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Grigolandia2

Date post: 11-Jul-2016
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44 GALATEA migranti VERSO GRINGOLANDIA 2 la tradotta dei poveri La cittadina di Arriaga, a 25 chilometri dalla costa sud del Chiapas, in Messico, è diventata negli ultimi cinque anni un centro che fonda la sua economia sulla migrazione. Da qui passa la ferrovia e il treno merci che trasporta i migranti centroamericani attraverso il tutto il Messico. Fino al 2005 Arriaga era soltanto una delle fermate della bestia, il treno della speranza che trasporta ogni giorno centinaia di migranti, oggi è un punto di frontiera. Il governo del Salvador ha deciso di aprire proprio ad Arriaga un consolato, per assistere i cittadini salvadoregni emigranti che quotidianamente passano da qui. Un consolato di frontiera. “L'obiettivo principale di questo ufficio consolareera, all'inizio, quello di fare una mappatura del transito dei migranti salvadoregni. Ma dal primo giorno di apertura, il 28 gennaio 2010, abbiamo capito che dovevamo rimboccarci le maniche e prepararci ad essere un vero e proprio presidio di assistenza”, esordisce la console Vilma Mendoza Quiroz. Vilma ha una visione completa e dettagliata del fenomeno migratorio e della complessa struttura economica e criminale che intorno si è sviluppata. Questo anche grazie alla posizione strategica del suo consolato, che sorge proprio di fronte alla ferrovia, da dove parte la bestia. “Qui si dà assistenza a tutti quelli che vengono a chiederne, a prescindere dalla loro nazionalità. Diamo quello che riusciamo a dare: cibo, acqua, informazioni sui loro diritti e primo soccorso. Ho a disposizione solo due funzionari, ma la necessità è così pressante che non possiamo fare finta di non vedere. Ognuno fa un po’ di tutto”. testo e foto di Federico Mastrogiovanni
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44 GALATEA

migranti

VERSOGRINGOLANDIA 2

la tradotta dei poveriLa cittadina di Arriaga, a 25 chilometri dalla costa sud del Chiapas, in Messico, è diventata negli ultimi

cinque anni un centro che fonda la sua economia sulla migrazione. Da qui passa la ferrovia e il treno

merci che trasporta i migranti centroamericani attraverso il tutto il Messico. Fino al 2005 Arriaga era

soltanto una delle fermate della bestia, il treno della speranza che trasporta ogni giorno centinaia di

migranti, oggi è un punto di frontiera. Il governo del Salvador ha deciso di aprire proprio ad Arriaga

un consolato, per assistere i cittadini salvadoregni emigranti che quotidianamente passano da qui. Un

consolato di frontiera. “L'obiettivo principale di questo ufficio consolareera, all'inizio, quello di fare

una mappatura del transito dei migranti salvadoregni. Ma dal primo giorno di apertura, il 28 gennaio

2010, abbiamo capito che dovevamo rimboccarci le maniche e prepararci ad essere un vero e proprio

presidio di assistenza”, esordisce la console Vilma Mendoza Quiroz. Vilma ha una visione completa e

dettagliata del fenomeno migratorio e della complessa struttura economica e criminale che intorno si è

sviluppata. Questo anche grazie alla posizione strategica del suo consolato, che sorge proprio di fronte

alla ferrovia, da dove parte la bestia. “Qui si dà assistenza a tutti quelli che vengono a chiederne, a

prescindere dalla loro nazionalità. Diamo quello che riusciamo a dare: cibo, acqua, informazioni sui

loro diritti e primo soccorso. Ho a disposizione solo due funzionari, ma la necessità è così pressante

che non possiamo fare finta di non vedere. Ognuno fa un po’ di tutto”. testo e foto di Federico Mastrogiovanni

