaglio aperto. Il telefono vibrò, rispose, dall’altro capo una voce agitata le

disse: “È morto, il mio Oronzo è morto!”. Era la moglie di Baschi, ma non c’era tempo per

versare lacrime, Stefany chiuse la chiamata e si fece forza. Voleva vederci chiaro, ma non

riusciva a capire cosa stesse succedendo e come se non bastasse Gianni era scomparso.

Aby sfidò Ejlht, uno Jec più basso di Mario, con una barba nera lunga, vestito da frate,

battendolo con estrema velocità, trasformandolo in cubetti di ghiaccio. Bruno chiese: “Ma

Mario, non era l’ultimo Jec esistente?”; Il Cavaliere gli rispose: “Gli Jec sono una razza

molto intelligente, anche se non si vede.” “Ognuno di loro ha un suo robot personale,

Mario è quello costruito da Ejlht in persona!”. Sul ring apparsero due figure, un frate vestito

di verde e una ragazza vestita da punk, con capelli corti e viola, Plukc li presentò con il

nome di Zurelhz (l’uomo) e Khlka (la donna). Sofia li volle sfidare e nessuno la contraddì,

mentre Il Cavaliere forniva informazioni su chi fossero. Khlka era la figlia di Sam, alla

quale avevano fatto il lavaggio del cervello, mentre Zurelhz era il re dei Docti, una razza

molto potente. Costoro, avevano poteri telecinetici, potenti tanto da controllare la natura

circostante. Zurelhz e Khlka erano sposati da miliardi di anni e avevano anche un figlio,

che, molto probabilmente sarebbe stato la loro prossima prova. Sofia non si fece

intimorire, da quei due immensi poteri ed era pronta per la sfida. Sapendo che Zurelhz

poteva assorbirgli i poteri, ne approfittò scagliandoli contro una pioggia di fuoco che usciva

dalla sua spada. Come aveva immaginato Sofia, Zurelhz iniziò ad assorbire il fuoco, ma

ne fu sopraffatto ed esplose. Nell’esplosione Khlka fu coinvolta, e i due scomparvero. Ora

era il momento di Leo, il quale dovette sfidare, Ararara ed Erpaloz. Ararara era un

bambino di dieci anni, figlio di Zurelhz e Khlka, non aveva alcun potere, ma un cervello

straordinario. Era riuscito a creare delle bombe e a inserirle in alcuni cioccolatini, begli

incartati, che portava sempre in tasca. Mentre, Erpaloz, era una quercia parlante, ultimo

superstite della razza dei Daks; i quali abitavano il pianeta Murab ai tempi dei dinosauri.

Leo, vedendo Ararara si mise a ridere e accettò un cioccolatino dato da quest’ultimo; ma Il

Cavaliere, lo mise in guardia e Leo gettò il cioccolatino nella bocca di Erpaloz.

Quest’ultimo esplose e, il bambino scomparve nel nulla; Leo si girò e se lo ritrovò dietro di

sé. Ararara si mangiò uno dei suoi dolcetti ed esplose vicino a Leo, il quale cadde a terra,

nello stupore manifestato da tutti. Aby lo prese con sé e lo portò dal Cavaliere, il quale,

analizzando la situazione disse: “Si riprenderà tra qualche ora!”. Plukc apparve sul ring,

presentando i due prossimi sfidanti, Nalrhmu e Zdlaje. Il primo era un chimico, uscito

pazzo per le sue pozioni, la seconda era, una strega con poteri magici. Bruno, li volle

sfidare e i due accettarono il suo invito. Nalrhmu gettò una boccetta con del liquido

all’interno, Bruno evitandola, la fece cadere a terra e, il liquido sciolse il pavimento. Il

Cavaliere dell’aria salto in alto, caricando la spada del suo potere e colpì il chimico, ma la

strega lo difese con uno scudo magico. Poi volò verso Bruno per colpirlo con una mazza,

ma costui fermò il colpo con una mano e gettò la strega fuori dal ring. Quest’ultima

scomparve, poiché aveva perso, mentre Nalrhmu, vedendosi il cavaliere arrivare verso di

sé, si arrese e scomparve nel nulla. Bruno tornò dai suoi amici, mentre Il Cavaliere,

dovette affrontare gli ultimi due contendenti. Plukc li presentò: “E ora gli ultimi due

contendenti, Candorbé e Tamé!”. Candorbé era il figlio di Candor, passato dalla parte del

male, mentre Tamé era uno stregone con un solo potere, far apparire fulmini. Tamé puntò

il dito indice sul Cavaliere, ma costui sapeva del suo potere e si protesse con la spada.

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Tamé scagliò un fulmine, Il Cavaliere lo colpì, facendolo tornare dal destinatario, il quale

scomparve nel nulla. Candorbé disse: “Ci rincontriamo, sai non sei cambiato per niente

Cavaliere!”. Candorbé si trasformò in un gigante, distruggendo il soffitto.

Il trambusto creato in una vecchia fabbrica abbandonata, svegliò un padre all’una di

mattina. Stanco dei soliti schiamazzi provocati da giovani, aprì la finestra per dirgliene

quattro, ma ciò che vide lo lasciò a bocca aperta. Prese il telefono e compose il 113.

Stefany era appena giunta in ospedale, la notizia della morte del suo capo, l’aveva lasciata

senza parole. Il medico le disse che, a causa dell’incidente accaduto alla stazione di

polizia, la struttura era piena di persone, quindi, per immobilità, non avrebbero potuto

portare il corpo all’obitorio. Dopo l’incidente accaduto, Stefany, aveva ordinato di trasferire

tutte le chiamate del centralino al suo telefono. Questi vibrò e Sofia rispose, dall’altra parte

una voce molto agitata le disse qualcosa alla quale non credeva; chiuse la telefonata e

iniziò a mobilitare, i suoi uomini, verso l’indirizzo datogli dall’uomo al telefono.

