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Gli istituti della procedura civile ed il Giudice ... E... · cano “disposizioni di carattere...

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421 MARIA CARLA GIORGETTI* GLI ISTITUTI DELLA PROCEDURA CIVILE ED IL GIUDICE TRIBUTARIO: COMPATIBILITà ED INCOMPATIBILITà SOMMARIO: SEZIONE PRIMA – 1. La portata del rinvio alle norme del Codice di procedura civile – 2. Il giudizio tributario e l’estensione della giurisdizione tributaria – 3. Le tutele ammissibili davanti al Giudice tributario – 4. La tutela tributaria di accertamento – 5. L’operatività dell’art. 700 c.p.c – SEZIONE SECONDA – 6. Esame specifico delle norme applicabili - Principi generali. – 7. Esame specifico delle norme applicabili - Processo di primo grado. – 8. Esame specifico delle norme applicabili - Impugnazioni. – 9. Indivi- duazione delle principali norme del Codice di rito non applicabili al processo tributario. SEZIONE PRIMA 1. La portata del rinvio alle norme del Codice di procedura civile Quando si parla di “civilizzazione del processo tributario”, ci si riferisce ad una condizione che trova riscontro normativo nell’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992 che si occupa della disciplina del processo tributario ed espressamente dispone che “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”. Il legislatore delegato ha, così, chiarito che il suddetto decreto non può essere interpretato come un complesso autonomo e che, di conseguenza, necessita di una costante e attenta attività di eterointegrazione 1 . La previgente disciplina dettata dall’art. 39, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 36, in ordine al rinvio alle norme del Codice di procedura civile per il processo tri- butario, menzionava solo alcuni articoli del libro primo del C.p.c., mentre l’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992 individua nel C.p.c. un più ampio punto di riferimento per l’interpretazione analogica della legge processuale. La dottrina 2 ha, comunque, rilevato in tale disposizione una situazione solo apparentemente innovativa in quanto l’espansione era stata già da tempo enun- ciata dalla giurisprudenza. * Università degli Studi di Bergamo 1 GLENDI, Rapporto tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, in Diritto e pratica tributaria, 2000, I, 1700; CONSOLO, voce Processo tributario in diritto comparato in Dig. delle discipline privatistiche – Sezione commerciale, Torino, 1995, XI, 359; ID., Dal contenzioso al processo tributario, Milano, 1992, Pagine introduttive, XX ss.; MICCINESI, Commento sub art. 2 D.lgs. 546/92, in BAGLIONE, MENCHINI, MICCINESI, Il nuovo processo tributario,, II ed., Milano, 2004, 34. 2 V. FINOCCHIARO, A. FINOCCHIARO, M., Commentario al nuovo contenzioso tributario, Mila- no, 1996, 9.
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Maria Carla GiorGetti*

Gli istituti della procedura civile ed il Giudice tributario:

compatibilità ed incompatibilità

Sommario: SeZioNe PriMa – 1. la portata del rinvio alle norme del Codice di procedura civile – 2. il giudizio tributario e l’estensione della giurisdizione tributaria – 3. le tutele ammissibili davanti al Giudice tributario – 4. la tutela tributaria di accertamento – 5. l’operatività dell’art. 700 c.p.c – SeZioNe SeCoNDa – 6. esame specifico delle norme applicabili - Principi generali. – 7. esame specifico delle norme applicabili - Processo di primo grado. – 8. esame specifico delle norme applicabili - impugnazioni. – 9. indivi-duazione delle principali norme del Codice di rito non applicabili al processo tributario.

SEZioNE Prima

1. La portata del rinvio alle norme del Codice di procedura civile

Quando si parla di “civilizzazione del processo tributario”, ci si riferisce ad una condizione che trova riscontro normativo nell’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992 che si occupa della disciplina del processo tributario ed espressamente dispone che “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

il legislatore delegato ha, così, chiarito che il suddetto decreto non può essere interpretato come un complesso autonomo e che, di conseguenza, necessita di una costante e attenta attività di eterointegrazione1.

la previgente disciplina dettata dall’art. 39, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 36, in ordine al rinvio alle norme del Codice di procedura civile per il processo tri-butario, menzionava solo alcuni articoli del libro primo del C.p.c., mentre l’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992 individua nel C.p.c. un più ampio punto di riferimento per l’interpretazione analogica della legge processuale.

la dottrina2 ha, comunque, rilevato in tale disposizione una situazione solo apparentemente innovativa in quanto l’espansione era stata già da tempo enun-ciata dalla giurisprudenza.

* Università degli Studi di Bergamo1 GleNDi, Rapporto tra nuova disciplina del processo tributario e codice di procedura civile, in

Diritto e pratica tributaria, 2000, i, 1700; CoNSolo, voce Processo tributario in diritto comparato in Dig. delle discipline privatistiche – Sezione commerciale, torino, 1995, Xi, 359; iD., Dal contenzioso al processo tributario, Milano, 1992, Pagine introduttive, XX ss.; MiCCiNeSi, Commento sub art. 2 D.lgs. 546/92, in BaGlioNe, MeNCHiNi, MiCCiNeSi, Il nuovo processo tributario,, ii ed., Milano, 2004, 34.

2 V. FiNoCCHiaro, a. FiNoCCHiaro, M., Commentario al nuovo contenzioso tributario, Mila-no, 1996, 9.

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Nei rapporti tra normativa speciale e Codice di rito, il legislatore delegato ha scelto una tecnica mista di rinvio e che vede tre categorie di norme3:

- norme del Codice di rito applicabili in forza del generale richiamo compiuto dall’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992;

- norme del Codice di rito direttamente trasfuse in specifiche disposizioni del d.lgs. 546/1992;

- norme del Codice di rito autonomamente richiamate da una disposizione diversa del detto decreto, cioè da una lex specialis4.

il criterio della “compatibilità”, indicato quale strumento per l’operatività del rinvio e per la conseguente applicabilità delle norme del C.p.c., è collegato a due condizioni indispensabili.

il rinvio è applicabile in caso di mancata disciplina della fattispecie in que-stione nella normativa relativa al processo tributario (d.lgs. 546/1992), da un lato, e a fronte del ricorrere della compatibilità tra la norma del C.p.c. richiamata e le disposizioni del d.lgs. 546/1992, dall’altro.

in ordine alla compatibilità tra due norme, se la dottrina ne ritiene la sussi-stenza qualora l’utilizzo simultaneo delle due norme in questione non precluda la realizzazione della loro funzione propria, la Corte di cassazione ha elaborato un principio più complesso.

Quando per un istituto, attraverso espresso rinvio di legge, è prevista la pos-sibilità di applicazione di norme appartenenti ad altra materia (per relationem), il limite di tale applicazione, solitamente indicato espressamente nel rinvio, va individuato nella compatibilità con la peculiarità dell’istituto in questione.

la Corte, pertanto, richiede all’interprete di individuare la portata precettiva della norma sottoposta al giudizio di applicabilità, considerando la formulazione letterale e l’ampliamento che essa subisce per effetto del rinvio e ciò al fine di stabilire se l’applicazione della normativa non sia impedita, in tutto o in parte, dalle caratteristiche qualche dell’istituto disciplinato mediante rinvio.

l’indagine va rivolta, anzitutto, al processo tributario, per verificare la pre-senza o meno di una situazione processuale avente le medesime caratteristiche di quella oggetto della disposizione richiamata e, in un secondo momento, deve essere indirizzata ad accertare la compatibilità con la disposizione richiamata, dove per tale deve intendersi oltre la mancanza di contrasto assoluto, anche la mancanza di una semplice disarmonia non autorizzata5.

È, poi, lo stesso ordinamento positivo che non indicando disposizioni partico-lari per l’interpretazione della legge processuale, lascia spazio agli artt. 12 e 14 delle disposizioni preliminari della legge in generale6 e, in particolare, al dispo-sto dell’art. 12, co. 2, che rinvia a “situazioni che regolano casi simili o materie analoghe” in caso di vuoto normativo.

Va, poi, osservato che gli articoli del C.p.c. richiamati nel processo tributario re-cano “disposizioni di carattere generale che, per l’unità dell’ordinamento giuridico e per la corrispondenza a generali esigenze del medesimo, appaiono necessariamente applicabili, salva espressa disposizione contraria o comunque incompatibile”.

