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HIRAM-2011_02.pdf

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EDITORIALE Libertà e passione civile, una nuova cultura per l’Italia unita 3 Gustavo Raffi Freedom and Civil Passion, a New Culture for United Italy 14 Gustavo Raffi Alessandro de Maigret (14 agosto 1943 - 14 febbraio 2011) 25 Pietro Mander Il Risorgimento delle donne. Cristina Trivulzio di Belgioioso: la “principessa rossa”. 29 Luisella Battaglia La tragedia dell’essere per natura altro 47 Morris L. Ghezzi Laicità dello Stato in economia tra liberismo e dirigismo (Seconda parte) 59 Corrado Savasta La cremazione nell’avanguardia igienista massonica e le campagne laiche nel periodo nathanista 79 Luca Irwin Fragale Socrate, educazione e Massoneria 85 Aristide Pellegrini • SEGNALAZIONI EDITORIALI 88 • RECENSIONI 93 Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 2/2011 HIRAM HIRAM_2_2011:HIRAM 30-05-2011 9:42 Pagina 1
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EDITORIALELibertà e passione civile, una nuova cultura per l’Italia unita 3

Gustavo RaffiFreedom and Civil Passion, a New Culture for United Italy 14

Gustavo Raffi

Alessandro de Maigret (14 agosto 1943 - 14 febbraio 2011) 25Pietro Mander

Il Risorgimento delle donne. Cristina Trivulzio di Belgioioso: la “principessa rossa”.29

Luisella BattagliaLa tragedia dell’essere per natura altro 47

Morris L. GhezziLaicità dello Stato in economia tra liberismo e dirigismo (Seconda parte) 59

Corrado SavastaLa cremazione nell’avanguardia igienista massonica e le campagne laichenel periodo nathanista 79

Luca Irwin FragaleSocrate, educazione e Massoneria 85

Aristide Pellegrini

• SEGNALAZIONI EDITORIALI 88• RECENSIONI 93

Rivista del Grande Oriente d’Italian. 2/2011

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HIRAM viene diffusa su Internet nel sito del G.O.I.:www.grandeoriente.it | [email protected]

HIRAM 2/2011Direttore: Gustavo RaffiDirettore Scientifico: Antonio PanainoCondirettori: Antonio Panaino, Vinicio SerinoVicedirettore: Francesco LicchielloDirettore Responsabile: Giovanni LaniComitato Direttivo: Gustavo Raffi, Antonio Panaino, Morris Ghezzi, Giuseppe Schiavone, Vinicio Serino, Claudio Bonvecchio,Gianfranco De Santis

CCoommiittaattoo SScciieennttiiffiiccooPresidente: Enzio Volli (Univ. Trieste)Giuseppe Abramo (Saggista); Francesco Angioni (Saggista); Corrado Balacco Gabrieli (Univ. Roma “La Sapienza”); Pietro Battaglini (Univ.Napoli); Pietro F. Bayeli (Univ. Siena); Eugenio Boccardo (Univ. Pop. Torino); † Eugenio Bonvicini (Saggista); Enrico Bruschini (AccademiaRomana); Giuseppe Cacopardi (Saggista); Giovanni Carli Ballola (Univ. Lecce); Pierluigi Cascioli (Giornalista); Orazio Catarsini (Univ.Messina); Paolo Chiozzi (Univ. Firenze); † Augusto Comba (Saggista); † Franco Cuomo (Giornalista); Massimo Curini (Univ. Perugia);Eugenio D’Amico (LUISS Roma); Domenico Devoti (Univ. Torino); Ernesto D’Ippolito (Giurista); Santi Fedele (Univ. Messina); BernardinoFioravanti (Bibliotecario G.O.I.); Paolo Gastaldi (Univ. Pavia); Santo Giammanco (Univ. Palermo); Vittorio Gnocchini (Archivio G.O.I.);Giovanni Greco (Univ. Bologna); Giovanni Guanti (Conservatorio Musicale Alessandria); Felice Israel (Univ. Genova); Panaiotis Kantzas(Psicoanalista); Giuseppe Lombardo (Univ. Messina); Paolo Lucarelli (Saggista); Pietro Mander (Univ. Napoli “L’Orientale”); AlessandroMeluzzi (Univ. Siena); Claudio Modiano (Univ. Firenze); Giovanni Morandi (Giornalista); Massimo Morigi (Univ. Bologna); GianfrancoMorrone (Univ. Bologna); Moreno Neri (Saggista); Marco Novarino (Univ. Torino); Mario Olivieri (Univ. per Stranieri Perugia); MassimoPapi (Univ. Firenze); Carlo Paredi (Saggista); † Bent Parodi (Giornalista); Claudio Pietroletti (Medico dello Sport); Italo Piva (Univ. Siena);Gianni Puglisi (IULM); Mauro Reginato (Univ. Torino); Giancarlo Rinaldi (Univ. Napoli “L’Orientale”); Carmelo Romeo (Univ. Messina);Claudio Saporetti (Univ. Pisa); Alfredo Scanzani (Giornalista); Angelo Scavone; Michele Schiavone (Univ. Genova); Giancarlo Seri (Saggista);Nicola Sgrò (Musicologo); Giuseppe Spinetti (Psichiatra); Gianni Tibaldi (Univ. Padova f.r.); Vittorio Vanni (Saggista)

CCoollllaabboorraattoorrii eesstteerrnniiLuisella Battaglia (Univ. Genova); Dino Cofrancesco (Univ. Genova); Giuseppe Cogneti (Univ. Siena); Domenico A. Conci (Univ. Siena);Fulvio Conti (Univ. Firenze); Carlo Cresti (Univ. Firenze); Michele C. Del Re (Univ. Camerino); Rosario Esposito (Saggista); Giorgio Galli (Univ.Milano); Umberto Gori (Univ. Firenze); Giorgio Israel (Giornalista); Ida L. Vigni (Saggista); Michele Marsonet (Univ. Genova); Aldo A. Mola(Univ. Milano); Sergio Moravia (Univ. Firenze); Paolo A. Rossi (Univ. Genova); Marina Maymone Siniscalchi (Univ. Roma “La Sapienza”);Enrica Tedeschi (Univ. Roma “La Sapienza”)

CCoorrrriissppoonnddeennttii EEsstteerriiJohn Hamil (Inghilterra); August C.’T. Hart (Olanda); Claudio Ionescu (Romania); Marco Pasqualetti (Repubblica Ceca); Rudolph Pohl(Austria); Orazio Shaub (Svizzera); Wilem Van Der Heen (Olanda); Tamas’s Vida (Ungheria); Friedrich von Botticher (Germania)

Comitato di Redazione: Guglielmo Adilardi, Cristiano Bartolena, Giovanni Cecconi, † Guido D’Andrea, Gonario GuaitiniComitato dei Garanti: Bernardino Fioravanti (Bibliotecario GOI), Antonio Calderisi (Avvocato), Giuseppe Capruzzi, Angelo Scrimieri, † Pier Luigi Tenti

AArrtt DDiirreeccttoorr ee IImmppaaggiinnaazziioonnee: Sara CircassiaSSttaammppaa: E-Print s.r.l., via Empolitana, km. 6.400, Castel Madama (Roma)DDiirreezziioonnee: HIRAM, Grande Oriente d’Italia, via San Pancrazio 8, 00152 RomaDDiirreezziioonnee EEddiittoorriiaallee ee RReeddaazziioonnee: HIRAM, via San Gaetanino 18, 48100 RavennaRegistrazione Tribunale di Roma n. 283 del 27/6/1994EEddiittoorree: Soc. Erasmo s.r.l. Amministratore Unico Mauro Lastraioli, via San Pancrazio 8, 00152 Roma. C.P. 5096, 00153 Roma OstienseP.I. 01022371007, C.C.I.A.A. 264667/17.09.62SSeerrvviizziioo AAbbbboonnaammeennttii: Spedizione in Abbonamento Postale 50%, Tasse riscosse

AABBBBOONNAAMMEENNTTIIANNUALE ITALIA: 4 numeri € 20,64; un fascicolo € 5,16; numero arretrato € 10,32ANNUALE ESTERO: 4 numeri € 41,30; numero arretrato € 13,00La sottoscrizione in un’unica soluzione di più di 500 abbonamenti Italia è di € 5,94 per ciascun abbonamento annualePer abbonarsi: Bollettino di versamento intestato a Soc. Erasmo s.r.l., C.P. 5096, 00153 Roma Ostiense; c/c postale n. 32121006Spazi pubblicitari: costo di una pagina intera b/n: € 500

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LLiibbeerrttàà ee ppaassssiioonnee cciivviillee,, uunnaa nnuuoovvaa ccuullttuurraa ppeerr ll’’IIttaalliiaa uunniittaa

di GGuussttaavvoo RRaaffffiiGran Maestro del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

EDITORIALE

Gentili Autorità intervenute,Signore e Signori,Carissimi Fratelli,

AAAAnche quest’anno i Liberi Mura-tori italiani, riuniti a Rimini perla Gran Loggia di primavera, ac-

colgono nel loro Tempio la società civile ele Istituzioni per il consueto messaggio cheil Gran Maestro rivolge al Paese. Tale tradi-zione, ormai pienamente consolidata, ri-sponde alla necessità dell’istituzionemassonica di rendere sempre più chiari edintellegibili gli scopi e le finalità che perse-gue, in un quadro di trasparenza e dialogocontinuo con la realtà pubblica e sociale. IlGrande Oriente è sì una realtà esoterica espirituale, ma non per questo può esimersidallo svolgere un compito inevitabilmenteinterdipendente dalla società, quello diagenzia etica e civile, che contribuisca aformare cittadini migliori e che stimoliconseguentemente il dialogo e la tolle-ranza, sempre al servizio del Paese in cuioperiamo da più di due secoli.

Il titolo distintivo di questa Gran Loggiaè: “Dopo 150 anni per restare insieme”, evuole essere un contributo di pensiero eazione alle celebrazioni dell’Unità d’Italia.

Siamo consapevoli del contributo cheabbiamo dato alla storia unitaria, ma guar-diamo all’oggi e soprattutto vogliamo trac-ciare insieme il futuro. Un paese che vive ilpresente come un perenne regolamento diconti, taglia i ponti con il proprio avveniree rinuncia alla novità, che è una delle sor-prese dell’esistenza. Non ci manca lagamba per cogliere le sfide di una storiaaperta a nuovi vissuti da percorrere. Rilan-ciamo con forza, anche da questa assise, ilbisogno di una nuova cultura della dignitàe della scuola, dell’educazione e del lavoro,della libertà e della responsabilità socialeche in questo momento storico serve alPaese.

Non ci stiamo all’idea di chi sostiene chegli italiani sono ‘senza padri’. I fondamentilaici risorgimentali non sono solo un’istan-tanea datata 1861, né un ricordo da seppel-

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Massoneria praticava forme di riservatezzao di segretezza particolari, ciò era dovuto

soprattutto al contesto storico,ovvero alle minacce portateda Stati totalitari o illiberali.Oggi tali moduli operativi sa-rebbero del tutto inappro-priati e per di più da noiespressamente vietati. Biso-gna, comunque, tener pre-sente che anche in situazionidifficili la Massoneria non hamai scelto la strada della dis-simulazione e del nascondi-mento. I patrioti cheguidarono il processo unita-rio erano in moltissimi casimassoni e tutti lo sapevano.Tra i mille di Garibaldi si fa-rebbe prima a indicare chinon fosse massone rispetto acoloro che lo furono, e cosìanche tra gli ufficiali ed i ge-nerali di Vittorio Emanuele II.

Ciò non toglie che poi al suointerno, ovvero nelle istituzioni massoni-che del periodo preunitario e tra gli stessiFratelli, non vi fossero diversità anche im-portanti. Essere massoni non ha mai signi-ficato celarsi nell’ombra ed avere unpensiero unico: è esattamente il contrarioe ciò è dovuto a una radice profonda chenon può gelare: la libertà. I Massoni eranosempre più in prima linea ed allo scoperto.La dignità di un popolo, il suo sentirsiunito, le sue aspirazioni ad un’emancipa-zione morale, spirituale, culturale ed eco-nomico-sociale furono poi coltipienamente dai liberi muratori del tempo.

lire in soffitta, ma un presente senzatempo, un archetipo che scorre oggi inmolti pensieri e prassi e si faprogramma, linea di azione,capace di pensarsi come oriz-zonte ideale di riferimento,segno di una scommessa vintacontro tutti. Perché il Risorgi-mento non fu “una rivolu-zione mancata”, come scrissequel Gramsci che apprez-ziamo per altre riflessioni elotte di libertà. Il sogno unita-rio di quel tratto di tempodella storia patria che ognunoporta nel cuore, ha eredi con-creti: sono i veri italiani. Traessi vi sono i Liberi Muratori:gli uomini del dubbio, liberi esenza dogmi, per i qualil’unica strada è la ricerca infi-nita. Gli eretici che nonstanno a bocca aperta in fac-cia al sole.

L’attenzione а questo speci-fico bagaglio valoriale non è peraltro un’in-venzione recente, anche se più modernesono le forme di interrelazione conl’esterno adottate dal Grande Oriente negliultimi anni. Tale predisposizione risale al-l’origine della sua storia, soprattutto neipaesi latini e in particolare in Italia. La Mas-soneria più antica, anche quando persegui-tata, non ha, infatti, mai perseguito lasegretezza come suo fine, perché al con-trario i suoi scopi e i suoi valori eranochiari e miravano sempre ad emergere, afarsi parola comune, koinè morale. Il con-fronto si fa all’aria e con la luce. Quando la

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Il compito che abbiamo dinanzi non èsemplice. Non vogliamo portare in piazzale nostre memorie né mostrare il meda-gliere, pur gonfio di meriti. Vogliamo guar-

dare negli occhi larealtà e lavorareper superare l’in-compiuto, facendostrada a un nuovoRisorgimento dellaRagione controodio e intolleranza.Senza torcicollo,gli Argonauti deldubbio lavoranoalla rivoluzionedella speranza. Inquesto percorso

non siamo soli: visono migliaia di laici e coscienze libere chesono anche massoni, pur senza averne latessera, perché ogni giorno lottano per lalibertà. Per loro e per noi ogni luogo è Tem-pio, ogni volto è occasione di crescita, ter-reno perché l’io diventi noi.

Il mondo cambia in fretta. Nuova storiabussa alle porte dell’Italia e dei nostri Tem-pli. Occorre aprire la finestra e cogliere lerivoluzioni dei popoli, il grido di riscattodel Sud, sognare una rivolta morale che ri-metta il lavoratore al centro dell’agendapolitica ed economica. Il nostro vero se-greto è la fratellanza: è questo sentimentoche vogliamo portare nel vissuto del paese.Vogliamo essere testimoni di unità controle catene delle divisioni. Nessuna gabbiapuò chiudere il pensiero libero, nessunrogo o filo spinato spegnerà mai una storiadi libertà.

Dalla storia alle sfide dell’oggi. Il nostrocompito è quello di sempre: costruire sullerovine e far luce ai crocicchi delle scelte.Svegliare i maestri, perché al nostro Paeseservono esempi e testimonidi umanità concreta. Vo-gliamo vivere con laschiena dritta, all’apertodel confronto e in dialogocon la società. Non siamogli anarchi del nulla, ma glioperai della speranza.

Al nostro Paese serveforza di volontà contro de-legittimazioni continue,messe all’incanto dai mer-canti delle parole. Ma perintervenire in un contesto,bisogna anzitutto compren-derlo; occorre leggere i segni dei tempi elottare per compiere il proprio dovere. Larivoluzione è personale e la direzione è unasola: andare oltre la paura, prendere la pa-rola. Stare nell’agorà invece di darsi allafuga. I massoni sono ribelli di libertà chefanno doni di vita agli altri che si incon-trano sul sentiero. Cercano risposte allegrandi questioni, anzitutto insegnando ilmetodo della tolleranza, della laicità posi-tiva, della costruzione paziente e della de-cisione necessaria. “Metodo” viene da dueparole greche, metà e odòs, che significano:“stando sulla strada”. I massoni sono gliuomini del viaggio continuo, segno di con-traddizione rispetto all’inerzia dell’immo-bilismo e della rinuncia. Non stannorinchiusi nelle loro torri d’avorio, ma sonomediatori che aprono l’accesso alle fonti eindicano nuovi, possibili, sentieri.

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inferno abitato da angeli” (Giorgio Bocca).Tutti i pensieri hanno diritto di cittadi-

nanza, come ha diritto dispazio ogni fede e ap-partenenza. Ma noipensiamo che Nord eSud debbano stare in-sieme, oggi come 150anni fa, con un vero fe-deralismo che significhisolidarietà e opportu-nità e non sia ratifica diegoismi e interessi di

parte. Guardiamo avanti:oltre ogni polemica, nell’unico interesseche difendiamo, quello degli italiani tutti.

Per fortuna che dinanzi a tanti discorsideliranti, carichi d’odio e di révanche, in so-stanza volti a minare la pace sociale el’unità del paese, la Chiesa Cattolica abbiapreso posizioni certamente degne di ap-profondita considerazione a sostegno delgrande progetto unitario dell’Italia. Noinon possiamo che compiacerci di talesvolta storica, invero compiuta già da di-versi anni, perché essa indica come le posi-zioni e le valutazioni cambino con il tempo.Il nostro “relativismo” appartiene cosìanche ad altri, e lo diciamo senza polemi-che. Auspicheremmo però che tanti pre-giudizi, che colpiscono in manieraanacronistica i Liberi Muratori fossero su-perati alla luce del Concilio Vaticano II e delsuo messaggio di primavera nella chiesa.Allo stesso modo ci stringiamo al Presi-dente della Repubblica, Giorgio Napolitano,che con grande vigore e senso della storiacomune sta dando un esempio alto e stra-ordinario nella valorizzazione propositiva

Andare oltre le polemiche da recinto si-gnifica comprendere che l’Unità d’Italianon è un’anticaglia sentimen-tale ma una storia diffusa,tessuta nel corpo della Na-zione. E la Nazione è un or-ganismo vivente le cui partivanno armonizzate, esplo-rando ogni possibilità di par-tecipazione dei cittadini allavita pubblica. Il Risorgi-mento non è stato un’epo-pea dello stato sabaudo: èstato soprattutto la capacitàdi cogliere un momento storico per realiz-zare un ideale e un programma, una certaidea di unità dell’Italia. Una visione precisadi intendere il mondo e la storia. La Masso-neria, erede degli ideali risorgimentali, il-luministici e rivoluzionari, intende perciòpartecipare con rinnovata energia alla co-struzione del senso nazionale. Abbiamo da-vanti le strade della speranza possibile:lavorare perché si affermi la tolleranza, lalaicità, l’emancipazione, il progresso, la ri-generazione, la giustizia. Dal Risorgimentoalla modernità, le grandi sorgenti masso-niche hanno ancora molta acqua da por-tare alle coscienze. Ecco perché chiedersicome celebrare i 150 anni dell’Unità d’Ita-lia significa anzitutto cominciare a sentircipiù italiani e più europei. Le identità chia-mano a nuove sintesi. Senza dimenticare,però, che a volte perché tutto rinasca c’èbisogno che tutto ritorni.

C’è chi ha pensato che il Mezzogiorno altempo dell’Unità sia stato “un Paradiso abi-tato da diavoli” (Benedetto Croce) e altriancora per i quali il nostro Sud è stato “un

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l’inizio derisa, ma sempre vincente che fastrada alla rivoluzione dell’impegno, al-l’identità, a una virtù civile che è religione

dell’umano e ne-cessario legame tradiritti e doveri.“Non vi è patriadove l’uniformitàdi quel diritto èviolata dall’esi-stenza di caste, diprivilegi, dì inegua-glianze”, sostenevaMazzini auguran-dosi che il Soledella Repubblicasplenda per tutti.

Sembra scritto ieri, einvece è un’altra lezione di attualità del Ri-sorgimento.

Per noi Patria è casa comune, è averenel petto non il chiodo della disperazionema il fuoco della speranza e dell’essere fra-telli sotto il tricolore. Significa custodire edessere fieri di luoghi, di memorie e lingua.Di mille comuni fatti di pietre e parole, digiovani e anziani che si ritrovano suun’unica piazza per ridere o piangere, pervivere sempre insieme le avventure delladifferenza. Ecco perché non servono i “pa-trioti della compassione”, quelli che ricor-dano i 150 anni con retorica e sterilenostalgia, ma abbiamo bisogno invece dei“patrioti del coraggio”, di quelli che vo-gliono difendere una storia dalla deca-denza, dei liberali contro gli omologati, dichi è capace di pensiero o di rischio ri-spetto e di contro a chi se ne sta rintanatoad aspettare che crolli il tetto. Il patriotti-

e costruttiva di questa eccezionale ricor-renza. In lui i Liberi Muratori riconosconouna testimonianza vivente di fedeltà alloStato, alla sua Costitu-zione ed ai valori di tolle-ranza e di rispetto chesono stati costruiti nelcorso degli anni a prezzodi grandissimi sacrificiche non possono esseresviliti con qualche affer-mazione scomposta esguaiata.

Ma ci sono anche nodistorici che invitano adare un nome alle cose,senza nascondersi.

Prima di essere una Pa-tria, l’Italia è una lezione che racconta ci-viltà e dialogo nel Mediterraneo dei popoli.In quel mare antico e nostro, sempre piùdestino, che ci porta altre sfide di umanitàda guardare negli occhi. Anche su questouna parola chiara va detta: chi ama la li-bertà del proprio popolo rispetta anche lalibertà degli altri e si impegna per difen-derla. Tra i dittatori sanguinari e il popoloche lotta a mani nude per la libertà, i LiberiMuratori stanno dalla seconda parte.Stanno con la speranza contro la morte,stanno con il pensiero contro ogni regime.

I 150 anni della storia unitaria sonoanche un’occasione per riappropriarsidella consapevolezza che c’è stata e c’èun’Italia di cui essere fieri. Un’Italia fatta diuomini e donne che hanno lottato per i di-ritti di tutti; è questa l’Italia che ha vinto evince ancora oggi contro i furbetti e i pre-potenti. È l’Italia magari minoritaria, al-

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biamento, intercettare la domanda, dissol-vere i dogmatismi. L’ospite inquieto del-

l’Italia e dell’Occidentenon è più il nichilismo,ma la mancanza di pro-getti, l’apparire che ri-schia di passare perrealtà. Si racconta cheGrigorij Potëmkin, mi-nistro dell’imperatricedi Russia Caterina laGrande, in occasione diuna sua visita in Crimeafece costruire una seriedi finte facciate di vil-laggi per farle credereche le condizioni di vitanella regione conqui-

stata fossero ottime. Anche oggi tanti car-telloni piantati sulle nostre strade o alzatiin video, millantano soluzioni che nonhanno aderenza alla realtà e non potrannosoddisfare i bisogni e le giuste richieste didiritti e di lavoro ma solo creare altre at-tese e vicoli ciechi. Le domande seriehanno bisogno di risposte vere.

Ecco perché per noi l’etica della re-sponsabilità non può rimanere sul pianodell’omiletica: o si fa prassi e cambia l’esi-stente oppure diventa parola al vento. Vo-gliamo andare oltre il frammento diun’Italia di parte, dove la parola si è spez-zata o è precipitata nell’afasia. Tendere auna verità è il sentiero, a “una” possibileverità. E poi l’avventura più bella: vegliaresul senso delle cose, ritrovare il pathos delpensiero, correre la sfida dell’infinita ri-cerca. È nel nostro Dna, non potremmo vi-vere senza questa febbre che ci rende

smo della Costituzione a cui promette fe-deltà ogni libero muratore è anche ri-chiamo a una cittadinanzaaperta, a nuove avventureculturali, a una passionecivile che può essere ilvero volano di crescitadel Paese tanto nei nostriconfini quanto all’estero.

Nello spaesamentoche la nostra società vive,sotto i colpi di una crisietica oltre che econo-mica, proponiamo unviaggio alle fondamentadell’unità nazionale. È lastrada del senso, quellada imboccare. A tutti gliitaliani ricordiamo che si può crescere neirami, ma anche nelle radici. Nei Notturnidi Bonaventura, si legge: “Con te, vecchioalchimista, vorrei mettermi in cammino[…] Non devi mendicare per ottenere ilcielo. Non mendicare, espugnalo piuttosto,se hai la forza”. Noi vogliamo questo: vo-gliamo vivere il destino nell’intreccio degliincontri, vogliamo salutare il ritorno dellegrandi idee contro i piccoli cabotaggi, di unpensiero che non proceda solo per episodie non insegua una politica che veste i pannidella fiction. Sono anche nostre le parole diPablo Neruda, quando scrive: “La speranzaha due bellissimi figli: lo sdegno e il corag-gio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il co-raggio per cambiarle”.

Nel tempo delle nuove povertà, i profetidi umanità non hanno smesso di essere ne-cessari. Insieme a tutte le forze sane dellasocietà civile, vogliamo interpretare il cam-

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sieri corti: abbiamo bisogno di lògos, non difabula. Abbiamo sete di verità e non ci in-

teressa il Gioco dell’Oca dipersonaggi che ven-dono le idee di una solastagione.

Siamo uomini tra itempi. In questi spaziinterstiziali, la scom-messa è puntare sul ri-sveglio delle coscienze,sulla possibilità di dire efare altro dall’esistente:in ultima istanza di de-cidere una storia di-versa. Siamo in uncantiere aperto, dove lapietra di costruzione è

la responsabilità delpensiero nei confronti della polis e il puntodi arrivo è ritornare fieri di essere italiani,non essere costretti a trovare oltreoceano,come spesso accade, spazi e possibilità perla propria intelligenza e capacità di ricerca.La valorizzazione della Cultura è una dellestrade miliari per le quali passa il nuovopatto di crescita degli italiani.

Nonostante tutto le parole sono unatrincea. Resta un viaggio da fare. Sempreun altro. E poi – lo dico con forza – bisognasaper ascoltare: i giovani, soprattutto. E ipiù deboli. Perché ci sono sempre scorci diumanità oltre il destino di necessità che in-catena tante storie. Costruire aperture è ilcompito dei Liberi Muratori, insieme allosforzo di abolire i limiti. Essere attraversatida una paticità, come ci ha insegnato AldoMasullo, significa aver cura del vissuto, ri-trovarsi da capo presso una soglia, per sen-

sempre inquieti cercatori di sogni possibili,mai disincarnati.

C’è chi ci ha fatto strada,chi ha saputo immaginaredestini in questi 150 anni.È da queste tracce che oc-corre ripartire, disegnandouna cartografia altra ri-spetto a quella che portasulle mappe quotidianesolo i luoghi comuni, le re-sistenze al dialogo, le la-mentele che non sonoaccompagnate da unoscatto di reni oggi necessa-rio come il pane. Vogliamoessere segno di una impa-zienza e conoscenza che èpropria di chi abita i confinie sa di dover spostare le proprie tende,“lungo il passaggio che non prendemmo,verso la porta che mai aprimmo” (Eliot). IlGrande Oriente d’Italia da Torino a Pa-lermo, e in ogni regione della nostra amataItalia, rinnova l’impegno a costruire unasocietà più libera e giusta. È per questo perl’intera notte del 17 marzo, in tutte leLogge del Grande Oriente, abbiamo accesole Tre Luci della Bellezza, della Forza e dellaSapienza. Noi accendiamo luci di speranza,invece di maledire l’oscurità.

Orgogliosi della nostra storia unitaria, iFratelli Liberi Muratori fanno strada allagioia di sentirsi italiani. Dopo 150 anni, perrestare insieme e costruire il futuro. Ma peravere un’Italia diversa e più giusta, bisognaricominciare a sperare, aprire domande làdove vi sono risposte penultime e sterili“ricette” qualunquistiche. Basta coi pen-

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propriarci delle ragioni che hanno cemen-tato, pietra su pietra, la costruzione dello

Stato per rilanciare la scuolapubblica, la giustizia so-ciale, per dare a ognuno lapossibilità di sceglierecome vivere e morire.Questa è la nostra storia evogliamo viverla con pas-sione e ragione.

Gli italiani veri non de-vono aver paura di questasfida. Senza revisionisminé polemiche, né coi Sa-voia né coi Borbone: i Fra-telli del Grande Orientesono con gli Italiani cheieri lottarono e si unironoper appartenere aun’unica Patria e oggi vo-gliono rinnovare e vivereil patto di fratellanza checostruisce un destino co-mune e un bisogno pro-

fondo di verità. Avanti, allora, con umiltà e pensiero. Ma

soprattutto decisi a mettere in circolo lasperanza che abbiamo nel cuore. Non im-porta se saremo in pochi o in molti, se viag-geremo da soli o in cordata: importa solo ladirezione che avremo dato al nostro cam-mino. Libertà e passione civile sono la forzadell’Italia unita. Indietro non si torna. Pursapendo che tutto perisce, dobbiamo co-struire nel granito le nostre dimore, fosseroanche quelle di una notte.

Il Grande Oriente vuole, invece, farememoriale di questi centocinquanta annidi storia secondo un punto di vista ben pre-

tire la Vita e l’altro. Ecco perché Mazzini eGaribaldi non sono per noi “santini laici” ogeneri letterari da spen-dere sul mercato dellechiacchiere: sono in-vece esempi di uominiche hanno fatto stradaa un’idea di Paese unitoe solidale. Altro checirco di nani e ballerinerubacuori: torni l’Italiadelle arti e dei mestieri,delle eccellenze e deiprimati in ogni campo,l’Italia delle mille lottedi libertà che ci ren-dono unici in Europa.Torni il racconto diun’identità che ci ècarne e destino.

La libertà è anchedare risposte non sbia-dite, è coscienza diazione. Significa aiutarenuovi pensieri a venire almondo, sentirsi esortati alla storia, consa-pevoli che c’è bisogno di maggiore comu-nicazione, a tutti i livelli, per non ritrovarsicome il re di Corinto che spinge il macignoverso la collina. Il Grande Oriente insegnache dove vi è linguaggio unitario vi è unmondo possibile di relazioni più profonde,non disseminato dalle infinite croci di chipensa solo ai propri interessi. Richiamiamodall’esilio i valori del vivere insieme e co-struiamo quell’utopia razionale che sichiama Patria: una realtà che non è con-clusione ma inizio di una nuova unità,quella che potrà essere realizzata per riap-

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Ma anche di alcuni dei principi valoriali percui, in tutto il mondo e nel corso della sua

storia secolare, la LiberaMuratoria è stata fre-quentemente attac-cata. Come mai?

Se facciamo piùattenzione, vedremoche il principio del-l’eguaglianza reale,della piena libertàetico-morale e poli-tico-filosofica del cit-tadino, della suaautonomia di co-scienza rispetto alla oalle religioni, l’ideadell’emancipazionedei proletari, del-l’educazione di massa,

della scuola obbligatoria, dell’uguaglianzatra uomini e donne, la critica della violenzae della guerra, appartengono a quella co-stellazione di valori propri dell’Illuminismoradicale, che però sono stati travasati (al-meno in parte o in formato germinale) neiprincipi costitutivi delle costituzioni poli-tiche degli Stati più moderni d’Europa, eche poi, sulla scorta della Rivoluzione Fran-cese e della Massoneria d’oltralpe si sonodiffusi anche in Italia e costituiscono unodei filoni principali della Muratoria ita-liana. Non dimentichiamo, infatti, che sel’Italia festeggia 150 anni di unità, noi neabbiamo da poco festeggiati già 200.

In questo periodo i Massoni, ove è statopossibile, si sono distinti come uomini ca-paci di costruire grandi progetti, di realiz-zare sogni, di scrivere leggi e riforme che,

ciso: rileggere il passato per indirizzare leprospettive future. Cogliere gli aspetti in-completi, manchevoli, addi-rittura ingiusti dellanostra storia, nella spe-ranza di contribuire acreare le condizioni persanare conflitti, ripristi-nare diritti, equilibraresquilibri inaccettabili.Esercitare la ragione e ilsentimento per miglio-rare, tutti e insieme, maiper distruggere e dividere.

Se guardiamo all’Italiacome ad un cantiere in co-struzione, essa ci appariràcome una struttura benstrana: per molti aspettiincompleta, per altri futu-rista e innovativa. Noi siamo Muratori. Icantieri dovrebbero essere la nostra casa.Il lavoro è certamente molto, ma possiamocollaborare a renderlo più efficace, piùutile per il bene comune, della Patria, deisuoi cittadini, ma anche degli altri europeie di tutti coloro che, carichi di buona vo-lontà, offrano il loro sapere, pratico o in-tellettuale. Non ci interessa di qualereligione siano o di quale colore sia la loropelle. Ci sta a cuore che siano pronti ad ac-cettare i valori fondativi della modernità:la laicità della società civile e dello Stato; laparità dei diritti e dei doveri tra uomini edonne; l’inapplicabilità di norme propriedei diritti confessionali a dispetto delleleggi dello Stato. Paradossalmente si trattadelle medesime norme che regolano, inprincipio, la stessa sociabilità massonica.

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I Liberi Muratori sanno bene quale altosignificato abbia per loro il senso della tra-

dizione e quello della trasmis-sione iniziatica di valori esimboli. Tale arte murato-ria noi dobbiamo com-pierla attraverso l’esempioe la quotidiana testimo-nianza di un tratto e di uncomportamento esemplarianche nella vita civile,nelle istituzioni ove ope-riamo, nelle scuole, nelleuniversità, nei luoghi di la-voro: una testimonianzaquotidiana che insegni adapprezzare la Religio Civile.Una Religione che è liga-

men, che accolga tutti, nelleloro diversità, e che veda tutti uniti sottouna serie di simboli e di valori condivisi, aldi là delle distinzioni di sesso, religione,razza, età, cultura e censo, così come reci-tano alcuni articoli fondativi delle nostraCarta Costituzionale.

Noi guardiamo, quindi, al futuro. Un fu-turo in cui le grandi istituzioni che struttu-rano la nazione siano sempre piùprestigiose ed efficienti. In questo sensonon si può festeggiare troppo, se la scuolaitaliana soffre o se i giovani non trovanosbocchi adeguati nel quadro delle prospet-tive di ricerca alla pari con gli altri paesi.Non vogliamo fare alcun riferimento a ri-forme recenti o altro, ma solo sottolineareche l’Italia è stata grande anche e soprat-tutto attraverso i suoi scienziati, i suoi let-terati, gli economisti, i matematici (senzaperaltro dimenticare che Melchiorre Gioia,

ad esempio in Italia con Coppino e Zanar-delli, portarono emancipazione e sviluppo.Più che al coraggio dei combat-tenti sul campo di battaglia,dobbiamo così rivolgerci oraagli artefici della modernità.Il loro esempio, che ritro-viamo tra i Liberi Muratori,numerosissimi, che contri-buirono alla redazione dellanostra Carta Costituzionale, èquello che deve ispirarci. Nonbasta, infatti, sventolare untricolore per rendere mi-gliore questo paese. C’è stataun’epoca in cui tale gesto ve-niva ripetuto costantemente,tra sbattere di tacchi e maniromanamente levate. Ci tro-vammo con le leggi razziali ed una guerradevastante. Non la retorica del gesto, ma lacoscienza del suo valore, la pregnanza delsuo declinarsi futuro per via delle implica-zioni che reca. Non il rito del tifoso, chepuò trasformarsi in hooligan, ma la co-stanza meditata di una responsabilità.Etica, morale e civile.

Se noi Liberi Muratori vogliamo vera-mente onorare i nostri predecessori, aiquali dobbiamo la costruzione delle fonda-menta di questa casa in cui abitiamo, nondobbiamo perdere il senso della ReligioneCivile della Patria e dello Stato. Non certa-mente la celebrazione di uno Stato Etico,con tutte le sue implicazioni intolleranti,ma quella di uno spazio di libertà, di ga-ranzie, di diritti e di doveri volti a lasciarepieno e libero sviluppo al lavoro, all’indu-stria, al sapere, all’arte, alla felicità.

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cuore possono dare le dovute risposte. È nostra speranza che, di fronte agli sce-

nari di guerra che infuocanoil Mediterraneo ed il Nord-Africa, l’Europa ritrovi lanecessaria coesione persuperare gli egoismi diparte che la dimensionecomunitaria avrebbe do-vuto stemperare e che,quindi, più adeguate rispo-ste pacificatorie e gravidedi soluzioni umanitarieaprano una nuova fasedella storia contempora-nea senza ricadere in undeleterio quanto impossi-bile, neocolonialismo.

