Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Coordinatore
Gianni Tapinassi
Comitato Centro Studi della Fondazione dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili di Firenze
Guida Operativa - Area Giudiziaria
L’AMMISSIONE AL PASSIVO DEI CREDITI
TRIBUTARI
Membri della Commissione di Studio
Stefano Andreani, Massimo Cambi, Lorenzo Gambi, Nicoletta Lamanna,
Marco Pericciuoli, Serena Salvadori, Lapo Sassorossi, Massimo Scarafuggi,
Gian Paolo Tanganelli, Gianni Tapinassi
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Comitato Centro Studi
Giovanni Liberatore (Presidente)
Marco Lombardi
Giordano Lombardi
Cristina Marchese
Lapo Sassorossi (Referente della Guida)
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Indice
Prefazione di LEONARDO QUAGLIOTTI e ENRICO TERZANI ................................................
PARTE PRIMA
QUADRO DI RIFERIMENTO
1. Diritto tributario e diritto fallimentare: relazioni fra normative speciali ...................
2. Concorsualità del credito tributario ...........................................................................
3. Natura dell’obbligazione tributaria ai fini del concorso ............................................
4. Spossessamento e soggettività tributaria in ambito fallimentare ..............................
5. Il divieto delle azioni individuali (anche erariali) .....................................................
6. Poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria e fallimento ................................
7. Competenza del giudice tributario e del giudice fallimentare ...................................
8. Eccezione di prescrizione del debito tributario in sede concorsuale .........................
9. La compensazione fiscale nel fallimento...................................................................
10. Le sanzioni tributarie in ambito concorsuale .............................................................
11. L’ipoteca fiscale ........................................................................................................
PARTE SECONDA
LA DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO
12. Premessa ....................................................................................................................
13. Il concorso del creditore erariale: evoluzione della giurisprudenza ..........................
14. La verifica dei crediti tributari ...................................................................................
14.1. Fallimento e periculum per la riscossione ..........................................................
14.2. Il soggetto legittimato a presentare la domanda di ammissione .........................
14.2.1. Gli ultimi orientamenti sul termine per impugnare l’atto impositivo ..........
14.3. Sintesi..................................................................................................................
15. La domanda tempestiva, la domanda tardiva e quella “supertardiva” ......................
16. L’ammissione al passivo degli accessori del tributo .................................................
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PARTE TERZA
I CREDITI TRIBUTARI: PRIVILEGI E PROFILI APPLICATIVI
17. I privilegi erariali. Premessa e prospettive de iure condendo ..................................
18. Privilegio speciale: le questioni relative alla sussistenza del bene ed alla sua mancata
indicazione ................................................................................................................
19. Gli interessi: limiti di ammissione e modalità di determinazione del biennio privilegiato ex
art. 2749 c.c. .............................................................................................................
20. Il privilegio sulle sanzioni ........................................................................................
21. Interessi di mora: limiti di riconoscibilità .................................................................
22. Aggio: condizioni per l’ammissibilità e natura chirografaria ...................................
23. Spese di insinuazione, diritti di notifica, ed altre voci ..............................................
24. Le eccezioni sollevabili dal curatore ........................................................................
24.1. La prescrizione. I termini ...................................................................................
24.1.1. Prescrizione quinquennale o decennale: tesi prevalente .............................
24.1.2. Tesi minoritaria ...........................................................................................
24.1.3. Prescrizione tributo di ICI ed IMU .............................................................
24.1.4. Irrilevanza, ai fini prescrizionali, della definitività della cartella ...............
24.1.5. Conclusioni .................................................................................................
24.2. Le modalità di contestazione da parte del curatore
24.2.1. Cartella di pagamento non ancora notificata ..............................................
24.2.2. Cartella di pagamento già notificata ...........................................................
24.3. La compensazione ..............................................................................................
24.3.1. La compensazione quale eccezione in sede di ammissione ........................
24.3.2. La compensazione quale eccezione in corso di procedura .........................
25. Esame dei singoli privilegi .......................................................................................
25.1. Premessa ............................................................................................................
25.2. Tributi diretti ......................................................................................................
25.3. Tributo IVA .......................................................................................................
25.4. Tributi indiretti erariali ......................................................................................
25.5. Tributo IMU ed altre imposte locali ..................................................................
25.6. Tassa automobilistica .........................................................................................
25.7. Canone RAI .......................................................................................................
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25.8. Accise .................................................................................................................
25.9. Questioni particolari sui privilegi ......................................................................
25.9.1. Tributo IRAP ..............................................................................................
25.9.2. TIA ..............................................................................................................
PARTE QUARTA
STRUMENTI OPERATIVI
26. Guida sintetica alla lettura ragionata dell’estratto dei ruoli ......................................
27. Fac simile richiesta informazioni su composizione credito per interessi .................
28. Formule standard di ammissione / non ammissione del credito tributario ...............
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PREFAZIONE
di LEONARDO QUAGLIOTTI e ENRICO TERZANI
Diritto fallimentare – ma abituiamoci a chiamarlo: diritto della crisi d’impresa – e diritto
tributario hanno in comune la genesi pubblicistica, la natura speciale e poco altro.
Eppure le intersezioni sono molteplici ed inevitabili, basti pensare al tema dell’emersione
della crisi e alla rilevanza dell’impatto fiscale sui tentativi, anche stragiudiziali, di prevenire la
liquidazione giudiziale.
In questo contesto, l’accertamento dei crediti tributari occupa un posto d’onore in quanto è
da sempre – ed è destinata a rimanere – una fase centrale delle attività del curatore, sia per la
complessità e la rilevanza delle obbligazioni in gioco, sia per massiva collocazione privilegiata
dei crediti insinuati e l’esito stesso della procedura per gli inevitabili riflessi sui creditori
concorsuali gerarchicamente subordinati.
Si tratta quindi di un rapporto particolarmente delicato, che il curatore deve mettere a fuoco
nel brevissimo termine (talvolta, poco più di due settimane) che intercorre tra la ricezione delle
domande d’insinuazione e il deposito del progetto di stato passivo, ma che è suscettibile
d’incidere in modo determinante sull’utilità stessa della procedura per i creditori chirografari.
L’enucleazione dei crediti tributari destinati a partecipare al concorso si caratterizza peraltro
da evidenti iniquità che meriterebbero approfondite riflessioni de jure condito e de jure condendo.
Si pensi soltanto alla partecipazione al concorso, finanche con collocazione privilegiata, delle
sanzioni tributarie (che in tal modo perdono qualsivoglia natura afflittiva, colpendo invece i
creditori subordinati, già “vittime” dell’inadempimento), alla sostanziale indifferenza
dell’ordinamento rispetto alla “forza maggiore” (concetto parente stretto dello status
d’insolvenza) dalla quale non di rado dipende l’inadempimento delle obbligazioni tributarie da
parte dell’imprenditore e, infine, alla spesso pluriennale inerzia dell’Erario rispetto all’emersione
di situazioni d’insolvenza imprenditoriale, pur essendo senza dubbio tra coloro che per primi sono
in grado di percepirle a causa dell’interruzione dei pagamenti periodici dovuti.
A quest’ultimo riguardo è da accogliere con particolare favore l’obbligo di segnalazione che,
nell’ambito delle procedure d’allerta, lo schema di decreto legislativo attuativo della legge delega
n. 155/2017 pone a carico (anche) dell’INPS e dell’agenzia delle entrate a pena d’inefficacia della
“prelazione spettante sui crediti dei quali sono titolari”.
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Nel quadro sinteticamente descritto, riteniamo sommessamente che il Quaderno di studio
della Fondazione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Firenze che presentiamo
all’attenzione dei colleghi smentisca la risalente idea che le opere di rilievo non possano essere
scritte a più mani, ed offra quindi ai fruitori un ottimo strumento teorico-pratico di riflessione ed
orientamento per l’accertamento dei crediti tributari. L’auspicio è naturalmente quello che questo
pregevole Quaderno di studio, grazie all’impegno e alle capacità degli Autori, sia il primo di una
serie e che possa contribuire a promuovere il confronto dialogico tra tutti i soggetti coinvolti nella
gestione delle crisi d’impresa.
Rivolgiamo infine un particolare e sentito ringraziamento al coordinatore del gruppo di lavoro
Gianni Tapinassi ed al collega Lorenzo Gambi, che si è fatto carico del lavoro di armonizzazione
ed editing dei vari contributi.
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PARTE PRIMA
QUADRO DI RIFERIMENTO
1. Diritto tributario e diritto fallimentare: relazioni fra normative speciali
Muovendo dal tratto narrativo di un Maestro dei nostri giorni: “se una notte d’inverno, un
viaggiatore del diritto concorsuale […] si imbattesse nel diritto tributario e si ritrovasse a dover
dare un senso logico alla convivenza tra due mondi così diversi, governati da regole particolari,
questo viaggiatore cercherebbe di trarsi d’impaccio affidandosi a questa semplice, ma per il vero
semplicistica, constatazione: si tratta di due discipline speciali, destinate a non prevalere l’una
sull’altra, ma ad offrire soluzioni di volta in volta ispirate alla ritenuta prevalenza or dell’una or
dell’altra ragion d’essere”1.
Certamente, il diritto tributario ed il diritto fallimentare sono, entrambi, sistemi normativi
“speciali”.
Il diritto tributario, quale strumento per la realizzazione delle funzioni della Pubblica
amministrazione, attraverso il prelievo tributario, dalla natura coattiva.
Il diritto fallimentare, quale strumento che regola il processo esecutivo concorsuale, a
garanzia di tutti gli interessi coinvolti nell’insolvenza dell’imprenditore (anche il fallimento
riveste, dunque, “in sé”, una funzione pubblicistica).
Ed ancora, il diritto tributario, portatore d’interessi “individuali” (gli interessi erariali), per
quanto di alto rango pubblicistico e dalla rilevanza costituzionale (principio di riserva di legge ex
art. 23 Cost., principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.)2.
Il diritto fallimentare, dal carattere “universale”, finalizzato al miglior soddisfacimento di tutti
i creditori del fallito, secondo le regole del concorso e nel rispetto delle legittime cause di
prelazione.
1 Così – parafrasando Italo Calvino – A. JORIO, Accertamento e riscossione dei crediti tributari e procedure
concorsuali, in Giur. comm., 2017, I, p. 367. 2 Sottolinea la marcata connotazione di specialità dei crediti tributari Corte Cost. sentenza del 26 aprile 2018 n. 90, che
ne evidenzia lo stretto rapporto di derivazione dal precetto dell’art. 53 Cost.; tali crediti vanno infatti ad alimentare la
finanza pubblica perché sia assicurato il prescritto equilibrio di bilancio tra entrate e spese, elevato a vincolo costituzionale
dalla legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1.
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Molteplici sono gli ambiti di relazione fra tali rami del diritto: e tuttavia il nostro ordinamento
non si è mai dato un corpus normativo che sia applicabile in modo unitario alle vicende tributarie
della procedura fallimentare.
Da un lato, vi sono infatti singole norme fiscali che trattano di procedura fallimentare (es.,
soggetto legittimato alla presentazione del ricorso erariale per la dichiarazione di fallimento ex
art. 87, D.P.R. n. 602/1973; domanda d’ammissione al passivo del credito tributario ex art. 88).
Dall’altro, vi sono norme del codice civile e della legge fallimentare che trattano aspetti di
rilevanza fiscale (es., privilegi tributari ex art. 2752 ss. cod. civ., cessione ed assegnazione dei
crediti tributari ex artt. 106 e 117 l. fall.).
Per quanto si tratti di “sistemi” speciali, ed autonomi, la procedura fallimentare, informata a
criteri di universalità ed imperatività, rappresenta una garanzia (anche) per gli interessi erariali, i
quali, nel caso dell’impresa insolvente, senza gli strumenti approntati dal rigoroso procedimento
concorsuale, avrebbero certamente minori possibilità di trovare adeguata tutela sotto il profilo
economico-giuridico e, dunque, satisfattivo.
Sotto questo aspetto, si può quindi parlare di funzionalità del diritto concorsuale rispetto al
diritto tributario.
Si pensi ai benefici che l’Erario trae dall’applicazione della regola dello spossessamento ex
art. 42 l. fall., considerate le difficoltà, tipiche per ogni ente pubblico, di monitorare con
tempestività eventuali condotte illecite del debitore insolvente (sottrazione di beni, pregiudizialità
nei pagamenti, ecc.).
Nonché ai benefici ritraibili dall’accentramento, in capo alla curatela, dei poteri
d’amministrazione e gestione del patrimonio del debitore, in funzione del vincolo che viene a
determinarsi con l’apertura del concorso (migliore gestione della liquidazione dei beni del
debitore nel rispetto delle norme di legge).
D’altra parte, il carattere officioso del fallimento impone all’Amministrazione finanziaria,
quale onere per poter beneficiare degli effetti “protettivi” della procedura, di partecipare,
formalmente, al concorso.
Oltretutto, è lo stesso principio d’indisponibilità dell’obbligazione tributaria che impone
all’Erario di osservare il rito fallimentare, per non incorrere nella estromissione dalla ripartizione
dell’attivo patrimoniale (concorso sostanziale).
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In ultima analisi, è il foro fallimentare a decidere sulla validità della partecipazione al
concorso, questione così importante per le sorti d’ogni creditore del fallito, fra cui anche –
all’evidenza – il creditore tributario.
Ed allora, per chiudere con le parole d’un illustre Maestro del passato: “pur con la temerarietà
che è implicita in tutte le espressioni di colore, in assenza di un preciso e contrario testo di legge
è, se mai, il Fisco a dover seguire il fallimento, non già il contrario”3.
2. Concorsualità del credito tributario
Tutti i creditori del fallito per ragioni e titoli sorti prima della sentenza dichiarativa di
fallimento – e, dunque, anche l’Erario per i propri crediti – sottostanno alle regole del “concorso”,
ai sensi e per gli effetti dell’art. 52 l. fall.
Tale norma determina la cd. “cristallizzazione del passivo”, circoscrivendo l’area della
partecipazione al concorso ai titolari di crediti sorti ante fallimento, secondo un criterio di
temporalità dell’elemento genetico dell’obbligazione.
Quanto sopra implica dunque un pregiudiziale esame in ordine alla natura dell’obbligazione
tributaria, al fine di verificare la sussistenza del requisito di concorsualità.
Lo stesso articolo art. 52 l. fall. esprime un principio di “universalità” soggettiva del
concorso, che si declina nelle due forme di concorso sostanziale e di concorso formale.
In base al concorso sostanziale, ciascun creditore ha diritto a vedere soddisfatte, sotto il
profilo economico, le proprie ragioni creditorie in base ad un criterio proporzionale, salve le
legittime cause di prelazione (par condicio creditorum).
D’altro canto (concorso formale), tutte le posizioni creditore verso il fallito sono sottoposte
ad un accertamento unitario, quali che siano i titoli e quali che possano essere, in astratto, le
domande proponibili: tanto che ogni diritto di credito, una volta dichiarato il fallimento, è
tutelabile esclusivamente nelle forme previste dagli artt. 92 e ss. l. fall.
3. Natura dell’obbligazione tributaria ai fini del concorso
Il giudizio avanti al giudice delegato circa la domanda di ammissione al passivo del credito
tributario implica la verifica della legittimità formale del titolo.
3 P. PAJARDI, Fallimento e Fisco, Milano, 1974, p. 3.
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Ai fini dell’esame della sussistenza del requisito di concorsualità del credito fiscale rileva il
momento nel quale viene a sorgere l’obbligazione tributaria: si tratta cioè di accertare quando si
verifichi il presupposto di fatto cui la legge attribuisce rilievo ai fini del rapporto giuridico
d’imposta4.
Nell’ottica della verifica del requisito di concorsualità – da effettuarsi a cura del giudice
delegato in sede di accertamento del passivo ex art. 92 ss. l. fall. – il credito tributario assume
rilevanza ai fini della partecipazione al concorso qualora il relativo presupposto, individuato dalla
norma di legge sostanziale, sia sorto anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento.
4. Spossessamento e soggettività tributaria in ambito fallimentare
Con l’apertura del concorso, il debitore subisce il cd. “spossessamento”5.
Egli viene privato della facoltà di amministrare e gestire il proprio patrimonio (art. 42,
comma 1, l. fall.), facoltà che è attribuita alla curatela fallimentare dall’art. 31 l. fall., norma –
quest’ultima – che “istituisce” e regola la funzione amministrativa del curatore.
Tale funzione comprende il potere/dovere di custodire ed insieme gestire il patrimonio
fallimentare, sotto la vigilanza degli altri organi della procedura.
Sotto il profilo processuale, è l’art. 43 l. fall. ad integrare gli effetti sostanziali dello
spossessamento previsti dall’art. 42, comma 1, l. fall.
Secondo il menzionato art. 43 spetta al curatore la legittimazione processuale in tutte le
controversie relative a rapporti di natura patrimoniale del debitore compresi nel fallimento, ivi
inclusi quelli pendenti al momento dell’apertura del concorso.
Il fallito può intervenire esclusivamente nei giudizi dai quali possa dipendere una fattispecie
di bancarotta imputabile a suo carico, ovvero quando il suo intervento sia previsto dalla legge.
Con particolare riferimento al profilo tributario, il fallito resta titolare di un’autonoma
legittimazione processuale, che può esercitare in caso d’inerzia, non giustificata, da parte degli
organi della procedura.
4 È la teoria cd. dichiarativa: l’obbligazione tributaria si costituisce per effetto della legge, e non per un fatto
riconducibile all’esercizio di un potere erariale (vi si contrappone la teoria cd. costitutiva: elemento costitutivo
e/o presupposto integrativo dell’obbligazione tributaria è l’avviso d’accertamento). Secondo la giurisprudenza
di legittimità, il principio della riconducibilità del tributo a fonte di natura legale, si rende applicabile anche al
credito erariale sanzionatorio (Cass., civ. sez. V, 13 settembre 2013, n. 20978; Cass., civ. sez. un., 9 giugno
1989, n. 2786; Cass., civ. sez. I, 30 marzo 1987, n. 3055; Cass., civ. sez. I, 29 settembre 1987, n. 7318; Cass.,
civ. sez. I, 8 settembre 1986, n. 5472).
5 Cass., civ. sez. V, 14 settembre 2016, n. 18002.
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E ciò al fine di impedire che si formi un titolo nei suoi confronti che sia poi azionabile una
volta che lo stesso siano tornato in bonis, potendo dunque andare ad incidere concretamente sulla
propria sfera patrimoniale6.
Il fenomeno dello spossessamento non determina alcuna variazione in ordine al soggetto
giuridico cui sia riferibile l’obbligazione tributaria – che è, e resta, il fallito.
Il venir meno, con lo spossessamento, di ogni facoltà per il debitore di disporre del proprio
patrimonio, non impedisce, secondo la norma fiscale, che il presupposto d’imposta si configuri
in capo al medesimo debitore, il quale, come detto, col fallimento, viene a perdere la sola
disponibilità “materiale” dei propri beni, diritti e rapporti giuridici, non già la titolarità formale
degli stessi.
Non vi è, al riguardo, alcuna espressa disposizione, né all’interno delle singole leggi
tributarie, né all’interno della legge fallimentare, che induca a ritenere che il fallito, con lo
spossessamento, venga a perdere la propria veste di “contribuente”.
Né, allo stesso modo, vi è alcuna norma che qualifichi o riconosca la procedura fallimentare
– in sé – quale autonomo soggetto d’imposta7.
Permane poi, in capo all’imprenditore sottoposto a fallimento, l’assetto giuridico d’impresa,
anche sotto il profilo della sussistenza dei presupposti tributari8.
Del resto, in tutti i casi di tassazione post fallimento, l’onere relativo al prelievo tributario
incide direttamente sul patrimonio fallimentare, quale credito prededucibile sorto in occasione
e/o per effetto della procedura (art. 111, comma 2, l. fall.) – e ciò al verificarsi delle fattispecie
impositive previste dalle singole leggi d’imposta9.
6 Ne consegue che gli atti impositivi relativi a crediti tributari i cui presupposti si siano verificati ante fallimento
– ma, deve ritenersi, anche per i crediti erariali sorti in corso di procedura, visto l’interesse tutelato – devono
essere notificati, a pena di nullità, non solo al curatore, ma anche al fallito: questi deve essere posto nelle
condizioni di esercitare il diritto di difesa in sede di giurisdizionale tributaria, restando esposto alle
conseguenze patrimoniali scaturenti dalla possibile definitività della pretesa tributaria. In questo senso, il
curatore, anche in mancanza di un’espressa disposizione di legge, è tenuto a trasmettere al fallito ogni atto
amministrativo che sia idoneo ad incidere, prima o dopo la chiusura del fallimento, sulla propria sfera
patrimoniale (Cass., civ. sez. V, 24 febbraio 2006, n. 4235).
7 M. MICCINESI, L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990, p.
55 ss. 8 M. MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, Torino, 2011, p. 25 ss. 9 Salvo peraltro quanto accade per i tributi diretti, i quali, per espressa previsione di legge (art. 183, TUIR),
vengono soddisfatti non già nel corso del fallimento, bensì a procedura conclusa, una volta che siano stati
integralmente soddisfatti tutti i crediti, sia prededucibili che concorrenti.
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In questo senso, secondo la Cassazione, il debitore “non è privato, a seguito della
dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario”10.
Ciò che muta, con il fallimento, non è quindi il soggetto passivo del rapporto tributario, bensì,
esclusivamente, il soggetto legittimato – ed insieme obbligato – a compiere gli adempimenti
fiscali previsti dalla legge, apertasi la procedura concorsuale.
Tale soggetto è il curatore fallimentare, il quale non ha alcuna autonoma soggettività
tributaria, come, del resto, non ne ha la procedura fallimentare in sé.
Egli opera quale soggetto “deputato” per legge, con l’apertura del concorso, a compiere atti
di natura tributaria che producono effetti nell’ambito della sfera patrimoniale di titolarità del
fallito spossessato.
Con il fallimento il curatore viene ad assumere, rispetto al fallito, una funzione surrogatoria
in relazione all’adempimento degli obblighi tributari correlati alla procedura concorsuale, nei
limiti stabiliti dalla legge ed in funzione delle finalità concorsuali dalla stessa fissate.
5. Il divieto delle azioni individuali (anche erariali)
Rafforza, nell’ottica del concorso, gli effetti dello spossessamento, il divieto delle azioni
individuali, esecutive e cautelari, ex art. 51 l. fall., salve le deroghe espressamente previste dalla
legge11.
Ne consegue, da una parte, l’inammissibilità di ogni eventuale nuova azione individuale
promossa post fallimento; dall’altra, l’improcedibilità d’ogni azione che risulti pendente al
momento dell’apertura del concorso, subentrando, ai fini della tutela dei loro interessi
(prospettiva “universalistica”), gli organi della procedura12.
Come detto, i creditori, intervenuto il fallimento del debitore, hanno l’onere di partecipare al
concorso secondo le ricordate regole dell’ammissione al passivo (concorso formale) e della
distribuzione proporzionale del realizzo in ambito fallimentare (concorso sostanziale).
10 Cass., civ. sez. V, 24 febbraio 2006, n. 4235. Per la adesiva posizione ministeriale: circolare Agenzia delle
Entrate n. 26/E del 22 marzo 2002; risoluzione Agenzia delle Entrate n. 171/E del 5 giugno 2002. 11 La principale deroga è quella ex art. 41, comma 2, D.Lgs. n. 385/1993 (TUB), per il creditore fondiario; altra
deroga è prevista dall’art. 53 l. fall. (sia i creditori pignoratizi, sia i creditori assistiti dal privilegio ex artt. 2756
e 2761 cod. civ., possono procedere al realizzo del bene oggetto del diritto di garanzia, in corso di procedura);
un’ultima deroga è prevista dall’art 104-ter, comma 8, l. fall., in caso di autorizzata rinunzia da parte della
curatela ad acquisire/liquidare uno o più beni del fallito. 12 Cass., civ. sez. I, 19 luglio 2016, n. 14779; Cass., civ. sez. I, 31 marzo 2011, n. 7508.
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Anche l’Amministrazione finanziaria, come ogni altro creditore del fallito, per ragioni e titoli
sorti ante fallimento, soggiace alle regole del concorso, tanto sostanziale, quanto formale.
Sotto il profilo sostanziale, all’Erario è preclusa ogni possibilità di procedere in via esecutiva
contro il fallito, subendo gli effetti giuridici del generale divieto delle azioni esecutive e cautelari
individuali ex art. 51 l. fall.
Sotto il profilo formale, l’Erario deve presentare, ritualmente, la domanda di ammissione al
passivo.
Non vi è, attualmente, alcuna deroga che consenta all’Amministrazione finanziaria di iniziare
o proseguire sul patrimonio del debitore le azioni esecutive e/o cautelari approntate dalla norma
tributaria, una volta apertasi la procedura fallimentare13.
L’inammissibilità e/o improcedibilità dell’azione erariale in pendenza di procedura è rilevata
dal giudice tributario competente e, poi, sancita dal giudice delegato nell’ambito del
procedimento di verifica dei crediti tributari ex art. 92 ss. l. fall.14.
Quanto al concorso formale, ciascun creditore, per poter validamente partecipare alla vicenda
fallimentare, deve sottostare all’accertamento del passivo, secondo i principi ed i criteri previsti
dal Capo V, l. fall.
Con l’accertamento del passivo concorsuale (la cd. verifica dei crediti), gli organi della
procedura passano al vaglio (tutti) i creditori del fallito muniti di titoli sorti anteriormente
all’apertura del concorso.
Tale rito è, per i creditori, un vero e proprio onere giuridico, dal momento che la
presentazione della domanda di ammissione al passivo ex art. 92 ss. l. fall. rappresenta un
13 Con decorrenza 1° luglio 1999, l’art. 16, D.Lgs. n. 46/1999 ha modificato – nell’ambito di una delle molte
revisioni del sistema della riscossione – l’art. 51, D.P.R. n. 602/1973, eliminando la possibilità, per l’esattore,
di procedere in executivis contro il fallito. Da allora, tutte le azioni esattoriali in corso al momento del
fallimento si arrestano, divenendo improcedibili al pari di ogni altra azione individuale, esecutiva ovvero
cautelare, salvo le ricordate, residuali norme derogatorie; così come, con l’apertura del concorso,
l’Amministrazione finanziaria non può avviare, neanche per il tramite dell’agente della riscossione, alcuna
nuova iniziativa esecutiva e/o cautelare verso il fallito, pena l’inammissibilità della relativa azione. 14 Cosicché: “l’ente impositore, nell’ambito della procedura fallimentare, soggiace, come gli altri creditori,
al divieto di azioni esecutive e cautelari individuali, la natura qualificata del credito non comportando alcuna
alterazione dei principi generali che prevedono l’assorbimento delle azioni individuali nell’azione
concorsuale, a presidio del superiore interesse alla par condicio creditorum” (così, R. ESPOSITO, Riflessioni
critiche sui rapporti tra diritto tributario e diritto civile alla stregua dei principi costituzionali (muovendo da
alcune incongruenze nella disciplina fiscale delle procedure concorsuali), in F. PAPARELLA (a cura di), Il
diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, p. 349.
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presupposto necessario affinché il creditore possa avere validamente accesso – e dunque
partecipare – alla procedura fallimentare15.
La fase della formazione dello stato passivo rappresenta uno strumento esclusivo ed
inderogabile di tutela di qualsiasi diritto, domanda ed azione da parte dei terzi nei confronti
dell’imprenditore fallito.
Assolta la “formalità” – che è anche sostanza – dell’accertamento giudiziale del passivo, ogni
creditore del fallito, da creditore “concorsuale” (posizione potenziale), diviene creditore
“concorrente” (posizione attuale), così potendo prender parte, validamente, al concorso.
6. Poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria e fallimento
Se, con la procedura, l’Amministrazione finanziaria perde ogni facoltà e potere circa la
possibilità di agire in via esecutiva e/o cautelare nei confronti del fallito, essa, sotto il profilo
sostanziale, conserva ogni prerogativa in relazione alla propria attività di verifica e controllo sul
rapporto d’imposta.
L’ente impositore può esercitare – dunque: avviare, proseguire e concludere – i propri poteri
di verifica e controllo nei confronti del soggetto passivo d’imposta sottoposto a fallimento (così
come a qualsiasi altra procedura concorsuale, anche amministrativa).
Non vi è, al riguardo, alcuna specifica disposizione, né all’interno delle singole leggi
d’imposta, né all’interno della legge fallimentare, che disciplini limitazioni di sorta in ordine
all’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria – e, più in generale, in ordine al
procedimento tributario –, in caso d’intervenuto fallimento del contribuente.
Quanto sopra sia con riferimento alle obbligazioni tributarie sorte in capo al soggetto passivo
prima della sentenza di fallimento, sia con riferimento alle obbligazioni i cui presupposti siano
sorti in pendenza e/o per l’effetto del concorso.
Una volta intervenuto il fallimento del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, per
effetto dello spossessamento, dà esecuzione ai poteri istruttori avendo, quale proprio (principale)
destinatario, il curatore fallimentare.
15 Circa la natura della domanda d’ammissione al passivo, vi sono due opposti orientamenti: secondo il primo,
prevalente, trattasi di domanda giudiziale, per analogia di contenuto, effetti e collocazione all’interno di un
procedimento giurisdizionale (U. APICE-S. MANCINELLI, Il fallimento e gli altri procedimenti di composizione
della crisi, Torino, 2012, p. 226 ss.); in base al secondo, la domanda d’ammissione ha natura autonoma, con
un contenuto invero assimilabile a quello della domanda nei confronti dell’Autorità amministrativa, visto
anche il profilo d’officiosità del procedimento fallimentare (F. FERRARA, Il fallimento, Milano, 1989, p. 498).
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Le richieste di esibizione di documentazione, libri sociali e scritture contabili dell’impresa
fallita, ma anche di accessi ed ispezioni ai fini dell’esame di ogni altro documento ritenuto
rilevante ai fini dell’accertamento, sono rivolte alla curatela.
In questo senso, secondo la Cassazione, in un caso di accertamento fiscale conclusosi dopo
l’apertura del concorso, “trattandosi di accertamento nei confronti di un soggetto dichiarato
fallito, la disponibilità delle scritture contabili e dei beni del soggetto fallito da parte della
curatela (ex artt. 88 e 42 l. fall.) giustifica la richiesta da parte dell’ufficio finanziario di notizie
al curatore fallimentare”16.
Resta tuttavia fermo il principio – secondo quanto già ricordato – in base al quale il “soggetto
passivo della relativa obbligazione tributaria è e rimane l’imprenditore fallito, e non il curatore
del fallimento”17.
Non è invero precluso all’Amministrazione finanziaria rivolgere al fallito richieste di
carattere istruttorio18.
Riteniamo, in questo caso, che non vi sia alcuna conseguenza sanzionatoria in capo al debitore
qualora lo stesso, per effetto del fallimento, venga a trovarsi nella impossibilità ad adempiervi
(insussistenza dei profili soggettivi dell’illecito tributario, con particolare riferimento al requisito
della colpevolezza).
Al pari, il richiamato principio della (mancanza di) colpevolezza induce a ritenere che non vi
sia alcuna responsabilità del curatore, sotto il profilo personale, ove lo stesso si trovi
nell’impossibilità ad ottemperare alle richieste istruttorie dell’Amministrazione (perché il fallito
16 Cass., civ. sez. V, 2 marzo 2011, n. 5076; in senso conforme, v., anche, Cass., civ. sez. V, 18 luglio 2003, n.
11274, la quale rileva, anche con riferimento al ruolo del curatore nella prospettiva degli adempimenti tributari
in ambito fallimentare: “su un piano generale, ma denso di significati, deve premettersi che la qualifica di
“pubblico ufficiale” (art. 30 l. fall.) investe il curatore fallimentare di maggiori obblighi, oltre che di maggiori
poteri. Al curatore fanno carico molteplici adempimenti proprio di natura fiscale: dal primo, in ordine
temporale, conseguente alla sola dichiarazione di fallimento, che consiste nell’obbligo di comunicare l’inizio
della procedura concorsuale all’Ufficio IVA; e, poi, i successivi adempimenti più complessi ed onerosi, dai
meri obblighi di dichiarazione, agli obblighi ulteriori e strumentali rispetto a questi, quali quelli di
fatturazione e registrazione; e si tratta di dichiarazioni iniziali e di ordinarie dichiarazioni annuali in corso
di procedura. Orbene, non può non considerarsi compreso tra i delineati obblighi quello certamente “minore”
di fornire i dati richiesti con il questionario, dati che, peraltro, sono nella esclusiva disponibilità del curatore
[…]. In caso di fallimento, le obbligazioni tributarie continuano a far capo all’impresa, mentre il curatore
fallimentare è tenuto a tutti gli adempimenti, compreso quello di fornire informazioni all’Amministrazione
finanziaria: per cui correttamente l’Amministrazione indirizza al curatore una richiesta di dati e chiarimenti”
(nello stesso senso: Cass., civ. sez. V, 27 novembre 2002, n. 16793). 17 Cass., civ. sez. V, 27 novembre 2002, n. 15793; in senso conforme, v., anche, Cass., civ. sez. I, 11 agosto,
1993, n. 8594. 18 G.M. CIPOLLA, La rilevanza degli atti istruttori e degli atti dell’accertamento in pendenza di procedura, in
PAPARELLA F. (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, cit., p. 326.
