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Rivista italiana di intelligence, volume 4
130
SERVIZIO PER LE INFORMAZIONI E LA SICUREZZA DEMOCRATICA PER ASPERA AD VERITATEM RIVISTA DI INTELLIGENCE E DI CULTURA PROFESSIONALE N.4 gennaio-aprile 1996 ------------------------------ © Servizio per le informazioni e la Sicurezza Democratica ------------------------------
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SERVIZIO PER LE INFORMAZIONI E LA SICUREZZA DEMOCRATICA

PER ASPERA

AD VERITATEM

RIVISTA DI INTELLIGENCE E

DI CULTURA PROFESSIONALE

N.4 gennaio-aprile 1996

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Anche per l'albero c'è speranza: se viene tagliato, ancora ributta

e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice

e al suolo muore il suo tronco al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta.

(Giobbe 14, 7-9)

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INDICE

Saggi e articoli

Vincenzo CAIANIELLO - Segreto e democrazia Cherubina CIRIELLO - Brevi osservazioni sul fenomeno dell'immigrazione alla luce della più recente evoluzione legislativa Robert A. GRAHAM - Il Vaticano e lo spionaggio Carlo Emilio MILANI - Geopolitica dei musulmani nei Balcani Carlo SARZANA di S. Ippolito - I riflessi normativi dell'uso dei sistemi crittografici in Italia Dario VALCARCEL - Un insuccesso dell'intelligence: la crisi del Cesid

Documentazione di interesse

Camera dei Deputati, XII Legislatura, Relazione sulla politica informativa e della sicurezza presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, DINI, per il secondo semestre 1995 Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni similari criminali.Resoconto dell'audizione del Ministro dell'interno Giovanni Rinaldo CORONAS Camera dei Deputati, XII Legislatura, Proposta di Legge n. 1010 "Modifica alle norme in materia di segreto di Stato" presentata dall'On.le VIOLANTE e altri Camera dei Deputati, XII Legislatura, Proposta di Legge n. 3010 "Norme sulla raccolta di informazioni e di dati a carico dei cittadini e sul diritto degli stessi a conoscerne e correggerne il contenuto" presentata dagli On.li ARLACCHI, SODA, MARONI Senato della Repubblica, XII Legislatura, Disegno di Legge n. 345 "Nuovo ordinamento dei Servizi di informazione e di sicurezza" presentato dal Sen. COSSIGA Senato della Repubblica, XII Legislatura, Disegno di Legge n. 566 "Esclusione del segreto di Stato per i reati commessi con finalità di terrorismo e per i delitti di strage" presentato dal Sen.PASQUINO e altri

Normativa e giurisprudenza di interesse

MINISTRO DELL'INTERNO - Decreto 10 maggio 1994, n.415 Corte Costituzionale: Sentenza n. 231 del 22 ottobre 1975 Ministero per le Amministrazioni Pubbliche del Regno di Spagna: - Regio Decreto 266/1996, del 16 febbraio

I Servizi di informazione e sicurezza degli altri Paesi

Spagna: l'Organizzazione Centrale dell'Intelligence

Recensioni e segnalazioni bibliografiche

G. DE LEO, M. STRANO, G. PEZZUTO, L.C. de LISI - Evoluzione mafiosa e tecnologie criminali Commissariat Général du Plan. Travaux du groupe présidé par Henri MARTRE - Intelligence économique et stratégie des entrerprise Romano CANOSA e Isabella COLONNELLO - Spionaggio a Palermo Carlo JEAN - Il futuro della sicurezza in Europa EL CESID y los jueces: 'Puede España tener servicios secretos? Gustavo SUÀREZ PERTIERRA - El CESID: un nuevo estatuto personal

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Curiosità storiche

An. LA - Vestigia di un'area archeologica d'interesse

Notizie sui collaboratori

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CONTENTS

Essays and articles

Vincenzo CAIANIELLO - Secrecy and democracy Cherubina CIRIELLO - Remarks on immigration in connection with recent legislative developments. Robert A. GRAHAM - The Vatican and espionage Carlo Emilio MILANI - Muslim geopolitics in the Balkans Carlo SARZANA di S. IPPOLITO - Legislative requirements connected with the use of cryptographic systems in Italy. Dario VALCAREL - An intelligence failure: the CESID's crisis

Documents of interest

Chamber of Deputies - XII th Parliament. Report on the Government Intelligence and Security policy presented by Prime Minister Lamberto DINI (for the period July-December 1995). Parliamentary Enquiry Committee into the Mafia and other similar criminal organisations. - Report from the hearing of the Minister of the Interior Giovanni Rinaldo CORONAS. Chamber of Deputies - XIIth Parliament - Bill n.1010 "Modification of the provisions on State secrecy". By Dep. VIOLANTE and others Chamber of Deputies - XIIth Parliament - Bill n. 3010 "Provisions on the gathering of information and of data on citizens and on their right to know and to correct the content of such information and data". By Deputies ARLACCHI, SODA, MARONI Senate - XIIth Parliament - Bill n.345 "New regulation for the Intelligence and Security Services" by Sen. COSSIGA Senate - XIIth Parliament - Bill n.566 "Inapplicability of State secrecy in case of crimes of terrorism and of mass killings" by Dep. PASQUINO and others.

Legislation and jurisprudence

Minister of the Interior. Decree n. 415 of 10.05.1994. Constitutional Court. Judgement n. 231 of 22.10.1975 Ministry for the Public Administration of the Kingdom of Spain: Royal Decree n.266/1996, of 16th February 1996.

Other Countries Intelligence and Security Services

Kingdom of Spain: The Intelligence Central Organisation

Reviews and bibliographic recommendations

G. DE LEO, M. STRANO, G. PEZZUTO, L.C. de LISI - Evoluzione mafiosa e tecnologie criminali Commissariat Général du Plan. Travaux du groupe présidé par Henri MARTRE - Intelligence économique et stratégie des entrerprises Romano CANOSA e Isabella COLONNELLO - Spionaggio a Palermo Carlo JEAN - Il futuro della sicurezza in Europa EL CESID y los jueces: 'Puede España tener servicios secretos? Gustavo SUÀREZ PERTIERRA - El CESID: un nuevo estatuto personal

Historical Curios

An LA Remains of a significant archeological area

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News on our collaborators

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Vincenzo CAIANIELLO - Segreto e democrazia

È opinione largamente condivisa che la democrazia sia da intendere come il governo del "potere visibile", nel senso che ad essa è connaturata l'esigenza che nulla resti relegato nello spazio del mistero. Questa configurazione concettuale ci è stata tramandata dagli archetipi della Grecia classica in cui la vita politica si svolgeva nei luoghi pubblici dell'agorà e dell'ecclesia, ove i cittadini esercitavano i loro molteplici diritti: tutti davanti a tutti potevano denunciare illegalità, sollevare accuse, presentare proposte, accogliere quelle altrui, vagliando le diverse argomentazioni svolte dagli oratori, i quali ultimi venivano diffidati dal compiere, nella foga dei loro discorsi, abusi che sconfinassero nella demagogia perché, come ammoniva l'araldo, la sanzione divina avrebbe subito colpito chi osasse ingannare il popolo. L'Atene di Pericle assurse dunque nel tempo a modello ideale della democrazia intesa come governo pubblico in pubblico. Alla fine del XVIII secolo, l'autore di uno fra i tanti catechismi rivoluzionari, Michele Natale, il vescovo di Vico Equense, martire per aver partecipato alla gloriosa rivoluzione napoletana del 1799, alla domanda: "Vi è niente di segreto nel Governo democratico?" risponde: "Tutte le operazioni dei governanti devono essere note al Popolo Sovrano, eccetto qualche misura di sicurezza pubblica, che gli si deve tuttavia far conoscere, quando il pericolo è cessato". Corollario di quanto ora enunciato è quel principio-cardine dello Stato democratico, per cui la pubblicità è la regola e il segreto è l'eccezione, che si giustifica solo perché, come ogni eccezione, ha una durata temporale rigorosamente limitata alle reali esigenze che lo richiedano. Il principio si può esplicare con riguardo al diverso carattere della dittatura sovrana (quella, per intenderci, attuata da Silla, che uno storico francese non esitò a definire "monarchia mancata") rispetto alla dittatura commissaria, normalmente prevista nel catalogo delle magistrature romane, allorché esigenze straordinarie richiedessero di sospendere temporaneamente la suprema carica repubblicana e di affidare ad un dittatore il governo per un massimo di sei mesi, non a caso proprio la metà dell'anno di carica dei consoli, ai quali ulti-mi, del resto, spettava la nomina del dittatore. Dunque la pubblicità del potere è la regola dei regimi democratici, il segreto l'eccezione: ed è sintomatico - lo ricordava anni fa in un suo limpido saggio Norberto Bobbio - che anche quando, con la nascita del grande stato territoriale, il modello della democrazia rappresentativa soppiantò quello della democrazia diretta, proprio delle città-stato, il carattere non segreto del potere non cessò di atteggiarsi come importante (se non il più importante) elemento atto a distinguere lo stato costituzionale rispetto a quello assoluto. Al riguardo, lo stesso Bobbio segnalava una proposizione di Schmitt molto significativa che merita di essere letta: "Rappresentare vuol dire rendere visibile e rendere presente un essere invisibile mediante un essere pubblicamente presente. La dialettica del concetto sta in ciò, che l'invisibile viene presupposto come assente e contemporaneamente reso presente". A differenza che nella sfera privata dominata dalla riservatezza, che è tutelata da tutte le norme ed in particolare dalla Costituzione, l'esigenza della pubblicità del potere ha caratterizzato sempre più la società contemporanea: l'opinione pubblica pretende di discutere e criticare gli atti del pubblico potere, esige la pubblicità dei dibattiti politici. Il principio trova accoglimento in Costituzione, ove, al secondo comma dell'art. 64, si stabilisce che le sedute delle Camere sono pubbliche, ma che tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta. Si tratta di una deroga al principio della pubblicità, giustificata da ipotesi in cui il Parlamento debba discutere di questioni attinenti alla sicurezza della collettività; una deroga che non è certo in contraddizione con il principio democratico della pubblicità, perché quando si verifichi quella evenienza la libertà di informazione senza limiti potrebbe produrre effetti perversi proprio rispetto alla democrazia. Ecco perché, come si vedrà in prosieguo, il diritto di informazione deve considerarsi non fine a sé stesso, ma in senso strumentale per la realizzazione della democrazia. A differenza di altri diritti di libertà, che nella demo-crazia devono trovare invece la loro piena esplicazione, il diritto di informazione può essere dunque conformato in funzione di quel fine. Emerge così chiaramente che, nel rapporto democrazia-diritto di informazione, è la prima a doversi considerare il fine e il secondo lo strumento per raggiungerla, per cui possono ritenersi legittime tutte quelle

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deroghe al diritto di informazione, che pure costituisce la regola del regime democratico, dirette a creare le condizioni per la piena realizzazione della democrazia. Deroghe concepite perciò non in previsione degli arcana imperii - i misteri del potere sempre in agguato - ma in funzione del fine da raggiungere, cioè la conservazione della democrazia, secondo quanto si è già avuto modo di osservare nel farsi riferimento alla possibilità che, quando siano in gioco esigenze di sicurezza - una condizione questa indispensabile per la realizzazione della democrazia - lo stesso massimo organo rappresentativo della sovranità popolare, qual è il Parlamento, possa sottrarsi per Costituzione alla regola della pubblicità delle proprie sedute. L'idea della democrazia concepita non in senso strumentale ma come fine - che giustifica a mio avviso taluni limiti al diritto di informazione ad essa finalizzati - è sostenuta di recente in un saggio di Gustavo Zagrebelsky, il "Crucifige e la democrazia", nel quale è individuato fra i due poli estremi, quello della democrazia dogmatica e quello della democrazia scettica, uno spazio intermedio: quello della democrazia critica. Non tutte le scelte fatte dal popolo sono un atto di democrazia, quando il popolo non è in grado di fare una scelta "informata", cioè critica, specie quando da essa dipende la vita di un uomo, come nel Crucifige gridato contro Cristo da una folla strumentalizzata dai due Centri di potere, il Sinedrio e l'Impero. Rispetto a questo modo genuino di intendere la democrazia è indifferente, anzi non ha senso parlare di torto o di ragione; la democrazia critica, intesa come continua ricerca della verità possibile, rifiuta sia la dogmatica ("se la maggioranza lo esige, la verità sta da quella parte") sia lo scetticismo ("poiché mi è indifferente sapere dove sta il torto e dove sta la ragione, affido la scelta alla maggioranza"); la democrazia critica, a differenza di quella dogmatica e di quella scettica, si basa sull'etica della possibilità: le decisioni, anche quelle prese "democraticamente" dal popolo, devono poter essere sempre rimesse in discussione. Affinché sia sempre possibile il passaggio alla posizione dell'altro (infatti la mia posizione oggi è vincente, domani potrebbe essere migliore la tua), dato che non siamo in grado di sapere da che parte sia la verità, dovendo solo essere protesi alla ricerca di una verità possibile, dobbiamo affidare alla dialettica democratica le scelte politiche in modo che esse possano sempre essere risolte per il meglio; una meta, beninteso, che non può mai significare aver raggiunto la perfezione, perché il meglio nasce dalla ridiscussione di tutto e può a sua volta nuovamente essere ridiscusso. Solo accettando la concezione di una democrazia critica può negarsi ad essa quel carattere strumentale che è invece proprio delle due concezioni estreme tra le quali la prima si incunea. Sia la concezione dogmatica, difatti, che quella scettica, tendono, come si è detto, a strumentalizzare la democrazia: la prima per l'affermazione di una verità irreversibile, la seconda per la scelta di una qualsiasi verità. Ma entrambe queste ultime concezioni conducono a una configurazione distorta del diritto di informazione. Se la democrazia è strumentale per l'affermazione di una determinata verità, saranno possibili tutte le deroghe a quel diritto pur di consentire che quella verità sia raggiunta. Se la democrazia è strumentale per la ricerca di una qualsiasi verità, essendo indifferente l'una o l'altra, a quella democrazia non interesserà se l'informazione sia limitata o sia fuorviata, perché ciò che conta è che si faccia una scelta qualsiasi. Se invece per democrazia deve intendersi la ricerca di una verità possibile, sempre perfettibile, il suo scopo è individuato in se stessa, perché è solo dalla piena realizzazione della democrazia che può dipendere quella possibilità, la democrazia che può definirsi così il regime della ragione, per dirla con una definizione che sarebbe stata cara a Spadolini. In questo modo al diritto di informazione dovrà riconoscersi il massimo dell'espansione affinché possa addivenirsi a quella scelta critica, sempre in divenire, di cui si è parlato in precedenza. Ed è parimenti in questo modo che a quel diritto potranno riconoscersi deroghe dirette a creare le condizioni necessarie affinché quella scelta, per potersi considerare veramente "critica" - cioè non assiomatica, né dogmatica, né definitiva, né qualsiasi - possa risultare non condizionata da suggestioni esterne comunque fuorvianti, cioè da una informazione alterata. È sotto quest'ultimo aspetto che possono giustificarsi altre deroghe al principio del "potere visibile" come quelle attualmente previste. È il caso della camera di consiglio per l'adozione delle decisioni dei giudici collegiali. Avendo la Corte costituzionale escluso che la segretezza della Camera di consiglio sia costituzionalmente garantita, la scelta della pubblicità o della segretezza stessa è affidata al prudente apprezzamento del legislatore che, salvo deroghe connesse con il problema della responsabilità del giudice, ha scelto nel nostro ordinamento la seconda via. Una scelta che si giustifica con l'esigenza di sottrarre il giudice, nel momento in cui debba esprimere la propria opinione e il voto, da possibili suggestioni o condizionamenti che possano provenirgli dall'esterno: un "esterno" talvolta confuso, aggressivo, pronto a mutare opinione al primo soffio di vento, la "folla" che, senza argomentare, come fa il giudice, ma

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determinata o manovrata da altri, sceglie in un modo o in un altro; quella stessa folla che pochi giorni prima ha osannato Cristo, oggi del tutto disinformata ne invoca la crocifissione. Una scelta, quella adottata in segreto dal giudice, che non sacrifica la regola della pubblicità, perché delle decisioni adottate nel segreto della Camera di consiglio, il giudice deve dare adeguato conto attraverso la pubblicazione della motivazione, imposta dall'art. 111 della Costituzione, il che significa che deve giustificare in pubblico la decisione, già adottata, con la forza di un'argomentazione plausibile. Così anche si giustifica nel nostro ordinamento, alla pari che in tutte le democrazie moderne - ed è stata questa una conquista della seconda metà dell'800 in Inghilterra - la segretezza del voto nelle elezioni e nei referendum; una condizione, questa, costituzionalmente garantita e dettata dall'esigenza di assicurare la libertà del voto. Veniamo ora al segreto in materia di difesa della sicurezza: tema che direttamente riguarda questo incontro. Secondo la Corte Costituzionale (sentt. n. 82 del 1976 e n. 86 del 1977), il segreto politico e militare è limitato alla sola ipotesi in cui sia indispensabile alla sicurezza interna ed esterna del Paese nei confronti di azioni materialmente violente. Ma, com'è stato notato (Barile), il legislatore del 1977 ha sfumato la sottolineatura della violenza che viceversa la Corte aveva affermato, richiamando però il valore della integrità dello Stato democratico che fa assumere all'espressione, come suggerisce lo stesso Autore, il significato della conservazione del corpo sociale. È comunque opinione diffusa che coloro cui spetta di dichiarare la segretezza di un documento o di una notizia debbano interpretare le norme attributive del relativo potere in modo assolutamente essenziale e funzionale a quei fini. Questo criterio fa sì che l'apposizione del segreto debba tendere il meno possibile ad ostacolare le indagini giudiziarie dirette all'accertamento di reati, dovendosi ritenere che ciò possa essere consentito soltanto quando sia indispensabile ai fini del perseguimento di scopi connessi con la tutela di diritti costituzionalmente garantiti per la sicurezza dei cittadini: una condizione questa indispensabile per la realizzazione della democrazia. Ciò comporta anche che agli appartenenti ai servizi di sicurezza possa esser consentito di trasgredire a norme e a precetti - sempre esclusi quelli che tu-telino i diritti fondamentali della persona fra i quali, primo fra tutti, l'integrità fisica - soltanto se comportamenti del genere risultino strettamente finalizzati rispetto agli interessi costituzionalmente garantiti attraverso il segreto. Ma solo la legittima difesa o lo stato di necessità, già previsti dal diritto comune, potrebbero giustificare, e soltanto in favore della tutela di un altro diritto di pari grado e importanza, il sacrificio di diritti relativi alla integrità fisica. Questo aspetto riguarda proprio coloro cui questo discorso si rivolge perché, una volta affermato che l'apposizione del segreto possa coprire soltanto gli illeciti imposti dalla necessità di tutela di diritti costituzionalmente garantiti, nessuno potrebbe sperare di essere poi coperto dall'apposizione del segreto quando abbia posto in essere comportamenti non necessitati dai fini propri degli apparati di sicurezza. Come è stato difatti sottolineato (Abbamonte), è il riferimento alla necessità che consente di far salva la coerenza del sistema democratico là dove ammette il segreto, nei limiti in cui costituisce il mezzo indispensabile per tutelare certi interessi, rilevanti secondo Costituzione. E così, parimenti, da altri (Paladin) si afferma che per ciascuna specie di segreti va sempre rintracciata una legittimazione d'ordine costituzionale e che comunque la tutela del segreto deve essere concepita in considerazione degli effettivi pericoli di danno e soltanto in vista di supremi interessi da proteggere, tenendo cioè sempre presente l'aforisma: lex rei publicae suprema lex esto. Per concludere, nessun Paese moderno può fare a meno dei servizi di sicurezza perché sono indispensabili per salvaguardare la democrazia dagli attacchi esterni e dalla eversione interna. Ma proprio perché il lavoro di quei servizi è circondato dalla segretezza, è molto più grave che chi vi prende parte, per la fiducia che gli viene riposta in modo così peculiare, possa tradirla per coprire gli arbitrî e gli abusi del potere o per assecondare l'eversione contro il potere. L'auspicio è dunque che gli addetti ai servizi sentano la responsabilità di quella fiducia corrispondendo ad essa con un particolare e leale impegno della propria coscienza al servizio del Paese e della democrazia. (*) Prolusione del Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente emerito della Corte Costituzionale, in occasione dell'inaugurazione dell'Anno Accademico 1995-96 della Scuola di Addestramento del SISDe (Roma, 27 novembre 1995).

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Cherubina CIRIELLO - Brevi osservazioni sul fenomeno dell'immigrazione alla luce della più recente evoluzione legislativa

1. Premessa Il fenomeno immigrazione dai Paesi extracomunitari è un fatto che va assumendo proporzioni sempre meno controllabili nell'ambito del contesto storico, sociale e politico, non solo italiano, bensì di tutti i Paesi dell'Unione europea. Pertanto l'opzione di introdurre normative più o meno favorevoli all'accoglimento dei flussi migratori deve essere resa in considerazione delle possibili alternative che i Paesi industrializzati, in genere sono in grado di proporre nei confronti di problematiche di così vasto rilievo. La valutazione della politica e delle conseguenti strategie in tema di immigrazione dovrà essere fatta alla stregua oltre che di criteri strettamente economici - in termini di costibenefici - sulla base di criteri fondati sui principi di solidarietà, cooperazione ed uguaglianza sostanziale che costituiscono i punti cardine del nostro ordinamento. L'opportunità di uno studio approfondito delle problematiche relative all'immigrazione è infatti sollecitata dalla necessità di far convergere, in linea di massima, le diverse discipline degli Stati dell'Unione Europea verso l'adozione di principi comuni volti a ridurre le distanze tra i diversi standards di trattamento nazionale. Inoltre appare ugualmente pressante e di comune interesse l'esigenza di tutelare in modo autonomo e con uno status particolare (che potrebbe essere quello di "rifugiato per motivi umanitari") quelle situazioni di migrazione che hanno origine da eccezionali crisi o guerre civili (si pensi per tutte alla situazione della ex Jugoslavia).

2. Analisi della legislazione nazionale La posizione degli stranieri nell'ordinamento italiano ha costituito, per molto tempo, soprattutto un problema di ordine pubblico. Le scarse previsioni normative contenute nel titolo V del testo unico di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e nel titolo V del relativo regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 6 maggio 1949, n. 365, erano dirette principalmente alla disciplina degli aspetti repressivi. Solo recentemente, a fronte di una più massiccia immigrazione agevolata da un nuovo contesto socio-economico, è stata avvertita la necessità di innovare la normativa non più rispondente alla realtà dei nostri giorni. Pertanto l'analisi della legislazione nazionale ha come pietra miliare la legge 30 dicembre 1986, n. 943: "norme in materia di collocamento e trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine", che per prima reca una disciplina completa e basilare del fenomeno dell'immigrazione; a distanza di qualche anno nuovamente all'attenzione del legislatore, che ha ridisegnato alcuni importanti aspetti, così portando a compimento l'opera intrapresa nel 1986, con la legge n. 39 del 1990, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, recante "Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari già presenti nel territorio dello Stato". Tali discipline, che costituiscono tutt'oggi la normativa vigente, hanno avuto riguardo, in particolare, alle materie dell'ingresso, del soggiorno e del lavoro dell'extracomunitario, affidando alla giurisprudenza il difficile compito di estendere il godimento di diritti fondamentali all'extracomunitario. In ciò, come in altre materie, ha svolto infatti un ruolo fondamentale la Corte Costituzionale, che ha riconosciuto condizioni più favorevoli agli stranieri extracomunitari, così sollecitando l'iniziativa del legislatore. La legge n. 943 del 1986 garantisce, per la prima volta a tutti i lavoratori extracomunitari legalmente residenti nel territorio della Repubblica italiana e alle loro famiglie, parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani. Sono elencati, infatti, in una sorta di "carta dei diritti" il

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diritto alla parità con i lavoratori italiani, il diritto alla disponibilità dell'abitazione e al ricongiungimento con il coniuge e i figli a carico, il diritto alla tutela giurisdizionale. La legge disciplina inoltre la programmazione dell'occupazione, l'impiego e la mobilità professionale dei lavoratori extracomunitari consentendo l'ingresso in Italia ai soli lavoratori muniti del visto rilasciato dalle autorità consolari sulla base delle autorizzazioni concesse dai competenti uffici provinciali del lavoro; la regolarizzazione delle situazioni pregresse (la cosiddetta sanatoria). Nonostante gli sforzi del legislatore nel 1986, non si poteva ritenere di aver raggiunto una compiuta, soddisfacente disciplina della materia. In particolare la legge n. 943 aveva mostrato molte lacune sulla regolamentazione degli interessi e dei controlli; ciò alimentò la tendenza degli immigrati ad entrare in Italia con un visto di turismo e a rimanervi clandestinamente, facendo ricorso a mezzi di sussistenza illecitamente procacciati. La situazione di crescente tensione sociale e di frequente intolleranza razziale ha spinto il Governo a presentare il decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 41, convertito dalla nota legge Martelli. Quest'ultima disciplina essenzialmente: - gli ingressi e la prevenzione della lotta alla clandestinità; - la regolarizzazione del soggiorno degli stranieri già presenti; - la programmazione di flussi migratori; - la disciplina del lavoro dipendente ed autonomo; - lo status e la tutela dei rifugiati; - l'armonizzazione della politica italiana con quella degli altri Paesi comunitari. La programmazione annuale dei flussi di ingresso viene prevista soltanto per quanto riguarda i motivi di lavoro ed in riferimento alle esigenze dell'economia nazionale, delle disponibilità finanziarie e delle concrete possibilità di accoglienza, tenendo conto altresì dello stato delle relazioni e degli obblighi internazionali. Gli stranieri devono essere forniti, per poter entrare nel nostro Paese, di passaporto valido nonché di visto (per motivi di turismo, studio, lavoro subordinato o lavoro autonomo, cura, familiari e di culto) ove prescritto, e devono essere provvisti di mezzi di sostentamento. E' considerato tale anche chi sia fornito di documentazione attestante la disponibilità di beni o di un'occupazione retribuita, ovvero della dichiarazione impegnativa di un ente inserito in un elenco predisposto dal Ministero dell'Interno, che gli garantisca l'alloggio e il sostentamento. In mancanza dei requisiti descritti è previsto il respingimento dalla frontiera. La legge disciplina, oltre alle comunicazioni dei provvedimenti di ingresso, soggiorno ed espulsione agli interessati, la tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di espulsione e di diniego di riconoscimento dello status di rifugiato; i casi di espulsione dal territorio dello Stato sono tassativamente elencati.

3. L'evoluzione legislativa successiva e la normativa secondaria Recentemente il decreto-legge 14 luglio 1993, n. 187, convertito nella legge 12 agosto 1993, n. 296, per tentare di risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, ha dettato norme in materia di espulsione degli stranieri. Il decreto-legge 8 dicembre 1993, n. 42, concernente disposizioni urgenti in materia di differimento di termini previsti da disposizioni legislative, ha previsto all'art. 38 l'aumento di 30 miliardi dell'autorizzazione di spesa prevista dalla legge Martelli per la prosecuzione, nell'anno 1993, degli interventi in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari. Inoltre ha previsto che, per l'anno 1994, gli extracomunitari regolarmente residenti ed iscritti nelle liste di collocamento possano fruire della stessa assistenza sanitaria erogata dal servizio sanitario nazionale ai cittadini italiani. Nella programmazione annuale dei flussi di cui all'articolo 2 comma 3 della legge Martelli, sono indicate tra l'altro le possibilità di impiego per i lavoratori stagionali extracomunitari, in considerazione delle disponibilità accertate tramite i competenti uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione e tenuto conto delle previsioni annuali di fabbisogno di manodopera formulate dalle commissioni regionali per l'impiego, in collaborazione con i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali per i settori nei quali l'andamento del lavoro sia prevalentemente stagionale.

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Risultati positivi sono stati riscontrati con la cosiddetta "politica dei ricongiungimenti familiari", che, sulla base di un principio già sancito dalla legge n. 943/1986 (che all'articolo 4 consentiva al lavoratore straniero il ricongiungimento con il coniuge e con i figli minori, nonché con i genitori a carico, sempre che fosse in grado di assicurare loro "normali condizioni di vita"), ha di fatto consentito agli stranieri provenienti da aree particolarmente povere di ricongiungersi in Italia con il nucleo familiare, dopo aver creato le premesse per delle normali condizioni di vita, facendo ricorso quindi ad un criterio diverso e più favorevole rispetto a quello dei sufficienti mezzi di sostentamento. Meno significativa è la regolamentazione, ex articolo 1 della legge Martelli, relativa agli organi e alle procedure competenti ad esaminare le richieste di riconoscimento di un contributo di prima assistenza ai richiedenti lo status di rifugiato. In proposito va evidenziata la tendenza ad estendere l'assistenza riconosciuta ai richiedenti lo status di rifugiato in favore di popolazioni (c.d. displaced persons) costrette da eventi bellici ad abbandonare il proprio territorio, a prescindere dal riscontro dei requisiti richiesti per l'asilo politico. Infine, ai sensi dell'articolo 9, comma 4 della legge Martelli che consente l'utilizzo di cittadini stranieri per l'esercizio di profili professionali infermieristici nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, il Ministro della Sanità, di concerto con il Ministro del Tesoro e con il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, ha fissato i contingenti per regioni, del predetto personale, i criteri di valutazione dei titoli e di verifica delle professionalità nonché le modalità retributive e previdenziali. In attuazione di tali disposizioni il decreto-legge n. 7/94 recante interventi urgenti in materia sanitaria ha previsto l'utilizzazione per le prestazioni sanitarie e sanitarie-tecniche sia in strutture pubbliche che private, di personale extracomunitario.

4. Le proposte di riforma della legge 39/90 Attualmente sono all'esame della I Commissione Affari Costituzionali della Camera delle proposte di legge abbinate, volte ad introdurre modifiche ed integrazioni alla legge 28 febbraio 1990, n. 39. Dopo l'esame preliminare la Commissione ha proceduto alla redazione di un testo unificato ed alla determinazione di costituire un Comitato ristretto per il seguito dell'esame (seduta dell'8 novembre 1995). Emerge infatti dai lavori parlamentari l'urgenza di conciliare esigenze non più differibili: da un lato una maggiore severità nei controlli nei confronti degli immigrati clandestini, quindi più efficaci misure di espulsione soprattutto nei riguardi degli stranieri condannati per reati comuni e un più accurato controllo degli ingressi in relazione al numero programmato, sinora largamente disatteso; dall'altro l'esigenza di reperire una soluzione duratura al problema dei clandestini che si è soliti distinguere in irregolari ed illegali a seconda che siano entrati nel territorio dello Stato in forme legali oppure no. Dell'urgenza di fronteggiare il fenomeno si è fatto carico il Governo con il decreto-legge del 18 novembre scorso, n. 489, recante disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale di cittadini dei paesi non appartenenti all'Unione Europea. Il provvedimento, del quale la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha riconosciuto i presupposti di costituzionalità, è in attesa di conversione. Esso incide su problemi concreti (ricongiungimento familiare, garanzia dell'assistenza sanitaria, ecc.) nella prospettiva di assicurare un quadro di certezza giuridica e di definire una disciplina dell'espulsione coerente con le esigenze di legalità e di rispetto dei diritti fondamentali.

5. "La politica di interesse comune" in materia di immigrazione Proprio in considerazione dell'evoluzione legislativa descritta, non si può trascurare che la materia dell'immigrazione costituisce, senz'altro, oggetto di interesse comune da parte degli Stati dell'Unione europea, seppure in diversa misura. Per tale ragione qualunque progetto normativo in itinere non dovrebbe sottrarsi ad un confronto con le discipline degli altri Stati europei, ed anzi la sua fattibilità andrebbe riguardata, non soltanto alla luce dei principi fondamentali tracciati da importanti atti internazionali - peraltro già richiamati dalle leggi descritte - ma anche e soprattutto alla luce delle nuove prospettive aperte dal trattato di Maastricht per l'elaborazione

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di un progetto normativo-amministrativo comune agli Stati dell'Unione in materia di immigrazione. Emerge in sostanza dal Trattato di Maastricht la consapevolezza che soltanto, attraverso una strategia comune, i singoli Stati sono posti in grado di fronteggiare problematiche che travalicano, per la loro stessa natura, i confini dei singoli territori. L'ingresso, la circolazione e il soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi, e per contro l'immigrazione, il soggiorno e il lavoro irregolare degli stessi soggetti non possono essere ragionevolmente assoggettati a tante differenti discipline, talvolta contrastanti, in un ambito territoriale limitato, qual è quello dell'Unione Europea, senza che ciò si ripercuota negativamente a danno, ora dell'uno o dell'altro, dei singoli Stati che di volta in volta, in relazione a particolari, concrete circostanze, diventano ineluttabilmente destinatari degli effetti di una politica legislativa che non hanno scelto e che hanno addirittura osteggiato. E' ciò che rafforza la convinzione dell'avvio di una transizione progressiva verso una politica comune dell'immigrazione che, al fine di corroborare la cooperazione tra i Governi dei Paesi dell'Unione europea, reperisca un indirizzo, medio comune denominatore, che si traduca in una disciplina capace di convogliare sinteticamente i problemi e le soluzioni di massima per essi ipotizzabili. Quanto si è detto si può tradurre sul piano strettamente giuridico facendo ricorso al principio di sussidiarietà che costituisce il sostrato logico per un progetto di "azione comune" volta alla realizzazione di obiettivi comuni. D'altro canto l'articolo 100 C del Trattato di Maastricht stabilisce che il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo delibera all'unanimità - e, dal 1° gennaio 1996, a maggioranza qualificata - circa l'individuazione dei Paesi terzi per i quali dovrà richiedersi un visto ai fini dell'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri. Anteriormente alla data del 1° gennaio 1996 il Consiglio, a maggioranza qualificata, adotta le misure relative all'instaurazione di un modello unitario per i visti. Pertanto sembra di poter affermare che la disciplina dei visti dovrà necessariamente tenere conto delle linee tracciate in sede di cooperazione intergovernativa, anche in considerazione della stretta connessione della materia disciplinata dall'art. 100 C e di quella disciplinata dall'art. K1 che riguarda le condizioni e i requisiti per l'ingresso, la circolazione e il soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi, nonché la lotta contro l'immigrazione clandestina o irregolare. Da ultimo occorre tenere presente l'Art. K9 del Trattato di Maastricht che nello stabilire la possibilità del Consiglio dell'Unione di decidere all'unanimità di rendere applicabile, anche alle materie elencate nell'art. K1, la procedura di cui all'art. 100 C, ammette così la possibilità di inglobare la politica di immigrazione nella competenza esclusiva della comunità, realizzando in tal modo il passaggio dal metodo della cooperazione a quello dell'integrazione comunitaria (Commissione speciale politiche comunitarie - sede consultiva).

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Robert A. GRAHAM - Il Vaticano e lo spionaggio

1. Premessa Da qualche tempo gli addetti ai lavori preferiscono usare il termine intelligence invece di "spionaggio". Non solo, i principali agenti di questo settore un tempo clandestino sono pronti a venire allo scoperto, fino al punto di apparire in pubblico senza nascondere la loro vera identità. Infatti l'estate scorsa, in Spagna, si è svolto un Simposio internazionale su "Il potere e i servizi segreti", al quale ha partecipato un nutrito gruppo di ex responsabili dell'intelligence di diversi Paesi, con lo scopo di esporre, secondo il loro punto di vista, il significato e la giusta funzione di ciò che si definisce "la seconda più antica professione del mondo", rifacendosi persino a radici bibliche. Si è trattato di una tavola rotonda di tre giorni, organizzata alla fine di agosto all'Escorial di Madrid dal "Cursos De Verano" dell'Università Complutense. Il rango degli invitati provenienti dai servizi segreti rappresentava una garanzia di serietà ed attendibilità. Tra coloro che hanno preso la parola c'erano l'ex capo della DST (Direction de la Surveillance du Territoire) francese; l'ex vicepresidente della Bundesverfassungsschutz di Bonn; l'ex capo dei Servizi di Sicurezza di Stato del Belgio e l'ex capo del Mossad d'Israele. Avevano accettato l'invito anche un generale sovietico del KGB e un ex capo della CIA (Central Intelligence Agency) statunitense, ma ambedue vi hanno poi rinunciato (era l'epoca del colpo di Stato a Mosca). Era presente l'ex capo della Defense Intelligence Agency (esercito statunitense) che ha preso la parola. Non mancava infine anche l'ex capo dei servizi segreti italiani (SISMI), l'ammiraglio Fulvio Martini, intervenuto anche lui al dibattito. Al termine del Simposio, l'attuale direttore generale dell'intelligence militare spagnola (CESID), Emilio Alonso Mangiano, ha fornito la sua analisi sulla missione dell'intelligence. La presenza di una rappresentanza così sorprendentemente numerosa significa di certo che, nell'ambiente dell'intelligence, ci si è trovati d'accordo sulla necessità di offrire al pubblico una presentazione autorevole relativa al lavoro dei servizi segreti. Ciò non vuol dire che i partecipanti abbiano fatto rivelazioni indiscrete. In genere, sono sembrati d'accordo nel sostenere che lo stile Mata Hari, eredità della prima guerra mondiale, è ormai superato, in quanto improduttivo, controproducente e pericoloso. Questo, nonostante all'Escorial fosse stata allestita una sessione speciale dedicata al ruolo delle donne nello spionaggio e benché il presidente dell'assemblea fosse una donna, ex agente dell'OSS (Office of Strategic Services) statunitense in Spagna durante la guerra. Nessuno ha fatto cenno a James Bond o a Smiley, forse perché al Simposio non ha partecipato nessun esperto di intelligence britannica, a meno che non si voglia considerare Christine Keeler (coinvolta nel caso Profumo), la quale nelle dichiarazioni alla stampa ha però detto di essere una prostituta e non una spia. Tutti i presenti si sono trovati d'accordo nel sostenere che la sfida lanciata dal terrorismo internazionale richiede una stretta collaborazione fra i Servizi segreti, compreso quello sovietico. Per una volta, organismi normalmente in competizione fra di loro hanno individuato un comune obiettivo in virtù del quale unire i propri sforzi.

2. Lo spionaggio entro il Vaticano L'attentato alla vita di Giovanni Paolo II, compiuto dal terrorismo internazionale, ha attirato sul Vaticano il più vivo interesse dei servizi segreti di tutto il mondo. Ma è un interesse che precede l'ascesa del terrorismo. Negli ultimi mesi, la vigilanza da tempo esercitata dai servizi segreti sul Vaticano è diventata un fatto di dominio pubblico. L'estate scorsa non abbiamo forse letto che Robin Robinson, fino a poco tempo fa uno dei capi dell'intelligence britannica, ha dichiarato di fronte a un vasto pubblico televisivo inglese che "molte volte" i servizi segreti inglesi hanno intercettato le comunicazioni della Santa Sede? Un fatto simile non ha probabilmente stupito nessuno in Vaticano. Il telefono, infatti, è notoriamente il tallone d'Achille della riservatezza. Grazie al progresso tecnologico, le intercettazioni telefoniche sono diventate sempre più facili e quindi le comunicazioni telefoniche sono maggiormente soggette a intromissioni, in particolar modo attraverso il raggio laser.

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Due recenti pubblicazioni meritano di essere citate per cercare di comprendere la ragione effettiva dell'interesse nutrito dall'intelligence nei confronti del Vaticano. Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, l'OSS statunitense, a capo del quale era il generale William J. Donovan, inviò un suo agente in Vaticano con l'ordine di indagare sulla eventualità di un contributo da parte della Santa Sede al processo di pace che si cercava di realizzare nel Pacifico. L'agente fu quasi sul punto di portare a termine con successo la missione, grazie all'aiuto di un officiale della Segreteria di Stato pontificia. Le vicende di questo drammatico periodo sono narrate in un libro (1) scritto dall'agente stesso, intitolato Pace senza Hiroshima. Operazione segreta in Vaticano nella primavera del 1945. L'autore è Martin S. Quigley, attualmente editore a New York. Egli riuscì a convincere l'allora mons. Egidio Vagnozzi, futuro cardinale, a trasmettere alla rappresentanza diplomatica giapponese, presente in Vaticano, l'esistenza di una possibilità di negoziare la pace con gli Stati Uniti. Il contatto riuscì. Il delegato speciale giapponese, ambasciatore Ken Harada, dopo una comprensibile esitazione, comunicò le informazioni al suo Governo. Se i suoi superiori le avessero prese in considerazione, sia al Giappone sia agli Stati Uniti sarebbe stato risparmiato l'incubo di Hiroshima e Nagasaki. La storia di tali contatti è stata rivelata per la prima volta alla nostra rivista(2). Una piena conferma si è avuta successivamente, quando sono stati resi noti i documenti sia statunitensi sia giapponesi. Quigley rende un servizio alla storia mettendo insieme, dopo tanti anni, i pezzi di questo complicato puzzle riguardante gli sforzi compiuti per la pace. È raro che la storia di un tentativo segreto per raggiungere la pace sia documentata in maniera tanto convincente. L'autore del libro scrive che la sua esperienza dimostra come sia difficile rendere efficaci tali tentativi. La seconda pubblicazione (3) è ugualmente interessante, anche se per ragioni diverse, ovvero per la conoscenza dell'ambiente dell'attività d'intelligence in Vaticano. Gli autori sono un americano, John Loftus, e un australiano, Mark Aarons. Ambedue hanno la passione d'indagare sulla fuga di veri o presunti criminali di guerra dall'Europa. La loro tesi appare però piuttosto sconcertante. Nella prima parte del libro sembra infatti che il Vaticano sia accusato di essere nelle mani dei nazisti. Nella seconda, invece, il Vaticano appare manovrato dai sovietici. Gli autori hanno compiuto ricerche eccezionalmente approfondite negli archivi segreti dei servizi segreti statunitensi nel tentativo di sostenere le loro opinioni. Ma potremo tornare su questa ipotesi suggestiva in un'altra sede. Per il nostro scopo ora, questo nuovo libro rappresenta solo un'ulteriore prova dell'interesse manifestato nei confronti del Vaticano, allora come oggi, da parte dei servizi segreti.

3. Cosa c'è da spiare in Vaticano? Gli organizzatori del Simposio su "Il potere e i servizi segreti" hanno invitato anche osservatori, storici, giornalisti e altri. Uno dei contributi (consegnato da chi scrive) s'intitolava: "L'intelligence straniera e il Vaticano. Come le nazioni hanno spiato il Vaticano e perché". Per i fini che ci proponiamo è ora utile tracciare a grandi linee alcuni dei punti riportati nello scritto. Cosa c'è in realtà da spiare in Vaticano? È possibile che questa domanda venga posta dall'osservatore profano. Un modo per rispondere e spiegare tale apparente anomalia è quello di ricordare che la maggior parte dei Governi ha una missione diplomatica accreditata presso la Santa Sede. Il loro compito ordinario consiste sostanzialmente in un lavoro d'intelligence in senso "normale", ovvero nel fornire ai rispettivi Governi, con cognizione di causa, rapporti attendibili e sicuri, relativi alle questioni che interessano i rispettivi Paesi. A volte, specialmente in tempo di guerra, la situazione critica e il bisogno di informazioni vanno oltre le legittime possibilità dell'ambasciatore. A questo punto entrano in scena i servizi segreti con i loro metodi clandestini. Il famoso detto di Clausewitz sulla guerra potrebbe essere riadattato così: "L'intelligence è il proseguimento della diplomazia con altri mezzi". Lo stesso ambasciatore, agli albori della diplomazia, era considerato niente più che una "spia". Questa professione è poi diventata uno strumento rispettato e riconosciuto della società internazionale. È possibile che anche per l'intelligence si stia avviando lo stesso processo di legittimazione? Nell'ambito dell'intelligence mondiale il Vaticano, e quindi la Santa Sede, occupa un posto molto piccolo. Questo non rappresenta comunque una consolazione per il Papa, che vede i suoi affari confidenziali esposti agli occhi di estranei e i suoi intimi disegni frustrati perché venuti a conoscenza dei suoi nemici. Nell'esperienza storica della Santa Sede è possibile individuare quattro aree e situazioni particolari di cui

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oggi si conoscono i dettagli. Esse riguardano: 1) l'Italia durante la questione romana (1870-1929) e sotto il fascismo; 2) la Germania nazionalsocialista; 3) l'Unione Sovietica; 4) gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

4. La Santa Sede e l'Italia prima della seconda guerra mondiale Con una clausola segreta all'interno dell'articolo 15 del Trattato di Londra, stipulato nell'aprile del 1915, la monarchia italiana era riuscita a ottenere dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Russia zarista la promessa che la Santa Sede non sarebbe stata ammessa a partecipare a una eventuale conferenza di pace. Una simile eccessiva preoccupazione tradiva il nervosismo esistente nelle alte sfere della politica italiana. Non c'è da meravigliarsi che il Governo nutrisse forti sospetti nei confronti delle manovre di Benedetto XV e dei suoi rapporti con le potenze centrali. Il Governo in qualche modo era entrato in possesso del cifrario del Vaticano e leggeva regolarmente i messaggi del Papa. Si tratta di un'abitudine mantenuta dal successivo regime fascista. "Noi leggiamo tutto", disse con franchezza il ministro degli Esteri Ciano al Nunzio nel 1940. Il Governo ebbe un gran daffare con le presunte attività spionistiche di un officiale della Segreteria di Stato pontificia, mons. Rudolf von Gerlach, un bavarese che aveva continui contatti con la Germania e con l'Austria. Non fu difficile imputare alcune sconfitte militari e navali a presunte informazioni che sarebbero state passate da Gerlach. In effetti il prelato fuggì in Svizzera e non fece mai più ritorno in Vaticano. La posizione geografica del Vaticano, situato nel cuore di Roma, rappresentava al tempo stesso un vantaggio e uno svantaggio per i servizi segreti. La Città del Vaticano era un'autentica vasca per pesci. Dopo l'ultima guerra è stata pubblicata la lista degli agenti della polizia, che ha permesso di verificare quanti uomini dell'OVRA (l'organizzazione di spionaggio del regime fascista) fossero all'opera in Vaticano. Uno di esse altri non era che il capo degli stessi servizi vaticani di sicurezza. Con il suo aiuto sarebbe stato un gioco da ragazzi per il SIM (Servizio Informazioni Militare) mandare, per esempio, propri uomini nella stanza dei cifrari della Segreteria di Stato pontificia durante la notte. Un fatto è certo: il Governo italiano era in possesso del cifrario della Santa Sede. Gli ambasciatori dei Paesi in guerra con l'Italia (negli anni tra il 1940 e il 1944) correvano anche loro dei rischi. Infatti il SIM reclutava senza difficoltà personale tra i domestici dei diplomatici nemici. Essi erano in grado di riferire quali ospiti venivano ricevuti a colazione e anche i brani di conversazione che riuscivano a cogliere. Nel 1943, il SIM fece in modo che l'ambasciatore inglese, sir d'Arcy Osborne, prendesse al suo servizio uno dei suoi uomini in qualità di maggiordomo. Secondo le istruzioni ricevute, questi - un italiano - rubò dal suo nascondiglio tutto il materiale attinente al cifrario in possesso del diplomatico, mentre il suo padrone era uscito per portare a passeggio il cane. Poi lo consegnò a un agente del SIM che ne fotografò i contenuti. Informato (come?) che i suoi messaggi indirizzati a Londra non erano "sicuri", Osborne rese la pariglia agli avversari, inserendo nei suoi dispacci al Ministero degli Affari Esteri affermazioni false e fuorvianti, sapendo che sarebbero state lette dagli italiani. Questi telegrammi volutamente menzogneri sono ancora conservati nel Public Record Office e rappresentano una trappola per gli storici alle prime armi, i quali troppo facilmente sono pronti ad accettare i documenti ufficiali per ciò che sembrano, senza essere consapevoli del loro background o dei trucchi usati dai servizi segreti.

5. La Santa Sede e la Germania nazista La storia dello spionaggio nazista in Vaticano, sia prima sia durante la guerra, è insolitamente ben documentata, almeno a confronto di ciò che sappiamo dei servizi segreti di altri Paesi. I nazionalsocialisti consideravano la Chiesa cattolica, sia in Germania sia nel suo centro mondiale a Roma, un nemico (Staatsfeind) da combattere e da estirpare. Il Papa era per loro il vertice (Spitze) di quello stesso "cattolicesimo politico" che attaccavano in patria. Per i capi nazisti era indispensabile essere a conoscenza di ciò che avveniva nella Chiesa, per poterne meglio neutralizzare le mosse. Tale compito era affidato a Reinhard Heydrich, capo dell'efficientissima e temuta Reichssicherheitshauptamt (RSHA). Questo genio del male impartiva ai suoi agenti istruzioni molto particolareggiate. Una delle prede più ambite era la corrispondenza fra i vescovi e il Vaticano. Le linee di comunicazione fra Roma e il Reich dovevano essere tenute sotto controllo e, se possibile, infiltrate. Dovevano inoltre essere annotate e segnalate tutte le divergenze e le tensioni tra i vescovi, o tra i vescovi e il nunzio pontificio a Berlino, nonché tutte le

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personali debolezze degli uomini di Chiesa. Le relazioni quinquennali inviate dai vescovi a Roma, se potevano essere intercettate, erano particolarmente gradite. Heydrich non esitava neppure a introdurre nei Seminari giovani nazisti da lui ritenuti idonei al compito di infiltrati. Se qualche candidato veniva notato dagli uomini della Gestapo locale, questi avevano l'ordine d'informare Heydrich. Si potrebbe dubitare che questi ordini venissero eseguiti scrupolosamente dai vari agenti di Heydrich? All'Archivio Federale sono reperibili i protocolli di numerose riunioni della Conferenza Episcopale a Fulda. È quindi evidente che il pensiero dei vescovi tedeschi veniva rivelato alla polizia segreta, che così poteva individuare i punti forti e deboli della loro tattica difensiva. Come potevano queste disastrose informazioni cadere nelle mani di Reinhard Heydrich? Certamente non per circostanze fortuite. La situazione a Roma, dal punto di vista dell'intelligence, non era favorevole al Reich. Le persecuzioni volute da Hitler in Germania contro la Chiesa gli avevano alienato la maggior parte del clero tedesco. Gli studenti erano stati richiamati sotto le armi, ma rimanevano tuttavia inevitabilmente persone più anziane, dai sentimenti nazionalistici particolarmente forti. Per alcuni di loro Hitler era solo un fenomeno passeggero, che sarebbe stato soppiantato presto da un altro regime, magari proprio dal ritorno degli Hohenzollern, dei Wittelsbach o degli Asburgo. Tra questi "nostalgici", come è risaputo, c'era il vescovo austriaco Alois Hudal, soprannominato "il vescovo bruno", che non faceva mistero del suo desiderio di essere il fautore della riconciliazione fra la Chiesa cattolica e il nazionalsocialismo. Dopo la guerra, il vescovo Hudal (che non aveva altra posizione ufficiale in Vaticano se non quella di consultatore di una delle Congregazioni) venne interrogato dal controspionaggio britannico, senza che però venisse preso alcun provvedimento nei suoi confronti. Qualcuno ha sostenuto che il vescovo Hudal fosse "vicino" a Pio XII: in realtà, Hudal rappresentava il rischio numero 1 per la sicurezza vaticana. Una lettera di presentazione scritta da lui in favore di un visitatore tedesco era sufficiente per far scattare segnali di allarme. E ancora, nel 1942 la sua richiesta di un'udienza privata dal Papa venne respinta. Egli non incontrò mai il Papa né durante la guerra né dopo. Berlino, forse proprio a causa della mancanza di informatori validi vicini alla Curia vaticana, fece ricorso alla tattica di inviare infiltrati da fuori Italia. Negli schedari della RSHA, reperiti nell'ex Ministero degli Esteri, sono stati ritrovati i rapporti di numerose incursioni da parte dell'intelligence. Negli anni della guerra l'intelligence nazista a Roma era principalmente nelle mani del tenente colonnello delle SS, Herbert Kappler, l'attaché di polizia di Himmler nell'ambasciata del Reich in Italia. Anche se il suo incarico ufficiale consisteva nella sorveglianza dei circoli degli emigrati, in realtà la sua missione era di ben più vasta portata. Kappler creò una rete di informatori per gli affari del Vaticano. Essa includeva anche alcuni ecclesiastici, che speriamo non fossero consapevoli di far parte di un sinistro apparato di spionaggio, il quale aveva come fine la distruzione del Vaticano. È sottinteso che il controllo esercitato dai nazisti si estendeva anche alle missioni diplomatiche pontificie (nunziature) specialmente a quella che si trovava a Berlino. A parte le intercettazioni telefoniche messe in atto dal famoso "servizio" di Goering (Forschngsamt des Luftfahrtsministeriums), un poliziotto era appostato regolarmente di fronte alla nunziatura berlinese, sempre a una certa distanza, in modo da non fornire l'occasione per una protesta diplomatica. In tal modo era possibile controllare chi entrava e chi usciva dall'edificio sulla Rauchstrasse. Se lo riteneva opportuno, il poliziotto poteva anche operare un fermo per l'identificazione. Poiché i vescovi della Polonia occupata comunicavano con la Santa Sede tramite la nunziatura di Berlino, il pericolo che questi traffici (proibiti) con Roma potessero essere scoperti era indubbiamente reale. Per una valutazione dell'effettiva situazione alla nunziatura berlinese, ricordiamo l'esempio di un uomo delle SS, Hurt Gerstein, testimone dello sterminio degli ebrei a Belzec. Il portiere della nunziatura di Berlino gli impedì l'ingresso, in quanto avrebbe potuto esser un agente provocatore. Più tardi, Gerstein riferì questo particolare: dopo aver lasciato la nunziatura, era stato seguito da un poliziotto in bicicletta. Gli fu permesso di continuare, ma la giovane SS dichiarò di essere stato pronto a prendere la sua pistola e a spararsi. Perché un uomo delle SS non avrebbe dovuto essere al corrente o avere dei sospetti sul fatto che la nunziatura pontificia era sotto la "protezione" della Gestapo?

6. La Santa Sede e l'Unione Sovietica La parola "talpa" appare spesso negli scritti contemporanei sull'intelligence. L'immagine designa un

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infiltrato particolarmente pericoloso, non una spia occasionale, che riesce a "farsi una tana" in qualche posto di grande importanza strategica. È possibile che Mosca avesse una talpa in Vaticano prima, durante o dopo la seconda guerra mondiale? Il caso di Alessandro Kurtna può essere di aiuto per rispondere a questa domanda. Dopo il 1945 alcuni giornali e persino alcune opere di fiction riportano notizie, molto romanzate e non confermate, relative ad alcuni giovani sovietici, membri del KGB, i quali, travestiti da uomini di Dio, sarebbero entrati in Seminario, proseguendo fino a diventare alti prelati della Chiesa cattolica, persino in Vaticano. Sulla falsariga di una storia così avvincente, alcuni romanzieri ricamarono una serie di dettagli sensazionali. Ma esisteva davvero un nucleo di verità alla base di questi voli di fantasia? Perché no? Una spia è una spia e una talpa è una talpa. Un fatto del genere avrebbe potuto verificarsi nell'ambiente tranquillo del Vaticano come in qualunque altro luogo. I sovietici erano maestri nel creare false identità. Sulla scena romana vi fu almeno una persona che può aver fornito lo spunto alla nascita di questa leggenda. Si trattava appunto di Kurtna, un estone di madre russa, che giunse nella città eterna alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Ma il suo piano si arenò a metà strada. Kurtna, conosciuto anche come Kurson, negli anni Trenta si convertì al cattolicesimo e fece in modo di venire ammesso nel Collegio russo (Russicum) di Roma con la speranza di entrare nella Compagnia di Gesù. Ma dopo un paio di anni gli venne comunicato che non risultava avere la vocazione al sacerdozio e abbandonò Roma e continuò a lavorare sulla storia dei rapporti tra Santa Sede e Paesi baltici. Quando, nel 1940, il suo Paese venne invaso dai sovietici, egli si recò a Mosca, dove ottenne una borsa di studio per continuare i suoi studi. Più tardi, quando il suo Paese venne nuovamente invaso - questa volta dalle armate del Reich - Kurtna, con meraviglia di tutti, ottenne il permesso per ritornare in Estonia e per spostarsi liberamente in quella zona, all'epoca sotto l'occupazione tedesca, recandosi in visita da amici ecclesiastici. Nel frattempo la polizia italiana lo aveva schedato come spia dei sovietici ed egli venne arrestato al suo rientro in Italia. Dopo aver languito per molti mesi nel carcere di Regina Coeli, Kurtna venne rilasciato dopo l'8 settembre 1943 e gli fu chiesto di firmare una garanzia per lavorare con Kappler. Da quel momento, i rapporti di Kappler a Berlino furono letteralmente infarciti di informazioni sugli affari del Vaticano. Una coincidenza senza dubbio significativa. Grazie alla sua buona conoscenza del russo e di altre lingue dell'Europa orientale Kurtna, attraverso le sue amicizie fra gli ecclesiastici, trovò un lavoro saltuario presso la Congregazione vaticana per le Chiese orientali, presso l'Ufficio informazioni del Vaticano e presso la Radio Vaticana. In tal modo egli si trovava in una posizione che gli permetteva di venire direttamente a conoscenza delle notizie che giungevano a Roma dall'Europa Orientale. Certo è che Alessandro Kurtna non venne mai ordinato sacerdote né indosso l'abito talare dopo il suo allontanamento dal Russicum. Al massimo Kurtna fu "una talpa mancata". Alla fine del 1944 egli venne di nuovo arrestato da quegli stessi carabinieri che lo avevano preso nel 1942 e che ora collaboravano con gli americani. Fu quindi interrogato dai membri della S-Force, l'unità congiunta di controspionaggio angloamericana, nota come CSDIC (Combined Services Direct Interrogation Centre), dai cui rapporti sono tratti molti dei dettagli qui riportati. Ma i documenti del CSDIC non fanno cenno all'ultima parte della storia di Kurtna. Egli venne rilasciato dagli Alleati e un giorno, mentre camminava per via Cola di Rienzo, dove abitava, venne fermato da un forestiero con un giornale in mano. L'uomo gli chiese se conosceva il russo e se poteva aiutarlo a tradurre qualcosa dal giornale che aveva con sé. Kurtna si chinò cortesemente per leggere e, proprio in quel momento, venne colpito violentemente alla nuca, caricato su un'automobile e condotto a Napoli. Qui venne imbarcato su una nave sovietica e andò a finire a Norilsk, in Siberia, nel circolo polare artico. Come è noto, in quei giorni Stalin premiava anche i suoi agenti occidentali più efficienti e fedeli con l'arresto e l'esilio in Siberia. Per ironia della sorte, l'esilio di Kurtna è la prova più certa che egli in realtà era veramente una talpa (mancata?).