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Arriaga. Mentre Vilma prosegue il racconto, alconsolato si presenta una coppia di migranti sal-vadoregni che ha subito un’aggressione durante

il cammino, nella zona della Arracera, famosa per gli as-salti, traTapachula, città di frontiera eArriaga,. Tentava-nodiraggiungereapiediArriaga,hannoperso ipochisol-dicheavevanoportatoconsé.Dall’ufficioconsolaresipuòfare una telefonata a casa per farsi inviare 50 dollari da fa-miliari o amici residenti negli Stati Uniti tramite gli uf-fici dellaWesternUnion. Poco dopo entra ungiovane so-lo, sfinito e zoppicante. Vilma lo fa accomodare nella suastanza, che ha anche un piccolo ambulatoriomedico. Glifa togliere le scarpe. La console indossa un paio di guantidi lattice e in silenzio, con esperienza, disinfetta le nu-merose piaghe che il giovane ha sotto i piedi, causate dal-le lunghe ore di cammino sulla via ferrata. Poi consegnaal ragazzo una pomata da mettere sui piedi, dando tuttele indicazioni terapeutiche ed igieniche necessarie e rico-mincia a parlare. “Secondo le statistiche che abbiamo sti-lato in questimesi come consolato, attraverso osservazio-ne diretta e interviste, sappiamo che le violenze, gli as-salti, i furti e le aggressioni sono molte di più di quelleche vengono denunciate. Denunciando i suoi aggressori,ilmigrante si allontana da quello che è l’obiettivo princi-pale del suo viaggio, raggiungere gli Stati Uniti. I mi-granti sentono di perdere tempo, non credono nel siste-ma, hanno paura di essere rimpatriati, e in ogni caso con-siderano gli atti criminali nei loro confronti come parte

del rischio che hanno deciso di correre. Sono molti quel-li che affermano che avevanomesso in conto di essere de-rubati o assaltati. È anche vero che pagando le quote sta-bilite dal gruppo degli Zetas, il cartello di narco che con-trolla il territorio in questa zona, si può passare senza es-sere aggrediti o derubati, ed è ciò che accade amolti gua-temaltechi, che generalmente contrattano delle guide, icoyotes, e pagando prima, evitanomolte violenze.”

La bestiaFuoridal consolato la ferrovia si squaglia sotto il sole. L’u-midità è al 90% e amezzogiorno cominciano già ad arri-vare gruppi dimigranti. Vengono occupate tutte le zoned’ombra disponibili, ogni albero, ogni vagone abbando-nato, ogni tettoiadiventa il puntodi assembramento e ri-poso. Il pasto più comune che si consuma lungo la lineadel treno è composto da tortillas, fagioli, chile, tonno e ac-qua. Insieme aimigranti compaiono anche venditori am-bulanti di bibite, panini, schede telefoniche, scarpe, ac-qua, teli e cartoni per ripararsi dalla pioggia e dal sole.Nonostante il caldo e il sole a picco, alcuni gruppetti dimigranti cominciano a salire sul treno. Sono pochi i va-goni che si possono utilizzare per viaggiare ed è necessa-rioprenderepossesso in tempodelproprio spazio.Lagranpartedeivagonihauna formatondeggiante e risultamol-to difficile la scalata e molto pericoloso rimanere sedutisul tetto del vagone durante il viaggio.Henry ha 30 anni, viene dall’Honduras, è la seconda vol-

