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I LUOGHI DEL DELITTO LE IncHIEsTE DI M L 7di spezie, Monsieur Gageot, nominato prefetto di La Baule,...

Date post: 12-Mar-2021
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I LUOGHI DEL DELITTO LE IncHIEsTE DI Mary LEsTEr 7
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I LUOGHI DEL DELITTO

LE IncHIEsTE DI Mary LEsTEr

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Dello stesso autore per i tipi della robin-BdV:Omicidio a Lorient

I diamanti dell’ArciducaMorte allo stagno

Marea biancaIl castello scarlattoI quattro cadaveri

In preparazione:La città dei mastini

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JEan FaILLEr

L’uomo dalle dita blu

Vacanze a La Baule per Mary Lester

Traduzione di Flavia natale

nota introduttiva: Il luogo del delitto

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se in fondo al volume non è presente il catalogo, potete consultarlo su www.robinedizioni.it

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Titolo originale: L’Homme aux doigts bleus© Jean Failler, 1998

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Un floreale benvenuto a La Baule

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Il luogo del delitto

La Bretagna offre ai turisti numerosissime località bal-neari, alcune delle quali davvero esclusive: tra queste, LaBaule è considerato uno dei centri più eleganti e rinomatidella costa atlantica, spesso frequentato da persone delmondo dello spettacolo. Questa cittadina del sud dellaBretagna deve la sua esistenza a una tempesta che nel1779 sommerse la città di Escoublac dando origine a unastupefacente spiaggia a forma di mezzaluna che oggi ècosteggiata dalle palme e da innumerevoli alberghi.

La sua storia è affascinante e vale la pena di essere rac-contata. nel 1879 il primo treno st nazaire-le croisic siferma a La Bôle, un luogo quasi deserto sperduto inmezzo a una distesa di dune cosparse di pini, la cui sta-zione è costituita da una casupola che serve soltanto percollegare direttamente alla linea principale il villaggio diEscoublac. Quest’ultimo fu costretto a cambiare posto nel1779 per scampare alle frequenti tempeste di sabbia dellafine del XVIII secolo e abbandonò quindi il litorale perinsediarsi a un chilometro dall’antico borgo, ricoperto daun sudario di sabbia. Le malelingue dissero che gli abi-tanti di Escoublac avevano avuto le loro disgrazie peravere strappato le piante arenicole che tenevano le dunecompatte per farne delle scope.

sotto la restaurazione la persistente minaccia dellasabbia, che progrediva inesorabilmente verso l’interno,condusse le pubbliche autorità a incoraggiare il rimbo-schimento delle dune. successivamente diedero in appal-to questa attività a diverse società, essendo inteso che que-ste ultime non ne sarebbero mai diventate proprietarie. Illavoro era considerevole: fissare con l’aiuto di resine 700

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ettari di dune che costituivano quel braccio di litorale checollegava le antiche isole di croisic, Batz e Le Pouliguenalle spiagge di Guérande. Fu realizzato per la parte occi-dentale dalla société Benoit, che presto diede il suo nomea un quartiere di La Baule, e per il resto dalla société DesDunes, presieduta da un uomo d’affari di nantes,Monsieur Berthault.

Il risultato di questo lavoro, insieme alla creazionedella stazione ferroviaria, fu la nascita della località bal-neare di La Baule.

Fin dal 1879 il comune di Escoublac è poco toccato dalfenomeno turistico, comparso nel 1830 a croisic. solo lefrange del grande complesso sabbioso conoscono un ini-zio di urbanizzazione legato allo sviluppo delle stazionivicine: La Pouliguen e la Vecchia Pornichet, lontana fra-zione di saint nazaire che non tarderà a prendere la suaautonomia con il suo satellite di Escoublac: Pornichet-LesPins.

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Due parigini, Monsiuer Hennecart e Monsiuer Darlu,rappresentanti della società incaricata della costruzionedella ferrovia, sono colpiti dall’interesse eccezionale cherappresenta il sito della stazione di Escoublac, nel cuoredi una foresta di 700 ettari di pini marittimi costieri,lungo una baia di 8 chilometri di lunghezza dalle curvearmoniose. Decidono quindi di acquistare una quaranti-na di ettari di dune di La Baule e di creare una società,con il concorso di finanziatori e di commercianti diGuérande, per la costruzione di una stazione balneare.sotto la direzione di uno di questi ultimi, un negoziantedi spezie, Monsieur Gageot, nominato prefetto di LaBaule, vengono tracciate delle strade a partire da un asseche collega la stazione al mare (l’attuale avenue deGaulle), viene costruita una passegiata sul lungomare eimpiantato un molo. Due hotel, una cappella, un giardi-no pubblico, alcune ville destinate alla locazione sonocostruiti al fine di incitare la vendita dei terreni. Molticommercianti aprono la loro attività e le costruzioni simoltiplicano.

Dal 1890 al 1914 La Bôle si trasforma in quella sta-zione balneare che oggi si scrive La Baule. Entro questidue nuclei urbani tutto un vasto spazio boschivo rimanenon edificato fino al momento in cui la société Des Duneslo cede, nel 1895, alla société des Instituts Marins, fonda-ta dalla famiglia Pavie di Parigi, in vista di stabilirvi uncentro di trattamento per bambini tubercolotici per fami-glie ricche.

nello spirito di questi promotori si trattava di attirarequeste famiglie e incitarle a investire.

a questo fine venne creata una rete stradale mentre nelfrattempo Monsieur Pavie moltiplicava le novità tecnichesulla sua proprietà: la creazione di un servizio postale etelegrafico, il primo a sorgere sul posto, un impianto elet-

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Page 10: I LUOGHI DEL DELITTO LE IncHIEsTE DI M L 7di spezie, Monsieur Gageot, nominato prefetto di La Baule, vengono tracciate delle strade a partire da un asse che collega la stazione al

trico (1900), un tramway a petrolio che collegava le sta-zioni della baia. Le ville non tardarono a prolificare.L’Istitute Marine si trasforma ben presto in un albergo dilusso presso il quale, nel 1904, viene creato un casinò.con la costruzione di un altro hotel di lusso, nel 1908, ilquartiere Pavie prende rapidamente quel carattere monda-no che non perderà più.

La Prima Guerra Mondiale blocca tutte le attività turi-stiche per cinque anni e avrà ripercussioni inattese pertutta la penisola di Guérande. Durante questo periododiventa un importante centro di sbarco delle guarnizioni edi riposo per gli alleati che determinerà negli anni seguen-ti un considerevole afflusso di turisti anglosassoni, facen-do sorgere di conseguenza nuovi alberghi.

Questo afflusso di stranieri era rafforzato dal desideriodei francesi di rilassarsi dopo anni di cimenti. Il fenome-no turistico si rafforza dunque proprio a La Baule, volutosoprattutto da tre persone: Monsieur andrè, MonsieurLajarrige e Monsieur Pavie. Il primo prende in concessio-ne per vent’anni, a partire dal 1920, il casinò che trasfor-ma e intorno al quale fa insediare attività commerciali dilusso. crea in seguito nuovi alberghi di lusso ed erigeimpianti sportivi di prima qualità: tennis, scuola d’equita-zione, tiro al piccione, un campo da golf con 18 buche aPouliguen.

Tra il 1920 e il 1930, grazie all’intervento di Monsieurandrè, La Baule torna a rivivere come stazione balneareinternazionale. L’intervento di Monsieur Lajarrige è dialtro tenore: intensifica il tessuto urbano della stazione diBois d’amour. Quest’uomo d’affari parigino acquista nel1921 la société Des Dunes, che risanerà. Parallelamenteottiene la deviazione verso l’interno del tratto delle ferro-vie Pornichet-La Baule, che correva lungo la costa e cheimpediva così lo sviluppo del turismo.

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La nuova stazione, La Baule-Les Pins, si strutturaquindi attorno a una piazza centrale, la Place des Palmiers,collegata da un’arteria stradale alla stazione ferroviaria edall’avenue des Tilleuls al mare.

I principali poli d’animazione sono inoltre: il mercato,il Parco delle Driadi, i campi da tennis e i due centri cul-turali.

Questo nuovo quartiere di La Baule è collegato aglialtri da un lungomare, il famoso terrapieno, che costitui-sce il simbolo dell’unità di La Baule.

La tendenza all’autonomia dei differenti lotti che costi-tuiscono La Baule sparisce in effetti in questo periodo,mentre Monsieur Pavie diventa il primo magistrato dellacomunità.

La Baule è investita in seguito dalla crisi del 1929. Gliinvestimenti previsti sono irrimediabilmente sospesi e ilturismo internazionale sparisce del tutto. Il ristagno eco-nomico si abbatte sulla stazione balneare fino al 1938.Una leggera ripresa è legata alla legge sulle ferie pagate,

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ma la seconda Guerra Mondiale la interrompe quasiimmediatamente, fino al 1952.

a partire da questa data il benessere economico, lo svi-luppo dell’industria delle auto e delle ferie pagate consen-te a La Baule di ritrovare nuovo vigore.

Le grandi ville sorte sul terrapieno vengono sostituiteprogressivamente da grandi immobili destinati a un grannumero di turisti che godono dei benefici dell’aria dimare, fino a che il turismo di massa fa la sua apparzione:camping, pensioni e colonie.

La Baule cambia fisionomia, accresce la sua potenzia-lità di accoglienza, sorgono alberghi, fino a divenire ilsuper attrezzato e vitalissimo, nonché esclusivo, centroturistico attuale.

naturalmente La Baule non poteva non avere qualcosain serbo anche per i golosi ed ecco allora che solo lì potetedegustare la celebre torta al cioccolato chiamata “leFondant Baulois”. Incanta tutti coloro che la mangiano, mali obbliga a tornarsene a casa senza la ricetta, che è segre-tissima. si pregia di contenere soltanto ingredienti natura-li, senza coloranti né conservanti, amalgamati unendo allatradizione le più moderne tecnologie. Di forma rotondadelizia da oltre trent’anni chiunque passi per quella zona.

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I

Il bar era popolato da una mezza dozzina di gentiluo-mini che bevevano birra appollaiati su alti sgabelli dilegno verniciato. In comune avevano il volto arrossato dichi ha preso troppo sole e la polo sportiva, dal colore acce-so, caratterizzata da un piccolo coccodrillo che sbadiglia apiù non posso. altra particolarità nell’abbigliamento erache tutti giravano in calzini, come se in quei luoghi fosserispettata l’usanza maomettana di togliersi le scarpeentrando nel tempio; quasi che le esalazioni dei piedi,fumanti per aver compiuto una decina di chilometri attra-verso la campagna, fossero un surrogato d’incenso capacedi inebriare le narici di st. andrews, patrono del luogo.

Davanti alla porta del bar, un mucchio di scarpe abban-donate dai proprietari. Erano di un modello un po’ parti-colare: la tomaia, ricoperta da una parte in cuoio a formadi ventaglio appiattito, ne nascondeva i lacci. alcuneerano rigirate e lasciavano intravedere chiodi lucenti chesporgevano dalla suola sporca di terra, fango ed erba appe-na tagliata.

Questi chiodi, fatti per permettere al golfista di aderiremeglio al terreno, erano vietati, e a ragione, sul bel par-quet incerato del bar. Questo era il motivo per cui i signo-ri giravano in calzini.

Questa norma del regolamento, alla quale erano abi-tuati, non sembrava turbare oltremodo la loro capacità diingestione; il barista faceva fatica a riempire i pesanti boc-cali di birra che si svuotavano come per magia.

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Il bar si trovava al piano terra della grande sala delmaniero, una stanza austera, con pesanti travi a vista e infondo un enorme camino in pietra.

Davanti a poltrone di cuoio patinato erano sistematialcuni tavolini dall’impagliatura protetta da un vetro spes-so e, su uno di questi, un ragazzo dai modi affettati, inpantaloni neri, camicia bianca e gilet scozzese, poggiavaquattro tazze e una teiera di porcellana.

Le quattro signore alle quali era destinato l’infuso nonpronunciavano parola. come i signori, anche loro fissava-no la porta a vetri che si stava aprendo.

La donna, o meglio la ragazza che stava spingendo laporta, si fermò, intimidita. Mai silenzio più glaciale avevaaccolto un nuovo arrivato, mai dodici paia di occhi l’ave-vano squadrata con tanta insistenza.

La giovane aveva circa venticinque anni. Indossava pan-taloni grigio fumo, una giacca color marrone bruciato consotto una T-shirt bianca e sembrava una studentessa in vacan-za, cosa non sorprendente visto che era l’inizio d’agosto.

Il barista, una volta servite le signore, si diresse versodi lei con l’aria del custode pronto a redarguire l’intrusache aveva senz’altro commesso un errore:

– signorina?Il tono non era per niente amabile, anzi vagamente

altero; le si faceva percepire che spingendo quella portasenza appartenere alla cerchia degli iniziati aveva com-messo una sorta di sacrilegio.

– cerco il signor sergent, – disse lei dolcemente, infa-stidita da quelle due dozzine di occhi inquisitori.

nonostante la debolezza del suo timbro, il silenzio eratale che la sua voce arrivò fino a un gruppo di uominiriuniti al bar.

– sergent, – disse uno di loro con voce roca, – è al Proshop.

JEan FaILLEr

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a parlare era un uomo di oltre sessant’anni, affetto dacouperose, coi capelli grigi tirati indietro. Tra l’indice e ilmedio della mano sinistra stringeva un sigaro biascicatomezzo consumato e nella destra impugnava il manico diun boccale di birra mezzo vuoto, come se temesse che glivenisse sottratto. Baffi brizzolati gli coprivano il labbrosuperiore, sotto un naso aquilino il cui colore rosso era inperfetta armonia col resto del viso.

Dato che la ragazza non sembrava aver capito, spiegò:– alla boutique, se preferisce...– ah! La boutique, – disse la ragazza, – ci sono passa-

ta ma non c’è nessuno. Ho aspettato un po’, ho chiamatoma non mi hanno risposto.

a quel punto intervenne un altro cliente:– Paul è sul percorso.E, rivolgendosi all’uomo che aveva parlato per primo,

precisò:– Oggi è martedì. Tutti i martedì a quest’ora “il

commodoro” ha lezione sul campo.– È vero, – fece l’uomo con voce rilassata. – L’avevo

dimenticato.La ragazza chiese timidamente:– credete che ne avrà ancora per molto?appoggiando il boccale sul bancone, l’uomo guardò

l’orologio: – al massimo una mezz’ora!E, mostrando le sedie libere:– Può attenderlo qui, se lo desidera.La ragazza capì che le stavano facendo un favore.

ringraziò e si diresse verso un tavolo situato di fronte auna finestra bassa da cui si vedeva una distesa d’erba bentenuta.

– Un tè per favore, – chiese al ragazzo che si stavaavvicinando.

L’UOMO DaLLE DITa BLU

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La conversazione era ripresa. Dietro di lei, le signorecommentavano la partita di golf che avevano appena gio-cato, controbattendo con veemenza su alcuni dei puntidel regolamento; gli uomini, invece, parlavano più abassa voce, in modo che non si sentisse di cosa stavanodiscutendo.

Poi la voce roca risuonò nuovamente: – È qui per giocare?La ragazza non capì subito che era a lei che si rivolge-

va e rispose con un po’ di ritardo:– no, – disse, – sono qui per prendere lezioni.– non ha mai giocato?– Mai. Ma sono sempre stata tentata. Quindi, visto che

sono in vacanza...– Ottima occasione, – asserì l’altro soddisfatto.si avvicinò, tenendo il boccale e il sigaro nella stessa

mano:– Permetta che mi presenti, claude cagesse, capitano

del Gioco.aveva due occhi di porcellana blu striati di rosso, pro-

babilmente a causa del fumo del suo sigaro che gli facevacontinuamente strizzare le pesanti palpebre.

La ragazza fece per alzarsi, strinse la mano molle chele veniva tesa e disse, sempre con la sua vocina:

– Piacere, signor cagesse...E, a sua volta, si presentò:– sono Mary Lester.

JEan FaILLEr

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II

Era la fine di giugno quando il commissario Fabienaveva convocato Mary Lester nel suo ufficio di Quimperal secondo piano.

In quei giorni la punta della Bretagna era avvolta daun’ondata di caldo insolito. I rari villeggianti si davanoalla pazza gioia facendo il bagno nelle spiagge quasideserte ma negli uffici, nei laboratori, nei negozi, il caldoera difficilmente sopportabile.

Il commissario aveva installato in un angolo del suoufficio un grosso ventilatore che muoveva aria tiepidasenza riuscire a rinfrescare un bel nulla.

– Di cosa si sta occupando in questo momento, Lester?– chiese con voce stanca.

– Dei furti nelle automobili, capo. Di questi tempi simoltiplicano.

– Ogni anno è sempre la stessa solfa in questo periodo,– sospirò Fabien.

alzò le sopracciglia e la guardò:– non è molto eccitante, vero?– no, – ammise lei. – Ma bisogna pure che qualcuno lo

faccia!– Già, – disse Fabien, – bisogna...Poi, dopo una pausa di silenzio, sorrise:– E mi dica, Lester, ha mai giocato a golf?anche lei, a sua volta, sorrise. Da Fabien ci si poteva

davvero aspettare di tutto.– a golf? no, mai.

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– E cosa sa di questo nobile sport?arricciò il naso:– Beh, credo si tratti di far entrare, con l’aiuto di stru-

menti chiamati mazze da golf, una pallina bianca in unabuca nella quale è piantata una bandierina.

– niente male, – sorrise Fabien. – E poi?– E poi? Mi pare che questa attività sia esclusivamen-

te per ricchi, vecchi e snob.Il commissario Fabien fece un gran sospiro e disse:– E, visto che lei non è niente di tutto questo, non ha

nessuna affinità con questo ambiente.– nessuna.– Ha mai conosciuto dei golfisti?– ahimè! Basta che ce ne siano due in una serata per-

ché sia guastata la festa. non sanno parlare d’altro che delloro golf!

aveva pronunciato quest’ultima parola con un tonocosì terribilmente snob che Fabien non poté fare a meno discoppiare a ridere.

– Peccato, – disse laconico.– Perché peccato? – chiese Mary.– Perché pensavo di farle un favore!– Un favore?Evidentemente non si fidava.Il commissario Fabien sorrise.– Volevo offrirle qualche lezione di golf.– a me?Era veramente sorpresa, si sarebbe aspettata di tutto ma

questa poi...– sì, a lei.– Ma dove?– a La Baule.Il volto di Mary s’illuminò:– La Baule?

