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Gli inurbati in Atene durante la guerra archidamica nelle commedie di Aristofane

Date post: 23-Jan-2017
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Accademia Editoriale Gli inurbati in Atene durante la guerra archidamica nelle commedie di Aristofane Author(s): Roberto Pretagostini Source: Quaderni Urbinati di Cultura Classica, New Series, Vol. 32, No. 2 (1989), pp. 77-88 Published by: Fabrizio Serra editore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20546998 . Accessed: 27/06/2014 16:49 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Fabrizio Serra editore and Accademia Editoriale are collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Quaderni Urbinati di Cultura Classica. http://www.jstor.org This content downloaded from 82.99.189.15 on Fri, 27 Jun 2014 16:49:19 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Accademia Editoriale

Gli inurbati in Atene durante la guerra archidamica nelle commedie di AristofaneAuthor(s): Roberto PretagostiniSource: Quaderni Urbinati di Cultura Classica, New Series, Vol. 32, No. 2 (1989), pp. 77-88Published by: Fabrizio Serra editoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/20546998 .

Accessed: 27/06/2014 16:49

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Gli inurbati in Atene durante la guerra archidamica nelle commedie di Aristofane

Roberto Pretagostini

Queste brevi considerazioni sulla condizione degli inurbati in Atene durante il periodo della guerra archidamica (431-421 a.C), fon

date sulle testimonianze ricavabili dalle commedie di Aristofane, si

inquadrano nel pi? ampio contesto degli awenimenti relativi ai primi anni della guerra del Peloponneso, il conflitto che nella seconda meta

del V sec?lo contrappose le due maggiori poleis greche, Sparta e Atene, con i loro rispettivi alleati *.

Dopo il fallito attacco di Platea da parte dei Tebani nella primavera del 4312, un esercito di Peloponnesi al comando del re Archidamo nel

Pestate dello stesso anno invade PAttica, devasta ?leusi e si accampa infine nel d?mo di Acarne saccheggiando e distruggendo i b?ni degli

Acarnesi3. Intenzione del re spartano, secondo Tucidide, era quella di

provocare una reazione da parte degli Ateniesi e degli abitanti dell'At

tica ehe si erano rifugiati in citt?, in special modo degli Acarnesi, e porre cosi le premesse per uno scontro in campo aperto 4.

Proprio in previsione di questa mossa dell'esercito guidato da

Archidamo, Pericle, come riferisce Tucidide (II13, 2), fra le altre raeco

mandazioni rivolte ai cittadini nell'assemblea, aveva consigliato di

1 Sulle vicende relative alla prima fase della lunga guerra del Peloponneso mi limito

a rinviare a D. Kagan, The Archidamian War, Ithaca-London 1974 (con ampia bibliogra

f?a). 2

Thuc. II2-6. 3

Thuc. II19, 1-2. 4

Thuc. II20, 2-4. Notevoli riserve sul fatto che questo fosse il vero disegno strate

gico di Archidamo son? av?nzate da D. Kagan, op. cit. pp. 51-52, che ritiene invece che la

tattica attendista del re spartano trovi la sua spiegazione pi? verisimile nella speranza,

non ancora del tutto abbandonata, di arrivare ad un accordo con gli Ateniesi, natural

mente da posizioni di forza.

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"prepararsi per la guerra; riportare in citt? quanto si trovava nelle cam

pagne e non uscire per affrontare il nemico in battaglia, ma stabilirsi

alPinterno della citt? e difenderla" 5.

Poco oltre Tucidide osserva (II 14, 1-2):

"gli Ateniesi dopo averio ascoltato si lasciarono convincere e comincia

rono a trasferire dalla campagna i fanciulli e le donne, nonch? le sup

pellettili di uso domestico, asportando anche le parti in legno delle case

stesse; quanto aile greggi e alie bestie da soma, le inviarono nell'Eubea e nelle isole adiacenti. Tuttavia, dal momento che per la maggior parte erano sempre stati abituati a vivere in campagna, il trasferimento rap

present? qualcosa di gravoso per loro" 6.