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ta che prova ad arrivare negli Stati Uniti. Nel tentativoprecedente è entrato al primo colpo: “Sono andato a vi-vere inNew Jersey, per dodici anni.Mi sono sposato e hoavuto una bambina. Mia moglie è morta poco dopo ilparto a causa di complicazioni e nostra figlia oggi ha unanno e quattromesi. Ora è lì da sola da alcuni parenti. Iosono stato deportato perché mi hanno pescato a guidaresenza documenti. Sono arrivato un mese fa in Hondurase ora devo ricominciare tutto da capo”.L’attesa è lungae snervante sotto il solema lagente aspet-ta con pazienza. Poi senza alcun preavviso si comincia asentire il rumore familiare della locomotiva, che lenta-mente si avvicina ad Arriaga. Nessuno sa con esattezzaquando il treno arriverà né tantomeno quando ripartirà,perché la bestia non ha orari, per cui nessuno può allon-tanarsi troppo dai binari.Il treno merci viene caricato di farina di mais, cemento,alluminio, a volte benzina.Dalle zone d’ombra della sta-zione vengono avanti centinaia di persone.Alcuni, nelle ore o giorni di attesa, alloggiano nelle co-siddette casas de seguridad, letteralmente case di sicurez-za, degli alloggi privati che, a pagamento, vengonomes-si a disposizione dei migranti. Qui si dorme, si mangia,ci si lava, e si viene avvisati in tempo dell’arrivo del tre-no.Una casa de seuridad è una sorta di albergo illegale che

vive grazie all’abbondante flusso migratorio e che puòospitare fino a duecento persone al giorno.La bestia sbuffa e stride sulle rotaie. La tensione aumen-ta sensibilmente. Chi è arrivato fin qui ha già percorsocentinaia di chilometri con ogni mezzo, a piedi, in bar-ca, nei combi, i piccoli pulmini collettivi. Probabilmenteè stato rapinato, di certo ha sofferto fame e sete, e ancoranon è a metà del viaggio. Da qui in poi ci sono altri pro-blemi, altri pericoli.

Henry“Sappiamo cosa ci aspetta – racconta Henry seduto nelsuo spazio in cima di un vagone grigio pieno di cemen-to –qualcunoha già fatto una o più volte questo viaggio,altri lo hanno sentto raccontare dagli amici o dai paren-ti che ci hannoprovato.Ora inizia il primo tratto del tre-no, che arriverà ad Ixtepec, nello stato di Oaxaca. C’è ilrischio che il treno venga assaltato dagli Zetas o da altrigruppi criminali. Se salgono armati qui sopra con il tre-no inmovimento non c’èmodo di scappare. A volte suc-cede che alcuni Zetas si infiltrino tra imigranti e all’im-provviso, magari di notte, tirano fuori una pistola e ra-pinano tutti. Questo è uno dei rischi. Portiamo con noiqueste pietre e questi bastoni, per poterci difenderci inqualche modo”. Henry viaggia in un gruppo di quindi-

Chi è arrivato fin qui ha già percorso centinaia di chilometri con ogni

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ci persone, quasi tutti honduregni e hanno occupato iltettodiun interovagone. Si condivide l’acqua, il poco ci-boadisposizione,duepersonecontrollano l’accessoalva-gone nella parte anteriore, altre due nella parte posterio-re. Sono pronti a lanciarsi dal treno in corsa se si dovessepresentare un pericolo improvviso,ma sui loro volti nonsi nota grande tensione. Piuttosto speranza, stanchezza eun discreto ottimismo.Sono le 17 in punto, senza nessun preavviso la bestia simette inmovimento. Gli ultimi si lanciano sui vagoni eprendono posto sul tetto. Il tetto è ancora molto caldoper il sole di un giorno intero ed è anchemolto scomodo.Si sta il più possibile gli uni vicini agli altri e se è possi-bile si usano dei cartoni stesi sulla superficie di metalloper rendere un po’ meno pesante il viaggio.“Sobenissimochediquestequattrocentopersone che so-no sul treno ne arriveranno a destinazionemassimo ven-ti – continua Henry mentre la bestia, carica di materialie di centinaia di persone si lascia lentamente alle spalleArriaga – e delle venti donne che ho contato, probabil-mente ne arriverà una o due. Queste sono le cifre finali,ognuno di noi lo sa, ma ognuno pensa che tra quelle po-che persone ci sarà lui. Io ne sono certo”.Il clima sul treno è di calma apparente. Si fanno i turniper stendersi a riposare un po’ sulla lamiera, ma c’è sem-