7. I rapporti fra Santa Sede e Gran Bretagna e USA Che interesse aveva il Vaticano per i servizi segreti britannici e americani, soprattutto durante la seconda guerra mondiale? La prima risposta che si può dare a questa domanda è ricordare che nella Città del Vaticano vivevano, protetti dalla neutralità del luogo, gli ambasciatori e gli incaricati di affari di Stati nemici. Primo fra tutti, l'ambasciatore del Reich tedesco, Ernst von Weizsäcker, risiedeva in Vaticano

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insieme ai suoi collaboratori e impiegati, in contatto diretto con Berlino. Tra i residenti c'era inoltre il delegato speciale giapponese, Ken Harada, che aveva lo stesso contatto diretto con Tokyo. Cosa riferivano ai rispettivi Governi e quali istruzioni ricevevano? Una situazione del genere era un aperto invito alle intercettazioni da parte degli Alleati. Sin dai primi giorni dell'occupazione alleata di Roma, nel giugno 1944, le forze britanniche installarono un posto di ascolto proprio di fronte all'abitazione dell'ambasciatore Weizsäcker in Vaticano. La loro posizione, a pochi metri di distanza sulla via Aurelia, rendeva il compito dell'intercettazione molto semplice. Il controspionaggio britannico era già in possesso dei segnali di chiamata dell'ambasciata, frutto di precedenti intercettazioni del trasmettitore del Ministero degli Esteri di Berlino. Nelle settimane seguenti giunse da Berlino un certo numero di segnali e un giorno, nel febbraio 1945, venne captato un lungo messaggio relativo al piano di pace del ministro degli Esteri, von Ribbentrop. Weizsäcker lo sottopose all'attenzione del Segretario di Stato pontificio. Fu questa l'ultima offerta di pace da parte del Reich, che però non approdò a nulla. Il controllo esercitato sulle attività del diplomatico giapponese fu di diverso genere. Come è noto, gli americani decifrarono ben presto il codice giapponese. I dispacci diplomatici, compresi quelli da e per Ken Harada, furono intercettati in gran numero. Questi cablogrammi sono oggi conservati nella sezione Magic dell'Archivio Nazionale di Washington e comprendono i messaggi che Ken Harada inviava a Tokyo facendo riferimento ai sondaggi sulla pace del sopracitato Martin Quigley. La vera storia dell'intelligence - sia in Vaticano sia altrove - non sarebbe completa senza la storia dei suoi fallimenti e delle sue umiliazioni. Dopotutto, di chi ci si può fidare in questo gioco delle parti? Più la fonte delle informazioni è segreta, più è difficile verificarne autenticità e attendibilità. Gli agenti che fanno il doppio gioco e i semplici informatori sono lo spauracchio degli operatori dell'intelligence. Prendiamo ad esempio la mortificazione che subì James Jesus Angleton, capo dell'OSS a Roma dal 1944. A un certo punto del suo compito di vigilanza del Vaticano, Angleton individuò un italiano che passava ai giornalisti americani presunti dispacci arrivati in Vaticano, che sarebbero stati inviati dal Giappone. Esisteva dunque la possibilità che i messaggi del Papa potessero essere acquistati? Angleton agì rapidamente in modo da assicurarsi l'esclusiva di questa grande scoperta. Erano gli anni in cui le informazioni provenienti dal Giappone erano particolarmente ambite. La fonte misteriosa fu ben felice di ottemperare alle richieste del suo cliente. Il risultato fu un voluminosissimo incartamento di "dispacci" indirizzati al Vaticano, riguardanti avvenimenti di ogni genere, comprese informazioni militari. A Washington, Angleton venne considerato un maestro. I suoi "documenti" vennero inviati al presidente Roosevelt, caldamente raccomandati dal generale Donovan. La bomba esplose dopo alcuni mesi. Tutti quei "preziosi" documenti erano frutto della sbrigativa fantasia di un giornalista italiano di nome Virgilio Scattolini. A poco a poco, ma con un incredibile ritardo, i destinatari di quegli incartamenti si resero conto di aver ricevuto del materiale chiaramente falso e inattendibile. I documenti di Scattolini, scoperti negli archivi dell'OSS e ora resi pubblici, riempiono una capiente valigia. Scattolini veniva ben remunerato per i suoi sforzi e non poteva abbandonare un attimo la macchina da scrivere. In seguito egli ingannò in modo similare la stampa italiana, i politici e gi uomini di affari, così ansiosi di avere informazioni "segrete" sul Vaticano da non preoccuparsi affatto di verificare la loro attendibilità. Angleton poi, anche dopo la scoperta dell'inganno perpetrato ai suoi danni, continuò il suo servizio con il pretesto di occuparsi del controspionaggio. È possibile che anche i russi avessero avuto le stesse informazioni? Il capo dell'OSS di Roma fece in seguito una brillante carriera nella CIA come direttore del controspionaggio. Indubbiamente l'esperienza romana gli aveva insegnato molte cose.

8. Conclusione Abbiamo suggerito prima che esiste un'analogia fra intelligence e la diplomazia tradizionale. La storia dello spionaggio in Vaticano tende a confermare questa tesi. Esiste solo una differenza di mezzi e di metodi. Ma l'intelligence non si limita a raccogliere passivamente informazioni più o meno attendibili, essa ha anche il ruolo di facilitare i negoziati difficili. Nel 1939 e negli anni seguenti, il servizio segreto tedesco, l'Abwehr, diretto dall'ammiraglio Canaris, cercò di negoziare la pace attraverso contatti con Pio XII, senza informare Hitler. Nel 1945, la seconda guerra mondiale si concluse grazie all'opera dell'OSS di Allen Dulles in Svizzera. Non deve quindi sorprendere che i servizi segreti estendessero automaticamente i loro "tentacoli" anche sulla Santa Sede, soprattutto in tempo di guerra. I Paesi neutrali erano il crocevia di questo traffico.

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Dovremmo quindi rimanere perplessi o sorpresi di fronte al fatto che la sede di una religione mondiale, con profonde radici e tradizioni in ogni angolo del mondo conosciuto, attragga anche l'attenzione delle organizzazioni d'intelligence? (*) Pubblicato su "La Civiltà Cattolica" 1991, IV, 350-361 (1) M.S. QUIGLEY, Pace without Hiroshima. Secret Action at the Vatican in the Spring of 1945, Madison Books, London 1991. (2) Cfr. R. A. GRAHAM, "Contatti di pace fra americani e giapponesi in Vaticano nel 1945", in Civ. Catt. 1971 II 31-42. (3) J. LOFTUS - M. AARONS, Ratlines. How the Vatican's Networks betrayed Western Intelligence to the Soviets, Heineman, London 1991.

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Carlo Emilio MILANI - Geopolitica dei musulmani nei Balcani

Il ruolo delle popolazioni musulmane, o prevalentemente musulmane, nei Balcani è da tempo l'elemento intorno a cui ruotano alcune fra le previsioni più pessimistiche, talvolta addirittura apocalittiche, sul futuro della regione. Questi temi sono usciti dall'ambito ristretto degli specialisti e personalità che, a livello internazionale, hanno cominciato a occuparsene ancora prima dell'inizio del conflitto jugoslavo, e sono ormai approdati anche al dibattito giornalistico. Scopo di quest'articolo è la determinazione sintetica di alcuni dei problemi geopolitici e strategici posti da quella che viene impropriamente chiamata la "questione islamica" nei Balcani; nonché l'individuazione e la descrizione di alcuni degli scenari di potenziale destabilizzazione dell'area ad essa collegati. Il primo elemento da considerare è l'eterogeneità dell'Islam balcanico. Una eterogeneità che riguarda anzitutto la funzione che l'elemento confessionale svolge all'interno delle stesse popolazioni. In alcuni casi, infatti, la fede musulmana è l'elemento fondante dell'identità del gruppo, come nel caso dei Musulmani bosniaci, che non hanno un orizzonte etnico al di là di esso. E che anzi, proprio per questo motivo, hanno dovuto costantemente respingere i tentativi croati e serbi di assimilazione etnica al proprio gruppo (1), ritrovando una propria entità etnica separata di "Boshnaci". In altri casi, invece, la fede musulmana è una qualità della maggioranza (ma non necessariamente della totalità) del gruppo considerato, che ha una identità etnica non completamente assimilabile all'elemento confessionale propriamente detto: è questo il caso, ad esempio, degli Albanesi di Albania, del Kossovo e della Macedonia. Oppure delle popolazioni "turche" in Bulgaria e nella Tracia greca, definite soprattutto sulla base della (più o meno presunta) origine etnica, da cui "discende" l'elemento religioso. Questa eterogeneità, che di seguito verrà analizzata più in dettaglio, ha una serie di importanti conseguenze sul problema che viene qui considerato. Anzitutto, essa impedisce di considerare allo stato attuale la presenza musulmana nei Balcani come fenomeno unitario, anche e soprattutto per le sue conseguenze strategiche. La diversità delle condizioni, dei fondamenti etnici, delle vicende storiche delle popolazioni musulmane nei Balcani rende impossibile analizzarle, allo stato attuale ed a livello di aggregazioni sociali, come un elemento avulso dalla situazione dei gruppi e dei paesi cui appartengono. Non si può quindi parlare propriamente di Islam balcanico, ma di musulmani appartenenti al singolo paese e ai singoli gruppi etnici(2). Secondo elemento importante, speculare al primo, è l'esistenza comunque di un vincolo religioso oggettivo che lega questa galassia di popolazioni diverse. Ciò fornisce un potenziale di integrazione strategica oggettivo, che una serie di catalizzatori possono far emergere, soprattutto per quanto riguarda il ruolo geopolitico di queste popolazioni (3). È in questa prospettiva che si colloca il tema della cosiddetta dorsale verde, cioè del blocco geopolitico e strategico ottenuto unendo idealmente le popolazioni musulmane nei Balcani, il cui effetto immediato sarebbe la frantumazione traumatica della coesione e dell'integrità degli Stati ospitanti, con effetti devastanti sugli equilibri dell'area. Questo in particolare per l'impatto sui punti forti della geopolitica balcanica, e cioè il controllo degli assi di comunicazione della parte sud-occidentale della regione. L'orizzonte futuro dei Musulmani nei Balcani oscilla quindi idealmente tra lo stato di divisione attuale ed un riavvicinamento politico che sarebbe necessariamente basato sulla presenza di alcuni catalizzatori, quali l'esistenza di un nemico comune, reale o percepito, nonché l'influenza di fattori esterni. Un'eventualità che, a livello di élites di potere, si realizzerebbe creando una saldatura non di popolo ma di fini e comportamenti politici dei ceti dominanti. Uno degli elementi storico-operativi più importanti per il comportamento futuro dell'Islam nei Balcani è la natura difensiva dell'autoidentificazione musulmana delle popolazioni interessate. Questo fattore ha le sue radici nella oggettiva e diffusa compressione che ha caratterizzato la vita delle popolazioni musulmane dalla nascita degli stati nazionali Slavi della regione. Basti ricordare, a questo riguardo, la politica di occupazione etnica dei "territoires a prendre" incardinata sugli assi della Nishava, del Vardar e della Morava, prima e soprattutto dopo le guerre balcaniche, operata dagli stati nazionali slavi ed in particolare dalla Serbia-

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Jugoslavia. Questi eventi vengono uniti, nell'immaginario collettivo e mitopoietico dei Musulmani, ad eventi recenti come la persecuzione ed espulsione di massa della popolazione musulmana in Bulgaria nella seconda metà degli anni ottanta, o gli eventi in Kossovo a partire dal 1981. Oltre, ovviamente, alla guerra in Bosnia. In quest'ottica, il potenziale di una percezione di "clash of civilization" con l'Ortodossia balcanica, che è peraltro psicosi di segno opposto già diffusa tra gli ortodossi, è notevole. Tanto più che la tendenza ad omogeneizzare l'immagine del nemico è una delle caratteristiche più evidenti del codice della crisi balcanica. Altro elemento da considerare, su un piano più operativo, è l'eccezionale crescita demografica di tutte le popolazioni musulmane dei Balcani. La "bomba demografica" musulmana nella regione è sicuramente l'elemento di medio-lungo periodo che ha il potenziale destabilizzante più notevole, se non oggettivamente sicuramente agli occhi degli altri attori, che è quel che conta. I dati per la ex Jugoslavia, indicativi di una realtà comune anche al resto della regione, evidenziano la vera e propria catastrofe demografica delle popolazioni slave-cristiane rispetto a quelle musulmane o maggioritariamente musulmane. Secondo il censimento jugoslavo del 1981, il tasso medio di accrescimento annuo degli Albanesi del Kossovo era del 25,3 per mille, il più alto in Europa, mentre quello dei Musulmani di Bosnia era del 15,4 per mille, per lo più concentrato tra le popolazioni rurali e dei piccoli centri delle valli della Bosnia centrale (in particolare quella della Bosnia e della Lashva), della Krajina bosniaca e della regione di Bihac: un elemento che incideva in Bosnia sulla tradizionale ripartizione di potenza demografica, assegnando ai Musulmani la preminenza nelle città e alle altre etnie il controllo della maggior parte delle terre agricole (Serbi) e di una serie di centri e regioni ben definite (Croati). A fronte di questi dati, Serbi e Croati registravano una crescita annua complessiva intorno al 4 per mille, e cioè meno di un sesto di quella degli Albanesi e pari a poco meno di un quarto di quella dei Musulmani di Bosnia. Naturalmente, questi dati vanno scomposti e analizzati in dettaglio per comprenderne gli elementi strutturali esatti (4). Tuttavia, essi hanno una forza oggettiva che non può essere ignorata, a prescindere dall'esistenza o meno di una deliberata "strategia demografica" delle popolazioni musulmane nella ex Jugoslavia. Si pensi soltanto che nel 1990 gli Albanesi del Kossovo fornivano, da soli, oltre l'80% della crescita demografica complessiva di tutta la repubblica serba. Questa pressione demografica, nel contesto balcanico ed ex jugoslavo, si articola in una serie di fenomeni-tipo oggettivamente destabilizzanti dell'equilibrio micro e macro regionale. In tale contesto la densità demografica costituisce, nella realtà balcanica, il principale titolo di controllo sul territorio (un fenomeno cristallizzato nella cultura popolare, di cui è emblematico il detto albanese che "chi possiede le pecore possiede anche i pascoli"). Ciò soprattutto per la fragilità e mutevolezza storica dei confini balcanici, che svaluta il valore inclusivo od esclusivo delle linee di demarcazione politica. Le pressioni demografiche provocano spesso, peraltro, delle reazioni simmetriche compensative nella parte demograficamente in declino. Così, ad esempio, la natalità dei Serbi del Kossovo è stata nel corso degli anni ottanta circa doppia della media dei serbi nel resto della Repubblica. La crescita demografica ha un impatto duplice, perché agisce sia in termini assoluti che relativi. La crescita demografica rafforza la piattaforma politica della popolazione in ascesa aumentandone la consistenza assoluta e la percentuale nella composizione della regione considerata. Così, uno dei leaders degli Albanesi del Kossovo può utilizzare, per rivendicare l'indipendenza della regione, sia il fatto che gli Albanesi vi costituiscono il 92% della popolazione, sia l'esistenza di "due milioni di Albanesi kossovari": argomenti eterogenei e non intercambiabili da un punto di vista logico (5). L'impatto della crescita demografica è particolarmente sensibile in alcuni settori vitali delle società delle regioni considerate. Si pensi, ad esempio, al problema incontrato dalle Forze Armate macedoni all'indomani dell'indipendenza, con un serbatoio di coscritti dominato dagli Albanesi, per la loro superiore natalità nelle classi di popolazione più giovane. Il differenziale nella crescita demografica delle popolazioni musulmane nei Balcani, concentrato nelle classi più giovani, si traduce in aspettative negative riguardo il futuro da parte delle altre popolazioni direttamente coinvolte. La necessità di evitare la "sopraffazione" demografica delle future generazioni dei Serbi di Bosnia è, ad esempio, uno dei temi fondamentali della propaganda serbo-bosniaca di Pale. Il fenomeno della crescita demografica delle popolazioni musulmane nei Balcani è l'elemento che più contribuisce ad unificare la presenza musulmana agli occhi delle altre popolazioni balcaniche slavo-

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cristiane. Questa omogeneizzazione si traduce nella costruzione dell'ormai celebre "dorsale verde": vale a dire del blocco territoriale e demografico ottenuto unendo idealmente le aree abitate dai Musulmani nei Balcani. Si tratta di una linea che, partendo dalla minoranza musulmana nella Tracia greca, saldatura con la Turchia, prosegue per i territori stanziali della minoranza turca in Bulgaria, attraversa la Macedonia nella zona occidentale a prevalenza albanese, si allarga nello spazio etnico albanese del Kossovo e dell'Albania e si salda alla Bosnia tramite il Sangiaccato, per arrivare sino alle soglie di Zagabria. L'assioma su cui è fondata questa costruzione concettuale è il movimento di unione o avvicinamento di tutte le componenti della "dorsale verde", che implica l'emergere di una pericolosa formazione demografico-territoriale nei Balcani. La potenzialità distruttiva è data dal fatto che la dinamica di unificazione presuppone l'abbandono, da parte delle popolazioni musulmane, degli Stati di appartenenza, senza peraltro rinunciare ai territori di stanziamento. Quella della "dorsale verde" è una ipotesi che, al di là della sua verosimiglianza e della valenza apocalittica con cui viene presentata, è oggi un tema centrale del dibattito strategico dei Balcani (6). In particolare, nell'ambito delle maggioranze slave cristiane della regione, dove la "dorsale verde" ha una funzione di reazione alla minaccia percepita, costituita anzitutto dalla crescita demografica delle popolazioni musulmane. Proprio questa centralità impone l'analisi di questa costruzione geopolitica. Bisogna in particolare vedere se, in una prospettiva di lungo termine, sia ipotizzabile un processo di sinergia ed avvicinamento delle popolazioni musulmane dei Balcani, e quale possa esserne l'effetto. La risposta appare allo stato attuale negativa, per una serie di motivi. Gli elementi costitutivi della "dorsale verde" sono, infatti, eterogenei dal punto di vista etnico. Accanto a popolazioni di fede musulmana che si autopercepiscono come slave, ad esempio i Musulmani di Bosnia, ve ne sono altre che invece resistono a questa definizione etnica, come gli Albanesi o le popolazioni turche di Tracia e di Bulgaria. È difficile ipotizzare che l'elemento universalistico dell'Islam possa portare al superamento di queste differenze. Va inoltre sottolineato che un movimento di unificazione avrebbe conseguenze distruttive anche all'interno dei singoli attori. Alcuni di essi, ad esempio, sono sensibili all'esigenza di evitare l'identificazione con elementi più lontani dall'integrazione con il mondo occidentale e più "orientali". Un movimento unitario presuppone, inoltre, l'esistenza di una popolazione capace di assumere la funzione di leader. Questa sembra mancare per ragioni oggettive, come l'assenza di un gruppo musulmano predominante secondo i parametri di potenza classici. Le popolazioni musulmane hanno, del resto, piattaforme politiche diverse. Se gli Albanesi del Kossovo mantengono una piattaforma indipendentista, la minoranza turca della Bulgaria è pienamente integrata nel sistema politico della nazione di appartenenza: al punto da essere diventata il potente ago della bilancia nelle dinamiche interne del Parlamento di Sofia. Infine, non è ancora emersa all'interno del mondo islamico dei Balcani un'unica potenza musulmana esterna di riferimento. Anche se questo è uno dei livelli più difficili da penetrare per osservatori esterni, è evidente che una competizione è in atto fra i principali paesi musulmani per ritagliare sfere di influenza. Anche se vi sono indicatori di sinergie ed accordi, è improbabile, allo stato attuale, che possa emergere una chiara figura di leadership. Tale assenza rende tuttavia improponibile un disegno politico unitario delle componenti dell'Islam balcanico. Quanto detto finora non si applica all'ipotesi di un'omogeneizzazione, non delle popolazioni musulmane, quanto piuttosto delle loro leaderships. Questo avvicinamento potrebbe essere il frutto dell'azione di stati-sponsors, e verrebbe indubbiamente facilitato da un processo di radicalizzazione interno alle stesse leaderships, che potrebbe fornire un collante ideologico capace di diminuirne l'eterogeneità di partenza. Uno sviluppo di questo tipo potrebbe indubbiamente aumentare il peso specifico dei paesi esterni promotori. A questo riguardo, vanno evidenziati alcuni degli elementi strutturali del rapporto tra mondo islamico e musulmani dei Balcani, ed in particolare della ex Jugoslavia, al di là di analisi di dettaglio che esulano dai limiti di questo articoli. A partire dalla seconda metà degli anni sessanta (7), il regime titoista dette avvio a una apertura, a tutto

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campo, nei confronti del paesi musulmani, approfittando del ruolo leader della Jugoslavia nel movimento dei Paesi non allineati. E per facilitare questa politica, che aveva anzitutto una motivazione economica, le autorità jugoslave aprirono il territorio alla galassia del terrorismo e dell'attivismo islamico. Le élites musulmane jugoslave, in particolare quelle bosniache, divennero lo strumento logico di penetrazione e di raccordo con i nuovi mercati, venendo - di fatto - utilizzate da aziende di tutte le repubbliche. Prodotto tipico di questo periodo è l'ex primo Ministro bosniaco Silajdzic, uno dei padri dell'indipendenza della repubblica, figlio di un alto esponente della gerarchia musulmana di Sarajevo, studi di perfezionamento universitario a Bengasi, che era diventato ambasciatore itinerante delle aziende jugoslave nei paesi nordafricani. Va notato che i rapporti stretti, all'epoca, dai dirigenti bosniaci attuali servono ancora a definirne l'appartenenza alle varie correnti politiche interne, anche se in questo campo la realtà riserva talvolta notevoli sorprese. La rete di rapporti economici creati allora si è in buona parte mantenuta, estendendosi anche alla sfera politica. A questa va aggiunta l'importanza dell'appoggio finanziario fornito dai paesi musulmani alla dirigenza bosniaca, molto importante in una guerra particolarmente cash intensive. Un aiuto che, dal punto di vista politico, è sicuramente più determinante della partecipazione al processo di ricostruzione della repubblica. Da un punto di vista strutturale, il paese meglio posizionato per guadagnare un ruolo di tutela delle popolazioni musulmane dei Balcani rimane la Turchia. Ciò soprattutto in assenza di una radicalizzazione religiosa delle classi dirigenti. Punto di forza del ruolo della Turchia è senz'altro, oltre al peso dei legami storici, la presenza di consistenti gruppi di popolazioni di origine balcanica al proprio interno, sia di stanziamento storico che recente. Questi gruppi, in particolare i due milioni di cittadini turchi di "origine" bosniaca, sono un potente condizionamento e stimolo della politica estera turca. Questo era vero soprattutto durante il periodo di esplosione dell'impegno internazionale di Ankara, sotto la presidenza Özal, che aveva trovato nei Balcani un teatro d'azione forse ancora più privilegiato di quello dello spazio turcofono nel Caucaso e nell'Asia centrale ex sovietica. Il ritorno ad una interpretazione più ortodossa del kemalismo in politica estera, proprio della presidenza Demirel, non ha tuttavia ridotto il coinvolgimento di Ankara nella crisi balcanica. Naturalmente, l'atteggiamento turco è determinato sia dalla necessità di aumentare il proprio peso specifico in una regione di influenza elettiva della Grecia, sia di rispondere al ruolo di potenza-tutore moderata dei Musulmani balcanici conseguenza del ruolo internazionale della Turchia. In ogni caso, le dinamiche interne del sistema politico turco porteranno con ogni probabilità a mantenere, se non ad aumentare, l'impegno nella regione. Se il problema della "dorsale verde" non ha, allo stato attuale, un significato strategico reale nello scenario balcanico, conviene analizzare il ruolo geopolitico delle popolazioni musulmane o a maggioranza musulmana dei balcani considerate individualmente. Più in particolare, conviene concentrarsi su quell'aspetto del problema che ha il maggior potenziale destabilizzante d'area: e cioè sulla questione albanese, che ormai va considerata nella sua duplice ramificazione del Kossovo e della Macedonia. Il problema dello spazio balcanico dominato etnicamente dagli Albanesi (Albania, Kossovo, regioni occidentali della Macedonia) è la questione più rilevante, a fronte dell'esistenza di una minoranza transnazionale nei Balcani, sia in termini assoluti (consistenza complessiva delle minoranze coinvolte), che relativi (dimensione delle minoranze coinvolte in rapporto alla popolazione originaria di riferimento, in questo caso gli Albanesi di Albania). Per di più, l'area di incidenza della questione albanese coincide con il quadrante più delicato, dal punto di vista geopolitico, di tutta la penisola balcanica: vale a dire la dorsale di comunicazione incentrata sulle valli della Morava e del Vardar, con la ramificazione del sistema Nishava-Maritsa. L'importanza strategica di questo asse non può essere sopravvalutata. Esso costituisce, allo stato attuale, la più importante via di comunicazione terrestre in direzione Nord-Sud di tutta la penisola balcanica. È inoltre il cardine di snodo anche delle comunicazioni Est Ovest. Per l'Italia, è stato da sempre la via privilegiata di trasferimento via terra del flusso di merci verso i mercati balcanici, orientali e mediorientali (8). Il controllo della parte meridionale della via Morava-Vardar è stato, ad esempio, il tema strategico dominante delle guerre balcaniche del 1912-1913. Ed è un fattore basilare nell'analisi della questione macedone sia a livello strutturale che storico.

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Il sistema Vardar-Morava, nella sua parte meridionale, attraversa tutta l'area interessata dalla questione albanese. La strada Belgrado-Salonicco non passa per il Kossovo, ma attraversa il territorio dell'opshtina di Preshevo, appartenente amministrativamente alla Serbia, immediatamente contigua al Kossovo ed abitata da una maggioranza albanese. Non è certo un caso che l'unico progetto di scambio territoriale del Kossovo, ufficialmente appoggiato dalla leadership kossovara albanese riguardi proprio Preshevo, che dovrebbe essere accorpata al Kossovo, in cambio di comuni a maggioranza serba attualmente ricompresi nella regione. Un'esplosione della questione albanese, sia nel Kossovo che in Macedonia, porterebbe alla chiusura di questo asse fondamentale, perpetuando lo stato di inagibilità conseguente al regime di sanzione contro la federazione di Serbia e Montenegro. Tale esplosione potrebbe, soprattutto, dare inizio ad una destabilizzazione globale dei Balcani, molto più grave di quella causata finora dal conflitto in Bosnia. A questo riguardo, gli scenari che incontrano un consenso universale sono due, convenzionalmente definiti dell'implosione della Macedonia e dell'esplosione del Kossovo. L'implosione della Macedonia muove da un eventuale drastico deterioramento nei rapporti tra maggioranza macedone e minoranza albanese (9). Questo movimento endogeno (di qui il termine implosione) porterebbe alla partizione di fatto della repubblica, con la perdita della parte occidentale, abitata prevalentemente dagli Albanesi. Ciò riaprirebbe la questione macedone, con il prevedibile intervento, diretto o indiretto, delle potenze confinanti, a cominciare dalla Bulgaria. Lo scenario dell'implosione, pur se pericolosissimo, sarebbe comunque meno destabilizzante dell'esplosione del Kossovo. Questo perché difficilmente potrebbe proiettare all'esterno del paese grandi masse di popolazione, elemento di rottura immediato e non controllabile. In effetti, le autorità macedoni non hanno le risorse strategiche per poter pensare di risolvere la situazione con azioni di espulsione della popolazione albanese, che ha sicuramente la possibilità di mantenere il possesso dei territorio maggioritari, se non di minacciare selettive estensioni degli stessi. L'assenza di movimenti ingenti e rapidi di rifugiati, consentiti dal possesso di macchine e dall'esistenza di direttrici di traffico in uscita, permette di ipotizzare il contenimento, almeno a breve termine, della tensione all'interno dei confini della repubblica. Il contrario, invece, potrebbe accadere nel caso dell'esplosione del Kossovo. Questo scenario è ipotizzabile come conseguenza di una repressione da parte delle forze di polizia e militari serbo-federali contro la popolazione albanese, provocata, ad esempio, dall'avvio di una campagna di protesta globale. In via teorica, ciò potrebbe provocare la migrazione di una massa di popolazione difficilmente valutabile, ma stimabile nell'ordine di centinaia di migliaia di unità. Questi rifugiati potrebbero avere solo due mete, almeno in via temporanea: l'Albania e la Macedonia. L'arrivo dei rifugiati albanesi in Macedonia, con uno scenario di stile libanese, altererebbe stabilmente il profilo demografico della repubblica, incentivando oggettivamente la separazione delle regioni occidentali. E' ipotizzabile inoltre un intervento della Serbia in queste aree, che potrebbero diventare immediatamente un santuario per eventuali azioni di resistenza degli Albanesi. Ciò globalizzerebbe la questione con l'intervento, come minimo indiretto, di tutte le potenze regionali. Inoltre, la Macedonia non ha la possibilità di sostenere flussi di popolazione di queste dimensioni. Ciò porterebbe ad un loro spostamento non verso la Grecia, che presumibilmente si opporrà con ogni mezzo all'ingresso di decine di migliaia di profughi albanesi; né verso la Bulgaria, se non altro perché si frappone il territorio a maggioranza macedone della Macedonia stessa. Non rimarrebbe quindi altra scelta che indirizzarsi verso l'Albania, dove il carico dei rifugiati, anche per le ripercussioni interne sulla società albanese, diventerebbe insostenibile. Non è impossibile, a questo punto, ipotizzare un coinvolgimento dell'Italia, che sarebbe oggettivamente una destinazione elettiva per queste popolazioni. Questo scenario, apocalittico e teorico, non è tuttavia impensabile, ed impone la soluzione del problema del Kossovo. Due sono le opzioni possibili, la concessione dell'autonomia e la partizione preventiva della regione come preludio alla sua indipendenza La concessione alla popolazione albanese di un'autonomia anche ampia, ammesso che la leadership serba riesca a "venderla" sul piano interno, non appare sufficiente, considerando la piattaforma indipendentista condivisa da tutte le componenti della dirigenza kossovara. L'altra ipotesi, che prevede una partizione preventiva, con scambio di territori e popolazioni, appare difficilmente praticabile. Circoli vicini all'ex presidente federale serbo, lo scrittore Dobrica Cosich, hanno appoggiato, nel 1992, un progetto in questo senso. Ma, al di là delle manchevolezze tecniche, efficacemente

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evidenziate da Michel Roux (10), il progetto non scioglieva un nodo fondamentale: la necessità per la Serbia di mantenere almeno la parte settentrionale o nordorientale della regione, dove è concentrata la maggior parte (ma non la totalità) dei monumenti e dei luoghi storici più importanti per la storia e la Chiesa ortodossa serba. E dove sono concentrate la maggior parte delle risorse industriali, minerarie ed agricole del Kossovo. In questa regione, peraltro, vive mezzo milione di Albanesi, che verrebbero scaricati nelle regioni occidentali più povere, con tutti i problemi che ne conseguono, compresa una probabile migrazione verso la Macedonia, aprendo lo scenario di crisi secondo le modalità già viste. Allo stato attuale, questa prospettiva è inaccettabile per la dirigenza albanese. E si dimostra ancora una volta che, nei Balcani, "chi possiede le pecore possiede anche i pascoli". (1) L'analisi più interessante sul problema dell'identità etnica dei musulmani di Bosnia rimane il fondamentale articolo di Sabrina Pedro Ramet "Primordial Ethnicity or Modern Nationalism: the Case of Yugoslavia's Muslims Reconsidered", The South Slav Journal vol. 13 n. 1-2, primavera-estate 1990. (2) È questo, ad esempio, l'approccio della più importante opera recente sulla storia dell'Islam nei Balcani, il brillante e ricchissimo "Islam in the Balkans" (e non Balkan Islam) di Harry Thirlwall Norris, Hurst & Company, London 1993. Analogo anche l'approccio nella più recente opera globale sul problema delle minoranze nei Balcani comparso negli ultimi dieci anni, il libro di Hugh Poulton "The Balkans: Minorities and States in Conflict", Minority Rights Publications, London 1991. La ricchezza e diversità della presenza musulmana nei Balcani era già stata sottolineata da uno dei fondatori dei moderni studi balcanici, Jacques Ancel, nel suo imprescindibile "Peuples et nations des Balkans", Librairie A. Colin, Paris 1930. (3) Su tutta la problematica delle formazioni geopolitiche si veda il fondamentale saggio del generale Carlo Jean, "Geopolitica", Laterza, Bari, 1995. (4) È quanto fa Michel Roux nella sua opera sugli Albanesi della ex Jugoslavia, "Les Albanais en Yougoslavie", Éditions de la Maison des Sciences de l'Homme, 1992 Paris, soprattutto nelle pagg. 129-158. Va sottolineato che Roux rifiuta recisamente l'ipotesi di una "strategia demografica" albanese. Si veda anche l'articolo di Roux "Atlante degli Albanesi nei Balcani" su Limes, n. 1-1994. (5) Rexhep Qosja "La question albanaise", Fayard, Paris 1995. Qosja è diventato, dalla fine del 1992, uno dei leaders dell'ala radicale non estremista del movimento kossovaro albanese in contrapposizione al "moderato" Presidente dell'autoproclamata repubblica del Kossovo. Le differenze ideologiche interne al movimento kossovaro sono in realtà sfuggenti e difficili da definire. Data per scontata la richiesta di indipendenza e autodeterminazione per la popolazione albanese della regione, Qosja auspica l'unificazione del Kossovo con l'Albania, senza tuttavia un'unificazione dello spazio etnico a maggioranza albanese con l'annessione della parte occidentale della Macedonia, richiesta propria degli estremisti. Nel libro di Qosja viene valutata positivamente l'opera di mediazione dell'ex presidente della federazione serbo-montenegrina, lo scrittore Dobrica Cosic, e del leader dell'opposizione serba Djindjich, di cui vengono innocentemente ricordati i legami con la Germania, tema particolarmente controverso in Serbia. (6) Quello della "dorsale verde" è un tema ossessivo non solo nelle pubblicazioni ultranazionaliste e marginali, ma anche nei media più diffusi e rispettabili. In Serbia, oltre ad essere banalizzato dagli organi di stampa più vicini alle posizioni dei Serbi di Bosnia (è il caso ad esempio del quindicinale Duga), viene anche utilizzato come strumento interpretativo da studiosi attendibili, come quelli dell'Istituto geografico dell'Accademia delle Scienze serba. In Croazia, il tema è continuamente analizzato sulle pagine dei giornali più diffusi da uno dei più noti esperti croati di politica internazionale e geopolitica, Radovan Pavic. (7) Un'ottima analisi della parte "emersa" dei rapporti tra paesi islamici e repubblica bosniaca, nella fase iniziale del conflitto, si trova nell'articolo di Tarek Mitri "La Bosnia-Herzégovine et la solidarité du monde arabe et islamique", Monde Arabe Magreb Machrek n. 139 gennaio-marzo 1993. Molto più impraticabile il panorama delle fonti sul versante dei rapporti più coperti. Uno studio, tuttavia ben informato, è il rapporto di Jossef Bodansky e Vaughn Forrest, "Iran's European Springboard?" preparato per la Task Force on Terrorism and Unconventional Warfare dal centro studi del gruppo repubblicano del Congresso americano. (8) Per una ricca e profonda analisi delle opzioni dell'Italia nella crisi jugoslava e nei Balcani si veda l'articolo a firma Miles, "Quali balcani convengono all'Italia", Limes n. 3-1995. (9) La consistenza esatta della popolazione albanese nella repubblica macedone è un elemento estremamente controverso e dibattuto a Skopje. La dirigenza albanese, che ha interesse ad ingigantire i dati, parla ufficialmente del 30-35%. Il censimento che si è tenuto in Macedonia lo scorso autunno non ha dato risultati conclusivi (gli Albanesi venivano dati al 23%), in quanto è stato boicottato da una parte apprezzabile della popolazione minoritaria. Era peraltro opinione comune dei "monitors" internazionali che il boicottaggio fosse un modo per svalutare in partenza dei risultati che avrebbero dimostrato una presenza albanese nettamente inferiore a quella sostenuta dai loro leaders politici. (10) In "Atlante degli Albanesi nei Balcani", Limes, n. 1 1994.

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Carlo SARZANA di S. Ippolito - I riflessi normativi dell'uso dei sistemi crittografici in Italia

1. Premessa In Italia, a livello normativo, non sembrano esistere particolari disposizioni in ordine all'uso della crittografia, all'infuori di quelle riguardanti il particolare settore della tutela del segreto di Stato e la divulgazione di informazioni di cui è vietata la divulgazione e di cui agli articoli 12 e 24 della legge 24 ottobre 1977 n. 801. Altre disposizioni sono contenute nel complesso di norme che riguardano il controllo, l'esportazione, l'importazione ed il transito dei materiali di armamento nonché l'esportazione e transito di materiali di particolare interesse strategico (legge 8 luglio 1990 n. 185, legge 27 febbraio 1992 n. 222, ed i relativi decreti ministeriali del 28 ottobre 1993 - 18 novembre 1993 - 5 maggio 1994 - 1 settembre 1995). Un accenno all'uso delle tecniche crittografiche nel campo della pubblica Amministrazione è contenuto in alcune deliberazioni (vedi quella del 28 luglio 1994, art. 1, n. 9) dell'AIPA (Autorità per l'Informatica della Pubblica Amministrazione), istituita con decreto legislativo del 12 febbraio 1993, n. 39. In realtà, un tentativo di regolamentare in generale l'uso di sistemi di criptofonia e crittografia venne compiuto in passato dal Ministro dell'Interno, il quale presentò al Senato, nella X legislatura, un disegno di legge (il n. 3232 dell'11 febbraio 1992) che prevedeva disposizioni (anche) in tema di apparecchiature criptofoniche ovvero destinate alla trasmissione in codice di comunicazioni telefoniche, radiofoniche o di altre forme di telecomunicazioni. L'articolo 1 del disegno subordinava a licenza del Questore la produzione, l'introduzione nello stato, l'esportazione, la raccolta per ragioni di commercio o di industria e la messa in vendita, tra l'altro, di apparecchiature per la ricetrasmissione in codice e per la codificazione di telecomunicazioni. L'articolo 3 disciplinava, in particolare, la materia degli apparecchi di comunicazione in codice prevedendo che il produttore o importatore di dette apparecchiature dovesse depositare presso il Ministero delle PP.TT. i dati tecnici e gli apparati necessari per la decodificazione delle comunicazioni: ciò ai fini dell'intercettazione investigativa. Veniva stabilito anche il divieto di vendita o di cessione, anche a tempo determinato, delle apparecchiature a soggetti privi del nulla osta all'acquisto ed all'uso rilasciato dal Questore, nulla osta soggetto a precisi limiti temporali; inoltre i detentori delle apparecchiature avrebbero immediatamente dovuto denunciare il possesso e le variazioni alle Forze di polizia. tutti i divieti e gli obblighi di cui sopra erano rafforzati da sanzioni penali. Il disegno di legge in questione decadde con lo scioglimento delle Camere. Tuttavia, lo stesso Ministero dell'Interno, nel corso della successiva legislatura, preparò una versione lievemente modificata del testo precedente, che però non venne mai trasfuso in un disegno di legge.

2. I sistemi crittografici e i controlli all'esportazione È noto che da tempo i prodotti di alta tecnologia (sistemi elettronici, laser e fibre ottiche, elaboratori, chips e software, ecc.) sono oggetto di un'opera intensa di acquisizione illegale e di un vero e proprio mercato nero che si svolgono sia a livello nazionale che internazionale. Non è un mistero che il c.d. furto di alta tecnologia è divenuto da tempo un grosso affare condotto da vere e proprie organizzazioni criminali e, spesso, da agenti di Paesi stranieri. Va rilevato, al riguardo, che particolari disposizioni del codice penale vigente (articolo 256, relativo al procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato; articolo 257, riguardante lo spionaggio politico o militare; articolo 261, relativo alla rivelazione di segreti di Stato; ecc.) permettono di colpire alcune delle attività illegali relative al trasferimento di tecnologia allorché le circostanze del fatto riguardano dei rapporti politici internazionali (vedi anche l'articolo 325 c.p., relativo alla utilizzazione di informazioni o scoperte conosciute per ragioni d'ufficio). Nei casi normali, invece, allorché si tratti cioè di

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rapporti tra privati, possono essere applicati, secondo i casi, gli articoli 621 (rivelazione di segreti scientifici o industriali) del medesimo codice. In Italia sono state emanate varie norme per affrontare il fenomeno e regolarizzare il settore, anche in correlazione con l'appartenenza dell'Italia al cosiddetto COCOM (Coordinating Committee for Multilateral Exports Controls), organo informale di coordinamento tra i Paesi NATO. Per quanto riguarda questo particolare settore, è da dire che il Governo presentò alla Camera, in data 9 dicembre 1987, il disegno di legge n. 203, recante il titolo "Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito di materiali di particolare interesse strategico", un articolo del quale prevedeva l'ottenimento di un'apposita autorizzazione ministeriale per l'esportazione ed il transito di materiali di particolare interesse strategico utilizzabili a rilevanti fini militari, tra cui (art. 20, lett. 2) le apparecchiature elettroniche da indicarsi in un successivo elenco. L'articolo 25 puniva con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con multa proporzionale l'esportazione o il transito verso destinazione diversa da quella indicata nell'autorizzazione e, con la sola multa proporzionale, la violazione di altre prescrizioni stabilite nell'autorizzazione medesima. Il disegno di legge citato divenne poi, con modifiche, la legge 9 luglio 1990, il cui articolo 2 indica, tra i materiali di armamento, anche i "sistemi o apparecchi elettronici.... appositamente costruiti per uso militare". La legge in questione prevede sanzioni penali per l'ipotesi di falsità nella documentazione (articolo 23), per l'esportazione, importazione o transito di materiali di armamento senza autorizzazione (articolo 24), e - soprattutto - per l'inosservanza delle prescrizioni amministrative relative alla consegna dei materiali alla destinazione indicata nella richiesta di autorizzazione (articolo 14), punendola con la reclusione fino a 5 anni ovvero con la multa da due a cinque decimi del valore dei contratti. Una successiva legge, la n. 222 del 27 febbraio 1992, ha regolato il controllo dell'esportazione e del transito dei prodotti ad alta tecnologia. La legge precisa, al n. 2 dell'articolo 1, che sono soggetti alle autorizzazioni ed ai controlli dello Stato l'esportazione, in via definitiva o temporanea, ed il transito dei prodotti e delle tecnologie indicati in un apposito "elenco delle merci sottoposte ad autorizzazione per l'esportazione e per il transito", predisposto ed aggiornato ogni sei mesi con decreto del Ministro per il Commercio con l'Estero. La legge prevede apposite sanzioni penali per l'attività di esportazione o transito senza autorizzazione (articolo 12), per la falsità nella documentazione (articolo 13), per la violazione delle condizioni di consegna (articolo 14), ecc.; eleva inoltre l'entità minima delle multe previste dagli articoli 23, 24 e 25 della precedente legge n. 185 del 1990 a 50 milioni. In attuazione delle disposizioni delle leggi sopracitate sono stati emanati poi alcuni decreti ministeriali. Il Ministro della Difesa, d'intesa con altri Ministri, ha emesso il decreto del 28 ottobre 1993 con il quale è stato approvato l'elenco dei materiali di armamento da comprendere nella categoria prevista dall'articolo 2, comma 2, della legge n. 185 del 1990. Tale decreto è stato poi aggiornato con il recentissimo decreto dell'1 settembre 1995, relativo al nuovo elenco dei sopracitati materiali di armamento. Nella categoria 11ª, alle lettere d) e f), sono state previste le seguenti categorie: apparecchiature di sicurezza per il trattamento dei dati, apparecchiature di sicurezza per dati e apparecchiature di sicurezza per linee di trasmissione e di segnalazione, utilizzanti procedimenti di cifratura (d), e apparecchiature per l'identificazione, la autenticazione e il caricamento di chiavi crittografiche e apparecchiature per la gestione, produzione e abilitazione di crittografiche. Il Ministero del Commercio con l'Estero, a sua volta, nel D.M. 5 maggio 1994, relativo alla autorizzazione per esportazione definitiva e temporanea e per il transito dei prodotti ad alta tecnologia, facendo seguito a un precedente decreto (24 giugno 1993) ha aggiornato l'elenco, stabilendo che i prodotti e le tecnologie di cui all'elenco allegato alla legge del 1992 erano sottoposti ad autorizzazione per l'esportazione. In esso, dopo aver dato la definizione di crittografia, ha inserito al Paragrafo 4A2, intitolato "Apparecchiature, assiemi e componenti", la voce 5A002, e particolarmente le lettere a) b) c) d) e) g). Si riporta integralmente il testo come appresso. Sistemi, apparecchiature, "assiemi elettronici" specifici di applicazione, moduli o circuiti integrati che assicurano la "sicurezza dell'informazione", come segue, e loro altri componenti appositamente progettati: a. progettati o modificati per utilizzare la "crittografia" con l'impiego di tecniche numeriche per assicurare la "sicurezza dell'informazione"; b. progettati o modificati per effettuare le funzioni crittoanalitiche; c. progettati o modificati per utilizzare la "crittografia" con l'impiego di tecniche analogiche per assicurare la "sicurezza dell'informazione", eccetto:

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1. le apparecchiature che utilizzano tecniche di mescolamento di bande "fisse" non superiori a 8 bande in cui i cambi di trasposizione non si effettuano più di una volta ogni secondo; 2. le apparecchiature che utilizzano tecniche di mescolamento di bande "fisse" superiori a 8 bande in cui i cambi di trasposizione non si effettuano più di una volta ogni 10 secondi; 3. le apparecchiature che utilizzano l'inversione a frequenza "fissa" in cui i cambi di trasposizione non si effettuano più di una volta ogni secondo; 4. le apparecchiature facsimile; 5. le apparecchiature di radiodiffusione riservata a un numero limitato di ascoltatori; 6. le apparecchiature di televisione civile; d. progettati o modificati per sopprimere le emanazioni compromettenti di segnali portatori di informazioni; NOTA: IL 5A002 non sottopone ad autorizzazione le apparecchiature progettate per sopprimere le emanazioni per ragioni sanitarie o di sicurezza. e. progettati o modificati per utilizzare tecniche crittografiche per generare il codice di estensione per "spettro esteso" o il codice per il salto di frequenza per i sistemi con "agilità di frequenza"; f. progettati o modificati per assicurare una "sicurezza a più livelli" o un isolamento dell'utente certificati o certificabili a un livello superiore alla Classe B2 della norma Trusted Computer System Evaluation Criteria (TCSEC) o norma equivalente; g. sistemi di cavi di telecomunicazione progettati o modificati, utilizzando mezzi meccanici elettrici o elettronici, per rilevare intrusioni surrettizie.

3. L'Autorità Nazionale di Sicurezza (ANS) e l'Ufficio Centrale per la Sicurezza (UCSi) L'Organizzazione nazionale per la sicurezza fa capo, sulla base della legislazione vigente, al Presidente del Consiglio dei Ministri. Per dare concreta attuazione alla norma legislativa, il Presidente del Consiglio delega l'esercizio della tutela del segreto di Stato ad un alto funzionario dello Stato che assume la denominazione di Autorità Nazionale per la Sicurezza (ANS). L'ANS, per l'esercizio delle sue funzioni, si avvale dell'Ufficio Centrale per la Sicurezza (UCSi). Direzione Sicurezza Tecnica (DST) Nell'ambito dell'UCSi è istituita la DST, la quale: • è responsabile della elaborazione della normativa nazionale nel campo della sicurezza tecnica; • partecipa ai comitati di sicurezza NATO e internazionali; • provvede al controllo, certificazione e omologazione dei sistemi LCT ed EAD che trattano informazioni classificate. La DST, per lo svolgimento delle sue funzioni, è articolata su tre Sezioni: • Sezione Segreteria e Coordinamento; • Sezione Sicurezza TLC; • Sezione Sicurezza EAD. Compiti e attribuzioni della Sezione Sicurezza (EAD) La Sezione svolge i seguenti compiti principali: • elaborazione e aggiornamento della normativa nazionale; • emanazione di circolari e direttive attinenti ad argomenti specifici, quali sicurezza hardware e software, certificazione e omologazione di Centri EAD; • esame e valutazione di progetti relativi alla protezione dei Centri EAD ai fini della certificazione/omologazione. Al fine di gestire in modo organico la problematica legata alla Sicurezza EAD, si è ritenuto opportuno prevedere una specifica struttura di responsabilità all'interno degli Enti e delle Ditte interessate. Nell'ambito degli organi della Pubblica Amministrazione, sono stati individuati l'Organo Centrale di Sicurezza, con funzioni direttive, e l'Incaricato alla sicurezza EAD, con funzioni di controllo, mentre nelle industrie le stesse responsabilità sono devolute rispettivamente al Rappresentante legale e all'Incaricato alla sicurezza EAD (1). Di recente, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato una ultima Direttiva (7 dicembre 1994), di carattere riservato, riguardante, fra l'altro, i requisiti minimi da accettare per garantire la sicurezza delle informazioni classificate (COSMEC) trattate con apparecchiature o sistemi elettronici.

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Una parte della Direttiva si occupa specificamente della sicurezza crittografica intesa come quella componente della sicurezza delle comunicazioni derivante dalla adozione di sistemi crittografici tecnicamente appropriati e al loro concreto impiego, che deve essere conforme alle specifiche istruzioni operative e alle prescrizioni generali. L'ANS, inoltre, fornisce agli Enti della Pubblica Amministrazione istruzioni aggiornate sugli apparati CRYPTO, sui materiali TEMPEST, sui dispositivi COSMEC e logiche crittografiche approvate dalla stessa ANS da utilizzare per la trattazione, protezione e trasmissione di informazioni classificate.

4. L'Autorità per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione e i suoi compiti nel campo della sicurezza informatica Il decreto legislativo n. 39 del 12 febbraio 1993 ha creato la figura dell'Autorità per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA), affidando alla detta Autorità anche il compito di dettare i criteri tecnici riguardanti la sicurezza dei sistemi (articolo 7, 1° comma, lett. a). L'AIPA ha poi emesso la Deliberazione del 28 luglio 1994 (G.U. n. 216 del 15 settembre 1994) in applicazione dell'articolo 2, comma 15, della legge 24 novembre 1993, n. 537, relativa alle regole tecniche per l'uso dei supporti ottici. Tale Deliberazione, all'articolo 9, stabilisce che saranno regolati con successivi provvedimenti gli aspetti, tra gli altri, relativi all'uso della crittografia, alla protezione e alla conservazione delle relative chiavi, all'uso dei meccanismi di firma elettronica. La Deliberazione di cui sopra prevede anche che, per ogni file memorizzato sul disco ottico, dovranno essere introdotte, con modalità che saranno di seguito precisate, tra l'altro, eventuali informazioni in ordine alla crittografia. Nelle note esplicative allegate alla sopracitata Deliberazione, relative alle specifiche tecniche per l'uso dei supporti ottici, si dice al paragrafo 3/1, relativamente all'aspetto della sicurezza, che "per ragioni di riservatezza deve essere ammesso l'uso della crittografia nella conservazione delle informazioni su disco: ma in tal caso occorre che l'algoritmo di crittografia sia normalizzato e che siano regolamentate anche le procedure di formazione e di conservazione delle parole chiave individuali e le relative responsabilità".

5. La raccomandazione n. R(95)13 del Consiglio d'Europa In tema di uso della crittografia, ritengo opportuno ricordare che il Comitato di esperti del Consiglio d'Europa sui problemi della procedura penale legati alla tecnologia dell'informazione (del quale sono stato il Vice Presidente) ha elaborato una Raccomandazione, la n. (95)13, approvata dal Comitato dei Ministri nel settembre scorso (1995). Il capitolo V di detta Raccomandazione tratta dell'Utilisation du chiffrement ed enuncia il principio n. 14 secondo cui "des mésures décraient être examinées au fin de minimiser le effets négatifs de l'utilisation du chiffrement sur le enquêtes des infracion pénales, sans toutefois avoir des conséquences plus que strictment nécéssaires sur son utilisation légale". Nel commento che accompagna il citato principio si conclude affermando che "le conflict d'intérêts entre les besoins des utilisateurs et le respect de la loi doit être convenablement pris en considération, et un équilibre doit être trouvé". (1) Le indicazioni di cui sopra sono tratte letteralmente da un rapporto dell'UCSI presentato a Roma nel novembre 1990 in un convegno organizzato dalla Fondazione Bordoni e dal titolo "CS 90 - Symposium on Computer Security".

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Dario VALCARCEL - Un insuccesso dell'intelligence: la crisi del Cesid

Nella vita di ogni nazione vi è sempre un momento difficile e ora - è innegabile - è giunto quello della Spagna. Lo sconcerto e lo sconforto di tanti cittadini è patente. Ma c'è una cosa che è d'obbligo dire. In alcuni settori della società spagnola la nuova moda consiste nell'amplificare tutto ciò che non è chiaro, tutto ciò che contribuisce a gettare discredito sulla nazione. In questi gruppi vi è una sorta di istintiva, inspiegabile soddisfazione per ciascun episodio che serve a screditare le istituzioni, per ciascun insuccesso o rivelazione che oscuri la storia o il futuro della nazione, cosa questa che differenzia un grande numero di spagnoli dai loro alleati europei. In questo processo di scoraggiamento nazionale, i mass media hanno svolto un ruolo e ne sono responsabili. Alcuni giornali hanno costantemente riportato descrizioni distorte e lontane dalla verità. Si direbbe che questi opinionisti vivono in un altro mondo, sempre più lontano dalla loro professione: non sono interessati ad indagare, verificare, informare ed hanno scelto di partecipare alla lotta per il potere, presentandosi talvolta come candidati al potere, altre volte trasformandosi in mere succursali dei partiti. Questa scomposizione crea una delle più gravi disfunzioni dell'attuale Spagna. È necessario denunciare gli abusi. Ma bisogna anche presentare l'altra faccia della realtà, quella di un paese con un enorme capitale di energia, la cui vitalità si evidenzia tutti i giorni, in mille modi. In tante zone di ombra, esistono grandi riserve di energia nazionale. Infatti il paese non è caduto nel caos né si è paralizzato. Forse il problema più grave proviene dalla classe dirigente e non solo da quella politica. Si ripete così la tendenza prevalsa cento anni fa, quando la Spagna più volgare ha spodestato quella più innovatrice: in quegli anni Benedito prevaleva su Picasso, Blasco Ibanez su Baroja, Sagasta su Silvela, Echegaray su Cajal. Tuttavia non è certo che la Spagna più rapace finisca per imporsi su quella più intelligente e quindi un ampio settore del paese potrebbe optare per un'interpretazione non sempre negativa di questi episodi nazionali. La realtà di questi ultimi venti anni dimostra che la nazione conserva una considerevole quantità di disciplina, di sforzo, di capacità organizzativa e di crescita. Solo considerando questo aspetto ci sembra equilibrato considerare la serie di insuccessi di questi ultimi anni, tra i quali quello che ha riguardato i Servizi di Intelligence. Il Cesid oggi è guardato con molto sospetto dall'opinione pubblica. La gravità dei fatti ha favorito una campagna di banalizzazione, se non di ridicolizzazione, del Servizio e dei suoi uomini e mette in dubbio quella specifica funzione dello Stato che viene denominata "intelligence". Il Cesid è inoltre guardato con sospetto dalla maggior parte dei rappresentanti dei partiti, compreso il PSOE, che ritengono le sue azioni più famose poco chiare ed al servizio di determinati dirigenti. Il Cesid, infine, è sospettato a livello tecnico. Una volta divulgati i possibili errori, il dubbio viene esteso, giustamente o meno, a tutte le attività del Servizio. La centralizzazione organica è contrastata dagli errori della sicurezza interna, cosa che porta a pensare ad una struttura inefficace; le rivalità con gli altri Servizi di Informazione aprono il dibattito sull'efficacia del coordinamento; la cultura ereditata da varie sezioni del Centro - militari o civili - permette di mettere in discussione la qualità delle sue analisi e, per concludere, sorge il dubbio relativo all'uso dei fondi riservati. Nell'ambito della sicurezza atlantica, l'intelligence spagnola rivestiva un ruolo importante nell'insieme di singole unità che funziona ormai da quattro decenni come un sistema integrato, sovranazionale. Per questo è difficile stabilire il danno che la paralisi del Cesid causa alla Spagna e all'ordine internazionale e, in ogni caso, ne deriverà un grave deterioramento le cui conseguenze saranno avvertite questo stesso anno. Il Cesid lavora in tre zone sensibili della NATO: il controllo dell'asse Canarie-Gibilterra-Baleari; lo Stretto come tale; infine il Nord Africa, dalla Libia alla Mauritania. Il controllo dello spazio aereo e marittimo spagnolo era uno degli incarichi più delicati. Nel 1991, una Divisione del Centro aveva cominciato a lavorare al conflitto balcanico. Ma a noi preme sottolineare il punto focale di questa crisi: l'internazionalizzazione dei Servizi occidentali e la ripercussione - in termini di prestigio o discredito - che il suo sistema di intelligence può causare alla Spagna. Il Cesid inoltre copriva altri fronti che valicano oggi le frontiere nazionali: la politica della non proliferazione, da una parte. La ristrutturazione delle centrali nucleari dell'ex blocco sovietico, dall'altra.

