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“Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per ... · bella e attrezzata per ogni...

Date post: 18-Feb-2019
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LA VOCE DELLA COMUNITA’ N° 50 dicembre 2014 “Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi” (Esortazione Apostolica “Vita Consecrata” n. 110). Icona della Natività, Grotta della Natività a Betlemme
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LA VOCE DELLA COMUNITA’ N° 50 dicembre 2014

“Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta

per fare con voi ancora cose grandi” (Esortazione Apostolica “Vita Consecrata” n. 110).

Icona della Natività, Grotta della Natività a Betlemme

Lettera Apostolica del Santo Padre Francesco a tutti i consacrati in occasione dell'Anno della Vita Consacrata

(sintesi del messaggio a cura di padre Rinaldo)

In occasione del 50° anniversario della Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, che

nel cap. VI tratta dei religiosi, come pure del Decreto Perfectae caritatis sul rinnovamento della

vita religiosa, Papa Francesco ha deciso di indire un Anno della Vita Consacrata.

Dopo aver ascoltato la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di vita

apostolica, ha indicato come obiettivi per questo Anno gli stessi che san Giovanni Paolo II aveva

proposto alla Chiesa all'inizio del terzo millennio con l’Esortazione post-sinodale Vita Consecrata:

«Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da

costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi»

(n. 110).

Penso sia importante per ogni religioso e anche per i laici presentare almeno i punti principali di

questa lettera da sottoporre alla propria riflessione e confronto e viverla nella propria realtà

ecclesiale.

I – Gli obiettivi per l’Anno della Vita Consacrata

1.Il primo obiettivo è guardare il passato con gratitudine. Ogni nostro Istituto viene da una

ricca storia carismatica. Alle sue origini è presente l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama

alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre il Vangelo in una particolare forma di

vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a rispondere con creatività alle necessità

della Chiesa. In questo Anno sarà opportuno che ogni famiglia carismatica ricordi i suoi inizi e il

suo sviluppo storico, per ringraziare Dio che ha offerto alla Chiesa così tanti doni che la rendono

bella e attrezzata per ogni opera buona (cfr Lumen gentium, 12).

Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, così come per rinsaldare

l’unità della famiglia e il senso di appartenenza dei suoi membri. È un modo anche per prendere

coscienza di come è stato vissuto il carisma lungo la storia, quale creatività ha sprigionato, quali

difficoltà ha dovuto affrontare e come sono state superate. Narrare la propria storia è rendere lode a

Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni.

2. Quest’Anno ci chiama inoltre a vivere il presente con passione. La grata memoria del

passato ci spinge, in ascolto attento di ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa, ad attuare in maniera

sempre più profonda gli aspetti costitutivi della nostra vita consacrata.

Dagli inizi del primo monachesimo, fino alle odierne "nuove comunità", ogni forma di vita

consacrata è nata dalla chiamata dello Spirito a seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo

(cfr Perfectae caritatis, 2). Per i Fondatori e le Fondatrici la regola in assoluto è stata il Vangelo,

ogni altra regola voleva essere soltanto espressione del Vangelo e strumento per viverlo in pienezza.

La domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come anche noi ci lasciamo

interpellare dal Vangelo; se esso è davvero il "vademecum" per la vita di ogni giorno e per le scelte

che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e

sincerità. Non basta leggerlo (eppure lettura e studio rimangono di estrema importanza), non basta

meditarlo (e lo facciamo con gioia ogni giorno). Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole.

L’Anno della Vita Consacrata ci interroga sulla fedeltà alla missione che ci è stata affidata. I

nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze, rispondono a quanto lo Spirito ha chiesto ai

nostri Fondatori, sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è

qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa

vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter

offrire il nostro contributo per rispondervi? «La stessa generosità e abnegazione che spinsero i

Fondatori – chiedeva già san Giovanni Paolo II – devono muovere voi, loro figli spirituali, a

mantenere vivi i carismi che, con la stessa forza dello Spirito che li ha suscitati, continuano ad

arricchirsi e ad adattarsi, senza perdere il loro carattere genuino, per porsi al servizio della Chiesa e

portare a pienezza l’instaurazione del suo Regno».

Vivere il presente con passione significa diventare "esperti di comunione", «testimoni e artefici di

quel "progetto di comunione" che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio». In una società

dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle

disuguaglianze, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il

riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è

portatore, permetta di vivere rapporti fraterni.

Siate dunque donne e uomini di comunione, rendetevi presenti con coraggio là dove vi sono

differenze e tensioni, e siate

segno credibile della presenza

dello Spirito che infonde nei

cuori la passione perché tutti

siano una sola cosa (cfr Gv

17,21). Vivete la mistica

dell’incontro: «la capacità di

sentire, di ascolto delle altre

persone. La capacità di

cercare insieme la strada, il

metodo»3, lasciandovi

illuminare dalla relazione di

amore che passa fra le tre

Divine Persone (cfr 1 Gv 4,8)

quale modello di ogni

rapporto interpersonale.

3. Abbracciare il futuro con speranza vuol essere il terzo obiettivo di questo Anno.

Conosciamo le difficoltà cui va incontro la vita consacrata nelle sue varie forme: la diminuzione

delle vocazioni e l’invecchiamento, soprattutto nel mondo occidentale, i problemi economici a

seguito della grave crisi finanziaria mondiale, le sfide dell’internazionalità e della globalizzazione,

le insidie del relativismo, l’emarginazione e l’irrilevanza sociale... Proprio in queste incertezze, che

condividiamo con tanti nostri contemporanei, si attua la nostra speranza, frutto della fede nel

Signore della storia che continua a ripeterci: «Non aver paura ... perché io sono con te» (Ger 1,8).

La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo

posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). È questa la

speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande

storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci

spinge lo Spirito Santo per continuare a fare con noi grandi cose.

Non cedete alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare nelle

proprie forze. Scrutate gli orizzonti della vostra vita e del momento attuale «in vigile veglia». Con

Benedetto XVI vi ripeto: «Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso

della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni; piuttosto rivestitevi di Gesù Cristo e indossate le

armi della luce – come esorta san Paolo (cfr Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti».

Continuiamo e riprendiamo sempre il nostro cammino con la fiducia nel Signore.

Mi rivolgo soprattutto a voi giovani. Siete il presente perché già vivete attivamente in seno ai vostri

Istituti, offrendo un contributo determinante con la freschezza e la generosità della vostra scelta.

Nello stesso tempo ne siete il futuro perché presto sarete chiamati a prendere nelle vostre mani la

guida dell’animazione, della formazione, del servizio, della missione. Questo Anno vi vedrà

protagonisti nel dialogo con la generazione che è davanti a voi. In fraterna comunione potrete

arricchirvi della sua esperienza e sapienza, e nello stesso tempo potrete riproporre ad essa l’idealità

che ha conosciuto al suo inizio, offrire lo slancio e la freschezza del vostro entusiasmo, così da

elaborare insieme modi nuovi di vivere il Vangelo e risposte sempre più adeguate alle esigenze di

testimonianza e di annuncio.