pre qualcuno di guardia per eventuali assalti o pericoli.“Non tutti ci trattano male durante il cammino – rac-conta Christian, un giovane honduregno che ha fattoparte della resistenza contro il colpo di stato del 2009 eche ora ha deciso di emigrare per garantire un futuro aisuoi due figli –. Alcuni ti ospitano a casa, ti danno damangiare, ti fanno sentire una persona. Tutti durante ilviaggio ti fanno dimenticare di essere una persona, titrattano da migrante, ma loro te lo ricordano, sei un es-sere umano. Però sonopiùquelli che ci vedono come car-ne da macello, da cui spremere il più possibile, perchésiamo indocumentados e non abbiamo diritti”.La velocità di crociera di questo carrozzone della speranzanormalmente non supera i 25 chilometri all’ora, anche acausa delle pessime condizioni della ferrovia,ma dopo treore di viaggio, senza unmotivo apparente, la bestia rallen-ta sensibilmente. Il treno si anima, tutti i passeggeri, suivari vagoni, si preparano a qualcosa che non sannoma cheintuiscono, si preparano a saltare giù, a correre, a scappa-re, a difendersi. La bestia sbuffa, è già buio e si intravedo-no lampi di luce in lontananza. Sul treno il silenzio è pal-pabile.Non si ride più, non si gioca più a carte. Si aspetta.All’entrata del piccolo pueblo di Chahuites, già nello statodi Oaxaca, con il treno ancora in movimento, compaionodecine di ombre e fasci di luce, ai due lati del treno.

mezzo, a piedi, in barca, nei combi, i piccoli pulmini collettivi

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I federali“Scendete da quel cazzo di treno brutti figli di puttana!!Forza! Forza! Veloci, bastardi! Non fate cazzate, veloci!Figli di puttana, scendete che ora sono cazzi vostri!”Queste sono le prime parole che si sentono gridate dagliagentidellapolizia federale, in tenuta antisommossa, in-cappucciati, con fucili ad alto potenziale puntati verso iltreno, illuminati dalle torce. I vagoni si svuotano in unattimo e centinaia di ombre schizzano via dall’alto versoil buio, saltando con il treno ancora in movimento.In pochi secondi trenta agenti della polizia federale arre-stano un centinaio di persone. I migranti vengono mes-si faccia a terra con violenza su quattro file ai due lati deltreno. Vengono insultati, minacciati, schiacciati al suo-lo dai grossi scarponi neri degli agenti armati. Il trenoora è fermo e comincia quella che - a detta degli agenti -è un’identificazione. Non è presente nessun funzionariodell’Instituto Nacional de Migracion, l’agenzia del go-verno che ha il compito di occuparsi dei migranti, e l’o-perazione portata a termine dai federali è già solo perquesto un’operazione illecita.Nel caos generale, i migranti vengono perquisiti som-mariamente.Qualcuno corre via nel buio. Si sentono de-

gli spari di M16. Ogni federale dà una versione diversasulmotivo del blocco-perquisizione del treno e identifi-cazione. “Siamo stati allertati da alcune telefonate di cit-tadini spaventati dai criminali che arrivano col treno” af-ferma il primo agente. “È un’operazione che serve a pro-teggere gli stessi migranti – spiega un altro federale colvolto nascosto dal passamontagna – perché da questeparti sonomolti gli assalti da parte di gruppi criminali”.È per questo viene fermato il treno e vengono portati viai migranti stessi. Per proteggerli. “L’operazione è stataordinata perché abbiamo avuto notizie allarmanti.Gruppi criminali stavano rubando le rotaie del treno inquesta zona, c’è un rischio di deragliamento e bisognasgomberare il treno”, dichiara un terzo agente federale.Il numerodi fermati, fatti sdraiare faccia a terra, sonopiùdi cento. All’arrivo degli addetti dell’ufficio migrazio-ne, dopo più di un’ora, vengono trasferiti all’ufficio mi-gratorio soltanto 47migranti. Gli altri dove sono finiti?“Quando il treno si è fermato sono riuscito a saltare sen-za farmi male, ma mi hanno preso i federali. Mi hannofatto sdraiare faccia a terra – racconta Victor al sicuro fralemura della Casa delmigrante di Ixtepec – poimi han-no perquisito e mi hanno chiesto quanti soldi avevo con

