Date post: | 22-Oct-2015 |
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I LIUTI NON EUROPEI
Cenni sull’origine e l’evoluzione dei liuti a pizzico
B.J.Kakos
2
I LIUTI NON EUROPEI:
Cenni sull’origine e l’evoluzione dei liuti a pizzico
Introduzione
L’uomo antico non ha fatto altro che coprire una piccola parte di quel settore assai vasto che si
chiama scienze e arti. S’interessava soprattutto di migliorare la conoscenza che già possedeva e si
adattava alle condizioni di vita, invece di scoprire cose nuove che avrebbero cambiato
radicalmente tali condizioni. Tuttavia, entro i suoi limiti, i successi riguardanti la tecnica e l’arte
erano analoghi a quelli dell’uomo moderno. Il pubblico d’oggi rimane affascinato di fronte alle
testimonianze materiali che dimostrano l’abilità dell’artefice. Le sue capacità erano confrontabili (se
non uguali) a quelle del collega moderno. Dall’altra parte, lo studioso mette in evidenza il fatto che
l’uomo antico aveva un’istruzione tecnica puramente empirica dalla quale mancavano i fondamenti
scientifici che costituiscono la garanzia della produttività della nostra epoca. L’uomo semplice
rimane stupito solo perché ha la tendenza di alterare la storia, attribuendo al suo antenato qualche
conoscenza mistica i segreti della quale sono stati persi. Lo studioso, al contrario, è analitico,
razionale e rigoroso nelle sue conclusioni perché solo così può notare il vero valore delle cose.
L’uomo antico svolgeva degli esperimenti, e sotto tale aspetto, compieva l’esigenza fondamentale
della scienza. Quando però trovava il modo di fare quello cui mirava, si fermava rimanendo
soddisfatto dal risultato senza andare oltre. Questo vuol dire che formulava una regola riguardo
quello che doveva fare in modo tale da poter ripetere l’operazione con successo e se ciò non
accadeva, era la parola di Dio che lo impediva. L’uomo moderno, invece, compendia gli
esperimenti attraverso una formulazione scientifica e non ha bisogno dell’intervento divino.
Con queste parole, Sir Leonard Woolley, l’archeologo e scavatore inglese che scoprì l’antica città
mesopotamica Ur, apre il capitolo dedicato alle scienze e arti nell’Era di Bronzo nel secondo
volume della “Storia dell’umanità” dell’UNESCO. Una delle scoperte più interessanti, svolte da
Woolley, erano le 1800 tombe reali. Alcune di queste contenevano oggetti d’inestimabile valore e
importanza come la famosa lira d’oro con la testa di toro barbuto, trovata nel 1929. L’oggetto ha
circa 4550 anni e si pensa che la data di costruzione sia precedente della Grande Piramide di
Cheope a Gizeh. La lira, oggi restaurata, è custodita nel National Museum of Iraq a Bagdad,
(fig.1).
Le origini
La storia dei cordofoni a pizzico è ovviamente assai più vecchia del suddetto reperto ma per
quanto riguarda le origini, l’argomento è ancora aperto. Arpe, lire e vari liutoidi a manico lungo,
appartengono allo stesso «phylum» evolutivo. Richard J. Dumbrill1, sostiene che i liutoidi a pizzico
(d’ora in avanti semplicemente liuti) sono più antichi della lira e non il contrario, come sosteneva il
musicologo tedesco Curt Sach2 e Francis W. Galpin3. I liuti a manico lungo, sostiene Dumbrill,
provengono dall’evoluzione della «lira arcuata» (fig.2) che essendo costruita da un bastone di
legno flessibile, è stata trasformata attraverso vari stadi evolutivi in tūnbūr; invece i liuti con manico
corto hanno dato l’ūd moderno. Tuttavia, è assolutamente logico ammettere che la «lira arcuata»
sopravisse a lungo come strumento pastorale (questo tipo di lira s’incontra tutt’oggi in zone remote
del continente africano). 1 “The Archaeology of the Ancient Near East”,Book III Organology, Lutes,p.305; Trafford Pub., Canada,
2005. 2 “Storia degli strumenti musicali”, Milano, Mondadori, 1980.