Lavoriamo così alla co-struzione di quella Religione Civile che puògarantire la libertà di coscienza di cia-scuno, che può fondare nuove basi per unmondo sempre più travagliato, in modo dasanare gli errori del passato e permettereveramente, dopo 150 anni di storia, a noi eai nostri figli, di dirci, senza indugi, senzase e senza ma, pur nel contesto di una piùgrande patria europea:

Fratelli e Sorelle d’Italia. È questa la no-stra scommessa, è questa la nostra vita.

il fondatore della Statistica, è stato un no-stro fratello). Se queste prospettive di le-gittima grandezza, coltivateattraverso le arti, le lettere,le scienze e le libere profes-sioni, non trovano un re-spiro ampio ma si ripieganosu se stesse, o con una gene-rale sfiduciа o attraverso lafuga dei cervelli, il Paese èdestinato a invecchiarenello spirito. Noi vogliamocontribuire аd un nuovo Ri-sorgimento dello spirito,alla promozione di un sensodi fiducia nelle prospettivefuture, indicando nell’atten-zione ai giovani uno deipunti chiave del rinnova-mento. Allo stesso tempo è necessaria mag-giore sensibilità ai temi civili, che le nuovescoperte scientifiche aprono, in particolaresui grandi problemi della bioetica, che nuo-vamente soffrono di troppo ambiguità senon di un’aperta subordinazione al puntodi vista proprio di una sola teologia. Noinon combattiamo le dottrine religiose, marivendichiamo la libertà di coscienza difronte a tutti quei grandi interrogativi suiquali solo i singoli e il sacrario del proprio

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The distinctive title of this Grand Lodgeis: “After 150 Years to Stay Together”, andis meant to be a contribution of thoughtand action to the celebrations for the 150th

anniversary of the Unification of Italy. TheFreemasonry of Palazzo Giustiniani is a liv-ing part of the Italian society, in continu-ous and fruitful dialogue with free men,institutions, and thinking workshops, toconstruct shared itineraries and identifysolutions to be implemented only for theinterest of our society.

We are aware of our contribution to thehistory of Italian unification, but we lookat the present situation and, in particular,we want to shape our future together. Acountry living the present time like aperennial ‘settlement of accounts’ breaksoff with its future and refuses anythingnew, which is one of the surprises of exis-tence. We are certainly provided with thetools to face the challenges of open historyto new experiences. Also from this meet-ing, we raise the need for a new culture ofdignity and schools, education and work,freedom and social responsibility that our

Representatives of the Authorities,Ladies and Gentlemen,Dear Brethren,

AAAAlso this year, the Italian Freema-sons meet in Rimini for thespring Grand Lodge and welcome

the civil society and representatives of theInstitutions to their Temple for the usualmessage of the Grand Master to Italy. Thistradition, which is now fully consolidated,meets the need of the Masonic institutionfor making its purposes clearer and moreintelligible, in a framework of trans-parency and continuous dialogue with thepublic and social reality. As the history ofFreemasonry has shown, the Grande Ori-ente d’Italia is certainly an esoteric andspiritual reality, but this is not a reason toavoid playing a role that is unavoidably in-terdependent with the society, i.e. the roleof an ethic and civil agency, which con-tributes to educating better citizens andstimulating dialogue and tolerance at thesame time, serving the Country where wehave been working for more than two cen-turies.

EDITORIALFFrreeeeddoomm aanndd CCiivviill PPaassssiioonn,,

aa NNeeww CCuullttuurree ffoorr UUnniitteedd IIttaallyy

di GGuussttaavvoo RRaaffffiiGrand Master of the Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

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ways aimed at emerging, becoming com-mon word, moral koinè. Any confrontation

shall be in the open air and inthe light. When Freema-sonry practiced specialforms of secrecy, this wasmostly due to the historicalcontexts, i.e. the threatsfrom totalitarian or illiberalregimes. This attitude wouldbe now totally inappropriateand even specifically forbid-den by us. In any case, weshould consider that, even indifficult situations, Freema-sonry has never chosen thesolution of dissimulationand hiding. Many of the pa-

triots that guided the unifica-tion process were Freemasons, andeverybody knew that. Among Garibaldi’stroops who contributed to the unifications,it would be much faster to say who was nota Freemason as compared with those whowere Freemasons, the same among the of-ficers and generals of Victor Emanuel the2nd, the first King of unified Italy. However,this does not exclude that within thatFreemasonry, i.e. in the Masonic institu-tions of the period before the unificationand among the brethren, there were no di-versities, even significant. Being Freema-sons has never meant hiding and havingone kind of thinking: it is exactly the op-posite and this is due to a deep root, whichcannot freeze: freedom. Freemasons weremore and more in the front line and in theopen, the opposite of secrecy that has beenquestioned several times against Freema-sonry. The dignity of a people, its feeling

Country needs in this historical period. We do not accept the idea that Italians

“have no fathers”. The seculargrounds of the ItalianRisorgimento are not only aphoto taken in 1861, or amemory to be banished tothe loft, but a timeless pres-ent, an archetype flowingnow in many thoughts andpractices and becomingprogramme and action line,which can be considered asan ideal reference horizon,the sign of a bet wonagainst everybody else. TheRisorgimento was not “amissed revolution”, as An-tonio Gramsci wrote. And weappreciate this author for other indicationsand his fights for freedom. The dream ofItalian unification is that part of the his-tory of our country that we all cherish inour heart has real heirs: the real Italians.They include the Freemasons: men ofdoubt, free and without dogmas, for whomthe only way to follow is continuoussearch, the heretics that are not open-mouthed against the sun.

The attention to these specific values isnot a recent invention, although the formsof external interrelations adopted by theGrande Oriente d’Italia during the last fewyears are more modern. This inclinationgoes back to the origin of its history, inLatin countries and in Italy, in particular.In fact, the ancient Freemasonry, evenwhen it was persecuted, has never pursuedsecrecy as its purpose, as on the contraryits purposes and values were clear and al-

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In particular, they have the infinitefreedom to say ‘no’ to the absurd and to thehell of reason. We know, as Giordano Bruno

wrote in his Eroici Furori,that “in the universal na-ture, nothing happenswithout an optimum pur-pose that arranges every-thing according tojustice”. Our desire tomake the Italians redis-cover the profoundmeaning of an admoni-tion by Giordano Bruno isbased on this: “Convertourselves to justice, fromwhich we have diverted,

as we have diverted fromourselves so that we are no longer gods; weare no longer ourselves. So let us return toit, if we want to return to ourselves”.

However, our task is not an easy one. Wedo not want to bring our memories on thestreet, or to show our collection of medals,although it is full of merits. We want tolook at reality in the eyes and work to over-come the unfinished, paving the way to a newRisorgimento of Reason against hatred andintolerance. With no stiff neck, the Argo-nauts of doubt work for the revolution ofhope. In this process, we are not alone:there are thousands of secular people andfree consciences that are also Freemasons,with all the strength of this intensive work,although they are not fit for this, as theyfight for freedom every day. For them andfor us, every place is aTemple, every face isa growth opportunity, a fertile land where“me” becomes “us.”

The world is changing rapidly. New his-

united, its aspirations for moral, spiritual,cultural, and economic-social emancipa-tion were fully interpreted by the Freema-sons of that time.

From history to nowadayschallenges, our task is alwaysthe same: building on ruinsand cast light on the cross-roads of choices; waking-up themasters, as Italy needs exam-ples and witnesses of real hu-manity. We want to livewithout bowing down, inopen dialogue with the soci-ety. We are not the wardens ofnothing, but the workers of hope.

Italy needs will-poweragainst continuous delegit-imizations, put up for auction by the mer-chants of words. However, to act in acontext, it is first necessary to understandit; we need to read the signs of the time andfight to carry out our duty. This revolutionis personal and there is only one direction:going beyond fear, and speaking; staying inthe agora instead of escaping. Freemasonsare rebels of freedom who give life as a gift toothers met along the pathway. We look foranswers to big questions, by first teachingthe method of tolerance, positive secular-ity, patient construction, and necessary de-cision. “Method” comes from two Greekwords, metà and odòs, which mean: stayingon the road. Freemasons are the men of con-tinuous journey, a sign of contradictionascompared with the inertia of drift and re-nunciation. Freemasons are not locked intheir ivory towers, but they are mediatorsopening the access to sources and indicat-ing new, possible pathways.

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progress, regeneration, and justice. Fromthe Risorgimento to modern times, thegreat springs of Freemasonry still have a

lot of “water” to bring toconsciences. So, wonderinghow we can celebrate the150th anniversary of the Uni-fication of Italy means start-ing to feel more Italian andmore European. The identi-ties call for new syntheses.However, we should not for-get that to ensure rebirth, weneed to ensure that every-thing returns.

Some people thoughtthat the South of Italy, at thetime of Unification, was like

“Heaven inhabited by Devils”(Benedetto Croce) and for others our Southwas like “Hell inhabited by Angels” (Gior-gio Bocca). All thoughts are entitled toexist, as any faith and organisation has theright to have its own space. We think thatNorth and South should stay together –now, as 150 years ago – with a real federalState, which means solidarity and oppor-tunities and not the ratification of selfish-ness and party interests. We shall lookforward, beyond any discussion, in the onlyinterest that we want to protect: the inter-est of all Italian people.

Fortunately, the Catholic Church hastaken positions that certainly deserve to beconsidered, supporting the project of aunited Italy, against delirious speeches fullof hatred and révanche, substantially aimedat undermining social peace and the unityof the country. We can only be pleased forthis historical position, which in reality

tory is knocking at the door of Italy and ourTemples. We need to open the window andunderstand the revolution of people, thecries for liberation of thepeople of the South, anddream of a moral revolu-tion to put workers backinto the centre of the polit-ical and economic agenda.Our real secret is brotherhood:this is a feeling that wewant to bring to everydaylife in our country. We wantto be witnesses of unityagainst the chains of divi-sions. No cage can trap freethinking, no stake orbarbed wire will ever extin-guish the history of freedom.

Going beyond short-sighted disputesmeans understanding that the Unity ofItaly is not a sentimental, old-fashionedcustom, but widespread history, woveninto the body of the Nation. And the Nationis a living organism, whose parts should beharmonised, exploring any possibility forparticipation of citizens in community life.The Risorgimento was not an epic of theSavoy State; it was mostly the capacity totake advantage of a moment in history tofulfil an ideal and a programme: a certainidea of a unified Italy. This is specific per-spective of the world and history. Freema-sonry has inherited ideals of theRisorgimento, Enlightenment, and Revolu-tions. Therefore, it intends to participatewith new energy in the construction of thenational unity. We have the paths of hopein front of us: working for the growth oftolerance, secularity, emancipation,

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should never find moral protections or le-gitimizations. The time has come to over-

come conflicts, in the name ofshared national memory.

We need to move forward,beyond the discussions on“false” Risorgimento, beyondthe caustic lime that hasburied memories, which arenot yet common memories.We need to claim the invio-lable right for dignity of allpeople who died for theRisorgimento and recognisethe profound value of indi-vidual history. Therefore, weshall rediscover the word“Patria” (mother country)

and fully experience itsessence in life. We are not Greece in the 5th

century, but we are a unique country, fullof culture, tradition, art, and thinking. Weshould listen to the wisdom of our elderlyand give space to our youth, as they are thegreen in our flag, the hope of our Nation.

Before being Motherland, Italy is a les-son about civilisation and dialogue in theMediterranean Sea of people. In this an-cient Sea, our Sea, the destiny is bringingmore challenges for humanity to be lookedstraight in the eyes. Also on this subject,something clear should be said: those wholove freedom of their people will also re-spect the freedom of other people and willprotect it. Between cruel dictators and peo-ple fighting with their bare hands for free-dom, Freemasons will be with the people.They will support hope against death, andthought against any regime.

The 150 years of the history of united

was taken several years ago, as it showshow the positions change through time. So,our “relativism” also belongsto others, with no discus-sion about this. However,we hope that the manyprejudices anachronisti-cally affecting Freemasonsare cancelled, consideringthe Second Vatican Counciland its message of newbirth in the church. At thesame time, we join ourPresident of the Republic,Mr. Giorgio Napolitano,who is giving a high andextraordinary example inthe proactive and con-structive promotion of thisexceptional anniversary with vigour andsense of common history. In our President,Freemasons recognise a living evidence ofloyalty to the State, our Constitution, andthe values of tolerance and respect thathave been constructed through the yearsat the cost of major sacrifices, which can-not be demeaned with coarse and un-seemly allegations.

There are also historical thorny ques-tions that invite to call things with theirname, without hiding. Love for the Risorg-imento and love for the Resistance will al-ways be two pillars of our Pantheon ofprofound humanity. However, this does notmean denying the mistakes made duringthe unification process. We have and wantto give a contribution to national pacifica-tion, and say, for example, that the mas-sacres of Casalduni and Pontelandolfocannot be justified. In free men, violence

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history against decadence, liberals versushomologated people; those who are able tothink or take risks versus those who hide

themselves in a burrowwaiting for the roof tocollapse. The patriotismof Constitution on whichevery Freemason swearsis also a call for open cit-izenship, for new culturaladventure, and a civil pas-sion, which can be thereal growth drive of thecountry within our bor-ders and abroad.

In the disorientationof our society, under the

impact of an ethical as well as economiccrisis, we propose a journey to the founda-tions of the national unity. The direction tofollow is that of sense. We remind all Ital-ians that branches can grow as well asroots. In the Notturni di Bonaventura, it iswritten: “With you, old alchemist, I wouldlike to start walking […] Do not beg to ob-tain the sky. Do not beg, but conquer it, ifyou have the strength.” We want this: wewant to live our destiny in the web of meet-ings; we want to greet the return of greatideas against minor things, and of thinkingnot only based on episodes and not follow-ing politics disguised as fiction. We agreewith Pablo Neruda, when he says: “Hopehas two beautiful children: indignation andcourage. Indignation for the reality ofthings and courage to change them.”

In the time of new poverties, theprophets of humanity have not stoppedbeing necessary. Together with the soundforces of the civil society, we want to inter-

Italy are also an opportunity to re-acquirethe awareness that there was and there isItaly to be proud of. Italy with men andwomen who have foughtfor everybody’s rights;this Italy has won and stillwins against wily and ar-rogant persons. The mi-nority part of Italy,ridiculed at the beginning,but always winning, pavesthe way for the revolutionof commitment, identity,civil virtue that is humanreligion and necessarylink between rights andduties. “There is nomother land where the uni-formity of that right infringed by the exis-tence of social classes, privileges, andinequalities”, said Giuseppe Mazzini, wish-ing that the Sun of the Republic will shinefor all. It is like it was written yesterday, butit is another lesson of present times of theRisorgimento.

For us, Mother Land is our commonhouse; it means having the fire of hope andbeing brothers under the Italian flag andnot the nail of desperationin our heart. Itmeans protecting and being proud ofplaces, memories, and our language, thou-sand towns built with stones and words,young and elderly people meeting in thesame square to laugh or cry, to experiencetogether the adventures of difference. Thisis why we do not need the “patriots of com-passion”, those celebrating this 150th an-niversary with rhetoric and sterilenostalgia. On the contrary, we need “patri-ots of courage”; those who want to protect

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There have been people who have pro-gressed and have been able to imagine des-

tinies during these last 150years. We need to restartfrom these traces, drawingdifferent maps as comparedwith only clichés, opposi-tions to dialogue, and com-plaints drawn on dailymaps, which are not con-trasted by a thrust, which isnow necessary like bread.We want to be evidence ofimpatience and knowledge,which characterises peopleliving on the borders andknowing they have to movetheir tents: “Down the pas-

sage which we did not take -Towards the door we never opened” (Eliot).The Grande Oriente d’Italia, from the Northto the South of Italy, renews the commit-ment to build up a freer and fairer society.For this reason, during the night of 17March, we lighted the Three Lights of Wis-dom, Strength, and Beauty in all the Lodgesof the Grande Oriente d’Italia. We turnlights of hope on, instead of cursing thedarkness.

Proud of our history of unification,Freemasons pave the way to the joy of feel-ing Italian, after 150 years, to stay togetherand build up the future. For a different andfairer Italy, we need to restart hoping, askquestions where there answers and sterileindifferentist “recipes”. We need to stopwith short thoughts: we need lògos, not fa-bula. We thirst for truth and are not inter-ested in the Goose Game of characters sell-ing the ideas of one season.

pret changes, intercept demand, and dis-solve dogmatisms. The restless guest ofItaly and Western countries isno longer nihilism, but thelack of projects, and appear-ing that may be considered asthe reality. It is said that Grig-orij Potëmkin, a minister ofthe Empress of Russia Cather-ine the Great, in the occasionof her visit to Crimea, or-dered the construction of anumber of fake façades of vil-lages to make her believe thatthe living conditions in thatconquered region were excel-lent. Even now, many adver-tising posters along our roadsor in videos, boast solutionsthat have no consistency with the realityand cannot meet the needs and fair re-quests for rights and jobs, but only to cre-ate more expectations and cul-de-sacs.Serious questions need real answers.

This is why for us ethics of responsibil-ity cannot remain at the level of homilet-ics: either we practice and change theexisting situation, or everything becomeswords blown in the wind. We want to gobeyond the fragment of Italy separatedinto parties, where word is broken or falleninto silence. Tending towards a possibletruth is the pathway to follow. And thenthe most beautiful adventure: watch themeaning of things, find the pathos ofthought, undertake the challenge of endlesssearch. This is in our DNA; we could not livewithout this fever, due to which we are al-ways restlessly searching for possible andnever disembodied dreams.

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are not “secular saints” for us, or literatureto bring on the market of gossiping: on the

contrary, they are examples ofmen who have paved theway to the idea of a unitedand sympathetic Country.This should not be like a cir-cus with midgets and heart-stealing dancers: we wantback our Italy of arts andcrafts, excellence and pri-macies in all fields, Italy ofthousand fights for free-dom, which make us uniquein Europe. We want back anidentity, which is flesh anddestiny.

Freedom also means giv-ing non-faded answers; it isconscience of action. It

means helping to bring newthoughts into the world, feeling urged byhistory, and being aware that more com-munication is needed at all levels to avoidbeing like the king of Corinth, who pusheda rock onto the hill. The Grande Oriente d’I-talia teaches that where there is a consis-tent language, there is a possible world ofdeeper relations, not disseminated withcountless crosses of those who mind fortheir own interests only. We shall recall thevalues of living together from exile andbuild that rational utopia called Mother-land: a reality which is not the conclusion,but the beginning of a new unity, whichcan be obtained to recover possession ofthe reasons that have cemented, stone onstone, the construction of the State to re-launch public schools, social justice, to giveeveryone the possibility to choose how to

We are men between times. In these in-terstitial spaces, the challenge is to focusof awakening of consciences, onthe possibility to say and doother than the existing reality:ultimately, decide upon a dif-ferent history. We are in anopen worksite, where buildingstones is the responsibility ofthinking in relation to polis,and the point of arrival is beingproud again to be Italian. Weshould not be forced to findspace and opportunities forour intelligence and researchcapabilities overseas, as it isoften the case. The promotionof Culture and its value is oneof main pathways of the newgrowth agreement of Italianpeople.

In spite of everything, words are atrench. There is always one more journeyto go on. And then – I say this strongly – weneed to be able to listen: the young, in par-ticular, and the weak. There are alwayspieces of humanity beyond the destiny ofneed chaining up so many stories. We aremen of liberation. “On the edges of ourhome, thresholds will prepare the meetingwith other individuals: thresholds on thehorizon of a world, which allow both goingout and receiving a guest” (Luce Irigaray,Condividere il mondo).

Creating openings is the task of Freema-sons, along with the effort to abolish thelimits. Being crossed by “pathicity”, as AldoMasullo says, means caring for life, beingagain near a threshold, to feel Life and theothers. This is why Mazzini and Garibaldi

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aspects of our history, with the hope tocontribute to creating the conditionsto

solve conflicts, re-establishrights, and balance unac-ceptable unbalances; and ex-ercising reason and feelingsto improve, all and together,never to destroy and divide.

If we look at Italy as anopen building site, it will ap-pear as a quite strange struc-ture: incomplete under manyaspectsand futurist and in-novative under other as-pects. We are Masons, thebuilding sites where ourhouse should be. We havecertainly a lot of work to do,

but we can cooperate to makeit more effective, more useful for commongood, for our Motherland, its citizens, aswell as the other Europeans and all thosewho, full of god will, offer their practical orintellectual knowledge. We are not inter-ested in knowing their religion or thecolour of their skin. We wish they are readyto accept the founding values of moder-nity: secularity of the civil society andState; equality of rights and duties of menand women; inapplicability of rules of reli-gious laws against the State Laws. Para-doxically, these same rules regulate, inprinciple, the sociability of Freemasonry,as well as some of the principles due towhich Freemasonry has been frequentlyattacked all over the world and during itscentury-old history. Why?

If we look more carefully, we will seethat the principle of real equality, full eth-ical-moral and political-philosophical free-

live and die. This is our history and wewant to experience it with passion and rea-son.

Real Italians shouldnever fear this challenge.Carlos Castaneda wrote: “Awarrior is never besieged.To be besieged, one needsto possess something. Awarrior has nothing elsethan his impeccability, andthis cannot be threatened”.With no revisionisms ordiscussion, either with theSavoy or the Bourbon dy-nasties: the Brethren of theGrande Oriente d’Italia arelike those Italians whofought and were united tobelong to one Motherland. At present theywant to renew and experience the pact ofbrotherhood, which builds up a commondestiny and profound need for truth.

Let us move forward, then, with hum-bleness and thinking. In particular, we shallspread the hope we have in our heart. Nomatter whether there will be just a few ormany of us, whether we travel alone orroped together: the direction of our jour-ney only matters. Freedom and civil passionare the strength of united Italy. We shall notmove back. Although we know that every-thing perishes, we need to build our homesin granite, even just for one night.

On the contrary, the Grande Oriente d’I-talia wants to celebrate these one hundredand fifty years of history according to aspecific view point: re-interpret the past toguide future perspectives; and understandthe incomplete, missing, and even unfair

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• 23 •Freedom and Civil Passion, a New Culture for United Italy, G. Raffi

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regime. The result was racial laws and adevastating war. We should not focus on

the rhetoric of an action, buton the conscience of itsvalue, and the importanceof it future development, inrelation to its implications.We should not focus on therituals of soccer support-ers, who may become hooli-gans, but on the meditatedconstancy of ethical, moral,and civil responsibility.

If we, Freemasons, re-ally want to honour ourpredecessors, who built thefoundations of this housewhere we live, we should

not lose the meaning of CivilReligion, Motherland, and State; certainlynot the celebration of an Ethical State, withall its intolerant implications, but the cele-bration of a space of freedom, guarantees,rights and duties aimed at leaving full andfree development to work, industry, knowl-edge, art, and happiness.

Freemasons know well the high mean-ing for them of tradition and initiatorytransmission of values and symbols. Weshall perform this art through examplesand daily exemplary behaviour also in civillife, in the institutions where we work, inschools, in universities, and in work places:a daily work teaching us to appreciate theCivil “Religio”, a Religion that is ligamen,welcomes all individuals in their diversi-ties, and considering them all united undera number of symbols and shared values,with no difference of gender, religion, eth-nic group, age, culture, and wealth, as some

dom of citizens, the independence of theirconscience in relation to religion(s), theidea of working-class emanci-pation, mass education, com-pulsory schooling, equalitybetween men and women,the critic of violence and war,belong to the values of radi-cal enlightenment, whichhave been transferred (atleast partly or initially) in theprinciples of the politicalconstitutions of the mostmodern European States.Subsequently, those princi-ples spread also in Italy as aresult of the French Revolu-tion and Freemasonry andform one of the main traditionsof the Italian Freemasonry. In fact, weshould not forget that Italy celebrates the150th anniversary of its unification, but wehave recently celebrated our 200th an-niversary.

In this period, wherever possible,Freemasons have been characterised bytheir ability to develop major projects, en-sure dreams become reality, draw up lawsand reforms, which – for example in Italywith Coppino and Zanardelli – createdemancipation and development. More thanto the courage of fighters on the battlefield, we should now address the authors ofmodernity. Their example, that we find inthe many Freemasons who contributed todrawing up the Italian Constitution, shouldinspire us. In fact, it is not enough to waveits flag to ensure the improvement of Italy.There has been a time when this action wasconstantly repeated, during the Fascist

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to too much ambiguity or even open sub-ordination to the point of view of one the-ology. We do not fight against religiousdoctrines, but we claim freedom of con-science in front of all the main questions to

which only individualsand the shrine of theirheart can give due an-swers.

We hope that, consid-ering the war scenariosinflame the Mediter-ranean region and North-Africa, Europe finds itscohesion required to over-come party selfishness,which should have beentones down. Therefore,we hope that more appro-priate peacemaking an-swers full of humanitarian

solutions open a new periodin contemporary history, without fallingagain in a new, harmful, as well as impossi-ble, new-colonialism.

So, we work to the construction of theCivil Religion, which can guarantee free-dom of conscience for each individual, es-tablish new foundations for thisincreasingly troubled world, in order tosolve the mistakes of the past and reallyallow, after 150 years of history, us and ourchildren to say the following without delay,even in the context of a larger EuropeanMotherland:

Brothers and Sisters of Italy. This is ourchallenge, this is our life.

of the main articles of the Italian Constitu-tion say.

Therefore, we now look at the future, afuture in which the main institutions form-ing our nation are increasingly prestigiousand efficient. In this perspec-tive, we cannot celebrate toomuch, if the Italian schoolingsystem is suffering, or youngpeople cannot find properopportunities in the frame-work of research perspec-tives, in relation to the othercountries. We do not want tomake any reference to recentreforms or other, but only tostress that Italy has beengreat also and mostlythrough its scientists, men ofletters, economists, mathe-maticians (Melchiorre Gioia,the founder of Statistics, wasour Brother). If these perspectives of legit-imate greatness, developed through arts,literature, sciences, and professions, arenot widespread, but they fold on them-selves, or with general mistrust, or throughbrain drain, Italy is destined to grow old inthe spirit. We want to give our contributionto a new Risorgimento of spirit, the pro-motion of a feeling of trust in future per-spectives, indicating the focus on youngpeople as one of the key points of renewal.At the same time, more sensitiveness tocivil subjects opened by new discoveries isrequired, in particular on the main issuesof bioethics, which are suffering again due

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dignità, semplice e schietto, sempre co-munque gentile, anche quando restaregentili era oggettivamente difficile, com-mentando le situazioni con un’ironiaamara e simpatica da toscanaccio. La stessaspontaneità, con cui mi rispose, una volta apranzo, negli ultimi tempi, quando gliespressi la mia ammirazione, per comecontinuasse costantemente a svolgere ilsuo lavoro di didatta e ricercatore, nono-stante la dolorosa serie di interventi chi-rurgici e cure invasive con cui i medicihanno tentato di arginare il male che lostava distruggendo: “Basta non volersitroppo bene!” mi disse sorridendo, conti-nuando a mangiare. Alessandro andavasullo scavo, nel deserto arabico, portandocon sé un infermiere, piuttosto che rinun-ciare alla ricerca archeologica.

SSSScrivo questo necrologio per infor-mare i Fratelli della Comunionedella perdita che abbiamo subito.

Il Fr∴ Alessandro de Maigret, infatti,passato all’Oriente Eterno questo febbraio,oltre ad essere stato un insigne studioso, siè dimostrato persona di esemplare rettitu-dine e sincerità, onesto nelle sue scelte enei rapporti umani. Questi suoi lati perso-nali, a mio avviso, sono più degni di stimaperfino dei risultati scientifici da lui con-seguiti, la cui rilevanza è stata tale da fargliconferire l’ambita qualifica di Membro cor-rispondente dell’Académie des Inscriptions etBelles-lettres dell’Institut de France nel 2009,un riconoscimento elargito a pochi.

Dotato di fascino personale, si presen-tava all’interlocutore con la modestia della

The present obituary is dedicated to the living memory of our Bro. Prof. Alessandrode Maigret suddenly disappeared after a long illness. Prof. de Maigret has been oneof the prominent archeologists of our times, a distinguished scholar who directed theItalian Archaeological Mission in Yemen. His scholarly and personal profile remainsan unforgettable example of humanity and wisdom, both in profane and esotericdimension.

AAlleessssaannddrroo ddee MMaaiiggrreett((1144 aaggoossttoo 11994433 –– 1144 ffeebbbbrraaiioo 22001111))

di PPiieettrroo MMaannddeerrUniversità di Napoli “l’Orientale”

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Alessandro fu iniziato Apprendista Li-bero Muratore il 25 ottobre 1988 presso laR∴L∴ Prometeo, nº 1053all’Or∴ di Roma, presso laquale prese anche i gradi diCompagno d’Arte il 14 no-vembre del 1990 e infine diMaestro il 2 marzo 1992. Inseguito passò, nel 1998, allaR∴L∴ Emilio Francione nº902 all’Or∴ di Napoli, cittàin cui teneva la cattedra diArcheologia e Storia del-l’Arte del Vicino OrienteAntico. In più occasioni ciincontrammo, e sempre miespresse la sua gioia per laricerca interiore nel senodella nostra comunione, ri-cerca cui si era dedicatocon la sincerità e genuinitàche gli erano peculiari.

Sì, Alessandro si era purtroppo asson-nato. Mi parlò, sempre in un pranzo nel-l’intervallo delle lezioni all’Università diNapoli “l’Orientale”, dove entrambi presta-vamo servizio, del suo crescente disagio. Midisse che era avvilito per l’attenzione so-verchia che si prestava, nelle Logge, alla“politichetta” a discapito del Lavoro spiri-tuale: un clima che ben conosciamo, nelpresente vortice avvelenato da tavole d’ac-cusa, giuste, ingiuste o pretestuose, e,ancor peggio (ma il fondo non si toccamai), di procedimenti giudiziari presso iTribunali dello Stato. Quando il senso diFratellanza si appanna, sono i migliori chesi allontanano.

E dell’uomo e del Fratello ho detto qual-cosa; ora dico dello studioso.

Alessandro era un ar-cheologo; iniziò il suocurriculum di studi aTell-Mardikh (Ebla), dal1970 al 1976, presso laMissione ArcheologicaItaliana in Siria diretta daPaolo Matthiae, per poivolgere i suoi interessiverso un’area poco fre-quentata negli studi vi-cino-orientalistici, lapenisola arabica. Alessan-dro, infatti, aveva appro-fondito studi di caratteremetodologico, che impo-stano le ricerche archeo-logiche secondo criteriantropologici ed ecolo-gici (New Archaeology ed

Enviromental Archaeology),ampliando gli orizzonti fino ad includerenumerose scienze ausiliarie (dendrologia,geologia, paleobotanica ecc.), e intendevaesplorare quell’area sotto queste nuoveprospettive. Sempre in questa fase, Ales-sandro dal 1978 al 1979 ottenne una borsadi studio presso lo Institute of Archaeology ofthe University of London, dove potè mettere apunto le sue nuove esperienze di studio.

Come carriera accademica, dal 1980prese ad insegnare, in quello che allora sichiamava Istituto Universitario Orientaledi Napoli, ‘Archeologia e Storia dell’Arte delVicino Oriente Antico’, disciplina di cui poivinse la cattedra nel 1990 e che tenne fino

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al pre-pensionamento, alla fine del 2009. Ilsuo senso del dovere lo costrinse a questadifficile scelta, perchél’aggravarsi della malat-tia non gli avrebbe con-sentito di svolgere lapropria attività didat-tica compiutamente.

Fu proprio dal 1980che Alessandro iniziò lasua attività nella peni-sola araba, e, più preci-samente, nello Yemen,noto dall’Antico testa-mento come il paesedella regina di Saba. Inquell’anno infatti fondòla Italian ArchaeologicalMission in the Yemen Ara-bic Republic, con fondidei Ministeri degli Af-fari Esteri, dell’Università e del ConsiglioNazionale delle Ricerche. Un nome presti-gioso nella storia degli studi vicino-orien-tali, Sabatino Moscati, sostenne l’impresa,che fu appoggiata dapprima presso l’‘Isti-tuto per l’Oriente’, e poi presso l’‘Istitutoper il Medio ed Estremo Oriente’ (IsMEO),diretto da Gherardo Gnoli.

La missione iniziò con un’accurata seriedi prospezioni, fino ad individuare l’esi-stenza di una, fino ad allora sconosciuta,età del Bronzo (III–II millennio a.C.) nelloYemen, fase culturale ricca di oltre cin-quanta siti archeologici a sud-est di San’a.La scoperta mostrò rapporti fra quest’areacreduta remota e quella della ben più cen-trale Palestina. L’indagine portò poi alla

scoperta di un sito dei Sabei, Wadi Yala, sulmargine orientale del deserto, ritenuto il

secondo, per impor-tanza dopo la famosaMa’rib. Il prosieguodella ricerca eviden-ziò rapporti tra di-verse aree in diversitipi di manufatti,quali necropoli e mo-schee del periodo isla-mico, di cui eglicontribuì significati-vamente a tracciare letipologie secondoclassificazioni scienti-fiche. Sullo scorciodegli anni ’80 e i primianni ’90 Alessandroscavò a Baraqish, dovescoprì l’importantetempio del dio Nakrah

della civiltà dei Minei (VII-I sec. a.C.). Nel1991 fu nominato presidente dell’associa-zione internazionale di studi Arabia Anti-qua, incarico che lo portò ad organizzaresimposi internazionali e collaborazioni condiverse università, anche nel mondo arabo.

Dalla metà degli anni ’80 fu coadiuvatodalla moglie, Sabina, che lo affiancò valida-mente in tutte le ricerche, producendo unaricca serie di pubblicazioni scientifiche.

Tra le altre indagini, va annoverataanche la collaborazione con ChristianRobin, direttore della Missione Archeolo-gica Francese negli scavi di Yeha, in Etio-pia, dall’altra parte di quel mare che avevaconsentito il contatto fra le culture. Dal1999 al 2004 scavò a Tamna’, capitale del

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regno sudarabico di Qataban, dove mise inluce, tra gli altri edifici, il tempio della deaAthirat. Anche l’attività di restauro impe-gnò Alessandro, chediresse quello a Bara-qish, dove intantoproseguivano i suoiscavi.

Infine, egli di-venne direttore dellamissione congiuntacon i sauditi a Dumatal-Jandal, sito pro-mettente quant’altrimai, poiché si trattadell’antica Adumatu,citata nei testi cunei-formi neo-assiri(VIII-VII sec. a.C.).Ma di questa ricercaebbe tempo di con-durre solo la primacampagna di scavonel 2009, dove, seppursofferente, rimase sul campo per tutto ilperiodo.

A livello divulgativo Alessandro ha la-sciato Arabia Felix. Un viaggio nell’archeologiadello Yemen, Rusconi, Milano 1996 (in parti-colare, si raccomanda la seconda edizionein inglese, più aggiornata e completa: Ara-bia Felix. An Exploration of the Archaeological

History of Yemen, Stacey International, Lon-don 2009) e diversi contributi al catalogodella mostra del 2000 a palazzo Ruspoli a

Roma, dal 5 aprile al30 giugno, Yemen.Nel paese della reginadi Saba. Catalogodella Mostra dellaFondazione Memmo,di cui fu curatoreinsieme a B. Vogt eJ.-C. Roux, Skira,Roma 2000, e dellamostra La regina diSaba - Arte e leg-genda dallo Yemen.Catalogo della mostratenuta a palazzo Bri-cherasio, Torino 26settembre 2000 – 7gennaio 2001, Electa,Milano 2000.

La sua prematura scomparsa rappre-senta una perdita incolmabile per i suoi fa-miliari, i colleghi ed i fratelli che ne hannoapprezzato le doti umane e scientifiche;una perdita, quindi, non solo per la comu-nità scientifica italiana ed internazionale,ma anche e soprattutto per coloro che gra-zie al suo continuo esempio hanno cercatodi coniugare l’Oriente della scienza conquello della ricerca spirituale.

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sfidando in tal modo non solo l’odio dei ne-mici ma anche la diffidenza e il sarcasmo ditaluni “amici”. Oggi, alla vigilia dei 150 annidell’unità, è venuto il momento di dare vi-sibilità al loro ruolo, di restituire soggetti-vità alle protagoniste di quelle lotte,sottraendo all’oblio una componente –quella femminile – che si intreccia indisso-lubilmente a quella maschile in un’unicastoria.

Se si intende il Risorgimento non solocome epopea militare ma soprattuttocome processo di costruzione di un’iden-

“Sorelle d’Italia”

LLLLa storiografia del Risorgimento èstata complessivamente ingiustanei confronti delle donne che

hanno partecipato ai moti rivoluzionarirendendo quasi invisibile la loro partecipa-zione attiva e creativa alle imprese chehanno portato all’unità d’Italia. In una so-cietà patriarcale, donne intellettualmentelibere, molte delle quali in possesso di unacultura elevata, hanno saputo compierescelte coraggiose, agire in maniera indi-pendente e dimostrare spirito d’iniziativa,

Defined by Cattaneo and Garibaldi the “first woman of Italy”, Cristina Trivulzio ofBelgioioso (1808-1871) is still awaiting proper recognition by a careful history finallydevoted to the role of women in the Risorgimento. Admitted to the young “YoungItaly” she was processed by the Austrian Government for high treason, exiled in Paris,where animated an important cultural meeting place for Italian exiles. Back in Italy,gives birth in her estate of Locate, a bold social experiment, inspired by the doctrinesof Saint-Simon and Fourier: she will be defined for the “Principessa rossa”. Herpatriotic passion is firm with a strong social commitment and an equally strongintellectual vocation. Cristina plays a leading role in the Lombard revolution of 1848and the defense of the Roman Republic in 1849 and writes what can be consideredthe first manifesto of Italian feminism.