Anche se le invasioni dell'Attica da parte dell'esercito peloponne siaco non duravano mai per pi? di quaranta giorni7, esse si ripeterono nei primi anni della cosiddetta guerra archidamica con frequenza quasi annuale: fra il 431 e il 425, anno dell'ultima invasione durante questa

prima fase del conflitto, solo nel 429 8 e nel 426 9 esse non ebbero luogo. II fen?meno dell'inurbamento, all'inizio della guerra del Pelopon

neso, di un considerevole numero di cittadini abituati da sempre ad abi

tare nei demi rurali ? dunque conseguenza di una precisa scelta strate

gica di Pericle, secondo la quale ogni sforzo doveva essere finalizzato al

rafforzamento della flotta per tenere sotto controllo gli alleati e assicu

rarsi cosi Papprowigionamento dei mezzi di sussistenza, piuttosto che a

perseguir? il fallace proposito di una difesa ad oltranza delP Attica 10.

5 naoaoxeu??eoGai te ?? x?v jr?Xeuov xai x? ?x x v ?yo v ?axoux?ea9ai, ??

xe u?/nv or) ?jre?i?vai, ?Xk? xfjv jt?Xiv ?aeX6ovxa? tyvhaooEiv. La traduzione di questo, corne degli altri passi di Tucidide riportati nelTarticolo, ? tratta dal volume di M. Moggi, Tucidide. La guerra del Peloponneso, Milano 1984.

6 O? ?? 'AGrrva?oi ?xovoavxe? ?vejreiGovxo xe xai ?oexoux?ovxo ?x x v

?yo v jtai?a? xai yuva?xa? xai xfjv ?Xkr]v xaxa?xeufjv fj xax' otxov ?xo vxo, xat a?x v x v oixi v xaoa?QotivxE? xfjv CuXooaiv Jioo?axa ?? xai UJto?Tjyta ?? xfjv Ei3?oiav ?iejriu/i^avxo xai ?? x?? vrioou? x?? ?juxeiuiva?. xaXejt ? ?? a?xo?? ?i? x? aiei ei O?vai xo?? noXkov? ?v xoi? ?yooi? ?iaix?o0ai fj ?vaoxaai? ?yiYvexo.

7 Tucidide (II57, 2) ricorda infatti che durante la seconda invasione (430 a.C), che fu la pi? lunga, i Peloponnesi rimasero nelTAttica per circa quaranta giorni.

8 Cfr. Thuc. II 71, 1. ? l'anno della spedizione contro Platea.

9 Cfr. Thuc. 11189,1.

10 ? questa la tesi sostenuta da Pericle, in previsione di un ormai imminente scoppio

delle ostilit?, nel celebre discorso di fronte all'Assemblea riunita per deliberare in m?rito

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Dopo aver accennato alle motivazioni che diedero origine al fen?

meno, esaminiamo in dettaglio quali furono le conseguenze che esso

comporto, con riferimento non solo alia sistemazione logistica e alle con

dizioni di vita di un cosi alto numero di nuovi residenti in Atene, ma

anche e soprattutto al loro stato d'animo nei confronti della nuova situa

zione che si era venuta determinando n. Su entrambi gli aspetti, quello

per cosi dire materiale e quello pi? propriamente socio-psicologico 12, numer?se sono le testimonianze che si possono ricavare dalle commedie

di Aristofane rappresentate prima del 421, Panno della pace di Nicia, che chiuse la prima fase della guerra.

Una descrizione incisiva, e al tempo stesso particolarmente felice

dal punto di vista po?tico, della ca?tica situazione urban?stica prodottasi in Atene a seguito delle invasioni peloponnesiache delP Attica ? senza

dubbio quella che troviamo ai w. 792-794 dei Cavalieri, la commedia

che ottenne il primo premio alie Lenee del 424 13. Siamo nell'?mbito del

Pepirrema del secondo agone della commedia: i due contendenti, Pafla

gone-Cleone e il Salsicciaio, i protagonisti di questa pi?ce, fanno a gara ad esaltare di fronte al personaggio Demo i propri meriti nei confronti della citt? e a sminuire, nel contempo, quelli dell'awersario. Reagendo all'affermazione di Paflagone-Cleone, secondo cui nessun uomo ha

amato pi? di lui il pop?lo (Demo), il Salsicciaio replica (w. 792-794):

"Come puoi dire di amarlo? Proprio tu che da sette anni lo vedi abitare

nelle botti, nei buchi, nelle torricciole e non ne hai piet?, ma lo tieni come in un alveare, sottraendogli il miele?" 14.