3 “The Music of the Sumerians: and their Immediate Successors, the Babylonians”, Cambridge University
Press, 1937.
3
Si pensa che il liuto non sia invenzione dei Sumeri ma è stato introdotto in Mesopotamia attraverso
popolazioni montanare di origine barbarica, come gli Hurriti, Cassiti e Ittiti, che vivevano al monte
Zagros nord-est della Bassa Mesopotamia. Nonostante ciò, i relatori di questa ipotesi, Wilhelm
Stauder e Friedrich Ellermeier, non li considerano inventori ma mediatori (la storia dell’Era del
Bronzo dimostra che gli Hurriti ebbero un ruolo importante come mediatori, specialmente con i
nomadi delle steppe euroasiatiche). Un’altra ipotesi vede Caucaso come zona di origine del liuto,
attribuendo un carattere indoeuropeo alle popolazioni montanare (Stauder), considerando così gli
Ittiti responsabili dell’invenzione.
Il ricercatore Harvey Turnbull, in un articolo pubblicato alla Galpin Society Journal4, sviluppa
un’ipotesi diversa. Propone la Siria, zona dei Semiti dell’ovest, come patria del liuto. La proposta di
Turnbull s’incentra in figure di suonatori di liuto trovate in due sigilli cilindrici, proprietà del British
Museum, del periodo accadico. La cronologia dei sigilli risale all’epoca di Sargon I (ca. 2340-2284
p.e.v.) (fig.3). Nel 1996, il British Museum, acquistò un altro sigillo cilindrico che raffigura una
donna suonatrice di liuto. La nuova scoperta, registrata come BM WA 1996-10-2-1 è stata datata
di 800 anni più vecchia della precedente e appartiene al periodo Jemdet Nasr (ca. 4500-3100
p.e.v.). I dati ricavati dall’analisi del sigillo non solo spingono indietro nel tempo l’origine del liuto
ma la spostano verso est.
Sumeri, Assiri e Babilonesi
I Sumeri, popolo di origine non semitica, appaiono nella storia intorno al 4500 P.M.V. come
successori della civiltà Ubaid che fiorì in Bassa Mesopotamia (ca.5200-4500 p.e.v.) Si presume
abbiano le loro origini nel Mar Caspio, forse nella regione centro-nord persiana o addirittura più a
est, in Asia Centrale, e migrano verso il delta dell’Eufrate, portando lo strumento in forma già
evoluta. Secondo il prof.Giovanni Pettinato5,non si esclude anche un’origine indiana dei Sumeri a
causa della correlazione tra il sumero e la lingua della civiltà Harappa della Valle dell’Indo6.
Conseguenza dei rapporti commerciali tra Sumer e Valle dell’Indo è la presenza nel Baluchistan e
in India Sud di un liuto a manico lungo, detto vînâ, tutt’oggi in uso.
I Sumeri, al contrario della civiltà Ubaid, avevano inventato la scrittura cuneiforme (la prima
scrittura conosciuta) e di conseguenza possiamo parlare di una filologia sumera. Il più antico testo
che fa riferimento alla musica, e gli strumenti musicali è una tavola di terracotta risalente allo XXVI
secolo p.e.v. Il reperto comprende ben 23 riferimenti specifici sulla musica, tra di essi anche la
parola-sillaba PAN.TUR., che probabilmente costituisce uno dei tanti nomi sumeri attribuiti al liuto.
PAN indica le varie forme dell’arco mentre TUR si riferisce, in genere; a oggetti di piccole
dimensioni, così pantur, può significare «piccolo arco». Molti popoli adattarono alla loro lingua la
parola sumera per descrivere certi tipi di liuti; possiamo annoverare il pandir armeno, il panturi
georgiano, la pandoura greca. Un'altra parola-sillaba sumera, GIṦ.GÙ.DI., significa «discorso» o
«rumore proveniente da un bastone di legno», appare in alcuni testi lessicografici e si riferisce alle
lire, le arpe, i liuti e le percussioni muniti di piccola cassa risonante.