IIll RRiissoorrggiimmeennttoo ddeellllee ddoonnnnee..CCrriissttiinnaa TTrriivvuullzziioo ddii BBeellggiiooiioossoo:: llaa ““pprriinncciippeessssaa rroossssaa””..

di LLuuiisseellllaa BBaattttaagglliiaaUniversità di Genova

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1 Su questo tema rinvio a Missiroli, F. (2010) L’altro Risorgimento, ne “Il pensiero mazziniano”,n. 1, gennaio-aprile, pp.82-89.2 Tra le molte biografie dedicate alla Belgioioso mi limito a segnalare: Barbiera, R. (1903)Passioni del Risorgimento e nuove pagine sulla principessa Belgioioso e il suo tempo, Treves, Milano; Thierry,A. (1926) Une héroine romantique. La princesse Belgioioso, Plon, Paris; Malvezzi, A. (1937) Cristina di Bel-gioioso, Treves, Milano; Guicciardi, E. (1937) Cristina Belgioioso cent’anni dopo, La Martinella di Mi-lano, Milano; Severgnini, L. (1972) La principessa di Belgioioso. Vita e opere, Virgilio, Milano; ArcherBrombert, B. (1981) Cristina Belgioioso, Dall’Oglio, Milano; Petacco, A. (1993) La principessa del Nord,Mondadori, Milano.

schile nella lotta per l’affermazione deisuoi ideali patriottici, mettendo a repenta-

glio la sua posizione, il suo pa-trimonio, la sua libertàstessa. Nata il 28 giugno1808 a Milano dal principeVittorio Trivulzio e da Vit-toria Gherardini, a quattroanni perde il padre; lamadre, rimasta vedova avent’anni, si risposa benpresto col marchese Ales-sandro Visconti d’Aragona.La sua vocazione patriotticaè precocemente stimolatadall’esempio del patrigno,cospiratore del ’21, oltreche dall’insegnamento di

una donna di grandi qualitàintellettuali, Ernesta Bisi, che le sarà sem-pre spiritualmente vicina. Si dedica aglistudi classici, apprende il latino, l’inglese,il francese, lingua quest’ultima in cui scri-verà la maggior parte dei suoi libri. Nel1824, a soli 16 anni, sposa il principe EmilioBarbiano di Belgioioso insieme al qualeentra a far parte della Giovine Italia. Sepa-ratasi ben presto dal marito, a causa delle

tità nazionale, e quindi come rinascita mo-rale e civile, non è più possibile sottovalu-tare o ignorare l’azioneprofusa da quelle che si po-trebbero chiamare “sorelled’Italia” – basti citare Co-lomba Antonietti, Anto-nietta De Pace, Marianna DeCrescenzo, che avevano as-sunto a modello l’eroina deidue mondi, Anita Garibaldi– o figure come Clara Maf-fei, Teresa Confalonieri Ca-sati, Teresa PerissinottiManin, impegnate in primapersona sia nelle attività co-spirative, sia in un’opera piùsotterranea di mobilita-zione delle coscienze, di edu-cazione del sentire affidata a scritti, appelli,lettere, gesti simbolici.1

Un posto di particolare rilievo nel “ri-sorgimento delle donne” spetta indubbia-mente a Cristina Trivulzio di Belgioioso chesarà chiamata “la principessa rossa” per lesue idee rivoluzionarie.2 Bella, colta, intel-ligente, audace, Cristina si muove decisa inun mondo declinato esclusivamente al ma-

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3 Praz, M. (1988) La carne, la morte, il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze, p.98.

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altri, Chopin, Hugo, Michelet, Guizot, oltrea Cavour, Gioberti, Tommaseo, Mamiani,

Bellini, da lei valorizzato e in-trodotto a Parigi. La Belgio-ioso lascia – è il giudizio diMario Praz – un’impressioneindelebile tra gli artisti pro-prio per il suo incarnare allaperfezione il tipo di bellezza me-dusea caro ai romantici.3 Da quiemerge forse il carattere “ro-mantico” che verrà conferitoalla sua vita, per il continuoerrare, le forti passioni che laanimano, lo spirito indomito,i molti amori con letteratipoeti e musicisti che le ven-gono attribuiti.

Nel 1838 nasce la figliaMaria Gerolama che sarà legitti-

mata solo dopo 20 anni come Belgioso.Dopo la nascita della bambina, Cristina ri-prende i contatti con la famiglia e decide diritornare nel suo feudo a Locate dove, apartire dal 1840, si trasferisce per avviarviun importante progetto sociale: vi costrui-sce asili e scuole, fonda una colonia agri-cola e rivoluziona l’intero paese portandoload un livello di benessere molto superiorealle condizioni del tempo. L’esperimento diLocate si prolunga fino al ’47, intervallatoda soggiorni a Parigi in cui, per meglio ser-vire la causa dell’indipendenza italiana,fonda La Gazzetta Italiana (1845) che poi sichiamerà L’Ausonio, diventando la primadonna proprietaria di un giornale. La fiam-

sue dissolutezze, Cristina si reca a Romadove frequenta il salotto della regina Or-tensia, madre di Luigi Napo-leone, e successivamentesi trasferisce a Genova e aMarsiglia, dove prendecontatto con Mazzini. Nel1831 aiuta finanziaria-mente la spedizione diSavoia, tentata da FilippoBuonarroti ma non por-tata ad attuazione a causadella crisi politica scop-piata in Francia; per que-sto viene processata nel1833 dal governo au-striaco con l’accusa di“alto tradimento”. I suoibeni vengono posti sottosequestro sicchè decide ditrasferirsi a Parigi dove vive alcuni anni ingrandi ristrettezze. Grazie tuttavia all’ami-cizia degli storici Auguste Mignet e Augu-stin Thierry che le aprono le porte dellabuona società parigina, Cristina entra incontatto con Adolphe Thiers, Alfred deMusset, Heinrich Heine, Franz Liszt. Masarà in particolare il generale Lafayette aconsentirle, grazie alla sua influenza, di ri-solvere le vertenze col governo austriaco,ottenendo anche la restituzione del suo pa-trimonio. Durante il soggiorno parigino,Cristina continua la sua opera di propa-ganda della causa italiana dando vita aduno dei salotti intellettuali e politici più ri-nomati del secolo: vi convengono, tra gli

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gio con latifondo per attuarvi un piano diaudace colonizzazione con l’ausilio dei

contadini locali e di alcuni ita-liani esuli. Il progetto incon-tra difficoltà di ogni generee Cristina, finanziariamenterovinata, dopo un attentatoche la riduce quasi in fin divita, si rassegna infine a tor-nare in Italia nel 1855: dellasua esperienza in Orienterestano ricordi di viaggio,pubblicati col titolo Vita in-tima e vita nomade in Oriente(1855), che costituiscono undocumento etnografico diparticolare interesse, specieper lo studio della condi-

zione femminile. A tale que-stione Cristina dedicherà uno dei suoiultimi scritti, Della presente condizione delledonne e del loro avvenire, pubblicato nel 1866,che può considerarsi il primo manifestofemminista italiano. La morte soprag-giunge il 5 luglio 1871, l’anno in cui Roma ècapitale del regno.

Dai salotti alle barricate: principessa e re-pubblicana

Già da queste sommarie note biografi-che emergono i tratti di una personalitàd’eccezione in cui la passione patriottica sisalda con un forte impegno civile e un’al-trettanta spiccata vocazione intellettuale.Non possiamo infatti dimenticare che Cri-stina Trivulzio, prima degli scritti giusta-mente celebri dedicati alla rivoluzione del’48, aveva pubblicato nel 1842 quel Saggiosulla formazione del dogma cattolico in quat-

mata rivoluzionaria del ’48 la trova a Na-poli, dove continua a pubblicare L’Ausonio:alle prime notizie dell’insur-rezione lombarda, si im-barca su un piroscafotraendosi dietro 160 volon-tari in testa ai quali entratrionfalmente a Milano,reggendo in pugno il trico-lore. Salutata entusiastica-mente dal popolo, maaccolta con sospetto dal go-verno provvisorio in manoai moderati, fonda due gior-nali, Il Crociato e La Croce diSavoia, per sostenere l’an-nessione della Lombardia alPiemonte. Dopo il tradi-mento di Carlo Alberto, cheriapre le porte della città al nemico au-striaco, Cristina riconosce il proprio errore,ne fa pubblica ammenda e si riavvicina aMazzini, facendosi sua interprete, presso ilmondo francese, della causa italiana: in duearticoli sulla rivoluzione italiana del ’48,pubblicati sulla Revue des Deux Mondes, ana-lizza lucidamente le responsabilità del fal-limento delle speranze nazionali. Nel 1849è a Roma dove dirige e organizza, per inca-rico di Mazzini, il servizio delle ambulanzee degli ospedali, dando vita al primo corpodi infermiere laiche. Caduta la RepubblicaRomana, continua a tenere coraggiosa-mente il suo posto per difendere i feriti alei affidati, proteggendoli sia dalle vessa-zioni dei francesi che dalle vendette dei cle-ricali. Infranto il sogno rivoluzionario,lascia l’Italia in compagnia della figlia perrecarsi in Anatolia dove acquista un villag-

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4 Il titolo originale dell’opera della Belgioioso è Essai sur la formation du dogme catholique, 4voll., J. Renouard & C., Paris, 1842.5 Cristina di Belgioioso, La science nouvelle par Vico con Introduzione Vico et ses oeuvres, Re-nouard & C., Paris, 1844.

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era stata introdotta a Parigi dall’amico Au-gustin Thierry. Il suo progetto è di appli-

care le teorie del socialismoutopistico – in cui si preco-nizza l’avvento di una so-cietà basata su principievangelici ma guidata daproduttori e industriali im-pegnati a migliorare le con-dizioni di vita delle classipiù umili – ad un feudo dovei contadini conducevanoun’esistenza miserabile. Ini-zia pertanto a costruire unascuola – aperta a maschi efemmine – in cui si imparti-scono nozioni di fisica, diagricoltura, di meccanica e

di economia domestica: un’as-soluta novità, per quei tempi, in cui si puòravvisare un’antenata, diremmo oggi, diuna scuola professionale. Il suo impegno ci-vile a favore dei diritti dell’infanzia e di unapari educazione di entrambi i sessi si con-creta nella fondazione di uno dei primi asiliche siano apparsi in Italia. La vita a Locate,che ha le dimensioni di una piccola città, sitrasforma nel giro di pochi anni: vengonoallestiti laboratori per pittori, restauratori,stampatori, rilegatori; si organizza una cu-cina pubblica per distribuire pasti caldi e siistituisce un centro infermieristico per as-sistere i malati. La Belgioioso, fedele al pro-gramma mazziniano di educare il popolo

tro tomi per cui fu definita, da CesareCantù, “una libera pensatrice”.4 Si tratta diun’opera ponderosa e com-plessa che ha come filo con-duttore la teoria del liberoarbitrio, esaminata attra-verso la ricostruzione delledottrine dei grandi Padridella Chiesa, sul cui sfondocampeggia una suggestivarievocazione dei primi se-coli del Cristianesimo e delsorgere delle eresie. Se, daun lato, l’Autrice dichiara dinon essere convinta che Dioabbia sottoscritto tutti i de-creti della Chiesa, dall’altroafferma che, grazie alla suaricerca, ha abbandonato lafede cieca per approdare ad una fede ba-sata sulla conoscenza. Frutto del suo inte-resse per le materie filosofiche è anche ilSaggio su Vico (1844) e la traduzione in fran-cese delle opere del grande pensatore,un’opera che verrà molto apprezzata daJules Michelet.5 Ma Cristina non si limita adopere teoriche, sia pure di alto profilo: lasua vocazione è, fondamentalmente, civilee politica.

Quando le vicende della vita la ripor-tano in Italia, a partire dal 1840, dà vitanella sua tenuta di Locate, alle porte di Mi-lano, ad un audace esperimento ispiratoalle dottrine di Saint-Simon e Fourier, cui

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6 Cristina di Belgioioso, La rivoluzione lombarda del 1848, a cura di A. Bandini Buti, UniversaleEconomica, Milano, 1949, p. 50. I volontari erano in realtà 160.

organizzando la spedizione da Napoli a Ge-nova di numerosi volontari. Ecco la sua te-

stimonianza:

Ero a Napoli quando scoppiòla rivoluzione a Milano. Non po-tendo resistere al grande deside-rio di rivedere i miei compatrioti,noleggiai un bastimento a vaporeche mi portasse a Genova. Ap-pena si sparse la voce della miapartenza mi accorsi di quantasimpatia avesse destata in Napolila causa lombarda. Volontari diogni ceto vennero a supplicarmiche li conducessi con me inquella terra; nelle quarantottoore che precedettero la mia par-tenza, nella mia casa fu un conti-

nuo viavai di supplicanti: quasidiecimila napoletani chiedevano di partirecon me; ma il mio battello non poteva por-tare che 200 persone, e quindi acconsentiia condurre meco 200 volontari.6

L’entusiasmo dei volontari si spiega, asuo avviso, col carattere ‘santo’ di unaguerra che viene, non a caso, definita “unacrociata”, e che le fa presagire una lotta ve-ramente italiana, non soltanto lombardo-piemontese. Purtroppo le sue speranze siscontrano contro l’amara realtà della capi-tolazione di Carlo Alberto, il re in cui avevariposto tutta la sua fiducia e che ora è au-tore di un “infame tradimento”. La Belgio-ioso credeva infatti fermamente nella virtùunificatrice della monarchia e, per soste-

per avviare le riforme, intende creare unanuova forma di associazione tra i lavora-tori, mirando ad una sorta diconciliazione tra dottrinesocialiste e pensiero cri-stiano. Sennonché la “prin-cipessa socialista” – cosìviene ormai chiamata – fi-nisce col provocare, conprogetti lungimiranti matroppo in anticipo suitempi, timori e preoccupa-zioni tra tutti coloro – eManzoni è tra questi – chegiudicano severamente lasua ‘mania’ di diffonderel’educazione tra i contadini.Chi zapperà allora la terra?– ci si chiede sarcasticamente. D’altraparte, i proprietari terrieri cui si rivolgeper coinvolgerli nella sua impresa, cer-cando di persuaderli dei vantaggi cheavrebbero tratto dall’istruzione dei conta-dini e dal miglioramento delle loro capa-cità, manifestano indifferenza o, piùspesso, dichiarata ostilità nei confronti diquelle che ritengono iniziative stravaganti,se non addirittura progetti rivoluzionari.

La fama della Belgioioso è tuttavia con-segnata soprattutto agli scritti su La rivolu-zione lombarda del 1848 pubblicati in duepuntate, all’indomani della sconfitta, sullaRevue des deux mondes, una delle più presti-giose riviste dell’epoca. Si è visto che Cri-stina vi svolge un ruolo di primo piano,

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7 Ivi, p. 79.8 Ivi, pp. 81-82.9 Ivi, pp. 85-86.

10 Su questo rinvio a Brunello, P. (2005) Introduzione a Cristina di Belgioioso. Capi e popolo. Il qua-rantotto a Venezia, Spartaco, Santa Maria Capua Vetere, p. 7.

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Nel definire le colpe gravi di coloro cheprovocarono il fallimento della causa rivo-

luzionaria, la Belgioioso nonesita ad autoaccusarsi peraver contribuito a traviare isuoi concittadini col suo so-stegno a Carlo Alberto. Oltread attribuire esplicitamente aquest’ultimo la responsabilitàdella restaurazione austriaca,la sua preoccupazione domi-nante è di difendere l’onoredel popolo contro le accuse,“false quanto immeritate”, diviltà e di egoismo.

Il solo innocente, sul qualenon si può lasciar pesare l’accusa,

è il popolo. Non può pretendere la libertà,non può sperarla un popolo che non ne siadegno. […] Speriamo dunque che l’onored’Italia sia vendicato; che la discordia nonfiacchi sforzi tanto generosi e che la nostraindipendenza, una volta conquistata, sia ri-conosciuta per sempre.9

La propaganda austriaca nel frattempola dipinge come la grande rivoluzionaria ita-liana, la Principessa Belgioioso, soprannominatala sanguinaria assassina degli Austriaci: così silegge in alcuni volantini diffusi a Vienna.10

Rifugiatasi a Parigi, dove riapre il suo sa-lotto a sostegno della causa italiana e conl’intento di sollecitare un intervento fran-

nere tale tesi contro la tenacia repubbli-cana di Mazzini, aveva fondato due gior-nali, Il Crociato e La Croce diSavoia, tenendosi in con-tatto col re e gli esponentidel partito moderato. Lasua delusione è profonda:

Non mi dilungherò adescrivere quale fosse lacosternazione di un po-polo al quale si toglieva lavittoria prima ancoradella battaglia: sembravaimpazzito dal dolore. Gliuomini piangevano, na-scondendo il volto tra lemani; le donne, più abi-tuate al pianto e menovergognose delle lacrime, correvano di-sperate di strada in strada mandando gridadi dolore. […] Poi la rabbia successe alla di-sperazione.7

La notizia della capitolazione, la fugadel re e dei membri del Governo provviso-rio provocano un generale sgomento:

Il popolo andava di porta in porta incerca dei capi; correva di palazzo in pa-lazzo per cercare le munizioni; non volevaancora credere a tutta la sua sventura. […]Così Milano fu ancora una volta dell’Au-stria, le cui truppe entrarono trionfanti làdove quattro mesi prima erano state scac-ciate con vergogna.8

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11 Cristina di Belgioioso, Capi e popolo. cit, p. 57.12 Ivi, p.80

Da qui la necessità per il governo di Ve-nezia di conciliare due esigenze diverse e

in qualche modo opposte.Proclamando la repub-blica di San Marco, Vene-zia aveva suscitatosospetti nella maggiorparte degli stati italianiche vi vedevano l’espres-sione di una tendenza se-paratista. D’altra parte,la successiva adesione diVenezia al regno dell’Ita-lia del nord avvenivasotto il segno della diffi-denza, una diffidenzache la Belgioioso com-menta amaramente:

I piemontesi non eranocompatrioti, fratelli dei veneziani? Certoche sì, ma il popolo non completa la suaeducazione in un giorno. Spiacevoli pre-giudizi li tenevano lontani dal Piemonte.Per superarli, sarebbe stato necessario ri-volgersi francamente alla sua intelligenza,al suo patriottismo, piuttosto che porlo difronte a una crudele alternativa in cui lanecessità annullava ogni libera scelta.12

Affiora qui, ancora una volta, la sua ten-denza a idealizzare il ‘popolo’ come sog-getto collettivo in cui le esistenzeindividuali rifluiscono all’interno di unastoria comune, di un’unica famiglia, di undestino condiviso, il che le impedisce, ad

cese, prosegue le sue riflessioni sulla causadella sconfitta del ’48 a Venezia. Se a Mi-lano era stata protagonista e te-stimone diretta dei motirivoluzionari, per la ricostru-zione dell’insurrezione di Ve-nezia – pubblicata sempresulla Revue des deux Mondes – siavvale dei resoconti di alcunidei protagonisti, a partire daNiccolò Tommaseo e da Da-niele Manin. Per comprenderele difficoltà del loro compitooccorre, a suo avviso, ram-mentare quanto Veneziaavesse vissuto isolata dal restod’Italia, rivolta al proprio pas-sato piuttosto che verso l’Eu-ropa contemporanea.

Gli uomini illuminati che marciavano acapo dell’opposizione contro l’Austria –scrive – erano gli unici a levarsi al di sopradi questo patriottismo locale, per conside-rare da un’altra visuale il futuro di Vene-zia. Ai loro occhi, il primo scopo daperseguire era abbattere definitivamentela dominazione straniera e il modo per rea-lizzarlo era l’unione o l’unità delle diverseprovince italiane in un’unica alleanza. […]Tuttavia, se era impossibile condurre abuon fine l’impresa di affrancare il Venetosenza il sostegno dell’Italia intera, questaimpresa non poteva nemmeno essere co-minciata senza il concorso del popolo ve-neziano.11

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13 Ivi, p.9214 La lettera di Mazzini è riportata da A. Malvezzi, op. cit., p. 198.

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Noi non ignoriamo – scrive – i rimpro-veri che vanno rivolti all’Italia. […] Ma il

comportamento di Venezia cirisarcisce di molte umilia-zioni […] L’Europa le ha ri-dato la sua simpatia e l’onoreitaliano vi trova il suo ultimobaluardo. Verrà il giorno,speriamo, in cui la ripara-zione sarà ancora più com-pleta. Quel giorno, l’Italiaavrà riconquistato la sua in-dipendenza e Venezia saràcelebrata, tra tutte le liberecittà italiane, come quellache mai perse la fede nellapatria e mai esitò a sacrifi-carsi per la santa causa delnostro riscatto.13

E tuttavia, al di là dellaconclamata speranza nella fratellanza tra ipopoli, la Belgioioso non può non interro-garsi sui motivi del fallimento dei moti ri-voluzionari compiendo, come si è rilevato,una spietata autocritica. Non resta ormaiche tornare a Mazzini con cui Cristina siaugura, in una lettera al Cattaneo, di poterlavorare, essendo “ora nella stessa parte”,anche occupando – come scrive su Il Cro-ciato (13 giugno 1848) – “l’ultimo postonelle sue file”. Mazzini, a sua volta, si di-chiara confortato di averla “amica e attivacon noi”chiedendole di giovare, con la suapenna, alla buona causa.14 Pochi mesi piùtardi, la Belgioioso lascia l’esilio parigino eraggiunge Roma per difendervi la Repub-

esempio, di considerare adeguatamente ladiversità dei simboli – nonsolo il leone di San Marcoma il berretto frigio – chesi intrecciano e si contrap-pongono nei moti rivolu-zionari. Forte è la suapreoccupazione di evitarecontrasti interni all’ob-biettivo per lei dominantedell’indipendenza nazio-nale, mettendo in guardiadal pericolo delle discordiepolitiche e sottolineando,per converso, l’impor-tanza dell’unione. Su que-sta linea si colloca anche lavalorizzazione della federeligiosa del popolo vene-ziano, in particolare il legame tra riti citta-dini e culto della Madonna della Salute, chele consente di enfatizzare il concorso ditutti – uomini e donne, ricchi e poveri – allamedesima causa. Per questo, ai suoi occhi,Venezia può apparire come “l’estremo ba-luardo della nostra indipendenza”, dotatadi una tenacia che rasenta l’eroismo. Nelrievocare la barbarie dell’assedio austriaco,col cannoneggiamento per 24 giorni con-secutivi sui campanili e su monumentiunici quali il ponte di Rialto e l’oratorio diSan Rocco, ricostruisce come un’epopeastraordinaria l’eroica difesa della Repub-blica Veneta, caduta sotto il bombarda-mento solo il 27 agosto 1849.

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15 Bresciani, A. (1873) La repubblica romana, Muggiani, Milano, p. 123.

giornalista americana Margaret Fuller.Grande è, tuttavia, lo scandalo negli am-

bienti clericali che guardanocon riprovazione una promi-scuità sospetta tra le donnee i soldati feriti: la Belgio-ioso, definita dal padre ge-suita Antonio Bresciani“femmina sfacciata e impu-dente”,15 verrà addiritturaribattezzata per scherno “lapapessa Cristina”.

Con la caduta della Re-pubblica Romana si infran-gono i sogni rivoluzionari ealla Belgioioso non resta cheprendere amaramente attodel fallimento. Ma non si dàper vinta. Com’è sua abitu-dine, coltiva altri ambiziosiprogetti, tra cui quello di darvita in Sardegna ad una co-lonia agricola in cui racco-gliere tutti gli esuli. Dinanzialle insormontabili difficoltà

dell’impresa, decide allora dipartire per Malta, in compagnia della figliae della governante. Inizia un lungo viaggioche la vedrà prima ad Atene e poi, nel 1850,a Costantinopoli per intraprendere infineuna nuova avventura che si rivelerà unafallimentare impresa economica: l’acquistodi un latifondo nella regione di Angora(l’odierna Ankara) per organizzarvi unasorta di fattoria modello. Del suo soggiornonel vicino Oriente restano racconti di viag-

blica. Mazzini – che aveva costituito unaspecie di ‘triumvirato femminile’, compo-sto oltre che dalla Belgioioso,da Giulia Bovio Paolucci eda Enrichetta Di Lorenzo,compagna di Carlo Pisa-cane, per dar vita ad unComitato di soccorso ai fe-riti – le affida un incaricodi particolare responsabi-lità, quello di dirigere leambulanze militari e gliospedali di Roma, valoriz-zando le sue capacità orga-nizzative – già rivelatesi aLocate. È la prima volta chead una donna viene confe-rito un compito di tale ri-lievo e Cristina si mostrapienamente all’altezzadella fiducia in lei riposta,dimostrando efficienza eabilità nel comando, impo-nendo ordine e disciplina ededicandosi con assolutadedizione ad una missione –quella dell’assistenza ai sofferenti – in cuiravvisa, per riprendere le sue stesse parole– “il modo più sicuro di fare del bene”. Isti-tuisce un servizio femminile volontario,ben prima di Florence Nightingale che fon-derà nel 1854 il corpo delle crocerossine, ri-volgendosi alle donne di Roma:aristocratiche, borghesi, popolane rispon-dono con entusiasmo al suo appello, cuiaderiscono anche alcune straniere, come la

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16 Cristina di Belgioioso, Vita intima e vita nomade in Oriente, Prefazione di G. Cusatelli, Ibis,Como, 1993, p. 22.17 Il giudizio è di B. Archer Brombert, op. cit., p. 465.

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Non ha alcun timore, pertanto, a di-struggere le illusioni riguardo agli harem,demistificando le descrizioni che se ne leg-

gono nelle Mille e una notte,come luoghi della bellezzae dell’amore, misteriosi ri-fugi del lusso e della vo-luttà. Con un’esplicitapresa di distanza dalla piùconvenzionale letteraturadi viaggio, il suo è un iti-nerario alla scoperta del-l’identità femminile le cuitappe fondamentali sono

gli incontri con le altre donne per rico-struire la loro vita vissuta sotto le “leggidell’harem”. Da tale esperienza matura uncrescente interesse per una questione cheaveva passato sotto silenzio nei suoi scrittipolitici, per timore probabilmente di pro-vocare divisioni dannose all’interno delmovimento rivoluzionario: la rivendica-zione dei diritti delle donne.

Una pioniera dell’emancipazione femminileCome si legge in una sua biografia, Cri-

stina fu una donna originale in un’epoca in cuisoltanto le eroine della finzione letteraria ave-vano diritto d’esserlo.17 L’originalità, apprez-zata negli uomini, è infatti ridicolizzatanelle donne: è questa l’amara constata-zione cui la stessa Belgioioso perviene inuno dei suoi scritti più significativi dedicatialla questione femminile esaminata neisuoi diversi aspetti. Interrogandosi sulla

gio, veri e propri reportages densi di rifles-sioni, di curiosità e di penetranti osserva-zioni sociologiche, scritti con uno stileelegante ed avvicente,che saranno pubblicatisulla Revue des DeuxMondes per poi essereraccolti in un volumecol titolo di Souvenirsdans l’exil (1854). L’inte-resse di Cristina è prin-cipalmente rivolto adescrivere una realtà di-versa, la “vita intimadell’Oriente”, senza indulgere al pittorescodell’Orientalismo di maniera: il suo è un ap-proccio diretto, realistico, attento all’am-biente umano, inteso soprattutto a coglierecon grande partecipazione le peculiaritàdella condizione femminile.

In posizione privilegiata rispetto allamaggior parte dei viaggiatori, potevo co-noscere un aspetto molto importante dellasocietà musulmana – l’aspetto domestico,quello in cui domina la donna. L’harem,questo santuario maomettano ermetica-mente chiuso a tutti gli uomini, mi eraaperto. Vi potevo entrare liberamente; po-tevo conversare con quegli esseri miste-riosi che l’europeo intravvede solo velati,interrogare alcune di quelle anime che nonsi aprono mai, e stimolarle a confidenzepreziose su tutto un mondo sconosciuto dipassioni e di pene.16

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18 Cristina di Belgioioso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, in “Nuova An-tologia di Scienze, Lettere ed Arti”, I, 1, Firenze, gennaio 1866, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,p. 7.19 de Beauvoir, S. (1961) Il secondo sesso, tr. it., Il Saggiatore, Milano.20 Cristina di Belgioioso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, cit. p. 7.21 Stuart Mill, J. (1921) La servitù delle donne, tr. it. a cura di A. M. Mozzoni, Carabba, Lanciano.

diritti.19 Una tesi originata, certo, da mentimaschili ma che trova spesso complicità econsenso in quelle femminili. Ne è esempio

la diversa considerazione, neidue sessi, del coraggio, richie-sto all’uomo ma non consen-tito alle donne, o viceversadell’ignoranza, derisa nell’unoe ricercata nell’altra.

Alla donna si richiede espres-samente la più perfetta igno-ranza: e chi non conosce i ridicolisoprannomi apposti alle donnecolte, il deplorabile effetto di unbel dito macchiato d’inchiostro?Gli uomini persuasero le donne

che la loro ammirazione, il loro af-fetto era a prezzo della loro inferiorità in-tellettuale, e le donne hanno loro credutoe ve n’hanno di colte che nascondono laloro coltura per timore di essere annove-rate fra le donne superiori, le pedanti edaltre simili abominazioni.20

Ecco dunque che la pretesa ‘natura’della donna, lungi dall’essere un dato asso-luto, immutabile, astorico, è frutto delpressante condizionamento sociale: untema, questo, caro anche a John Stuart Millche ne La servitù delle donne sottolinea l’im-portanza dell’educazione nella costruzionedell’idea di ‘natura femminile’.21

persistente condizione sociale di inferio-rità, frutto in gran parte dei retaggi di unpassato portato a privilegiare il momentodella forza fisica, la Belgio-ioso rileva tuttavia che la ri-chiesta del riconoscimentoformale dell’eguaglianzatrova spesso avversionenella maggior parte delledonne. Questa la spiega-zione che ne offre:

A riconciliare le donnecolla loro inferiorità, gliuomini, mossi o da mali-gnità o da naturale istinto,hanno adoperato un artifi-zio singolare. Dopo di averpersuaso alle donne consistere il colmodella gloria di essere nel piacere al gran nu-mero di loro, nel piacere più fortemente elungamente, gli uomini si accinsero a per-suaderle che le loro simpatie non si pote-vano ottenere se non col mostrarsi deltutto diverse da essi.18

Si tratta di una spiegazione di grandeinteresse che sembra anticipare, per taluniaspetti, quella che sarà la tesi centrale diSimone de Beauvoir ne Il secondo sesso: ladonna come Altro, dotata di un’essenza mi-steriosa, indefinibile, totalmente differentedall’uomo, non sua eguale nei bisogni e nei

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22 Cristina di Belgioioso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, cit. p.11.23 Ivi, p. 12.24 de Beauvoir, S. (1971) La terza età, tr. it., Einaudi, Torino.

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zione familiare, una radice della subordi-nazione cui la donna è condannata. Anzi-ché scuola di giustizia e di moralità, lafamiglia diventa luogo in cui si ribadiscono

le gerarchie stabilite e siconfermano gli stereotipidi genere.

Di grande amarezzasono anche le pagine de-dicate all’invecchiamento,al declino della salute edella bellezza, alla solitu-dine e all’emarginazionesociale cui le donne ven-gono condannate.

La condizione della donna non è tolle-rabile se non nella gioventù. Gli uomini chedecisero della di lei sorte non mirarono chealla donna giovane; l’età matura di lei, néla vecchiaia furono considerate, né a que-ste si provvide. Quando la donna non pro-cura più all’uomo né piaceri nédivertimenti, a che pro occuparsene?23

Anche su questo argomento, ritroviamoechi importanti ne La terza età di Simone deBeauvoir: la donna trattata come un og-getto, non riconosciuta nella sua umanità,diventa da anziana una straniera nella so-cietà e la sua alienazione trova il suo com-pimento finale nella senescenza.24 Alladonna non resta – conclude la Belgioioso –che rifugiarsi nella preghiera, nella ‘divo-zione’ che però, anziché configurarsi comeun “dono celeste”, comporta il più delle

Degne di interesse anche le considera-zioni sul ruolo della donna nella famiglia,centrale nella cura dei figli ma destinatocogli anni a diventare sempre più sbiaditoe secondario, come parte delpassato e privo di influenzasul futuro. È così che le figlie,una volta sposate, si concen-trano sui nuovi affetti e i figlisi rivolgono al padre:

[…] tosto che hanno in-tesa e conosciuta la subor-dinata condizione dellamadre. Appena mossero ilprimo passo sulla via dellostudio, subito impararono acompassionare e forse anco a disprezzarel’ignoranza della madre. Essi sono uscitidalla sfera di lei.22

In tal modo si consolida la divisione deisessi e si perpetua un’idea di famiglia fon-data sull’ineguaglianza e la dipendenzafemminile.

I figli – si rileva – se non sono snaturati,l’amano tuttora: rispettano in lei la fedeltàa certi doveri che essi tengono per obbli-gatori alle donne, ma non per sé che ap-partengono ad una classe di esserisuperiori.

Anche in tal caso, è quasi superfluo ri-levare la modernità delle riflessioni del-l’autrice che individua nel sentimento disuperiorità maschile, inculcato dall’educa-

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25 Cristina di Belgioioso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, cit. p. 19.26 Michelet, J. (1845) Du prêtre, de la femme, de la famille, Hachette, Paris.

volte la ricaduta in un’altra signoria, questavolta della chiesa, di quel “clero cattolicoche adopera la religione per otte-nere ricchezza e autorità su que-sta terra”. Ecco dunque che ilprete, cui la donna abbandona ladirezione della sua coscienza,

divien tosto l’assoluto si-gnore di quell’anima torturata etimorosa. E la consola di fatto: lepromette per la vita futura tuttele felicità che l’abbandonaronoin terra; ma si fa ad un temposvelare tutti i dolori domestici, leabitudini, le opinioni, la con-dotta del marito e dei figli; e sequeste sono a lui avverse, inse-gna alla donna a giudicarle, bia-simarle, detestarle e le imponel’obbligo di ricondurre il maritoe i figli a più sano pensare.25

Queste riflessioni sul potere occultoesercitato sulle donne dai preti in quanto‘direttori spirituali’, capaci di interporsi tramoglie e marito e di insidiare l’armonia fa-miliare, risentono indubbiamente delle tesiesposte da Jules Michelet, un assiduo fre-quentatore del suo salotto parigino, in Dupretre, de la femme, de la famille. Ad avvisodello storico francese, il ‘governo delledonne’ costituisce la parte vitale del potereecclesiastico, che può accettare più facil-mente di veder messi in discussione idogmi di fede che non rinunciare ad eser-citare quel dominio.26

Oltre che delle donne “oneste e vir-tuose” che si concentrano sulla cura della

famiglia e accettano senza la-gnarsi la loro condizione so-ciale, la Belgioioso si occupadi quelle nature femminili piùardenti e più indomite, più abor-renti del giogo, lamentandoche ad esse si offrano solo gliorizzonti dell’amore, del pia-cere e dell’ammirazione, an-ziché dar loro alimenti oltre latranquilla soggezione della vitadi famiglia.

Se questo avvenisse, se cifossero maggiori occasioni didimostrare il loro valore, “sa-rebbero più numerose ledonne benemerite nella so-cietà”. Sono dunque le occu-pazioni frivole a rendere

frivole le donne: per questo lasocietà, nel suo stesso interesse, dovrebbedare una pari educazione a entrambi i sessie garantire che ciascuno, uomo o donnache sia, possa godere delle medesime op-portunità di sviluppare pienamente la pro-pria personalità.

Qual è infatti la felicità cui una donna,educata a piacere all’uomo, può aspirarenelle condizioni presenti? È sufficiente latranquillità, nata da una vittoriosa rasse-gnazione, di cui si accontenta? Con la ri-nuncia alla felicità, la donna, reputata tantodebole ed inferiore all’uomo per natura, ha com-

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piuto in silenzio il più eroico sacrificio. Ma sipuò chiedere tale rinuncia e, soprattutto,con quale giustizia?