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– Insomma, lì vicino, tra La Baule e nantes.– ci sto, capo!Il commissario fece finta di stupirsi:– che entusiasmo all’improvviso! avevo capito che tra

lei e il golf...– a dire il vero, non conosco il golf come attività spor-

tiva. conosco solo qualche golfista. Immagino che nonsiano fatti tutti alla stessa maniera. E poi, sarò sinceracapo, non è tra me e il golf, è tra la z.U.P.1 e La Baule.non c’è neanche da pensarci. anche se mi avesse chiestodi giocare a polo non mi sarei tirata indietro lo stesso.Eppure, se posso dirlo, i cavalli non sono il mio passa-tempo preferito...

Tornò a essere seria:– E... che succede nel suo golf?– niente, – disse Fabien.Poiché lei lo guardava sconcertata, precisò:– niente per ora. È stato il mio collega di nantes a

chiamarmi. È un buon amico, abbiamo abbondantementebattibeccato ed è piuttosto seccato. E sono educato, lui hausato un altro termine, pur essendo abbastanza vecchiostile, il caro Graissac...

– E che vuole che faccia, il caro Graissac?– Vorrebbe che lei andasse al golf Bois Joli, si chiama

così, come se fosse una golfista qualunque, che prendesselì qualche lezione, giocasse...

– Ovviamente osservando ciò che stanno tramando...– Esatto.– E che poi gli riferisca quello che vedo.– Perfetto!– Bella roba!

L’UOMO DaLLE DITa BLU

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1 zona a urbanizzazione prioritaria.

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Faceva finta di indignarsi.– E su che cosa vertono i sospetti del caro Graissac?

Droga?Fabien assentì col capo.– ancora! – esclamò lei. – Ma me ne sono appena

occupata!2

– cosa vuole, mia cara, – esclamò Fabien, – ormai ladroga è diventata la nostra principale attività. Quando hoiniziato il mestiere io c’erano le bande delle “tractionavant” che ci davano del filo da torcere e prima ancora labanda Bonnot, i malviventi del distretto di rouergue...

Lei sghignazzò:– Il corriere di Lione!– Esatto... il mondo cambia, mia cara! Bisogna adattarsi.– Ebbene, – sospirò lei, – adattiamoci!

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2 Vedi Marea Bianca.

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III

Entrando nell’ufficio del commissario Graissac erarimasta colpita perché costui non si era meravigliato nelvederla. Di solito, i capi presso i quali veniva mandatafacevano una faccia strana quando la vedevano arrivare!caspita, gli annunciavano il capo della polizia giudiziariaLester e si vedevano comparire una ragazza minuta.D’altronde non potevano certo annunciare “la capa”...

Graissac, come il suo amico Fabien, era prossimo allapensione. Era alto, elegante e aveva un’aria distinta.Vecchio stile, aveva detto Fabien. E si vedeva.

accolse Mary sulla porta del suo ufficio, si inchinò perprenderle la mano, tanto che lei pensò volesse farle ilbaciamano. Queste usanze d’altri tempi avevano sempreimbarazzato Mary che, le rare volte in cui le era successauna cosa simile, non aveva saputo come comportarsi. MaGraissac era un vero gentiluomo e non un venditore dicarni all’ingrosso arricchito. sapeva perfettamente chenon si fa il baciamano a una ragazza.

accompagnò Mary fino alla poltrona davanti alla suascrivania e la pregò di accomodarsi. ne fu lusingata vistoche quel tipo di riguardi non era consuetudine nei com-missariati di Francia.

– Ecco dunque la famosa Mary Lester, – disse con vocesoave.

Lei arrossì per il complimento e accennò un gesto diprotesta che lui scacciò con la mano.

– so quello che dico...

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Tirò fuori una scheda dal cassetto:– ...dato che so tutto di lei, signorina Lester...sorridendo, continuò:– Insomma, quasi... l’amico Fabien non si stanca di

tessermi le sue lodi... sono molto contento che l’abbiamessa a mia disposizione.

– Di cosa si tratta, commissario? – domandò Mary.Graissac smise di sorridere. Giocherellava con le dita

come se queste improvvisamente avessero assunto un’im-portanza capitale e ci avrebbe trovato la soluzione a tutti isuoi problemi. alla fine sospirò e, abbandonato lo studiodelle impronte dei suoi palmi, guardò Mary.

– si tratta di una questione molto delicata, signorina.Da circa un anno si verifica una recrudescenza di mortiper overdose nella regione di nantes e i nostri servizi cisegnalano un aumento dei piccoli trafficanti nei quartieri arischio, nelle discoteche e anche all’uscita dei licei e dellescuole.

Tacque per un istante e guardò Mary:– sembra che una rete del traffico sbocchi a nantes.

sicuramente ci sarebbe facile arrestare gli spacciatori maper uno che acciuffiamo ce ne sono dieci pronti a pren-derne il posto.

Parlava con disincanto come se gli avessero chiesto ditrasferire la sabbia del sahara con una paletta per dolci.

– La cosa da fare è mettere le mani sui finanziatori...– Eh sì, – disse Mary, – i famosi “pesci grossi”...– Esatto.Mary rinunciò a dirgli che c’erano tanti “pesci grossi”

quanti piccoli spacciatori: per uno che veniva rinchiuso,dieci altri se ne trovavano. E non bisognava certo essereun genio per capire che sarebbe stato sempre così finchéquesto traffico avesse portato grossi guadagni a gente chenon si accontenta mai.

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– E lei pensa che i “pesci grossi” potrebbero avere le-gami con l’ambiente del golf?

– col mondo del golf non lo so, ma con il circolo delBois Joli o almeno con alcuni dei suoi soci, forse.

– Ha avuto una soffiata?– a essere sinceri, niente di concreto.si toccò il naso e tirò su. Lei sorrise:– solo una questione di fiuto?– solo...– avete già fatto un’irruzione?Il commissario Graissac sembrò improvvisamente

spaventato.– Un’irruzione?– Beh sì, – disse Mary, – un’irruzione e una perquisi-

zione.E dato che l’altro stava alzando le braccia al cielo,

continuò:– Basterebbe andarci con i cani addestrati. ce ne sono alla

gendarmeria, alla dogana. se c’è della roba da qualche parte,mi creda, i mastini non ci metteranno molto a scovarla.

Graissac aprì la bocca, la richiuse senza emettere alcunsuono. Erano stati i termini “roba” e “mastini” a scioccar-lo? Ovviamente no, ne aveva sentiti ben altri nell’eserci-zio delle sue funzioni. no, era piuttosto perché non siaspettava che questa affascinante ragazza li pronunciasse.E questo modo di affrontare il problema senza andaretroppo per il sottile. se il suggerimento fosse venuto dauno dei suoi ispettori, non si sarebbe stupito, ma... no, nonera quelo che si aspettava! Eppure Fabien gli avevaannunciato che gli avrebbe mandato un fenomeno! Lacosa più sorprendente era che il fenomeno non aveva nien-te di fenomenale. Una ragazza piuttosto carina, come cene sono nel pubblico impiego, al liceo in sala professori onelle segreterie degli avvocati o dei medici.

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Graissac aveva appoggiato entrambe le mani sul tavo-lo e fissava Mary con aria perplessa, senza dire una paro-la, al punto che lei si sentì in imbarazzo.

– che succede, signore? Ho detto una stronzata?Graissac scosse la testa come un pugile che ha appena

incassato due sberle una dopo l’altra. che linguaggio, pensò.– no, signorina, non proprio.– allora, che c’è che non va?– Temo che non si renda conto di cosa sia il circolo del

Bois Joli.– ah! allora, me lo spieghi. È una zona di extraterrito-

rialità? La legge francese lì non è più in atto? credevo checi si potesse trovare in questo tipo di situazione solo nelleperiferie.

– In parte è così, – disse Graissac con reticenza, – ma imotivi della nostra circospezione sono di tutt’altro tipo. IlGolf del Bois Joli è frequentato da alcuni degli uomini piùricchi di Francia e di navarra, da gente del mondo dellospettacolo, da politici e non di meno quelli importanti...Poco tempo fa, il Presidente della repubblica ci si facevaportare in elicottero tutte le settimane per fare nove buchecon i suoi amici. capisce che ambiente!

Mary scosse il capo arricciando il naso.– sarà come camminare sulle uova, mia cara.Mary sospirò, sconfortata. Per un po’ avrebbe rimpianto la

z.U.P. e i ladri di motorini. Graissac continuò con la sua teoria.– Il Golf del Bois Joli è uno dei più antichi e più impor-

tanti d’Europa. Innanzitutto, è un circolo privato. – Privato, di chi? – fece lei quasi con insolenza.Per la prima volta da quando stavano parlando,

Graissac s’infastidì. riuscì comunque a superare l’irrita-zione per spiegare pacatamente:

– Privato rispetto al pubblico. Vuol dire che appartieneai soci che lo finanziano dalla a alla z. Questo in con-

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trapposizione ai nuovi campi da gioco che da qualcheanno si stanno aprendo un po’ ovunque con il supportofinanziario degli enti pubblici.

– ai quali tutti possono accedere.– Pagando una quota, sì.– La famosa democratizzazione del golf...– sì.– nei golf privati, se ho ben capito, bisogna essere

sponsorizzati per avere accesso al percorso.Mary rifletté un istante:– Ma a me, chi mi sponsorizza?– ancora non siamo a quel punto, – disse Graissac. –

Tuttavia, al Bois Joli c’è un rinomato professore a cui tuttichiedono consigli. Per aver accesso ai suoi corsi non c’èbisogno di far parte del circolo. Le basterà pagare la lezio-ne e andare sul practice.

– sul che?– sul practice, il campo pratica, se preferisce.– Preferisco. Ma mi dica, esiste un glossario specifico

per questa liturgia?– sì, – disse Graissac.si chinò su un cassetto e tirò fuori un fascio di riviste. – Ecco qua, Golf Européen, Golf Magazine, ne faccia i

suoi libri preferiti per non avere l’aria troppo sprovvedutaquando andrà dal professore.

Mary aprì le belle riviste su carta satinata, ammirò lefoto dei campioni all’opera, le pubblicità delle mazze edelle palline.

– Lei gioca a golf, commissario?– sì, signorina.aveva risposto più dignitosamente che poteva, guar-

dandola dritta negli occhi, come se avesse confessato diessere affetto da una malattia inconfessabile.

– al circolo del Bois Joli?

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– Esattamente.– ah... e perché ha chiesto a me di indagare?– Perché io non lo posso fare.– Però ha dei sospetti?– sì.– Fondati su che cosa?Il commissario Graissac sospirò:– su ben poco. ci sono persone che conducono uno

stile di vita sorprendente; conoscendo la loro situazione evedendo quanto spendono, possono sorgere dei dubbi.

– Bah! Persone che vivono al di sopra delle loro possi-bilità economiche ce ne sono dappertutto! chieda un’in-dagine della finanza.

Graissac sospirò nuovamente:– È una faccenda delicata...si alzò:– non le dirò di più. Vorrei che lei s’infiltrasse in quel-

l’ambiente e che, con occhi nuovi, mi riportasse le sueimpressioni.

Mary si alzò a sua volta:– E per l’attrezzatura?– Quale attrezzatura?– Insomma, le mazze da golf, le sacche, i carrelli, che

so? Tutto ciò che serve per sembrare una golfista!Graissac tornò con i piedi per terra:– Mi sono informato, glieli presterà il professore.si chinò sulla scrivania e prese una rivista: – Le consiglio questa. Parla in lungo e in largo del cir-

colo del Bois Joli. così saprà esattamente dove andrà acacciarsi.

Mary ripose la rivista in cima alla pila.– La esaminerò con attenzione. Fece due passi verso la porta:– È tutto signore?

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non si era ancora decisa a chiamarlo capo. non avevamolto l’aria da sbirro!

– Quasi. Ha un tesserino della polizia?– certo!– Un’arma?– sì... e anche le manette.Tirò fuori il suo revolver, le manette e frugò nel suo

portadocumenti:– Tutto l’occorrente del perfetto sbirro in vacanza, –

ironizzò. – Perfetto, – disse il commissario Graissac. – Mi con-

segni ogni cosa.– Le devo dare tutto?– Ha capito bene. staranno al calduccio nei miei cas-

setti per tutto il tempo della sua missione.– Ma...– Ispettore Lester, – disse Graissac con voce ferma, –

se, come temo, si tratta di droga, non dimentichi che saràintrodotta in un giro davvero pericoloso dove questiaccessori non le saranno di alcun aiuto. La miglior difesaè il suo anonimato. nessuno conosce la sua identità qui,tanto meno conoscono la sua missione. Vede, diffido per-sino dei miei agenti. Quando uno ha a che fare con questaporcheria, il pericolo è ovunque. c’è tanto di quel denaroin ballo!

andò ad aprirle la porta con galanteria:– Dove alloggia?– a “Les Mimosas”, una pensione a gestione familiare

a La Baule. Insomma, ho prenotato una camera, daQuimper sono venuta direttamente da lei.

– Perfetto. si presenti come Mary Lester, studentessadi Legge in vacanza a La Baule per un mese. se ha con séo nei suoi bagagli documenti che hanno qualcosa a chevedere con il suo lavoro, me li lasci. se dovesse mettersi

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in contatto con me, lo faccia per telefono, preferibilmenteda una cabina pubblica. Eviti di ritornare qui.

– Quanta diffidenza! – disse Mary.– non si è mai abbastanza prudenti quando si tratta di

droga, – rispose Graissac.E aggiunse un’ultima raccomandazione:– se dovessimo incontrarci al bar o sul percorso, noi

non ci conosciamo.– Potremo comunque parlarci!Di nuovo lo sentì reticente:– ci parleremo come un vecchio socio che fa cono-

scenza con una nuova venuta. È escluso che si parli dilavoro...

Mary, alla quale tutte queste precauzioni parevanoeccessive, annuì col capo in segno d’assenso. Graissac laprese per il braccio:

– sembra che il mio amico Fabien la tenga in alta con-siderazione. se le succedesse qualcosa, non me lo perdo-nerebbe mai.

E improvvisamente, più allegro, esclamò:– allora in bocca al lupo, ispettore Lester!In realtà non manifestava la simpatia abituale in chi fa

quell’augurio. Mary gli sorrise abbondantemente e uscì.senza dubbio quel Graissac le piaceva.

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IV

In serata Mary arrivò a La Baule da Pornichet.L’immensa spiaggia di sabbia fine si estendeva tra dueporti: Pornichet e Le Pouliguen. se Pornichet era un portoturistico, completamente artificiale, sottratto al mare, a LePouliguen, costruito su uno stretto – canale di comunica-zione tra le vicine saline di Guérande e il mare – c’eranoancora alcune piccole sciabiche e qualche peschereccio.

Il tramonto illuminava le facciate degli alti edificiaffacciati sul mare. seguendo il boulevard che costeggia-va la spiaggia, Mary ebbe a un tratto l’impressione di nonessere più in una stazione balneare francese ma di averemagicamente attraversato l’atlantico e di camminarelungo una spiaggia della Florida o della california.

sensazione che subito svanì quando, girando a destraper entrare in città, ritrovò, dietro la facciata di cemento,il fascino antiquato delle ville d’inizio secolo rannicchiatetra i pini.

La pensione “Les Mimosas” si trovava un po’ indietrorispetto al terrapieno, nel quartiere più antico della città.Era una vecchia casa padronale, metà villa metà maniero,che doveva esser stata costruita con vista sull’oceano ma,con il passare degli anni, la barriera di edifici sorta di fron-te al mare l’aveva privata di quel panorama.

La villa era di inizio secolo quando, grazie al prolun-gamento della ferrovia fino al mare, il piccolo comune diEscoublac aveva fatto delle sue pinete incolte una dellepiù belle stazioni balneari d’Europa.

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La pensione “Les Mimosas” era gestita da due sorelle,due sessantenni eleganti e discrete che vegliavano gelosa-mente sul buon andamento della loro casa.

Mary sospettava che fossero le eredi di una dinastia diborghesi che i casi della vita avevano trasformato in alber-gatori, compito che adempivano con uno stato d’animoammirevole.

sembrava che la clientela vi si sentisse come a casapropria. c’erano molti inglesi, persone per la maggiorparte di una certa età, che parcheggiavano le loro Jaguar erover sotto i grandi pini, vicino al tennis.

Perché c’era un campo da tennis, e non una superfi-cie di cemento ben verniciato come un nuovo parcheg-gio, no, un vero campo in terra battuta, con una sabbio-lina color mattone che nel giro di tre scambi trasforma-va le palle da gialle in rossastre. La rete metallica che locircondava era un po’ arrugginita, la banda bianca dellarete aveva assunto una sfumatura verdastra e il giardi-niere che spianava il campo da tennis col rullo che scric-chiolava in modo abominevole sembrava uscito diretta-mente da Le vacanze di Monsieur Hulot 3, film del restogirato a poca distanza da lì, nel paesino di saint-Marc-sur-Mer.

Ogni sera due coppie di settantenni facevano un dop-pio misto. Mary li vedeva dalla sua finestra. Per l’occa-sione i signori, che dovevano esser stati dei buoni gioca-tori, erano tutti vestiti di bianco così come le signore cheindossavano gonne pieghettate che scendevano fino allecaviglie. Usavano ancora racchette col telaio di legno, unmodello sparito dai cataloghi ormai da almeno mezzosecolo.

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3 Les Vacances de Monsieur Hulot, film di Jacques Tati del 1952.

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Giocavano con eleganza e cortesia, senza quell’astioche ora caratterizza sempre più i giovani dirigenti dinami-ci adepti di questo sport, con a volte una parolina di scusenei confronti dell’avversario quando tiravano la pallafuori dalla loro portata, o un complimento da intenditoriche sanno apprezzare un tiro effettuato abilmente.

Guardandoli Mary aveva l’impressione di trovarsifuori dal tempo. Del resto, tutta la proprietà era fuori daltempo. I pavimenti erano ben lucidati, non c’era la televi-sione nelle camere e si faceva colazione in una specie digiardino d’inverno adiacente al fabbricato su tavolini dagiardino un po’ traballanti.