3 teSaUro, Istituzioni di diritto Tributario, Parte generale,torino, 1998, 6. Più in dettaglio cfr., GleNDi, Rapporto loc. cit.

4 CarBoNe, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, in Corr. trib., 2002, fasc. 19,1671.5 in questi termini Cass., S. U, 16 gennaio 1986, n. 210.6 V. aNDrioli, Diritto processuale civile, i, Napoli, 1979, 27.

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2. Il giudizio tributario e l’estensione della giurisdizione tributaria

l’ordinamento positivo fissa i caratteri del giudizio tributario modellandolo sullo schema tipico del giudizio d’impugnazione.

la natura di giudizio d’impugnazione si riflette immediatamente sulla con-dotta che deve essere tenuta dal contribuente. Questi, dinnanzi ad un’ingiusta pretesa del fisco, non potrà mai agire in via “preventiva”, ma dovrà attendere la notificazione di un atto impositivo di cui deve espressamente denunziare i vizi (di natura formale o sostanziale che siano), impugnandolo.

tale scelta normativa è coerente con la necessità dell’amministrazione finan-ziaria di non subire (o di ridurre al massimo) intralci nell’esercizio dei pote-ri d’imposizione e, quindi, di salvaguardare la continuità dei flussi finanziari di cui essa abbisogna. appare, di conseguenza, evidente che ciò si ottiene più agevolmente limitando la cognizione al singolo atto contestato ed impedendo, al contrario, al contribuente di proporre azioni giudiziarie tese all’accertamento preliminare della fattispecie impositiva e costringendolo, così, ad attendere l’ini-ziativa dell’amministrazione per potersi difendere.

Dopo aver brevemente illustrato il primo degli elementi che caratterizzano invariabilmente il processo tributario, volgiamo ora l’attenzione al secondo.

la costituzione di speciali Collegi giudicanti, cui è stata riconosciuta natura giurisdizionale, è stata determinata dalla necessità di deferire le questioni fiscali, che spesso presentano elementi di tecnicismo, ad organi composti da persone dotate di particolare esperienza e sapere, anche e soprattutto in materia di va-lutazioni economiche.

il processo tributario – prima regolato dal D.P.r. 636/1972 – è oggi discipli-nato dai decreti legislativi nn. 545 e 546 del 1992: il primo contiene, come si è detto, le disposizioni relative agli organi della giurisdizione fiscale; il secondo fissa la nuova procedura applicabile alle controversie instaurate, ex art. 80 d.lgs. 546/1992, a partire dal 1° aprile 1996 e cioè dalla data in cui sono state inse-diate la commissione tributaria provinciale (i grado) e la commissione tributaria regionale (ii grado).

la giurisdizione, ovverosia la tutela dei diritti per il tramite di un organo giurisdizionale, assume caratteristiche peculiari nel processo tributario.

i limiti esterni di giurisdizione (segnati dall’art. 2) stabiliscono i confini della cognizione del Giudice tributario. le questioni di giurisdizione riguardano, per-tanto, i rapporti tra Giudici di ordini diversi (ad esempio tra Giudice tributario e Giudice ordinario).

l’art. 12 della l. 28 dicembre 2001, n. 448 (Finanziaria per il 2002) ha mo-dificato, con effetto dal primo gennaio 2002, l’art. 2 del d.lgs. 546/1992 rubricato “oggetto della giurisdizione tributaria”.

la principale differenza rispetto al testo precedente consiste nell’aver amplia-to la giurisdizione tributaria a “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie”.

il legislatore ha operato l’eliminazione dell’elenco delle imposte e dei tributi la cui cognizione era devoluta al Giudice tributario, introducendo una definizione, ancorché assai lata, diretta ad estendere la giurisdizione delle commissioni tribu-tarie a tutti i tributi dello Stato, degli enti locali (regione, Provincia, Comuni) e del Servizio sanitario nazionale. tale ampliamento è stato a lungo auspicato ed

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ha tenuto conto anche della crescente importanza assunta dalla finanza locale.la novella appare coerente con lo spirito del legislatore il quale, già nel testo

anteriore alla riforma, rimetteva alla giurisdizione delle commissioni “ogni altro tributo” purchè ciò fosse espressamente previsto dalla legge.

l’intervento operato con la cd. Finanziaria porta dunque a compimento il processo di riforma, realizzando l’unità della giustizia tributaria.

Questo allargamento della giurisdizione tributaria ha, inoltre, prodotto l’effetto favorevole per il cittadino che, per controversie di valore inferiore a già lire 5 milioni, può stare di fronte alla giurisdizone tributaria in giudizio da solo (anche se gli adempimenti per instaurare una lite tributaria non sono molto semplici) e può ottenere una risposta in tempi più celeri, sen za dovere svolgere, dopo il ricorso, attività istruttorie o defensionali.

la giurisdizione delle Commissioni tributarie ha carattere esclusivo nelle ma-terie indicate dall’art. 2 d.lgs. 546/1992 ed in relazione agli atti autonomamente impugnabili ex art. 19: in concreto, in tali ambiti, i Giudici delle commissioni non tollerano l’ingerenza di altro organo giurisdizionale.

3. Le tutele ammissibili davanti al Giudice tributario

l’esclusività della funzione giurisdizionale esercitata dalle Commissioni im-pedisce – secondo un’interpretazione rigorosa dell’ordinamento processuale tri-butario – facoltà concorrenti, anche di contenuto diverso, di altre autorità giu-diziarie.

l’unificazione della giurisdizione comporta che per i tributi che spettavano integralmente, fino a prima della riforma dianzi richiamata, alla giurisdizione del Giudice civile, si apre il tema della corrispondenza piena oppure solo parziale delle forme di tutela ammissibili, ritenendosi che alcune azioni in precedenza ammissibili innanzi al Giudice civile non possano continuare ad esserlo avanti il Giudice tributario.

il riferimento è all’azione dichiarativa di mero accertamento della non de-benza di un tributo e all’azione cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. che ammesse per i tributi rientranti, nel vigere della vecchia disciplina del riparto di giuri-sdizioni, sono divenute di dubbia ammissibilità allorché per questi stessi tributi – rimasti inalterati nella loro componente sostanziale e nella pretesa impositiva che essi legittimano – sono stati integralmente devoluti alla giurisdizione del Giudice tributario.

4. La tutela tributaria di accertamento

Nella nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione civile del 6 novembre 1993, n. 10999, un contribuente chiedeva al tribunale l’accertamento negativo dell’obbligo tributario di versamento dell’acconto relativo all’imposta sul valore aggiunto, previa autorizzazione a sospendere provvisoriamente ex art. 700 c.p.c. tale versamento.

i Supremi Giudici, in tale occasione, hanno argomentato che, nel sistema del processo tributario introdotto dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, le controversie

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riguardanti i tributi elencati all’art. 1 del decreto stesso e, quindi, anche quelle relative all’imposta sul valore aggiunto, sono devolute alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie.

Di conseguenza, il Giudice ordinario è carente del potere di provvedere alla domanda e questa carenza si estende anche ai provvedimenti d’urgenza previsti dall’art. 700 c.p.c. in quanto il potere di decidere in via cautelare ed urgente, attenendo ai provvedimenti strumentali ed anticipatori della pronuncia di merito, sussiste solo per le controversie che rientrano, appunto, nella giurisdizione del Giudice medesimo ed è escluso per le posizioni soggettive riservate alla cogni-zione di altro Giudice.

Nel caso in questione, è stato, di conseguenza, dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione sulla domanda, trattandosi di azione di mero accertamento negativo del debito d’imposta, proposta in via preventiva rispetto ad un atto impositivo dell’amministrazione e che non era stato ancora emesso.

infatti, come ribadito dalla stessa Corte, nel sistema del processo tributario la tutela del contribuente si svolge esclusivamente attraverso l’impugnazione di specifici atti dell’amministrazione elencati in passato all’art. 16 del d.p.r. 636/72 e oggi nell’art. 19 d.lgs. 546/1992. Si tratta di atti che possono essere di accerta-mento, di imposizione o di rifiuto di rimborso di somme riscosse e che, in quan-to tali, permettono l’accesso al giudizio di merito attraverso la loro impugnazione. Sono escluse le azioni di accertamento, negativo o positivo, del debito d’imposta dinanzi sia, pertanto, alle commissioni tributarie, sia al Giudice ordinario.

l’elenco tassativo dell’art. 19 d.lgs. 546/1992 delimiterebbe, così, la potestà dei Giudici tributari entro i limiti dei procedimenti attuati con ricorso avverso gli atti rientranti nell’articolo stesso.