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Infine, oltre a ciò, i nuovi problemi di sicurezza - crimine organizzato, immigrazione clandestina, stupefacenti, traffico di armi - che oggi rivestono sempre maggiore importanza in un mondo la cui sicurezza non è più affidata esclusivamente all'esercito. Tutta questa mole di lavoro così diversa è stata probabilmente messa da parte, quasi abbandonata, a favore di altre attività (spionaggio politico, intercettazioni illegali) nelle quali la volubilità si confonde con l'illegalità. Sebbene la correttezza del Direttore Generale del Centro rimarrà intatta nel futuro - una carriera esempio di integrità, un eccezionale curriculum di servizio - la slealtà di alcuni membri della fascia direttiva comprometterà, nei prossimi anni, l'immagine del Cesid. Quello che ne consegue non è una speculazione: tutti gli indizi fanno pensare che qualche alto grado della Direzione Operativa del Centro ha commesso un'appropriazione indebita, attingendo anche ai fondi riservati, approfittando della buona fede del Direttore Generale. Probabilmente il colpevole ha sottoposto a ricatto l'intero sistema di sicurezza dello Stato, utilizzando informazioni relative all'ETA. È quindi necessario ricordare il massimo grado di fiducia che la società ripone in coloro che dispongono della forza militare o dei meccanismi di sicurezza dello Stato. In regimi dittatoriali - dove il terrore costituisce il meccanismo di sicurezza - coloro che deludono questa fiducia sono puramente e semplicemente eliminati. Anche qui le democrazie si trovano a dover affrontare il problema dell'inferiorità funzionale che serve da contropartita alla dignità morale. I servizi anglosassoni, tedeschi o francesi, sono riusciti, nonostante tutto, a dotarsi di efficaci metodi di difesa contro il tradimento, quei metodi che invece non esistevano nel Cesid, permettendo a qualche suo dirigente di attraversare il Rubicone. Tuttavia numerosi sono i punti oscuri in questo fatto, e non ultimo quello che un militare di carriera, giunto al grado di colonnello, non comprenda che la slealtà assume un diverso peso in un'impresa tessile e in un Centro di Informazioni della Difesa. Se questa versione venisse confermata, ci troveremmo di fronte ad una gravissima mancanza che si verifica alla base stessa dell'organizzazione: un insuccesso operativo che getta discredito sul Centro come tale, ma soprattutto sullo Stato e sulla rispettabilità interna del sistema di libertà. Al di là di qualunque gioco di parole, il fallimento del Cesid è il fallimento dell'intelligence. Rivela fino a che punto i concetti basilari, essenziali, sono ignorati dalle persone che ricoprono posti di responsabilità nel governo del paese. Rivela una paurosa confusione dei valori che riteniamo consolidati, indiscutibili. Rivela un sorprendente disprezzo delle libertà civili da parte delle autorità che ne dovrebbero essere custodi. E infine, rivela un inesplicabile grado di insicurezza materiale. Così mentre i sistemi di allarme dei grandi magazzini scattano di fronte a qualunque ladro che cerca di rubare un fazzoletto, un Capo di Divisione del Cesid ha potuto sottrarre centinaia di documenti, registrazioni e dischi magnetici senza che si fosse accesso un solo segnale d'allarme. Tra l'attuale sconcerto politico, il Cesid ha di fronte a sé varie alternative: resistere alla bufera, nella speranza di una generale amnesia a breve o medio termine; piegarsi a tutte le modifiche stabilite dall'attuale Governo, sperando che tali cambiamenti calmino l'opposizione e concedano una tregua politica; cercare di convincere i principali opinionisti ed influire sulle loro conclusioni; o cominciare ad adattarsi ai nuovi tempi. Queste sono le alternative possibili, ma nessuna risulta soddisfacente poiché perpetua quanto c'è di peggiore nell'attuale cultura organica: salvare la situazione ed uscirne come si può. In questa fase di pubblica esposizione e vulnerabilità del Cesid, bisogna preoccuparsi meno dell'istituzione nel senso nominalista e più della funzione, cioè, dell'intelligence e dell'informazione, materiali di lavoro indispensabili per ogni Stato moderno. La prima cosa da fare, pertanto, sarebbe rivalutare l'intelligence e spiegare alla nazione cosa significa studiare e valutare quotidianamente la realtà. Chiarire ai cittadini come la sicurezza basilare di una nazione non può essere garantita senza questo sforzo giornaliero di analisi. E chiarire infine come questo lavoro non ha nulla a che fare con lo spionaggio interno, inutile, illegale e disonorevole. Il problema non è tanto pubblico, ma di élite politica: il servizio deve aprirsi ad un vero dialogo non partitico, che rifletta le necessità dello Stato così come le intendono le forze politiche. Quindi, dopo questa crisi sembra necessario raggiungere un accordo nazionale in materia di sicurezza, informazione ed intelligence. Uno dei pericoli che corrono i servizi di informazione, sin dall'origine della loro esistenza, è il generalizzato e nevrotico sospetto di qualunque cosa. Per alcuni agenti non esiste notizia, informazione o movimento che si produca per caso o che non possa essere interpretato come parte di una grande operazione. Lo stesso nome, servizi di informazione ed intelligence, implica la raccolta e la cooptazione di dati, la loro analisi e valutazione. Senza informazioni non si può vincere, cita il motto latino del Cesid. Senza informazioni, i

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Governi non possono adottare alcuna decisione. Il problema sorge quando gli agenti e le istituzioni preposti all'informazione ritengono che, per il loro peculiare lavoro, possono ripararsi dietro il segreto, nella parte oscura della legge. Ma la realtà, testarda, si impegna a dimostrare che non è così. In ogni servizio pubblico - anche nei quadri dello spionaggio - l'illegalità finisce per essere molto difficile da nascondere quando è nota a due o più persone. Di fronte alla legge, qualsiasi agente della sicurezza dello Stato e dei servizi di informazione è responsabile delle sue azioni quanto qualunque altro cittadino, ed è obbligato a rispettare l'ordinamento giuridico anche se ostacola il suo lavoro. Ma come abbiamo appreso da quanto pubblicato, non è stato così. Le intercettazioni del Cesid compiute nei confronti di migliaia di cittadini hanno riguardato perfino lo stesso Re. La cosa più grave è che questo attacco frontale alla legalità continua ad essere considerato da più di un politico un qualcosa di naturale. Se si è giunti ad una trasgressione così grave non è stato solo per la natura delle indagini, ma perché il Cesid ha potuto essere strumentalizzato da alcuni dei suoi responsabili a proprio beneficio politico, e la maggior parte delle volte a beneficio personale, come può dedursi dallo spionaggio sistematico ai danni di Ministri e leader dell'area del PSOE. La causa di tutti i mali, e quella che getta maggior discredito, è da ricercarsi nella possibilità che ciascuno utilizzi l'intelligence militare per propri fini. Questi abusi sono propri di paesi lontani, assolutamente sottosviluppati. Nemmeno nei momenti più oscuri del sistema sovietico si sono verificati casi di vendita di rapporti o registrazioni per arricchimento personale. Il problema può essere risolto. Se il Servizio di Intelligence spagnolo vuole recuperare rispettabilità è necessario dotarlo immediatamente di un sistema di controlli che permetta il suo equilibrio mediante contrappesi istituzionali. Che la responsabilità delle sue funzioni sia suddivisa tra le principali forze politiche e che abbia una rappresentanza parlamentare sono condizioni imprescindibili. Fino ad oggi, l'unico sistema di controllo e di verifica delle funzioni del Cesid - e dei restanti Servizi di Informazione - è stato garantito dalla fiducia personale tra il Presidente del Governo ed il Direttore Generale del Centro. Ma un sistema così irregolare - la cui inefficacia è stata palesemente dimostrata - non può più servire nel futuro. Si tratta di introdurre controlli istituzionali al margine delle relazioni personali. La prima misura consisterebbe nella creazione di un comitato per l'Intelligence nel Congresso dei Deputati. Ristretto, segreto, senza immunità parlamentare per evitare le fughe. In questo organismo di controllo si dovrebbero periodicamente illustrare gli obiettivi e le missioni dei servizi. È chiaro che per far funzionare un servizio occorre anche, in alcuni casi, che esso agisca al margine della legalità, cosa doppiamente rischiosa, proprio perché non si deve arrivare alla trasgressione. Per questo le attività speciali in materia di sicurezza necessitano del sostegno politico e della corresponsabilità delle forze rappresentate nel Parlamento. Con il loro sostegno o le loro critiche si può valutare la validità di una legge, proprio nella Camera che le ha dato vita. È necessario inoltre ottenere un'altra garanzia. Nessun controllo politico può risultare completo se non si possono discutere e rivedere i bilanci destinati all'intelligence. Per questo è necessario poter consultare, in ogni momento e senza preavviso, la contabilità di tutte le sezioni del Centro. Questo è uno dei procedimenti sicuri per misurare l'efficacia di qualunque organizzazione. Purtroppo, i fondi che il Governo destina al Cesid non sono chiari. Nei Bilanci Generali dello Stato figurano solo le spese di funzionamento ed investimento, ma non quelle del personale. Più della metà di queste spese di funzionamento, però, è coperta da "segreto", per cui non è possibile sapere a cosa sono destinati i fondi o se sono spesi correttamente. La stessa cosa vale per gli investimenti. Si dice che fino allo scorso mese di gennaio, quando è stata resa pubblica la frode dei fondi riservati, una parte di questi era utilizzata dal Cesid per pagare degli extra ai suoi agenti. Comunque, che questa usanza continui o meno, il panorama non è tranquillizzante. Per questo è indispensabile la creazione di un Consiglio Contabile che abbia la possibilità permanente di verificare quanto si spende e in cosa. Il controllo finanziario potrebbe essere condotto congiuntamente dalla Corte dei Conti e dalla Commissione per l'Intelligence del Congresso dei Deputati. Ultimo, ma il più importante: un terzo controllo giudiziario, a nostro avviso inevitabile. Quello che noi sappiamo ed ascoltiamo sui servizi di intelligence potrebbe essere solo la punta dell'iceberg. Le indagini giudiziarie contro possibili attività illegali dei membri del Cesid sono emerse da infiltrazioni e solo in un'occasione, nel caso delle intercettazioni illegali all'editore de La Vanguardia, per interventi isolati della polizia. Sarebbe necessario creare una specie di "ombudsman" giudiziario, un magistrato con accesso alla

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documentazione interna, in grado di controllare in ogni momento le azioni del servizio di informazione e, qualora se ne presentasse la necessità, chiedere le responsabilità penali. Nel Regno Unito già esiste un tribunale speciale per i casi relativi ai servizi di intelligence. Controllo politico, finanziario e giudiziario: la combinazione di queste tre misure costituirebbe il trattamento d'urto necessario ai servizi spagnoli in questo momento di discredito pubblico ed evidente strumentalizzazione politica. Successivamente altre misure dovrebbero garantire un maggior coordinamento tra il Cesid ed il Ministero dell'Interno, la Direzione della Guardia Civil e le Forze Armate. In questi ultimi tre anni, una serie di errori, abusi e disinformazioni ha colpito il paese: un cumulo di insuccessi si è abbattuta sulla società spagnola, dalla tripla svalutazione monetaria all'affondamento del Cesid. Ma non sono state catastrofi naturali, né imprevedibili rivolgimenti geologici. Si è trattato quasi sempre di casi di incompetenza, di negligenza o di abusi di potere: risultati di una cattiva gestione del Governo. I membri più "opachi" della classe dirigente di solito si trincerano dietro l'invariabile ripetizione di uno strano argomento: la corruzione si verifica anche in altri paesi. Come se dovessimo riportare le casistiche dei malati di cancro nelle nazioni vicine per alleggerire le cifre dei centri oncologici spagnoli. Forse il maggior insuccesso di questi dodici anni di governo socialista è da ricercarsi proprio qui: nell'incapacità di imporre l'ordine, ragione d'essere di ogni governo dall'origine della civiltà. I problemi in questi dodici anni non sono stati di ordine pubblico ma di buon ordine. Nell'ordinamento giuridico sono stati innalzati dei muri maestri. In questa fase sono stati tralasciati elementi essenziali della sicurezza generale. Le parole più gravi pronunciate dal Capo del Governo in questi ultimi anni possono essere riassunti con una breve asserzione: "mi sono reso conto leggendo i giornali". Frase ripetuta in tre occasioni di importanza nazionale: a proposito del GAL, a seguito della fuga del Direttore Generale della Guardia Civil, in occasione delle fughe verificatesi nel Centro Superiore di Informazione della Difesa. Il Cesid è stato in questi ultimi anni un elemento essenziale per la sicurezza. Incalcolabile è il danno che il suo discredito può produrre all'immagine estera della Spagna e agli interessi vitali della sicurezza nazionale. In questi tre casi, i più gravi fra i vari reati commessi, il Capo del Governo si è giustificato per la sua ignoranza anche se la sua prima funzione consiste nel controllare. Per quanto riguarda l'interno, gli errori del Governo hanno provocato un'ondata di sconforto nel corpo sociale e considerando l'estero, il risultato non è meno devastante. Le illegalità e gli scandali hanno caratterizzato la storia europea di questi ultimi anni. La mancanza di solidarietà ed la tendenza al ladrocinio sono come le piaghe: si estendono quando viene a mancare il controllo dell'igiene pubblica. Ma in nessuno Stato dell'Unione Europea, nemmeno in Italia, si è dato il tono di miserabile buffonata, di grande vergogna, di accaparramento. È un finale amaro che la sinistra spagnola non meritava in occasione della sua prima prova di governo. Il disordine funzionale è l'effetto, il disordine intellettuale la causa. Cittadini assolutamente privi di formazione non possono accedere a posti di governo. Professionisti con mediocri curricula di servizio non possono garantire il successo. L'ignoranza quanto più vasta, solida e radicata, diventa garanzia di fallimento. La lettura di Plutarco non è mai stata indispensabile, ma non deve essere considerata una zavorra. Dietro il Cesid, i fondi riservati, la fuga di Roldan ed i GAL, esiste un cumulo di improvvisazioni, di falsi titoli di studio, di ignoranza temeraria e meravigliosa vacuità. Tra le funzioni degli Stati non è inclusa la difesa di una morale. Ma la corruzione non potrà essere sconfitta in Spagna finché non si capirà che le pratiche corrotte sono per lo Stato problemi di ordine, in un ambito del tutto estraneo alla morale personale. C'è gente alla cui coscienza non ripugna il gioco delle influenze, come ad alcuni non ripugna di trafficare in armi o stupefacenti. Lo Stato è responsabile della promulgazione e dell'applicazione di leggi che prevedano la perseguibilità di questa delinquenza. La corruzione, insistiamo, è un problema di buon ordine, non di apostolato morale. Senza una massiccia politica nazionale contro la corruzione, gli ospedali un giorno non funzioneranno più, i semafori si spegneranno, gli alimenti si deterioreranno. I margini di tolleranza, così alti in Spagna del XX secolo, hanno creato da noi una situazione limite. È una situazione di estrema gravità e tuttavia non ci troviamo ancora di fronte ad una decadenza irrimediabile. Si può sempre correggere. (*) Editoriale tratto dalla rivista spagnola Politica Exterior. 46, IX - agosto-settembre 1995.

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Camera dei Deputati XII LEGISLATURA Relazione sulla politica informativa e della sicurezza (secondo semestre 1995) presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri Lamberto DINI

CAPITOLO PRIMO - La sicurezza interna

1. Profili generali della minaccia L'impegno "intelligence" si è rivolto verso tutti quegli aspetti suscettibili di avere riflessi pregiudizievoli sulla sicurezza interna, in una fase evolutiva che presenta con sempre maggiore frequenza minacce che trovano origine nello scenario internazionale, ove il nostro Paese, per la sua posizione geopolitica nell'Europa e nel Mediterraneo, si trova esposto a multiformi fattori di rischio. Di conseguenza, cresce progressivamente il bisogno di sicurezza della società civile, a fronte dei gravi fenomeni della criminalità organizzata, dell'immigrazione clandestina, dell'integralismo islamico, dell'eversione ideologica e delle turbative dei mercati finanziari e valutari. Nell'area dell'eversione ideologica, l'ultrasinistra ha trovato nuovi spunti di mobilitazione nelle tematiche dell'antinucleare e dell'antimilitarismo, l'una in correlazione con gli esperimenti atomici francesi, l'altra con riferimento alla partecipazione italiana alla missione NATO in Bosnia. L'ultradestra conferma la propensione a consolidare rapporti con ambienti islamici integralisti, in chiave antioccidentale. Entrambi i settori dell'oltranzismo continuano a manifestare interesse per le tecnologie informatiche, anche nella prospettiva della creazione di reti internazionali di collegamento. Proseguono, da parte di circoli estremisti d'oltreconfine, i tentativi di fomentare in Alto Adige sentimenti antitaliani. La criminalità organizzata, tuttora connotata da notevole aggressività, mostra una spiccata tendenza a proiettare all'estero le proprie attività e i propri interessi. Nel contempo, sono sempre più frequenti le conferme di significative presenze di organizzazioni delinquenziali straniere sul nostro territorio. Non a caso, la priorità del contrasto alla criminalità transnazionale è ormai unanimemente riconosciuta nei vertici e nei consessi mondiali. L'immigrazione clandestina, per entità e caratteri, si è posta in termini di emergenza a causa dell'accentuarsi sul territorio dei problemi legati al degrado, all'emarginazione, alla criminalità, alle tensioni sociali e a talune manifestazione xenofobe. L'inevitabile riflettersi di crisi e conflitti propri dei paesi di origine, specie del Nordafrica, su alcuni ambienti delle comunità straniere presenti in Italia, rende immanente la minaccia dell'importazione del terrorismo di matrice integralista islamica. Il contesto finanziario è stato, ancora una volta, al centro di manovre speculative e di altre iniziative pregiudizievoli per l'economia nazionale. In considerazione della gravità e ampiezza dei fenomeni, estremamente utile si è rivelata l'analisi congiunta operata, per gli aspetti di maggiore rilevanza, tra Organismi "intelligence" e Forze di polizia. Un quadro della minaccia così articolato rende necessaria un'intensa collaborazione internazionale alla quale non si mancherà, nel periodo di presidenza italiana dell'Unione Europea, di conferire ulteriore impulso, al fine di assicurare una risposta unitaria a sfide che vanno assumendo, sempre più, carattere di globalità.

2. Eversione

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a. Attività dell'ultrasinistra L'area dell'ultrasinistra resta caratterizzata da programmi e posizioni diversificate. La limitata capacità aggregativa porta il settore alla ricerca di sempre nuovi spunti di contestazione attorno a quelle tematiche emergenti ritenute, di volta in volta, in grado di guadagnare adesioni. Emblematici i tentativi di riproporre iniziative di mobilitazione, strumentalizzando questioni di risonanza internazionale, come la ripresa degli esperimenti nucleari francesi. In proposito, l'adozione di pseudo sigle che evocano organizzazioni ambientaliste internazionali rivela la volontà di fare proprio, insieme con le istanze espresse dai movimenti ecologisti in genere, il vasto consenso che esse riscuotono presso l'opinione pubblica. In tale contesto, contro obiettivi riconducibili al Paese transalpino sono stati compiuti, fra luglio ed ottobre, attentati incendiari - tutti, peraltro, di basso profilo e circoscritti ad alcune Regioni del Centro-Nord - che sono verosimilmente da attribuire a frange estreme e non sembrano rispondere ad una strategia coordinata. La protesta, su questo versante, non appare aver raggiunto l'intento di conseguire forme di ampio coinvolgimento ed è probabile, pertanto, che resti limitata alle iniziali connotazioni meramente dimostrative, senza assumere aspetti eclatanti. Restano, tuttavia, all'attenzione eventuali sviluppi che potrebbero derivare da contatti fra elementi italiani ed ambienti europei, finalizzati alla pianificazione di iniziative comuni di contestazione. È stato riscontrato l'accentuato impegno antimilitarista della componente più radicale del settore, in termini di contrapposizione all'Occidente, soprattutto in relazione agli sviluppi della situazione nell'ex Jugoslavia. La tematica balcanica potrebbe assumere una rinnovata potenzialità mobilitativa: è prevedibile che la presenza, in quel territorio, di un contingente italiano possa fornire l'occasione per nuove iniziative di protesta, anche di natura violenta, soprattutto contro obiettivi NATO e strutture militari. Significativa, in merito, la scelta di tempo per la diffusione di un volantino di impronta brigatista, proprio all'indomani dell'invio in Bosnia dei primi militari italiani. Il documento è da interpretare come il tentativo di dare un segnale di presenza e di imprimere rinnovato impulso alla contestazione, nonché di convogliare in un alveo unitario le frange più attive sul fronte dell'opposizione alla NATO. Altri gruppi estremi dell'antimilitarismo vanno mostrando interesse ad adottare strategie che prevedono il ricorso a più incisive forme di "lotta" e ad assumere un ruolo trainante in ambito europeo. In questo senso, il vertice dei paesi più industrializzati che si terrà a Lione nel luglio 1996 potrebbe costituire occasione di coagulo in funzione antioccidentale. Nell'ultrasinistra si muovono ancora settori determinati a diffondere il germe dell'opposizione violenta alle istituzioni, anche se essi non trovano, al momento, adeguato terreno di coltura. Si tratta di quelle frange che, attestate su posizioni eversive con finalità di infiltrazione negli ambienti operai, sono da ritenere, in prospettiva, di elevata pericolosità. Al riguardo in concomitanza con le misure di risanamento economico-finanziario imposte dalle scadenze dell'Unione Europea, appare destinata ad incrementarsi la propaganda tendente a sollecitare la protesta contro l'adesione dell'Italia al Trattato di Maastricht. Segnali di fermento continuano a pervenire da quegli ambienti attualmente impegnati nella "difesa" degli spazi arbitrariamente occupati, che rifiutano ogni forma di dialogo con le Istituzioni, ricercando pretesti per lo scontro violento. La naturale propensione a sfruttare ogni occasione per rilanciare tematiche di confronto radicale si è manifestata anche in relazione alle questioni dell'immigrazione e della contestazione studentesca. Resta concreto il pericolo che le tensioni sociali legate al fenomeno immigratorio possano essere strumentalizzate da quei gruppi dell'ultrasinistra che considerano gli extracomunitari potenziale bacino di reclutamento. Del pari, il ciclico riproporsi della protesta studentesca potrebbe prestarsi a nuovi tentativi di inserimento da parte delle frange più ideologizzate, non solo ai fini di proselitismo, ma anche allo scopo di promuovere e gestire iniziative antisistema. Permane forte, soprattutto nell'anarchismo oltranzista, l'interesse per la telematica, considerata valido strumento per ampliare i contatti in ambito europeo e per diffondere, in tempo reale, informazioni d'area e documentazione propagandistica. Anche se il fenomeno è ancora circoscritto, l'acquisizione di conoscenze più avanzate potrebbe consentire forme di sabotaggio - già auspicate dalla pubblicistica di settore - ai danni di banche dati pubbliche e private.

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b. Attività dell'ultradestra Le varie componenti dell'ultradestra hanno mostrato un accentuato impegno propagandistico e propositivo, teso a fornire nuovi stimoli agli ambienti di riferimento. La ricerca di ulteriori forme aggregative sembra privilegiare la scelta di connotazioni politico-ideologiche capaci di mascherare le effettive posizioni oltranziste e di eludere i rigori della legge in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa. Le frange più radicali continuano a manifestare l'intento di non abbandonare il ricorso alla violenza, come dimostra il recupero di vecchie sigle del terrorismo neofascista, comparse a rivendicare azioni intimidatorie contro sedi di partiti politici nella Capitale. Resta elevato il dissenso da ogni espressione politica e sociale di tolleranza, con particolare riferimento alle problematiche dell'immigrazione. Le tensioni derivanti dalla presenza di extracomunitari possono divenire occasione - come accaduto in passato - per inserimenti strumentali da parte di soggetti che si proclamano fautori della violenza xenofoba, facendo leva su confusi richiami all'ideologia nazista. L'accresciuto interesse per le reti telematiche potrebbe preludere al rafforzamento dei collegamenti con l'estero, attraverso l'instaurazione di scambi informativi integrati con circuiti in uso ad omologhi gruppi europei. La pubblicistica continua a svolgere un ruolo propulsivo, in un'ottica che tenta di ampliare i margini d'azione, soprattutto in ambito internazionale. In questo senso, le forti caratterizzazioni antioccidentali della propaganda trovano significativo sostegno nelle tematiche dell'integralismo islamico, che vengono ritenute uno strumento in grado di rilanciare l'impegno politico. Ne costituisce conferma la propensione di militanti convertiti alla religione musulmana a consolidare i rapporti con ambienti integralisti sia in Italia che all'estero.

3. Criminalità organizzata a. Linee di tendenza La criminalità organizzata conserva tuttora potenzialità destabilizzanti, anche se le formazioni delinquenziali appaiono attraversare una fase di difficoltà nella ricostruzione degli equilibri interni, scompaginati dall'attività di contrasto e dalle defezioni di esponenti di rilievo, con riflessi diversi a seconda delle singole realtà territoriali. Nella Sicilia occidentale, alla catena di delitti che ha contrassegnato i primi mesi del 1995 è seguita una fase meno cruenta che testimonierebbe una scelta ponderata degli obiettivi, finalizzata a riassestare gli organici e, soprattutto, a diffondere segnali non equivoci sulla titolarità della "leadership". Di converso, la situazione nell'area etnea è andata progressivamente deteriorandosi: ne è prova il sensibile incremento di omicidi di stampo mafioso, che lascia supporre il sussistere di una guerra per la conquista del vertice. Significativa, inoltre, l'uccisione, il 9 novembre a Catania, di un noto penalista, che potrebbe rappresentare un aspetto nuovo della strategia di "cosa nostra". A seguito della proroga, sino al 1999, del regime di carcerazione differenziata, la mafia tenta verosimilmente di introdurre ulteriori fattori di inquinamento e tensione nelle aule dibattimentali, proprio in coincidenza con l'avvio di una stagione processuale che vede imputati numerosi suoi esponenti. L'omicidio, il 23 dicembre a Trapani, di un agente della Polizia penitenziaria, ha riproposto la questione, fondamentale per la mafia, di gestire anche dal carcere gli affari criminali. Il Governo, determinato a non offrire margini d'azione, ha sottoposto al Parlamento un disegno di legge che - introducendo nel processo penale il cd. "dibattimento a distanza" in via obbligatoria per quanti sono sottoposti al regime del 41 bis dell'Ordinamento penitenziario - ha inteso, fra l'altro, circoscrivere i rischi e gli inconvenienti connessi con i continui trasferimenti dei capimafia detenuti in occasione dei processi. Nel palermitano sono state compiute azioni intimidatorie ai danni di rappresentanti delle Amministrazioni locali e del clero, particolarmente attivi nell'opera di sensibilizzazione antimafia. Tale situazione potrebbe preludere ad iniziative violente contro personaggi-simbolo. Il persistere nella latitanza di elementi di forte carisma e comprovata pericolosità mantiene sempre elevato il rischio di progettualità terroristiche,

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considerata la loro vocazione ad operare nel territorio di origine. Il contesto criminale calabrese, alla ricerca di un assetto verticistico sotto il profilo organizzativo, ribadisce la propensione a ricercare, specie nel Nord Italia, spazi per l'espansione dei traffici illeciti. In questa fase è aumentata la conflittualità, in relazione al tentativo della componente più aggressiva di imporre la propria influenza all'intero ambito locale. Nel complesso, rimangono immutati i caratteri di pericolosità della 'ndrangheta, riconducibili alla consistenza numerica degli affiliati, alla capacità di infiltrazione nelle Amministrazioni, alla compattezza dei sodalizi, all'aperta ostilità nei confronti di rappresentanti istituzionali impegnati sul versante del contrasto: molteplici acquisizioni hanno confermato l'esistenza di progetti di attentati, specie ai danni di magistrati operanti nella stessa Calabria. In Campania, continua la disgregazione dei principali sodalizi criminali, che ha portato al rafforzamento di alcuni clan minori. Le tendenze centrifughe determinate dai vuoti di vertice hanno favorito, infatti, l'emergere di nuovi gruppi e di bande giovanili che tentano, con il ricorso alla violenza, di ridefinire assetti ed equilibri. Tale stato di conflittualità, espresso dall'incremento numerico degli omicidi, potrebbe non accennare a diminuire anche per il permanere, soprattutto nel napoletano, di numerosi fattori criminogeni - quali crisi occupazionale, questione minorile e degrado ambientale - che sono suscettibili di incidere, in varia misura, sul reclutamento di nuova manovalanza. In Puglia, dove si registra, tra l'altro, una sensibile crescita della criminalità minorile, la malavita organizzata, pur sviluppando interazioni con le altre realtà delinquenziali del Paese, conserva autonomia nell'organizzazione dei traffici illeciti - anche di armi ed esplosivi - con la vicina area balcanica, sfruttando la situazione di crisi dell'ex Jugoslavia ed i circuiti immigratori clandestini. Quanto alla Sardegna, i buoni risultati conseguiti dagli apparati di sicurezza non hanno attenuato il livello di attenzione sul fenomeno dei sequestri e sul rinnovato attivismo degli ambienti criminali, testimoniato dall'efferato assassinio di due militari dell'Arma, avvenuto il 16 agosto. Riscontri informativi evidenziano collegamenti tra la malavita organizzata ed il banditismo barbaricino, verosimilmente finalizzati ad attrarre quest'ultimo verso la gestione del traffico di stupefacenti. Più in generale, per quanto concerne le fonti di arricchimento del crimine, si è registrato un aumento delle attività estorsive ed usurarie che, tra l'altro, si prestano facilmente ad essere svolte anche da gruppi non organizzati. Permane il rischio di infiltrazione nella realizzazione di grandi opere, particolarmente nel settore del trasporto pubblico, che interesseranno, nel breve periodo, anche il Meridione. Il riciclaggio di capitali continua a rappresentare la minaccia di maggiore insidiosità, attesa la sua funzione moltiplicativa sul volume complessivo delle attività economiche criminali. Accanto a segmenti di tradizionale presenza delinquenziale, come il mercato delle armi e degli stupefacenti, va assumendo rilievo il comparto dello smaltimento dei rifiuti e delle sostanze tossiche. La connotazione transnazionale del crimine organizzato impone, per una concreta azione di contrasto, lo sviluppo di accordi finalizzati alla reciproca informazione delle risultanze investigative, la creazione di discipline normative omogenee e, parallelamente, l'estensione a contesti territoriali più ampi dell'operatività di provvedimenti restrittivi di natura personale e patrimoniale. È questa una linea di condotta che si intende proseguire. A livello internazionale conferma il suo ruolo di primo piano la cd. "mafia russa", sistema trasversale dotato di ingenti capitali derivanti dalla gestione di ogni tipo di attività illecita. Tale potenziale finanziario si è tradotto in un intervento sempre più rilevante nelle economie di numerosi Paesi, con rischi di alterazione delle regole della libera concorrenza. Esponenti di quella criminalità mostrano un forte interesse ad investire anche in Italia, specie in località turistiche, manifestando sovente la disponibilità a negoziare per importi sensibilmente superiori ai prezzi di mercato. Non meno pericolose risultano le organizzazioni criminali di origine asiatica, attivamente presenti nello sfruttamento dell'immigrazione clandestina. A caratterizzare la nuova mappa della delinquenza europea concorre, altresì, il trasferimento all'Est di sodalizi delinquenziali italiani che tentano di occupare, grazie ad alleanze strategiche con la malavita locale, nuovi ambiti di sviluppo, soprattutto in quegli Stati che hanno in atto privatizzazioni e sono carenti di adeguate normative di contrasto. b. Strategia di contrasto - azione dei Servizi

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L'impegno del SISDe ha riguardato l'assetto delle strutture dei sodalizi criminali e le loro principali attività, quali traffici illeciti di varia natura, riciclaggio di capitali, usura ed estorsione. L'azione informativa si è tradotta nell'invio agli Enti interessati di 254 segnalazioni, molte delle quali hanno trovato riscontro in operazioni di polizia giudiziaria. In tale ambito sono state arrestate 113 persone - di cui 47 per associazione mafiosa, 29 per delitti in materia di stupefacenti, 9 per estorsione e 3 per rapina - e si è provveduto al sequestro di droga, armi, documenti d'identità contraffatti, banconote e titoli di credito falsificati. Il contributo dell' "intelligence" ha, altresì, consentito la cattura di 16 latitanti. L'attività del SISMI, sul versante della criminalità organizzata transnazionale, si è concretata nell'acquisizione di elementi di informazione su investimenti operati nel nostro Paese da associazioni criminali straniere, nonché su traffici clandestini posti in essere, oltre confine, da gruppi malavitosi italiani in concorso con esponenti della delinquenza internazionale, con specifico riguardo ai circuiti di armi, esplosivi e stupefacenti, e ad operazioni di riciclaggio. Il Servizio ha proseguito, inoltre, l'attività di localizzazione di connazionali latitanti in alcuni Paesi delle aree balcanica, centroamericana ed est europea. Nel complesso, sono state trasmesse oltre 100 informative agli Organismi istituzionalmente preposti all'azione investigativa, con significativi riscontri sul piano repressivo.

4. Settori emergenti a. Immigrazione clandestina ed integralismo islamico L'azione coordinata di vigilanza e contrasto in direzione dell'immigrazione clandestina continua a richiedere un notevole impegno, poiché si riferisce ad un fenomeno assai vasto, connotato dalla continuità dei flussi e dalla molteplicità delle aree di provenienza, soprattutto il Nordafrica ed i Balcani. Sotto il profilo dell' "intelligence", l'attività del SISDe ha riguardato, sul territorio nazionale, l'individuazione dei sodalizi criminali che gestiscono l'ingresso illegale, mentre l'impegno del SISMI si è rivolto essenzialmente alle aree di origine, allo scopo di acquisire notizie sulle ramificazioni del traffico e sulle dinamiche evolutive dei contesti locali. Tale impegno si è tradotto in numerose informative inviate alle Forze di polizia, tra cui ben 223 segnalazioni di mezzi navali in partenza dalle coste albanesi, che hanno consentito di procedere al fermo di oltre 5.000 clandestini, all'arresto ed alla denuncia di numerosi altri, nonché al sequestro di natanti ed autovetture. L'immigrazione illegale si conferma come uno dei settori maggiormente remunerativi per le organizzazioni criminali, che spesso utilizzano per il trasporto dei clandestini i medesimi canali impiegati per gli altri traffici illeciti, potenziandone i circuiti, per lo più in collegamento con consorterie straniere, soprattutto est europee e cinesi. L'estrema difficoltà, per gli irregolari, di integrarsi nel tessuto sociale va ad incrementare sacche di degrado che finiscono, inevitabilmente, con l'alimentare la criminalità, specie nella forma di microstrutture autonome o al servizio della malavita locale. Se da un lato l'emarginazione rischia di ingenerare negli immigrati sentimenti d'astio nei confronti del mondo occidentale, dall'altro sono aumentati segnali di insofferenza da parte della popolazione, tradottisi, in taluni centri urbani, anche in manifestazioni di piazza che hanno interessato l'ordine pubblico. Clima, questo, suscettibile di offrire lo spunto per iniziative violente ispirate da razzismo e xenofobia. La permanenza nei Paesi di origine, di stati di conflitto e di precarie condizioni di vita non consente di prevedere una diminuzione, in tempi brevi, della pressione immigratoria clandestina. Ciò ha reso improcrastinabile una revisione della normativa in materia, anche al fine di conferire maggior efficacia all'azione di contrasto. In tale ottica, assume specifica rilevanza il decreto legge 18 novembre 1995, n. 489, recante "Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini non appartenenti all'Unione Europea", laddove prevede il potenziamento dei controlli integrati nella fase di rilascio dei visti, snellisce le procedure di espulsione e consente di intervenire con più rigore nei confronti di chi favorisce l'ingresso illegale ed impiega illecitamente

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manodopera straniera. In un contesto di particolare fluidità, in relazione a vicende ancora in evoluzione e suscettibili di molteplici sbocchi, il livello della minaccia integralista - correlata alla presenza di elementi dell'estremismo islamico, specie nordafricano - è da ritenersi in crescita, per la stretta connessione con la situazione internazionale e per l'accentuarsi di segnali recepiti in ambito informativo. Uno degli indicatori di incremento del pericolo è dato dalla repentina estensione all'estero dell'attività terroristica della componente radicale egiziana, che ha rivendicato gli attentati di Fiume, Ginevra ed Islamabad, motivandoli con la reazione ad un asserito intento persecutorio nei confronti degli oppositori rifugiati all'estero. Qualora dovesse prevalere tale logica ritorsiva, neppure il nostro Paese potrebbe ritenersi immune dal rischio di iniziative violente. Altro fattore di forte incidenza sull'entità della minaccia resta legato agli sviluppi della crisi algerina, che continua a far registrare vicende di segno opposto. A questo proposito, mentre permane elevato il rischio per gli affari italiani, così come per gli stranieri in genere, presenti nel Paese maghrebino, non può essere sottovalutata la possibilità di gesti dimostrativi sul nostro territorio, in ragione anche di taluni segnali di risentimento e tensione colti in seno a quegli ambienti oltranzisti islamici a suo tempo coinvolti in operazioni di polizia giudiziaria. Vanno emergendo, inoltre, evidenze in ordine all'attivismo in Italia di elementi dell'estremismo armato di altri Stati nordafricani e persistono rischi di atti ostili di matrice mediorientale, specie in direzione di rappresentanze straniere. Il quadro della minaccia si configura ulteriormente articolato e pericoloso a motivo della crescente interazione tra i militanti delle diverse formazioni del radicalismo islamico. Tra le circostanze suscettibili di determinare nuove tensioni va indicato, infine, l'invio del nostro contingente militare di pace in Bosnia, regione in cui è forte la presenza, come combattenti volontari, di integralisti di varie nazionalità. I Servizi sono impegnati a svolgere la massima azione di vigilanza, tesa a impedire che la ramificazione sul territorio di strutture logistiche possa favorire il supporto a nuclei terroristici, qualora dovessero prevalere opzioni violente nei confronti del nostro Paese. b. Turbative dei mercati finanziari e valutari La sicurezza dello Stato, nella sua accezione più lata e moderna, quale complesso di interessi in continua evoluzione in rapporto a mutamenti dello scenario interno e internazionale, non può non risentire, in ragione della progressiva centralità del fattore economico, di quei profili di minaccia che derivano da attività finanziarie dannose per lo sviluppo e la stabilità del Paese. Non è stato, pertanto, trascurato che i mercati valutari e le borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo. A questo riguardo, l'attività informativa è stata indirizzata alla verifica di eventuali strategie di aggressione sistematica alla nostra sicurezza economica, in un momento in cui è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell'unificazione monetaria. L'attività "intelligence" nel settore economico presenta, peraltro, aspetti di particolare complessità, connessi con un contesto variegato, caratterizzato da peculiari dinamiche. c. Pirateria informatica Il fenomeno della pirateria informatica continua a sollecitare grande interesse, con riguardo a quelle manifestazioni che denotano finalità contrarie alla sicurezza dello Stato. Si distinguono, per insidiosità, le pratiche di intrusione a scopo di sabotaggio da parte di soggetti altamente specializzati che operano, ormai da tempo anche a livello internazionale, secondo logiche e modelli comportamentali apparentemente rispondenti a una sorta di "anarchia informatica". Attività del genere, la cui diffusione risulta correlata all'impiego sempre più massiccio del computer nella gestione dati e nella comunicazione a distanza, sono

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favorite, talora, dalla circostanza che non sempre vengono puntualmente osservate le norme e le procedure poste a presidio della sicurezza dei sistemi. Vanno rilevati, inoltre, i rischi crescenti di iniziative, in direzione di importanti istituzioni ed enti pubblici, motivate dall'intento di acquisire indebitamente notizie riservate ovvero da velleità disinformative. d. Minaccia ambientale Permane all'attenzione dell'"intelligence" la minaccia all'ambiente derivante dai traffici clandestini di scorie e di rottami metallici radioattivi, nonché dal funzionamento all'estero delle centrali nucleari. In tale ambito, sono stati acquisiti elementi su quantità, dislocazione e stato di conservazione dei residui presenti in Italia e derivanti dal pregresso utilizzo degli impianti, dal rientro dall'estero di quantitativi di rifiuti dovuti al riprocessamento del combustibile irraggiato, e dagli impieghi industriali non energetici che determinano una produzione costante di rifiuti radioattivi.

CAPITOLO SECONDO - La sicurezza esterna

1. Profili generali della minaccia La minaccia di provenienza esterna, rappresentata principalmente dallo spionaggio e dal terrorismo internazionale, è risultata in aumento. L'attività spionistica, condotta soprattutto dai Servizi informativi di alcuni paesi dell'Europa Orientale, del Medio ed Estremo Oriente e del Nord Africa, si è principalmente orientata verso i settori economico, tecnologico e industriale, nonché all'acquisizione illecita di materiali sensibili, in particolare quelli sottoposti ad embargo. Nel settore del terrorismo internazionale, oltre all'aumento degli attentati di matrice integralista avvenuti in alcuni paesi musulmani, è stata riscontrata una crescente capacità operativa di gruppi estremisti a colpire al di fuori delle aree di origine, come dimostrano gli attentati effettuati in Francia, Svizzera e Croazia. In Spagna, permane il rischio derivante dal terrorismo interno di origine basca, mentre in Turchia il movimento curdo, nonostante la repressione, ha confermato la propria pericolosità e capacità di operare anche all'estero, come ha fatto soprattutto in Germania. Nelle aree di crisi di maggiore interesse per il nostro Paese, le diverse situazioni hanno subìto significative evoluzioni. Nei territori della ex Jugoslavia, nonostante la firma di un accordo di pace, permane l'incertezza connessa con questioni sostanzialmente irrisolte, quali lo "status" di sarajevo, il corridoio della Posavina, le linee di demarcazione in Bosnia centrale e il rientro dei profughi nelle località di provenienza. In Russia, il quadro politico resta caratterizzato da instabilità, riconducibile oltre che alle precarie condizioni di salute del Presidente Eltsin, anche all'esito delle recenti elezioni parlamentari e all'avvio della campagna per le elezioni presidenziali di giugno 1996. Le elezioni per la nuova Duma (Camera Bassa) del 17 dicembre hanno sancito un significativo successo del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF), una limitata tenuta del Partito Liberal-Democratico (LDPR) e il previsto basso consenso al Partito di Chernomyrdin "Nostra Casa Russia" (NDR). L'affermazione del KPRF potrebbe spingere Eltsin ad avviare un rimpasto di governo per soddisfare, almeno in parte, le aspettative dei comunisti. In previsione delle prossime elezioni presidenziali, il successo della sinistra potrebbe indurre tutte le forze riformiste a sostenere la candidatura di Eltsin che, nonostante i problemi fisici, appare al momento l'unica personalità in grado di mantenere la Federazione sulla direttrice delle riforme democratiche. Non si può, tuttavia, sottovalutare il pericolo che l'acutizzarsi delle crisi politico-istituzionali, unito ai condizionamenti derivanti dalle attività della criminalità organizzata ed alla recrudescenza della conflittualità interetnica possa portare a svolte di tipo autoritario, tendenti a ripristinare, in maniera velleitaria, il ruolo di grande potenza mondiale, con conseguente aumento del livello di rischio per l'Occidente. La Russia intende, comunque, perseguire l'obiettivo di riaffermare la propria centralità nei confronti delle altre Repubbliche ex sovietiche, estendendo il suo perimetro difensivo mediante accordi bilaterali e multilaterali con i paesi contermini.

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Mosca, pertanto, continuerà ad opporsi ad una espansione ad est della NATO, aspirando al riconoscimento di un ruolo primario in Europa. La Russia, inoltre, attribuisce primaria importanza strategica all'area del Caucaso, ricca di risorse petrolifere, per cui si oppone apertamente sia ai tentativi di penetrazione economica di altri paesi sia alle rivendicazioni indipendentiste. Il prolungato intervento militare della Repubblica secessionista di Cecenia ha confermato da un lato la virulenza delle istanze etniche in tutta l'area caucasica, dall'altro le difficoltà della dirigenza di Mosca nel prevenire e contenere i conflitti all'interno della Federazione. Nell'area nordafricana e nel Medio Oriente, all'esito positivo delle elezioni presidenziali in Algeria ed agli incoraggianti sviluppi del processo di pace israelo-palestinese si contrappone la crescita dell'estremismo islamico, suscettibile di estendersi alla Libia, e di quello ebraico, come confermato dall'assassinio del Primo Ministro Rabin. Inoltre, il recente successo elettorale del partito islamico in Turchia rischia di determinare una situazione di latente instabilità in un paese proiettato verso una sempre maggiore integrazione nell'Unione Europea. Anche i paesi del Corno d'Africa presentano situazioni di crisi alimentate dalla precarietà delle condizioni socio-economiche e dall'espansione dell'estremismo islamico. In Somalia, specie a Mogadiscio e nelle regioni centromeridionali, la ripresa degli scontri interclanici e il protrarsi dell'instabilità politica, causata essenzialmente dalle rigide posizioni assunte dai principali "leader" e dalla crescente influenza dei gruppi estremisti islamici, determinano un progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza. Ne consegue un aumento del rischio di attentati, rapimenti e coinvolgimenti per il personale occidentale, soprattutto per quello impegnato nelle organizzazioni umanitarie. Anche nei paesi dell'Africa sub-sahariana e, in particolare, nel Ruanda e nel Burundi, le organizzazioni internazionali, laiche e religiose, saranno costrette a ridurre sempre più la propria attività, causa delle accese rivalità e degli scontri etnici che ostacolano l'avvio della normalizzazione dei rapporti tra i due paesi.

2. Valutazione dei rischi connessi con: a. Sicurezza militare I principali fattori di rischio per il nostro Paese sono tuttora riconducibili agli sviluppi delle crisi nella ex Jugoslavia e alle situazioni di instabilità nell'area mediterranea. Le sostanziali divergenze ancora esistenti tra i contendenti e la permanenza di radicate ostilità interetniche, con particolare riferimento al rientro dei profughi nelle terre di origine, inducono a ritenere che l'instaurazione di un accettabile livello di stabilità nell'area balcanica necessiti di tempi lunghi. In Croazia, l'intesa raggiunta con i serbi sul futuro assetto delle regioni orientali, temporaneamente affidate ad una amministrazione internazionale, pur segnando l'avvio di una fase di allentamento della pressione croata, non ha eliminato del tutto i motivi di attrito fra le parti. In Bosnia-Erzegovina, le fazioni non sembrano aver rinunciato definitivamente al ricorso all'opzione militare e alla strumentale interpretazione delle intese raggiunte, cercando di volgere a proprio vantaggio la presenza delle Forze internazionali. In tale quadro, si può prevedere un atteggiamento attendista da parte delle contrapposte fazioni nei confronti del personale internazionale, la cui sicurezza rimane a rischio, suscettibile di aumentare con lo schieramento della "Implemantation Force" (IFOR), specialmente in alcune aree. Le difficoltà di pervenire ad una pace duratura sono riconducibili all'indisponibilità delle parti ad abbandonare alcuni territori conquistati con le armi ed alla possibilità che frange estremiste delle varie fazioni, insoddisfatte delle intese raggiunte, diano luogo ad azioni provocatorie per minare il clima di fiducia ed inficiare l'applicazione dell'accordo di pace. Nella Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ), la sospensione delle sanzioni economiche da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, seppure condizionata al rispetto dell'accordo di Dayton, ha comportato una sensibile diminuzione dei contrasti interni. Nel prosieguo del processo negoziale, il Presidente Milosevic sembra orientato a concedere, ferma restando l'integrità territoriale della RFJ, forme di autonomia alla comunità albanese del Kosovo, contribuendo così ad allentare tensioni che si riflettono sull'intera ex Jugoslavia. Nella Repubblica ex jugoslava di macedonia (FYROM), la tensione creatasi in seguito all'attentato contro il Presidente Gligorov si è allentata con il miglioramento delle sue condizioni, riducendo il rischio di una

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possibile destabilizzazione del paese ad opera di gruppi di orientamento nazionalista. La situazione interna è destinata, pertanto, a migliorare, grazie anche alla progressiva normalizzazione delle relazioni con la Grecia ed alla positiva evoluzione di quelle con la RFJ. In Albania, la critica congiuntura economica interna continua a riflettere negativamente sulla situazione sociale, mantenendo elevato il rischio di tentativi di esodo clandestino verso l'Italia. Nell'area nordafricana permangono situazioni di instabilità soprattutto in Libia, Egitto ed Algeria. In Libia, non accenna ad attenuarsi la tensione riconducibile alla difficile situazione socio-economica, all'incremento della conflittualità tribale, alla corruzione dilagante nelle istituzioni più rappresentative e alla diffusione dell'estremismo islamico. È prevedibile che il Regime adotti ulteriori misure restrittive e intensifichi l'attività diplomatica volta ad ottenere la revoca dell'embargo decretato dall'ONU. Anche se la dirigenza sembra ancora in grado di controllare la situazione, è da ritenere che un'eventuale destabilizzazione del paese possa comportare effetti negativi per l'intera area del Mediterraneo. La volontà libica di assumere un ruolo di maggior potenza e prestigio nella regione è solo temporaneamente sopita a causa delle attuali misure sanzionatorie. Tripoli è, infatti, tuttora impegnata ad elevare il proprio potenziale bellico, soprattutto attraverso l'acquisizione di missili balistici a più lunga gittata, di armi chimiche e di altri mezzi di distruzione di massa. Inoltre, i tentativi di incrementare la capacità di condurre missioni aeree a lungo raggio, fanno prevedere la possibilità di sviluppare, anche se non nel breve termine, capacità offensive nei confronti dei paesi del Mediterraneo. In Egitto, la difficile situazione economica, con gravi riflessi sociali, costituisce un territorio fertile per la crescita dell'integralismo. Le elezioni politiche svoltesi il 29 novembre e il 6 dicembre sono state caratterizzate da diffusi disordini, incidenti e accuse di irregolarità formulate dalle opposizioni. Le forze di governo, nonostante l'affermazione elettorale, rischiano di non godere della sufficiente credibilità e fiducia per risolvere la crisi del paese e fare fronte all'opposizione islamica, la quale si mantiene particolarmente attiva, perseguendo iniziative terroristiche anche all'estero. L'Algeria ha conosciuto una virulenta offensiva terroristica, che si è proiettata anche in Europa. Le Autorità algerine hanno cercato di neutralizzare i gruppi estremisti attuando una dura repressione, ma anche avanzando proposte di dialogo con la componente moderata del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) per una pacificazione nazionale. Tale possibilità appare ora meno remota dopo la conferma, nelle elezioni del 16 novembre, del Presidente Zeroual, che si è sempre dichiarato favorevole al negoziato e ha ottenuto alcuni segnali di disponibilità anche da esponenti del FIS. Recentemente il governo ha intensificato l'azione di pacificazione nazionale mediante atti di clemenza, intesi a favorire la defezione dalle fila degli integralisti non coinvolti in azioni delittuose. Anche la nuova legislazione sui pentiti sta producendo effetti positivi. Nell'area mediorientale, il Governo israeliano e l'Autorità palestinese hanno dato impulso al Processo di Pace, firmando il 24 e 28 settembre, a Tava e Washington, l'"Accordo ad Interim", che prevede l'ampliamento dell'autogoverno palestinese alla Cisgiordania. Tali accordi hanno trovato puntuale applicazione nonostante l'assassinio del Premier Rabin il 4 novembre, che ha costituito il più clamoroso tentativo di far fallire il negoziato a opera dei settori oltranzisti israeliani. La situazione, tuttavia, lascia presagire la possibilità di azioni ancora più eclatanti quando verranno discussi lo status definitivo di Cisgiordania e Gaza e la questione di Gerusalemme. Per quanto concerne altri problemi dell'area, Peres ha confermato l'intendimento di giungere al più presto a un trattato di pace con la Siria, nonostante il contenzioso sulle alture del Golan e le azioni armate condotte dal sud del Libano contro lo Stato di Israele. Un eventuale fattore di instabilità nella regione potrebbe ancora essere costituito dall'uscita dalla scena politica di Re Fahd dell'Arabia Saudita e di Re Hussein di Giordania, anche per i riflessi nei rapporti con i paesi occidentali, considerato il ruolo di moderazione che i due sovrani hanno finora svolto nell'area. b. Spionaggio La ricerca informativa continua ad essere esercitata da alcuni Servizi, soprattutto di paesi dell'Est europeo, con particolare interesse per i settori dall'alta tecnologia, dell'informatica e dell'economia. Le modalità operative si sono ulteriormente affinate con il crescente ricorso, oltre che ai tradizionali sistemi di copertura degli agenti, anche a quelli offerti da società, generalmente a capitale misto, appositamente create e spesso utilizzate per eludere misure restrittive delle esportazioni verso paesi sottoposti a embargo o sospettati di perseguire programmi di proliferazione di armi di distribuzione di massa. Personale specialistico, quali

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ingegneri ed esperti informatici, in molti casi formatisi presso istituti universitari occidentali, viene sovente impiegato in specifiche attività di ricerca. Gli obiettivi, infatti, sono costituiti sempre più da banche dati e da reti telematiche, oltre che da enti di ricerca ed istituti scientifici. Taluni Servizi dell'area nordafricana e mediorientale, per ottenere la collaborazione di connazionali residenti all'estero, esercitano nei loro confronti pressioni anche con minacce di ritorsioni verso familiari o amici in patria. Analoghe azioni vengono talvolta condotte verso quei fuoriusciti che, per il loro attivismo politico, rappresentano un pericolo per i rispettivi regimi. Particolare impegno è stato posto nel contrastare quei Servizi che, mediante diverse strutture economico-finanziarie o industriali site in Italia, cercherebbero di perseguire attività di "intelligence" o di investire ingenti capitali con finalità non chiare. In tale quadro, sono stati compiuti numerosi accertamenti e controlli che hanno portato, tra l'altro, all'identificazione, in Italia ed all'estero, di 105 agenti operativi stranieri. È ipotizzabile che, a breve e medio termine, il pericolo derivante dall'attività di spionaggio ai danni degli interessi nazionali, permanendo sostanzialmente invariate le situazioni politico-strategiche, non tenda a ridimensionarsi. Tale situazione richiede il continuo affinamento dell'azione di contrasto, tenuto conto che le modalità operative degli agenti stranieri sono suscettibili di molteplici diversificazioni e adattamenti. c. Terrorismo internazionale È da segnalare la possibile minaccia terroristica di matrice balcanica, tuttora allo stato latente e fortemente connessa con l'evoluzione del processo di pace nell'ex Jugoslavia, alla quale i Servizi prestano prioritario interesse in considerazione della presenza di un nostro contingente nell'area di crisi. In Europa, i gruppi estremisti islamici presenti in Gran Bretagna, Francia, Belgio e Italia hanno intensificato i loro rapporti e consolidato le strutture esistenti. Le attività svolte sono state di natura prevalentemente logistica (forniture di armi e mezzi finanziari alle organizzazioni operanti nei paesi di provenienza), ma, recentemente, anche di tipo terroristico a opera di gruppi algerini ed egiziani. Le organizzazioni integraliste algerine, nel periodo di campagna elettorale, hanno intensificato gli attentati nel paese, per scoraggiare l'afflusso alle urne e delegittimare il Presidente eletto. Contestualmente, sono stati colpiti anche paesi accusati di sostenere il governo algerino. La Francia, in particolare, ha subìto, nel corso dell'estate, numerosi gravi attentati ai danni di stazioni della rete metropolitana, delle linee strategiche. Infatti, nel tentativo di riconquistare il consenso popolare, sembra prevalere una scelta più mirata degli obiettivi, rinunciando a perseguire la destabilizzazione attraverso azioni indiscriminate. In prospettiva, l'attività terroristica appare indirizzata a colpire, oltre che personalità politiche, militari, giornalisti, cittadini e interessi stranieri, anche i principali settori dell'economia del paese. In Egitto, l'attività terroristica degli aderenti alla "Jamaa al Islamiya" mantiene alta la tensione soprattutto nel sud del paese. Il governo ha intensificato la repressione durante la campagna per le elezioni legislative del 29 novembre, ma non è riuscito a intaccare la capacità operativa dei gruppi terroristici che hanno perpetrato attentati contro obiettivi egiziani anche all'estero. Tali iniziative hanno indotto le Autorità di vari paesi ad adottare misure restrittive, di diversa natura, nei confronti di estremisti islamici attivi nei rispettivi territori nazionali. Ciò comporta il rischio che le organizzazioni di appartenenza realizzino azioni terroristiche ritorsive, potendo disporre del sostegno capillare e diffuso dei militanti islamici presenti nei paesi di interesse. È da registrare che l'attività terroristica del fondamentalismo non ha risparmiato neppure paesi tradizionalmente conservatori e ortodossi. Il 13 novembre, un attentato è stato effettuato in Arabia Saudita contro un centro di addestramento della Guardia Nazionale Saudita, gestito da militari USA (7 morti, 60 feriti). L'azione è avvenuta in un contesto di crescenti critiche degli ambienti religiosi conservatori sia per la gestione finanziaria della famiglia regnante. In merito alle attività del movimento curdo in Europa, è da sottolineare come esso sia da tempo impegnato a sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale per accreditarsi quale movimento di liberazione e abbia costituito organismi di rappresentanza in molti paesi. Ciò non elimina i rischi per la sicurezza che potrebbero derivare da un aggravamento della situazione in Turchia, dove le forze governative continuano a confrontarsi con i guerriglieri del partito comunista curdo (PKK). Per quanto concerne il terrorismo in Medio Oriente, si registra positivamente la circostanza che in seno ai movimenti islamici attivi nei Territori Autonomi si evidenziano posizioni favorevoli alle elezioni di organismi rappresentativi palestinesi. Sussiste, tuttavia, la possibilità che gruppi oltranzisti di diversa

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matrice realizzino attentati contro obiettivi israeliani anche all'estero, in ritorsione, in particolare, all'asserito coinvolgimento israeliano nell'uccisione dell'esponente islamico Fathi Al Shakaki, avvenuta a Malta il 26 ottobre. d. Ingerenza: penetrazione economica straniera È proseguito il rilevamento dei dati relativi agli insediamenti economici in Italia da parte di paesi di "interesse", nonché l'aggiornamento delle informazioni concernenti le aziende del comparto difesa e dell'industria nazionale ad alto livello tecnologico, per evidenziare eventuali partecipazioni finanziarie di Stati considerati "a rischio". È emerso all'attenzione l'atteggiamento di un paese mediorientale, rientrante nel novero dei cd. "proliferanti", e di uno Stato africano particolarmente attivo nel settore petrolifero. Specifico riguardo si è posto nella ricerca di eventuali strutture aziendali costituite con finalità esclusive dei vincoli di embargo decretati in sede internazionale. e. Dipendenza energetica È stata svolta ricerca informativa al fine di evidenziare il quadro di dipendenza energetica dell'Italia, per quanto concerne il rischio legato a soluzioni di continuità nella erogazione dei flussi. In tale contesto, si è provveduto all'aggiornamento dei dati sulle importazioni di materie prime strategiche onde evitare situazioni di pericolo per i settori produttivi nazionali interessati.

3. Traffico di armamenti e di tecnologie avanzate, proliferazione di armi di distruzione di massa La ricerca volta ad individuare i trasferimenti di armi convenzionali, avvenuti sia mediante cessioni segrete tra governi, sia attraverso traffici illegali, ha consentito di acquisire elementi informativi in merito a forniture verso l'area balcanica di materiale di armamento, reperito prevalentemente sui mercati dell'Est europeo. I traffici risultano condotti da faccendieri di varia nazionalità, spesso con coperture e connivenze di alcuni apparati statali di paesi dell'Est, interessati a non apparire ufficialmente nelle transazioni. Un paese dell'ex patto di Varsavia ha rivestito un ruolo rilevante come fornitore diretto e quale territorio di transito della gran parte delle armi destinate all'ex jugoslavia. inoltre, un paese mediorientale ha fornito crescenti quantitativi di materiale bellico ad una delle fazioni in lotta e una nazione europea è stata indirettamente coinvolta dalle autorità governative di alcuni stati belligeranti, che vi hanno fatto confluire propri fondi per finanziare acquisti di armamenti. Elementi informativi su violazioni delle restrizioni disposte dall'ONU verso Serbia e Montenegro, Iraq e Libia, hanno evidenziato il coinvolgimento, in alcune vicende, di ditte italiane o società a capitale estero, aventi sede sul territorio nazionale. Nel settore dei traffici di materiali provenienti dall'Est, l'attività "intelligence" ha condotto al successo di importanti operazioni effettuate all'estero. Inoltre, è stata svolta un'azione di sensibilizzazione al fenomeno in direzione di tutti gli organismi nazionali preposti al controllo delle esportazioni. Analoga iniziativa è in corso nei riguardi degli ambienti scientifici, al fine di pervenire ad un più efficace controllo delle strutture ed ottenere la piena consapevolezza del personale ivi operante. È stata auspicata in più sedi internazionali l'attuazione di un meccanismo di scambio di informazioni sui traffici e sul contrabbando di materiale nucleare e la costituzione di una "banca dati" di supporto. L'attività di contrasto nel campo della proliferazione delle armi di distruzione di massa, ha consentito, in particolare, di: - rallentare il programma di proliferazione chimica di un paese nordafricano; - segnalare i tentativi di acquisizione di materiale sensibile da parte di Stati mediorientali; - individuare la recente costituzione in Italia di una società di copertura di un paese a "rischio", la cui attività sarebbe finalizzata all'acquisto di materiali e tecnologie avanzate; - rilevare una comune matrice nei programmi di proliferazione di alcuni paesi, anche se le metodologie di attuazione appaiono diversificate. Nel settore chimico, tutti i paesi proliferanti potrebbero disporre, entro pochi anni, delle risorse tecnologiche

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ed industriali necessarie per la produzione di agenti vescicanti, soffocanti e tossici. Alcuni di essi saranno in grado di produrre agenti binari ad elevata persistenza. In campo biologico è prevedibile che, nel breve periodo, si tenti di acquisire conoscenze tecnologiche dai settori farmaceutico e biomedico mentre, nel medio-lungo termine, le ricerche saranno orientate sui nuovi aggressivi e sui mezzi di disseminazione. Al momento, il programma di un paese mediorientale è quello che presenta il maggior grado di rischio, anche se non ha ancora raggiunto lo stadio produttivo. Nel settore nucleare, nessuno dei paesi considerati conseguirà capacità militari in tempi brevi. Due paesi orientali sono ritenuti i maggiori potenziali esportatori di impianti e tecnologie nucleari impiegabili a fini militari. Nel settore missilistico, le tecnologie acquisite presso un paese dell'Estremo Oriente hanno consentito ad alcuni Stati di produrre missili balistici con gittata fino a 500 chilometri. Si ritiene che, nei prossimi anni, possa aumentare il numero dei paesi che tenteranno di acquisire tecnologia avanzata per lo sviluppo di sistemi missilistici in grado, per gittata e precisione, di raggiungere anche i territori di alcuni paesi occidentali. Anche la cooperazione con i Servizi collegati e lo scambio informativo nelle sedi internazionali deputate al controllo dell'attività di proliferazione hanno confermato il quadro sulla prevedibile evoluzione dei programmi dei paesi considerati "a rischio", i quali costituiscono sempre di più una potenziale minaccia per l'Occidente e, in particolare, per l'Italia. (*) Comunicata alla Presidenza il 18 gennaio 1996, ai sensi dell'articolo 11, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801.