Il caffè era vero caffè filtrato in un’antica caffettierapanciuta – Mary l’aveva intravista nel locale di servizio –e il tè era infuso all’inglese, scaldando la teiera, come vafatto. sul vassoio c’erano pane, croissant, miele, burro,marmellata e il Figaro del giorno.

Bastava attraversare una strada e costeggiare un isola-to di case per arrivare al terrapieno che fiancheggiava l’in-terminabile spiaggia di sabbia fine.

Mary aveva una cameretta sul retro dell’edificio, alsecondo piano, e un ramo di pino arrivava quasi a toccarela sua finestra. c’era un gran silenzio. La notte si avverti-va appena il ronzio delle macchine che passavano sul lun-gomare. al mattino veniva svegliata dal tubare dei colom-bi che flirtavano sugli alberi.

a dire il vero, aveva avuto fortuna, la pensione “LesMimosas” era una sistemazione veramente di suo gusto.

Il maestro di golf, grassoccio e gioviale, era un cin-quantenne che, se mai ne aveva avuta una, aveva abban-donato ormai da un bel pezzo qualsiasi ambizione sporti-va. abitava sopra la boutique gestita dalla moglie che ven-deva gli accessori necessari all’allenamento.

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Era stato deciso che Mary si sarebbe aggregata a uncorso collettivo di cinque persone che, come lei, si avvia-vano all’iniziazione.

così, ogni mattina alle dieci, ritrovava tre uomini e duedonne sul campo pratica. Paul sergent, il professore, leaveva dato una sacca contenente una mezza dozzina dimazze da golf.

– È un mezzo set, signorina, le basterà per iniziare. Inseguito vedremo quali mazze faranno per lei.

non prendeva neanche in considerazione l’idea che ilgioco non potesse piacerle. Per lui, qualsiasi persona nor-male che avesse sperimentato il golf non avrebbe piùsaputo distaccarsene. Parlava di shaft in grafite o inacciaio, che altro non erano se non i manici delle mazze,di stiff o di regular a seconda della flessibilità di questishaft.

Le aveva fatto comprare un guanto, uno solo, cheindossava alla mano sinistra e la prima lezione era stataconsacrata al grip, cioè alla giusta maniera di impugnarela mazza per spedire la palla dove si voleva. Poi avevafatto una dimostrazione con incredibile disinvoltura. sottoil suo impulso, le palline gialle volavano fino ai piedi dellebandiere che, a distanze variabili, delimitavano il campopratica.

Quando era toccato ai principianti fare altrettanto, erastato tutto un altro paio di maniche. La mazza di Mary avolte scavava dei solchi in terra, altre volta sfiorava lapalla senza colpirla, evento che il maestro chiamava airshot.

Quando succedeva avevano, come diceva il vicino diMary, un sessantenne da poco in pensione, “l’aria suffi-cientemente da imbecilli”.

Quando, fortunatamente, riusciva a colpire la palla,questa schizzava a destra o a sinistra, lungo una traiettoria

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tanto imprevedibile quanto quella di una saponetta chescappa dalle mani.

sul campo pratica, c’erano postazioni di allenamentosu di un tappetino sintetico, buona parte all’aria aperta,altre protette da eleganti costruzioni in legno verniciato.

Gli altri apprendisti non erano certo più abili di Mary egli iniziati che passavano dietro di loro per andare ad alle-narsi un po’ più lontano, sorridevano con aria scettica diquesti principianti.

Il maestro passava da uno all’altro, correggendo unapostura, accompagnando un gesto, incoraggiando uncolpo un po’ meno peggiore degli altri.

su tutto il campo regnava un piacevole silenzio, inter-rotto soltanto dal ronzio dei tosaerba, il rumore secco deiferri che colpivano le palle e il cinguettio degli uccelli.

La prima seduta durò un’ora. Durante questo lasso ditempo, Mary era riuscita a colpire correttamente qualchepalla e, quasi suo malgrado, questo le aveva dato unagrande soddisfazione.

Il maestro le aveva fatto i complimenti, cosa che avevafatto storcere il naso alle sue vicine che avevano costante-mente massacrato il tappetino.

al termine di questa prima seduta l’anziano signoreaveva invitato i compagni di allenamento a bere qualcosaal bar. Mary non era abituata a queste solenni cerimonie digruppo che consistono nel “bere un bicchiere” in qualsiasioccasione. comunque era là per guardarsi intorno e anda-re al bar era un modo per introdursi nel sancta sanctorumdel Golf del Bois Joli.

Entrarono nel bar, la grande stanza che aveva già vistoil giorno prima, con l’atteggiamento dei novizi che entra-no per visitare una cripta sacra, e si accomodarono nellepoltrone di cuoio vicino al camino. I soci andavano e veni-vano, chi ordinando un panino, chi una bottiglia d’acqua,

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spiegando, con tono autorevole, “che avevano una parten-za tra cinque minuti” cosa che pareva essere, per il barista,d’importanza capitale e dava loro priorità assoluta rispet-to a tutti gli altri clienti.

In modo autoritario l’anziano signore, che si chiamavarobert Duhallier e che voleva essere chiamato Bob, ordi-nò dello champagne. spiegò che era in pensione e cheaveva appena ceduto la sua azienda, a condizioni ottime.Di lì in avanti intendeva consacrarsi esclusivamente algolf.

aveva comprato una casa vicino al percorso per gode-re fino in fondo la sua passione.

Tra gli altri membri del gruppo dei principianti, c’erauna ragazza, probabilmente della stessa età di Mary, cheaveva iniziato perché il suo fidanzato dedicava anche luianima e corpo al gioco scozzese.

si chiamava cécile ma, confessò vanitosamente, le sueamiche la soprannominavano “Minette”. Invitava pertantoanche i suoi compagni di stage a fare altrettanto.

Bob, col suo entusiasmo da neofita, pregò i soci del cir-colo che si trovavano al bar di unirsi a loro per un brindisi.

Erano tutti lì, come il giorno prima, quando Mary eravenuta a informarsi. sembrava che non si fossero mossi eche il capitano tenesse in mano lo stesso boccale di birra,lo stesso sigaro mezzo consumato.

si avvicinarono, vagamente condiscendenti, e il baristaportò una seconda bottiglia di champagne. Mary si erasistemata vicino a Minette perché era la persona alla qualesi sentiva più vicina.

La ragazza, studentessa di farmacia, era di una simpa-tia spontanea e di un candore che le permettevano di farele domande più assurde con una ingenuità disarmante eMary pensò che avrebbe potuto suggerirle le domande chelei stessa non osava fare.

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con la sua voce roca dovuta all’abuso d’alcol ilcapitano fece un brindisi ai nuovi adepti di saint andrewscosì che Minette poté domandare chi fosse questo famososanto di cui tanto si parlava.

Gli old members scoppiarono a ridere di fronte a tantacrassa ignoranza e il capitano spiegò che saint andrews,cittadina scozzese, era il luogo in cui erano state codifica-te per la prima volta nella storia le regole del gioco delgolf. Da quel momento in poi, saint andrews era diventa-ta la Mecca dei golfisti, il Golf, dove bisognava, almenouna volta nella vita, aver eseguito un colpo, pena il nonessere considerato altro che un golfista mediocre, unbuono a nulla.

claude cagesse ci andava ogni anno in pellegrinaggiocon i suoi amici. Fissava la data della partenza da un annoall’altro, data la grande affluenza sul mitico percorso.

Poi diede tutta una serie di spiegazioni poco chiare,raccontando l’ultima partita che vi aveva giocato con unaprofusione di dettagli inimmaginabile.

aveva appoggiato la coppa di champagne e mimava lesue prodezze:

– ...e se alla diciassette il caddie non si fosse sbagliatodi numero, avrei giocato il mio handicap! Pensate chequell’asino mi ha dato un ferro nove invece di un sette! Percui, invece di colpire il green sono finito in pieno bunker...

agitò la mano per far capire il suo dolore:– I bunker laggiù, non vi dico! Fosse da obici! Tre

colpi per uscirne! E pare che me la sia cavata bene!Persino arnold Palmer, una volta, impiegò dodici colpiper uscire da quello stesso bunker! Vi rendete conto?arnold Palmer!

Mary non conosceva quel nome. neanche Minette cheebbe però il coraggio di fare la domanda che nessunoosava fare:

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– chi sarebbe questo Palmer?Poco ci mancò che il capitano si ingoiasse il sigaro:– Palmer? Ma era un tipo incredibile! Uno dei più gran-

di campioni che il golf abbia mai conosciuto. Un idolonegli stati Uniti. anche adesso, a oltre sessantacinqueanni, vince ancora dei tornei sui circuiti senior!

Bob, per dimostrare che non era ignorante come i suoicompagni, parlò di Jack nicklaus, di Lee Trivino mentreun altro membro del gruppo dei principianti, un dentistasulla trentina, buttò in mezzo alla conversazione anchesteve Ballesteros e Greg norman.

Mary aveva letto questi nomi la sera prima sulle rivisteche le aveva dato il commissario. sapeva che si trattava dicampioni di golf che passavano le loro giornate a giocaree che per farlo venivano pagati milioni di dollari.

La conversazione procedeva spedita e robertDuhallier, entusiasta, ordinò altre due bottiglie di champa-gne. Mary non diceva niente, osservava gli old membersdato che erano loro a interessarla in primo luogo.

Oltre al capitano (che solo dopo venne a sapere esserequello che si occupava dell’elaborazione del calendariodelle gare e del loro buon funzionamento), c’erano unuomo alto e forte, una specie di grosso bamboccio biondodalla calvizie rosata, con qualche capello bianco, che pro-feriva fastidiose banalità dandosi arie di chi la sa lunga manon dirà niente, un settantenne con gli occhialini tondi suun turgido naso, folti capelli grigi, di cui ci si domandavase sapesse parlare dato che fino a quel momento si erafatto notare solo per una risata caprina assolutamente sor-prendente. Infine un anziano signore dall’andatura moltobritish, con piccoli baffi bianchi e un viso affetto dacouperose, che avrebbe interpretato in modo eccellente laparte di un maggiore in un film sulla compagnia delleIndie.

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Era sempre il capitano a tenere banco. Era il “signorso tutto io”. suo padre era stato un membro fondatore delcircolo del Bois Joli e lui mostrò fieramente il quadro coicampioni dove il suo nome figurava nell’anno 1952.

– a quel tempo, – gracchiò, – eseguivo drive a 250metri come uno scherzo...

– Ora li fai sempre i tuoi 250 metri, – disse il bamboc-cione biondo, – ma in tre volte!

– E già, – fece il capitano con un filo di nostalgia nellavoce, – ma il gioco di precisione c’è ancora! È questo cherende formidabile il golf, non ci sono limiti di età, il nostrosocio più vecchio ha ormai passato l’ottantina e giocaancora tutti i giorni!

sui muri rivestiti di legno scuro, c’era un vasto assor-timento di mazze da golf di inizio secolo con manici dilegno, impugnature di cuoio, incrociati come le spadedegli antenati nei castelli, e quadri a forma di albi d’ono-re dove figuravano i nomi dei campioni del circolo annodopo anno.

In alcune vetrine, coppe, medaglie, trofei di tutti i tipi,accuratamente lucidati. Doveva essere il barista che nelleore morte si incaricava di far risplendere i testimoni dellagloria sportiva del circolo.

– allora, signorina Lester, che ne dice di questa primalezione?

Mary sobbalzò, risvegliata dai suoi pensieri, era ilcapitano che si rivolgeva a lei. Gli sorrise:

– È più difficile di quel che credevo...si guardò le mani, nel punto in cui la pelle si era un po’

arrossata:– spero che non mi vengano le vesciche!Il capitano le prese la mano e la esaminò:– Fa parte del gioco! succede perché non impugna

bene la mazza.

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– È ciò che mi ha detto il maestro...– non si preoccupi, domani farà dei tiri di precisione...– cosa sono i tiri di precisione?– sono il contrario dei tiri lunghi, è quando uno arriva

vicino al green e in quel caso non bisogna tirare forte, ènecessario essere precisi, saper piazzare la palla il piùvicino possibile alla bandiera.

Mary aveva appena bevuto metà della sua coppa dichampagne. non le piaceva molto. avrebbe preferitouna tazza di tè o una bella birra, ma visto che c’era lochampagne...

Quando si ritrovarono al parcheggio, ognuno vicinoalla rispettiva macchina, notarono che non vi era una gran-de affluenza. Eppure erano in piena stagione turistica.

sul campo pratica un ragazzo raccoglieva le palle,appollaiato su un curioso veicolo, una specie di piccolotrattore provvisto di un dispositivo che scovava e afferra-va le palline gialle nell’erba. Tutto l’abitacolo era circon-dato da una specie di gabbia reticolata che serviva a pro-teggere il conducente da proiettili fuori controllo.

arrivò al distributore delle palline mentre Mary uscivadal parcheggio così le loro strade si incrociarono. Lei sifermò, uscì dalla macchina, salutò il ragazzo che avevabloccato l’auto senza spegnere il motore.

Visto da vicino, era un adolescente di quindici o sedicianni, dal viso aperto. Mary si avvicinò:

– Buongiorno...– Buongiorno signora, – disse il ragazzo.– Fino a che ora è aperto il campo pratica? – domandò.Le fece segno che non sentiva e andò a spegnere il

motore. Una volta cessato il borbottio del motore, lei glirifece la domanda.

– Oh! Fino alle otto.– Lei lavora qui?

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– soltanto durante le vacanze.E aggiunse:– Mio padre fa il greenkeeper.Lei aggrottò le sopracciglia:– scusi?Per un attimo il ragazzo rimase sconcertato: come era

possibile che la ragazza non sapesse chi fosse un green-keeper, il personaggio più importante del golf? spiegòeducatamente:

– Il greenkeeper è il responsabile del campo, il giardi-niere capo se preferisce.

– ah! E ci sono molti giardinieri?– Una decina, più alcuni aiuti in estate, come me.– c’è più lavoro d’estate?– certo, l’erba cresce più in fretta, bisogna rasarla più

spesso e poi ogni domenica ci sono gare, bisogna battere igreen...

– Battere i green?Di fronte all’aria stupita di Mary, il ragazzo incomin-

ciò a divertirsi. Però, con aria seria spiegò: – La mattina i green sono ricoperti di rugiada, la palla

non rotola. Le squadre che partono per prime sarebberosvantaggiate se i green non venissero battuti.

– Ed è lei che batte i green?– a volte, quando è il mio turno.– Perché, ognuno ha il suo turno?– Beh, – disse il ragazzo, – bisogna alzarsi alle cinque

per fare questo lavoro. si rende conto? Di domenica mat-tina! non è certo un piacere!

– E come funziona?– si passa di green in green partendo dal numero uno

con una specie di lunga canna da pesca flessibile che vienepassata su tutta la superficie. così la rugiada cade.

– Le ci vorrà un sacco di tempo!

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– Lo credo bene, – disse il ragazzo, – qui i green sonoimmensi!

– E lei gioca a golf?Il suo viso si illuminò di un gran sorriso:– sì...Poi aggiunse:– Faccio anche il caddie...– sarebbe a dire? – domandò Mary.– Beh, quando i giocatori lo richiedono porto le sacche

o tiro il carrello e do qualche consiglio sul percorso.– suppongo che sappia giocare bene...– Ho handicap due.Mary aveva letto il giorno prima nelle riviste che più il

numero dell’handicap è basso più il giocatore è in alto inclassifica. Fece un’espressione ammirata:

– Bravo! suppongo che sia uno dei migliori giocatoridel circolo!

– Faccio parte della prima squadra...– Bravo, – fece lei di nuovo.– L’anno scorso, – disse lui orgogliosamente, – siamo

arrivati secondi alla saint-sauveur.Precisò:– È una gara di golf a livello nazionale.– suppongo, – disse, – che giochi da parecchio tempo.– Da quando avevo cinque anni, – disse lui, – mio

padre lavorava qui già da prima che io nascessi. abitiamosopra il deposito dei tosaerba. appena ho imparato a cam-minare ho colpito la palla. Lei è una principiante?

– sì, – disse, – faccio uno stage con il signor sergent.Lo conosce?

– certo, – disse, – è un tipo straordinario, la genteviene un po’ da tutte le parti a chiedergli consigli. con luiè in buone mani.

Mostrò il parcheggio quasi vuoto:

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– Ma senta, non c’è molta gente oggi. È così tutti igiorni?

Il volto del ragazzo si era rabbuiato:– Hanno aperto due nuovi campi da golf. Golf pubbli-

ci, allora per forza...– Per forza cosa?– Beh, costa di meno. Le persone fanno caso alla quota.

a fianco, sono cinquemila franchi per tutto l’anno e senzadiritti d’ingresso.

– E qui? – chiese Mary.– Qui? sono due milioni all’anno, più il diritto d’in-

gresso di cinque milioni.Lei soffiò tra i denti:– accidenti...Poi lo guardò:– Ma lei, lei non paga questi prezzi?– Io non pago nulla, – disse il ragazzo con un gran sor-

riso. – non pago nulla perché gioco bene e faccio vinceredelle posizioni in campionato.

– E siete in tanti a fare così?– cinque. cinque vecchi caddie, tre ragazzi e due

ragazze, tutti giovani che, come me, sono nati sul percor-so e giocano sin dalla più tenera età.

– Vi porterete via tutti i premi delle gare.– siamo fuori gara, significa che non siamo classifica-

ti nelle gare della domenica...Guardò Mary ridendo:– altrimenti è chiaro che gli orologi da diecimila franchi

e le video camere dei primi premi non ci sfuggirebbero.si guardò intorno come se temesse che qualcuno lo

potesse sentire e disse a voce più bassa:– È meglio lasciarli ai signori che pagano!Mary gli sorrise con complicità e gli domandò:– come si chiama?

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– Bernard, ma mi chiamano tutti “nicklaus”...Ebbe improvvisamente voglia di dare del tu a questo

simpatico ragazzo:– Giochi bene come lui?rispose seriamente, senza offendersi per il tu:– nessuno gioca come nicklaus!– ah... e se volessi che tu diventassi il mio caddie, mio

caro “nicklaus”, che cosa dovrei fare?– Facile, – fece il ragazzo e il viso pieno di lentiggini

si illuminò, – chieda di me in segreteria.In fondo al campo pratica una figura faceva gesti

frenetici:– accidenti, – disse “nicklaus”, – ecco il mio vecchio.