Abū Naṣr Muḥammad al-Fārābī (noto in Occidente come Alpharabius), nel suo “Kītāb al-mūsīqī al-
Kabīr (“Il grande libro della musica”)’ scritto nel 1209 d.e.v., menziona uno strumento arabo
chiamato šarūdh, che in India s’incontra con il nome sarod, (fig.4), strumento importante della
musica classica dell’Hindustān. Secondo al-Fārābī, lo strumento è stato inventato da un certo
4 “The Origin of the Long-Necked Lute”, Harvey Turnbull. The Galpin Society Journal, Vol.25 (July
1972),pp.58-66. 5 “I Sumeri”, G. Pettinato. Ed. Bompiani, Milano, 2005.
6 La civiltà Harrapa è stata completamente distrutta, senza lasciare molte tracce o reperti, dall’invasione
ariana del 1500 p.e.v. circa, (secondo Leonard Wooley). L’unica testimonianza scritta costituisce alcuni inni e strofe del Rigveda, libro religioso degli Indoariani.
4
Hūlāys Ῑbn al-Ahwas, che viveva nelle montagne attorno alla Samarqand7. Ioanni Augusti Vüllers
nel suo “Lexicon persico-latinum etymologicum” del 1855, traduce la voce «šarūdh» come «il re dei
rud». La voce «rud», dice Vüllers, proviene dal sanscrito «rudrī» (=strumento musicale) che è
omofono con la parola-sillaba sumera GÙ.DI. La parola, di seguito, si diffonde nei territori di lingua
indoeuropea, in spagnolo si trasforma in «rota», in francese «rote», in gaelico «crwth» e.c.v.,
mentre nelle lingue semitiche diventa «ūd». Durante il dominio arabo-musulmano, la parola (ormai
trasformata) rientra in Spagna come «laúd», in Germania come «laute», in Francia «luth», in Italia
«liuto», e in Grecia «laoúto». Simile trasformazione subì anche la parola-sillaba sumera <pantur>;
diventò «tanbur»8 (fig.5) in persiano, , «ṭūnbūr» in arabo e turco, tamburica (fig.6) nei paesi
slavofoni, , e.t.c.
Egitto
Il liuto s’introduce in Egitto, probabilmente durante la XVII Dinastia del Nuovo Regno (ca. 1540-
1307 p.e.v.) come dimostrato da scavi archeologici, anche se si pressume che la sua presenza
nella valle del Nilo è stata avvenuta prima, durante il Secondo Periodo Intermedio, quando la
regione fu dominata dagli Hyksos (ca. 1640-1540 p.e.v.). Secondo le informazioni a disposizione,
tribù semitiche di nomadi dell’antica Kena’an (Canaan) e della Siria colonizzarono il delta del Nilo,
in gran numero, durante la seconda metà della XIII Dinastia (ca. 1783-1643 p.e.v.). Nonostante la
mancanza d’informazione riguardo al liuto a Canaan, statuette ed epigrafi portati alla luce in siti
archeologici siriani, mostrano suonatori di liuto simile, ma non uguale, a quello mesopotamico,
proveniente dall’Anatolia Centrale e della zona di sovranità ittita. Abbiamo motivi di credere che le
varie tribù di Hyksos, di origine probabilmente siriana, introducessero il liuto nella cultura musicale
egiziana.
Nora E. Scott9, ci informa che il liuto più antico trovato in Egitto risale al ca. 1490 p.e.v. ed è anche
la testimonianza più antica tra i numerosi dipinti che mostrano suonatori di liuto. Il liuto, (fig.7),
apparteneva al cantante Ḥar-Mosĕ10 che è morto e sepolto presso la tomba del suo padrone a
Thebes (Tebe); il suo strumento fu sepolto con lui. Il liuto presenta notevoli differenze rispetto
quello mesopotamico; la sua cassa armonica è ovale al contrario del mesopotamico che è
emisferico, la tavola armonica è ricoperta di pelle con 6 fori risonanti, il suo manico è lungo,
rettilineo e cilindrico come il sumero e siriano, ma al loro contrario, penetra la cassa armonica dello
strumento e fuoriuesce dalla cordiera dando così maggior stabilità al manico. Il legno utilizzato è il
cedro. Essendo lo strumento già evoluto nel 1490, significa che la sua presenza in Egitto è assai
più vecchia; dall’altra parte, l’uso del cedro, albero inesistente da quelle parti, ci permette di
pensare che l’importazione provenisse dal Monte Libano, territorio dei Fenici, i quali parteciparono
come alleati degli Hyksos all’invasione contro il paese.