II fatto che gli inurbati dovessero trovare alloggio nelle Jti0?xvai

"piccole botti", nei yvn?Qia, letteralmente "piccoli nidi di awoltoi",

alle ultime richieste degli Spartani (Thuc. 1 143, 4-5); cfr. M. Moggi, op. cit. p. 250 n. 6. 11

A questa complessa problem?tica ? dedicato l'ampio saggio di V. A. Sirago,

'Campagna e contadini attici durante la guerra archidamica', Orpheus 8,1961, pp. 9-52. 12

A questo proposito molto interessanti sono le osservazioni di O. Longo, 'Atene

fra polis e territorio. In margine a Tucidide 1143,5', Stud. it. f Hol. class, n.s. 46,1974, pp.

15-20. 13 Cfr. Equ. hypoth. 15 (= Scholia in Aristophanem 12, p. 3, 10 s.). 14 Kai Jt ? o? ((n^el?, ?? xo?xov oo v oixo?vx' ?v xa?? jti?axvaiatv

xai yurcao?oi? xai jtUQYl?i?l? ?T?? oy?oov o?x ?XeaiQei?, ?kX? xaGeiQ^a? a?x?v ?Xixxetc; [...].

La traduzione di questo e degli altri luoghi aristofanei citati ? tratta da G. Mastromarco,

Commedie di Aristofane I, Torino 1983.

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80 R. Pretagostini

quindi "buchi", nei JtDQyi?ta "piccole torri", mette bene in luce la

drammaticit? della mancanza di case per i nuovi residenti in Atene; anzi

l'uso per ciascuno dei tre termini della forma del diminutivo (il primo in

-?xvTj 15, gli altri due in -lov) accentua la sensazione di piccolezza e di

precariet? di questi alloggi di fortuna in cui trovarono rifugio i contadini

dell'Attica. Ed anche la met?fora veicolata dal verbo ?XiTteiv "prendere il miele", che ha come referente le api e Palveare, comporta una latente,

ma non per questo meno perspicua allusione al sovraffollamento della

citt? in quegli anni: Atene era diventata, come afferma Mastromarco

esplicitando la met?fora aristofanea, una citt?-alveare 16.

Certamente si potrebbe pensare, come del resto fa Sommerstein nel

suo recente commento ai Cavalieri, che la descrizione sia volutamente

esagerata rispetto alia situazione reale e che il poeta c?mico si sia lasciato

per cosi dire prendere la mano nel voler dipingere a tinte un po' troppo fosche una situazione che comunque non doveva essere eccessivamente

rosea 17. Tuttavia ? molto significativo che questo quadro aristofaneo

trovi un preciso riscontro in un passo di Tucidide, dove con una esposi zione molto circostanziata si fa riferimento al problema della carenza di

alloggi. Dopo aver affermato che al loro arrivo in citt? solo pochi degli abitanti dei demi rurali trovarono sistemazione in abitazioni di loro pro

priet? o presso amici e parenti, mentre la maggior parte di loro si dovette

stabilire in zone non edif?cate della citt?, oppure nei santuari degli dei e

degli eroi ? salvo quelli dell'Acropoli e dell'Eleusinio ?, e persino nel

l'area chiamata Pelargico 18, nonostante che questo fosse espressamente

15 Per questa forma di diminutivo si vedano H. Frisk, Griechisches Etymologisches W?rterbuch II, Heidelberg 1970, pp. 534-535, s.v. JttOo? e P. Chantraine, Dictionnaire

?tymologique de la langue grecque III, Paris 1975, p. 900, s.v. mOo?. 16

G. Mastromarco, op. cit. p. 275 s. n. 137; cfr. J. Taillardat, Les images d'Aristo

phane, Paris 1962, p. 422. 17

A. H. Sommerstein, Aristophanes. Knights, Warminster 1981, pp. 185-186. A

mio par?re, comunque, resta senz'altro da sottoscrivere l'affermazione di G.E.M. de

Sainte Croix, The Origins of the Peloponnesian War, London 1972, p. 356, secondo cui Aristofane ? "an important historical source for the Athens of the late fifth and early fourth centuries"; e questo specialmente quando, come nel nostro caso, i dati ricavabili

dalle sue commedie trovano puntuali conferme nella testimonianza di Tucidide. 18

Sul Pelargico e sulla sua occupazione si veda G. Nenci, TI 'Pelargico' (Thuc, II, 17 1-3; Parke-Wormell, Delphic Oracle, II n. 1) e la 'zona di rispetto' nelle citt? greche arcaiche', in ATIAPXAI. Nuove ricerche e studi sulla Magna Grecia e la Sicilia antica in

onore di Paolo Enrico Arias, Pisa 1982,1, pp. 35-43.