Secondo una parte della dottrina tale procedimento avrebbe mere finalità di annullamento dell’atto; a parere di altra dottrina, invece, il procedimento consi-sterebbe anche in un giudizio di merito sul rapporto oggetto del procedimento stesso7.

Qualche apertura si rinviene in taluni enunciati incidentali della giurispruden-za di legittimità che enuncia che il giudizio tributario di annullamento assume tale connotazione per tutte le fattispecie in cui l’impugnazione è stata proposta per far valere dei vizi dell’atto e, pertanto, sarebbe ammissibile che il soggetto legittimato proponga avanti il Giudice tributario un’azione di accertamento ne-gativo che verta sull’an debeatur e sul quantum debeatur e, in generale, sull’esi-stenza dell’obbligazione.

Nondimeno se già prima della riforma si riteneva che le commissioni tributa-rie potessero conoscere di un giudizio di mero accertamento negativo, a maggior ragione, dopo la novella che ha esteso la giurisdizione delle Commissioni a tutti i tributi di ogni genere e specie, questa possibilità pare da ammettersi.

allo stato, tuttora, non constano prese di posizione favorevoli a tale lettura estensiva da parte della giurisprudenza.

7 Così già MaFFeZZoNi, Atti impugnabili e funzione del processo avanti alle commissioni tribu-tarie, in Boll. trib., 1976, 1389; MaGNaNi, Osservazioni sull’azione di mero accertamento in materia tributaria in Giur. it., 1978, i, 323; MerCatali, L’accertamento delle imposte dirette, Padova, 1980, 227; teSaUro, Tipologia delle decisioni delle commissioni tributarie, in Diritto e pratica tributaria, 1982, i, 1347; rUSSo, voce Processo tributario, in Enc. del dir., XXXVi, Milano, 1987, 755; rUSSo, Impugnazione emerito nel processo tributario. in Riv. dir. trib., 1993, 749.

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5. L’operatività dell’art. 700 c.p.c.

altra questione, assai complessa e dibattuta, attiene all’applicabilità dell’art 700 c.p.c. al processo tributario ed alle conseguenze che da essa deriverebbero.

Nel processo tributario, la tutela cautelare è disciplinata dall’art. 47 d.lgs. 546/1992 che prevede la possibilità per il contribuente di chiedere la sospensio-ne dell’atto qualora da esso possa derivare per il contribuente un danno grave ed irreparabile.

l’opinione dominante secondo cui la tutela cautelare debba ritenersi preclu-sa con la conclusione del giudizio di primo grado muove proprio dalla lettera dell’art. 47 d.lgs. 546/1992, che attribuisce potestà cautelare alla sola Commissio-ne provinciale e renderebbe, in tal modo, inammissibili le istanze di sospensiva rivolte alla Commissione regionale oppure alla stessa Commissione provinciale che abbia in precedenza respinto il ricorso di merito.

tale tesi parrebbe contraddetta dall’art. 61 d.lgs. 546/1992 che richiama, quali norme applicabili nel procedimento di seconde cure, la disciplina prevista per il procedimento di primo grado e, quindi anche l’art. 47 d.lgs. 546/1992.

ad ogni modo, se si avvalorasse la tesi della circoscrizione dei poteri cau-telari al solo giudizio di primo grado, la compressione del diritto di difesa del contribuente sarebbe evidente in quanto, anche in sede d’impugnazione, possono profilarsi situazioni meritevoli di tutela cautelare.

la questione è stata anche oggetto di denunce di illegittimità costituzionale che il Giudice delle leggi ha, però, respinto, sul rilievo che la tutela cautelare, anche se componente essenziale del diritto di difesa costituzionalmente imposta, perdura solo fino alla pronuncia di una sentenza di merito che rende superflue le misure cautelari o che, comunque, le destituisce dal loro fondamento sostan-ziale; dopo di che, sottolinea la Corte, la possibilità di accedere a quel tipo di tutela rimane una scelta discrezionale del legislatore8.

Si registrano, in proposito, sia reazioni critiche della dottrina, sia la soluzio-ne di estrema ratio offerta dalla Corte di Giustizia Ce, che ha argomentato una diretta disapplicazione delle norme limitative della potestà di intervento cautelare da parte dei Giudici di secondo grado9.

altra questione complica, poi, la materia cautelare in ambito tributario.l’autorità amministrativa, tra le funzioni di autotutela, ha la facoltà di di-

sporre la sospensione degli atti di esercizio della propria potestà impositiva; si delinea così un sistema di doppia tutela cautelare, giurisdizionale (ex art. 47 d.lgs. 546/1992) ed amministrativa.

8 V. Corte Cost. 31 maggio 2000, n. 165.9 V. sentenza della Corte di Giustizia del 19 giugno 1990, c.d. sentenza Factorame, relativa alla

causa insorta tra il governo inglese e la ditta Factorame, avente ad oggetto una domanda di pro-nuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’ art. 177 del trattato Cee. la Corte sostiene che l’effetto utile del sistema istituito dall’art. 177 del trattato Cee sarebbe ridotto se il Giudice nazionale che sospende il procedimento in attesa della pronuncia della Corte sulla sua questione pregiudiziale non potesse concedere provvedimenti provvisori fino al momento in cui si pronuncia in esito alla soluzione fornita dalla Corte. la questione pregiudiziale va, pertanto, risolta dichiaran-do che il diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale chiamato a dirimere una controversia vertente sul diritto comunitario, qualora ritenga che una norma di diritto nazionale sia l’ unico ostacolo che gli impedisce di pronunciare provvedimenti provvisori, deve di-sapplicare tale norma.

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la categoria di interessi posti a tutela delle varie sospensioni è la stessa, con la conseguente concorrenza di poteri: il contribuente, per gli atti nei cui confron-ti la legge ammetta entrambe le forme di tutela, godrebbe della libertà di optare a favore dell’una o dell’altra a seconda delle peculiarità del casa concreto.

rilevanti nella scelta sono le maggiori garanzie di obiettività e ponderazione offerte dal sistema della sospensione giudiziale, ma assumono rilievo pratico, a favore della scelta dell’autotutela, la facoltatività del ministero di un difensore tecnico, la non assoggettabilità della sospensiva a cauzioni o garanzie e la pos-sibilità di un intervento maggiormente tempestivo che sono tratti caratterizzanti e decisamente appetibili del procedimento di autotutela.

Si è, di conseguenza, ritenuto che i due strumenti di tutela sono cumulabili, per cui vi sarebbe per il contribuente la libera attivabilità dell’uno dopo l’in-fruttuoso esercizio dell’altro o, addirittura, la contemporanea promuovibilità di entrambi contro il medesimo atto.

Nel secondo caso, evidentemente, l’accoglimento dell’istanza da parte di un’au-torità determinerebbe l’arresto davanti all’altra autorità adita per carenza di in-teresse.

Questo sistema di doppia tutela rischia, tuttavia, di creare inconvenienti quali, in primo luogo, la possibilità che tra gli organi investiti del potere di sospen-sione si crei quella situazione di sottrazione reciproca dalla responsabilità di paralizzare la riscossione fiscale e, in secondo luogo, il contrasto tra decisioni di giudici diversi.

Con più diretto riguardo alla problematica del possibile rinvio all’art. 700 c.p.c e al suo generale operare come norma di chiusura, possiamo dire che in parte la questione è stata superata.

relativamente agli interessi devoluti alla giurisdizione del Giudice ammini-strativo, può, ad oggi, ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere alle misure previste dall’art. 700 c.p.c. poiché soccorrono le cautele tipiche esperibili in sede amministrativa.