II – Le attese per l’Anno della Vita Consacrata

Che cosa mi attendo in particolare da questo Anno di grazia della Vita Consacrata?

1. Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: «Dove ci sono i religiosi c’è gioia».

Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci

felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità; che l’autentica fraternità vissuta nelle

nostre comunità alimenta la nostra gioia; che il nostro dono totale nel servizio della Chiesa, delle

famiglie, dei giovani, degli anziani, dei poveri ci realizza come persone e dà pienezza alla nostra

vita.

Che tra di noi non si vedano volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché "una sequela triste

è una triste sequela". Anche noi, come tutti gli altri uomini e donne, proviamo difficoltà, notti dello

spirito, delusioni, malattie, declino delle forze dovuto alla vecchiaia. Proprio in questo dovremmo

trovare la "perfetta letizia", imparare a riconoscere il volto di Cristo che si è fatto in tutto simile a

noi e quindi provare la gioia di saperci simili a Lui che, per amore nostro, non ha ricusato di subire

la croce.

2. Mi attendo che "svegliate il mondo", perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la

profezia. Come ho detto ai Superiori Generali «la radicalità evangelica non è solamente dei

religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo

profetico». È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù

ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia» (29 novembre 2013).

Mi attendo dunque non che teniate vive delle "utopie", ma che sappiate creare "altri luoghi", dove

si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore

reciproco. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e

tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno

nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al

Vangelo, la "città sul monte" che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù.

3. I religiosi e le religiose, al pari di tutte le altre persone consacrate, sono stati definiti, come

ho appena ricordato, "esperti di comunione". Mi aspetto pertanto che la "spiritualità della

comunione", indicata da san Giovanni Paolo II, diventi realtà e che voi siate in prima linea nel

cogliere «la grande sfida che ci sta davanti» in questo nuovo millennio: «fare della Chiesa la casa e

la scuola della comunione». Sono certo che in questo Anno lavorerete con serietà perché l’ideale di

fraternità perseguito dai Fondatori e dalle fondatrici cresca ai più diversi livelli, come a cerchi

concentrici.

4. Attendo ancora da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chiesa: uscire da sé stessi

per andare nelle periferie esistenziali. «Andate in tutto il mondo» fu l’ultima parola che Gesù

rivolse ai suoi e che continua a rivolgere oggi a tutti noi (cfr Mc 16,15). C’è un’umanità intera che

aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati,

giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il

vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino…

Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete

prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i

loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando

speranza, l’amore amando.

5. Mi aspetto che ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità

di oggi domandano.

I monasteri e i gruppi di orientamento contemplativo potrebbero incontrarsi tra di loro, oppure

collegarsi nei modi più differenti per scambiarsi le esperienze sulla vita di preghiera, su come

crescere nella comunione con tutta la Chiesa, su come sostenere i cristiani perseguitati, su come

accogliere e accompagnare quanti sono in ricerca di una vita spirituale più intensa o hanno bisogno

di un sostegno morale o materiale.

Soltanto in questa attenzione ai bisogni del mondo e nella docilità agli impulsi dello Spirito,

quest’Anno della Vita Consacrata si trasformerà in un autentico kairòs, un tempo di Dio ricco di

grazie e di trasformazione.

III – Gli orizzonti dell’Anno della Vita Consacrata

1. Con questa mia lettera, oltre che alle persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con esse,

condividono ideali, spirito, missione. Alcuni Istituti religiosi hanno un’antica tradizione al

riguardo, altri un’esperienza più recente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle

Società di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più grande, la

"famiglia carismatica", che comprende più Istituti che si riconoscono nel medesimo carisma, e

soprattutto cristiani laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare

della stessa realtà carismatica.

Incoraggio anche voi, laici, a vivere quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può

rendervi più consapevoli del dono ricevuto. Celebratelo con tutta la "famiglia", per crescere e

rispondere insieme alle chiamate dello Spirito nella società odierna. In alcune occasioni, quando i

consacrati di diversi Istituti quest’Anno si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti

anche voi come espressione dell’unico dono di Dio, così da conoscere le esperienze delle altre

famiglie carismatiche, degli altri gruppi laicali e di arricchirvi e sostenervi reciprocamente.

2. L’Anno della Vita Consacrata non riguarda soltanto le persone consacrate, ma la Chiesa

intera. Mi rivolgo così a tutto il popolo cristiano perché prenda sempre più consapevolezza del

dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia

del cristianesimo. Cosa sarebbe la Chiesa senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e

san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico, senza sant’Ignazio di Loyola e santa Teresa

d’Avila, senza sant’Angela Merici e san Vincenzo de Paoli? L’elenco si farebbe quasi infinito, fino

a san Giovanni Bosco, alla beata Teresa di Calcutta. Il beato Paolo VI affermava: «Senza questo

segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso

salvifico del vangelo di smussarsi, il "sale" della fede di diluirsi in un mondo in fase di

secolarizzazione» (Evangelica testificatio, 3).

Invito dunque tutte le comunità cristiane a vivere questo Anno anzitutto per ringraziare il Signore e

fare memoria grata dei doni ricevuti e che tuttora riceviamo per mezzo della santità dei Fondatori e

delle Fondatrici e della fedeltà di tanti consacrati al proprio carisma. Vi invito tutti a stringervi

attorno alle persone consacrate, a gioire con loro, a condividere le loro difficoltà, a collaborare

con esse, nella misura del possibile, per il perseguimento del loro ministero e della loro opera, che

sono poi quelli dell’intera Chiesa. Fate sentire loro l’affetto e il calore di tutto il popolo cristiano.

Benedico il Signore per la felice coincidenza dell'Anno della Vita Consacrata con il Sinodo sulla

famiglia. Famiglia e vita consacrata sono vocazioni portatrici di ricchezza e grazia per tutti, spazi di

umanizzazione nella costruzione di relazioni vitali, luoghi di evangelizzazione. Ci si può aiutare gli

uni gli altri.

Affido a Maria, la Vergine dell’ascolto e della contemplazione, prima discepola del suo amato

Figlio, questo Anno della Vita Consacrata. A Lei, figlia prediletta del Padre e rivestita di tutti i doni

di grazia, guardiamo come modello insuperabile di sequela nell'amore a Dio e nel servizio al

prossimo.

Grato fin d’ora con tutti voi per i doni di grazia e di luce con i quali il Signore vorrà arricchirci, tutti

vi accompagno con la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 novembre 2014,

Festa della Presentazione della Beata Vergine Maria.

Franciscus

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Pubblicata la seconda lettera ai consacrati: “Scrutate”

La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di

Vita Apostolica annuncia la pubblicazione della seconda Lettera

circolare in preparazione all’Anno della Vita Consacrta: Scrutate. Ai

consacrati e alle consacrate in cammino sui segni di Dio, edita dalla

Libreria Editrice Vaticana [al momento solo in lingua italiana, ndr].