Candorbé era diventato gigantesco e, Il Cavaliere lo dovette affrontare; brandì la spada e

si preparò allo scontro. Candorbé sferrò un pugno ma Il Cavaliere salto in aria svanendo

nel nulla. Candorbé si girò, ma non trovò nessuno, Il Cavaliere lo trafisse alla schiena.

Candorbé sentì un dolore immenso, ma non si arrese, con una gomitata colpì il nemico, il

quale cadde fuori dal ring, perdendo. Candorbé fece una grossa risata ma Il Cavaliere

sorrise. Il nemico non capiva perché stesse sorridendo, poi si guardò la schiena e capì; la

spada, che lo aveva trafitto pochi istanti prima, ora gli stava ghiacciando il corpo, a partire

dalla schiena. Candorbé divenne un ghiacciolo, Il Cavaliere comandò la sua spada

richiamandola a sé. Il gigante si frantumò e la spada tornò dal Cavaliere.

Stefany era appena arrivata con la squadra mobile, quando vide una statua di ghiaccio

frantumarsi. La polizia fece irruzione, ma non trovò nessuno; un poliziotto si avvicinò a

Stefany dicendole di aver trovato una persona imbavagliata e con contusioni ma ancora

viva. Stefany si precipitò all’ambulanza appena parcheggiata e riconobbe il corpo robusto

della persona, era Gianni.

I Cavalieri riapparvero in una grotta e si accorsero di due cose; la prima era che qualcuno

mancava all’appello, la seconda era per lo più una sensazione, come se qualcuno li stesse

osservando. Plukc annunciò: “Benvenuti alla sfida finale contro lo Zenbe!” “Non vi

preoccupate per Leo e Il Cavaliere, perché sono stati rispediti sul monte bianco!”. Due

torce si accesero nel buio della grotta e fu lì che i tre Cavalieri si accorsero dei due occhi

famelici che li guardavano. Sofia, Bruno e Aby brandirono le spade e si prepararono allo

scontro. Aby attaccò lo Zenbe dall’alto, ma questi lo bruciò con una scarica di fuoco uscita

dalla sua bocca. Con il suo spostamento, Bruno si accorse di un altare dietro il mostro.

Sopra l’altare c’era una statua di marmo, di una donna con abiti antichi che guardava

verso l’alto, sembrava come se qualcuno l’avesse fermata, tramutandola in pietra, mentre

correva e indicava un punto con l’indice della mano destra. Bruno si girò istintivamente,

dove c’era il punto, ma non trovò nulla. Aby era a terra incapace di muoversi e urlava dal

dolore, scomparve nel nulla e Plukc disse di averlo spedito sul monte bianco. Bruno e

Sofia furono gli unici due cavalieri rimasti. Fu lì che si accorsero di non avere più i poteri,

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chiesero all’annunciatore e costui gli rispose, che la grotta apparteneva ad Andosir, quindi,

i poteri del Saggio, lì sotto, non funzionavano. Il Nekark gettò una vampata di fuoco su

Bruno, questi la evitò e cercò di colpire lo Zenbe fallendo. Infatti, il mostro evitò il colpo, e

colpì Bruno con una zampata; costui, ormai inerme scomparve e Sofia rimase l’unica in

grado di sconfiggere il mostro. La paura, però la assalì e gettò la spada a terra

preparandosi alla morte. Lo Zenbe non si fece scappare l’occasione e stava per dargli il

colpo di grazia, Sofia chiuse gli occhi e iniziò a piangere; non avrebbe mai pensato di

morire in quel posto. Sentì un urlo, riaprì gli occhi e vide che il Nekark era in preda al

panico, un Cavaliere dall’armatura di ferro lo aveva trafitto alla schiena. Lo Zenbe si stava

dimenando dal dolore, Sofia ne approfittò, gli scivolò sotto e lo trafisse al petto. Lo Zenbe

scomparve e il Cavaliere si congratulò con Sofia. Sofia lo riconobbe era Adù, che la

riabbracciò, i due scomparvero riapparendo vittoriosi sul monte bianco. Sofia chiese come

avessero fatto e Il Saggio gli rispose: “Semplice, ho fatto apparire Adù vicino alla grotta e

lui ci si è addentrato!”. Lucy continuò il discorso di Sam: “Adù mi ha salvata ed è per

questo che lo avevano imbavagliato e messo nel cofano dell’auto di Mario.” “Sam, per

fortuna l’ha trovato e gli ha dato un’armatura per fronteggiare lo Zenbe!”. Bruno si

congratulò col suo amico e chiese come mai le armature non erano scomparse. Sam gli

rispose che le armature non erano state forgiate da lui, ma da amici fabbri, i quali avevano

costruito anche l’armatura di Adù. Tutti erano guariti, ma ora avrebbero dovuto affrontare

la terza prova, lo Hbe. Prima, però, Il Cavaliere prese Bruno con sé, per parlargli di una

questione in privato.

Capitolo 15: La terza prova, Hbe.