7 Seconda città più grande dell’Uzbekistan e importante centro islamico del XIV secolo d.e.v.
8 La sostituzione di una consonante occlusiva bilabiale sorda, come la «p», con un’occlusiva alveolare sorda,
come «t», è molto comune nelle lingue. 9 “The Lute of the Singer Ḥar-Mosĕ” Nora E. Scott; Metropolitan Museum of Art Bulletin, New ser., Vol.2,
No.5; February 1944, N.Y. 10
Ḥar-Mosĕ, era probabilmente un domestico della famiglia di Senmut, architetto della regina Ḥat-spepsūt;
in quel tempo, Senmut, era l’uomo più importante del regno.
5
Grecia
Un migliaio di anni dopo, il liuto appare in Grecia. Durante il Periodo Classico (500-323 p.e.v.) le
varie sculture indicano l’estesa diffusione dello strumento; un esempio è la base del famoso
Marmo di Mantineia, (fig.8), I greci danno al liuto il nome «pandoúra», «fandoúra» o «pandourís»
(è evidente la radice sumera). Il sofista e grammatico Greco di Alessandria, Julius Pollux, (II secolo
d.e.v.), nel suo “Onomastikón”, divulga delle informazioni riguardo alle origini della pandoúra. Il
nome che attribuisce Pollux allo strumento è «tríchordon» (=tre corde), e sostiene che fu inventato
dagli Assiri11 Secondo Pitagora, la pandoúra, si costruiva dai trogloditi del Mar Rosso12 dall’albero
di alloro bianco13 (sic). Richard J. Dumbrill, sostiene fermamente che il tríchordon proveniva dalla
Nubia e tramite Egitto, s’introdusse in Grecia. Sostiene ancora, che il nome tríchordon in sumero si
traduce GIŠ.SA.3, che è equivalente dell’accadico «qaštu» (un simbolo sumero, che segue la
parola-sillaba, indica il numero 3 che si riferisce al numero delle corde).
Quello che rende i liuti strumenti di enorme importanza nell’albero genealogico dei cordofoni, è la
produzione di suoni di frequenze diverse dalla stessa corda, proprietà che, per natura, è esclusa
dalle lire e arpe. Sperimentazioni, provenienti da questa proprietà, portarono all’invenzione di segni
indicativi sul manico dello strumento, poi dei legamenti e infine dei tasti fissi. Questi tre passaggi
costituiscono i più grandi sviluppi della scienza dell’organologia. Probabilmente questo era il
principio di base che condusse gli studiosi della musica sumera a comprendere i rapporti numerici
che creano le varie frequenze sonore da cui provengono gli intervalli musicali. Così il liuto, non
solo segnala, ma determina, il passaggio tra la conoscenza musicale primitiva e la vera e propria
conoscenza musicale che ebbe inizio nel periodo classico. Questa enorme invenzione porterà alla
nascita di un intero esercito di liutoidi che si evolveranno col tempo dando l’ūd, (fig.9), arabo-
persiano, la famiglia del saz turco (fig.10) e quella del bouzoúki greco (fig.11) del tar persiano
(fig.12), i liuti rinascimentali, la famiglia del mandolino e infine la chitarra, l’ultimo discendente di un
albero genealogico le cui radici si perdono nella notte dei tempi in attesa dell’ingegno umano che
la trasformerà in un reperto archeologico.