Guidati dalle parole di Papa Francesco i consacrati sono chiamati ad

essere «sempre in cammino con quella virtù che è una virtù pellegrina:

la gioia!». Un cammino di comunione e di discernimento per scrutare

l’orizzonte della storia ed essere dono nei tanti crocevia del mondo e

delle culture.

«La vita consacrata è segno dei beni futuri nella città umana, in esodo

lungo i sentieri della storia. Accetta di misurarsi con certezze

provvisorie, con situazioni nuove, con provocazioni in processo

continuo, con istanze e passioni gridate dall’umanità contemporanea.

In tale vigile pellegrinare essa custodisce la ricerca del volto di Dio,

vive la sequela di Cristo, si lascia guidare dallo Spirito, per vivere

l’amore per il Regno con fedeltà creativa e alacre operosità. (...)

Questa lettera desidera consegnare a tutti i consacrati e le consacrate tale preziosa eredità,

esortandoli a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore (cf. At 11,23-24) e a proseguire in questo

cammino di grazia. Vogliamo leggere insieme in sintesi i passi compiuti negli ultimi cinquant’anni.

In questa memoria il Concilio Vaticano II emerge come evento di rilevanza assoluta per il

rinnovamento della vita consacrata. Risuona per noi l’invito del Signore: Fermatevi nelle strade e

guardate, informatevi sui sentieri del passato, dove sta la strada buona percorretela, così troverete

pace per la vostra vita (Ger 6,16). (…)

Scrutare gli orizzonti della nostra vita e del nostro tempo in vigile veglia. Scrutare nella notte per

riconoscere il fuoco che illumina e guida, scrutare il cielo per riconoscere i segni forieri di

benedizioni per le nostre aridità. Vegliare vigilanti e intercedere, saldi nella fede»

Fonte:comunicato stampa

Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata

e le Società di vita apostolica

Città del Vaticano, 23 settembre 2014

CHE NE FAI DELLA TUA VITA? Riflessioni a margine della Vita Consacrata

Prima di tutto ci tengo a dire che questo Anno della vita consacrata (che inizia la I domenica di Avvento - 30 novembre 2014 – e si concluderà nella Giornata Mondiale della Vita Consacrata - il 2 febbraio 2016 ) è stato pensato nel contesto dei 50 anni del Concilio Vaticano II, e più in particolare nella ricorrenza dei 50 anni dalla pubblicazione del Decreto conciliare Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita consacrata. Tre sono le finalità di questo lungo evento:

1- dare occasione per fare "memoria grata" di questo recente passato. La vita consacrata, come ricordava il Papa Francesco nell’incontro con i Superiori generali, «è complessa, è fatta di peccato e di grazia». In questo Anno si vuole riconoscerne e confessarne la debolezza, ma si vuole anche "gridare" al mondo con forza e con gioia la santità e la vitalità che sono presenti nella vita consacrata.

2- affermare la possibilità di "abbracciare il futuro con speranza" . Certo, il momento presente è «delicato e faticoso » (cfr. VC 13) e la crisi che attraversa la società e la stessa Chiesa tocca pienamente la vita consacrata. Ma si vuole assumere questa crisi non come l’anticamera della morte, ma come un’occasione favorevole per la crescita in profondità e, quindi, di speranza, motivata dalla certezza che la vita consacrata non potrà mai sparire nella Chiesa, poiché «è stata voluta dallo stesso Gesù come parte irremovibile della sua Chiesa» (Benedetto XVI ai Vescovi brasiliani).

3- confermare l’impegno a vivere il presente con passione. La passione parla di innamoramento, di vera amicizia, di profonda comunione… Di tutto questo si tratta quando si parla di vita consacrata, ed è questo che dà bellezza alla vita di tanti uomini e donne che professano i consigli evangelici e seguono "più da vicino" Cristo in questo stato di vita.

L’Anno della Vita Consacrata sarà un momento importante per "evangelizzare" la propria vocazione e testimoniare la bellezza della “sequela Christi” nelle molteplici forme in cui si esprime la nostra vita. Siamo chiamati sempre e tutti a dare convinta risposta a quella eterna ed assillante domanda che frulla nella nostra mente: “che ne fai della tua vita?”

In fondo, lo sappiamo bene tutti che, prima o poi, magari nel momento meno opportuno, questa domanda viene fuori:

davanti agli occhi sognanti del tuo lui o della tua lei, quando stai per trovare o perdere il lavoro, quando la tua famiglia si allarga o diminuisce o drammaticamente si frantuma, quando sei tirato fino al collo per i molti impegni che mordono la tua giornata o quando la tua giornata non passa mai perché non sai come riempirla, quando ti prende un “crampo” allo stomaco e ti accorgi che non è fame quella, ma è desiderio profondo di Qualcosa che ti manca, ti riempia, ti soddisfi. Sono tutti momenti nei quali può sorgere la fatidica domanda: “che ne faccio della vita, della mia vita?” Magari a questo punto prendi coraggio per guardarti allo specchio e, solo allora, ti accorgi con fierezza che uno come te, uno uguale a te, non lo puoi trovare in nessun altro posto se non lì, davanti a quello specchio perché sei, appunto, UNICO ed, in quanto tale, anche IRRIPETIBILE ed UNIVERSALE. La tua esistenza, e solo la tua, occupa un tassello, certo piccolo, nel fantasmagorico mosaico composto di tempo e spazio che è la VITA, eppure nella tua vita è racchiusa tutta la bellezza del mosaico, al punto che senza di te viene a mancare all’opera tutto uno spiraglio di mistero e di bellezza. A volte avverti la grandezza e l’importanza di CHI sei; tanto che quando stacchi gli occhi da quello specchio e metti per un attimo da parte le tante insicurezze che abitano il tuo volto, ecco che ti senti più fiero di te stesso. Sai che sei unico ed irripetibile e che proprio per questo hai una chiamata, un compito nella tua vita e che è solo tuo. Certo, a volte, potrà sembrarti quello di occupare solamente un piccolo ed inutile tassello del grande collage della Vita, ma in realtà sappi che è completare la bellezza universale con la tua particolare unicità.

La Vita però, e anche la nostra, si rivela in modo diverso in base al punto di osservazione dal quale ci mettiamo ad osservarla. Se ci mettiamo da quello di Dio possiamo esclamare con il Salmo 8: “davvero hai fatto l’uomo poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle sue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Salmo 8,6-7).

Se ripenso a cosa voglia dire per me la Vita Religiosa che ho abbracciato e da cui mi sono lasciato avvolgere, non posso fare a meno di pensarla come un SOGNO e come un SEGNO.

Un sogno perché vuol dire porsi davanti alla nostra vita, fragile ed eroica insieme, dal punto di osservazione di Dio, abituarsi a guardarla con gli occhi del Creatore consapevoli e felici di essere creature, cioè di avere un padre e di non essere figli di NN.