Non sarebbe ormaitempo che la società così an-siosa di abbattere tutte le ti-rannidi e di stendere la manoa tutti gli oppressi (del che labenedico e la lodo) si ricor-dasse che in ogni casa, inogni famiglia, v’hanno vit-time più o meno rassegnate,assorte nel procurare la mag-gior dose di felicità possibilea chi le condannava ad unavita di dipendenza e di sacri-ficio […] Non è forse tempoche le compagne, le madri deisignori del creato, siano tenute seriamentecome creature ragionevoli, dotate di po-tenze intellettuali forse speciali, ma nonnecessariamente inferiori a quelle del-l’uomo?27

In questa appassionata perorazione, laBelgioioso ripropone brillantemente, ap-plicandoli alla situazione italiana, gli argo-menti più classici del femminismoumanistico, al cui centro è la richiesta chealla donna siano riconosciute le piene pre-rogative dell’essere umano, secondo unalinea che unisce le prime rivendicazionisettecentesche, da Mary Wollstonecraft eOlympe de Gouges, all’emancipazionismoliberale ottocentesco di Harriet Taylor e

John Stuart Mill. Non si dimentichi che ilcontesto culturale e politico in cui Cristinaopera è particolarmente ostile a questo

tipo di rivendicazioni per laforte influenza di una cul-tura, specie clericale, cheraccomandava come “virtù”proprio quelle attitudini chedi fatto contribuivano a per-petuare la sudditanza fem-minile. Basti citare, adesempio, quello che scrivevaAntonio Rosmini nella Filo-sofia del diritto a propositodelle “doti naturali” delladonna:

La donna ha tutte le doti che la rendonoatta a ubbidire e a soddisfare alle tendenzedell’uomo: timida dolcezza, graziosa debo-lezza, attenta docilità.28

Né Vincenzo Gioberti, ne Il gesuita mo-derno, era da meno:

La donna è in certo modo verso l’uomociò che è il vegetale verso l’animale o lapianta parassita verso quella che si regge esi sostenta da sé.29

Occorre tuttavia sottolineare che la Bel-gioioso, – con una singolare congiunzioneche è caratteristica della sua visione com-plessiva – quasi a temperare la radicalità,sul piano teorico, di certi appelli, rivela an-

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27 Cristina di Belgioioso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, cit. p. 15.28 A. Rosmini, Filosofia del diritto, Betelli, Napoli, vol. II, p. 184.29 Gioberti, V. (1847) Il gesuita moderno, Bonamici, Losanna, pp. 129-130.

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30 Cristina di Belgioioso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, cit. p. 22.

società del suo tempo, ne sono un’elo-quente testimonianza – la Belgioioso teme,

lo si è già rilevato,che una piena riven-dicazione dei dirittidelle donne possagenerare pericolosiconflitti e per questotrascura di menzio-nare, nei suoi scrittisul ’48, una serie dimanifestazioni suf-fragiste che avevanovisto le donne prota-goniste. In effetti,poiché il Risorgi-

mento corrispondeall’avvento della società borghese, tende afavorire un ruolo diverso della donna chediventa compagna dell’uomo e delle suelotte.

Nelle pagine conclusive del saggio sidelinea l’auspicio di una società del futuropacificata nei rapporti tra i sessi “nel glo-rioso avvenire della patria”: un avvenireche si dischiude per la Belgioioso collastessa promessa risorgimentale. Sono tut-tavia le ultime parole a consegnarci unasorta di testamento spirituale che, al di làdi ogni retorica, ci restituisce il senso diun’esistenza pienamente vissuta, nelle suespinte contraddittorie, da una personalitàd’eccezione.

Vogliano le donne felici ed onorate deitempi avvenire rivolgere tratto tratto il

cora una volta il suo spirito pragmatico e lasua attitudine realistica nell’adozione, sulpiano politico, di unaprospettiva moderata-mente riformista. È cosìche la questione fem-minile appare subordi-nata e, in certo modoprematura, rispetto al-l’obbiettivo primariodell’unità nazionale.

La nostra Italiasta ora componen-dosi con gravi stentie vincendo potentiostacoli. La nazioneitaliana non teme di separarsi dalle cosepassate e le novità di qualsiasi natura nonla spaventano solo perché sono novità: main questo momento ogni cura che non si ri-ferisca direttamente al suo ordinamento eassetto politico deve essere rimandata agiorni più sicuri e tranquilli.30

Da qui l’invito alla pazienza, alla pru-denza e all’abnegazione nella speranza –animata, occorre aggiungere, da un ingua-ribile ottimismo – che forse prima ch’io noncreda, le donne ottengano spontaneamentedagli uomini la dovuta giustizia.

La generazione presente deve pertantocontentarsi di “preparare il suolo, di semi-narlo ma non pretendere di raccogliere lamesse.” Pur comportandosi come unadonna del tutto emancipata – le sue sceltedi vita, al di fuori degli schemi stabiliti dalla

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31 Ivi, p. 24.32 Il giudizio di V. Gioberti è contenuto ne Del rinnovamento civile d’Italia a cura di F. Nicolini,Bari, Laterza, 1911 p. 18; quello di T. Mamiani è citato in A. Malvezzi, op. cit. p. 32; quello di V. Cou-sin è riportato da A. Thierry, op .cit. p. 4.

• 45 •Il Risorgimento delle donne. Cristina Trivulzio di Belgioioso: la “principessa rossa”, L. Battaglia

riosa e consegnata sovente allo stigmadella ‘femmina folle’ la sua azione. Ne sono,

d’altra parte, un segnale lestesse polemiche suscitatedal suo anticonformismo trai contemporanei, dai nume-rosi detrattori che, comeVincenzo Gioberti, l’accusa-vano di dimenticare la ri-serva e la verecondia, aquegli ‘amici’, come Teren-zio Mamiani, che esitavanoa collaborare a un suo gior-nale politico perché direttoda una donna, agli ammira-tori che, come Victor Cou-sin, celebravano le sue dotiintellettuali ma con l’ambi-

gua formula femina sexu, ingenio vir.32

Per questo, tributare oggi il dovuto ri-conoscimento a Cristina di Belgioioso, ri-cordarne la figura e l’opera nel pienoapprezzamento della libertà del suo spi-rito, significa iniziare a scrivere il “Risor-gimento delle donne”, come sta intra-prendendo a fare una recente storiografiafinalmente attenta al genere, e non solo li-mitarsi a parlare de “le donne del Risorgi-mento”.

pensiero ai dolori e alle umiliazioni delledonne che le precedettero nella vita e ri-cordare con qualche gratitudine i nomi diquelle che loro apersero e pre-pararono la via alla non maiprima goduta, forse appenasognata, felicità.31

Purtroppo, nonostante il ge-neroso auspicio, le donne ita-liane dovranno attendere alungo “la dovuta giustizia”:solo nel giugno del 1946 – 26anni dopo il Regno Unito, 23dopo la Turchia, 44 anni dopol’Australia – potranno eserci-tare per la prima volta il dirittodi voto, concludendo, con unapiena inclusione nella sfera della cittadi-nanza, il loro faticoso viaggio verso l’eman-cipazione.

Ma la stessa giustizia occorrerebbe ren-dere ad un’eroina del Risorgimento, consi-derata da Cattaneo e da Garibaldi ‘la primadonna d’Italia’ e oggi ancora sorprenden-temente trascurata: non ci sono vie nel no-stro paese che portano il suo nome, quasiinesistenti i cenni nei manuali di storia allasua figura, circondata da un’aura miste-

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LLLLa parola ospite racchiude in sé unaambiguità che si concretizza nel-l’enigma medesimo della vita.

Ospite è colui che ospita, ma anche colui cheè ospitato. Ed ancora più ambiguamentel’origine dell’it. “ospite” risale al latino ho-stis, che significa “straniero, forestiero, pel-

legrino” e, quindi, anche “nemico”. Dun-que, tra l’ospite ed il nemico corre un sottilelegame, che unisce l’amicizia all’inimicizia,la disponibilità all’ostilità, l’inclusione al-l’esclusione, l’accoglienza al rifiuto, la be-nevolenza alla malevolenza, la mitezza allaviolenza, la pace alla guerra. Del resto tale

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Poiché hai ascoltata la voce della tua donna, ed hai mangiato del frutto del quale t’avevo

comandato di non mangiare, maledetta la terra del tuo lavoro; tra le fatiche ne ricaverai il nutrimento

in tutt’i giorni della tua vita; ti germoglierà tribuli e spine, e mangerai l’erba della terra.

Col sudore della tua fronte ti procaccerai il pane, sinché tu ritorni alla terra dalla quale sei stato cavato,

ed in polvere tornerai.

Bibbia, Genesi, 3, 17 – 20

The concept of “guest” frenquently lies on, by a lexical, but, even historic andsociological point of view, the one of enemy. In fact, a deep ambivalence in world’sand human beings’ nature exhists, which keeps unstable balance between peace andwar, good and bad, mildness and violence, life and death. It is not even known forcertain about value and meaning of life itself. This carries on, in postmodern societies,to indistinct and cold rolling of social events. On law’s level then, juridical nihilismbased on single human beings’ irrepressible autonomy, cannot do anything thantaking place of old state legal systems. World’s natural ontology emerges again in itsown violence, which human artificial culture uselessly tried to control: human tragedydoes not show, on facts’ plane, any possible other.

LLaa ttrraaggeeddiiaa ddeellll’’eesssseerree ppeerr nnaattuurraa aallttrroo

di MMoorrrriiss LL.. GGhheezzzziiSaggista

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ambiguità si rivela anche verso gli antenatied il loro culto, che, come nostri genera-tori, sono amati e rimpianti, ma, comemorti, sono esorcizzati in unculto apotropaico, che teme illoro ritorno1. L’altro generaambiguità ed enigmi di similenatura: l’alienazione si identi-fica con una qualche man-canza, carenza rispetto ad unqualche parametro di riferi-mento. Alieno è il diverso, alie-nato è colui che non possiedepiù tutto se stesso, alienazioneè la perdita di parte di sestessi. Basta ricordare l’ana-lisi economica di Karl Marx ela sua definizione di proleta-riato per avere una chiara vi-sione del concetto di alienazione. Tra alienoed alienato corre quel medesimo filo sot-tile che unisce l’ospite al nemico. Il confinetra l’accettazione ed il rifiuto tra l’apprez-zamento e la condanna non è quasi mai vi-sibile. Non è quasi mai visibile perchénessuno può pienamente comprendere lapropria identità e cosa possa fargliela per-dere; inoltre tutto scorre, quindi, nessuno èmai identico a se stesso, ma si trasformanel tempo. Quanto di me devo alienare peressere un alienato e quanto diverso devoessere da chi mi osserva per essere unalieno? Il concetto di alieno produce curio-sità, attenzione e allarme, il concetto di

alienato commiserazione e allarme, il con-cetto di altro semplice attenzione. Altro èparola tranquillizzante, benevola, anzi

compiaciuta del pluralismoculturale e giuridico cheesprime; alieno ed alienato,invece, turbano la norma-lità e connotano un feno-meno non gradito, nonbene accolto.

Eppure la società, inquanto tale, genera aliena-zione proprio per la suastessa esistenza, che in-clude, sottraendo partedell’essere dell’individuo,ed esclude, producendo di-versità e marginalità. Siappartiene ad una certa so-

cietà ed ad un dato ordinamento giuridicoperché si è rinunziato a parte di se stessi. Ilpatto sociale, implicito od esplicito, sulquale si fondano le società, impone limitiai propri aderenti; limiti interni nel com-portamento tra aderenti e limiti esterni nelcomportamento degli aderenti verso glialtri. Il patto sociale impone obblighi e pre-stazioni, limita la libertà e distingue, separachi vi aderisce da chi non vi aderisce, chi inesso è accolto e chi da esso è rigettato. L’ap-partenenza e lo scambio sono, dunque, leradici dell’alienazione e l’alienazione è ilfondamento delle organizzazioni sociali egiuridiche. Non casualmente, infatti, nel-

1 “Nel Borneo, per esempio, d’un culto degli antenati, che poggi soltanto sul timore, non sivede traccia in queste tribù, ma gli indigeni hanno paura dei cimiteri e dei cadaveri di quelli la cuimorte improvvisa li ha atterriti”. L. Lévy – Bruhl, La mentalità primitiva, Einaudi, Torino 1966, p. 265.

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l’analisi del pensiero di Karl Marx LucianoParinetto2 intravede una metafora alche-mica, che attribuisce al proletariato la fun-zione di solvente universale,di artefice di una grandeutopia priva di alienazione;poco importa che si trattidella pietra filosofale o delsole dell’avvenire, ciò checonta è che il singolo es-sere umano riesca a con-servarsi sempre uguale a sestesso senza risultare pri-vato di alcuna delle sueparti. Conseguentementeappare evidente che è lasocietà medesima ad esserefonte di alienazione; sitratta ora di capire se il dis-solvimento, la liquefazione, per usare untermine caro a Zygmunt Bauman3, dell’or-ganizzazione, della cristallizzazione dellesocietà post moderne riesca a restituire aisingoli individui almeno parte della loro di-mensione perduta di se stessi, il loro esseresempre se stessi, oppure li lasci nella lorodimensione di alienati. Tuttavia prima diprocedere ulteriormente nel vivo dellatrattazione pare opportuno fornire unaprecisazione di ordine metodologico. L’ar-gomento per lo più viene trattato in sedefilosofica da una prospettiva etica, pre-scrittiva, ossia dal punto di vista del bene edel male, della condivisione o della disap-

provazione dei comportamenti tolleranti,intolleranti, amichevoli o violenti tenutinei confronti di alieni, alienati o, semplice-

mente, altri e dell’alienazione,in genere, come meccanismodi estraneazione da noi stessi.La presente riflessione, in-vece, intende muoversi su unpiano meramente descrittivoe compiere una analisi tuttasociologica su ciò che avvienerealmente nei fatti sociali enon su ciò che si desidere-rebbe avvenisse.

Come si è appena detto,alla radice dell’ambiguità ter-minologica del nostro temavi è un enigma, un tragicoenigma di cui se ne ha traccia

nel dramma antico. Ripensiamo alla figuradi Edipo: quale è la sua colpa: il parricidio,l’incesto o la soluzione dell’enigma, posto-gli dalla Sfinge? Parricidio ed incestohanno legittimato e delegittimato per se-coli il potere e sono stati ora consideraticolpe o peccati ed ora normali necessità divita, pensiamo, ad esempio, alla riflessionedi Sigmund Freud in argomento4. In ognicaso, parricidio ed incesto sono comporta-menti individuali e non possono rendereragione di una realtà/colpa ontologica, cheunisce e separa al contempo l’uno da sestesso e l’uno dall’altro. L’enigma dellaSfinge svela la vera natura della colpa, il

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2 Cfr. L. Parinetto, Alchimia e Utopia, Mimesis, Milano 2004.3 Cfr. Z. Bauman, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Laterza, Bari 2007.4 Cfr. S. Freud, Opere, Boringhieri, Torino 1967 – 1980.

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peccato originale, per usare una espressionereligiosa.

La colpa è quella di essere un essere umano,di esistere come essere umano conil proprio infausto destino; lacolpa è quella di essere uguali adio ed il dio si vendica, perse-guitandoci con la vita umana!Questa tragica verità mar-tella dagli abissi del passatoe consente agli dei di punirela ὕβρις umana. Infatti, Vla-dimir Ja. Propp lucidamentecommenta:

[…] la sfinge non è moti-vata dal passato di Edipo […]la sfinge è motivata dagli av-venimenti futuri, in quanto prepara il ma-trimonio e l’avvento al trono di Edipo.5

E l’avvento al trono comporta inevita-bilmente l’uccisione del re precedente oltread un titolo legittimante (l’omicidio stesso,la discendenza, il matrimonio, etc.).6 Inquesto modo omicidio ed incesto presen-tano la propria ambivalenza positivo/ne-gativa di simboli del potere regale e dicolpa.

Nella figura di Edipo si sente chiara-

mente una duplicità. Egli è il più grandeeroe e benefattore della sua città e insiemeè il più grande scellerato.7

Esattamente come la vitaumana, che è, al contempo,per l’essere umano il sommobene e la massima sciagura.Questa contraddizione esi-stenziale emerge già nellanarrazione biblica, dalla qualeapprendiamo di avere conqui-stato la conoscenza del bene edel male, mangiando la notamela, ma ci è stata preclusa lavita eterna:

‘Ecco, Adamo è divenuto quasiuno di noi, e conosce il bene ed il male; ch’einon abbia a stender la mano, e prendereanche dall’albero della vita, e mangiare, evivere in eterno!’ Ed il Signore Dio lo mandòfuori dal paradiso di delizia, acciò lavorassela terra dalla quale fu cavato. ScacciòAdamo, e pose a guardia del paradiso di de-lizia un cherubino con la spada fiammeg-giante e roteante, per custodire la viadell’albero della vita.8

Da un lato, siamo uguali a Dio, ma, dal-l’altro lato, un abisso ci separa dalla divi-nità. La tragedia esistenziale umana è tutta

5 V. Ja. Propp, Edipo alla luce del folclore, Einaudi, Torino 1975, p.122.6 Cfr. J. G. Frazer, Il ramo d’oro, della magia e della religione, Boringhieri, Torino 1973; e sempredel medesimo Autore, La crocifissione di Cristo, Quodlibet, Macerata 2007. Per una critica a Frazervedere L. Wittgenstein, Note sul ‘Ramo d’oro’ di Frazer, Adelphi, Milano 1975.7 V.Ja. Propp, op. cit., p. 129.8 Bibbia, Genesi 3, 22 – 24. “Nella capacità di distinguere il bene dal male si vede (in variomodo) l’essenza della ragion pratica. In questa versione, il concetto risale fino al mito dell’albero

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descritta in questa “divina” conoscenza as-soluta individuale, ma impotente di fronteal desiderio di salvaguardareper sempre la propria indivi-dualità, inutile anche perconservare senza limiti lapropria stessa esistenza.L’estinzione, la morte, ilnulla incombono sull’essereumano, che, solo per un at-timo di luce, si materializzanella vita, nell’esistenza diun suo consistere personaleed individuale, per poi su-bito ricadere nell’ombra del-l’inesistenza, del vuoto disenso e di conoscenza. In qualche modo,nel divenire, noi stessi siamo altro da noistessi e l’alienazione, dunque, si presenta,prima ancora che come fenomeno sociale,come la struttura medesima della storia,dell’universo nel quale siamo immersi.

Un tormentato autore come GiacomoLeopardi riesce a rendere con crudele evi-denza questa contraddizione esistenziale enel Dialogo della Natura e di un Islandese tra-mite quest’ultimo pone il quesito risolutivoalla Natura:

Ora domando: t’ho io forse pregato dipormi in questo universo? O mi vi sono in-

tromesso violentemente, e controtua voglia? Ma se di tua volontà, esenza mia saputa, e in maniera cheio non poteva sconsentirlo né ri-pugnarlo, tu stessa, colle tue mani,mi vi hai collocato; non è egli dun-que ufficio tuo, se non tenermilieto e contento in questo tuoregno, almeno vietare che io non visia tribulato e straziato e che l’abi-tarvi non mi noccia? E questo chedico di me, dicolo di tutto il genereumano, dicolo degli altri animali edi ogni creatura.

Natura. Tu mostri non averposto mente che la vita di quest’uni-

verso è un perpetuo circuito di produzionee distruzione, collegate ambedue tra se dimaniera, che ciascheduna serve continua-mente all’altra, ed alla conservazione delmondo; il quale sempre che cessasse o l’unao l’altra di loro, verrebbe parimenti in dis-soluzione. Pertanto risulterebbe in suodanno se fosse in lui cosa alcuna libera dipatimento.9

La tematica trova rinnovata ed ulterioretrattazione in tempi più recenti grazie alleriflessioni di Emanuele Severino:

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della conoscenza: infatti la conoscenza del bene e del male è data a chi gusta i frutti di quest’albero.Il serpente disse alla donna: ‘Dio sa che, se voi ne mangiate, i vostri occhi si apriranno e diverreteeguali a Dio e saprete quello che è bene e quello che è male’”. H. Kelsen, Il problema della giustizia,Einaudi, Torino 1975, p.91. 9 G. Leopardi, Operette Morali, Rizzoli, Milano 2009, pp. 287-288. Emanuele Severino pun-tualmente riprende il pensiero di G. Leopardi “Il gioco è ‘eternamente’ imperscrutabile, perché alfondamento di tutto ciò che in esso vien giocato c’è il nulla: ‘il principio delle cose, e di Dio stesso,è il nulla’. E il nulla è necessariamente imperscrutabile. L’imperscrutabilità del nulla è l’imper-scrutabilità estrema del divenire. La riflessione esplicita sul senso dell’essere e del nulla consenteal pensiero di Leopardi di porre come estrema, ‘eterna’, l’imperscrutabilità del divenire. Il divenireè un gioco senza perché”. E. Severino, Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, Riz-zoli, Milano 2005, p. 190.

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Pensando la nullità delle cose, l’Occi-dente si rivolge dunque verso la propria es-senza, ma insieme se ne tiene lontano,perché, quando gli fosseconsentito di raggiun-gerla e scorgerne i trattiautentici, vedrebbe inessa la follia estrema,l’alienazione estrema,ossia vedrebbe la pro-pria follia e la propriaalienazione. Vedrebbeche la propria essenza èil culmine della ‘con-traddizione evidentis-sima e formalissima’.

Pensare che le cosesono niente – e vivereuniformemente a que-sto pensiero – significapensare che il non-niente è niente. Questopensiero è l’essenza del nichilismo. L’es-senza del nihilismo è l’essenza dell’Occi-dente.

L’Occidente permane e domina, proprioperché, volgendo verso la propria essenza,si mantiene insieme lontano da essa, sì cheper la lontananza i tratti della sua essenzanon si lasciano cogliere. Il pensiero di Leo-pardi si trova sulla linea più avanzata che l’Oc-cidente può raggiungere muovendo verso lapropria essenza, e oltrepassando la qualel’Occidente scorgerebbe, nella propria es-senza, i tratti della follia estrema del nichi-lismo.10

L’enigma, la contraddizione profonda sirivela in tutta la sua estensione: l’ontologia

del mondo risiede in un divenire perma-nente, in un perpetuo solve et coagula, che

contrappone l’io di oggi all’iodi domani e l’io all’altro inun continuo scontro/con-fronto. Ma l’enigma, la con-traddizione è ancora piùprofonda: questo divenireelimina ciò che esiste per co-struire l’altro. Le montagnedivengono colline, i vegetalicarbone o petrolio ed il bio-logico sopravvive, consu-mando altro biologico. Lavita vive della morte altrui,l’assassinio è l’atto che fondail perpetuarsi della vita. Que-ste considerazioni eviden-ziano il grande paradosso delgiusnaturalismo. Il diritto

naturale descrive comportamenti omicidie di rapina, pertanto viene erroneamenteportato ad esempio di moralità. È il dirittoartificiale, umano, che tende a correggerel’amoralità dell’esistente, della natura. Ilbuon selvaggio di rousseauviana memoriaè solo un sogno, una fantasia letteraria.

Se l’enigma è il divenire, è necessarioesorcizzare questo enigma o prendendoatto dell’inevitabilità fattuale di un essere,che continua e negare se stesso nel farsialtro e nell’altro, oppure nella capacità fi-losofica di sostenere il principio di identità,come rigida ed immutabile separazione traun essente ed un altro essente, entrambieterni. Questa seconda strada è stata quella

10 E. Severino, op. cit., p. 27.

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percorsa da Emanuele Severino11, ma hanatura meramente logica, mentre l’empi-ria ci conduce verso un perma-nente divenire. Se perSeverino il sole esiste anche senon lo vediamo, per l’empiri-sta è necessario percepirne inqualche modo l’esistenza peraffermarne il persistere. L’al-tro può essere sia un me stessoimmerso nello scorrere deltempo (feto, giovane, uomomaturo, vecchio, cadavere), siauna entità irriducibilmente se-parata da me.

L’ἐπιστήμη tramonta con ilmondo moderno, Friedrich W.Nietzsche annunzia la morte di Dio, MaxWeber teorizza il politeismo dei valori, Na-talino Irti riflette intorno al nichilismo giu-ridico ed Emanuele Severino corona esintetizza l’esito, la fine di questa stradacon l’espressione la follia dell’occidente. Iltramonto dell’ἐπιστήμη fa cadere ognipunto di riferimento universale, ogni ve-rità incontrovertibile, ogni giudizio ogget-tivo. Il mondo vagola senza meta nelsoggettivo, ma il soggettivo risiede nei sin-goli esseri, nei singoli individui umani, noncerto nella società nel suo insieme. Il ni-chilismo è il trionfo dell’individuo, dellasua autoreferenzialità originaria, della sua

autonomia giuridica; come viene procla-mato con estrema chiarezza dal primo

comma dell’articolo 1 della Di-chiarazione Universale dei Di-ritti dell’Uomo del 10dicembre 1948: “Tutti gli es-seri umani nascono liberi edeguali in dignità e diritti”. Mase l’essere umano nasce liberoed uguale significa che la sualibertà e la sua eguaglianzanon gli derivano da un ordina-mento giuridico, ma sono con-sustanziali alla sua stessaesistenza. Dunque, è dal sin-golo essere umano che origi-

nano gli ordinamenti giuridicie non sono gli ordinamenti giuridici a de-cretare la nascita dei diritti dell’essereumano. Anzi si potrebbe dire con VittorioFrosini, che il singolo essere umano è unordinamento giuridico in quanto indivi-duo.12 Il mondo si scardina come oggetti-vità e vive nell’individualità soggettiva.L’essere umano come singolo è un infinitonon assoggettabile ad altri infiniti, come inumeri cardinali transfiniti di Georg Can-tor, indicati con la lettera alef, ,א dell’alfa-beto ebraico.13 E il suo essere non consenteulteriori fondazioni assiologiche, poiché ilsuo essere è assiologico e come tale non ul-teriormente fondabile.

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11 Cfr. E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1995 ed anche sempre del mede-simo Autore: La follia dell’angelo, Mimesis, Milano 2006; L’identità della follia. Lezioni veneziane, Rizzoli,Milano 2007; L’identità del destino. Lezioni veneziane, Rizzoli, Milano 2009. 12 V. Frosini, “L’ipotesi robinsoniana e l’individuo come ordinamento giuridico”, in Sociologiadel Diritto, 2001/3, pp. 5-15. 13 Cfr. A.D. Aczel, Il mistero dell’alef. La ricerca dell’infinito tra matematica e misticismo, il Saggia-tore, Milano 2005.

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Sebbene, come ha dimostrato KurtGödel con i suoi teoremi dell’incomple-tezza, qualsiasi sistema logico formale siaincompleto e la sua coerenzanon possa essere dimostrataattraverso il sistema mede-simo, le affermazioni assiolo-giche, per quanto incompleteed indimostrabili, non pos-sono sopportare ulteriori di-mostrazioni assiologiche,poiché si creerebbe una re-gressione all’infinito di si-stema in sistema; si andrebbedovunque e in nessun luogo,metaforicamente parlano.14

In questo quadro, l’altronon può che restare altro enon essere mai incluso, se noncon forzature estensive dell’essere. Questeforzature a livello collettivo, comunitariosi chiamano società e diritto. L’insieme deisingoli individui tende a formare l’insiemesociale ed il diritto ad organizzare tale ul-

teriore insieme; la nascita della società,come fatto storico, è evidente, ma come le-gittimare i comportamenti giuridici in essa

esistenti? Il problema nonè di facile soluzione nel-l’attuale mondo privo diἐπιστήμη e dominato dalsoggettivismo individuali-sta dei singoli esseriumani.

Il principio democra-tico legittima ed oggetti-vizza i comportamentisulla base del vincolo dimaggioranza, ma deve es-sere chiaro che, non solol’introduzione di questovincolo necessita di una

originaria decisione una-nime, ma anche che il consenso a tale in-troduzione può sempre essere revocato dacoloro che l’hanno prestato. Questo comelimite interno rispetto ai partecipanti alpatto, al contratto democratico, ma anche

14 “Quando il giudice Philip Forman, che solo qualche anno prima aveva aperto le porte aEinstein nel paese della libertà, domandò con aria noncurante a Gödel: Lei pensa che una dittaturacome quella esistente in Germania potrebbe mai nascere negli Stati Uniti?, ricevette una convinta rispo-sta affermativa. Gödel si lanciò in una spiegazione di come la Costituzione degli Stati Uniti per-mettesse formalmente proprio la genesi di un tale regime. Il giudice, astutamente, bloccò però ilgrande logico prima che potesse acquistare tutto il suo slancio, e la cerimonia si avviò a una con-clusione pacifica, lasciando la nuova patria di Gödel a difendersi da sé contro il varco che egli avevascorto nei suoi principi fondamentali. Vari anni dopo, quando gli fu chiesta un’analogia legale peril suo teorema di incompletezza, commentò che un paese che dipendeva dalla lettera delle sue leggipoteva trovarsi indifeso contro una crisi che non era stata prevista, e non poteva essere prevista,nel suo codice legale. Un analogo teorema di incompletezza, applicato alla legge, garantirebbe cheper ogni codice di leggi, anche se nelle intenzioni pienamente esplicito e completo, ci siano sem-pre giudizi non decisi dalla lettera della legge”. P. Yourgrau, Un mondo senza tempo. L’eredità dimenti-cata di Gödel e Einstein, il Saggiatore, Milano 2006, pp. 107-108.

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verso l’esterno sussiste il medesimo pro-blema. Infatti, tutte le democrazie sonosempre relative, ossia pongonodei limiti alla propria esten-sione: la democrazia ateniesecoinvolgeva pochi cittadinied escludeva la gran partedegli abitanti della città; lademocrazia romana era piùestesa, ma anch’essa preve-deva l’esistenza di schiaviestranei al modello democra-tico ed il mondo moderno haassistito ad un progressivo al-largamento della partecipa-zione democratica, ma nonad una partecipazione totale.Si tratta sempre di un limite,che più viene spostato versol’orizzonte più comprendesoggetti omogenei, ma oltretale limite esiste sempre un altro, un diso-mogeneo. Il soggetto rilevante varia: ilcapo famiglia, il nobile, il possidente ter-riero, il contribuente, il maschio, il maschiomaggiorenne, la donna, il cittadino … l’es-sere umano, ma quest’ultimo soggettorompe la sovranità degli Stati ed evidenziala tautologia di un diritto democratico, chelegittima i comportamenti dei suoi compo-nenti, fondando questa legittimazione sullalegittimità originaria dei comportamentidei suoi componenti. Tutto funziona sino aquando vi è consenso, ma ogni legittimitàcade, per colui che non la condivide,quando cade il consenso anche solo indivi-duale.

L’altro, dunque, si sposta in continua-zione in relazione alla volontà del singolo

di stringere accordi, di stipulare contratticon la società nel suo insieme o con l’altro

direttamente. Dove c’è ac-cordo l’altro è amico,dove non c’è accordol’altro è destinato a dive-nire nemico. Nessunopuò essere obbligato ariconoscere accordi, allacui stipulazione non hapartecipato, o che noncondivide.

La dicotomia amico/nemico contribuisce adelimitare il campo, masolo rispetto al conflitto,in quanto è mero limiteconvenzionale di inclu-sione/esclusione. Nellavisione fattuale dell’in-

dividuo autoreferenziatoil conflitto è solo una delle possibili conse-guenze della giustapposizione di un nu-mero indeterminato di altri. Per il soggettoautonomo, che fuoriesce dall’ordinamentogiuridico non può esservi violazione del-l’ordinamento giuridico, non può sussi-stere né obbligazione, né reato e neppurecolpa, ma solo descrizione del fenomeno,del comportamento realizzato. La dicoto-mia amico/nemico viene a dipendere im-mediatamente dalle scelte del soggettoautonomo.

Le nostre attuali società vivono dram-maticamente questa situazione nel feno-meno terroristico: il non riconoscimento diun comune campo politico di confrontoproduce il conflitto cruento, ma anche ilconflitto cruento si sottrae alla categoria

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sempre più giuridicizzata della guerra efuoriesce senza regole condivise la puracontrapposizione; la vita dell’uno è lamorte dell’altro. Torna la natura nella suanuda e dura realtà con lasua legge fattuale, priva dimediazioni giuridiche, arti-ficiali, umane. L’altro è soloaltro, non ha collegamenti,è il nemico assoluto, è l’av-versario irriducibile, è la di-versità da ricondurre adomogeneità attraverso l’as-soggettamento o l’elimina-zione.

In questo scatenamentodi alterità la sintesi si pre-senta impercorribile, se nonper incorporazione od eli-sione, ed è esattamente ciòche viene descritto nella dialettica rivolu-zionaria marxiana. Con maggiore pudoreTheodor W. Adorno e Max Horkheimer, trai principali animatori della Scuola di Fran-coforte, si sono posti il problema di supe-rare il principio positivistico di identitàattraverso la dialettica, ma sono riuscitisoltanto a spostare la contrapposizione traopposti ad un livello sempre più avanzato(A, A1, A2, A3, etc.), non certo a superarla,come bene si è evidenziato empiricamentenella caduta dei comunismi realizzati acausa della contraddizione che si è scate-

nata tra burocrazia di Stato e resto dellapopolazione.15 L’altro resta un termine in-superabile se non si attinge l’universale,ma solo il particolare. L’individualità pro-

duce l’alterità e tale alteritàè situazione ontologica-mente incoercibile nellacontrapposizione tra il tuttoe le parti, nonché tra le partistesse. Ovviamente neppuretale ontologia è assoluta, macerto non è ancora stata su-perata neppure nella fisicasub atomica; basti pensare aldualismo massa/energia infunzione della velocità o, an-cora meglio, onda/particellanel fenomeno definito en-tanglement.16

Tornando ora al pianosocio-giuridico, il relativismo del soggettoindividuale tende a travolgere la legittimitàdi Stati, di ordinamenti giuridici nazionalie sovranazionali, se tale legittimità non sifonda sul consenso del singolo essereumano, che accetta di subordinarsi, di ot-temperare ai comandi ricevuti. La lettera-tura è, forse, attualmente il modello diriflessione più idoneo a comunicare questesuggestioni. Infatti, il punto di vista dalquale esse muovono ha una portata tantorivoluzionaria da cancellare quasi ogni cri-stallizzazione concettuale pregressa.

15 Cfr. Th.W. Adorno, K. R. Popper, R. Dahrendorf, J. HabermasH. Albert, H. Pilot, Dialettica epositivismo in sociologia. Dieci interventi nella discussione, Einaudi, Torino 1972; M. Horkheimer, La so-cietà di transizione. Individuo e organizzazione nel mondo attuale, Einaudi, Torino 1979.16 Cfr. A. D. Aczel, Entanglement. Il più grande mistero della fisica, Cortina, Milano 2004.

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Quando l’analisi anticipa ed evidenzia fe-nomeni e problematiche i vecchi strumenticoncettuali tendono a non essere più ido-nei a descrivere la realtà fu-tura. In particolare, laprospettiva nichilista mettein luce senza reticenze esenza pudori le profondecontraddizioni insite nel-l’essenza stessa del diritto,inteso nel suo significatooggi per lo più corrente.Nella nostra cultura attualel’osceno (dolore e morte)della vita umana tende adessere occultato, come sitende ad occultare le anti-nomie, le incongruenze e letautologie del diritto innome di un concetto irreale,ma tranquillizzante di legittimità. Tuttavial’arte letteraria incombe con la sua capa-cità di denunzia, ma anche di esorcismo.

Già sul finire degli anni Cinquanta delsecolo passato un autore come AlbertCamus mostrava di essere pienamente con-sapevole del nichilismo che incombevasulla modernità e sul suo diritto:

La legge può infatti regnare, finché èlegge della Ragione universale. Ma non lo èmai, e la sua giustificazione si perde sel’uomo non è buono naturalmente. Viene ilgiorno che l’ideologia va a cozzare contro lapsicologia. Allora non c’è più potere legit-timo, la legge si evolve dunque fino a con-fondersi con il legislatore e con un nuovo

beneplacito. Dove volgersi allora? Eccolasenza bussola; perdendo in precisione, vadiventando via via più imprecisa fino a faredi tutto un reato. La legge regna sempre, ma

non ha più limiti fissi. Saint–Justaveva previsto questa tiranniain nome del popolo silenzioso.[…] Se i grandi principi nonhanno fondamento, se la leggenon esprime nient’altro che unadisposizione provvisoria, essanon è fatta ormai se non per es-sere elusa o per non essere im-posta.17

Il nichilismo, riportandotutte le problematicità allescelte individuali, dovrebbecancellare ogni legittimità diparte nei conflitti e liberare

l’essere umano da etichette dibene e di male, di giusto e di ingiusto, di le-cito e di illecito. La forza, la violenza, nellasua naturale attualità, ricompare come mi-sura della storia, ma essa è sempre stata,seppure velata da mistificazioni concet-tuali religiose o giuridiche, l’esclusiva pro-tagonista della storia. Il nichilismo si limitaa togliere ogni e qualsiasi residua legitti-mità alla forza, alla violenza; non vi è legit-timità in esse, ma solo attualità. Il conflittocome fenomeno giuridico scompare e simanifesta in tutta la sua ontologica inevi-tabilità, collocata oltre ogni giudizio etico egiuridico. Concetti come sovranità nazio-nale e sovranazionale, come cittadino,amico, nemico, profugo, immigrato o rifu-giato politico rivelano alla luce del nichili-

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17 A. Camus, L’uomo in rivolta, Nuovo Portico Bompiani, Milano 1981, p. 148.