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non abbia tenuto le scritture contabili o non le abbia trasmesse al curatore, ma anche perché
quest’ultimo non abbia rinvenuto i documenti richiesti).
Tale condotta (per quanto incolpevolmente) omissiva può produrre però effetti sostanziali ai
fini dell’accertamento, sotto un duplice ordine di motivi.
Da un lato, ciò può assumere rilevanza in termini di operatività della preclusione ex art. 32,
comma 4, D.P.R. n. 600/1973 (i dati non comunicati e la documentazione non esibita non possono
essere presi in considerazione a favore del contribuente, ove anche fallito, in sede amministrativa
e contenziosa).
Si ritiene che il curatore, ove rinvenga la documentazione solo dopo i termini assegnatigli in
sede di richiesta istruttoria, possa avvalersi della facoltà prevista dall’art. 32, comma 5, D.P.R. n.
600/1973 e, dunque, depositare la documentazione in sede contenziosa, assieme al ricorso –
contestualmente dichiarando di non avervi potuto adempiere prima per causa a lui non imputabile
–, e ciò al fine di vincere la menzionata preclusione di inutilizzabilità della documentazione non
già esibita.
Dall’altro lato, l’ente impositore potrebbe assumere la mancata comunicazione dei dati e/o la
mancata produzione della documentazione aziendale da parte del curatore quale elemento che
integri una circostanza di fatto su cui fondare un avviso di accertamento induttivo ex art. 39,
comma 2, D.P.R. 600/1973 e/o art. 55, D.P.R 633/1972.
Pare ragionevolmente ritenersi che, in caso di fallimento, in mancanza di altri ed ulteriori
elementi di prova, la semplice (qui assunta come incolpevole) inosservanza degli obblighi
collaborativi da parte del curatore non sia idonea ad integrare, ex se, il presupposto per
l’emissione di un accertamento induttivo.
Sarebbe, al riguardo, illegittimo un accertamento induttivo, fondato esclusivamente
sull’inosservanza agli obblighi collaborativi, che attraesse a tassazione redditi ricostruiti in modo
non circostanziato, se non apodittico – e che non tenesse conto dell’andamento gestionale che ha
pur condotto l’imprenditore all’insolvenza.
Sotto questo aspetto, la Suprema Corte, in relazione ad una verifica tributaria conclusasi dopo
l’apertura del concorso, ha riconosciuto come irragionevole (anche in base ad un criterio –
oltremodo sostanziale – di “normalità”) un avviso di accertamento induttivo che non aveva tenuto
conto delle rilevanti perdite sofferte dal debitore in un esercizio prossimo a quello del fallimento,
quindi “a breve distanza dall’epoca dell’accertamento, sicché il risultato cui perviene l’Ufficio
Pag. 17 a 111
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in via induttiva […] appare assolutamente in contrasto con l’immediato successivo fallimento
della società”19.
L’Amministrazione finanziaria, intervenuto il fallimento, è tenuta a notificare l’avviso di
accertamento al curatore, pena la inopponibilità e/o la inefficacia dell’atto nei confronti della
procedura concorsuale.
La notifica alla curatela dell’avviso di accertamento si configura, per l’Amministrazione
finanziaria, quale atto necessario (e quindi obbligatorio), siccome finalizzato a prendere
validamente parte al concorso sotto il profilo della rituale ammissione del credito erariale al
passivo del fallimento: “l’accertamento fiscale avente ad oggetto obbligazioni tributarie i cui
presupposti siano maturati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, ovvero nel
periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, ove sia stato notificato soltanto al
fallito, e non anche al curatore del fallimento, è inefficace nell’ambito della procedura
fallimentare”20.
D’altra parte, sempre secondo la Corte, gli accertamenti inerenti le obbligazioni sorte ante
fallimento (ivi incluso il periodo prefallimentare), devono essere notificati anche al debitore, allo
scopo di non pregiudicare il diritto irrinunciabile alla tutela della propria posizione giuridica21.
Con riferimento ai menzionati interessi (protetti) del debitore fallito, la curatela è tenuta a
rappresentargli, con tempestività, le scelte assunte dall’ufficio fallimentare in ordine all’esercizio
della facoltà di impugnare o meno l’avviso di accertamento.
Sottolinea la Cassazione, a questo proposito, che la “prassi – seguita dai giudici delegati più
avveduti – di far notificare al fallito, unitamente alla determinazione dell’ufficio fallimentare di
non proporre impugnativa, l’avviso di accertamento, con il contestuale avvertimento al fallito
che a tanto potrà provvedere direttamente, è appunto intesa a garantire a quest’ultimo l’esercizio
del suo diritto di difesa. Essa adempie ad un dovere che trae origine dal carattere impugnatorio
del processo tributario, avuto riguardo al termine di decadenza fissato al contribuente per
proporre il ricorso” 22.
Deve ritenersi che – nella duplice circostanza che: i) la curatela fallimentare sia rimasta
ingiustificatamente inerte, non proponendo impugnazione; ii) l’Amministrazione finanziaria non
19 Cass., sez. civ. V, 1° ottobre 2015 n. 19602. 20 Cass., civ. sez. V, 23 giugno 2003, n. 9951. 21 L. DEL FEDERICO, I crediti tributari nell’accertamento del passivo fallimentare, in Rass. trib., 2015, p. 11
ss. 22 Cass., civ. sez. V, 23 giugno 2003, n. 9951.
Pag. 18 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
abbia notificato al debitore l’avviso di accertamento – il fallito abbia diritto ad esercitare la
propria azione difensiva, introducendo autonomamente il ricorso, entro i termini ordinari di
sessanta giorni, peraltro decorrenti dal momento in cui egli sia venuto a conoscenza dell’esistenza
dell’atto impositivo23.
Nel caso in cui entrambi – curatore e fallito – procedano, invece, ad impugnare l’avviso di
accertamento, si pone il problema della eventuale inammissibilità del ricorso proposto dal
debitore, in proprio.
In tal caso, non essendovi alcuna condotta inerte da parte della curatela fallimentare, la
capacità processuale del fallito sarebbe necessariamente “assorbita” da quella azionata dal
curatore ex art. 43 l. fall.
Annessa a tale questione è poi quella ulteriore se, pur in presenza di un ricorso introdotto
dalla curatela – ma ritenuto dal fallito incompleto e/o inidoneo ai fini della contestazione
dell’accertamento –, egli abbia la legittimazione ad introdurne altro, in via autonoma24.
Riteniamo che l’esercizio dell’azione processuale da parte della curatela precluda al fallito
ogni possibilità di proporre un’autonoma iniziativa giudiziale.
E ciò – al di là del merito della linea difensiva prospettata dalla curatela (che pur si presume
connotata da professionalità, anche considerato che il patrocinio difensivo in sede tributaria è pur
sempre di nomina del giudice delegato) – per ragioni legate ai generali principi di legittimazione,
economia e rito del processo (anche tributario)25.
Vi è peraltro, in dottrina, autorevole orientamento contrario secondo il quale, in presenza di
una condotta “relativamente” inerte da parte del curatore fallimentare (valutazione solo parziale
e/o erronea dei presupposti su cui si fondi l’avviso di accertamento), il fallito sia comunque
legittimato ad impugnare, in via autonoma, l’atto impositivo26.
23 Secondo Cass., civ. sez. I, 2 febbraio 2018 n. 2626, il fallito conserva eccezionalmente la capacità e la
legittimazione processuale di fronte all'inerzia dell'amministrazione fallimentare, anche se tale legittimazione
straordinaria o suppletiva è ammissibile solo se tale inerzia è determinata da un totale disinteresse degli organi
fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione della convenienza della controversia.
Tale principio è stato ribadito anche da Cass., civ. sez. I, ord. 3 aprile 2018 n. 8132 e Cass., civ. sez. VI, ord.
4 settembre 2018 n. 21601. 24 Peraltro, lo stesso interrogativo si pone ove il fallito non condivida, ritenendole erronee e/o incomplete, le
valutazioni assunte dalla curatela, sotto il profilo economico-giuridico, al fine di ritenere non opportuna, da
parte della procedura concorsuale, l’impugnazione dell’avviso di accertamento. 25 Cass., sez. civ. V, 24 febbraio 2006, n. 4235; Cass., sez. civ. V, 26 settembre 2003, n. 14301; Cass., 8 marzo
2002, n. 3427. 26 G. DI GENNARO, Il ricorso tributario proposto dal fallito rispetto all’inerzia del curatore, in www.ilcaso.it,
2015, p. 4; F. TUNDO, Quali rimedi per il contribuente fallito di fronte all’inerzia del curatore nella
impugnazione degli atti?, in Corr. trib., 2013.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
In ogni caso, ove il medesimo atto impositivo venga impugnato tanto dal debitore, quanto dal
curatore – in assenza di pronunzia d’inammissibilità del primo ricorso – in caso di conflitto tra
giudicati, questi opererebbero su piani diversi.
Il giudicato intervenuto nei confronti del debitore spiegherà effetto solo nei propri confronti
(e sarà azionabile quando egli torni in bonis), mentre il giudicato intervenuto nei confronti della
curatela fallimentare avrà rilevanza ed effetto ai fini del concorso.
In questo senso, secondo la Corte, “in tema di contenzioso tributario, la sentenza di merito
che accerta il credito erariale nei confronti del curatore del fallimento, il quale, pur avendone
contezza, non sia intervenuto nell’autonomo giudizio introdotto dal fallito ed avente ad oggetto
il medesimo atto impositivo, spiega i suoi effetti solo nella procedura concorsuale in quanto
funzionale alla scelta dell’Amministrazione finanziaria di ottenere un titolo ai fini
dell’ammissione al passivo”, conseguendone che “il giudicato formatosi in detto giudizio non
può essere opposto dal Fisco al contribuente tornato in bonis, nei cui confronti risulti
pronunciata altra sentenza del giudice tributario, anch’essa passata in giudicato, di
annullamento dell’atto impositivo, poiché i due giudicati operano su piani distinti e non può
essere ravvisato un contrasto tra gli stessi, visto che nei rapporti tributari la sostituzione
processuale del curatore al fallito è caratterizzata da elementi di peculiarità e resta subordinata
e limitata alle valutazioni di opportunità del primo” 27.
7. Competenza del giudice tributario e del giudice fallimentare
L’esistenza – in relazione ai profili sostanziali del rapporto giuridico d’imposta – di una
giurisdizione speciale, rappresentata dalla competenza esclusiva delle commissioni tributarie, fa
sì che la natura dell’accertamento del passivo subisca, in questo caso, una conseguente modifica
rispetto ai canoni generali.
Il principio di specialità della giurisdizione tributaria fa sì che la pretesa erariale sfugga, sotto
il profilo della cognizione, formale e sostanziale, alla vis attractiva del foro fallimentare, così
come prevista dall’art. 24 l. fall.
La Cassazione ritiene, al riguardo, che la cognizione (esclusiva) delle commissioni tributarie
si estenda ad ogni profilo annesso al rapporto giuridico tributario, ivi compresa la valutazione e/o
l’accertamento in ordine ai fatti estintivi dell’obbligazione (pagamento, compensazione,
27 Cass., civ. sez. V, 24 luglio 2014, n. 16816.
Pag. 20 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
prescrizione, ecc.) che siano eccepiti dalla curatela fallimentare in sede di ammissione al passivo
del credito erariale28.
Vedremo meglio nel prosieguo come in ragione della “specialità” della cognizione della
giurisdizione fiscale, la competenza del foro fallimentare sia circoscritta all’accertamento della
sussistenza del requisito di concorsualità del credito tributario e del titolo che dà origine alla
pretesa fiscale, nonché alla collocazione giuridica del credito tributario all’interno del passivo
concorsuale.
In materia, coesistono due diversi principi inderogabili: da un lato, il principio di
concorsualità in ambito fallimentare; dall’altro il principio di specialità della giurisdizione
tributaria.
Il primo trova fondamento nell’art. 52 della l. fall.: il fallimento apre il concorso dei creditori;
tutti i crediti devono essere sottoposti al processo di verifica secondo le regole previste in materia
di accertamento del passivo dall’art. 92 ss. l. fall.
Il secondo trova fondamento nell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992: ogni accertamento circa l’an
ed il quantum dell’obbligazione fiscale ricade nella competenza esclusiva della giurisdizione
tributaria, che viene esercitata dalle commissioni tributarie provinciali e regionali29.
Tenuto conto del peculiare tratto “a tuttotondo” della cognizione del giudice tributario in
ordine ad ogni profilo dell’obbligazione tributaria, la competenza del foro fallimentare deve
ritenersi circoscritta ai seguenti aspetti:
i. accertamento circa la sussistenza del requisito di concorsualità del credito tributario
(anteriorità alla sentenza dichiarativa di fallimento del presupposto di legge su cui si fondi
la pretesa erariale);
ii. accertamento circa la sussistenza del titolo che dà origine alla pretesa fiscale (rispetto del
principio dell’onere della prova, pur sempre a carico dell’ente titolare del diritto al tributo
e/o dell’agente della riscossione);
28 Cass., civ. sez. V, 14 giugno 2001, n. 15715; Cass., civ. sez. un., 19 ottobre 2005, n. 20112; Cass., civ. sez.
I, 2 aprile 2012, n. 5254; Cass., civ. sez. V, 3 aprile 2006, n. 7791. 29 Secondo la Corte, riguardo la fase delle verifica del credito tributario, il giudice delegato “in assenza di
disposizioni che deroghino ai comuni criteri di riparto della giurisdizione, deve fermarsi al riscontro
dell'esistenza di un provvedimento impositivo che integri titolo per l'esercizio del credito, non potendosi
estendere a quesiti sulla legittimità formale e sostanziale dell'atto, riservati al giudice tributario, nel processo
che il contribuente instauri con impugnazione dell'atto stesso” (Cass., civ. sez. V, 14 giugno 2001, n. 15715).
Pag. 21 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
iii. accertamento circa la collocazione giuridica del credito tributario all’interno del
passivo concorsuale (sussistenza ed estensione delle legittime cause di prelazione che
assistano il credito tributario).
Il tribunale fallimentare deve dunque limitarsi a verificare se il titolo in base al quale
l’Amministrazione finanziaria agisca ai fini dell’ammissione al passivo, sia, o meno, definitivo.
Ove il titolo sia definitivo, l’Erario avrà diritto ad essere ammesso al passivo; ove, viceversa,
il titolo esista, ma non sia definitivo (o perché sub iudice al momento dell’apertura del concorso,
o perché contestato e/o ancora contestabile, a tale data, avanti la giurisdizione tributaria), la
domanda erariale sarà ammessa al passivo con riserva ex art. 88 del D.P.R. n. 602/1973.
Diversamente, ove al momento della verifica del passivo il titolo da cui tragga fondamento la
pretesa erariale non sia definitivo (es., cartella di pagamento recante iscrizioni a ruolo di carichi
tributari in ipotesi prescritti, notificata alla curatela fallimentare), quest’ultima potrà (recte,
dovrà) eccepire avanti alla commissione tributaria ogni singolo aspetto legato all’an (oltreché al
quantum) della pretesa erariale, ivi inclusa ogni eventuale eccezione in ordine all’estinzione
dell’obbligazione tributaria – ed il relativo credito sarà ammesso al passivo con riserva ex art. 88
del D.P.R. n. 602/1973.
In relazione ad alcuni aspetti procedurali, ove la sentenza dichiarativa di fallimento intervenga
in pendenza di un giudizio tributario avviato dal debitore in bonis, il processo, in qualunque grado
esso si trovi, si interrompe ex art. 40, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 546/1992, verificandosi una
causa di perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti.
Secondo quanto previsto dal secondo comma di tale norma, l’interruzione si verifica (recte,
viene accertata) al momento in cui l’evento venga dichiarato in pubblica udienza ovvero sia
rappresentato, per iscritto, dal difensore.
L’interruzione del giudizio tributario consegue, in modo concorrente, anche dalla previsione
di cui all’art. 43, comma 3, l. fall. (“L’apertura del fallimento determina l’interruzione del
processo”).
L’interruzione opera di diritto, secondo la lettera dell’art. 43 l. fall.: è la sentenza di fallimento,
non già il deposito di atti dichiarativi, a produrre l’effetto interruttivo del giudizio30.
Effetto della interruzione, “automatica”, del processo tributario è la nullità dei successivi atti
e, dunque, la loro inopponibilità alla curatela.
30 Cass., civ. sez. un., 20 marzo 2008, n. 7443.
Pag. 22 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Ne consegue che la sentenza resa dalla commissione tributaria in relazione ad un avviso di
accertamento notificato al solo debitore in bonis e da questi non impugnato, cui sia seguito il
fallimento del contribuente senza interruzione del processo, non è opponibile alla curatela31.
Verificatasi la causa interruttiva del processo tributario, ai fini della decorrenza del dies a quo
per la sua riassunzione, rileva la conoscenza “legale” del giudizio per il quale l’effetto interruttivo
sia occorso32.
Il termine per la riassunzione è di sei mesi dalla conoscenza, legale, del relativo giudizio ex
art. 43, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992.
La prova ai fini del mancato rispetto del termine per la riassunzione del processo tributario,
ove venga eccepita la conoscenza legale del giudizio, incombe sulla parte diligente, non potendo,
l’altra parte, provare il fatto negativo33.
Il curatore sta in giudizio previa autorizzazione del giudice delegato – ed a mezzo di patrocinio
tecnico obbligatorio, ex art. 31 l. fall.
L’autorizzazione resa dal giudice delegato non rappresenta, peraltro, elemento di integrazione
dei poteri del curatore, bensì condizione di efficacia della sua attività processuale, che si risolve
nel difetto di legittimazione processuale.
Al riguardo, la Cassazione ritiene “sanata”, con effetti ex tunc, ogni attività processuale svolta
dal curatore in mancanza dell’autorizzazione del giudice delegato, ove anche la stessa sia resa e/o
prodotta nella successiva fase d’impugnazione34.
8. Eccezione di prescrizione del debito tributario in sede concorsuale
Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, l’eccezione di prescrizione del
credito tributario rientra nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie, ai sensi
dell’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992.
In questo senso, la Suprema Corte, decidendo su un’opposizione radicatasi a seguito di
eccezione di prescrizione sollevata dagli organi fallimentari, nel premettere che “il problema che
più specificamente si poneva nel caso di specie concerneva […] il fatto se la limitazione della
materia del contendere alla eccepita prescrizione del credito potesse determinare la sottrazione
della controversia stessa alla giurisdizione del giudice tributario, legittimandone la cognizione
31 Cass., civ. sez. lav., 28 ottobre 2013, n. 24271. 32 Cass., civ. sez. lav., 7 marzo 2013, n. 5650. 33 Cass., civ. sez. VI, ord. 25 febbraio 2015, n. 3782. 34 Cass., civ. sez. I, 11 settembre 2007, n. 19087.
Pag. 23 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
da parte del giudice ordinario”, ha così rilevato: “si tratta di un quesito cui si deve rispondere
negativamente, in quanto, facendosi valere mediante l’eccezione di prescrizione, un fatto
estintivo dell’obbligazione tributaria, conoscere della causa spetta al giudice che abbia
giurisdizione in merito a tale obbligazione”35.
Ove al momento della presentazione della domanda di ammissione al passivo del credito
fiscale, il titolo su cui esso si fondi sia definitivo – e, dunque, non più contestabile –, sarebbe così
precluso al giudice delegato il decidere in ordine ai fatti estintivi dell’obbligazione tributaria.
È il caso, ad esempio, della domanda di ammissione basata, quale titolo probatorio della
pretesa erariale, su una cartella recante iscrizione a ruolo di carichi tributari – in ipotesi prescritti
–, a suo tempo notificata al (solo) debitore in bonis, e da questi mai impugnata.
Il curatore potrebbe rilevare, in sede di progetto di stato passivo, l’eccezione di estinzione ex
art. 95 l. fall., e ciò sulla base degli elementi probatori di cui disponga – producendoli in giudizio
–, essendo egli parte processuale, sotto il profilo sostanziale, a tutela dell’interesse collettivo,
nell’ambito del procedimento di verifica dei crediti.
Sarebbe, però, impedita, al giudice delegato, ogni decisione circa le circostanze estintive
dell’obbligazione tributaria, attenendo, esse, all’an debeatur della pretesa erariale, non potendo
esser deciso, in ambito concorsuale, su di un titolo tributario definitivo – pur in mancanza di un
giudicato sul fatto estintivo dell’obbligazione tributaria.
A meno di non ritenere ammissibile – in deroga ai principi che informano il contenzioso
tributario – che la curatela possa impugnare avanti le commissioni un atto amministrativo
definitivo (l’ipotizzata cartella di pagamento notificata al solo debitore in bonis) o, addirittura, un
atto dalla natura non tributaria – qual è la domanda d’ammissione al passivo –, che non può,
all’evidenza, spiegar effetti se non in ambito endofallimentare.
A nostro avviso, peraltro, la prospettiva sulla prescrizione dovrebbe essere allargata, al fine
di ricomprendervi ogni altra questione che attenga ai profili estintivi dell’obbligazione fiscale
35 Cass., civ. sez. un., 19 novembre 2007, n. 23832; in senso conforme, fra le altre, v. Cass., civ. sez. VI, ord.
del 21 ottobre 2015, n. 21483: “è orientamento consolidato di questa Corte ritenere che l’attribuzione alle
commissioni tributarie – a norma dell’art. 2, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come sostituito dall’art. 12,
comma 2, L. 28 dicembre 2001, n. 448 – della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di
ogni genere e specie si estende ad ogni questione relativa all’“an” o al “quantum” del tributo, arrestandosi
unicamente di fronte agli atti della esecuzione tributaria; ne consegue che anche l’eccezione di prescrizione,
quale fatto estintivo dell’obbligazione tributaria, rientra nella giurisdizione del giudice che abbia
giurisdizione in merito alla predetta obbligazione (Cass., civ. sez. un., n. 23832/2007). Nel caso specifico il
giudice delegato ha rilevato illegittimamente la prescrizione e tale decisione è stata, erroneamente,
considerata legittima anche in sede di opposizione”.
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(pagamento, compensazione, condono, ecc.), valendo dunque, per ogni altro fatto estintivo, le
considerazioni sopra svolte con particolare riferimento alla prescrizione del credito tributario.
9. La compensazione fiscale nel fallimento
I creditori del fallito hanno diritto di compensare i propri debiti con i crediti verso il
medesimo, anche se non scaduti alla data del fallimento (art. 56, comma 1, l. fall.).
In quest’ultimo caso, la compensazione non può operare qualora il credito sia stato acquisito
per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento.
Presupposto della compensazione è che due soggetti siano debitori e creditori, in un dato
momento, l’uno dell’altro, per prestazioni omogenee.
Esistono varie tipologie di compensazione previste nel nostro ordinamento: quella legale,
quella giudiziale, quella volontaria ed infine quella fallimentare36.
La compensazione fallimentare ex art. 56 l. fall. rientra nella più ampia categoria civilistica,
soggiacendo agli stessi limiti e presupposti, per quanto adattati in funzione del concorso37.
La previsione di cui all’art. 56, comma 1, l. fall., secondo cui può essere opposto in
compensazione anche il credito non scaduto alla data del fallimento, rappresenta, in questo
contesto, una mera eccezione al generale requisito della “liquidità” dell’obbligazione38 39.
36 L’art. 1243, comma 1, cod. civ. disciplina la compensazione legale: essa opera per le obbligazioni aventi ad
oggetto somme di danaro o cose fungibili di egual genere, a condizione che entrambi i crediti siano liquidi,
esigibili, certi, non sottoposti a condizione, né indeterminati ovvero indeterminabili. La coesistenza delle
reciproche posizioni determina, peraltro, una situazione di (potenziale) “compensabilità” fra le obbligazioni,
cui deve seguire l’esercizio di un potere estintivo da parte di colui che ne abbia interesse (cd. eccezione di
compensazione). L’art. 1243, comma 2, cod. civ. disciplina la compensazione giudiziale: qualora il credito
opposto in compensazione sia non liquido, ma comunque di pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la
compensazione fra le obbligazioni nei limiti della parte del credito riconosciuta come liquida. La
compensazione volontaria è prevista dall’art. 1252 cod. civ.: essa può aver luogo per volontà negoziale, ove
anche non ricorrano le condizioni di cui sopra, potendo le parti pattiziamente stabilirne i termini. Circa gli
effetti della compensazione, per quella legale, le reciproche obbligazioni si estinguono dal giorno della loro
coesistenza, non potendo il giudice rilevarla d’ufficio: è dunque onere della parte che ne abbia interesse
eccepire la compensazione, anche in ambito giudiziale; la pronunzia del giudice, in questo caso, ha natura
dichiarativa. In caso di compensazione giudiziale, gli effetti estintivi sorgono dalla data del provvedimento
con il quale il giudice dichiari la compensazione: tale pronunzia ha natura costitutiva, con valenza ex nunc; gli
effetti estintivi non retroagiscono al momento dell’originaria coesistenza delle obbligazioni. In caso di
compensazione volontaria, gli effetti si verificano dal giorno stabilito nell’accordo negoziale, che ha natura
costitutiva. 37 G. CHINÉ-M. FRATINI-A. ZOPPINI, Manuale di diritto civile, Roma, 2015, p. 912. 38 M. TERENGHI, Il pagamento del fideiussore ed operatività della compensazione, in Fallimento, 1998, p. 98. 39 Tale “deroga” appare coerente con l’art. 1186 cod. civ., secondo cui l’insolvenza del debitore determina la
decadenza del termine dell’obbligazione: la sentenza di fallimento varrebbe, dunque, a rendere esigibile un
credito non liquido nei confronti del debitore insolvente M. FOSCHINI, La compensazione nel fallimento,
Napoli, 1965, p. 58 ss.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Del resto, ove il credito opposto in compensazione alla curatela fosse liquido ed esigibile al
momento dell’apertura del concorso, il creditore, trattandosi di compensazione legale,
realizzerebbe sin da subito l’effetto estintivo, potendosi limitare a dichiarare la compensazione e
sottraendosi, così, agli effetti del concorso, senza possibilità di revocatoria40.
La compensazione in ambito fallimentare costituisce una deroga al principio di par condicio
– o comunque al principio d’intangibilità del patrimonio fallimentare –, assicurando al creditore
che la eccepisca, un trattamento più favorevole rispetto agli altri creditori concorrenti41.
Occorre – perché operi la compensazione – che entrambe le obbligazioni siano anteriori alla
dichiarazione di fallimento42.
Non è dunque consentito al creditore in bonis eccepire in compensazione un credito verso il
fallito con un proprio debito sorto dopo l’apertura del concorso.
In questo senso, il creditore non può eccepire in compensazione verso la curatela che agisca
per la restituzione di somme oggetto di revocatoria (titolo sorto post fallimento), un credito
concorsuale43.
In ambito di fallimento opera anche la compensazione giudiziale: il giudice, accertata
l’anteriorità delle obbligazioni, nonché la loro omogeneità, può liquidare il credito del soggetto
in bonis e, nel contempo, negli stessi limiti, dichiarare con efficacia ex nunc l’avvenuta estinzione
dell’obbligazione del fallito44.
L’art. 56 l. fall. non prevede alcun limite temporale per l’esercizio del potere compensativo
nei confronti del fallito, ma si ritiene che la compensazione possa essere eccepita sino al momento
del passaggio in giudicato del decreto con il quale il giudice delegato dichiari esecutivo lo stato
passivo45.
Da tale momento, il credito sorto ante fallimento non eccepito in compensazione farebbe
dunque rientrare nei “ranghi” della concorsualità il credito medesimo.
La compensazione deve quindi essere accertata in sede di formazione del passivo, non
assumendo rilievo che l’eccezione sia stata sollevata in un precedente giudizio ordinario, in
ipotesi promosso dallo stesso debitore, ante fallimento46.
40 Cass., civ. sez. I, 17 luglio 1997, n. 6558. 41 P. PAJARDI-A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, p. 351 ss. 42 Cass., civ. sez. un., 2 novembre 1999, n. 755. 43 Cass., civ. sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518. 44 Cass., civ. sez. I, 12 giugno 2007, n. 13769. 45 R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1970, p. 858. 46 Cass., civ. sez. I, 27 marzo 2008, n. 7967.
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Il giudice fallimentare ha infatti competenza esclusiva sul rapporto obbligatorio: il giudizio
ordinario deve essere interrotto ed il procedimento “ricondotto” in ambito concorsuale47.
La compensazione civilistica – sino all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente – è
stata ritenuta inapplicabile alla materia tributaria (considerato il carattere indisponibile
dell’obbligazione tributaria, anche alla luce del divieto ex art. 1246, n. 3), cod. civ. in materia di
non compensabilità dei crediti impignorabili, fra cui appunto quelli fiscali).
L’art. 8, comma 1, L. 27 luglio 2000, n. 212, ha introdotto la possibilità che l’obbligazione
tributaria venga estinta mediante compensazione, secondo lo schema codicistico, per quanto
compatibile con i principi di diritto tributario48.
Secondo la Cassazione, l’art. 8, L. n. 212/2000 ha recepito “i generali canoni del codice civile
sull’estinzione per compensazione”, per quanto nei limiti “dell’applicabilità del relativo istituto,
secondo la normativa tributaria in vigore, solo nei casi specificamente contemplati […],
inequivocabilmente confermando che l’estinzione per compensazione del debito tributario si
determina allo stato della legislazione tributaria, solo se espressamente stabilita”49.
Il menzionato art. 8 ha peraltro rinviato per i profili applicativi ad una successiva
regolamentazione secondaria da emanarsi ex art. 17, comma 2, L. n. 400/1988 – regolamentazione
che non è stata poi, invero, adottata.
Il perimetro della compensazione fiscale è andato poi ampliandosi, con l’introduzione della
possibilità di compensare “orizzontalmente” i tributi diretti, e poi anche i tributi non omogenei
fra loro (compensazione fra tributi diretti ed IVA), nonché le prestazioni obbligatorie non aventi
natura tributaria (imposte locali, contributi previdenziali, diritti camerali, ecc.), peraltro con vari
limiti (cd. visto di conformità) e preclusioni (presenza di debiti iscritti a ruolo).
In ambito tributario è applicabile la sola compensazione legale, in presenza dei presupposti
ex art. 1243, comma 1, cod. civ.
È invece inapplicabile la compensazione giudiziale, ciò in quanto il giudice tributario non è
legittimato ad entrare nel merito delle modalità di adempimento dell’obbligazione fiscale.
Non è inoltre applicabile in ambito tributario la compensazione volontaria, a motivo
dell’inammissibilità di negoziazioni fra le parti in forma libera aventi ad oggetto obbligazioni
indisponibili, quali quelle tributarie.
47 Cass., civ. sez. un., 12 novembre 2004, n. 21499. 48 G. ROCCO, La compensazione dei tributi applicata alle procedure concorsuali. Principio di proporzionalità
del fermo amministrativo e delle fideiussioni nei rimborsi IVA, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 20847 ss. 49 Cass., civ. sez. V, 20 novembre 2001, n. 14579.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Anche nel fallimento, la compensazione fiscale opera nella misura in cui entrambe le
obbligazioni siano anteriori all’apertura del concorso, ma oltre al requisito della anteriorità al
concorso delle obbligazioni tributarie, deve inoltre sussistere il profilo della “certezza” delle
medesime.
Il credito tributario del fallito è certo qualora lo stesso sia venuto ad esistenza ante fallimento
per effetto di una norma di legge “agevolativa”, ovvero qualora il sottostante rapporto giuridico
sia divenuto definitivo per intervenuta decadenza dell’azione erariale, ovvero per riconoscimento
attestato dall’ente impositore, oppure in base a sentenza definitiva del giudice tributario.
Dubbi sussistono in ordine alla possibilità di compensare il credito derivante dalla
dichiarazione tributaria relativa ad un periodo d’imposta ante fallimento per il quale siano ancora
pendenti i termini per l’accertamento.
In dottrina è stato sostenuto che, in questo caso, non sussista né il requisito della liquidità, né
quello della esigibilità del credito50.