Nozioni organologiche dei liutoidi non-europei
L'invenzione del ponticello come conseguenza dell’allineamento d'asta di legno flessibile nelle lire
primitive ebbe grande importanza nel regolare il volume dello strumento (sono le fluttuazioni nel
volume che provengono dall'impatto con la corda). Il principio dell'intensità del suono proviene
dall'altezza del ponticello, cioè più alto esso è più forte il suono prodotto (il cosiddetto "action"), a
causa dell’aumento della pressione della tavola armonica, associato allo spessore e la resistenza
della corda. L'allineamento del braccio flessibile della primitiva lira arcuata che produsse l'archetipo
del liuto, porterà alle due principali famiglie di cordofoni dell'antichità, che saranno poi incluse nella
classificazione organologica di Hornbostel-Sachs14 nel 1914.
Nel primo caso, le corde tirano la tavola armonica verso l'esterno, cioè lontano dal corpo dello
strumento e nel secondo caso, le corde spingono la tavola verso l'interno della cassa armonica.
L'archetipo del primo caso è l'arpa e del secondo sono i cordofoni muniti di ponticello sul quale
poggiano le corde, come le lire e i liuti.
11
L’informazione di Pollux giustifica, in parte, la teoria di Turnbull. 12
Strabone ci informa che il Mar Rosso, per gli antichi, si estendeva dallo stretto del Suez fino il Golfo Persico, per cui è difficile individuare il luogo menzionato da Pitagora. I trogloditi forse vivevano in un territorio tra i confini Sudan-Egitto. 13
“Pitagora” 183F-184°, 82 Vol.3; ed. Nefeli, Athens, Greece. 14
System of musical instruments classification Hornbostel-Sachs, http://www.music.vt.edu/musicdictionary/
6
In questo periodo storico, le due famiglie, si approvvigionano di un corpo che ancora non era
trasformato in una vera e propria cassa armonica che funge da amplificatore di suono.
Questa prospettiva totalmente diversa, cioè strumenti con cassa armonica (o senza), s’incontra
negli xilofoni, che possono amplificare il suono solo di un singolo tono. Al contrario, l'esistenza di
una cassa armonica, con distribuzione di suono diretta o indiretta (con o senza ponticello),
trasmette le vibrazioni delle corde direttamente sulla tavola armonica che è parte integrante
dell'intero corpo dello strumento. Il risultato è il rafforzamento dell'intera gamma di frequenze
prodotte dalle corde.
La morfologia di questa evoluzione è piuttosto ispirata dai tamburi percussivi in cui la membrana è
sollecitata con le mani o con mazzuoli.
Quindi i liuti, a corda innescata pizzicandola con un plettro o con le dita, possono essere
considerati l'evoluzione del tamburo tribale. Ecco perché nella nomenclatura antica si nota grande
confusione tra cordofoni e membranofoni.
Tutti i liuti presentano alcune caratteristiche comuni: i) piccola cassa armonica, costruita da unico
pezzo di legno scavato o uso di doghe e cassa bombata, con o senza fori risonanti, ii) manico
stretto e lungo (tzouras, fig.13) o corto e largo (pípá cinese, fig.14), tastatura mobile (saz), fissa
(bouzoúki) o fretless (ud, sarod), iii) numero limitato di corde, fatte di seta, budello o bronzo, iv)
cavigliere con piroli o meccaniche, v) tavola armonica di legno e meno frequentemente di pelle di
animale (per i modelli più costosi del tar persiano si usa la pelle dello storione del Mar Caspio), vi)
cordiera, vii) ricca decorazione con motivi floreali, forme geometriche o scene personalizzate
intarsiate di madre perla, avorio e tartaruga. La lunghezza del manico è direttamente proporzionale
alla lunghezza delle corde e varia da 25-30 cm per i liuti più piccoli come il baglamás greco
(fig.15), fino 115-120 cm come il ṭūnbūr turco (fig.16).