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vietato da un responso dell'oracolo pitico 19, lo storico precisa (II17,3):

"mold si sistemarono anche nelle torri delle mura e come ciascuno pot? farlo. La citt?, infatti, non era in grado di accogliere quanti vi erano

accorsi e in seguito costoro si spartirono e occuparono anche lo spazio delle lunghe mura e la maggior parte di quello del Pireo" 20.

Come si pu? notare, il passo di Tucidide in un particolare non

secondario ? Poccupazione delle torri delle mura ? coincide alia let

tera (jcijqy01 / ftUQYt?ia) con la descrizione aristofanea e questo non fa

che accreditare la sostanziale veridicit? della testimonianza dell'autore

dei Cavalieri anche per gli altri particolari. Del resto la punt?ale osservazione di Tucidide che gli inurbati "si

spartirono e occuparono anche lo spazio delle lunghe mura e la maggior

parte di quello del Pireo" pu? rappresentare un ulteriore riscontro di un

altro passo aristofaneo, nel quale si delinea una situazione di cui non mi

pare che finora siano stati colti tutti i particolari. Nel prologo degli Acar

nesi, la commedia rappresentata aile Lenee del 425 21, il protagonista,

Diceopoli, un vecchio contadino che ha abbandonato il suo podere e si ?

rifugiato in Atene, si reca alla Pnice per partecipare all'assemblea di tutti

i cittadini nella speranza di convincere i pritani a stipulare una tregua con Sparta. Durante i lavori dell'assemblea vengono ricevuti gli amba

sciatori inviati alia corte del Gran Re, uno dei quali riferisce sullo svolgi mento e sull'esito della loro missione. Aristofane, con una felice trovata

drammaturgica, inframmezza il racconto dell'ambasciatore con fre

quenti commenti 'a parte' di Diceopoli, ora amari, ora spassosi.

Cosi, indispettito dall'assoluta sfrontatezza dell'ambasciatore che

descrive il lungo trasferimento dei componenti l'ambasceria verso la Ion

tana capitale del regno di Persia in questi termini paradossali (w. 68-71):

19 Secondo Tucidide (II17,1), che ? il solo a ricordare questo oracolo, la parte con

clusiva di un responso deifico era costituita dalle parole x? neXacywov ??y?v ajieivov (H.W. Parke - D.E.W. Wormell,T?^ Delphic Oracle, Oxford 1956, II, p. 54, nr. 122; cfr. I, pp. 189-190). Contro l'autenticit? delPoracolo ? J. Fontenrose, The Delphic Oracle,

Berkeley-Los Angeles-London 1978, p. 327. 20 Kaxeoxevaoavxo ?? xai ?v xo?? KVQyo?? x v xei/ v Ji.oM.oi xai ? ?xaoxo?

Tiov ??ijvaxo* oi> y?? ?x QTjoe ̂ uveXOovxa? atrco?? f| jtoXi?, ?kK voxeoov ?f) x? xe

[iaxo? xe?%x\ <??ir|oav xaxavein?fievoi xai xov IleiQai ? x? noXk?. 21 Cfr. Ach. hypoth. I, 37 ss. (= Scholia in Aristophanem I IB, p. 2, 3).

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"Ed eravamo sfiniti dal viaggio attraverso le pianure del Caistro: al

riparo delle tende, mollemente sdraiati in comode carrozze ...morti di

stanchezza" 22,

il povero Diceopoli si lascia sfuggire 'a parte' il sarcastico commento (w.

71-72):

"Invece io mi lascio vivere ? eo(?t,?\ir\v, con evidente riferimento al

precedente ?nolXv\iEVOi degli ambasciatori ? presso le mura, sist?

malo ? xaxaxei^ievo?, una voluta ripresa del precedente xaxaxe?fAe

voi ? in mezzo al pagliume"23.

A me pare che il v. 72 sia una sint?tica, ma precisa e vivida descri

zione di come il vecchio contadino Diceopoli si sia adattato a vivere in

Atene: si ? costruito niente pi? che una capannuccia di paglia addossata

alie mura24.

Non desta alcuna meraviglia che, in una situazione cos? degradata

per quanto riguarda il sovraffollamento e Pigiene, la peste, scoppiata

prima dell'estate del 430, abbia potuto diffondersi a macchia d'olio e

mietere migliaia di vittime. Lo stesso Tucidide accenna alia stretta inter

relazione fra la peste e Pinurbamento forzato dei contadini in citt? (II52,

1-3):

"accrebbe i loro disagi, aggiungendosi a quelli derivanti dal morbo, Pafflusso di persone dai campi nella citt?: soprattutto i nuovi arrivati si trovarono in difficolt?. Poich? infatti non c'erano case disponibili e la

gente viveva in capanne res? soffocanti dalla stagione, la strage aveva

luogo nella pi? grande confusione [...]. I santuari nei quali si erano

attendati erano pieni di cadaveri, giacch? morivano proprio qui" 25.