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smo tutta la loro precaria relatività storica,prospettica e soggettiva. Chi si pone fuoridall’ordinamento giuridiconon può produrre illeciti,ma solo conflitti, bellige-ranza, avversità e l’estra-neazione dall’ordinamentogiuridico può essere anchesolo una scelta individuale,un relativismo estetico det-tato da un semplice mi piace.La attualità della forza di-viene il solvente universalee la soggettività estetica ni-chilista (non certo un’eticatroppo impregnata di doveressere assoluto ed ogget-tivo) potrà, forse, svolgerela funzione di coagulante, masolo in modo precario, in un ciclo cheoscilla continuamente tra un solve ed uncoagula, che individua nel diritto ora un ca-talizzatore della dissolvenza ed ora un coa-diuvante dell’equilibrio cristallizzato.

Edipo come eroe del potere impone unalegittimità normativa nella famiglia e nelloStato (marito e re), al contempo, come scel-lerato del potere viola questa legittimità ele leggi, che la incarnano (omicidio ed in-cesto), in fine, come esule cieco purifica,quale vittima sacrificale, il potere peraprire un nuovo ciclo della forza. Al mede-simo modo, l’immigrato, come eroe del la-

voro, sopperisce alla carenza di manodo-pera, come sottopagato o clandestino, at-

tenta al benessere deilavoratori autoctoni e,come capro espiatorio,subisce il peso di una si-curezza sociale mai com-pletamente garantibile.L’ambivalenza è nell’on-tologia delle cose umane,nella stessa tragedia dellavita, che la tragedia grecaesprime con arte archeti-pica.

E tu va in malora, abor-rito e rinnegato da tuopadre,

o scelleratissimo fra gliscellerati, e portati queste

maledizioni che io scaglio su di te: tu nonvincerai

con le armi la tua terra natale, e non torne-rai mai

alle valli di Argo, ma morrai per mano delfratello,

e ucciderai lui, dal quale sei stato esiliato. Così ti maledico, e invoco l’orrida tenebra

del Tartaro, affinché ti accolga; e invoco le dee di questo

luogo, e invoco Ares, che ha gettato tra di voi que-

st’odio tremendo.

Sofocle, Edipo a Colono

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LLaaiicciittàà ddeelllloo SSttaattoo iinn eeccoonnoommiiaattrraa lliibbeerriissmmoo ee ddiirriiggiissmmoo..

Dinamiche di intervento ed impatto sociale dei pubblici poterinelle congiunture di crisi globale.

(Seconda parte)

di CCoorrrraaddoo SSaavvaassttaaAvvocato, dirigente industriale e docente universitario

The essential mechanisms concerning the relations between governative agencies (orindependent authorities) and the highest constitutional institutions (as legislativeassemblies, central or federal governments, supreme or constitutional courts, etc.)correspond to the state of the actual power’s relations occurring between theinstitutions encharged of supervising the necessary technical regulations of themarket and the, sometimes different or constrasting, orientations assumed in thesame field by political forces. These relations, also in the framework of the mostimportant Western Democracy, inevitably reflect the different and alternative lines ofgovernance, which can strongly change through time according to the differentAdministrations.

Idue maggiori periodici della comu-nità antitrust sono Antitrust Law Jour-nal della American BAR Association,

e Antitrust Bulletin.Eisner ha condotto un’indagine sulle ci-

tazioni di economisti contenute in questedue riviste, distinta tra il periodo 1965-70ed il periodo 1975-80, sul presupposto chel’analisi delle citazioni consenta di co-struire una gerarchia reputazionale per lacommunity stessa, diacronicamente strut-turata ed evidenziata nei suoi mutamentistorici.

Orbene, appare impressionante la pre-valenza dei nuovi indirizzi scientifici nellecitazioni del secondo periodo.

Tanto SCP, quanto la Chicago School, ten-dono a confinare entro limiti ben definitil’intervento dello Stato nel mercato; non-dimeno, si rileva una significativa diver-genza in ordine alla presunta auto-sufficienza dei mercati ed in merito alruolo dello Stato nel plasmare l’organizza-zione delle transazioni e condizionare lastruttura industriale al fine di delinearecondotte e prestazioni economiche.

La graduale convergenza tra legisla-zione antitrust e nuove dottrine economi-che è consacrata dalle decisioni delle Corti.

Le stesse Corti che, unitamente al Con-gresso, volta per volta assistettero - preoc-cupate le prime, indifferente o compiaciuto

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1 The Folklore of Capitalism, New Haven: Yale University Press, 1938.

funzioni di polizia dei mercati senza go-vernare l’organizzazione economica, poi-ché tali questioni sono ritenute

prioritariamente affidate almercato”.

Lo Sherman Act era ineffetti incompleto, ed il DOJera mal equipaggiato peraffrontare le complessità diuna rapida espansione eco-nomica.

Nel momento in cui, nel1914, la legislazione anti-trust si accrebbe, fu isti-tuita la FTC al fine diapplicare una conoscenzaspecialistica e procedure

flessibili alla regolazione dell’economia. Se la Divisione Antitrust del DOJ nasce

come l’entità organizzativa del liberalismodi mercato, la FTC è l’incarnazione dina-mica del mutevole ruolo dello Stato nel-l’economia.

Frequenti sono state le ricostruzioni se-condo le quali le attività antitrust vere eproprie si sarebbero concentrate nel DOJ,mentre la FTC si sarebbe maggiormente se-gnalata nel campo della protezione deiconsumatori.

In realtà, la separazione delle funzionitra le due Istituzioni si è sempre basata sul-l’esperienza e sulla competenza professio-nale dei rispettivi staff.

I poteri della FTC derivano dalla Sezione6 del Federal Trade Commission Act: rac-colta di informazioni, investigazioni.

il secondo - a decenni di stagnazione del-l’attività della Federal Trade Commission, o,viceversa, ne frenarono e punirono i pe-riodi di rinnovato attivismo.

Tra la fine degli anni Ses-santa ed i primi anni Set-tanta, la convergenza dimolteplici fattori - inflazionecrescente, crisi petrolifera,ecc. - provocarono un cam-biamento organizzativo e larivitalizzazione dell’Agenzia.

La Federal Trade Com-mission era concepita percondurre un’équipe specia-lizzata di esperti alla dire-zione dei processi regolatividell’economia.

È opportuno cercare di analizzare come- sempre nel corso di una complessa e tra-vagliata evoluzione storica - la tecnostrut-tura abbia dominato e condizionato ilmutevole atteggiarsi dei rapporti con lealtre Istituzioni.

Thurman Arnold1 scrive che il governo“dove vi è un conflitto tra un ideale ed unbisogno sociale riconosciuto come legit-timo, tende a creare due organizzazioni,entrambe rispettabili. Tuttavia, quella cherappresenta l’ideale avrà una posizione piùelevata nella gerarchia di quella che ammi-nistra l’esigenza pratica”.

Ciò è quanto verificatosi nel caso del-l’antitrust. Dallo Sherman Act nasce la Di-visione Antitrust del Dipartimento diGiustizia. “Essa è stata creata per svolgere

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La FTC ha altresì facoltà (non obbligo)di pronunciarsi sugli interpelli propostidalle compagnie.

Per quanto concerne ilruolo giocato dal poteregiudiziario nello scenariodell’antitrust americana, èstato detto che non sa-rebbe esagerato descri-vere il mercato stessocome il prodotto dellalegge per come interpre-tata dalle Corti.

John R. Commons de-scrisse una volta la CorteSuprema come “il primo

potere autoritativo della poli-tica economica”.

Robert Solo ha invece individuato insubjecta materia una diarchia Congresso/Corte Suprema, che egli definisce the pro-cess of composite choice, non mancando tut-tavia di sottolineare, diversamente che peril Congresso, l’indipendenza del potere giu-diziario.

Quanto al binomio Congresso/Presi-denza, entrambe le istituzioni sono noto-riamente sensibili ai cambiamenti nellapubblica opinione e nelle richieste deigruppi di interesse.

In generale, l’opinione pubblica tende asostenere le politiche antitrust.

Tale orientamento ha radici molto risa-lenti nella storia: scrive Elizabeth Sandersche lo Sherman, il Clayton ed il FTC Acts in-contrarono l’appoggio dei legislatori rap-presentanti la periferia del sistemaeconomico. Gli interessi della piccola im-presa agricola ed industriale del Sud e del-

In epoche recenti, la Commissione hasviluppato la propria capacità di generarecasi attraverso le analisi economiche, cosìattenuando la propria di-pendenza dagli esposti.

Allorché il Bureau ofCompetition della FTC ri-tiene che una compagniaabbia violato la legge,chiede alla Commissionedi formulare un formalereclamo; una volta emessoil reclamo, i legali del Bu-reau lavorano di concertocon gli staff economici perpreparare il caso. Si apreun procedimento amministra-tivo in contraddittorio con la parte privata,che può portare all’emanazione di un’in-giunzione, ricorribile innanzi ad una cortefederale di appello.

Nella realtà, la maggior parte dei casisfociano in un esito negoziato.

La FTC è soprattutto un’agenzia di re-golazione, e come tale emana industry gui-dances per puntualizzare le forme diattività perseguibili in base alla Sezione 5del FTC Act.

Mentre le suddette guide non sono cheinterpretazioni amministrative della legge(trenta pubblicate dal 1950 al 1980), le re-gulatory rules, più formalmente emanatedalla FTC, rivestono forza di legge.

Nel 1975, il Congresso ha esteso l’auto-rità regolativa della Commission e le ha at-tribuito il potere di agire in giudizioinnanzi alle corti distrettuali per ottenereingiunzioni e risarcimenti dei danni scatu-renti da violazioni degli atti regolativi.

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membri del Collegio. Il potere di controllodel Presidente è inoltre limitato dall’im-possibilità di rimuovere commissari per ra-gioni politiche.

Il controllo sulla presidenza della Com-mission si è rivelato, avolte, una fonte di po-tere sostanziale. IlPresidente Nixon loha usato per appor-tare significativi e du-revoli cambiamentinella FTC allorquandonominò Casper Wein-berger, prima, e MilesKirkpatrick, poi, comepresidenti. Anche per Reagan, la

nomina di James Miller fu il segno di ulte-riori riorientamenti.

Il Senato ha la possibilità di influenzarele scelte presidenziali attraverso il suo po-tere di ratifica delle nomine; se è vero chela deferenza del senato verso il Presidenteha costituito la regola in questo campo, tut-tavia la Presidenza non manca a sua voltadi valutare, in seno al procedimento di no-mina, se la rosa dei designandi sia gradita alSenato.

I poteri regolatori propri della FTCl’hanno tradizionalmente e direttamenteesposta rispetto al Congresso, diversa-mente dal DOJ, considerato come un’ema-nazione dell’Esecutivo.

A volte, la pressione delle grandi im-prese è stata abbastanza forte da costrin-gere il Congresso a ridimensionarel’autorità della Federal Trade Commission,limitare le sue investigazioni, ridurre le

l’Ovest sostennero la legislazione antitrustpoiché ne colsero il ruolo di strumento ditutela nei confronti del potere del big busi-ness localizzato nel nucleo centrale delNord-Est.

Dal 1970, gli sconvol-gimenti dell’economianazionale hanno capo-volto il potere econo-mico ed i programmipolitici delle varie re-gioni. Le città industrialidel Nord, ora in declino,sostengono l’espansionedelle politiche di regola-zione, sperando in unrallentamento delle tra-sformazioni economiche. Lo Scott-Hart-Rodino Antitrust Improvement Act del1976 riscosse, non a caso, l’entusiastico ap-poggio del vecchio nucleo industriale.

L’antitrust non è mai stato l’oggetto di-retto delle politiche dei gruppi di interessee, viceversa, queste ultime non assumonoun’importanza centrale nel giustificare lepolitiche seguite dalle agenzie.

Quanto ai Presidenti, questi nominanonuovi commissari della FTC allo scadere deirispettivi mandati; comunque, lo status diagenzia regolativa indipendente pone li-miti all’autorità presidenziale, e detti limitisi esplicano nell’interazione che l’ordina-mento impone tra Presidente e Congressonei procedimenti di nomina dei compo-nenti la Commissione.

Tali vincoli sono fissati in ragione dellanecessità inderogabile che la Commissionresti bipartisan, assicurando al Presidentenon più che una maggioranza semplice dei

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2 E quindi proprio confermando, se possibile, l’opportunità della delega dei poteri regola-tori dell’economia ad un soggetto indipendente come l’agenzia. 3 Si configura così un processo ciclico.

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L’Antitrust Division, come si è detto, co-stituisce un ramo del potere esecutivo e,

come tale, è relativa-mente protetto da unadiretta ingerenza dellegislativo.

Nondimeno, la Di-vision è rimasta sem-pre sottoposta alpotere giudiziario. Ri-spetto ad essa, la FTC èvisibilmente più vul-nerabile alle pressionidelle istituzioni politi-che: come agenzia in-dipendente di

regolazione, essa è unacreatura del Congresso, il quale la tiene ab-bastanza al riparo dagli attacchi dell’ese-cutivo, ma, come si è visto, tale protezioneha costi considerevoli.

La legislazione spesso non è niente dipiù che una vaga enunciazione di propositi:il potere di definire il contenuto sostan-ziale delle politiche pubbliche è devolutoalla burocrazia ed alle corti.

Verso la metà del Ventesimo secolo,l’antitrust venne definita “una politica incerca di scopo”. Tale disorientamento haradici antiche: tra il 1870 ed il 1890 il rifiutodel nuovo ordine economico promossodalla grande impresa trovò una parzialeespressione nel movimento populista; icartelli erano accusati di deprivare gli in-dividui dei legittimi frutti del loro lavoro.

sue risorse, riflettendo la vulnerabilitàpropria del Congresso in quanto istitu-zione elettiva.2

La sensibilità del Con-gresso alle esigenze degli in-teressi organizzati e deisoggetti corporativi haposto le basi di una dina-mica che ha trovato espres-sione attraverso larga partedella storia della FederalTrade Commission.

Come si è già osservato,“il Congresso sostiene e pro-tegge la FTC sin tanto cheessa perduri in uno stato direlativa inattività. Appenal’attivismo dell’agenzia si accresce, la coa-lizione degli interessi corporativi siespande ed esercita pressioni al fine di li-mitare l’attività della FTC.”3

Infatti, il citato FTC Improvement Actdel 1980 è stato un’esplicita espressione disiffatta dinamica: in esito ad un elevato li-vello di attivismo e di sperimentazione nel-l’antitrust e nella protezione deiconsumatori durante la seconda metà deglianni Settanta, le cooperative agricole, iproduttori di cereali, le compagnie petro-lifere, gli avvocati, i medici, i venditori diautomobili e le agenzie funebri furono mo-bilitati contro la FTC.

Fu stabilito il potere di veto del Con-gresso sulle Commission rules, ed una seriedi investigazioni in corso furono vanificate.

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il contrario rispetto ai casi in materia diconcorrenza che, pertanto, i funzionari le-

gali del Dipartimento erano as-solutamente disincentivati atrattare.

Nel 1903, il Congressoistituì una figura rimastacentrale nel sistema anti-trust americano, e destinataad avere un ruolo cardine almassimo livello istituzionalenelle relazioni tra i più im-portanti attori pubblici delsistema: l’Assistente all’Avvo-cato Generale per l’Antitrust,provvisto di un proprio staff.

Il Presidente Rooseveltstanziò fondi specifici per il

settore, ma i risultati rimasero in queglianni quantitativamente scarsi.

Un’ulteriore espansione dell’attività dicontrasto alle concentrazioni economichefu promossa dalla Corte Suprema Federalein American Column and Lumber Co. v. US(1921), nel sancire l’illegalità degli accordifinalizzati allo scambio di informazioni su-scettibili di avere influenza sulla determi-nazione dei prezzi dei prodotti.

In Northern Securities Co. v. US (1904) lastessa Corte aveva sciolto una holding cheriuniva due separate e concorrenti ferro-vie, mentre in US v. American Tabacco Co.(1911) il trust fu frammentato in tre di-stinte imprese, ed addirittura trentatre fu-rono le aziende sorte dalla dissoluzione diStandard Oil, disposta dalla Corte nell’omo-nimo caso del 1911.

Queste vittorie ebbero ampia risonanzaed assunsero un profondo senso politico.

Scriveva il Senatore Sherman: “Se nonsopportiamo una monarchia politica, nondovremmo sopportare unamonarchia nella produ-zione, trasporto e venditadi qualsiasi bene di neces-sità. Se non vogliamo sot-tometterci ad unimperatore, non vogliamosottometterci ad un auto-crate del commercio, conpoteri di prevenire la con-correnza e di fissare ilprezzo di ogni merce.”

L’aumento (o la dimi-nuzione) delle risorse di-sponibili per l’antitrust ingenerale e per la Commis-sion in particolare, così come il gradualestratificarsi del contesto istituzionale disettore, va di pari passo con l’accrescersi (oil decrescere) del rispettivo favore presso ilCongresso e, a diverso titolo, del consensoriscosso da parte delle Corti.

Il Congresso approvò lo Sherman Actnel 1890 senza stanziare fondi per la sua at-tuazione.

All’epoca, il Dipartimento di Giustiziapoteva contare su soli 80 impiegati, diciottodei quali avvocati.

Il problema della scarsità delle risorseumane fu esasperato da questioni ammini-strative interne, consistenti nella strutturaretributiva: gli avvocati dipendenti riceve-vano uno stipendio tabellare basso, poichéla gran parte della loro retribuzione prove-niva dalle parcelle legali; tale sistema de-terminava una spontanea preferenza per icontenziosi rapidi e dall’esito certo: tutto

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ché fissare i prezzi ed i livelli di produzione,una sorta di intermediario nelle relazioni

industriali che si ado-prasse anche a regola-mentare salari, orari econdizioni di lavoro.

Wilson respingevaquesta visione, soste-nendo che salvaguar-dare la concorrenzafosse meglio che disci-plinare il monopolio.Egli reputava che lasupervisione minu-ziosa del consolida-mento delle grandi

imprese avrebbe ridotto il governo alla loromercé: “Se il governo dice agli uomini d’af-fari come svolgere i loro affari, non credeteche gli uomini d’affari si avvicinino al go-verno più di quanto già non lo siano oggi?Non capite che essi sarebbero indotti adimpadronirsi del governo, per non essereda questo ridimensionati?” Secondo il pen-siero del Presidente Wilson (Magnifico Ret-tore Emerito dell’Università di Princeton,N.J., tra le più antiche degli USA), sotto con-dizioni di mercato concorrenziale le op-portunità individuali sono illimitate:ognuno gode automaticamente dei fruttidel proprio lavoro; concentrando, vice-versa – prosegue W. W. – il potere nelloStato e nella grande impresa (o, meglio, nelloro diabolico connubio), il sistema auspi-cato da Roosevelt avrebbe messo la popo-lazione in una situazione di dipendenza.

Per come presentata dal New Freedom diWilson, la scelta era tra benevolenza e giu-stizia, paternalismo e libertà.

Nel richiedere certezze, le imprese vo-levano consistenti standards che definis-sero con precisione i limitidella legalità. Il Congressoassunse un atteggiamentocritico, temendo che la re-gola della ragionevolezza(rule of reason) fosse intesaad usurpare i poteri del le-gislatore e vanificare le in-tenzioni del Congresso.

In realtà, da un altropunto di vista, entrambi ipoteri si sono impegnati inun ampio e, per certiaspetti, comune sforzo diadattamento del sistema regolativo allacrescente complessità dell’economia.

La forma del nuovo ordine regolativocostituì il cuore del dibattito politico traRoosevelt e Wilson durante la campagnaelettorale per le elezioni presidenziali del1912. Entrambi concordavano sull’inelut-tabilità della trasformazione del sistemaeconomico americano, ma una domandacruciale attendeva risposta: che ruolo do-veva avere il governo nazionale in tale tra-sformazione?

Roosevelt era critico sullo Sherman Act;egli riteneva indesiderabile una concor-renza incontrollata, mentre attribuiva aigrandi gruppi il merito delle economie discala ed una grande efficienza in grado diapportare beneficio alla ricchezza nazio-nale. Lo Stato era chiamato ad assumereuna funzione di supervisore. Rooseveltchiedeva la creazione di una commissioneper dirigere il consolidamento e sovrinten-dere all’attività delle grandi imprese, non-

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4 Samuel Gompers definì il Clayton Act la Magna Carta del Lavoro.

sevelt come parte del Dipartimento delCommercio e del Lavoro nel 1903.

L’Agenzia fu articolata in tre distinte di-visioni: amministrativa, legale ed econo-

mica. I disaccordi tra i

commissari provo-carono un’instabi-lità di leadership.Come prevedibile, ilprincipale dissidioera tra l’orienta-mento alla supervi-sione dell’economia(advisory) e quelloa l l ’ a p p l i c a z i o n edella legislazione(enforcement).

Per ciò che ri-guarda i limiti istituzionali del potere del-l’Agenzia, altamente significativo fu il casodelle industrie di trasformazione agricola,che condusse ad una crisi drammatica deirapporti fra FTC e Congresso nel 1919.

In quell’anno, l’Agenzia completò unrapporto sull’industria di produzione di ge-neri alimentari richiesto dal PresidenteWilson nel più generale contesto di unostudio complessivo sui prezzi in periodobellico.

L’indagine conoscitiva rivelò in tuttaevidenza accordi fraudolenti e pratiche dinatura esclusiva.

L’Agenzia raccomandò la nazionalizza-zione del settore.

L’intervento pressante esercitato sul

Per dirla con il vincitore delle presiden-ziali del 1912, gli elettori americani scel-sero giustizia e libertà.

Ne consegue il richiamato Clayton Actdel 1914, che completa i di-vieti dello Sherman e,soprattutto, il FTC Actdello stesso anno.

Il primo fu conce-pito per limitare la di-screzionalità dellecorti, ed infatti le asso-ciazioni degli impren-ditori lo accolserovolentieri quale fontedi certezza del diritto;quanto ai lavoratori, ilClayton Act sembròispirato altresì anchealla loro difesa, poiché sancisce che “il la-voro di un essere umano non è una merceo un articolo di commercio”.4

Per quanto concerne il FTC Act, le si-multanee estensione della legislazione an-titrust ed istituzione di un’agenziaregolativa sembrano indicare che la de-scritta questione centrale al dibattito poli-tico elettorale Roosevelt-Wilson sia rimastapriva di una chiara risposta. I due modellicoesistono fianco a fianco, “una non facilepartnership dentro le mura della stessaAgenzia”; le due funzioni sono difficili daintegrare, e comportano il rischio di un ge-nerale inadempimento. In buona parte, laFTC fu un’estensione del Bureau of Corpo-rations istituito sotto la direzione di Roo-

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giudiziario, e non alla Commissione, stabi-lire in via ultimativa se una materia rien-tra o meno nella sua competenza.

Un paio di decisioniadottate tra il 1926 ed il1927 ne limitarono i po-teri processuali: FTC v. Ea-stman Kodak Co., ClaireFornace v. FTC, ecc., cosic-ché venti anni dopo l’ap-provazione del FTC Actl’autorità della Commis-sione risultava forte-mente limitata dalle

Corti.Il Congresso e le Corti limitavano auto-

ritativamente le attività della FTC. Essa ri-schiava di cadere indirettamente vittimadelle pressioni dei gruppi di interesse, oveminacciasse l’autonomia degli affari. Sa-rebbe stata, per converso, attaccata dalleCorti ove si fosse dedicata a riconfigurare idiritti di proprietà e le relazioni tra lo statoe l’imprenditoria privata.

Durante la prima guerra mondiale, laFTC puntò sull’attività consultiva più chesu quella contenziosa, sembrando più vi-cina alla visione corporativistica propria diRoosevelt.

Non a caso, in quel periodo il Segretarioal Commercio Herbert Hoover incoraggiavauna forma di associazionismo corporativosponsorizzato dallo Stato.

I rappresentanti delle maggiori impresedi ogni settore venivano invitati ad incon-tri con lo staff della FTC per discutere lepratiche prevalenti: nel momento in cui lapolitica antitrust e gli standards di com-mercio potevano essere stabiliti attraverso

Congresso da parte delle lobbies dei pro-duttori ne determinò una reazione nega-tiva, ostile ed energica.

Il Senatore Watsonrespinse il rapportoe sferrò un attaccosenza precedenticontro la Commis-sion, accusandola diavere condotto l’in-dagine conoscitivaal solo scopo di por-tare alla nazionaliz-zazione del settore.

Un numero ele-vato di funzionari federali furono accusatidi socialismo e licenziati. Il budget della Fe-deral Trade Commission venne ridotto, edinfine, quale più drastica espressione dimalcontento, il Congresso approvò il Pac-kers and Stockyards Act del 1921, sottraendoil settore alla competenza della FTC in fa-vore del Dipartimento dell’Agricoltura.

Quanto avvenuto conferma che la Com-mission riceveva sostegno solo quandoadempiva parzialmente alla propria mis-sion. Essa era premiata ove occupasse il li-vello intermedio tra attivismo edincompetenza, punita se cercasse di eser-citare il proprio mandato legislativo.

Il potere giudiziario, da parte sua, nonmancò in questo periodo di imporre severerestrizioni all’autorità dell’Agenzia sia nelcampo investigativo che in quello di appli-cazione della legge.

Nel primo caso della Commission giuntoinnanzi alla Corte Suprema, FTC c. Gratz del1920, la Corte limitò severamente la por-tata dell’attività della FTC: tocca al potere

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5 Una sorta di IRI statunitense.

tuazione dei programmi della NRA, finchéla Corte Suprema non bocciò la NRA nel1935.

Anche in quegli anni, e poco più tardi,l’attivismo della Commission fu

punito dal Congresso, ancor-ché premiato dalla magistra-tura: nel 1937 la FTC avviòun’azione giudiziaria controCement Institute, un’associa-zione commerciale nazionale;dopo che la Corte d’Appelloaveva dato torto alla Commis-sion, la Corte Suprema ribaltòil verdetto nel 1948, stabilendoche il sistema di fissazione delprezzo-base, adottato da Ce-ment Institute, era una strate-gia anticoncorrenziale.Ma la reazione del Congresso,

sobillato dalle lobbies dei produttori di ce-mento, non si fece attendere a lungo. Con ilO’Mahoney Freight Absorption Act del1950, si ammetteva la legittimità del si-stema di fissazione del prezzo-base.

Dovette, addirittura, scendere in soc-corso della FTC il Presidente Truman, op-ponendo il veto allo O’Mahoney FreightAbsorption Act.

Le descritte dinamiche delle relazionicon gli altri attori istituzionali evidenzianoaltresì, quali concause, periodi di limitatecapacità ed impasse organizzative.

Mentre le richieste di intervento di cuila Commission era destinataria crescevano,la sua autorità si riduceva progressiva-

la volontaria interazione delle parti inte-ressate, la FTC diveniva sostanzialmente unintermediario.

Ma successe di peggio. Paradossal-mente, questi incontri di-ventarono l’occasione perle grandi imprese discambiarsi informazionisulla produzione e suiprezzi: nel 1930, il Dipar-timento di Giustizia av-vertì la FTC che le suedecisioni stavano inco-raggiando violazionidella Sezione I dello Sher-man Act, onde avrebbepotuto essere perseguita.Conforme l’orientamentogiurisprudenziale (Ameri-can Column and Lumber e Tren-ton Potteries).

La FTC abrogò i codici sospetti e ne ri-formò altri senza concertarsi con le partiinteressate, sicché il conflitto tra DOJ e FTCfinì indirettamente per infrangere la fidu-cia del mondo degli affari verso gli incontridi discussione delle pratiche commerciali.

Durante i primi anni dell’amministra-zione Roosevelt, le funzioni della Commis-sion inerenti l’applicazione dellanormativa antitrust rimasero inadempiute,riflettendo l’irrilevanza del settore sotto ilNew Deal.

Il National Industrial Recovery Act del1933 creò la National Recovery Admini-stration5, e la FTC assunse un ruolo nell’at-

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nale cui tali incarichi vennero assegnati,unitamente alla mancanza di sufficientistaff a supporto, limitò l’efficienza di talenuovo sistema.

Nel 1960, il Presidente Kennedy chiesea James Landis, un excommissario dellaFTC, di compiereuno studio sulleagenzie regolative.

Contemporanea-mente, l’Ufficio delTesoro emise unrapporto sulla FTC.

Entrambi i rap-porti ricordavano

vecchie analisi; in defi-nitiva, la risposta alle nuove critiche futanto familiare quanto inefficace.

Il Rapporto Landis metteva l’accentosull’esigenza di un’ulteriore espansione deipoteri del presidente della Commission.

L’Ufficio del Tesoro segnalava la carenzadi qualsiasi strumento o metodologia di se-lezione ed individuazione delle priorità,nonché di valutazione delle prestazioni, esuggeriva l’istituzione di un program-re-view-staff .

Un ulteriore aspetto critico veniva iden-tificato nell’isolamento e nella scarsa inci-denza dello staff di economisti, problemache si proponeva di risolvere attraverso lacreazione della figura dell’Economic Advi-sor (Consigliere Economico).

Tali proposte vennero recepite con la ri-forma del 1961.

Come si è visto, la modesta performanceagenziale fu a lungo tollerata, ove non in-coraggiata, attraverso il sistema di rela-zioni intercorrente con il Congresso.

mente. In termini organizzativi, essa ri-mase a lungo sottodimensionata.

Durante il secondo conflitto mondiale,i suoi poteri continuarono ad aumentare inesito alla legislazione ed al favore della giu-risprudenza; con ciò,l’incapacità di con-duzione dell’Agenziae di definirne lepriorità – male sto-rico della Commis-sion – continuò acondizionarne leprestazioni.

La riorganizza-zione del 1950 misein atto le raccomanda-zioni della Commissione Hoover. Gli aspettisalienti della riforma organizzativa riguar-darono i poteri e l’autorità del Presidentedella Commissione.

Originariamente, egli aveva poche fun-zioni amministrative; la riorganizzazionericonfigurò tale carica come soggetto no-minato dal Presidente con l’autorità di se-lezionare le risorse umane di alto livello esovrintendere a tutto il personale.

Inoltre, furono estesi i poteri del presi-dente sull’Agenzia, ricomprendendovi l’au-torità di distribuire incarichi tra ilpersonale e le unità operative, ed il con-trollo sull’allocazione interna delle risorse.

Il processo riorganizzativo del 1954, lar-gamente basato sulle raccomandazioni delRapporto Heller sulla classe dirigente dellaFTC, implementò una metodologia di la-voro nei settori investigativo e processualearticolata per teams operanti sotto la dire-zione di avvocati responsabili di progetto.

Ma la carenza di esperienza del perso-

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Ma alla fine degli anni Sessanta, la tol-leranza del Congresso venne meno.

Nel 1969, un gruppo di studenti di leggealle direttive di Ralph Naderrealizzò The Nader Report onthe Federal trade Commission.

Un mese più tardi, furealizzato il Report of thetask Force on Productivity andCompetition, meglio notocome Rapporto Stigler.

Il Presidente Nixonreagì alla durezza del Rap-porto Nader chiedendoall’American Bar Associa-tion di condurre a sua voltaun’inchiesta.

Il rapporto ABA, redattoda sedici influenti avvocati ed economisti,identificò molti del problemi evidenziatidal Rapporto Nader: incoerenza, ineffi-cienza, irrazionale allocazione delle risorseumane e finanziarie; l’incapacità di fissarele priorità faceva sì che la scelta dei casi datrattare fosse rimessa agli interessi profes-sionali degli avvocati dell’Agenzia. Si con-sigliava, tra l’altro, l’adozione dellametodologia degli studi di settore.

Gran parte dell’autorità dell’Ente era difatto nelle mani dello staff, cosicché nonsarebbe peregrino parlare di una Commis-sione acefala.6

Tale fattore si combinava disgraziata-mente con la scarsa qualità, all’epoca, dello

staff, selezionato dal presidente della FTCDixon secondo i seguenti criteri da luistesso così illustrati: “data un’alternativa

tra un uomo intelligentissimoed uno soltanto sufficiente,prendi quello sufficiente: du-rerà di più.”

Ne conseguì uno staffcomposto non secondo cri-teri meritocratici, ma in basea parametri di basso profiloelettorale: ai laureati dellemigliori università ameri-cane venivano preferiti quellidel Tennessee e del Kentucky,quali potenziali collegi diDixon.

Penosa la conduzione delleindagini conoscitive. Leggesi testualmentedal Rapporto ABA: “Spesso le investigazionie gli studi spariscono ai più bassi livellidella FTC, per ricomparire solo molti annidopo.”

Il Closed Enterprise System osservò,inoltre, che gli economisti della Commis-sion, a dispetto dell’importanza della loroattività, possedevano uno status di secondaclasse nel budget e nelle operazioni.

Il Rapporto Nader raccomandava la ri-mozione di Dixon, definito “isterico, ne-mico delle imprese, litigioso, calunniatoree tipo da spiaggia”.

Il Rapporto ABA, a sua volta, raccoman-dava la nomina di un presidente dotato di

6 Sembra la situazione opposta a quella degli enti pubblici italiani, dove, viceversa, i verticipolitici frequentemente travalicano le proprie attribuzioni di legge a danno della compagine am-ministrativa, influenzandone illegittimamente le decisioni o condizionandone illecitamente i pro-cedimenti di attribuzione degli incarichi al fine di creare clientele.

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abilità esecutiva, di conoscenza e di suffi-ciente forza ed indipendenza.

Entrambi i rapporti sostenevano la ne-cessità di immettere nella FTCnuove risorse umane di altaqualificazione professionale.

Ma su alcuni aspetti strate-gici le varie analisi entravanoin dissenso: mentre Stiglersuggeriva un trasferimento dirisorse dall’antitrust alla pro-tezione dei consumatori edalle indagini, viceversa ABAspingeva in direzione della ri-vitalizzazione delle attivitàantitrust della FTC e, specifi-camente, si pronunciava a fa-vore di una riduzione dei casiex Robinson-Patman Act, diun’analisi critica della compatibilità dellevigenti restrizioni ai trust, e di un incre-mento di attività nel campo delle fusioni.

La disaffezione del Congresso verso laFTC toccò il suo apice nel 1968, quando laWhite House Task Force on Antitrust Policy(meglio nota come Commissione Neal) pro-pose un Concentrated Industry Act per fissareal 12% per mercato rilevante l’aliquotamassima di concentrazione industriale am-missibile, e raccomandò l’istituzione dinuove agenzie antitrust finalizzate alla na-tional deconcentration, trovando sostegnonel Senatore Philip Hart, che presentò unIndustrial Reorganisation Act.

Le critiche erano piuttosto consuete; ciò

non di meno, la soluzione fu singolare: laFTC venne riorganizzata aumentandone ilbudget ed i poteri regolatori.

Un notevole sforzo venne profuso nelcambiamento dell’organiz-zazione interna dell’Agen-zia, nel professionalizzare lostaff e sviluppare la capacitàdi pianificare le politiche.

Tale processo di rinnova-mento fu guidato da unacoalizione che riuniva mem-bri del Congresso, l’esecu-tivo, la comunità antitrust ei leaders del movimento deiconsumatori, i quali vede-vano l’economia come unachiave per l’espansione della

capacità dell’Agenzia e per larazionalizzazione delle scelte pubbliche.

Il Presidente Nixon avviò tale processonominando Casper Weinberger presidentedella FTC.

Sebbene il mandato di Weinberger siastato breve – dal 13 gennaio al 6 agosto1970 – i cambiamenti che egli avviò furonostraordinari.

Come gli anni Settanta segnarono lamassima espansione dell’attività della FTC,gli anni Ottanta furono quelli della contra-zione e del ridimensionamento.

Dopo le ambiguità ed incertezze dellaPresidenza Carter7, l’amministrazione Rea-gan arrivò a Washington con la mission diriscrivere i rapporti fra Stato e mercato.

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7 Harris e Milkis, The Politics of Regulatory Chance – A Tale of Two Agencies, N.Y.-Oxford, 1996,Pagg. 97 e ss.

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8 Harris e Milkis, ibidem, pag. 99.9 Questa discutibile impostazione suggerirebbe una triste (quanto discutibile) alternativa:schiavi del mercato o schiavi dello Stato?

tendo le forze del mercato e rendendo leimprese americane incapaci di competeresullo scenario internazionale.

La storia della FTC du-rante l’AmministrazioneReagan si presenta paral-lela e simile rispetto aquella dell’Antitrust Divi-sion: entrambe furonosottoposte ad incisivi ridi-mensionamenti struttu-rali e funzionali.

In generale, la colloca-zione politica della leader-

ship agenziale era una puraespressione della scuola di Chicago.