Bisogna che mi muova!aveva l’aria simpatica e un po’ da monello. E anche la

sfrontatezza.aprì la macchina che distribuiva le palle e cominciò a

svuotare le ceste facendo, da sopra la spalla, l’occhiolinoa Mary che lo ricambiò.

allora Mary innestò la marcia e riprese la strada versola pensione “Les Mimosas”.

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V

L’ondata di caldo continuava. robert Duhallier, chegrazie all’età, alla sua situazione finanziaria e al suo garboera automaticamente diventato il portavoce del gruppodegli stagisti, aveva ottenuto da Paul sergent che i corsifossero fissati nel tardo pomeriggio, dopo le ore più calde.

così, da quel momento si trovarono alle diciotto, percui Mary aveva libertà totale durante il giorno. senzaombra di dubbio, da quando era entrata in polizia, quellaera la missione più piacevole che le fosse mai stata affida-ta: una vera vacanza pagata dall’ufficio! aveva tutta l’in-tenzione di sfruttarla al massimo.

Durante il giorno, come le era stato richiesto, faceva laturista. Dormiva fino a tardi e prolungava molto volentie-ri il momento della colazione leggendo il giornale dallaprima all’ultima pagina. Poi andava in spiaggia, faceva ilbagno, si crogiolava un po’ al sole, a pranzo mangiavaun’insalata mista sotto un ombrellone su una terrazza difronte al mare.

successivamente ritrovava la quiete della sua camera esi stendeva per rileggere I tre moschettieri. a volte schiac-ciava un pisolino rigenerante. Quando si svegliava, torna-va a fare un bagno al mare, poi rientrava per farsi una doc-cia e ordinava un tè con toast e marmellate.

Le veniva servito sotto i pini, vicino al tennis e lei spiz-zicava qualcosa sfogliando riviste di arredamento, queigiornali che fanno sognare presentando case eccezionali.a volte rivolgeva un pensiero compassionevole a Fortin,

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“il piccolo Fortin”, quel giovane ispettore che l’avevatanto aiutata durante la sua prima inchiesta a Quimper.

Lo sfortunato aveva ereditato il dossier sui furti dioggetti dalle auto in sosta e, mentre lei se la godeva, Fortindoveva fare il porta a porta nel quartiere HLM4 e negliaccampamenti degli zingari, prendendosi tutti gli insultiche si può beccare un agente di polizia in posti simili.

Mary aveva affittato una bicicletta. alle cinque infor-cava l’attrezzo e pedalava fino al circolo. Quando tornavadalla lezione si fermava a una cabina telefonica e chiama-va il commissario Graissac che la esortava continuamentealla massima prudenza.

Ma come poteva essere più prudente di così?Poco a poco prendeva confidenza al circolo. Dopo ogni

lezione il gruppo andava al bar. Pagavano a turno. Poiprese l’abitudine di fermarsi per cena. c’era un ristoranteal Golf del Bois Joli dove gli old members, come loro stes-si si definivano, amavano ritrovarsi per raccontarsi le par-tite, vantarsi delle loro performance o recriminare sullasfortuna che non li aveva abbandonati durante l’ultimogiro.

alcune partite erano “interessate”, vale a dire che c’erauna posta in gioco. Il più delle volte si giocavano unabevuta, altre una palla perché dicevano che per ogni parti-ta era bene giocarsi qualcosa. alcune squadre si giocava-no una palla per ogni punto di scarto e infine, come Maryapprese da “nicklaus”, si giocavano pure una palla “rive-stita”. Quando lei chiese dentro che cosa questa palladovesse essere avvolta, il giovane caddie all’orecchio conaria misteriosa le disse:

– Guardi bene al bar, la squadra del capitano...

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4 HLM: Da Habitation à Loyer Modéré, edificio popolare.

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La sera stessa in uno specchio vide dei biglietti da 500franchi passare di mano in mano molto discretamente. Lepalle venivano dunque rivestite con biglietti da 500 fran-chi. Quando si verificavano degli scarti di dieci o quindi-ci punti, si arrivava velocemente a somme considerevoli.

al di fuori di questo Mary non aveva notato niente dianormale. rivedeva regolarmente gli stessi volti, in parti-colare quelli dei senior che erano per la maggior partepensionati, giocavano tutti i giorni alla stessa ora con glistessi compagni e si ritrovavano immancabilmente attornoa un bicchiere di birra allo scoccare delle diciotto.

Il campo era fiancheggiato da un laghetto nel quale ipiù maldestri spedivano regolarmente le palline e dove igiardinieri attingevano l’acqua necessaria per innaffiare igreen e i fairway.

sul bordo di questa superficie d’acqua, c’era una picco-la costruzione che ospitava l’impianto di pompaggio.“nicklaus”, sempre lui, aveva spiegato a Mary che il campodel Bois Joli era dotato di un sistema di irrigazione sotter-raneo gestito da un computer. al crepuscolo, dal suo ufficioil greenkeeper regolava l’innaffiamento automatico aseconda delle necessità e come per magia dei geyser zam-pillavano contemporaneamente sulle 18 buche del percorso.

con il suo giovane cicerone aveva visitato gli hangarin cui era custodito il materiale e si era stupita della tecni-ca necessaria per la manutenzione del campo. c’erano deitrattori, tosaerba, macchine per rastrellare i bunker, altreper “rasare” i green, imponenti, splendenti, estremamentesofisticate.

Un hangar ospitava centinaia di sacchi di concime,pesticidi, ammendamenti e il greenkeeper disponeva diuna specie di piccolo laboratorio dove poteva analizzare odiagnosticare, per curarli efficacemente, quali parassitiavevano attaccato i suoi adorati green.

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Il caddie, inoltre, le rivelò che suo padre si era diplo-mato in una scuola di orticultura dove venivano formatigli specialisti della manutenzione dei campi da golf.

c’era anche un’officina dove un meccanico si occupa-va della manutenzione dei macchinari. Era materiale cheveniva usato molto. La distesa da tagliare era talmentegrande che appena finito da una parte bisognava ricomin-ciare dall’altra. E non ci si poteva permettere che unamacchina si rompesse in piena stagione.

I giardinieri non avevano nemmeno il tempo di respi-rare. appena i giocatori lasciavano i fairway se ne impos-sessavano, aprivano le danze con la rasatura e il romboturbava la serenità della campagna.

sempre dal giovane caddie Mary venne a sapere cheesistevano almeno tre tipi di tosatrici: quelle che rasavanoi green quasi al millimetro, quelle che lavoravano solo suifairway, quattro rulli trainati da un trattore con le ruotelarghe, e infine le macchine per i rough che tagliavano ibordi laddove, per penalizzare i giocatori che non aveva-no effettuato un bel colpo, l’erba era più alta. c’era ancheuna macchina per rastrellare i bunker, le depressioni sab-biose del terreno posizionate sul percorso in luoghi strate-gici e che era sempre meglio evitare perché, come avevadetto il professore, “era più facile entrarci che uscirne”.

Per il resto, il suo apprendistato procedeva regolar-mente e Paul sergent, il professore, pareva molto soddi-sfatto dell’allieva. Ormai colpiva tutte le palle, riuscivaanche a spedirle lontano, cosa che la faceva guardare ditraverso dai suoi compagni di squadra.

si stupiva di prenderci gusto e si chiedeva se alla finedello stage e dell’inchiesta, non sarebbe stata tentata dicontinuare l’esperienza iscrivendosi a un circolo.

Il professore, abbandonato il campo pratica, a volte liportava sul pitch and putt, un percorso abbreviato di nove

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buche, sul quale i principianti muovevano i loro primipassi.

Poco a poco, Mary prese l’abitudine di andarci da solaaspettando l’ora della lezione. aveva notato un vecchiosignore che giocava con alcuni ragazzini dimostrandoun’enorme pazienza. Quando Paul sergent lo incrociava,lo salutava con gran rispetto.

sergent li informò trattarsi del signor Hermany, che siavviava allegramente verso i novant’anni, giocava tutti igiorni indipendentemente dalle condizioni meteorologi-che, a volte da solo ma più spesso con i ragazzi più gio-vani della scuola di golf. Il signor Hermany, da quantodiceva Paul sergent, era stato un ottimo giocatore di golfe al momento sapeva ancora elargire ottimi consigli ai gio-vani componenti della squadra.

– Questi ragazzini hanno la grande fortuna, – diceva, –di poter approfittare dell’esperienza del signor Hermany.chi ha la fortuna di giocare con lui conosce già l’etichet-ta o per lo meno sa applicarla meglio di tanti altri gioca-tori adulti.

Minette aveva chiesto ingenuamente:– Quale etichetta?E la sua aria così innocente aveva fatto sorridere tutti,

sia chi conosceva la risposta che gli altri.– L’etichetta, – aveva spiegato il professore, – ne sen-

tirete parlare spesso. non è altro che un codice di buonacondotta su un percorso di golf. Ve lo spiego a grandi lineeche cos’è; per maggiori informazioni consultate l’opusco-lo che vi è stato dato riguardo le regole del gioco.

E dato che tutti lo ascoltavano con attenzione, continuò:– Prima di tutto, rispetto del campo: dovete raccoglie-

re i vostri divot, cioè le zolle che potreste staccare da terracon i ferri, e rimetterli lì dove li avete tolti spingendo leg-germente. se lo fate subito l’erba riprenderà la radice e

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non rimarranno tracce del vostro passaggio. altrimentiresterà nel fairway una parte rovinata tanto sgradevole dalpunto di vista estetico quanto pericolosa se una vostrapalla dovesse finire lì. se vi arenate in un bunker, lo dove-te rastrellare e pareggiare la sabbia affinché il giocatoreche viene dopo di voi non venga penalizzato nel trovare lasua palla dentro la fossa dell’impronta dei vostri talloni.Infine, se voi fate un pitch sul green...

– se noi cosa? – chiese ancora Minette.– se voi fate un pitch, – continuò Paul sergent, – vale

a dire, se la vostra palla arrivando dall’alto fa un buco sulgreen...

La guardò divertito:– allo stato attuale della vostra tecnica golfistica, vi

potrebbe succedere solo accidentalmente...sorrise nuovamente con un sorriso a trentasei denti, tra

l’altro bianchissimi e ben allineati, e continuò: – Dovete risistemare il vostro pitch. Tirò fuori dalla sua tasca un piccolo oggetto, una spe-

cie di mini forchetta di plastica con due denti:– Vi invito a portare sempre con voi questo strumento

chiamato alza pitch. sollevate la terra che la vostra pallaha solcato poi spianate il tutto con il putter. se lo fatesubito, il green continuerà a crescere normalmente. senon lo fate, l’erba morirà e il green avrà presto un pessi-mo aspetto e sarà costellato da numerosi buchi, cosa chenon faciliterà il gioco. Per il resto, l’etichetta riguardo ilrapporto con gli altri giocatori si rifà semplicemente alleregole della buona educazione: se vi accorgete che stateostacolando un’altra partita che procede più velocerispetto alla vostra, lasciate passare avanti. abbandonatoil green una volta eseguito il putt, andate a segnare lavostra scheda alla partenza seguente. E se una partita viostacola perché è giocata in modo troppo lento domanda-

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te cortesemente di poter passare avanti senza lanciare lepalle in testa a qualcuno.

Li guardò di nuovo sorridendo:– Lo so, sembra facile e senz’altro lo è, ma se sapeste

quanti non riescono a rispettare nemmeno queste sempliciregole di savoir-vivre!

La sera al bar Mary andò a salutare l’anziano signoreche sorseggiava una coca-cola in compagnia dei suoigiovani amici, in attesa come loro che qualcuno lo venis-se a prendere.

Quando i ragazzi se ne furono andati con i loro genito-ri lei intavolò la conversazione:

– Pare che lei sia il golfista più anziano del circolo,signor Hermany.

– Purtroppo sì signorina, – disse lui sorridendomaliziosamente.

aveva un’incredibile capigliatura, molto bianca, in con-trasto con il viso scuro come il cuoio segnato da profonderughe. Occhi color nocciola, sorprendentemente giovanilie scintillanti sotto sopracciglia anch’esse bianche.

– La vedo quasi tutti i giorni, – disse lei dopo unapausa di silenzio, – gioca spesso con ragazzi giovani.

– no, non spesso, – disse lui, – sempre!ci fu un altro silenzio durante il quale si guardarono e

poi fu il signor Hermany a parlare per primo:– Vede, la vecchiaia si avvicina molto all’infanzia. Io

non ho più la forza di effettuare un drive lungo, loro anco-ra non ce l’hanno.

Parlava lentamente e la sua voce era un po’ tremolante.L’ultimo ragazzino aveva appena lasciato il bar dopo

aver fatto un cenno di saluto al vecchio amico.Il signor Hermany gli sorrise e ricambiò il saluto:– a domani nicolas...

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Lo guardò andar via, intenerito, e disse a Mary:– Un bravo ragazzino. sarà un temibile cliente tra una

decina d’anni...Per un po’ si perse in fantasticherie, nostalgico. Lui

non ci sarebbe stato più, per vederlo. Poi tornò a Mary:– non hanno ancora la patente, – disse l’anziano signo-

re, – così i genitori devono venire a prenderli. nemmeno ioguido, è mia figlia che mi porta e mi viene a prendere,come un bambino. Quando arriverà mi chiederà se nonsono troppo stanco, se mi sono messo il golfino negli ango-li con le correnti d’aria, se mi sono portato l’ombrello...

sorrise nuovamente guardando Mary:– Proprio come a un ragazzino. Le mostrò il bicchiere di coca-cola:– Bevo quello che bevono loro...E aggiunse in confidenza come se le stesse rivelando

qualcosa di sconveniente:– E devo dire che incomincia a piacermi!al bar, l’erogatore di birra non si fermava mai! Erano

stai fatti diversi giri e il volume delle voci si stava alzando.– Lei non si unisce mai agli altri senior, – disse Mary.Il signor Hermany rise nuovamente:– È solo perché gli altri senior, come li chiama lei,

hanno vent’anni meno di me. Vede claude cagesse, ilcapitano, io ho giocato tantissimo con suo padre che fu ilprimo presidente del circolo. Ma lui, per me, resta unragazzo. Quanto agli altri...

Fece un gesto di disincanto che Mary non seppe inter-pretare. Lo guardò con aria interrogativa. che cosa volevadire? rischiò:

– non li conosce?Il vecchio rise nuovamente e sollevò le sopracciglia,

cosa che moltiplicò le rughe della fronte, facendogli occhida clown:

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– Oh certo, fin troppo bene!In quel momento la porta del bar si aprì ed entrò una

signora che poteva essere la nonna di Mary.– ah, ecco il mio autista, – disse l’anziano signore

appoggiandosi ai braccioli della poltrona per alzarsi.Mary si alzò di scatto per aiutarlo e lui la ringraziò. Poi

esclamò allegramente:– ah queste poltrone! ci si sta bene seduti ma per

alzarsi!Poi, rivolgendosi alla figlia:– Eccomi Madeleine.– sono un po’ in ritardo, – disse Madeleine, – ma il

giardiniere è venuto a portarmi il conto proprio mentresalivo in macchina e, poi, fino a quando non mi ha aggior-nata su tutto il quartiere, non se ne va.

– non importa, – disse il vecchio, – ero in piacevolecompagnia.

Mary si presentò:– Mary Lester. sono in vacanza a La Baule e ne appro-

fitto per imparare a giocare a golf.– ah, allora ha trovato la persona giusta! – disse la

donna tendendole la mano.si presentò a sua volta:– Madeleine Dur, sono la figlia di questo anziano

monello.Il signor Hermany rise silenziosamente e Mary pensò

che il termine “anziano monello” gli calzava a pennello.La donna aveva un viso pieno e liscio, gli stessi occhi

del padre e un sorriso sincero. La sua stretta di mano erasicura e Mary notò dei graffi sulle dita e sul polso.

aveva seguito lo sguardo di Mary sui suoi tagli.– Le more, – spiegò. – siamo in piena stagione e que-

st’anno, con il caldo, ce ne sono in abbondanza. avremoottime marmellate quest’inverno.

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– Lei non gioca a golf? – chiese Mary.– non ci gioca più, – disse il signor Hermany. – Lei

non lo sa ma era una campionessa! E ancora adesso, se cisi rimettesse, conosco delle sciocche che si credono dellecime che lei potrebbe tranquillamente mandare a casa.

Madeleine Dur mise affettuosamente la mano sul brac-cio dell’uomo:

– andiamo papà, dice cose senza senso! Lo sa che nontocco una mazza da vent’anni!

– che importanza ha, – disse il vecchio testardo, – soquello che dico! con un piccolo allenamento...

Lei scosse la testa, sorridendo e si girò verso Mary:– con una casa da portare avanti, sei nipotini in vacan-

za e le marmellate, dove troverei il tempo... Buonaserasignorina.

Mary li guardò uscire e sentì Madeleine chiedere a suopadre:

– spero che non si sia affaticato troppo!E il vecchio si girò verso di lei facendole l’occhiolino,

come per dire:– Visto, che le avevo detto!

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VI

Bernard Brévu, alias “nicklaus”, si allenava presto almattino prima di prendere servizio nel gruppo di manu-tenzione. Questa possibilità gli era stata concessa perchéin quell’orario mattutino non rischiava di disturbare i sociche arrivavano solo più tardi.

Mary non conosceva ancora il campo se non per quelloche aveva letto sulla rivista di golf prestatale dal commis-sario Graissac. La mappa del percorso era dettagliata, bucaper buca, le distanze stabilite, le difficoltà esplicitate.

Tuttavia, aveva fretta di percorrerlo “per davvero”. Lasua competenza in materia di golf non le permetteva anco-ra di mettere piede sul percorso grande. Bisognava cheprima ottenesse l’handicap, vale a dire effettuasse unaspecie di esame con delle performance minime, passaggioobbligato per poter accedere alle diciotto buche.

Queste disposizioni erano state prese affinché il per-corso non venisse danneggiato dai golfisti inesperti che,tra l’altro, data la loro ignoranza in materia di etichettaavrebbero potuto far ritardare le partite e disturbare laserenità degli old members.

a detta del suo maestro, nonostante i notevoli progres-si, Mary non era ancora pronta. su questo apprezzamentolei non aveva fatto commenti benché avesse notato allapartenza della buca numero uno, che si trovava di frontealle finestre del bar, alcune mogli di soci che, in materia digolf, non sembravano avere altra conoscenza se non quel-la dell’abbigliamento.