Mentre il primo requisito sembra, invero, sussistere, dal momento che l’entità del credito è
determinata nell’ammontare risultante dalla dichiarazione, il secondo requisito, in effetti, non
sussiste, in pendenza di termini ancora aperti per il vaglio erariale.
In ogni caso, il curatore che fosse autorizzato ad eccepire in compensazione un credito fiscale
“incerto” – ovvero non ancora definitivo –, assumerebbe il rischio delle conseguenze negative
dell’eventuale esito negativo del procedimento di accertamento, in termini di maggiori oneri
fiscali (sanzioni ed interessi) derivanti dall’utilizzo di un credito rivelatosi poi parzialmente o
totalmente inesistente.
Non può naturalmente essere utilizzato in compensazione il credito maturato in capo al fallito
per il quale, al momento dell’apertura del concorso, sia pendente il contenzioso tributario.
All’eventuale esito positivo del contenzioso fiscale, il credito generatosi ante fallimento potrà
essere compensato con il debito erariale del fallito, ove pure generatosi ante fallimento.
Altra questione è se il curatore possa utilizzare in compensazione per estinguere un debito
tributario sorto ante fallimento, un credito tributario sorto post fallimento (credito della massa).
Secondo la prassi erariale tale compensazione non può operare51.
50 P. RUSSO, La compensazione in materia tributaria, in Rass. trib., 2002, p. 1855 ss. 51 L’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 279/E del 12 agosto 2002, ha ricordato che l’Amministrazione
finanziaria, quale creditore “del soggetto fallito per carichi pendenti antecedenti il fallimento, ha diritto (alla
stregua degli altri creditori) ad insinuarsi al passivo, nella speranza di poter essere soddisfatta nel rispetto
degli eventuali privilegi concessi alla categoria dei crediti tributari”. Il curatore – ritiene l’Amministrazione
finanziaria – non può dunque estinguere il debito sorto in capo all’impresa ante fallimento con il credito (nel
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La tesi della inapplicabilità della compensazione fra debito tributario sorto ante fallimento e
credito tributario sorto post fallimento si fonda su tre motivi:
i) manca il requisito della comune anteriorità delle obbligazioni rispetto alla data di
apertura del fallimento;
ii) vi è lesione dei diritti dei creditori prededucibili (qualora l’attivo non sia sufficiente
per l’integrale loro soddisfacimento, vi sarebbe una lesione dei principi di graduazione
e proporzionalità ex art. 111-bis, comma 5, l. fall.);
iii) manca il requisito della reciprocità del rapporto tributario, sotto il profilo soggettivo
(il curatore sarebbe terzo rispetto al fallito).
La tesi erariale appare condivisibile, per quanto solo in relazione ai primi due punti
(assorbenti): non può essere evidentemente anteriore al fallimento un debito fiscale sorto per
effetto di operazioni poste in essere dalla curatela in corso di procedura: il requisito ex art. 56 l.
fall. (anteriorità delle obbligazioni), pertanto, non sussiste.
L’Erario come creditore concorsuale otterrebbe poi l’integrale soddisfacimento del proprio
credito in violazione, in primo luogo, del principio di par condicio fra creditori concorsuali, in
secondo luogo, dell’ordine di gradazione dei crediti ex art. 111, comma 1, l. fall.
Quanto all’ultimo motivo, la curatela non è invero “terza” rispetto al debitore, dal momento
che, come ricordato, la procedura non rappresenta un autonomo soggetto d’imposta rispetto
all’imprenditore (del resto, è lo stesso patrimonio del debitore ad esser destinato al
soddisfacimento dei creditori)52.
caso in esame, tributo IVA) maturato in pendenza di procedura, siccome “destinato alla massa fallimentare,
cui l’Amministrazione partecipa per la propria quota”. Secondo l’Erario non può quindi “operare la
compensazione fra il credito verso il fallito ed il debito verso la massa, poiché lo stesso art. 74-bis, commi 1
e 2, D.P.R. n. 633/72 distingue nettamente fra le operazioni effettuate anteriormente alla dichiarazione di
fallimento e quelle successive all’apertura della procedura; in tale situazione infatti le posizioni del rapporto
debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti diversi (fallito – massa fallimentare) e a momenti
diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento (anteriore il credito, posteriore il debito) con conseguente
illegittimità della eventuale compensazione, fatta eccezione per l’ipotesi in cui il credito vantato dalla
procedura derivi, per effetto del trascinamento, dall’attività del fallito precedente all’apertura della procedura
concorsuale. In tale ultima ipotesi, peraltro, la compensazione potrà essere operata in misura comunque non
superiore alla quota del credito vantato dalla procedura che effettivamente tragga origine dall’esercizio
dell’impresa commerciale ante dichiarazione di fallimento”. 52 La stessa Cassazione, con riferimento alla compensazione tributaria in sede fallimentare, ritiene invero non
sussistente il requisito di reciprocità fra procedura e debitore fallito, considerando la massa fallimentare
funzionalmente terza rispetto all’imprenditore spossessato: v., fra le altre, Cass., civ. sez. I, 14 ottobre 1998,
n. 10140.
Pag. 29 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
La curatela può invece, pacificamente, operare la compensazione fiscale – secondo lo schema
di cui all’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997 – fra crediti e debiti tributari sorti nel corso della procedura
concorsuale.
Fra l’altro, in questo caso, non rappresenta fatto preclusivo all’applicabilità della
compensazione fiscale l’eventuale sussistenza di debiti tributari sorti ante fallimento, iscritti a
ruolo nei confronti del debitore fallito53.
Il credito dell’Amministrazione finanziaria sorto nel corso della procedura rappresenta,
infine, un credito prededucibile, che dev’essere soddisfatto nei modi e termini di cui all’art. 111,
comma 3 l. fall.54.
Per ulteriori approfondimenti, e per l’esame di talune fattispecie concrete, v. cap. 24.3
10. Le sanzioni tributarie in ambito concorsuale
Il regime delle sanzioni tributarie di natura amministrativa è attualmente informato a principi
di stampo penalistico (afflittività della “pena”).
In ambito tributario, la sanzione ha la finalità di favorire il rispetto degli obblighi posti a carico
dei soggetti passivi e/o dei terzi previsti dalla legge, prevenendo, ed all’occorrenza reprimendo,
le condotte che violino la norma fiscale.
Le sanzioni sono disciplinate dai D.Lgs. 18 dicembre 1997, nn. 471, 472 e 473.
Tale normativa ha apportato radicali modifiche al previgente sistema sanzionatorio (L. 7
gennaio 1929, n. 4, recante “Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi
finanziarie”), introducendo principi generali di stampo penalistico.
La logica risarcitoria, che aveva ispirato il precedente testo normativo, ha così lasciato il
campo in favore di una nuova concezione afflittiva della sanzione55..
53 In questo senso, l’Agenzia delle Entrate, con la ricordata circolare n. 13/E dell’11 marzo 2011, ha precisato
che, in caso di procedure concorsuali, “la presenza di debiti erariali iscritti a ruolo nei confronti del fallito,
scaduti e non pagati, ma maturati in data antecedente all’apertura della procedura concorsuale, non si ritiene
sia causa ostativa alla compensazione tra i crediti e i debiti erariali formatisi, invece, nel corso della
procedura stessa”. 54 V. anche Agenzia delle Entrate, circolare n. 13/E dell’11 marzo 2011. 55 Per un quadro sulla disciplina recata dal D.Lgs. n. 472/1997 in tema di sanzioni amministrative tributarie,
cfr. F. BATISTONI FERRARA, Il nuovo sistema sanzionatorio: principi generali (legalità, favor rei, imputabilità,
colpevolezza, cause di non punibilità), in Il fisco, 1999, p. 11354 ss.: A. GIOVANNINI, Sui principi del nuovo
sistema sanzionatorio non penale in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 1997, I, p. 1188 ss.; R. LUPI, Prime
osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 1998, p. 328 ss.; L. DEL
FEDERICO, Introduzione alla riforma delle sanzioni amministrative tributarie: i principi sostanziale del D.Lgs.
n. 472/1997, in Riv. dir. trib., 1999, I, p. 107 ss.
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Il D.Lgs. n. 472/1997 (“Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le
violazioni di norme tributarie”) ha eliminato la bivalenza in termini di pena pecuniaria/sopratassa,
già prevista dalla L. n. 4/1929, introducendo l’unitaria sanzione pecuniaria, talvolta
accompagnata da sanzioni accessorie (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997: “le sanzioni
amministrative previste per la violazione di norme tributarie sono la sanzione pecuniaria,
consistente nel pagamento di una somma di denaro, e le sanzioni accessorie”).
La sanzione pecuniaria consiste nel pagamento di una determinata somma di denaro, che la
legge prevede d’ammontare fisso o variabile, tra un minimo ed un massimo, in funzione del
tributo cui afferisce.
Con riferimento al fallimento, il tema è se le sanzioni amministrative siano
comminabili/applicabili in sede concorsuale e se, una volta contestate ed irrogate da parte
dell’Amministrazione finanziaria, il relativo credito possa essere ammesso al passivo.
Si tratta della questione se il credito sanzionatorio “concorsuale” (ovvero correlato a
violazioni commesse dal debitore ante fallimento, ove anche non contestate al momento
dell’apertura della procedura), possa concorrere nel fallimento, così partecipando alle ripartizioni
dell’attivo patrimoniale.
Il tema presuppone una risposta alla preliminare domanda se il nostro ordinamento preveda
una causa di “esclusione” di applicabilità delle sanzioni nel caso in cui il contribuente venga a
trovarsi in stato di insolvenza – condizione, fra l’altro, talvolta aggravata, se non determinata,
proprio dalla mancata erogazione di pagamenti e/o rimborsi da parte dell’Amministrazione
finanziaria.
Attualmente non vi è alcuna norma di legge che preveda una causa d’esclusione per il caso
che il contribuente versi in stato di insolvenza.
Peraltro, la Corte Costituzionale, già prima dell’introduzione del sistema sanzionatorio ex
D.Lgs. n. 472/1997, aveva affermato che l’assenza di una generale causa d’esclusione da
responsabilità tributaria legata a motivi economici del contribuente, non fosse contraria ai dettati
costituzionali56.
56 Corte Cost., ordinanza del 13 aprile 1994, n. 140; la Consulta, giudicando su un’eccezione di illegittimità
costituzionale dell’art. 92, D.P.R. n. 602/1973 (peraltro poi soppresso dal D.Lgs. n. 471/1997 nell’ambito
dell’introduzione del nuovo regime delle sanzioni tributarie amministrative) nella parte in cui sanzionava il
ritardo nel pagamento del tributo ove pure lo stesso fosse stato determinato da impossibilità economica del
contribuente, per contrasto con l’art. 3, Cost. – considerato che, altrimenti, vi sarebbe stato un trattamento
ingiustificatamente discriminato rispetto a quello riservato al contribuente nella sostanzialmente non diversa
ipotesi di mancato pagamento d’imposta da riscuotere mediante ruolo ex art. 97, comma 5, D.P.R. n. 602/1973
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Si segnalano, tuttavia, orientamenti della giurisprudenza di merito tendenti ad escludere la
responsabilità fiscale sanzionatoria in capo al debitore insolvente57.
Tale tesi ha preso impulso da quell’orientamento dottrinario il quale, enfatizzando gli aspetti
“personalistici” della sanzione, ha ricondotto nella prospettiva concorsuale l’inadempimento
tributario sulla base di canoni patrimoniali, tipici del diritto civile.
La violazione della norma tributaria, pertanto, a motivo della “terzietà” della procedura
concorsuale rispetto all’autore dell’illecito (il debitore, con condotta posta in essere ante
fallimento), genererebbe solo un diritto di credito a titolo d’interessi, secondo le misure fissate
dalla legge, e non anche un diritto di credito a titolo di sanzioni.
Le stesse sarebbero dunque inopponibili nei confronti della massa58.
Contrasta, del resto, con le regole sostanziali del concorso che l’ente impositore faccia valere
il proprio credito sanzionatorio in sede fallimentare, quando lo stesso è piuttosto riconducibile ad
–, ha statuito la sussistenza nel nostro ordinamento d’un generale principio di irrilevanza delle difficoltà
economiche del debitore ai fini della non imputabilità dell’inadempimento, principio generale rispetto al quale
la (poi soppressa) norma esimente ex art. 97, comma 5, D.P.R. n. 602/1973 ha carattere derogatorio (“ciò di
per sé comporta la manifesta inammissibilità della odierna questione, stante che nel rapporto tra norma
generale e norma derogatoria, la seconda può bensì formare oggetto ma non anche invece essere utilizzata
come tertium comparationis nel giudizio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost. […] i
rilievi di merito del giudice a quo non possono quindi trovare altro interlocutore che il legislatore”). 57 Cfr. Comm. Trib. Reg. Lazio, 20 giugno 2012, secondo la quale l’impossibilità economica finanziaria (causa
di forza maggiore), nel caso trattato dovuta anche a ritardi nei pagamenti da parte dell’Amministrazione
pubblica, “costituisce esimente dall’applicazione delle sanzioni pecuniarie amministrative in considerazione
del difetto del requisito della colpevolezza prevista dall’art. 5, D.Lgs. del 18 dicembre 1997, n. 472 e pertanto
le stesse vanno annullate”; annotando tale pronunzia, in senso peraltro solo in parte adesivo, A. GIOVANNINI,
Impossibilità di pagare le imposte nelle imprese in crisi: la forza maggiore esclude la pena?, in Corr. trib.,
2012, p. 3253 ss., rileva come sulla base dei principi generali ex D.Lgs. n. 472/1997 il sistematico
inadempimento tributario costituisca, in ogni caso, condotta connotata da colpa grave (art. 5, comma 3, D.Lgs.
n. 472/1997), mentre è solo l’inadempimento occasionale che può connotare la condotta da colpa semplice:
“pare innegabile un fatto: in ragione dell’art. 5, comma 3, all’omesso versamento si accompagna sempre la
responsabilità sanzionatoria del suo autore, quale che esso sia e quale che sia il regime soggettivo di
responsabilità”; peraltro, l’A., con particolare riferimento al mancato versamento di tributi propri (e non di
ritenute ed imposte in via di rivalsa), rileva che l’inadempimento motivato da impossibilità economica potrebbe
assumere rilevanza sotto il profilo della giustificazione dell’antigiuridicità della condotta, anche tenuto conto
della pluralità degli obblighi/doveri in capo all’imprenditore, tutti giuridicamente rilevanti, il cui
inadempimento tende però a produrre conseguenze tra loro difformi: “così, ad esempio, nel conflitto che
potrebbe sorgere tra obbligo al pagamento delle retribuzioni e obbligo al pagamento dell’imposta, la
preferenza all’adempimento del primo potrebbe giustificare, a garanzia del diritto alla retribuzione quale
principio costituzionalmente rilevante ai sensi dell’art. 36 della Carta, ma anche a garanzia dell’attività
d’impresa, l’omesso versamento dell’imposta, potendo divenire inesigibile. A condizione, ovviamente, che,
anche in questa circostanza, sia provata l’impossibilità di recuperare altrimenti risorse finanziare necessarie
all’adempimento”; in senso conforme: Comm. Trib. Prov. Lecce, 23 luglio 2010. 58 V., sul punto, G. SELICATO, L’applicazione delle sanzioni tributarie nelle procedure concorsuali di tipo
liquidatorio, in F. PAPARELLA (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in
crisi, cit., p. 457 ss.
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una condotta, per quanto illecita, pur sempre imputabile in via personale e diretta al solo debitore
d’imposta.
È stato, così, rilevato che “nel caso delle procedure concorsuali, all’adempimento delle pene
pecuniarie che sono state irrogate si deve procedere attingendo dalla cd. massa attiva. Viene
così palesemente contraddetta la naturale funzione delle sanzioni medesime che, infatti, finiscono
in tal modo con il punire non più il soggetto autore della violazione, bensì i creditori, a
decremento dei cui diritti soltanto va la pretesa avanzata da parte dell’Erario: la sanzione,
allora, non assolve più a nessuna reale funzione afflittiva ma colpisce (del tutto irrazionalmente)
soggetti assolutamente estranei alla condotta che si ritiene illecita”59.
Di talché, gli organi della procedura – ed il giudice delegato, in particolare – dovrebbero
“prendere posizione su quello che si profila come un possibile contrasto tra norme e (prassi)
procedimentali e principi di diritto”, regolando dunque i vari interessi in gioco60.
In realtà, come già ricordato, in ambito concorsuale non vi sarebbe alcuna possibilità per gli
organi della procedura di decidere circa la debenza e/o l’opponibilità alla massa del credito
erariale sanzionatorio, tenuto conto del principio di esclusività della giurisdizione tributaria.
Ove l’ente impositore agisca in sede di verifica dei crediti sulla base di un idoneo titolo
definitivo, il giudice fallimentare si limita ad ammettere il credito sanzionatorio, senza alcuna
questione né rilievo, nel merito, sul rapporto tributario.
Ove, al contrario, l’ente impositore agisca sulla base di un titolo non definitivo, la domanda
sarà ammessa al passivo con riserva ex art. 88, comma 2, D.P.R. n. 602/1973, riserva che sarà poi
sciolta all’esito del procedimento tributario, ove anche introdotto dalla stessa curatela
fallimentare.
Dunque, solo nella sede del contenzioso tributario potrebbe essere mossa, da parte della
curatela, ogni contestazione circa l’insussistenza del diritto alla percezione delle sanzioni,
valutata la natura della pena pecuniaria (afflittività della sanzione, mancanza dei requisiti di
59 Così, F. DAMI, Alcune riflessioni sull’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie nelle procedure
concorsuali, in Rass. trib., 2002, p. 1288 ss. 60 G. SELICATO, L’applicazione delle sanzioni tributarie nelle procedure concorsuali di tipo liquidatorio, cit.,
p. 463; secondo tale A., il curatore fallimentare, avrebbe titolo in sede di formazione del progetto di stato
passivo, per prender posizione sulla questione della opponibilità alla massa della pretesa erariale sanzionatoria,
in funzione della “capienza” dell’attivo fallimentare, nella prospettiva della tutela delle ragioni degli altri
creditori concorsuali.
Pag. 33 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
personalità, imputabilità, ecc.), eventualmente sollevando le varie questioni di illegittimità
costituzionale in funzione del sistema concorsuale61.
Tornando, dunque, alla domanda iniziale – ovvero se il nostro ordinamento tuteli, sotto il
profilo della sussistenza di cause “esimenti”, l’imprenditore insolvente –, dovrebbe darsi risposta
negativa.
Il debitore d’imposta non è liberato dalle conseguenze sanzionatorie qualora il proprio
inadempimento sia dipeso da situazioni legate a proprie oggettive difficoltà finanziarie, anche se
le ipotesi di illegittimità costituzionale fin qui sollevate non appaiono, invero, esaustive delle
possibili ipotesi cui sopra si è accennato62.
In particolare, non sembra essere stato sufficientemente sviluppato il tema della illegittimità
costituzione della normativa sanzionatoria tributaria, in ambito fallimentare, alla luce della
qualifica di creditore professionale dell’Erario, particolarmente competente e dotato di adeguate
capacità per intercettare preventivamente lo stato di dissesto del suo creditore.
L’Amministrazione finanziaria, “consentendo” che l’imprenditore in dissesto incrementi il
proprio debito tributario attraverso il mancato adempimento degli obblighi di versamento, viene
a beneficiare del proprio ruolo di creditore privilegiato, anche per le sanzioni (salvo i tributi
locali), contribuendo ad assorbire l’attivo patrimoniale in danno dei chirografari (fra l’altro
vanificando entrambi i ruoli, preventivo ed afflittivo, della sanzione tributaria).
61 Peraltro, in ordine al merito di tali profili, la Cassazione, ha avuto più volte modo di ritenere come lo stato
di dissesto dell’imprenditore non sia idoneo ad integrare alcuna causa d’esclusione della responsabilità
sanzionatoria conseguente al mancato assolvimento degli obblighi tributari. V. Cass., civ. sez. V, 16 febbraio
2010, n. 3569; con tale pronunzia, peraltro relativa a fattispecie occorsa nella vigenza del regime sanzionatorio
ex L. n. 4/1929, la Corte, nel confermare quanto statuito dai giudici tributari di seconde cure, ha rilevato che
“lo stato di dissesto di un’azienda, ancorché possa essere stato influenzato anche da fattori esterni, non può
essere però considerato fatto eccezionale e soprattutto non può essere considerato estraneo alla condotta
dell’imprenditore e non imputabile alle sue capacità di valutazione dei fattori economici e di rischio”, con la
conseguenza che “il successivo assoggettamento a procedure concorsuali deve ritenersi originato da azioni,
valutazioni, previsioni e da quant’altro caratterizza la conduzione dell’impresa e non già dal caso ovvero da
forza maggiore”. 62 Propende per un’ipotesi “sospensiva” degli effetti d’esigibilità della sanzione in vista del ritorno in bonis
dell’autore della violazione cui la sanzione sia correlata, M. MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, cit., p.
45, che, sul punto, rileva: “premesso che lo stato di decozione in cui versa l’imprenditore successivamente
fallito non può rientrare nel concetto di forza maggiore che esclude la punibilità ai sensi dell’art. 6, D.Lgs. n.
472/1997, l’unica soluzione praticabile, nonché doverosa a pena di svelare significativi sospetti di illegittimità
costituzionale delle norme attuali per violazione del canone di ragionevolezza, sembra essere il differimento
dell’esigibilità del credito sanzionatorio al momento in cui, eventualmente e forse oggi non più
eccezionalmente, il fallito tornerà in bonis”. In senso conforme: F. DAMI, Alcune riflessioni sull’applicazione
delle sanzioni amministrative tributarie nelle procedure concorsuali, cit., p. 1288 ss.
Pag. 34 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Ciò non di meno, il principio di par condicio creditorum è assicurato, in primo luogo, dalla
legge, con la graduazione delle singole cause di prelazione, nell’ambito delle quali il diritto alla
sanzione trova espressa collocazione; in secondo luogo, dalle regole del concorso, tanto
soggettivo quanto oggettivo, cui pure deve uniformarsi l’azione erariale63.
D’altra parte, il più volte richiamato principio di “continuità” fra attività d’impresa ante e post
fallimento (anche l’attività liquidatoria è attività d’impresa), fa sì che la procedura subisca una
sorta di “trascinamento”, in seno al patrimonio fallimentare, del debito sanzionatorio
consolidatosi in capo al debitore in bonis.
11. L’ipoteca fiscale
Si discute se l’ipoteca esattoriale ex art. 77, D.P.R. n. 602/1973 sia da ricondurre nel seno di
una delle tre categorie d’ipoteca previste dall’art. 2808, comma 3, cod. civ. (legale, giudiziale o
volontaria).
Argomento da cui discende l’ulteriore questione se l’ipoteca esattoriale sia revocabile ex art.
67 l. fall.
La giurisprudenza di merito, sul tema, appare divisa.
Dopo alcune pronunzie attestatesi sulla tesi della riconducibilità a schema legale dell’ipoteca
fiscale e, dunque, sulla irrevocabilità della stessa64, la Suprema Corte è arrivata a confermare la
non revocabilità dell’ipoteca fiscale, qualificando la stessa quale quartum genus rispetto alle tre
categorie ex art. 2808 cod. civ.65.
La suddetta ricostruzione esclude che l’ipoteca fiscale possa essere ricondotta nell’ambito
dell’ipoteca volontaria, difettando – all’evidenza – ogni intendimento adesivo da parte del
debitore d’imposta.
Quanto al modello legale, la Corte segnala come mentre quest’ultima afferisca, sotto il
profilo dell’oggetto della garanzia, a ben individuati beni e/o diritti del concedente, l’ipoteca
fiscale interessa l’universalità del patrimonio immobiliare del contribuente e, d’altra parte,
rispetto alla officiosità che caratterizza l’ipoteca legale (iscrizione “automatica” della stessa in
63 In senso conforme, F. PAPARELLA, La partecipazione delle sanzioni amministrative tributarie al riparto
nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 2015, p. 598 ss. 64 Cass., civ. sez. I, 9 aprile 1999, n. 3462, con riferimento ad ipoteca iscritta ex art. 26, L. n. 4/1929. 65 Cass., civ. sez. I, 1° marzo 2012, n. 3232.
Pag. 35 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
assenza di necessari impulsi da parte di terzi), quella fiscale presuppone un’autonoma iniziativa
da parte dell’ente impositore.
La modalità d’iscrizione del gravame (impulso del creditore) e l’universalità dell’oggetto
della garanzia, potrebbero indurre – secondo la Suprema Corte – ad accostare l’ipoteca fiscale a
quella giudiziale.
E però, rispetto a quest’ultima, l’ipoteca fiscale si differenzia sotto il profilo della natura
della fonte e/o del titolo giuridico della garanzia: il provvedimento giudiziale, in un caso, la
potestà amministrativa, dall’altro66.
La Cassazione ha dunque sottolineato la peculiarità del credito tributario, il quale,
diversamente dai crediti “comuni”, è connaturato da un intrinseco potere di officiosità (esecutività
del titolo).
Resta il fatto che l’ipoteca fiscale non è applicabile al solo ambito tributario: essa assiste
infatti il ruolo esattoriale tout court, e dunque va oltre l’ambito di applicazione dei crediti fiscali.
Secondo l’attuale assetto normativo, sono riscossi a mezzo ruolo non solo i tributi, ma anche
altre entrate pubbliche, fondate su titoli aventi efficacia esecutiva ex lege (contributi
previdenziali, sanzioni al codice della strada, ecc.), nonché, in via residuale, entrate riconducibili
a società di natura “privatistica”, per quanto partecipate da enti pubblici.
È quindi non revocabile l’ipoteca esattoriale ove anche attenga ad entrate non tributarie?
Tale ipoteca sarebbe non revocabile, ma solo a condizione di ricondurla nello schema
dell’ipoteca legale, ma, abbiamo visto, come sussistano – secondo la stessa Cassazione – obiettive
differenze fra l’ipoteca esattoriale e l’ipoteca legale.
Peraltro, anche a volere inquadrare l’ipoteca fiscale nello schema legale, la non revocabilità
potrebbe essere coerente con riferimento alle entrate non tributarie fondate su un titolo esecutivo
ex lege (es., contributi previdenziali).
66 In conclusione, secondo la Corte, “non è ravvisabile alcun motivo di ordine logico o giuridico che imponga
la necessità di comprendere l’ipoteca iscritta ex art. 77, D.P.R. n. 602/1973, sulla base dell’esistenza di un
titolo esecutivo costituito da un atto amministrativo, nell’ambito delle qualificazioni risultanti dal codice civile
e non v’è ragione per negarne una propria autonomia: l’ipoteca ex art. 77 non può essere compresa in alcuna
di tali categorie e, conseguentemente, la stessa non può essere suscettibile di revoca in sede fallimentare. La
correttezza della soluzione rappresentata si trae pure dalla peculiarità della natura del credito fatto valere e
dalla disciplina di favore a vantaggio del creditore che il legislatore, in ragione della qualità del creditore,
ha nella specie inteso attuare” (in senso conforme: Cass., civ. sez. I, 14 aprile 2015, n. 7503; Cass., civ. sez.
I, 9 gennaio 2014, n. 325; Cass., civ. sez. I, 5 marzo 2012, n. 3397).
Pag. 36 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Ma, non convincente sarebbe considerare non revocabile l’ipoteca esattoriale costituita a
garanzia di crediti relativi ad entrate di natura privatistica, prive cioè di un titolo esecutivo ex
lege.
In questo caso, la irrevocabilità tour court dell’ipoteca esattoriale prospettata dalla
Cassazione porrebbe dunque qualche dubbio in relazione alla legittimità costituzionale dell’art.
67, primo comma, n. 4), l. fall., in relazione all’art. 3 Cost., là dove valesse ad esentare da
revocatoria fallimentare le ipoteche esattoriali costituite a garanzia di crediti iscritti a ruolo aventi
natura “privatistica”67.
67 In senso conforme: F. GALLIO-F. TERRIN, Esclusa la revocatoria fallimentare sulla ipoteca esattoriale: ma
i problemi sono tutti risolti?, in Corr. trib., 2012, p. 1791 ss.
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PARTE SECONDA
LA DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO
12. Premessa
L’accertamento dei crediti tributari nell’ambito delle procedure concorsuali non è di facile
interpretazione in considerazione del difficile equilibrio tra normativa fallimentare e normativa
tributaria, in un quadro di giustapposizione dialettica tra profili di (reciproca) specialità e
contrastanti interpretazioni giurisprudenziali.
Il concorso dei creditori (art. 52 l. fall.), la legittimazione ai fini della presentazione del
ricorso per la dichiarazione di fallimento e per l’insinuazione al passivo (87, D.P.R. n. 602/1973),
l’ammissione con riserva (art. 88, D.P.R. n. 602/1973), hanno inevitabilmente generato una
sostanziale ambiguità circa l’idoneità del titolo recante la pretesa tributaria ai fini della
partecipazione al concorso, con orientamenti sempre in divenire della prassi giurisprudenziale.
Emblematicamente, si ricordano in questa sede due sentenze della Cassazione che, per le
soluzioni giuridiche raggiunte, possono ritenersi diametralmente opposte.
Una più risalente (Cass., sez. civ. I, 17 giugno 1998, n. 6032): “in caso di fallimento del
contribuente, presupposto indefettibile dell’ammissione al passivo del credito portato dalla
cartella esattoriale è la notifica della stessa al curatore fallimentare, al fine di consentirgli di
eventualmente proporre ricorso contro il ruolo, così che i tributi iscritti siano ammessi con la
“riserva” prevista dall’art. 45, comma 2, D.P.R. n. 602/1973” (oggi, art. 88, D.P.R. n. 602/1973).
Tale orientamento si fonda sul fatto che la mancata notifica della cartella di pagamento
sottrarrebbe, indebitamente, alla massa dei creditori, la facoltà d’impugnativa del titolo azionato.
Un’attenta lettura della parte motiva della sentenza rende possibile l’enucleazione dei
seguenti principi:
- è necessaria la preventiva notifica della cartella di pagamento;
- solo dopo la notifica della cartella di pagamento, il contribuente può proporre ricorso
dinanzi alla commissione tributaria (sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice
tributario nelle controversie in materia di imposte);
- una volta impugnata la cartella di pagamento, il relativo credito deve essere ammesso
al passivo con riserva ex art. 88, D.P.R. n. 602/1973.
Pag. 38 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Altra più recente sentenza (Cass., civ. sez. lav., 26 febbraio 2008, n. 5063), secondo cui,
ai fini dell’ammissione al passivo, sarebbe sufficiente l’iscrizione a ruolo, come portata a
conoscenza del curatore tramite presentazione della domanda di ammissione al passivo, poiché
“le contestazioni possono essere dal curatore fallimentare avanzate ugualmente, come evidenzia
il testo delle citate disposizioni, contro il ruolo”.
Tale orientamento è confortato dagli ultimi arresti della Corte: il contribuente può
impugnare anche la (sola) comunicazione di “una ben individuata pretesa tributaria”68, senza
necessità che la stessa rivesta la forma autoritativa, tipica degli atti impugnabili ex art. 19 D.Lgs.
n. 546/1992.
Si assiste dunque ad una interpretazione estensiva in ordine a quale sia l’atto impugnabile,
sul presupposto che determinati provvedimenti dell’ente impositore e/o dell’agente della
riscossione, pur non rientrando fra gli atti “tipici” previsti dalla legge, siano agli stessi equiparati,
almeno sotto il profilo sostanziale.
In questa direzione, secondo la Cassazione la curatela ha facoltà di proporre impugnazione
anche avverso il solo estratto di ruolo, dal momento che tale provvedimento amministrativo
rappresenta una puntuale riproduzione (per quanto parziale, ma pur sempre riferibile al debitore
d’imposta) del ruolo69.
13. Il concorso del creditore erariale: evoluzione della giurisprudenza
La lettura delle linee interpretative sopra richiamate suscita alcuni spunti di riflessione.
Il ragionamento logico-giuridico sotteso al più recente orientamento della Suprema Corte – ai
fini dell’insinuazione del credito erariale sarebbe sufficiente la mera iscrizione a ruolo, veicolata
per mezzo della domanda d’ammissione al passivo – può ingenerare nell’operatore del diritto
difficoltà ad individuare la decorrenza del dies a quo ai fini della impugnabilità del ruolo (che si
ipotizza allegato alla domanda d’ammissione).
Anche nella prospettiva della autonoma impugnabilità del ruolo (del resto sancita dallo stesso
art. 19, D.Lgs. n. 546/1992), occorre tener presente la norma prevista dall’art. 21, comma 1, stesso
decreto: il ricorso contro l’atto impositivo deve essere proposto, a pena d’inammissibilità, entro
68 Cass., civ. sez. un., 27 gennaio 2010, n, 1625; in senso conforme: Cass., civ. sez. un., 1° luglio 2010, n.
15647. 69 V., fra le altre, Cass., civ. sez. V, 19 gennaio 2010, n. 724.