Ne conseguì la nota politica di deregula-tion nei cennati settori del trasporto, delletelecomunicazioni, ecc.

Scrive, a riguardo, Eisner che “la FederalTrade Commission degli anni Ottanta èstata concepita come un’agenzia deregolato-ria configurata per minimizzare le istanzein cui un’attiva espressione della pubblicaautorità potrebbe essere tollerata.”

Lo stesso studioso non ha mancato disottolineare come il furore (contro)rifor-mista reaganiano non vada sopravvalutato,atteso che i mutamenti epocali occorsivanno principalmente ricondotti alla con-giuntura economica internazionale, e che,probabilmente, tale sarebbe stata la dire-zione seguita anche senza la PresidenzaReagan.

La base del programma politico delPresidente fu presentata con chiarezza nel-l’Economic Report of the President: All nationswhich have broad-based repre-sentative governments and civilliberties have most of their eco-nomic activity organized by themarket.

Concetto che veniva cosìesplicato: “Tutte le nazioniin cui il governo ha il con-trollo dominante dell’econo-mia sono rette da unaristretta oligarchia ed inmolte di esse le condizioni eco-nomiche sono relativamente modeste. Nel-l’assenza di limiti sul ruolo economico delgoverno, l’erosione della libertà economicadistrugge tanto la libertà politica quanto laperformance economica.”

Nel suo primo discorso sullo stato del-l’Unione, Reagan disse che la regulationaveva portato aumento dei prezzi e delladisoccupazione a fronte della diminuzionedella produttività.8

In tale visione, le politiche di welfarerendono i cittadini dipendenti dallo Statoe sopprimono la spinta economica a rien-trare nel mercato.9 Gli alti livelli di tassa-zione penalizzano l’innovazione ed ilsuccesso economico. Il peso della regola-zione provoca inefficienza ed errata allo-cazione delle risorse; il welfare stateintroduce nuove fonti di privilegio, sovver-

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10 Harris e Milkis, ibidem, pag. 56.

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una fervida stagione di vivacità e creativitàpolitica.

Le critiche della New Left verso la poli-tica americana sostenevano cheil retaggio di F. Roosevelt fosseuno stato amministrativo estre-mamente isolato, costruito nelnome del liberalismo, ma in re-altà poco più che una strutturaindustriale militare.

Benché le nuove idee regola-tive contenessero sempre una di-retta e forte critica allo status quoregolativo, è indispensabile com-prendere che esse non sarannomai realizzate a livello di politi-che ed istituzioni regolative.10

Il pensiero del New Deal equello della New Left generano

una inedita sintesi: il public lobby regime.Negli anni Settanta, gli attivisti della

public lobby si sono alimentati al pensierodella Nuova Sinistra, e non vi è dubbio chela nuova regolazione sociale rifletta il con-nubio tra New Deal e New Left.

Questi ultimi hanno in comune, al nu-cleo centrale delle rispettive filosofie, unacritica marcata del capitalismo imprendi-toriale.

La differenza risiede, invece, nel fattoche i fautori del New Deal erano essenzial-mente dei conservatori riformisti, laddovela visione dei public lobbists ne rivela il ra-dicalismo dei processi di riforma auspicati.

I sostenitori del New Deal in generale, eF. Roosevelt in particolare, aspiravano alla

La successiva amministrazione Bushtende ad un ritorno per la FTC alla tradi-zionale funzione applicativa della legisla-zione antitrust.

“Dopo cento anni diapplicazione della nor-mativa antitrust, una po-litica in cerca di scopopuò avere trovato unamissione che è, nella mi-gliore delle ipotesi, unavolgarizzazione dei suoioriginali obiettivi”.

In ultima analisi, ilmutevole quadro legisla-tivo rende nel tempo lapolitica antitrust statuni-tense, e la condotta dellaFTC in particolare, suscet-tibile di essere concepita ora come marcataespressione di liberismo mercantile, oracome potente strumento di consenso po-polare, ora come una policy dal limitato im-patto economico a fronte di un significatopolitico rilevante.

Cruciale, negli anni successivi, l’avventodel public lobby regime, che emerge prepo-tentemente sulla scena politica nordame-ricana dagli anni Settanta in poi.

Esso ha determinato un non facile ma-trimonio tra il New Deal e la Nuova Sini-stra. Non facile, perché le idee della NewLeft contestavano la legittimità delle istitu-zioni regolative del New Deal.

Tuttavia, risulta essenziale lo studio ditale bizzarro connubio, che ha inaugurato

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11 Harris e Milkis, ibidem, pag. 140 e ss.12 Ibidem, pag. 278 e ss.

attorno al dibattito sull’economia di mer-cato, profondi rivolgimenti nelle istituzionie nelle politiche economiche statunitensi.

Sin dagli anni Settanta, si èsviluppato un nuovo sistemapolitico-istituzionale, carat-terizzato da un’accentuataframmentazione, tale da ren-dere virtualmente impossi-bile il formarsi di ampiecoalizioni, e da assoggettareall’immobilismo le politichedi governo.

Ciò che, secondo Harris eMilkis,12 è oggetto di frain-tendimento in tali analisi èche le riforme di quegli anni

hanno promosso un decentra-mento delle istituzioni che ha reso il si-stema politico americano reattivo allegrandi idee ed ai movimenti sociali.

Le riforme sociali che hanno trasfor-mato il governo americano hanno cercatodi eliminare il carattere pluralistico dellepolitiche americane, dominate da interessiparticolari ispirati al do ut des.

In luogo di una politica degli interessi, iriformatori hanno tentato di stabilire unprocesso politico decentrato, fondato suiprincipi e sulla mobilitazione dei cittadini,e caratterizzato da convulsi sviluppi istitu-zionali, perciò tale da sopraffare piuttostoche rafforzare le forze inerziali tradizio-nalmente associate al governo costituzio-nale negli Stati Uniti.

riforma del capitalismo al fine di preser-varlo, e l’ambivalenza del New Deal ri-guardo alla libera impresa apparvespecialmente nell’area dellepolitiche regolative.

Proprio durante lo svi-luppo del public lobby re-gime, la FTC è divenuta unodei centri guida dell’attivitàdei consumatori, sullascorta del relativo movi-mento, sorto qualche de-cennio prima.11

Ma le contraddizioninon finiscono mai, e nonsempre alle nuove ideehanno corrisposto perso-naggi in grado di realizzarlecon successo: nell’aprile del 1986, è statonominato Presidente della Commission Da-niel Oliver, il quale ha perpetrato le con-dotte accentratrici di precedenti gestioni,guadagnandosi proprio da parte del leaderdell’Unione dei Consumatori, Mark Silber-geld, l’epiteto di “caricatura delle posizioniideologiche di Miller”, suo predecessore.

Le vicende che conducono dal sorgeredella New Social Regulation sino all’attua-lità testimoniano l’inossidabilità di talecomplessa visione, comprovando che laN.S.R. costituisce ormai il collante ideolo-gico della antitrust community.

Infatti, dietro tale possente impulso po-litico-culturale, gli ultimi decenni delle po-litiche regolative hanno visto agitarsi,

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13 Harris e Milkis, ibidem, pag. 280 e ss.

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biente tutto ciò che non fosse contrario al-l’interesse degli affari e, di conseguenza, ri-

chiamare in vita lariforma Carter del si-stema regolativo.

Anche quando Bushha evocato alcuni obiet-tivi sociali quali partedel suo tributo ad una“gentile” versione dellepolitiche interne, egliha espresso forti ri-serve sulla possibilità diappesantire gli oneriregolativi a carico del-

l’industria al fine di per-seguire quegli obiettivi.

Questa ambivalenza – già rilevata sottola Presidenza Carter – influenzò il pro-gramma regolativo di Bush, conducendosostanzialmente a un indebolimento delrelativo sistema e, in ultima istanza, all’as-sunzione di posizioni apertamente antire-golative.

Paradossalmente, anche l’ambivalenzae, in qualche modo, il fallimento del pro-gramma regolativo di Bush non fa che con-fermare che nessuna nuova ipotesi dilavoro è in grado di superare la pur con-troversa visione del public lobby regime a li-vello di istituzioni e di policies.

Janer Steiger came to work, and the suncame out. Così entusiasticamente un vec-chio osservatore della FTC apostrofava lafelice scelta fatta da George Bush per il ver-tice della Commission, scelta che giovò non

Il sistema regolativo che emerge daglianni Settanta ha posto le basi di una strut-tura istituzionale chefrequentemente su-bordina le ambizionipolitiche particolari-stiche alle aspirazioniprogrammatiche deiriformatori sociali,ancorché i loro pro-grammi siano usual-mente costruiti entrodistinte aree di ema-nazione.

Ne consegue che lepolitiche regolative,quantunque dominate da politiche econo-miche ed interessi particolari miranti al-l’azione dell’Agenzia, sono statericonfigurate in favore del perseguimentodella qualità della vita e di maggiori occa-sioni di partecipazione pubblica.

George Bush senior, quale capo dellaTask Force on Regulatory Relief, lasciò inten-dere chiaramente da subito che il suo pro-gramma regolativo sarebbe stato menostridentemente antigovernativo di quellodel suo predecessore Ronald Reagan.13

Mentre il motto “il governo non è la so-luzione ai vostri problemi; il governo è ilproblema” era stato il viatico delle politi-che regolative di Reagan, “l’America gen-tile” di Bush lasciava al governo un ruolopositivo nello sviluppo di soluzioni.

Giunto alla Casa Bianca, Bush sembravavoler fare per i consumatori e per l’am-

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14 National Journal, 19.5.1990.15 Harris e Milkis, ibidem, pag. 356 e ss.

aveva alleati politici alla Casa Bianca e neiquartier generali delle agenzie regolative.

Si consideri pure il ruolocentrale di Al Gore, già av-vocato ambientalista di suc-cesso.

Le speranze dei movi-menti dei consumatorierano non meno ottimisti-che, e non meno destinatead essere deluse.

Il programma regolativodel Presidente degenerò inuna promessa di “reinven-tare il governo”.15

L’Amministrazione Clin-ton ha perpetrato l’approc-cio pragmatico del suo

predecessore, cercando disopperire con la responsabilità e la compe-tenza burocratica alla mancanza di unaseria attenzione al dibattito sui principifondanti della politica regolativa.

Né il nuovo progressismo di Clinton hacorretto le peggiori deficienze del publiclobby regime.

Allorquando l’America si è affacciatasulla scena del Ventunesimo secolo, lastrutturazione di un nuovo consenso sullapolitica sociale che potesse trascenderel’aspro antagonismo del ventennio prece-dente è rimasto un obiettivo sfuggente edinafferrabile.

Allo stesso tempo, l’accentuata fram-mentazione delle politiche regolative con-

poco alla protezione dei consumatori edalle politiche antitrust.

La Commissione sem-brava avere raggiunto unanotevole stabilità.14

La Steiger definì la pro-pria missione come una“rigorosa, ma razionale ap-plicazione della legge”. Ilsuo principale obiettivoera ricostruire il morale ela reputazione della FTC.Ella praticò il pragmaticoapproccio alle politiche re-golative che ispirava iprimi giorni della Presi-denza Bush.

Quando fu chiesto alCommissario Dennis Yao(economista della Wharton School, Uni-versity of Pennsylvania) di descrivere l’ap-proccio della Steiger alla regolazione, eglirispose (non senza una moderata dose dicritica) che ella aveva unito ai miglioriaspetti dell’impostazione di Miller un pro-gramma più attivo.

Caratterizzata da una grande prudenzaed equilibrio, la gestione Steiger ebbe pro-blemi allorquando non ritenne di sposarele più accese rivendicazioni dei consuma-tori contro la pubblicità degli alimenti.

L’elezione del democratico Bill Clintonnel 1992 riaccese le speranze dei pubblicilobbisti sopravvissuti all’era Reagan. Per laprima volta in 12 anni, il public lobby regime

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16 Gli usi a volte economicamente distorsivi delle politiche antitrust sono stati variamenteevidenziati; si veda, ad es., l’analisi condotta da W. F. Shugart in Antitrust Policy and Interest-Group Po-litics, N.Y.-London, 1990, pag. 157 e ss. Non sono mancati neanche gli studi sulle deviazioni dema-gogiche che in alcuni casi hanno assunto tali politiche: cfr. Faith-Leavens-Tollison, Antitrust porkbarrel, in The Causes and Consequences of Antitrust – The Public-Choice perspective, a cura di McChesney e Shugart, The University of Chicago Press, 1995, pag. 201 e ss.17 S. Cassese, Lo stato introvabile, Roma, 1998. Cfr. N. Irti, L’ordine giuridico del mercato,Roma/Bari, 1998, pagg. 5, 26 e 27; R. Franceschelli, Il mercato in senso giuridico, in: Giurisprudenzacommerciale, I, 1979, p. 501 ss. 18 Marcello Clarich, Il ruolo dell’Autorità garante nella promozione della concorrenza.

• 77 •Laicità dello Stato in economia tra liberismo e dirigismo, C. Savasta

gono che economia di mercato e liberaconcorrenza non esistono in natura, bensìesse costituiscono sistemi di relazioni co-

struiti dalla politica e gover-nati dal diritto.18

In Italia, la cultura dellaconcorrenza e del mercatonon presenta una tradi-zione storica consolidata.Vari fattori hanno in pas-sato concorso a relegare inuna posizione marginale ilruolo del mercato qualeregolatore dei rapportieconomici. Tra di essi: ilrelativo ritardo del pro-cesso di industrializza-zione, che ha contribuitoad esaltare il ruolo dello

Stato anche attraverso mi-sure protezionistiche a tutela dell’industrianascente; la prevalenza di contrappostiorientamenti ideologici, concordementenon favorevoli al libero mercato; il forte di-vario tra Nord e Sud del Paese.

L’Autorità Garante della Concorrenza e delMercato, istituita con Legge 287/90 anche al

temporanee rafforza l’inerzia sistemicadella politica americana, frapponendo untemibile ostacolo all’emergere di un rias-setto del sistema regolativo.

Come il pragmatismopolitico di Bush non riuscìa sedare le dispute tra lob-bisti pubblici e deregola-tori, allo stesso modo ilcentrismo di Clinton hapoco contribuito alle bat-taglie in favore della rego-lazione economica.

Né l’AmministrazioneClinton ha avuto mag-giore successo nel fissare iconfini della politica am-bientale.16

L’Antitrust europeopresenta ben diversa genesie sviluppo: il diritto comunitario della con-correnza rappresenta una specie di servo-struttura del processo integrativo delmercato comune, non senza – peraltro –una bizzarra combinazione di statalismo edassenza di Stato.17

In conclusione, alcuni autori sosten-2/2011

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19 Non si ravvisa la possibilità di risolvere tale problema nell’ordinamento francese; né il ri-chiamo all’art. 97 della Costituzione italiana ed all’imparzialità dell’azione amministrativa sembraun riferimento sufficiente a dar conto di una realtà così complessa. “Il dilemma di fronte al qualesi trova il giurista è se negare la costituzionalità dellE autorità amministrative indipendenti ov-vero legittimarne l’esistenza soltanto per il fatto che queste istituzioni effettivamente esistono”:Pericu, Legittimazione costituzionale delle autorità amministrative indipendenti e politica della concorrenza.

nati poteri di segnalazione e consultivi,sino ad attribuirle il peculiare ruolo di ga-rante della conformità dell’ordinamento

italiano al diritto comunitario.Resta, quale comune

aspetto critico nell’esperienzadi civil law dell’Europa conti-nentale, la scarsa compatibilitàdelle autorità indipendenti ri-spetto ai vigenti assetti costitu-zionali:19 la collocazioneistituzionale e le funzioni daesse svolte comportano l’ero-sione contestuale di attribu-zioni proprie del poterelegislativo, dell’esecutivo e diquello giudiziario, sostanzial-

mente concentrando in un’unicafigura le potestà regolatorie, sanzionatoriee giustiziali concernenti il settore.

fine dell’attuazione della normativa comu-nitaria in materia e nell’ambito della reteeuropea delle Autorità Antitrust, si collocanel novero delle autoritàamministrative indipen-denti.

Essa persegue, inuno con la funzione re-golativa ed ispettiva e dimonitoraggio della legi-slazione, un’attività diconsulenza e di segnala-zione come strumentodi promozione della cul-tura della concorrenza ecome opera dimoral sua-sion e propositiva.

Si registra un’esten-sione progressiva della tipologia di atti neiconfronti dei quali l’Autorità esercita i cen-

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LLaa ccrreemmaazziioonnee nneellll’’aavvaanngguuaarrddiiaa iiggiieenniissttaa mmaassssoonniiccaa ee lleeccaammppaaggnnee llaaiicchhee nneell ppeerriiooddoo nnaatthhaanniissttaa

di LLuuccaa IIrrwwiinn FFrraaggaallee

Hygienism, laicism: these were among the main aims of italian Freemasonry betweenXIX and XX centuries. Someone – the Church, in particular – saw in Masonichygienism just a way to keep ecclesiastic forms in some corner. Nowadays we can saythat this is not true: Masonic skills knew well how Italy needed, at that time, a strongand genuine sociological and economical maquillage. Schools, libraries, popularuniversities, orphanages, laical graveyards could not be a simple device to obtainChurch’s decrease: they were a real project for the renovation of Italy. Literacy,cooperatives, professional courses, asylums were some of the project advocated byFreemasonry: some of these aims, like divorce or welfare in the condition of women,became law proposals that will obtain large consent many years later. Meanwhile,laicism obtained a deep wound from the ratification of Patti Lateranensi, in whichChurch and Fascism won together, turning back in terms of culture and civilization.

È noto come la Massoneria abbiastoricamente focalizzato la propriaattenzione sulla scuola laica, sui ri-

creatori, biblioteche e università popolarie, ancora, sulle scuole Montessori, su quelle

libere professionali, nonché sulle istitu-zioni sanitarie, sulle colonie marine e, in-fine, sui cimiteri laici e le società per lacremazione dei cadaveri.1

Tale “redenzione” vide in primo piano

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1 Cfr. Isastia, Uomini e idee della Massoneria. La Massoneria nella storia d’Italia, Roma, 2001, pp.14-15. L’istituzione di una società pavese di cremazione era stata avviata già sul finire dell’Otto-cento quale esempio di progresso civile. La società ottenne a titolo gratuito dal municipio un’areaadatta ad erigervi un crematoio, poiché giusta l’art. 107 del regolamento di polizia mortuaria,quando un privato o una società domandassero di allestire un crematoio, il consiglio comunaleavrebbe avuto il dovere di mettere a disposizione un’area conveniente. Alla successiva domanda di

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molti medici igienisti massoni: peraltronon mancarono – per quanto concerne piùstrettamente il campo dellaicismo giusprivatistico –le proposte di legge sul di-vorzio e la richiesta di mo-difica di quegli articoli delcodice civile che vietavanola ricerca della paternità:fu, infatti, proprio un so-cialista massone, AgostinoBerenini, a presentare allaCamera dei Deputati unprogetto per introdurre ildivorzio all’inizio del 1901.

Questo fervore di ini-ziative avrebbe cono-sciuto un’ulteriore accelerazione nelnovembre 1902, quando il governo Zanar-delli presentò un proprio disegno di legge,fino ad arenarsi definitivamente di fronte

alla straordinaria mobilitazione del movi-mento cattolico, che fu capace in pochi

mesi di raccogliere tre milioni emezzo di firme.2

Sulle pagine dell’Idea de-mocratica, prese piede piutto-sto presto quell’annosapolemica sul problema del di-vorzio nonché della prece-denza del matrimonio civilesu quello religioso che, se purdi carattere strettamente ci-vilistico, chiamavano in causal’identità del diritto pubblicopoiché, come ebbe a scrivereil Fratello parlamentare Sal-vatore Barzilai:3

precedenza e divorzio sono problemi dicarattere sociale da risolversi favorevol-mente solo con criteri di utilità sociale; ha

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aiuto economico inoltrata dalla Società, la Giunta municipale nicchiò a seguito della recente ed op-posta proposta vescovile in ordine alla costruzione di una cappella a spese del Capitolo, riservataalle autorità ecclesiastiche ma da donare in proprietà perpetua al Comune, vedi Maestri, La crema-zione in Pavia, estratto da «Il Corriere ticinese», 16 e 18 febbraio 1888, nn. 20 e 21, così citato da Isa-stia, Uomini, pp. 93-94. Così sembravano sbiadirsi anni di tentativi di sensibilizzazione ad operadegli igienisti pavesi, trascorsi attraverso campagne e convegni che non avevano tralasciato nes-sun aspetto del problema, mirando a far conoscere anche le radici storiche, filosofiche e morali,oltre che più specificatamente igieniche, della cremazione. Il dogmatismo e il tradizionalismo delclero non avrebbero mai accettato di sostituire la profilassi dei crematoi ai ‘miasmatici carnai’ ci-miteriali, cfr. «La provincia pavese», 22 gennaio 1890, n. 10, ibidem, e a ciò si aggiungevano anchele divaricazioni politiche tra giunta comunale e deputazione provinciale. Solo con decreto 26 marzo1903, la società per la cremazione dei cadaveri fu eretta in ente morale.2 Cordova, Massoneria e politica in Italia, p. 91, in Conti, Storia della Massoneria italiana. Dal Ri-sorgimento al fascismo, Bologna, 2003, pp. 158-159.3 Salvatore Barzilai (1860-1939) fu della sinistra legalitaria e sedette con i repubblicani, vediLuzzatto Voghera, Per uno studio sulla presenza e attività di parlamentari ebrei in Italia e in Europa, in«La rassegna mensile di Israel», Roma, vol. LXIX, n. 1 tomo 1, gennaio-aprile 2003, p. 82.

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cercato di farne due questioni politiche inItalia l’autorità ecclesiastica uscendo dai li-miti della sua giurisdizione.

Ed il problema politiconon creato dunque da noi èquesto: sapere fino a qualpunto le resistenze attive epassive della Chiesa possanoinvadere il campo civile perimpedire allo stato l’eserciziodelle sue podestà, la tutela el’evoluzione dei suoi istituti.4

In merito all’igienismocremazionista non tutti i mas-soni erano evoluti in manieraaltrettanto omogenea: il Fra-tello Camillo Oliveti impiegògli ultimi quindici anni della suavita come Procuratore dell’Arciconfrater-nita della Madonna del Rosario di Marzi, unpiccolo paese in provincia di Cosenza, av-viando i giovani alle istituzioni ecclesiasti-che e curando la sepoltura dei defuntipoveri.

In virtù di questa carica subì una de-nuncia qualche anno prima del 1909 dallo

stesso Ufficiale Sanitario. L’atto di accusaebbe risvolti penali pesantissimi: Oliveti, in

qualità di priore della Cappelladei defunti della Madonnadel Rosario diede disposi-zione di disseppellire salmeda poco tempo inumate, perporre ordine nella cappellacimiteriale appartenentealla Congrega.5

La cremazione, tuttavia,era e rimase sempre unsegno di distinzione delbuon senso e del progressocivile propugnato dallaMassoneria contro le mal-sane superstizioni cattoli-che: massone e valdese, il

Fratello Carlo Gentile fu, ancora nel pienodel Novecento, promotore dell’AIDO (Asso-ciazione Italiana Donatori Organi), dellaSocietà per la Cremazione, di Amnesty In-ternational, e “sostenne con coraggio leiniziative di rilevanza sociale promossedalla Lega Internazionale per i Diritti del-l’Uomo e dall’Unione AntivivisezionistaItaliana”.6

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4 Cfr. Isastia, Uomini, pp. 186, che cita Barzilai, Divorzio e precedenza, ne «L’idea democratica»,1° marzo 1914. Ma per un esauriente schema dell’evoluzione storica della polemica legislativa e mas-sonica concernente gli istituti giusprivatistici del divorzio e della precedenza del matrimonio civilecosì come dell’abolizione dell’autorizzazione maritale – e precipuamente dell’estensione alla donnadegli uffici tutelari – si vedano i rimandi all’opera legislativa dei parlamentari massoni Giuseppe Za-nardelli, Vittorio Scialoja, Tommaso Villa e Salvatore Morelli, diffusamente in Isastia, Uomini.5 Costanzo, Dalla loggia alla congrega. Massoni e massoneria nella Cosenza post-unitaria. Il caso Ca-millo Oliveti, Cosenza, s.d, p. 41. I particolari più macabri in Nicola Tucci, Autodifesa, citato da Co-stanzo, ibidem.6 Cristino G., a cura di, Il magistero di Carlo Gentile (1920-1984), atti della Giornata di Studi. Foggia,Palazzo Dogana, 29 gennaio 2000, Foggia, 2003, pp. 56 e 61.

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Oltre a Cesare Capone,7 anche Maria Ca-nella, in un suo recentissimo saggio,8 haevidenziato come la Chiesafosse consapevole – e conapprensione – della lai-cizzazione delle cerimo-nie funebri, conseguentead un eventuale radica-mento di pratiche crema-torie più saggiamentecaldeggiate da vasti set-tori della Massoneria.

Sull’altro versante,fino allo scoppio dellaGrande Guerra, le logge siadoperarono come pote-rono per sovvenzionare or-fanotrofi, patronati scolastici, doposcuola,giardini d’infanzia; un importante inter-vento nel campo dell’educazione infantile èl’appoggio dato in Roma all’opera innova-trice della giovane Maria Montessori.

Molti massoni sostengono la politica dirinnovamento urbanistico, sanitario e sco-lastico in cui è impegnata l’amministra-zione comunale romana ed in particolare ilprogramma di risanamento del popolarequartiere S. Lorenzo intrapreso dall’Istitutodi beni stabili. Ed è qui che nel 1907, annoin cui Nathan è eletto sindaco, la dottoressapuò aprire, grazie al sostegno materiale emorale avuto da ambienti in gran partemassonici, la prima Casa del bambino.

Nel discorso inaugurale ne mette inluce la funzione sociale chiaramente ispi-

rata dalle idee dei circoli radicali so-cialisti e massonici promotori esostenitori dell’iniziativa; e non acaso socialista e massonico è l’am-biente dell’Umanitaria milanese,dove l’anno seguente si apre unistituto montessoriano.9

L’istruzione venne dunqueconsiderata quale primo tra i fat-tori di quel processo di redenzionesociale dell’operaio: ecco comecrebbero le scuole rurali, quelle se-rali per analfabeti, gli asili infantilie i corsi professionali per la donna.

Proprio alla donna è rivolta una curaparticolare, affinché potesse essere scon-giurato il suo “secolare isolamento”. Dallastessa Umanitaria, promotrice nel 1906 delI congresso internazionale di educazionepopolare, nascerà l’Unione italiana dellacultura popolare e, nel 1908, la Federazioneitaliana delle biblioteche popolari, en-trambe iniziative additate ben presto daparte del clero, proprio in virtù della loroorigine massonica. Il dato di fatto è la rile-vanza del contributo da parte di queste re-altà alla lotta all’analfabetismo, problemache evidentemente non era mai stato par-ticolarmente a cuore della Chiesa.10 E suquest’ultimo punto anche il Gran MaestroNathan fu ben chiaro.

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7 Capone C., Uomini in cenere: la cremazione dalla preistoria a oggi, Roma, 2004.8 Canella M., Paesaggi della morte: riti, sepolture e luoghi funerari tra Settecento e Novecento, Roma,

2010, passim.9 Tomasi, Massoneria e scuola dall’unità ai nostri giorni, Firenze, 1980, p. 137.

10 Cfr. Tomasi, Massoneria, p. 89.

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Nathan condusse la Massoneria versoun programma di beneficenza: ospizi perrachitici, e poi educatori, ri-creatori, società di pubblicaassistenza civile; aiuto alle fa-miglie degli emigrati, presenzaattiva nei patronati scolastici;aiuto alle famiglie e collabora-zione, in primo luogo nellecampagne, contro tubercolosie pellagra.

Sulla religione era ancorapiù chiaro: “combattiamo lateocrazia combattiamo lecaste che speculano sulla reli-gione, non la religione”.11

Secondo Nathan, inoltre, il partito cle-ricale era particolarmente attivo e pre-sente nelle amministrazioni locali edunque occorreva controllare queste ul-time se si fosse voluta combattere la corru-zione.12 Sul versante della scuola edell’istruzione – preoccupazione dunquecostante di Nathan e del blocco popolare –numerose furono le iniziative intraprese:

le somme stanziate annualmente perl’istruzione pubblica salirono da cinque atredici milioni; la spesa per la refezionedegli scolari passò, d’un tratto, da sessantaa trecentomila lire; tutte le istituzioni sus-sidiarie ebbero vigore ed incremento; sicrearono scuole all’aperto, i campi estivi di

ricreazione, le classi differenziali; si molti-plicarono gli asili infantili; ebbe impulso il

corso popolare della V e VI elemen-tare con gli insegnamenti integra-tivi; sorse il mirabile gabinettoscientifico centrale; sparirono imalsani tuguri in cui si addensa-vano malamente i teneri fanciulli,si alzarono maestosi in tutti i quar-tieri i nuovi edifici scolastici cheper decoro, comodità, igiene, nontemono il confronto con le mi-gliori costruzioni dell’estero.13

In particolare, la preoccu-pazione più profonda era che lecarenze della scuola pubblica e

laica si traducessero in un vantaggio per lescuole private, quasi tutte gestite dagli or-dini religiosi.

Ben 16 nuove scuole elementari furonocostituite e altre scuole rurali sorsero nellacampagna romana. E, per finire, [si] pro-mosse addirittura un referendum sull’op-portunità o meno della municipalizzazionedell’azienda dei trasporti urbani.14

La giunta Nathan si disse infatti con-vinta della “necessità di sottrarre i pubbliciservizi dal monopolio privato” e “di ren-derli soggetti alla sorveglianza, alla revi-sione, all’approvazione del consiglio”.15

Analogo impegno venne prestato dalla

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11 Cfr. Isastia, Uomini, p. 17, che cita Nathan, L’opera massonica nel triennio 1896-99. Relazione delGran Maestro, Roma 1899, p. 42.12 Cfr. Isastia, Uomini, p. 16.13 Fabiani, I massoni in Italia, s.l. ma Roma, 1978, pp. 48-49.14 Cfr. ibidem.15 Florenzano, Un grande sindaco massone: Ernesto Nathan, in Greco e Monda, a cura di, Sarastroe il serpente verde. Sogni e bisogni di una massoneria ritrovata, Bologna, 2003, pp. 276 e ss.

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giunta nel campo dell’igiene e dell’assi-stenza sanitaria, soprattutto sotto il profilodella prevenzione. Vennero mi-gliorate le condizioni igieni-che delle borgate e deiquartieri più poveri, aumen-tata e migliorata l’assistenzanelle scuole frequentate dabambini, istituite guardieostetriche, elevato il numerodei posti per medici e sanitarinonché, infine, realizzate ca-sette in muratura e impiantidi illuminazione. Di estremorigore fu infatti la posizionedel blocco nathanista difronte al dilagare di fenomeniquali l’abusivismo edilizio e il monopoliodelle aree fabbricabili. Per tentare di risol-vere il problema della carenza di alloggi,della mancanza di un piano regolatore or-ganico e delle relative speculazioni edilizie,la giunta affidò al senatore e ingegnere Ed-mondo Sanjust di Teulada lo studio di unnuovo piano regolatore, e istituì la tassasulle dette aree. Furono, queste, misure chegrazie alla regia dei grandi proprietari ter-rieri resero la giunta notevolmente impo-polare e portarono allo sciopero fiscale,oltre che ad una valanga di denunce, ricorsie sabotaggi.

Ecco dunque che la laicizzazione dellascuola avrebbe dovuto essere osservata conimparzialità da parte dello Stato, nei ri-

guardi di ogni fede religiosa. Ed ecco, an-cora, che gli obiettivi propugnati dalla Mas-

soneria italiana, quali l’urgentealfabetizzazione di un paese an-cora ignorante e, nella maggiorparte, ancora misero, avrebbedovuto attuarsi tanto attraversol’azione politica quanto attra-verso quella economica, “tra-mite la prima creazione dicooperative di consumo ali-mentare, società di Mutuo Soc-corso, Fratellanze artigiane ecc.[…]”, attraverso un programmache – ripercorrendo le parole diVittorio Vanni – se “apparivaper certi aspetti eversivo in ta-

lune epoche, oggi è intangibile per qualsi-voglia società politica che sia ancherealmente democratica”.16

Quanto alla laicità dell’istruzione, in se-guito i buoni propositi ebbero vita difficile:sin dal 22 novembre 1922, Mussolini – evi-dentemente già intenzionato a rinsaldare irapporti col Vaticano – richiamò l’obbliga-torietà del regolamento del 6 febbraio 1908in merito all’esposizione del crocifissonelle aule scolastiche, in luogo d’onore.17

Amara delusione per i superstiti della vec-chia Massoneria nathanista, che dovetteroaccorgersi d’aver costruito tante scuole perpoi vederle cattolicamente equipaggiate, inogni aula, di un crocifisso che farà discu-tere ancora oggi.

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16 Cfr. Vanni, a cura di, Statuti Generali ed altri Documenti dei Framassoni, Firenze, 2002, pp. 9-10.17 Cfr. Mola, Storia, p. 511.

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SSooccrraattee,, eedduuccaazziioonnee ee MMaassssoonneerriiaa

di AArriissttiiddee PPeelllleeggrriinniiSaggista

The Author fittingly compares the methods developed in the framework of the Socraticapproach to “Knowledge” and the Masonic patterns of investigation and search of“Wisdom”. The original frame offered by the Lodge and the rules of discussion thereenacted allow any initiated to take part to an extraordinary experience of the oraltransmission of knowledge, which follows, in its main lines, an archaic esoteric model.

Ènoto che Socrate non lasciò alcunoscritto, e che tutto ciò che sap-piamo di lui e del suo sistema filo-

sofico si deve a Platone, che ne fu discepolo,il quale invece scrisse tantissimo, e fissò leproprie idee filosofiche e quelle del suoMaestro, nei famosi Dialoghi, la maggio-ranza dei quali sono giunti fino a noi.

Il fatto che, all’epoca, l’alfabetizzazionein Grecia fosse appannaggio di pochi coltinon spiega affatto la mancanza di una qua-lunque opera scritta di Socrate, non fossealtro perché sicuramente lui ed i suoi di-scepoli appartenevano senz’altro a quel-l’élite istruita e certamente alfabetizzata,tanto che la trasmissione del proprio pen-

siero in una modalità esclusivamente orale,ha fatto pensare, già fin dall’antichità, aduna precisa scelta del Maestro, influenzatada una precisa convinzione di tipo esoterico.Socrate era infatti convinto che, partendodal presupposto che il sapere consente agliuomini di non sbagliare, o di sbagliaremeno possibile, sia nella vita materiale chein quella filosofica e spirituale, il dovere diun Maestro non fosse quello di trasmetteresemplicemente il sapere, ma di cambiare gliuomini attraverso il sapere. Ma solo il dialogodiretto tra Maestro e discepolo, tra uomo euomo consente di pervenire alla necessa-ria maturazione attraverso il sapere, equindi ad un autentico cambiamento della

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persona, mentre la parola scritta non con-sente di pervenire a questo così complessorisultato della trasmissione del sapere.

Socrate utilizzava il dialogo comemezzo comunicativoed insieme andrago-gico, in quanto oltre atrasmettere nozioni(il “sapere” in-somma), era soprat-tutto volto a farscoprire autonoma-mente all’ascoltatore,nel silenzio della suacoscienza, nella pro-fondità della propriacapacità meditativa enella misura consen-titagli dal suo perso-nale grado di maturazione, dove fosse laverità, scoperta ed acquisizione che potevaavvenire quindi solo a seguito di un cam-biamento interno dell’ascoltatore. È quindievidente che la finalità dell’insegnamentodi Socrate non era certo quello di far cono-scere pubblicamente il proprio pensiero,ma piuttosto di cambiare la società attra-verso l’educazione dei cittadini; consenti-temi di precisare: attraverso la correttaeducazione dei cittadini, conseguita cioèmediante la loro maturazione consapevolee meditata.

Sono concetti profondi, ed assoluta-mente attuali ancora oggi, ed assai vicinialla concezione presente nel Pensiero Mas-sonico, per la quale la Massoneria non in-tende né pretende di cambiare il mondo,ma si propone di formare uomini migliori,più maturi e consapevoli, i quali poi auto-

nomamente e sulla base della propria con-vinzione di coscienza e nella piena consa-pevolezza delle proprie responsabilità,potranno agire nel mondo ed eventual-

mente cambiarlo.Non sfugge ad al-

cuno che ne abbiaesperienza diretta, laevidente somiglianzadel metodo socratico,come sopra accen-nato, con i lavori diLoggia, in cui ven-gono presentate Ta-vole redatte daFratelli e destinatealla riflessione di altriFratelli, ma la lettura

di una Tavola non in-duce una vera e propria discussione, qualeci ha abituati il mondo profano, in cui sipresentano argomentazioni per contrad-dire il pensiero di chi ha parlato prima oper persuadere della validità delle proprieposizioni, criticando quelle appena enun-ciate: mentre nei dibattiti profani si tendeper quanto possibile ad arrivare ad una me-diazione, ad un accordo tra le varie posi-zioni, nel Lavoro Massonico non c’è alcunbisogno di nessuna mediazione, perché lalibertà di pensiero costituisce in Massoneriaun assioma imprescindibile ed irrinuncia-bile, assolutamente fondamentale e costi-tutivo per l’Ordine, tanto che a pieno buondiritto il Massone si può così definire ancheun vero, autentico Libero Pensatore.