Ma anche segno, ossia, una traccia di quanto la vita tutta sia permeata del Divino e di come siamo chiamati a ritrovarlo e a farlo splendere nel quotidiano dei nostri giorni. La Vita Religiosa non era nata anticamente per dividere o creare dei mondi a parte (da un lato chi crede, chi segue il Signore Dio, chi non si sposa e dall’altro tutti gli altri) ma era scaturita da un’intuizione bellissima: recuperare la vita intesa nella sua religiosità. Una teologa domenicana, missionaria in Bolivia, invita a capovolgere il termine e a parlare non di “Vita Religiosa” ma di “Religiosità della Vita”.

Chi può chiamarsi fuori da questa avventura alla quale è interpellata ogni esistenza? La Vita è religiosa, ossia carica di divino mistero, per lo sposato e per il celibe, per la consacrata e per il laico, per la vedova, per il ricco e per il povero .

Purtroppo il mondo di oggi ha prodotto una frattura fra le problematiche storiche e quelle spirituali e per nascondere questa separazione si è creata una “riserva”, una terra libera per lo Spirito, non con l’intento di conservarlo ma di isolarlo e lasciarlo fuori dalla nostra vita (si parla oggi di ricerca dello spirituale come di un qualcosa che esuli dalla nostra quotidianità e che si debba ricercare al di fuori della storia e della vita concreta che svolgo). Abbiamo

creato una società, una vita divisa, e non solo economicamente ma a livello più profondo fra ciò che è spirituale e ciò che è materiale e senza accorgercene e volerlo, ci ostiniamo a prenderci cura dell’uno e dell’altro aspetto in modo separato, quasi che fossero due entità indipendenti. Siamo uomini e donne dalla doppia vita, dalla doppia identità: spirito e corpo.

La vita religiosa era nata proprio per riunire e non per separare. Nasce dall’entusiasmo di uomini e donne che decidono di vivere il vangelo semplicemente senza bisogno di sovrastrutture. Questo sogno che chiamano Vita Religiosa è il sogno della ricostruzione dell’armonia, del ricomporre nella circolarità le molteplici relazioni (non più posizionarci a modello piramidale).

Anche la “fuga mundi” con cui è etichettata la vita religiosa va compresa nella sua accezione profonda di fuga dal potere, dall’arroganza, dall’egocentrismo delle nostre vite. Non è fuggire dal mondo, ma da “un certo mondo”.

Ecco che chi abbraccia la Vita Religiosa lo fa cosciente di essere segno, profezia ma anche già realizzazione ed anticipo di un mondo che è ancora sognato e perciò ancora di là da venire. Il compito di chi è segno è quello di STARE, di PERSISTERE, di RESISTERE davanti a tutto e a tutti perché ne va del suo essere segno (immaginatevi un cartello indicatore che cambi posizione e informazione ogni qualsivoglia, a cosa mai potrà servire? Nemmeno a se stesso è utile!). Il Papa Francesco ci dice che : «Le persone consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo! Ogni persona consacrata è un dono per il Popolo di Dio in cammino». Forse non dovremmo soffermarci troppo sul termine “religiosa” ma quello su cui dobbiamo oggi lavorare di più e tutti è il termine “VITA”. Quella che vogliamo recuperare oggi, che vogliamo ritrovare nella nostra storia è la VITA! Quella che vogliamo sognare insieme è la vita; chiederci quali sono gli spazi di vita oggi, che tipo di vita vogliamo portare avanti uomini, donne, giovani, anziani, popoli differenti. Tutti sogniamo con questo progetto profondo di vita. E a partire da questa profondità riscopriamo che la vita è essenzialmente religiosa, è intimamente abitata dal Mistero. Con questa scoperta abbattiamo il muro che separa la storia (corpo) dallo spirito e che rende questa vita amara e a volte priva di orizzonti di speranza.

p.gigi

PERU’: P.Rediberto, Sacerdote per sempre

Domenica 7 settembre è stato ordinato sacerdote Fr.Rediberto Lazo Marchán per imposizione delle mani di mons.José Antonio Eguren Anselmi, Arcivescovo di Piura. Eravamo presenti R.P.Riccardo Belleri, Superiore Generale, P.Juan Atarama, Superiore della Comunitá peruviana,

altri sacerdoti e amici. Hanno accompagnato il novello sacerdote i suoi genitori, fratelli e altri famigliari, e un grande numero di fedeli della cittá di El Alto, la sua terra natale. All’inizio dell’omelia, Monsignore Eguren ha detto a Rediberto: “La tua consacrazione sacerdotale é un evento spirituale profondissimo che si realizza nell’ ordine dell’essere. La tua consacrazione produrrà un cambiamento ontologico in te, che rinnoverà il tuo rapporto con la chiesa. Per la tua ordinazione sacerdotale non soltanto sarai nella chiesa , ma anche davanti alla chiesa e al suo servizio. Per tanto dovrai amarla come Cristo amò e ama la sua sposa, secondo la celebre espressione paolina: “Lui consegnò se stesso per Lei, per consacrarla, purificandola con il bagno dell’acqua e la parola, e per collocarla davanti a sé gloriosa, la Chiesa, senza macchia né ruga né niente di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5, 25-26).” Continua nel suo messaggio e dice “Che meraviglioso e sorprendente

é considerare che ogni volta che celebri la santa messa, la santitá trascendente di Dio, piú ancora lo stesso Dio, scenderà sugli uomini per santificarli, per elevarli, per amarli. E i tuoi fratelli nella fede benediranno il Signore , per il dono del tuo sacerdozio, perché il tuo ministero rende possibile che anche loro possano cantare: Benedetto chi viene nel nome del Signore. Per questo a partire da oggi rimani consacrato come mediatore tra Dio e gli uomini”.

“Pero l’uomo di oggi ha pure sete di comunione, di recuperare l’unitá perduta per il peccato; ha sete di riconciliazione. In una parola ha sete del Signore Gesú, la misericordia del Padre. Per questo ti chiedo di essere ministro santo della misericordia divina. Nella tua vita sacerdotale il servizio della confessione deve occupare un luogo importantissimo. “Caro Rediberto, conclude il nostro arcivescovo - come San Giovanni ai piedi della croce, ogni giorno nel celebrare la santa messa , accogli santa Maria come madre tua; ricevila come il segno dell’amore di Cristo nella tua vita. Contemplala costantemente come immagine e modello della chiesa, che devi servire con tutte le tue forze. E lasciati conformare a Lei con suo Figlio, Santo e eterno sacerdote. Il tuo sacerdozio offerto quotidianamente a santa Maria, si trasformerá in un

autentico cammino di santitá. Non dimenticarti: i veri frutti pastorali nascono dalla santitá del sacerdote. Per ottenere questa santitá sacerdotale, dovrai collaborare con la grazia che Dio ti dà, perche cosí rivivrai ogni giorno il dono che oggi ricevi per l’impozisione delle mie mani. Ricorda che soltanto il sacerdote che aspira alla santitá é quello che vale”. Alla fine il nostro pastore ringrazia i sacerdoti della Congregazione incaricati della formazione nel camino al sacerdozio e alla santitá, ringrazia il p.Rediberto, e per

l’arduo e generoso lavoro pastorale che realizzano nelle diverse parrocchie della vicaria foranea di Paita – Piura. Monsignore saluta affettuosamente i genitori del novello sacerdote, il Sig.Andrés lazo e Sigra. Esmilda Marchan, che in questa data speciale celebrano le nozze d’oro del loro matrimonio insieme ai suoi dodici figli.