Pag. 39 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
sessanta giorni dalla sua notificazione, e “la notificazione della cartella di pagamento vale anche
come notificazione del ruolo”.
Da una prima lettura della richiamata disposizione si deduce che il contribuente possa
azionare il mezzo di tutela giudiziaria dinanzi alla competente commissione tributaria solo in
presenza di una regolare notificazione e che, il ruolo, può essere veicolato solo a mezzo della
relativa cartella di pagamento – diversamente, il ruolo non avrebbe efficacia esterna.
Solo la notifica della cartella permette, infatti, la conoscenza legale dell’atto, tantoché il
legislatore ha previsto a carico del notificatore modalità di esecuzione ben precise, il cui mancato
rispetto determina la nullità e/o l’inesistenza della notifica.
Ai sensi dell’art. 18, D.Lgs. n. 46/1999, si applicano alla riscossione coattiva delle entrate
statali, qualsiasi sia la natura della somma iscritta a ruolo (salvo eccezioni previste dalla legge),
le disposizioni in materia di notifica della cartella di pagamento, ex art. 26, DPR n. 602/1973.
Tale norma opera un rinvio residuale alle disposizioni in materia di avviso d’accertamento ai
fini delle imposte su redditi (art. 60, DPR n. 600/1973), così recependo le disposizioni previste
dal codice di rito in tema di notificazione degli atti.
Il deposito in cancelleria della domanda d’ammissione al passivo, unitamente all’allegato
“informale”, qual è l’estratto di ruolo, non pare concretizzare alcuna ipotesi di notificazione del
titolo recante la pretesa tributaria né, tanto meno, permette – al curatore – di determinare, con la
ragionevole certezza richiesta dal rito concorsuale, la data di conoscenza (legale) ai fini della
impugnabilità dell’atto.
L’agente della riscossione può depositare l’istanza di ammissione al passivo prima dei trenta
giorni dall’udienza di verifica, ed il curatore può depositare il relativo progetto di stato passivo
prima dei quindici giorni dalla richiamata udienza.
E proprio in ragione di questa “elasticità” dei termini rilevanti ai fini dell’ammissione al
passivo (la norma fallimentare prevede solo dies ad quem), non v’è alcuna certezza in ordine al
momento in cui il curatore prenda giuridica conoscenza della “pretesa” tributaria correlata alla
domanda d’ammissione al passivo (dies a quo per impugnare).
La domanda di ammissione al passivo, in ogni caso, non dovrebbe essere idonea a sostituire
l’atto di notifica della cartella di pagamento, presupposto necessario – come visto – ad attribuire
efficacia (esterna) al ruolo.
Le argomentazioni favorevoli all’ammissione del credito sulla base della sola iscrizione a
ruolo, senza preventiva notificazione della cartella di pagamento, si fondano sull’interpretazione
Pag. 40 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
letterale dell’art. 87, comma 1, D.P.R. n. 602/1973 (“Il concessionario chiede, sulla base del ruolo
[…] l’ammissione al passivo della procedura”).
Potrebbe ritenersi, in prima battuta, che la volontà del legislatore sia stata quella di ritenere
legittimato a presentare la domanda d’ammissione al passivo, ove alla data d’apertura del
concorso fosse già stato sottoscritto il ruolo, non già l’ente impostore, bensì l’agente della
riscossione.
Il quale, in ogni caso, dovrebbe procedere alla notifica al curatore della cartella di pagamento,
tanto più ove la stessa non fosse stata notificata al debitore in bonis.
In realtà, sostenere che la domanda erariale possa essere ammessa al passivo sulla base del
ruolo non esclude che lo stesso non debba essere portato a conoscenza del curatore mediante
notifica della cartella, e ciò alla luce dell’art. 25, D.P.R. n. 602/1073.
Tale norma obbliga l’agente della riscossione, una volta ricevuto il ruolo dall’ente impositore,
a notificare al contribuente la cartella di pagamento.
D’altra parte, in base alla lettera dell’art. 24, D.P.R. n. 602/1973, il ruolo è atto amministrativo
interno, per quanto a formazione plurima, privo dunque di rilevanza esterna (è indirizzato
all’agente della riscossione).
E solo ove il ruolo sia “incorporato” nella cartella di pagamento, recante la sintesi inerente
alla singola posizione debitoria, ex art. 6, D.M. 03/09/1999 n. 321, lo stesso può costituire – e
ritenersi – atto recettizio.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità, in un primo momento, si era pronunziata, sulla
natura procedimentale, e quindi non impositiva, del ruolo70.
Tuttavia, la Cassazione, con la successiva, richiamata sentenza n. 724/2010, ha mutato il
proprio orientamento, giungendo a ritenere che l’estratto sia atto autonomamente impugnabile,
anche se non ricompreso nell’elenco tassativo di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992.
Tale mutamento trova fondamento sul fatto che l’estratto costituisce una parziale riproduzione
del ruolo, e cioè di uno degli atti impugnabili ex art. 19, D.Lgs. n. 546/1992.
Appare peraltro opportuno segnalare come l’Amministrazione finanziaria, in sede di
motivazioni del ricorso oggetto della decisione de qua, avesse sostenuto che, ai sensi dell’art. 19,
commi 1-3, D.Lgs. n. 546/1992, non sarebbe consentita l’impugnazione dell’estratto di ruolo.
Ai sensi dell’art. 7, L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente), ogni atto impositivo deve
contenere la cd. clausola d’impugnazione: la linea di demarcazione tra atto impugnabile ed atto
70 Cass., civ. sez. un., 12 novembre 2004, n. 21498.
Pag. 41 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
non impugnabile, è data dalla espressa indicazione, nel provvedimento amministrativo, di
modalità, termini e giudice cui sia possibile ricorrere.
In assenza di tale clausola, l’atto non sarebbe impugnabile, avendo natura non impositiva: tale
sarebbe, allora (non impugnabile), l’estratto di ruolo, che tali indicazioni non contenga
Non da ultimo, il legislatore, quando ha inteso prevedere l’autonoma impugnabilità del ruolo,
l’ha fatto in modo espresso, prevedendo la possibilità di ricorrere senza la necessità di
notificazione della cartella (art. 11, comma 5, D.L. n. 151/1991, in materia d’imposta di
fabbricazione).
Sotto altro profilo, il ritenere autonomamente impugnabile il ruolo potrebbe trovare
fondamento nella lettera dell’art. 19, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 546/1992.
Tale norma include, fra gli atti impugnabili, “il ruolo e la cartella di pagamento”.
La formulazione di tale norma potrebbe, tuttavia, indurre a ritenere che il legislatore abbia
inteso riconoscere al contribuente la possibilità di ricorrere avverso la (sola) cartella, non solo in
relazione a vizi propri (es., erronea e/o insufficiente indicazione del ruolo, difformità tra
produzione di stampa e ruolo, difetto di notifica), ma anche in relazione a vizi inerenti al ruolo
(es., iscrizione non preceduta da notifica dell’atto di accertamento).
Ne consegue che i vizi propri del ruolo dovrebbero essere fatti valere solo impugnando l’atto
per mezzo del quale esso viene veicolato, appunto la cartella di pagamento.
Del resto, l’esecutività del ruolo opera solo previa notificazione della cartella.
Il secondo comma del richiamato art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, non a caso, prevede che “gli
atti espressi di cui al comma 1 devono contenere l’indicazione dei termini entro il quale il ricorso
deve essere proposto […]”.
Pertanto, l’estratto allegato alla domanda d’ammissione al passivo non sarebbe idoneo a
produrre efficacia esterna.
Ciò non di meno, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, come ricordato, è andata
uniformandosi nel ritenere ammissibile l’insinuazione al passivo del credito tributario anche in
mancanza della notifica della cartella di pagamento – e dunque sulla base della semplice
allegazione dell’estratto di ruolo. Per ulteriori approfondimenti v. par. 14.2.1
14. La verifica dei crediti tributari
14.1. Fallimento e periculum per la riscossione
Pag. 42 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
L’art. 87, comma 2, D.P.R. n. 602/1973 dispone che ove il debitore, su ricorso erariale o su
iniziativa di altri creditori, sia dichiarato fallito, l’agente della riscossione chiede, sulla base del
ruolo e per conto dell’ente titolare del diritto al tributo, l’ammissione al passivo della procedura.
La domanda erariale di ammissione al passivo si fonda, pertanto, sul “ruolo”.
Il ruolo, per le imposte dirette (incluso il tributo IRAP) e per l’IVA, anche quale titolo per
l’insinuazione al passivo del fallimento, è stato sostituito dal cd. Avviso di accertamento
esecutivo.
E ciò per effetto dell’art. 29, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in
L. 30 luglio 2010, n. 122 (recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica”).
Il citato art. 29, rubricato “Concentrazione della riscossione nell’accertamento”, in una
prospettiva di tendenziale abolizione del ruolo esattoriale, ha attribuito all’avviso di
accertamento, in materia d’imposte dirette ed IVA (ed ai connessi provvedimenti d’irrogazione
sanzioni), la funzione di titolo esecutivo tributario.
In sostanza, l’avviso di accertamento esecutivo viene a rivestire la duplice funzione di atto
impositivo e di atto della riscossione.
La portata più rilevante dell’intervento legislativo è rappresentata dal fatto che l’ente
impositore, notificato l’avviso, in caso d’inadempimento del contribuente nei termini assegnati
ex lege, potrà procedere all’azione di recupero coattivo senza necessità di notificare alcun
ulteriore atto amministrativo.
E ciò con l’ulteriore (auspicato) beneficio di dissuadere l’accesso al contenzioso tributario
nei casi di finalità meramente dilatorie, che perlopiù si concentra(va)no nella fase d’esecuzione
coattiva del credito tributario, pur in presenza di pretese, nel merito del rapporto giuridico
d’imposta, definitive71.
In ogni caso, ai fini dell’ammissione al passivo del fallimento del credito tributario, l’avviso
di accertamento esecutivo, quale titolo in materia di tributi diretti e tributo IVA, tiene luogo del
ruolo.
Il ruolo – atto amministrativo collettivo, disciplinato dal D.P.R. n. 602/1973 – resta, peraltro,
in vigore non solo per i tributi diversi da imposte dirette ed IVA, ma anche nei casi in cui, pur
71 A. CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo” ex D.L. n. 78/2010, in Riv. dir.
trib., 2011, I, p. 175; C. ATTARDI, Forma, contenuto ed effetti dell’atto di riscossione: dalla cartella
all’accertamento esecutivo, in M. BASILAVECCHIA-S. CANNIZZARO-A. CARINCI (a cura di), La riscossione dei
tributi, Milano, 2011, p. 133.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
vertendosi su tali ultimi tributi, l’avviso d’accertamento non sia conforme al canone normativo
sotto il profilo dell’esecutività del titolo.
L’iscrizione a ruolo resta, inoltre, in vigore per gli atti amministrativi di natura sanzionatoria
che non siano correlati ad avvisi di accertamento esecutivi ed in ogni altro caso previsto dalla
legge72.
Il ruolo, oltre ai tributi (statali e/o degli enti locali), può interessare, come visto, anche le
entrate non tributarie, fra le quali, i crediti di titolarità degli enti previdenziali ed assistenziali, i
crediti per spese giudiziarie, i contributi di consorzi di bonifica, specifiche tipologie di crediti di
titolarità di società per azioni a partecipazione pubblica, ecc.
L’ente impositore forma il ruolo iscrivendovi le somme da riscuotere in base al titolo che lo
legittimi: dichiarazione presentata dal contribuente ovvero avviso di accertamento (e/o atto di
irrogazione delle sanzioni), viene consegnato all’agente della riscossione affinché lo porti a
conoscenza del contribuente tramite la notifica della cartella di pagamento, che rappresenta atto
amministrativo avente – a tutti gli effetti di legge – natura di titolo esecutivo.
Questo è riconducibile a crediti fondati su presupposti atti amministrativi, impositivi e/o
sanzionatori, emessi dall’ente titolare del diritto al tributo.
Il ruolo può peraltro costituire – esso stesso – autonomo atto impositivo ovvero
sanzionatorio.
È il caso, ad es., della liquidazione delle somme dovute in base al controllo formale della
dichiarazione presentata dal contribuente ex artt. 36-bis e 36-ter, D.P.R. n. 600/1973, nonché art.
54-bis, D.P.R. n. 633/1972, ovvero della liquidazione delle imposte dovute sui redditi assoggettati
a tassazione separata ai sensi degli artt. 19-20, D.P.R. n. 917/198673.
In ogni caso, l’agente della riscossione, nel notificare la cartella di pagamento al
contribuente, intima allo stesso di adempiere gli obblighi correlati al ruolo entro il termine di
sessanta giorni ex art. 26, D.P.R. n. 602/1973, avvertendo che, in difetto, sarà proceduto ad
esecuzione forzata (funzione di precetto).
I ruoli si distinguono in ordinari e straordinari.
I ruoli ordinari attengono alla fase “fisiologica” del rapporto giuridico d’imposta (il
contribuente è considerato solvibile).
72 A. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti d’accertamento, in Rass. trib., 2011, p. 22 ss.; F.
PAPARELLA, L’ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali a seguito della soppressione del ruolo, in
Dir. prat. trib., 2011, I, p. 1193 ss. 73 V. anche gli altri casi previsti dall’art. 25, D.P.R. n. 602/1973.
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A loro volta, si distinguono in ruoli provvisori ed in ruoli definitivi – e ciò in base al grado
di stabilità del titolo amministrativo che dà loro legittimazione.
Le iscrizioni provvisorie riguardano una frazione del tributo e degli accessori, e sono formati
in caso di accertamenti non definitivi (in pendenza dei termini per l’impugnazione dell’avviso di
accertamento o perché, se impugnato, esso sia ancora sub iudice).
Le iscrizioni definitive riguardano l’intero tributo e gli accessori, e sono formati sulla base
delle risultanze della dichiarazione presentata dal contribuente ovvero in caso di accertamenti
definitivi.
I ruoli straordinari attengono alla fase “patologica” del rapporto tributario – e sono formati
dall’ente impositore quando vi sia un fondato pericolo per la riscossione.
Trattasi di iscrizioni provvisorie, ma che – dato il periculum – interessano l’intero ammontare
del tributo e degli accessori.
Si parla di pericolo quando vi sia un giustificato timore che l’Amministrazione finanziaria
perda il proprio credito per ragioni legate alla situazione economico-finanziaria e/o giuridica del
contribuente e, dunque, quando lo stesso non offra adeguate garanzie di soddisfare la pretesa
erariale.
In caso di pericolo per la riscossione, fra l’altro, il soggetto passivo d’imposta non può
ottenere la sospensione del carico esattoriale oggetto di riscossione ex art. 39, D.P.R. n. 602/1973.
Ciò si ricava, a contrariis, dal fatto che il menzionato art. 39, al primo comma, ultimo
periodo, dispone che il provvedimento di sospensione “può essere revocato ove sopravvenga
fondato pericolo per la riscossione”.
In questo caso, non è fra l’altro preclusa la possibilità di rateizzare il carico iscritto a ruolo,
a condizione che sia rilasciata idonea garanzia da parte del debitore d’imposta.
Condizione, quest’ultima, invero di non facile realizzo, viste proprio le condizioni di
difficoltà, oggettive e/o soggettive, riconducibili al contribuente che hanno verosimilmente
portato alla situazione di periculum per la riscossione.
Venendo, più specificamente, ai rapporti tra fase del recupero del credito tributario e
procedura concorsuale, ci si chiede se il fallimento costituisca un rischio per la riscossione74, e
se, pertanto, con l’apertura del concorso, l’Amministrazione finanziaria debba procedere (o non
74 Il tema è anche direttamente connesso agli effetti determinati dalla soppressione del ruolo ad opera
dell’avviso di accertamento esecutivo, con particolare riferimento a tutti quei casi rispetto ai quali – come ove
il debitore d’imposta sia sottoposto a fallimento – il ruolo venga ad assolvere ad una funzione diversa rispetto
a quella, tipica, di atto esecutivo funzionale alla fase di riscossione coattiva del credito tributario.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
abbia piuttosto interesse) – ad iscrivere nei ruoli straordinari il carico erariale oggetto di recupero
coattivo75.
Sotto un profilo generale, si dubita sull’utilità della iscrizione a ruolo nell’ambito di una
procedura che, per legge, è proprio finalizzata alla migliore tutela dei creditori, determinando –
per effetto dello spossessamento –, l’impossibilità, per il fallito, di continuare a disporre del
proprio patrimonio.
La procedura fallimentare, d’altra parte, ben garantisce che i beni del debitore non siano
distratti ovvero alienati in modo illegittimo.
Tutela che appare, poi, tanto rafforzata dall’art. 51 l. fall., per il quale – come visto –, a
seguito del fallimento, nessuna azione, neanche quella erariale, può essere iniziata o proseguita
sul patrimonio del fallito.
Tuttavia, con riferimento al creditore erariale, si ritiene che il fallimento possa rappresentare
un concreto pericolo per la riscossione – e ciò in quanto, per le regole del concorso (e, in
particolare, tenuto conto della competenza del giudice fallimentare a decidere sulla “prova” del
credito, anche erariale), ove l’Amministrazione finanziaria non producesse il ruolo in sede
d’ammissione al passivo potrebbe veder pregiudicata la possibilità di partecipare validamente alla
procedura, con evidente nocumento per l’interesse alla riscossione, sancito costituzionalmente.
D’altra parte, sotto angolatura diversa, la Cassazione, la cui giurisprudenza è peraltro andata
evolvendosi – come visto – nella direzione di un tendenziale “depotenziamento” del ruolo, quale
titolo (non indispensabile, almeno in alcuni casi) per l’ammissione al passivo del credito
tributario, ha ripetutamente rilevato come la dichiarazione di fallimento del soggetto passivo
integri gli estremi del periculum per la riscossione – rappresentando, pertanto, l’apertura del
concorso, presupposto per l’iscrizione nei ruoli straordinari del carico intimato (intero importo
del tributo, delle sanzioni e degli interessi).
Del resto, secondo il Collegio: “la dichiarazione di fallimento non può da sola rappresentare
una piena garanzia della pretesa tributaria, posto che la relativa procedura dà luogo al concorso
del credito vantato dall’Amministrazione finanziaria con gli altri crediti nei confronti del fallito,
75 Cfr. G. DI GENNARO, Domanda di ammissione al passivo fallimentare per i crediti indicati in dichiarazione
tributaria, in Il fisco, 2014, I, p. 2591 ss.; M. MONTANARI, Il nuovo verbo delle Sezioni Unite in materia di
titolo e legittimazione ad agire per l’ammissione al passivo dei crediti tributari, in GT-Riv. giur. trib., 2012,
p. 557 ss.; M. MAURO, Questioni in tema di ammissione dei crediti tributari al passivo fallimentare, in Rass.
trib., 2015, p. 805 ss.; A. GIOVANNINI, Fondato pericolo per la riscossione ed esecuzione straordinaria
nell’accertamento esecutivo, in Riv. trim. dir. trib., 2012, p. 119 ss.
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e che il ruolo straordinario costituisce un utile strumento per incidere immediatamente sulla
formazione dello stato passivo e dei relativi privilegi”76.
14.2 Il soggetto legittimato a presentare la domanda di ammissione
Come visto, l’art. 87 del D.P.R. n. 602/1973, dispone che, in caso di apertura del concorso,
l’agente della riscossione richieda l’ammissione al passivo del credito tributario, sulla base del
ruolo, per conto dell’ente titolare del diritto al tributo.
Questa è la regola generale, ed è l’unica norma che faccia espresso riferimento al soggetto
legittimato a presentare la domanda di ammissione al passivo del credito tributario.
In realtà, la competenza dell’agente della riscossione non ha natura esclusiva, bensì
concorrente, potendo procedere alla presentazione della domanda – secondo l’insegnamento della
Cassazione –, in via diretta ed autonoma, anche l’ente impositore.
La legittimazione ex art. 87, comma 2, D.P.R. n. 602/1973 ha, pertanto, rilevanza ai meri fini
processuali – sussistendo una legittimazione propria dell’ente impositore ai fini della verifica, in
sede concorsuale, del credito tributario.
Per questo motivo, fra l’altro, si ritiene che l’agente della riscossione non possa –
nell’eventuale giudizio d’opposizione a stato passivo – chiamare in causa l’ente titolare del diritto
al tributo77.
Come detto, il ruolo – ovvero, ove applicabile, l’accertamento esecutivo – assume, in ambito
concorsuale, peculiare rilevanza sotto il profilo della prova della pretesa78.
Con il fallimento, infatti, l’Amministrazione finanziaria viene a perdere ogni potere
esecutivo, uniformandosi, la pretesa fiscale, alle regole del concorso e, dunque, ai criteri di par
condicio creditorum.
76 In senso conforme: Cass., civ. sez. V., 20 maggio 2011, n. 11234; Cass., civ. sez. V, 29 gennaio 2008, n.
1942; Cass., civ. sez. V, 1° giugno 2007, n. 12887; Cass., civ. sez. V, 27 aprile 2002, n. 6138; Cass., civ. sez.
V, 7 settembre 2001, n. 11508. 77 Cfr., fra gli altri, Trib. Perugia, 22 giugno 2012; Trib. Verbania, 21 ottobre 2010; Trib. Mantova, 4 ottobre
2012. In dottrina, v. B. QUATRARO-F. DIMUNDO, La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali. Profili
procedimentali, Milano, 2014, p. 2160 ss. 78 Per il caso – trattasi di fattispecie oramai marginali, e che interessano perlopiù tributi minori locali – in cui
la riscossione non avvenga per il tramite dell’iscrizione a ruolo, l’agente della riscossione procede a richiedere
l’ammissione al passivo del fallimento sulla base del diverso, ma analogo ai fini in oggetto, titolo tributario
residuale (ingiunzione fiscale ex R.D. 14 aprile 1910, n. 639).
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Se, in ambito di fallimento, il ruolo (e/o l’accertamento esecutivo) perde efficacia sotto
l’aspetto esecutivo, esso resta rilevante sotto il profilo della ricognizione della pretesa creditoria
fiscale – e, dunque, ai fini probatori in sede d’ammissione al passivo.
Peraltro, come ricordato, ai fini dell’ammissione al passivo del credito tributario, la
Cassazione ritiene idoneo titolo anche l’estratto di ruolo, ove pure non preceduto dalla notifica
della cartella di pagamento.
Questa impostazione – cioè che il curatore possa impugnare l’estratto del ruolo allegato alla
domanda d’ammissione al passivo, a prescindere dalla notifica della cartella di pagamento – si
baserebbe su un’apparente forzatura, attribuendo rilevanza tributaria ad un atto – la domanda
d’ammissione al passivo – idoneo ad espletare i propri effetti all’interno del solo ambito
fallimentare.
Ne consegue una non trascurabile compromissione del diritto di difesa della curatela,
costituzionalmente garantito – ed è, per questo motivo, che tale impostazione appare non
condivisibile.
Ed in effetti, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità pare non porre sufficiente
attenzione alla funzione (pubblicistica) che la curatela viene ad assumere con l’apertura del
concorso.
Essa, secondo l’orientamento della Suprema Corte, con la produzione dell’estratto di ruolo
in sede di verifica concorsuale dei crediti, dovrebbe trarre adeguata consapevolezza del rapporto
giuridico d’imposta riconducibile al debitore, per fatti verosimilmente risalenti nel tempo (in
quest’ottica, il curatore è sostanzialmente “terzo” rispetto al fallito).
In realtà, in mancanza della notifica della cartella – atto cui la legge fiscale annette la
funzione “legale” di conoscenza del ruolo (art. 25, D.P.R. n. 602/1973) – problematica, per il
curatore, diventa la doverosa verifica circa la legittimità del procedimento adottato dall’ente
impositore in relazione a fatti e presupposti riconducibili al debitore fallito, e dunque, il controllo,
sostanziale e formale, circa la legittimità della pretesa fiscale.
Si pensi, come ricordato, ai profili legati ai termini di decadenza dell’azione tributaria e/o di
prescrizione del credito fiscale, ovvero alla individuazione del dies a quo ai fini della
impugnazione dell’iscrizione a ruolo, sotto l’aspetto della conoscenza legale dell’atto impositivo.
Sotto quest’ultimo profilo, a voler ritenere possibile l’impugnazione del ruolo – quale mero
allegato della domanda d’ammissione al passivo –, ci si chiede quale potrebbe essere la data da
cui far decorrere il termine ex art. 21, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 ai fini dell’impugnazione.
Pag. 48 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Riteniamo, al riguardo, che una data “utile” potrebbe essere la data del decreto con il quale
il giudice dichiari esecutivo lo stato passivo ex art. 96, comma 1, l. fall. – e ciò dopo aver ammesso
al passivo la domanda con riserva ex art. 88, D.P.R. n. 602/1973, una volta preso atto della
determinazione da parte del curatore di volere impugnare il ruolo.
D’altra parte, non potrebbe rilevare la data di presentazione del ricorso ex art. 93 l. fall., non
essendo tenuto il curatore a monitorare il momento della ricezione della domanda d’ammissione
al passivo nella (diversa) prospettiva della tutela fiscale avanti le commissioni tributarie.
E però, anche il ritenere utile la data del decreto di esecutività dello stato passivo troverebbe
un insuperabile limite nella stessa lettera della norma: il “decreto che rende esecutivo lo stato
passivo e le decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi di cui all’art. 99, producono effetti
soltanto ai fini del concorso” (art. 96, ultima comma, l. fall.).
È ed per questo motivo che, a nostro avviso, in caso di apertura del concorso, l’agente della
riscossione dovrebbe notificare alla curatela la cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo
del carico tributario per il quale procede, secondo le disposizioni previste dalla norma fiscale79.
Fra l’altro, la cartella dovrebbe anche contenere un’adeguata motivazione delle ragioni, in
fatto e diritto, poste a fondamento dell’iscrizione a ruolo – e ciò a pena di inammissibilità della
correlata domanda erariale di insinuazione al passivo del fallimento.
La curatela, in altre parole, deve poter comprendere, in modo compiuto – viste le finalità del
concorso – l’iter procedimentale seguito dall’Amministrazione finanziaria ai fini della
precisazione, pur sempre in ambito giudiziario, del proprio credito80.
Proseguendo nell’esposizione, la Cassazione ritiene che a presentare la domanda di
ammissione del credito tributario possa essere non solo l’agente della riscossione, che opera quale
mero “sostituto processuale ex art. 81 c.p.c.”81, ma anche, in via concorrente – e per la più rapida
partecipazione al concorso –, l’ente impositore.
Il quale può richiedere l’ammissione al passivo del credito tributario senza necessità (recte,
onere) di procedere alla preventiva iscrizione a ruolo del carico tributario.
79 Art. 26, D.P.R. n. 602/1973; art. 60, D.P.R. n. 600/1973. 80 In senso conforme, rilevano B. QUATRARO-F. DIMUNDO, La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali.
Crediti tributari e previdenziali, cit., p. 101, che “con riferimento alla specifica questione qui in esame
(esigenza o meno della notifica della cartella ai fini dell’ammissione al passivo del credito tributario), pare
opportuno però rilevare che l’impostazione più soddisfacente – e maggiormente idonea ad assicurare un
equilibrato contemperamento degli interessi in gioco – non possa prescindere dall’esigenza di garantire al
curatore, in sede di verifica concorsuale, il diritto ad un’oggettiva conoscibilità della pretesa tributaria, ed
alla contestazione della stessa ove ne ricorrano i suoi presupposti sostanziali”. 81 Cfr. Cass., civ. sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1776.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Secondo la Corte, al riguardo, le norme sulla riscossione sono “sollecitate dall’esigenza di
favorire la realizzazione del credito in virtù di una più agevole formazione del titolo esecutivo, e
ciò in ragione degli interessi pubblicistici rappresentati dal creditore”, e tuttavia, “appaiono
essere state dettate in relazione alla prefigurata ipotesi di inadempimento di un singolo debitore
ed all’avvertita utilità di fissare principi da applicare nella esecuzione individuale che, su
iniziativa del concessionario munito di ruolo, ne sarebbe conseguita”82.
Diversamente, ritiene la Cassazione, considerato che la procedura non è finalizzata alla
individuale realizzazione dell’adempimento della singola obbligazione, essendo volta a tutelare
le ragioni di tutti i creditori: “non è consentita in via interpretativa un’automatica applicazione
delle norme sopra richiamate nella procedura di fallimento promossa nei confronti del debitore,
la cui dichiarazione, fra l’altro, non presuppone neppure la necessità della precedente
formazione di un titolo esecutivo”.
Conclude, così, il Supremo Collegio che non sia necessaria la produzione “del ruolo, a
sostegno della domanda di riconoscimento del credito erariale direttamente formulata
dall’Amministrazione creditrice”83.
Peraltro, l’Amministrazione finanziaria può procedere in proprio, senza ruolo, solo ove
agisca nei limiti del tributo indicato nella dichiarazione presentata dal contribuente, ma non anche
per le sanzioni e gli interessi, in relazioni ai quali è pur sempre necessaria la preventiva iscrizione
a ruolo.
Secondo la Corte, al riguardo, la dichiarazione del contribuente assume rilevanza ai soli fini
dell’”accertamento definitivo del tributo e costituisce titolo per la sua riscossione”, mentre, per
gli accessori del tributo (sanzioni ed interessi): “senza la iscrizione a ruolo […] manca qualsiasi
atto in virtù del quale l’Amministrazione finanziaria potrebbe procedere alla sua riscossione”84.
14.2.1 Gli ultimi orientamenti sul termine per impugnare l’atto impositivo
Abbiamo visto come, secondo la Cassazione, l’ammissione al passivo dei crediti tributari
possa essere supportata da documentazione anche diversa dalla cartella di pagamento (il solo
82 Così, Cass., civ. sez. un., 15 marzo 2012, n. 4126. 83 In senso conforme: Cass., civ. sez. un., 10 febbraio 2009, n. 5165; Cass., civ. sez. V, 24 giugno 2015, n.
13027; Cass., civ. sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 22437. 84 Così, Cass., civ. sez. I, 14 luglio 2004, n. 13027; in senso conforme: Cass., sez. civ. I, 16 giugno 2010, n.
14579; Cass., civ. sez. I, 10 febbraio 2006, n. 2994.
Pag. 50 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
estratto di ruolo), e come, il curatore fallimentare – secondo la Corte –, abbia la legittimazione ad
impugnare l’estratto di ruolo, in luogo della cartella esattoriale.
Recentemente, la Suprema Corte – spingendo invero avanti il proprio orientamento verso
soluzioni di crescente favor per le ragioni erariali – ha avuto modo di affermare, da un lato, come
la domanda di ammissione al passivo inviata via PEC dall’Amministrazione finanziaria ex art. 93
l. fall. sia idonea a rendere la curatela fallimentare compiutamente edotta circa la pretesa erariale,
dall’altro, come il curatore, ove intenda contestare la pretesa fiscale, debba impugnare il ruolo nel
termine di 60 giorni dalla data di ricezione della suddetta comunicazione PEC85.
Come ricordato, attribuire giuridica rilevanza, nella prospettiva della difesa avanti al
giudice tributario, ad un atto – la domanda d’ammissione al passivo – idoneo ad espletare i propri
effetti al solo ambito endofallimentare significa limitare oltremisura l’esercizio di diritto di difesa
della curatela fallimentare.
La quale avrebbe, così, l’onere di monitorare la data di ricezione delle comunicazioni PEC
ex art. 93 l. fall., non solo in funzione del rispetto del termine per il deposito del progetto di stato
passivo, ma anche in funzione del termine – di natura decadenziale – per proporre ricorso avverso
il ruolo, azione che, fra l’altro, presuppone che il curatore riferisca al giudice delegato (il tutto –
diremmo – con tempi “da record”) per avere l’autorizzazione ad introdurre il contenzioso
tributario.
In ogni caso – vista l’autorevolezza della fonte – è certamente consigliabile che il curatore,
ove sussistano i presupposti per contestare la pretesa erariale, assuma a riferimento, quale dies a
quo ai fini del computo del termine per proporre il ricorso, la data di ricezione della
comunicazione PEC con la quale l’Amministrazione abbia trasmesso la domanda di ammissione
al passivo del fallimento86.
.
14.3. Sintesi
La domanda di ammissione al passivo del credito tributario può essere presentata sia
dall’agente della riscossione, per conto dell’ente titolare del diritto al tributo, sia, in via diretta,
dallo stesso ente impositore.