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E che abbigliamento! Lo scozzese regnava sovrano,pantaloni, gonne-pantalone se non addirittura una speciedi kilt rivisitato e corretto da una sarta a corto di ispira-zione. Una bionda smorta, col labbro inferiore sprezzante,sfoggiava anche una specie di berretto con un pomponrosso che, a suo dire, era l’emblema di uno dei più antichiclan scozzesi.

Mary aveva sorpreso Paul sergent che assisteva allapartenza di queste signore con un sorrisino. come dicevanel suo gergo per apprezzare un colpo sbagliato, “eranomazzate” e i ciuffi d’erba volavano spesso più lontanodella palla.

Tuttavia, una volta ritirato il sorriso, il suo commentorimaneva segnato da una grande indulgenza: assicuravaalla signora X... che era migliorata molto, alla signora y...che avrebbe dovuto stringere meglio il suo grip e allasignora z... che avrebbe ottenuto miglioramenti se avesse“ruotato” di più, poverina: aveva un seno così abbondan-te che si sarebbe ribaltata se il suo didietro non avessecostituito un contrappeso sapientemente fornito dallanatura.

Questo non impediva alle signore, terminato il girodelle nove buche, di commentare, davanti alla sacrosantatazza di tè, la loro partita con molta indulgenza e auto-compiacimento.

Per scoprire il percorso, Mary aveva preferito chiederea “nicklaus” di accompagnarla, proposta che il ragazzoaveva accettato di buon grado.

Quella mattina il ragazzo giocava con il suo partnerabituale, un altro caddie più o meno della sua età, LucMonnier, detto “Ballesteros”. Luc Monnier era, anche lui,figlio di un dipendente del golf. suo padre si occupavadella manutenzione delle macchine e lui, come il suo com-pare “nicklaus”, faceva il caddie durante le vacanze.

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– Insomma vi siete dati tutti dei soprannomi da cam-pioni? – domandò lei alla partenza della buca numero uno.

– sì, – disse “nicklaus”, – e oltre a noi due ci sono“norman”, “Langers” e “Watson”.

– anche le ragazze hanno un soprannome?I due scoppiarono a ridere.– abbiamo “Laura Davies”, – disse alla fine “nicklaus”,

– quella che sgobba alla reception. Ma è meglio non chia-marla così, non le piace.

Mary si ricordò di aver visto alla reception un’adole-scente cicciotella con gli occhi duri e blu che doveva sof-frire per la sua rotondità.

Perplessa, guardò i due che ancora ridevano e infinechiese:

– Laura Davies anche lei è...Gonfiò le guance e allargò le braccia per mostrare

volume.– ...Un po’ panciuta?Di nuovo i due scoppiarono a ridere.– sì, un po’!E “nicklaus” aggiunse con ammirazione:– Ma lancia forte quanto un uomo!– Parli di quella vera o della vostra amica? – chiese

Mary.– Di tutte e due, – disse il caddie.E, rivolgendosi al suo amico:– che ne dici, “stevy”, delle vere testone!“stevy Ballesteros”, che oltre al cognome aveva eredi-

tato dal campione anche il nome e il nomignolo, assentìcol capo. Il tiro a sorte gli aveva dato l’onore di giocareper primo. affondò il suo tee nel suolo, verificò che nonfosse davanti alle palline, mise la sua sul piccolo perno dilegno che serviva a sollevarla e annunciò serio: – Titleistnumero due.

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Era la marca e il numero d’identificazione della pallina.Poi tirò fuori dal foderò il suo driver, che aveva la testa

metallica protetta da un manicotto, controllò il suo grip,fece qualche passo di prova facendo fischiare la mazza esi mise infine in posizione di address, cioè davanti allapalla, pronto a colpirla.

Guardò a lungo l’immensa distesa verde davanti a lui,delimitata dai pini, alzò la mazza con una lentezza esa-sperante. alla fine, dopo una pausa nel punto più in alto,la mazza ridiscese come un fulmine. Mary sentì il fischionell’aria e il rumore argentino della palla contro la testa dimetallo che allo sprint finale arrivò quasi a toccare le nati-che del ragazzo.

La palla era volata dritta, salendo come un aereo infase di decollo. a Mary sembrò che non sarebbe più scesa.Invece cadde sul fairway a una distanza incredibile e con-tinuò a rotolare sull’erba ben rasata.

– caspita, – esclamò lei, – che drive!“Ballesteros”, che raccoglieva il suo tee, arrossì di pia-

cere. ciò che colpì Mary fu che non sembrava avessedovuto esercitare molta forza. Era stato un movimento diuna grazia aerea, una specie di passo di danza perfetta-mente armonico che si era concluso laggiù in quella apo-teosi a duecentocinquanta metri, nel bel mezzo del fairway.

“nicklaus” si stava preparando a sua volta con lo stes-so cerimoniale. annunciò: – Titleist numero cinque. –anche il suo movimento fu eseguito in piena scioltezza.La palla volò al di sopra dei pini. non aveva seguito lastessa traiettoria dell’amico ma tracciò una leggera curvae, ritornando sul fairway, continuò a rotolare. si fermò unadecina di metri più lontana di quella di “Ballesteros”.

Questa volta Mary fischiò per l’ammirazione e il caddiedichiarò orgoglioso:

– nessuno fa un overdrive a “nicklaus”!

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– Ma, – fece “Ballesteros” indispettito, – vedremo chimetterà per primo in buca.

– che cosa vuol dire fare un overdrive? – chieseMary.

– Vuol dire effettuare un drive più lungo, – spiegò ilcaddie.

Gongolava.– È un colpo per il morale dell’avversario!Questo drive magistrale non era in effetti piaciuto

molto a “Ballesteros” che si era caricato la sacca in spallae andava a grandi passi verso la sua palla.

“nicklaus” si affrettò a raggiungerlo e gli spiegòsaggiamente:

– Te l’ho detto cento volte, questa buca bisogna gio-carla in draw.

– In che? – chiese Mary.– In draw, – disse il caddie mimandolo con la mano, –

cioè con effetto da destra a sinistra.– Vuoi dire che fai una palla a effetto? – esclamò lei

stupefatta.– certo, – disse il caddie ridendo della sua sorpresa. –

È facile, apri un po’ il piede sinistro, chiudi un po’ il gripe viene da solo! La palla gira come vuoi tu.

nell’entusiasmo del suo bel colpo appena riuscito siera rivolto a Mary dandole del tu; resosene conto, mise lamano davanti alla bocca ed esclamò:

– Oh, mi scusi signora! – Preferisco che mi si dia del tu piuttosto che mi si

chiami signora, – disse.“Ballesteros” era già sulla sua pallina. aveva appog-

giato la sacca a terra, stava studiando con incredibileserietà il colpo che avrebbe effettuato. “nicklaus” invecestava consultando un piccolo blocco sul quale aveva anno-tato qualcosa.

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– In teoria, dovrebbe giocare un legno tre, – disse aMary in via confidenziale. – Dovrebbe posizionarlo pro-prio davanti al green... se riuscisse nel suo tentativo diavvicinamento potrebbe fare un birdie.

– Il birdie è un punteggio inferiore di un colpo rispettoal par? – chiese Mary a bassa voce.

– sì, – rispose il caddie improvvisamente attento.Il par era il numero di colpi ideale da fare per conclu-

dere una buca a seconda della sua lunghezza: tre, quattroo cinque.

L’amico, come lui si aspettava, aveva tirato fuori unlegno tre dalla sua sacca e si preparava al secondo colpo.Di nuovo la palla filò dritta, fermandosi a una decina dimetri dal green.

si girò, fiero del suo tiro ed esclamò:– L’hai visto, “Jack”, vediamo se sai fare di meglio!La sfida era lanciata, la palla di “Jack” era caduta una

quindicina di metri più in là rispetto a quella dell’avversa-rio. Lui a sua volta, si posizionò davanti alla palla, strap-pò tre fili d’erba che lanciò in aria per vedere da doveveniva il vento.

Ma di vento proprio non ce n’era. Era una bella matti-na d’estate e si sentiva il buon odore degli aghi di pino edell’erba appena tagliata. “nicklaus” prese un ferro, fecequalche swing di prova, poi scosse il capo, lo rimise nellasacca e ne scelse un altro. Poi, di nuovo, fece qualchemovimento e si andò a posizionare all’altezza della suapalla aggrottando le sopracciglia per la concentrazione.

anche questa volta la preparazione al colpo fu di unalentezza indescrivibile. Poi il ferro soffiò e picchiò sullapalla. Volò via una zolla d’erba mentre la piccola sferabianca fendeva l’azzurro del cielo. Toccò il suolo all’al-tezza di quella di “Ballesteros” e continuò a rotolare finoal green dove si fermò a un metro dalla bandiera.

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– cazzo! – fece “stevy” impressionato. – con che cosahai tirato?

– Ferro uno, – disse “Jack” orgoglioso. – Hai visto, hofatto una palla zolla impeccabile!

aveva raccolto il suo divot e lo brandiva come un tro-feo. Poi tornò sui suoi passi per ripiazzarlo dove si erastaccato.

– spiegami, – chiese Mary, – che cos’è una palla zolla?– Un buon colpo di ferro, – disse il caddie, – deve

prima toccare la palla e poi il terreno. Quando guarderà iprofessionisti in televisione, vedrà che a ogni tiro stacca-no una zolla d’erba. Questo si chiama divot. Dà un movi-mento di rotazione alla palla, fornita di alveoli, che crea-no mulinelli portandola molto lontano.

– Il tuo tiro è stato formidabile, – disse Mary.E “Jack” con falsa modestia rispose:– sì, non mi lamento. Qualcuno, invece non aveva per niente apprezzato

l’exploit; era “stevy”. Di nuovo, camminava a grandipassi verso la palla. L’amico era in posizione di eagle, cioèpoteva fare tre sul par cinque. Lui, al massimo, potevafare un buon approccio e un putt, cosa che lo avrebbe por-tato a quattro ma era molto più probabile che gli servisse-ro due putt e realizzasse il par a due tiri dall’amico.

Due colpi fin dalla prima buca erano un handicappesante di fronte a un giocatore del calibro di “Jack”.

Posò la sacca vicino alla palla, misurò il campo fino algreen contandone i passi, arrivò fino alla bandiera, valu-tò la pendenza del terreno, tornò indietro di qualchemetro, si mise in ginocchio, poi a quattro zampe e quin-di, una volta finito tutto il cerimoniale, ritornò doveaveva la sacca.

scelse con cura una mazza, ne asciugò la testa con ilfazzoletto, si tolse il guanto e cercò la posizione.

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Durante tutto questo tempo “nicklaus”, in maniera di-sinvolta, aveva preso il putter, poi aveva messo un picco-lo segno dietro la sua pallina prima di toglierla.

– con che gioca? – chiese Mary a bassa voce.– con un wedge penso, – disse il giovane. – È un ferro

molto aperto che deve sollevare la palla per farla poi rica-dere sul green senza farla rotolare troppo.

Parlava a mezza bocca per non disturbare l’amico. – non c’è da fidarsi, – aggiunse, – è arguto nel gioco

di precisione!Il mondo sarebbe potuto crollare intorno a “stevy”. Per

lui esisteva solo quella piccola pallina bianca, poggiatasulla distesa di verde liscia come il velluto e la buchinanella quale era piantata una bandiera rossa pendente sul-l’asta di metallo.

Doveva far entrare la piccola sfera nella buchina o perlo meno avvicinarcisi il più possibile affinché bastassesolo un altro colpetto per farla entrare.

ciò che più sorprendeva Mary era la concentrazioneche dimostravano i due ragazzi. non aveva mai visto nien-te di simile in nessun altro sport. Quel silenzio, quandotoccava all’altro giocare... sembrava di stare in un tempioe allora capì meglio perché alcuni golfisti considerano illoro sport come una religione.

alla fine “stevy” colpì la palla. Fu un colpo pondera-to, calibrato a dovere. La pallina volò sopra il pezzetto difairway che la separava dal green, cadde proprio dovedoveva cadere e rotolò verso la bandiera che andò a toc-care prima di fermarsi a cinque centimetri dalla buca.

Presa dal gioco Mary batté le mani urlando “bravo!”mentre il finto Ballesteros imprecava:

– cazzo! Lo guardò, stupefatta, rimettere furioso il ferro nella

sacca.

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– non sei contento? È un bel colpo!– sarà pure un bel colpo, – disse “stevy” scontroso, –

ma non è dentro!– E allora?– E allora?La guardò come se fosse di fronte a una deficiente e,

indicando “Jack”, che si apprestava a usare il putter:– crede che farà tanti complimenti a infilarla lui?“Jack” aveva tolto la bandiera dalla buca e l’aveva

appoggiata tre passi dietro di lui, sul green. Poi si levò ilguanto e lo fece scivolare nella tasca posteriore dei panta-loni. Valutò il suo putt. Dato che “stevy” non avevasegnato la sua palla, gliela rinviò colpendola svogliata-mente col piede, dicendo:

– Palla data per quattro!– Grazie, – disse “stevy” punto sul vivo raccogliendo

la sua palla. – Perché ha tolto la bandiera? – chiese Mary.– Quando la palla è sul green, è vietato usare il putter

con la bandiera in buca. sono due punti di penalità. Però,quando si effettua un approccio come quello che ho appe-na fatto, si può scegliere di tenerla o si può chiedere chevenga tolta.

– E che cosa significa “data per quattro”?– significa che lui considera che io sono certo di far

entrare un putt e che mi dispensa dal giocarlo.E aggiunse:– Questo però vale solo nel match play, cioè quando

si gioca direttamente uno contro l’altro, buca dopobuca.

– Ed è quello che state facendo?– no, contiamo tutte le nostre buche in medal e poi

faremo il totale all’arrivo, ma si tratta di un accordo tra dinoi.

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“Jack” aveva colpito la palla. Era un putt di un metro,in linea retta, in leggera salita, uno di quei putt di cui spes-so si dice “che non si sbagliano”. Invece lo mancò. Lapalla fece esattamente il giro della buca rotolando sulbordo e si arrestò a qualche millimetro.

Pietrificato il ragazzo guardava la sua palla, incredulo.“cadrà!”, sembrava volesse dire. Poi, come se si stesserivolgendo a una persona in carne e ossa, gridò: – cadi!cadi! E cadi!

stanca, la pallina, in bilico sul bordo della buca adispetto di tutte le leggi dell’equilibrio, pareva impassibi-le alle esortazioni.

allora “stevy”, raccogliendo la sacca, disse a suavolta:

– Data per quattro.

La buca seguente era un par quattro, una buca blindcon dog leg a destra.

“Jack” spiegò a Mary che una buca blind era unabuca cieca, cioè in cui dalla partenza non si vedeva ilgreen. Il dog leg tradotto letteralmente significava“zampa di cane”. ciò voleva dire che il fairway forma-va un angolo.

conveniva dunque effettuare un drive con la palla nel-l’angolo del dog leg per avere l’apertura sul green. Era uncolpo tecnico che non ammetteva errori.

Dato che la buca precedente era finita in parità,“stevy” aveva salvato l’onore. Prese allora un ferro cin-que per giocare l’apertura mentre “Jack” lo guardava conun sorrisino ironico. Quel sorrisetto fece riflettere il ragaz-zo che, ravvedutosi, cambiò il ferro con un driver.

“Jack” lo guardava con un ampio sorriso, cosa cheinfastidì molto “stevy”.

“Ecco le manovre di disturbo,” pensò Mary.

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In effetti, i giocatori dal tiro lungo, mandando il colpoal di sopra della barriera di alberi che circondava il fair-way, potevano sperare di arrivare sul green col ferro duein un solo colpo e di chiudere il par quattro in tre colpi.

comunque, il rischio era considerevole. Bastava che lapalla toccasse un ramo perché, nel migliore dei casi,cadesse nel bosco o, peggio, andasse persa.

alla buca precedente, “Jack” aveva dimostrato di col-pire più lungo di “stevy”. La saggezza avrebbe racco-mandato al ragazzo, che aveva fatto valere le sue qualitàtecniche, di giocare la buca in par quattro, lasciando cheil compagno, se lo desiderava, tentasse il colpo in tre.

Ma in “stevy” il desiderio di vincere aveva cancella-to ogni forma di prudenza. afferrò allora il driver e siallineò deliberatamente con la barriera di alberi. seavesse perso la palla, avrebbe preso due punti di penali-tà. “Jack” avrebbe potuto giocare tranquillamente labuca in par quattro senza correre rischi e relegarlo a duepunti.

Tutti questi parametri dovevano girare nella testa delragazzo quando eseguì il colpo. non fu lo swing fluido egrazioso della partenza precedente ma un colpo nel qualeaveva voluto mettere tutta la sua potenza.

Ora, come direbbero tutti i maestri di golf, un colpoforzato è un colpo sbagliato. Per un istante sembrò che lapalla potesse volare sopra la cima degli alberi ma le man-cava la forza. La si vide urtare un ramo in alto, poi piùniente.

Di nuovo, il giovane imprecò:– cazzo! – martellando il terreno con la testa del driver.– Hai voluto forzare la mano, – disse “Jack” con tono

saccente. E, per consolarlo, aggiunse:– La ritroverai sul bordo.Prese a sua volta il driver e aggiunse:

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– Lo vedi, sono sportivo, potrei giocare tranquillamen-te in par quattro e prenderti due o tre punti, invece la gio-cherò come te!

Furioso, “stevy” sistemò la sua mazza, a testa bassa.Lo swing di “Jack” fu un capolavoro nel suo genere, flui-do, ben ritmato, con un finish impressionante. La pallapassò ampiamente al di là degli alberi e il ragazzo saltò inaria esclamando: – È sopra! È sopra!

Per raggiungere il green passarono dal sottobosco cheera stato perfettamente pulito.

– alliniamoci, – ordinò “Jack”. – La tua palla dovreb-be essere da quelle parti...

camminarono verso il margine del bosco, in ordinesparso, esaminando attentamente ogni angolo di terreno.non c’erano palline in vista.

– Forse è riuscita a passare, – disse “stevy” speranzo-so, – deve essere nel rough.

Ma nella zona di prato più fitto che fiancheggiava ilfairway non c’era la Titleist numero due. Mary scoprì unaGolden Ram dimenticata in una precedente partita.