22 Kai ?fjx' ETQVx?\iEoQa x v Ko?otq??dv jre?tcov o?outtaxvo?vxe? eoxnvnuivoi,

?(()' ?Qfxaiia^c?v fxaX6ax?)? xaxaxeifievoi,

?jloM/U[A?VOl. [...]. 23 [...]. 2c|)o?Qa yoiQ eocpC?uTjv ?yci)

jcao? xy]v ?jraX?iv ?v <|)oquxc? xaxaxeiu?vo?.

In questo caso la traduzione ? mia. Per il significato di <t>OQi)xo? si confronti il v. 927, dove il termine sta ad indicare il materiale che serve per imballare il sicofante che Diceo

poli consegna al Tebano in cambio delle merci che quest'ultimo ha portato dalla sua

patria. 24

L'ipotesi della capanna addossata aile mura ? confermata dal passo di Tucidide

(II52,2), riportato nella nota seguente, in cui si parla di KaXv?ai JtviynQai &Q?l ?xou?. 25

'Ejueoe ?' ouxo?? uxxXXov jtq?? x?) ?JtaQXOvxi jt?vo) xai Y) Cuyxouxof) ?x

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Gli inurbati in Atene nelle commedie di Aristofane 83

Ma sui contadini inurbati non gravavano solo i disagi, o meglio le

sofferenze derivanti da una situazione quale quella che siamo venuti fin

qui delineando; su di essi gravavano anche le preoccupazioni e il displa cer? per le devastazioni dei loro poderi e per la perdita dei beni che non

avevano potuto metiere in salvo. Anche di questi dolorosi awenimenti

che avevano luogo a poche miglia dalle mura della citt? e che non pote vano non awilire ulteriormente lo stato d'animo dei contadini inurbati ?

rimasta una qualche eco sempre negli Acarnesi. Ai w. 986-987, nella

parte conclusiva della strofa della coppia strofica che costituisce il

secondo stasimo, il Coro dei carbonai di Acame, motivando il suo ormai

ben saldo odio per Polemos, il dio che personifica la guerra, ricorda che

"ora pi? che mai egli d? fuoco ai pali delle viti e con violenza ci versa il

vino fuori dalle vigne" 26.

Nella Pace, rappresentata alie Dionisie del 42127, il contadino Tri

geo, il protagonista, commenta in questi termini la tesi del dio Her

mes 28, secondo la quale Pazione delle triremi ateniesi lungo le coste del

Peloponneso 29 fu solo una rappresaglia contro i saccheggi dell'Attica

operati dai Peloponnesi (w. 628-629):

xc?v ?yQ(bv ?? x? ?oru, xai oi)% f|aoov xo?? ?jiehoovxa?. oixi v y?? ovx vuclq

%ovo(bv, ?M.' ?v xaM?atc JtvtyTlQai? &Qa ?xou? ?iaixcouivarv ? (|)9oqo? ?Y?yvexo ov?evi xococo, [...]. xa xe lena ?v o?? ?oxf|V?)vxo vexQc?v nk?a f|v, avxo? ?vajto

Ovtjox?vxcdv. 26

T?? xaoaxa? fjjixe iiokv {lakkov ?xi x?) t?vq?,

???xei 6' y\\iibv ?ia xov o?vov ?x x v auji?taov. Altri fugaci accenni aile distruzioni delle viti ricorrono in Ach. 183, 232 e 512.

27 Cfr. Pac. hypoth. III, 48 s. (= Scholia in Aristophanem II2, p. 3, 37). 28 Per i numerosi e complessi problemi relativi al discorso di Hermes nella Pace

rimando alla punt?ale ed acuta analisi di A.C. Cassio, 'Arte compositiva e politica in Ari

stofane: il discorso di Ermete nella Pace (603-648)', Riv. filol. class. 110,1982, pp. 22-44,

spec. 27-39, poi ripubblicata con qualche modifica in Id., Commedia epartecipazione. La

Pace di Aristofane, Napoli 1985, pp. 87-103. 29 L'invio di triremi in direzione delle coste del Peloponneso con il compito di sac

cheggiare il territorio dei Perieci rappresenta una costante nelle scelte strategiche ate

niesi fin dai primi anni della guerra: in quest'ottica si inquadrano, per esempio, il sac

cheggio di Prasie nel 430 (Thuc. II56,1-6), la spedizione di trenta triremi nel 428 (Thuc. III 7, 1-2) e la conquista dell'isola di Citera con le successive incursioni lungo le coste

vicine nel 424 (Thuc. IV 53-57).