I segni sul manico e i legamenti15sono in uso dai tempi dei Sumeri e avevano lo scopo di
suddividere l’ottava nei vari intervalli. Il testo neobabilonese UET VII, 126, che appartiene alla
tavoletta XXXII del periodo tardo babilonese (c. 612-539 p.e.v.) pubblicato dall’assiriologo inglese
O.R.Gurney16, contiene delle informazioni riguardo ai nomi e i valori numerici di alcuni cordofoni
che Richard J. Dumbrill utilizzò con successo per ricavare i rapporti intervallari delle scale musicali
assiro-babilonesi. Dumbrill, ricavò 6 numeri fondamentali; ogni numero fa riferimento in una divinità
del panteon mesopotamico. Questi numeri sono: 60, 50, 40, 30, 20 e 10; secondo Dumbrill17, i
numeri possono rappresentare frequenze o corde o tutte due le cose. Se i numeri esprimono
frequenze, 60 sarà la frequenza più alta, mentre se lo stesso numero esprime lunghezza significa
che corrisponde alla corda più lunga, cioè la più bassa18. Combinando le due ipotesi e mettendo il
numero 60 in rapporto con gli altri numeri, come vedremo subito dopo, si deduce che i rapporti
numerici delle lunghezze delle corde sono inversamente proporzionali ai rapporti delle frequenze
che corrispondono alle corde stesse. Da questi rapporti, quindi, si ricavano dei numeri che si
possono «segnare» sul manico del liuto e indicano distanze. In questo modo, premendo la corda
varia, l’oscillazione, e si creano le note.
Prima di continuare, sarebbe necessario specificare che gli intervalli prodotti da una tale
suddivisione, che segue il sistema proporzionale, non corrispondono esattamente a quello ben
temperato occidentale, che è basato sulla sequenza logaritmica delle note di una scala musicale
15
Per «legamento» s’intende il tasto mobile, (berde in turco), in uso in Turchia, Siria e Asia Centrale. 16
“Babylonian Music Again”, O.R.Gurney; Iraq, Vol.56, 1994, pp.101-106; British Institute for the Study of Iraq. 17
“Götterzahlen and Scale Structure”, Richard J. Dunbrill, 1997 18
Può sembrare equivoco per una persona che non è pratica con le misure fisiche. Infatti, non è possibile che la frequenza più alta corrisponda alla corda più lunga per il semplice motivo che aumentando la lunghezza diminuisce la frequenza, ma la lunghezza è misurata in cm mentre la frequenza in Hertz. Queste grandezze non si possono sommare ma solo rapportarsi tra di loro, quindi l’equivoco non sussiste.
7
(sistema tonale). In senso lato, il sistema tonale esprime musica organizzata attorno ad un suono
centrale (sic), mentre il sistema proporzionale, detto anche modale, considera tutte le note come
un’unica entità, come afferma l’etnomusicologo e musicista libanese Ali Jihad Racy.
A questo punto, è d’obbligo introdurre il concetto del «cent» musicale (centesimo), unità di misura
della tonometria, che ci permette di convertire le quantità modali in tonali. La conversione in cents
consiste in una formula algebrica; è la moltiplicazione del logaritmo decimale del rapporto
denominatore/numeratore dei «numeri sacri» per una costante, c=3986.314. Il metodo produce
una scala musicale di 1200 cents in cui i semitoni contengono 100 cents ciascuno.
Così: 60/50=6/5=316 cents, che è la terza minore
50/40=5/4=386 cents, che è la terza maggiore, 498 cents per la quarta giusta, 702 cents per
la quinta giusta e 1200 cents per l’ottava.19
Più tardi i Greci stabilirono il loro sistema basato su altri numeri provenienti da speculazioni
cosmologiche. I numeri utilizzati da Pitagora, che fu il primo a svolgere questi esperimenti sul
monóchordon20, avevano la seguente sequenza: 12-9-8-6, mentre quella utilizzata da Babilonesi,
in maniera semplificata è: 6-5-4-3, (che ovviamente precede quella greca). Unendo le due
sequenze si ottiene: 12-9-8-6-5-4-3. Ora, moltiplicando per 2 quella babilonese si ottiene: 12-10-8-
6. Notiamo che l’unica sostanziale differenza tra i due metodi si localizza tra 10 e 9; da questo si
ricavano due importanti risultati. Il primo è che i Babilonesi danno enfasi alla terza minore e
maggiore (6/5, 5/4), mentre i Greci preferiscono la quarta giusta e la tonica (12/4, 9/8). Il carattere
triste, sentimentale e leggermente dolciastro della musica araba può avere le sue radici in queste
preferenze babilonesi. Dall’altra parte il carattere epico e profondo dei Greci, dei Bizantini e dei
loro successori Ottomani potrebbe provenire dall’uso continuo della tonica che, crea i cosiddetti
bordoni21. Il secondo risultato nasce dal disaccordo creato dal 10 dei Babilonesi e il 9 dei Greci il
quale genera un altro intervallo definito tono pitagorico, assente nella musica tonale perché più
grande del semitono ma più piccolo del tono. Il tono pitagorico venne di seguito studiato da
Aristosseno22 di Taranto, che ricavò interessanti conclusioni riguardo alla scala pitagorica perché
scoprì altri due intervalli, l’apotomḗ23 e il limma24. Trasferendo tutto questo sul manico del liuto,
l’apotomḗ si ottiene aggiungendo un tasto quasi a metà strada tra D# e E e se dividiamo per 2 la
rimanenza, si ottiene il limma. Proseguendo, lungo il manico, calcolando le altre frazioni, si
possono ottenere tutte le suddivisioni udibili, da un orecchio umano, che nel loro insieme
costituiscono i comma pitagorici (ogni semitono contiene 5 comma udibili). La musica occidentale
tonale si accontenta definire questi intervalli con il nome generico «quarti di tono».