Alla domanda deve (recte, dovrebbe) essere allegato:
85 Cfr. Cass., civ. sez. V, 14 settembre 2016, n. 18002; Cass., civ. sez. VI, 6 marzo 2015, n. 4631 (ord.). 86 In senso conforme, E. STASI, L’accertamento dei crediti tributari nell’ambito del fallimento nella
giurisprudenza di legittimità, in Fallimento, 2018, p. 581 ss.
Pag. 51 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
i) l’avviso di accertamento esecutivo (anche solo sotto forma d’estratto, reso conforme ai
sensi di legge), qualora il credito tributario sia relativo alle imposte dirette e/o al tributo
IVA87, dando prova dell’eventuale previa notifica dell’atto al debitore e/o alla curatela
fallimentare, ai sensi della norma tributaria;
ii) il ruolo (al pari come sopra, anche in estratto), qualora il credito sia invece relativo ai
tributi erariali diversi da imposte dirette ed IVA, ovvero ai tributi locali, dando prova
dell’eventuale previa notifica della relativa cartella di pagamento al debitore e/o alla
curatela fallimentare, ai sensi della norma tributaria88.
Ove l’avviso di accertamento esecutivo ovvero il ruolo sia stato notificato al debitore
prima della sentenza di fallimento secondo le norme previste dal diritto tributario, e questi non
abbia proposto impugnazione avanti le commissioni tributarie, la domanda viene ammessa al
passivo del fallimento, in via definitiva ed in privilegio, se spettante (accertamento, quest’ultimo,
che ricade nella competenza esclusiva del giudice delegato).
Ove l’avviso di accertamento esecutivo ovvero il ruolo sia stato notificato al debitore ante
fallimento e da questi sia stato ritualmente impugnato – dunque pendendo relativo contenzioso
tributario al momento dell’apertura del concorso –, la domanda è ammessa al passivo con riserva
ex art. 88, D.P.R. n. 602/1973 (sempre in privilegio, se spettante).
Ove i titoli di cui sopra, apertasi la procedura, siano stati notificati alla curatela secondo le
norme di diritto tributario, e quest’ultima abbia impugnato l’atto impositivo avanti le commissioni
tributarie – pendendo quindi relativo contenzioso al momento dell’insinuazione al passivo del
credito fiscale –, la domanda è ammessa al passivo con riserva ex art. 88, D.P.R. n. 602/1973
(sempre in privilegio, se spettante).
Qualora l’avviso di accertamento esecutivo ovvero il ruolo non fosse mai stato notificato al
debitore d’imposta ante fallimento, né, apertosi il concorso, alla curatela fallimentare, la domanda
di ammissione al passivo del credito fiscale dovrebbe essere esclusa dal passivo, per mancanza
di un idoneo titolo probatorio, sotto il profilo tributario, non potendo – il giudice fallimentare –
entrare nel merito dell’an e/o del quantum dell’obbligazione fiscale.
87 Ove ad agire sia l’agente della riscossione, questi sarà tenuto ad attendere l’affidamento dell’avviso di
accertamento esecutivo da parte dell’ente impositore, in conformità a quanto disposto dalla Direzione
dell’Agenzia delle Entrate con decreto n. 2011/99696 del 30 giugno 2011. 88 In via residuale, l’ente impositore potrà procedere all’insinuazione al passivo allegando l’ingiunzione fiscale,
qualora il credito fiscale sia relativo a tributi locali per i quali non abbia affidato il recupero all’agente della
riscossione.
Pag. 52 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Come detto al paragrafo precedente, è comunque consigliabile che il curatore assuma a
riferimento per la proposizione dell’eventuale ricorso la data di ricezione della PEC con la quale
l’Amministrazione finanziaria abbia inviato la domanda d’ammissione al passivo del credito
fiscale.
Peraltro, riteniamo che ove il credito tributario sia “certo” siccome cristallizzato in una
sentenza emessa dagli organi della giurisdizione tributaria in via definitiva, l’Amministrazione
finanziaria possa procedere senza alcuna allegazione di titoli diversi dalla stessa sentenza passata
in giudicato.
Nota conclusiva a margine: riteniamo che vi siano ampi spazi, ragioni e condizioni, vista la
complessità della materia e la “specialità” dei due sistemi, perché sia concepita ed introdotta una
norma di legge ad hoc che disciplini, in modo finalmente sistematico – e, dunque, superando
l’attuale stretta formulazione dell’art. 87, D.P.R. n. 602/1973 – la delicata fase dell’ammissione
al passivo del fallimento del credito tributario.
15. La domanda tempestiva, la domanda tardiva e quella “supertardiva”
Un tema di particolare rilevanza è quello che attiene ai motivi del possibile ritardo – rispetto
al termine annuale ex art. 101, comma 1, l. fall. – con il quale l’Erario proceda alla presentazione
della domanda di ammissione al passivo – ciò anche con riferimento ai risvolti “operativi”,
circoscrivendo l’analisi ai tributi diretti (IRPEF e IRES), alle ritenute erariali, ai tributi IRAP ed
IVA.
Preliminarmente occorre verificare, da un lato, quando il credito fiscale divenga “certo”
in funzione della partecipazione al concorso, dall’altro, se all’Erario sia destinato – rispetto ai
termini previsti dalla norma fallimentare – lo stesso trattamento riservato agli altri creditori.
È in altre parole da sciogliere la questione se, i termini previsti dalle singole leggi
d’imposta in relazione al procedimento tributario, prevalgano sulla norma fallimentare.
Con riferimento a questo aspetto, non può esservi alcun trattamento differenziato, dal
momento che la legge fallimentare ha previsto termini perentori – applicabili alla generalità dei
creditori (senza alcuna deroga espressa) – per far valere le ragioni creditorie nell’ambito della
procedura – e ciò prescindendo dai (maggiori) termini decadenziali e/o prescrizionali relativi ad
ogni singolo tributo.
Quanto al primo aspetto (certezza del credito fiscale), si rileva quanto segue.
Il credito relativo alle imposte sul reddito, al tributo l’IRAP ed al tributo IVA può derivare:
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a) in via diretta, dalle dichiarazioni presentate dal contribuente ante fallimento, dalle quali
emerga un’imposta a debito, non versata;
b) dal (successivo) controllo formale delle medesime dichiarazioni;
c) dal (successivo) loro controllo sostanziale, a cui segua un avviso d’accertamento;
d) da accertamenti emessi nei casi in cui la dichiarazione non sia stata presentata.
Nel caso di crediti derivanti dal mancato versamento di tributi dovuti in base alle
dichiarazioni presentate e/o al loro controllo formale (lett. a-b), l’Agenzia delle Entrate disporrà,
ai fini della determinazione del proprio credito:
- sin da subito, delle dichiarazioni presentate dal contribuente alla data del fallimento;
- entro il quarto mese successivo al fallimento, dei dati (in ipotesi) necessari per
determinare il debito IVA alla data del fallimento, considerato l’obbligo a carico del
curatore di presentare la relativa dichiarazione;
- entro il nono mese successivo al fallimento, delle dichiarazioni IIDD ed IRAP relative
al periodo che va dall’inizio del periodo d’imposta alla data del fallimento (obbligo
che pure ricade sul curatore);
- nei termini ordinari post fallimento, della dichiarazione IVA relativa all’anno solare
precedente quello nel corso del quale sia stato dichiarato il fallimento (già presentata
dal contribuente oppure, nel caso in cui alla data del fallimento non siano ancora
scaduti i relativi termini, dal curatore, ex art. 8, comma 4, D.P.R. n. 322/1998);
- sempre nei termini ordinari post fallimento, delle dichiarazioni IIDD ed IRAP relative
all’anno solare precedente quello del fallimento (già presentata dal contribuente
oppure, nel caso in cui alla data del fallimento non siano ancora scaduti i relativi
termini, presentata dal curatore).
Per quanto riguarda le dichiarazioni fiscali che alla data del fallimento siano già state
presentate dal contribuente, il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello
stato passivo è chiaramente sufficiente perché l’Amministrazione finanziaria liquidi. con
“certezza”, il proprio credito, compiendo le relative procedure (emissione ruolo, presentazione
domanda di ammissione da parte del concessionario).
Quanto sopra anche considerato che la trasmissione in via telematica delle dichiarazioni,
nonché dei relativi modelli di versamento, consente all’Amministrazione finanziaria l’esecuzione
di tali procedure in via automatizzata.
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Ciò vale anche per l’insinuazione al passivo del credito IVA alla data del fallimento,
considerato che dal momento in cui il curatore comunica i dati necessari per la relativa
determinazione da parte erariale (entro quattro mesi dalla nomina), al termine ultimo per
considerare ammissibile la domanda tardiva (dodici mesi), decorrerà un termine superiore ai
dodici mesi.
Fra l’altro, si consideri che la norma che pone a carico del curatore l’obbligo di comunicare
i dati, stabilisce espressamente che tale adempimento è finalizzato alla “eventuale insinuazione
al passivo della procedura” (art. 8, comma 4, D.P.R. n. 322/1998).
Per quanto riguarda le dichiarazioni relative al periodo di imposta anteriore rispetto a
quello nel corso del quale sia caduto il fallimento (e che, all’apertura del concorso, non siano state
ancora presentate, essendo pendenti i relativi termini), nonché le dichiarazioni relative alla
porzione del periodo d’imposta in corso alla data di fallimento, il termine di dodici mesi di cui al
primo comma ex art. 101, l. fall., può risultare – invero – ristretto.
Tali dichiarazioni verranno in possesso dell’Agenzia solo dopo la dichiarazione di
fallimento, con la conseguenza che il credito diverrà determinabile in prossimità o, più
verosimilmente, solo dopo il termine annuale.
Ciò potrebbe invero giustificare il ritardo nella presentazione della domanda di
ammissione tardiva del credito fiscale.
Si tratta, quindi, di stabilire – in questi casi – di quale “entità” possa essere il ritardo per
rimanere nell’ambito della non “imputabilità” al creditore di tale ritardo
A nostro giudizio, la domanda tardiva può considerarsi ammissibile se presentata entro i
dodici mesi dalla esecutività dello stato passivo oppure, se posteriore, entro l’anno dalla
presentazione della dichiarazione da cui scaturisca il credito fiscale.
Diverso è il caso del credito fiscale concorsuale – ovvero riconducibile a fattispecie sorta
ante fallimento – che scaturisca da attività di accertamento posta in essere dall’Amministrazione
finanziaria (lett. c-d).
Le norme sull’accertamento concedono all’Agenzia delle Entrate termini più ampi rispetto
a quelli previsti dalla norma fallimentare, sia per procedere alla rettifica delle dichiarazioni
(quattro anni successivi a quello di presentazione), sia per procedere all’accertamento c.d.
d’ufficio, in caso cioè d’omessa dichiarazione (sei anni successivi a quello nel corso del quale la
dichiarazione avrebbe dovuta essere presentata, salvi il più ampio termine decennale in presenza
di violazioni tributarie penalmente rilevanti).
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
La questione è se tali termini fiscali, che non attengono peraltro alla riscossione del tributo,
bensì alla propedeutica fase d’accertamento, sia da ritenere “compressi” – e dunque derogati in
peius - per l’Amministrazione finanziaria, ai fini delle più generali ragioni ed interessi del
concorso.
Per queste ipotesi si potrebbe ipotizzare come “colpevole” il ritardo nella presentazione
della domanda erariale (cd. ultra-tardiva), solo decorso un anno da quando la pretesa fiscale
divenga definitiva (per mancata impugnazione dell’atto di accertamento e/o per sentenza passata
in giudicato).
E però, così – a nostro avviso –, non può essere.
Intanto, perché ove sia pendente un procedimento contenzioso, l’Amministrazione
finanziaria può procedere comunque alla presentazione della domanda di insinuazione del proprio
credito (per quanto sub iudice), e lo stesso sarà ammesso al passivo con riserva ex art. 88, D.P.R.
n. 602/1973, in attesa della definitività del giudizio tributario.
In ogni caso, perché i termini previsti dalla norma fallimentare valgono per la generalità
dei creditori, senza eccezioni, vista la “specialità” del procedimento di formazione del passivo in
ambito fallimentare.
Il tema assume particolare rilevanza con riguardo alla domanda d’ammissione al passivo
presentata dall’agente della riscossione (in caso di domanda presentata in via diretta dall’ente
impositore, quest’ultimo, agendo motu proprio, difficilmente può lamentare ritardi imputabili ad
altri soggetti coinvolti nel procedimento tributario).
L’agente della riscossione, al contrario, nel presentare la domanda supertardiva, potrebbe
lamentare la sussistenza di motivi a sé non imputabili, dati, in ipotesi, dall’inerzia del soggetto
titolare del diritto al tributo nel trasmettergli la comunicazione del curatore ex art. 92 l. fall. (che
peraltro il curatore invia, di prassi, anche allo stesso agente della riscossione), se non da veri e
propri “ritardi” da parte dell’ente impositore nel compimento dell’iter previsto per la trasmissione
al concessionario del ruolo (su cui si fondi la domanda erariale d’ammissione al passivo).
Già prima delle riforme della legge fallimentare – dunque quando ancora l’art. 101 l. fall.
non prevedeva alcun termine decadenziale per il procedimento d’ammissione al passivo –, la
giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto che i ritardi legati al procedimento di riscossione dei
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crediti fiscali non potessero “giustificare” l’intempestività della domanda di insinuazione
presentata dal concessionario89.
Con riferimento ai nuovi termini decadenziali ex art. 101 l. fall., la Cassazione ha
confermato tale orientamento, ritenendo che ove anche il superamento del termine annuale
dipenda dalla necessità di attendere la definitività della cartella di pagamento: “il ritardo sarebbe
certamente imputabile al ricorrente”90.
D’altra parte, secondo la Corte, circa il mancato rispetto del termine ex art. 101, ultimo
comma, l. fall.: “è colpevole il comportamento dell’Amministrazione finanziaria e del
concessionario che si attengano ai termini stabiliti dalla legge per le procedure di accertamento
e di emissione dei ruoli e delle cartelle”91.
Pertanto, una volta che l’Amministrazione finanziaria abbia avuto formale conoscenza
dell’intervenuto fallimento del contribuente, dovrà attivarsi per predisporre i titoli ai fini della
tempestiva insinuazione del proprio credito, non rilevando – a tali fini – i maggiori termini
decadenziali previsti dalle singole leggi d’imposta in materia di poteri di controllo ed
accertamento92.
16. L’ammissione al passivo degli accessori del tributo
Si definiscono accessori del tributo le sanzioni pecuniarie e gli interessi; assume poi
rilevanza, ai fini della formazione del passivo in sede fallimentare, il compenso dell’agente della
riscossione.
Nello schema che segue, viene fornito un quadro di sintesi, rinviando alla parte terza del
presente lavoro per un approfondimento dei singoli temi.
Le sanzioni pecuniarie
Dopo la riforma del sistema sanzionatorio in campo
tributario operata con l’attuazione della delega contenuta
nella L. n. 662/1996 ad opera dei D.Lgs. nn. 471, 472,
473 del 1997, il quadro di riferimento era univoco e
chiaro, nel senso che la nuova sanzione pecuniaria,
89 Cass., civ. sez. I, 19 giugno 1996, n. 5662. 90 Cass., civ. sez. VI, 31 maggio 2011, n. 12019 (ord.). 91 Cass., civ. sez. VI, 11 ottobre 2011, n. 20910 (ord.). 92 In senso conforme: ; Cass., civ. sez. I, 8 settembre 2015, n. 17787; Cass., civ. sez. VI, 28 gennaio 2014, n.
1752 (ord.); Cass., civ. sez. I, 2 aprile 2012, n. 5254.
Pag. 57 a 111
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avendo più marcatamente carattere afflittivo e non
accessorio o remunerativo, in mancanza di diverse
previsioni legislative, si collocava al chirografo.
on la riforma introdotta dal D.L. n. 98/2011 convertito in
L. n. 111/2011 è stato modificato il contenuto dell’art.
2752 c.c., disponendo l’estensione del privilegio alle
sanzioni dovute in materia di imposta sul reddito delle
persone fisiche, imposta sul reddito delle persone
giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta
regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui
redditi.
Inoltre, il legislatore ha dichiarato tali nuove disposizioni
applicabili anche ai crediti sorti anteriormente. A tale
palese illegittimità ha però posto rimedio la Corte
Costituzionale con la sentenza n. 170/2013, depositata il
4 luglio 2013, che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 23, comma 37, ultimo periodo, e
comma 40, del D.L. n. 98/2011 (disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 111/2011.
Sul punto v. successivo cap. 16.
Gli interessi Dopo la sentenza n. 162/2001 della Corte Costituzionale
è evidente che il privilegio spetti anche agli interessi
maturati in campo tributario (sempreché all’imposta
sottostante sia riconosciuto il privilegio). Anche
l’Agenzia delle Entrare, dopo il sopra ricordato
intervento della Consulta, è intervenuta richiamando gli
uffici a richiedere la tutela privilegiata per gli interessi
(circolare n. 84/E del 15 novembre 2002).
La materia controversa riguarda invece gli interessi
maturati successivamente al fallimento, che andrebbero
riconosciuti solo nella misura legale e fino al realizzo
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dell’attivo, e non nella misura prevista dalle varie leggi
d’imposta e/o dal D.P.R. n. 602/1973.
Sul punto v. successivo cap. 17.
Il compenso del concessionario
della riscossione (cd. “aggio”)
I compensi del concessionario della riscossione sono
previsti dall’art. 17 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112,
come attuato dal D.M. 21 novembre 2000.
Il comma 6 del suddetto art. 17 prevede che al
concessionario spettino determinati compensi previsti in
un decreto regolamentare, in caso di partecipazione alle
procedure esecutive.
Il credito per la voce in questione va ammesso in
chirografo, quale compenso che spetta per legge
all’agente della riscossione per l’attività di recupero
delle somme a questo affidate, sul tributo iscritto a ruolo.
Questo concetto che lega l’aggio ad un corrispettivo per
un servizio già esclude che tale voce sia compresa
nell’art. 2749 c.c., che attiene agli interessi e alle spese
di intervento nel processo esecutivo.
Detto compenso risulta inoltre non dovuto laddove
l’attività di riscossione sia posta in essere dopo il
fallimento del debitore (ad esempio qualora le cartelle di
pagamento siano notificate al curatore dopo il
fallimento): pertanto, la successiva domanda di
ammissione al passivo deve essere accolta limitatamente
al tributo e non per l’aggio che spetta al concessionario,
cristallizzandosi, col fallimento, il concorso, e
considerato che ai fini dell’ammissione dei crediti non è
necessaria alcuna attività di riscossione e/o di esecuzione
(peraltro, quest’ultima, impedita dall’art. 51 l. fall.),
potendo l’ente impositore e/o l’agente della riscossione
richiedere l’ammissione al passivo in base al semplice
ruolo.
Sul punto v. amplius cap. 22.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
PARTE TERZA
I CREDITI TRIBUTARI: PRIVILEGI E PROFILI APPLICATIVI
17. I privilegi erariali. Premessa e prospettive de iure condendo
Dalla sia pur sintetica trattazione che precede, emerge in modo inequivocabile come il
credito erariale sia, nella quasi totalità dei casi, un credito privilegiato.
Nei sistemi concorsuali la tutela dei diritti di credito è affidata al bilanciamento di due
principi opposti: quello di preferenza e quello di proporzionalità – principi che si sono
storicamente sviluppati per attenuare gli impatti delle insolvenze dei debitori.
Nel caso dei crediti erariali, la scelta del legislatore è stata quella di dare priorità alle
esigenze di gettito, sacrificando le esigenze e le aspettative di altre categorie di creditori.
Il privilegio per i crediti fiscali, nel corso degli anni, si è progressivamente ampliato, sia
nel senso di moltiplicare le imposte assistite da privilegio, sia allargando le annualità per le quali
la prelazione opera.
Ad esempio, fino al 1999, il privilegio generale sulle imposte sui redditi (art. 2752, comma
1, c.c.) era limitato ai crediti iscritti nei ruoli “posti in riscossione nell’anno in cui si procede
all’esecuzione e nell’anno precedente”.
Tale limitazione temporale è stata successivamente rimossa, dimodoché il privilegio oggi
compete a prescindere dall’annualità in cui il ruolo è formato o reso esecutivo.
Ciò ha determinato il riconoscimento del rango privilegiato anche a tributi sorti in
annualità molto lontane da quella in cui sia intervenuto il fallimento, a prescindere dalla minore
o maggiore solerzia con cui l’ente creditore abbia coltivato le proprie ragioni.
Anche sul versante dei tributi interessati dalla prelazione si è assistito ad una progressiva
moltiplicazione – talvolta ope iudicis – dei casi di privilegio, che sono stati estesi a tutti i tributi
di nuova introduzione, come l’IRAP93 e l’IMU94 e, più in generale, a tutti i tributi locali.
Sotto questo profilo, si segnala per la sua pervasività (e per la sua quantomeno dubbia
legittimità costituzionale) l’intervento operato con il D.L. n. 98/2011, che ha reso pressoché
93 Art. 39, comma 2, D.L. n. 159/2007. 94Art. 13, comma 13, D.L. n. 201/2011, ma, in questo senso, già Cass., sez. civ. un. 17 maggio 2010, n. 11930.
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generalizzata l’attribuzione del privilegio alle sanzioni tributarie, in precedenza limitato al solo
comparto IVA (v., sul punto, amplius, par. 20).
Non è quindi eccessivo affermare che tutti i tributi, siano essi amministrati dallo stato che
dagli enti locali, le sanzioni amministrative, e – con taluni limiti – i relativi interessi, sono oggi
assistiti da privilegio generale ovvero speciale sui beni mobili e/o immobili del debitore.
D’altro canto la progressiva estensione e proliferazione dei privilegi è un fenomeno che è
andato progressivamente accentuandosi nel corso degli anni, in risposta anche a spinte
“lobbistiche” e corporative.
In un tale contesto, è forse illusorio continuare a concepire la par condicio come principio
cardine del sistema; ed è altresì fuorviante parlare di graduazione dei crediti, poiché è un dato di
comune esperienza che gran parte dei privilegi, persino quelli di grado elevato, restano del tutto
insoddisfatti.
Come si legge nella relazione allo schema di legge delega per la riforma delle procedure
concorsuali, la disciplina dei privilegi si presenta oggi assai frastagliata e, per molti aspetti,
obsoleta.
Una buona parte delle fattispecie contemplate dal codice civile, e specialmente molti dei
cosiddetti privilegi speciali retentivi, hanno perso quasi completamente di attualità; mentre altre
situazioni emergenti nel contesto evolutivo della società potrebbero magari oggi apparire
altrettanto meritevoli di una considerazione privilegiata.
Da qui l’esigenza di una rivisitazione complessiva del sistema dei privilegi, al fine di
adeguarlo alle nuove esigenze manifestatesi e di semplificare, razionalizzazione e sfoltire le cause
di prelazione tipizzate dal codice.
Sulla spinta di queste considerazioni, nell’art. 10 della L. 19 ottobre 2017, n. 155 (Delega
al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza)95 è stata inserita
la previsione di “procedere al riordino e alla revisione del sistema dei privilegi, principalmente
con l'obiettivo di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, con particolare riguardo ai
privilegi retentivi, eliminando quelle non più attuali rispetto al tempo in cui sono state introdotte
e adeguando in conformità l'ordine delle cause legittime di prelazione”.
E non è superfluo, al riguardo, osservare che la stessa legge delega, nell’art. 4, dedicato
alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, prevede la seguente direttiva al
legislatore delegato: “imporre a creditori qualificati, come l’Agenzia delle Entrate, gli agenti della
95 Pubblicata in GU n. 254 del 30 ottobre 2017.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
riscossione delle imposte e gli enti previdenziali, l’obbligo, a pena di inefficacia dei privilegi
accordati ai crediti di cui sono titolari, di segnalare immediatamente agli organi di controllo della
società o, in mancanza, al competente organismo di composizione della crisi il perdurare di
inadempimenti di importo rilevante”.
Purtroppo il termine per l’esercizio della delega è scaduto senza che il governo abbia dato
attuazione al riordino del sistema dei privilegi; cionondimeno, resto forte l’esigenza di procedere
ad un significativo sfoltimento ed una razionalizzazione dei privilegi tributari, ancorando il
riconoscimento della prelazione alla positiva dimostrazione, da parte del creditore pubblico, di
aver svolto una tempestiva ed efficace attività di segnalazione e di recupero del credito; così come
trova ampio consenso tra gli interpreti l’idea che sia necessario eliminare il privilegio per le
sanzioni amministrative tributarie, anche in considerazione del fatto che la scelta di conferire un
privilegio alle sanzioni – operata con il D.L. n. 98/2011 – mal si concilia con i principi del sistema
sanzionatorio tributario, chiaramente ispirato al diritto penale ed ai principi di personalità e
colpevolezza, a cui restano evidentemente estranei i creditori.
L’obiettivo del legislatore, in questa prospettiva, dovrebbe essere quello di ricondurre
l’Erario sullo stesso piano degli altri creditori concorsuali o, comunque, quello di contemperare
l’interesse della procedura con l’interesse fiscale, evitando che le legittime aspettative dei
creditori comuni rimangano frustrate per effetto di un ingiustificato “favor fisci”.
18. Privilegio speciale: le questioni relative alla sussistenza del bene ed alla sua mancata
indicazione
Un argomento meritevole di approfondimento riguarda i privilegi speciali erariali, sia
mobiliari (crediti per tributi indiretti art. 2758 c.c. e crediti per le imposte sul reddito art. 2759
c.c.) che immobiliari (crediti per tributi indiretti art. 2771 c.c.).
Sul punto occorre preliminarmente ricordare l’intenso dibattito che si è sviluppato sia in
dottrina che in giurisprudenza in relazione al momento in cui deve essere verificata la presenza
del bene nella massa, se cioè in sede di ammissione al passivo oppure nel momento (diverso e
successivo) del riparto.
La Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha definitivamente chiarito che “l’ammissione al
passivo fallimentare di un credito in via privilegiata non presuppone, ove si tratti di un privilegio
speciale su determinati beni, che questi siano già presenti nella massa, non potendosi escludere
la loro successiva acquisizione all’attivo fallimentare, per cui deve demandarsi alla fase del
Pag. 62 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
riparto la verifica della sussistenza o no dei beni stessi, da cui dipende l’effettiva realizzazione
del privilegio speciale”96.
Se questo principio di diritto è ormai pacifico, è altrettanto vero che l’art. 93, comma 3, n.
4), l. fall. espressamente impone a chi intende invocare un privilegio di carattere speciale “la
descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita”. Regola, questa, cui non può sottrarsi
l’Amministrazione Finanziaria, la quale è tenuta ad indicare i beni su cui intende far valere il
proprio privilegio speciale.
Anche in questo caso, accade sovente di rilevare, nella domanda di ammissione al passivo da
parte dell’Erario, la mancata indicazione dei beni su cui il privilegio può essere esercitato, con la
conseguenza prevista dal quarto comma dell’art. 93 l. fall.: se l’indicazione del bene su cui la
prelazione speciale si esercita è omessa o assolutamente incerta, il credito è considerato
chirografario.
19. Gli interessi: limiti di ammissione e modalità di determinazione del biennio
privilegiato ex art. 2749 c.c.
Ai sensi dell’art. 54 l. fall., i creditori garantiti da privilegio fanno valere il loro diritto di
prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale, gli interessi e le spese.
L’estensione del diritto di prelazione è regolata dall’art. 2749 c.c., il quale testualmente recita:
“Il privilegio accordato al credito si estende alle spese ordinarie per l’intervento nel processo di
esecuzione. Si estende anche agli interessi dovuti per l’anno in corso alla data del pignoramento
e per quelli dell’anno precedente. Gli interessi successivamente maturati hanno privilegio nei
limiti della misura legale fino alla data della vendita”.
Nell’ambito del fallimento, il biennio privilegiato si calcola a ritroso dal data del
fallimento, che è considerata una sorta di “pignoramento generale”97.
Anteriormente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 16 gennaio 2006, n. 5, l’art. 54 l. fall.
richiamava, per quanto concerne l’estensione del diritto di prelazione agli interessi, soltanto gli
artt. 2788 e 2855 c.c., senza menzionare l’art. 2749 c.c.
96 Cass., sez. civ. un., 12 ottobre 2001 n. 16060.
97 Novità introdotta dall’art. 50 del D.Lgs. 5/06, che ha rimediato a quello che dottrina e giurisprudenza prevalenti
consideravano una mera svista della legislatore del 1942.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Tale lacuna aveva indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare che gli interessi
prodotti dai crediti privilegiati (generali o speciali), sia per il periodo successivo che per quello
anteriore all’apertura della procedura concorsuale, non fossero a loro volta assistiti da privilegio98.
La Corte Costituzionale, investita della questione, con sentenza n. 162 del 28 maggio
2001, dopo aver evidenziato l’unitarietà della disciplina sostanziale delle cause legittime di
prelazione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 3, l. fall., nella parte in
cui non richiamava, ai fini dell’estensione della prelazione sugli interessi, anche l’art. 2749 c.c.
Il contenuto di tale pronuncia è stato poi trasfuso nel nuovo testo dell’art. 54 l. fall., che
dunque ripristina la dovuta omogeneità di trattamento tra le diverse cause di prelazione.
Affermato tale principio, la questione deve essere approfondita in una duplice direzione,
al fine di stabilire:
a) la misura degli interessi;
b) la delimitazione temporale degli stessi.
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che "l'accessorietà degli
interessi rispetto all'imposta, se può giustificare la collocazione del relativo credito con il
medesimo privilegio previsto da quello principale, non è però sufficiente a far ritenere che la
prelazione si estenda all'intero importo dovuto, senza limitazioni di carattere temporale o
quantitativo, non rinvenendosi nella disciplina dell'imposta o del privilegio norme specifiche che
introducano deroghe alla disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 2749 c.c."99.
In applicazione di tale principio, la Corte ha precisato che la misura legale alla quale rinvia
l’art. 2749, comma 2, c.c. ai fini dell’individuazione dei limiti della collocazione privilegiata deve
intendersi riferita – al pari di quella prevista dagli artt. 2788 e 2855 c.c. rispettivamente per i
crediti pignoratizi ed ipotecari – non già al tasso d’interesse stabilito dalla legge che disciplina il
singolo credito (e quindi il singolo tributo), ma a quello previsto in via generale dall’art. 1284
c.c., dovendosi ritenere prevalente l’esigenza di rispettare la concorsualità tra i vari creditori.
Il curatore è dunque tenuto a verificare che il privilegio del credito per interessi riferito al
mancato pagamento di un tributo privilegiato sia stato computato conformemente al combinato
disposto degli artt. 2749 c.c. e 54, ultimo comma, l. fall., sotto il duplice profilo:
98 In questo senso, ex multis, Cass., civ. sez. un., 26 gennaio 2000, n. 7. 99 Così, Cass., civ. sez. I, 21 settembre 2012, n. 16084; in termini, v., anche, Cass., civ. sez. I, 11 gennaio 2013 nn. 610-
611).
Pag. 64 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
- temporale: sono privilegiati solo gli interessi dovuti per l'anno in corso alla data della
dichiarazione di fallimento e per quelli dell'anno precedente;
- quantitativo: gli interessi maturati successivamente hanno privilegio nei limiti della
misura legale prevista dall’art. 1284 c.c. fino alla data di deposito del piano di riparto nel
quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente (art. 54 terzo comma l. fall.).
E’ tuttavia noto che l’agente della riscossione, in sede di insinuazione al passivo, chiede il
riconoscimento del privilegio per l’intero importo degli interessi maturati alla data del fallimento,
senza distinguere quelli formatisi nel biennio privilegiato e quelli anteriori, e senza indicare la
misura del tasso applicato.
Più in particolare, l’agente della riscossione richiede due tipologie di interessi:
- gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo, che decorrono dal giorno successivo a quello
di scadenza del pagamento, e sino alla data di consegna dei ruoli al concessionario (art.
20 D.P.R 602/1973)
- gli interessi di mora, che decorrono dalla data di notificazione della cartella di pagamento
e che sono dovuti nel caso in cui il contribuente non provveda al pagamento nel termine
di sessanta giorni (art. 30 D.P.R. 602/1973).
La duplice limitazione sopra vista si applica ad entrambe le tipologie di interessi; in
relazione agli interessi di mora sussistono peraltro ulteriori profili di interesse che saranno
esaminati al successivo paragrafo 21.
In relazione alle modalità con cui l’agente della riscossione è tenuto, in sede di ammissione
al passivo, a documentare la sussistenza e l’entità dell’invocato credito per interessi, si segnala
una recente e significativa presa di posizione della Suprema Corte, che ha assunto un
orientamento assai rigoroso.