Juan Hatarama

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VOLTA MANTOVANA:

FESTA DI TUTTI SANTI DELL’ORDINE CANONICALE

Domenica 9 novembre 2014

In occasione della Festa di tutti i Santi Canonici,

confratelli Cric di Montichiari e Amici Cric si sono

ritrovati a Volta per una solenne celebrazione a

memoria dei Santi Canonici. La liturgia proponeva la

Festa della Dedicazione della Basilica Laterannse.

Ripostiamo l’omelia tenuta da padre Agostino, che ha

presieduto la Celebrazione Eucaristica.

(Omelia di padre Agostino)

Consacrata da papa Silvestro proprio il 9 novembre

ma del 324, la basilica lateranense fu la prima chiesa a

essere pubblicamente consacrata.

Nella basilica di S. Giovanni in Laterano i papi risedettero per più di dieci secoli e vi si

celebrarono vari concili generali o sinodi universali. Il Sinodo Lateranense del 1059 ha una

attinenza particolare con i Canonici Regolari perché ha promosso la vita comune per il

clero e per la prima volta la Chiesa approvò la vita religiosa clericale.

La dedicazione della basilica lateranense è una festa antica, un primo tempo celebrata solo

a Roma, poi estesa a tutte le chiese del mondo. Il motivo è presto detto: questa basilica, che

è la cattedra del Vescovo di Roma è considerata la madre di tutte le chiese. Celebriamo

questa festa quindi come segno di comunione, di amore con la cattedra di Pietro, cioè con

il Papa che ha la missione di confermare nella fede e tenere tutti uniti nella carità.

La celebriamo pure come segno di comunione e di amore all’interno delle nostre

comunità, parrocchiali o religiose, tra tutti i membri. Celebriamo la nostra consacrazione a

Dio e la nostra appartenenza, il legame, a una comunità. Celebriamo la missione di essere

“parrocchia”, cioè un popolo in cammino verso la terra della vera libertà, dietro a Cristo la

pietra che dà stabilità, robustezza, tenuta a tutto l’edificio. Ma stabilità non vuol dire

immobilismo, ma chiama, oltre a essere “pietre vive” secondo la splendida immagine

dell’apostolo Pietro, a essere pietre che camminano, vanno incontro ai fratelli per

accoglierli, avvicinarli, stringersi attorno. O, per riprendere la figura della prima lettura, a

essere acqua che scorre come un fiume dalla sorgente, acqua che lungo il suo corso fa

germogliare e crescere, disseta e risana, guarisce e suscita vita. Chiamati a essere pietre

vive che camminano nella carità verso una carità sempre più grande.

Mi piace riportare, in questa festa dei santi dell’ordine canonicale, un frase di S. Agostino,

lui cui fanno legittimo riferimento i Canonici Regolari. Scrive: “Mediante la fede gli

uomini divengono materiale disponibile per la costruzione, mediante il battesimo e la

predicazione sono come sgrossati e levigati, ma solo quando sono uniti insieme dalla

carità divengono davvero casa di Dio. Se le pietre non aderissero tra di loro, se non si

amassero, nessuno entrerebbe in quella casa”.

Se non c’è la carità, questo amore scambievole corriamo il serio rischio, come ci è riportato

dal brano evangelico, che quando Cristo entra nel tempio, nella comunità non trova gente

che prega, ma trova commercio, trova affari, trova scambi di favori, di cortesie, anche di

collaborazioni, ma… interessate. Quando Gesù entra nel tempio abbatte tutte le

separazioni, le discriminazioni, le esclusioni delle persone. Lo sappiamo, nel tempio di

Gerusalemme non tutti potevano entrare. Gli storpi, i ciechi, i lebbrosi, i pubblicani, i

pastori, anche loro, dovevano restare fuori del tutto. I pagani potevano entrare solo nel

cortile detto dei gentili. Un cortile oltre era consentito alle donne. Agli uomini di

oltrepassare un’altra barriera. I sacerdoti potevano spingersi un po’ oltre. Solo il sommo

sacerdote varcava il velo del tempio che separava il santuario più sacro, luogo si riteneva

della presenza di Dio, il santo dei santi.

Tutte queste barrire impedivano di accostarsi a Dio. Tutte queste barriere sono state

abbattute da Gesù: alla sua morte anche il velo del tempio, barriera invalicabile da tutti,

sarà squarciato. Questa è la novità del tempio vero che è Gesù stesso. Attraverso la

persona di Gesù tutti gli uomini giusti, peccatori… tutti possono entrare in contato, in

dialogo con Dio, contemplare il

voto di Dio che è Padre che ama

senza distinzioni.

Stiamo quindi attenti, potrebbe

essere il richiamo anche per noi, il

messaggio rivolto a noi, come

persone e come comunità, a non

ricostruire barriere, ostacoli,

emarginazioni, ipocrisie, falsità

nelle nostre comunità parrocchiali

o religiose.

Nel tempio di Gerusalemme non

ci si poteva presentare a mani

vuote, bisognava sempre portare

qualcosa, offrire qualcosa a Dio sacrifici, incensi…, fosse una semplice colomba.

Con Gesù cambia la relazione con Dio. Con il Dio di Gesù non si può più mercanteggiare:

dargli qualcosa per avere in cambio qualche favore, qualche grazia. Ci si presenta a lui

sempre a mani vuote, neppure con quello che chiamiamo “meriti”. Dio non chiede sacrifici

ma sacrifica se stesso per noi. Non pretende nulla, dona tutto. E noi allora cosa dobbiamo

fare? Semplicemente, ma non è così semplice, accogliere l’amore gratuito di Dio e

rispondere con un amore incondizionato.

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“Oh Beata Paola!”

É l’esclamazione immediata sulla bocca dei Voltesi, lasciata in eredità da nonni e

bisavoli. E può essere di sorpresa, o di rammarico, o di spontanea invocazione. È bello

sentire quel nome pronunciato da piccoli e grandi con affetto. Affetto crescente e

riconoscente. Affetto immutato anche in chi, per vari motivi, lascia il paese o la pratica

religiosa. Perché dalla Beata Paola, prima o poi, si torna.

Questo richiamo-preghiera è rivolto, sia detto per chi non è delle parti di Volta

Mantovana, a Paola Montaldi. «In Montaldo, piccolo borgo di case nella giurisdizione della

parrocchia di Volta, diocesi di Mantova, e precisamente sulla strada che da Volta, attraversando

amene colline, va a Borghetto sul Mincio, nasce Paola nell’anno 1443»: è mons. Carlo Savoia,

postulatore del riconoscimento del culto, che così scrive nel 1869.