“stevy” imprecò nuovamente, contrariato. Poi rivol-gendosi al suo partner aggiunse:

– neanche la tua si vede più. – strano, – disse “Jack” con le sopracciglia aggrottate,

esaminando la distesa di verde davanti a lui. Poi, speran-zoso a sua volta:

– Forse è dentro, avrò fatto buca in un colpo!– Ma guarda un po’, – fece “stevy” sarcastico, – hai

fatto buca in uno! soprattutto perché fare buca in uno suun par quattro cieco è frequente!

Ben inteso, la palla non era in buca. Però non era danessun’altra parte, assolutamente introvabile.

Dietro il green c’era una collinetta di una quindicina dimetri, sormontata da due grossi pini. ai loro piedi era stata

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disposta una panca per gli spettatori desiderosi di riposar-si guardando gli altri giocare. Era proprio qui che il diret-tore del circolo veniva di tanto in tanto con un binocoloper sorvegliare lo svolgimento delle partite. Da questa col-lina si vedeva tutto il percorso e non c’erano molte coseche potessero sfuggirgli.

si annotava le infrazioni al regolamento su un piccoloquadernetto nero chiuso con un elastico e non era bellovederci scritto il proprio nome. Il colonnello (in realtà unufficiale in pensione che occupava il ruolo dirigenziale)adorava richiamare “all’ordine” i trasgressori, come dice-va lui stesso usando una terminologia di uso militare.

arrivato in cima alla collina, “stevy” allargò le bracciain un movimento d’impotenza poi ridiscese correndo:

– non vi affaticate a cercare le palle, – disse, – il“coglione” è passato di qui. se l’è svignata laggiù, vicinoalla sei!

– cazzo, – esclamò “Jack”, – rompe proprio le pallequello stronzo!

– chi sarebbe questo “coglione”? – Un demente, – disse “Jack”. – abita proprio a fianco

della sette e la sua gioia consiste nel venire a rubare lepalle sul percorso.

– E non potete fare niente? – Oh, – disse “stevy” nauseato, – è troppo furbo per

venire lui stesso a prenderle! Ha addestrato il cane a farloal posto suo!

– Ma perché lo fa? – solo per romperci le palle, – affermò “Jack”. – senti

un po’, – fece all’amico, – dovremmo fare un’incursione incasa sua uno di questi giorni, avrà una quantità di palline!

– Grazie, – disse “stevy”, – ma proprio non ci tengo afarmi divorare da quel cagnaccio!

– Di che razza è il cane? – chiese Mary.

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– Una specie di boxer, più grosso, uno stronzo di canegrosso che sbava dappertutto, – disse “Jack”.

Mary sorrise:– Il suo padrone lo saprà gestire. – non so chi gestisce chi, – fece “Jack”, – ma a ogni

modo non è divertente vedere dei tizi così in campo. – credevo che l’ingresso al percorso fosse vietato, –

disse Mary.– E lo è, – disse “Jack”, – non mancano di certo cartel-

li a segnalarlo, ma quel minorato se ne frega!– non è che se ne frega, ci gode proprio a romperci le

palle, – disse “stevy”.E aggiunse:– Tu non lo sai, ma ha fatto cagare il cane sulla panca

del colonnello!– non ci posso credere! – esclamò “Jack”, improvvisa-

mente divertito.– Te lo giuro! – non avrai mica pulito spero!– Ehi! Ma per chi mi hai preso?Improvvisamente i due furono presi da una folle irre-

frenabile risata.– alla buon’ora! – disse Mary. – Eccovi finalmente di

buon umore. si può partecipare o è riservato agli iniziati?– Un mese fa, – spiegò “Jack”, – c’è stata la coppa del

rotary, la prima grande gara dell’anno. Il colonnello era alsuo posto per controllare che i giocatori contassero tutti iloro colpi.

– Ma come fa a farlo? – domandò Mary.– non è difficile, – fece “stevy”. – Lui prende una

partita, per esempio sulla sei o sulla dieci o sulla sedici;dal suo belvedere si vedono le buche dalla partenza algreen. conta i colpi e annota: “alla sei, Tizio ha fattoquattro, caio ha fatto sette, sempronio ha fatto otto.” La

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sera, quando si restituiscono le carte segnapunti, con-trolla se sono giusti i punti fatti in rapporto alle buchecorrispondenti.

– E se non corrispondono?– Declassa, penalizza, lo dichiara in pubblico alla con-

segna dei premi.“Jack” attenuò il discorso dell’amico:– Eh, non è che declassa tutti! Quando si tratta del

Presidente, del capitano o di qualche altro pezzo grosso,fa finta di non vedere!

– Perché, – fece Mary stupita, – il Presidente, ilcapitano barano?

– Forse loro no, – disse “Jack”, – ma sappiamo che cisono alcuni che non si fanno scrupoli!

– Eh sì, – fece “stevy”, – li conosciamo bene, vero“Jack”?

– Eccome, – disse “Jack”.Mary rimase stupita:– Ma... che interesse hanno?I due ragazzi fecero un’aria evasiva. non lo sapevano

nemmeno loro che cosa spingesse uomini rispettabili, chevenivano a fare le loro partite con i coupé da quarantami-la franchi, a barare per vincere un ombrello da cinquantafranchi. Misteri della natura umana.

– Di che cosa ridevate prima?–ah, sì, – disse “Jack”, – la coppa del rotary... Il colon-

nello aveva indossato la sua divisa numero uno, pantalonibianchi, blazer con distintivo dorato, la Légion d’honneurall’occhiello... non si era accorto di essersi seduto sulla caccadel cane del “coglione”! si è alzato per la premiazione con lebelle brache bianche piene di merda! La spargeva per tutta lasala! cazzo se abbiamo riso! Era paonazzo per la rabbia!

– soprattutto, – aggiunse “stevy”, – perché non lasmette di assillarci con la storia dell’abbigliamento alla

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premiazione. Bisogna mettersi la cravatta e un blazercome per andare a messa...

– spero, – disse Mary, – che non vi abbia visti ridere!– non siamo mica scemi, – disse “Jack”, – per una cosa

così sarebbe capace di mettere alla porta il mio vecchio.abbiamo tagliato la corda da dietro e ci siamo andati asbellicare dalle risate nelle docce.

– E gli altri, – chiese lei, – sono riusciti a trattenersi?– non lo sappiamo, – disse “stevy”, – te l’ho detto, noi

ce l’eravamo svignata.Mary si rallegrò di non essere stata presente a quella

famosa coppa rotary. ancora si ricordava della risata incon-tenibile che l’aveva presa quando, al castello di Trevarez,aveva saputo della resurrezione di Leamond de Lariviere5... Era certa che non sarebbe riuscita a trattenersi.

E finito l’intermezzo comico, la partita riprese in pienaregola. I due ragazzi si accordarono sul droppare una pallasenza penalità, approssimativamente nel luogo in cuiavrebbero dovuto ritrovare le loro: “stevy” ai margini delbosco, “Jack” sul fairway davanti al green.

Da una posizione delicata “stevy” effettuò nuovamen-te un approccio magnifico e giocò due putt. “Jack”, inve-ce, non sembrava avere lo stesso talento dell’amico nelgioco di precisione. rimase corto nel suo approccio eanche lui giocò due putt. Tutti e due fecero il par.

Buca dopo buca, la partita continuò in maniera equili-brata. Quello che “Jack” prendeva con la lunghezza aldrive, “stevy” lo recuperava con un gioco di precisionediabolico. sapeva “leggere” un green come nessun altro.La sua palla cadeva proprio dove doveva cadere, poi roto-lava verso la bandiera aderendo alle curve del terreno. su

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5 vedi Il castello scarlatto.

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un par tre difficile dove la palla di “stevy” si era per metàinfossata nella sabbia ai piedi di un green in discesa, riuscìad uscire in maniera favolosa e il backspin, o effetto all’in-dietro, riportò la palla verso la buca mentre era caduta unmetro più in là.

Un colpo da maestro tanto che neanche “Jack” potéfare a meno di applaudire.

Fu alla buca numero sette che si verificò lo scontro.

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VII

Eppure era una buca senza particolari problemi, labuca numero sette, un lungo par cinque senza grandi dif-ficoltà, se non un restringimento del fairway nella zona diarrivo del drive.

“stevy” aveva appena fatto rientrare un putt di ottometri ed era avanti di un punto rispetto all’amico. a causadell’incidente alla buca numero due, avevano perso tempoe avevano deciso di comune accordo di accontentarsi dinove buche per non fare tardi.

“Jack” decise dunque di tentare di giocare quel par cin-que in quattro colpi come aveva fatto alla uno.sfortunatamente fece lo stesso errore che l’amico avevafatto alla due: volle colpire troppo forte la palla che così sitrovò completamente spostata verso sinistra.

– Temo che tu sia fuori limite, – disse “stevy”, conte-nendo la sua gioia.

– credi? – domandò “Jack” preoccupato.– Temo proprio di sì. al posto tuo giocherei una prov-

visoria.“stevy”, che sapeva di avere ormai una opzione sulla

vittoria, non tentò di fare un colpo lungo. Giocò un legnotre in mezzo al fairway mentre l’amico prendeva un’altrapallina dalla sacca.

Mary gli domandò:– che cos’è una provvisoria?– Quando si rischia di non ritrovare la palla se ne gioca

un’altra chiamandola provvisoria. se la tua palla è vera-

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mente stata persa, ti evita di ritornare nel luogo in cui haicolpito. Fa risparmiare tempo.

– E se ritrovi la palla?– a quel punto la palla provvisoria non ha più ragione

d’esistere. Viene annullata ed è la prima a restare in gioco.al contrario, se non ritrovo la prima palla, o se è fuorilimite, la palla provvisoria diventa palla in gioco. Ma oltread aver perduto la mia palla mi prendo pure un punto dipenalità.

– Questo comporta, – disse Mary, – che se utilizzerai lapalla provvisoria invece di effettuare soltanto il drive tiverranno conteggiati tre colpi.

– Esatto... e credo proprio che sarà quanto mi succede-rà perché temo sia caduta dalla “pazza”.

– chi è la “pazza”?– Un campione, – disse il ragazzo, – non ti dico!

nessuno vuole più giocare con lei. – Ma perché? –È una rompipalle di prima categoria. contesta tutto e

si sente in dovere di essere gradevole con tutti. Quandos’iscrive alle gare, ce ne vuole per trovare qualcuno chevoglia dividere la partita con lei. Fortunatamente ci sonopersone esterne che non la conoscono, se no non potrem-mo farla giocare.

Erano arrivati in un punto del percorso costeggiato dasontuose residenze protette da alcune siepi o da murettifioriti. La maggior parte di queste avevano dei cancellettiche permettevano di accedere direttamente al campo.

su una di queste barriere, un proprietario spiritosoaveva affisso un cartello: “Slicers, se venite a recuperarela palla tra le 14 e le 16, chiudete piano la porta, faccio lasiesta”.

– Quello che abita lì è un tipo simpatico, – disse“stevy”. – non sono mica tutti così...

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Una delle proprietà, di costruzione recente, non avevaancora la recinzione. La palla di “Jack” poggiava su untappeto erboso malaticcio due metri al di qua del confinedel campo.

– Porca miseria, – disse il ragazzo deciso, – sapevo diesserci!

– recupera comunque la palla, – disse Mary.– Oddio, – disse mimando una smorfia di dolore, – se

la “pazza” mi vede entrare da lei, sono morto!– non credi di esagerare un pochino? – domandò Mary.

– cos’è tutto questo putiferio per una palla da venti franchi?– si vede che non la conosci, – disse il ragazzo.“stevy” aveva tirato fuori dalla sacca un’asta telesco-

pica munita alla sua estremità di una specie di minuscologuadino di metallo.

– Guarda, te la recupero io la palla, – disse, – e la“pazza” non potrà dire nulla, non metterai neanche unpiede da lei!

Ma appena il caddie ebbe raccolto la palla nel suo sec-chiello la portafinestra si aprì bruscamente e la signora chei ragazzi chiamavano la “pazza” fece la sua apparizione.

Era una donna grassa, sulla cinquantina, con i capellimetà grigi metà rossi, spettinata, dal volto appesantito,uno sguardo cattivo e profonde borse sotto gli occhi. Eraavvolta in una vestaglia scozzese allacciata alla meno peg-gio da una cintura e indossava delle pantofole chiuse...scozzesi e sembrava di pessimo umore.

– che ci fate in casa mia? – sbraitò.senza rispondere, “stevy” ripiegò il suo raccattapalle

telescopico, raccolse la sacca e se la svignò a gambe leva-te dietro a “Jack” che l’aveva preceduto e Mary si trovò dasola faccia a faccia con la megera.

– sono in casa sua? – chiese fingendosi stupita. – Misembrava di essere sul percorso del Golf del Bois Joli.

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– Ho parlato con lei per caso, brutta stronza? – le rispo-se elegantemente la donna in scozzese.

– sia educata, per favore, – disse calma Mary. – siamosolo noi due, mi pare. Quindi se sta parlando con qualcu-no è a me che parla.

– stavo parlando, – disse la “pazza” sbalordita da que-sta ragazza che la fronteggiava con tanto sangue freddo, –a quei due caddie che ho riconosciuto. Brévu e Monnier,possono anche scappare, ma gli farò vedere io!

– Gli farà vedere? Ma cosa le hanno fatto? – sono entrati in casa mia per rubare palle da golf, –

disse la donna in piena malafede. Mary sospirò. La cicciona cominciava a darle sui

nervi. Le sarebbe tanto piaciuto darle una sberla sul musoma non era certo una buona soluzione. Bisognava mante-nere la calma e il sangue freddo, a qualsiasi costo.

– Mi permetta di farle notare, – disse, – che primo nonsono entrati in casa sua, secondo non hanno rubato nientevisto che hanno solo cercato di recuperare una palla cheavevano malauguratamente lanciato nel suo giardino.Dov’è il danno?

La donna sembrava un cane al quale sia stato appenasottratto un osso. avanzò verso Mary a fronte bassa, ilgrugno incattivito. sotto la vestaglia ballonzolava unammasso di grasso malsano.

“Ecco fatto,” si disse Mary, “viene alle mani. alza solouna mano, grassona e ti becchi un paio di ceffoni che te liricordi per tutta la vita.”

Ma la “grossa vacca” si fermò a due metri, una fron-tiera le separava, il limite del giardino.

– Le palle che cadono in casa mia sono mie! – ruggì.E sullo stesso tono continuò: – sono stufa di veder deimaleducati entrare nella mia proprietà al confine colcampo!

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– In questo caso, – disse Mary, – faccia come i suoivicini, recinti il terreno!

La donnona rimase per un attimo interdetta, poi spu-tando disse:

– Di che ti impicci brutta oca? E poi, che diavolo ci falei in questo circolo?

– ci gioco, signora, sembra che sia fatto apposta perquesto!

La cicciona divenne decisamente isterica:– Ha il suo greenfee?– E lei, è qualificata per controllarlo?La donna mostruosa sembrava non aver l’abitudine che

le si tenesse testa. Parve sul punto di esplodere. Mary, cheaveva ritrovato tutta la sua calma, ora era divertita dallasituazione.

– Qualificata? Qualificata? – balbettò.– Mi sta chie-dendo se sono qualificata... Io sono un socio del circolodel Bois Joli!

– non mi sembra un motivo sufficiente, – disse Mary.Poi tirò su col naso in modo ostentato visibilmente e

lasciò andare disgustata:– E poi lei è ubriaca!In effetti, la cicciona odorava fortemente di alcol.

L’osservazione la colpì in pieno. E ricominciò a urlare:– Insolente! Piccola carogna! Ubriaca a me, ah que-

sta...non sapeva più che dire. Mary battè sullo stesso tasto:– certo che è ubriaca! Il suo comportamento ignobile,

il suo linguaggio volgare non si spiegherebbero in altromodo. Farebbe meglio ad andare a smaltire la sua sbronzapiuttosto che aggredire la gente per bene! Buonaserasignora!

Le voltò le spalle, piantandola lì, tremante di rabbiaimpotente. La sentì borbottare:

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– sentirà parlare di me, andrò immediatamente alamentarmi! andrò personalmente dal direttore! Le faròvedere io chi sono!

Mary non si degnò neanche di girarsi, se ne andò sfor-zandosi di rimanere indifferente nonostante anche lei tre-masse per l’indignazione. Quando sentì sbattere la porta-finestra tornò sui suoi passi. Mentre la donna le parlavaaveva notato un’auto parcheggiata davanti alla casa, unaHonda rossa. Tirò fuori dalla sua tasca il piccolo taccuinoe la matita che non la abbandonavano mai e trascrisse ilnumero di targa della macchina.

Poi raggiunse i due ragazzi che l’aspettavano dietro unalbero. avevano assistito a tutta la scena.

– accidenti! – disse “Jack” con ammirazione. –Quante gliene ha dette! – Era rimasto talmente di stuc-co che aveva ripreso a darle del lei. – Ma stia attenta, –continuò, – è una vera stronza, andrà a piagnucolarenell’ufficio del direttore e noi le prenderemo di santaragione.

Mary, ancora tesa, sorrise per il linguaggio usato dalcaddie.

– nessuno le prenderà di santa ragione, – disse Mary,– tranne lei. Venite con me. sapete dov’è un telefono?

– sì certo, alla reception. Ma ci vuole una scheda. – ce l’ho, – disse Mary. – Ma sbrighiamoci, dobbiamo

fare presto.Tre minuti dopo erano nella hall della reception

ancora deserta a quell’ora mattutina. Unica presenza divita, una donna delle pulizie che passava lo straccio sulpavimento a piastrelle, canticchiando una specie difado.

Mary prese l’elenco telefonico, cercò il numero dellagendarmeria e chiamò. Quando ebbe l’agente di guardiaall’altro capo del telefono, si presentò:

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– signore, mi chiamo Mary Lester. Qualche minuto fastavo per essere investita da una macchina guidata da unapersona completamente ubriaca.

– Dove è successo? – chiese l’agente.– sulla strada che costeggia il circolo del Bois Joli.– avenue Jean Boutroux, – le suggerì “Jack”.ripeté all’agente:– avenue Jean Boutroux. Era una Honda rossa targata...– Un momento, – disse l’agente, – lei chi è?– Mary Lester.scandì il suo nome.– Qual è il suo numero?ci fu un equivoco, Mary credeva che l’agente le stesse

chiedendo il numero di targa della macchina, in realtà luivoleva solo il numero di telefono da dove lei stava chia-mando. Quando capì, glielo diede.