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Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari Resoconto dell'audizione del Ministro dell'interno, dottor Giovanni Rinaldo CORONAS, sullo stato della lotta alla criminalità organizzata e sulle misure di sicurezza nei confronti delle sedi giudiziarie maggiormente a rischio

Il Presidente Tiziana PARENTI rammenta i temi dell'odierna audizione. Il Ministro dell'interno, Giovanni Rinaldo CORONAS, rammenta che tra gli ultimi giorni di gennaio e la prima metà del mese di marzo, nelle province di Palermo e Catania erano stati consumati 18 omicidi, con una concentrazione di delitti che non si registrava dal 1992. Al riguardo fa presente che l'andamento accertato ad inizio anno, ad eccezione che nella provincia di Catania, non ha avuto conferme nei mesi successivi tant'è che il dato degli omicidi volontari fino al 30 settembre scorso ha fatto registrare proprio in Sicilia una sensibile contrazione, con una flessione di quasi il 19 per cento rispetto al dato del corrispondente periodo dello scorso anno. Una diminuzione ancora più accentuata si coglie nei dati relativi agli omicidi volontari perpetrati nello stesso periodo in Calabria con una flessione superiore al 22 per cento rispetto al 1994. Non sono dello stesso tipo, invece, i dati concernenti la Campania e la Puglia per i quali si registra un incremento rispettivamente del 27,48 per cento e dell'11,8 per cento. Resta purtroppo grave il fenomeno dei sequestri di persona anche se circoscritto alla sola Sardegna. Per quel che concerne le estorsioni resta problematico fornire un dato che dia l'esatta portata del fenomeno poiché è ancora diffuso, soprattutto nelle aree a maggiore incidenza criminale, un atteggiamento di timore delle vittime che preferiscono non denunciare gli autori del reato. Le rivelazioni statistiche fanno comunque registrare a partire dal 1991 una crescita costante delle denunce che sono passate dalle 2618 del 1990 alle 3340 del 1994. Il dato relativo ai primi sette mesi del 1995 conferma la tendenza già in atto. Anche il fenomeno dell'usura si presenta in larga misura ancora come sommerso. Dalle denunce raccolte si ricava il dato di un fenomeno purtroppo in espansione, presente un po' in tutto il Paese ma diffuso soprattutto nelle regioni centro-meridionali e nelle grandi Città del nord. Si riserva di tornare più avanti sul fenomeno dell'usura per alcune riflessioni sugli strumenti di contrasto attualmente disponibili. Fa quindi presente che nei primi sette mesi del 1995 sono state deferite all'Autorità Giudiziaria 375.926 persone di cui 68.408 tratte in arresto e che nello stesso periodo sono stati perseguiti 136 sodalizi di stampo mafioso con il coinvolgimento di 2.681 persone. L'attività di ricerca dei latitanti, alla quale si continua a prestare il massimo di attenzione, ha consentito in questa prima parte dell'anno di assicurare alla giustizia 211 pericolosi criminali, 6 dei quali inseriti nello speciale programma gestito da un gruppo integrato interforze costituito per la cattura dei 30 latitanti di spicco della criminalità organizzata. L'episodio più significativo è certamente quello dell'arresto, il 24 giugno scorso, di Leoluca Bagarella. Altrettanto significativi sono i risultati ottenuti nell'attività di contrasto al traffico di armi ed esplosivi ed a quello delle sostanze stupefacenti: da gennaio a luglio di quest'anno sono stati sequestrati 5.495 kg. di esplosivi, 4.459 armi da fuoco, quasi 421.000 munizioni. Alla data del 31 agosto scorso risultano sequestrati 11.700 kg. di droga e deferite all'Autorità Giudiziaria 22.375 persone per spaccio e traffico di stupefacenti. L'azione repressiva delle forze di polizia di cui fin qui si è detto brevemente è stata affiancata da un altrettanto incisiva ed estesa attività di prevenzione. Nei primi sette mesi del 1995 si contano 4634 avvisi di prevenzione ai sensi della legge 3 agosto 1988, n. 327 da parte dei Questori, 2385 ordini di rimpatrio con foglio di via obbligatorio e 1749 proposte di sorveglianza speciale. Secondo una stima ancora provvisoria, si è proceduto ai sequestri di beni per un

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valore complessivo superiore ai 2860 miliardi. Di questi 2000 circa nelle sole regioni a rischio. I risultati raggiunti sono il frutto di una forte collaborazione tra Forze di Polizia e Magistratura. Mafia, 'ndrangheta e Camorra, anche se significativamente colpite negli ultimi anni, conservano ancora una forte capacità criminale. Ai loro vertici restano inalterate le tradizionali leadership: ciò vale soprattutto per cosa nostra e 'ndrangheta per le quali l'egemonia dei capi tradizionali resta sostanzialmente inalterata in attesa forse della conclusione dei numerosi e rilevanti processi cominciati di recente in Sicilia ed in Calabria. Mafia, camorra e 'ndrangheta, da realtà regionali, tendono a proporsi sempre più come gruppi imprenditoriali-criminali, con fatturato e raggio di operatività che travalica spesso i confini nazionali, interagendo con altre organizzazioni in un contesto transnazionale. In questo quadro l'attuale gruppo di potere di "cosa nostra", quello dei corleonesi, è tuttora sufficientemente solido mentre si vanno progressivamente affermando e diffondendo il credito e la presenza della 'ndrangheta che peraltro negli anni scorsi aveva già imposto le sue logiche in alcune aree importanti del Paese e soprattutto in Piemonte e in Lombardia. Più specificatamente si può dire che in Sicilia il panorama è ancora dominato da "cosa nostra" nelle due consolidate articolazioni palermitana e catanese che condizionano la situazione anche delle altre province siciliane. Gli omicidi verificatisi nell'area palermitana nel primo scorcio di quest'anno si sono rivelati, secondo quanto è emerso dalla attività investigativa che ne è seguita, come espressione di una manovra di assestamento della leadership corleonese che con quegli omicidi ha rinserrato le fila interne e riaffermato all'esterno la propria posizione egemonica nei confronti dei tentativi di emergere operati da una nuova generazione criminale dai contorni ancora incerti. I mesi successivi non hanno, infatti, fatto registrare ulteriori conflittualità o altri episodi di particolare efferatezza. Con l'avvio di una stagione di grandi processi si è attenuata anche la strategia di intimidazioni diffuse che aveva contrassegnato la vita della provincia di Palermo. Tuttavia non è da escludere che le consorterie criminali possano nuovamente ricorrere ad azioni terroristiche. I capi di "cosa nostra" detenuti hanno infatti ben poche possibilità di uscire dalle carceri nel giro di pochi anni e di sottrarsi allo speciale regime di detenzione previsto dall'articolo 41-bis. Pertanto, una parte della "leadership" mafiosa, consapevole di trovarsi in una posizione giudiziaria compromessa, potrebbe decidere una ripresa della strategia degli attentati. Durante gli ultimi mesi, in sede investigativa, sono state raccolte notizie della possibile preparazione di attentati ai danni di magistrati e di funzionari delle Forze di Polizia che operano nelle sedi più esposte. Diversi elementi indicano che le principali consorterie mafiose stanno accumulando strumenti di offesa sofisticati, che non sembrano giustificati da un impiego limitato a conflitti interni. Risulta poi che Leoluca Bagarella, prima del suo arresto, aveva costituito un gruppo di fuoco di notevole capacità operativa, dotato di armi micidiali. Ad una prospettiva di questo genere viene naturalmente riservata la massima attenzione informativa ed operativa, con una costante sensibilizzazione dei responsabili dei servizi di protezione e con uno specifico riguardo a tutti gli elementi che possano rappresentarne, anche indirettamente, un segnale sintomatico. I servizi di prevenzione e quelli di protezione delle persone a rischio in vigore a Palermo sono stati potenziati; è stata accentuata la tutela agli obiettivi sensibili dislocati nella provincia di Palermo, già affidata a 2000 militari delle Forze Armate. Sono stati poi attivati ampi servizi di controllo del territorio e di prevenzione generale ai quali concorrono oltre 400 unità dei reparti mobili della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. In definitiva si può dire che il controllo delle leve del potere "militare", economico e politico sembra ancora saldamente in mano ai corleonesi che starebbero riordinando, sulle basi di un'accentuata segretezza, gli organigrammi della loro leadership con i segmenti delle cosche ancora immuni dall'attività investigativa. Sul versante catanese la situazione è invece di maggiore conflittualità perché il clan Santapaola, anche se ancora dominante, incontra maggiori difficoltà a mantenere la sua leadership, a seguito dell'arresto dello stesso santapaola e di alcuni dei suoi uomini più fidati. In Campania l'indebolimento della "nuova mafia campana", derivato dall'arresto di Carmine Alfieri e dalla scomparsa di Gennaro Licciardi, fà registrare una situazione caratterizzata dall'assenza di personalità

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autorevoli capaci di mantenere tra i clan forme di reciproco rispetto delle diverse aree di influenza secondo una strutturazione non gerarchizzata in linea con la tradizione prevalente della criminalità napoletana. Per altro verso le particolari condizioni socio-economiche dell'area partenopea alimentano forme sempre più diffuse di microcriminalità e una frammentazione dell'illecito che ne rende sempre più problematico il controllo da parte delle formazioni organizzate. In Calabria si assiste alla collocazione delle principali cosche in un contesto delinquenziale più ampio, con accentuazione della proiezione nazionale, soprattutto in piemonte ed in Lombardia. Si assiste, insomma, ad un processo di modernizzazione della criminalità calabrese, che intreccia nuovi rapporti anche internazionali e assume una connotazione di maggiore imprenditorialità. Da ciò deriva l'esigenza di una riconversione organizzata che, dalla tradizionale articolazione orizzontale e federativa dei sodalizi calabresi, fa registrare l'affermazione della leadership di un organismo collegiale a livello provinciale con funzioni di governo, di guida strategica e di regolazione dei conflitti. Ciò spiega la sensibile flessione nella regione del numero degli omicidi ed il raffreddamento delle faide che hanno sempre caratterizzato la storia della criminalità calabrese. Quanto alla Puglia si può dire che per Sacra Corona Unita - che non appare interessata da significativi mutamenti organizzativi - anche i più recenti risultati investigativi, confermati dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, fanno emergere rapporti con la criminalità siciliana, calabrese e campana e contatti con la criminalità albanese, e della ex Jugoslavia per il controllo della immigrazione clandestina lungo le coste adriatiche. Per quel che riguarda la Sardegna, i risultati di recenti indagini fanno supporre un collegamento tra soggetti dell'area baricina implicati in sequestri di persona e trafficanti di droga dell'area cagliaritana. In sostanza in Sardegna si starebbe radicando una criminalità organizzata, stabile sul territorio che intrattiene rapporti con la grande criminalità del continente, in virtù dei legami stabilitisi nelle carceri tra sardi detenuti per sequestro di persona ed elementi appartenenti alla "Sacra Corona Unita" pugliese. Soffermando sulla situazione della Basilicata osserva che il territorio di quella regione non vive certamente gli stessi problemi delle regioni a rischio, né sullo stesso sono visibili espressioni criminali di particolare valenza. comunque, la circostanza della sua collocazione in un'area delicata induce da tempo le Forze dell'Ordine a dedicare anche a quella Regione ogni attenzione. Si può rilevare conclusivamente che l'evoluzione della realtà mafiosa - caratterizzata da processi di riorganizzazione interna dovuti anche all'esigenza di arginare gli effetti provocati dalla incessante azione di contrasto degli ultimi anni - si sviluppa secondo strategie e tecniche destinate, per un verso, a riaffermare i tradizionali equilibri di potere e, per l'altro, a introdurre nuove forme organizzative e logiche operative ispirate a criteri manageriali e a più raffinate metodologie di intervento nel complesso panorama economico-finanziario della società contemporanea. Così l'aggressione mafiosa, meno visibile ma più penetrante, si realizza anche attraverso comportamenti più sottili che pervadono e condizionano tutti i settori dell'economia e della società, senza un particolare territorio di esclusiva influenza. Le attività investigative hanno confermato l'ampia e consolidata rete di connivenze di cui dispongono le organizzazioni mafiose nei vari ambienti della società e del mondo economico e finanziario. Accanto ai settori più consolidati, la criminalità organizzata ha rivolto particolare attenzione anche verso nuovi àmbiti di intervento, come le attività di eliminazione e trasformazione dei rifiuti, specie se tossici, ovvero quelle legate alla difesa dell'ambiente, come si è verificato di recente per la messa in opera di depuratori per le reti fognarie o per l'utilizzazione di imbarcazioni spazzarifiuti. Appare comunque ridimensionata nel complesso la capacità delle associazioni mafiose di condizionare i flussi della spesa pubblica. Per altro verso, sulla gestione degli affari illeciti, l'esigenza di sempre più raffinate ed articolate forme organizzative per coprire spazi sempre più vasti ha indotto le diverse aggregazioni criminali a superare le rigide compartimentazioni di una volta e ad intensificare l'interscambio di servizi e favori. Un'evoluzione siffatta si registra soprattutto nella gestione della attività di importazione e distribuzione delle sostanze stupefacenti. Nei confronti delle più recenti linee di tendenza delle strategie criminali le Forze di Polizia ispirano l'elaborazione delle strategie di contrasto orientate verso un impiego sempre più raffinato degli strumenti giuridici ed operativi già disponibili e verso l'individuazione di nuove metodologie di intervento. Osserva quindi che l'impegno delle Forze di Polizia vedrà crescere le sua efficacia se sarà accompagnato da

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un sempre maggiore sforzo degli apparati pubblici nella direzione del recupero di condizioni di buona amministrazione e di rinnovata efficienza e, in questa prospettiva, ritiene particolarmente significativa l'opera che stanno svolgendo i comitati provinciali per la Pubblica amministrazione ed i Prefetti che li presiedono. Rileva altresì che se l'attività investigativa svolta di iniziativa dalle medesime rappresenta l'obiettivo fondamentale della strategia di contrasto, non può trascurarsi il contributo che i collaboratori di giustizia hanno offerto negli ultimi anni alle indagini condotte dai magistrati delle diverse procure distrettuali antimafia: esso non va disperso ed, anzi, deve essere ulteriormente alimentato. L'impegno delle Forze dell'ordine, perciò, è indirizzato prioritariamente e con forza a contrastare le campagne di terrore e di delegittimazione che le organizzazioni criminali, fortemente preoccupate dai danni che può ancora provocare l'allargamento del fronte delle dissociazioni e del pentimento, lanciano costantemente nei confronti dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari. Nella consapevolezza di ciò, con un recente provvedimento, di concerto con il Ministro del Tesoro, ha indicato le linee per una ristrutturazione dell'ufficio del dipartimento della Pubblica Sicurezza incaricato della gestione degli speciali programmi di protezione dei collaboratori di giustizia, che alla data del 16 ottobre risultano essere 1.139, e dei loro familiari in numero di 4.787. La puntuale applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, opportunamente prorogata fino al 1999, è un altro aspetto sul quale è necessario insistere. Lo speciale regime carcerario riservato ai personaggi di spicco della criminalità organizzata si è rivelato strumento particolarmente efficace per indebolire la loro forza carismatica e per impedir loro di esercitare, anche dal carcere, capacità di comando. Sul piano più strettamente operativo, accanto alla utilizzazione a pieno regime di tutti gli strumenti di coordinamento e di investigazione offerti dalla legislazione antimafia, è proseguito l'impegno per il perfezionamento dei modelli di intelligence delle forze di polizia e per l'ottimale sfruttamento nel settore delle risorse informatiche. In prospettiva, il fronte nel quale mi sembra necessario impegnare ancora maggiori energie è quello dell'aggressione al patrimonio mafioso ed ai canali di riciclaggio del denaro di provenienza illecita. L'attività di controllo contabile, finalizzata istituzionalmente all'accertamento delle violazioni alla normativa fiscale, rappresenta un patrimonio fondamentale di conoscenza del sistema delle imprese ed offre la possibilità di cogliere più agevolmente i sintomi dell'infiltrazione mafiosa nel tessuto sano dell'economia. Sono state, così, definite metodologie di intervento e di ricerca per l'individuazione dei flussi finanziari illeciti e per l'attribuibilità di ingenti patrimoni ad esponenti di spicco delle organizzazioni mafiose o a loro prestanome. Dalle Questure, incaricate di raccogliere le comunicazioni relative a movimenti di valuta e di titoli, sono partite per lo Speciale Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza n. 2.170 segnalazioni di operazioni sospette, che hanno consentito, fino al 31 agosto scorso, di riscontrare violazioni amministrative per 177 miliardi, violazioni penali per 54 miliardi, fatturazioni per operazioni inesistenti per circa 272 miliardi e di sequestrare o proporre per il sequestro di disponibilità finanziarie e beni immobili per oltre 62 miliardi. Ritiene, pertanto, che anche in questo settore si debbano concentrare tutte le energie possibili per alimentare un'azione di contrasto sempre più penetrante, fatta di metodologie sofisticate e supportata da professionalità sempre più spiccate. In questa prospettiva un posto di rilievo va riservato alla lotta contro l'usura, settore nel quale in questo modo, come già evidenziato, è diventata sempre più diffusa la presenza mafiosa nel comparto immobiliare, in quello della grande distribuzione, nella gestione di società finanziarie e in alcune aree imprenditoriali e dei servizi, come quella turistica e, più di recente, dello smaltimento dei rifiuti. L'auspicio è che, oltre a quanto si è già fatto contro l'usura con il decreto legge del giugno 1992 che ha introdotto la nuova figura criminosa dell'usura impropria, possano essere rapidamente offerti all'azione di contrasto gli ulteriori strumenti previsti da un disegno di legge approvato dal precedente Governo e ora all'esame della Commissione giustizia della Camera. più in generale e con riguardo ancora all'aggressione dei patrimoni mafiosi, è necessario, anche qui per rendere più incisive le risposte dello Stato, il completamento della normativa vigente con disposizioni ancora più dettagliate sulla destinazione da riservare ai beni sottratti alla disponibilità criminale. A questo riguardo si può auspicare che il Parlamento arrivi rapidamente all'approvazione del disegno di legge recante disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati, attualmente

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all'esame della Commissione Giustizia del Senato, che contiene, tra l'altro, previsioni per il mantenimento dei beni nel patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e protezione civile o per la loro destinazione a fini socialmente utili. Osserva quindi che la dimensione sovranazionale che il fenomeno ha assunto richiede risposte sempre più articolate che non possono venire solo dai singoli Stati e dai loro apparati di prevenzione e repressione, ma devono necessariamente assumere uno spessore internazionale, consolidante le esperienze che già si stanno acquisendo nelle relazioni tra le polizie, sia nell'area europea che in quelle più vaste del bacino del Mediterraneo e del mondo occidentale. Il Ministero dell'interno è impegnato in questa direzione sin dal 1984. Da quell'anno, infatti, e fino al 31 maggio scorso, sono stati sottoscritti 37 accordi bilaterali di livello politico per la cooperazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e al traffico di droga e 13 accordi tecnici per la realizzazione di collegamenti informativi finalizzati allo scambio di notizie concernenti il traffico di sostanze stupefacenti. A livello europeo il Trattato di Maastricht contiene disposizioni per una cooperazione sistematica tra i Paesi Membri nei settori della Giustizia e degli affari interni. Da ciò è derivata una forte accelerazione al negoziato sulla Convenzione istitutiva di EUROPOL che è stata sottoscritta il 26 luglio scorso ed alla cui definizione sono stati dedicati gran parte dei lavori dei più recenti Consigli dei ministri degli affari interni e giustizia. Ma ciò non significa che dentro i confini nazionali l'attenzione sia destinata ad allentarsi. al contrario, si è consapevoli del fatto che tanto più efficaci saranno le risposte derivanti dalla collaborazione internazionale, quanto più ciascuno Stato avrà saputo attrezzare al suo interno un sistema di contrasto forte e coerente, capace di avvalersi di strumenti giuridici ed operativi moderni e razionali. In questa direzione, sono fondamentali gli effetti che derivano dai contributi dei collaboratori di giustizia, dall'isolamento in cui vanno mantenuti i capi più pericolosi, dalle misure di contrasto all'espansione criminale nella realtà economico-finanziaria e quelli che possono derivare, soprattutto nelle regioni a rischio, da un'azione costante e razionale di controllo del territorio, destinata ad ostacolare sul terreno le strategie criminali. Strumento primario per la creazione di un efficace sistema di controllo del territorio è quello di un effettivo coordinamento delle forze disponibili al fine di evitare sovrapposizioni, duplicazioni di servizi, un inutile dispendio di risorse umane. Queste esigenze rappresentano la preoccupazione primaria dei Prefetti nell'esercizio delle loro funzioni di coordinamento delle forze di polizia nella provincia e vengono continuamente in evidenza nelle riunioni dei Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica. A livello centrale alle medesime esigenze viene riservata un'attenzione costante. Per quel che concerne i presidî di polizia sul territorio fa presente che Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza hanno complessivamente 8.973 strutture: 3.602 nell'Italia settentrionale, 2.264 in quella centrale, 1.762 in quella meridionale e 1.345 nell'Italia insulare. Per quel che concerne le cosiddette regioni a rischio si contano 655 presidî in Campania, 471 in Calabria, 478 in Puglia, 865 in Sicilia e 480 in Sardegna. Nell'intento di procedere ad una completa ricognizione dei presidî esistenti e di individuare aree scoperte o pur possibili presenze esorbitanti rispetto alle esigenze, nel decorso mese di agosto ha provveduto ad istituire presso il Dipartimento della P.S. un gruppo di lavoro interforze presieduto dal Vice Capo della Polizia per le attività di coordinamento, secondo criteri che tengono conto della presenza di uffici giudiziari, della densità demografica, degli indici di criminalità, dell'importanza turistica, commerciale, industriale delle diverse zone. Soffermandosi sul contributo offerto dai militari ai servizi di protezione e di controllo del territorio in Sicilia, Calabria ed in provincia di Napoli, osserva che si tratta di un contributo di carattere eccezionale che, secondo il più recente orientamento del Governo e dello stesso parlamento, dovrà gradualmente rientrare con la sostituzione dei militari con appartenenti alle Forze di Polizia. Per quanto riguarda le problematiche della sicurezza degli Uffici Giudiziari e dei magistrati che in essi svolgono il loro lavoro conferma anzitutto che a tali problematiche viene riservata su tutto il territorio nazionale la massima attenzione e tutte le risorse umane e strumentali che si considerano necessarie. Sono 527 i servizi di scorta, tutela e vigilanza fissa attualmente disposti per la protezione dei magistrati; per il loro espletamento vengono impiegate complessivamente 2.710 unità delle Forze di Polizia. Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza aggiorna costantemente le direttive per l'effettuazione di così

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delicati servizi, che nelle diverse province sono sottoposti ad un costante monitoraggio da parte dei Prefetti e dei Comitati Provinciali per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica. Le decisioni che vengono di volta in volta assunte sono il frutto di una costante consultazione dei Procuratori Generali della Repubblica che, oltre a formulare le proposte per l'attivazione dei diversi servizi, partecipano personalmente o a mezzo di loro delegati alle riunioni dei Comitati Provinciali per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica nelle quali le proposte stesse vengono esaminate. L'individuazione nel Procuratore Generale della Repubblica dell'Autorità competente a proporre l'adozione delle misure di sicurezza per i magistrati ha consentito di assicurare una gestione della materia secondo criteri uniformi e con una valutazione calibrata delle diverse situazioni di rischio. Le questioni relative alla sicurezza dei magistrati rappresentano un punto che appare quasi sempre all'ordine del giorno delle riunioni del Comitato Nazionale dell'ordine e della Sicurezza Pubblica. Proprio in riunioni recenti del predetto Consesso è emersa l'esigenza di assicurare anche a livello centrale una disamina costante delle questioni di sicurezza relative agli Uffici Giudiziari ed ai magistrati, esigenza alla quale si è data risposta attraverso la creazione di due Gruppi di lavoro. Quanto alla segnalata situazione calabrese, sono stati effettuati sopralluoghi a Reggio Calabria, Palmi, Locri e Catanzaro e in quelle sedi sono state verificate le condizioni di sicurezza degli Uffici Giudiziari, l'efficacia dei servizi di protezione dinamica riservati ai magistrati più esposti a rischio e le misure di difesa passiva assicurate agli stessi magistrati presso le loro abitazioni o, nei casi di maggiore esposizione, presso le Caserme delle Forze di Polizia nelle quali alcuni hanno accettato di risiedere. Ne è derivato un quadro complessivamente apprezzabile soprattutto per quel che concerne le misure di protezione individuali per le quali i responsabili degli Uffici Giudiziari hanno in linea di massima espresso soddisfazione. Sono state poi evidenziate alcune esigenze di intervento per misure di difesa passiva e di vigilanza degli Uffici Giudiziari e delle abitazioni di alcuni magistrati per le quali sono state immediatamente interessati gli Uffici competenti per l'attivazione delle relative procedure. Il deputato Mario BORGHEZIO (gruppo lega nord) osserva che dalla relazione testé svolta dal ministro emerge una pericolosità sempre maggiore delle organizzazioni criminali, che si avvalgono di strumenti sempre più sofisticati; chiede quindi cosa faccia lo Stato concretamente per rispondere a questa sfida. Osserva inoltre che accade troppo spesso che l'attività di contrasto degli organi pubblici si configuri come mera reazione; ciò induce a ritenere un qualche difetto nella attività di "intelligence" Di tale situazione costituiscono un esempio lampante i recenti fatti di Bardonecchia e quelli verificatisi in Valle d'Aosta. Per quanto riguarda il primo episodio non si può non constatare come la situazione di Bardonecchia fosse nota da molto tempo; resta quindi da chiarire quali controlli siano stati svolti e perché sia stato a suo tempo trasferito il funzionario di polizia che ebbe a segnalare i rischi di infiltrazioni mafiose nel territorio. In ordine alle vicende recentemente accadute in Valle d'Aosta chiede se si stiano svolgendo necessari controlli in relazione alle voci che corrono circa il locale casinò. Dopo aver sottolineato l'opportunità che l'ingente mole di dati a disposizione del Ministero dell'interno sia sottoposta ad analisi in relazione ai rapporti tra mafia e politica, chiede se nelle recenti nomine di prefetti si sia tenuto conto della particolare esperienza da ciascuno di essi maturata. Chiede infine se il ministro condivida l'analisi secondo la quale la criminalità organizzata di origine meridionale controlla ormai ampie zone del nord. Il deputato Giuseppe ARLACCHI (gruppo progressisti-federativo), in riferimento a quanto appena esposto dal ministro, riterrebbe opportuno acquisire ulteriori informazioni sui gruppi della grande criminalità che sarebbero coinvolti nel tentativo di riprendere la strategia stragista già all'opera nel 1992 e nel 1993, chiedendo inoltre quale sia allo stato il ruolo dell'"intelligence" nell'opera di contrasto e di prevenzione di tale strategia. In secondo luogo, chiede ulteriori chiarimenti sull'affermazione secondo la quale il ruolo degli appalti nel sistema di finanziamento della criminalità sarebbe in progressiva diminuzione, visto che da alcuni elementi, come ad esempio evidenziatosi nella discussione della relazione sulla Campania, potrebbero trarsi conclusioni diverse. In terzo ed ultimo luogo chiede ulteriori delucidazioni sul coordinamento delle forze dell'ordine, ed in particolare sul fenomeno della disseminazione delle forze investigative all'interno di diversi Ministeri. Il deputato Michele CACCAVALE (gruppo forza Italia) rammenta che nel corso dell'audizione del dottor

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Boemi è stato paventato lo smantellamento delle squadre mobili di Locri e Palmi; ritiene che tale eventualità sarebbe molto grave e chiede quindi quali determinazioni il Governo intenda assumere al riguardo. Sottolinea inoltre la necessità di rafforzare la presenza delle forze dell'ordine nelle zone del litorale romano, dove le infiltrazioni della criminalità organizzata diventano sempre più massicce. Il deputato Giuseppe SICILIANI (gruppo federalisti e liberaldemocratici) osserva che il ministro ha evidenziato una nuova capacità organizzativa delle consorterie criminali; a fronte di tanto non sembra registrarsi un adeguamento delle strutture dello Stato, che appaiono ancora ancorate a vecchi moduli organizzativi e di contrasto. Auspica quindi che l'esecutivo voglia porre allo studio nuovi metodi di osservazione e studio del fenomeno mafioso per una più efficace lotta alla criminalità organizzata, anche coinvolgendo istituzioni ed esponenti della società civile. Il senatore Antonio BELLONI (gruppo CCD), parlando sull'ordine dei lavori, ritiene che si potrebbe sospendere brevemente la seduta per tener conto dei lavori del Senato. Il Presidente Tiziana PARENTI osserva che verosimilmente l'audizione del Ministro non potrà concludersi nella giornata di oggi, e che occorrerà prevederne un seguito quanto prima. Il deputato Alessandra BONSANTI (gruppo progressisti-federativo) sottolinea l'opportunità di continuare i lavori, anche tenendo presente l'allarme destato da alcune dichiarazioni relative alla probabilità di prossimi attentati. In particolare bisognerà chiarire per quale ragione se ne prevede l'effettuazione proprio a Palermo. Il Presidente Tiziana PARENTI concorda con tale osservazione. Il senatore Ferdinando IMPOSIMATO (gruppo progressisti-federativo) rammenta che la presenza della criminalità organizzata nel settore delle opere pubbliche è stata ormai dimostrata da numerose indagini. Dopo aver auspicato che si addivenga finalmente ad una fattiva situazione dell'ordine pubblico nella provincia di Caserta, suscettibile di determinare un vero e proprio problema nazionale, ed auspica un potenziamento della presenza dello Stato sul litorale domizio. Ritiene, infine, necessaria una reale prevenzione nei confronti delle imprese e che tale azione possa contribuire non poco ad un reale e sano sviluppo dell'economia meridionale. Il Presidente Tiziana PARENTI osserva che i rilievi da ultimo formulati dal senatore Imposimato si collegano direttamente al problema della effettiva valenza della certificazione antimafia per le imprese; così come strutturato, infatti, tale istituto sembra assumere una efficacia solo formale e non fornire alcuna seria garanzia. Il senatore Saverio DI BELLA (gruppo progressisti-federativo) chiede anzitutto ulteriori notizie sul problema del traffico d'armi, manifestando scetticismo su voci generiche che riguarderebbero uno spettro di attività assai ampio, dalle pistole fino ai missili. Ritiene poi che per quanto riguarda i fenomeni dell'usura e dell'estorsione, maggiore attenzione andrebbe posta al problema delle sofferenze bancarie, individuando con precisione gli autori delle concessioni di fidi senza copertura. Sottolinea poi l'utilità dell'impiego delle forze del corpo forestale dello stato per il presidio del territorio e per il contrasto della criminalità, una soluzione che avrebbe il vantaggio di non gravare affatto sul bilancio dello Stato. Ricorda poi la grave situazione del paese di Limbadi e di altre realtà del Mezzogiorno, in cui si hanno gravi ritardi burocratici per l'attuazione di utili programmi di recupero per giovani a rischio, e in cui la stessa attività di repressione dell'operato delle famiglie malavitose più pericolose incontra gravi carenze e pericolosi ostacoli. Sui collaboratori di giustizia riterrebbe utile procedere ad una attenta valutazione dell'utilità dei vari contributi, in quanto sembra palesarsi una sproporzione tra il numero dei collaboratori e il beneficio complessivamente ricevuto dalle indagini. Chiede al ministro, in questo campo, di inviare alla Commissione una relazione riguardante il numero di collaboratori diviso per zone e regioni. Desidera infine sapere cosa si faccia per riportare alla legalità tutto il settore dei cantieri e delle costruzioni, dato che è del tutto evidente che in larghe zone del mezzogiorno esso è sotto il totale controllo della malavita.

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Il ministro Giovanni Rinaldo CORONAS, riservandosi di fornire comunque risposte complete alle questioni oggi sollevate in una prossima audizione da tenere in tempi ravvicinati, desidera far presente di non aver mai affrontato con organi di stampa l'eventualità di attentati a mezzo missili da parte della criminalità mafiosa; tale argomento è stato invece affrontato nella risposta ad una interrogazione scritta presentata dal deputato Acierno. Il Presidente Tiziana PARENTI, ringraziando il ministro per la sua disponibilità, ricorda quindi che l'audizione di oggi troverà il suo seguito in una seduta da convocare prossimamente. (*) Audizione effettuata in data 19 ottobre 1995.

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Camera dei Deputati XII LEGISLATURA Proposta di legge n. 1010 "Modifica alle norme in materia di segreto di Stato" presentata dall'On.le Violante e altri

(*)La proposta di legge n. 1010 prevede la modifica delle norme in materia di segreto di Stato, stabilendo dei limiti temporali alla segretezza sulla documentazione classificata. In particolare, essa propone di limitare a due classi i livelli di segretezza: a) segretissimo, per i documenti e i materiali dalla cui divulgazione possa scaturite un danno di eccezionale gravità, ai sensi dell'art. 12 legge 24 ottobre 1977 n. 801; b) segreto, per i documenti dalla cui rivelazione non autorizzata possa derivare un danno grave, ai sensi della medesima disposizione. L'apposizione della classifica di segretissimo e di segreto spetta al Presidente del Consiglio, ai Ministri degli Affari Esteri, dell'Interno, di Grazia e Giustizia, della Difesa, dell'Industria e delle Finanze, ai Direttori per l'informazione e la sicurezza. In particolare, il Presidente del Consiglio può autorizzare anche altri soggetti all'apposizione del segreto. Il progetto di legge prevede, inoltre, un modello di declassificazione automatica che consente all'informazione classificata segretissimo di degradare a segreto, dopo sei anni dalla data della prima classificazione, per essere definitivamente declassificata al termine di dieci anni, sempre dalla data della prima classificazione. Mentre la documentazione classificata segreto è automaticamente declassificata dopo otto anni dalla data di classificazione. Peraltro, il testo normativo stabilisce che, in relazione a una perdurante necessità di mantenere inalterato l'originale livello di segretezza o la classe di una notizia, sia data alla Autorità originatrice la facoltà di prolungare la durata del segreto, fornendo comunicazione motivata del provvedimento di proroga, sia al Presidente del Consiglio che al Comitato Parlamentare di controllo. Infine, la proposta legislativa disciplina il diritto di accesso alla documentazione concernente la sicurezza della Repubblica (principio della pubblicità degli atti).

PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa dei Deputati VIOLANTE, BONFIETTI BASSANINI, CHIAROMONTE, CORLEONE, MAGRONE, MASELLI, NOVELLI, PERICU, REALE, SODA, VIGNERI, ARLACCHI, BONGIORNO, CESETTI, DI LELLO FINUOLI, FINOCCHIARO FIDELBO, GRASSO, DONATO PACE, PECORARO SCANIO, PORCARI, SARACENI, SCERMINO, SCOZZARI Modifiche alle norme in materia di segreto di Stato Presentata il 22 luglio 1994 Onorevoli Colleghi! - L'idea di rendere temporaneo il segreto di Stato - condivisa quasi unanimemente in sede politica e in sede scientifica - è un complemento indefettibile dei rimedi contro un uso distorto del segreto; aumenta e rende più effettive le possibilità di controllo democratico sui servizi segreti; sprona questi ultimi ad un'azione più aderente ai principi posti dall'articolo 97 della Costituzione e quindi più funzionale alla tutela degli interessi protetti dal segreto. L'idea di temporalizzare il segreto è, d'altra parte, espressione di un principio generale del diritto pubblico proprio degli ordinamenti democratici, dove il "pubblico" è la regola e il "segreto" l'eccezione. Nello stesso tempo, la limitazione della durata del segreto costituisce un punto di equilibrio tra il segnalato principio di pubblicità (che emerge con sufficiente chiarezza dalla Costituzione) e il rispetto dei valori tutelati dal segreto di Stato (di cui è parimenti indiscutibile il fondamento costituzionale). Sul piano legislativo questo raccordo può attuarsi soltanto con la formulazione di una norma che stabilisca, come regola generale, l'apposizione di un limite di tempo alla durata della segretezza sulla documentazione

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imposta ai servizi segreti. Inoltre, come complemento logico e coerente con la natura dei termini di tale accordo, va previsto che il vincolo di segretezza possa essere prorogato nel tempo, in ragione di una perdurante prevalente esigenza di protezione degli interessi di cui all'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801. La temporaneizzazione del segreto di Stato presuppone per necessità: un sistema di classificazione delle notizie segrete; la tipizzazione delle autorità di origine o, eventualmente, delegate all'apposizione del segreto; un sistema di declassificazione che regoli, per livelli di segretezza, la durata del segreto e le autorità competenti, originarie, o eventualmente delegate ad operare la declassificazione; disposizioni specifiche in ordine alla conservazione della documentazione relativa ai materiali o ai documenti segreti; un sistema di controlli sulle attività indicate nei punti precedenti; la previsione di forme specifiche di responsabilità per la violazione colposa o dolosa delle norme disciplinanti il sistema ora delineato. L'ipotesi di affidare alla legge la disciplina del sistema di classificazione delle informazioni di cui è vietata la libera circolazione, implica l'individuazione delle categorie di interessi tutelabili col segreto e la regolamentazione della procedura di secretazione. L'esame dei sistemi stranieri più avanzati mostra come l'ordinamento svedese definisca con formule generiche gli interessi alla sicurezza nazionale ed alle relazioni con l'estero, adottando quindi una tecnica di selezione diversa da quella utilizzata per altre categorie di interessi da proteggere col segreto. Nella legislazione americana, l'individuazione degli interessi relativi al segreto di Stato è demandata all'esecutivo. Nell'executive order, tuttavia, la elencazione - già di per sé non analitica - delle sfere di segretezza (o, più precisamente, dei possibili oggetti del segreto e cioè le informazioni medesime) sfocia nell'estrema genericità di una disposizione, per così dire, di chiusura del sistema. Quest'ultima previsione dilata infatti la protezione del segreto ad ogni altra categoria di informazioni che, attinente alla sicurezza nazionale, richieda di essere tutelata col segreto su determinazione del Presidente o degli agency heads e degli officials ai quali il Presidente abbia delegato il potere classificatorio di origine. Soltanto nel sistema francese è rintracciabile un'elencazione analitica dei documenti segreti, contenuta in un decreto del Ministro della difesa. In tale provvedimento, tuttavia, la gamma delle informazioni protette è talmente ampia da sortire lo stesso effetto delle generiche previsioni contenute nella legge svedese sui segreti. Da tali rilievi comparatistici emergono una serie di indicazioni che meritano di essere prese in considerazione al fine di migliorare la normativa in vigore nell'ordinamento italiano. Innanzi tutto, le diverse esperienze straniere esaminate confermano ancora una volta che il nucleo delle garanzie in materia di segreto di Stato non è costituito dall'elencazione tassativa degli oggetti sui quali può gravare il vincolo di segretezza. Ogni tentativo di analiticità in materia è infatti destinato a risolversi in una pura descrizione esemplificativa. Il nodo delle garanzie si scioglie invece "nella qualificazione del contenuto della potestà di secretazione nei suoi eventuali vincoli, nei controlli e nella disciplina dei rapporti interorganici in materia". In questa prospettiva, potrebbe ritenersi sufficiente la definizione di segreto di Stato contenuta nell'articolo 12 della legge in vigore: una definizione che ha riguardo agli interessi tutelati dal segreto e non agli oggetti del medesimo. Appare peraltro opportuno far seguire tale disposizione da un'altra che elenchi, per grandi categorie, le classi di informazioni nelle quali si specifica il nucleo di interessi protetti. Tale elencazione dovrebbe vanificare l'esistenza di corpi normativi separati dalla legge sul segreto. In particolare, con tale previsione verrebbe meno l'esigenza di mantenere ancora in vita il regio decreto 11 luglio 1941, n. 1161, sul segreto militare e l'elenco delle materie ivi contenute ormai superate sotto molteplici profili. Dovrebbe invece spettare alla direttiva politica di Governo (sotto il controllo del Comitato parlamentare) il compito di specificare quali informazioni concretino ulteriormente le aree di interesse e le categorie di informazioni individuate dal legislatore: ciò che consentirebbe anche un continuo aggiornamento delle priorità funzionali dei nuovi campi di rischio. Appare, infine, opportuno modificare la nozione di segreto illegale accolta dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801. Com'è attualmente configurato, il concetto di segreto illegale si limita a cogliere soltanto un aspetto macroscopico del fenomeno. E inoltre esso non è neppure idoneo ad assolvere in modo adeguato alla

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funzione considerata dal legislatore nel formulare il secondo comma dell'articolo 12. La dizione di tale norma consente infatti le più svariate forme di elusione del divieto. E infatti la disposizione non estende l'ambito del segreto illegale in quanto dà concretezza ai "fatti eversivi dell'ordine costituzionale", vale a dire alle prove e, più in generale, al materiale che, raccolto dai servizi, sia di importanza essenziale per il perseguimento dei fatti medesimi. D'altra parte, i fatti considerati nell'articolo 12 non possono certo esaurire la funzione di garanzia che svolge in ogni legislazione la previsione del segreto illegale. Sarebbe perciò opportuno rimeditare i confini di tale concetto, per estenderlo almeno alle informazioni concernenti reati commessi con abuso dei poteri inerenti alle funzioni degli appartenenti ai servizi segreti. Delineata nei suoi confini essenziali l'area entro la quale può legittimamente esplicarsi il potere di secretazione, vanno poste delle norme di disciplina del potere medesimo. Più precisamente, tali disposizioni hanno il compito di regolamentare: i soggetti preposti all'esercizio del potere di secretazione; i criteri per l'esercizio del potere di secretazione. Muovendo da quest'ultimo punto, il legislatore deve indicare i parametri ai quali deve attenersi l'amministrazione nell'individuare in concreto le informazioni di cui è vietata la divulgazione e l'intensità della protezione medesima. Dai sistemi esaminati è emerso come i legislatori di altri Paesi siano ricorsi al riguardo a tre criteri fondamentali, gerarchicamente ordinati. Il primo, che si è già illustrato, è di carattere funzionale, in quanto circoscrive l'area entro cui può compiersi la scelta di secretazione. Il secondo parametro ha riguardo al danno che può derivare agli interessi tutelati dal segreto di Stato in seguito alla divulgazione dell'informazione. Si è visto come su tale criterio si basi il sistema americano di classificazione delle informazioni. E considerato l'analogo sistema accolto da circolari che regolano la materia, non è inverosimile pensare che attualmente anche in Italia sia adottato il parametro del danno per diversificare il livello di segretezza di un documento o di un materiale. Il criterio del danno, in realtà, assolve a due funzioni. Viene infatti in rilievo sia come criterio-guida per l'esercizio della discrezionalità amministrativa della concreta ed ulteriore selezione delle informazioni in astratto tutelabili col segreto, sia come parametro per misurare l'intensità della protezione richiesta. A questo secondo fine, viene presa in considerazione la probabile entità che deriverebbe dalla libera o non autorizzata circolazione delle notizie. Infine, il terzo parametro è di ordine temporale ed è in stretto rapporto di dipendenza rispetto agli altri due criteri. Ne consegue che, da un lato, la protezione offerta dal segreto durerà per tutto il tempo in cui sussista il pericolo che la divulgazione di una informazione minacci gli interessi individuati dal legislatore, ciò che giustifica anche la possibilità di protrarre il termine di durata del segreto qualora continui a permanere l'esigenza di proteggere un'informazione la cui riservatezza sia vitale per gli interessi tutelati dal segreto di Stato. Dall'altro lato, il venire meno di uno dei due presupposti della segretezza elimina la necessità di attendere la scadenza del termine di classificazione per rimuovere il vincolo del segreto. Da tali considerazioni emerge pertanto come sui tre criteri sopra descritti debbano fondarsi sia gli istituti di classificazione e di declassificazione sia le regole per l'esercizio del potere di secretazione. Nella prospettiva di orientare la riforma della legge n. 801 del 1977, nella direzione che si è appena indicata, sarebbe peraltro opportuno evitare che il criterio relativo al danno assuma connotazioni presuntive analoghe a quelle illustrate commentando l'esperienza americana. A tal fine bisognerebbe far operare, già all'interno del potere di secretazione, un meccanismo idoneo che potrebbe essere ottenuto inserendo nella procedura di secretazione il riferimento al danno «reale». Più precisamente, si tratterebbe di subordinare l'apposizione del segreto, da un lato, alla concreta ponderazione degli interessi coinvolti e, dall'altro lato, all'identificabilità del danno conseguente alla libera circolazione della notizia, che sia già identificabile prima di procedere alla classificazione. Quanto al sistema di classificazione, sembrano sovrabbondanti i livelli di segreto cui fa riferimento l'executive order del 1982. La dottrina americana segnala, del resto, come all'ultima e meno importante classe di segretezza siano da imputarsi grosse quote di responsabilità riguardo al fenomeno di overclassification. E d'altra parte, neppure le già richiamate circolari in materia includono nella categoria del segreto di Stato le notizie riservatissime e quelle riservate, anche se la loro identificazione veniva affidata a criteri meno generici di quello

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individuante il level confidential. È pertanto opportuno limitare a due classi i livelli di segretezza. Il massimo grado di protezione dovrebbe corrispondere al livello "segretissimo" individuato dall'eccezionale gravità del danno che potrebbe derivare dalla divulgazione dell'informazione da classificare. Il livello "segreto" andrebbe invece a qualificare i documenti dalla cui rivelazione non autorizzata potrebbe scaturire un danno grave agli interessi indicati dall'articolo 12 della legge n. 801 del 1977. Eliminato formalmente dalla categoria del segreto di Stato le notizie riservatissime e quelle riservate, tali informazioni andrebbero assoggettate al regime del segreto d'ufficio. Di conseguenza, la serie articolata di ipotesi criminose attualmente contenute negli articoli 256, terzo comma, 258 e 262 del codice penale, dovrebbe venire assorbita dalla fattispecie disciplinata dall'articolo 326 del codice penale. Problemi di difficile soluzione si pongono invece con riguardo alla durata del segreto. Infatti, nella prospettiva di introdurre precisi limiti temporali al segreto di Stato, non sarebbe logico non prevedere un'analoga limitazione per le notizie che, parimenti relative alla sicurezza nazionale, esulano tuttavia dalla categoria considerata dalla legge n. 801 del 1977. Si ripropone di nuovo la questione della necessità di un coordinamento della legge di riforma sul segreto di Stato con quella che dovrebbe regolamentare il segreto amministrativo. La riforma della legge n. 801 del 1977, tuttavia può peraltro occuparsi anche di entrambe le categorie di segretezza, quanto meno sotto il profilo della predeterminazione dei termini di durata e, quindi, delle procedure di declassificazione o comunque di riesame dei documenti. Nella legge di riforma, pertanto, le norme che delineano il sistema di classificazione devono essere seguite da precise disposizioni sulle procedure di declassificazione. Il modello di declassificazione deve articolarsi in procedure sia automatiche sia a discrezionalità vincolata. Riguardo al primo gruppo, viene innanzi tutto in rilievo la declassificazione connessa al decorso del tempo prestabilito dalla legge. Si tratta di stabilire una serie di termini legali allo scadere dei quali un'informazione passa dal massimo livello di segretezza a quello inferiore fino alla sua completa declassificazione. Con riguardo al segreto di Stato, va previsto che una informazione classificata "segretissima" degradi automaticamente a "segreta" dopo sei anni e venga automaticamente declassificata dopo dieci anni. Le informazioni "segrete" verrebbero automaticamente declassificate dopo otto anni. Per evitare poi che attraverso l'attuale indeterminatezza della durata del segreto amministrativo, le notizie vengano paradossalmente riservate tra le notizie tutelate dal segreto d'ufficio, occorrerà prevedere termini di durata anche per quest'ultima categoria di segretezza. A tal fine, dovrebbe prevedersi che le informazioni originariamente "segretissime" possano restare nella classe delle notizie riservatissime per non più di due anni e per altri due anni in quella delle notizie riservate. La stessa disposizione dovrebbe valere per le notizie originariamente "segrete". In considerazione di una perdurante necessità di mantenere inalterato l'originario livello di segretezza o la classe di stasi di una notizia, va prevista la possibilità di prolungare la durata del segreto in ragione del criterio per cui il tipo di danno correlato al livello di segretezza della notizia non è altrimenti evitabile se non prorogando la durata del segreto. In tal caso, tuttavia, l'autorità di origine dovrà dare comunicazione motivata del provvedimento di proroga sia al Presidente del Consiglio sia al Comitato parlamentare di controllo. La seconda procedura di declassificazione riprende quella già sperimentata nel sistema italiano. Essa fa capo alla possibilità di predeterminare, fino dal momento della classificazione, che trascorso un determinato periodo di tempo o al verificarsi di un determinato evento, il contenuto di una atto o di un certo materiale perderà valore ai fini della segretezza. La praticabilità del sistema delineato è per necessità subordinata alla presenza di particolari tecniche di fascicolazione. Il legislatore deve a tal proposito imporre precisi requisiti di forma. Tali indicazioni devono disciplinare, in particolare, la forma di apposizione del segreto. quest'ultima, a sua volta, presuppone che venga definito il concetto di informazione. A tale scopo va introdotta anche nella legge una norma che definisca i possibili oggetti delle informazioni segrete, e cioè i documenti, le notizie e i materiali. Riguardo alla forma dell'atto di apposizione del segreto, va finalmente stabilito - allo scopo sia di controllare la circolazione delle informazioni, sia di garantire l'esercizio dei controlli previsti dalla legge - che essa debba essere scritta. Ovviamente, qualora l'informazione sia rappresentata da una cosa, l'atto di apposizione consisterà in un provvedimento separato dal materiale cui si riferisce. Trattandosi invece di una notizia relativa ad un mero

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fatto, sarà necessario consacrarne il contenuto in un documento che incorporerà anche il provvedimento di apposizione. Il provvedimento di apposizione dovrebbe indicare la classe di segretezza attribuita all'informazione, l'identità dell'autorità di origine, la data o l'evento di declassificazione e, qualora si tratti di documenti, quali loro parti siano classificate e con quale livello di segretezza e quali non siano invece classificate. L'insieme delle norme proposte, frutto anche di un laborioso e proficuo lavoro di legislazione comparata e di ricerca fatto svolgere dal gruppo dei deputati del PDS, consentono anche di introdurre nel nostro ordinamento il diritto di accesso alla documentazione relativa alla sicurezza della Repubblica. L'innovazione, di grande rilievo democratico, apre tra l'altro necessariamente la via all'auspicata introduzione nell'ordinamento italiano di una regola di trasparenza che investa probabilmente l'azione amministrativa, e non soltanto alcuni suoi settori, generalizzando il principio della pubblicità degli atti nella forma particolare del diritto di accesso ad essi ed ai documenti tenuti dall'amministrazione. PROPOSTA DI LEGGE Art. 1 1. All'articolo 4 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Il direttore del SISMI è tenuto a comunicare semestralmente al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Comitati di cui agli articoli 2 e 11, secondo comma, un rapporto informativo sull'andamento delle procedure di classificazione, di riesame sistematico e di declassificazione delle informazioni». Art. 2 1. All'articolo 6 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Il direttore del SISDe è tenuto a comunicare semestralmente al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Comitati di cui agli articoli 2 e 11, secondo comma, un rapporto informativo sull'andamento delle procedure di classificazione, di riesame sistematico e di declassificazione delle informazioni». Art. 3 1. All'articolo 7 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Il Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Comitato di cui all'articolo 2, impartisce le dispo-sizioni del caso qualora i due servizi si trovino a dovere affrontare la stessa materia o comunque in una condizione di reciproca interferenza». Art. 4 1. Il secondo comma dell'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, è sostituito dal seguente: «In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato le informazioni concernenti fatti eversivi dell'ordinamento costituzionale, le associazioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale, dall'articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, dall'articolo 1 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, nonché il traffico illegale di armi, munizioni e materie esplodenti e i delitti previsti dal capo I del libro II del codice penale, commessi con abuso dei poteri inerenti alle funzioni degli appartenenti ai servizi di cui agli articoli 4 e 6». Art. 5 1. Dopo l'articolo 19 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, è aggiunto il seguente: «Art. 19-bis. - 1. La apposizione del segreto di Stato deve tenere conto dell'interesse pubblico alla libera circolazione delle informazioni. 2. Le informazioni di cui all'articolo 12 devono essere classificate secondo i criteri stabiliti dalla presente legge. 3. Ai fini dell'apposizione del segreto di Stato vengono in rilievo le seguenti classifiche di segretezza: a) «segretissimo» per i documenti e i materiali dalla cui divulgazione possa scaturire un danno di eccezionale gravità agli interessi di cui all'articolo 12; b) «segreto» per i documenti e i materiali dalla cui divulgazione possa derivare un danno rilevante agli interessi di cui all'articolo 12.

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4. Se sussiste il ragionevole dubbio sulla necessità di classificare un'informazione o sul livello più appropriato di classificazione, la relativa determinazione spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, entro trenta giorni dalla trasmissione del rapporto. Durante tale periodo di tempo, qualora il dubbio riguardi la necessità della classificazione, si presume la segretezza dell'informazione. Qualora il dubbio concerna il livello di classificazione, il documento o il materiale deve essere salvaguardato come informazione segreta». 2. Dopo l'articolo 19-bis della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 1 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-ter. - 1. L'apposizione della classifica di segretissimo e di segreto spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, ai Ministri di cui all'articolo 2, ai direttori dei servizi per l'informazione e la sicurezza. 2. Il Presidente del Consiglio dei ministri può autorizzare altri soggetti all'apposizione del segreto. 3. Il Presidente del Consiglio dei ministri può delegare il potere di secretazione ai soggetti designati dai Ministri di cui all'articolo 2 e ai direttori dei servizi di cui agli articoli 4 e 6, qualora esista la necessità continuativa e dimostrabile di esercitare il potere di classificazione. 4. Le autorità di cui al comma 3 devono conservare una lista aggiornata dei soggetti autorizzati all'apposizione del segreto e trasmetterla periodicamente, per i riscontri del caso, al Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza (CESIS). 5. Allo scadere dei quattro anni dall'atto di delega, il Presidente del Consiglio dei ministri provvede alla riconferma o alla revoca dell'autorizzazione. 6. Nell'ipotesi in cui la delega sia revocata, il Presidente del Consiglio dei ministri provvede altresì all'individuazione delle autorità alle quali sono contestualmente trasferiti i poteri connessi alle informazioni classificate dalla autorità competente in origine». 3. Dopo l'articolo 19-ter della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 2 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-quater. - 1. Le autorità di cui all'articolo 19-ter, comma 1, devono trasmettere semestralmente al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Comitati di cui agli articoli 2, 3 e 11, secondo comma, un rapporto informativo sull'andamento delle procedure di classificazione, di riesame sistematico e di declassificazione delle informazioni». 4. Dopo l'articolo 19-quater della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 3 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-quinquies. - 1. Gli addetti ai servizi di cui agli articoli 4 e 6, senza potere di secretazione, che ritengano di essere in possesso di un'informazione classificabile, devono trasmetterla senza indugio ai direttori dei rispettivi servizi di appartenenza per la classificazione. 2. I pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblici servizi senza potere di secretazione e che dipendono da una delle autorità previste dall'articolo 19-ter, comma 1, devono trasmettere senza indugio a queste ultime le informazioni originate ritenute classificabili». 5. Dopo l'articolo 19-quinquies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 4 del presente articolo, è aggiunto il seguente: « Art. 19-sexies. - 1. Un'informazione classificata rimane tale per tutto il tempo necessario per la protezione degli interessi tutelati dal segreto di Stato secondo le disposizioni della presente legge. 2. Quando è previsto uno specifico termine o sono determinabili una data o un evento specifico per la declassificazione, essi devono essere apposti sulla documentazione segreta dall'autorità competente a norma dell'articolo 19-ter. 3. In ogni caso al termine di sei anni dalla data di prima classificazione, un'informazione a livello segretissimo degrada automaticamente a segreta e viene classificata dopo dieci anni dalla data di prima classificazione. 4. Le informazioni segrete sono automaticamente declassificate dopo otto anni dalla data di declassificazione». 6. Dopo l'articolo 19-sexies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 5 del presente articolo, è

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aggiunto il seguente: « Art. 19-septies. - 1. Ai fini della presente legge, l'apposizione del segreto concerne soltanto le informazioni contenute in un documento avente data certa. 2. Si considera documento ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie relativa a notizie o materiali concernenti la sicurezza nazionale. 3. L'atto di apposizione del segreto deve indicare: a) il livello di segretezza dell'informazione; b) la data di classificazione; c) l'identità dell'autorità di origine; d) l'ufficio di appartenenza dell'autorità di origine; e) la data o l'evento di declassificazione. 4. Ai documenti classificati devono essere allegate le memorie storiche concernenti gli ordini impartiti dall'esecutivo ai servizi e le spese riservate sostenute dai medesimi. 5. Le memorie storiche di cui al comma 4 sono classificate allo stesso livello dell'informazione cui si riferiscono». 7. Dopo l'articolo 19-septies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 6 del presente articolo, è aggiunto il seguente: « Art. 19-octies. - 1. Il segreto d'ufficio non può essere opposto se non è identificabile il danno che potrebbe derivarne dalla diffusione di informazioni originate dalla Pubblica amministrazione o comunque utilizzate ai fini dell'attività amministrativa. 2. Le informazioni relative agli interessi di cui all'articolo 12 non classificate ai sensi dell'articolo 19-bis non possono essere coperte dal segreto d'ufficio se non sia identificabile il danno che potrebbe derivare dalla loro diffusione. In tal caso la durata del segreto non può essere superiore a quattro anni dalla data di origine. 3. La stessa disposizione si applica alle informazioni da declassificare ai sensi dell'articolo 19-quinquies le quali pertanto non possono restare nella classe delle notizie riservatissime per più di due anni e non oltre i due anni nella classe delle notizie riservate. 4. Le informazioni di cui ai commi 1 e 2 sono soggette ai requisiti previsti nell'articolo 19-septies». 8. Dopo l'articolo 19-octies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 7 del presente articolo, è aggiunto il seguente: « Art. 19-novies. - 1. Sono abrogati gli articoli 256, terzo comma, 258 e 262 del codice penale». 9. Dopo l'articolo 19-novies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 8 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-decies. - 1. All'articolo 326 del codice penale dopo il primo comma sono aggiunti i seguenti: "Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 261 del codice penale, chiunque rivela notizie attinenti alla sicurezza della Repubblica e dalle quali potrebbe derivare un danno alla sicurezza della Repubblica, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Le pene previste nel primo e nel secondo comma si applicano anche nell'ipotesi di procacciamento illegale di notizie attinenti alla sicurezza della repubblica. Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno; tuttavia, la pena è aumentata qualora l'agevolazione concerna le notizie di cui al secondo e al terzo comma"». 10. Dopo l'articolo 19-decies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 9 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-undecies. - 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri può chiedere di prolungare la durata del segreto, in ragione della perdurante necessità di mantenere inalterato l'originario livello di segretezza o quello inferiore al momento dell'atto di proroga. Il relativo provvedimento motivato deve essere comunicato al Presidente del Consiglio e al Comitato di cui all'articolo 11, secondo comma. 2. L'atto di proroga deve essere tempestivamente notificato al Comitato di cui all'articolo 3 e a quello di cui all'articolo 11 che esprime il suo parere».