La nostra concittadina, accogliendo la chiamata del Signore, come un suo biografo

le fa dire: «Iddio mi chiama a farmi religiosa; ho letto la vita e la regola di santa Chiara d’Assisi e

desidero di seguitarla e farmi sua religiosa», a quindici anni entra nel monastero di S. Lucia in

Mantova.

La sua esistenza terrena termina il 18 agosto del 1514. Per l’esemplarità di vita, la

preghiera, la carità, la difesa dei più deboli o maltrattati, la partecipazioni ai drammi del

suo tempo e la saggezza nella conduzione del monastero, di cui per ben tre volte è eletta

Badessa, le continue grazie elargite, viene da subito venerata come santa tanto da essere

iscritta dal vescovo di Mantova Francesco Gonzaga tra i beati della Chiesa mantovana.

Le vicende storiche del tempo, le soppressioni dei monasteri, costringono le suore

clarisse ad abbandonare il monastero di S. Lucia e traslocare in quello di s. Caterina e poi

in quello di s. Vincenzo, ma portano sempre con loro, come prezioso patrimonio

spirituale, il corpo della Beata. Quando si venne a sapere che le incorrotte spoglie devono

di nuovo essere trasferite, la Comunità di Volta Mantovana fin dal 1811 si attiva

insistentemente presso le autorità religiose e civili affinché la sua concittadina possa essere

accolta stabilmente e venerata nella chiesa parrocchiale.

Il 26 settembre 1813 da Volta, ma anche dai paesi vicini, si accorre e ci si riversa in

strada per accogliere solennemente e con grande trasporto di fede l’arrivo del corpo

incorrotto della Beata. Per custodirlo con dignità è stata abbellita con dorature e altri

interventi artistici, la già preziosa Cappella della Beata Vergine del Rosario, che da allora

sarà da tutti chiamata “Cappella della Beata Paola”.

Un Anno Giubilare è stato indetto dalla Comunità di Volta per celebrare questi

eventi: nel 2013 i duecento anni dell’arrivo a Volta del corpo della Beata Paola e in questo

2014 i cinquecento anni della sua entrata nella gloria del Padre. Ci siamo avvicinati a

questo Anno Giubilare con un triennio di preparazione spirituale e con l’ardita impresa di

restaurare la Cappella per far riaffiorare la bellezza e preziosità di stucchi, affreschi,

decorazioni, volti incantevoli di angeli, statue, dipinti che il tempo aveva oscurato.

Lo scorso mese di settembre ha visto la conclusione di questo Anno Giubilare. Un

mese costellato da varie iniziative che ci hanno aiutato a non dimenticare il messaggio di

questa ragazza della nostra terra, che decide di farsi clarissa senza sottrarsi ai drammi e

alle speranze del suo tempo e che hanno voluto rimettere al centro la sana pietà popolare,

orientata alla contemplazione delle meraviglie di Dio nella vita della Beata Voltese

Domenica 7 settembre, a ricordo del viaggio in barca che da Volta lungo il Mincio

ha portato Paola ancora adolescente al santuario delle Grazie (Mantova) per chiedere alla

Vergine un segno su cosa fare della propria vita, anche noi - chi in barca, chi in bicicletta,

chi in macchina - abbiamo raggiunto il santuario mariano e guidati dal vescovo emerito

Egidio Caporello, abbiamo ricordato il momento in cui Paola ha scelto di dedicare la

propria vita a Dio nel silenzio e nella preghiera.

Domenica 14, invece, si sono radunate le famiglie per un appuntamento sportivo

condiviso tra genitori e figli, per vivere sul nostro territorio un momento di festa. Così far

cresce il senso di appartenere a una grande famiglia, la Chiesa, che chiede a ciascuno dei

propri figli di dare il meglio di sé, proprio come fece la Beata Paola, campionessa

dell’anima che tende a Dio, traguardo dell’esistenza di ogni uomo.

Sabato 20, in serata, alla presenza del vescovo Egidio Caporello è stata

solennemente inaugurata la Cappella, al termine dei lavori che hanno reso splendente il

luogo dove riposa la Beata nella chiesa parrocchiale.

Domenica 28 è stato il

culmine delle celebrazioni.

Uno splendido sole ancora

estivo ha accompagnato i

fedeli, accorsi numerosi, in

modo particolare, al mattino,

per la Messa presieduta dal

vescovo Egidio e nel

pomeriggio per la solenne

processione guidata dal

vescovo Roberto Busti.

L’urna con il corpo visibile

della Beata Paola ha

attraversato le strade di

Volta. Preghiera, raccoglimento, silenzio carico di emozione hanno fatto da cornice al

passaggio della Beata. Così, nel nostro immaginario spirituale, lei continuerà ad

accompagnarci per le strade che ha

percorso nella sua giovinezza,

mantenendo nei Voltesi la leggerezza

dei passi che portano a Dio. Al termine

della processione, dopo la solenne

benedizione del Vescovo, un momento

di festa ha permesso ai Voltesi e ai

numerosi accorsi anche dai paesi vicini

di trascorrere in letizia le ultime ore di

una giornata che rimarrà nella

memoria.

Ora, la Beata Paola è tornata a riposare nella cappella a lei riservata. Lì, come nelle

stanze segrete del cuore, ogni Voltese e ogni devoto può andare per riscoprire la

possibilità di una vita bella e felice, di una vita riuscita perché orientata a Dio e alle

necessità dei fratelli e delle sorelle in umanità.

Padre Agostino

e padre Giuseppe

ROMA: REGINA PACIS

MADONNA DEI “COCCI”, PREGA PER NOI

E’ successo qui da noi in oratorio e nessuno ne ha fatto una tragedia. Un gruppo di adolescenti che

gioca con un pallone di cuoio, un tiro particolarmente gagliardo e maldestro che rimbalza contro

l’edicola della Madonna, l’immagine sacra che stramazza a terra rompendosi in mille pezzi. Era

bianca e molti la credevano di marmo, invece era solo di vetroresina

e quindi fragile. Sì, avremmo potuto proteggerla con una grata, ci

poteva stare anche un vetro antisfondamento… Noi l’abbiamo

sempre preferita senza protezioni perché ci piace vedere qualche

bambino che passa e le accarezza il manto. Ci sta bene anche quel

fiore che una catechista le porta prima di andare ad incontrare i suoi

ragazzi in un’ aula; fa tenerezza sorprendere una nonna che avvolge

tra le mani della Madonna una vecchia corona del rosario. Con un

vetro di protezione, l’immagine di Maria risulterebbe imprigionata

in un angolo dell’ oratorio, bella, sicura, ma irraggiungibile.