Con ordinanza n. 21459/17100, la Corte, dopo aver ricordato che il trattamento
preferenziale accordato dalla legge non comporta la sottrazione degli stessi alla necessità di una
specifica domanda al passivo, ha aggiunto che non è sufficiente “la mera individuazione
dell’importo complessivamente dovuto per interessi, ancorché distinta da quella relativa alla
sorte capitale, ma occorre l’indicazione di tutti gli elementi necessari per il calcolo degli stessi
(e quindi almeno della data di scadenza del credito e del tasso d’interesse applicabile), in modo
tale da consentire al Giudice delegato nel procedimento di verificazione, ed al Tribunale
100 Cass., civ. sez. I, 22 marzo 2017 n. 21459.
Pag. 65 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
nell’eventuale giudizio di opposizione, di verificare l’esatta determinazione dell’importo
richiesto” 101.
Laddove si ritenga di aderire a questa impostazione, il curatore, una volta ricevuta una
domanda di ammissione che non contenga un’analitica indicazione delle modalità di calcolo degli
interessi, dovrà proporre per questi ultimi la collocazione in chirografo, o, laddove ritenga il
credito per interessi non adeguatamente provato, rigettare del tutto la richiesta.
Sul piano operativo, anche al fine di non alimentare un inutile contenzioso, suggeriamo di
inviare all’agente della riscossione – anteriormente al deposito del progetto di stato passivo – un
invito a dettagliare in modo analitico la composizione della voce per interessi, con l’avvertimento
che, in difetto, il credito per interessi sarà degradato in chirografo (o, se si aderisce alla tesi più
rigorosa, addirittura non ammesso).
Nella parte quarta della presente pubblicazione (Strumenti operativi) viene fornito un fac-
simile della comunicazione da inviare all’Agente della Riscossione al fine di acquisire le ulteriori
informazioni necessarie alla verifica del credito.
20. Il privilegio sulle sanzioni
Come già anticipato nel par. 16, la riforma del sistema sanzionatorio in campo tributario,
operata con i decreti legislativi nn. 471-472-473 del 1997, aveva indotto a ritenere che le sanzioni
– in virtù del loro carattere afflittivo e non accessorio o remunerativo – dovessero trovare
collocazione chirografaria e non privilegiata.
A tale regola generale facevano eccezione unicamente le sanzioni previste in materia di IVA,
in quanto la disposizione del terzo comma dell’art. 2752 c.c. ne prevedeva la collocazione in via
privilegiata.
Con la riforma introdotta dal D.L. n. 98/2011 convertito in L. n. 111/2011 è stato modificato
il contenuto dell’art. 2752 c.c., disponendo (v. art. 23, comma 37) l’estensione del privilegio alle
sanzioni dovute in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle
persone giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta regionale sulle attività produttive
ed imposta locale sui redditi.
Sempre con il comma 37 è stato poi eliminato l’ultimo inciso contenuto nel comma 1 dell’art.
2752 c.c., in forza del quale il privilegio risultava esteso ai soli crediti iscritti nei ruoli esecutivi
101 Così, Cass., civ. sez. V, 24 marzo 2006, n. 6642; Cass., civ. sez. I, 19 marzo 1996 n. 2321; Cass., civ. sez. I, 21
febbraio 2001 n. 2493.
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nell’anno in cui l’agente della riscossione promuove l’esecuzione o vi interviene e nell’anno
precedente.
Ciò in ragione del fatto che, considerati i lunghi tempi tecnici delle esecuzioni e la complessità
delle relative procedure, la predetta limitazione finiva nella sostanza per vanificare il privilegio.
Contestualmente, il comma 38 ha abrogato l’art. 2771 c.c., il cui contenuto originario è stato
sostanzialmente trasfuso nel comma 1 dell’art. 2752 c.c.
L’intervento del legislatore – chiaramente ispirato a ragioni di gettito erariale – è stato criticato
da vari interpreti, in quanto “la scelta di accordare un privilegio anche alle sanzioni
amministrative tributarie ha fatto nuovamente prevalere l’interesse fiscale su quello della
procedura, la cui massa debitoria pare così destinata al quasi totale soddisfacimento delle
imposte e delle relative sanzioni, ossia, non di rado, delle due principali voci d’indebitamento, a
tutto discapito degli altri creditori”102.
Ulteriori perplessità erano suscitate dalle previsioni contenute ai commi 39 e 40 del predetto
art. 23, in forza del quale le disposizioni si applicano anche ai crediti sorti anteriormente
all’entrata in vigore del decreto modificativo (e cioè fino al 5 luglio 2011).
Tale ultima previsione ha di fatto “messo in fuorigioco” molte procedure per le quali lo stato
passivo o l’elenco dei creditori si era già cristallizzato, determinando una pesante ed ingiustificata
alterazione delle aspettative di soddisfacimento dei crediti privilegiati di rango inferiore a quello
tributario; alterazione solo in parte mitigata dalla possibilità per i creditori privilegiati pretermessi
di proporre impugnazione ai sensi dell’art. 98 terzo comma l. fall.
La questione si è posta in maniera particolarmente allarmante per i concordati preventivi, in
quanto l’attribuzione generalizzata del privilegio sulle sanzioni tributari ha determinato, in taluni
casi, l’impossibilità sopravvenuta della proposta concordataria, con il rischio di inammissibilità
ex art. 173 l. fall., oppure di risoluzione ex art. 186 l. fall103.
Di tali preoccupazioni si è fatto portavoce il Tribunale di Firenze, il quale ha rilevato, in
riferimento agli artt. 2752, comma 1, c.c. e 23, commi 37 e 40, D.L. 98/2011, la possibile lesione
dell’art. 3 Cost. e dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, ed ha conseguentemente
102 Così, FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI, Le ulteriori proposte dei commercialisti in materia di “crisi
d’impresa”, documento del 29 febbraio 2016. Per una puntuale disamina delle questioni suscitate dalla novella legislativa,
anche con riferimento alle procedure concorsuali minori, v. M. FERRO, La nuova legislazione sociale nelle procedure
concorsuali: norme di settore e agevolazioni alla gestione della crisi, in Fallimento, 2011, p. 909. 103 Il Tribunale di Milano, con comunicazione di servizio n. 7/2011 del 4 ottobre 2011, ha affrontato gli effetti della
novella, ai fini operativi, sulle procedure fallimentari e concordatarie ancora in corso, prevedendo la possibilità, in taluni
casi, di dichiarare l’inammissibilità ai sensi dell’art. 173 l. fall., salvo che pervenga una proposta migliorativa, oppure di
far ripetere la votazione nel caso in cui vi sia uno scostamento nei pagamenti superiore al 25%.
Pag. 67 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
rimesso la questione alla Corte Costituzionale; la Consulta, con sentenza n. 170 del 4 luglio
2013104, ha ritenuto fondata la questione in relazione ad entrambi i profili, dichiarando
l’illegittimità dell’art. 23 comma 37, ultimo periodo, e comma 40 del D.L. n. 98/2011 “per
violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., sia per violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU, in considerazione del
pregiudizio che essa arreca alla tutela dell'affidamento legittimo e della certezza delle situazioni
giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti”.
La Corte Costituzionale ha successivamente dichiarato costituzionalmente illegittimo anche
il comma 39 del D.L. n. 98/2011, che affermava la collocazione sussidiaria ex art. 2776, comma
3, c.c., dei crediti assistiti dal privilegio di cui all’art. 2752 c.c. sul prezzo degli immobili, con
preferenza rispetto ai crediti chirografari (Corte Cost., 5 luglio 2017, n. 176).
Ciò doverosamente precisato in relazione ai crediti per sanzioni sorti anteriormente al D. L.
n. 98/2011, deve essere affermato il principio secondo cui, fatte salve fattispecie del tutto
marginali e non rilevanti, le sanzioni tributarie relative ai tributi che garantiscono il maggior
gettito godono sempre di collocazione privilegiata, senza che abbia rilievo la loro formale
denominazione105, la data di esecutività o di notifica del ruolo in cui esse sono iscritte ovvero il
tipo di ruolo (ordinario o straordinario).
L’unica significativa eccezione è rappresentata dai crediti relativi ai tributi locali (es.,
ICI/IMU, TASI, TIA, TOSAP) per i quali continuerà ad applicarsi la limitazione contenuta
all’ultimo comma dell’art. 2752 c.c., con conseguente collocazione chirografaria delle relative
sanzioni106.
In virtù di quanto sopra osservato, il curatore dovrà ammettere in via privilegiata tutte le
sanzioni riferite a crediti erariali, a meno che non sussistano ragioni di contestazione riferibili ad
esempio alla corretta applicazione dei principi di personalità e colpevolezza rispettivamente
previsti dagli artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 472/97, ovvero sia applicabile il principio del favor rei
previsto dall’art. 3 del citato decreto.
104 In Fallimento, 2014, p. 151, con nota adesiva di SPADARO, Illegittimità costituzionale dell’efficacia retroattiva dei
nuovi privilegi erariali ed effetti sulle procedure concorsuali pendenti, ove anche una disamina degli effetti della
pronuncia di incostituzionalità sulle procedure pendenti. 105 Peraltro la riforma del sistema sanzionatorio operata nel 2007 ha fatto venir meno la distinzione tra pene pecuniarie e
soprattasse che risaliva alla L. 4/1929. 106 Per completezza, segnaliamo che, per taluni privilegi speciali (ad es. il privilegio per IVA di rivalsa ex art. 2758 comma
2 c.c., o il privilegio per tributi diretti ex art. 2759 c.c.) la prelazione non si estende alle relative sanzioni; si tratta
comunque di limitazioni che hanno un impatto del tutto marginale, perché nella maggioranza dei casi il privilegio speciale
concorre con quello generale, che prevede rango privilegiato anche per le sanzioni.
Pag. 68 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Riguardo alla circostanza che lo stato di dissesto possa di per sé integrare una causa
d’esclusione della responsabilità sanzionatoria conseguente al mancato assolvimento degli
obblighi tributari, con conseguente inapplicabilità delle sanzioni, la Cassazione ha ripetutamente
escluso che l’insolvenza possa costituire una causa esimente dal versamento dei tributi107.
E ciò con ovvie ripercussioni anche sul versante della responsabilità penale in caso di omessi
versamenti d’imposta che superino le soglie di punibilità previste dal D.Lgs. n. 74/2000.
La dottrina peraltro auspica un intervento legislativo idoneo a dare rilievo alle difficoltà
economiche dell’imprenditore soggetto passivo d’imposta, prevedendo specifiche esimenti in
caso di sopravvenuta impossibilità finanziaria, ovvero agendo sulla graduazione dei privilegi
erariali in modo da ripristinare un’equilibrata composizione tra gli interessi dei creditori108.
21. Interessi di mora: limiti di riconoscibilità
Gli interessi di mora sono dovuti, e quindi da ammettere al passivo, solo ove la cartella di
pagamento sia stata notificata al debitore in bonis.
Essi devono essere calcolati a partire dal sessantunesimo giorno successivo alla notifica
della cartella.
In questo senso, l’art. 30, D.P.R. n. 602/1973 recita: “Decorso inutilmente il termine
previsto dall’articolo 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo, esclusi le sanzioni pecuniarie
tributarie e gli interessi, si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla
data del pagamento, gli interessi di mora [ …]”.
La spettanza del privilegio in relazione al credito per interessi di mora era stata messa in
discussione dalla Cassazione, la quale, con sentenza n. 22766 del 12 dicembre 2012 – invero
basata sulla vecchia formulazione dall’art. 30, D.P.R. n. 602/1973, prima che l’art. 14, D.Lgs. 26
febbraio 1999, n. 46 introducesse l’inciso “esclusi le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi“
– aveva affermato che calcolare gli interessi di mora anche sugli interessi già maturati ed iscritti
a ruolo avrebbe significato “una previsione di anatocismo” che portava a escludere su di essi la
spettanza del privilegio.
107 Cfr., tra le altre, Cass., civ. sez. V, 16 febbraio 2010, n. 3569; Cass., pen. sez. III, 15 settembre 2014 n. 37730. 108 V. sul punto L. GAMBI, Erario e fallimento, Milano, 2017, p. 396 ss. V. anche le proposte contenute nel documento
del 29 febbraio 2016 della FONDAZIONE NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI, Le ulteriori proposte dei commercialisti in
materia di “crisi d’impresa”, cit..
Pag. 69 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Da ciò derivando che gli interessi di mora non fossero assistiti da privilegio, senza alcuna
distinzione fra interessi maturati sul capitale ed interessi maturati, appunto, sugli interessi per
ritardato pagamento (soluzione, quest’ultima, conforme alle conseguenze dell’anatocismo).
Stante l’attuale formulazione dell’art. 30, D.P.R. n. 602/1973, la questione pare
definitivamente risolta nel senso della spettanza del privilegio.
Il calcolo degli interessi di mora viene a cessare alla data della sentenza di fallimento,
perché, da tale momento, e “fino al deposito del progetto di stato passivo nel quale in credito è
soddisfatto anche se parzialmente” (art. 54, comma 3, l. fall.), spettano i soli interessi legali.
Come detto gli interessi di mora sono dovuti a partire dal sessantunesimo giorno
decorrente dalla notifica della cartella (art. 30, D.P.R. n. 602/1973)109, sino alla data del
fallimento, con i seguenti tassi:
dall’01/01/1999: 8,40%
dall’01/10/2009: 6,8358%
dall’01/10/2010: 5,7567%
dall’ 01/10/2011: 5,0243%
dall’01/10/2012: 4,5504%
dall’01/05/2013: 5,2233%
dall’01/05/2014: 5,1400%
dall’01/05/2015: 4,88%
dall’01/05/2016: 4,30%
dal 15/05/2017: 3,50%
dal 15/05/2018: 3,01%.
Una volta aperto il concorso, maturano gli interessi legali fino al deposito del primo riparto
nel quale il debito sia pagato, almeno parzialmente.
Come gli interessi di mora, anche gli interessi legali riteniamo vadano calcolati sul debito
in linea capitale, e non anche sulle sanzioni ed interessi per ritardato pagamento, maturati sino ad
allora.
109 Norma che recita: “Decorso inutilmente il termine previsto dall'articolo 25, comma 2 [sessanta giorni dalla
notificazione: N.d.R.] sulle somme iscritte a ruolo, esclusi le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si
applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora
al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi
bancari attivi”.
Pag. 70 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Per quanto riguarda la documentazione che il creditore deve produrre in sede di
formazione del passivo, oltre alla prova della notifica della cartella di pagamento, si ripresenta
una questione ancora non definitivamente risolta.
Da un lato, l’Amministrazione finanziaria sostiene che essendo noti sia il termine iniziale
di decorrenza degli interessi, sia il termine finale, nonché i relativi tassi, stabiliti con
provvedimento legislativo, il contribuente, e quindi il curatore, hanno tutti gli elementi per poter
verificare la correttezza dell’importo richiesto.
Dall’altro lato, gran parte della dottrina e buona parte della giurisprudenza ritengono che
le cartelle di pagamento contenenti interessi di mora senza l’esplicitazione del relativo calcolo
siano da considerarsi nulle, per carenza di motivazione110.
A ciò si aggiungano le problematiche legate alla decadenza dal diritto di opposizione alla
cartella di pagamento ed alla esclusività della competenza del giudice tributario, da cui può farsi
discendere il seguente quadro:
- se la cartella di pagamento contenente gli interessi di mora è stata ritualmente notificata
all’impresa in bonis e siano decorsi i termini per proporre impugnazione, la cartella è
divenuta definitiva, conseguendone che il curatore non può che proporre l’accoglimento
della domanda di ammissione al passivo;
- se pendono i termini per impugnare la cartella, ovvero l’ufficio non ne dimostri la regolare
notifica, potendo dunque la cartella essere impugnata al momento della presentazione
dell’insinuazione al passivo, qualora il curatore intenda contestare gli interessi di mora,
non potrà che impugnare il ruolo e/o la cartella medesima avanti la giurisdizione
tributaria, proponendo l’ammissione del credito con riserva.
Da ultimo, sia il credito per interessi di mora, sia il credito per interessi legali sono
ammessi al passivo con lo stesso grado di privilegio del tributo a cui tali accessori afferiscono.
22. Aggio: condizioni per l’ammissibilità e natura chirografaria
Punto di partenza è il seguente principio stabilito dalla Cassazione: “L’aggio costituisce il
compenso spettante al concessionario esattore per l’attività svolta su incarico e mandato
dell’ente impositore ed il relativo credito non muta la sua natura di corrispettivo per un servizio
110 Cfr. Cass., civ. sez. V, 21 febbraio 2012, n. 4516; Cass., civ. sez. VI, 18 giugno 2013, n. 15188 (ord.);
Comm. Trib. Prov. Lecce, 15 febbraio 2010; Comm. Trib. Prov. Como, 4 settembre 2014; Comm. Trib. Reg.
Lombardia, 20 ottobre 2015.
Pag. 71 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
reso in base al soggetto (contribuente, ente impositore o entrambi “pro quota”) a carico del
quale, a seconda delle circostanze, è posto il pagamento”111.
L’aggio (oggi: “oneri di concessione”), in quanto compenso per l’attività svolta
dall’agente della riscossione, è dunque dovuto solo qualora l’attività di esazione sia iniziata prima
della sentenza di fallimento, con la notifica della cartella di pagamento.
Trattandosi non di un accessorio del tributo, bensì di un corrispettivo di servizio non
assistito da alcuna specifica causa di prelazione, se spettante, deve essere ammesso al passivo in
chirografo.
La quota di aggio a carico del contribuente è variata nel tempo, come risulta dalla seguente
tabella:
cartella notificata cartella notificata cartella notificata
dal 2009 al 2012 dal 2013 al 2015 dall’anno 2016
pagamento entro 60 giorni
dalla notifica della cartella 4,65% 4,65% 3,00%
pagamento oltre 60 giorni
dalla notifica della cartella 9,00% 8,00% 6,00%
Seguendo le regole generali, l’aggio è dovuto solo qualora il creditore dimostri se e quando
sia avvenuta la notifica della relativa cartella di pagamento.
23. Spese di insinuazione, diritti di notifica ed altre voci
Anche se, per le spese di insinuazione, si è correttamente parlato di “resistenze sul punto
della giurisprudenza di merito”112, è principio consolidato in giurisprudenza di legittimità quello
secondo cui “le spese d’insinuazione al passivo sostenute dall’agente della riscossione (cd. diritti
di insinuazione) rappresentano i costi normativamente forfetizzati di una funzione pubblicistica
e, in quanto previste da una disposizione speciale equi-ordinata rispetto al principio legislativo
di eguaglianza sostanziale e di pari accesso al concorso di tutti i creditori di cui agli artt. 51 e
52 l. fall., hanno natura concorsuale e vanno ammesse al passivo fallimentare”113.
111 Cass., civ. sez. I, 3 aprile 2014, n. 7868; in senso conforme: Cass., civ. sez. I, 23 dicembre 2015, n. 25932. 112 Cfr. Ufficio Massimario Cassazione, Relazione del 27 giugno 2017. 113 Cass., civ. sez. I,, 22 dicembre 2015, n. 25802; in senso conforme, Cass., civ. sez. VI, 6 novembre 2017, n.
26284 (ord.); Cass., civ. sez. I,, 1° marzo 2010, n. 4861.
Pag. 72 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Quanto sopra, prosegue la Corte con la stessa sentenza, “in ragione di un’applicazione
estensiva dell’art. 17, D.Lgs. n. 112/1999, che prevede la rimborsabilità delle spese relative alle
procedure esecutive individuali, atteso che un trattamento differenziato delle due voci di spesa
risulterebbe ingiustificato, potendo la procedura concorsuale fondatamente ritenersi
un’esecuzione di carattere generale sull’intero patrimonio del debitore”.
Tale motivazione appare appieno convincente.
Segnaliamo, peraltro, in giurisprudenza di merito, una sorta di “soluzione intermedia”,
seguita, fra gli altri, dal Tribunale di Milano.
Secondo tale tesi, il credito per le spese segue la stessa “logica” del credito relativo agli
aggi e, pertanto, dev’essere ammesso al passivo ove risulti posta in essere e provata, da parte
dell’agente della riscossione, una qualche attività esattiva (quantomeno la notifica della cartella
di pagamento), prima della sentenza di fallimento114.
E’ ovvio che l’istanza di ammissione al passivo non potrà che essere presentata dopo il
fallimento, ma la ratio di questa soluzione, ancorché a nostro avviso scarsamente giustificata
sotto il profilo giuridico, è che, nel caso in cui l’agente sia rimasto inerte, sia giustificata la
mancata ammissione al passivo di ogni accessorio.
Indubbiamente, ed è la stessa sentenza della Cassazione n. 25802/2015 a puntualizzarlo,
“il credito per le spese di insinuazione va, peraltro, riconosciuto in via chirografaria e non
privilegiata, dovendo escludersi l’inerenza delle stesse al tributo riscosso”.
La stessa presentazione dell’istanza di ammissione al passivo costituisce la prova della
spettanza del credito per le spese – e non è quindi necessaria alcuna specifica documentazione
aggiuntiva.
Il medesimo ragionamento sopra esposto in relazione agli aggi, vale anche per i diritti di
notifica, le spese d’esecuzione e gli altri importi eventualmente posti a carico del debitore in sede
di cartella di pagamento.
In questo senso la giurisprudenza della Cassazione: “le spese per la notificazione della
cartella esattoriale, ove questa sia avvenuta dopo la dichiarazione di fallimento del contribuente,
non possono gravare sulla procedura concorsuale apertasi a suo carico, né, a maggior ragione,
sono prededucibili, trattandosi di attività non necessaria ai fini dell’ammissione al passivo del
relativo credito e dovendo trovare applicazione la normativa di cui alla legge fallimentare, senza
114 Trib. Milano, circolare ai curatori del 20 gennaio 2010.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
che possano rilevare, a tal fine, le disposizioni che regolano i rapporti tra l’ente impositore e il
concessionario”115.
Pertanto, seguirà l’ammissione al passivo di tali crediti, in chirografo, solo ove le relative
voci di spesa siano state esposte nella cartella di pagamento notificata al debitore prima del
fallimento.
24. Le eccezioni sollevabili dal curatore
24.1 La prescrizione. I termini
24.1.1 Prescrizione quinquennale o decennale: tesi prevalente
Si tratta di valutare se il termine di prescrizione dei crediti tributari sia l’ordinario termine
decennale, ovvero il più breve termine quinquennale, come stabilito dall’art. 2948 n. 4), c.c.
(“[…] tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno od in termini più brevi").
La questione è stata affrontata dalla Cassazione con sentenza n. 4283 del 23 febbraio 2010.
Con tale decisione, il Collegio ha preso in esame una serie di tributi locali: ne citiamo
ampi stralci perché ripercorre, in modo lucido e chiaro, l’iter interpretativo seguito: non “è
revocabile in dubbio che i pagamenti dei tributi locali di cui si tratta hanno cadenza annuale od
in termini più brevi, in ragione di mesi, con ciò rientrando, sotto il profilo testuale, nella
disposizione in parola. Tale requisito non è però sufficiente.
Infatti, la consolidata giurisprudenza della Corte […] ha chiarito che la prescrizione
quinquennale prevista dall’art. 2948 n. 4 c.c. [… ] si riferisce alle obbligazioni periodiche o di
durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con decorso
del tempo, di guisa che soltanto con il protrarsi dell’adempimento nel tempo si realizza la causa
del rapporto obbligatorio e può essere soddisfatto l’interesse del creditore per il tramite della
ricezione di più prestazioni, aventi un titolo unico, ma ripetute nel tempo ed autonome le une
dalle altre.
Tale prescrizione, per contro, non trova applicazione con riguardo alle prestazioni
unitarie, suscettibili di esecuzione così istantanea, come differita o ripartita, in cui cioè è, o può
essere, prevista una pluralità di termini successivi per l’adempimento di una prestazione
strutturalmente eseguibile però anche “uno actu” con riferimento alle quali opera la ordinaria
prescrizione decennale contemplata dall’art. 2946 c.c. (Cass. n. 9295/1993).
115 Cass., civ. sez. i, 15 marzo 2013, n. 6646.
Pag. 74 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
In altri termini, la disposizione codicistica trova applicazione nella ipotesi di prestazioni
periodiche in relazione ad una causa debendi continuativa, mentre la medesima norma non trova
applicazione nella ipotesi di debito unico.
Sotto diverso profilo, ovvero per la mancanza di una “causa debendi” continuativa, è
stata esclusa la applicabilità della prescrizione breve al credito erariale per la riscossione di
imposta sul valore aggiunto (IVA) (pure da pagarsi con cadenza annuale od inferiore) sul rilievo
che la prestazione tributaria, stante la autonomia dei singoli periodi di imposta e della relative
obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il credito, anno per
anno, da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti
impositivi. (v. Cass. n. 2941/2007).
Venendo ora all’esame della fattispecie concreta alla stregua dei criteri sopra enunciati,
si ritiene non possa negarsi che i tributi locali di cui è causa (tassa per lo smaltimento rifiuti, per
l’occupazione di suolo pubblico, per concessione di passo carrabile, contributi di bonifica) siano
elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico caratterizzato da una “causa debendi” di tipo
continuativo suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo in relazione alla quale
l’utente è tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale
della prestazione erogata dall’ente impositore, o del beneficio dallo stesso concesso.
Invero, in tutti i casi considerati, l’utente è tenuto a pagare periodicamente una somma
che, sia pure autoritativamente determinata, costituisce corrispettivo di un servizio a lui reso, o
richiesto (concessione di uso di suolo pubblico, di uso di passo carrabile) o imposto (tassa per
smaltimento rifiuti, contributo opere di risanamento idraulico del territorio) che in tanto si
giustifica in quanto anno per anno il corrispondente servizio venga erogato.
Né è necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame della esistenza dei
presupposti impositivi, che permangono fino alla verificazione di un mutamento obbiettivo della
situazione di fatto giustificante il servizio, né il corrispettivo potrebbe dall’utente essere
corrisposto in unica soluzione, in quanto ab initio non determinato e non determinabile, né
nell’entità, né nella durata”116.
Le conclusioni apparirebbero, dunque, chiare:
- i crediti per tributi erariali si prescrivono in dieci anni;
- i crediti per tributi locali, in cinque anni.
116 In senso conforme: Cass., civ. sez. V, 11 novembre 2010, n. 22977; Cass., civ. sez. V, 9 febbraio 2007, n.
2941; Cass., civ. sez. V, 8 settembre 2004, n. 18110.
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24.1.2. Tesi minoritaria
Abbiamo detto “apparirebbero” perché, da un lato, dobbiamo dar conto di alcune sentenze
di merito, successive, di segno opposto, dall’altro, perché su uno specifico tributo locale riteniamo
possa davvero permanere più d’un qualche dubbio.
Le sentenze di segno opposto sono in gran parte richiamate dalla sentenza della
Commissione Tributaria Provinciale di Messina n. 512 (o 513) del 24 settembre 2013, che
richiama altre pronunzie della giurisprudenza di merito, così che, in un solo documento, troviamo
una ricostruzione ampia e dettagliata delle principali pronunce che si sono occupate della
questione.
Di seguito una breve rassegna:
- C.T.R. Palermo, Sez. distaccata di Catania 34, 28 novembre 2011: “Si premette che
nell’ambito tributario manca una disposizione generale analoga a quella dell’art.2946
c.c. […], ma non persuade la tralatizia estensione della disposizione. [ …] Invero, alla
lacuna si deve rimediare mediante l’art. 2948 n. 4), cc. per la periodicità delle
obbligazioni tributarie, la cui cd. autonomia annuale non discende da ragioni
dogmatiche, ma è mero espediente tecnico-operativo. Conforme e ineccepibile è l’arresto
giurisprudenziale invocato dall’appellante, del quale è opportuno trascrivere il
passaggio centrale della motivazione “[...] l’imposta diretta, annualmente addebitata al
contribuente, rientra perfettamente nel concetto di ‘obbligazione periodica” [...]: il
debito di imposta infatti sorge annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni
soggetto passivo deve effettuare annualmente [...] l’imposta diretta deve essere pagata
‘periodicamente’ a seguito di una generale previsione legislativa [...] il Consiglio di
Stato, in sede di parere […] emesso il 27.11.1984, si è pronunciato sulla questione,
rilevando che “per i crediti di imposte iscritti a ruolo è applicabile la prescrizione
quinquennale prevista dall’art. 2948 cc. che decorre [...] dal momento in cui il debito
diviene oltre liquido esigibile””;
- C.T.P. Milano, 20 novembre 2004: “il diritto dell’ufficio a riscuotere l’importo iscritto a
ruolo a nome del ricorrente, quale socio solidalmente ed illimitatamente responsabile, ai
sensi dell’art. 2267 c.c. [..]. delle obbligazioni sociali della fallita società in n. c.,
soggiace alla prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4), c.c.”.
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La sentenza dalla Commissione messinese segnala, poi, un ulteriore elemento, ovvero
“l’obbligo per il concessionario di conservare copia delle cartelle di pagamento e dei relativi
attestati di ricevimento per cinque anni, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26” che “può essere
assunto come indizio di una presunzione del legislatore di prescrizione quinquennale dei crediti
azionati” e, dopo una disamina estremamente ampia e sicuramente interessante, giunge a sposare
la tesi della prescrizione quinquennale di tutti i debiti erariali.
Riteniamo che il rango e la precisione delle motivazioni rendano nettamente preferibili le
conclusioni a cui giungono le varie sentenze dalla Suprema Corte e che, quindi, per i tributi
erariali si applichi la prescrizione decennale.
Ma non possiamo al contempo negare che le argomentazione delle sentenze di merito di
segno contrario contengano elementi di non poco interesse.
24.1.3 Prescrizione tributo di ICI ed IMU
Alcune considerazioni conclusive in relazione ai tributi ICI ed IMU.
Per quanto riguarda il primo, l’art. 1 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 stabilisce che
“Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti
nel territorio dello Stato”.
In relazione al tributo IMU; l’art. 8, comma 1, D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 dispone che
tali imposta “sostituisce, per la componente immobiliare, l’imposta sul reddito delle persone
fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, e
l’imposta comunale sugli immobili”.
Con riferimento ai tributi ICI ed IMU non vi è alcun collegamento con i principi statuiti
dalla Suprema Corte con la sentenza n. 4283/2010, che si applica ai tributi locali in relazione ai
quali vi sia un “rapporto sinallagmatico caratterizzato da una “causa debendi” di tipo
continuativo suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo in relazione alla quale
l’utente è tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale
della prestazione erogata dall’ente impositore, o del beneficio dallo stesso concesso”117.
D’altra parte, in relazione ai tributi ICI ed IMU, il contribuente non “è tenuto a pagare
periodicamente una somma che, sia pure autoritativamente determinata, costituisce corrispettivo
di un servizio a lui reso, o richiesto (concessione di uso di suolo pubblico, di uso di passo
carrabile) o imposto (tassa per smaltimento rifiuti, contributo opere di risanamento idraulico del
117 Cass., civ. sez. V, 23 febbraio 2010, n. 4283, anche in relazione alla citazione seguente.
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territorio) che in tanto si giustifica in quanto anno per anno il corrispondente servizio venga
erogato“.
Abbiamo detto che secondo la Cassazione per il credito relativo ai tributi locali si applica
la prescrizione quinquennale.
È però vero che in relazione ai tributi ICI ed IMU – per quanto anche per tali imposte,
come gli altri tributi locali, non venga presentata alcuna dichiarazione specifica, anno per anno –
non viene a mutare, con l’apertura del concorso, né la base imponibile, né il presupposto
d’imposta, ciò che dunque potrebbe legittimare una diversa valutazione rispetto agli altri tributi
locali, in punto di prescrizione (decennale e non quinquennale).
Le sentenze della Cassazione che si sono occupate specificatamente di ICI e/o tributo IMU
hanno invero statuito, anche per tali imposte, la prescrizione quinquennale118.
Esse, a ben vedere, non hanno però affrontato la questione sotto la prospettiva di cui sopra
(differenza con gli altri tributi locali), limitandosi ad assumere la prescrizione quinquennale
sostanzialmente per presupposta – mentre presupposta, a nostro avviso, potrebbe non essere del
tutto.
24.1.4. Irrilevanza, ai fini prescrizionali, della definitività della cartella
Sempre in tema di termini prescrizionali, definitivamente risolta appare la questione se,
dalla definitività della cartella di pagamento per mancata impugnazione, consegua l’applicazione
dell’art. 2953 c.c.
Tale norma dispone che “diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di
dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si
prescrivono con il decorso di dieci anni”.
Il tema è stato approfonditamente esaminato dalla Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza
n. 23397 del 17 novembre 2016.
La Corte, con tale pronuncia, ha statuito i seguenti principi di diritto: “è di applicazione
generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o
impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce
soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto
118 V., fra tutte, Cass., civ. sez. V, 29 novembre 2017, n. 28576.
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della ed. ‘conversione’ del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello
ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c.
Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti - comunque denominati -
di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti
previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extra-tributarie,
nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle
sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la
conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più
breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre
l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un
titolo giudiziale divenuto definitivo”119.
24.1.5. Conclusioni
In conclusione:
- i crediti relativi a tributi erariali si prescrivono in dieci anni;
- i crediti relativi a tributi locali si prescrivono in cinque anni. Con quest’ultima
annotazione: per quanto riguarda i crediti relativi ai tributi ICI ed IMU, benché venga
data abitualmente per scontata l’applicazione del termine quinquennale, al pari degli altri
tributi locali, ci siamo permessi di proporre un’ipotesi alternativa (prescrizione
decennale);
- la definitività della cartella di pagamento non ha effetti sulla tipologia di prescrizione da
applicarsi.
24.2. Le modalità di contestazione da parte del curatore
L’art. 88 del D.P.R. n. 602/1973 stabilisce la c.d. “riserva di giurisdizione” degli organi
della giustizia tributaria per quanto riguarda l’ammissione al passivo dei crediti tributari.
Tale norma, al riguardo, sancisce che: “Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono
contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva”, e che “la riserva è sciolta dal giudice
delegato con decreto, su istanza del curatore o del concessionario, quando è inutilmente decorso
119 Cass., civ. sez. un., 17 novembre 2016, n. 23397; in senso conforme, oltre alla citata Cass. n. 28576/2017,
v. anche Cass., civ. sez. VI, 17 gennaio 2018, n. 930 (ord.).
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al giudice competente, ovvero
quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto”.
Ove il curatore intenda sollevare contestazioni in ordine alla domanda di ammissione del
credito tributario, dovrà quindi proporre ricorso avanti agli organi della giustizia tributaria, nei
termini di legge, proponendo poi l’ammissione al passivo del credito fiscale con riserva da parte
del GD.
Ciò vale anche qualora si intenda eccepire la prescrizione?
Ogni dubbio sul tema appare ora risolto, in senso positivo, dalle Sezioni Unite della
Cassazione.
La Corte, con sentenza n. 14648 del 13 giugno 2017, ha stabilito il seguente principio:
“ove in sede di ammissione al passivo sia eccepita dal curatore la prescrizione dei crediti
tributari successivamente alla notifica della cartella di pagamento, la giurisdizione sulla
controversia spetta al giudice tributario, da ciò conseguendo in sede fallimentare l’ammissione
con riserva del credito in oggetto”.
Resta, peraltro, aperta un’ulteriore problematica non di poco conto: l’istanza di
ammissione al passivo non compare tra gli atti impugnabili avanti le commissioni tributarie, a
norma dell’art. 19, I comma, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Ciò costringe a esaminare separatamente due possibili fattispecie.
24.2.1 Cartella di pagamento non ancora notificata
Qualora l’istanza di ammissione al passivo del credito fiscale non si fondi sulla base di
una cartella di pagamento già notificata, ma – come accade in genere nella prassi –sia
semplicemente suffragata dall’allegazione del ruolo, o meglio dal solo estratto di ruolo, il ricorso
è ammissibile?
Da ciò, fra l’altro, parte della dottrina - antecedente alla sentenza delle SS.UU. qui sopra
citata - aveva desunto che per la questione in esame la competenza sia, in ogni caso, del giudice
delegato120.
La soluzione, valida soprattutto sotto un profilo applicativo, può risiedere nella possibilità
che il curatore impugni avanti gli organi della giustizia tributaria non già l’istanza di ammissione
al passivo, bensì il ruolo sul quale essa si basa.
120 Cfr. L. DEL FEDERICO, I crediti tributari nell’accertamento del passivo fallimentare, cit., p. 11 ss.
Pag. 80 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Atto, quest’ultimo, ricompreso nell’elencazione del citato art. 19, D.Lgs. n. 546/1992,
impugnabile anche in base al principio di diritto stabilito dalla sentenza delle Sezioni Unite della
Cassazione n. 17904/ 2015: “É ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non
sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso
l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario”.
Se è ammissibile l’impugnazione di una cartella di pagamento non notificata, ma della
quale il destinatario viene a conoscenza attraverso il rilascio dell’estratto di ruolo, riteniamo che,
a maggior ragione, possa essere impugnata una cartella (che si ipotizza non notificata) della quale
il curatore venga a conoscenza, trattandosi di documento allegato all’istanza di ammissione al
passivo.
È peraltro possibile che ove in sede di giudizio tributario l’agente del servizio di
riscossione dimostrasse che il ruolo era stato regolarmente notificato al debitore ante fallimento,
dovendosi dunque intendere definitiva la sottostante pretesa fiscale, il ricorso introdotto dalla
curatela potrebbe essere respinto dalla commissione tributaria.
Ove però ciò non accada, il giudice tributario potrà (recte, dovrà) pronunciarsi anche
sull’eventuale intervenuta prescrizione della pretesa tributaria, essendo l’unico soggetto
legittimato a decidere sull’argomento, vista la ricordata specialità della giurisdizione fiscale.
24.2.2 Cartella di pagamento già notificata
Diversa è invece la fattispecie di una cartella di pagamento già correttamente notificata al
fallito all’epoca in bonis, relativamente alla quale la prescrizione è maturata nel periodo
successivo.
In tal caso, l’iter da seguire è il medesimo - ammissione con riserva e impugnazione avanti
la Commissione Tributaria - ma esiste a nostro avviso il dubbio che il giudice tributario, invece
di decidere nel merito, possa dichiarare il ricorso inammissibile perché ampiamente decorsi i
termini dalla notifica della cartella.
Qualora ciò accadesse riteniamo che tale dichiarazione, “estromettendo” la valutazione
dell’avvenuta prescrizione dalla giurisdizione tributaria, non possa che portare la competenza
nuovamente al giudice delegato, che potrà sciogliere la riserva dichiarando il credito non
ammissibile, appunto, per prescrizione.
In sede di opposizione al passivo l’Ente impositore potrà naturalmente dimostrare di aver
effettuato atti interruttivi della prescrizione e quindi insistere per l’ammissione del credito.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
24.3 La compensazione
24.3.1 La compensazione quale eccezione in sede di ammissione al passivo
In linea generale, il curatore, in sede di esame delle istanze di ammissione al passivo, può
sollevare l’eccezione di compensazione per ridurre o azzerare la pretesa del creditore istante e,
qualora non vi siano dubbi sulle contrapposte situazioni creditorie/debitorie, non ci pare
sussistano ostacoli a tale procedura anche in tema di crediti e debiti tributari.
Una cosa è, infatti, decidere sull’esistenza ed entità del credito tributario, che è riservata
alla competenza del giudice tributario, altra cosa è applicare le norme civilistiche sulla
compensazione e l’art. 56 l. fall. a crediti e debiti la cui esistenza ed entità non siano in
discussione.
Sia per quanto riguarda i crediti e debiti “generici”, sia per quanto riguarda i crediti e debiti
tributari, tale possibilità deve però essere attentamente valutata in considerazione del pacifico
principio giurisprudenziale secondo il quale il credito contrapposto in sede di esame del passivo
al debito azionato dal creditore della procedura non potrà più essere messo in discussione121.
Ciò significa che, qualora in corso di procedura il credito della procedura dovesse rivelarsi
superiore o inferiore a quanto opposto in compensazione, ciò non potrà più avere rilevanza.
Ne consegue che:
- ove il credito della procedura, successivamente alla definitività dello stato passivo (es.,
in esito all’esame di documentazione contabile reperita successivamente dal curatore)
dovesse rilevarsi superiore a quello di cui si è tenuto conto, in compensazione, in sede di
ammissione al passivo del credito dell’Erario, tale maggiore importo andrà “perduto”;
- ove, specularmente, (es., a seguito di un accertamento relativo all’anno nel quale il credito
fiscale si si sia formato), il credito della procedura dovesse rilevarsi inferiore a quello di
cui si è tenuto conto in compensazione, in sede di ammissione al passivo del credito
dell’Erario, il maggior credito fiscale non dovrebbe essere ammesso al passivo.
Ogni valutazione sul punto, in sede di predisposizione del progetto di stato passivo, dovrà
quindi essere compiuta con la massima attenzione, tenendo conto appunto dell’importante
principio qui sopra esposto.
24.3.2. La compensazione quale eccezione in corso di procedura
121 Cass., civ. sez. un., 14 luglio 2010, n. 16508; Cass., civ. sez. I, 14 luglio 2009, n. 16398 (ord.); Cass., civ.
sez. I, 8 luglio 2004, n. 12548.
Pag. 82 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
I crediti-debiti ante fallimento ed i crediti-debiti post fallimento
Ben più articolato, interessante e d’inquadramento non certo agevole, è il problema della
compensazione fra crediti e debiti tributari in corso di procedura.
L’art. 56 l. fall., nonché la produzione di prassi e dottrinaria che se ne sono seguiti (si
vedano i più ampli riferimenti nella prima parte di questo volume), sono chiari e concordi nello
stabilire la compensabilità fra crediti e debiti, anche tributari, a condizione che essi siano entrambi
sorti ante o post fallimento.
I dubbi nascono, peraltro, ove tale collocazione temporale non sia chiara.
Punto di partenza, in giurisprudenza, è la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n.
775/1999: “la compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito
divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell’obbligazione sia
anteriore alla dichiarazione di fallimento”122.
La Corte, con la citata sentenza n. 3280/2008, così prosegue: “Per insegnamento ormai
costante della Suprema Corte, la l. fall., art. 56, prevede, quale unico limite imprescindibile per
la compensabilità dei debiti verso il fallito-creditore, l’anteriorità al fallimento del fatto genetico
della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte e la compensazione
fallimentare è, pertanto, applicabile non solo quando il credito del terzo non è ancora scaduto
alla data della dichiarazione di fallimento, ma anche quando tale scadenza riguardi il credito
del fallito (Cass. n. 9678/2000; Cass. n. 8042/2003; Cass. n. 10861/2003)”.
Nella prassi, la questione della collocazione dei crediti fiscali ante o post fallimento è
affrontata, una prima volta, dall’Amministrazione finanziari con la risoluzione n. 279/2002.
L’Agenzia, con tale documento, rileva come “non possa operare la compensazione fra il
credito verso il fallito ed il debito verso la massa, poiché lo stesso art. 74-bis, commi 1 e 2,
D.P.R. n. 633/1972 distingue nettamente fra le operazioni effettuate anteriormente alla
dichiarazione di fallimento e quelle successive all’apertura della procedura; in tale situazione
infatti le posizioni del rapporto debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti
diversi (fallito - massa fallimentare) e a momenti diversi rispetto alla dichiarazione di
fallimento (anteriore il credito, posteriore il debito) con conseguente illegittimità della eventuale
compensazione”.
La posizione è ribadita con Circolare n. 13/2011: “Le posizioni del rapporto debitorio e
del rapporto creditorio sono relative a soggetti diversi (fallito e massa fallimentare) e a momenti
122 Cass., civ. sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3280.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento, con conseguente illegittimità della eventuale
compensazione”.
Il principio è quindi chiaro: ai fini del collocamento ante o post fallimento del credito e
debito fiscale, ciò che rileva è il momento in cui sorge il “fatto genetico” delle obbligazioni
tributarie correlate a tali reciproche postazioni creditorie.
Ma, in alcuni casi, la collocazione non è invero semplice: il caso più frequente è il tributo
IVA esposto nelle fatture dei professionisti emesse a seguito di pagamenti percepiti in sede di
ripartizione dell’attivo fallimentare
La questione è ben nota, e la giurisprudenza è (purtroppo) costante nell’affermare i
seguenti principi e statuizioni123:
- “il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di
imprenditore poi dichiarato fallito, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza
di fallimento [...] non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in
prededuzione [...] in quanto la disposizione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6,
comma 3, primo periodo [...] secondo cui “Le prestazioni di servizi si considerano
effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”, non pone una regola generale
rilevante in ogni settore del diritto – avendo l’emissione della fattura il solo effetto di
determinare, ai fini fiscali, la data della cessione di beni o della prestazione di servizi in
un momento diverso da quello della stipulazione”;
- e, quindi: “sul piano civilistico, la prestazione professionale conclusasi prima della
dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore del credito di rivalsa IVA,
autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma a questo soggettivamente e
funzionalmente connesso”;
- ne consegue che “il diritto di rivalsa non è riconducibile nel novero delle spese e dei
debiti contratti per l’amministrazione della procedura fallimentare [...] perché esso non
è sorto nel corso della procedura fallimentare per effetto del pagamento effettuato dal
curatore in esecuzione del piano di riparto e della corrispondente emissione della fattura
da parte del professionista, tenuto conto che ai fini dell’individuazione dei debiti di
massa, non è determinante il profilo temporale, bensì quello funzionale, cioè la genesi
123 Cfr., Cass., civ. sez. II, 23 luglio 2013, n. 17876; Cass., civ. sez. I, 11 aprile 2011, n. 8222; Cass., civ. sez.
I,, 12 giugno 2008, n. 15690.
Pag. 84 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
del debito per atto degli organi fallimentari – e non di un terzo creditore – in occasione
e per le finalità della procedura”.
Ma se ai fini della qualificazione di un determinato debito, come debito della massa, ai
fini della sua collocazione temporale ante o post fallimento, ciò che rileva è non già quando tale
debito si “manifesti”, bensì quando esso geneticamente sorga, allora il tributo IVA esposto in una
fattura emessa verso la procedura post fallimento, ma relativa a prestazione resa ante fallimento,
dovrebbe essere trattato come credito concorsuale e non della massa.
E passando ad altre fattispecie, meno frequenti ma non rarissime, il principio di cui sopra
dovrà sempre applicarsi qualora si presenti una situazione di “emersione”, in corso di procedura,
di un credito o debito la cui causa genetica sia collocata prima dell’apertura del concorso:
- il credito relativo al tributo IVA esposto nelle fatture di acquisto per operazioni effettuate
dal debitore in bonis, ricevute dal curatore post fallimento, sarà un credito concorsuale;
- il credito/debito IVA da recupero del pro-rata, sarà un credito/debito concorsuale per la
parte in cui rettifica una detrazione effettuata parimenti ante procedura;
- e sarà credito ante, da soddisfarsi solo a seguito di istanza di ammissione al passivo, in
moneta fallimentare, peraltro compensabile con crediti parimenti ante, il debito IVA per
fatture emesse dal debitore in bonis con tributo IVA in sospensione, ove riscosse in corso
di procedura.
In conclusione, riteniamo che il più volte citato principio del “fatto genetico”, enunciato
dalla Suprema Corte, se presenta, da una parte, più che fondate motivazioni sotto il profilo sia
civilistico che tributario (teoria dichiarativa dell’obbligazione tributaria), dall’altra, determina
obiettive difficoltà di coordinamento con i meccanismi operativi di applicazione del tributo IVA,
in sede di concorso.
Nell’applicare il principio statuito dalla Cassazione, occorre dunque prestare grande
attenzione, ed essere consapevoli che la “sostanza” (collocazione ante e post fallimento delle
operazioni secondo il citato principio) potrà non coincidere con la “forma” (emersione del credito
in sede di dichiarazioni ed altri adempimenti IVA).
E poiché le movimentazioni finanziarie (versamenti ed utilizzi in compensazione) non
possono che essere effettuate sulla base della “sostanza”, accadrà che le stesse possano essere
valutate diversamente dall’Agenzia delle Entrate, in base ad un criterio fondato sulla “forma”
(dichiarazioni presentate).
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Da ciò, probabili avvisi di irregolarità, possibili irrogazioni di sanzioni – ed il non facile
compito, per il curatore, di giustificare il proprio comportamento sulla base del principio in
questione, sia nel contraddittorio con l’Ufficio, sia eventualmente avanti gli organi della giustizia
tributaria.
Compensabilità fra crediti ante fallimento e debiti post fallimento
Della questione si è occupata la prima parte del presente volume, sostenendo come l’art.
56 l. fall. eriga una barriera invalicabile fra crediti/debiti ante e crediti/debiti post fallimento.
Da ciò discende la non compensabilità fra poste sorte prima dell’apertura del concorso e
poste sorte dopo il fallimento.
Affermazione certamente condivisibile, ma ci permettiamo di proporre un paio di
considerazioni aggiuntive.
Per quanto riguarda la compensabilità dei crediti ante con debiti post fallimento, un
discorso a parte merita la questione del tributo IVA a credito risultante al momento del fallimento.
Secondo la circolare ministeriale n. 6/1974 “in occasione della presentazione della prima
dichiarazione, ai fini del calcolo dell’imposta da versare, il curatore potrà portare in detrazione
l’imposta afferente gli acquisti di beni e servizi e l’importazione di beni effettuati nell’esercizio
d’impresa dal fallito che risulti non detratta, sempreché non si tratti di acquisti destinati ad
operazioni esenti”.
La questione è ripresa, in senso analogo, dalla risoluzione n. 181/1995: “Verificandosi la
prospettata ipotesi in cui dall’”apposita” dichiarazione [il Mod. 74-bis, N.d.A.] risulti
un’eccedenza d’imposta a credito, il curatore fallimentare, qualora effettui cessioni di beni […]
ai fini del calcolo dell’imposta periodica da versare, potrà portare in detrazione tale eccedenza,
ovvero, in assenza di operazioni imponibili, potrà, in sede di presentazione della dichiarazione
annuale relativa allo stesso periodo d’imposta, computare l’imposta dell’eccedenza in detrazione
nell’anno solare successivo”.
Appare assai difficile coordinare, con l’art. 56, l. fall., questo “travaso” del tributo IVA a
credito dal periodo ante al periodo post fallimento, atteso che la disposizione in questione è
assolutamente chiara – e due documenti di prassi non possono certo superare una norma di legge,
L’unica strada (suggestiva anche se, in assenza di disposizioni specifiche, non possiamo
assolutamente darla per certa) è ritenerla una fattispecie di “compensazione impropria”, ovvero
di sistemazione di obbligazioni contrapposte nascenti da un’unica fonte che, in questo caso, non
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è negoziale, derivando piuttosto dal “fluire ininterrotto” della operatività del tributo IVA, anche
dopo la sentenza dichiarativa di fallimento,.
In questo senso, l’Amministrazione finanziaria ritiene, qui richiamando la citata
risoluzione n. 181/1995, che “Le disposizioni di cui all’art.74-bis […] sono dettate dall’esigenza
di consentire l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto pur in presenza di una procedura
concorsuale quale quella fallimentare che attiene ad una situazione patologica della vita di
un’impresa, sia essa individuale o in forma sociale; in altri termini, si è voluto impedire che
l’applicazione del meccanismo dell’imposta possa arrestarsi a fronte di una procedura
fallimentare”?
Infine, va ricordato che quanto sopra rilevato può valere solo ove non esistano debiti
d’imposta sorti ante fallimento, perché, in tal caso, il credito IVA subirebbe la compensazione e,
quindi, in realtà, venendo meno o comunque riducendosi (ed il curatore dovrà utilizzare, in ogni
caso, la massima prudenza perché, come detto, rappresentano debiti ante procedura – e dunque
concorsuali – anche quelli che dovessero emergere da accertamenti futuri, chiusi e notificati post
fallimento).
Come coordinare, con l’art. 56, l. fall., questo “travaso” del tributo IVA a credito dal
periodo ante al periodo post fallimento?
Compensabilità fra crediti post con debiti ante fallimento
Anche relativamente alla compensazione fra crediti sorti in corso di procedura e debiti
concorsuali ci permettiamo di proporre una possibile “apertura”.
Essa nasce dalla lettera dell’art. 117, comma 3, l. fall.: “Il giudice delegato, nel rispetto
delle cause di prelazione, può disporre che a singoli creditori che vi consentono siano assegnati,
in luogo delle somme agli stessi spettanti, crediti di imposta del fallito non ancora rimborsati”.
La domanda è la seguente: posto che non sono mai state emanate disposizioni attuative di
tale principio nel caso in cui il creditore partecipante al riparto sia l’Erario, la regola generale ex
art. 8 Statuto del Contribuente, e la possibilità di compensazione ad ampio raggio nel Mod. F24
stabilita dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, integrano il requisito del “consentire” richiesto dal
citato art. 117?
Se le disposizioni sopra citate, ed i conseguenti documenti di prassi, costituiscono una
sorta di “consenso preventivo” alla compensazione, non vediamo perché non sia possibile,
ovviamente rispettando l’ordine dei privilegi, assegnare all’Erario, in sede di riparto, crediti verso
lo stesso – di talché le reciproche posizioni si estinguerebbero per “confusione”.
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Anche in questo caso, la “barriera” fra ante e post fissata dall’art. 56 l. fall. riteniamo possa
essere superata, perché ciò che avviene, in questo caso, non è una compensazione in senso stretto,
bensì un pagamento di debito tributario assegnando al creditore erariale un credito verso il
medesimo, con successiva estinzione delle reciproche posizioni per confusione, e non per
compensazione.
25. Esame dei singoli privilegi
25.1. Premessa
In questa parte, esamineremo i singoli privilegi riconosciuti ai crediti di natura tributaria
dal codice civile, estendendo l’analisi anche a imposte e tasse non di competenza dell’erario.
In particolare tratteremo, singolarmente, in modo schematico i vari privilegi attribuiti ai
crediti fiscali dalle normative vigenti, cercando di fornire uno strumento pratico e di facile
consultazione, che possa risultare di ausilio agli operatori del diritto ed agli addetti ai lavori nella
formazione dello stato passivo.
Per maggior chiarezza, suddivideremo la parte in paragrafi, ognuno dei quali tratterà una
singola tipologia di tributo e il privilegio riconosciuto al relativo credito.
In via generale, si ricorda che la prelazione si estende agli interessi ai sensi e nei limiti
dell’art. 2749 c.c., ovvero a quelli dovuti per l’anno in corso alla data del pignoramento (in questo
caso il fallimento) e quello precedente. Gli interessi successi sono collocati in privilegio nei limiti
della misura legale fino alla data della vendita (v. amplius par. 19).
25.2. Tributi diretti
Il codice civile, agli artt. 2752, comma 1, e 2759, attribuisce ai crediti per tributi diretti il
privilegio, rispettivamente generale e speciale, sui beni mobili del debitore.
Art. 2752, comma 1, c.c.
Il suddetto articolo riconosce ai crediti dello Stato privilegio generale sui beni mobili del
debitore per imposte e sanzioni dovute in materia di IRPEF, IRPEG, IRES, IRAP ed ILOR.
L’articolo è stato modificato dall’art. 23, comma 37, DL 6.7.2011 n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla L. 15.7.2011 n. 111, che ha esteso il privilegio alle sanzioni ed eliminato
ogni vincolo temporale ai crediti. In precedenza la prelazione era limitata ai soli crediti “iscritti
nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio di riscossione procede o
interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente”.
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In caso di infruttuosa esecuzione sui beni mobili, tali crediti sono collocati
sussidiariamente sul ricavato del realizzo dei diritti immobiliari presenti nel patrimonio del
debitore, in base all’art. 2776, comma 3, c.c.
Tale privilegio speciale immobiliare è preferito ai crediti chirografari, ma è sussidiario rispetto ai
crediti assistiti da privilegio speciale immobiliare ex artt. 2751, 2751-bis e 2753, c.c. E’ bene
porre particolare attenzione al fatto che tale collocazione ha natura sussidiaria e si realizza di fatto
solamente a seguito della infruttuosità della massa mobiliare attiva. Per cui, in sede di riparto,
prima occorre verificare l’insufficienza dell’attivo mobiliare e solo successivamente far gravare
tali privilegi sulla massa immobiliare.
Art. 2759 c.c.
La norma attribuisce ai crediti dello Stato per IRPEF, IRES e IRAP il privilegio speciale
mobiliare sui beni strumentali all’esercizio dell’impresa e sulle merci che si trovano nei locali
adibiti all’attività d’impresa o nell’abitazione dell’imprenditore.
Il creditore chiede nell'istanza di ammissione il privilegio
generale ex art. 2752 1° comma c.c.?
SI
si ammette in privilegio il credito per
TRIBUTO SANZIONI INTERESSI *
NO
si ammette in chirografo
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
In particolare, il privilegio spetta per la quota parte di imposte imputabile al reddito d’impresa
prodotto nei due anni precedenti alla dichiarazione di fallimento. Il privilegio non si estende alle
sanzioni.
25.3. Tributo IVA
In tema di privilegi riconosciuti all’erario in materia di Imposta sul Valore Aggiunto
troviamo, come riferimenti normativi, gli artt. 2752, comma 2, 2758, comma 2, e 2772, comma
2, c.c.
Art. 2752, 2° comma c.c.
Tale articolo attribuisce privilegio generale ai crediti IVA per imposta e sanzioni (pene
pecuniarie e soprattasse) sui beni mobili del debitore. Per gli interessi opera sempre il disposto
dell’art. 2749 c.c.
Il credito si riferisce a imposte sul reddito d'impresa relative
agli ultimi due periodi d'imposta precedenti al fallimento?
SI
il creditore indica nell'istanza di
ammissione il bene mobile oggetto del
privilegio?
SI
si ammette in privilegio
speciale mobiliare il credito per
TRIBUTOINTERESSI
*
si ammette in chirografo il credito per
SANZIONI
NO
NO
si ammette in chirografo (spetta comunque il
priv.generale c art. 2752, 1° comma c.c. se
richiesto)
Pag. 90 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
In caso d’infruttuosa esecuzione sui beni mobili del debitore, a tali crediti è riconosciuto
in via sussidiaria il privilegio sul ricavato del realizzo dei diritti immobiliari di cui all’art. 2776,
comma 3, c.c. Anche Il credito IVA è quindi preferito ai chirografari, trovando invece
collocazione privilegiata successiva rispetto a quella attribuita ai crediti indicati all’art. 2776,
commi 1-2, c.c..
Art. 2758, comma 2, c.c.
La norma attribuisce al credito di rivalsa IVA verso il cessionario ed il committente il
privilegio speciale sui beni mobili che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce
il servizio. La prelazione non si estende alle sanzioni.
Trattandosi di privilegio speciale, qualora tali beni non siano più rinvenibili, lo Stato non
potrà più esercitare il diritto di prelazione.
Il creditore chiede nell'istanza di ammissione il privilegio ex art.
2752 2° comma c.c.?
si ammette in privilegio il credito per
TRIBUTO SANZIONI INTERESSI*
NO
si ammete in chirografo
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Art. 2772, comma 2, c.c.
I crediti IVA godono infine del privilegio speciale immobiliare di cui all’art. 2772, 2°
comma c.c. sul bene immobile oggetto della cessione e/o su quello cui è riferita la prestazione del
servizi. Anche in questo caso la prelazione non si estende alle sanzioni.
Il creditore chiede nell'istanza di ammissione il privilegio ex art.
2758 2° comma c.c.?
SI
il bene mobile oggetto della cessione o al quale si riferisce il servizio è presente nell'attivo fallimentare e sono riconoscibili con
ragionevole certezza?
SI
si ammette in privilegio il credito
per
TRIBUTO SANZIONIINTERESS
I*
NO
NO
si ammete in chirografo
Pag. 92 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
25.4. Tributi indiretti erariali
L’art. 2758, comma 1, c.c. e l’art. 2772, comma 1, c.c. riconoscono ai tributi indiretti il
privilegio speciale sui beni mobili/immobili del debitore cui si riferiscono: ad es., nel caso
dell’imposta di registro, il privilegio è riconosciuto con riferimento al bene sottoposto a
registrazione.
Per queste tipologie d’imposta è possibile riassumere in un unico schema le verifiche che
il curatore dovrebbe porre in essere per decidere circa l’ammissione/non ammissione del relativo
credito in privilegio.
I crediti che tipicamente vengono richiesti in privilegio ex art. 2758, comma 1, c.c.
riguardano i seguenti tributi: imposta di registro, imposta di bollo, tasse di concessione
governative, imposta sugli spettacoli, imposte di fabbricazione, imposte doganali, imposte sulla
successione e donazione. Come per gli altri privilegi speciali, la prelazione non si estende alle
sanzioni.
Il creditore chiede nell'istanza di
ammissione il privilegio ex art. 2772 2° comma
c.c.?
SI
il bene immobile oggetto della cessione o al quale si riferisce la prestazione del servizio è
presente nell'attivo fallimentare?
SI
si ammette in privilegio il credito per
TRIBUTOINTERESSI
*
si ammette in chirografo il credito per
sanzioni
NO
si ammette in chirografo
NO
si ammete in chirografo
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
25.5. Tributo IMU ed altre imposte locali
L’art. 2752, ultimo comma, c.c. riconosce il privilegio generale sui beni mobili del
debitore ai crediti per le imposte, tasse e tributi dei Comuni e delle Province previsti dalla legge
per la finanza locale e dalle norme relative all’imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle
pubbliche affissioni, subordinatamente ai crediti dello Stato.
E’ ormai pacifico che il riferimento alla legge sulla finanza locale contenuto in tale norma
di legge debba essere esteso, non solo ai tributi di cui al T.U. del 1931, bensì anche ai tributi ICI
ed IMU, nonché a tutti i tributi facenti parte della finanza locale odierna124.
124 Cfr. Cass., civ. sez. I, 17 febbraio 2016, n. 3134, in materia di Tasse automobilistiche, ma che enuncia il
principio generale per cui il privilegio generale mobiliare per i crediti tributari degli enti locali è volto ad
assicurare agli enti medesimi la provvista dei mezzi economici necessari per l’adempimento dei loro compiti
istituzionali. Ne consegue che l’espressione “legge per la finanza locale“, contenuta nell’art. 2752 c.c., abbia
valenza generale e non possa essere riferita ad una legge specifica istitutiva della singola imposta. Inoltre, il
legislatore del 2011 (art. 13, D.L. n. 201/2011, convertito in L. n. 214/2011) ha stabilito che il riferimento alla
“legge per la finanza locale” si intende effettuato a tutte le disposizioni che disciplinano i singoli tributi
comunali e provinciali.
Il creditore indica nell'istanza di ammissione il bene mobile/ immobile
oggetto del privilegio?
SI
il bene mobile/immobile fa parte dell'attivo
fallimentare?
SI
si ammette in privilegio il credito per
TRIBUTO INTERESSI *
si ammette in chirografo il credito per le
sanzioni
NO
chirografo
NO
chirografo
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25.6 Tassa automobilistica
La "tassa automobilistica" è un tributo regionale il cui versamento spetta a tutti i possessori
di un'auto indicati dal Pubblico Registro Automobilistico.
L’ammissione allo stato passivo del relativo credito è questione non banale per il Curatore
al quale vengono frequentemente sottoposte domande di insinuazione nelle quali è richiesto il
privilegio ex art. 2752 c.c. 3° comma e talvolta anche il privilegio ex art. 2758 c.c..
L’eventuale riconoscimento del privilegio costituisce un tema che trova posizioni
contrastanti.
1) In primo luogo, c’è chi ritiene attribuibile il privilegio ex art. 2758 c.c., ovvero il
privilegio speciale per tributi indiretti gravante sui beni mobili cui i tributi si riferiscono.
L’obiezione, in tal caso, è lapalissiana: sebbene le tariffe siano fissate con decreto del
Ministero delle Finanze, la tassa automobilistica non è un tributo statale. Infatti, la stessa legge
ha attribuito alle regioni a statuto ordinario (art. 17, comma 10, L. 499/1997) ogni attività
riguardante la riscossione, l’accertamento, il recupero, i rimborsi, l’applicazione delle sanzioni e
la gestione contenzioso amministrativo, configurandola quindi come tassa regionale. Ne
consegue che tale tipo di privilegio non pare attribuibile.
ll creditore chiede in privilegio ex art
2752, ultimo comma c.c. i crediti relativi a
TRIBUTO
ammettere in privilegio
SANZIONI
ammettere in chirografo
INTERESSI
sono generati dal
credito ammesso in privilegio?
si applica l'art. 2749 c.c. e si ammettono
in privilegio
gli interessi dovuti per l'anno in corso alla data di fallimento
gli interessi relativi all'anno precedente
alla data di fallimento
gli interessi successivi alla data di fallimento nei limiti della misura
legale e fino al deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto
anche se parzialmente
sono maturati
sulla parte ammessa in chirografo?
si ammettono in chirografo fino alla
dichiarazione di fallimento
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Inoltre, secondo taluni, la tassa automobilistica sarebbe impropriamente definita tassa. Al
tempo della sua istituzione il tributo era configurato come tassa dovuta per la circolazione sulle
strade e sulle aree pubbliche degli autoveicoli, mentre nella legislazione attuale, la tassa
automobilistica costituisce a tutti gli effetti un’imposta diretta reale sul patrimonio e pertanto non
può riconoscersi il privilegio ex art. 2758 comma 1 c.c., che fa invece riferimento ai tributi
indiretti.