Per evitare «equivoci metafisici», come quelli menzionati da Sir Leonard Woolley25, è necessario
precisare che i «numeri sacri», in ambito matematico-musicologico, sono ricavati empiricamente.
L’esempio dei popoli mesopotamici e dei Greci seguirà la Persia e gli altri popoli eurasiatici
19
Per chi si diverte a fare calcoli la formula algebrica in questione è la seguente: ⁄ ,
dove α e b: numeri sacri e c=3986.314 20
Il monocordo probabilmente è stato inventato da Pitagora. E’ uno strumento composto di una sola corda tesa tra due ponticelli; un terzo, mobile, serviva per dividere la corda e creare frequenze diverse ce corrispondenti in vari intervalli musicali. 21
Il bordone è un effetto monofonico in cui una nota viene suonata in modo continuo durante tutta l’esecuzione, ma si riferisce anche a una parte di certi liuti caratterizzati da corde che risuonano per simpatia, sotto certe frequenze, senza essere pizzicate, come nel sitar indiano. 22
Filosofo della scuola peripatetica di Aristotele che visse alla fine del IV secolo p.e.v., autore di “Elementi ritmici” e “Elementi di armonia”. E’ stato uno dei più illustri scrittori di teoria musicale dell’antichità. 23
L’apotomḗ è la differenza tra due rapporti che sono commensurabili solo in potenza ed equivale a 2187/2048=113.7 cents. 24
Il limma ( o leimma) è la rimanenza, cioè un intervallo, udibile dall’orecchio umano, minore della metà del semitono, ed equivale a 256/243=90.2 cents. 25
Vedi “Intro” di quest’articolo.
8
utilizzando il loro sistema, basato su altri numeri ognuno indipendentemente dall’altro. E’ chiara
quindi l’utilità dei tasti mobili: offre la massima libertà all’esecutore di adattare lo strumento al
sistema musicale di una data etnia. Nasce così l’išartum assiro-babilonese, il «trópos» (modo)
greco, il maqām arabo e turco, il dastgāh persiano, il rāga indiano e il lü cinese.
Epilogo
La grande versatilità che mostrano i liuti nell’interpretare questa vasta gamma di sistemi musicali
giustifica anche la mancanza di accordatura standard e non solo; il carattere monodico in cui
l’accompagnamento non è ritmicamente indipendente dalla melodia crea il carattere melismatico
della musica modale. Queste caratteristiche comuni uniscono, sotto certi aspetti etnologici, i popoli
che vivono dai Balcani fino l’Armenia e dal Medio Oriente fino il Marocco. Per questo motivo che
termini come «musica occidentale o orientale», sono molto approssimativi, quasi sbagliati. Infatti,
Marocco sta in ovest rispetto Germania, ma i Marocchini ascoltano musica tutt’altro che
occidentale.26
Le somiglianze etnologiche si estendono anche alla danza che è strettamente legata alla musica.