E così siamo ritornati a Medjugorje e abbiamo comperato una

nuova statua di Maria, esattamente uguale alla precedente e

l’abbiamo rimessa al suo posto. Maria è ancora a rischio pallonate,

è ancora fragile e indifesa, ma rimane pur sempre una bella presenza

che sorride ai giochi dei più piccoli e accoglie ognuno che entra in

oratorio.

Ripensando al giorno del piccolo incidente, ricordo che è toccato

a me raccogliere da terra i cocci della statua rovinata. In un primo momento avevo pensato di

ricomporre i vari pezzi, ma certi guai non si riparano più. E con il pensiero sono andato ai tanti

“cocci” che trovo sparsi nel nostro ambiente e che non trovano una facile soluzione. Li voglio

raccogliere tra le mani e portarli a Maria perché, anche se non possiamo pretendere risposte

miracolose, possiamo almeno sentirci accompagnati in mezzo ai nostri problemi.

Maria, tra quei “cocci” scorgo le speranze infrante di alcune famiglie che vedono la salute di un

loro caro aggravarsi di giorno in giorno e sono impotenti a dare una mano. Quanto amore e quanta

delicatezza nel custodire quella poca vita che rimane e che si fa sempre più fragile. Io sono certo

che tanto dolore non è destinato a rendere il loro cuore più duro e a togliere quel briciolo di poesia

che serve alla vita. In mezzo a quei cocci sparsi per terra ritrovo le tante preghiere e promesse dei

famigliari che, impotenti di fronte ai rimedi umani, si affidano a quell’unica speranza che rimane ai

credenti. Eppure non è facile nemmeno per loro arrendersi ad un destino inesorabile e accettare di

vedere una persona cara andarsene in silenzio e nel dolore. Maria ti porto le lacrime di queste

famiglie, la dignità della loro sofferenza, la perseveranza della loro fede, perché alla fine non si

trovino tra le mani solamente dei cocci, ma la certezza di non essere abbandonati.

Maria, tra quei “cocci” buttati a terra intravvedo le attese deluse di tanti nostri

giovani. Hanno studiato per tanti anni accettando rinunce e sacrifici, hanno

chiesto tanto alle loro famiglie perché nessuno ti regala niente, hanno sognato un

futuro che li ripagasse dei loro impegni. Oggi si trovano ad elemosinare un

posto di lavoro che non c’è, un futuro che non si apre. Tra quei rottami per terra

vedo l’entusiasmo infranto di Fabio che proprio pochi giorni fa mi confidava:

“Basta, io non cerco più. Mi sono stufato di presentare curriculum a persone che

nemmeno mi guardano in faccia e che sono sicuro non mi chiameranno mai. Se

servo a qualcosa, mi verranno a cercare!” E questo amico non ha ancora

trent’anni e ha diritto pure lui ad una vita normale, ad una famiglia, ad una casa,

a dei figli. Maria, come Fabio, quanti giovani stanno rovistando tra i cocci e

cercano di mettere insieme una vita decente. Sostieni la loro speranza perché

non abbiano mai ad essere vittime della disperazione o si abbandonino ad una

vita che tira solo a campare.

Maria, tra quei “cocci” ritrovo i sogni infranti di tante famiglie. Li rivedo quei giovani sposi nel

giorno del loro matrimonio, carichi di promesse e di speranze.

E sicuramente erano sinceri e felici. Ed i loro sentimenti erano veri e ben motivati. Ma forse non

avevano fatto i conti con quanto sia dura la vita certe volte e quanto chieda. Forse credevano di

essere forti come il marmo e non si erano accorti che erano semplicemente fragili come una statua

di vetroresina. E sotto i colpi della vita ora rimangono solo i cocci, i rancori, i ricatti… In queste

settimane ci ha provato anche un Sinodo straordinario sulla famiglia, promosso da Papa Francesco,

a cercare risposte per ricomporre quelle fratture e trovare speranze che ci aiutino a guardare con un

po’ più di serenità al futuro. Avremmo voluto sentire risposte più aperte, soluzioni immediate a

problemi vecchi e gravi, ma tu ci ricordi che nemmeno i cocci della tua immagine infranta non

erano più ricomponibili. Qualche volte ci insegni a non cercare nei miracoli le soluzioni migliori,

ma ad avere pazienza, a intraprendere cammini di conversione, ad accogliere motivi di

rinnovamento per ricomporre dentro di noi le tante fratture che ci hanno debilitato. E allora, Maria,

a te affidiamo la sofferenza di tante famiglie che si sono separate, le preoccupazioni per i loro figli,

il dispiacere di quanti vogliono loro bene, le lacrime che accompagnano queste scelte difficili. Ci

piace pensare che dopo la tempesta può ritornare il sereno e proprio a te affidiamo il cammino non

facile di tanti nostri fratelli.

Maria, ti vorrei anche parlare dei “cocci” che ritrovo nella nostra Parrocchia. Tante volte

diamo l’impressione di essere muratori specializzati più nel demolire che nel costruire. E allora mi

piace raccomandarti i tanti che sono lontani, indifferenti, che non hanno ancora incontrato l' amico

che si chiama Gesù. Ti parlo anche del poco entusiasmo che hanno i buoni nell’essere contagiosi,

proponendo una fede che susciti interesse. Magari tu ci ricordi che anche noi Sacerdoti siamo

chiamati ad una maggiore disponibilità e ad una conversione costante.

Maria, oggi vengo a te con una montagna di cocci, ma sono certo che tu sai trarre capolavori anche

da materiale di scarto.

p. Livio

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ROMA: REGINA PACIS Presentato il libro di padre Stefano

ore 19, Teatro Regina Pacis, Via M. Quadrio, 23Sono intervenuti:

- Antonio Gaspari, direttore di Zenit - Stefano Marchionni, filosofo - Giuseppe Laganà, psicologo

“Vorrei capire insomma che cos'è l'amore.

Dov'è che si prende, dov'è che si dà”(Lucio Dalla, Le rondini)

Amore. Parola dolce, impegnativa, vitale, sicuramente banalizzata ed abusata. Si può usare

riferendola ad un oggetto (“amo il mio cellulare”), ad una azione (“amo ascoltare la musica”),

ad un soggetto (“amo quella determinata persona”). E ben diverso è l’amore che posso avere

per i genitori, per un amico, per una persona con cui ho una relazione sentimentale, per Dio.

Cosa unisce tutte queste esperienze? Cos’è veramente l’amore? E’ solo un sentimento?

Coinvolge anche altre facoltà come la volontà e la ragione? E’, come spesso si pensa, sinonimo

di “fare l’amore” e quindi legata unicamente all’esercizio della propria genitalità?

E ancora: è possibile amare veramente nella nostra società “liquida” e consumistica? Ogni

amore è amore? Basta solo amare e seguire il proprio cuore? Ogni amore è lecito? E’ l’amore

un’arte? Ci sono possibili insegnamenti che possiamo ricevere sull’amore? Ci sono dei veri

maestri nell’arte di amare? Dio ha qualcosa da insegnarci sull’amore?