– riattacchi. La richiamo. Pochi istanti dopo il telefono squillò e sentì di nuovo la

voce dell’agente:– Lei è la signora Lester? – sì signore. – È lei che ha chiamato per fare una denuncia? – sì ho appena telefonato. Però, non voglio sporgere

denuncia, voglio solo segnalarle che una persona in statodi ebbrezza al momento sta circolando sulla avenue JeanBoutroux, a bordo di una Honda rossa targata 23 aBX 44e che se non intervenite immediatamente rischia di provo-care un incidente. E se questo incidente dovesse verificar-si, non mancherò di segnalare alla stampa che eravate statiavvisati...

Improvvisamente, il tono dell’agente si fece più attento.– Bene signorina, – disse, – abbiamo un’auto di pattu-

glia che non dovrebbe essere lontana, passerà sul posto.– La ringrazio, – disse Mary riagganciando.

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– Wow! – urlò “Jack”. – Lei è davvero forte signora!“stevy”, muto, la contemplava con occhi increduli

continuando a ripetere: “Porca vacca! Porca vacca!” senzasapere bene a chi rivolgeva l’appellativo.

Lei li prese affettuosamente per il collo e li scosse:– Innanzitutto non mi chiamate signora e poi acqua in

bocca su questa storia! chiaro?– Ok, – dissero i due ragazzi.– E ora, – disse lei, – dritti al lavoro!

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VIII

La sera, quando tornò al bar dopo la lezione, trovò lasolita fauna in fermento.

– ce n’è di agitazione stasera, – disse al barista. – chesuccede?

si sporse verso di lei e le disse con tono confidenziale:– La “pazza”, insomma, voglio dire la signora

Leblond, è stata fermata stamattina dagli agenti.– E che cosa ha fatto questa brava donna? – domandò

Mary con ipocrisia.– Guida in stato di ebbrezza, due grammi e venti, si

rende conto? alle nove del mattino!non era chiaro se fossero più i due grammi e venti o

l’ora mattutina in cui la signora aveva effettuato la perfor-mance a stupire il barista.

– Per caso la conosco? – chiese Mary più falsa che mai.– non credo, – disse il barista. – Viene raramente al

bar.si sporse di nuovo verso di lei e sussurrò:– non è molto ben vista dagli altri soci...Mary guardò verso gli old members che ancora discu-

tevano animatamente.– Però sembrano interessati alla sua sorte!– Il fatto è che si trova ancora al posto di polizia!

sembra che abbia insultato gli agenti, che li abbia minac-ciati e abbia detto cose orribili!

– Eh, se ha fatto così non ha certo migliorato lecose.

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– Il colonnello cerca di appianare le cose, – disse anco-ra il barista raccogliendo un posacenere pieno, – si rendeconto, un socio del Bois Joli arrestato per guida in stato diubriachezza alle nove del mattino. Proprio una bella figura!

sia la voce che i gesti erano affettati. si rigirò facendosmorfie verso il bar dove lo reclamavano per il lavoro.

– Di che cosa s’impiccia quella specie di militare, –borbottò Mary tra sé.

Il signor Hermany fece il suo ingresso discretamente,lanciò un’occhiata al bar, vide Mary e le si avvicinò sorri-dendo. Lei si alzò per riceverlo. Lui protestò.

– non si scomodi!Trotterellava, minuto, discreto.– Ha fatto una bella partita? – domandò Mary.– Eccellente, – disse il vecchio. – I miei compagni ave-

vano dieci e undici anni, mi hanno dato del filo da torce-re. Ma sono bravi ragazzi, pensi, mi portano la sacca!

– È il minimo, – disse lei.Il signor Hermany guardava a destra e a sinistra, incu-

riosito dall’eccitazione inusuale che percepiva nell’aria. – che succede qui oggi? – domandò infine.– Pare che una certa signora Leblond si sia fatta arre-

stare dai gendarmi.– La “pazza”? – esclamò il vecchio. – che altro ha

fatto?– Guida in stato di ebbrezza, da quello che mi hanno

detto. Dopo esser stata perquisita, avrebbe insultato gliagenti.

– La cosa non mi stupisce, – disse Hermany, – è unadonnaccia! Quando penso a quello che ha fatto al mioamico Bonnez!

Mary si sporse verso di lui:– Mi racconti signor Hermany.Il vecchio signore sospirò:

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– non so se ne vale la pena... alzò gli occhi su Mary e vedendola attenta disse lenta-

mente, in tono confidenziale:– serge Bonnez aveva dieci anni meno di me. È morto

quindici giorni fa... ci eravamo conosciuti prima dellaguerra, qui al circolo. aveva messo su una piccola offici-na di imballaggio che esiste tuttora e che ora è gestita dalfiglio. Durante la guerra faceva parte di un gruppo dellaresistenza. Fu arrestato dalla Gestapo, torturato e depor-tato. Gli era rimasta la mano sinistra mutilata, con solo tredita in pessimo stato. a causa delle sevizie subite, le tredita non venivano più irrorate normalmente e, al minimocambiamento di temperatura, diventavano completamenteblu. Perciò era conosciuto al golf come “l’uomo dalle ditablu”.

senza che l’avesse chiesta, il barista servì una coca-cola al signor Hermany, che ne bevve una lunga sorsata eproseguì:

– nonostante questo handicap, serge Bonnez avevacontinuato a giocare a golf. Tre anni fa, durante una com-petizione della domenica, il caso lo portò a giocare con lasignora Leblond, una nuova socia del circolo. Lei, che delgolf ha solo nozioni approssimative, è la moglie di JeanLeblond, direttore dipartimentale dei servizi dell’erario.

– Eppure non deve giocare così male, – disse Mary, –ho visto sul tabellone appeso nella hall che è classificatacon handicap diciotto.

Hermany alzò la mano:– Dopo le spiego come si può essere classificati con

handicap diciotto pur non sapendo nemmeno giocare conhandicap trentacinque! Ma torniamo a quella partita che,secondo quanto lui mi confidò dopo, fu la partita più abo-minevole che il mio amico avesse mai giocato. La signo-ra Leblond contestava tutto, dalle regole più elementari

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fino al conteggio dei punti, non esitando ad attribuirsi duecolpi in meno, a costo di aggiungerli al totale dei suoi part-ner. chiaramente il mio amico Bonnez non era uno che silasciava incantare: avendo rimesso le cose a posto con lagentilezza che faceva parte della sua natura e non essendostato compreso, aggiunse una seconda rettifica ai conteg-gi della signora in modo più secco, perché i suoi modicominciavano a seccarlo seriamente. Fu a quel punto chesi rovinò tutto. con sua grande sorpresa si fece abbondan-temente insultare davanti al terzo partner, uno sfortunatojunior che non osava fiatare. Infine, vedendo la piega chestavano prendendo le cose, si decise a lasciare la partita,dopo aver detto il fatto suo a quella deliziosa persona.Otto giorni dopo, un esercito di controllori invadeva l’a-zienda del figlio e anche l’abitazione venne ispezionata dacima a fondo.

– E lei pensa... – domandò Mary.– Io non penso niente, sono certo che ci fosse lei dietro

quella perquisizione. – Ma lei non è nessuno, – disse Mary, – non è altro che

la moglie di un alto funzionario delle finanze!Il vecchio si chinò verso di lei e come se le svelasse un

segreto, disse: – Questo non cambia affatto la sua capacità di nuo-

cere.Dopo essersi guardato intorno, aggiunse, ancor più a

bassa voce:– È lei che porta i pantaloni. suo marito sarà pure un

alto funzionario, ma davanti a lei è un fantoccio tremante.allora, per essere lasciato in pace...

– Per essere lasciato in pace, – completò Mary, – nonesita a mandare i suoi controllori sui bersagli che gli indi-ca la sua megera. Beh, bella roba! si incontra gente inte-ressante nella sua cerchia, signor Hermany!

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– Oh, – disse il vecchio raddrizzandosi, – come dap-pertutto... in qualsiasi circolo, in ogni sport, troverà lastessa percentuale di brava gente, la maggioranza, e unamanciata di canaglie.

Le sorrise:– Ho vissuto molto signorina e ho praticato numerosi

sport. Ho giocato a rugby... Poiché lei lo guardava incredula, divertito le disse:– Ma sì, certo, ho giocato a rugby! non si direbbe, ma

ho persino giocato negli incontri universitari internaziona-li! Era il 1930, lei non era neppure nata.

– no, – disse lei, – e neanche mio padre.– Poi ho giocato a tennis e alla fine a golf. Ebbene, in

tutte queste attività ho trovato gente per bene e non. alzò le fragili spalle:– Dipende dalla natura umana! sorrise nuovamente:– solo prendendola con filosofia si diventa molto vecchi.

Per tornare alla causa dell’invio degli ispettori dal mio vec-chio amico, sulla colpevolezza di Victoire Leblond non c’èalcun dubbio. Lei non lo nascondeva, troppo fiera di mostra-re ciò che capita a “mancarle di rispetto”, come dice lei.Questo ci riporta alla sua domanda di prima: come fare aessere classificati con handicap diciotto quando non si giocada handicap trentacinque. Ha la risposta. Ormai, qualsiasipersona che si trova in una partita con questa signora segnail punteggio che dichiara lei, senza fare tante storie.

– Bella roba, – disse Mary pensierosa, – mi piacerebbemolto segnarle la scheda.

– sa, – disse il vecchio, – la gente viene qui a giocareper dimenticare i problemi, non per crearsene altri...

– E il suo amico? – domandò Mary.– Da quel giorno non ha più messo piede nel circolo.

Era un uomo molto corretto, un idealista...

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Di nuovo fece quel sorriso disincantato che lei gliaveva già visto:

– ...Una specie in via d’estinzione... Il solo fatto diesser stato sospettato di comportamento scorretto l’avevasconvolto. solo dopo, molto dopo mi disse di essere statosvegliato all’alba dalla polizia come un delinquente e que-sto gli aveva riportato alla memoria ricordi di un tempoche credeva passati per sempre.

Questa volta il suo sorriso era triste:– È morto all’inizio dell’estate... giurerei che quella

donnaccia ha accelerato la sua fine.ci fu un silenzio pieno di emozione, rotto dal barista

che venne a sussurrarle all’orecchio:– signorina Lester, il colonnello desidera parlarle.

L’ufficio del colonnello Dubois si trovava dietro lareception, chiuso da una porta verniciata, imitazionemogano. affinché non sfuggisse a nessuno, vi era statainchiodata una targa di ottone lucidata con cura, con inci-se due frasi:

colonnello DuboisDIrETTOrEL’assistente batté con un dito con cautela e una voce

maschile e autoritaria rispose:– sì!La ragazza aprì piano la porta e annunciò Mary:– c’è la signorina Lester.– La faccia entrare e ci lasci!“ Per niente accomodante, il buon uomo!” pensò

Mary.Il colonnello era seduto dietro alla scrivania. Gli

occhiali sul naso, scriveva. non alzò gli occhi sulla ragaz-za ma le lanciò, con voce arrogante, un:

– si sieda!

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Mary prese una delle sedie poste davanti alla scrivaniae si sedette, fissando il colonnello che continuava a scri-vere recitando la parte dell’uomo sommerso di lavoro cheviene disturbato nel bel mezzo di una importante attività.

Era un vecchio funzionario vicino alla sessantina con icapelli grigi, quasi biondi, un volto cosparso di piccolicrateri (che in altri tempi si sarebbe detto segnato dal vaio-lo ma il passato coloniale del colonnello, esposto in foto-grafia dietro la sua scrivania, lasciava pensare che queicrateri potessero essere stati causati da una qualsiasimalattia tropicale).

I muri erano pieni di foto dei meriti militari. Lo si vede-va in tuta mimetica ed elmetto, mitraglietta di fianco, sguaz-zare in quelle che potevano essere delle risaie, marziale,durante una presa d’armi. Incorniciato, sotto vetro, il suobrevetto da paracadutista faceva bella mostra tra le foto.

Quando Mary ebbe finito di esaminare l’ambiente, ilcolonnello stava ancora scrivendo. Forse stava componen-do le sue memorie. In quel caso, c’era il rischio che la cosagli occupasse molto tempo, allora lei tirò fuori dalla borsaI tre moschettieri e si mise comoda per leggere.

sconcertato, il colonnello alzò gli occhi e la guardò.Poiché sembrava completamente assorta nella letturadovette tossire per attirare la sua attenzione. allora lei alzògli occhi e gli sorrise amabilmente domandandogli:

– Tocca a me?– scusi? – disse lui sulla difensiva.– Ha finito di scribacchiare? – disse lei. – così mi potrà

spiegare che cosa vuole da me.La conversazione non stava prendendo la piega che lui

voleva. normalmente, quando convocava qualcuno nelsuo ufficio, gli invitati si sentivano alquanto a disagio. Leiinvece sembrava prendere la cosa con incredibile distacco.che incosciente!

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– signorina Lester, – le disse, – lei è qui da una quin-dicina di giorni, credo.

– È così, – disse lei.Mary segnò con cura la pagina e ripose il libro nella

borsa.– se le mie informazioni sono giuste, lei prende lezio-

ni dal nostro “prof”, Paul sergent.– Esatto.– Questa mattina, sempre se le mie informazioni sono

corrette, si è recata sul percorso grande in compagnia didue caddie.

Lei mosse il capo in segno di assenso e fece una smor-fia di ammirazione:

– I suoi servizi informativi funzionano a meraviglia!sbuffò col naso, irritato dalla risposta, e continuò:– Lei sa che non può accedere al percorso grande...– Per giocare no, – disse lei. – Ma per accompagnare una

partita, il signor sergent mi ha detto che sono autorizzata.Questa allusione al “prof” sembrò infastidire il colon-

nello.– In effetti sì, – disse, – ma quei due caddie sono tolle-

rati sul percorso grande e pare che ne abbiano fatta un’al-tra delle loro.

– In che senso? – chiese Mary con voce soave.– sarebbero entrati nelle proprietà dei residenti per

rubare delle palline. – su questo l’hanno informata male, direttore.– Qui tutti mi chiamano “colonnello”, – ritenne oppor-

tuno precisare l’uomo.– Ma lei è stato veramente un colonnello? – domandò

Mary candida.Lui si girò orgoglioso verso le fotografie:– sì, nella fanteria da sbarco. L’Indocina, l’algeria, il

chad...

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– Ma ormai è in pensione...– sì, da cinque anni.– E da cinque anni dirige questo circolo.– Esattamente.– Dunque è qui a titolo di direttore...– È ovvio, – disse infastidito. a che gioco voleva gio-

care la ragazza?– allora perché vuole che la chiami “colonnello”? se

almeno fossi stata ai suoi ordini!Il muso del colonnello (come avrebbe detto

“nicklaus”) divenne decisamente arcigno:– se fosse stata ai miei ordini, mia cara, se ne ricorde-

rebbe. con me non si scherza!– non lo metto in dubbio, direttore, – fece lei con voce

soave. – Ma per quel che riguarda i due ragazzi le possogarantire che non sono entrati nelle proprietà per nessunmotivo.

– Lo dice lei!Mary lo guardò dritto negli occhi:– Effettivamente... e suppongo che la signora Leblond

dichiari il contrario.Lui le rispose sullo stesso tono, fissandola con occhi

freddi:– Effettivamente...Poi prese dalla scrivania un righello di ferro, ne testò la

rigidità come se desiderasse spezzarlo in due.– a chi devo credere?Lei ironizzò:– alla signora Leblond ovviamente! ci sono tutti i

motivi per farlo.– E quali sarebbero, prego?Mary arricciò il naso e, contando sulle dita, elencò:– Primo, è più vecchia di me di qualche decennio, è

socia del circolo, e infine grazie al lavoro del marito ha la

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possibilità di creare problemi a chi non è d’accordo conlei.

La bocca del colonnello si contorse in una smorfia sar-castica, mentre il righello tra le sue mani resisteva.

– Vedo che ha dato ascolto ai pettegolezzi del bar.– Ognuno ha i servizi informativi che può.– E lei crede che questo tipo di considerazioni...Mary lo interruppe:– non è che lo credo, ne sono certa!Il colonnello mollò il righello che rimbalzò sulla scri-

vania con un tintinnio metallico e battè con i pugni sulloscrittoio.

– adesso basta! La sua insolenza sorpassa ogni limite!si è iscritta al Bois Joli per uno stage di iniziazione al golf.Il suo comportamento non mi piace per niente, non so checosa mi trattenga dal buttarla fuori!

Mary gli fece il più bel sorriso che poteva:– Io lo so, signor direttore, lei non ha il potere di

farlo.Lui tentò di replicare:– ah, ah! non ne ho il potere?– no, – disse lei con voce di colpo più aspra. – Il con-

tratto che il signor Paul sergent ha firmato con il Golf delBois Joli dice che è libero di accettare chi desidera comeallievo e che può procedere alla sua formazione utilizzan-do senza riserve le strutture del circolo.

Il colonnello rimase a bocca aperta. Questo proprionon se lo aspettava! Lei continuò:

– Mi sono iscritta per fare trenta lezioni di due ore algiorno. ne ho fatte quindici dunque me ne rimangonoaltrettante e conto di prenderle tutte, che questo le piacciao no!

Il colonnello non aveva ancora chiuso la bocca e,molto a suo agio, Mary si divertì molto.

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– se per caso tenterà di fare pressioni sul signor Paulsergent per farmi espellere e se riuscirà a convincerlo, micreda, lo attaccherò per rottura unilaterale del contratto senzaun giustificato motivo. Di fronte a un qualsiasi tribunale unacitazione per danni gli verrebbe a costare cara. non dimenti-chi che studio Legge, sarò presto avvocato e che sono votataa difendere i deboli e gli oppressi, cominciando da me stessa.

Il colonnello cercò di portare il combattimento su unaltro terreno:

– È stata lei a denunciare la signora Leblond agli agenti!– E allora? L’ho nascosto per caso? non ho scandito

bene il mio nome all’agente in servizio?– Ha persino telefonato da qui, dal circolo.– Esattamente e in presenza di due testimoni.– chi l’ha autorizzata?Mary si mise a ridere:– Perché, secondo lei bisogna chiedere l’autorizzazio-

ne per telefonare da un luogo pubblico? Torni sulla terravecchio mio, lei non è più in caserma anche se qualchedeficiente insiste a chiamarla “colonnello”.

