6/10/2016 Hip hop postmoderno : IL Magazine
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MAGAZINE / RANE
Hip hop postmodernodi MARCO ROSSARI
IL 71 0 6 . 10 . 2016
Esce in libreria “Lo schiavista” di Paul Beatty (Fazi),tra i finalisti del Man Booker Prize 2016. Su IL neavevamo parlato in occasione dell’uscita americana delromanzo con il titolo “The Sellout”
Potrà sembrare incredibile, visto che sono nero, ma non ho mairubato niente». Comincia così, con la prima di una lunga serie dibattute, il quarto romanzo di Paul Beatty, forse uno degli scrittoripiù grandiosamente comici degli Stati Uniti. Già apparso con Tuffe la sua banda da Mondadori e con Slumberland da Fazi, in Italianon è ancora riuscito a trovare il riscontro che merita, in parte perquestioni di contesto (razza, politicamente corretto, comunitàafroamericana) e in parte per ragioni di traduzione (la lingua diBeatty è un ottovolante tra alto e basso, che non solo usa a fondolo slang, ma ci ironizza e lo rovescia di continuo). Forse questonuovo romanzo – ma romanzo sarà sufficiente?stand-up
LAPRESSE
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novel? rap of consciousness? come chiamarlo? – dal titolo The
Sellout (Farrar, Straus and Giroux) aiuterà a far conoscere meglio
questo talento.
La nostra voce narrante si trova davanti alla Corte Suprema della
città di Washington, che «con le sue statue di marmo, le sue
colonne doriche e le sue cupole dovrebbe avere l’aria dell’antica
Roma (sempre che le strade dell’antica Roma fossero costellate
di barboni neri e cani antiterrorismo)», e si sta accendendo uno
spinellone, in attesa che cominci la causa «Me vs gli Stati Uniti
d’America», perché di cognome fa appunto Me (il nome non lo
conosceremo mai, anche se è soprannominato “il venduto”, come
da titolo).
A difenderlo c’è Hampton Fiske, un avvocato dedito a
rappresentare «gente troppo stracciona per permettersi la tv via
cavo e troppo stupida per sapere che non si perde niente».
L’ipotesi di reato è il tentativo da parte del “cannaiolo” in
questione di ripristinare segregazione e schiavismo nella località
dov’è nato e cresciuto («luoghi poveri nella prassi, ma ricchi di
retorica»).
Con un lungo flashback, Beatty comincia a ripercorrere la
vicenda del protagonista, nato a Dickens, una cittadinaghetto
dell’agglomerato losangelino, ormai scomparsa dalla cartina, già
paradossale in quanto comunità agraria suburbana. Il padre è uno
psicologo fuori di testa, celebre nel quartiere come «l’uomo che
sussurrava ai negri», perché abile nel dissuadere gli aspiranti
suicidi dai loro propositi, e professore estemporaneo presso una
tavola calda del think tank locale, i Dum Dum Donut
Intellectuals, tra i quali si annovera lo spirito libero che sta
riscrivendo i classici in ottica politically correct (Le avventure di
Huckleberry Finn diventa Le non-dispregiative avventure e i
viaggi spirituali dell’afroamericano Jim e del suo giovane
protégé, il fratello bianco Huckleberry Finn).
L’uomo tratta il figlio come «la sua Anna Freud» e, tra i molti
esperimenti a cui lo sottopone, c’è il tentativo di replicare il caso
Kitty Genovese, la donna uccisa davanti ai vicini che fece
teorizzare il cosiddetto “effetto spettatore” (più sono gli astanti e
maggiore è l’apatia): convinto che una cosa del genere non potrà
mai accadere nella empatica comunità afroamericana, prova a
menare il figliolo per la strada e i passanti intervengono, sì, ma
solo per contribuire al pestaggio. Ucciso dalla polizia, il padre
lascia al figlio la fattoria, dove lui si mette a coltivare angurie e
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marijuana. A insaporire il tutto la problematica fidanzataMarpessa, una ragazza che guida l’autobus come Godard facevacinema («in modo critico»), e un vecchio attore rimasto così nellaparte da chiedere a Me di fargli da schiavo, per quanto solo unquarto d’ora al giorno (è pigro). L’unico modo per restituireun’identità alla comunità sbandata (le faide tra gang nascono daquestioni di spelling) sarà riportare un po’ di sana segregazione,appiccicando adesivi “Colored Only” di qua e di là, tanto ilquartiere è già tutto nero.
Entrare in un libro di Paul Beatty è come mettersi le cuffie eimmergersi in un Laurence Sterne riscritto da Kendrick Lamar, inun rovesciamento continuo dei luoghi comuni e dei preconcettiriguardo all’identità e alla cultura, che trova un equivalente solonel Joseph Heller di Comma 22, in certe pagine di PercivalEverett o in Richard Pryor ed epigoni. Non a caso, Beatty emersevincendo il Poetry Slam del celebre Nuyorican Café: The
Sellout sembra una lunga open mic night che a volte stordisce perl’eccesso di virtuosismo, altre volte è irresistibile, tanto cheil Guardian ha parlato di pop-patois philosopher. «Dev’essere uncomplotto della Cia», direbbe un suo personaggio. «O, peggio, undocumentario di Hbo».
Paul BeattyLo schiavistaFazi 2016370 pagine, 18,50 euroTraduzione di Silvia Castoldi