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11. Dopo l'articolo 19-undecies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 10 del presente articolo, è aggiunto il seguente: « Art. 19-duodecies. - 1. Il Comitato di cui all'articolo 3 è tenuto a segnalare al Presidente del Consiglio le irregolarità riscontrate in ordine ai documenti classificati. 2. Il Comitato di cui all'articolo 3 segnala al Presidente del Consiglio i documenti classificati illegittimamente. 3. Nelle ipotesi previste nei precedenti commi, il Presidente del Consiglio può chiedere chiarimenti alle autorità di origine dell'informazione illegittimamente o impropriamente classificata e la rimette ad essa perché provveda alla declassificazione o comunque a sanare l'irregolarità. 4. Il Presidente del Consiglio impartisce le disposizioni relative alle informazioni non classificate trasmesse dai servizi al Comitato di cui all'articolo 3». 12. Dopo l'articolo 19-duodecies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 11 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art.19-terdecies. - 1. Il Presidente del Consiglio, sentito il Comitato di cui all'articolo 2, impartisce le direttive sui programmi di riesame sistematico ai fini della declassificazione o degradazione delle informazioni. 2. Presso il Comitato di cui all'articolo 3 è istituito un ufficio per la revisione del materiale classificato e custodito nell'archivio generale. 3. Il riesame sistematico della documentazione avviene d'intesa con le particolari direttive delle autorità indicate nell'articolo 19-ter comma 1. I direttori dei servizi e le autorità di cui al comma 1 dell'articolo 19-ter conducono programmi di riesame sistematico della documentazione classificata non confluita nell'archivio generale. 4. Il Comitato di cui all'articolo 3 provvede al riesame sistematico della documentazione del presidente del Consiglio delle autorità con potere di secretazione da lui direttamente designate». 13. Dopo l'articolo 19-terdecies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 12 del presente articolo, è aggiunto il seguente: « Art.19-quaterdecies. - 1. Le informazioni sono declassificate o degradate al livello inferiore di segretezza dall'autorità di origine o dalle autorità da queste delegate. 2. La delega del potere di declassificazione o di degradazione deve avvenire per iscritto e deve essere autorizzata dal presidente del Consiglio dei ministri». 14. Dopo l'articolo 19-quaterdecies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 13 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-quinquiesdecies. - Il diritto di accesso alle informazioni relative alla sicurezza della repubblica si esercita presso gli uffici indicati annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale». 15. Dopo l'articolo 19-quinquiesdecies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 14 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-sexiesdecies. - 1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti, nei modi e nei limiti indicati dalla presente legge. 2. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato al rimborso del costo di riproduzione. 3. L'istanza di accesso ai documenti deve essere rivolta agli uffici individuati a norma dell'articolo 19-quinquiesdecies e deve essere sufficientemente dettagliata da consentire la ricerca della documentazione richiesta». 16. Dopo l'articolo 19-quinquiesdecies della legge n. 801 del 1977, inserito dal comma 15 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19- septiesdecies. - 1. A seguito dell'istanza di cui all'articolo 19-sexiesdecies, l'ufficio richiesto procede al riesame per la declassificazione della documentazione. 2. Il provvedimento di declassificazione o di rifiuto di accesso deve essere notificato entro novanta giorni dalla richiesta. 3. Qualora siano necessari tempi più lunghi, l'ufficio è tenuto a notificare al richiedente le ragione del

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ritardo. 4. In ogni caso, il provvedimento di cui al comma 3 deve essere emesso entro sei mese dalla richiesta». 17. Dopo l'articolo 19- septiesdecies della legge n.801 del 1977, inserito dal comma 16 del presente articolo, è aggiunto il seguente: «Art. 19-octiesdecies. - 1. Entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento di rifiuto di accesso, il richiedente può proporre ricorso dinanzi all'autorità indicata nell'atto notificato. 2. Entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento di conferma, il richiedente può impugnare il provvedimento dinanzi al Presidente del Consiglio dei ministri. 3. Del provvedimento di conferma della decisione impugnata dinanzi al Presidente del Consiglio devono essere informati il Comitato di cui all'articolo 11, secondo comma e le Camere ai sensi degli articoli 16 e 17. 4. Contro i provvedimenti emessi in prima o in ultima istanza dal Presidente del Consiglio, è ammesso ricorso in cassazione nelle forme della procedura riservata». (*) Sintesi redazionale

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Camera dei Deputati XII LEGISLATURA Proposta di legge n. 3010 "Norme sulla raccolta di informazioni e di dati a carico dei cittadini e sul diritto degli stessi a conoscerne e correggerne il contenuto" presentata dagli On.li Arlacchi, Soda, Maroni

(*) La proposta di legge n. 3010 vieta a ogni amministrazione pubblica e a ogni ente, impresa e associazione o privato di raccogliere informazioni e dati su cittadini in ragione della loro razza, fede politica e religione, nonché su altre forme di appartenenza sociale e culturale. In particolare, l'art. 3 punisce l'uso dei dati e delle informazioni raccolte illegalmente. Al riguardo, il progetto di legge stabilisce un aumento della pena se la violazione delle disposizioni normative viene perpetrata da personale appartenente agli Organismi informativi. Inoltre, la proposta in esame prevede il diritto per il cittadino che venga a conoscenza dell'esistenza di un fascicolo personale a suo nome, contenente dati e informazioni che lo riguardano, presso qualsiasi amministrazione pubblica o privata, nonché presso gli Organismi informativi, di prenderne visione, ottenerne copia e pretenderne la rettifica o addirittura la distruzione, nel caso in cui le notizie riportate non corrispondano al vero. Peraltro, nel caso che il cittadino richieda di poter visionare il fascicolo personale esistente presso gli Organismi informativi, il Presidente del Consiglio, se ritiene che nella fattispecie vi siano specifiche esigenze di tutela e di sicurezza dello Stato, oppone il segreto di Stato. Il provvedimento motivato deve essere espresso entro trenta giorni dalla richiesta di visione e di copia, e inviato al Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato entro i successivi trenta giorni, il quale "ne riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni politiche", ove ritenga che l'opposizione del segreto non sia fondata. Infine, con l'art. 5 l'esercizio del potere di controllo attribuito al Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, ai sensi dell'art. 11 della legge 24 ottobre 1977 n. 801, viene esteso anche all'esame diretto di atti e di documenti acquisiti o formati dai Servizi informativi.

PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa dei Deputati ARLACCHI, SODA, MARONI Norme sulla raccolta di informazioni e di dati a carico dei cittadini e sul diritto degli stessi a conoscerne e correggerne il contenuto Presentata il 2 agosto 1995 Onorevoli Colleghi! - Salvo alcune limite disposizioni contenute nella legge 1° aprile 1981, n. 121, non esiste, nel nostro ordinamento, una disciplina ispirata da un principio di carattere generale, della raccolta dei dati e delle informazioni sulla razza, la fede e le opinioni politiche dei cittadini. Non esiste, inoltre, una codificazione del diritto dei singoli all'accesso a documenti di fonte pubblica e privata che riguardino i loro orientamenti politici e il conseguente diritto alla modifica dei dati errati. Tale vuoto normativo contribuisce alla proliferazione di iniziative come la raccolta di dossier ed informazioni riservate su personalità politiche da parte di istituzioni dello Stato - come i servizi per le informazioni e per la sicurezza - che già in passato si sono segnalate per gravi deviazioni in materia. Nella seduta del Senato del 12 luglio 1994, l'allora Ministro dell'Interno Maroni rivelò l'esistenza presso il SISDe di 66 fascicoli, 21 dei quali personali, vale a dire intestati a singoli esponenti politici o funzionari dello Stato, e 45 riguardanti partiti o formazioni politiche di vario genere. I diretti interessati non possono, a tutt'oggi prendere visione del contenuto di tali dossier, confezionati a loro insaputa e in evidente violazione dei loro diritti costituzionali. Anche il Comitato parlamentare per i servizi di informazione non ha potuto ricevere se non per effetto di

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una decisione della magistratura, i fascicoli sopraddetti, nonostante l'impegno assunto in tal senso dal Ministro dell'interno. La presente proposta di legge vieta tramite il suo primo articolo, ad ogni amministrazione pubblica e ad ogni ente privato di raccogliere informazioni e dati sulla razza e sulla fede politica e religiosa dei cittadini, nonché su altre forme di appartenenza sociale e culturale. La violazione di tale norma viene punita dall'articolo 2 con la reclusione da 1 a 5 anni e con una multa. Il medesimo articolo sanziona con pena più alta la trasgressione della sopraddetta se effettuata da personale appartenente agli organismi civili e militari della sicurezza. L'articolo 3 punisce l'uso dei dati e delle informazioni raccolte in via illegale, e prevede una sanzione più elevata per il personale di cui sopra. L'articolo 4 sancisce il diritto del cittadino che venga a conoscenza dell'esistenza di un fascicolo a suo nome, o della raccolta di informazioni sulla persona, effettuate a qualsiasi titolo da ogni amministrazione pubblica o privata, di prenderne visione, di ottenere copia e di pretendere la rettifica o la distruzione di notizie non rispondenti al vero. Si tratta di una disposizione vigente in vari Paesi democratici, che consente un esercizio più effettivo delle garanzie individuali e scoraggia l'accumulo indiscriminato di informazioni sulle persone. Il comma 2 del medesimo articolo 4 estende il diritto di visione di copia e di rettifica anche sulla raccolta dei fascicoli, formati sui singoli cittadini da parte dei servizi di informazione e di sicurezza comunque denominati. Il contemperamento fra diritti del cittadino alla riservatezza, quale espressione del diritto di libertà, e le esigenze del diritto di tutela e di sicurezza dello Stato è attuato con l'attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri di apporre «il segreto di Stato». Il provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri deve essere motivato, deve essere espresso entro 30 giorni dalla richiesta di «visione» di un fascicolo, che viene inviato in tal caso al Comitato parlamentare per i servizi di informazione. Al cittadino che ritenga infondata la decisione di opporre il segreto di Stato sul fascicolo che lo riguarda, viene comunque riconosciuta -nel comma 3 - la facoltà di essere ascoltato dal Comitato parlamentare, il quale, se in accordo con il rilievo del cittadino, riferisce in seguito alle Camere per le conseguenti valutazioni. L'articolo 5 è diretto a risolvere i contrasti interpretativi sui limiti dei poteri del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza. La disposizione proposta è ispirata al ragionevole principio che non può esercitarsi il controllo di legittimità sul rispetto dei principi costituzionali da parte degli apparati dei servizi di informazione e di sicurezza senza il corrispondente potere-dovere di esame diretto degli atti e dei documenti, acquisiti o formati dai servizi. PROPOSTA DI LEGGE Art. 1 1. Il secondo comma dell'articolo 7 della legge 1° aprile 1981, n. 121, è sostituito dal seguente: «È vietato ad ogni amministrazione pubblica, civile o militare, ente o impresa, associazione o privato raccogliere informazioni o dati su cittadini in ragione della loro razza, fede religiosa od opinione politica, o in ordine alla loro adesione ai principi di movimenti sindacali, cooperativi, assistenziali, culturali, nonché sulla legittima attività che essi svolgono come appartenenti ad organismi legalmente operanti nei settori indicati». Art. 2 1. La raccolta dei dati ed informazioni sui cittadini in violazione dell'articolo 7, secondo comma, della legge 1° aprile 1981 n. 121, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge, è punita con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa fino a cinque milioni di lire. 2. Se la violazione di cui al comma 1 è commessa da persona comunque appartenente al Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMi) o al Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDe) o a reparti ed uffici di cui all'articolo 5 della legge 24 ottobre 1977 n. 801, la pena è aumentata da un terzo alla metà. Art. 3 1. L'articolo 12 della legge 1Þ aprile 1981 n. 121, è sostituito dal seguente: «Art. 12 (Sanzioni) - 1. Chiunque comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni

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della presente legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni. 2. se la comunicazione o l'uso è commessa da persone comunque appartenenti al Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMi), al servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDe) o a reparti ed uffici di cui all'articolo 5 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, la pena è aumentata da un terzo alla metà». Art. 4 1. Ogni cittadino che venga comunque a conoscenza dell'esistenza, presso qualsiasi amministrazione pubblica, civile o militare, o ente o impresa o associazione, di un fascicolo personale a suo nome, o della raccolta, in qualsiasi forma effettuata, di dati ed informazioni che lo riguardano, ha diritto di prenderne visione, ottenerne copia, pretendere correzioni, rettifiche o distruzione di quelle parti contenenti informazioni e notizie non rispondenti al vero. 2. Il diritto di cui al comma 1 è riconosciuto anche per i fascicoli e per le raccolte di dati, notizie ed informazioni formati dai Servizi per le informazioni e la sicurezza dello Stato di cui alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri opponga, con provvedimento motivato da adottare entro trenta giorni dalla richiesta di visione e di copia e da trasmettere entro i successivi trenta giorni al Comitato parlamentare di cui all'articolo 11 citata legge n.801 del 1977, l'esigenza di tutela del segreto di Stato. Della intervenuta opposizione del segreto di Stato è data comunicazione, a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri, al cittadino che ha fatto richiesta di visione del fascicolo o di averne copia. 3. Il Comitato parlamentare di cui all'articolo 11 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, valuta la legittimità dell'opposizione del segreto, ascoltando anche il cittadino interessato che ne abbia fatto richiesta e, ove ritenga che l'opposizione del segreto non sia fondata, ne riferisce a ciascuna della Camere per le conseguenti valutazioni politiche. Art. 5 1. L'esercizio del potere di controllo attribuito al Comitato parlamentare di cui all'articolo 11 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, si attua anche attraverso l'esame diretto da parte del Comitato di atti e documenti, acquisiti o formati dai Servizi per le informazioni e la sicurezza. 2. I commi 4 e 5 dell'articolo 11 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, sono abrogati. (*)Sintesi redazionale

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Senato della Repubblica XII LEGISLATURA Disegno di legge n. 345 "Nuovo ordinamento dei Servizi di informazione e di sicurezza" presentato dal Sen. Cossiga.

(*)I mutamenti intervenuti nella situazione internazionale in questo ultimo scorcio di secolo, e quindi il conseguente cambiamento degli equilibri politico-istituzionali sia interni che esteri, le trasformazioni in senso democratico degli Stati del cosiddetto "socialismo reale", la decadenza sul piano interno e la mancanza di una politica nazionale di difesa e sicurezza hanno reso necessario, secondo il Sen. Cossiga, una radicale riforma della Legge n. 801 del 1977. In tale contesto, il Sen. Cossiga ha presentato quattro progetti legislativi di riordino dei Servizi informativi e di sicurezza. Il Disegno di legge n. 345 propone un nuovo ordinamento degli Organismi informativi e di sicurezza basato sul modello cosiddetto britannico con contaminazioni, come si afferma nella relazione introduttiva al provvedimento, del modello statunitense. In particolare, il progetto di legge in esame adotta il criterio territoriale nella divisione dei compiti attribuiti ai Servizi informativi dal Legislatore. Il proponente, muovendo dal principio che i Servizi segreti sono efficienti solo se sono segreti, prevede la costituzione di un Servizio esterno nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri con dipendenza funzionale dal Ministero degli Affari Esteri, il quale dovrebbe svolgere compiti di intelligence e di counter-intelligence; un Servizio interno, nell'ambito del Ministero dell'Interno e responsabile anche del contro-spionaggio, con maggiori competenze nel settore del controllo finanziario, della proliferazione nucleare, chimica ecc.; e, infine, un Servizio di carattere militare nascente dalla fusione dei Servizi informativi delle Forze armate. La responsabilità politica generale, l'alta direzione della politica dell'informazione e della sicurezza nell'interesse e per la difesa esterna della Repubblica sono attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri che si avvale, per l'esercizio delle sue attribuzioni, del Segretariato generale e dei Comitati esecutivi. Inoltre, il Presidente del Consiglio presiede l'istituendo Comitato nazionale per le informazioni e la sicurezza (COMIS), organo collegiale politico che ha il compito di elaborare e pianificare la politica dell'informazione e sovrintendere all'utilizzo dei risultati dell'attività di intelligence. Nella relazione introduttiva al provvedimento in esame, una particolare attenzione è posta riguardo al reclutamento degli operatori dei Servizi che, secondo il Sen. Cossiga, deve rivolgersi al personale con professionalità specifiche nel campo economico e finanziario, tenuto conto del mutamento degli obiettivi e dei fabbisogni di intelligence.

DISEGNO DI LEGGE d'iniziativa del Senatore COSSIGA Nuovo ordinamento dei Servizi di informazione e di sicurezza Comunicato alla Presidenza il 26 maggio 1994 Onorevoli Senatori! - 1. Di fronte alla grave crisi dei nostri sistemi di informazione e di sicurezza e dello stesso apparato della difesa nazionale, e di fronte alla stessa crisi di identità che ancora travaglia il nostro Paese anche sul piano dei rapporti internazionali, e dopo il venire meno dei forti riferimenti quali l'occidentalismo, la NATO e la CEE, ritengono ancor più opportuno ripresentare un disegno di legge per la radicale riforma dell'ordinamento del sistema di informazione e sicurezza dello Stato, disegno di legge che, nelle sue linee essenziali, riproduce quello da me già presentato nella scorsa legislatura (atto Senato n. 1661). E ciò anche perché non è da attendersi una forte, seria, completa iniziativa politica del Governo in materia. 2. Tre ordini di motivi stavano e stanno tuttora alla base della inderogabile esigenza di rinnovare del tutto il nostro «sistema di informazione e sicurezza»:

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a) i mutamenti «epocali » degli anni 1989, 1990 e 1991, che con la «caduta» del comunismo internazionale, lo scioglimento del Patto di Varsavia, la dissoluzione del l'URSS, la trasformazione in senso democratico degli Stati del cosiddetto «sistema degli Stati del socialismo reale», e la nascita delle ceneri dell'«impero comunista sovietico», di nuovi Stati, sovrani, indipendenti, ad ordinamento democratico, in uno con la sconfitta o l'evoluzione in senso democratico-occidentale dei partiti che costituivano lo snodo e il collegamento politico ideologico e potenzialmente operativo (e soprattutto del partito e della potenza «leader», il PCUS e l'URSS) tra i Paesi comunisti (anche se con l'eccezione del Partito comunista italiano di Enrico Berlinguer), hanno radicalmente cambiato, anche per i mutamenti intervenuti nei rapporti tra Stati, la natura e la «qualità» del fabbisogno informativo e del «fabbisogno di sicurezza» del nostro Paese, nel declinare di vecchi targets informativi e delle vecchie «minacce» (spionaggio, sovversione e «infiltrazione» a motivazione ideologica, terrorismo internazionale, anche a scopi strategici di destabilizzazione, eccetera) e nel sorgerne di nuove (fondamentalismo islamico, proliferazione nucleare illegale, eccetera); b) il conseguente mutamento degli equilibri politico-istituzionali interni, con decisi e irreversibili passi verso la «riunificazione morale» del Paese e la riconquista di una «identità nazionale unitaria», come effetti del dissolversi della confrontazione politico-ideologica e anche potenzialmente militare tra i «due Paesi», - in cui il nostro era chiuso - le due legittimità politiche e le due lealtà patriottiche; c) la decadenza del «sistema» e di sicurezza vigente in parte per la sua insufficienza strutturale, in parte per la sua delegittimazione morale, in parte per insufficienza di motivazioni e di obiettivi per la mancanza di una politica nazionale di difesa e di sicurezza. 3. Il confronto Est-Ovest era caratterizzato dalla certezza e dalla esistenza di regole permanenti. Erano ben conosciute e tenute sotto controllo le minacce alla sicurezza dell'Occidente di natura prevalentemente militare, superato il periodo in cui avevano corso il rischio e anche il pericolo della «sovversione interna». In quel teatro il ruolo essenziale dei servizi era quello di dare il preavviso di un attacco. La garanzia militare americana, indispensabile per l'Europa ed il Giappone, frenava la competizione economica e politica sia tra essi, sia tra i medesimi e gli Usa. Il Terzo Mondo era influenzato dal confronto Est-Ovest; poteva «ricattarli» minacciando di schierarsi ora a favore dell'uno ora a favore dell'altro, determinando quindi un peso internazionale superiore alle sue forze, valutate in termini internazionali. Viveva insomma «sul conto» del confronto bipolare. 4. L'«elegante semplicità» del mondo bipolare è fortunatamente o «sfortunatamente» ora scomparsa. All'ordine di Yalta - che ha assicurato per cinquant'anni la grande pace a prezzo di piccole guerre e della libertà dei popoli dell'Est - è subentrato il «disordine democratico» dell'indipendenza delle Nazioni. Il cosiddetto «nuovo ordine mondiale» è forse già naufragato prima ancora di entrare in funzione: è (o era o fu?) basato su un progetto largamente utopico di tipo roosveltiano di grande alleanza (duopolio imperiale) tra Washington e Mosca. La disgregazione interna ha trasformato la Russia da «fattore di ordine» in un «rischio di instabilità». Nell'Est europeo si è creato un «vuoto di potenza» in cui domina l'incertezza e l'instabilità. Gli Stati europei stanno cercando di crearsi zone di influenza, anche per contrastare altre possibili nuove egemonie. L'unificazione tedesca ha radicalmente modificato gli equilibri in Europa (anche se gli europei fanno finta di non accorgersene) frenandone decisamente, almeno di fatto, il processo di integrazione, che potrà secondo molti, su un piano di realismo, riattivarsi solo con l'accettazione di una leadership, almeno economico-comunitaria, tedesca. Il Terzo Mondo conta sempre di meno: nessuno chiede più a un Paese non allineato di allinearsi! E poi, allinearsi con chi? All'improbabilità di una grande guerra in Europa si è sostituita la «terribile probabilità» di tante piccole guerre! Il mondo sta diventando multipolare, ma in modo disordinato; la competizione economica e tecnologica si è accresciuta; la sicurezza e l'insicurezza sono divenuti globali. La strategia non domina più la politica. La «storia» può dirsi essere ricominciata. L'Alleanza atlantica, con la perdita del nemico, ha visto diminuire la sua coesione. Gli USA non sono diventati isolazionisti; ma i loro interessi non sono più prevalentemente eurocentrici, ma si bilanciano tra l'Europa, le Americhe (NAFTA) e l'area del Pacifico, dove l'Est asiatico sta conoscendo un'enorme espansione economica. In sostanza, il mondo è divenuto più complesso, più incerto, più imprevedibile, più conflittuale in tutti i settori. Il «governo mondiale» dell'ONU si sta rivelando una tremenda utopia ed il suo esercizio inesperto, velleitario ed incerto semina lutti e morte. 5. L'Italia ha perso le rendite di posizione che possedeva durante la guerra fredda: l'«affitto» delle basi, l'allineamento filo americano nell'Alleanza, nell'Europa e nel Mediterraneo. Non può agire con l'impunità e la «occasionalità» di prima, nell'ambito delle grandi scelte - quella atlantica e quella europea - fatte alla fine degli anni '40. Essa non può più limitarsi a essere una «consumatrice di sicurezza», e di sicurezza prodotta

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da altri. deve diventare necessariamente una «produttrice di sicurezza», almeno in parte. Deve definire almeno il suo ruolo e i suoi interessi specifici, per non essere emarginata nella nuova organizzazione del mondo e nella nuova divisione internazionale della produzione. L'attrazione per l'est, da un lato e la «bomba» demografica e islamica del sud dall'altro lato, hanno diminuito l'interesse dell'Europa e della nato per il Mediterraneo; l'Italia quindi è più esposta e può contare di meno sui suoi alleati tradizionali per proteggere e per realizzare i suoi interessi e, confrontata a scelte decisive, fra le dimensioni globale marittima e continentale della sua politica estera, non sembra in grado e con la capacità di scegliere. La politica estera sta ridiventando centrale nel dibattito politico interno, come lo era stata alla fine degli anni '40, per quella atlantica e per quella europea. Non è più in gioco la nostra appartenenza all'Occidente, ma il modo con cui stare in Europa, nel Mediterraneo, nel mondo. Lo si vede nella nostra fatale incertezza rispetto alla politica da seguire nei Balcani, da dove veniamo non solo allontanati, ma addirittura «scacciati» anche dai cosiddetti «alleati». La situazione potrà ancor di più aggravarsi soprattutto in caso di contrasti fra i Paesi europei e gli Stati Uniti. Tali contrasti potrebbero infatti sottoporre a tensioni la stessa nostra unità nazionale, recentemente riconquistata. A fianco dei pericoli, o per meglio dire delle complicazioni prima evidenziate, la scomparsa del mondo bipolare presenta all'Italia anche delle opportunità. È caduto il «muro» interno; è scomparsa la contrapposizione fra la politica interna basata sul «consociativismo» e quella estera fondata sulla semplice omologazione dell'Italia nell'Occidente «anticomunista»; si è aperta la possibilità di nuovi rapporti con l'Est europeo e l'ex URSS. L'Italia ha quindi vinto anche essa la «guerra fredda», anche se non se ne è ancora accorta! Se vorrà accogliere l'opportunità offerta da tale partecipazione alla vittoria, i costi della politica estera e della sicurezza dovranno necessariamente aumentare. Un dibattito al riguardo diventa essenziale, quindi, per creare il consenso necessario tra le forze politiche e l'opinione pubblica. Solo così potremo influire sulle alleanze multilaterali di cui facciamo parte e che non costituiscono un fine in sè, ma soltanto uno strumento per meglio realizzare i nostri interessi nazionali di sicurezza e di prosperità, e la nostra visione del mondo e del sistema internazionale, se pur in una cornice di operante solidarietà. 6. L'incertezza e l'imprevedibilità delle situazioni da un lato, e l'autonomia di decisione nazionale dall'altro, impongono l'esistenza di strumenti adeguati. Essi sono di natura sia istituzionale (pianificazione a lungo termine della politica estera e delle forze, capacità di gestione delle crisi, eccetera), sia di difesa militare di sicurezza (security), sia «operativa» (militare, economica, finanziaria, scientifica, eccetera). Quanto maggiore è l'incertezza, tanto più è necessaria la disponibilità di un intelligence e di una security efficienti. Per decidere occorre infatti conoscere, comprendere, prevedere e quindi provvedere. Tutti gli altri Stati europei lo hanno: essi stanno infatti ristrutturando e potenziando i loro Servizi di intelligence and security: dalla Francia alla Germania, dal Regno Unito agli Stati Uniti, dalla Federazione russa ai nuovi Stati democratici dell'ex Est europeo. I Servizi di informazione e sicurezza sono essenziali per l'autonomia di ogni Stato e quindi per la sua indipendenza e il suo livello di democrazia reale (se manca una intelligence nazionale, mancano i presupposti per far sì che le scelte fatte siano veramente autonome e non eteroreferenziali o eterodirette). L'informazione è forza; e forza è la security anche in termini di politica nazionale. Tutti gli Stati ne sono gelosi custodi. Con una opportuna «manipolazione» o «influenza» si possono ottenere risultare politici notevoli, modificando le posizioni e quindi le decisioni anche degli alleati. È per questo che i servizi di intelligence, a differenza di quelli di security, non sono stati mai integrati o solo coordinati, neppure in ambito NATO né in ambito CEE. Nessuna organizzazione internazionale ne dispone. Ne dispongono solo gli Stati, perché i Servizi costituiscono una componente indispensabile per rendere effettiva e operante la sovranità. 7. I fabbisogni di intelligence sono profondamente mutati rispetto al mondo bipolare. Poiché la competizione è diventata globale, anche l' intelligence (e in particolare la security intelligence) deve divenirlo, estendendosi al campo politico, economico, scientifico, finanziario, e così via. Nel periodo del confronto bipolare era prevalentemente militare o anti-collaborazionista. Ora non è più così. Si è estesa ai fenomeni migratori, alla grande criminalità organizzata, al terrorismo, alla droga, alla competizione geo-economica che ha sostituito fra i paesi industrializzati quella geo-strategica, cioè militare. Costituisce una cornice sia informativa che di sicurezza degli interventi all'estero, come è avvenuto recentemente in Somalia, dove il fallimento, anche italiano, anzi specialmente italiano, è stato totale. L' intelligence non può fondarsi solo su «fonti aperte», che sono sempre controllate e sottoposte a censura e manipolazione, anche a fini di «intossicazione» soprattutto in caso di competizione. Occorre penetrare nelle informazioni politiche e diplomatiche, industriali, economiche e finanziarie, commerciali e tecnologiche

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altrui, specie quelle riservate, e proteggere gelosamente le proprie. L'apparizione degli etno-nazionalismi ha esteso enormemente il campo dell'intelligence strategica, estendendola dalle scienze umane all'antropologia, dalla economia alla sociologia, dalla storia alla geo-politica. Un altro aspetto fondamentale che contraddistingue i «sistemi d'intelligence» attuali rispetto a quelli del passato, è rappresentato dalla enorme «compressione dei tempi». Se non si riescono a prevedere tempestivamente le situazioni di crisi (ogni crisi è sempre sia un pericolo che una opportunità!), prevale il pericolo e non si possono sfruttare le opportunità. Si viene travolti dal ritmo degli eventi senza potere influire sulla loro evoluzione. Con i rapidi cambiamenti del contesto internazionale, sia tecnologico che anche interno (?) non sono più affidabili previsioni a lungo termine. Occorrono capacità di intelligence in tempo reale molto più specializzate di quelle del passato, per poter e saper cogliere le interdipendenze fra i vari aspetti e fonderle in valutazioni globali, da aggiornare in continuazione come base fattuale di decisioni razionali. Non è possibile basarsi su «fonti aperte» né sulla pur necessaria integrazione nei servizi di intelligence governativa di scienziati, imprenditori, economisti, geografi, archeologi e così via. Specie in situazioni conflittuali, qualsiasi Governo mantiene «coperti» gli assetti cruciali delle proprie decisioni, se non altro per evitare le vulnerabilità derivanti semplicemente dalla sola diffusione di informazioni riservate, che sono poi quelle più rilevanti, e dalla fornitura delle relative chiavi di lettura. Parimenti ogni Governo necessita, ad esempio, per la lotta alla criminalità organizzata o negli interventi nei conflitti etnici, di operazioni covert, che solo i servizi di informazione e di sicurezza possono fare. Esse non sono delegabili ai normali organismi diplomatici o di polizia. Infatti, pur essendo «legittime» (ma in questo spazio legittimità non sempre coincide con legalità, né tantomeno con correttezza!), poiché decise dai Governi secondo procedure ben definite ed entro limiti ben precisi e derivanti da stati di necessità, sono operazioni sostanzialmente «illegali» dal punto di vista del diritto internazionale di pace, da quello dei diritti interni dei Paesi in cui si compiono e anche del Paese da cui vengono compiuti. Devono essere quindi affidate a organismi del tutto particolari, che non abbiano il dovere di riferire all'autorità giudiziaria, come avviene per le forze di polizia, o delle cui azioni i Governi possano, se necessario, negare ogni responsabilità. 8. Come sono cambiati i targets, cioè gli obiettivi dell'intelligence così sono cambiati i targets della security e cioè le minacce da fronteggiare. Essi erano per i Paesi dell'Alleanza atlantica: la minaccia militare e anche quella politica dell'Est. Tra le minacce, occorre ricordarlo, vi era il comunismo internazionale, le organizzazioni pubbliche comuniste, e quelle cripto o para-comuniste, sorrette in alcuni Paesi, dalla frantumazione del concetto di «Patria», dalla bipolarità della legittimazione e della lealtà, anche patriottica. Sarebbe bene che i partiti e gli uomini di Governo democratico che hanno sostenuto questa politica e l'hanno attuata lo ammettessero. Nel rapporto per la riforma del Servizio di sicurezza (MI5) britannico è sicuramente riconosciuto e apertamente dichiarato, che l'organizzazione comunista e para-comunista nel Regno Unito, fossero i Governi conservatori o laburisti, e le organizzazioni comuniste britanniche hanno costituito per quarant'anni uno degli obiettivi principali dell'attività del Servizio! E ciò sotto il profilo di un «affiancamento» all'intelligence sovietica, non tanto nella raccolta di informazioni quanto nell'attività di «influenza». Questo spiega anche l'immagine che dei movimenti comunisti fu costruita dalla military security o da altre forme di ingerenze militari nell'Alleanza atlantica, per la possibilità che in caso di invasione sovietica dell'Europa, così come era successo in Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e specialmente Cecoslovacchia, i vari partiti «comunisti» e operai fornissero «legittimazione» all'ingerenza sovietica anche mediante - come è accaduto - l'assunzione del potere interno. 9. In questo quadro si comprendono essere «specularmente» legittimi e illegittimi alcuni fatti: come ad esempio il finanziamento della Democrazia cristiana da parte della CIA e del Partito comunista italiano dal PCUS tramite il KGB; Stay-Behind e le organizzazioni di protezione collegate con il KGB; Radio-Praga con il «movimento di Monfalcone» e così via. ma tutto questo è ormai finito. 10. Altre minacce sono: la grande criminalità organizzata, vero pericolo per la legalità interna e internazionale e per una ordinata vita finanziaria e quindi il traffico internazionale di droga, il traffico di armi e la proliferazione nucleare clandestina, il fondamentalismo islamico, eccetera. 11. La redazione di quel disegno di legge era stata sollecitata anche da un'affrettata iniziativa del Governo, che aveva prodotto un disegno di legge inadeguato, sommario e incompleto, con cui si era voluto, appunto, rispondere nella forma positiva di una controproposta, radicalmente differente.

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12. Si ricorda brevemente che, nella XI legislatura, nella sede delle Commissioni permanenti riunite 1ª e 4ª, si procedette ad un approfondito esame e dei disegni di legge ora richiamati e di altre iniziative parlamentari riguardanti la stessa materia. Si giunse così in sede di Comitato ristretto alla elaborazione di un testo unificato con il quale, pur non aderendo puntualmente alle proposte contenute nel disegno di legge da me presentato, venne peraltro respinta l'impostazione di fondo del disegno di legge governativo. Tale testo unificato venne poi proposto dalle Commissioni riunite all'Assemblea del Senato che lo approvò in data 12 gennaio 1994. In quella circostanza il Governo, nel prendere atto, alla luce dell'imminente scioglimento delle Camere, della impossibilità di concludere l'iter del provvedimento presso l'altro ramo del Parlamento, manifestava l'intenzione di fare proprio il testo approvato dall'Aula del Senato con la emanazione di un decreto-legge, che poi invece non venne emanato. Per chiarezza di esposizione ritengo utile ricordare quali furono i rilievi da me mossi al disegno di legge governativo: a) la confusione assoluta sul piano delle attribuzioni e delle responsabilità delle autorità politico-costituzionali e amministrative: l'intreccio di competenze tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno, il Direttore della cosiddetta Agenzia e i Capi dei cosiddetti Servizi esterno e interno, era totale. E la confusione, pericolosa sempre, è pericolosissima in un campo nel quale, configurandosi in realtà una distinzione effettiva tra legalità e legittimità, la principale garanzia democratica è data dalla chiara e individuale responsabilità politica e amministrativa; b) era stato adottato un modello ibrido di organizzazione, in cui i difetti del sistema «monistico», si sommavano con quelli di un sistema «binario» imperfetto, senza combinarne i pregi; c) esaminando gli ordinamenti dei paesi democratici, compresi quelli che, venuto meno in essi il regime comunista sovietico, si sono dati, anche in questo campo, nuovi ordinamenti, la riforma proposta sembrava aver preso quale modello, in base a documentazione facilmente acquisibile, la famigerata STASI della ex DDR! Tutti gli Stati democratici infatti adottano un sistema fondamentalmente «binario», con due servizi principali, le cui competenze sono determinate secondo un criterio prevalentemente territoriale («interno» ed «esterno»), integrato anche da quello «funzionale» per lo più («difensivo» e «offensivo»). Il sistema binario è spesso contemperato da un particolare riguardo alla specificità della informazione militare e della raccolta radioelettronica dell'informazione (signals Intelligence - SIGINT ed Electronic Intelligence - ELINT): di tutto ciò non si teneva assolutamente conto nel disegno di legge del Governo; d) considerato che l'attività dei servizi di informazione non è una «attività convenzionale» o di polizia, si poneva e si pone il problema di realizzare rispetto ad alcune forme necessarie di essa (intercettazioni, perquisizioni, intrusioni) forme di garanzia giudiziaria e politica: di tale argomento non si trattava; e) sul piano del personale, non si traeva alcuna esperienza dalle pratiche negative dell'assunzione per comando e dalla pratica dell'«entra-esci», con gravi e lesivi effetti da un punto di vista delle carriere. In tutti i Paesi quella della «gente» del servizio informativo è una sofisticata professione, che richiede qualità culturali e tratti psicologici specifici e che è incompatibile con quella forma di «dilettantismo carrieristico» cui ancora il disegno di legge del Governo si conforma; f) nel disegno di legge del Governo, si riscontrava poi una grossa approssimazione nell'uso di termini che sono ormai internazionalmente «standardizzati», e che è ancora oggi causa di confusione e può essere anche motivo di scarsa intellegibilità nei rapporti internazionali. 13. Premessa questa sommaria ricostruzione del lavoro parlamentare della scorsa legislatura, occorre brevemente osservare che il problema della disponibilità da parte dello Stato di adeguate fonti di conoscenza e di mezzi di difesa, è essenziale non solo per le politiche di difesa nazionale e di tutela della sicurezza interna, ma altresì per l'elaborazione e l'attuazione della politica globale del Governo, specie nei confronti dell'estero o in relazione a "situazioni estere". Fatti come quello dell'Agenzia di Atlanta della Banca nazionale del lavoro forse si sarebbero evitati, o si sarebbero potuti tempestivamente accelerare o se ne sarebbero forse limitati gli effetti, se si fosse disposto di servizi (ad esempio con l'adozione di un'adeguata politica della sicurezza e dell'informazione e con l'assegnazione di mezzi e personale idoneo al pur volenteroso SISMI), posti nelle condizioni di poter operare secondo le esigenze di uno Stato moderno per la tutela della totalità dei suoi interessi nazionali, compresi quelli economici, finanziari e scientifici. E le critiche potrebbero ulteriormente svilupparsi. 14. La disciplina che con il presente disegno di legge si propone e l'ordinamento dei servizi che si prospetta non hanno invero alcun carattere di originalità.

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Si tratta infatti della trasposizione, certo con qualche adattamento, ma talvolta quasi con una traduzione letterale di testi normativi essenzialmente francesi, britannici, russi e americani, dei modelli di Paesi alleati e amici. Si confronti infatti a tal fine l'allegata documentazione sull'ordinamento dei Servizi in alcuni Paesi esteri. Il modello cui si fa riferimento è quello comune, sia pure con distinzioni, a Francia, Germania, Stati Uniti d'America, Regno Unito e Federazione russa. Per maggiore puntualità, si precisa anzi che i modelli assunti quasi testualmente sono fondamentalmente due: quello britannico, con una contaminazione con il modello degli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda la specificazione dei compiti delle attribuzioni, e il modello francese, con gli adattamenti appropriati all'ordinamento istituzionale italiano. Per esigenze di drafting si presentano due distinti disegni di legge una normativa ispirata prevalentemente al modello britannico americano, mentre l'altro analogo disegno di legge, avente per titolo riordino dei servizi di informazione e di sicurezza, si ispira quasi totalmente al modello francese 15. Serve una breve introduzione sui principi fondamentali di un nuovo ordinamento. I Servizi segreti sono efficienti solo se sono segreti. Questo limita la possibilità di controllo, di dettaglio sul loro operato. Deve esistere un rapporto fiduciario fra i responsabili politici e i vertici dei servizi. Il controllo non può prioritariamente che essere interno. Perché poi i Servizi servano veramente, occorre che vengano utilizzati effettivamente ai fini della presa di decisione del Governo nelle scelte fondamentali e dei singoli Ministri nei settori di rispettiva pertinenza. Deve esistere un organismo unitario, nonostante la pluralità, specificità e indipendenza dei singoli servizi (vedasi infra) che raccoglie i fabbisogni di intelligence e di sicurezza dei vari utilizzatori, che fonda le notizie settoriali e che possieda una "cultura" sufficiente per comprenderne il significato. In sostanza, è un organismo di pianificazione, di diffusione e di utilizzazione intrasettoriale dell'attività d'intelligence e di sicurezza. Esso va necessariamente collocato, quindi, nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri. È su esso che va prioritariamente collocato con il controllo parlamentare. 16. L'ordinamento dei servizi informativi e di sicurezza è diverso nei vari Stati a seconda dell'ordinamento istituzionale e del ruolo internazionale di ciascuno. I principali schemi organizzativi adottati sono i seguenti: a) ripartizione dei Servizi per settori verticali o per materia: servizio politico economico, servizio militare, servizio di sicurezza interna (compreso o no il contro spionaggio «difesa» e talvolta servizio di informazioni tecniche (TECHINT), cioè elettronico (ELINT e SIGINT) e di ricognizione satellitare (IMINT); b) ripartizione dei servizi per fasce orizzontali: servizio esterno e servizio interno; c) unitarietà dei servizi (come erano SIM e SIFAR); è un modello organizzativo che si tende ad abbandonare, data la difficoltà di contemperare la collocazione in un solo Ministero e la flessibilità di utilizzazione da parte di tutti gli utenti. tutti i sistemi presentano propri vantaggi e svantaggi. Tutti possiedono comunque degli organismi che consentano il raccordo diretto con le istituzioni più direttamente interessate (Presidenza del Consiglio, Esteri, Interno e Difesa). 17. Esaminando il caso italiano, anche in relazione alla particolare cultura istituzionale e alle peculiari caratteristiche del nostro Paese, nonché i presumibili fabbisogni quali quantitativi di intelligence, appare logico: a) rinunciare a un servizio unico ma prevedere solo una unitarietà della pianificazione e della gestione della intelligence a livello di Presidenza del Consiglio dei ministri; b) prevedere un servizio esterno (nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri con dipendenza funzionale dal Ministero degli affari esteri come nel Regno Unito, ma sempre con una netta separazione fra l'attività diplomatica e quella di intelligence); un servizio interno, nell'ambito del Ministero dell'interno e responsabile anche del controspionaggio militare interno; c) ripartire i mezzi tecnici (ELINT e IMINT) fra il servizio interno e il servizio militare (che opererebbe anche a favore del servizio esterno). 18. Il Servizio militare (fusione dei servizi informativi e forze armate - SIOS a livello di Stato Maggiore Difesa ad accentramento di mezzi SIGINT, ELINT e IMINT) dovrà dare maggiore spazio del passato alle discipline soft (scienze umane) specie in relazione ad interventi nei conflitti etnici. Il servizio interno dovrà essere ristrutturato completamente anche a seguito del caso SISDe, della costituzione della DIA e della maggiore internalizzazione dei servizi di intelligence delle varie Forze di polizia. Dovrà disporre di

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maggiori competenze nel settore del controllo finanziario (non solo «denaro sporco», ma anche investimenti esteri specie in settori tecnologici chiave) e dei controlli anti-proliferazione nucleare, chimica, estera. Il Servizio interno va comunque mantenuto ben distinto dagli organi investigativi. Il Servizio esterno dovrà comprendere delle reti gravitanti nelle aree di maggiore interesse geopolitico dell'Italia. Particolare importanza dovrà essere data alle competenze nei settori economico e finanziario. Si tratta di reclutare personale con professionalità specifiche diminuendo l'enfasi sinora data sugli aspetti militari. 19. Per conferire efficienza ai Servizi italiani, ampiamente «criminalizzati» per motivi ideologici durante la guerra fredda, ricorrenti alle ben conosciute tecniche della «teoria del complotto», o per reali scandali tipo Sisdegate, occorre per prima cosa però un recupero della cultura operativa dello Stato, incentrata sulla definizione di dettaglio e sul dibattito democratico sugli interessi nazionali. Esso è ora reso possibile dalla fine del conflitto ideologico interno, anche se è ancora contrastato dalla permanenza di un certo «ecumenismo», «missionarismo» e «terzomondismo» di maniera, che evitano la considerazione dei problemi concreti, per dibattere accademicamente sui «massimi sistemi». Occorre in secondo luogo rivederne le strutture e soprattutto raccordarli alle esigenze dell'«utenza» sia generale, a livello di governo, sia specializzata, per i singoli ministeri. Occorre in terzo luogo, reclutare personale specializzato nei nuovi settori dell'intelligence soprattutto in campo economico, finanziario e tecnologico. Occorre in ultimo - ma questo è il settore fondamentale - ridare ai Servizi legittimità, opponendosi fermamente ad ogni loro… ingiustificata «criminalizzazione». I responsabili politici devono proteggerne la specificità e pretenderne insieme l'efficienza, esercitando un controllo illuminato, che costituisce presupposto ineludibile per un'efficace riforma e potenziamento di una branca sempre più fondamentale per una reale autonomia nazionale. 20. Ecco nel dettaglio i criteri della riforma proposta sul piano delle responsabilità politiche: a) è configurata una responsabilità politica di alta direzione ai ministri competenti in via generale nelle materie cui l'informazione e la sicurezza sono più collegate: il Ministro dell'interno, responsabile della politica dell'ordine e della sicurezza pubblica, il Ministro degli esteri (in alcuni Paesi, infatti, l'autorità politica competente per l'«informazione» è quella competente in materia di affari esteri: ad esempio nel Regno Unito); b) a livello di organo di coordinamento, alla sovraordinazione gerarchica e funzionale di una unitaria e unica autorità amministrativo-burocratica, si è preferito - anche a evitare anomale concentrazioni di potere - un coordinamento dei risultati delle attività: e cioè l'istituzione non di un «Grande Fratello» o di un «Grande Orecchio», ma quella di un esperto o meglio di un gruppo di esperti che, coordinando l'intelligence prodotta dai servizi attraverso la raccolta di informazioni «non altrimenti ottenibili» in modo non convenzionale, e la raccolta di informazioni raccolte in modo convenzionale, informazioni di fonte diplomatica, informazioni di enti o soggetti che operano in campo economico, finanziario, scientifico, eccetera, esame delle pubblicazioni scientifiche, politiche, economiche (cosiddetta «informazione aperta»), produca una intelligence globale e completa, necessaria e utile per la formulazione e l'attuazione delle varie «politiche» del Governo: politica della difesa nazionale, politica scientifica, economica, finanziaria, e industriale, eccetera; d) il modello fondamentale proposto è fondamentalmente quello binario, con l'adozione prevalentemente del criterio territoriale «estero-interno»: l'unico che possa evitare o almeno limitare i conflitti, ma integrato - secondo il modello americano e tedesco - con quello funzionale («informazione» o «attività offensiva» e «contro informazione» o «attività difensiva»). 21. Si prevede così un servizio che svolga all'estero tutti i compiti di intelligence e di counter-intelligence, e un servizio che svolga all'interno tutti i compiti di counter-intelligence e in generale di tutela della sicurezza interna (contro-sovversione, anti-terrorismo, antisabotaggio): al servizio «esterno» vengono attribuiti anche compiti di intelligence, relativi a «situazioni estere» pur all'interno del territorio, anche se in modo coordinato con l'attività del Servizio interno. Il modello «binario» è stato temperato - come negli Stati Uniti d'America, nella Federazione russa e in Germania - con l'istituzione di un servizio militare, costituito mediante la fusione dei servizi informativi di Forza armata (SIOS). 22. Un'attività di grande rilevanza - e il cui esercizio è stato oggetto di vaste critiche e di profonda diffidenza - è quella della cosiddetta «tutela passiva del segreto», e cioè dell'insieme di disposizioni, di

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misure e di procedure, relative a persone e cose, predisposte alla tutela del segreto di Stato, nonché all'insieme degli uffici, centrali e periferici, istituiti a tal fine e che costituiscono la cosiddetta «Organizzazione nazionale per la sicurezza», istituita e funzionante da anni nel nostro Paese, anche in attuazione di accordi internazionali (Alleanza atlantica, NATO, CEE, UEO, Cooperazione bilaterale Italia-USA, eccetera); e ciò in conformità e tutela del «segreto comunitario», di cui lo Stato italiano non ha, da solo, la disponibilità. 23. È questo il momento di dare, come in Francia, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, una più chiara, certa ed elevata base legale a questa organizzazione e a questa attività. Vi è ormai la possibilità e la opportunità di ampliare, con tutta tranquillità, l'ambito del controllo, in ispecie parlamentare, su attività che, necessarie allo Stato ma ad alto grado di rischio, richiedono appunto un appropriato controllo anche per poter essere «più garantite» nel loro svolgimento. 24. Nel disegno di legge si sono poste anche le basi per un ordinamento più chiaro dei servizi di intelligence della Guardia di finanza e dei servizi di sicurezza interna delle Forze armate e in generale di polizia militare. Non si dimentichi, infatti, che la prima deviazione dei servizi, e cioè la concentrazione nel SIFAR anche delle funzioni di controspionaggio politico e di tutela della sicurezza interna e praticamente cioè della polizia politica, avvennero con inavvertite modifiche delle «Istruzioni di polizia militare»! Per quanto riguarda la «Organizzazione nazionale di sicurezza», e cioè la «tutela passiva del segreto», sia «nazionale» che «comunitario», si sono riportati (largamente a memoria) i princìpi e le norme fondamentali di carattere interno, che hanno disciplinato fino ad ora la materia, anche in documenti eccessivamente «classificati»! 25. Il proponente è ben consapevole di come anche il suo disegno di legge possa essere approssimativo e imperfetto. Ma esso per la sua natura e il suo scopo originari di «contro progetto», vuole essenzialmente richiamare l'attenzione degli onorevoli colleghi sulla necessità di un accurato esame del problema, anche mediante la conoscenza delle soluzioni adottate negli altri Paesi, e di un'attenta e meditata elaborazione della nuova disciplina dell'organizzazione e dell'espletamento di compiti e funzioni essenziali per la difesa, la sicurezza interna e la tutela degli interessi fondamentali dello Stato e della comunità, in regime democratico in uno Stato di diritto. Ciò è reso ancor più necessario e urgente dal radicale mutamento della situazione politico-strategica internazionale, in cui sempre più rilevanza e autonomia assumono gli interessi nazionali anche nel campo dell'informazione e della controinformazione, nonché dalla grave crisi politico-istituzionale che caratterizza questa non breve fase della vita del nostro Paese. 26. Su gli articoli 1 e 2 (…politica-pianificazione del «fabbisogno informativo e di sicurezza. Pianificazione operativa generale»). a) Nel processo «informativo di sicurezza», momento importante è quello costituito dalla individuazione del «fabbisogno nazionale» dell'informazione e della sicurezza, dalla concreta individuazione degli obiettivi da raggiungere, e dalla pianificazione «politica-operativa» corrispondente. Sono questi i compiti che devono essere affrontati in uno stato democratico da autorità politiche responsabili, anche se con il consiglio tecnico di organi amministrativi, diplomatici, militari, di polizia, eccetera. Per questo l'impianto e la sovrintendenza della politica di informazione e sicurezza non può che far capo al Presidente del Consiglio dei ministri che per l'esercizio delle sue attribuzioni dovrà poter contare su una specifica e adeguata struttura: nel progetto, il segretariato generale. L'istituzione di un organo collegiale politico quale è il Comitato nazionale per le informazioni e la sicurezza è conforme alla struttura eminentemente collegiale del nostro sistema di Governo, e alle esigenze di una specifica collaborazione a livello di Ministri nell'elaborazione e pianificazione delle politiche di informazione e sicurezza. Questo tipo di struttura politico-istituzionale è opportuna e necessaria per l'attuazione del necessario «cartello» e per l'utilizzazione dei risultati dell'attività informativa e di sicurezza. 27. Su gli articoli 3 e 4 (Organo di supporto dell'Autorità politica centrale e di coordinamento). a) Gli articoli 3 e 4 disciplinano l'ordinamento e le attribuzioni del Segretariato generale dei Comuni esecutivi. Nel «processo» informativo e di sicurezza, è importante il momento del coordinamento delle attività, che a mio avviso è più realistico e più «responsabilizzato» che non il coordinamento, di carattere giuridico, degli organi operativi. Questo coordinamento deve riguardare in modo proprio la raccolta delle informazioni e l'esercizio delle

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attività. I servizi di informazione sono «ordinati» all'acquisizione prevalentemente di informazioni «non altrimenti ottenibili» e cioè all'«informazione coperta»; ma un'informazione globale, qual è quella di cui il Governo necessita, deve essere la combinata della «informazione coperta» e della informazione «aperta»; la prima si acquisisce da fonti «occulte», la seconda da fonti «aperte», le più varie, dalla stampa periodica e dalle pubblicazioni scientifiche, alle notizie raccolte da istituzioni pubbliche (il Ministero degli esteri, l'ICI, il Ministero dell'industria) o anche da soggetti privati nazionali: industrie, banche, organismi scientifici, eccetera). L'istituzione di due distinti Comitati esecutivi, uno per l'informazione e l'altro per la sicurezza, adottati nel progetto ad imitazione degli ordinamenti esteri, risponde alla diversa natura degli obiettivi della «politica d'informazione» e della «politica di sicurezza», e alla diversa natura e conseguenti diverse modalità delle attività da esse ordinate. Diversa è infatti l'acquisizione di informazioni all'estero e diversa l'attività di contenimento della «minaccia» all'interno, cui debbono collaborare ad esempio tutte le Forze di polizia. Spetterà al Segretario generale «collegare» i risultati dell'attività dei due comitati, da tenere distinti anche in relazione alla distinzione e separazione, da mantenere ben ferma tra «attività di informazione e di sicurezza» e «attività di polizia». 28. Su gli articoli 5, 7, 9 e 19 (Costituzione dei Servizi). Il progetto si conforma al modello binario contemperato. Si prevede infatti la costituzione di due servizi «generali» e di un servizio specializzato di carattere militare. Per la divisione dei compiti, si è fatto proprio il criterio più semplice e ormai universalmente adottato: quello territoriale, che a ben vedere risponde anche, e quasi combacia, con quello funzionale («offensivo» o intelligence, e «difensivo» o counterintelligence ). La letteratura al riguardo dimostra che i compiti «informativi» (e anche «controinformativi») all'estero, e quelli «controinformativi» e di «tutela della sicurezza all'interno» richiedono modalità operative, tecniche e mezzi, nonché preparazione e si potrebbe dire anche background culturale e profilo psicologico dei rispettivi agenti, profondamente diversi. Un alto funzionario dei «servizi speciali» alleati richiamò una volta la mia attenzione sul fatto che, per dirla in soldoni, lo spionaggio richiede doti particolari quali la fantasia, la capacità di recitare e di improvvisare, particolari doti fisiche, mentre il controspionaggio richiede, soprattutto metodicità, pazienza e capacità di osservazione e analisi. A imitazione dell'ordinamento francese, e in parte americano, si è ritenuto di affidare al servizio esterno anche i compiti «informativi» all'interno e cioè la raccolta non convenzionale di informazioni non altrimenti ottenibili, relative a situazioni estere nell'ambito dei confini nazionali, per il carattere unitario della «politica informativa» e dei metodi, mezzi e «regole» per la relativa attività di ricerca. Come è già stabilito negli USA, nel Regno Unito, nella Federazione russa e ora anche in Francia, si ritiene necessario e opportuno integrare il sistema dei due servizi generali con un servizio specializzato, quello militare per le particolari esigenze del Ministero della Difesa, sia quelle proprie del Ministro da un lato che dello Stato Maggiore e della Direzione nazionale degli armamenti dall'altro. 29. Su gli articoli 6, 8 e 9 (Ordinamento dei Servizi). Gli articoli dettano norme largamente simili tra loro, relative all'ordinamento e all'organizzazione dei servizi. La configurazione dei due servizi principali «a competenza generale» quali «agenzie governative autonome», è prefigurata per garantire a essi le specialità ordinamentali e organizzative loro necessarie, anche sul piano formale, per l'espletamento delle loro attribuzioni e per sottolineare che essi, non sono «estradizioni settoriali», ma soddisfano a esigenze dell'intero governo della Repubblica nell'elaborazione e nell'attuazione delle sue «politiche». Si sono previste norme più specifiche di quelle oggi in vigore per la collaborazione tra i servizi, ma sempre secondo le direttive e sotto la responsabilità dell'autorità politica. 30. Sull'articolo 10 (Attribuzioni dei Servizi). I Servizi non sono servizi di polizia giudiziaria, né ai loro agenti sono conferite le attribuzioni di agenti o ufficiali di polizia generale. La distinzione netta tra «servizi di intelligence» e «servizi di security» da un lato e servizi di polizia, detta speciale o «politica» dall'altro, ormai comune alla più parte degli ordinamenti esteri, corrisponde a una profonda differenza di obiettivi, modalità di azione e regole, «cultura» tra le due categorie di amministrazioni dello Stato.