Con la legge 21 luglio 2000, n. 205, art. 3 sono stati, infatti, espressamen-te attribuiti al Giudice amministrativo i medesimi poteri del Giudice ordinario previsti dall’art. 700 c.p.c. e, in particolare, il potere di adottare provvedimenti d’urgenza idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di me-rito. Si è, in tal modo, introdotto, un potere cautelare generale non più limitato alla mera sospensiva dell’atto amministrativo impugnato.

il richiamo all’art. 700 c.p.c., rimarrebbe, pertanto possibile solo qualora le suddette misure tipiche risultassero insufficienti ad eliminare il periculum in mora ovvero qualora si trattasse di tutelare diritti soggettivi pieni e situazioni di carenza del pubblico potere.

il problema relativo all’operatività dell’art. 700 c.p.c. nasce proprio in relazio-ne alla realizzabilità di una tutela cautelare effettiva per opera dell’art. 47 d.lgs. 546/1992 ed è sostanzialmente connesso alla natura degli atti di cui è chiesta la sospensiva.

il tema si mostra cruciale soprattutto con riguardo ai provvedimenti di di-niego di rimborso (art. 19, co. 1, lettera g, d.lgs. 546/1992): anche qualora ta-li provvedimenti fossero considerati rientranti nella disciplina dell’art. 47 d.lgs. 546/1992 che, come visto, ne prevede la sospensione dei loro effetti, è evidente che, per gli stessi provvedimenti, la disciplina ex art. 47 d.lgs. 546/1992 non è

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di per sè idonea ad attuare una tutela efficace in quanto il danno che si ac-compagna alla non esecuzione del rimborso è evitabile solo con l’emanazione di una misura sostitutiva del provvedimento: in tal caso, pare pienamente ope-rante il rinvio all’art. 700 c.p.c. e si dispiega l’integrale operatività della misura cautelare atipica.

SEZioNE SECoNDa

6. Esame specifico delle norme applicabili. - Principi generali

tra le norme del Codice di procedura civile che sono ritenute compatibili con il d.lgs. 546/1992 e, di conseguenza, applicabili al processo tributario, vi sono, anzitutto, alcune norme cardine del Codice di rito e che consacrano i principi ispiratori del processo.

a) Viene, anzitutto, in rilevo la perpetuatio iurisdictionis tributaria.a seguito della riforma dell’art. 2 d.lgs. 546/1992 ad opera dell’art. 12, co. 2,

l. 28 dicembre 2001, n. 448 e che, a decorrere dal 1 gennaio 2002 ha ampliato la giurisdizione delle Commissioni tributarie, la Suprema Corte10 ha applicato, nel processo tributario, il principio della perpetuatio iurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c. ed ha enunciato che “…il momento determinativo della giurisdizione va fissato non soltanto con riguardo allo stato di fatto esistente al tempo della propo-sizione della domanda (come sancito dalla norma nella sua precedente versione), ma anche con riferimento alla legge vigente in quel momento, senza che possano, successivamente, rilevare i mutamenti tanto dello stato di fatto quanto delle norme (eventualmente) sopravvenute, dovendosi ritenere esteso anche allo ius superveniens il principio della perpetuatio della giurisdizione, in precedenza non applicabile ai mutamenti di diritto modificativi di essa, ovvero incidenti, in qualche misura, sui suoi criteri determinativi”.

Con tale previsione, il legislatore ha inteso perseguire l’obiettivo di conservare la giurisdizione del Giudice correttamente adito in base alla legge applicabile al momento della proposizione della domanda giudiziale e, pertanto, ha offerto massima tutela alle esigenze di economia processuale, impedendo che l’attività processuale svolta sia posta nel nulla da successive modifiche delle norme che regolano la giurisdizione11.

il principio, espresso dall’art. 5 c.p.c., “…essendo diretto a favorire e non ad impedire la c.d. perpetuatio jurisdictionis, trova applicazione solo nel caso di so-pravvenuta incompetenza o carenza di giurisdizione del Giudice adito e non anche quando, come nel caso di specie, il mutamento dello stato di fatto o di diritto comporti, invece, l’attribuzione della competenza o della giurisdizione al Giudice che ne era privo al momento della proposizione della domanda”12.

10 Cass. Cass., S. U, 5 maggio 2003, n. 6774.11 Cass., S.U., 20 settembre 2006, n. 20322.12 V. Cass., S. U., 20 settembre 2006, n. 20315; Cass., S. U., 19 febbraio 2002, n. 2415 e Cass.,

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B) il modello di disciplina processuale al quale bisogna fare riferimento per prevenire un possibile conflitto di giudicati ed impedire il proliferare dei giudizi sulla medesima questione, è quello contenuto nell’art. 39 c.p.c. sulla litispen-denza e sulla continenza di cause, il cui recepimento tra le regole di proce-dura del processo tributario, in forza dell’art. 1 del d.lgs. 546/1992, non incontra controindicazioni in altre disposizioni del medesimo decreto13.

Se una questione costituisce il domandato nell’ambito di due diversi proce-dimenti, la fattispecie si risolve, a seconda dell’identità totale e/o parziale del domandato, in un caso di litispendenza o di continenza, con conseguente inte-grale operatività dei precetti dell’art. 39 c.p.c.

ai sensi dell’art. 39 c.p.c., la continenza di cause ricorre non solo quando due cause sono caratterizzate da identità di soggetti e titolo e da una differenza sol-tanto quantitativa dell’oggetto, ma anche quando fra di esse sussista un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte, o in relazione di alternatività, e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale della causa petendi14: e, in tale ultimo caso, si parla della cd. continenza qualitativa, per differenziare dalla prima – e più classica – figura della cd. continenza quantitativa.

Secondo l’art. 39, co. 2, c.p.c., la regola generale da far valere dinanzi ai giudici tributari, in casi come quello in esame, è quella della riassunzione della causa dinanzi al Giudice preventivamente adito, attesa la comune competenza per materia delle Commissioni tributarie.

C) anche gli artt. 274 e 335 c.p.c. disciplinanti la riunione dei giudizi sono applicabili al processo tributario.

l’identità di due cause pendenti davanti allo stesso Giudice determina una situazione riconducibile alla fattispecie dell’art. 274 c.p.c., che, nel caso, consente e prescrive la loro riunione.

“L’art. 335 c.p.c., applicabile al processo tributario in virtù del rinvio contenuto nell’art. 49 del d.lgs. 546/92, detta l’obbligo della riunione di “tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza”. Da essa non può tuttavia trarsi la conclusione della nullità della riunione, in appello, di giudizi relativi a sentenze diverse: da un lato, infatti, nemmeno il mancato rispetto dell’obbligo della riunione incide sulla validità della prima impugnazione e sulla procedibilità della seconda; dall’altro, la fattispecie va sussunta in una ipotesi di riunione ex art. 274 c.p.c. esercitata nel giudizio di appello, in forza del rinvio contenuto nell’art. 359 c.p.c., e consentita pertanto, nel processo tributario, dal generale rinvio dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 546/92 cit., con la conseguenza che si è in presenza di un provvedimento di carattere meramente ordinatorio, in suscettibile di impugnazione”15.

D) l’art. 31 d.lgs. 546/1992, dettato per il procedimento di primo grado ed ap-plicabile nel procedimento d’appello al sensi dell’art. 61, esige la comunicazione alle parti costituite (a cura della segreteria ed almeno trenta giorni prima) della

S.U., 6 maggio 2002, n. 6487.13 Cass., sez. trib., 30 ottobre 2000, n. 14281.14 trib. Milano 7 ottobre 2005, in Giust. a Milano, 2005, 10, 71.15 Cass., sez. trib., 11 febbraio 2003, n. 2013.

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data stabilita per la trattazione della controversia; l’omissione non si esaurisce in una mera irregolarità priva di effetti invalidanti, ma determina la nullità dei successivi atti processuali e della sentenza, a norma degli artt. 101 e 156 e ss. c.p.c. e che sono interamente applicabili nel processo tributario in quanto quella comunicazione è indispensabile per assicurare, anche nel processo tributario, il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa16.

e) Sono pure applicabili innanzi al Giudice tributario anche gli artt. 115 e 116 c.p.c., sui poteri del giudice nella valutazione delle prove.