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84 R. Pretagostini

"E fecero bene: quelli mi avevano spezzato Palbero di fichi neri che avevo piantato e tirato su"30.

Ancora negli Acarnesi, nella scena del contadino del demo di File

che va a chiedere un po' di pace a Diceopoli, dopo che quest'ultimo ha

stipulato una tregua personale con Sparta per s? e per la sua famiglia, alla

domanda del protagonista che lo interroga su che cosa gli sia accaduto

per ridursi come un povero disgraziato, il contadino risponde (w. 1022

1023):

"Son? rovinato; ho perso i miei due buoi. [...]. Me li hanno presi i Beoti a File"31.

L'episodio va senza dubbio inquadrato nelle frequenti scorrerie

che nei primi anni della guerra i cavalieri beoti compivano nei demi attici

che, come quello di File, erano pi? vicini al confine32. Occasionalmente

queste scorrerie di cavalieri beoti potevano interessare localit? anche pi? vicine ad Atene, come testimonia lo scontro, ricordato da Tucidide (II

22, 2), tra cavalieri ateniesi e tessali da una parte e cavalieri beoti dall'al

tra awenuto a Frigia, localit? da collocare forse nel demo di Atmonia, nell'estatedel431.

All'inizio di queste considerazioni abbiamo citato il passo di Tuci

dide (II14, 2) in cui, commentando il forzato inurbamento dei contadini

dai demi rurali, lo storico osserva che "dal momento che per la maggior

parte erano sempre stati abituati a vivere in campagna, il trasferimento

rappresent? qualcosa di gravoso per loro". Poco oltre egli ritorna su

questo stesso argomento, precisando (II 16, 2):

"erano addolorati e mal sopportavano, lasciando le case e i santuari che erano sempre stati loro di padre in figlio fin dalP ?poca delP antica

organizzazione pol?tica, di dover cambiare sistema di vita e abbando

nare, ciascuno, nient'altro che la propria citt?" 33.

30 'Ev ?lxt] [ikv ovv, ?jiet xoi xf)v xoo vecov y? unu

?|?xo\J>av, f]v ?ycb '(jv?xevoa x??eOoetyau/nv. 31

[...]. 'Ejrexgi?nv ?jroX?aa? x ?oe.

[...]. 'Ajt? OuXfj? eXa?ov o? ?oubxioi. 32

Cfr. Ach. 1077 e il commento di A.H. Sommerstein, Aristophanes. Acharnians,

Warminster 1980, p. 206 ad 1023. 33

'E?aouvovxo ?? xai xaXejtcb? ?(|)?Qov oixia? xe xaxaXeijtovxe? xai leg? ?

?i? Jtavx?? fjv auxoi? ?x xfj? xax? x? ?oxa?ov jtoXixsia? Jt?xoia ?iaixav xe uiXXov

xe? u?xa?aM.eiv xai olj??v akXo f\ jt?Xiv xrjv a?xou artoXeijr v ?xaoxo?.

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Gli inurbati in Atene nelle commedie di Aristofane 85

In sostanza, come giustamente ha sottolineato Moggi, "per i citta

dini che furono costretti ad inurbarsi si tratt? [...] di subir? un vero e

proprio sradicamento dalle sedi avite, che, nella persistente ottica della

vita municipale, erano considerate come ver? e proprie poleis" 34.

E a proposito dei notevoli influssi e delle rilevanti conseguenze di

questo forzato inurbamento sulla psicolog?a e sugli stati d'animo di chi

lo aveva dovuto subir?, ancora una volta particolarmente interessanti

risultano alcune testimonianze che si possono ricavare dalle commedie

di Aristofane.

Nei versi di apertura degli Acarnesi, Diceopoli, presentandosi agli

spettatori della commedia, delinea un quadro psicol?gico di s? che non ?

certo scorretto estendere alla maggior parte dei contadini inurbati (w.

32-36):

"e rivolgo lo sguardo al mio podere; ho desiderio di pace, sono disgu stato dalla citt? e ho voglia del mio d?mo che non ha mai detto 'compra i carboni', Taceto', 'Polio', e non sapeva cosa significasse la parola

'compra', ma produceva tutto da s?" 35.