Il Cavaliere raccontò a Bruno che la statua era la moglie del Saggio, la quale fu tramutata

in pietra, da Andosir. Sam non la poteva più liberare, così le diede parte del suo immenso

potere ma Andosir lo venne a sapere. Rubò la statua e costrinse Sam a giocare alle sue

gare; lui stette al gioco, partecipando insieme al suo secondo figlio, poiché il primo era

morto ormai da qualche tempo. Sam riuscì a vincere e a sconfiggere Andosir, ma non

seppe mai come liberare sua moglie dalla maledizione. Il Cavaliere, continuò: “Lo Hbe è

una corsa tra cavalli, il vincitore, avrà un’ampolla nella quale è racchiuso il cinquanta per

cento del potere del Saggio.” “Ad Andosir piace vedere le persone fallire, quindi, anche se

potremmo vincere la corsa, lui prenderebbe lo stesso il potere del Saggio e diventerebbe

imbattibile!”. Bruno chiese allora: “In questo caso, come facciamo a batterlo?”. Il Cavaliere

gli rispose che c’erano due tecniche, le quali potevano togliere la parte di potere assorbito.

La prima si chiamava Tin Gin Cin era una tecnica abbastanza potente e alla portata di

tutti, bisognava raccogliere tutte le energie rimaste incanalandole in una mano sola e poi

bisognava colpire l’avversario con il palmo aperto. Il Tin Gin Cin era potenza allo stato

puro e si poteva controllare. Se il colpo era ricevuto in pieno petto, si chiamava Tin Gin Cin

dell’ovest, alla schiena dell’est, sotto i piedi del sud, in aria del nord, e nel cuore del centro.

Essendo un colpo controllato poteva essere smaterializzato e apparire ovunque uno

desiderasse, anche nel cuore dell’avversario; però, solo i maggiori esperti riuscivano a

farlo. La seconda tecnica era il Kragenmag, la quale solo i figli del Saggio erano capaci di

utilizzarla. Infatti, l’energia cosmica che permette il Tin Gin Cin, va da un minimo di uno a

un massimo di cento, invece, quella che serve per il Kragenmag va da un minimo di

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venticinque ad un massimo di cento. Il Kragenmag, a differenza del Tin Gin Cin, non è

molto controllabile e non è facile da utilizzare. Il Cavaliere diede una dimostrazione

dicendo che la sua forza cosmica era del trenta per cento. Si concentrò e, una sfera di

energia blu gli apparve sulla mano, disse: “Questo è il Kragenmag di livello tre!”. Colpì un

albero lasciando tutti a bocca aperta. Poi si rivolse agli altri dicendo: “Quello era il

Kragenmag, ma siccome non tutti hanno questo immenso potere, v’insegnerò a utilizzare il

Tin Gin Cin!”.

Nel frattempo il re di Vazd guardò fuori dal suo edificio la città e si preparò per la resa dei

conti. Incaricò Anatolio, Daisetsu, Mano di ferro e Piede di porco di preparare la pista e

uomini a sufficienza per truccare la corsa e fronteggiare il nemico.

Stefany, nell’ospedale, stringeva tra le mani la sua collanina, regalatele da Baschi quando

le salvò la vita, la prima volta. La vibrazione del telefono, la fece ritornare alla realtà; una

voce all’altro capo le disse di non preoccuparsi, ma di prendere i suoi uomini e andare a

un indirizzo. Stefany voleva sapere cosa stesse succedendo, ma la chiamata fu interrotta;

non sapeva se fidarsi o no, ma ora non aveva altra scelta. Chiamò i suoi uomini e li

mobilitò verso l’indirizzo, dato dall’uomo al telefono; ma, il poliziotto all’altro capo le disse:

“Signore, la stavo giusto per chiamare!” “Non ci crederà mai, ma sono scomparsi alcuni

edifici, ne è rimasto uno solo!” “Guarda caso, l’edificio si trova proprio all’indirizzo che ha

detto lei!”. Stefany rimase senza parole, chiuse la chiamata, prese la giacca e raggiunse i

suoi uomini. Arrivata sul posto, non credette ai suoi occhi, gli edifici dell’intero quartiere

erano svaniti nel nulla, uno solo si emergeva maestoso con una balconata, dalla quale

uscì un uomo nero, vestito con un camice da laboratorio. L’uomo guardò i poliziotti e

annunciò: “Benvenuti cari umani!” “Date il vostro mondo ad Andosir, altrimenti faremo

scomparire intere città!”. Stefany non capiva a cosa si stesse riferendo, avventò un passo

avanti, ma un poliziotto glielo impedì, dicendole: “Signore ha messo una specie di barriera

invisibile, nessuno riesce ad attraversarla!”. Stefany era sempre più scettica, ma adesso

aveva trovato il motivo del perché le auto erano state parcheggiate così lontano

dall’edificio. Una folla si era radunata, incuriosita di sapere cosa stesse accadendo; sotto

l’edificio apparvero più di diecimila uomini armati fino ai denti e sopra l’edificio, dei cecchini

puntavano verso la polizia. Stefany prese il megafono e disse: “Arrendetevi e forse vi

daremo clemenza in prigione!”. Il re scoppiò a ridere e le rispose: “Siete voi, voi umani a

dovervi arrendere!”. Stefany non si vide altra scelta e ordinò il fuoco, ma i proiettili scagliati

scomparirono nel nulla, nello stupore generale. Il re rise di nuovo e ordinò il fuoco, i

proiettili colpirono le auto, Stefany fece in tempo a proteggersi, anche se subì un colpo di

striscio. La poliziotta, riemergendo dal parafango destro dell’auto, vide un uomo vestito di

un’armatura da cavaliere, che brandiva una spada. Il re riordinò il fuoco ma Il Cavaliere

colpì tutti i proiettili con la spada. Dopo di che girò la spada sulla mano e si preparò allo

scontro. Una voce, nel mezzo degli scagnozzi, disse: “Ora ci penso io!”. Gli uomini si

fecero spazio, lasciando il campo a una signora molto avanti con l’età. La quale, molto

arrabbiata con Il Cavaliere, gli si avvicinò e lo colpì con la borsetta. Il Cavaliere fu gentile e

la buttò fuori; Stefany la prese in tempo e ordinò ai suoi uomini di riportarla a casa. Il