Nel processo tributario, in primo grado, l’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. si applica a termini invertiti: l’amministrazione resistente è, in realtà, l’attore in senso sostanziale, cui spetta la prova della “situazione base del tribu-to” e il contribuente è, pertanto, convenuto sostanziale, cui non spetta provare “l’inesistenza di tale situazione”17, pur se in pos sesso della documentazione che ha portato all’emanazione dell’atto impugna to.

il Giudice poi, accanto alla valutazione delle prove così fornite, può trarre un ulteriore possibile elemento di convincimento dal comportamento collabora-tivo delle parti18.

Va, poi, detto che in ragione della forte esigenza nel processo tributario di conoscere gli atti amministrativi in quanto risultato dell’esercizio di un potere impositivo o sanzionatorio che incide sulle posizioni dei privati, si giustifica l’estensione anche in questo ambito della disciplina introdotta con l’art. 11 l. n. 205/2000 per il nuovo processo amministrativo, nella parte in cui dispone l’obbli-go, per l’amministrazione, di produrre, entro 60 giorni dal deposito del ricorso del cittadino, gli atti e i documenti utili al giudizio, nonché il potere-dovere del Giudice, nel ca so di inadempimento dell’amministrazione, di ordinare l’esibizione di tali at ti e documenti nel termine e nei modi opportuni.

a completamento delle prove fornite dalle parti, vi sono poteri istruttori del-le Commissioni tributarie che “…nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di acces so, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti con-ferite agli uffici tri butari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta” e possono ordinare alle parti il deposito dei documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia (art. 7, co. 1 e 3, d.lgs. 546/1992).

i poteri istruttori attribuiti dall’art. 7 d.lgs. 546/1992 sono meramente integra-tivi dell’onere probatorio principale gra vante sulle parti e vanno utilizzati solo qualora sia impossibile o som mamente difficile fornire le prove richieste; in tal caso, il Giudice tributario ha la mera facoltà di acquisire tali prove d’ufficio19.

Questa facoltà costituisce un contempera mento tra il principio dispositivo e il principio della ricerca della verità ed involge un giudizio di opportunità, rimesso ad un apprezzamento meramente discre zionale del Giudice che può

16 Cass., sez. trib., 6 marzo 2000, n. 2509.17 Così allorio, Diritto processuale tributario, torino 1969, 388-389; 393; Cass. 23 maggio 1979,

n. 2990, in Giur. it., 1979, i, 1, 1774, nota GraNelli, Presunzione di legittimità dell’atto amministra-tivo e onere della prova: un altro mito giuridico finisce in soffitta; Cass. 15 novembre 1979, n. 5951, in Boll. trib., 1980, 465; Cass. 19 aprile 1993, n. 4565, in Corr. trib., 21/1993, 1393; Cass. 21 marzo 1995, n. 3235, in Giurisp. trib., 11/1995, 1075.

18 Cass. sez. trib., 17 gennaio 2002, n. 443.19 Cass., sez. trib., 7 febbraio 2001, n. 1701.

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essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vi zio di motivazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemen te istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione20.

F) applicabile sicuramente al processo tributario, in forza del rinvio contenuto nell’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992, è l’art. 134 c.p.c., sugli obblighi di comunica-zione delle ordinanze la cui inadempienza, oltreché configurare una violazione di norme del processo tributario, integra una violazione del diritto di difesa e determina sia la nullità del procedimento, sia, per estensione e per autonoma ragione, la nullità della sentenza21.

l’art. 134 c.p.c. è oggi operativo nella sua nuova versione, onde la comuni-cazione delle ordinanze può anche avvenire a mezzo di fax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa contenente la sottoscrizione, la trasmis-sione e la ricezione dei documenti informatici teletrasmessi e con la precisazione che le nuove forme di trasmissione sono alternative a al metodo tradizionale della trasmissione del biglietto di cancelleria contenente il dispositivo del prov-vedimento.

la suddetta disposizione opera come norma generale, mentre l’art. 16 d.lgs. 546/1992 ne costituisce la proiezione applicativa nell’attuale versione, a segui-to del recente d.l. 223/06, più noto come Manovra-bis, convertito in legge n. 248/2006, che ha introdotto modifiche alla disciplina delle comunicazioni e no-tifiche degli atti tributari.

Più precisamente, con l’art. 37, co. 28, d.l. 223/06, il legislatore ha ritenuto opportuno aggiungere al comma secondo dell’art. 16 d.lgs. 546/1992, dopo “ Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tribu-taria consegnando alle parti, che ne rilasciano immediata ricevuta, o spedito per mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di rice-vimento” l’inciso “sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’avviso”.

il medesimo periodo è stata introdotto anche al comma terzo dell’art. 16 d.lgs. 546/1992 più specifico in tema di notifiche per il quale “Le notifiche possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possono desumersi il contenuto dell’atto, …”.

tali modifiche sono sostanzialmente volte ad adeguare i vecchi testi normativi ai nuovi dettami del cd. Codice della privacy22.

20 Cass., sez. trib., 30 ottobre 2000, n. 14292.21 Cass., sez. trib., 19 aprile 2001, n. 5807.22 GleNDi, Modifiche alla disciplina delle notifiche degli atti tributari (sostanziali e processuali),

in Corr. Trib., 2006, 37, 2991.

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7. Esame specifico delle norme applicabili. - Processo di primo grado

a) risulta applicabile al processo tributario l’art. 214 c.p.c., sull’onere di disco-noscimento della sottoscrizione e giusta il quale “… la parte la quale dichiara che la sottoscrizione apposta in calce alla scrittura sulla quale si fonda la pretesa creditoria dell’Amministrazione non le appartiene può limitarsi a disconoscerla, incombendo alla controparte l’onere di proporre istanza di verificazione qualora intenda avvalersi della scrittura prodotta in giudizio, il ricorso merita accoglimento, non risultando che a tanto abbia provveduto l’Amministrazione”23.

B) Pure applicabile in ambito processuale tributario è l’art. 295 c.p.c., che im-pone la sospensione del processo per pregiudizialità nei casi in cui deve essere risolta una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. la pregiudizialità sussiste solo quando la definizione di una controversia costituisca l’indispensabile antecedente logico– giuridico dell’altra24. Secondo la giurisprudenza tributaria, “Tale nesso di “dipendenza”, postula che la questione pregiudiziale debba essere decisa con efficacia di giudicato da un giudice diverso da quello chiamato a pronunciarsi sulla causa pregiudicata; in ogni altro caso la questione pregiudiziale deve essere decisa incidentalmente dal giudice della causa pregiudicata ai sensi dell’art. 34 c.p.c., non essendo la pendenza di un altro pro-cesso di per sè sola sufficiente a privare il giudice del potere di esaminarla, anche se ecceda i limiti della sua competenza”25.

Ne deriva che l’art. 39 d.lgs. 546/1992, che limita i casi di sospensione del giudizio tributario, va interpretato nel senso che esso disciplina i rapporti esterni con la giurisdizione civile, ma non anche i rapporti interni tra processi tributari per i quali, giusta il disposto dell’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992, valgono le dispo-sizioni del Codice di procedura civile, tra le quali quella di cui all’art. 29526.

Quando poi, vertendosi in ipotesi di “continenza”, non si renda possibile la riunione degli stessi, per il fatto che essi risultino pendenti in grado diversi, allora il carattere pregiudiziale della causa “contenuta” diviene presupposto per l’applicazione in via estensiva dell’art. 295 c.p.c.

l’art. 39 d.lgs. 546/1992 stabilisce che il giudizio è sospeso quando sia pre-sentata querela di falso o debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio, di talché “…La norma, imponendo la collocazione del processo tributario in fase di quiescenza fino a quando quelle specifiche questioni pregiudiziali non si tradu-cano in giudizio pregiudiziale, di pertinenza del giudice ordinario, e comunque fino a quando tale giudizio non sia definito, esprimono una deroga, in ipotesi prede-terminate, al criterio secondo cui le questioni pregiudiziali sono risolte incidenter tantum dal giudice munito di giurisdizione sulla domanda”27.

il medesimo articolo non disciplina espressamente il caso in cui la questione di tipo pregiudicante sia di natura tributaria ed oggetto di un autonomo pro-cedimento davanti ad una diversa Commissione: in tal caso, è applicabile l’art.