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Infatti, gli obblighi dei servizi sono essenziali, sul piano sia esterno che interno, quello di «conoscere», in particolare ciò che non è «normalmente» conoscibile e cioè che è coperto da segreto o viene svolto ed attuato in forma occulta e quindi di «contrastare» e «neutralizzare» le minacce alla sicurezza nazionale, specialmente quando non le si possa, o non sia opportuno, «contrastare» e «neutralizzare» con i mezzi ordinari di polizia o giudiziari. Inoltre - e si ripete qui quanto sopra già detto - vi sono informazioni da acquisire che, per aver caratteri di normalità «giuridica» - non sarebbe opportuno, e forse neanche lecito, far acquisire ai Servizi di polizia e in particolare a quelli di polizia giudiziaria: ad esempio informazioni circa la penetrazione estera nel campo finanziario nazionale o della proprietà o controllo dei mezzi di informazione, attività ed iniziative che, se pur giuridicamente lecite, all'interno dell'Europa (pensiamo al principio della libera circolazione dei capitali, al diritto di «stabilimento», eccetera) potrebbero costituire una «minaccia» all'autonomia della vita politica, economica e finanziaria della comunità cioè, l'ambito degli interessi dello Stato «giuridicamente proteggibili». Da ciò deriva una profonda differenza tra i tipi di attività svolta dalle due categorie di servizi, in ordine anche al loro carattere di attività «aperte» o di attività «coperte». E anche un diverso rapporto, in ordine alle loro attività, tra i principi di legittimità e di legalità, ove prevalente è quello di «legittimità dei fini» nel campo dell'attività dei servizi mentre non solo prevalente ma esclusivo è, specie in uno stato di diritto, il «principio di legalità» nei confronti di quello di «legittimità» nell'attività giudiziaria. Diversi gli obiettivi, diversi i metodi, diversi i mezzi, diverse le «regole» quindi tra attività dei «servizi di polizia di sicurezza e di polizia giudiziaria». E diversa è la «cultura» che è dietro all'attività delle differenti amministrazioni nell'esercizio dell'attività di polizia di sicurezza e di polizia giudiziaria; sono i fatti configurati dalla legge come reati, e le responsabilità penali dei singoli, che devono costituire oggetto esclusivo dell'azione nella prevenzione di essi o se commessi nella ricerca di prove, secondo le regole del «giusto procedimento secondo il diritto» senza spazio per «ipotesi» e teoremi. Nell'attività dei servizi di informazione e sicurezza invece più ampia e legittima è l'elaborazione dei «teoremi» e di «scenari», cosa invece che, lo si ripete, oltre che «ultronea», si è rivelata assai perniciosa in molti casi di attività della polizia giudiziaria e della stessa autorità giudiziaria, ove non induttivamente da fatti si è arrivati a «giudizi», ma ai giudizi si è arrivati deduttivamente dai «teoremi», ricercando solo dopo i fatti, e quelli più opportuni a dare una dimensione di «realtà» all'«ipotesi» prescelta, in nome spesso di una aprioristica scelta o giudizio meta-giuridico, o «storico» o «politico», dei valori da tutelare o realizzare. Naturalmente necessaria è, ed infatti qui si prevede, la collaborazione tra servizi, polizia e autorità giudiziaria, ma senza «contaminazioni» che snaturino i servizi, in prestazioni e attività, o peggio «inquinino» l'attività di giustizia. Nel disegno di legge si è ritenuto opportuno prevedere la possibilità del conferimento della qualifica di ufficiale o agente di pubblica sicurezza agli agenti dei servizi, sia al fine di una loro "copertura", sia per ridurre i casi in cui si debba agire "non convenzionalmente" in un rapporto esterno il più possibile sottoposto al principio di legalità, sia per attribuire ai servizi la competenza ed i poteri per l'autotutela "legale" della loro organizzazione, delle loro infrastrutture e del loro personale. 31. Su gli articoli 11 e 13 (Attribuzioni particolari dei servizi. Controlli sulle loro attività). (1) Le norme contenute in questi articoli hanno per scopo di garantire il massimo di legalità alle operazioni dei servizi, tenendo pur sempre conto delle diversità che intercorrono tra le attività dei servizi di informazione, e quelle dei servizi di controinformazione e in generale di tutela della sicurezza interna dello Stato, all'interno del territorio di esso. (2) Non si può infatti ipotizzare un'attività di un servizio di sicurezza che, al fine della raccolta di informazioni, non compia intercettazioni, ispezioni, perquisizioni e non acquisisca, particolarmente in modo tale che l'obiettivo non venga a saperlo, la informazione e la documentazione "di interesse". Queste operazioni non possono necessariamente essere assoggettate al regime giuridico comune, equiparandole cioè alle analoghe operazioni proprie dei servizi di polizia giudiziaria: e ciò, sia perché non vi è coincidenza tra le due sfere di interessi da tutelare, di cui molti "non giuridicamente tutelabili", sia per la garanzia di particolare riservatezza da cui le operazioni dei servizi devono essere assistite. (3) Nel precedente ordinamento, pur dandosi per scontato che il Servizio di sicurezza interno (alias SISDe), per l'espletamento dei suoi compiti, dovesse svolgere attività di intercettazione delle comunicazioni telefoniche, telegrafiche e postali o di intercettazione ambientale, anche mediante intrusione occulta e non autorizzata in ambiti privati (altrimenti non si spiegherebbe l'esistenza stessa di un servizio di sicurezza!), si preferì adottare, con generale tacito consenso, la soluzione legislativa del "silenzio", e cioè della "illegalità

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che non si dovesse far scoprire", piuttosto che la formula delle attività occulte, ma autorizzate e non punibili, sottoposte però al massimo di garanzie politiche, ed anche giuridiche conformemente ai principi della Costituzione. (4) La necessità di contemperare le esigenze proprie di un servizio di sicurezza, e in particolare la necessità di predisporre un sistema di garanzie da cui far assistere gli operatori, nonché l'esigenza di tutelare comunque i cittadini, sono state espressamente previste in alcuni ordinamenti esteri (ad esempio USA e Regno Unito), e sono state realizzate attraverso un sistema di autorizzazione responsabilizzato, di controllo e ad altissimo livello politico di autorizzazioni e convalide (diversamente da altri Paesi ove a queste operazioni si è voluto mantenere invece il carattere di operazioni di fatto "garantite" dal regime di clandestinità nel quale vengono realizzate) e anche nei confronti della giurisdizione penale, dal carattere non obbligatorio dell'esercizio dell'azione penale o della possibilità di porre autoritativamente termine ad un procedimento giudiziario (in Inghilterra con il writ of nolle prosequi). Nel Regno Unito, pur vigendo, lo ripetiamo, il sistema della discrezionalità dell'azione penale ed essendo attribuito all'Esecutivo addirittura il potere di ordinare nell'interesse dello Stato l'interruzione e l'archiviazione di qualunque procedimento giudiziario, sia civile che penale, con il già sopra citato writ of nolle prosequi, è stato previsto un forte regime di "garanzia politica", con il rendere le operazioni di acquisizione delle informazioni effettuabili solo con l'autorizzazione del Ministro dell'interno, o in altri casi dal Segretario di Stato di Sua maestà che ne risponde al Parlamento (i giudici non hanno competenza in materia), e soggette a gravame da parte di autorità politico-amministrative indipendenti ("Commissioner" e "Tribunal"). (5) A tal fine per le operazioni del servizio interno si propone il seguente "regime di garanzie", il quale prevede: 1) che le operazioni debbono essere approvate dal Ministro dell'interno, che ne riferisca al Presidente del Consiglio dei ministri, al Comitato parlamentare e in fase finale, al Parlamento; 2) che le operazioni siano autorizzate, conformemente al dettato della Costituzione, dall'autorità giudiziaria. Si ricorda che sono state considerate costituzionalmente legittime non solo le intercettazioni ai fini di polizia giudiziaria, ma anche, sempre con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, anche le cosiddette "intercettazioni" preventive, ai fini cioè di sola acquisizione di informazioni nell'ambito della polizia di sicurezza e per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e per la prevenzione dei reati. Naturalmente le informazioni così acquisite non potranno mai, ancorché le operazioni siano autorizzate dall'autorità giudiziaria, esser fatte valere in un procedimento giudiziario. e) I fatti recentemente venuti alla luce consigliano che a particolari controlli e garanzie siano sottoposte altresì quelle "operazioni" strumentali, di contenuto o con aspetti economici e finanziari, che i servizi possono essere talvolta tenuti a effettuare il miglior espletamento dei loro compiti, ma in cui più delicato si presenta il problema della legalità o almeno della correttezza amministrativa (creazione di società copertura, gestione di imprese, eccetera). f) Per motivi intuibili, e la cui illustrazione non sarebbe qui né necessaria né opportuna, non è possibile adottare una disciplina giuridico-formale, e quindi «esterna», per le attività informative estere, relative cioè a situazioni estere e quindi di carattere «offensivo», o da svolgere fuori del territorio nazionale o anche all'interno di esso. Poiché (ad essere limitativi!) delle operazioni «estere» di intelligence e di counter intelligence e soprattutto delle eventuali attività di supporto ad esse potrebbero essere in contrasto con il diritto internazionale e con la legge del Paese in cui dette attività vengono realizzate, ma anche nel nostro Paese (questa è la realtà, il resto è finzione: gli agenti informativi dello Stato «rubano» i segreti altrui, anche sul nostro territorio se necessario, violando anche la legge) è necessario che se ne preveda la punibilità, in un giusto bilanciamento di interessi, solo su richiesta del governo. 32. Sull'articolo 14 (Servizi operativi di polizia). Potendo l'attività del «servizio interno» necessitare del ricorso a operazioni di polizia, data la natura altamente specialistica di questo campo operativo e l'esigenza di realizzare il carattere unitario e porre base all'attività da svolgere, si ritiene opportuno concentrare le competenze di polizia, sia di sicurezza che giudiziaria, in un unico organismo interforze, a imitazione di quanto previsto nell'ordinamento britannico ove la «polizia dei servizi segreti» è prevalentemente e quasi esclusivamente svolta dallo Special Branch della Metropolitan Police, polizia che dipende direttamente dal Ministro dell'interno, con il concorso delle Special Branches delle altre polizie locali.

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33. Sugli articoli 15 e 16 (Logistica). In detti articoli si dettano «disposizioni d'uso», sulla collaborazione operativa, logistica e amministrativa tra i servizi e le amministrazioni pubbliche. 34. Sull'articolo 17 (Personale dei servizi). L'esperienza maturata con esiti decisamente e largamente negativi in questi anni, porta alla scelta preferenziale di un modello di organizzazione del personale che, come nei Paesi esteri, preveda l'utilizzazione quasi esclusiva da parte dei servizi di personale proprio, assunto dall'esterno, o anche da altre amministrazioni pubbliche, ma con la cessazione contestuale dell'appartenenza ad esse. A questa scelta induce: il requisito di professionalità specifica, ormai richiesto per prestare la propria attività nei servizi, data la peculiarità e la «sofisticatezza» dei compiti loro assegnati e dei mezzi e del modo per svolgerli; la «pericolosità», « culturale» e di abitudine operativa, che si ritorni a operare negli organismi di polizia o peggio nelle Forze armate dopo aver lavorato nei servizi. Solo a leggere qualche relazione o rapporto, perfino in materia di lotta alla criminalità organizzata sul piano giudiziario, si può identificare la «mano» di chi li ha redatti: operatori di polizia che ragionano sui fatti, e vecchi «operatori dei servizi» che «ragionano» (quando non «fantasticano») sui «teoremi», cosa incompatibile con il «giusto processo secondo il diritto»; l'uso strumentale che delle qualifiche organiche nei servizi, del sistema autonomo di avanzamento e della pratica dell'«entra-ed esci», si è fatto a fini di carriera nelle amministrazioni di provenienza con disastrose conseguenze sul morale del personale ordinario. 35. Sull'articolo 18 (Norme finanziarie). Si propone un possibile modello di amministrazione e contabilità che tenga presente come, rispetto all'attività dei servizi, la garanzia del controllo politico e di quello interno non possa che essere preferibile a quello dei normali controlli giuridico-contabili, vuoi per il carattere necessariamente e largamente discrezionale proprio di questo tipo di amministrazione, vuoi per le esigenze imprescindibili di riservatezza di essa. 36. Sull'articolo 23 (Servizio informazione della Guardia di finanza). Egualmente si ritiene opportuno dare analoga base di certezza giuridico-formale ai servizi interni dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, a motivo della loro particolare collocazione ordinativa, della loro necessaria autonomia e degli specialissimi compiti loro affidati. 38. Sull'articolo 25 («organizzazione nazionale della sicurezza»). Della proposta disciplina dell'Organizzazione nazionale e di alcuni suoi tipici istituti (Autorità nazionale per la sicurezza, UCSI, uffici e segreterie speciali, "nulla osta di sicurezza" per persone e imprese) si è già detto nella parte generale delle presente relazione. Occorre tenere presente che si tratta di una complessa organizzazione, che è stata costituita e funziona ormai da decenni, sulla base di normative interne anche in applicazione di accordi internazionali di carattere segreto o riservato e di doveri e obblighi che da essi derivano, anche sul piano interno, allo Stato italiano. 39. Sull'articolo 26 (Commissione presidenziale per i servizi di informazione e sicurezza). Allo scopo di assicurare un controllo politico-amministrativo, indipendente ed esterno, sull'attività dei servizi, con particolare riguardo alla tutela dei diritti dei cittadini e alla gestione contabile e amministrativa dei servizi stessi, si prevede la istituzione di una Commissione Presidenziale, la cui composizione e le cui attribuzioni sono ricalcate dai consimili istituti del «Commissioner» e del «Tribunal», istituiti con la recente moderna ed esemplare legge britannica sul Servizio di sicurezza. 40. Sull'articolo 27 (Comitato parlamentare per i servizi). Si sono ampliate le competenze del Comitato parlamentare per i servizi e a tal fine si è previsto l'allargamento della sua composizione. 41. Sull'articolo 29 (Soppressione dei SIOS. Disciplina della polizia militare). Con la costituzione della Direzione generale per le informazioni militari e la contemporanea soppressione dei SIOS, si rendono necessarie la riorganizzazione del servizio di Polizia Militare e le opportune modifiche agli ordinamenti degli Stati maggiori di forza armata. Ma a tutto ciò sembra opportuno provvedere con regolamento, nell'ambito dei principi generali previsti da questa e dalle altre leggi. 42. Sull'articolo 30 (Regolamento di attuazione). L'esigenza di adottare in una materia così complessa e delicata una chiara e precisa disciplina non si può

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soddisfare interamente con lo strumento della legge, anche per assicurarsi quella possibilità di adattamento flessibile che troverebbe un ostacolo nella «pesantezza» del procedimento legislativo. Per questo, oltre ai vari regolamenti particolari, si è previsto un regolamento generale di attuazione, da emanare però previo parere del Comitato parlamentare. 43. Sugli articoli 5, 7 e 19 (Descrizione dei compiti e esplicazione terminologica. Definizione). 1) La terminologia in materia di attività speciali non è univoca, anche se oramai ha raggiunto un buon grado di standardizzazione. 2) In relazione ai compiti difensivi dei servizi si è ritenuto di usare la dizione «compiti di controspionaggio e in generale di controinformazione», perché l'attività di controspionaggio in senso stretto non copre tutto il ventaglio di minacce e operazioni occulte. 3) Le attività offensive proprie dei servizi stranieri comprendono infatti: a) oltre lo spionaggio, e cioè il procacciamento di informazioni (notizie, documenti, materiali eccetera) coperte da segreto o comunque non divulgate o divulgabili, anche; b) la disinformazione, e cioè la propalazione di informazioni false, scandalistiche, sensazionali ai fini «devianti»; c) l' «intossicazione», e cioè la fornitura di false notizie «confidenziali»; d) l' «influenza», o «collaboratività», cioè la collocazione di agenti in posizioni al fine di influenzare in senso utile ai propri interessi il processo decisionale degli organi degli altri Stati o delle organizzazioni internazionali o di altri soggetti che svolgono attività di interesse degli altri Stati; e) l'«ingerenza», e cioè l'acquisizione di posizioni di influenza e di potere o l'intervento«occulto» nella vita politica, sociale, civile ed economia, mediante infiltrazione di elementi idonei, sovvenzioni in denaro e materiali, eccetera. Si leggano le confessioni di un alto agente del KGB in Italia sull'attività svolta da lui e dal suo servizio al momento dell'attuazione della decisione del dispiegamento dei «Cruises» nella base di Comiso, contenute in una brillante intervista concessa a «Famiglia Cristiana». 4) Queste «attività offensive» sono contrastate da attività difensive che non possono definirsi di «controspionaggio», ma che in realtà rientrano nella più vasta categoria di counter-intelligence o «contro-informazione». 44. Attribuzione di garanzia della Repubblica. Al fine della realizzazione di un più alto sistema di garanzie, si è rafforzato il ruolo del Presidente della Repubblica, in considerazione del suo ruolo costituzionale, oggi accresciuto e riconosciuto, di garante attivo della difesa e della sicurezza dello Stato e degli ordinamenti democratici. 45. Poiché dell'articolato si danno due redazioni, largamente comuni, ma di cui una volta a realizzare un modello organizzativo di prevalente ispirazione britannica, americana e tedesca ed altro modello organizzativo di esclusiva ispirazione francese, per motivo di drafting, di chiarezza e di tecnica legislativa si presentano, con la stessa relazione, ma con due diversi articolati due distinti disegni di legge aventi, per comodità di identificazione anche un diverso titolo, se pur ampiamente simili tra di loro nell'impronta generale. 46. Si confida che le due proposte possano costituire un terreno ed un contributo utile per la realizzazione ormai indilazionabile delle necessarie riforme in un campo così importante quale è quello della difesa e della sicurezza dello Stato e della comunità civile. DISEGNO DI LEGGE Art. 1 (Attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro o Sottosegretario di Stato delegato) 1. Al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuite, in conformità all'articolo 95 della Costituzione, la responsabilità politica generale e l'alta direzione delle politiche dell'informazione e della sicurezza nell'interesse e per la difesa esterna e la sicurezza interna della Repubblica, per la tutela delle istituzioni costituzionali dello Stato e del suo ordinamento democratico, nonché per la protezione della vita e dello sviluppo della comunità nazionale, secondo il principio e le regole dello Stato costituzionale e di diritto, democratico, rappresentativo e parlamentare. 2. Il Presidente del Consiglio dei ministri sovrintende e coordina gli uffici e i servizi che espletano i compiti ed esercitano le funzioni utili e necessarie per l'attuazione delle politiche dell'informazione e della sicurezza, anche emanando a tal fine ogni disposizione necessaria e utile per l'organizzazione e il

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funzionamento generale di essi, sentito il Comitato per le informazioni e la sicurezza e in conformità agli indirizzi formulati annualmente dal Parlamento. 3. Spetta al Presidente del Consiglio dei ministri provvedere alla tutela del segreto di Stato e, nell'interesse dello Stato, di ogni altro segreto previsto e disciplinato dalle leggi, sovrintendendo all'attività degli uffici di cui all'articolo 25, determinando i criteri per l'apposizione del segreto in attuazione delle leggi e dei regolamenti, emanando le direttive per il funzionamento degli organi a ciò competenti, sovrintendendo a essi e controllandone l'attività. 4. Il Presidente del Consiglio dei ministri dispone delle notizie e dei materiali coperti dal segreto ed autorizza altri a disporne nell'interesse dello Stato. 5. Il Presidente del Consiglio dei ministri, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata su sua proposta, può delegare a un Ministro senza portafoglio o a un Sottosegretario di Stato, l'espletamento di compiti e l'esercizio di funzioni a lui attribuite dalla presente legge, al fine di garantire il miglior esercizio delle sue attribuzioni ed in particolare un continuo ed efficace coordinamento e controllo degli uffici e servizi per le informazioni e la sicurezza, di cui agli articoli 3, 5 e 7, - di seguito denominati «Servizi» - e delle attività da essi svolte. 6. Salvo che non ne sia stata data legittima comunicazione o diffusione, o che esse non abbiano acquisito carattere certo di notorietà, sono coperte da segreto di Stato tutte le informazioni relative all'ordinamento, all'organizzazione, alle infrastrutture, al personale e alle attività del Segretariato generale e dei servizi, nonché della Commissione presidenziale di cui all'articolo 26. Art. 2 (Comitato nazionale per le informazioni e la sicurezza) 1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituito il Comitato nazionale per le informazioni e la sicurezza (COMIS). 2. Il Comitato nazionale per le informazioni e la sicurezza è costituito dal Presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, dal Ministro degli affari esteri, dal Ministro dell'interno, dal Ministro del tesoro, dal Ministro della difesa, dal Ministro delle finanze, dal Ministro dell'industria commercio e artigianato, dal Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, dal Ministro di grazia e giustizia, dal Ministro delle poste e telecomunicazioni, nonché dagli altri Ministri che il Presidente del Consiglio dei ministri ritenga eventualmente di chiamare, in via permanente, a far parte di esso, o a esso associare, di volta in volta, per la trattazione di determinate materie od oggetti. 3. Il Ministro senza portafoglio o il Sottosegretario di Stato delegato svolgono le funzioni di segretario del comitato nazionale. 4. Il Presidente del Consiglio dei ministri può chiamare a partecipare, alle sedute del Comitato nazionale di volta in volta, il Direttore generale del Segretariato generale di cui all'articolo 3, i Direttori generali dei servizi, nonché altre autorità civili, militari o di polizia, ed anche esperti. 5. Il Comitato nazionale è incaricato di consigliare ed assistere il Presidente del Consiglio dei ministri ed i Ministri competenti, nella direzione e nel coordinamento delle attività dei servizi e degli altri organi ed uffici che operano nel settore delle informazioni e della sicurezza. A questo fine, elabora e approva piani nazionali dell'informazione e della sicurezza. Esprime preventivo parere sulla nomina del Direttore generale del Segretariato generale e dei Direttori dei Servizi, nonché degli altri dirigenti determinati dai regolamenti di cui agli articoli 6, 9 e 19. Esamina e formula proposte in ordine all'emanazione dei regolamenti di cui agli articoli 6, 9 e 19, nonché sulle proposte per l'assegnazione dei fondi e sui risultati della loro rendicontazione. Art. 3 (Segretariato generale per le informazioni e la sicurezza - SIGIS e Comitati esecutivi) 1. Nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri e sotto la sovrintendenza del Presidente del Consiglio dei ministri e, se nominato, del Ministro o Sottosegretario di Stato delegato, è istituito il Segretariato generale per le informazioni e la sicurezza (SIGIS). 2. Al Segretariato generale è preposto un Direttore generale, nominato con decreto dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro dell'interno e con il Ministro della difesa. 3. Il Segretariato generale comprende, oltre ai suoi propri uffici, il Comitato esecutivo per le informazioni

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(COMINF) e il Comitato esecutivo per la sicurezza (COMSIC). 4. Il Comitato esecutivo per le informazioni è costituito dal Direttore generale del Segretariato generale, che lo presiede, dal Segretario generale del Ministero degli affari esteri, dal Capo di stato maggiore della difesa, dal Direttore generale del dipartimento della pubblica sicurezza, dal Segretario generale della difesa, dai Direttori generali dei servizi, dal Direttore generale delle Informazioni militari nonché eventualmente da uno o più esperti in materia economica, scientifica e industriale, nominati dal Presidente del Consiglio dei ministri. 5. Il Comitato esecutivo per la sicurezza è costituito dal Direttore generale del Segretariato generale, che lo presiede, dal Direttore generale del dipartimento della pubblica sicurezza - Capo della polizia, dal Comandante generale dell'arma dei carabinieri, dal Comandante generale della guardia di finanza, dai Direttori generali dei servizi e dal Direttore generale delle Informazioni militari. 6. Periodicamente o anche in via straordinaria, di sua iniziativa o su disposizione del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro o Sottosegretario di Stato delegato, il Segretario generale può riunire congiuntamente i due Comitati esecutivi in Comitato generale. Art. 4 (Compiti e attribuzioni del Segretariato Generale e dei Comitati Esecutivi) 1. Del Segretariato generale per le informazioni e la sicurezza si avvalgono il Presidente del Consiglio dei ministri, e se nominato il Ministro o il Sottosegretario di Stato delegati, per l'espletamento dei loro compiti e per l'esercizio delle loro funzioni. Con il consenso del presidente del Consiglio dei ministri possono avvalersi altresì del Segretariato generale, il Ministro degli affari esteri, il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno ed il Ministro delle finanze. 2. Il Segretariato Generale: a) raccoglie, coordina, analizza, interpreta, valuta globalmente e diffonde alle autorità e agli altri soggetti autorizzati le informazioni raccolte, anche in forma aperta, i rapporti elaborati e le situazioni prodotte in materia di informazione e di sicurezza e le valutazioni generali relative ai Servizi, nonché dagli uffici competenti del Ministero della difesa, del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell'interno, della Polizia di stato, dell'Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza, e di altri ministeri, enti ed istituti di interesse, nonché anche da soggetti privati; b) produce e fornisce alle autorità interessate ed autorizzate relazioni e situazioni globali, di carattere generale o specifico; c) formula al presidente del consiglio dei ministri e al Comitato nazionale per le informazioni e la sicurezza valutazioni e proposte in ordine al fabbisogno nazionale di informazioni e di sicurezza e alla elaborazione ed esecuzione dei piani operativi conseguenti. 3. Il Segretariato generale è assistito e consigliato nell'espletamento dei suoi compiti dai comitati esecutivi di cui all'articolo 3, comma 3, rispettivamente per quanto attiene all'attività informativa e per quanto attiene a quella controinformativa e di tutela della sicurezza. 4. Il Presidente del Consiglio dei ministri emana le direttive e istruzioni e impartisce gli eventuali ordini necessari per l'attività del Segretario generale e per assicurarne il migliore e più corretto espletamento dei compiti e l'esercizio delle funzioni assegnategli. 5. L'ordinamento del Segretariato generale è stabilito con regolamento del Governo, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro dell'interno e con il Ministro della difesa, sentito il parere del Comitato interministeriale di cui all'articolo 2 e del Comitato parlamentare di cui all'articolo 27. 6. L'organizzazione del Segretariato generale è stabilita dal Presidente del Consiglio dei ministri. Art. 5 (istituzione e compiti del Servizio per le informazioni generali - SIGEN) 1. È istituito il Servizio per le informazioni generali (SIGEN), quale agenzia autonoma del Governo della Repubblica. 2. il Servizio per le informazioni generali ha titolo per espletare i propri compiti ed esercitare le proprie funzioni esclusivamente: a) per salvaguardare gli interessi della difesa esterna e della sicurezza interna nazionali, con particolare

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riferimento agli indirizzi di politica estera, di difesa nazionale e di sicurezza interna di politica economico-finanziaria e di ricerca scientifica, adottati dal Governo della Repubblica in conformità agli indirizzi formulati dal Parlamento; b) per salvaguardare gli interessi economici della comunità nazionale; c) per fornire supporto agli uffici ed organi di polizia, in attività di prevenzione e repressione di reati di particolare gravità e per la difesa della legalità repubblicana, secondo le direttive del Governo e gli indirizzi del Parlamento. 3. Il Servizio provvede all'espletamento dei seguenti compiti: a) raccolta, coordinamento, analisi, interpretazione, valutazione e diffusione di ogni informazione relativa a affari strategici e a situazioni estere che riguardino la difesa esterna e la sicurezza interna della repubblica, nonché gli interessi politici, economici, scientifici e industriali nazionali e la tutela dei cittadini italiani e dei loro beni, nonché di quelli di cui lo Stato si assuma la protezione e dei loro beni; b) individuazione, contrasto e neutralizzazione delle minacce che, sul territorio estero, sono rivolte alla difesa esterna e alla sicurezza interna della Repubblica, nonché agli interessi politici, economici, scientifici e industriali nazionali nonché alla sicurezza dei cittadini italiani e di quelli di cui lo Stato si assume la protezione e dei loro beni; c) svolgimento all'estero di qualunque altra missione gli venga affidata dal Governo della Repubblica, nell'ambito dei fini e dei principi della presente legge, per la protezione della difesa esterna e della sicurezza interna della Repubblica, per la tutela e la promozione degli altri interessi nazionali e per la sicurezza dei cittadini italiani e di quelli di cui lo Stato si assuma la protezione e dei loro beni. 4. A tal fine il Servizio espleta all'estero tutti i conseguenti compiti di informazione ed anche di controinformazione, controsabotaggio, antiterrorismo ed in generale di tutela della sicurezza interna. Art. 6 (Dipendenza, ordinamento e organizzazione del Servizio per le informazioni generali - SIGEN) 1. Salve le competenze stabilite dall'articolo 1, il Servizio per le informazioni generali dipende dal Ministro degli affari esteri. 2. L'ordinamento del Servizio è stabilito con regolamento del governo, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministero degli affari esteri e con il Ministro dell'interno, sentito il parere del Comitato parlamentare di cui all'articolo 27. 3. L'organizzazione del Servizio è stabilita dal Ministro degli affari esteri con il consenso del Presidente del Consiglio dei ministri. 4. Il Direttore generale del Servizio è nominato e revocato con decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Ministro degli affari esteri, formulata d'intesa con il Presidente del consiglio dei ministri e con il Ministero dell'interno. Art. 7 (Forze operative speciali) 1. Per lo svolgimento di missioni operative fuori del territorio nazionale, necessarie per l'espletamento di suoi compiti e dell'esercizio delle sue funzioni, e che presentino esigenze di supporti o l'utilizzazione di tecniche, metodologie o mezzi di carattere militare o paramilitare, è costituito, presso il Servizio per le informazioni generali, e alle sue dipendenze funzionali e per l'impiego diretto da parte di esso, un Gruppo unità speciali, composto di personale e mezzi delle Forze armate e delle forze di polizia. 2. L'ordinamento del gruppo unità speciali è approvato con le procedure previste dall'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. 3. La sua organizzazione è stabilita dal Direttore generale del Servizio per le informazioni generali, d'intesa con il Capo di stato maggiore della difesa e con i Capi delle forze di polizia che forniscono mezzi e personale, con l'approvazione del Presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con i Ministri competenti. 4. Le regole d'impiego del Gruppo unità speciali sono stabilite dal Presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale di cui all'articolo 2. Art. 8 (Istituzione e compiti del Servizio per la sicurezza nazionale - SERSIN) 1. È istituito il Servizio per la sicurezza nazionale (SERSIN), quale agenzia autonoma del Governo.

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2. Il Servizio provvede all'espletamento dei seguenti compiti: a) raccolta, coordinamento, analisi, interpretazione, valutazione e diffusione di ogni informazione relativa alla tutela entro il territorio nazionale della difesa esterna e della sicurezza interna della Repubblica e alla protezione degli interessi politici, economici, scientifici e industriali nazionali, contro le minacce e le azioni volta a mutarlo in forme illegali, o a sovvertirlo con metodi violenti o con attività politiche e finanziarie illegittime o altrimenti pericolose; b) individuazione, controllo, contrasto e neutralizzazione, entro il territorio nazionale delle azioni offensive e delle minacce alla difesa esterna e alla sicurezza interna della Repubblica, all'ordinamento costituzionale democratico e agli altri interessi nazionali di cui alla precedente lettera a); c) svolgimento di qualunque altra missione che, entro il territorio nazionale e nell'ambito dei fini e dei principi della presente legge, gli venga affidata dal Governo per la tutela degli interessi nazionali. 3. A tal fine il Servizio espleta entro il territorio nazionale tutti i compiti di informazione, controinformazione, anti-sovversione, controsabotaggio e antiterrorismo e in generale di tutela della sicurezza interna. Art. 9 (Dipendenza, ordinamento e organizzazione del servizio di Sicurezza nazionale - SERSIN) 1. Salvo le competenze stabilite dall'articolo 1, il Servizio di sicurezza nazionale dipende dal Ministro dell'interno. 2. L'ordinamento del Servizio è stabilito con regolamento del Governo, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro della difesa, con il Ministro degli affari esteri, sentito il parere del Comitato interministeriale di cui all'articolo 2 e del Comitato parlamentare di cui all'articolo 27. 3. L'organizzazione del Servizio è stabilita dal Ministro dell'interno con il consenso del Presidente del Consiglio dei ministri. 4. Il Direttore generale del Servizio è nominato e revocato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, formulata d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri, con il Ministro degli affari esteri e con il Ministro della difesa. Art. 10 (Competenze generali, collaborazione e coordinamento del Servizio per le informazioni generali e del Servizio di sicurezza nazionale - SIGEN e SERSIN) 1. Il Servizio per le informazioni generali espleta i suoi compiti informativi fuori ed entro il territorio nazionale; espleta ogni altro suo compito esclusivamente fuori del territorio nazionale. 2. Quando ve ne sia la necessità o la utilità, il Servizio per le informazioni generali può svolgere, di volta in volta, anche attività all'interno del territorio nazionale, ma sempre in concorso con il Servizio di sicurezza nazionale, previa intesa tra il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell'interno e con l'approvazione del Presidente del Consiglio dei ministri. 3. Il Servizio di sicurezza nazionale espleta i suoi compiti entro il territorio nazionale e negli altri luoghi in cui lo Stato esercita la sua giurisdizione. 4. Quando ve ne sia la necessità o l'utilità, il servizio per la sicurezza nazionale può svolgere, di volta in volta, anche attività fuori del territorio nazionale, o dei luoghi in cui lo Stato esercita la sua giurisdizione, ma sempre in concorso con il Servizio per le informazioni generali, previa intesa tra il Ministro dell'interno e il Ministro degli affari esteri e con l'approvazione del Presidente del Consiglio dei ministri. 5. In applicazione delle direttive generali del Presidente del Consiglio dei ministri e secondo le istruzioni del Ministro competente o per mandato particolare di essi, in forma sistematica o per singole operazioni. 6. Al servizio per le informazioni generali e al Servizio per la sicurezza nazionale può essere affidata altresì dal Governo della Repubblica la tutela di interessi esteri, di stati, enti, società o persone, quando vi sia un interesse dello Stato a questa tutela. Art. 11 (Attribuzioni dei Servizi)

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1. Il Servizio per le informazioni generali e il Servizio per la sicurezza nazionale non sono servizi di polizia giudiziaria. Gli agenti dei Servizi non sono agenti o ufficiali di polizia giudiziaria. 2. Per la tutela del Servizio, del suo personale, delle sue infrastrutture e delle sue dotazioni e anche quando ve ne sia per altri motivi la necessità ed al fine del miglior espletamento dei loro compiti, ad agenti dei Servizi, possono essere conferite dal Ministro dell'Interno, e per quanto riguarda il Servizio per le informazioni generali su richiesta del Ministro degli affari esteri, e soltanto con il consenso del Presidente del Consiglio dei ministri, la qualifica e le attribuzioni di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza. 3. Anche in deroga a ogni contraria disposizione vigente di carattere generale, speciale o eccezionale, gli agenti dei Servizi non hanno l'obbligo di riferire all'autorità giudiziaria, non possono essere chiamati a testimoniare davanti a essa senza l'autorità del Presidente del Consiglio dei ministri, e non possono essere destinatari diretti di ordini o incarichi da parte di essa. 4. Essi hanno l'obbligo di riferire su fatti che possono costituire reato, tramite i loro superiori, o se urgente e necessario, anche direttamente, ai Direttori generali dei Servizi, che ne informano i Ministri competenti e contemporaneamente il Presidente del Consiglio dei ministri, anche tramite il Segretariato generale per le informazioni e la sicurezza. 5. Il Direttore generale del Segretariato generale e i Direttori generali dei Servizi hanno l'obbligo di fornire all'autorità giudiziaria le informazioni e gli elementi di prova relativi a fatti configurabili come reati. L'adempimento di tale obbligo può essere ritardato quando ciò sia strettamente necessario per il perseguimento delle finalità istituzionali del Segretariato generale e dei Servizi, per determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta rispettivamente: per quanto riguarda il Servizio per la sicurezza nazionale del Ministro dell'interno e per quanto riguarda il Servizio per le informazioni generali, del Ministro degli affari esteri. 6. Gli agenti dei Servizi possono richiedere informazioni a qualunque persona e invitarla a produrre documenti o altre cose in suo possesso, di cui, con il consenso dell'interessato, possono ottenere la consegna o trarre copia. 7. A tal fine, gli agenti dei Servizi, a norma delle vigenti leggi di pubblica sicurezza, possono invitare a comparire davanti a essi qualunque persona ritengano utile ai fini di una inchiesta e, a mezzo della forza pubblica o dei propri agenti muniti della qualifica di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza nell'attività svolta a norma dell'articolo 10, comma 2, possono disporne l'accompagnamento in caso di mancata comparizione. 8. Alle persone chiamate a comparire o comunque a collaborare con i servizi si applicano le disposizioni dell'articolo 1, comma 6. 9. Gli atti compiuti da agenti del Servizio per le informazioni generali e, quando ammessi, da agenti del Servizio di sicurezza nazionale, o da loro collaboratori in relazione ad obiettivi esteri, ancorché in territorio nazionale, nell'espletamento di propri compiti con operazioni disposte ed autorizzate dalle autorità governative competenti, non sono comunque punibili, qualora possano costituire reato, se non a richiesta del Governo della Repubblica. La richiesta è condizione per lo stesso svolgimento delle indagini preliminari. Art. 12 (Attribuzioni particolari del Servizio per la sicurezza nazionale- SERSIN) 1. Gli agenti del Servizio per la sicurezza nazionale possono procedere alle ispezioni, perquisizioni e sequestri previsti dagli articoli dal 244 al 256 del codice di procedura penale, al solo scopo di trarre da detti atti documentazione o altre forme di conoscenza di fatti di interesse del Servizio, soltanto con la autorizzazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di cassazione o del magistrato o dai magistrati del suo ufficio e da lui delegati, su richiesta del Direttore generale del Servizio o di funzionario o funzionari del Servizio da lui delegati, approvata dal Ministro dell'interno o, in sua assenza, dal Ministro degli affari esteri, dandone immediata comunicazione al Direttore generale del Segretariato generale per le informazioni e la sicurezza. 2. Con le stesse procedure di cui al comma 1, gli agenti del Servizio possono procedere alle intercettazioni o comunicazioni previste dal Codice di procedura penale. 3. Quando le operazioni di cui al presente articolo vengono compiute senza la conoscenza degli interessati, chiunque ne sia informato è vincolato dal segreto di Stato. 4. Le informazioni raccolte a norma del presente articolo non sono mai ammissibili né come prove né come

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fonte di prova nei procedimenti giudiziari. 5. Il Ministro dell'interno riferisce trimestralmente al Comitato parlamentare di cui all'articolo 27, e annualmente al Parlamento, delle operazioni compiute a norma del presente articolo, in forma non specifica, ma per categorie e motivazioni. Art. 13 (Doveri dei Direttori generali del Segretariato generale e dei Servizi) 1. I Direttori generali del Segretariato generale e dei Servizi dirigono l'ufficio ed i Servizi cui sono rispettivamente preposti e sono responsabili del loro funzionamento e della loro efficienza. 2. I Direttori generali riferiscono, o danno ai loro dipendenti incarico di riferire, sulla loro attività o di informare nelle materie di loro competenza esclusivamente: il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro competente, nonché, quando vi sia un interesse dello Stato, qualunque altro soggetto, cui siano tenuti o autorizzati a riferire o a trasmettere informazioni, per disposizioni generali o mandato particolare del Presidente del Consiglio dei ministri o, d'intesa con esso, del Ministro competente. 3. I Direttori generali devono provvedere ad adottare tutte le misure necessarie: a) perché nessuna informazione sia raccolta o nessuna altra attività sia svolta dal Segretariato generale e dai Servizi, se non in quanto necessaria esclusivamente per l'espletamento dei compiti ad essi affidati ai sensi degli articoli 4, 5, 7, 10 11, 12 e 14 della presente legge; b) perché nessuna informazione raccolta dal Segretariato generale e dai Servizi sia divulgata o comunicata, se non secondo le procedure determinate dalla legge o dalle direttive generali del Presidente del Consiglio dei ministri ed esclusivamente nell'interesse della difesa e della sicurezza dello Stato o con lo scopo di prevenire o di indagare in ordine a fatti previsti dalla legge come reati; c) perché il Segretariato generale e i Servizi non svolgano alcuna attività nell'interesse di qualunque movimento o partito politico, organizzazione o associazione sindacale o imprenditoriale o comunità religiosa o altra privata associazione. 4. I Direttori generali presentano al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri competenti un rapporto annuale sull'attività dell'Ufficio o del Servizio cui sono preposti. Art. 14 (Attività speciali dei Servizi) 1. Con il consenso del Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno e il Ministro degli affari esteri e il Ministro della difesa possono autorizzare rispettivamente il Direttore generale del Servizio per le informazioni generali a disporre, per il migliore espletamento dei compiti affidati o a copertura di essi, l'esercizio da parte di agenti dei Servizi, anche in nome proprio, ma non nel proprio interesse, di attività economiche e finanziarie, sia nella forma di imprese individuali che nella forma di società di qualunque natura, sia all'interno che all'estero. Dell'esercizio di dette attività deve essere data completa informazione alla Commissione Presidenziale di cui all'articolo 26, che ha il diritto di chiedere e ottenere informazioni e ha facoltà di formulare proposte e rilievi. 2. Con l'autorizzazione rispettivamente del Ministro dell'interno e del Ministro degli affari esteri, i Direttori generali dei Servizi possono disporre che i rispettivi agenti operino in modo occulto o coperto e anche sotto identità diversa da quella reale e che essi vengano muniti della corrispondente documentazione. A tal fine essi possono altresì disporre la produzione, l'approvvigionamento e l'uso di qualunque tipo di documento di riconoscimento, di identificazione e di certificazione, contenente nominativi, dati anagrafici e qualunque altro dato, diversi da quelli effettivi. Art. 15 (Servizi operativi di polizia e sicurezza e di polizia giudiziaria) 1. Nel dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno è istituito un servizio speciale di polizia, con il compito di collaborare con il Servizio per la sicurezza nazionale e con la Direzione generale delle informazioni militari, esercitando in via preminente e comunque con funzioni di sovrintendenza e direzioni, le attribuzioni di polizia di sicurezza e di polizia giudiziaria in materia di difesa esterna e di tutela della sicurezza interna dello Stato, collegate all'attività informativa, controinformativa, contro-sovversione, anti-sabotaggio e anti-terrorismo ed in generale di tutela della sicurezza interna svolta dai Servizi.

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2. Nell'espletamento del suo compito e per l'esercizio delle sue attribuzioni il servizio di polizia può avvalersi anche di altri uffici od organi di polizia, nonché di singoli agenti e ufficiali di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, anche dirigendone e coordinandone l'attività nel campo specifico. 3. Il personale del servizio è tratto dal personale della carriera dirigenziale e direttiva di prefettura e dal personale delle forze di polizia. 4. L'ordinamento del servizio è stabilito con un regolamento del Governo, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro dell'interno, con il Ministro della difesa e con il Ministro delle finanze, sentito il Comitato parlamentare di cui all'articolo 27. 5. L'organizzazione del servizio è stabilita dal Ministro dell'interno con il consenso del presidente del Consiglio dei ministri. Art. 16 (Rapporti di collaborazione) 1. I comandi, uffici, servizi unità e reparti delle Forze armate e delle forze di polizia, sono tenuti a prestare piena collaborazione al Segretariato generale e ai Servizi per l'espletamento dei compiti loro affidati. A essi non può peraltro essere mai richiesto di raccogliere informazioni o di compiere operazioni non conformi ai compiti e alle funzioni a essi assegnati dalla legge. 2. Le pubbliche amministrazioni sono tenute a fornire al Segretariato generale e ai Servizi, tutte le informazioni loro richieste dai Direttori generali competenti, o dagli agenti da loro delegati, anche in deroga al segreto di ufficio e al segreto di Stato. Qualora i responsabili delle pubbliche amministrazioni cui siano rivolte dette richieste, ritengano di non dovere o potere corrispondere a esse, debbono senza indugio sottoporre la questione al Presidente del Consiglio dei ministri, alle cui definitive determinazioni devono successivamente strettamente attenersi. Art. 17 (Collaborazione di carattere logistico con le altre pubbliche amministrazioni) 1. Il Segretariato generale e i Servizi possono, per l'espletamento dei propri compiti e l'esercizio delle loro funzioni, avvalersi, anche in forma riservata, delle infrastrutture del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell'interno, del Ministero della difesa e del Ministero delle finanze, per determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri interessati. Art. 18 (Personale dei Servizi) 1. Il personale dei Servizi con rapporto di impiego è costituito da personale assunto direttamente, anche tra gli appartenenti alle amministrazioni civili, alle Forze armate e alle forze di polizia, di cui con l'assunzione cessano comunque e di diritto di far parte, salvo quanto stabilito al comma 2. 2. I regolamenti dei Servizi di cui agli articoli 6 e 9 determinano le qualifiche e le mansioni in cui possono essere impiegati i dipendenti delle amministrazioni civili, delle Forze armate e delle forze di polizia, quale personale collocato fuori ruolo a tempo indeterminato. 3. Il personale dei Servizi con rapporto di impiego può essere collocato a riposo in qualunque momento, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro competente, su proposta o sentito il Direttore generale del Servizio. 4. I Servizi possono altresì avvalersi, anche in forma continuativa, di collaboratori esterni. 5. Lo stato giuridico ed economico e l'ordinamento del personale del Segretariato generale e dei Servizi e il suo trattamento giuridico e economico sono determinati, anche in deroga alle leggi e ai regolamenti generali vigenti, dai rispettivi regolamenti, emanati con decreto del Presidente della Repubblica, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro dell'interno, con il Ministro della difesa e con il Ministro del tesoro. Art. 19 (Norme finanziarie) 1. Le spese relative al Comitato nazionale per le informazioni e la sicurezza, ivi comprese quelle relative al Segretariato generale, ai Comitati esecutivi di cui all'articolo 4 e le spese relative ai Servizi di cui agli

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articoli 5 e 7 sono iscritte in apposita rubrica, denominata «Spese per l'informazione e la sicurezza dello Stato», nello stato di previsione della spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri. 2. Il Presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con i ministri competenti e con il Ministro del tesoro, e sentiti il Direttore generale del Segretariato generale e i Direttori generali dei Servizi ripartisce le somme tra il Segretariato generale dei Servizi e determina quanto delle somme stanziate nello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri debba essere destinato ai fondi ordinari e quanto ai fondi riservati. 3. Il Presidente del Consiglio dei ministri determina altresì con le stesse procedure le categorie di spesa cui si debba far fronte esclusivamente con i fondi ordinari. 4. Con distinto regolamento, emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con i Ministri competenti e con il Ministro del tesoro, sono stabilite le disposizioni per l'amministrazione e per la rendicontazione delle spese ordinarie e delle spese riservate, nonché in particolare per le forme, i modi e i tempi di documentazione di queste ultime. 5. Della ripartizione di cui al comma 2 e delle determinazioni di cui al comma 3, il Presidente del Consiglio dei ministri informa il Comitato Parlamentare di cui all'articolo 27, che può richiedere informazioni e formulare rilievi e proposte. Al Comitato Parlamentare è altresì trasmesso il regolamento di cui al comma 4. 6. Alla Commissione Presidenziale di cui all'articolo 26, nella composizione di cui al comma 2 dello stesso articolo, il Direttore generale del Segretariato generale e i Direttori generali dei Servizi riferiscono sulla amministrazione dei fondi ordinari e dei fondi riservati, trimestralmente e con relazione finale annuale. La Commissione Presidenziale può avanzare richieste e formulare rilievi e proposte al Direttore generale del Segretariato generale e ai Direttori generali dei Servizi, nonché direttamente al Presidente del Consiglio dei ministri, ai Ministri competenti e al Ministro del tesoro. Art. 20 (Istituzione, compiti e ordinamento della Direzione generale per le Informazioni militari) 1. Nell'ambito del Ministero della difesa è istituita la Direzione generale per le Informazioni militari. 2. La Direzione generale è posta sotto la diretta autorità del Ministro della difesa e dipende funzionalmente, secondo le sue determinazioni e per quanto di loro rispettiva competenza, dal Capo di Stato maggiore della difesa e dal Segretariato generale della difesa - Direttore generale degli armamenti. È collegata con gi Stati Maggiori di forza armata, con il Comando generale dell'Arma dei carabinieri e con il Comando generale della Guardia di finanza. 3. A capo della Direzione generale è posto un Direttore generale delle Informazioni militari, nominato dal Ministro della difesa tra i generali di divisione o di corpo d'armata, anche in ausiliaria o della riserva, con il consenso del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Comitato interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza ed il Ministro dell'interno. 4. Il Direttore generale delle Informazioni militari assiste e consiglia il Ministro della difesa, il Capo di Stato Maggiore della difesa e il Segretario generale della difesa - Direttore nazionale per gli armamenti, per quanto attiene all'informazione nelle materie di specifico interesse della difesa militare e dirige la direzione generale secondo le direttive ed istruzioni del Ministro. 5. La Direzione generale per le informazioni militari raccoglie, coordina, analizza, interpreta e valuta le informazioni tecnico-operative e scientifiche di specifico interesse per la difesa militare; produce e tiene aggiornate le situazioni relative, generali e particolari, delle informazioni militari. Collabora con il Servizio per le informazioni generali (SIGEN) per gli studi, le analisi, e le ricerche riguardanti gli affari strategici di interesse per la difesa nazionale. 6. La Direzione generale provvede altresì a raccogliere, coordinare, analizzare, interpretare e valutare le informazioni relative alla sicurezza interna dell'Amministrazione della Difesa ed in particolare delle singole Forze armate, escluse le forze di polizia ancorché facciano parte di esse; espleta in detto ambito compiti di controinformazione, di contro-sovversione, di contro-sabotaggio e di antiterrorismo e in generale di tutela della sicurezza interna dello Stato, in collaborazione e sotto la sovrintendenza generale del Servizio della sicurezza nazionale. 7. La Direzione generale per le Informazioni militari, in collaborazione con i rispettivi Stati Maggiori, gestisce la rete degli addetti della Difesa, nonché degli addetti militari, navali ed aeronautici istituiti presso le rappresentanze diplomatiche della Repubblica. 8. La Direzione generale per le Informazioni militari valuta il fabbisogno informativo e di sicurezza dell'Amministrazione della Difesa e in particolare delle Forze armate, e propone al Ministro della difesa la

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relativa pianificazione operativa. 9. L'ordinamento e l'organizzazione della Direzione Generale delle Informazioni militari sono stabiliti dal Ministro della difesa, con il consenso del Presidente del Consiglio dei ministri. In essa sono costituite sezioni specializzate per l'Esercito, la Marina, l'Aeronautica e il settore degli armamenti. Art. 21 (Attribuzioni, doveri e facoltà della Direzione generale per le Informazioni militari) 1. Si applicano alla Direzione generale per le Informazioni militari e al Direttore generale a essa preposto, le disposizioni relative ai doveri e alla facoltà, nonché alle attribuzioni stabilite dalla presente legge per il Segretariato generale, i Servizi, nonché per i Direttori generali ad essi preposti. 2. Sono conferiti agli agenti della Direzione generale delle Informazioni militari nelle forme e con le procedure ivi stabilite, le disposizioni contenute agli articoli 10 e 11, ma esclusivamente nei confronti del personale militare e civile dell'Amministrazione della Difesa ed in particolare delle Forze armate, escluso il personale delle forze di polizia, anche se a esse appartenente. Art. 22 (Agenzia governativa delle telecomunicazioni AGOTELCO) 1. La Direzione generale per le Informazioni militari, quale Agenzia governativa delle telecomunicazioni (AGOTELCO), svolge altresì i seguenti compiti ed esercita le seguenti funzioni: a) monitoraggio delle intercettazioni e interpretazioni delle trasmissioni di carattere elettrico, radioelettrico ed elettronico o di altra natura, mediante emissioni elettromagnetiche, acustiche o altre o grazie a qualsiasi altra apparecchiatura in grado di produrre tali emissioni, al fine di acquisire e fornire informazioni, connesse o derivanti da tali apparecchiature o da materiale codificato; b) fornire assistenza e consulenza relative a: la materia linguistica, inclusa la terminologia utilizzata per questioni tecniche, i codici, i cifrati e in genere la crittografia e le altre questioni connesse alla protezione delle informazioni, e dell'altro materiale, al Segretariato generale per le informazioni e la sicurezza, ai Servizi, alle Forze armate e alle forze di polizia ed in generale al Governo della Repubblica e a qualsiasi altro ente o soggetto privato autorizzato nei modi determinati dal Presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con il Ministro della difesa; 2. Le competenze di cui alle precedenti lettere a) e b) del comma 1 potranno essere esercitate solo: a) nell'interesse dello Stato, con particolare riferimento alla difesa militare, alla tutela della sicurezza interna, alla politica estera, alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica nonché alle esigenze economiche, industriali, scientifiche e di ricerca della comunità nazionale; b) nell'interesse del benessere economico del Paese, di fronte ad azioni o minacce di persone fuori del territorio nazionale; c) in supporto ad attività di prevenzione e repressione di reati di particolare gravità e in generale per la tutela della legalità repubblicana. 3. in questa legge, con l'espressione Agenzia governativa delle telecomunicazioni (AGOTELCO), s'intende il Centro comunicazioni governativo e qualsiasi struttura o parte di struttura delle Forze di polizia dello Stato cui, il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'interno e il Ministro della difesa ritengano di rivolgersi per chiedere di fornire assistenza al suddetto centro nell'espletamento delle specifiche attività di competenza. 4. Il Direttore generale è responsabile dell'efficienza dell'Agenzia governativa delle telecomunicazioni. È suo dovere assicurarsi che: a) esistano disposizioni tali secondo cui l'Agenzia governativa delle telecomunicazioni acquisisca solo le informazioni necessarie nell'esercizio delle proprie funzioni e che non ne divulghi alcuna, se non quelle utili allo svolgimento dei propri compiti o per una indagine di carattere giudiziario; b) che non assuma iniziative a favore di interessi di un qualsiasi movimento o partito politico, organizzazione o associazione sindacale o imprenditoriale o comunità religiosa o altra privata associazione. Art. 23 (Servizio Informazioni della Guardia di finanza) 1. L'espletamento di attività informative e controinformative e di tutela della sicurezza interna da parte del Corpo della guardia di finanza, per i compiti di istituto ad essa assegnati, è disciplinato con apposito

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regolamento emanato dal Presidente della Repubblica dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro delle finanze e con il Ministro dell'interno. Art. 24 (tutela della sicurezza interna dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della guardia di finanza) 1. All'espletamento di compiti controinformativi, antisovversione, contro-sabotaggio e antiterrorismo e in generale di tutela della sicurezza interna nell'ambito dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, provvedono, in collaborazione con il Servizio per la sicurezza nazionale, appositi servizi o reparti interni istituiti con regolamento emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con i Ministri competenti e con il Ministro dell'interno. Art. 25 (Organizzazione Nazionale per la Sicurezza) 1. L'organizzazione Nazionale per la Sicurezza (ORGANSIC) ha per scopo, anche in applicazione degli accordi internazionali, la tutela del segreto, sia sotto il profilo della protezione dei documenti, dei materiali o dei processi scientifici e industriali e di ogni altra informazione che secondo i vari gradi di classificazione, debba essere tutelata per mezzo del segreto, contro la diffusione o comunque contro la conoscenza non autorizzata, sia sotto il profilo della sicurezza del personale. 2. Il Presidente del Consiglio dei ministri presiede all'Organizzazione Nazionale per la Sicurezza; emana le direttive per la sua organizzazione ed il suo funzionamento e in particolare per la tutela del segreto; controlla l'applicazione delle direttive stesse e dei regolamenti di cui al comma 4. 3. L'organizzazione Nazionale per la Sicurezza (ORGANSIC) comprende: a) l'Autorità Nazionale per la Sicurezza (ANASIC), che è il Direttore generale del Segretariato generale di cui all'articolo 3; b) l'Ufficio Centrale per la Sicurezza (UCSI), che è il Segretariato generale di cui all'articolo 3 e gli altri uffici costituiti sotto la sua sovrintendenza funzionale presso le Amministrazioni pubbliche e, quando necessari, anche presso enti privati, che esercitano attività di interesse dello Stato sotto il profilo delle esigenze di tutela del segreto. 4. L'ordinamento dell'Organizzazione per la Sicurezza e la disciplina delle sue attività, sono stabilite con uno o più regolamenti emanati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'interno, della difesa, dell'industria del commercio e dell'artigianato e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica. Art. 26 (Commissione Presidenziale per i Servizi di Informazione e Sicurezza) 1. È istituita la Commissione Presidenziale per i Servizi di Informazione e Sicurezza, con il compito di investigare sui reclami da chiunque presentati contro l'attività del Segretariato generale e dei Servizi per non giustificato esercizio, nei confronti di qualunque persona, associazione, ente o società, delle attribuzioni a essi conferite. 2. La Commissione Presidenziale è costituita da un presidente e da quattro membri, scelti tra magistrati a riposo che abbiano esercitato effettivamente almeno le funzioni di Presidente di sezione della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, o tra gli avvocati abilitati da almeno quindici anni al patrocinio davanti alla Corte di cassazione, che abbiamo cessato o cessino dell'esercizio della professione. Per lo svolgimento dei compiti di controllo finanziario, amministrativo e contabile, essa è integrata da altri due membri, scelti tra dirigenti generali a riposo o che accettino di essere collocati a riposo: della Ragioneria generale dello Stato, della Direzione generale del tesoro e della Banca d'Italia. 3. Il presidente e i membri della Commissione sono nominati dal Presidente della Repubblica con proprio decreto controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri. 4. Il Presidente e i membri della Commissione durano in carica tre anni. 5. Qualora la Commissione Presidenziale ritenga che il reclamo non sia manifestamente pretestuoso o infondato, dispone una inchiesta. Il Segretariato generale e i Servizi devono collaborare con la

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Commissione Presidenziale e fornire a essa qualunque informazione esso richieda. 6. La Commissione Presidenziale riferisce con la sua relazione al Presidente della repubblica e al Presidente del Consiglio dei ministri, sui risultati della sua inchiesta, anche proponendo l'adozione di misure generali e specifiche. 7. Al Presidente della Commissione e ai membri di essa è attribuito un trattamento economico pari rispettivamente a quello del Vice Presidente e dei membri non magistrati del consiglio superiore della magistratura. 8. Le norme per l'attività della Commissione presidenziale sono emanate, sentita la Commissione stessa, con regolamento deliberato dal Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri ed emanato con decreto del Presidente della Repubblica. Art. 27 (Comitato Parlamentare per i Servizi) 1. È istituito un Comitato Parlamentare per i Servizi di Informazione e Sicurezza e per la tutela del segreto di Stato. 2. Il Comitato è costituito da un Presidente scelto tra i deputati e i senatori e da cinque deputati e cinque senatori, tutti nominati, d'intesa tra di loro, dai Presidenti delle due Camere. 3. Il Comitato parlamentare: a) esercita il controllo sull'applicazione della presente legge; b) è informato dal Presidente del Consiglio dei ministri sugli indirizzi delle politiche di informazione e sicurezza e sulla loro attuazione; c) esprime parere preventivo sulla emanazione dei regolamenti per l'ordinamento del Segretariato generale e dei Servizi e degli enti collegati; d) esprime parere preventivo sull'assegnazione dei fondi e sui risultati generali della loro rendicontazione; e) è informato sui risultati delle inchieste disposte dalla Commissione Presidenziale di cui all'articolo 26 e sulle misure eventualmente adottate dal Governo; f) è informato delle misure adottate dai Servizi a norma dell'articolo 11 e nelle forme da esso prescritte. 4. Il Comitato parlamentare può richiedere informazioni e chiarimenti e formulare proposte. 5. Il Comitato parlamentare può chiedere di ascoltare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, e il Ministro o il Sottosegretario delegato, nonché, attraverso di essi e sempre con la loro autorizzazione, i Direttori generali del Segretariato generale e dei Servizi. 6. Il Presidente del Consiglio dei ministri può opporre con sommaria motivazione, esponendo le ragioni essenziali, l'esigenza di tutela del segreto, in ordine alle informazioni che a suo giudizio superano i limiti di cui al comma 3. 7. Il segreto non è opponibile per gli atti regolamentari e per quelli soggetti al controllo della Corte dei conti. 8. Nel caso di cui al comma 6, il Comitato Parlamentare, ove ritenga, a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, che l'opposizione del segreto non sia fondata, rivolge un secondo invito al Presidente del Consiglio dei ministri e, in caso di conferma del diniego, riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni di ordine politico. 9. I componenti del Comitato Parlamentare sono vincolati al segreto di Stato relativamente alle informazioni acquisite, nonché alle proposte e ai rilievi formulati qualora riguardino materie tutelate dal segreto di Stato. 10. Gli atti del Comitato parlamentare, ancorché non riguardino materie di per sè tutelate dal segreto di Stato, sono coperti dal segreto di Stato, salvo che il Comitato parlamentare stesso non disponga motivatamente altrimenti, a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, tra i quali deve essere sempre compreso il voto del Presidente del Comitato stesso. Art. 28 (Disposizioni regolamentari) 1. Le disposizioni regolamentari previste dalla presente legge sono emanate, anche in deroga all'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400. In detti decreti è stabilito, anche in deroga alle norme vigenti, il regime della loro pubblicità.

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Art. 29 (Soppressione dei Servizi informativi di forza armata - SIOS) 1. I Servizi Informativi di Forza Armata - SIOS sono soppressi. 2. Nell'ambito degli Stati Maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica possono essere istituiti esclusivamente reparti per la valutazione delle informazioni e delle situazioni fornite dal Segretariato generale per le informazioni e la sicurezza della Direzione generale per le Informazioni militari, dagli addetti militari navali ed aeronautici, nonché dalla polizia militare. 3. All'ordinamento del servizio di polizia militare si provvede con regolamento emanato, in accordo con i principi fondamentali delle leggi e dei regolamenti che disciplinano le attribuzioni dell'Arma dei Carabinieri e delle altre forze di polizia, della legge sui principi, del regolamento di disciplina militare e dei Codici Penali Militari, con decreto del Presidente della repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro dell'interno. 4. La sua organizzazione è stabilita dal Ministro della difesa con il consenso del Presidente del consiglio dei ministri. Art. 30 (Regolamento di attuazione) 1. Entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge il Governo della Repubblica provvederà alla emanazione del regolamento generale per la sua attuazione, con decreto del Presidente della Repubblica, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'interno, della giustizia, del tesoro, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il Comitato Parlamentare di cui all'articolo 27. Art. 31 (Norme generali e transitorie) 1. Sono abrogati gli articoli da 1 a 11 della legge 24 ottobre 1977, n. 801. 2. Il Comitato esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza (CESIS) è soppresso. 3. Il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare (SISMI) e il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica (SISDe) sono disciolti. 4. Il personale in servizio presso il Comitato esecutivo e presso i disciolti Servizi, che provenga da altre amministrazioni dello Stato, è restituito alle amministrazioni di appartenenza. 5. Il personale assunto direttamente è posto in aspettativa e, salvo licenziamento, può essere reimpiegato. 6. Alla destinazione dei fondi, delle infrastrutture e delle dotazioni del Comitato Esecutivo e dei Servizi provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministri interessati. Art. 32 (Applicazione della legge) 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri entro trenta giorni dall'entrata in vigore della presente legge provvede: a) alla effettiva soppressione del Comitato esecutivo (CESIS); b) all'effettivo scioglimento del SISDe del SISMI e dei SIOS; c) alla costituzione del Segretariato generale e degli altri organi ed uffici previsti dalla presente legge. 2. Entro dieci giorni dall'entrata in vigore della legge, si procede alla eventuale nomina del Ministro o Sottosegretario di Stato delega, alla nomina del Direttore generale del Segretariato generale e alla costituzione di un primo nucleo del Segretariato generale stesso. 3. Il Segretario generale del CESIS e i Direttori dei Servizi cessano di diritto dal loro incarico con l'entrata in vigore della legge. Le loro attribuzioni sono interinalmente esercitate dal Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri. 4. Il Presidente del Consiglio dei ministri può disporre che fino al loro effettivo scioglimento, venga obbligatoriamente sospesa ogni attività operativa del CESIS, del SISDe e del SISMi. Art. 33

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(Entrata in vigore) La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. (*) Sintesi redazionale.