Cavaliere si rivolse al re: “Siamo qui per lo Hbe o per giocare?”. Il re non proferì parola,

ma alzò una mano e i suoi uomini si misero al lato. La piazzola si aprì e sbucò una pista di

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ghiaccio che volò in aria. La terra si richiuse e il re disse: “I miei uomini staranno giù,

chiunque di voi perda dovrà affrontare i miei uomini, che aspetteranno lì la vostra

dipartita!”. Il Cavaliere chiese: “Nient’altro?”. Il re rispose: “Si!” “La pista finisce alla

balconata, dove ho lasciato l’ampolla.” “Stavolta utilizzerete delle auto date dal Saggio e

sarà una sfida di cinque contro cinque!” “Lascia che ti presenti i tuoi sfidanti: Anatolio,

Daisetsu, Mano di ferro, Piede di porco ed io!”. Poi guardò Il Cavaliere e chiese: “E invece

chi sono i miei sfidanti?”. Il Cavaliere fece una smorfia e rispose: “Adesso arrivano!”.

Capitolo 16: Un evento inaspettato.

Mentre attendevano il segnale del Cavaliere, Bruno e gli altri rimasero nascosti dietro un

edificio. Il Saggio, Lucy e Adù decisero di andare da Stefany; Aby e Leo, si trovavano

sopra il tetto del palazzo, osservando le scene fenomenali del Cavaliere. Così Bruno e

Sofia rimasero da soli, in silenzio, d’altronde non sapevano che dirsi. Sofia chiese: “Ma,

secondo te, riusciremo a vincere?”. Bruno le disse: “Sì, non ti preoccupare, vedrai che

riusciremo a rimettere le cose al loro posto!”. Sofia disse: “Sai, mio padre e mia madre

erano di due religioni diverse, ma mio padre, decise di sposare lo stesso mia madre.” “Mi

hanno chiamata così perché si sono sposati a Istanbul, nella cattedrale di Santa Sofia.”.

Bruno non pensava che in quella cattedrale ci si potesse sposare, ma Sofia continuò la

sua storia: “Il prete che li aveva fatti sposare, diceva mamma, che era un prete di una

religione, chiamata, la religione dimensionistica, dove tutte le religioni sono vere e allo

stesso tempo false!”. Bruno ricordò ciò che gli aveva detto Candor e rimase senza parole,

alla notizia di un prete, che già professava tale religione. Sofia continuò: “Scusami, forse

non avrei dovuto raccontartelo!”. Bruno le rispose: “Non ti preoccupare, ora pensiamo alla

corsa, sei pronta?”. Sofia annuì e i due raggiunsero gli altri sul tetto, dove Aby gli disse:

“Forza piccioncini, Il Cavaliere ha mandato già il segnale!”.

Il Cavaliere alzò la mano destra verso l’alto e poi la riabbassò, ma niente; riprovò una

seconda volta e dal cielo caddero quattro cavalieri vestiti di armature strane: verde, blu,

rossa e bianca. Il Cavaliere li sgridò del ritardo e, rivolgendosi al re, disse: “Ti presento i

tuoi sfidanti, Bruno cavaliere dell’aria, Sofia cavaliere del fuoco, Leo cavaliere della terra,

Aby cavaliere dell’acqua ed io Cavaliere dei sette elementi!”. Il re saltò dalla balconata,

scendendo in grande stile, si mise nella sua auto e, i suoi uomini fecero lo stesso, con le

loro. Vicino ai Cavalieri apparvero delle auto, date dal Saggio; entrarono e si prepararono

per lo scontro. Dopo il rombo dei motori, uno scagnozzo del re sparò un colpo in aria e la

corsa ebbe inizio. Le dieci auto scesero sulla pista ghiacciata, la quale iniziava da terra,

s'intersecava in aria come un labirinto, sbucando nella balconata.

Stefany guardava, il susseguirsi di quelle scene rimanendo a bocca aperta. Una voce

vicino, le disse: “Stia calma, i ragazzi se la sapranno cavare benissimo!”. Stefany si girò e

vide un vecchio, con un abito da frate; lo riconobbe subito e disse: “Ma lei non era

morto?”. Sam le rispose: “Sono morto un sacco di volte, sa?”. Una ragazzina gli si avvicinò

e disse: “Ecco Sam del caffè per te!”. Sam ringraziò la ragazzina e poi disse: “Si rilassi,

faccia come me beva del caffè o una camomilla!”. Stefany gli rispose: “Grazie, ma non ne

ho voglia!” “Ho capito, che questa cosa va oltre ogni mia aspettativa!” “Ma ora le ordino di

chiudere questa storia o l’arresterò per oltraggio alla giustizia!”. Sam le rispose: “Ci provi

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Stefany, lo faccia!”. Stefany gli chiese: “Come fa a sapere il mio nome?” “Non importa, la

dichiaro in arresto!”. Sam le rispose: “Ora non scherzi ho cose di meglio da fare!”. Stefany

si era stufata prese le manette e gliele mise ai polsi, ma queste caddero a terra. Sam si

mise a ridere, ma Stefany non ce la fece più, impugnò la pistola e lo colpi varie volte, ma i

proiettili svanirono nel nulla. Corse all’ambulanza più vicina per capire se gli avessero

iniettato qualche droga, lasciando Sam, Adù e Lucy intenti a guardare la corsa.