23 Cass. 28 agosto 1999, n. 9054.24 Cass., sez. trib., 20 novembre 2001, n. 14587.25 Cass., sez. trib., 4 giugno 2001, n. 7506.26 Cass., sez. trib., 18 luglio 2002, n. 10509.27 Cass., sez. trib., 22 giugno 2001, n. 8567.

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295 c.p.c., in forza del rinvio alle norme del Codice di procedura civile di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/1992.

Come si è detto in apertura, l’operare delle norme di diritto processuale co-mune dettate per il processo ordinario è, infatti, escluso solo in presenza di una disposizione della speciale disciplina del processo tributario che regoli la stessa vicenda con disposizioni distinte o logicamente compatibili. e tali situazioni non emergono dal raffronto fra i predetti artt. 295 c.p.c. e 39 d.lgs. 546/1992, per le ragioni sopra svolte sui diversi ambiti di operatività. Si è, a ragione, rilevato che “…Il riconoscimento dell’applicabilità nel giudizio tributario dell’art. 295 cod. proc. civ., non autorizza però un ampliamento dei limiti e dei presupposti cui la norma stessa subordina la sospensione, nè in particolare consente di trascurare l’esplicita condizione della “dipendenza” in tutto od in parte della soluzione della causa da sospendere dalla decisione dell’altra causa.

Tale dipendenza esige la coincidenza dei soggetti partecipanti ai due procedi-menti, quale requisito indispensabile perché la definizione dell’uno possa assumere valore vincolante per la definizione dell’altro, secondo i principi generali che pre-siedono all’autorità del giudicato sostanziale”28.

C) risulta applicabile al processo tributario anche l’art. 291 c.p.c. che, relativa-mente alle fasi prodromiche alla dichiarazione di contumacia dispone che in caso di nullità della notificazione e, dunque, in difetto di costituzione in giudizio del destinatario della medesima, si impone al giudice di ordinarne la rinnovazione, a norma degli artt. 291 e 350 c.p.c., applicabili nel rito tributario in forza del rinvio di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. 546/199229.

8. Esame specifico delle norme applicabili. - Impugnazioni

anche nelle fasi di gravame del processo tributario, risultano generalmente applicabili moltissime disposizioni del Codice di rito.

a) la prima disposizione direttamente applicabile alle impugnazioni nel proces-so tributario, è l’art. 324 c.p.c., relativo al passaggio in cosa giudicata e che dispone che “si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta nè a regolamento di competenza, nè ad appello, nè a ricorso per cassazione, nè a revocazione per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell’art. 395”.

la norma in commento disciplina la “cosa giudicata formale”, fenomeno strettamente processuale, cui corrisponde l’immutabilità della sentenza a seguito dell’esaurimento della facoltà di esercizio delle impugnazioni c.d. ordinarie per inutile decorrenza dei termini o per esercizio di tutti i mezzi che l’ordinamento mette a disposizione delle parti.

il giudicato formale determina per la sentenza un grado di stabilità molto alto, ma non assoluto data la previsione di impugnazioni c.d. straordinarie, espe-ribili al ricorrere di circostanze eccezionali espressamente previste dal legislatore.

28 Cass. 26 maggio 1999 n. 5083; Cass. 21 gennaio 2000 n. 661; Cass. 19 febbraio 2000 n. 1907 e Cass. 24 maggio 2000 n. 6792.

29 Cass., sez. trib., 2 agosto 2000, n. 10136.

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al giudicato formale conseguono determinati effetti sul piano delle certezze giu-ridiche che vengono definiti “giudicato sostanziale” di cui all’art. 2909 c.c.

il giudicato, quindi, esplica i propri effetti su un duplice piano: sostanziale perchè reca certezza nei rapporti fra le parti e processuale giacché impedisce che il risultato conseguito possa essere nuovamente posto in discussione.

anche nel processo tributario il giudicato produce effetti definitivi tra le par-ti, cristallizzando il rapporto tributario, che è stato oggetto di accertamento, e comporta l’immutabilità del rapporto medesimo tra l’amministrazione delle fi-nanze ed il contribuente; si è, infatti, precisato che “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Il riconoscimento della capacità espansiva del giu-dicato appare coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale norma agendi cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta”30.

B) l’art. 327 c.p.c., che regola la decadenza dall’impugnazione, estendendo la propria efficacia all’intero ordinamento processuale, si applica anche alle senten-ze rese dalle Commissioni tributarie di primo e secondo grado, le quali, pertanto, non possono essere impugnate ove sia trascorso un anno dalla loro pubblica-zione.

il termine in questione, c.d. termine lungo, si applica al processo tributario, come nel processo civile, solo per il caso in cui nessuna delle parti provveda alla notificazione della sentenza alle parti controinteressate, che potrebbero im-pugnarla.

tale termine decorre dal deposito della sentenza, senza che assuma alcun rilievo la comunicazione del relativo avviso da parte della cancelleria, a meno che la parte rimasta contumace non dimostri di non avere avuto alcuna cono-scenza del processo31.

il co. 2 dell’art. 327 c.p.c. dispone che “la disposizione non si applica quan-do la parte contumace dimostra di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292”.

ai fini dell’accertamento di tale conoscenza, è, poi, sufficiente che sia nota la proposizione del ricorso, non occorrendo che sia stata anche comunicata la

30 Cass., S. U., 16 giugno 2006, n. 13916.31 Cass., sez. trib., 6 maggio 2002, n. 6466.

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data dell’udienza di discussione, benché questa omissione comporti la nullità della decisione32.

C) la disciplina applicabile in tema di decadenza dai termini per impugnare, anche nel processo tributario, segue il richiamo all’art. 328 c.p.c. che ricollega la decadenza stessa al verificarsi degli eventi interruttivi del processo previsti dall’art. 299 c.p.c. (morte o perdita della capacità di stare in giudizio della parte o del suo rappresentante legale o la cessazione della rappresentanza).

in tali circostanze, il termine per impugnare è interrotto e il nuovo ter-mine decorre dal giorno in cui la rinnovazione della notifica della sentenza è effettuata. la stessa disciplina si applica se dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza si verifica l’evento interruttivo e il termine inizia a decorrere dal giorno dell’evento.

Si ricorda che a seguito di intervento della Corte Costituzionale, anche la morte, radiazione e sospensione dall’albo del difensore costituito sopravvenuta nel corso del termine sono considerate fra le ipotesi che provocavano l’interru-zione del processo33.

D) Parimenti applicabile è l’art. 329 c.p.c. che regola l’acquiescenza totale o parziale della sentenza emanata ponendo, anche nel processo tributario, nuovi ed ulteriori limiti alla proponibilità dell’impugnazione.

Qualora il soggetto soccombente e legittimato ad impugnare la sentenza, in primo o in secondo grado, accetta la decisione del Giudice a quo – espressa-mente o anche in modo tacito, attraverso comportamenti concludenti o tali da considerarsi come esecuzione spontanea della sentenza – si può parlare di ac-quiescenza totale della sentenza con la conseguenza di rendere l’impugnazione di fatto improponibile.

l’ipotesi di acquiescenza totale della sentenza nel processo tributario sono piuttosto rare rispetto a quanto accade nel processo civile: si può immaginare, ad esempio, che il soggetto passivo d’imposta, a seguito della sentenza a lui sfavorevole, decida di versare volontariamente le imposte accertate e dovute, ol-tre agli oneri accessori, onde evitare la procedura di esecuzione coatta; ovvero, si pensi all’accettazione espressa del dispositivo resa dalla parte personalmente oppure da un procuratore munito di mandato speciale, posto che – come è no-to – l’acquiescenza della decisione emanata non può mai essere manifestata dal difensore, ma soltanto dalla parte costituita o da un procuratore speciale.

Molto più frequente è l’ipotesi di un’acquiescenza parziale.in tal caso, il dispositivo è impugnato solo per determinati capi, con la con-

seguente accettazione implicita dei capi non contestati sui quali, pertanto, andrà a formarsi giudicato formale e sostanziale.

È necessario, infine, ricordare che l’eventuale impugnazione di una sentenza, per la quale vi è stata acquiescenza espressa, deve essere eccepita in giudizio dalla controparte, mentre nel caso di un’acquiescenza parziale questa può essere rilevata anche d’ufficio dal Giudice ad quem.