Il Fratello che legge una Tavola espone illivello di personale maturazione raggiuntanel proprio percorso Iniziatico, che il

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mezzo orale consente di esporre con quel-l’efficacia ed immediatezza non consentitedal mezzo scritto, e probabilmente l’oralitàdell’esposizione e dei succes-sivi interventi orali dei Fra-telli richiama un antico valoreaggiunto di tale attività diLoggia: anticamente, nelleScuole Misteriche si conside-rava pienamente esoterico soloil pensiero nella sua espres-sione verbale, a differenza diquello scritto, perché la co-municazione orale restava ne-cessariamente ristretta soloed esclusivamente ai membridella comunità, in questo casodella Loggia, mentre lo scrittopoteva essere diffuso e diven-tare anche noto all’esterno,assumendo quindi un carat-tere pubblico e perciò inevitabilmente es-soterico. Naturalmente non basta la meraoralità nella comunicazione di un messag-gio rivolto ad un gruppo ristretto e sele-zionato di uditori, perché ipso facto ilmessaggio diventi automaticamente esote-rico. Infatti è necessaria anche la capacità

di essere ascoltati ed adeguatamente com-presi da parte degli astanti, che debbonoaver raggiunto la necessaria maturazione

Iniziatica per recepirnel’autentico significato.

Molto opportuna-mente infatti, la sag-gezza del nostro Ordineha previsto che vi sianoTavole differenziate neidiversi Gradi (Apprendi-sta, Compagno, Mae-stro), perché il fattostesso che solo pochipossano ascoltare ciòche viene enunciato noncostituisce di per sé mo-tivo sufficiente per ren-dere esoterico ciò cheviene pronunciato, cheverrebbe sicuramente

frainteso da chi non avesse raggiunto il ne-cessario livello di preparazione per essererealmente partecipe del senso esoterico diquanto esposto, e che perciò non potrebbeaffatto trarne il previsto valore educativo,proprio della partecipazione a tale attivitàdi Loggia.

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Segnalazioni editoriali

LLUUCCIIAANNOO AALLBBAANNEESSEE EE PPIIEETTRROO MMAANNDDEERRLa teurgia nel mondo antico. Mesopotamia, Egitto, Oracoli Caldaici,Misteri EgizianiCon la collaborazione di Massimiliano NuzzoloECIG, Genova, 2011, pp. 312, €22,00

[...] La presente pubblicazione [...] propone a ciascun lettoreuna attenta analisi noumenologica e fenomenologica del-l’opera del grande iniziato Giamblico di Calcide. In particolare,i due autori vanno a rintracciare le radici della teurgia rispet-tivamente nella tradizione Sumero-Babilonese e nel pensieroMedioplatonico degli Oracoli Caldaici che hanno influenzato la

successiva filosofia del trascendente.Temi di carattere esistenziale e spirituale, già di per sé particolarmente complessi,possono essere affrontati finalmente con maggiore trasparenza e, soprattutto, si de-linea lo spartiacque attraverso il quale si possono discernere i diversi aspetti dei ri-spettivi percorsi delle due discipline.Si rifletta, inoltre, sulla importanza e sulla positività di questo raro evento editoriale,non tanto per il lettore interessato ad una mera informazione, ma anche, ove ve nesiano, per coloro che hanno particolari istanze interiori insoddisfatte e che, in que-ste pagine, forse, troveranno il modo per comprendere antichi insegnamenti e, in-sieme, una via per riconciliarsi con il mondo dell’invisibile. [...]

dalla Presentazione di Giancarlo Seri

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EEddiittoorriiaallii ee ccoommmmeennttiiI “valori” dell’Italia unita o del “revisionismo”, Renzo BrunettiL’attacco a Mazzini, Sauro MattarelliUn filo che non si deve spezzare, Pietro Caruso

SSaaggggii ee iinntteerrvveennttiiItalia e Francia: storia di un rapporto tormentato, Michel OstencDalla Repubblica della virtù alla Repubblica dei partiti, Mario DiNapoliGaribaldi nel mondo scolastico polacco, Piotr Podemski

PPrriimmoo RRiissoorrggiimmeennttooCavour e l’Unità nazionale della Romania, Marco BarattoDeputati faentini all’Assemblea Costituente Romana: Silvestro Utili, Antonio DreiMazzini e Pio IX, due giganti in un mondo di nani, Nunzia ManicardiPecchio, la Spagna e il sogno repubblicano, Carlo Colombo

SSeeccoonnddoo RRiissoorrggiimmeennttooVittorio Foa non è morto alle Seychelles, Pietro MarcenaroLa memoria della Shoah: vittime e vittimizzazione, Mordechay Lewi

TTeerrzzoo RRiissoorrggiimmeennttooRisorgimento sì, Risorgimento no. Atti del Convegno di Bologna, interventi di M. Di Napoli,L. Del Boca, A. ScalabrinA.A.A. Mazziniani cercasi, Emanuela Venturi

SSttuuddii RReeppuubbbblliiccaanniiLa morale di Kant e Mazzini: dall’imperativo categorico al repubblicanesimo, Livio NaccaratiLa religione civile come approccio transnazionale: un’ipotesi con gli Stati Uniti di fine Otto-cento, Sara Samorì

SSoocciieettàà ee CCuullttuurraaAnniversari, riletture, revisionismi, Luigi Celebre

LLiibbrrii,, CCuullttuurraa ee SSoocciieettààFra gli scaffali, Alessio Sfienti; Recensioni, D. Mirri - Gince; L’Opzione, Pietro CarusoRiletture, PericleIn memoria - Marcello Cortesi: signorile avvocato di fede mazziniana, Pietro Caruso

IILL PPEENNSSIIEERROO MMAAZZZZIINNIIAANNOODemocrazia in azione.Anno LXV, numero 3, Settembre-Dicembre 2010

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CCIIRRCCOOLLOO DDII CCOORRRRIISSPPOONNDDEENNZZAA DDEELLLLAA QQUUAATTUUOORR CCOORROONNAATTIIIn associazione con la R∴L∴ Quatuor Coronati 1166 all’Or∴ diPerugia, Grande Oriente d’Italia - Palazzo GiustinianiLe Tavole del 2010. 2° Seminario europeo di Studi Massonici: Illumini-smo e Massoneria: un percorso non sempre parallelo.Atti Quatuor Coronati n° 11, Perugia, 2011, pp. 253

Raffaele Stoppini, PresentazioneRaffaele Stoppini, Apertura del ConvegnoFranco Donati, Saluto del Presidente

PARTE PRIMA: INTERVENTI DEI PARTECIPANTIMarcus G. Patka, Massoneria e Illuminismo in AustriaDusko Vrus, Breve cronologia delle attività massoniche a Rijeka e dintorni con particolareriferimento alla Loggia “Sirus” di RijekaBertrand Heyraud, Giacomo CasanovaMartin Papenheim, Massoneria e Illuminismo nella Germania del 18° secoloJohn Acaster, Illuminismo e Massoneria: l’InghilterraTrevor Stewart, Illuminismo e Massoneria: la ScoziaFabio Bidussi, Circolazione delle idee e Massoneria nel Settecento venetoMassimo Biondi, Massoneria e Illuminismo a Napoli, capitale europea nel XVIII secoloGiorgio Conti, Illuminismo e Massoneria in EuropaPiero Paraggio, La donna nell’IlluminismoR∴L∴ Quatuor Coronati 1304 - Rende, Illuminismo e Massoneria nel Regno delle Due SicilieEmanuele Salerno, Politicizzazione e antigesuitismo nella Massoneria del primo Settecento.Aspetti e relazioni protoilluministiche tra la Massoneria inglese e la prima loggia a FirenzeRanko Vuyacic, Montenegro: Illuminismo e MassoneriaJosip Šosberger, Storia della Massoneria serba dal XVIII secolo al 1940Ilia Galán, Massoneria e Illuminismo in SpagnaDominik Sauerländer e Walter Spahn, Illuminismo e Massoneria in Svizzera

PARTE SECONDA: TAVOLA ROTONDA E CONCLUSIONIAntonio Panaino, Introduzione al meetingGian Biagio Furiozzi, Illuminismo e Massoneria: alcune precisazioniGian Mario Cazzaniga, Storia della parola IlluminismoSanti Fedele, Illuminismo e Massoneria: un percorso non sempre paralleloAntonio Panaino, Conclusioni alla tavola rotondaGustavo Raffi, Saluto del Gran MaestroRaffaele Stoppini, Ringraziamenti

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JJEEAANN--LLUUCC DDOOUUIINNDizionario della censura nel cinema. Tutti i film tagliati dalle forbici delcensore nella storia mondiale del grande schermo.Versione italiana a cura di Paolo BignaminiMimesis Edizioni, Cinema, Milano-Udine, 2010, pp. 621, €28,00

Addio mia concubina, Locandine, Algeria, Altman (Georges),Donna del Bandito (La), Arletty, Autant-Lara (Claude), Barba-rella, Brigitte Bardot, Battaglia di Algeri (La), Bergman (In-gmar), Bertolucci (Bernardo), Bogart (Humphrey), Boisset

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Il cinema è certamente una delle espressioni artistiche piùimportanti dei nostri tempi e, quando rappresenta la societàdi un determinato periodo ed i suoi avvenimenti, può dive-nire anche uno strumento per comprendere meglio la storia.Considerata da questo punto di vista, tutta la filmografia re-lativa al Risorgimento diventa una valida fonte di informa-zione ed una chiave di conoscenza di un periodo storico assaiimportante per il nostro Paese; questo libro rappresenta, quindi, uno strumento pre-zioso per chi desidera avvicinarsi o rivalutare la propria conoscenza di decenni deci-sivi della vicenda italiana come per coloro che sono invece già profondi conoscitoridell’argomento.

dalla Prefazione di Maurizio RoiLa pubblicazione della filmografia completa del cinema di soggetto risorgimentale èun’occasione importante che si inserisce nel quadro culturale e celebrativo del cento-cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Questo percorso a tema attraverso ifilm va a coprire un vuoto (lasciatemelo dire) assurdo; prima di questo studio nessunoha mai prestato attenzione e catalogato, in modo esaustivo, la produzione cinemato-grafica relativa al nostro periodo risorgimentale. Il presente libro offre l’occasione perconoscere e focalizzare l’interesse del cinema, anche come strumento educativo, allalettura del Risorgimento Italiano in un percorso che vanta più di un secolo di storia.

dalla Presentazione di Giannantonio Mingozzi

AA CCUURRAA DDII GGIIOOVVAANNNNII LLAASSII EE GGIIOORRGGIIOO SSAANNGGIIOORRGGIIIl Risorgimento nel Cinema Italiano. Filmografia a soggetto risorgi-mentale 1905-2010.Presentazione di Michele CanosaEDIT Faenza, 2011, pp. 195, € 15,00

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LLUUCCIIAANNOO BBOOLLOOGGNNAA,, FFAABBRRIIZZIIOO CCOOLLCCEERRAASSAA,, DDOOMMEENNIICCOO AALLEESSSSAANNDDRROO DDEE’’ RROOSSSSII,,SSTTEEFFAANNIIAA RREENNZZUULLLLIIL’universo della detenzione. Storia, architettura e norme dei modelli pe-nitenziari.A cura di Domenico Alessandro De’ RossiMursia Editore, Milano, € 26,00

Redatto da qualificati esperti nei settori di economia, sistemi diemergenza e architettura delle carceri, questo libro si inseriscecon uno straordinario tempismo nell’attuale dibattito che vedelo Stato italiano interrogarsi sulla questione carceraria, cer-

cando risposte ora procedurali, ora finanziarie. Corredato da disegni e fotografie diprogetti italiani e stranieri, è uno strumento utile a chi progetta e a chi si interessa avario titolo alla vicenda penitenziaria, oltre che una lettura appassionata per i non ad-detti ai lavori.

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(Yves) Brooks (Louise) Browning (Tod), Buñuel (Luis), Cannes (Festival di), QuadratoBianco, Chahine (Youssef), Chaplin (Charlie)Cina, Quarto Potere, Colorazione, Corvo(Il), Delair (Suzy), Desnos (Robert), Dietrich (Marlène), Dieci di Hollywood, Eisenstein(Sergej Michajlovic), Erotismo, Stati Uniti: il Codice Hays, FBI, Final Cut, Genet (Jean),Godard (Jean-Luc), Grande illusione (La), IRA, Italia, Kubrick (Stanley), Lang (fritz),Looping, Monroe (Marilyn), Nascita di una Nazione (La), Notte e nebbia, Ossessione,Pasolini (Pier Paolo), Peluria, Pull-over rouge (Le), Religione, Scarface, Swanson (Glo-ria), Assassini Nati, Stupro, Wajda (Andrzej), Warhol (Andy), West (Mae), X, Zulawski(Andrzej) ...

Come semplice lettura o come strumento di consultazione, questo dizionario, nelquale i casi di censura sono raccontati attraverso l’esperienza di attori, cineasti, film,nazioni, percorsi tematici, mostra la molteplicità di un fenomeno che mutila, taglia,cattura, sequestra, brucia, tiranneggia, uccide.

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Recensioni

LLUUCCIIAANNOO AALLBBAANNEESSEE EE PPIIEETTRROO MMAANNDDEERR,, CCOONN LLAA CCOOLLLLAABBOORRAAZZIIOONNEE DDII MMAASSSSIIMMIILLIIAANNOO NNUUZZZZOOLLOOLa Teurgia nel Mondo Antico – Mesopotamia, Egitto, Oracoli Caldaici, Misteri EgizianiECIG, Genova, 2011

Il volume raccoglie quattro contributi relativi al controverso tema della teurgianell’antichità.

Il primo, dal titolo “La tradizione teurgica sumerico-babilonese” (P. Mander, pp. 11-65), considera il tema partendo dalla pratica della consacrazione delle statue di divi-nità e l’ambito culturale da cui essa scaturisce. Le testimonianze che ci provengonodai testi incisi in tavolette cuneiformi dell’antica Babilonia e Assiria ci ragguaglianosui riti di consacrazione delle statue, basati sulla concezione di fondo che la divinitàviene, in qualche modo, “attratta” dentro la statua che la rappresenta. Infatti, unavolta terminata, la statua non poteva più essere toccata, nemmeno dalle mani chel’avevano plasmata ed assemblata (le statue mesopotamiche erano formate con di-versi materiali), ed essa era posta al centro di un elaborato rituale, inteso a farvi scen-dere dentro la divinità. Le condizioni necessarie a questa discesa erano soddisfatteallorché la statua era ricondotta ritualmente al di là del tempo e dello spazio, in quelprincipio che è il mondo degli dèi. Era così che la benevolenza della divinità discen-deva nell’oggetto corporeo e ne faceva una sua ipostasi. Sempre nell’ambito di que-sta tecnica rituale, che si estendeva anche alla preparazione di talismani, si devericondurre anche la funzione del sacerdote esorcista nell’atto di espellere i demoni ele altre entità malvage via dal paziente che esse affliggevano. L’origine divina di que-ste tecniche rituali era trasmessa dai sapienti primordiali, vissuti in tempi antidilu-viani, custodi di conoscenze che già allora, ai tempi in cui i testi d’argilla incisi incuneiforme furono vergati, si consideravano in gran parte perdute. Le gesta di que-

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ste figure mitiche, tuttavia, non sono così trasparenti e la polemica sull’uso della teur-gia, come ci è nota, secoli più tardi, da Agostino di Ippona e Porfirio, che si posero suuna posizione negativa, seppur differenziata, cui s’opponeva quella positiva affer-mata decisamente da Giamblico prima e Proclo poi, si riscontra anche nel mondo su-merico-babilonese.

L’appendice, opera del Dott. M. Nuzzolo (pp. 275-289), completa il quadro della do-cumentazione più antica, presentando la ritualità dell’“apertura della bocca” [comeera chiamata l’operazione con cui si ri-animava o la mummia e il sarcofago (in questocaso: “rianimazione”), o la statua di un dio (“animazione”)]. In sintesi, il rituale servivaper vivificare oggetti inanimati. Il contesto egiziano differisce da quello mesopota-mico, poiché il rito, rivolto ai defunti, ne assicurava la trasfigurazione in uno spiritoglorioso, nell’ambito di una teologia della salvezza che è peculiare della civiltà egizia.

Dopo la rassegna dei dati forniti dalle più antiche civiltà, il libro si dirige verso laTarda Antichità, ovvero quel periodo in cui la cultura ellenistica, sovrapposta a quelleantiche civiltà stesse, si confrontò col pensiero platonico ed ermetico nella vita cul-turale dell’impero romano. Due contributi sono dedicati a questo periodo.

Gli “Oracoli Caldaici” (L. Albanese, pp. 67-172). Come è noto sotto questo nome vaun’opera in esametri, composta probabilmente da Giuliano il Teurgo insieme a suopadre, Giuliano il Caldeo, vissuti entrambi sotto Marco Aurelio. Di tale opera si con-servano poco più di 200 frammenti che vengono qui tradotti e commentati, aggiun-gendo ad essi – per la prima volta – gli 11 “nuovi” oracoli caldaici scoperti da HansLewy nella monografia Chaldaean Oracles and Theurgy (di recente ristampata con unnuovo contributo di Tardieu). Gli Oracoli rivestono un duplice motivo di interesse.Sotto il profilo strettamente filosofico, essi rappresentano un momento particolar-mente importante nel passaggio dal medioplatonismo al neoplatonismo. Da questopunto di vista essi forse meglio di altri gettano le basi per la formazione delle tre ipo-stasi plotiniane, Uno Intelletto e Anima, che qui corrispondono, grosso modo, al IPadre, al II Padre e ad Hecate. Il I padre/monade è il principio e la causa di tutto (cfr.fr. 10). Dalla potenza del Padre si generano il II Padre/diade (frr. 5 e 12), Hecate (fr. 35)e la stessa materia (fr. 34), ma il I Padre si nasconde alla vista della sua stessa potenza,trascendendola in modo ineguagliabile (frr. 3 e 7). Egli si limita ad offrire quella chesi potrebbe definire la “regola di costruzione” delle idee, la cui realizzazione gravainteramente sul II Padre – la principale manifestazione della potenza del I Padre. Lagenesi del cosmo viene quindi affidata interamente al II Padre e ad Hecate, che dannoforma alla materia priva di forma (ma che di questa forma, come dice il Timeo sembragià avere un desiderio o una premonizione).

La materia, tuttavia (secondo quanto si legge nel Timeo), è anche dotata di forzapropria, e 1) oppone resistenza alle idee stesse, e 2) le rende contaminate dallo

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“sterco” della materia e deperibili, perché diventano un misto di essere e non essere.Di qui il carattere ambivalente della stessa Hecate, che le deriva dal contatto colmondo fisico.

Ma gli autori degli Oracoli – è questo il secondo motivo di interesse dell’opera –sono noti anche, se non soprattutto, come i diffusori delle pratiche “teurgiche”, quellepratiche cioè che – come la medianica (uso di medium) e la telestica (animazione dellestatue) hanno come scopo una “conoscenza” operativa degli dèi, e non solo teoreticao teologica. Si tratta insomma di “catturare” in qualche modo le divinità, “costrin-gendole” o persuadendole ad entrare in un ricettacolo umano – il medium – o mate-riale – la statua – e a proferire oracoli di varia natura. Non si tratta, naturalmente, diuna novità in senso assoluto. La religione greca (vedi per tutti Plutarco) si basa inlarga parte su simili procedimenti (la Pizia è una medium) e gli oracoli della Sibilla,secondo quanto dice Cicerone, costituiscono uno dei tre fondamenti della religione ro-mana, insieme alla “disciplina etrusca” e alla ritualità istituita da Numa. La vera no-vità, probabilmente, è che gli autori degli Oracoli sono i primi ad “incardinare” lateurgia nella tradizione platonica, costituendo l’immediato precedente di Giamblicoe della scuola siriaca, e aprendo nel contempo una forbice col Neoplatonismo di Plo-tino e dei suoi successori, in cui la teurgia trova poco spazio. Tale polemica, che trovaespressione nel contrasto tra Porfirio e Giamblico, viene esaminata nella parte delvolume in cui P. Mander (pp. 173-273) fornisce una versione condensata del famosotrattato di Giamblico I misteri degli Egiziani, scritto sotto il nom de plume di Abammone,sacerdote egizio, in risposta alle perplessità sollevate da Porfirio in una lettera chequest’ultimo scrisse al più giovane sacerdote egizio Anebo. Per render chiaro il con-fronto, le frasi di Porfirio sono premesse incorniciate alle relative risposte di Abam-mone/Giamblico. Ad ognuno dei 10 libri del trattato segue un commento di L.Albanese.

Infine (anche se in posizione iniziale: pp. 7-9), nella sua presentazione, G. Serimette bene in luce come la “via teurgica” sostenuta da Giamblico, in polemica conPorfirio (che, come s’è detto sopra, sarà ripreso da Agostino), lungi dall’essere sparitacon il tramonto del mondo antico, riemerge nella seconda metà del XVIII secolo conl’insegnamento di Martinez de Pasqually, che si colloca nell’ampio alveo della tradi-zione massonica settecentesca, in cui darà poi origine ad altri filoni esoterici.

Il volume è corredato di bibliografie per ogni contributo e di un indice analiticocomplessivo dei nomi propri.

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LLUUIISSEELLLLAA BBAATTTTAAGGLLIIAABioetica senza dogmiRubbettino, Soveria Mannelli, 2009, pp. 357, euro 20

di Andrea Contini

Questo saggio propone l’oltrepassamento della classica dicotomia sacralità - qualitàdella vita per aprirsi al concetto di buona vita. Quest’ultimo concetto in molteplici as-sonanze ha trovato fertilità nella storia del pensiero, possiamo ritrovarlo già in Ari-stotele con il concetto di “fioritura umana” e nell’oggi lo troviamo in altre preziosedeclinazioni rappresentate dal pensiero della Nussbaum e di Sen.

Bioetica senza dogmi argomenta le tematiche bioetiche fondandosi su una bioeticaliberale, per trovare nella parte centrale del testo l’importante risvolto che il femmi-nismo ha contribuito a dare ai temi etici: è nella valorizzazione delle differenze chela società e la cultura possono meglio comprender l’essenza dei diritti umani, dellagiustizia e persino della dignità, concetto che diamo troppo sovente per scontato. Ènell’ascoltar chi per troppo tempo non ha avuto voce che il pensiero umano può be-neficiare di un arricchimento anche spirituale, con un approfondimento e svelamentodi altre sensibilità e prospettive: si pensi al mondo emotivo ed affettivo che arricchi-scono la ragione e la costituiscono.

Il saggio riflette su molteplici temi etici: alcuni ormai molto mediatici ed altri (pro-prio perché appartengono a fasce deboli o agli invisibili) troppo poco esplicitati: l’au-trice del saggio tesse ed inanella argomentazioni con un approfondimento costantedi ciò che è la giustizia, cercando di coglierla nella sua essenza: concetto essenziale esponda di ogni prospettiva e argomentazione etica.

Le riflessioni intessutesi nel testo con le opere di Mill, Sen e Nussbaum tra le altre,pongono un deciso oltrepassamento dell’utilitarismo e del contrattualismo apren-dosi al nuovo approccio delle capacità, ossia cercare di porre ogni persona in un percorsodi completo sviluppo delle capacità umane. Nella bioetica liberale punto cardine delpensiero dell’autrice, un paradigma fondante è l’uguale valore delle differenze; è pro-prio grazie alla ragionevolezza che possiamo far coesistere i valori di ciascuno e latutela delle minoranze.

In Bioetica senza dogmi si propone una intersezione della teoria della cura con la teo-ria della giustizia: cura e giustizia sono colte come interdipendenti, solo in questo modosi creano le possibilità di una nuova cittadinanza, che pone nell’autonomia personaleda promuovere il punto cardine per eccellenza: al fine di far germogliare una semprepiù fiorente società che si apra a norme transculturali di giustizia, libertà e egua-glianza: sempre all’interno di un orizzonte che unisca una impostazione universali-stica con una attenzione alle specificità locali.

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Il saggio si svolge attraverso l’avvicinamento di diverse opere, ma certo uno degliautori prediletti è J.S. Mill capace di argomentare la tutela dei diritti dell’individuo edella protezione delle persone dallo stato dispotico e dalla tirannia della maggio-ranza: quest’ultimo aspetto è ancora oggi di estrema attualità; viviamo un periodostorico in cui il conformismo rischia di segnalare in modo tacito, senza pensiero cri-tico, ciò che è considerato naturale contrapponendolo a quanto è pensato innaturale.Il rischio è ritenere i comportamenti e i pensieri della maggioranza come una abitu-dine quindi come norma che distingue tra il bene e il male. Si pensi a quanto vienecontrapposto, a livello sociale e morale, nell’ambito dell’inizio vita e del fine vita sottoi concetti di naturale e artificiale; pensiamo alla procreazione, all’imposizione dellalegge n° 40 in Italia: alcune coppie sono destinate alla continua impasse biologica, odal rischio di trasferire malattie genetiche ai nascituri od ancora a subire la negazionedi una fecondazione eterologa come se non fosse invece l’accoglienza e l’amore versochi verrà alla vita l’aspetto primo ed ultimo. Si pensi al testamento biologico e al di-verso approccio tra una filosofia della relazione che approfondisce l’alleanza tera-peutica ed una visione del mondo che l’impedisce perché soffocata da unpaternalismo che non ascolta, dimentico non solo della tolleranza che per l’appuntopropone i propri valori senza cercare di imporli.

Le biotecnologie entrano in uno spazio sociale simbolico e affettivo: gli orizzontisi modificano: dal diritto di libertà dalla riproduzione si è arrivati al diritto di riproduzione,dal consenso informato si è arrivati al diritto di non sapere. Ecco allora l’importanza deldialogo, il confronto: è nell’interesse della verità che ci si espone alle diverse opi-nioni. Su questa linea troviamo anche Simmel che pensa al conflitto come momentoimportante per un’etica del riconoscimento; nell’oggi la tecnica ha aperto a nuovi di-lemmi ma ha al contempo consentito alle persone di arrivare ad un più alto sviluppomorale, perché la riflessione è stata necessaria.

In genetica nuove frontiere sono state dischiuse, hanno portato ad esporre diverseragioni si pensi a Jonas, Engelhardt e soprattutto alla terza via di Habermas che conequilibrio arriva a considerare il consenso presunto di colei o colui che arriverà allavita, come momento di scelta etica.

I temi della bioetica esprimono nella più vivace trasparenza la differenza di unostato di diritto da uno stato etico: il primo è uno stato ove ognuno è libero di definire ilproprio progetto di vita e l’altro ove lo stato si fa paternalistico nell’indicare la stradadella felicità e dell’esser giusti. La presenza di uno stato etico, spodestando la possi-bilità della persona di autodeterminarsi, non consente alcuna fioritura perché lontanida un’etica della compassione e della responsabilità che consentono un agire empa-tico nel rispetto della propria e altrui vulnerabilità. È il principio del danno l’indicatoreche consente al diritto di intervenire, non altro. Questo saggio che rivela una bioetica

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attenta a tutto il vivente, improntato ad un’etica planetaria oltre gli steccati culturali,avvicina la persona in un contesto storico che non è più solo quello dei diritti umanima quello del diritto comune dell’umanità: superando una visione antropocentrica e an-drocentrica che impoverisce. In queste pagine si coglie anche una vena biopolitica,non potrebbe esser che così se è vero che cura e giustizia sono interdipendenti e l’au-trice pone anche la questione di rifletter su come il potere politico soddisfa i bisogni.

Il mondo vivente apre a nuovi tempi e a nuove sensibilità, oggi non più nell’oriz-zonte dei diritti umani colti una volta per tutte ma in un passaggio da quello che sonoi diritti naturali verso i nuovi diritti.

Vi è un intreccio tra femminismo e bioetica, nel voler dare voce alle donne, per po-terle salvaguardare dall’oppressione talvolta insita nella cultura che si trasferiscecerto anche nelle tematiche bioetiche, che se non sviscerate nella loro interezza ve-dono crearsi anche una sofferenza di genere. È nella cultura, nella sua genesi, chedobbiamo saper cogliere il limite di un diritto che non sa esser sessuato e che non ri-spetta i vissuti e le specificità insite nelle peculiarità dei generi. Le attenzioni del-l’autrice in riferimento alla bioetica in prospettiva di genere abbracciano l’eticauniversale, aprendosi anche oltre i confini europei per porre l’attenzione sui più de-boli anche nelle altre culture cercando di dare voce a chi non l’ha.

Nussbaum, filosofa molto cara all’autrice, introduce il valore degli aspetti emotivied affettivi come fondamentali anche nell’argomentazione etica, ed è anche grazie aquesta sensibilità che si apre dinanzi l’importanza della tutela dei valori condivisi edel rispetto delle diversità, sensibilità questa vicina al consenso per intersezione pre-sente in Rawls. La giustizia si designa oltre un mero utilitarismo e contrattualismoandando quindi oltre il mutuo vantaggio di Rawls, per porsi verso un nuovo contrattotra eguali e nell’interdipendenza delle generazioni.

È un saggio che ricorda il vivente in tutte le sue forme, proponendo certo un’eticaambientale ma anche un’etica animale, etiche che possono arricchire la spiritualitàdella persona e consentirle un modo diverso di assaporare il tempo della vita, nonsolo perché vitale in sé ma perché in compagnia di altre forme di vita che ci accom-pagnano ed aprono all’indissolubile; oltre la mera visione razionale che limita a noistessi la profondità insondabile del mondo emotivo ed affettivo: si pensi all’impor-tanza della pet therapy, alla possibilità di ascoltare e cercare di coglier un mondo cosìvicino a noi ma al contempo così diverso, che consente di uscire dalla propria pro-spettiva per accoglierne altre.

Non è forse questo lo spazio della cura che nell’accogliere consente di porre i semiperché le diverse capacità abbiano nel vivere uguale dignità? Non è forse giustiziaquella visione del mondo o sensibilità che consente a tutti di esprimersi nelle formee contenuti propri? Anche volgendo lo sguardo oltre il guado che la sola ragione non

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può oltrepassare ma che i principi affermatisi grazie al femminismo consentono allanostra cultura di far propri?

Una bioetica che riflettendo sui concetti chiavi e sul voler abbracciar tutto il vi-vente non può che esser senza dogmi, perché questi sono categorie dell’umano chenon hanno ancora accolto la fertilità degli altri viventi: è nella convivenza che umil-mente possiamo scorgere la fioritura che si contrappone al dogma che in sé non harespiro ed è solo volontà di potenza: l’approccio alle capacità è forse volontà di essere-con consentendo alla vita di esprimersi in tutte le sue forme, contenuti e saperi; sì isaperi di un vivente che insegna già con la sua presenza solo a chi abbandona la vestedella presunzione e incontra il mondo con l’umiltà: un mondo naturale, tutto, chenonostante le molteplici ferite è sempre lì a mostrarci la sua vulnerabilità e fiducia econsentitemi familiarità.

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GIORGIO GEMISTO PLETONETrattato delle virtùTesto greco a fronteIntroduzione all’autore e al testo, traduzione, note e apparati di Moreno Neri Bompiani, Milano, 2010, pp. 741, € 18,00

di M.M. Bro. Francesco Angioni(Lodge Italia n. 2687 UGLE)

Sfogliavo con distratta diplomazia il sommario di un libro arrivatomi per una re-censione, intanto che ascoltavo un’interessante intervista in tv. Di quell’intervista vo-glio richiamare un unico concetto; esiste in lingua zulu una frase che dice: “unapersona è quello che gli altri dicono di lei”. Qualcuno sogghignerà pensando che ilnostro mondo di pettegoli ci fa essere ciò che non siamo. Ma non così gli zulu, chehanno un pensiero molto più profondo: di noi la storia dirà ciò che abbiamo fatto eche gli altri ricordano, noi saremo la storia del nostro fare, noi saremo la storia del no-stro pensare che abbiamo trasmesso agli altri. L’intervista finisce, il dovere chiama einizio l’attenta lettura del libro.

Pian piano il libro mi avvince e mi accorgo di quanto gli zulu ci superino per certecose in saggezza. Un personaggio di grande valore e sapienza, invece viene dimenti-cato in modo ambiguo, sospetto. Perché? Il libro tra le mie mani affronta appunto unpersonaggio poco noto, ma che molto diede alla nostra cultura e che, per certi versi,in campo massonico, potrebbe dar spunto per non poche riflessioni, solo a volerlo af-

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frontare secondo i nostri precipui schemi di pensiero. Ma non è questo che vogliofare, è troppo presto, prima lo si deve conoscere e studiare, poi … si vedrà.

Mi riferisco a Pletone, strano nome, infatti è uno pseudonimo che un tal ΓεώργιοςΓεμιστός (Gheòrghios Ghemistòs), infatti greco d’origine, forse si addossò in onore diPlatone suo grande maestro, seguendo la moda dei circoli culturali greci dell’epoca dicambiar nome per distinguersi da un’altra vita che alla nuova non appartiene.

Lo spunto per queste mie note viene da questo importante libro su Pletone, testodi livello accademico, scritto in modo piacevole ma con un apparato di note e com-menti di grande valore scientifico e culturale. Ricevendo il libro mi sono chiesto: per-ché scrivere di un personaggio che passò come un sogno nella Toscana del 1400 ecome accade ai sogni fu presto dimenticato? La risposta è apparentemente facile, ilfatto è che costui è stato il demiurgo di una creazione di straordinaria importanza:l’Accademia platonica di Firenze e la successiva nascita del Neoplatonismo fiorentinorinascimentale. Si sa che i sogni non sempre piacciono e questo ha sempre rischiatodi togliere la primogenitura del Neoplatonismo fiorentino a certi personaggi italiani.Eppure, senza questo greco, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola sarebbero stati il-lustri sconosciuti e probabilmente disoccupati. Tuttavia costui, sempre Pletone, harilevanza per ben altre ragioni: innanzitutto perché fu molto più di Marsilio e Pico un“rinascimentale” a tutto tondo, di vasta cultura eclettica, impegnato nello studio maanche nella vita politica e sociale, perché di tutto scriveva con un’erudizione che nellanostra epoca di specializzati impressiona. Tal personaggio, come non pochi altri, èpoco conosciuto, se non agli esperti. Perché mai, ripeto? Le ragioni sono tante, ma inparticolare risiedono nell’ostracismo che sempre si fa di chi va fuori dalle righe, dichi si pone come alter ego del pensiero comune asservito al potere ed in particolarmodo di chi espone opinioni e regole di vita che al potere ecclesiastico e statale nonpiacciono e quindi da bollare come sovversive, eretiche e blasfeme, anche quando siparla di geografia, di retorica o tanto altro.

Gemisto era persona tollerante, ma capace di affrontare diatribe teologiche e fi-losofiche con rigida logica e veemenza oratoria. Nasce a Bisanzio nel 1355 e, come unaltro gran filosofo che con gelida sintesi disse di Aristotele: “nacque, operò, morì”,così Pletone dedica l’intera sua vita allo studio. Veramente, non sappiamo quasi nulladella sua vita privata e quindi non possiamo fare del gossip culturale su di lui. Megliocosì.

Ma insomma perché vale la pena di scrivere su di lui? Ce lo spiega Moreno Neri, ri-minese, poi capiremo perché la sua natalità ha significato. Neri ha pubblicato lo scorsoottobre, per i tipi della Bompiani, questo suo libro: Giorgio Gemisto Pletone / Trattatodelle virtù. Confesso che quel Giorgio Gemisto non mi piace. Volete mettere con Ghe-òrghios Ghemistòs? Ben altro sapore e suono. Sapore di Ellade, di antiche epopee non

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solo storiche ma più che altro culturali. Ed infatti lui fu un “eroe”, proprio nel sensogreco della tradizione elladica. Ma mi si chiederà, va bene, ma a noi che può interes-sare? Giusta domanda alla quale offro una risposta apodittica quanto veritiera, cheNeri ci fa scoprire: Pletone è la molla che avvia il motore del Neoplatonismo rinasci-mentale fiorentino.