Il re era in testa, seguito da Bruno, Anatolio, Il Cavaliere, Daisetsu, Leo, Sofia, Mano di

ferro, Aby e Piede di Porco. Quest’ultimo, ne approfittò aumentando la velocità, mentre

Mano di ferro mise la retromarcia a tutto gas. Conseguenza fu che, l’auto di Aby esplose,

ma lui si era tramutato appena in tempo in acqua, cadendo giù dalla pista e

ricomponendosi. Aby fu circondato e, come se non bastasse, Mano di ferro e Piede di

porco, sbucarono fuori dalla pista, lanciandosi verso il Cavaliere dell’acqua. Costui, però,

salto in aria e le due auto si scontrarono esplodendo. Una forza sconosciuta fece sparire

l’esplosione e Sam capì che Andosir stava arrivando. Aby riatterrò e iniziò la sua lotta

contro gli scagnozzi del re. Mentre, Leo e Daisetsu iniziarono a speronarsi a vicenda,

deragliando e finendo fuori dalla pista. Leo si buttò dallo sportello, Daisetsu fece lo stesso

e, i due, atterrando, scontrarono le loro spade. Il terreno sotto i loro piedi divenne concavo

e i due indietreggiarono preparandosi allo scontro. Sofia ne approfittò e arrivò molto vicino

al Cavaliere, ma questi superò Anatolio, il quale arrestò d’improvviso la sua auto; la

ragazza non fece in tempo a frenare e le due auto esplosero. Dalle macerie, Anatolio

riemerse saltando giù dalla pista in un tonfo tremendo. Ridendo disse: “Hai visto ora la

potenza di Anatolio?”. Una voce di donna alle sue spalle gli disse: “No non l’ho vista!”.

Anatolio si girò, ma non c’era nessuno, pensava di esserselo immaginato; all’improvviso

sentì un dolore lancinante alla schiena, cercò di arrivare con la mano dietro, ma era troppo

grosso per riuscirci. Sofia atterrò e Anatolio chiese: “Come hai fatto?”. Sofia gli rispose:

“Scordi chi sono!” “Io sono il Cavaliere del fuoco, ci sguazzo nelle esplosioni.” “Vieni da

me, spada!”. La spada trafisse Anatolio, rompendogli l’armatura e ritornando dalla

padrona. Quest’ultima si preparò allo scontro, mentre Anatolio scomparve nel nulla; Sam

fece volare il potere di Anatolio fino a un vasetto in terracotta, che aveva in mano. Leo

trafisse Daisetsu, il quale scomparve anch’esso nel nulla; il Saggio raccolse anche il suo

potere, nello stesso vaso sigillandolo. Il Cavaliere superò Bruno e ora si trovava a testa a

testa con il re; un cecchino bucò una ruota di Bruno, l’auto deragliò finendo fuori pista.

Bruno fece in tempo a saltare da fuori e ad atterrare. Lo scontro si fece più intenso tra Il

Cavaliere e il re; quest’ultimo, però fu speronato e finì fuori pista, ma la sua auto e lui

scomparvero nel nulla. Il Cavaliere ormai aveva la vittoria in pugno e riuscì ad arrivare,

con una frenata brusca sulla balconata, vincendo la gara. Scese dall’auto e si avvicinò

all’ampolla, ma dietro di lui una figura stava per colpirlo. Il Cavaliere si accorse che

qualcuno era dietro di lui, così sfoderò la spada e lo fermò, era il re di Vazd. I due

iniziarono uno scontro senza fine, mentre sotto gli altri combattevano contro gli uomini del

re. All’improvviso la pista sparì e anche l’auto rimasta; nel bel mezzo dello scontro apparve

un Cavaliere dall’armatura rossa, che disse: “Io sono Andosir e per voi è arrivata la fine!”

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Capitolo 17: Attimo terzo, L’Amore.

Tutti gli attimi di una vita non ci riporteranno mai l’intera esistenza vissuta, ma ogni singolo

attimo ci riporterà nella vita di tutti. Questo è sempre avvenuto attraverso ricordi di persone

che ci hanno insegnato a reagire e ad andare avanti, nonostante la vita è piena di dolori e

sofferenze. Magari pensiamo tutti di aver sofferto di più degl'altri, senza renderci conto che

ognuno, anche chi ha vissuto una bella vita, ogni giorno deve combattere con una

tragedia. Non esiste una persona che ha avuto tutto dalla vita, perché anche quando pensi

di aver ricevuto tutto, qualcosa ti viene tolto. Può essere qualsiasi cosa, ma bisogna

sempre ricordarsi che la vita è l’unico regalo che non si riceverà mai due volte. Allora

vivetela al meglio e se avrete una sensazione di averla già vissuta, cercate di non fare gli

stessi errori che credete di aver fatto. Non esiste l’uomo o la donna felice, poiché si è felici

solo in singoli attimi e non nell’intera esistenza. Ciò che però ci rende più felici è l’amore

che proviamo per i nostri parenti o per una persona alla quale specialmente teniamo. Il più

delle volte quest’ultima, però, non prova la stessa cosa; ma voi sentite che siete destinati a

fare grandi cose insieme. Allora, non lasciatevi sopraffare dalla rabbia e conoscetela

meglio, vi accorgerete così che forse non era la persona giusta, non era colei che vi

rimarrà sempre accanto, fino all’ultimo istante di vita. In questi casi rimettetevi alla ricerca

e forse troverete colei che vi rimarrà accanto, colei che salvereste anche a costo della

vostra vita e soprattutto colei che amerete in un sentimento reciproco. Pensate che

l’amore non esista, allora vuol dire che non avete trovato ancora la persona che vi fa

battere il cuore, quella per la quale tornereste da lei. Quando la troverete, forse capirete

che avere qualcuno è qualcosa di straordinario. Bruno capì quella sera, la persona che

avrebbe amato per tutta la sua esistenza; ma le cose non vanno sempre come previsto.