Chi è arrivato fin qui ha già percorso centinaia di chilometri con ogni

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me. Gli agenti mi hanno tolto dalle tasche tutto quelloche avevo, 1200 pesos. Poi mi hanno preso per un brac-cio,mi hanno tirato su emi hannodetto di andarmene dicorsa, che se mi rivedevano mi ammazzavano. Sono cor-so via e sono riuscito a raggiungere il treno dopo il pae-se, a saltarci su al volo e ad arrivare fino qui”.

Il migrante e il maialeLa testimonianza di Victor coincide con quella di decinedi altrimigranti che sono riusciti a scappare daChahuitesearaggiungereIxtepec.“LaPoliziaFederaledaquestepar-ti si dedica a rapinare i treni carichi di migranti – spiegapadre Alejandro Solalinde, il sacerdote responsabile dellacasa del migrante di Ixtepec – questa pratica criminale èmolto comune e diffusa, ma è difficile che si riesca a for-mularedelle denuncepenali contro i federali, poiché imi-granti non sporgono quasi mai denuncia. Non si fidano.In questo caso però erano presenti sul treno dei giornalistie siamoriusciti a raccogliereparecchietestimonianze.Sta-volta la denuncia si farà, perché le violenze e gli abusi chequotidianamente subiscono queste persone da parte diun’autorità pubblica devono finire”. Dei 47 fermati 42erano centroamericani e sono stati deportati nei loro pae-si di origine dall’InstitutoNacional deMigracion.Padre Solalinde ha sporto denuncia contro l’operazionedella polizia federale, da cui si è dissociato formalmenteanche lo stesso Instituto Nacional de Migracion. “Que-ste operazioni sono un fatto quotidiano – dichiara una

fonte della Comisión Nacional para los Derechos Hu-manos (CNDH) – in altri stati, più avanti sul percorsodel treno, i federalipicchiano imigranti con imanganellie li stordiscono con i taser, i paralizzatori elettrici. Sonotutti abusi fatti ai danni di cittadini stranieri da autoritàdi polizia messicane del tutto corrotte”.Dallequattrocentopersone cheoccupavano il vagonedeltreno il numero si è già abbassato considerevolmente,proprio come sosteneva Henry. Alcuni rimarranno inMessico a cercare fortuna, altri proveranno a prendere ilprossimo treno. Altri ancora torneranno a casa, rinun-ciando al loro sogno americano. Da Ixtepec, prima tap-pa della ferrovia, si parte per Veracruz, Città del Messi-co e poi per la frontiera nord. Da Ixtepec in poi il princi-pale pericolo sonogliZetas, che sequestrano interi grup-pi dimigranti per chiedere riscatti alle famiglie.Chinonpaga viene ucciso, oppure viene costretto a lavorare co-me kapò per qualche anno, per vessare altri migranti.L’odisseacheconducea realizzare il sognoamericanopas-sa per un paese, il Messico, in cui si è formata un’econo-mia dellamigrazione, che vede coinvolti cartelli del nar-co, ufficiali e agenti di ogni tipo di polizia, esercito, fun-zionari pubblici, commercianti, venditori ambulanti. “Imigranti sono come il maiale – dice scherzando,ma nontroppo, la console del Salvador, VilmaMendoza – non sibuttaniente.Tuttoquello che si spremedalmigrantedi-venta oro, qui. E a quanto pare nessuno ha intenzione diesaurire questa miniera d’oro”. �

mezzo, a piedi, in barca, nei combi, i piccoli pulmini collettivi