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Senato della Repubblica XII LEGISLATURA Disegno di legge n. 566 "Esclusione del segreto di Stato per i reati commessi con finalità di terrorismo e per i delitti di strage" presentato dai Senatori Pasquino, Gualtieri, Salivi, Salvato, Ronchi, Brutti e Perlingieri.

(*)In data 2 agosto 1995, il Disegno di legge n. 566 è stato approvato in Senato dalla Commissione 1ª (Affari Costituzionali) e 4ª (Difesa) e trasmesso quindi alla Camera dei Deputati ove, in data 18 settembre 1995, è stato assegnato alla Commissione 1ª (Affari Costituzionali) in sede referente. Il presente progetto di legge propone la modifica dell'attuale art. 204 del Codice di procedura penale che, attualmente, stabilisce l'esclusione del segreto di Stato, del segreto di ufficio, e del segreto in materia di informatori e di fonti unicamente per fatti, notizie, o documenti concernenti "reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale". Al riguardo, la proposta legislativa in esame integra il citato precetto, estendendo l'esclusione del segreto anche nei confronti di quei fatti, notizie o documenti relativi a reati commessi per finalità di terrorismo o di strage.

DISEGNO DI LEGGE d'iniziativa dei Senatori PASQUINO, GUALTIERI, SALVI, SALVATO, RONCHI, BRUTTI e PERLINGIERI Esclusione del segreto di Stato per i reati commessi con finalità di terrorismo e per i delitti di strage Comunicato alla Presidenza l'8 luglio 1994 Onorevoli Senatori! - Sono oramai trascorsi dieci anni da quando l'Associazione familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna redasse meritoriamente un progetto di legge d'iniziativa popolare in materia di abolizione del segreto di Stato per i fatti di terrorismo e di stragi e raccolse le cinquantamila firme indispensabili per portarlo all'attenzione del Parlamento. E, per fare pochi significati esempi, sono trascorsi vent'anni dalla strage di piazza della Loggia a Brescia e quattordici dall'esplosione dell'aereo a Ustica. Dieci anni fa grande fu la lentezza del Parlamento, fortemente e decisivamente ostacolato dai governi di pentapartito, nel rispondere alle sollecitazioni derivanti dall'iniziativa popolare. Non è qui il caso di ripercorrere nei dettagli quel tormentato e ostacolato iter che, comunque, culminò nell'approvazione da parte del solo Senato nella seduta del 26 luglio 1990, poi rimasto senza riscontro alla Camera dei deputati, del testo che qui viene riproposto (atti Senato nn. 1, 135, e 1663 in un testo modificato, poi atto Camera n. 5004). Non sappiamo quanti siano i fatti di terrorismo e i delitti di strage che risulta impossibile svelare e punire forse anche a causa dell'apposizione del segreto di Stato. Sono, finalmente, venute meno sostanzialmente, probabilmente del tutto, le motivazioni di carattere internazionale che impedivano al Governo italiano di sollevare il segreto di Stato sui fatti che hanno insanguinato la storia della Prima Repubblica. al contrario, è nell'interesse anche delle vecchie e delle nuove democrazie europee e, persino, del processo di rappacificazione fra palestinesi e israeliani, che tutto quanto attiene al terrorismo e alle stragi italiani sia pienamente svelato. Così come è giusto che il ceto politico italiano e i responsabili dei servizi segreti possano essere assolti oppure debbano essere opportunamente processati per le loro eventuali responsabilità dirette e indirette nelle varie ramificazioni della strategia della tensione. Sentiamo tutti, onorevoli colleghi, la necessità di voltare pagina. Per scrivere una pagina nuova e migliore della Repubblica italiana, è però assolutamente indispensabile che le vecchie pagine siano tutte scritte, senza segreti, siano tutte leggibili, senza omissis, contengano tutte chiare attribuzioni di meriti e di responsabilità. Soltanto allora, si potrà e si dovrà voltare pagina. È con questo spirito e con questo obiettivo che sottoponiamo alla vostra attenzione e alla vostra rapida approvazione il disegno di legge che, per i soli

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fatti di terrorismo e strage, esclude l'apposizione del segreto di Stato. Siamo convinti che quello che è stato opportunamente fatto con riferimento ai delitti di mafia, per i quali la legge istitutiva della nuova Commissione antimafia (legge 30 giugno 1994, n. 430, articolo 3) esclude l'apposizione del segreto possa e debba essere fatto anche per i reati terroristici e per i delitti di strage. Presto. DISEGNO DI LEGGE Art. 1 1. L'articolo 204 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 204 -Esclusione dal segreto. - 1. Nei procedimenti penali non possono essere oggetto del segreto previsto dagli articoli 201, 202 e 203 fatti, notizie o documenti concernenti reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, nonché i delitti di strage previsti dagli articoli 285 e 422 del codice penale. Se viene opposto il segreto, la natura del reato è definita dal giudice. Prima dell'esercizio dell'azione penale, provvede il giudice per le indagini preliminari su richiesta di parte. 2. Dell'ordinanza che rigetta l'eccezione di segretezza è data comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri». Art. 2 1. Il comma 2 dell'articolo 66 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è sostituito dal seguente: «2. Quando perviene la comunicazione prevista dall'articolo 204, comma 2, del codice, il Presidente del Consiglio dei ministri conferma al giudice il segreto con presupposti indicati nel comma 1 dello stesso articolo perché il fatto, la notizia o il documento coperto da segreto di Stato non concerne il reato per cui si procede. In mancanza, decorsi sessanta giorni dalla notificazione della comunicazione, il giudice dispone il sequestro del documento o l'esame del soggetto interessato». (*) Sintesi redazionale.

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MINISTRO DELL'INTERNO - Decreto 10 maggio 1994, n.415 Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

IL MINISTRO DELL'INTERNO Visto l'art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241; Visto l'art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto l'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352; Udito il parere della commissione per l'accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui all'art. 27 della legge 7 agosto 1990, n. 241, espresso in data 7 luglio 1993; Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso nell'adunanza generale del 27 gennaio 1994; Inviata la comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con nota n. M/2107/A in data 9 maggio 1994, Adotta il seguente regolamento Art. 1 Ambito di applicazione 1. Il presente regolamento individua, in conformità all'art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, le categorie di documenti formati o comunque rientrati nella disponibilità del Ministero dell'interno e degli organi periferici dipendenti sottratti all'accesso in relazione ai casi di esclusione del diritto di accesso di cui all'art. 24, comma 2, della medesima legge n. 241 del 1990 ed all'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n.352. Art. 2 Categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali 1. Ai sensi dell'art. 8, comma 5, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, ed in relazione alla esigenza di salvaguardare la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali, sono sottratte all'accesso le seguenti categorie di documenti: a) documentazione relativa agli accordi intergovernativi stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia; b) dichiarazioni di riservatezza e relativi atti istruttori dei documenti archivistici concernenti la politica estera o interna, secondo quanto previsto dagli articoli 21 e 22 del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, nonché dall'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1975, n. 854; c) relazioni, rapporti ed ogni altra documentazione relativa a problemi concernenti le zone di confine ed i gruppi linguistici minoritari, la cui conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali; d) documentazione relativa ai precedenti di concessione, acquisto e riacquisto della cittadinanza la cui conoscenza può pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali.

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Art. 3 Categorie di documenti inaccessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero ai fini di prevenzione e repressione della criminalità 1. Ai sensi dell'art. 8, comma 5, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, ed in relazione all'esigenza di salvaguardare l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità, sono sottratte all'accesso le seguenti categorie di documenti: a) relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l'adozione degli atti o provvedimenti dell'autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all'attività di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizioni di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità; b) relazioni di servizio, informazioni e altri atti o documenti attinenti ad adempimenti istruttori relativi a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica e all'attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizioni di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità; c) atti e documenti attinenti ad informazioni fornite da fonti confidenziali, individuate o anonime, nonché da esposti informali di privati, di organizzazioni di categoria o sindacali; d) atti e documenti concernenti l'organizzazione e il funzionamento dei servizi di polizia, ivi compresi quelli relativi all'addestramento, all'impiego e alla mobilità del personale delle Forze di polizia, nonché i documenti sulla condotta dell'impiegato rilevanti ai fini di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e quelli relativi ai contingenti delle Forze armate poste a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza; e) documenti attinenti alla dislocazione sul territorio dei presidi delle Forza di polizia, esclusi quelli aperti al pubblico; f) atti e documenti concernenti la sicurezza delle infrastrutture la protezione e custodia di armi, munizioni, esplosivi e materiali classificati; g) atti di pianificazione, programmazione, acquisizione, gestione e manutenzione, dismissione di infrastrutture ed aree nei limiti in cui detti documenti contengono notizie rilevanti al fine di garantire la sicurezza pubblica nonché la prevenzione e la repressione della criminalità; h) atti e documenti in materia di ricerca, sviluppo, pianificazione, programmazione, acquisizione, gestione e conservazione dei mezzi, delle armi, di materiali e delle scorte; i) relazioni tecniche sulle prove d'impiego dei materiali di sperimentazione; l) documentazione relativa alla descrizione progettuale e funzionale di impianti industriali a rischio limitatamente alle parti la cui conoscenza può agevolare la commissione di atti di sabotaggio; m) atti, documenti e note informative utilizzate per l'istruttoria finalizzata all'adozione dei provvedimenti di rimozione degli amministratori degli enti locali ai sensi dell'art. 40 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e dei provvedimenti di scioglimento degli organi ai sensi dell'art. 39, comma 1, lettera a), della legge 8 giugno 1990, n. 142, e dell'art. 1 decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito, con modificazioni, nella legge 22 luglio 1991, n. 221. 2. Il divieto di accesso ai documenti elencati alla lettera m) del comma 1 opera nei limiti in cui esso è necessario per assicurare l'ordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalità, con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione, alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, nonché alle attività di polizia giudiziaria e alla conduzione delle indagini. Art. 4 Categorie di documenti inaccessibili per motivi di riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese 1. Ai sensi dell'art. 8, comma 5, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, ed in relazione all'esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro ai medesimi la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici, sono sottratte all'accesso le seguenti categorie di documenti: a) atti concernenti la concessione del nullaosta di segretezza;

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b) rapporti informativi sul personale dipendente del Ministero dell'interno nonché notizie sugli aspiranti all'accesso nei ruoli della Polizia di Stato; c) notizie, documenti e cose comunque attinenti alle selezioni psico-attitudinali; d) accertamenti medico-legali e relativa documentazione; e) documenti e atti relativi alla salute delle persone ovvero concernenti le condizioni psicofisiche delle medesime; f) documentazione attinente ai lavori delle commissioni di avanzamento e alle procedure di passaggio alle qualifiche superiori, fino alla data di adozione dei relativi decreti di promozione, e documentazione delle commissioni giudicatrici di concorso, fino alla adozione, da parte dell'Amministrazione, del provvedimento conclusivo del relativo procedimento; g) documentazione caratteristica, matricolare e concernente situazioni private dell'impiegato; h) documentazione attinente a procedimenti penali e disciplinari; i) documentazione attinente a richieste ispettive sommarie e formali; l) documentazione attinente ai provvedimenti di dispensa dal servizio; m) informazioni relative alla concessione di autorizzazione all'accesso ad infrastrutture di polizia o di interesse per la difesa nazionale; n) documentazione relativa alla corrispondenza epistolare di privati, alla attività professionale, commerciale e industriale, nonché alla situazione finanziaria, economica e patrimoniale di persone, gruppi ed imprese comunque utilizzata ai fini dell'attività amministrativa; o) dichiarazioni di riservatezza e relativi atti istruttori dei documenti archivistici concernenti situazioni puramente private di persone o processi penali, secondo quanto previsto dagli articoli 21 e 22 del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, nonché dall'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1975, n. 854; p) rapporti alla Procura generale ed alle procure regionali della Corte dei conti e richieste o relazioni di dette procure ove siano nominativamente individuati soggetti per i quali si appalesa la sussistenza di responsabilità amministrative, contabili e penali; q) atti di proponimento di azioni di responsabilità di fronte alla Procura generale ed alle procure regionali della Corte dei conti nonché alle competenti autorità giudiziarie; r) verbali di cui all'art. 1 comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1990, n. 136, in materia di riconoscimento dello status di rifugiato, compresa la relativa documentazione istruttoria; s) atti della commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, di cui all'art. 2 del decreto del Presidente della repubblica 15 maggio 1990, n. 136, relativi a: 1) istanze volte al riconoscimento dello status di rifugiato; 2) resoconti delle audizioni dei richiedenti lo status di rifugiato; 3) verbali delle sedute; 4) documentazioni integrative eventualmente presentate dai richiedenti in sede di commissione; 5) decisioni dalla commissione notificate ai richiedenti; 6) atti concernenti affari di pertinenza dei rifugiati, sia che essi risiedano in Italia o che siano emigrati in altri Paesi; 7) atti relativi ai ricorsi dei richiedenti lo status di rifugiato - ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge 28 febbraio 1990, n. 39 - avverso le pronunce di denegazione prodotte dalla commissione centrale; t) atti e documenti relativi ai provvedimenti di concessione o di denegazione dei contributi di prima assistenza di cui gli articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto interministeriale 24 luglio 1990, n. 237, in materia di prima assistenza ai richiedenti lo status di rifugiato; u) atti - e inerente documentazione - dei ricorsi avverso il provvedimento di diniego del contributo di prima assistenza ex art. 5 del decreto interministeriale 24 luglio 1990, n. 237; v) elaborati progettuali relativi alle sedi di servizio dei vigili del fuoco; z) elaborati ed ogni altro atto tecnico concernente i prodotti soggetti ad omologazione e approvazioni ai fini della normativa antincendio. 2. Il divieto di accesso ai documenti elencati alle lettere p), q), r), s), t), e u), è limitato alle sole parti la cui conoscenza può pregiudicare il diritto delle persone alla riservatezza. Art. 5 Periodo di segretazione

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1. Ai sensi dell'art. 24, comma 6, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e dell'art. 8, comma 2 e 3 , del decreto del Presidente della repubblica 27 giugno 1992, n. 352, l'accesso è consentito: a) per i documenti di cui all'art. 2, lettera b), del presente regolamento dopo un periodo di segretazione di anni cinquanta; b) per i documenti di cui all'art. 2, lettera c), del presente regolamento, dopo un periodo di segretazione di anni cinque. Resta fermo il divieto di accesso per i documenti o parte di essi contenenti notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica o all'attività di prevenzione e repressione dei reati; c) per i documenti di cui all'art. 4, lettera o), del presente regolamento, dopo un periodo di segretazione di anni settanta. 2. Il Ministro può permettere, per motivi di studio, la consultazione dei documenti di cui alle lettere a) e c) del comma 1 anche prima della scadenza dei termini ivi indicati, in conformità all'art. 21 comma 2, del decreto del Presidente della repubblica 30 settembre 1963 n. 1409. Art. 6 Modifiche 1. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento e successivamente almeno ogni tre anni dalla data di entrata in vigore del presente, l'Amministrazione dell'interno verifica la congruità delle categorie di documenti sottratti all'accesso individuate dagli articoli precedenti, valutando altresì la possibilità di disciplinare ulteriori casi di differimento dell'accesso rispetto a quelli previsti dall'art. 5 del presente regolamento. 2. Le modifiche ritenute necessarie a seguito della verifica di cui al comma 1 sono adottate nelle medesime modalità e forme del presente regolamento. Art. 7 Pubblicità aggiuntiva 1. Il presente regolamento, oltre che pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della repubblica italiana, è altresì pubblicato nel Bollettino ufficiale di legislazione del Ministero dell'interno. le stesse modalità sono utilizzate per le successive modifiche ed integrazioni. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella raccolta ufficiale degli atti normativi della repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Roma, 10 maggio 1994 Il Ministro: CIAMPI Visto il Guardasigilli: BIONDI Registrato alla Corte dei conti il 10 giugno 1994 Registro n. 1 Interno, foglio n. 297 AVVERTENZA Il testo delle note qui pubblicato è stato redatto ai sensi dell'art. 10, comma 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge alle quali è operato rinvio. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti. NOTA AL TITOLO: La legge 7 agosto 1990, n. 241, reca "Nuove norme sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi". Si trascrive il testo del relativo art. 24: «Art. 24. - 1. Il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'art. 12

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della 24 ottobre 1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento. 2. Il Governo è autorizzato ad emanare, ai sensi del comma 2 dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n.400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare: a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; b) la politica monetaria e valutaria; c) l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità; d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici. 3. Con i decreti di cui al comma 2 sono altresì stabilite norme particolari per assicurare che l'accesso ai dati raccolti mediante strumenti informatici avvenga nel rispetto delle esigenze di cui al medesimo comma 2. 4. Le singole amministrazioni hanno l'obbligo di individuare, con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi, le categorie di documenti da essi formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso per le esigenze di cui al comma 2. 5. Restano ferme le disposizioni previste dall'art. 9 della legge 1° aprile 1981, n. 121, come modificato dall'art. 26 della legge 10 ottobre 1986, n. 668, e dalle relative norme di attuazione, nonché ogni altra disposizione attualmente vigente che limiti l'accesso ai documenti amministrativi. 6. I soggetti indicati nell'art. 23 hanno facoltà di differire l'accesso ai documenti richiesti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa. Non è comunque ammesso l'accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all'art. 13, salvo diverse disposizioni di legge». NOTE ALLE PREMESSE: - Per il testo del comma 4 dell'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, si veda in nota al titolo. - Il testo dei commi 3 e 4 dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (disciplina l'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del consiglio dei Ministri) è il seguente: «3. Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del consiglio dei Ministri prima della loro emanazione. 4. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di "regolamento", sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale» - Il testo dell'art. 8 del D.P.R. del 27 giugno 1992, n. 352 (regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24 comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) è il seguente: «Art. 8 (Disciplina dei casi di esclusione). - 1. Le singole amministrazioni provvedono all'emanazione dei regolamenti di cui all'art. 24, comma 4, legge 7 agosto 1990, n. 241, con l'osservanza dei criteri fissati nel presente articolo. 2. I documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241. I documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine, le amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso. 3. In ogni caso i documenti non possono essere sottratti all'accesso ove sia sufficiente far ricorso al potere di differimento. 4. Le categorie di cui all'art. 24 comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardano tipologie di atti individuati con criteri di omogeneità indipendente dalla loro denominazione specifica.

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Nell'ambito dei criteri di cui ai commi 2, 3 e 4, i documenti amministrativi possono essere sottratti all'accesso: a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché all'esercizio della sovranità nazionale alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste nei trattati e nelle leggi di attuazione; b) quando possa arrecarsi pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, nonché l'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini; d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, imprese e associazioni con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono. Deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici». - Il testo dell'art. 27 della legge 7 agosto 1990, n. 241, è il seguente: «Art. 27 - 1. è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. 2. La commissione è nominata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composta da sedici membri dei quali due senatori e due deputati designati dai Presidenti delle rispettive camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, quattro fra i professori di ruolo in materia giuridico-amministrativa e quattro fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici. 3. La commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in caso di scadenza o scioglimento anticipato delle camere nel corso del triennio. 4. Gli oneri per il funzionamento della commissione sono a carico dello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 5. La commissione vigila affinché venga attuato il principio di piena conoscibilità dell'attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione che comunica alle camere e al Presidente del consiglio dei Ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia dei diritti di accesso di cui all'art. 22. 6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla commissione, nel termine assegnato dalla medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato. 7. In caso di prolungato inadempimento all'obbligo di cui all'art. 18, le misure ivi previste sono adottate dalla commissione di cui al presente articolo». Note all'art. 1: - Per il testo al comma 2 del comma 4 dell'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, si veda in nota al titolo. - Per il testo dell'art. 8 del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, si veda in nota al titolo. Note all'art. 2: - Per il testo dell'art. 8, comma 5, lettera a), del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, si veda in nota al titolo. - Il testo dell'art. 21 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409 (Norme relative all'ordinamento ed al personale degli archivi di Stato) è il seguente: «Art. 21 (Limiti alla consultabilità dei documenti). - I documenti conservati negli archivi di Stato sono liberamente consultabili, ad eccezione di quelli di carattere riservato relativi alla politica estera o interna che diventano consultabili 50 anni dopo la loro data, e di quelli riservati relativi a situazioni puramente private di persone, che lo diventano dopo 70 anni. I documenti dei processi penali sono consultabili 70 anni dopo la

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data della conclusione del procedimento. Il ministro per l'interno, previo parere del direttore dell'archivio di Stato e udita la giunta del Consiglio superiore degli archivi, può permettere, per motivi di studio, la consultazione di documenti di carattere riservato anche prima della scadenza dei termini indicati nel comma precedente. I documenti di proprietà dei privati, e da questi depositati negli archivi di Stato o agli archivi medesimi donati o venduti o lasciati in eredità o legato, sono assoggettati alla disciplina stabilita dal primo e dal secondo comma del presente articolo. I depositati e coloro che donano o vendono o lasciano in eredità o legato documenti agli archivi di Stato, possono tuttavia porre la condizione della non consultabilità di tutti o di parte dei documenti dell'ultimo settantennio. Tale limitazione, come pure quella generale stabilita dal primo comma, non opera nei riguardi dei depositati, dei donati, dei venditori e di qualsiasi altra persona da essi designata. La limitazione è altresì inoperante nei confronti degli aventi causa dei depositanti, dei donanti, dei venditori, quando si tratta di documenti concernenti oggetti ai quali siano interessati per il titolo d'acquisto". - Il testo dell'art. 22 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, è il seguente: «Art. 22 (Estensione delle norme contenute nell'archivio precedente). - Le disposizioni dell'articolo precedente sono applicabili in quanto non siano in contrasto con gli ordinamenti particolari: a) agli archivi correnti e di deposito degli organi legislativi, giudiziari e amministrativi dello Stato; b) agli archivi degli enti pubblici». - Il testo dell'art. 1 del D.P.R. 30 dicembre 1975, n. 854 (Attribuzioni del Ministero dell'interno in materia di documenti archivistici non ammessi alla libera consultazione) è il seguente: «Art. 1 - L'Amministrazione dell'interno provvede, in attuazione del comma secondo, lettera c), dell'art. 2 del decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657, come modificato dalla legge 29 gennaio 1975, n. 5: a) ad esercitare la vigilanza, ai fini di assicurarne l'integrità e la riservatezza, sui documenti che costituiscono eccezione alla consultabilità ai sensi dell'art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409; b) ad autorizzare, nei casi e con le procedure previste dalle disposizioni vigenti, la consultazione degli atti di cui alla precedente lettera a); c) a svolgere i compiti di vigilanza previsti dal titolo IV del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, sui documenti che rientrano nella categoria riservata prevista dall'art. 21 del decreto medesimo, che si trovano a qualsiasi titolo in possesso di enti pubblici e di privati». Note all'art. 3: - Per il testo dell'art. 8, comma 5, lettera c), del decreto del Presidente della repubblica 27 giugno 1992, n. 352, si veda in nota al titolo. - Il testo dell'art. 40 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali) è il seguente: «Art. 40 (Rimozione e sospensione di amministratori di enti locali). - 1. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, il sindaco, il presidente della provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i componenti dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali possono essere rimossi quando compiono atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico. 2. In attesa del decreto, il prefetto può sospendere gli amministratori di cui al comma 1 qualora sussistano motivi di grave e urgente necessità. 3. Sono fatte salve le disposizioni dettate dall'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55». - Il testo dell'art. 39, comma 1, della citata legge n. 142/1990, come modificato dall'art. 21 della legge 25 marzo 1993, n. 81, è il seguente: «Art. 39 (Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali). - 1. I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno: a) quando compiono atti contrari alla Costituzione o per gravi persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico; b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause: 1) dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;

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2) dimissioni o decadenza di almeno la metà dei consiglieri; c) quando non sia approvato nei termini il bilancio». - Il testo dell'art. 1 del D.L. 31 maggio 1991, n. 1991 n. 164, convertito con modificazioni, nella legge 22 luglio 1991, n. 221, ha introdotto l'art. 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, recante nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazioni di pericolosità sociale. Il testo dell'art. 15-bis della legge 1993, n. 120 e dagli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 del D.L. 20 dicembre 1993, n. 529, convertito nella legge 11 febbraio 1994, n. 108, è il seguente: «Art. 15-bis - 1. Fuori dei casi previsti dall'art. 39 della legge 8 giugno 1990, n. 142, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'art. 15, comma 5, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidate ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti, nonché di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte. 1-bis. Presso il Ministero dell'interno è istituito, con personale dell'Amministrazione, un comitato di sostegno e di monitoraggio dell'azione delle commissioni straordinarie di cui al comma 4 e dei commi riportati a gestione ordinaria. 2. Lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministero dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il provvedimento di scioglimento deliberato dal Consiglio dei Ministri è trasmesso al Presidente della Repubblica per l'emanazione del decreto ed è contestualmente trasmesso alle Camere. Il procedimento è avviato dal prefetto della provincia con una relazione che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti dall'Alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al comma 1 o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della repubblica competente, il quale, in deroga all'art. 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento. 3. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati. Il decreto di scioglimento, con allegata la relazione del Ministro, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. 3-bis. Il provvedimento con il quale si dispone l'eventuale proroga della durata dello scioglimento a norma del comma 3 è adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente la data fissata per lo svolgimento delle elezioni relative al rinnovo degli organi. Si osservano le procedure e le modalità stabilite dal comma 2. 4. Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell'ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono conferite con il decreto stesso. La commissione è composta di tre membri scelti tra i funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria e amministrativa in quiescenza. La commissione rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile. 4-bis. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottarsi a norma dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono determinate le modalità di organizzazione e funzionamento della commissione straordinaria di cui al comma 4 per l'esercizio delle attribuzioni ad essa conferite, le modalità di pubblicazione degli atti adottati dalla commissione stessa, nonché le modalità di organizzazione e funzionamento del comitato di cui all'art. 1, comma 1-bis. 5. Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell'ente mediante invio di commissari. La sospensione non può eccedere la durata di sessanta giorni e il termine del decreto di cui al comma 3 decorre dalla data del provvedimento di

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sospensione. 6. Si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi a norma del presente articolo quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorché ricorrano le situazioni previste dall'art. 39 della legge 8 giugno 1990, n. 142. 6-bis. Quando in relazione alle situazioni indicate nel comma 1 sussiste la necessità di assicurare il regolare funzionamento dei servizi degli enti nei cui confronti è stato disposto lo scioglimento, il prefetto, su richiesta della commissione straordinaria di cui al comma 4, può disporre, anche in deroga alle norme vigenti, l'assegnazione in via temporanea, in posizione di comando o distacco, di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni ed enti pubblici, previa intesa con gli stessi, ove occorra anche in posizione di sovraordinazione. Al personale assegnato spetta un compenso mensile lordo proporzionato alle prestazioni da rendere, stabilito dal prefetto in misura non superiore al 50 per cento del compenso spettante a ciascuno dei componenti della commissione straordinaria, nonché, ove dovuto, il trattamento economico di missione stabilito dalla legge per i dipendenti dello Stato in relazione alla qualifica funzionale posseduta nell'amministrazione di appartenenza. Tali competenze sono a carico dello Stato e sono corrisposte dalla prefettura, sulla base di idonea documentazione giustificativa, sugli accreditamenti emessi, in deroga alle vigenti disposizioni di legge, dal Ministro dell'interno. La prefettura, in caso di ritardo nell'emissione degli accreditamenti, è autorizzata a prelevare le somme occorrenti sui fondi in genere della contabilità speciale. per il personale non dipendente da amministrazioni centrali o periferiche dello Stato, la prefettura provvede al rimborso ai datori di lavoro dello stipendio lordo, per la parte proporzionalmente corrispondente alla durata delle prestazioni rese. Agli oneri derivanti dalla presente disposizione di provvede per gli anni 1993 e seguenti con una quota parte del 10 per cento delle somme di denaro confiscate ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché del ricavato delle vendite disposte a norma dell'art. 4, commi 4 e 6, del decreto-legge 14 giugno 1989, n. 230, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282, relative ai beni mobili od immobili ed ai beni costituiti in azienda confiscati ai sensi della medesima legge n. 575 del 1965. Alla scadenza del periodo di assegnazione, la commissione straordinaria potrà rilasciare, sulla base della valutazione dell'attività prestata dal personale assegnato, apposita certificazione di lodevole servizio che costituisce titolo valutabile ai fini della progressione di carriera e nei concorsi interni e pubblici nelle amministrazioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali. 6-ter. Per far fronte a situazioni di gravi disservizi e per avviare la sollecita realizzazione di opere pubbliche indifferibili, la commissione straordinaria di cui al comma 4, entro il termine di sessanta giorni dall'insediamento, adotta un piano di priorità degli interventi, anche con riferimento a progetti già approvati e non eseguiti. Gli atti relativi devono essere nuovamente approvati dalla commissione straordinaria. La relativa deliberazione, eseguita a norma di legge, è inviata entro dieci giorni al prefetto il quale, sentito il comitato provinciale della pubblica amministrazione opportunamente integrato con i rappresentanti di uffici tecnici delle amministrazioni statali, regionali o locali, trasmette gli atti all'amministrazione regionale territorialmente competente per il tramite del commissario del Governo o alla Cassa depositi e prestiti, che provvedono alla dichiarazione di priorità di accesso ai contributi e finanziamenti a carico degli stanziamenti comunque destinati agli investimenti degli enti locali. Le disposizioni del presente comma si applicano ai predetti enti anche in deroga all'art. 25 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente agli importi totalmente ammortizzabili con contributi statali o regionali ad essi effettivamente assegnati. 6-quater. Le disposizioni di cui al comma 6-ter si applicano, a far tempo dalla data di insediamento degli organi e fino alla scadenza del mandato elettivo, anche alle amministrazioni comunali e provinciali, i cui organi siano rinnovati al termine del periodo di scioglimento disposto ai sensi del comma 1. 6-quinquies. Nei casi in cui lo scioglimento è disposto anche con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso, connesse all'aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture, ovvero l'affidamento in concessione di servizi pubblici locali, la commissione straordinaria di cui al comma 4 procede alle necessarie verifiche con i poteri del collegio degli ispettori di cui all'art. 14 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991. A conclusione degli accertamenti, la commissione straordinaria adotta tutti i provvedimenti ritenuti necessari e può disporre d'autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale o la rescissione del contratto già concluso. 6-sexies. Ferme restando le forme di partecipazione popolare previste dagli statuti in attuazione dell'art. 6, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142, la commissione straordinaria di cui al comma 4, allo scopo di

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acquisire ogni utile elemento di conoscenza e valutazione in ordine a rilevanti questioni d'interesse generale si avvale, anche mediante forme di consultazione diretta, dell'apporto di rappresentanti delle forze politiche in ambito locale, dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), dell'Unione delle provincie d'Italia (UPI), delle associazioni imprenditoriali e degli ordini professionali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, nonché delle organizzazioni di volontariato e degli altri organismi locali particolarmente interessati alla questione delle tratte. 6-septies. Qualora negli enti, nei cui confronti sia stato disposto lo scioglimento degli organi ai sensi del comma 1, non risulti costituita la commissione di disciplina prevista dall'art. 51, comma 10, della legge 8 giugno 1990, n. 142, per la mancata elezione del rappresentante del personale, la predetta commissione di disciplina è composta, per tutta la durata dello scioglimento, dagli altri due membri ordinari e da un dipendente dell'ente, nominato dalla commissione straordinaria di cui al comma 4. Ai fini della sostituzione nei casi di assenza, di legittimo impedimento o di ricusazione previsti dal regolamento organico dell'ente, la commissione straordinaria procede altresì alla nomina del componente supplente, prescelto nell'ambito dei dipendenti che rivestono la stessa qualifica funzionale del componente effettivo, o, in mancanza, quella immediatamente inferiore. Le disposizioni del presente comma, ricorrendone i presupposti, si applicano anche ai fini della costituzione e del funzionamento di organi collegiali, comunque denominati, con competenza in materia disciplinare, eventualmente previsti dalla legge o dai contratti collettivi di comparto. 7. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle unità sanitarie locali, ai consorzi di comuni e provincie, alle unioni di comuni, alle comunità montane, nonché alle aziende speciali dei comuni e delle provincie e ai consigli circoscrizionali, in quanto compatibili con i relativi ordinamenti. 7-bis. Il Ministro dell'interno presenta al Parlamento una relazione semestrale sull'attività svolta dalla gestione straordinaria dei singoli comuni». Note all'art. 4: - Per il testo dell'art. 8, comma 5, lettera d), del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, si veda in nota al titolo. - Per il testo degli articoli 21 e 22 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409 e dell'art. 1 del D.P.R. 30 dicembre 1975, n. 854, si veda in nota all'art. 2. - Il testo dell'art. 1, comma 2, del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136 (regolamento per l'attuazione dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, in materia di riconoscimento dello status di rifugiato) è il seguente: «2. La questura raccoglie i dati sull'identità del richiedente la qualifica di rifugiato e i documenti prodotti o comunque acquisiti anche d'ufficio, redige un verbale delle dichiarazioni dell'interessato e, sempre che non risultino i motivi ostativi di cui all'art. 1, comma 4, del decreto-legge sopra richiamato, invia entro sette giorni tutta la documentazione istruttoria alla commissione di cui all'art. 2, rilasciando al richiedente un permesso di soggiorno temporaneo valido sino alla definizione della procedura». - Il testo dell'art. 2 del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136, è il seguente: «Art. 2 - 1. La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta congiunta dei Ministri dell'interno e degli affari esteri. Essa è presieduta da un prefetto ed è composta da un funzionario dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario del Ministero degli affari esteri con qualifica non inferiore a consigliere di legazione, da due funzionari del Ministero dell'interno, di cui uno appartenente al Dipartimento della pubblica sicurezza ed uno alla Direzione generale dei servizi civili, con qualifica non inferiore a primo dirigente o equiparata. Alla riunione della Commissione partecipa, con funzioni consultive, un rappresentante del Delegato in Italia dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. 2. Con i criteri di cui al comma 1 il Presidente del Consiglio dei Ministri può costituire più sezioni anche per aree geografiche di provenienza dei richiedenti il riconoscimento. 3. Nell'ipotesi in cui siano costituite più sezioni, è istituito altresì un consiglio di presidenza composto dai presidenti delle singole sezioni e presieduto dal presidente della prima sezione. 4. Il consiglio di presidenza fissa le direttive e i criteri di massima per le attività delle sezioni. 5. Ciascuna amministrazione interessata designa un supplente per ogni componente spettantele nella Commissione e nelle sezioni». - Il testo dell'art. 5, comma 2, della legge 28 febbraio 1990, n. 39, di conversione del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini

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extracomunitari, e di regolazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato) è il seguente: «2. Contro i provvedimenti di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del luogo del domicilio eletto dall'interessato». - Il testo dell'art. 1 del decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro del tesoro 24 luglio 1990, n. 237 (regolamento per l'attuazione dell'art. 1 comma 8, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, della legge 28 febbraio 1990, n. 39, in materia di prima assistenza ai richiedenti lo status di rifugiato) è il seguente: «Art. 1 - Fino alla emanazione di una nuova disciplina dell'assistenza in materia di rifugiati, ai richiedenti lo status di rifugiato privi di mezzi di sussistenza o di ospitalità in Italia è concesso un contributo giornaliero di prima assistenza di lire venticinquemila, limitatamente al periodo in cui sussiste lo stato di indigenza. In ogni caso la durata del contributo non potrà essere superiore a quarantacinque giorni. 2. Il titolo al contributo cessa il giorno in cui viene comunicata al richiedente la deliberazione sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato emessa dalla commissione di cui all'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1990, n. 136. 3. Coloro che hanno conseguito lo status di rifugiato fruiscono, ai sensi dell'art. 23 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, dello stesso trattamento assistenziale riservato ai cittadini italiani». - Il testo dell'art. 2 del decreto 24 luglio 1990, n. 237, è il seguente: «Art. 2 - 1. Il contributo viene erogato in ratei quindicinali anticipati. Qualora il titolo al contributo venga meno per effetto del provvedimento di cui all'art. 1 comma 2, le somme già pagate non sono soggette a rimborso». - Il testo dell'art. 3 del D.M. 24 luglio 1990, n. 237, è il seguente: «Art. 3 - 1. La domanda, in carta libera, diretta al conseguimento del contributo di prima assistenza va presentata dal richiedente lo status di rifugiato ad un ufficio di polizia situato nel comune nel quale ha eletto il proprio domicilio. 2. L'ufficio di polizia trasmette tempestivamente la domanda, corredata di attestazione inerente l'accertamento dei requisiti soggettivi di cui all'art. 1, alla prefettura competente per territorio, che provvede sulla domanda medesima. 3. Ove il richiedente sia avviato presso uno dei centri di prima accoglienza di cui all'art. 11, comma 3, del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, viene sospesa l'erogazione del contributo di cui al presente decreto. 4. Dell'esito della domanda la prefettura dà comunicazione all'interessato e trasmette gli estremi del provvedimento adottato al Ministero dell'interno - Direzione generale dei servizi civili». - Il testo dell'art. 4 del D.M. 24 luglio 1990, n. 237, è il seguente: «Art. 4 - 1. Per la riscossione dei ratei di contributo il richiedente deve presentarsi alla tesoreria provinciale competente per territorio munito di valido documento di identificazione; qualora ne sia sprovvisto, potrà richiedere il rilascio della carta di identità al comune del luogo prescelto come domicilio, ai sensi dell'art. 6, comma 3, del citato decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39». Note all'art. 5: - Per il testo del comma 6 dell'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si veda in nota al titolo. - per il testo del comma 2 dell'art. 21 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, si veda in nota all'art. 2.

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CORTE COSTITUZIONALE N. 231 SENTENZA 22 OTTOBRE 1975

Deposito in cancelleria: 22 ottobre 1977 Pres. Bonifacio - Rel. Crisafulli Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - Commissione parlamentare di inchiesta (c.d. «antimafia») - Non ha obbligo di trasmettere ad organi giudiziari atti e documenti da essa formati o direttamente disposti (e che abbia ritenuto di mantenere segreti) ed atti già a disposizione di organi del potere giudiziario. Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - Commissione parlamentare di inchiesta (c.d. «antimafia») - Obbligo di trasmettere a organi giudiziari atti e documenti in suo possesso che, a norma di legge, non siano coperti all'origine da segreto non opponibile all'autorità giudiziaria penale - Conseguente annullamento di note con le quali la Commissione si rifiuta di trasmettere tali atti e documenti. Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - Legittimazione a proporlo - Organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono - Nozione - Organi giurisdizionali - Sono legittimati - Pretesa legittimazione ad processum della sola Corte di cassazione - Esclusione. Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - Legittimazione a proporlo - Organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono - Commissioni parlamentari di inchiesta - Sostituiscono oper constitutionis lo stesso Parlamento - Sono legittimate. Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37 - Interpretazione - Non muove dal criterio della definitività degli atti (eventualmente anche mancanti) - competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere e definitività dell'atto (giurisdizionale, nella specie) - Distinzione. Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - Commissione parlamentare di inchiesta (c.d. «antimafia») - Sua lettera del 26 marzo 1975 - Rifiuto di trasmettere documenti richiesti da organi giudiziari - Sussistenza della materia di conflitto e dell'interesse a sollevarlo. Parlamento - Indipendenza - Contemperamento con l'autonomia e l'indipendenza del potere giudiziario. Parlamento - Indipendenza - Contenuto - Norme costituzionali e regolamenti parlamentari. Parlamento - Atti parlamentari - Pubblicità e sue deroghe - Pubblicità dei lavori delle Commissioni (legislative, d'inchiesta, per indagini conoscitive). Parlamento - Commissioni di inchiesta - Loro rapporti con il plenum - Possono stabilire il segreto delle attività da esse svolte - Funzionalizzazione al conseguimento dei fini alla Commissione assegnati. Parlamento - Commissioni di inchiesta - Loro rapporti con il plenum - Segreto delle attività da esse svolte - Possono stabilirlo (quando non sia obbligatorio) - Finalità - Differenza da quelle caratterizzanti le istruttorie giudiziarie. Parlamento - Commissioni di inchiesta - Compiti - Carattere politico - Rientrano nella funzione ispettiva delle Camere - Accertamento di reati e di responsabilità penali - Esclusione.

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Parlamento - Commissioni di inchiesta - Poteri e limiti ex art. 82 della Costituzione - Facoltà di prescegliere anche modi di azione diversi - Eventuale natura confidenziale o riservata delle informazioni ad esse fornite o da esse raccolte - Potere di opporre il segreto alle risultanze delle indagini. Parlamento - Commissioni di inchiesta - Segreto - Natura sostanziale - Differenza da quello previsto dai codici di diritto e procedura penale. Parlamento - Commissioni di inchiesta - Segreto funzionale del loro lavoro (derogabile) - Limite che ne deriva all'esercizio della funzione giurisdizionale e del diritto di difesa - Non è illegittimo - Indicazione alle autorità giudiziarie richiedenti delle fonti delle notizie raccolte. Diritto di difesa - Costituzione, art. 24 - Interpretazione - Limiti al suo esercizio derivanti dalla necessità di contemperarne la tutela con quella di altri interessi costituzionalmente garantiti - Salvezza, in ogni caso, dell'effettività del diritto. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Prof. Francesco Paolo Bonifacio, Presidente - Dott. Luigi Oggioni - Avv. Angelo De Marco - Avv. Ercole Rocchetti - Prof. Enzo Capalozza - Prof. Vincenzo Michele Trimarchi - Prof. Vezio Crisafulli - Dott. Nicola Reale - Prof. Paolo Rossi - Avv. Leonetto Amadei - Dott. Giulio Gionfrida - Prof. Edoardo Volterra - Prof. Guido Astuti - Dott. Michele Rossano - Prof. Antonino De Stefano, Giudici, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi riuniti, promossi con le ordinanze emesse il 18 aprile 1975 dal tribunale di Torino (II sezione penale) e il 16 aprile 1975 dal tribunale di Milano (I sezione penale), rispettivamente iscritte ai nn. 15 e 16 del registro ricorsi 1975, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del rifiuto, opposto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, di trasmettere documenti richiesti dai predetti tribunali. Visti gli atti di costituzione in giudizio della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia; udito nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 1975 il Giudice relatore Vezio Crisafulli; uditi gli avvocati Aldo Sandulli e Gian Domenico Pisapia, per la Commissione parlamentare, e gli avvocati Alberto Dall'Ora e Giovanni Bovio, per il tribunale di Milano. Ritenuto in fatto: 1. - Con ordinanza emessa il 18 aprile 1975 nel corso di un procedimento penale a carico di Pantaleone Michele e Einaudi Giulio, il tribunale di Torino sollevava conflitto di attribuzione ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nei confronti del potere legislativo, assumendo che la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, istituita con legge 20 dicembre 1962, n. 1720 - dopo aver aderito solo in minima parte alle richieste, avanzate con precedenti ordinanze dallo stesso tribunale, di copie di documenti ritenuti necessari ai fini della indagine - ad una successiva richiesta, disposta con ordinanza 31 gennaio 1975, della predetta documentazione, ritenuta ormai non più segreta a seguito della pubblicazione della «Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso al termine della V Legislatura», aveva ribadito il proprio rifiuto con una lettera in data 21 febbraio 1975. 2. - I fatti da cui ha tratto origine il procedimento penale risalgono al 1969 quando l'editore Giulio Einaudi pubblicava il libro di Michele Pantaleone «Antimafia occasione mancata» nel quale l'autore attribuisce a Bernardo Canzoneri, Gaspare Cusenza, Giovanni Gioia e Orazio Ruisi la commissione di vari reati. A seguito delle querele sporte dalle persone sopra menzionale, nell'aprile e nel maggio 1969 il Procuratore della Repubblica di Torino citava a giudizio direttissimo il Pantaleone e l'Einaudi per rispondere dei reati di

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cui agli artt. 81, 110-595 del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Nel corso del dibattimento e in particolare nelle diverse udienze tenutesi nel 1973, la difesa degli imputati, cui si è generalmente associato il pubblico ministero, chiedeva l'acquisizione agli atti di documenti in possesso della Commissione antimafia e il tribunale provvedeva emettendo le relative ordinanze. Seguivano le risposte in gran parte negative della Commissione, cui peraltro il tribunale continuò a chiedere oltre la documentazione non ricevuta, anche altri atti che lo svolgimento del processo faceva, via via, apparire rilevanti ai fini dell'accertamento della verità. Perdurando il diniego della Commissione, espresso definitivamente con la citata lettera del 21 febbraio 1975, alla udienza del 18 aprile 1975 la difesa degli imputati sollecitava il tribunale a sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Il pubblico ministero si associava alla richiesta e, in conformità, il tribunale emetteva la nota ordinanza del 18 aprile 1975. 3. - Con altra ordinanza, emessa il 16 aprile 1975 nel corso di un procedimento penale a carico di Villani Silvano, il tribunale di Milano sollevava analogo conflitto nei confronti della Commissione antimafia, denunciando la violazione degli artt. 24, 101 e seguenti della Costituzione. Il Villani aveva pubblicato sul Corriere della Sera del 4 settembre 1971 un articolo intitolato «La voce della mafia al telefono», nel quale affermava essere Italo Jalongo un pregiudicato per truffa, un mafioso e come tale aver fatto diversi favori a personaggi importanti. Lo Jalongo sporse querela per diffamazione a mezzo stampa concedendo la più ampia facoltà di prova. Il 2 aprile 1973 il Villani veniva citato a giudizio direttissimo dal Procuratore della Repubblica di Milano sotto l'imputazione del reato di cui agli articoli 595-81 del codice penale e 13 della legge n. 47 del 1948, per le affermazioni contenute nell'articolo suddetto. Dall'8 maggio 1973 si sono susseguite le udienze dibattimentali spesso rinviate a causa della pendenza delle trattative per la remissione della querela. all'udienza del 22 aprile 1974, avendo la difesa del Villani chiesto che venissero acquisiti atti in possesso della Commissione antimafia ed essendosi associato alla richiesta il pubblico ministero, il tribunale in pari data emetteva la relativa ordinanza. Pervenuta la comunicazione in data 6 dicembre 1974, con la quale la Commissione antimafia rifiutava gli atti richiesti, il tribunale, in data 12 febbraio 1974, emetteva nuova ordinanza di richiesta degli atti in questione, replicando nelle premesse alle argomentazioni della commissione, e affermando, tra l'altro, che la prova liberatoria spetta all'imputato o per richiesta del querelante o a norma dell'art. 51 del codice penale in relazione agli artt. 21 e 24 della Costituzione. Con successiva nota del 26 marzo 1975 la Commissione in risposta all'ordinanza 12 febbraio, ribadiva il rifiuto di esibire i documenti, insistendo sul corretto significato da attribuire alla «pubblicazione» disposta al termine della V Legislatura. All'udienza del 16 aprile la difesa del Villani chiedeva al tribunale di sollevare conflitto di attribuzione davanti alla corte costituzionale nei confronti dell'antimafia. Il pubblico ministero, dal canto suo, si associava alla richiesta «facendola propria», ed il tribunale emetteva la nota ordinanza 16 aprile 1975. 4. - Con ordinanze nn. 228 e 229 dell'8 luglio 1975 la Corte costituzionale, a norma dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, dichiarava l'ammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione proposti rispettivamente dal tribunale di Torino e dal tribunale di Milano, disponendo altresì che: a) la cancelleria della Corte desse immediata comunicazione al ricorrente della ordinanza; b) che a cura di ciascun ricorrente l'ordinanza e il ricorso venissero notificati alla Commissione antimafia in persona del suo Presidente entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione di cui sopra. A seguito della comunicazione e delle notificazioni prescritte, la Commissione antimafia si è costituita nei due conflitti con deduzioni dell'avv. Aldo Sandulli e dell'avv. Gian Domenico Pisapia depositate il 7 agosto 1975, cui hanno fatto seguito memorie aggiuntive depositate in data 25 settembre 1975. A loro volta i tribunali di Torino e di Milano provvedevano al deposito dei ricorsi a norma dell'art. 26, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale rispettivamente in data 20 agosto e 8 agosto 1975. Il tribunale di Milano depositava altresì memoria e successivamente conferiva mandato di rappresentarlo in udienza agli avvocati Giovanni Bovio e Alberto Dall'Ora. Nella pubblica udienza i difensori delle parti hanno ribadito le rispettive tesi e conclusioni. Considerato in diritto:

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1. - I giudizi per conflitto di attribuzione, promossi con le due ordinanze dei tribunali di Torino e di Milano nei confronti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della«mafia», a seguito del rifiuto da questa opposto di trasmettere ai tribunali medesimi, che ne avevano fatto formale richiesta, determinati atti e documenti in suo possesso, ritenuti dai giudici predetti necessari ai fini dell'accertamento della verità nei rispettivi processi, involgono sostanzialmente le stesse questioni e vanno perciò decisi con unica sentenza. 2. - La difesa della Commissione eccepisce pregiudizialmente l'inammissibilità dei conflitti, sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo. Deduce, infatti, per un verso, che né i tribunali ricorrenti né essa Commissione sarebbero legittimati - rispettivamente - a sollevare i conflitti in oggetto e a resistervi, non essendo organi «competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono», come prescritto dall'art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e che mancherebbe altresì, per altro verso, la materia di conflitto e difetterebbe nei tribunali l'interesse a ricorrere, perché gli atti e documenti, cui si riferivano le loro richieste e i dinieghi della Commissione, o non sarebbero validamente utilizzabili come mezzi di prova nei processi in corso in sede dibattimentale o avrebbero potuto e potrebbero essere richiesti ai soggetti, pubbliche autorità e privati, che li avevano autonomamente formati e da cui provenivano. Gli argomenti addotti, peraltro, non sono tali da indurre la Corte a mutare l'avviso già espresso in linea di prima delibazione nelle ordinanze nn. 228 e 229 del corrente anno, alla motivazione delle quali, con le ulteriori precisazioni che seguono, si fa quindi espresso rinvio. 3. - Più particolarmente, sotto il profilo soggettivo, riecheggiando una nota tesi dottrinale che, nell'interpretazione del primo comma dell'art. 37, tende a distinguere gli organi che possono entrare tra loro in conflitto da quelli legittimati al relativo giudizio (i quali ultimi sarebbero unicamente gli organi supremi dei poteri cui i primi appartengono), si assume che, nella specie, i conflitti avrebbero dovuto essere proposti dalla Corte di cassazione, anziché dai tribunali direttamente interessati, e nei confronti delle Camere, anziché della Commissione d'inchiesta. Senonché, a prescindere dalle difficoltà che all'accoglimento, in generale, di siffatta tesi, derivano dallo stesso testo dell'art. 37, dove parlandosi di «conflitto» si allude all'oggetto del giudizio, e non viceversa al giudizio sul conflitto, e dove pertanto il riferimento agli organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri va inteso come rivolto a designare gli organi confliggenti, e non soltanto quelli legittimati ad processum, è significativo rilevare che la difesa della Commissione esplicitamente ammette - da un lato - che alle Commissioni d'inchiesta deve riconoscersi (ed è positivamente riconosciuta) un'amplissima autonomia, tanto più quando, come nel caso in oggetto, siano istituite con legge e senza prefissione di termini, quindi destinate a durare oltre le singole legislature; e altresì ammette - d'altro lato - che attualmente l'ordinamento non predispone (almeno, «espressamente») i congegni attraverso i quali l'organo giudiziario «minore» potrebbe sollecitare l'intervento della Corte di cassazione, la quale a sua volta (si aggiunge) non può essere considerata giuridicamente come «superiore» rispetto agli altri, senza dire delle perplessità (anch'esse accennate, ma non risolte, nelle deduzioni di costituzione della Commissione) che la struttura «composita» della stessa Corte di cassazione farebbe sorgere quando si volesse più precisamente stabilire in quale delle sue articolazioni (Primo Presidente, Sezioni Unite, ecc.) dovrebbe ritenersi concentrata la competenza a proporre conflitto. Ma tutte queste ammissioni, riserve e perplessità finiscono per avvalorare indirettamente, anche sul terreno pratico, le conclusioni cui la Corte ebbe a pervenire nelle ordinanze numeri 228 e 229, evidenziando - da un lato - il carattere «diffuso» che tipicamente contrassegna il potere giudiziario, ciascuna componente del quale è idonea a porre in essere pronunce sulle quali la Corte di cassazione non sarebbe in grado di esercitare il proprio sindacato, se non nei casi previsti dai codici di rito e (con la sola eccezione di cui all'art. 41, prima comma, cod. proc. civ.) sempre dietro iniziativa di chi sia parte in giudizio; nonché - d'altro lato - l'indipendenza di cui godono, durante il corso del loro mandato, le Commissioni parlamentari d'inchiesta, anche nei confronti delle Camere, le quali, come non potrebbero procedere esse stesse, direttamente, ad inchieste ex art. 82 Cost., così nemmeno sono autorizzate a interferire nelle deliberazioni adottate dalle Commissioni medesime per il più proficuo svolgimento dei loro lavori. È da soggiungere che l'art. 37 della legge n. 87, nel definire i conflitti tra poteri la cui risoluzione spetta alla Corte costituzionale, non muove dal criterio della definitività degli atti che ne possono essere all'origine,

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ché anzi in tali conflitti (a differenza che in quelli tra Stato e Regione o tra Regioni) un atto può addirittura mancare, essendo sufficiente a determinarli un mero comportamento, anche omissivo; ma designa gli organi legittimati a sollevarli ed a resistervi alla stregua delle loro capacità ad impegnare l'intero potere. Né, in tale ordine di idee, ha riferimento agli organi che - in concreto - abbiano dichiarato definitivamente la volontà del potere, quanto invece agli organi a ciò «competenti», vale a dire che ne abbiano l'astratta possibilità. Perde perciò consistenza il rilievo della difesa della Commissione, secondo cui, a norma dell'art. 200 cod. proc. pen., le ordinanze istruttorie dei tribunali ricorrenti, alle quali seguirono le risposte negative della Commissione, sarebbero state (e sarebbero), oltre che revocabili come ogni ordinanza, impugnabili unitamente alla sentenza di merito. 4. - È anche da disattendere l'eccezione di inammissibilità sotto il profilo oggettivo, per mancanza di materia di conflitto e carenza di interesse, che, peraltro, nella parte in cui accenna a distinguere tra le diverse specie di atti richiesti dai tribunali e rifiutati dalla Commissione, finisce per involgere questioni inerenti al merito della controversia, o comunque con questo strettamente connesse, sulle quali occorrerà soffermarsi in prosieguo. Ferma restando tale riserva, può e deve essere ribadito che sussiste indubbiamente nei casi in esame materia di conflitto e interesse a sollevarlo, assumendosi dai tribunali ricorrenti che dal rifiuto illegittimamente opposto dalla Commissione risulterebbe menomata la sfera di attribuzione ad essi garantita dalla Costituzione, per l'impedimento derivantene all'acquisizione delle prove ritenute necessarie per l'accertamento della verità. Né può contestarsi che ogni valutazione sulla utilità e sulla valida utilizzabilità in giudizio dei mezzi di prova è di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria procedente, sottraendosi pertanto a qualsiasi sindacato che non sia quello esplicabile dal giudice eventualmente adito in sede di gravame. 5. - Nel merito, la controversia concerne determinati atti e documenti dell'inchiesta antimafia, non inserite negli Atti parlamentari (Documento n. XXIII-2, Septies, della V Legislatura) come allegati alla «Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso al termine della V Legislatura», ivi pubblicata, ma specificatamente indicati nell'elenco, anch'esso allegato alla relazione predetta (n. 62), denominato «Indice analitico della documentazione esistente agli atti della Commissione». Ed il problema di fondo che si dibatte in entrambi i giudizi è, dunque, più precisamente, se la Commissione abbia l'obbligo giuridico di trasmettere all'autorità giudiziaria tali atti e documenti, potendo esimersene soltanto nei casi ed alle condizioni all'art. 342 cod. proc. pen. (in relazione anche all'art. 352), ovvero se, in considerazione delle finalità di pubblico interesse cui è costituzionalmente preordinato il potere d'inchiesta e delle prerogative di cui godono le Assemblee legislative ed i loro organi, nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali (delle quali soltanto è questione nella specie e tra le quali certamente rientra la funzione ispettiva, esprimentesi tra l'altro attraverso le inchieste), sia da riconoscere alla Commissione predetta la facoltà di stabilire se e quali dei suoi atti e relativa documentazione debbano essere coperti da segreto, opponibile anche agli organi giudiziari. La posizione «di assoluta indipendenza» del Parlamento, come di altri organi «ai vertici dello Stato», anche dei loro rapporti reciproci (sent. n. 143 del 1968), è stata più volte riaffermata da questa Corte (sent. n. 15 del 1969 e sent. numero 110 del 1970: quest'ultima con particolare riferimento alle deroghe alla giurisdizione, ammissibili nei loro confronti pur se «sempre di stretta interpretazione»), che non ha mancato, in occasione del conflitto insorto tra la commissione parlamentare inquirente per i giudizi di accusa e il giudice istruttore del tribunale di Roma, di sottolineare la necessità di contemperare «l'autonomia e l'indipendenza del potere giudiziario da ogni altro potere» con «l'indipendenza del potere politico rispetto ad ogni indebita ingerenza», anche da parte del poter giudiziario (sent. n. 13 del 1975). Più analiticamente, l'indipendenza delle camere (riflettentesi naturalmente sui loro organi) si articola, nella normativa direttamente dettata dal testo costituzionale, nell'autonomia organizzativa e normativa spettante a ciascuna di esse («riserva di regolamento»: art. 64, primo comma); nella loro esclusiva competenza alla convalida dei propri membri (art. 66); nella non responsabilità dei medesimi «per i voti dati e le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni» (art. 68, primo comma: immunità, sotto questo aspetto, assoluta, che, in omaggio al principio democratico rappresentativo, l'articolo 122, ultimo comma, estende ai membri dei Consigli regionali), oltre che nella immunità, che può dirsi relativa, di cui al secondo comma del detto art. 68 (non proseguibilità dell'azione penale e divieto di arresto e perquisizione personale o domiciliare