Ora nell’attimo in cui la morte stava per giungere, ricordò gli ultimi istanti, i migliori che la

sua vita avesse mai concepito.

Sofia attaccò Andosir, ma costui fu più veloce, la afferrò per il collo e assorbì i suoi poteri;

la ragazza cadde a terra. Aby attaccò il nemico alle spalle, ma costui fermò la spada con

una mano, frantumandola. Tirò una gomitata alla testa di Aby, quest’ultimo, stordito dal

colpo, cadde a terra. Andosir gli mise una mano sulla schiena e assorbì anche il suo

potere. Leo ne approfittò e cercò di colpirlo, però Andosir fu più veloce e, girandosi di

colpo, lo prese al collo, prosciugandogli il suo potere. Il nemico lo lanciò a terra e, Leo, non

riusciva più ad alzarsi. Andosir si girò verso Bruno, costui buttò la spada a terra e si

preparò allo scontro. Puntò il palmo della mano destra, sul nemico e pronunciò le parole:

“Tin Gin Cin del Centro!”. Chiuse la mano e poi la riaprì, lo stomaco di Andosir andò in

frantumi, ma lui fece una grossa risata e lo ricompose. Bruno rimase senza parole, la

tecnica stava funzionando, ma Andosir ne era immune, poiché poteva rigenerarsi.

Lucy si avvicinò all’ambulanza e vide Stefany in preda al panico, cercò di rassicurarla, ma

costei aveva perso troppo e in modo molto strano. Più decisa che mai, voleva fare luce

sulla vicenda e c’era un solo uomo che poteva risponderle.

Andosir si avvicinò velocemente al suo nemico, lo afferrò per il collo e lo prosciugò di ogni

suo potere. Volò in aria e disse: “Adesso tramuterò ognuno di voi in pietra!”. Bruno si rialzò

e Andosir lo tramutò in pietra, ma gli scocciava dover tramutare anche gli altri, così cambio

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idea, dicendo: “Sapete ho cambiato idea, voglio distruggere il vostro pianeta!”. Mise una

mano in aria, dalla quale uscì una supernova, pronta a scagliarsi sul pianeta. Fu lì che

avvenne il miracolo. Sofia si avvicinò a Bruno, pregandolo di tornare, ma costui era ancora

una statua di pietra. In preda alla disperazione iniziò a versare lacrime e disse: “Sai c’è

una cosa che ancora non ti ho detto!” “Ma se dobbiamo morire, voglio che tu lo sappia!”.

Mise le braccia intorno al suo collo e, nella confusione totale, un bacio ruppe il frastuono;

la pietra si frantumò e Bruno disse: “Hai ragione!”. Un secondo bacio, stavolta più intenso,

smaterializzò la supernova e, un'energia grandissima, fece esplodere Andosir in un “no”

agghiacciante. Sam capì che quell’energia era data dalla forza dell’amore.

Capitolo 18: Attimo quarto, La Morte.

Un addio è straziante, quando non viene pronunziato dalla bocca, ma urlato con il cuore.

Forse ora era il momento di dire addio, il momento di lasciarsi tutto alle spalle e accettare

la realtà. Prima di fare tutto ciò, Bruno, ricordò gli ultimi istanti che lo separavano dalla

morte.

Stefany si era avvicinata al Saggio, per chiedergli informazioni, ma, quando questo gli

disse cosa era successo, lei non volle crederci. Guardò la supernova che si stava per

abbattere sul pianeta, ma nonostante questo, due ragazzi, vestiti da cavalieri, si stavano

baciando. Non credeva molto all’amore, soprattutto per ciò che aveva passato, quando

aveva solo quattordici anni. In quel momento, però, vide qualcosa di straordinario, era

come se l’energia, scaturita da quel bacio, avesse fatto sparire la supernova e distrutto

quel mostro. Poi, Sam, si librò in aria e spedì l’energia di Andosir in un varco. Quando

atterrò, Stefany gli chiese, dove aveva spedito quell’energia e lui le disse: “Andosir non

può essere distrutto così facilmente, così ho spedito la sua energia in una prigione, dalla

quale gli sarà difficile uscire!”. Stefany gli chiese, sbalordita: “Vuole dire che c’è qualcosa

che può rinchiudere quel mostro?”. Sam gli rispose: “Certo!” “L’Inferno!”. Stefany voleva

essere scettica, ma quello che era successo fin ora, gli aveva fatto vedere qualcosa che

andava oltre il suo scetticismo.

Il Cavaliere, era ancora impegnato nella sua lotta con il re, quando sentì un rumore, si girò

e vide Andosir intento a scagliare una supernova sul pianeta, ma questa scomparve con

Andosir, il quale, tramutatosi in energia, fu spedito dal Saggio, all’Inferno. Il Cavaliere fu

assalito da un improvviso dolore, si guardò lo stomaco e capì, il re lo aveva trafitto.