32 Cass., sez. trib, 22 marzo 2006, n. 6375.33 Corte cost. 3 marzo 1986, n. 41.

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e) Proseguendo nell’indagine sulle disposizioni del Codice di procedura civile che trovano applicazione nel processo tributario, si riscontrano gli artt. 331 e 332 c.p.c., dedicati al regime delle impugnazioni avverso sentenze rese in giudizi nei confronti di più parti.

il primo articolo ha la sua ratio nelle cause cd. inscindibili e a litisconsorzio necessario ed è stato introdotto per fare in modo che la sentenza resa nei con-fronti di più soggetti nell’ambito di un medesimo processo ovvero in processi tra loro dipendenti, sia impugnata nei confronti di tutte le parti34.

in difetto, l’impugnazione viene dichiarata inammissibile35 e spetterà al Giu-dice ordinare l’integrazione del contraddittorio a favore delle parti necessarie pretermesse, concedendo un termine perentorio per la notifica dell’atto d’impu-gnazione anche a costoro.

l’art. 332 c.p.c., invece, regola l’impugnazione avverso le sentenze rese nei confronti di più soggetti nelle cd. “cause scindibili” e a litisconsorzio facoltativo: se l’impugnazione è stata proposta solo nei confronti di alcune delle parti coin-volte nel precedente grado di giudizio, il Giudice ad quem concede un termine per la notificazione dell’atto d’impugnazione anche alle parti pretermesse, onde evitare che ciascuna delle parti singolarmente impugni la sentenza, dando corso a tanti distinti procedimenti avverso la medesima decisione (cd. provocatio ad impugnandum).

il processo d’impugnazione resta, così, necessariamente sospeso durante il decorso del termine fissato dal Giudice per effettuare la rinotificazione e, co-munque, finché non sono scaduti i termini per impugnare anche alle parti pre-termesse.

F) Una particolare attenzione deve, poi, essere dedicata all’art. 335 c.p.c., relati-vo alla riunione delle plurime impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza.

la norma, corollario degli artt. 331 e 332 c.p.c., dispone che “tutte le im-pugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite, anche d’ufficio, in un unico processo”.

la sua ratio è di evitare che innanzi a Giudici diversi pendano giudizi aven-ti ad oggetto la stessa sentenza e, quindi, che vi sia un possibile contrasto tra giudicati36.

la disposizione trova applicazione nel processo tributario, dove si attribui-sce al Giudice ad quem, che nella fattispecie è il Presidente della Commissione tributaria regionale, il potere di riunire d’ufficio, in un unico giudizio, tutte le impugnazioni distintamente proposte contro la stessa pronuncia. in via subordi-nata, questo potere di riunione può essere esercitato dai Presidenti delle singole sezioni o addirittura agli stessi Collegi giudicanti, d’ufficio o su istanza di parte. Si è, invero, osservato che “L’impugnazione di sentenze diverse con un unico atto non incide sull’autonomia delle singole impugnazioni così proposte, che restano distinte benché espresse nella contestualità “spaziale” e temporale di un unico atto. Peraltro, l’opzione processuale consistente nel proporre nel medesimo atto le diverse

34 Cass., 11 luglio 2006, n. 15686.35 Cass., 22 giugno 2006, n. 14428.36 Cass., sez. trib., 19 maggio 2006, n. 11809.

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impugnazioni non può certo attribuire alla parte il potere di disporre in tal modo la riunione dei procedimenti concernenti le impugnazioni proposte, sottraendo il relativo potere al giudice, ovvero imporre implicitamente al giudice l’esercizio di un potere (quello di riunione previsto dall’art. 274 c.p.c.), che ha natura discrezionale, laddove l’art. 335 c.p.c. impone la riunione soltanto delle impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza”37.

Può anche accadere che né le parti chiedano la riunione, né che il Giudice del gravame la disponga d’ufficio: in tal caso, come precisato dall’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, la prima pronuncia che interviene in sede di gravame comporta l’automatica improcedibilità delle altre impugna-zioni proposte, a prescindere dalla data della loro proposizione.

G) Parimenti applicabile al processo tributario è l’art. 336 c.p.c., relativo agli effetti della modifica e/o della cassazione della sentenza.

il primo comma di tale norma dispone che “la riforma o la cassazione par-ziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata”; mentre al secondo comma dispone che “la riforma o la cassazione estende i propri effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza ri-formata o cassata”.

al riguardo si è osservato che “Ai sensi dell’art. 336 c.p.c., la riforma non soltanto pone nel nulla la sentenza non definitiva che ne costituisce l’oggetto im-mediato, ma estende i propri effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti da quest’ultima, e quindi anche alla sentenza definitiva, ove logicamente connessa a quella non definitiva… l’assetto di interessi che ne risulta è quello introdotto dalla sentenza di riforma, che si sostituisce interamente alle statuizioni di quella riformata, con effetto di vincolo anche in relazione alla prosecuzione del giudizio davanti al giudice di primo grado” 38.

Nel processo tributario, per esemplificare, qualora la pronuncia in appello accerti un’imposta dovuta diversa rispetto a quella stabilita in primo grado, per effetto dell’art. 336 c.p.c., verranno travolti dalla nuova statuizione anche i capi relativi alla determinazione dei diritti e delle spese di procedura, i capi relativi alle sanzioni accessorie e quelli relativi agli interessi che necessariamente dipen-dono da quello riformato.

ad esempio, se in primo grado la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso un atto d’accertamento ritenuto in-giusto e/o illegittimo e gli aveva imputato tutte le spese di procedura oltre le eventuali sanzioni accessorie, una decisione favorevole in grado d’appello alla parte soccombente non può che portare ad una modifica anche delle statuizio-ni sulle spese e sulle sanzioni rispetto a quanto deciso nel precedente grado di giudizio.

H) Norma di chiusura del capo dedicato alle impugnazioni in generale è l’art. 338 c.p.c. che regola gli effetti dell’estinzione del procedimento d’impugna-zione disponendo che “L’estinzione del procedimento d’appello o di revocazione nei casi previsti nei nn. 4 e 5 dell’art. 395 fa passare in giudicato la sentenza impu-

37 Cass., sez. trib., 31 marzo 2006, n. 7645.38 Cass. 15 novembre 2006, n. 24354.

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gnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto”.

la norma è applicabile al processo tributario, con il correttivo che è sempre e solo la sentenza impugnata a diventare definitiva in quanto è esclusa per le Commissioni l’emanazione di sentenze non definitive, sia in primo grado che in appello.

il riferimento va alla revocazione ordinaria, poiché nella revocazione straor-dinaria la sentenza impugnata è già formalmente passata in giudicato.

in dottrina si è ritenuto che la norma trovi applicazione anche nel caso di estinzione per rinuncia agli atti del giudizio di cassazione39.

i) risultano applicabili al processo tributario anche gli artt. 343 e 346 c.p.c., nel senso che la parte totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame presentato dal soccombente, appello inciden-tale per dolersi del mancato accoglimento di eccezioni di rito o di merito o di ragioni della domanda, essendo a tal fine sufficiente una loro specifica ripropo-sizione a norma dell’art. 346 c.p.c..40 e giusta il quale “le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado che non sono espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate”41.

9. Individuazione delle principali norme del Codice di rito non applicabili al pro-cesso tributario

Se l’impossibilità di estendere l’applicabilità di alcune norme che disciplinano il processo civile al processo tributario di primo grado dipende unicamente dalla diversa forma dell’atto introduttivo dei due processi, il discorso con riguardo ai giudizi di impugnazione, si mostra decisamente più complesso.

l’art. 49 d.lgs. 546/1992 esclude espressamente l’applicabilità al processo tributa-rio dell’art. 337 c.p.c. in tema di sospensione dell’esecuzione della sentenza impu-gnata in quanto sono applicabili, in via esclusiva, gli artt. 68 e 69 del decreto stesso e che regolano l’efficacia esecutiva delle sentenza delle Commissioni tributarie.

il primo comma dell’art. 337 c.p.c. dispone, a seguito della modifica appor-tata dalla legge 26 novembre 1990 n. 353, in adeguamento al nuovo regime di esecutività provvisoria ed automatica della sentenza di primo grado ex art. 282 c.p.c., che “l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa”. la sospensione totale o parziale dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza in contestazione può, peraltro, essere decisa qualora la parte che ha proposto l’impugnazione faccia istanza in tal senso e ove ricorrano i requisiti dei gravi motivi o del grave e irreparabile danno.

tale scelta spetta al Giudice dell’appello ex art. 283 c.p.c, o a quello che ha pronunciato la sentenza impugnata con ricorso per cassazione ex art. 373 c.p.c. oppure, ancora, al Giudice della revocazione ex art. 401 c.p.c. o, infine, al Giu-dice dell’opposizione ex art. 407 c.p.c.