La relazione tra musica tradizionale e danza emerge dall’arte popolare. Quest’arte nasce, di
regola, da un tono psicologico di semplicità e di primitività che poco è cambiata dall’antichità sino
ora e diventa patrimonio espressivo dell’umile gente. Perciò popoli limitrofi che vissero a lungo uno
accanto all’altro per vari motivi, come occupazioni, deportazioni, immigrazioni e.c.c., mescolarono
gran parte delle loro tradizioni.
La danza dei macellai è vecchia, risale all’epoca dell’Impero Bizantino, la ballavano i Greci e
inizialmente si chiamava makelárikos chorós, dalla parola italiana “macellaio” diffusa nell’Impero
dai mercanti Veneziani. Quando gli Ottomani dominarono Costantinopoli, la danza cambiò nome e
diventò hasápikos chorós, dalla corrispondente parola turca kasap (=macellaio). Questa danza,
che in Grecia costituisce, un marchio nazionale ha mantenuto la radice della parola turca. Invece i
Turchi adottarono il syrtós chorós, che era molto diffuso tra la popolazione greca delle isole del
Mar Egeo e della diaspora di Smirna, mantenendo il nome originale greco. Lo stesso accadde per
la longa rumena che fu anch’essa prestata ai Turchi e poi agli Arabi del Medio Oriente. L’oyun (=
sentimento, amore, umore, in turco) costituisce un importante genere musicale dell’Asia Minore
generato dagli Aşık, (= innamorato, cantante, rapsodo, amante, in turco) che appartengono nella
letteratura popolare turca. Essi furono poeti ribelli e suonatori di saz. Le origini di questa tradizione
si devono ricercare tra gli Uighuri dell’Asia Centrale, un'altra possibile patria del liuto. L’elenco è
lungo e va oltre lo scopo di questo breve articolo sulle origini del liuto.
Ad ogni modo, la musica contribuisce alla cultura umana, almeno per la sola ragione che utilizza
un linguaggio diretto, emotivo e universale senza bisogno di sforzo mentale o esercizio complesso.
Atene 16/10/2011
B.J.Kakos
26
Frase utilizzata dal musicista-ricercatore irlandese Ross Daly durante un’intervista alla televisione statale greca.
9
ILLUSTRAZIONI
Fig.1
Lira di Ur, Iraq
Fig.2
10
Fig.3
Fig.4
Sarod dell’Hindustān
11
Fig.5 Fig.7
Fig.5: “The long Necked Lute in Iraq”, Scheherazade Qassim Hassan; Asian Music Vol.13, n°2; 1982. Fig.7: Il liuto di Ḥar-Mosĕ. (Museum of Egyptian Antiquities, Cairo, Egypt)
Fig.6
Tamburica serba
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Fig.8
Dettaglio dalla base del marmo di Mantineia, Grecia
Fig.9
Ūd arabo (ca.1850-1900, Iraq o Siria). Arne B. Larson Collection, National Music Museum, Vermillion,
S.Dakota, U.S.A.
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Fig.10 Fig.11
Fig.10: Saz turco. “The long Necked Lute in Iraq”, Scheherazade Qassim Hassan; Asian Music Vol.13, n°2;
1982.
Fig.11: Bouzoúki greco. Museo di strumenti musicali tradizionali “Foivos Anogianakis”, Athens, Greece.
Fig. 12
Tār persiano
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Fig.13 Fig.14
Fig.13: Tzourás Greco, costruzione Petros Zaranis, Atene, Grecia
Fig.14: Pípá cinese del XIX secolo con 14 tasti, costruita dal famoso liutaio Jiu-cheng (The Metropolitan Museum of Art, N.Y, U.S.A.).
Fig.15
Il baglamás, del leggendario musicista del rebetiko greco, Giorgos Batis (inizio anni ’20, Atene, Grecia).
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Fig.16
Illustrazione del ṭūnbūr turco dal libro “Kitabu İlmi’l-Musıki Ala Vechi’l-Hurufat” di Dmitri Kantemir e tradotto
dal prof. Yalçın Tura in lingua turca.(fonte: http://www.ozanyarman.com/kantemirfont.html).