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senza autorizzazione dell'Assemblea, fuori dei casi di flagrante delitto che comporti obbligatorietà di mandato di cattura). Alle quali disposizioni, contenute nella Costituzione, si aggiungono poi, svolgendone ed applicandone i principi, quelle dei regolamenti parlamentari, tra cui sono specialmente da ricordare, ai fini che qui interessano, l'art. 62 del Regolamento della Camera e il corrispondente art. 69 del Regolamento del Senato, che attribuiscono ai rispettivi Presidenti l'esercizio dei poteri di polizia e la disposizione della forza pubblica nell'interno delle Assemblee: poiché da queste disposizioni, per lunga tradizione, si suole trarre la regola della così detta "immunità della sede" (valevole anche per gli altri supremi organi dello Stato) in forza della quale nessuna estranea autorità potrebbe far eseguire coattivamente propri provvedimenti rivolti al Parlamento ed ai suoi organi. Di guisa che, ove gli organi parlamentari non vi ottemperassero, sarebbe unicamente possibile provocare l'intervento di questa Corte, in sede di conflitto di attribuzione, così come precisamente è avvenuto nel caso in oggetto. 6. - Ma è soprattutto da rilevare che, fermo restando che il principio fondamentale in materia è quello della pubblicità degli atti parlamentari (art. 64, secondo comma, Cost.), è tuttavia rimesso alla valutazione della Camere (e rientra nella autonomia costituzionale ad esse, come sopra accennato, garantita) di derogarvi in singoli casi, deliberando di riunirsi in seduta segreta (nella quale ipotesi, gli artt. 34, punto 3°, Reg. Camera e 60, punto 4°, Reg. Senato consentono che possano altresì stabilire di non farne stendere processo verbale). A sua volta, l'art. 72 Cost., nel terzo comma, demanda ai regolamenti parlamentari di determinare le forma di pubblicità dei lavori delle Commissioni legislative: al che, codificando una prassi già formatasi sotto il vigore dei precedenti regolamenti, provvede ora l'art. 65 del Regolamento della Camera, disponendo che tale pubblicità sia assicurata "mediante resoconti pubblicati nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari", a cura del Segretario Generale. E del principio implicito in questa disposizione, espressamente dettata per le Commissioni legislative, ha fatto applicazione, nel caso in oggetto, la Commissione di inchiesta, così stabilendo nell'art. 1 del suo regolamento interno del 31 luglio 1969 e nell'art. 1 del successivo Regolamento del 16 maggio 1973. Sempre in tema di pubblicità, a parte per ora le disposizioni regolamentari che prevedono il segreto delle Commissioni "nell'interesse dello Stato" (art. 65, punto 3°, Reg. Camera, ed analogamente, seppure con formulazione più generica, parlando di "documenti, notizie o discussioni che interessano lo Stato", l'art. 31, punto 3°, Reg. Senato), sulle quali dovrà tornarsi subito appresso, mette conto rammentare in particolar modo quelle dettate per le indagini conoscitive esperite dalle Commissioni, cui viene data facoltà di decidere di non fare verbale né resoconto stenografico delle sedute a dette indagini dedicate (art. 144, punto 4°, Reg. Camera, e art. 48, Reg. Senato): trattandosi evidentemente di un settore di attività parlamentare molto vicino a quello delle richieste. 7. - Dal complesso dei principi e delle disposizioni richiamate nei precedenti nn. 5 e 6 si ricava, dunque, che le Commissioni parlamentari d'inchiesta, le quali, sostituendo necessariamente a norma dell'art. 82, primo comma, Cost. il plenum delle Camere, a buon diritto possono configurarsi come le stesse camere nell'atto di procedere all'inchiesta, sono libere di organizzare i propri lavori, anche stabilendo - in tutto od in parte - il segreto delle attività da esse direttamente svolte e della documentazione risultante dalle indagini esperite: e ciò in funzione del conseguimento dei fini istituzionalmente ad esse propri, specificamente indicati, nel caso in oggetto, dall'art. 2 della legge 20 dicembre 1962, n. 1720, a termini del quale "La Commissione, esaminate la genesi e le caratteristiche del fenomeno della mafia, dovrà proporre le misure necessarie per reprimerne le manifestazioni ed eliminarne le cause". Non vale in contrario l'argomento che l'ordinanza del tribunale di Milano vorrebbe trarre proprio dalle disposizioni dei regolamenti parlamentari, ricordate alla fine del punto precedente, relative al segreto "nell'interesse dello Stato", poiché tali disposizioni, che letteralmente non tanto consentono, quanto impongono, la segretezza di determinate sedute delle Commissioni, in realtà rimettono pur sempre all'apprezzamento politico delle stesse (sicuramente non sindacabile dall'Autorità giudiziaria) di verificare se e quando l'ipotesi prevista concretamente ricorra; e perciò, nella sostanza, lungi dall'intaccare i principi sopra enunciati, ne offrono indiretta conferma. Senza dire che la circostanza che, per particolari casi, sia prescritto un obbligo non basterebbe ad escludere, per ogni altro, una facoltà, che appare invece, secondo il già detto, insita nell'autonomia delle Camere e dei loro organi, e segnatamente delle Commissioni di

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inchiesta da esse istituite; per le quali ultime le segretezza, che può circondarne i lavori, è funzionalizzata al conseguimento dei fini alle medesime assegnati. Ora, com'è riconosciuto, può ben dirsi, unanimemente dalla dottrina antica e recente, tali fini differiscono nettamente da quelli che caratterizzano le istruttorie delle autorità giudiziarie. Compito delle Commissioni parlamentari di inchiesta non è di "giudicare", ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere; esse non tendono a produrre, né le loro relazioni conclusive producono, alcuna modificazione giuridica (com'è invece proprio degli atti giurisdizionali), ma hanno semplicemente lo scopo di mettere a disposizione delle Assemblee tutti gli elementi utili affinché queste possano, con piena cognizione delle situazioni di fatto, deliberare la propria linea di condotta, sia promuovendo misure legislative, sia invitando il Governo a adottare, per quanto di sua competenza, i provvedimenti del caso. L'attività di inchiesta rientra, insomma, nella più lata nozione della funzione ispettiva delle Camere; muove da cause politiche ed ha finalità del pari politiche; né potrebbe rivolgersi ad accertare reati e connesse responsabilità di ordine penale, ché se così per avventura facesse, invaderebbe indebitamente la sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale. E, ove nel corso delle indagini vengano a conoscenza di fatti che possano costituire reato, le Commissioni sono tenute a farne rapporto all'autorità giudiziaria, così come, nel caso in oggetto, la Commissione antimafia si è vincolata a fare con i propri regolamenti interni sopra citati, del 1969 e del 1973, e, stando a quanto affermato nella relazione, in pratica ha fatto. Come sono diversi i fini, così differiscono o possono differire i mezzi di cui si valgono le Commissioni parlamentari d'inchiesta, rispetto a quelli tipici dell'autorità giudiziaria. Il secondo comma dell'art. 82 Cost. attribuisce, bensì, alle prime «gli stessi poteri», e prescrive "le stesse limitazioni", di quest'ultima, e ciò per consentire loro di superare, occorrendo, anche coercitivamente, gli ostacoli nei quali potrebbero scontrarsi nel loro operare. Ma le Commissioni restano libere di prescegliere modi di azione diversi, più duttili ed esenti da formalismi giuridici, facendo appello alla spontanea collaborazione dei cittadini e di pubblici funzionari, al contributo di studiosi, ricorrendo allo spoglio di giornali e riviste, e via dicendo. Come esattamente fu notato da una antica dottrina, le persone dalle Commissioni interrogate non depongono propriamente quali "testimoni", ma forniscono informazioni; e lo stesso è a dirsi delle relazioni varie che pubbliche autorità possono, su richiesta delle Commissioni, ad esse presentare con riferimento a determinate situazioni e circostanze ambientali, tra cui bene possono trovar posto anche stati d'animo e convincimenti diffusi, registrati per quel che sono, indipendentemente dalla loro fondatezza, da chi, per la sua particolare esperienza o per l'ufficio ricoperto, sia meglio in grado di averne diretta notizia. Ma siffatti obiettivi e mezzi d'azione, nella loro reciproca connessione, postulano logicamente che le Commissioni d'inchiesta abbiano il potere di opporre il segreto alle risultanze di volta in volta acquisite nel corso della loro indagine, libere rimanendo di derogarvi, quando non lo vietino altri principi, ogni qual volta non possono derivarne conseguenze tali da impedire o intralciare gravemente l'assolvimento del loro compito: specie per venire incontro a richieste provenienti da autorità giudiziarie, in uno spirito di doverosa collaborazione tra organi di poteri distinti e diversi, per fini di giustizia. In questo senso, il segreto delle Commissioni di inchiesta non corrisponde, a rigore, ai vari specifici tipi di segreto previsti dalle norme dei codici di diritto e procedura penale, ma può qualificarsi piuttosto, più genericamente, come un segreto funzionale, del quale spetta alle Commissioni medesime determinare la necessità ed i limiti. E non importa che, nella specie, la Commissione antimafia, nel suo ricordato regolamento interno del 1973, abbia ritenuto di affermare un "segreto istruttorio" e poi un "segreto di ufficio", ed a quest'ultimo abbia fatto riferimento nelle lettere di risposta ai tribunali ricorrenti, che stanno alle origini dei sollevati conflitti, adoperando anche circonlocuzioni e perifrasi non sempre necessarie, poiché quel che conta è la sostanza, e la sostanza è quella che emerge dalle considerazioni fin qui svolte. Comunque, che la Commissione antimafia potesse opporre un segreto alle richieste delle autorità giudiziarie non viene contestato, se ben si guarda, dallo stesso tribunale di Torino, che, in un primo momento, nell'ordinanza 4 giugno 1973, dopo aver affermato in premessa che al Parlamento "unicamente spetta, nell'esercizio della discrezionalità politica, di stabilire e in quali limiti dare pubblicità agli atti dell'inchiesta", invitava l'organo parlamentare al riesame "dell'opportunità di aderire alla richiesta" precedentemente avanzata, con riferimento alla documentazione "non pubblicata, pur se di essa vi è cenno nel testo delle relazioni". Mentre poi, nell'ordinanza-ricorso del 18 aprile 1975, il tribunale medesimo sollevava il conflitto, assumendo che con la intervenuta pubblicazione, nel 1972, della "Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso, al termine della V Legislatura", sarebbe venuto meno il segreto

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per determinazione della stessa Commissione, per avere questa disposto di pubblicare tra gli allegati alla Relazione predetta l'indice analitico cui si è sopra accennato al punto 5. Ma si tratta di un equivoco, nel quale d'altronde cade anche la difesa del tribunale di Milano, insistendo, sia pure in linea subordinata, su analoga tesi. Altro è, infatti, pubblicare una serie di documenti, quali appunto quelli di cui agli allegati da 1 a 61 uniti alla relazione presentata al termine della V Legislatura, altro pubblicare un indice di documenti tuttora detenuti dalla Commissione; altra cosa è esteriorizzare il contenuto di certi atti, altro limitarsi a renderne nota l'esistenza. E poiché, come a suo luogo non si è mancato di rilevare, il contrasto tra Commissione e tribunali ricorrenti verte esclusivamente intorno a documenti inclusi nell'indice, rimangono ferme le conclusioni fin qui raggiunte, nel senso che la Commissione d'inchiesta disponeva e dispone, in funzione delle proprie finalità, del regime di pubblicità o di segretezza dei documenti in questione. 8. - Tali conclusioni, peraltro, come dovrebbe risultare implicito nel già detto, valgono limitatamente alla documentazione relativa ad accertamenti svolti o direttamente disposti dalla Commissione, oltre che alle discussioni che hanno avuto luogo nel corso delle sue sedute e alle valutazioni ed apprezzamenti in quella sede espressi, ma non divulgati attraverso le relazioni pubblicate, e sono logicamente estensibili ad esposti ed anonimi ad essa rivolti. Le considerazioni che precedono quanto ai particolari metodi di indagine cui una Commissione d'inchiesta può ricorrere, alla natura confidenziale o comunque riservata che possono avere le informazioni ad essa fornite o da essa raccolte, delle quali non sempre la Commissione è in grado di accertare con sufficiente sicurezza la piena conformità al vero, giustificano, infatti, la eventuale segretezza dei risultati in tali forme acquisiti, e di questi soltanto, anche per non esporre quanti forniscono informazioni al rischio di conseguenze dannose. Ed è ovvio che anche la sola prospettiva di consimili rischi costituirebbe una remora non indifferente per gli interessati, minacciando di compromettere il conseguimento, non soltanto delle finalità della singola inchiesta, ma altresì, in prospettiva, di ogni possibile inchiesta futura, vanificando in definitiva il potere che l'art. 82 Cost. conferisce alle Camere. 9. - Entro l'ambito testé precisato, il limite che dal segreto funzionale delle Commissioni d'inchiesta (cui esse soltanto hanno facoltà di derogare) può derivare all'esercizio della funzione giurisdizionale al diritto di difesa delle parti, essenzialmente connaturato al suo vario esplicarsi, non può essere giudicato illegittimo. A criteri analoghi si è ispirata la sentenza n. 13 del 1975, sopra citata, in tema di rapporti tra giurisdizione penale e potere politico; mentre, per quel che più particolarmente concerne il diritto di difesa garantito nell'art. 24 Cost., la Corte nella sua giurisprudenza, costantemente affermandone il carattere di diritto fondamentale, ha più volte avuto occasione di rilevare come non sia da escludere che esso abbia ad incontrare determinati limiti, necessari a contemperarne la tutela con quella pure spettante ad altri interessi costituzionalmente rilevanti; purché in ogni caso detti limiti "non siano di entità tale da compromettere seriamente l'esercizio" (sent. n. 175 del 1970), o peggio da ridurlo ad un nome vano. Il che non si verifica quando una Commissione d'inchiesta si attenga al criterio, nella specie adottato, come risulta dal resoconto della seduta del 16 novembre 1972, di indicare alle autorità che ad essa richiedono documenti coperti dal suo segreto "le fonti delle notizie raccolte… in modo che le predette autorità siano poste in grado di svolgere in materia propri autonomi accertamenti". Può aggiungersi, con specifico riguardo alla presente controversia, che non soltanto l'ampiezza delle relazioni già pubblicate e l'abbondanza della documentazione allegata, ma la stessa formulazione dell'indice, che costituisce, come accennato, un vero e proprio sommario, sono suscettibili di offrire ai tribunali ricorrenti una traccia tutt'altro che esigua per procedere essi stessi, ove lo ritengano, agli incombenti istruttori del caso, nei modi e nelle forme previste dal codice di rito. 10. - D'altro canto, non tutti i documenti nella specie richiesti dai tribunali ricorrenti e rifiutati dalla Commissione si riferiscono ad atti da questa formati o direttamente disposti ai propri metodi di lavoro. Sono, infatti, tra essi ricompresi anche atti precostituiti da altre autorità o da enti pubblici, nell'esplicazione dei loro compiti istituzionali; come pure documenti privati e scritti anonimi. Di questi ultimi, consistenti in un esposto rivolto alla Commissione da Michele Pantaleone nonché in lettere anonime aventi riguardo al medesimo, del pari indirizzate alla Commissione (doc. di cui al n. 846 dell'indice allegato alla relazione pubblicata nel 1972, nn. 2 e 3), si è già detto sopra, al punto 8 della

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motivazione, che debbono essere assimilati a quelli formati o disposti dalla Commissione, perché nessuna differenza sostanziale sussiste tra deposizioni o confidenze da questa raccolte ed esposti o lettere, anche se anonime, ad essa direttamente pervenuti. Non vi è, pertanto, obbligo di trasmetterli ai giudici richiedenti. Tra gli altri atti che la Commissione semplicemente detiene, una considerazione a parte meritano quelli indicati ai nn. 787 e 788 dell'indice più volte citato, e precisamente i verbali di trascrizione delle intercettazioni telefoniche, nonché le trascrizioni dei relativi nastri magnetici, riferentisi all'apparecchio di Italo Jalongo, trasmessi dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma e dalla Questura di Roma. Questi documenti, inerendo ad un procedimento penale in corso di istruttoria, erano e sono già a disposizione del potere giudiziario, complessivamente considerato, entro l'ambito del quale non mancano gli strumenti suscettibili di consentirne ai giudici che vi abbiano interesse l'acquisizione, né gli strumenti per dirimere eventuali contrasti tra l'una e l'altra autorità giudiziaria (art. 51 cod. proc. pen.). E non può ritenersi illegittimamente menomata la sfera di attribuzioni del potere giudiziario, per il fatto che la Commissione parlamentare, organo di un diverso potere, abbia rifiutato di consegnarli al tribunale di Milano, invitandolo per l'appunto a procurarseli presso l'altra autorità giudiziaria investita dal processo cui originariamente pertengono. Per tutto il resto, e sempre nell'ambito della specie di atti e documenti di cui ora si discorre, in ordine ai quali la Commissione non può invocare il proprio segreto funzionale (e non lo ha, in effetti, invocato), si tratta di accertare se e per quali tra essi i soggetti da cui originariamente provengono fossero, alla stregua di specifiche norme di legge (della cui legittimità costituzionale non sorge questione nei presenti conflitti) tenuti ad un segreto opponibile anche all'autorità giudiziaria penale. Ma l'ipotesi non ricorre nella specie. Ed infatti: 1) il prospetto dei voti preferenziali delle elezioni regionali 1963 nella Provincia di Palermo, trasmesso da quella Prefettura (doc. di cui al n. 69 dell'indice, richiesto dal tribunale di Torino) non può considerarsi comunque segreto e la Commissione pertanto ha l'obbligo di trasmetterlo al tribunale predetto; 2) considerazioni analoghe e identiche conclusioni valgono per gli atti della Commissione d'inchiesta del Consiglio della Regione Lazio sul caso Rimi ed i relativi resoconti stenografici (doc. di cui ai nn. 736 e 784 dell'indice, richiesti dal tribunale di Milano); 3) appartengono alla categoria di atti coperti da segreto d'ufficio o professionale, non opponibile peraltro all'autorità giudiziaria in sede penale: - le copie delle deliberazioni della Cassa di Risparmio "Vittorio Emanuele" di Palermo, relative ai rapporti tra la Cassa medesima ed il Vassallo, e gli estratti conti delle varie operazioni (doc. di cui al n. 8, nn. 1 e 2, richiesti dal tribunale di Torino); - la "documentazione varia" della Questura di Palermo, relativa alla proposta di assegnazione a soggiorno obbligato di Francesco Vassallo (doc. di cui al n. 627, richiesto dal tribunale di Torino); - il fascicolo personale intestato al medesimo presso il Comando della Guardia di finanza di Palermo, riferentesi alle infrazioni valutarie accertate nei suoi confronti e comprendente altresì note informative, documentazione e corrispondenza varia (doc. di cui al n. 12, richiesto dal tribunale di Torino); - l'altro fascicolo personale, intestato ad Italo Jalongo e trasmesso dalla Questura di Roma (doc. di cui al n. 790, richiesto dal tribunale di Milano). In ordine ai quali tutti va pertanto affermato l'obbligo della Commissione parlamentare di trasmetterli ai tribunali richiedenti, restando pur sempre esclusi, in conformità dei principi sopra affermati ai punti 7 e 8 della motivazione, eventuali atti inseriti nei documenti ora elencati, ma formati dietro specifica richiesta della Commissione medesima e ad essa rivolti. per questi motivi la corte costituzionale dichiara: a) che la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia non ha l'obbligo di trasmettere ai tribunali di Torino e di Milano gli atti e documenti da essa formati o direttamente disposti, gli scritti e gli anonimi ad essa originariamente rivolti, atti tutti che la Commissione medesima abbia ritenuto di mantenere segreti ai fini dell'adempimento delle proprie funzioni; nonché gli atti già a disposizione di

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organi del potere giudiziario; b) che ha l'obbligo di trasmettere ai tribunali predetti gli altri atti e documenti in suo possesso, che, a norma di legge, non siano coperti all'origine da segreto o siano coperti da segreto non opponibile all'autorità giudiziaria penale, e in conseguenza: annulla le note della Commissione n. 1250/D - 4369, in data 21 febbraio 1975, e n. 1294/D - 4399 in data 26 marzo 1975, in relazione anche alla precedente n. 1139/D - 4340 del 6 dicembre 1974, indirizzate rispettivamente al presidente della II sezione penale del tribunale di Torino e alla cancelleria della I sezione penale del tribunale di Milano, limitatamente al rifiuto di trasmettere gli atti e documenti di cui alla lettera b, indicati nel punto 10 della motivazione. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 1975. Francesco Paolo Bonifacio - Luigi Oggioni - Angelo De Marco - Ercole Rocchetti - Enzo Capalozza - Vincenzo Michele Trimarchi - Vezio Crisafulli - Nicola Reale - Paolo Rossi - Leonetto Amadei - Giulio Gionfrida - Edoardo Volterra - Guido Astuti - Michele Rossano - Antonino De Stefano. Arduino Salustri – Cancelliere

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Ministero per le Amministrazioni Pubbliche del Regno di Spagna Regio Decreto 266/1996, del 16 febbraio, col quale si modifica la struttura organica di base del Centro Superiore d'Informazione della Difesa

L'esperienza acquisita a seguito della creazione del Centro Superiore d'Informazione della Difesa nell'espletamento delle sue funzioni e l'opportunità di potenziare la sua sicurezza e i controlli interni ha reso necessario procedere ad una modifica della struttura organica del citato Organismo al fine di migliorare il suo funzionamento e lo sviluppo adeguato delle sue attività. Con questo intento, nel luglio 1995, il governo ha posto in essere un processo di modernizzazione del citato centro con l'obiettivo di dotarlo di strumenti adeguati per adempiere ai suoi compiti istituzionali con maggiore efficacia. In effetti, fin d'allora, è stata creata la figura del Segretariato Generale (Regio Decreto 1169/1995 del 7 luglio), è stato approvato lo Statuto del personale del Centro (Regio Decreto 1324/1995 del 28 luglio) ed è stata approvata la relazione sui posti di lavoro, mediante Accordo del Consiglio dei Ministri del 9 febbraio 1996, che, in conformità al disposto dell'articolo 3 dello Statuto del suo personale, determina le funzioni e i compiti inerenti alla relazione di gerarchia del personale proveniente da altre amministrazioni e inserito nel Centro. D'altra parte, l'importanza di un Centro di questa natura rende necessario che il trattamento, l'utilizzazione e il controllo dell'informazione si realizzi attraverso la salvaguardia del contenuto dell'informazione stessa e rende necessario rinforzare la sua struttura con un'unità espressamente rivolta a questa funzione di sicurezza. Ciò posto, su iniziativa del Ministro della Difesa, su proposta del Ministro per le Amministrazioni Pubbliche e previa delibera del consiglio dei Ministri nella sua riunione del 16 febbraio 1996, DISPONGO Art. 1 Il Centro Superiore d'Informazione della Difesa avrà la seguente struttura organica di base: 1. Il Direttore Generale, cui fa capo la direzione, l'ordinamento, il controllo e la gestione del Centro ed esercita le funzioni attribuitegli dall'art. 3 del regio Decreto 2632/1985 del 27 dicembre, con il quale viene regolata la struttura interna e le relazioni del Centro Superiore d'Informazione della Difesa. L'esercizio del suo incarico non potrà superare il periodo massimo di cinque anni. 2. Il Segretario Generale, con livello organico e funzioni attribuitegli dal Regio Decreto 1169/1995 del 7 luglio. 3. Le unità che si definiscono nell'articolo seguente. Art. 2 1. il Centro Superiore d'Informazione della Difesa, per portare a termine le missioni conferitegli, conterà su unità d'intelligence, con il compito di ottenere, valutare, interpretare e diffondere informazioni nelle aree d'intelligence esterna, controspionaggio, intelligence interna, economica e tecnologica. 2. Il Centro conterà parimenti su due unità di appoggio alle unità d'intelligence. Una farà parte dell'area di appoggio operativo e tecnico poiché gli incarichi demandati richiedono mezzi, procedimenti e tecniche speciali. L'altra attenderà alle necessità di mezzi umani, materiali ed economici per i medesimi fini. 3. Il Centro Superiore d'Informazione della Difesa disporrà di un'unità di sicurezza con il compito di vigilare sulla protezione del personale e delle installazioni del Centro. Sarà anche incaricata della salvaguardia delle informazioni e dei documenti nonché della sicurezza del funzionamento del Centro. Art. 3 Le unità definite nell'articolo precedente si strutturano in accordo con le previsioni stabilite nella relazione

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dei posti di lavoro approvata dall'Accordo del Consiglio dei Ministri del 9 febbraio 1996. Art. 4 Il Ministro della Difesa adeguerà la struttura gerarchica e le relazioni organiche del Centro ripartendo, in relazione ai posti di lavoro, le funzioni stabilite dal Regio Decreto 2632/1985 del 27 dicembre, tra i distinti organi e unità di cui al presente Regio Decreto. Disposizione derogatoria unica Si intendono derogate tutte le disposizioni di rango uguale o inferiore che si oppongano al disposto del presente regio decreto. Disposizione finale prima. Le unità definite nell'articolo 2 del presente regio decreto sostituiranno quelle stabilite dall'articolo 2 del Regio Decreto 2632/1985 del 27 dicembre, senza importare incremento alla spesa pubblica. Disposizione finale seconda. il presente Regio Decreto entrerà in vigore il giorno seguente alla sua pubblicazione nel "Bollettino Ufficiale dello Stato". Dato a Madrid, addì 16 febbraio 1996 Il Re - Juan CARLOS Il Ministro per le Amministrazioni Pubbliche Juan Lerma BLASCO (*) Traduzione dallo spagnolo a cura della Redazione

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Spagna L'Organizzazione Centrale dell'Intelligence

L'apparato di intelligence in Spagna si fonda principalmente su due servizi d'informazione: il Centro Superior de Información de la Defensa (Centro Superiore di Informazione della Difesa) e la Comisaria General de Información - Servicio Información Exterior - (Commissariato Generale per le Informazioni - Servizio per le Informazioni Esterne), i quali rispondono del loro operato al Capo del Governo. Nelle brevi note che seguono, saranno evidenziate una serie di tematiche di particolare interesse per meglio individuare le caratteristiche precipue dell'attività di intelligence ed i problemi emergenti. Quanto al tema dei controlli, nell'ordinamento spagnolo non è attualmente prevista una Commissione con lo specifico incarico di controllare l'attività degli Organismi informativi. Pertanto, il controllo parlamentare avviene attraverso i tradizionali strumenti del sindacato ispettivo e nell'ambito della Commissione Permanente di Difesa. Peraltro, esiste una Commissione parlamentare sul segreto cd. ufficiale (di Stato) che è l'unico Organismo che può avere accesso a materie classificate. Questa è composta da sei membri, ognuno dei quali per essere eletto deve ottenere il consenso dei 3/5 della Camera. Neppure operano, nell'ordinamento spagnolo, controlli che si potrebbero definire "intermedi". I Servizi informano costantemente i Ministri competenti per le questioni relative alla difesa nazionale, mentre per le attività diverse è il Direttore a decidere quali siano le Autorità che debbano conoscere un'informazione o un fatto. I rapporti periodici sull'attività degli Organismi, che non hanno una cadenza prestabilita, sono indirizzati alla Commissione permanente di Difesa. Quanto al tema del segreto di Stato, la materia risulta disciplinata da una legge specifica che stabilisce due soli tipi di classificazione dei documenti: segreto e/o riservato. In Spagna esiste la possibilità che una categoria di fatti o atti sia segreta o perché lo stabilisce direttamente la legge ovvero in quanto lo decida il Governo. E' peraltro vigente un regolamento che stabilisce quali siano le materie che possono essere classificate. Le fonti sono coperte da segreto senza necessità che tale facoltà sia ratificata da un'Autorità. Nell'ambito dei rapporti con la Magistratura va rilevato che sono rari i casi di procedimenti che vedano coinvolti appartenenti ai Servizi. Il codice di procedura penale prevede che l'appartenente al Servizio non sia obbligato a testimoniare per ciò che riguarda il segreto professionale ma tale dichiarazione deve essere avvalorata da un'assunzione di responsabilità da parte del Direttore. L'Autorità Giudiziaria non ha la facoltà di accedere a documentazione classificata né agli Uffici del Servizio. Peraltro, anche in Spagna, come in altri Paesi europei, è in atto nel più recente periodo un notevole conflitto tra potere esecutivo e giudiziario per cui la materia deve essere considerata in fieri. Infatti, da parte della Magistratura esiste una pressione molto forte finalizzata a rigettare l'opposizione del Segreto in quanto si assume che questo non possa essere opposto per non collaborare con i fini di giustizia. Quanto al tema delle garanzie funzionali, i problemi sono analoghi a quelli che si riscontrano nell'ordinamento italiano. Infatti, non esistono norme specifiche a tutela degli agenti diverse dal cosiddetto segreto ufficiale opposto nel processo. I riferimenti al modus operandi, nelle fonti normative, sono generici e riguardano prevalentemente il coordinamento. Globalmente, le norme vigenti non disegnano alcuna situazione di vantaggio per i Servizi. Altri particolari elementi si ritiene opportuno segnalare: - il personale dei Servizi risulta composto da appartenenti alle Forze Armate, alla Polizia Nazionale o alla Guardia Civil e, in minima parte, proviene dall'esterno (scuola e/o università); - il bilancio per la formazione corrisponde all'1,4% del bilancio globale.

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Centro Superior de Información de la Defensa (C.E.S.I.D.) Nel quadro del processo di rinnovamento istituzionale seguito alla morte di Franco, è stato creato il Centro Superior de Información de la Defensa con il Regio Decreto n. 1558 del 4 luglio 1977 (Bollettino Ordinario dello Stato - BOE - n. 159 del 5 luglio 1977), che ristrutturava l'Amministrazione Centrale dello Stato, creava il Ministero della Difesa, articolando il Centro alla diretta dipendenza del Ministro. La creazione del C.E.S.I.D. (Schema A) ha comportato il trasferimento delle funzioni e degli incarichi della Sezione di Intelligence dell'Alto Stato Maggiore e del Servizio Centrale di Documentazione della Presidenza del Governo. La struttura organica e funzionale del Ministero della Difesa, articolata nel Regio Decreto n. 2723 del 2 novembre 1977 (BOE n. 265 del 5 novembre 1977) prevede la creazione del C.E.S.I.D., secondo quanto disposto all'articolo 21. I Regi Decreti n. 726 del 27 marzo 1981 (BOE n. 90 del 22 aprile 1981) e n. 919 del 22 maggio 1981 (BOE n. 123 del 23 maggio 1991) hanno modificato l'articolo 21 del Decreto Reale n. 2723/1977, il cui testo risulta, quindi, integrato nella formula seguente: 1. Il Centro Superiore di Informazione della Difesa sarà l'Organo incaricato di ottenere, valutare, interpretare e fornire al titolare del Dipartimento tutte le informazioni necessarie e d'interesse per la Difesa Nazionale e per il compimento delle missioni che le Forze Armate sono incaricate di effettuare secondo i dettami dell'art. 8 della Costituzione, rispondendo prioritariamente alle necessità della Giunta dei Capi di Stato Maggiore. 2. Il suo titolare sarà un Ufficiale Generale o Particolare con la qualifica di Direttore Generale e dipenderà direttamente dal Ministro. 3. Il Centro Superiore di Informazione della Difesa si articolerà secondo quanto stabilito da ordinanza specifica. 4. Restano escluse dalle competenze, cui si riferisce il punto 1 di questo articolo, le attività informative specifiche che corrispondono alla Giunta dei Capi di Stato Maggiore e degli Stati Maggiori dell'Esercito. 5. Il Centro Superiore di Informazione della Difesa collaborerà, con gli organi d'informazione della Giunta dei Capi di Stato Maggiore e con i restanti della Catena di Comando Militare degli Eserciti, per ciò che concerne le missioni che la Costituzione assegna alle Forze Armate. Quale organo informativo del Capo del Governo (per effetto di un Regio Decreto del 1984), il C.E.S.I.D. svolge le funzioni generali di direzione e di coordinamento della politica di difesa del Paese. Esplica, inoltre, attività di controspionaggio all'interno del Paese e all'estero. L'Organismo, il cui personale è costituito prevalentemente da militari, esplica i propri compiti istituzionali attraverso le seguenti attività: - reperimento, valutazione e diffusione di informazioni utili a prevenire minacce, aggressioni esterne - dirette o indirette - contro l'integrità della Spagna nel settore politico, economico, tecnologico e militare; - prevenzione e neutralizzazione delle attività dei Servizi Informativi stranieri contrari agli interessi dello Stato, sia all'interno che all'estero; - tutela della sicurezza delle informazioni, dei metodi, degli obiettivi e delle installazioni difensive del Paese e dei Paesi alleati, nei settori esclusi alla competenza delle Forze Armate; - acquisizione, valutazione e diffusione di informazioni relative ad attività interne che costituiscono minaccia per l'integrità e per le istituzioni dello Stato. Nel contesto formativo particolare cura è data all'addestramento fisico degli agenti operativi. In particolare, opera all'interno del Servizio un gruppo operativo speciale - una sorta di unità di pronto intervento. Il C.E.S.I.D. dispone di un'unità di Polizia di sostegno, diffusa, con singoli rappresentanti, nelle varie articolazioni periferiche della Polizia. Questa consente, nell'ambito del necessario coordinamento in attività per la sicurezza dello Stato, di risolvere i casi di eventuali contrasti tra attività di Polizia e Servizi. In altri termini, un operatore del Servizio impiegato nell'ambito di un'attività operativa, conosce il nominativo di un funzionario di polizia che costituisce il suo referente per rappresentare la sua appartenenza al Servizio e gli scopi dell'attività che era in via di compimento. Qualora venga avviato un procedimento, il Servizio assiste legalmente il dipendente al solo fine di tutelare l'operatore e la riservatezza dell'azione. L'Ufficio Legale riveste importante rilievo all'interno dell'organizzazione del C.E.S.I.D.. Dipende

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direttamente dal Direttore del Servizio e cura tutti i compiti di consulenza giuridica nonché i rapporti con Organi Istituzionali e Parlamentari. Il rapporto con la Polizia Giudiziaria è di collaborazione ma assolutamente limitato ad un piano generale e di assistenza in termini di mezzi tecnici. I rapporti con la stampa ed in generale con gli organi di informazione non sono sempre soddisfacenti. Un problema avvertito come importante, nell'attuale contesto, è tutelare sul piano giuridico l'immagine dei Servizi a fronte di campagne della stampa non di rado fortemente denigratorie. L'Organismo, recentemente, ha in parte modificato la struttura organica di base per migliorare lo svolgimento dei propri compiti istituzionali (Regio Decreto 266/1996). Si rimanda, per la parte d'interesse, ad altra sezione di questa pubblicazione.

Comisaria General de Información - Servicio Información Exterior (C.G.I. - S.I.E.) Il Servizio spagnolo DSE, in seguito alle riforme sancite dal Regio Decreto n. 907/1994 - che ha unificato la struttura del Ministero della Giustizia e dell'Interno - e dal Regio Decreto n. 1334/1994, ha assunto la denominazione di Commissariato Generale per le Informazioni - Servizio per le Informazioni Esterne (Schema B). Il C.G.I.-S.I.E. è inserito organicamente nella Direzione Generale di Polizia (a sua volta dipendente funzionalmente dal Ministero della Giustizia e dell'Interno) e svolge attività di raccolta informativa all'estero a tutela della stabilità delle istituzioni democratiche del Paese. Da esso dipendono i Servizi della C.G.I.-S.I.I. (Servizio per le Informazioni Interne), della G.C.I.-S.I.E. (Servizio per le Informazioni Esterne) e della C.G.I.-A.T. (Assistenza Tecnica) con specifiche attribuzioni in campo operativo. Le attribuzioni istituzionali del C.G.I.-S.I.E. hanno trovato precisa e puntuale individuazione nella recente riforma legislativa e concernono: - la lotta al terrorismo;

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- il narcotraffico; - la criminalità economica; - la corruzione. Il C.G.I.-S.I.E. è inoltre l'Organismo incaricato di intrattenere rapporti con i Servizi esteri collegati. La nuova struttura della Direzione Generale della Polizia prevede la costituzione di un'Unità Centrale Antiterrorismo con compiti di contrasto sul piano pratico-operativo e direttamente dipendente dal Commissariato di Polizia Giudiziaria.

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Evoluzione mafiosa e tecnologie criminali G. De Leo, M. Strano, G. Pezzuto, L. C. de Lisi (Giuffré Editore Milano, 1995)

I processi di innovazione mafiosa e l'evoluzione delle tecnologie criminali definiscono la difficile area tematica attorno alla quale ruotano i contributi di questo volume che è nato dall'incontro e dalla collaborazione, in ambito universitario, di studiosi della devianza criminale e di operatori istituzionali impegnati in vari settori di analisi dei grandi fenomeni criminali. L'obiettivo generale del libro è quello di valutare, all'interno della complessa interazione tra mafia e società, quali strategie e quali tecnologie vengono via via adottate dalla criminalità organizzata per mantenere quello che si potrebbe definire un "adeguato bilancio organizzativo interno ed esterno". Gli autori hanno provato ad avviare alcune prospettive di riflessione in tale direzione, con un approccio pluridisciplinare che valorizza percorsi conoscitivi psicosociali, sociologici, economici e giuridici. Nella prima parte, Gaetano De Leo, titolare della cattedra di Psicologia Giuridica all'Università "La Sapienza" di Roma, pone l'esigenza di un approfondimento e di un aggiornamento delle conoscenze sui processi sociali, familiari, gruppali e psicologici che garantiscono alla mafia la tenuta delle condizioni di consenso, omertà, influenza sociale, necessarie per affermare un controllo sufficiente della rete di rapporti interni, di confine ed esterni alle organizzazioni criminali. In particolare, viene avviato un lavoro preliminare di riflessione e di ipotesi sul rapporto e sulle interconnessioni esistenti tra: a) le strategie di sopravvivenza-cambiamento della mafia; b) la questione dei minori e della loro strumentalizzazione; c) le funzioni delle donne e delle famiglie; d) le ambivalenze dell'immagine sociale della criminalità organizzata. Nella seconda parte, Marco Strano, ricercatore presso la cattedra di Criminologia dell'Università "La Sapienza" dove coordina un Seminario permanente sulle organizzazioni criminali, propone uno studio dei gruppi criminali fornendo un quadro di riferimento di contenuti e metodologie utili alla sistematizzazione dell'analisi di aggregazioni criminali complesse. Tale approccio di studio deriva in parte dalla criminologia e in parte dalla psicosociologia del lavoro e delle organizzazioni e si prefigge lo scopo di mettere a punto uno strumento più aggiornato anche per cogliere l'evoluzione delle formazioni criminali di tipo mafioso attraverso percorsi di sperimentazione e di analisi innovativa. La terza parte, che è opera di Giancarlo Pezzuto, Ufficiale superiore della Guardia di Finanza, osserva il rapporto interattivo tra produzione normativa antimafia e processo di adattamento dei gruppi criminali. Attraverso un excursus che inizia dalle prime leggi contro la mafia rurale, l'autore giunge fino ai provvedimenti normativi più recenti mettendo in evidenza le tecniche - adottate di volta in volta - con le quali le organizzazioni di tipo mafioso tentano di eludere le strategie poste in essere dalle agenzie di controllo istituzionale. La quarta e ultima parte, a cura di Luigi Ciro de Lisi, anche lui Ufficiale superiore della Guardia di Finanza, rappresenta un'analisi conoscitiva di alcune strutture e dinamiche mafiose, con particolare attenzione rivolta al riciclaggio di "denaro sporco" e al processo di finanziarizzazione della mafia internazionale. Questa indagine è frutto delle esperienze investigative di operatori di polizia specialisti nel settore ed evidenzia l'elevata professionalità raggiunta da alcune grandi organizzazioni criminali e, nel contempo, l'esigenza di ricercare, da parte delle agenzie istituzionali, sempre nuove e più incisive strategie di risposta. La costruzione generale dell'opera vede insomma il contributo di autori con diversificate esperienze scientifiche e professionali e rappresenta un esempio di approccio multidisciplinare la cui validità - nell'ambito dell'analisi delle organizzazioni criminali - sembra emergere da numerosi contesti accademici e istituzionali anche, talvolta, a scapito dell'omogeneità dei testi dal cui raffronto appaiono, necessariamente, differenze di formazione e di linguaggio ma che trovano comunque una linea comune in direzione di una più approfondita conoscenza di una fenomenologia che sembra sempre più radicarsi in tutti i sistemi sociali.

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Intelligence économique et stratégie des entrerprises - Commissariat général du Plan - Travaux du groupe présidé par Henri Martre Henri Martre (Documentation Francaise, 1994 )

Il testo offre un'analisi attenta e minuta del soggetto intelligence economica, contenendo i risultati dell'indagine e dello studio di un gruppo di lavoro, presieduto da Henri Martre, nell'ambito della valutazione, operata nel corso degli anni, sui fattori non materiali della competitività. L'analisi procede dalla considerazione essenziale che l'intelligence economica si fonda sostanzialmente sull'informazione, per cui la ricerca si è mossa tenendo conto e valutando gli elementi della "ingegneria strategica" dell'informazione e l'utilizzazione dell'intelligence economica come leva nella competizione tra imprese. Un primo, lungo capitolo è dedicato all'analisi comparata dei sistemi di intelligence economica nel mondo, costituendo la loro comprensione una priorità essenziale. I sistemi analizzati sono quelli della Gran Bretagna, della Svezia, del Giappone, degli Stati Uniti, della Germania. Dallo studio del sistema precursore della Gran Bretagna, paese che è stato la prima potenza economica mondiale e che dalla rivoluzione industriale alle difficoltà con il Medio Oriente ha sempre dovuto affrontare i problemi derivanti dai rapporti con altre potenze economiche e politiche, si passa a esaminare il sistema della Svezia che, dovendo creare una strategia economica che tenesse conto della fragilità della sua posizione geo-economica, ha puntato essenzialmente sull'ingegneria strategica dell'informazione. Spostandosi l'analisi sui grandi sistemi contemporanei, viene presentato il caso del Giappone, che per primo ha fatto dell'informazione la leva fondamentale del suo sviluppo, considerando essa una risorsa collettiva, più che individuale, e l'indipendenza economica la sua forza precipua. Viene chiarito come l'ingegneria strategica dell'informazione giapponese sia caratterizzata, tra l'altro, dalla penetrazione commerciale adattata al contesto socio-economico di ciascun paese e da una politica di comunicazione selettiva dell'informazione; si sottolinea, inoltre, come in Giappone l'informazione sia comunque intimamente connessa con un comportamento sociale, in virtù del quale essa non può essere né venduta né acquistata ed esistano difficoltà da parte delle imprese a pagare le informazioni. La logica del sistema statunitense, contrariamente a quella giapponese, è individuale, e la strategia delle imprese per conquistare i mercati stranieri risponde alle esigenze di profitto di ciascuna impresa. Tutto il sistema di informazioni poggia, comunque, su servizi interni di Competitive intelligence creati dalla fine degli anni Cinquanta dalle aziende più grandi. In Germania, prima potenza economica in Europa, il sistema nazionale di intelligence economica ha il grande merito di avere un centro in cui convergono i flussi di informazione, costituitosi alla fine del XIX secolo. L'ingegneria dell'informazione tedesca si fonda, comunque, su un profondo sentimento collettivo di "patriottismo economico" e proprio il comune accordo sugli interessi economici nazionali costituisce il punto di forza del sistema di tale paese. Un secondo, ampio capitolo è costituito dall'analisi del modello francese, le cui caratteristiche vengono descritte attentamente e doviziosamente. Dall'analisi comparata risultano evidenti alcune lacune di tale sistema e i ricercatori formulano delle proposte tese a colmare le carenze nel campo della intelligence economica francese. Conclusivamente, il testo, arricchito da una serie di allegati inerenti sempre a temi di interesse economico, sostanzialmente rivolto a un pubblico di esperti, presupponendo la lettura corretta del lavoro una specifica, salda base conoscitiva, può comunque aiutare a costruire una riflessione critica sui meccanismi dell'intelligence economica e sulle vie percorse dai diversi paesi nel campo della raccolta e della diffusione delle informazioni.

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Spionaggio a Palermo Romano Canosa e Isabella Colonnello - (Sellerio, Palermo, 1991)

Il volume, apparso nel 1991 per i tipi della Sellerio, ripercorre le tappe più significative della guerra che nel Mediterraneo vide contrapposti l'impero ottomano e le potenze cristiane. In tale contesto, fondamentale fu il ruolo svolto dai corsari barbareschi che appoggiarono le azioni turche, rendendosi protagonisti di innumerevoli attacchi, occupazioni, saccheggi e ritenuti dallo stesso governo di Costantinopoli "come uno strumento assai utile di rafforzamento della flotta turca e di espansione del potere turco in Occidente". Nel corso di questa lunga guerra fu intensa l'attività di spionaggio e di controspionaggio nella quale si distinse, tra le potenze cristiane, soprattutto la Repubblica di Venezia. I cittadini dello Stato veneziano, allarmati dalle minacce esterne, si adoperarono con impegno nell'attività d'intelligence ed è noto che gli spagnoli utilizzarono ampiamente gli informatori veneti per ricevere notizie sulle azioni turche. Gli autori riferiscono che, intorno alla metà del Cinquecento, numeroso era lo stuolo di quanti si occupavano regolarmente delle raccolte di informazioni sui turchi, tutti regolarmente stipendiati dall'ambasciata spagnola di Venezia e dai viceré di Napoli e Palermo. Le operazioni segrete, ricordano inoltre gli autori, a volte "si estendevano anche ad aspetti più importanti, coinvolgenti il capovolgimento delle alleanze, le vicende dinastiche, ecc…", riferendosi ad esempio alle trattative avviate dalle autorità spagnole nel 1539 con Khair ed-Din Barbarossa, al fine di verificare la possibilità che il corsaro ponesse la sua azione al servizio del Re di Spagna. E di questi "contatti " vengono ricostruite le fasi più importanti, intervallate dalla narrazione delle vicende storiche che fecero da sfondo a tale circostanza. Gli "avvisi", formati da uno o più fogli, costituirono lo strumento attraverso il quale venivano inviate le notizie di interesse raccolte da privati o da diplomatici operanti all'estero, strumento rivelatosi in seguito fonte di notizie preziose anche per gli storici della vita sociale. il pericolo rappresentato dall'attività corsara, uno dei problemi più grandi per la sicurezza della navigazione sui mari del mediterraneo, fu al centro dell'interesse degli apparati informativi siciliani di cui gli autori del volume narrano il lavoro capillare di raccolta delle informazioni e gli interventi numerosi anche sul piano del controspionaggio. Arricchiscono la trattazione le vicende biografiche di alcuni personaggi che si distinsero nello svolgimento dell'attività informativa siciliana. Il volume, incentrato sull'attività spionistica contro i Turchi nel corso del Cinquecento, ricostruisce con precisione il lavoro di intelligence di quegli anni, inserendolo in un contesto storico-politico rivisitato senza dubbio molto puntualmente. La narrazione, ricca di spunti di interesse, di notizie stimolanti, di dati forse poco noti ma sempre avvincenti, costituisce una valida occasione per riaccostarci a un periodo storico complesso ma affascinante e per osservare l'attività dei servizi segreti del Cinquecento.

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Il futuro della sicurezza in Europa Carlo JEAN - in Rivista della Guardia di Finanza, n. 1, 1996, pp. 51-76

Definito il concetto di sicurezza, la cui natura, un tempo chiara, è andata modificandosi dopo la caduta del bipolarismo, rendendo i rischi da affrontare "diffusi, imprevedibili e soggettivi" e illustrate le finalità proprie della sicurezza nell'attuale fase storica, si forniscono una serie di ipotesi riguardanti il futuro ruolo dell'Europa nel mondo: un "Europa-potenza", "polo non solo economico ma anche politico-strategico del futuro sistema internazionale", un'"Europa-fortezza", "volta a proteggersi sia dalle instabilità e dalle crisi dell'Est e del Sud, sia dalla concorrenza economica degli Stati Uniti e del Giappone sia dall'esplosione demografica del terzo mondo; un'Europa, infine, "componente del sistema transatlantico". viene poi esaminato il sistema di sicurezza europeo, sottolineando come esso si basi "su una serie di istituzioni che sono state costituite al tempo della guerra fredda e che stanno faticosamente cercando di adattarsi alla nuova situazione" e non mancando di ricordare oltre alla situazione della Germania definita "il motore dell'integrazione europea" anche quella della Russia, dove alla crisi politica ed economica, si aggiunge "una crisi identitaria". Interessanti le pagine dedicate allo studio delle varie organizzazioni preposte al mantenimento della sicurezza in Europa (OSCE, NATO, UE, UEO) con particolare riguardo ai compiti che esse sono chiamate ad assolvere dopo la fine della guerra fredda, con un esame dei problemi e delle difficoltà derivanti dai nuovi assetti geopolitici. L'autore dell'articolo ritiene che la presenza statunitense sia "indispensabile anche per l'integrazione europea, o almeno per evitare che essa regredisca provocando la disintegrazione e la balcanizzazione dell'Europa", aggiungendo infine che in modo particolare per il nostro Paese "la NATO rimane l'istituzione chiave della sicurezza".

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EL CESID y los jueces: 'Puede España tener servicios secretos? ABC, 7 dicembre 1995

L'articolo contiene la notizia del contrasto sorto tra il Ministero della Difesa e il Tribunale Centrale n. 5, in merito all'accesso ai documenti del CESID, il Servizio Segreto spagnolo, relativi alla "guerra sucia" contro l'ETA. L'autore riferisce che le fonti giudiziali ritengono che la legislazione spagnola sia lacunosa, sottolineando che il diritto comparato privilegia la necessità di proteggere i servizi di intelligence. Se questi infatti dovessero obbligatoriamente fornire informazioni classificate, ritenute utili da un giudice nel corso di un processo, verrebbe meno l'essenza stessa dei Servizi, costituita dalla "segretezza della loro attività e dalla riservatezza dei metodi e delle fonti". Si rileva pertanto come in Spagna non esistano norme specifiche a tale riguardo e il controllo effettuato dal Parlamento sull'attività di intelligence sia molto più vasto rispetto agli altri paesi occidentali. Viene anche fornito un prospetto sintetico riguardante la formula di protezione del segreto e le eventuali sanzioni previste in Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Stati Uniti.

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El CESID: un nuevo estatuto personal Gustavo SUÀREZ PERTIERRA - Ministro de Defensa - (El Pais)

Sull'annuario che viene curato e pubblicato da El Paìs, il quotidiano spagnolo a più ampia tiratura nazionale, nel settore dedicato alla "Defensa Nacional", è apparso un intervento del Ministro della Difesa Gustavo Suàrez Pertierra, dal titolo "El CESID: un nuevo estatuto personal". In esso, tracciata una cronistoria del Centro Superior de Informaciòn de la Defensa, dalla sua creazione ad opera del Capitano Generale Gutierrez Mellado, attraverso una prima grave crisi sorta in seguito al colpo di Stato del 23 febbraio, fino a quella più recente degli ultimi mesi del 1995, si pone l'accento sulla creazione del nuovo statuto personale del Servizio il cui scopo principale è stato quello di razionalizzare diritti e doveri di quanti appartengono a questo settore con una ridefinizione di norme e di regole, anche se esso, ricorda il Ministro spagnolo, rappresenta solamente il primo passo di una riforma più profonda del CESID. Lo statuto prevede, tra l'altro, che gli agenti si svincolino definitivamente dalle Forze Armate, unitamente agli altri appartenenti al Servizio per trasformarsi in "personale statutario". Di tale statuto la pubblicazione presenta inoltre una sorta di schematico prospetto insieme ad una tabella riassuntiva dei bilanci di spesa del Servizio dal 1992 al 1996.

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Vestigia di un'area archeologica d'interesse An. LA. L'edificio che ospita la sede del Servizio è situato in una zona tra le più interessanti della città, sia con riferimento alla Roma antica che al nuovo assetto assunto dalla capitale dopo il 1870. La conformazione urbanistica e la toponomastica del luogo riflettono l'intento riorganizzativo e celebrativo della "Roma umbertina". L'attuale via Giovanni Lanza, dal nome del primo Presidente del Consiglio quando la capitale passò da Firenze a Roma, fu aperta nel 1885, pressoché contestualmente a via Cavour (già via Graziosa), destinata a collegare l'Esquilino a piazza Venezia e intitolata all'"artefice dell'unità d'Italia". Col nuovo impianto viario ed edilizio venne demolita gran parte del popolare quartiere della Suburra e modificata l'altimetria della zona che, specie nel tratto di via Cavour, risulta rialzata rispetto al livello originario, corrispondente all'odierna piazza della Suburra. Lo sdoppiamento tra le due arterie ricalca un'antica e complessa struttura stradale incentrata sull'asse dell'Argileto ("Argiletum") che, attraversata parte della "Subura", si suddivideva tra il "vicus Patricius" (corrispondente a via Urbana, parallela a via Cavour) e il "clivus Suburanus" (attuale via in Selci). Fin dalla Roma antica la depressa e insalubre Suburra, vera e propria valle compresa tra i colli del Viminale e dell'Oppio, era nota come quartiere popolare e malfamato, dove si concentravano modeste abitazioni e taverne, disposte secondo un irregolare e tortuoso impianto viario. Nel popoloso quartiere ebbe dimora Giulio Cesare ed è documentata presenza di antichissimi culti orientali. Solo nell'età di Augusto la zona venne inserita nei programmi della Roma monumentale: sulle pendici del "Fagutal", propaggine occidentale del colle Oppio, nell'area compresa tra via delle Sette Sale e via in Selci, fu eretto il primo grande edificio di uso pubblico, il portico di Livia (15 a.C.), dedicato alla moglie di Augusto. Consisteva in una grande (120 x 95 m.) piazza rettangolare circondata da un doppio colonnato, con fontane agli angoli e un altare al centro; mediante una scalea, uno dei lati era collegato al "clivus Suburanus". Alla sommità di questa arteria, in prossimità dello sbocco tra via in Selci e piazza S. Martino ai Monti, si trovava una fontana di Orfeo, ricordata in un epigramma di Marziale. Gli interventi urbanistici del secolo scorso hanno consentito di ampliare la nostra conoscenza della zona in epoca romana. In corrispondenza dell'angolo nord-est della chiesa di S. Martino ai Monti sono stati rinvenuti i resti di un edificio privato con "larario" (edicola con statue di divinità domestiche), mentre nella zona sottostante, tramite due rampe di scale, si accedeva a un "mitreo" (cella sotterranea di origine orientale, adibita al culto di Mitra Tauroctono). Nello stesso complesso Rodolfo Lanciani, prezioso testimone e studioso dei resti archeologici rinvenuti nel corso dei grandi lavori edilizi di fine Ottocento, ha individuato l'esistenza di un locale adibito a biblioteca. Un tempio dedicato a Giunone Lucina, protettrice delle partorienti, sorgeva, inoltre, nei pressi della chiesa di San Francesco di Paola, all'angolo formato dall'attuale via Lanza e da via in Selci. Infine, al n. 8 di via S. Martino ai Monti sono stati scoperti i resti di un'ara con iscrizione, che fungeva da base di un'edicola di crocicchio, dove era collocata una statua donata da Augusto. Di tutt'altro tenore ci appaiono, al confronto, gli interventi monumentali del vicino colle Oppio, prospiciente al "clivus Suburanus" su cui è stato ricalcato il tracciato di via Lanza. Questo settore risultava incluso nella parte orientale della regione dell'Esquilino, occupata da una necropoli di età arcaica e repubblicana. Su iniziativa di Mecenate, il potente "ministro" di Augusto, si procedette al risanamento della zona, che venne destinata all'edificazione di ville e giardini privati, e solo con gli imperatori Flavi verrà restituita al godimento pubblico. La più nota e grandiosa di queste dimore fu senz'altro la "Domus Aurea", costruita da Nerone dopo l'incendio del 64 in sostituzione della "Domus Transitoria" (che collegava i possedimenti imperiali del Palatino a quelli dell'Esquilino, includendo i Giardini di Mecenate). La parte settentrionale della residenza, posta in prossimità del portico di Livia, verrà presto inglobata (e forse riadattata) dalle monumentali Terme

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di Traiano, i cui resti sono tuttora visibili nel parco di colle Oppio (tra cui la grandiosa cisterna delle terme, detta delle Sette Sale). Una tangibile testimonianza del tempo passato è offerta dalla stessa zona in cui si snoda via Lanza, dove alcune interessanti vestigia, seppure isolate e riferibili a epoche diverse, documentano una continuità di vita oltremodo suggestiva. La chiesa di S. Martino ai Monti, sul lato esterno orientale corrispondente a via Equizia, poggia su un basamento costruito in blocchi di tufo, provenienti da un tratto demolito delle antiche Mura Serviane (IV sec. a.C.). Nei sotterranei della chiesa, che ha subìto un radicale rimodernamento alla metà del Seicento, si trovano importanti ruderi identificati col "titulus Equitii", casa privata adibita al culto dei primi cristiani (III sec. d.C.). Nella piazza, le due torri dei Capocci e dei Cantarelli ci riportano all'epoca medioevale, mentre, proseguendo per via in Selci, si giunge al monastero di S. Lucia (n. 82), con l'annessa chiesa interna. Anticamente (V sec.) detta "in Orphea" dalla vicina fontana di Orfeo, e poi "in silice" dai grossi selci della strada, la chiesa fu ricostruita dal Carlo Maderno agli inizi del XVII secolo e restaurata dal Bernini. A fianco del portale d'ingresso, l'imponente fabbricato in mattoni ingloba una fondazione più antica, ritenuta del V secolo, di cui sono tuttora visibili cinque aperture, delimitate da una serie di pilastri in travertino e sormontate da archi di scarico. La via in Selci termina con la chiesa dei SS. Gioacchino e Anna e l'annesso ex monastero delle Paolotte, edificato alla metà del Settecento. All'epoca romana ci riconducono i resti murari conservati nei sotterranei del palazzo di via Lanza, nei locali oggi occupati dalla Biblioteca del Servizio. Si tratta di un sito pluristratificato, frutto di distinti interventi che si sono sovrapposti nel tempo. Le strutture murarie, recanti alcuni inserti in pietra, documentano sistemi costruttivi riferibili a epoche diverse. Il nucleo cementizio risulta rivestito da una cortina di pietra tagliata irregolarmente ("opus incertum", in uso dal II sec. a.C.) oppure da un paramento in tegole fratte disposte orizzontalmente ("opus latericium" o "testaceum"), tecnica questa diffusa specie in epoca imperiale e qui maggiormente documentata; sussistono anche un frammento di "opus reticolatum" (pietre di forma tronco-piramidale a base quadrata disposte in linee diagonali, formanti una trama a rete) e alcuni esempi dell'antica "opus quadratum" (struttura in blocchi regolari di forma parallelepipeda) e di "opera listata" ("opus vittatum"), con fasce orizzontali alternate di mattoni e di blocchetti parallelepipedi di tufo (IV sec. d.C.). La presenza di alcune cavità, veri e propri fori sulla superficie muraria, indicherebbe l'esistenza di lastre marmoree di rivestimento, che venivano fissate mediante un chiodo metallico e che sono state successivamente asportate per essere riutilizzate. L'esiguità e la frammentarietà dei resti ne ostacolano l'identificazione, trattandosi evidentemente di edifici distinti, per epoca e per destinazione. Sollecitano la nostra attenzione, in particolare, una piccola nicchia, forse adibita al culto domestico, un frammento di mosaico pavimentale e un blocco di travertino, che potrebbe rappresentare la soglia di una bottega. L'inclusione della zona di via Lanza nella popolare Suburra, prevalentemente destinata all'edilizia privata, non comporta necessariamente l'ipotesi di modeste costruzioni. Ci troviamo, infatti, a una altimetria relativamente maggiore, e pertanto più salubre, rispetto alla valle della Suburra, nonché contigui alle pendici del "Fagutal" e agli interventi monumentali del colle Oppio. Proprio nei sotterranei della chiesa di S. Pietro in Vincoli, che corrisponde alla sommità del "Fagutal", negli anni Cinquanta sono stati rinvenuti resti di "domus" aristocratiche di età repubblicana, mentre nei pressi del monastero delle Paolotte di via in Selci, alla fine del Settecento fu ritrovato un prezioso corredo nuziale del IV secolo. D'altronde la stessa ricchezza di interventi che caratterizza il vicino complesso di S. Martino ai Monti, oggetto di un ininterrotto processo di ammodernamento nei secoli passati, documenta con evidenza la continuità urbana e l'importanza del sito. E in tale contesto vanno collocati i resti murari conservati nel palazzo di via Lanza, suggestiva testimonianza della presenza umana nella storia plurimillenaria di Roma.

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Hanno collaborato a questo numero: Vincenzo CAIANIELLO Ministro di Grazia e Giustizia e Presidente Emerito della Corte Costituzionale Cherubina CIRIELLO Vice Prefetto Ispettore Aggiunto Carlo Emilio MILANI Studioso di problemi strategici Robert A. GRAHAM S.I. Storico Carlo SARZANA di S. IPPOLITO Presidente Aggiunto dei Giudici delle Indagini Preliminari presso il Tribunale Penale di Roma

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