Quest’ultimo estrasse la spada, dalla schiena del suo nemico e gli tirò un calcio; Il

Cavaliere cadde dalla balconata, nello stupore generale. Il re vide che i suoi uomini erano

scomparsi, Andosir era stato imprigionato e, come se non bastasse, i cavalieri erano pronti

a sconfiggerlo, poiché avevano riacquistato i loro poteri. Lui però non si diede per vinto,

aveva progettato un secondo piano. Siccome i cecchini non erano stati dati da Andosir,

ma da Tagliano, questi, erano ancora appostati sul tetto, quindi gli ordinò di far fuoco. I

Cavalieri, però, erano più veloci e li sconfissero tutti, lanciandogli contro frecce dei loro

poteri, ghiaccio, aria, pietra e fuoco. Questo fece guadagnare abbastanza tempo al re, il

quale, aveva in mente un piano. Bruno lo vide uscire dalla balconata con un grosso

marchingegno; il re lo attivò e un raggio si scagliò sul cielo della notte. Il raggio creò un

fulmine, che si scagliò a terra, ghiacciando il terreno. Il ghiaccio assorbì i poteri dei

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cavalieri, trasmettendoli alla macchina; il re, attivando un altro meccanismo, assorbì i

poteri e divenne molto più forte. I suoi vestiti si strapparono e il suo corpo diventò

d’acciaio, rimanendogli solo i pantaloni che, essendo elastici, non si frantumarono. I

Cavalieri si prepararono allo scontro, brandendo le loro spade; il re atterrò pronto a

combattere. Leo, Aby, Sofia e Bruno attaccarono contemporaneamente, la nuova

minaccia; ma, il re li respinse, gettandoli a terra. Iniziò a nevicare e il nemico, fece una

risata grossolana. Bruno cercò di rialzarsi, ma un cecchino, ancora in piedi, lo sparò con

l’ultimo colpo che aveva, alla clavicola sinistra. Il Cavaliere dell’aria, cadde a terra e Sofia li

si avvicinò, cercando di farlo rinvenire,ma era inutile, oramai Bruno era morto. La ragazza

versò delle lacrime e, inginocchiata al cadavere, vide quel mostro avvicinarsi, passo dopo

passo, sempre di più al corpo della persona che amava.

Capitolo 19: Ultimo atto, La Vittoria.

Tutto procedeva secondo i piani del re; i cavalieri stavano perdendo e lui molto presto

sarebbe diventato il nuovo sovrano del pianeta. La morte di Bruno andava come,

quest’ultimo aveva immaginato; neve, strato di ghiaccio sottostante, colpo di proiettile e la

ragazza che aveva amato, era accanto a lui. Non sempre, però, va tutto come

programmato, poiché siamo padroni solo in parte del nostro destino. La morte può essere

interpretata in vari modi, si può finire al Purgatorio, all’Inferno, al Paradiso al niente o in

un’altra vita o alla stessa; qualunque sia la verità non importa, in quanto al mondo non

interessa ciò che sarai dopo, ma ciò che sei adesso. Bruno si disse che ormai era arrivato

alla fine dei suoi giorni, anche se non pensava che sarebbe arrivato alla morte così presto.

Appena chiuse gli occhi, il Cavaliere dell’aria, fece un sogno, vedendo una figura, Sam. Il

Saggio gli chiese: “Perché ti stai arrendendo?”. Bruno rispose: “Perché Candor mi ha detto

che esistono varie dimensioni!” “Ho capito, semplicemente, che se vinco in questa, in

un'altra perderò!”. Il Saggio gli rispose: “Sai il fatto stesso che le persone non credano alle

dimensioni, fa di loro la non esistenza!” “Candor aveva ragione nel dirti che ogni d’uno di

noi comanda il proprio destino, ma in parte, si sbagliava!” “Vedi non esiste un luogo in cui

la pace vince o il male vince, esistono invece luoghi in cui essi vincono in parità!” “Se ad

esempio tu vinci qua, è vero che crei una dimensione nella quale perdi, ma è anche vero

che qualcuno lì vincerà contro il male!” “Anche se questo qualcuno non sarai tu!”.

Capendo la situazione, Bruno sapeva adesso cosa fare.

Sofia, in preda alla disperazione, attaccò il nemico, ma fu buttata a terra. Il re si avvicinò a

Bruno per infliggergli il colpo di grazia; ma, una luce invase il corpo esamine del Cavaliere

dell’aria e il nemico, indietreggiò. Bruno si rimise in piedi e il Saggio aprì l’anfora, dove

aveva rinchiuso i poteri di Daisetsu e Anatolio, dandoli al Cavaliere. Il colpo alla clavicola

guarì, ed egli era pronto al combattimento. La neve era finita, ma iniziò a piovere, molto

forte. Bruno gettò la spada a terra e le mani dei due nemici si scontrarono, i due

indietreggiarono e presero la rincorsa. Iniziarono uno scontro senza fine, gancio destro,

gancio sinistro, calcio destro, calcio sinistro, parata, pugno, schivata. Continuarono così

per qualche minuto, poi, si tirarono un gancio destro contemporaneamente ed entrambi,

indietreggiarono. Arrabbiato, per lo scontro, il nemico, gridò: “Ora vedrai la mia potenza!”.

Scatenò un’energia incredibile, aumentando di dieci volte la sua massa muscolare; Bruno

lo guardò, ma non si fece scrupoli, scatenò anch’egli la sua potenza, preparandosi allo