Tante sono le domande a cui ho cercato di dare risposta frugando fra le innumerevoli riflessioni

che abbiamo a disposizione sull’argomento. Non ho la pretesa di presentare qualcosa di

originale, ma – riproponendo citazioni e articoli che ritengo particolarmente interessanti –

offrire una sintesi, un principio unificatore che offra una chiave di lettura universale alla

complessità del nostro mondo interiore ed esteriore.

Siamo “vasi di creta” che presentano crepe e faticano a contenere un tesoro così prezioso

come l’amore. Questa semplice considerazione mi aiuta a superare la paura di apparire

presuntuoso nel proporvi queste riflessioni: chi sono io per insegnarvi qualcosa nell’arte di

amare? Come non riconoscere i miei limiti e le mie profonde crepe?

Ciò che mi ha spinto è la fiducia – anch’essa lacunosa - in Colui che è la sorgente e il maestro

che ci insegna ad amare. Io sono un discepolo che fatica a seguire e a mettere in pratica le sue

indicazioni. Conosco la teoria e ben poca pratica. Tuttavia sono convinto che sia questa la

strada per rendere piena la nostra vita, così come sono convinto che la meta che ci viene

indicata è favolosa e giustifica la fatica che ciascuno di noi fa nel percorrere questa scalata.

Come ogni altro essere umano, il sacerdote è chiamato ad amare e a lasciarsi amare. Come

tutti ha le sue ferite e i suoi desideri, raccoglie confessioni e confidenze che hanno sempre in

qualche modo a che fare con l’amore, può forse guardare a questa realtà con uno sguardo più

ampio e da una certa distanza.

Ed è con la speranza di dare il mio piccolo contributo nella direzione di questa chiarificazione e

purificazione che mi sono accinto a scrivere e a condividere questo saggio.

VORREI CAPIRE COS’E’ L’AMORE di Stefano Liberti

Edizioni Youcanprint 2014 160 pagine, 12 euro

BORGOSOTTO SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA – 8 DICEMBRE 2014

Solenne concelebrazione presieduta da S.E. Mons. Mario Vigilio Olmi

La corale parrocchiale che ha animato la s. messa dell’Immacolata CONGREGATION DES CHANOINES REGULIERS DU GRAND-SAINT-BERNARD

JEAN Marie Lovey : Vescovo di Sion

DOMENICA 28 SETTMBRE 2014 : alla presenza di numerosi Abati della Confederazione dei Canonici Regolari di S. Agostino,di sacerdoti della Confederazione e diocesani, tantissimi fedeli all’interno e fuori della Cattedrale di Sion, nel Vallese (Svizzera), è stato ordinato Vescovo di Sion il Canonico Jean-Marie Lovey, già Abate della Congregazione del Gran S. Bernardo. Una celebrazione solenne, animata da canti e musiche eseguite dall’Orchestra e dalla Corale della Cattedrale, discorsi, saluti e preghiere che per tre ore ci hanno tenuti assorti e concentrati in un Rito di ordinazione episcopale, inserito all’interna della celebrazione Eucaristica, al quale mai prima d’ora avevo assistito, o megliopartecipato. Insieme al nostro Superiore Generale, padre Riccardo Belleri, abbiamo vissuto un’esperienza toccante ed emozionante. L’avevo conosciuto ancora studente a Friburgo dove, nel lontano 1976/77 avevo trascorso e vissuto il mio anno di Noviziato ed avevamo instaurato un bel rapporto di amicizia, grazie anche al suo carattere semplice, accogliente e sempre disponibile a condividere un sorriso e una buona parola, anche di allegria. Al neo-Vescovo Jean Marie l’augurio più sincero, a nome anche della nostra Comunità Cric, di un apostolato e Ministero pastorale proficuo e santo. In quella settimana abbiamo partecipato al Consiglio Primaziale della Confederazione. Un grazie alla comunità del S. Bernardo e di St. Maurice che in quei giorni ci ha ospitato e offerto una opportunità di visitare i loro confratelli e le loro case, condividendo giornate di preghiera e fraternità sincera. Sarebbe bello se un domani Mons. Lovey potesse venire tra noi in Italia a condividere una giornata di fraternità. Lo attendiamo volentieri!

Padre Rinaldo

50° DI PROFESSIONE RELIGIOSA DI CRISTINA BEFFA

Cristina Beffa, Suora della Famiglie delle Paoline, è la

direttrice del nostro Bollettino Cric “La Voce della

Comunità” , nonché cugina di padre Rinaldo Guarisco e

zia di Padre Giuseppe Beffa. E’ doveroso, a nome dei

nostri confratelli e di tutti i lettori del nostro Notiziario,

porgere i più sentiti auguri e una grande preghiera nella

celebrazione del suo 50° anniversario di Vita Religiosa,

che in questo anno speciale dedicato alla Vita Consacrata,

diventa ancor più forte e significativo.

Una grazie per il servizio che presta alla nostra comunità

attraverso la Redazione del Bollettino e che

l’intercessione della Madonna la protegga e l’accompagni

nel suo intenso ministero pastorale nella sua Comunità

religiosa e nelle comunicazioni sociali.

La Redazione

IN MEMORIA DI…

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JOSÉ MERCEDES PEREZ PEREZ, Papá del nostro sacerdote P.Ulisés. Nato el 24 setembre 1940 - Morto il 17 novembre, a la etá 74 anni. Uomo di profonda fede e molto impegnato nel lavoro come contadino, dedito pienamente al lavoro della terra, ha lavorato sempre in campagna, insieme a sua moglie, hanno procreato e cresciuto 15 figli, dei quali adesso 10 sono ancora viventi.

-------------------------------------- Le nostre condoglianze più sincere a Ulises e famigliari e una preghiera di suffragio al papà anche da parte dei lettori e della Redazione del Bollettino Cric.

Essendo Abate Generale della Congregazione del G.S.B., Jean-Marie Lovey ha dovuto rinunciare all’incarico di Abate per accettare quello di Vescovo. Quindi la Comunità del G.S.B ha convocato a fine ottobre un Capitolo Generale per eleggere un nuovo Abate Generale, indivuato nella persona del Canonico Jean-Michel Girard. Riceverà la Benedizione abbaziale il 4 gennaio 2015 nella chiesa parrocchiale di Martigny Ville. Sarà presente anche il nostro Superiore Generale, padre Riccardo Belleri. Riportiamo il comunicato della nuova elezione.

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Deo gratias ! Suite à la consécration épiscopale de Mgr Jean-Marie LOVEY, la Congrégation des Chanoines Réguliers du Grand-Saint-Bernard a un nouveau Prévôt :

Mgr Jean-Michel GIRARD La Cure - CH-1937 Orsières

Tél. 0041/27/783.11.44 - Mobile 0041/79/414.98.17 Mail: [email protected]

------------------------------------------------ Merci pour votre soutien dans la prière ! Avec nos salutations bien fraternelles

Klaus Sarbach, CRB

auguri

di un Santo Natale

e Felice Anno Nuovo


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