2) In secondo luogo, vi è chi ritiene che ai crediti per la tassa automobilistica non sia
riconoscibile alcun tipo di privilegio, atteso che non sarebbe attribuibile neppure il privilegio
generale di cui all’art. 2752, comma 3° c.c..
Infatti, la citata norma contiene un esplicito riferimento alle tasse e tributi di comuni e
province previsti dalla legge per la finanza locale escludendo quindi le tasse regionali dal
privilegio.
Inoltre, l’interpretazione autentica contenuta nell’art. 13 del D.L. 201/2011, convertito in
L. 214/2011125, sembra confermare quanto detto: infatti, il legislatore ha riconfermato il
privilegio solo per comuni e province e non anche per i tributi regionali.
3) La tesi più accreditata, al momento, in sede giurisprudenziale è invece quella che
riconosce ai crediti per tasse automobilistiche il privilegio generale per le imposte locali di cui
all’art. 2752, comma 3°, c.c..
La Cassazione è intervenuta con un prima sentenza (n. 3134/2016 riferita però alla
Provincia Autonoma di Trento), con la quale ha ribadito l’orientamento consolidato per cui “il
privilegio generale mobiliare per i crediti tributari degli enti locali è volto ad assicurare agli enti
medesimi la provvista dei mezzi economici necessari per l'adempimento dei loro compiti
istituzionali, sicché l'espressione "legge per la finanza locale", contenuta nell'art. 2752 c.c., non
va riferita ad una legge specifica istitutiva della singola imposta, bensì all'atto astrattamente
generatore dell'imposizione”. Tale orientamento risulta confermato dall’interpretazione autentica
dell’art. 13 del D.L. 201/2011, convertito in L. 214/2011, laddove “il riferimento alla "legge per
la finanza locale" si intende effettuato a tutte le disposizioni che disciplinano i singoli tributi
comunali e provinciali”. Ne è conseguito il riconoscimento del privilegio in questione al credito
per la tassa automobilistica della provincia autonoma di Trento.
125 Art. 13, comma 13, D.L. n. 201/2011: “[…] Ai fini del quarto comma dell'articolo 2752 del codice civile il riferimento
alla "legge per la finanza locale" si intende effettuato a tutte disposizioni che disciplinano i singoli tributi comunali e
provinciali. […]”.
Pag. 96 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
Con successiva sentenza (n. 21007/2017) la Suprema Corte è nuovamente intervenuta,
confermando lo stesso orientamento e le medesime motivazioni, ma questa volta riconoscendo il
privilegio al credito vantato dalla Regione Lombardia.
25.7 Canone RAI
Tale tributo costituisce un canone di abbonamento, istituito con il Regio Decreto Legge
n° 246 del 21/02/1938, il cui pagamento è obbligatorio da parte di chiunque detenga uno o più
apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni.
E’ un tributo indiretto al quale viene riconosciuto un doppio privilegio:
• il privilegio speciale di grado settimo sui beni mobili ex art. 2758 c.c.;
• il privilegio generale mobiliare ex art. 2752 c.c. esplicitamente previsto all’art. 26
del Regio Decreto sopra menzionato (stranamente quello previsto dal primo
comma, ovvero per le imposte dirette).
25.8 Accise
Con riferimento ai crediti riferiti a questa tipologia di tributi occorre non confondere il
credito vantato dallo Stato con quello di rivalsa riconducibile ai soggetti passivi dell’imposta.
All’Amministrazione finanziaria è riconosciuto un privilegio speciale mobiliare sulle
materie prime, sui prodotti, sui serbatoi, sul macchinario e sul materiale mobile esistenti negli
opifici di produzione o negli altri depositi fiscali, anche se di proprietà di terzi (art. 16, D.Lgs.
504/1995). Il privilegio si estende anche alle sanzioni (multe, pene pecuniarie e spese).
Detto privilegio è collocato dopo i crediti dell’art. 2751-bis, ma prima del c.d. grado I,
ovvero i crediti INPS previsti dall’art. 2753 c.c..
In modo diverso viene trattato il credito per accise di rivalsa.
L’art 16 del D. Lgs 540/1995, attribuiva il privilegio generale mobiliare ai soli soggetti
passivi dell’accisa per i crediti vantati nei confronti dei propri cessionari. Tale norma è stata
modificata dal D.L. 179/2012, convertito, con modificazioni dalla Legge n.221 del 17/12/2012,
dove tale privilegio è stato esteso ai titolari di licenza per l’esercizio di depositi commerciali di
prodotti energetici assoggettati ad accisa, ovvero ai rivenditori che con tale modifica normativa
sono stati equiparati ai soggetti passivi, di cui al precedente decreto.
A tali crediti viene riconosciuto il privilegio generale sui beni mobili del debitore di cui
all’art. 2752 c.c., con due precisazioni:
Pag. 97 a 111
Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
• quello attribuito a tali crediti è lo stesso privilegio generale mobiliare riconosciuto
ai crediti dello Stato per le imposte, ma è posposto a questo;
• l’estensione del privilegio prevista della L.221/2012 per gli esercenti i depositi
commerciali dovrebbe riguardare solo i crediti per accise sorti successivamente al
20/12/2012 (si veda a tal proposito Tribunale di Ravenna del 10/06/2015).
25.9 Questioni particolari sui privilegi
Sul campo degli interventi legislativi in materia di privilegi tributari si gioca parte rilevante
della contrapposizione fra interessi erariali ed interessi concorsuali.
Di seguito, alcuni esempi.
25.9.1. Tributo IRAP.
Il tributo IRAP è stato introdotto dal D.Lgs. n. 446/1997, che ha abrogato una serie di tributi
(e contributi), fra cui l’ILOR.
Il legislatore, nell’ambito di tale intervento, non ha modificato l’art. 2752, comma 1, c.c.,
non estendendo dunque al nuovo tributo IRAP il privilegio già previsto da tale disposizione in
relazione al credito ILOR.
Solo dall’ottobre 2007, il credito IRAP è stato incluso nell’elenco delle imposte privilegiate
ex art. 2752, comma 1, c.c. – e ciò per effetto dell’art. 39, D.L. 1° ottobre 2007, n. 159126.
Si è posta, sin da subito, la questione se, per il periodo ante 2007, il credito IRAP fosse
assistito dal privilegio generale di grado 18° ex art. 2752, comma 1, c.c.
Si trattava di valutare la possibilità di applicare, in via d’interpretazione estensiva
(analogica?), il privilegio erariale al credito relativo al tributo IRAP.
In senso positivo, come intuibile, la tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria127.
Negativamente, le curatele fallimentari: il credito IRAP veniva così perlopiù ammesso al
passivo in chirografo.
La disputa è giunta in Cassazione.
126 Convertito, con modificazioni, in L. 29 novembre 2007, n. 222. 127 V. risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 41/E del 5 aprile 2005.
Pag. 98 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
La Suprema Corte, con sentenza n. 4861 del 1° marzo 2010128, ha risolto la questione,
ritenendo estensivamente applicabile al credito IRAP, per il periodo ante 2007, il privilegio ex
art. 2752, comma 1, cod. civ.
Per giungere a tale conclusione, la Corte ha affrontato il tema se l’abrogato tributo ILOR, da
una parte, ed il nuovo tributo IRAP, dall’altra, avessero la stessa funzione causale (“rilevanza”)
all’interno dell’ordinamento giuridico tributario.
Giungendo a queste conclusioni: l’ILOR è (era) un tributo erariale, e non locale; aveva,
inoltre, carattere di realità, perché non teneva conto della situazione personale e/o familiare del
soggetto passivo d’imposta.
La Corte ha rilevato, al riguardo, che, per quanto fosse stato inizialmente concepito come
un’imposta destinata ad attribuire autonomia impositiva agli enti locali, col tempo, della “natura
di imposta locale è rimasto soltanto il termine “locale” lasciato nella denominazione del tributo.
Pertanto nella sua definitiva configurazione l’ILOR costituiva una imposta erariale – del potere
di accertare e riscuotere il tributo era esclusivo titolare lo Stato, al quale era attribuita la
soggettività attiva del tributo – di natura reale, in quanto costituiva un’imposta (diretta) sul
reddito di fonte patrimoniale, essendo volta a colpire tutti quei redditi che erano caratterizzati
dal concorso alla loro produzione di un certo patrimonio (assunto, quindi, dall’ordinamento
quale indice di capacità contributiva), senza tenere alcun conto […] della situazione personale
o familiare del contribuente” 129.
Al pari, il tributo IRAP è da considerarsi un tributo erariale, e non locale, diretto – come
l’ILOR – a colpire le fonti di ricchezza di carattere patrimoniale.
A questo riguardo, la Corte, con la stessa sentenza, nel sottolineare la natura statale del
tributo, ha rilevato che “l’IRAP è un’imposta di tipo reale, che colpisce tutte le attività produttive
esercitate sul territorio regionale, sulla base del valore aggiunto prodotto”, avente come
presupposto l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione
e scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi130, non colpendo – al pari del tributo ILOR –
il reddito personale e/o familiare del contribuente.
128 Cass., sez. civ. I, 1° marzo 2010, n. 4861. 129 Così, Cass., sez. civ. I, 1° marzo 2010, n. 4861, cit. In senso conforme, anche: Cass., civ. sez. I, 15 ottobre
2015, n. 20876; Cass., civ. sez. I, 21 novembre 2013, n. 26125.
130 E che colpisce anche i lavoratori autonomi, qualora esercitino un’attività autonomamente organizzata,
svolta con l’ausilio di un non irrilevante assetto organizzativo fondato su capitale e/o lavoro altrui: v. Corte
Cost., 26 settembre 2003, n. 296 (questione che, per quanto non in modo simmetrico, si era presentata anche
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
La Corte è così giunta a ritenere applicabile, in via estensiva, al credito IRAP ante 2007 la
prelazione già prevista per il credito ILOR ex art. 2752, comma 1, c.c.
25.9.2. TIA.
La TIA (tariffa igiene ambientale) è stata introdotta con D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in
sostituzione della TARSU (tassa sui rifiuti solidi urbani), al fine di gravare sulla collettività solo
in funzione dello specifico servizio reso131.
Sorse la questione se la tariffa ambientale avesse o meno natura tributaria.
In prima battuta, vi furono orientamenti tendenti a non riconoscere alla TIA natura di tributo:
ne veniva dunque negata la prelazione privilegiata132.
E ciò in quanto, da un lato, trattandosi di servizio (la tariffa ambientale era a tal riguardo
assoggettata a tributo IVA), non poteva essere ricondotta nell’alveo dei tributi.
Dall’altro, in ogni caso, la TIA non rientrava fra le fattispecie tipiche previste, ai fini della
sussistenza del privilegio degli enti locali, ex art. 2752, ultimo comma, cod. civ.133.
Secondo la tesi erariale, al contrario, il dato letterale dell’art. 2752, ultimo comma, cod. civ.
doveva essere interpretato in senso generale, e non restrittivo, dal momento che la tariffa
ambientale era pur sempre assimilabile all’abrogata tassa smaltimento rifiuti – avendo dunque
funzione di vera e propria “tassa”.
Tanto più che, per effetto dell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, le questioni in materia
di TIA (siccome, appunto, sostanzialmente assimilabile alla TARSU) erano attratte alla
competenza della giurisdizione tributaria134.
La questione è così giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.
Il Collegio ha riconosciuto la natura privilegiata della TIA, attraverso un’interpretazione
estensiva (analogica?) dell’art. 2752, ultimo comma, cod. civ.
ai fini dell’applicazione del tributo ILOR al reddito da lavoro autonomo, e che è stata risolta in senso estensivo,
in caso di sussistenza di struttura organizzativa: Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42). 131 La TIA è stata poi abolita dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in L. 22 dicembre
2011, n. 214, il quale ha istituto, in sostituzione della tariffa ambientale, la TARES (tributo sui rifiuti e sui
servizi), peraltro rimanendo in vigore, la TIA, sino all’anno d’imposta 2012 compreso. 132 Cfr., fra le altre, Trib. Firenze, 28 maggio 2007, in www.ilcaso.it, nonché Trib. Milano, 20 gennaio 2010,
come citata ed annotata da B. QUATRARO-F. DIMUNDO, La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali.
Crediti tributari e previdenziali, cit., p. 250. 133 Che recita: “hanno lo stesso privilegio, subordinatamente a quello dello Stato, i crediti per le imposte, tasse
e tributi dei comuni e delle province previsti dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all’imposta
comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni”. 134 Cass., civ. sez. un., 12 novembre 2015, n. 23114 (ord.).
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La Corte ha quindi ritenuto che la tariffa, per quanto non rientri fra i tributi previsti dal testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, come richiamato dal menzionato art. 2752
cod. civ., abbia natura privilegiata, non potendosi rinvenire alcun elemento negoziale con
riferimento al sottostante rapporto.
Secondo la Cassazione è da escludersi che la TIA costituisca un “corrispettivo” spettante
all’ente territoriale a fronte di prestazioni liberamente richiestegli, rappresentando essa, piuttosto,
una forma coattiva di finanziamento al servizio pubblico, elemento tipico dei tributi135.
Così qualificata la natura della tariffa, secondo il Collegio, l’assenza di un riferimento
espresso ad essa da parte dell’art. 2752, ultimo comma, cod. civ. (in astratto necessario attesa la
natura eccezionale della norma tributaria), non sarebbe, in questo caso, decisiva.
E ciò sulla base, appunto, di un’interpretazione estensiva.
Rileva, al riguardo, la Corte, da un lato, come “le norme del codice civile che stabiliscono i
privilegi possano essere oggetto non già di applicazione analogica bensì di interpretazione
estensiva, che sia cioè diretta ad individuarne il reale significato e la portata effettiva anche oltre
il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale, tenendo in considerazione
l’intenzione del legislatore e la causa del credito che, ai sensi dell’art. 2745 cod. civ., rappresenta
la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio”.
Dall’altro, come “il privilegio previsto dall’art. 2752, comma 3, cod. civ. debba quindi essere
riconosciuto anche ai crediti relativi a tributi locali (la TIA, l’ICI, l’IRAP anche per il periodo
anteriore alla modifica di cui al D.L. n. 159/2007) non compresi tra quelli contemplati da R.D.
n. 1175/1931, contenente il Testo Unico sulla finanza locale, atteso che la norma codicistica, con
l’espressione “legge per la finanza locale” in luogo della precisa individuazione della predetta
fonte normativa, intese rinviare non già ad una legge specifica istitutiva della singola imposta,
bensì all’atto astrattamente generatore dell’imposizione nella sua lata accezione, onde
consentire l’aggregazione successiva di norme ulteriori in ragione della materia considerata, e
ciò in conformità con la finalità del privilegio in questione, costantemente indicata da dottrina e
giurisprudenza nell’assicurare effettivamente agli enti locali la provvista dei mezzi economici
necessari per l’adempimento dei loro compiti istituzionali e quindi ravvisabile indifferentemente
135 La natura tributaria della tariffa è stata invero riconosciuta dalla Corte Costituzionale, con sentenza n.
238/2009, intervenuta per dirimere la questione della competenza della giurisdizione tributaria sulle
controversie in materia di TIA (v., anche, Cass., civ. sez. un., 8 aprile 2010, n. 8310).
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
sia in riferimento ai crediti per tributi previsti dal T.U. del 1931, sia per quelli per tributi istituiti
da leggi successive”136.
136 Cass., civ. sez. I, 17 febbraio 2012, n. 2320. In senso conforme: Cass., civ. sez I, 14 agosto 2014, n. 17994;
Cass., civ. sez. I, 13 luglio 2012, n. 12006; Cass., civ. sez. I, 5 marzo 2009, n. 5297.
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PARTE QUARTA
STRUMENTI OPERATIVI
In questa sezione proponiamo alcuni strumenti operativi che potranno aiutare il curatore ad
interpretare correttamente la documentazione a supporto della domanda di ammissione, ad
acquisire sufficienti elementi informativi sulla composizione del credito tributario ed a formulare
proposte di ammissione coerenti con le conclusioni raggiunte nei paragrafi precedenti.
Tutti i documenti in questione possono essere scaricati dal sito della Fondazione dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili di Firenze (www.fdcec.it), ove possono essere reperiti
anche altri strumenti di utilità per il curatore. Si segnala in particolare un file Excel per la
riclassificazione degli estratti di ruolo, che permette di gestire in maniera aggregata le singole
voci esposte nell’estratto dei ruoli restituendo automaticamente gli importi da ammettere al
passivo in via privilegiata e chirografaria.
26. Guida sintetica alla lettura ragionata dell’estratto dei ruoli.
L’estratto dei ruoli è un tabulato che riporta tutte le cartelle esattoriali ancora in essere di un
contribuente. Pertanto, vi sono riepilogati i debiti che il contribuente ha verso l’agente della
riscossione.
Nelle tavole che seguono viene riportato un estratto dei ruoli emesso dall’Agente della
Riscossione di Firenze, con evidenziazione dei vari profili di interesse per il curatore fallimentare.
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Legenda
– Indicazioni generali
L’estratto si apre con una serie di dati e notizie generali che riguardano:
- L’Agente della Riscossione
- La procedura fallimentare ed i suoi organi
- Il tipo di insinuazione (tempestiva/tardiva)
– Tipo documento
Si possono avere vari tipi di documenti origine dei debiti o comunque portanti le debenze:
➢ Cartella di pagamento
➢ Avviso di accertamento
Attenzione! In questi casi occorre verificare l’esistenza di contenzioso in corso con
conseguente ammissione con riserva ex art. 96 l.f.;
successivamente, verificare anche l’eventuale emissione di cartelle in
esito ai vari gradi di giudizio, allo scopo di evitare duplicazioni
➢ Atto di addebito (riguarda solitamente gli enti previdenziali ed assistenziali)
– Data notifica
E’ uno dei dati più importanti da verificare. Indica la data in cui la cartella è stata notificata al
contribuente.
La verifica è importante per vari motivi:
➢ in base a data notifica rispetto a dichiarazione fallimento si può avere:
o aggi e diritti agente non dovuti (notifica successiva a fallimento);
o interessi di mora non dovuti (notifica nei 60gg. ante-fallimento o successiva)
➢ se termini impugnazione trascorsi → atto può essere definitivo e non più impugnabile
➢ se non è indicato niente → cartella non è stata notificata, ma ruolo notificato con
l’estratto, per cui termini impugnazione sono diversi:
o qualcuno ritiene decorrano da data deposito istanza di ammissione;
o altri da data esecutività stato passivo.
– Riferimenti del ruolo
Anno - Numero ruolo: identificano il ruolo da cui scaturisce la cartella
Data visto: data di apposizione del visto di esecutività da parte dell’ente impositore
Data consegna: data di consegna del ruolo all’agente della riscossione
– Ente creditore
L’ente impositore è indicato tramite un apposito codice.
Per capire di chi si tratta occorre visionare la “Tabella riepilogativa degli Enti creditori
presenti sui Ruoli dei documenti”. Tale tabella è riportata in calce all’estratto dei ruoli e vi
sono riassunti tutti gli enti creditori che hanno emesso i ruoli contenuti nell’estratto. Di seguito
un esempio con più enti indicati:
Tabella riepilogativa degli Enti Creditori presenti sui Ruoli dei documenti :
Cod. Descrizione Ente Cod. Ufficio Denom. Ufficio
00001 Amministrazione finanziaria TZJ8 Dir.prov.le di Firenze - uff.territoriale di Empoli
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00002 I.N.P.S. 3090000 Sede di Empoli - c.o.
00003 I.N.A.I.L. 213000 I.N.A.I.L. sede di Firenze- Porte Nuove
12197 Amministrazione provinciale di Pisa 30 Servizio Polizia Provinciale
19000 Camera di commercio CFIN100 Ufficio diritto annuale di Firenze
– Contenuto del ruolo – LETTURA DELLA TABELLA
La tabella rappresenta il contenuto sostanziale del ruolo. E’ suddivisa in numerose colonne.
Prg. → indica semplicemente il numero progressivo dei righi della tabella
Cod. tributo N.B. si parla di codici tributo sia per imposte e tasse sia per interessi e sanzioni
→ i singoli tributi sono individuati per codici. Per la legenda occorre visionare in
calce all’estratto l’apposita tabella denominata “Tabella Tributi”. Di seguito un
esempio relativo all’estratto prima pubblicato.
Tabella Tributi:
Cod. Descrizione Tributo
2001 IRES CAPITALE
2002 IRES INTERESSI
2003 IRES SANZIONE
Anno rif. → anno di riferimento del tributo
Id.part. → identificativo partita, fa riferimento all’elenco riportato subito sotto la tabella
indicato con il numero (8) nella figura (talvolta, in un medesimo ruolo si hanno più
partite)
Rate N. Cad. →
Carico a ruolo → importo originario caricato a ruolo
Attenzione! Tale importo spesso è comprensivo degli interessi di ritardata
iscrizione a ruolo
Importo residuo → importo residuo a debito (può essere uguale o inferiore all’importo originario
a seguito di pagamenti effettuati)
Interessi di mora → importo degli interessi di mora maturati
[sulla problematica degli interessi di mora vds. par. 21]
in caso di notifica della cartella nei 60 giorni antecedenti il fallimento, di mancata
notifica o di ruolo successivo alla dichiarazione di fallimento, di solito assume
valore zero – in tali ipotesi non sono dovuti interessi di mora
Aggio coattivo → importo dell’aggio coattivo richiesto
(N.B. come nell’esempio, possono esservi più righi con riferimento al medesimo
tributo, per la presenza di aggi richiesti parte in privilegio, parte in chirografo)
[sulla problematica degli aggi vds. par. 22]
in caso di mancata notifica della cartella o di ruolo successivo alla dichiarazione di
fallimento, di solito assume valore zero – in tali ipotesi non sono dovuti aggi
Le somme risultanti dalle precedenti tre colonne (importo a ruolo, interessi di mora e aggio
coattivo) vengono tra loro sommate e suddivise tra chirografo e privilegio nelle due successive
colonne:
Importo chirografo – se il tributo è richiesto in chirografo le tre colonne vengono sommate in
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unico importo
Importo privilegio – se il tributo è richiesto in privilegio, al tributo vengono sommati gli interessi
di mora e gli aggi (sebbene talvolta questi finiscano in chirografo come nell’esempio)
Grado → viene indicato un numero, facente riferimento al grado di privilegio
richiesto
Riferimento normativo → viene indicato un codice che fa riferimento a determinati articoli
di legge. Per la legenda di tali gradi di privilegio e riferimenti normativi,
occorre esaminare una tabella posta alla fine dell’estratto denominata
“ripartizione dei crediti”.
RIPARTIZIONE DEI CREDITI
Importo Chirografo Importo Privilegio Grado Art. Note
241,01 2.528,82 18 RN0078 artt. 2752 e 2749 c.c. n. 18 art. 2778 c.c.
---------------------------- ---------------------------- -------- -------------------- ---------------------------------------------------------- 241,01 2.528,82 Totale Ripartizioni
2.769,83 Totale Generale
– Totali del ruolo
Imposta interessi di mora e aggio coattivo → Il singolo ruolo si conclude con un riepilogo totale
con cui le somme indicate nella tabella sono sommate tra loro e suddivise
in due colonne: chirografo e privilegio. Risulta di solito di scarsa utilità
operativa.
Nei totali vengono poi indicate tre voci relative a diritti e spese richieste dall’agente della
riscossione.
Diritti di notifica → indicano (in chirografo) i diritti dovuti per la notifica delle cartelle
Spese tabellari → indicano diritti dovuti (determinati ai sensi del D.M. 21 novembre 2000)
per attività esecutive o conservative poste in essere prima della
dichiarazione di fallimento
N.B.: le attività dovranno essere documentate ed in caso di richiesta
privilegio ex art. 2770 c.c. sarà dovuta la prova dell’attività nell’interesse
comune dei creditori
Spese a piè di lista → indicano spese anticipate dall’agente della riscossione
N.B.: dovranno essere documentate
Parte finale dell’estratto di ruolo
L’estratto dei ruoli, dopo aver riportato le varie cartelle (o altri tipi di documento) si chiude con
una serie di tabelle tra cui quelle che come abbiamo visto servono come legenda per la lettura
dell’estratto:
1) Tabella riepilogativa degli Enti Creditori presenti sui Ruoli dei documenti (vds. sub 5)
2) Tabella Tributi (vds. sub 6)
3)
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
RIEPILOGO TOTALE - Numero Documenti: 1
RIPARTIZIONE IMPORTI A DEBITO Importo imposta residuo scaduto 2.214,32
Importo Interessi di Mora 308,49
Importo Aggio Coattivo 227,05
Importo Diritti di Notifica 5,88
Importo Spese Tabellari 14,09
Importo Spese a Pié di Lista 0,00
Importo Spese di Revoca 0,00
Totale Generale 2.769,83
Si tratta semplicemente di una tabella riepilogativa di tutte le somme indicate negli estratti divise
per tipologia. Il numero documenti indica il numero delle cartelle elencate.
4) RIPARTIZIONE DEI CREDITI (vds. sub 6)
Riepiloga in un unico prospetto le collocazioni dei crediti ed i vari gradi di prelazione. Un
esempio:
Importo Chirografo Importo Privilegio Grado Art. Note
11.934,48
197.263,06 1 RN0084 artt. 2753 e 2749 c.c. n. 1 art. 2778 c.c.
14,19 7 RN0099 artt. 2758 e 2749 c.c. n. 7 art. 2778 c.c.
6.359,80 8 RN0090 artt. 2754 e 2749 c.c. n. 8 art. 2778 c.c. (50%)
1.050,18 18 RN0036 2752 e 2749 c.c. n. 18 art. 2778 c.c.
767.400,51 18 RN0078 artt. 2752 e 2749 c.c. n. 18 art. 2778 c.c.
155.721,80 19 RN0080 artt. 2752 e 2749 c.c. n. 19 art. 2778 c.c.
1.823,99 20 RN0081 artt. 2752 e 2749 c.c. n. 20 art. 2778 c.c.
---------------------------- ---------------------------- -------- --------------------
----------------------------------------------------------
11.934,48 1.129.633,53 Totale Ripartizioni
1.141.568,01 Totale Generale
5) Dichiarazione finale
In calce all’estratto dei ruoli è riportata la seguente dichiarazione, (vds. Cass. 23576/2017 per la
quale non occorre che l'estratto sia munito dell'autenticazione nelle forme di legge, ma è sufficiente
che la copia della parte del ruolo relativa al contribuente sia munita della dichiarazione di conformità
all'originale resa dal collettore delle imposte)
Si assevera la rispondenza dei dati riportati nel presente estratto con le risultanze dei ruoli resi esecutivi e ricevuti in carico in via telematica ex D.M.3/9/1999 n.321 (Art.5.C.5,D.L. n. 669/1996).
Agenzia delle entrate–Riscossione Il Procuratore
27. Fac simile richiesta informazioni su composizione credito per interessi
Come precisato nel par. 19, l’ammissione del credito per interessi soggiace all’applicazione
della regola dell’art. 2749 c.c. Poiché le domande di ammissione del Concessionario, e gli estratti
di ruolo ad esse allegati, non forniscono le informazioni necessarie, si propone di seguito fac-
simile di richiesta da inviare al creditore al fine di acquisire i dati per una corretta determinazione
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del credito per interessi da collocare in sede privilegiata.
Oggetto: Fallimento “XY S.r.l.” (RF ….) - Sentenza n. ….. del ….. - Richiesta di
informazioni sulla determinazione degli interessi
Il sottoscritto ……., dottore commercialista con studio in ……., in qualità di curatore nel
fallimento “…….. .”, c.f. ……………
PREMESSO
- che codesto Spett.le Concessionario, in data ……, ha depositato istanza di ammissione al
fallimento per crediti relativi a imposte e ritenute non versate relative a ………;
- che il credito richiesto con le predetta domanda è il seguente: in privilegio per €. …..=, in
chirografo per €. ……=;
- che la curatela al fine di valutare l’ammissione al passivo del fallimento dei suddetti crediti, con
particolare riferimento al riconoscimento in via privilegiata degli interessi ai sensi del combinato
disposto degli artt. 54 terzo comma L.F. e 2749 c.c., ha necessità di un prospetto dettagliato di
calcolo indicante il capitale residuo, tasso d’interesse applicato e periodo di applicazione, in
modo da consentire al Giudice Delegato, in sede di accertamento del passivo, di verificare
l’esatta determinazione dell’importo richiesto, anche in relazione al trattamento differenziato
previsto per gli interessi maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Tutto ciò premesso il sottoscritto curatore
CHIEDE
a codesto spett.le Ufficio un prospetto dettagliato di calcolo degli importi richiesti a titolo di
interessi, indicante il capitale residuo, tasso d’interesse applicato e il periodo di applicazione,
avvertendo sin d’ora che, laddove tali informazioni non vengano tempestivamente fornite, lo
scrivente proporrà l’ammissione del credito in via chirografaria (OVVERO: proporrà la non
ammissione del credito), conformemente al principio di diritto espresso da Cass. 24549/2017.
Distinti saluti.
IL CURATORE
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Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
28. Formule standard di ammissione/non ammissione del credito tributario
Si propongono di seguito talune formule standard per l’ammissione (ovvero la non
ammissione) dei crediti tributari, elaborate a partire dalle considerazioni sviluppate nei paragrafi
che precedono.
interessi di ritardata iscrizione a ruolo
Nel caso che la domanda di ammissione sia relativa a interessi anteriori al biennio rispetto
dalla data del fallimento: 2749 c.c.:
“Interessi di ritardata iscrizione a ruolo anteriori al biennio rispetto alla data del fallimento
non ammessi in privilegio ma in chirografo ai sensi dell’art. 2749 c.c.”.
Interessi di mora successivi al fallimento
“Interessi di mora successivi alla data del fallimento non ammessi perché spettanti nella
misura legale ai sensi dell’art. 54, comma 3, l. fall..”.
Nell’ambito dell’ammissione del credito relativo all’imposta, si suggerisce di specificare
ulteriormente che saranno calcolati gli interessi legali successivi alla data di fallimento
aggiungendo la frase: “Oltre interessi al tasso legale maturati e maturandi dalla data della
dichiarazione di fallimento fino alla data di deposito del progetto di riparto nel quale il credito
sarà soddisfatto anche se parzialmente.”.
Interessi di mora in cartella impugnabile/impugnata
“Interessi di mora ammessi CON RISERVA che sarà sciolta ai sensi dell’art. 88 del D.P.R.
n. 602/1973 decorso il termine per la proposizione del ricorso alla Competente Commissione
Tributaria/all'esito del contenzioso pendente presso la Commissione Tributaria di ….. (RGR ).”
Aggi indicati in cartella notificata dopo il fallimento
"La cartella di pagamento relativa ai crediti oggetto della domanda è stata notificata dopo
la dichiarazione di fallimento e pertanto l'aggio richiesto dall'agente della riscossione non è
ammesso al passivo poiché non è un credito concorsuale."
Aggi richiesti in privilegio
Pag. 110 a 111 Guida Operativa n. 3/2019 – L’ammissione al passivo dei crediti tributari
"Aggio ammesso in chirografo perché, trattandosi di corrispettivo per attività di servizi
(riscossione), non può in alcun modo essere considerato inerente al tributo riscosso e pertanto
non è assistito da alcuna causa di prelazione legale."
Aggi indicati in cartella impugnata/impugnabile
“Aggi ammessi CON RISERVA che sarà sciolta ai sensi dell’art. 88 del D.P.R. n. 602/1973
decorso il termine per la proposizione del ricorso alla Competente Commissione
Tributaria/all'esito del contenzioso pendente presso la Commissione Tributaria di ….. (RGR ).”
Sanzioni
In caso di sanzioni richieste in privilegio in mancanza di specifica disposizione di legge:
“Sanzioni non ammesse in privilegio ma in chirografo perché non assistite da alcuna causa
di prelazione legale.”
Spese di insinuazione
Nel caso si opti per la non ammissione (tesi controversa):
"Le spese di insinuazione richieste dall'Agente della Riscossione costituiscono veri e propri
compensi equiparabili a quelli professionali per l'attività di assistenza legale per la redazione e
la presentazione della domanda di ammissione al passivo e pertanto le stesse non sono ammesse
al passivo fallimentare, perché la legge prevede che la domanda di insinuazione al passivo sia
proponibile senza alcuna necessità di patrocinio."
Spese di notifica
In caso di notifica della cartella successiva al fallimento:
"La cartella esattoriale oggetto della domanda è stata notificata dall'agente della
riscossione dopo la dichiarazione di fallimento e pertanto la somma a titolo di diritti di notifica
richiesta non è ammessa al passivo poiché non è un credito concorsuale."