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scontro decisivo. Entrambi si scontrarono e Bruno diede una ginocchiata al nemico, ma

costui la respinse e, i due, indietreggiarono a vicenda. Così Bruno si preparò per la tecnica

del Tin Gin Cin e disse: “Tin Gin Cin dell’Ovest!”. Un’energia investì il nemico, ma costui

non ebbe nemmeno un graffio. Il nemico prese Bruno per i capelli e lo lanciò in aria, ma

costui si rialzò da terra. Bruno scatenò la sua potenza, il nemico fece lo stesso e i due si

librarono in aria per scontrarsi, ma il re fu più forte e scaraventò il Cavaliere a terra. Il re,

atterrando chiese: “Già ti arrendi?”. Bruno non si diede per vinto e si rimise in piedi,

attaccò il re, ma questi lo afferrò per il collo gettandolo a terra, poi lo alzò in aria e lo lanciò

al muro dell’edificio. Bruno andò a sbattere contro il muro, ora a malapena riusciva a

camminare; non soddisfatto dell’avvenuto, il re prese la rincorsa e incastrò Bruno nel

muro. Iniziò a prenderlo a pugni sui fianchi, senza sosta, fracassandogli l’armatura. Il re si

preparò per il colpo di grazia, concentrando tutta la sua energia in un solo pugno. Bruno

pensò che ormai fosse giunta la fine, ma poi sentì un’energia strana invadergli tutto il

corpo, era come se qualcuno non voleva che egli perdesse. Il re sferrò il suo pugno, ma fu

fermato da Bruno, il quale sprigionò un’energia enorme; il nemico fece qualche passo

indietro e Bruno si libero dal muro. Il re gli chiese: “Ma da dove la prendi tutta questa

energia?”. Bruno gli rispose: “Sai, l'ho capito in ritardo ma ora lo so!” “Questa è l’energia

dei miei amici!”. Il re non credette neanche a una parola del nemico, così si caricò al

massimo, pronto a sferrargli il colpo di grazia. Questa volta però Bruno era pronto, caricò

l’energia in una sola mano ed entrambi sferrarono il colpo contemporaneamente. Bruno

schivò il colpo del nemico, lo attaccò allo stomaco e gridò: “Kragenmag!”. Un’energia

intensa fece esplodere il nemico e Bruno cadde a terra, ormai privo di forze, chiuse gli

occhi e si addormentò.

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Epilogo

Bruno si risvegliò richiamato dall’urlo di una signora di mezz’età, che lo guardava con una

faccia molto seria, la riconobbe subito. Era la prof An, che lo mandò fuori per aver dormito

in classe; Sofia chiese di uscire. I due s’incontrarono fuori e Sofia diede un bacio a Bruno,

dicendogli: “Bravo, mio eroe, hai riportato tutto alla normalità!”. Bruno si chiedeva che cosa

era successo ma, per adesso non gli importava, l’unica cosa che riteneva importante, fu

che tutto era tornato alla normalità.

Il Saggio fu contento di ciò che vide attraverso la sua mano e disse: “Sono cresciuti!”.

Candor gli si avvicinò e gli chiese cosa aveva combinato e lui gli rispose: “Ho

semplicemente utilizzato i miei poteri per far risorgere un intero quartiere, il padre di Sofia,

il comandante Baschi e la stazione di polizia!”. Candor allora chiese: “E cosa hai

combinato, ai cittadini?”. Sam rispose: “Loro non ricorderanno nulla di ieri sera, solo i

cavalieri, sono stati degni di sapere!”. Una voce da dietro chiese: “Che fine hanno fatto gli

altri cavalieri?”. Il Saggio si girò e rispose: “Ah sei tu Cavaliere!” “Beh... Bruno, Sofia, Adù

e Lucy vivranno le loro vite, da perfetti umani, per quanto riguarda Leo ed Aby, dovranno

decidere loro stessi cosa fare delle loro vite!”. Il Cavaliere decise di togliersi l’armatura e la

spada, donandole al Saggio; poi, prese in braccio la sua amata e fu teletrasportato da

Sam su Vazd, dove visse alcuni dei suoi giorni, prima di morire. Sam fece sparire

l’armatura che dava i poteri al Cavaliere, come aveva fatto con i poteri dei cavalieri, che

adesso costituivano parte integrante del suo immenso potere.

Lucy, dopo qualche giorno, ricevette una lettera, quando la lesse chiamò Adù, chiedendo

spiegazioni; anche quest’ultimo ricevette la stessa lettera. I due chiamarono Bruno, ma

anche lui e Sofia avevano ricevuto tale busta. La lettera diceva: <<Sono Sam, se credete

di aver fatto un sogno vi sbagliate, era tutto vero! Volevo lasciarvi con un motto che ho

appena inventato>>. Tutti lessero contemporaneamente il motto: <<La vita è l’unico regalo

che non riceverete mai due volte, quindi godetevela finché potete!>>. I quattro giovani

ragazzi si misero a ridere e cercarono, nella vita, di mettere in pratica tale insegnamento.

Una cella si aprì e due guardie vi lanciarono al suo interno il re di Vazd. Costui si rimise in

piedi, aveva le gambe e le braccia fratturate, era stato appena torturato. A malapena si

reggeva in piedi, ma sentì una voce che lo chiamava dalla cella vicina, si girò e capì chi

era. L’uomo dall’altro lato li fece un'offerta e il re accettò, poiché non aveva altra scelta.

Sam bussò alla porta di una villa e gli aprì un rabbino di mezz’età che lo abbracciò, poi si

dissero qualcosa e Il Saggio si smaterializzò. La signora Mahlberg si avvicinò al marito e

gli chiese: “Cosa ci faceva qui il prete del nostro matrimonio?”. Il marito le rispose:

“Dobbiamo andare nel bunker, sta per accadere qualcosa di terribile!”. La signora

Mahlberg rimase sorpresa, ma sapeva chi era quell’uomo, così preparò tutto per

andarsene nel bunker di famiglia. Il signor Mahlberg era un rabbino di mezz’età, che aveva

conosciuto Sam in uno dei suoi viaggi, dove conobbe la sua futura moglie; dopo ciò che

aveva visto, capì la religione dimensionistica ed ora pensò: “Spero che Il Saggio si sbagli,

anche se lui non si sbaglia mai!”.


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