Un quadro psicol?gico che si basa su due sentimenti diversi ma

convergenti: da una parte il rimpianto e la nostalgia del proprio podere, dall'altra il disgusto e Podio per la citt?, secondo una visione della vita

che esalta i valori e le caratteristiche della realt? contadina (x(?)QCx)

rispetto a quelli propri della realt? urbana (aoru)36. ? facile immaginare

quale doveva essere il senso di straniamento e di sostanziale emargina

34 M. Moggi, op. cit. p. 278 n. 2 (ad 16); cfr. O. Longo, art. cit. pp. 15-18.

35 'Ajro?Xejrov ei? x?v ?yoov, ??of|vr)? ?o v,

axDyajv ji?v ?oru, xov ?' ?uov ?fjuov JtoOc?v,

o? oijoejioajtox' eiJtev* ""Avooaxa? jiqujo", otjx o^o?, oi)x ?Xatov, oi>?' x\bzi jiq??o, ?XX' a?x?? ?(j)?Q? Jtavxa [...].

36 A questo proposito mi sembra particularmente felice il giudizio di O. Longo, art.

cit. p. 17, secondo il quale il disegno pericleo di abbandono della campagna con conse

guente inurbamento dei contadini "comprometteva irrimediabilmente quella dimen

sione "demotica", quella coscienza "comunale" di cui (anche in opposizione al centrali

smo urbano) ? tipica espressione per es. il Diceopoli aristofaneo, oxvy(bv u-?v ?oxv, xov

?' ?uov ?fjuov jtoGc?v (Ach. 32), il contadino attico che si sente JtoXixrj? XQTjoXO? (ib. 595) proprio nel suo essere in primo luogo ?T]uoxr)?, che non accetta l'egemonia del

Y?oxv sulla y?>Qa, e spinge la propria autonomia fino a stipulare una sua pace separata e

a delimitare una sua personale e privata ayooa".

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86 R. Pretagostini

zione di chi, soprattutto gli anziani, abituato da sempre ad un sistema di

vita fondato su un'economia autarchica e di scambio (w. 35-36 "e non

sapeva [seil, il d?mo rurale] cosa significasse la parola 'compra', ma pro duceva tutto da s?"), si ritrova all'improwiso immerso e quasi 'prigio niero' in una citt? e in un contesto ?conomico-sociale in cui una delle

componenti essenziali ? rappresentata dalla l?gica cremat?stica del pro fitto. Una l?gica del tutto estranea a chi ? abituato a vivere dei prodotti della sua terra e che al massimo accetta di barattarli con dei b?ni di cui ?

sprowisto. Non ? un caso che quando, a seguito della tregua personale

stipulata con gli Spartani e i loro alleati, Diceopoli pu? finalmente tor

nare nel suo podere in campagna ed aprire un suo mercatino personale, il commercio che in esso ha luogo (v. 719 ss.) non va al di l? di semplici

baratti in natura.

Per i contadini inurbati la situazione di straniamento ed emargina zione dalle forme pi? peculiari della vita economico-sociale della polis si

accompagnava al rischio sempre possibile che essi divenissero oggetto di

strumentalizzazione pol?tica da parte di uomini politici privi di scrupoli. Ne ? ben cosciente Diceopoli che, preparandosi a difendere la propria causa di fronte al Coro inferocito dei carbonai di Acame, deve ammet

tere (Ach. 370-374):

"Eppure ho un gran timor?: conosco il carattere dei contadini e so che

provano molto piacere se un impostore a ragione o a torto elogia loro e

la citt?; ? allora che non si accorgono di essere oggetto di intrallazzi" 37.

Pressoch? identiche son? le considerazioni fatte dal dio Hermes

nella Pace, l? dove delinea in r?pida sintesi la storia dei contadini dell'At

tica trasferitisi in citt? (w. 632-635):

"Quando la massa dei contadini si raccolse dalla campagna qui in citt? non si accorse di essere l'oggetto di simili intrallazzi: e, poich? era senza

vinaccia ed andava pazza per i fichi secchi, pendeva dalle labbra degli oratori" 38.

37 Ka?xoi ???oixa noXk?' xov? x? y?o xqojtov?

xov? x v ?yooix v o??a xaioovxa? a(|)o?Qa, ??v xi? a?xo?? ??>Xoy?) nai xf]v jioXiv

?vfjQ ?Xa? v xai ?ixaia x??ixa* x?vxa?Oa X.av9?vovo' ?jt?UJtoX n,?voi.