Non è poco, e sicuramente stupefacente per tantissimi che credono - ora non po-tranno più crederlo - che fossero stati Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandolae qualcun altro, gli ideatori di tale corrente, mentre, poi vedremo, essi furono solo gliartefici. Su questo aspetto, non del tutto marginale, Moreno Neri offre una messe d’ap-parati e note che ampiamente dimostrano la controversa rappresentazione critica del-l’influenza pletoniana sulla nascita del Neoplatonismo fiorentino, tale per cui non sipuò dare, con disinvolta sconsideratezza e scontatezza, la paternità assoluta ai toscani.

Pletone fin da giovane diventa rapidamente un famoso intellettuale bizantino ma,ciò che a noi importa, giunge in Italia. Ci arriva nel 1438 al seguito del corteo di Gio-vanni VIII Paleologo, Imperatore di Bisanzio, una Bisanzio ridotta ai minimi terminiper colpa degli Ottomani che si espandono verso l’Europa con preoccupante rapidità.L’Impero di Bisanzio fin dall’inizio del ’400 voleva un Concilio di religiosa comunionetra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente. Alla fine Giovanni VIII ci riesce, ma, in re-altà, la ragione vera del suo riconciliarsi con l’Europa cristiana era appunto l’Imperoottomano che pressava rissosamente sulla Grecia.

Il Concilio inizia a Ferrara, poi si trasferisce a Firenze, con la scusa di un’epidemiascoppiata appunto a Ferrara. È ormai assodato che ci sia stato lo zampino di Cosimoil Vecchio, vero padrone di Firenze. Questa è l’altra figura imponente nella nostra vi-cenda, senza la quale Pletone sarebbe veramente scomparso dalle scene della storia.Quest’ultimo, eminente studioso di filosofia greca e non solo, arriva a Ferrara, parte-cipa a qualche riunione del Concilio, si annoia presto e comincia a girare tra il 1438 eil 1439 per varie città e cittadine del centro Italia, con giovanile prestanza, aveva ben83 anni, tenendo infervorate ed entusiasmanti conferenze sulla filosofia greca. Si devericordare che la filosofia greca era conosciuta in Italia sulla base di opere tradotte davarie lingue e con rilevanti storpiature e manomissioni del pensiero originale deigreci. Dire che Pletone era un platonico è riduttivo. La sua cultura enciclopedica loportava a curiosare in campi non solo filosofici ma anche misterici, fu studioso discritti zoroastriani, orfici e pitagorici e nessuno ci può impedire di credere che pro-prio da lui scaturisca l’interesse quasi morboso di Ficino e Pico per tali materie eso-teriche e magiche, pur rifiutando l’occultismo, guarda caso proprio come Pletone.

Gemisto, neoplatonico convinto, aveva diversi chiodi fissi oltre al platonismo, unodi questi era convincere tutti di costituire delle Accademie platoniche in ogni dove,come aveva fatto a casa sua, e di ciò infarciva ogni sua conferenza con insistenza quasi

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ossessiva. Le sue conferenze, non è difficile immaginarlo, avevano un gran successoper gli avidi toscani, desiderosi di cultura e modernità. Pletone era studioso di reto-rica e quindi sapeva certamente infiammare l’uditorio, ma ciò che più importa è chedoveva avere un potente potere carismatico al punto che …

Ecco, nella nostra disamina appare un altro personaggio, altrettanto clamoroso ecarismatico: Cosimo il Vecchio, potentissimo banchiere a livello europeo ed eminenzagrigia di Firenze che sagacemente governa per interposte persone, le classiche testedi paglia. Cosimo, gran curioso di tutte le novità culturali che possono favorire il suopotere, partecipa alle sue conferenze e, stante l’indubbio interesse per la cultura eper l’arte oltre che per il denaro, si entusiasma anche lui. Da gran imprenditore e sot-tile politico capisce che creare un’Accademia a Firenze avrebbe portato alla sua fa-miglia un enorme prestigio e anche alla città, nello spirito della virtus di un capo distato, come perorata dal Machiavelli.

Il Concilio di Firenze nel 1439 si chiude con formali attestazioni di unità delleChiese, però mai realizzate per l’opposizione del clero greco ma anche latino. Gio-vanni VIII Paleologo torna in Grecia e con lui Pletone che continua infaticabile i suoistudi e muore nel 1452 all’età di 97 anni, come a dire che studiare allunga la vita.

Nel frattempo Cosimo, avviando l’Accademia fiorentina aveva chiamato da Bolo-gna un giovane di belle speranze e d’indubbia cultura, un tal Marsilio Ficino, affidan-dogli l’incarico di tradurre tutti i libri possibili, specialmente di Platone, di cui avevasentito parlare Giorgio Gemisto. Ficino non incontrò Pletone, ma ci racconta dell’en-tusiasmo di Cosimo per l’ultimo “ellenico”. Infatti, dopo qualche anno, scrive nel-l’Introduzione a Plotino: [Cosimo] udì spesso un filosofo greco di nome Gemisto parlare,come un altro Platone, dei misteri platonici [...]. Cosimo fu [...] così ispirato, così profonda-mente conquistato che, da quel momento, concepì nella sua mente una Accademia da creare allaprima occasione favorevole.

Per problemi politici poco dopo Cosimo è costretto all’esilio facendo scrivere alMachiavelli: rimasta Firenze vedova d’uno tanto cittadino e tanto universalmente amato, eraciascuno sbigottito; e parimente quelli che avevano vinto e quelli che erano vinti temevano(Istorie fiorentine IV, 30).

Gli succede poco dopo Lorenzo de’ Medici, suo nipote. Se Cosimo amava la cultura,ma ne faceva uso strumentale a fini politici, Lorenzo amava la cultura per se stessa ela considerava come ovvio patrimonio di un governo potente e moderno. Proseguel’impresa dello zio, porta Firenze al suo massimo splendore politico, economico e ar-tistico ed ovviamente dà ulteriore slancio all’impresa culturale che sarà chiamata “Ac-cademia di Firenze”. Siccome lui nella cultura ci crede veramente e siccome è un abilepolitico, coglie un’occasione geo-politica. Avviene che gli Ottomani conquistino Bi-sanzio e i suoi territori. Da lì fugge una gran quantità di uomini di cultura verso l’Ita-

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lia portandosi appresso manoscritti e opere d’ogni sorta. Lorenzo acquista da costorotutto il comprabile. Non appagato, immediatamente manda emissari a Bisanzio, intutta la Grecia e dove era necessario per comprare tutti i libri possibili prima che imussulmani li distruggano, forse ricordando l’incendio della Biblioteca di Alessan-dria, anche se gli Ottomani non erano poi dei musulmani così radicali ed incolti cometemuto. Arriva a Firenze una gran quantità di opere d’ogni materia, testi inediti o giàconosciuti ma ora in corretta versione originale, di filosofia greca antica ed ancheopere arabe, ebraiche, persiane e d’altre culture totalmente sconosciute all’Occidente.

Ficino avvia ed organizza una ciclopica impresa di traduzione di queste opere.Marsilio è oberato di lavoro e a lui si affianca un altro traduttore d’enciclopedica va-lenza, Giovanni Pico della Mirandola, eccezionale giovane di grandi capacità lingui-stiche e potenzialità di pensiero. L’Accademia incomincia a marciare a gran passo enasce il Neoplatonismo fiorentino rinascimentale che si propagherà in tante formeper tutta l’Europa nei secoli successivi, tanto che ancora oggi ci sono correnti cultu-rali che ad esso si richiamano.

A questa massa di documenti, libri, manoscritti, come detto, si aggiungono quelliraccolti in Sicilia e poi donati a Venezia (avviando la famosa Biblioteca Marciana) daBasilio Bessarione nel 1468 e che sicuramente furono consultati anche dai neoplato-nici fiorentini. Bessarione è un altro personaggio d’importanza fondamentale per lastoria di Pletone. Tutti considerano Bessarione, e sicuramente lo fu fino alla fine, undiscepolo di Pletone. Moreno Neri ci ricorda che Bessarione faceva parte dei circa set-tecento eruditi della corte imperiale bizantina al Concilio e che costui, durante e dopola conquista turca di Bisanzio, essendo Archimandrita di Messina e Barone della Terradi Savoca (presso Messina), raccoglie una gran quantità di libri e testi antichi salvatida monasteri e chiese greche, costituendo un’imponente biblioteca. Per tutta la vitadi Pletone tesse una fitta corrispondenza con lo stesso e in molte occasioni lo difendeda attacchi politici e culturali, insomma un vero amico e discepolo come pochi se nevedono ancor oggi.

Sono costretto ad affermare che non sono pochi i Massoni che credono, per man-canza d’informazione, che il Neoplatonismo fiorentino sia frutto esclusivo degli ita-liani, quasi ci fosse stata, a sé stante, una loro illuminazione. Se poi consideriamo chequalcuno avanza pure l’ipotesi che il pensiero massonico sia direttamente derivato daquesta corrente rinascimentale, è necessario rimettere le cose a posto e dare a Pletonee a Bessarione, ciò che a loro spetta, cioè la paternità del sorgere della cultura neo-platonica rinascimentale italiana. A questo Moreno Neri dà una messe di documen-tazione che è un godimento leggere per chi non ama i luoghi comuni. Potrei dire chea fronte di chi dà paternità sulla base di somiglianze fisiognomiche, Moreno fa unascientifica analisi del DNA sulla biologia del Neoplatonismo fiorentino.

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Mi fermo un momento per chiedermi, retoricamente: si poteva immaginare che unriminese prima o poi non si sarebbe innamorato del Tempio Malatestiano al punto discriverci un libro? Ovviamente, sì. E siccome il riminese è pure Libero Muratore, fa unponderoso studio sui riferimenti architettonici ed artistici che richiamano i simboli-smi esoterici di grande interesse massonico. Nel tempio c’è una tomba particolare sulcui sacello si legge:

QUEL CHE RESTA DI GEMISTO DI BISANZIO PRINCIPEDEI FILOSOFI DEL SUO TEMPO / SIGISMONDO PANDOLFO

FIGLIO DI PANDOLFO MALATESTA DURANTE LAGUERRA CONTRO IL RE DEI TURCHI / SPINTO DAL GRANDE

AMORE DI CUI ARDE VERSO I SAPIENTI / ORDINÒ FOSSEPORTATO IN QUESTO LUOGO E QUI MURATO NEL 1465.

Le vicende rinascimentali sono talmente complesse ed intrecciate, specie in Italia,che è difficile darne una visione sequenziale, quindi rimando a dopo il perché dellatomba e della scritta.

Il riminese, forse incuriosito dalla tomba di Pletone se la studia e s’appassiona. Inpratica incomincia un ficiniano imponente lavoro di traduzione e commento alle nu-merose opere greche di Pletone, scoprendone i policromi interessi e profondità dipensiero. Tal riminese e massone è ovviamente Moreno Neri, noto anche per i suoiscritti in campo strettamente massonico.

La lettura del Trattato delle virtù di Gemisto Pletone, in greco con sua traduzione afronte e suoi commenti e note, è facile quanto appassionante, È necessario dire, cheil Fr. Moreno non è nuovo alle indagini su questo personaggio, avendo già pubblicatoGiorgio Gemisto Pletone / Delle Differenze fra Platone ed Aristotele (traduzione e cura di Mo-reno Neri, Raffaelli Editore, Rimini, 2001) ed anche Giorgio Gemisto Pletone - De differen-tiis (sempre a sua cura, stesso editore, luogo e anno). Insomma questo Trattato dellevirtù di Gemisto è affrontato da un ben altro che sprovveduto entusiasta del Neopla-tonismo ellenico ed infatti l’Introduzione, di agile lettura, si abbina ad un apparato dinote di tale approfondita scienza da far girare la testa ad un lettore di media cultura;note però indispensabili alla comprensione di un testo e di un Autore quasi misco-nosciuto (in realtà conosciuto da molti e ancor meno dagli italiani).

È curioso notare che il Fr. Neri, con enigmatica efficacia, mostri, nell’Introduzionecome il complesso e complessivo pensiero di Gemisto abbia delle incredibili asso-nanze con il tradizionale pensiero massonico. Infatti, ci dice a proposito di Pletone cheera convinto che solo la più chiara e assoluta conoscenza della verità potesse trarre gli uominidalla confusa incertezza e dal contrasto di opinioni dogmatiche, Gemisto si richiamava ad

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un’antichissima verità, comune a tutto il genere umano e pura da ogni contaminazione inno-vatrice, e tale tradizione illustrava in una dottrina, che certo doveva restare necessariamenteesoterica e schiusa a una ristretta élite, con la sua concezione di un universo immutabile edeterno, sempre esistito e che sempre esisterà, con la sua idea dell’anima umana, pre-esistente,immortale e celeste e, in quanto tale, simile agli dèi e capace di congiungersi ad essi. E al fondodel suo pensiero restava la previsione del ritorno all’unità originaria e universale di ogni sapere,chiuso il tempo funesto delle divisioni, dei dogmi e delle credenze, che trovasse la sua espres-sione nel culto comune dell’eterno universo divino (p. 12).

Se tutto ciò non è lo specchio appannato ed antico del pensiero massonico che ilFr. Neri lucida per noi …

Abbiamo i concetti essenziali della Massoneria: la Verità, la Tradizione, l’Antidog-matismo, l’Universalità del sapere e della conoscenza, l’Esoterismo, l’Élite pensante,l’immutabilità sacrale del Cosmo, la concezione religiosa fondata sul senso del Sacropiù che sulla chiesa, la visione di un Ente metafisico da tutti venerabile senza distin-zioni di storiche credenze. Tale senso del sacro, che i massoni non possono che ac-cettare pienamente, è ben rappresentato nella sintesi delle parole del Fr. Neri: perPletone: Le religioni in un certo qual modo rappresentano i rami di un albero, l’esoterismo ilsuo tronco e l’antica sapienza la sua radice: quanto le prime più se ne allontanano, tanto essesono più distanti dalla verità (ivi).

Certo, qualcuno con facilità potrà obiettare che il pensiero massonico, in quantouniversale, trova i suoi richiami dovunque e in qualunque tempo. Lo ammetto, peròè sempre confortante trovare a questa tesi ulteriori conferme, meglio una in più chenulla.

Dal Fr. Neri veniamo a sapere che della vita di Gemisto dobbiamo riferirci a testi-monianze indirette, plurime e discordanti sui riconoscimenti da dare all’Autore. Ge-misto aveva un’evidente avidità di sapere che non s’interessava da dove la conoscenzapotesse arrivare e dove potesse portare. Suo maestro fu un ebreo, Elisseo, che lo in-trodusse non solo ad Aristotele ed Averroè, ma anche a Zoroastro ed altri maestri del-l’antichità e del pensiero esoterico. Probabilmente Elisseo fu un Sufi e sono note leinfluenze del Neoplatonismo ellenistico sul Sufismo della prima epoca. Ciò influenzòil pensiero pletoniano anche sul piano dell’universalità del sapere esotericamenteconservato e tramandato da una catena di maestri. Sembra quasi di sentire, moltotempo dopo, le concezioni di Lessing ed Herder sulla Massoneria, quale ambito me-tastorico del sapere universale umano; precisando che queste concezioni esoterichedi Pletone si svolgono sul piano prettamente spirituale ed universale, così come laMassoneria era predicata dai due tedeschi.

Pletone, da giovane, per diversi anni studia nell’Impero Ottomano e la sua diventa,a fronte di tante sollecitazioni disparate, una visione tollerante delle religioni, anche

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se poi cerca una propria ricomposizione religiosa, priva d’ogni sincretismo, in unasorta di paganesimo d’ispirazione greco-antica, motivo per cui fu fortemente osteg-giato da certi cristiani intolleranti. Pletone nei primi del 1400 decide di tornare dal-l’Impero ottomano in Grecia e, alla corte bizantina, diventa rapidamente ricercato estimato. Le sue idee ed insegnamenti però non piacciono al clero cristiano e l’impe-ratore, per salvaguardarlo, lo manda con un fittizio ma importante incarico a Mistrà,in Morea, l’attuale Peloponneso. Mistrà per Pletone non è certo un triste esilio, anzilì rafforza la sua fama e si fa consigliere politico oltre che culturale dei regnanti dellaMorea d’allora che lo apprezzano grandemente. Mistrà era anche la seconda capitaledell’Impero bizantino, ormai allo sfascio, e più sicura di Bisanzio.

Pletone non era certo il tipo di erudito recluso nella sua stanzetta immerso tra ilibri, anzi è vivacemente partecipe della vita sociale e politica e proprio in questo pe-riodo redige non pochi scritti politici rivolti ai regnanti sotto forma di Raccomanda-zioni, suggerendo riforme sociali e politiche ed anche militari, tra loro connesse, peril rafforzamento dell’Impero. Purtroppo la ragione non è parente della politica ed isuoi consigli non hanno molto seguito, pur se gli portano per ammirata benevolenzaimperiale un cospicuo patrimonio in terre. Insomma lo stesso Pletone, che per so-pravvivere si era fatto mantenere da Elisseo, ora è più tranquillo; ma solo economi-camente, infatti il suo pensiero è più irruente che mai. Mistrà favorisce il suo pensiero;lì è felice, a due passi da Sparta si sente nel cuore dell’antichità greca e, involontaria-mente o no, decristianizza il suo pensiero volgendosi ad un politeismo poetico e na-zionalista. Nelle sue opere su tale questione, scritte proprio a Mistrà, troviamo,saltando qualche secolo, la sconcertante assonanza con il pensiero di J.G. Herder, digrande innovazione linguistica nel Settecento, sui linguaggi e valori culturali popo-lari come fondamento dell’unità nazionale, gli stessi appunto che ispirarono Pletone.Dunque nulla di nuovo sotto il sole della cultura. O forse un esoterico collegamentotra maestri che si svolge nei secoli, come Pletone credeva avvenisse. I libri non sonosolo la trasmissione d’un sapere, collocato dentro le parole e frasi scritte seppur amano, i libri trasmettono molto di più: lo spirito della conoscenza che dentro la sa-pienza si cela. Per questo un qualunque libro potrebbe essere rappresentato come lospecchio che in primo piano mostra l’evidenza circoscritta, ma anche lo sfondo, il pa-norama sfumato da cui quell’evidenza riceve senso e significato. Così come una donnabella e vanesia nello specchio vede solo il suo viso, ignorando la povera stanza riflessasullo sfondo, così tanti vanesi epigoni del Neoplatonismo fiorentino ignorano gli ampispazi della cultura del ’400 dietro l’evidenza d’un unico scritto pichiano.

Con spirito rinascimentale Pletone spende di suo per fondare scuole e pagare in-segnanti e lui stesso si dedica alla didattica con passione. Continua la sua attività pub-blica e non perde occasione per dare consigli all’Imperatore, persino in occasione

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dell’Orazione funebre per Cleopa, moglie di Teodoro, non si esime dal farne un appello po-litico, mescolando filosofia e politica; come dire, ogni occasione è buona per il benedello Stato. Curioso ed erudito come pochi scrive d’astronomia, suo è il Manualed’Astronomia, l’unico trattato astronomico bizantino realmente accurato, anche quicon senso dello Stato. Dice infatti il Fr. Neri: Pletone concepirà l’organizzazione dello Statocome un riflesso della gerarchia celeste. Gli scritti politici di Pletone toccano tutti gliaspetti cruciali dell’organizzazione dello Stato ed afferma una sorta di monopolio sta-tale della produzione. Sempre il Fr. Neri: ciò che si cerca è una produzione intensiva diretta-mente controllata dallo Stato affinché i benefici vadano a vantaggio del bene comune e nonsolo del semplice benessere individuale (p. 69) e poi trovava rifugio in un sistema protezioni-stico, chiuso e autarchico (pp. 71-72). Verrebbe da chiedersi se Fichte avesse letto Pletonescrivendo il suo Lo stato commerciale chiuso.

Il già citato Bessarione fu l’unico che accettasse le idee politiche ed economiche diPletone, per gli altri queste erano troppo radicali, troppo razionali per trovare con-sensi politici.

Si arriva agli anni ’40, iniziano le estenuanti trattative tra Bizantini e Romani perun Concilio di fratellanza tra le Chiese occidentale ed orientale. Malgrado le opposi-zioni d’ambo le parti, il 1438 è la data d’inizio del Concilio. L’Imperatore parte per Fer-rara e Pletone con lui, pur poco convinto; non per l’età, che a lui non doveva pesare,ma per l’intima convinzione dell’inutilità dell’impresa, come dire che il pensiero stra-tegico dell’intellettuale è superiore a quello tattico del politico.

Torniamo in Italia, il Concilio si apre, Pletone assiste senza parlare in quanto laico,poi durante una riunione, forse infastidito ed annoiato dalle insulse sofisticazioni sco-lastiche, esplode in un lungo intervento di stringata e lucida logica appoggiandosi aitesti originali e confutando i testi greci contraffatti dai latini. Tutti rimangono di sassoed il suo nome si sparge per tutta Firenze. Neri ci fa sapere che la sua notorietà nondipese solo da tale intervento, infatti i sapienti bizantini presenti al Concilio si con-sultavano spesso con lui per aver consigli e suggerimenti per i loro interventi conci-liari e, pare, anche qualche cristiano d’Occidente. Alla fine Pletone diserta le riunioniconciliari per incompatibilità culturale col clero conterraneo ed irritato per l’inca-pacità dello stesso di comprendere le ragioni di stato che richiedevano un’alleanzaanti-turca coi latini, pur se lui stesso su questa alleanza aveva profonde riserve. L’im-peratore troppo preso dal Concilio lascia liberi i consiglieri laici e Pletone, ben felice,ne approfitta spendendo il suo tempo in contatti con i circoli culturali italiani. Infattiai margini del Concilio erano numerosi i seminari di filosofia, arte e letteratura. PerPletone è un tripudio di conoscenze e contatti in cui si getta con entusiasmo giova-nile, nonostante gli ottant’anni suonati. Davanti agli scolastici aristotelici latini la suacultura platonica lo metteva in bella e ricercata mostra. Insomma il clima culturale

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conciliare era tale da poter dire che a Firenze era scoppiata una vera e propria rivo-luzione culturale. Ma si sa che la rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’operaletteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tran-quillità e delicatezza. Le discussioni erano a dir poco vivaci, in realtà ci si azzuffava abotte di erudite citazioni e sofisticati ragionamenti. Però Pletone, oltre all’erudizioneed al carisma, aveva dalla sua una quinta colonna: gli eredi spirituali di Petrarca, uma-nisti platonizzanti ed ellenisti, raccolti attorno a Leonardo Bruni, traduttore di Pla-tone, e ad altri del calibro di Traversari, Vergerio, Poggio, Valla, Alberti e NicolòCusano. Pletone con la conoscenza dei testi originali greci entusiasma e soggioga icolti italiani. Non si creda che Pletone passasse tutto il suo tempo in conferenze e di-scussioni. In occasione di un’influenza, quasi come Marx che durante una polmonitesi riposava traducendo dal greco e latino, proprio a Firenze, dove s’era trasferito ilConcilio, scrive il suo trattato Delle Differenze fra Platone ed Aristotele e poi ridotto nel ti-tolo a De Differentiis.

Da sempre platonici ed aristotelici si erano confrontati animatamente con la vit-toria dei secondi, ma ora le nuove conoscenze di Platone portate a Firenze da Bisan-zio e divulgate da Pletone, riaprono la disputa, ora però ad armi pari, anzi forse perla novità e modernità delle nuove concezioni, i platonici hanno la meglio. Inizia lafine ultima della Scolastica e la necessità di riconsiderare tutta la filosofia aristotelicasecondo altri angoli di visuale. Con Pletone si avvia l’era di un nuovo modo di farestoria della filosofia, in senso critico ed ermeneutico, senza piatte accondiscendenze,acritiche e rigide alle malfatte traduzioni dei filosofi classici. Valla, che partecipa alleconferenze di Pletone, sicuramente ha straordinarie conferme della validità del suofare filologia ed ermeneutica dei testi antichi.

Un esempio dello straordinario clima d’innovazione culturale che si vive in quelmomento a Firenze è un’altra opera di Pletone, questa volta di geografia. Egli ha con-tatti pure con Paolo Toscanelli, illustre scienziato di fisica e matematica. Pletonescrive un’opera in due parti, la prima Sulla forma del mondo disabitato, un sommariodella Geografia di Strabone, e la seconda intitolata Correzioni di alcuni errori commessi daStrabone.

In quel calderone culturale di Firenze del 1438/39, purtroppo non sono rimasteinformazioni precise sulle conferenze di Pletone, né lui ne lasciò traccia, a parte quelDe differentiis, che era un sommario di platonismo anti-aristotelico scritto ad uso econsumo dei toscani. Questa è certamente la ragione del dimenticarsi di questo stra-ordinario personaggio che scriveva di storia, geografia, astronomia, musica, poesiaomerica, persino medicina, ma anche cronologia, grammatica, retorica ed ovviamentefilosofia. A riparare a tutta quest’ambigua smemoratezza si dedica da qualche tempocon passione e nostra soddisfazione il Fr. Moreno Neri, con il non troppo segreto in-

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tento di tradurre e commentare l’intera opera omnia di Pletone, forse volendo anchelui arrivare a 97 anni.

Alla fine del Concilio Pletone torna a Mistrà e passa gli ultimi anni a scrivere inde-fessamente. Scrive di musica, commenta gli oracoli zoroastriani, ricomincia a tempe-stare i regnanti di lucidi e razionali consigli di riforma statale e sociale, le cui ideesono raccolte nel Trattato delle leggi, opera d’estrema complessità e profondità oveespone in maniera dettagliata tutte le sue concezioni filosofiche, metafisiche e antro-pologiche. Il Trattato successivamente cade nelle mani del suo più accanito oppositoreche, dopo la morte di Pletone, lo brucia pubblicamente, scandalizzato dalle tesi teo-logiche dichiaratamente neo-pagane; ma di quest’opera si sono salvati numerosi fram-menti che danno la precisa idea della sua rilevanza culturale. Il Fr. Neri ci offre unasintetica ed esaustiva esposizione d’estremo interesse, considerato il percorso paral-lelo rispetto alla teologia cristiana dell’innovativo pensiero pletoniano sulla divinità.

Il nostro acuto commentatore ci mostra inequivocabilmente come spetti a Pletonela primogenitura della ‘prisca sapientia’ o ‘theologia’, vale a dire quella genealogia di anti-chi teologi e legislatori che conduce direttamente dai maestri primordiali diritto fino ai giorninostri. Fu Pletone il primo a presentare quest’idea di ‘lignaggio’, di Tradizione/trasmissione(pp. 116-117), che è stata indebitamente assegnata a Marsilio Ficino. Aggiungendo,sempre Neri: È importante qui comprendere che Pletone getta il seme di quell’idea di una Tra-dizione continua e perenne della verità così influente e potente, ad esempio, nell’istituzione didiversi ordini iniziatici e di ogni dottrina esoterica in genere, aspirante a quel ritorno all’unitàoriginaria di ogni sapere che trova la sua espressione in pochi e comuni princìpi e simboli cherestano necessariamente esoterici. Per Pletone, infatti, le vere dottrine sono coeve all’universoe all’uomo, anche se a volte esse prevalgono su molti popoli e a volte su pochi. Sotto il profilo es-soterico, il pensiero platonico non è altro, in fin dei conti, che ‘il’ pensiero filosofico (o teologico)[…] Egli impone perciò la distinzione tra verità e credenza, uno dei tratti caratteristici del Ri-nascimento umanistico che imprimerà una svolta nell’indagine religiosa (pp. 117 ss.).

Pletone negli ultimi anni della sua vita è costretto a difendersi dagli attacchi deglioppositori al suo pensiero e dagli aristotelici infuriati per le lucide critiche all’Ari-stotelismo dogmatico. Con fermezza, che potremmo dire “spartana” (Gemisto vivevaproprio a pochi chilometri dalle rovine di Sparta) egli risponde a tutti con una luci-dità incredibile per la sua veneranda età; ma non solo, continua a dirigere la sua scuolaplatonica, anche lì rintuzzando alcune critiche mossegli da suoi studenti.

Per sua fortuna muore senza aver visto la sua città natale, Costantinopoli, caderenelle mani dei turchi.

Si può con certezza dire che le vicende italiane di Pletone non finiscono. C’è unaltro strano personaggio, a quell’epoca se ne trovavano spesso, Sigismondo Malate-sta, avventuriero, piccolo nobile di provincia e grande amante del Platonismo, che in

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occasione dell’ultima sua impresa bellica giunge a Mistrà, nel Peloponneso, e di na-scosto dai turchi, febbricitante di malaria e rischiando la vita, s’introduce furtiva-mente in territorio turco al solo scopo di rapire un mucchietto di ossa, ma ossa cheper lui erano vere e proprie reliquie sacre. Insomma, trafuga le spoglie di GemistoPletone e le porta a Rimini, sua città. Come ogni buon signore rinascimentale, Sigi-smondo teneva molto alla cultura e ci investiva molto anche di suo, a differenza dioggi. Aveva fatto costruire l’eccezionale Tempio Malatestiano ed ivi tumula le ceneridi Gheòrghios Ghemistòs, che ancor oggi possono essere visitate.

Neri, da appassionato riminese ci offre un quadro di Sigismondo Malatesta esal-tante, cosa che possiamo accettare con affettuosa comprensione e gratitudine, dan-doci puntuali conoscenze di un Sigismondo per certi versi maltrattato da una certastoriografia chiesastica e per altri riduttivamente ricordato solo per l’eccelsa costru-zione del suo Tempio. Egli invece ce lo mostra anche nei suoi variegati aspetti di guer-riero e di politico, di amante dell’arte e della cultura (nella sua cerchia accademicariminese, che operava sotto il nome di Parnaso, considerata la prima di cui si abbianotizia in Italia), insomma d’uomo di terra e di cielo, così simile ad un daymio giap-ponese della stessa epoca.

Ci sovviene una questione che non è solo culturale ma anche massonica, viste certeavventure culturali della Massoneria sul Rinascimento. Che rapporto c’è tra Masso-neria e Neoplatonismo rinascimentale? Il Fr. Neri ci giunge in aiuto con poderose armidi scientifica conoscenza e lascio ai lettori l’ovvio giudizio.

Certo, il Neoplatonismo fiorentino di un Ficino e di un Giovanni Pico hanno la loroimportanza, per carità, nulla da togliere a loro, ma talvolta si dimentica che certi per-sonaggi non sarebbero mai assurti a universale conoscenza se qualcuno non li avessecostretti ad essere ciò che furono. Come dimenticare Michelangelo che sotto terribilied irose pressioni d’un Papa d’indubbio caratteraccio, almeno uguale a quello di Mi-chelangelo, forse mai avrebbe dipinto la Cappella Sistina? Forse che Cosimo il Vec-chio ha meno merito di Ficino e Pico? Se si ammettesse ciò si farebbe un disastrostorico. Ma, a sua volta, avrebbe mai Cosimo avuto l’idea di costituire un’Accademiaplatonica senza le sollecitazioni di un Pletone? Allora, sono Ficino e Pico gli arteficidel Neoplatonismo fiorentino o invece sono solo gli esimi ed ottimi costruttori, a mo’di tanti capimastri che costruirono sotto il disegno di eccellenti architetti, d’una cat-tedrale del pensiero che più che italiano è universale? Un lavoro d’ermeneutica noninutile sarebbe il verificare di quante delle loro concezioni filosofiche e culturali Fi-cino e Pico siano direttamente debitori di Pletone (Fr. Neri, intelligenti pauca).

Per troppi secoli la cultura occidentale è rimasta a guardare il proprio ombelico(Roma) dimenticando che l’umanità ha tante madri e tanti ombelichi, tra cui la cul-tura bizantina. Quello di Moreno Neri, è un appassionato appello a guardare oltre gli

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schermi di un film costruito per secoli da una potente major dell’arte comunicativa,che ancora influenza la cultura italiana, nel bene ma anche nel male. Ma lui, Neri,scardinatore di luoghi comuni, osserva che altrettanto fu per la cultura bizantina,chiusa in se stessa quanto le altre e che, per opera d’un vecchio caparbio, scopre sestessa e la cultura occidentale e Pletone si fa araldo del grido di sofferenza di una cul-tura che rischia il silenzio sotto la pressione ottomana e ancor più, senza accorger-sene, sotto la rasente invasione d’un pensiero induista, affascinante e dalle polimorfecapacità, trasportato sulla strada della via della seta, nell’incomprensione delle suetroppo profondità metafisiche, poi viene ridotto, riassorbito e trasmutato a pensierolaico, d’umanesimo secolarizzato.

Un sociologo direbbe che nel 1438 inizia un processo d’acculturazione che sotto-pone ad autocritica i propri inviolabili schemi culturali e che influenza ed è influen-zata, senza riuscir a capire qual è l’ordito e qual è la trama; piuttosto stupisce checerti sociologi ignorino tutto ciò e si lancino in azzardate ipotesi di semplice unidi-rezionale inculturazione.

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ALBERTO SAMONÀBent Parodi. Tradizione e assoluto. Il pensiero di un uomo universaleTipheret, Acireale-Roma, 2011, pp. 120, € 10,oo

di Federico d’Imera

Conoscere un uomo attraverso i simboli tradizionali di cui ha sempre scritto. Co-noscere i simboli attraverso la vita di quest’uomo. Questa doppia possibilità sembradelinearsi in modo perfetto in Bent Parodi di Belsito, giornalista, scrittore, studiosodel mondo delle religioni e della via iniziatica, scomparso nel 2009, al quale AlbertoSamonà ha dedicato il volume dal titolo Bent Parodi. Tradizione e Assoluto, uscito dapoco per Tipheret.

Il libro di Samonà – giornalista e scrittore siciliano, ma soprattutto principale in-terprete del pensiero di Bent Parodi – consente adesso di mettere a fuoco l’idea-forzache è alla base di tutta la produzione culturale di questo grande studioso, che, a benguardare, ha come linee direttrici la Tradizione e la necessità che l’uomo sia in ar-monia con le leggi dell’Assoluto. Tutti ricordano Bent Parodi, oltre che per le decinedi libri pubblicati su argomenti legati al mito, all’esoterismo e alla via iniziatica, ancheper la sua frenetica “attività” di instancabile conferenziere in tutta la penisola e peraver ricoperto per anni la carica di Grande Oratore Aggiunto del GOI. Nella sua equa-

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zione, non vi è dicotomia fra vita e via interiore, perché per lui l’uomo e l’Assolutosono i cardini di ogni vera indagine. L’invito rivolto a chi è in cerca della verità è per-ciò di scavare incessantemente in se stesso e nell’universo, nella considerazione chela possibilità di vivere l’iniziazione sia data a tutti coloro che hanno in sé un sincerodesiderio di conoscenza.

La via che egli individua – e che il libro sottolinea – per poter oltrepassare le portedella conoscenza ordinaria e arrivare alla comprensione del Tutto è l’iniziazione, at-traverso la quale l’essere umano è posto nella condizione, non di conoscere razional-mente l’oggetto della propria ricerca analizzandolo dall’esterno, ma di vivernel’intima essenza, divenendo unica realtà con esso. Conoscenza-conoscitore-conosciuto, pertanto, divengono ambiti di un trinomio inscindibile, che Samonà mettecorrettamente a fuoco, indicando in esso un cardine del pensiero parodiano.

Nel libro (pubblicato dalla casa editrice siciliana nella collana “I grandi iniziati”),viene posto l’accento su due elementi fondamentali della visione di Bent Parodi: l’eso-terismo sociale e l’aristocrazia dello spirito. La definizione di esoterismo sociale, secondol’accezione parodiana assume un carattere che va ben al di là della semplice filantro-pia, basandosi sulla consapevolezza che la via iniziatica tradizionale non sia destinataa confinare l’individuo in una solitudine individualistica, ma si estrinsechi attraversola naturale relazione con l’altro, nella comune con-divisione di un destino. E dunque,l’esoterismo sociale può essere perfettamente sovrapposto al valore della Fratellanza,che tutti gli esseri viventi sono chiamati a vivere perché sottoposti alle medesimeleggi e figli della medesima volta stellata.

L’altro dato fondante, quello dell’aristocrazia dello spirito, non ha in Parodi un’ac-cezione legata al censo o alla condizione sociale, ma rappresenta la possibilità diun’unione mistica e “sottile” fra coloro che sono in cerca della verità, nella conside-razione di come sia necessario individuare nel mondo quegli spiriti affini, accomunatidall’indagine in se stessi e nell’universo.

Il volume affronta, poi, le tematiche del Sacro nelle sue differenti espressioni, af-frontando i concetti di spazio e tempo, il valore che l’amore ha per gli iniziati, l’im-portanza di una reale comprensione del mito, del rito e del simbolo e la sfida diun’evoluzione interiore in questo mondo, sempre più meccanico e addormentato.Non mancano riferimenti alle grandi religioni pre-cristiane e alla ricerca filosofica,con particolare predilezione per i filosofi greci e per Nietzsche.

Un libro, scritto con grande competenza esoterica, testimoniata anche dalla cor-posa bibliografia e dai molteplici riferimenti alle diverse espressioni occidentali eorientali della Tradizione, ma scorrevole e di facile lettura.

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