39 Cass., 22 agosto 2006, n. 18236.40 Cass., sez. trib., 27 novembre 2002, n. 16768.41 Comm. trib. reg. Bari, 25 maggio 2006, n. 22, in www.giurisprudenzabarese.it

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il secondo comma dell’art. 337 dispone, invece, la sospendibilità del giudizio in cui è invocata l’autorità di una sentenza sottoposta ad impugnazione. in tal caso, già l’art. 39 d.lgs. 546/1992 tra le tassative ipotesi di sospensione del giu-dizio tributario non menziona tale ipotesi.

Vi sono poi norme che, seppur richiamate in via generale, sono da ritenere non applicabili al processo tributario in virtù di una specifica disciplina conte-nuta nel d.lgs. 546/1992.

Così, l’art. 323 c.p.c. che elenca i mezzi d’impugnazione esperibili nel processo civile, non si applica al processo tributario in quanto già l’art. 50 del decreto individua puntualmente i mezzi di impugnazione concessi alle parti.

l’art. 325 c.p.c. individua i termini d’impugnazione e non si applica al pro-cesso tributario in ragione della specifica disciplina contemplata nell’art. 51. lo stesso dicasi per l’art. 326 c.p.c. sulla decorrenza dei termini per le impugnazioni, seppur sono applicabili i principi desumibili in via generale da tale norma in quanto non contrastanti con il disposto della normativa speciale di cui all’art. 51 del decreto.

Dal combinato disposto di quest’ultimo articolo e dell’art. 38 d.lgs. 546/1992, emerge che due sono i termini previsti dal legislatore per impugnare le sentenze delle commissioni tributarie.

il primo, cd. termine breve, di sessanta giorni, decorre dal giorno della noti-ficazione della sentenza per i rimedi dell’appello e del ricorso in cassazione.

la notifica è eseguita per copia autentica ed in forma integrale, a pena di nullità, ad istanza di parte e nei modi previsti dagli artt. 137 e ss. c.p.c.42.

l’atto introduttivo del giudizio d’impugnazione deve essere a sua volta noti-ficato alla Controparte, presso il domicilio eletto, entro e non oltre il suddetto termine di 60 gg., a nulla rilevando la data di consegna dell’atto all’Ufficiale giudiziario.

Questo primo termine per proporre appello ovvero ricorso in cassazione av-verso le sentenza delle commissioni tributarie è, senza dubbio, perentorio e la sua violazione può essere rilevata anche d’ufficio ai sensi dell’art. 326 c.p.c., che, in questo caso, trova diretta applicazione nel processo tributario. Qualora il termine non fosse rispettato il Presidente della Commissione regionale adita dichiara, in ogni stato e grado del giudizio, la tardività dell’impugnazione e la sua inammissibilità.

in particolare, poi, per le cause inscindibili, la notificazione della sentenza anche a solo una delle parti fa decorrere il termine per impugnare rispetto a tutte le altre; chiunque impugni la pronuncia è tenuto a farlo nei confronti di tutti i litisconsorzi necessari nel termine di 60 giorni dalla notifica, fermo re-stando che, in difetto, come già precedentemente detto, sarà il Presidente della Commissione adita ad integrare il contraddittorio.

Data la particolare struttura del processo tributario, un regime particolare di decorrenza è previsto ai sensi del co. 2 dell’art. 51 per il caso di revocazione straordinaria, per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c.: consi-derato che il motivo di revocazione sopravviene alla sentenza, il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo di una delle parti in danno dell’altra o sono state dichiarate false le prove in base alle quali si è giudicato o sono

42 Corte cost. 26 marzo 2002, n. 4333.

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stati rinvenuti i documenti decisivi o ancora è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del Giudice.

Per le ipotesi di revocazione ordinaria di cui all’art. 395, co. 4 e 5, c.p.c. ritorna applicabile, invece, la disciplina ordinaria di cui al co. 1 dell’art. 51 d.lgs. 546/1992 e, pertanto, la revocazione stessa sarà proponibile nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza e, per l’eventualità della mancata notificazione della sentenza, si applicherà il termine d’impugnazione c.d. lungo.

il secondo termine previsto dall’art. 38, co. 3, d.lgs. 546/1992 per le impu-gnazioni delle sentenze rese dalle commissioni tributarie, cd. termine lungo, è di un anno e decorre dalla data di pubblicazione della sentenza, per il caso in cui la notificazione ad istanza di parte non avvenga non facendo decorrere il termine breve.

Scaduto tale termine, senza che vi sia stata impugnazione, la sentenza passa in giudicato. Unica eccezione è la possibilità per le parti non costituite di dimo-strare di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza. anche nell’ipotesi di impugnazione tardiva, il soggetto deve fornire le prove della man-cata conoscenza del processo per causa a lui non imputabile, vale a dire per nullità di notifica o per nullità della comunicazione di fissazione dell’udienza43.

Viene così meno ogni rilievo della comunicazione del dispositivo della sen-tenza da impugnare, da parte della segreteria della commissione tributaria sulla decorrenza del termine per proporre gravame.

Norma del codice di rito esclusa dal rinvio al processo tributario per espressa disposizione della materia dalla disciplina prevista dal d.lgs. 546/1992 è, l’art. 330 c.p.c. dedicato al luogo di notificazione della impugnazione della cui regolazione si occupa, appunto, l’art. 17 del decreto.

tale ultima norma prevede che “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i gradi successivi del giudizio”.

Ultima questione di particolare importanza per il processo tributario è quella relativa alla legittimazione processuale.

infatti, dal 1 gennaio 2001, in forza delle disposizioni del d.lgs. 300/99, le agenzie delle entrate sono subentrate al Ministero delle finanze (ora Ministero dell’economia e delle finanze) nei rapporti inerenti alle entrate tributarie e, per-tanto, anche nelle funzioni esercitate in sede contenziosa. la mancanza, peraltro, di una disciplina transitoria per le controversie non ancora definite, ha posto il problema di determinare se, per le agenzie delle entrate, si versasse in una ipotesi di successione a titolo universale ex art. 110 oppure a titolo particolare ex art. 111.

Sul tema è intervenuta la Cassazione44 che ha ritenuto l’agenzia delle entrate destinataria di un trasferimento di rapporti e attribuzioni determinati ma non della universalità dei rapporti facenti capo ad un soggetto.

Ciò accade, infatti, nell’ipotesi di successione universale o, comunque, nell’ipo-tesi di soggetto non più esistente, cosa che non vale per il suddetto caso, in

43 Cfr. in tal senso Corte cost. 2 maggio 1994, n. 4222, Corte cost. 14 aprile 1985, n. 2581, in Foro it., 1985, i, 2934; Contra Corte cost. 2 ottobre 1991, n. 10248.

44 Cass., S.U., 29 aprile 2003, n. 6633.

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quanto il Ministero delle finanze rimane in vita, seppur ora definito Ministero della economia e delle finanze, e mantiene funzioni anche in materia di entra-te.

l’agenzia delle entrate subentra, quindi, a titolo particolare nella titolarità del credito erariale controverso e questo comporta che legittimati attivamente a proporre ricorso per cassazione sono sia l’agenzia stessa che il Ministero delle finanze quale originario titolare del credito controverso.

Dal lato passivo, invece, alla luce di questa tesi e dell’applicazione dell’art. 111 c.p.c., le controversie già pendenti al 1 gennaio 2001 sono proseguite dal Mini-stero, salva la possibilità per l’agenzia delle entrate di intervenire in giudizio.


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