38 K?vO??' ? ?x x v ?yo v ?uvfjXftev o?oyaxnc Xecd?, xov XQ?Jtov jtcdXotj^ievo? xov a?xov oiw ?uxiv6av?V,

?kX' ?x' v ?v?D yiy?ox v xai (jnX v x?? tox??a?

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Gli inurbati in Atene nelle commedie di Aristofane 87

Se dunque la condizione dei contadini inurbati in Atene era

tale quale Pabbiamo sin qui delineata, non suscita alcuna meraviglia che i

loro sentimenti dominanti fossero, come dichiarava apertamente Diceo

poli all'inizio degli Acarnesi, lo struggente rimpianto e Pacuto desiderio

della campagna e del tipo di vita ad essa connesso. Ancora nel 421 il con

tadino Trigeo, nella Pace, si rivolge ai compagni del Coro, ora che dopo la liberazione di Eirene prigioniera di Polemos ? finalmente possibile per loro tornare ai propri campi, in questi termini quasi di sogno (w. 569

580):

" Anch'io ormai desidero ritornare nei campi e dissodare con la zappa,

dopo tanto tempo, il mio campicello. Avanti, compagni, ricordate Pan

tica vita che lei [seil, la Pace] ci off riva un tempo, e le torte di frutta

secca, e i fichi, e i mirti, e il dolce mosto, e il cespuglio di viole presso il

pozzo, e le olive: ecco ci? che desideriamo; in cambio di questi doni, ora salutate la dea" 39.

Per i contadini della Pace, nella finzione scenica, era arrivato il tanto

atteso giorno del ritorno. Cos?, con prorompente entusiasmo, saluta quel

giorno il corifeo, parlando a nome di tutto il Coro (w. 556-559):

e?X,?jt?V Jto?? xo?? X?yovxa? [...]. Sulla strumentalizzazione politica dei contadini attici da parte dei demagoghi molto

importanti sono le considerazioni di A.C. Cassio, art. cit. p. 32 (= op. cit. p. 93): "I dema

goghi montano processi contro i ricchi alleati facendo credere ai contadini impoveriti che le somme che essi saranno costretti a pagare serviranno ad alleviare le loro mis?re

condizioni; in realt? poi intascano di nascosto i soldi che gli alleati danno loro per farsi

prosciogliere dalle accuse". 39

"Qox1 ?y y' f\br\ 5ju6uu?) xa?xo? ?X0??v ?i? ?yoov xai xoiaivo?v xfj ?ix?XXr] ?i? xQ?vou xo yf|?iov. 'AK?S ?vauvno6?vx??, v?Q??,

xfj? ?iaixn? xfj? Jtataxi??, f]v JiaQEix' auxn Jto9' f|uxv, x v x? jra?.aoi v ?x?iv v

x v xe oux v, x v X? [xiJQx v,

xf]? xouyo? x? xfj? y?.ux?ia?

xf]? t vi?? xe xfj? jiq?? x (|)Q?axL, x v x' ?Xa v,

v Jto8o?3^i?v,

?vxi xoux v xt|v?e vuvi

XY]V 0?OV JlQOO?LJtaX?.

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88 R. Pretagostini

"O giorno sospirato dai giusti e dai contadini! Felice di vederti,

voglio salutare le vigne: ci ? a cuore, dopo cosi lungo tempo, abbrac

ciare i fichi che piantai da giovane" 40.

La Pace fu rappresentata alle Dionisie del 42141. Ancora pochi

giorni e con la conclusione delle trattative della cosiddetta pace di Nicia, che fu siglata subito dopo la celebrazione delle Dionisie42, anche nella

realt? i contadini attici avrebbero potuto far ritorno, almeno per qualche anno, ai loro campi.

Universit? di Urbino

40 rQ JTO0ELVT) xol? ?ixaioi? xai yE oyoi? fifx?oa, ?anevo? <o'> l? v jioogeijie?v ?ovXoum x?? ?[mekov?,

x?? xe avx?? ?? ?y 'yvxevov v veo?xeqoc ?ajiaaaoGai 0i)un? f|uxv ?axi jtoXXoax XQOv

. 41

Cfr. n. 27. 42

Thuc. V 20, 1 aiJxai ai ojiov?ai ?y?vovxo XE^Einr vxo? xov x?i|?wvoc ?uxx

f)Qi, ?x Aiovvoi v exjGij? x v ?axix v.

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