Il vecchio non sapeva più come comportarsi. Optò perla peggiore soluzione, l’autoritarismo:

– comunque, quei due se la vedranno brutta!Lei ironizzò:– ah, è facile prendersela con due ragazzini... Davvero

gentili, i migliori giocatori del vostro circolo, senza ombradi dubbio ma, mi creda, lei non farà proprio nulla.

Il colonnello ricalcitrò e incrociò le braccia, cercandoinvano di assumere un atteggiamento altezzoso. Gli man-cava solo il monocolo...

– E per quale motivo, di grazia?– Primo perché sarebbe un’ingiustizia e lei lo sa bene.

secondo perché lei tenta, non so bene per quale motivo, diproteggere una donnaccia.

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Mary si alzò, appoggiò le mani sulla scrivania e lofissò dritto negli occhi:

– Farebbe meglio a lasciar perdere signor Dubois, èuna causa persa. La signora Leblond guidava con duegrammi e venti di alcool nel sangue alle nove di mattina.non crede che fosse arrivato il momento di arrestarla?Qualsiasi persona dotata di un minimo di senso civicoavrebbe fatto la stessa cosa.

Fece una risatina provocatoria:– Ma di senso civico, dubito che lei abbia mai sentito

parlare...anche lui si alzò e appoggiò i pugni sulla scrivania fis-

sando Mary con sguardo feroce:– non le permetto!sopra la scrivania i loro volti erano a venti centimetri

l’uno dall’altro. Lei notò che odorava di aglio ma questonon la fece indietreggiare di un millimetro:

– E invece io mi permetto! Mi permetto anche di più,di dirle che quando uno ha la fortuna di avere una pensio-ne da alto ufficiale non prende il posto di un giovane nelmercato del lavoro. nel caso in cui lei non lo sapesse, cisono cinque milioni di disoccupati in Francia...

Il colonnello provò a ironizzare:– E che cosa cambierebbe...– cosa cambierebbe se lei non ci fosse? Beh, sarebbe-

ro cinque milioni di disoccupati meno uno. E per quell’u-no, mi creda, la cosa farebbe differenza.

Lampi di pazzia passavano negli occhi del colonnello.Per un attimo Mary si chiese se non l’avrebbe schiaffeg-giata. affondò ancora il coltello:

– Perciò mi permetto di dirle, a quattr’occhi, che nonsolo lei non ha senso civico ma non ha nemmeno il sensodell’onore. E questo per un alto ufficiale è molto grave.

si raddrizzò:

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– Ho un caro amico giornalista a “Liberation”, sonosicura che gli piacerebbe raccontare questa storia ai suoilettori. Già vedo i titoli: Il colonnello proteggeva una peri-colosa alcolista...

stordito, il colonnello si era seduto e livido se ne stavaraggomitolato nella poltrona. Lei aprì la porta e, gentil-mente, abbastanza forte in modo che tutti potessero senti-re gli lanciò:

– Buonasera signor Dubois e grazie per avermi ricevuta.

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IX

La stessa sera, alla pensione “Les Mimosas”, il com-missario la chiamò. Il pover’uomo non sembrava stessebene.

– signorina Lester... – le disse in tono di rimprovero.Ecco qua, si disse Mary adagiandosi comodamente

nella poltrona della hall, il buon Graissac sa tutto. Temofortemente che le vacanze siano finite. Il colonnello deveaver smosso cielo e terra per farmi espellere dal circolo.

– signor commissario, – disse lei con brio, – qual buonvento? credevo dovessimo comunicare solo tramite cabi-na telefonica.

– sono in una cabina telefonica, – disse lui. sentì cheil buon commissario non apprezzava la sua condotta.

ci fu un momento di silenzio, poi lui esplose:– santo cielo, cosa l’ha spinta ad andarsi a impicciare

degli affari della Leblond? – L’ho già spiegato al colonnello, – disse lei con voce

soave, – il mio senso civico.– Eh no! – disse il commissario. – non l’ho fatta venire

per controllare le stravaganze di una ubriacona al volante!– no, mi ha fatto venire per...La interruppe:– zitta!Lei sorrise immaginandoselo nella cabina di vetro, con

il colletto della giacca alzato fino alle orecchie come unaspia del cinema, a guardarsi intorno per vedere se qualcu-no lo stesse osservando. Di chi aveva paura? Forse di sua

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moglie che, vedendolo lì, avrebbe potuto sospettare chechiamasse la sua amante...

ci fu di nuovo silenzio, poi le domandò:– appunto, a proposito?– a proposito, niente.– ah, – fece lui deluso, – proprio niente!– Mi ascolti signor Graissac, lei mi spedisce in un cir-

colo che conta, su per giù, cinquecento soci, senza parlaredel personale del servizio di manutenzione del campo, diquello delle cucine, del bar ecc. non mi fornisce la mini-ma pista, ho accesso agli impianti solo per due o tre ore algiorno. come pretende che... non potrebbe fornirmi qual-che dettaglio?

– Il tipo con la Ferrari rossa, – disse il commissariotutto d’un fiato.

– Ho capito, – disse lei. – È lui il sospetto? Tutto quel-lo che so è che gioca pesante. Lei conosce il colpo della“palla rivestita”?

– Lo conosco.– Bene, la sua squadra ama molto questa formula. E, da

quello che ho potuto vedere, il suo tipo ci lascia le penneabbastanza regolarmente.

Di nuovo silenzio, lei non sentiva altro che il respiro diGraissac.

– Oh, – disse lei, – è ancora lì?– sì...– non mi ha pagato le vacanze a La Baule solo per

sapere chi gioca pesante al circolo del Bois Joli, vero?– no, è chiaro, – disse lui debolmente.– suppongo che il colonnello le abbia fatto rapporto...– In effetti, mi ha parlato, – disse Graissac con dispiacere.– come avrà fatto con tutti quelli che contano al cir-

colo...Il commissario non ripose:

JEan FaILLEr

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– comincio a raccapezzarmi su come funzionano lecose in questo ambientino. ci si dà una mano sia negliaffari che a contrastare i colpi bassi...

ancora silenzio e questa volta Mary lo lasciò prolun-gare fino a che sentì il commissario sospirare:

– Mi ascolti signorina Lester...Era il tono di voce di qualcuno che è veramente infa-

stidito.– ...non so se ho fatto bene a metterla su questa pista...La frase stentava a uscire.– Forse mi sono lasciato prendere un po’ troppo la mano

da questa storia della droga... avevo solo vaghi sospetti...Le frasi uscivano con difficoltà, interrotte da silenzi.

sembrava un ragazzino che confessa le sue malefatte,frammentandole in modo che sembrino meno gravi.

Mary non faceva nulla per aiutarlo, lo lasciava penare,spietata. se lo immaginava a disagio nell’angusta cabinapubblica sotto al suo palazzo che puzzava di tabacco e diurina. Forse aveva addirittura dovuto girarne due o treprima di trovarne una funzionante. E poi, dato che era ungentiluomo, non adoperava il vocabolario comunementeusato nella professione.

non ne conosceva molti che avrebbero avuto la suastessa delicatezza, invece si sarebbero rivolti a lei con bru-talità tipo:

– Pronto Lester? abbiamo toppato piccola. Forza,domani si rientra!

E non ci sarebbe stato da discutere. Graissac, invece, si perdeva in perifrasi con dei “penso

che... credo che sarebbe meglio che...”alla fine, Mary ne ebbe abbastanza di sentirlo menare

il can per l’aia e fu lei a porgli la domanda brutale:– Dunque rinuncia a seguire questa pista commissario?Di nuovo Graissac si tuffò in circonlocuzioni:

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– non ci rinuncerei del tutto, forse è prematuro...Lei lo interruppe:– Bene, verrò nel suo ufficio domani alle undici. sarà

più facile spiegarsi che al telefono.Lui farfugliò:– Va bene... va bene... alle undici.Lei riagganciò e sbuffò irriverente.– che imbecille!La coppia di anziani inglesi che passava in quel

momento nella hall pensò che si rivolgesse a loro.risposero insieme, sorridendo graziosamente:

– Good night!

Il commissario Graissac sembrava molto preoccupatoquando aprì la porta a Mary Lester la mattina dopo alcommissariato di nantes.

Di nuovo la salutò calorosamente e l’accompagnò allapoltrona, davanti al tavolo da lavoro. Poi tornò a sedersidietro la scrivania, affondò nella sedia ed esclamò confinta giovialità:

– Le faccio i miei complimenti, ha un aspetto meravi-glioso!

– Grazie, – disse lei altrettanto amabile. – Un po’ lodevo anche a lei.

sembrò sorpreso:– In che senso?– Beh, probabilmente se fossi rimasta a indagare sui

furti di oggetti dalle auto in sosta, nella tromba delle scalenel quartiere HLM, avrei avuto meno possibilità di pren-dere il sole.

Lui allargò le mani di fronte a questa evidenza.– Ma visto che mi ci rispedirà, – disse ancora lei, – non

tarderò a perdere l’abbronzatura. Insomma, quello che hopreso ho preso!

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Lui scosse il capo, contento di vedere che la ragazzafaceva buon viso a cattiva sorte. Lei gli sorrise ampia-mente:

– comunque mi restano ancora quindici giorni!Il commissario si rabbuiò:– Quindici giorni?Lei lo guardò, candida:– Beh, sì... sono arrivata il primo agosto e ho prenota-

to la camera fino al primo settembre.– Vuole dire che resterà...non finì la frase, allora ci pensò lei:– Voglio dire che resterò alla pensione “Les Mimosas”

fino al primo settembre.Graissac restò a bocca aperta.– resterà alla “Les Mimosas”...– Fino al primo settembre, ha capito bene.– Ma ieri le ho detto che la sua missione...– che la mia missione si interrompeva, sì. Ho capito

bene.– Dunque?– Dunque? come ognuno di noi, ho diritto alle ferie.

Ora si dà il caso che avevo fissato le mie vacanze dal quin-dici agosto, cioè da ieri, al quindici settembre... È scrittosul piano di lavoro, a Quimper. In effetti, questa missionea La Baule la sto facendo durante le vacanze. Il commis-sario Fabien, il mio capo, non si stupirà di non vedermirientrare prima del quindici settembre.

aveva espressamente detto “il mio capo” per dimostra-re a Graissac da chi dipendeva realmente.

– E pensa di terminare la sua vacanza a La Baule?– Perché no? È una stazione balneare, no?– certo, – disse Graissac con l’entusiasmo del naviga-

tore solitario che trova tre piedi d’acqua nella sua stiva inmezzo all’atlantico.

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– così potrò continuare a seguire il mio stage, – disseMary.

Graissac sospirò:– Il suo stage di golf?– Eh sì, il mio stage di golf! non è cosa di tutti i gior-

ni trovare un professore come Paul sergent, né un gruppocosì simpatico...

Graissac si prese la testa tra le mani. Mary sospettò cheavesse promesso al colonnello di espellere “la rompipal-le”. Lei proseguì, allegra:

– sa, ho fatto enormi progressi, il “prof” è molto fiero dime. E ora, per l’appunto, devo ottenere l’handicap domenica.

Graissac aveva l’aria abbattuta. Lei fece finta di nonaccorgersene:

– ah, commissario, non potrò mai ringraziarla abba-stanza per avermi fatto scoprire il golf. all’inizio non mici vedevo proprio, ma giorno dopo giorno, ci ho presogusto. credo di essere stata contagiata.

– E dice che otterrà l’handicap domenica? – feceGraissac.

– sì, nove buche sul pitch and putt. Il gruppo dellostage gioca in due squadre da tre. La mia sarà capitanatadal signor Hermany, l’altra da Paul sergent stesso.

– Beh, – sospirò Graissac, – suppongo che tutto sareb-be stato molto più facile se non avesse avuto quello scon-tro con il colonnello.

– Intende il direttore del circolo?– sì, lo sa perfettamente. Vuole essere chiamato

“colonnello”, è vero, è una vanità puerile ma dopotuttoanche De Gaulle amava essere chiamato “generale”.

Mary scoppiò a ridere:– non vorrà mica fare un paragone, spero!Il commissario accennò un sorriso, il primo del loro

colloquio.

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– no...– E poi lo sa anche lei commissario, se c’è stato uno

scontro non è certo per colpa mia.– ne dubito, – fece Graissac, – comunque è spiacevole!Guardò Mary e disse, senza farsi illusioni:– suppongo che qualsiasi cosa le dica lei è decisa a

restare vero?– Eccome! – fece lei.– avrei dovuto sospettarlo.Le sorrise di nuovo:– Una testa dura, eh! – Me lo hanno già detto... Ma vede commissario, se il

suo colonnello non avesse voluto prendersi gioco di memettendomi alla porta del Golf del Bois Joli con quellatracotanza da signore vecchio stile, me ne sarei andatasenza storie. Ora è un braccio di ferro tra me e lui. E legiuro che non l’avrà vinta!

– Beh, – sospirò Graissac, – ne vedremo delle belle.– Dato che non sono più in missione, – aggiunse lei, –

vorrei riavere il mio materiale.Poiché Graissac non sembrava aver capito, precisò:– L’arma di servizio, le manette e il distintivo. Mi sem-

bra che le abbia messe nel suo cassetto.– Penso sia meglio che ce le lasci ancora per un po’, –

disse il commissario.– Questo significa che sono ancora in missione? –

disse lei sorridendo abbondantemente.– sì signorina Lester, – confermò Graissac. – E ancora

una volta, sia prudente.Mary stava per uscire quando un’idea le balenò

improvvisa:– Mi dica commissario, come mai il colonnello ha fatto

ricorso a lei per farmi espellere dal circolo? Gli ha dettochi sono?

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– certo che no! – disse animatamente Graissac. – È chetelefona qui per ogni minima controversia, così come tele-fona a tutte le persone che hanno appena appena potere: ilsenatore, il deputato, il consigliere generale, il sindaco, ilcomandante della gendarmeria e chi più ne ha più nemetta.

Mary fece un’espressione disgustata:– È davvero un brutto tipo il suo fantoccio, non rim-

piango di avergliene dette quattro! a proposito commissa-rio, parteciperà alla gara domenica?

– sì, – disse Graissac in tono cupo.– Ebbene, – fece lei vivacemente, – a domenica allora!

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X

“La premiazione avrà luogo alle dieci in punto nellaclub house. si esige un abbigliamento consono.”

La frase era scritta in lettere maiuscole in fondo allacarta segnapunti che era stata consegnata ai partecipantidalla segretaria del circolo.

Le partenze avvenivano a dieci minuti d’intervallo unadall’altra, a iniziare dalle otto e trenta del mattino. sisarebbero susseguite fino alle tredici, cosa che avrebbepermesso di far giocare un centinaio di golfisti.

Le squadre erano state formate “in modo aleatorio”tramite il sorteggio del computer in relazione agli handi-cap dei gareggianti, con partenza dei migliori al mattinopresto.

Tuttavia, alla lettura della scheda di partenza affissasulla porta del circolo, si notava che per alcuni, il sorteg-gio aveva di aleatorio solo il nome. si ritrovavano rego-larmente gli stessi amici nelle medesime squadre. Ilcapitano, che avrebbe dovuto essere il guardiano scrupo-loso delle tradizioni, non esitava a far manipolare un po’ ilcomputer dalla segretaria per favorire gli amici, senzadimenticarsi di se stesso.

Dopotutto non c’era niente di illecito. si può pureamare il golf, ma non è detto che si abbia voglia di passa-re cinque ore in compagnia di perfetti sconosciuti, o addi-rittura di persone antipatiche.

I “non classificati”, cioè i principianti come Mary e isuoi compagni di stage, avrebbero provato a ottenere

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l’handicap sul pitch and putt. Il par era di ventisette,dovevano rimanere sotto i trentacinque colpi.

Questa impresa doveva essere ripetuta per due voltedopo di che si sarebbero visti attribuire handicap trenta-cinque e avrebbero avuto accesso al percorso grande.

Per la prima gara le due squadre di principianti eranoaccompagnate da un mentore, il signor Hermany per lasquadra di Mary che giocava con Minette e robertDuhallier, e il “prof” Paul sergent per gli altri tre.

Il vecchio si era munito di un ferro sette e di un basto-ne trasformabile in sedia sulla quale si riposava di tanto intanto.

Il tempo era meraviglioso, neanche una nuvola nelcielo e niente vento.

– Farà molto caldo, – disse il signor Hermany che siera coperto la testa con un grande cappello di paglia. –non vorrei essere al posto di quelli che partiranno a mez-zogiorno!

In effetti, giocare nel pomeriggio con quell’afa rischia-va di essere una sofferenza.

aveva spiegato ai principianti come si dovevano scam-biare la carta segnapunti, in modo che i risultati venisserosegnati dal compagno di squadra.

– anche voi vi segnerete il vostro punteggio e alla finedella partita controllerete se siete d’accordo, prima di fir-mare la scheda. soprattutto non dimenticate che ogni cartasegnapunti deve essere firmata dal giocatore e dal suomarcatore prima di essere consegnata in segreteria, pena ilsuo invalidamento.

Mary gli aveva chiesto:– Mi dica signor Hermany, vedo che in fondo alla carta

segnapunti, con l’orario della premiazione è indicato “siesige un abbigliamento consono”.

Il vecchio sorrise maliziosamente:

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– Per le donne non lo so, – disse, – ma per quantoriguarda gli uomini il buon gusto richiede di indossare ilblazer con camicia e cravatta. Il direttore è molto rigorososull’abbigliamento e desidera il massimo dell’eleganzaalle premiazioni.

rivolto a robert Duhallier aggiunse:– se lei sfoggia la cravatta con gli stemmi del circolo,

sarà molto soddisfatto.non c’era di che preoccuparsi a questo proposito.

robert Duhallier aveva deciso di consacrare la sua pen-sione al golf. si era dunque procurato tutti gli accessoriche il Pro shop aveva potuto fornirgli.

Era un ometto tarchiato, solido e, a giudicare dallemani grandi e robuste, non doveva aver passato la sua vitalavorativa dietro a una scrivania.

Una sera che il capitano, durante una conversazione,gli aveva chiesto quale era stata la sua professione, conestrema semplicità e grande stupore degli interlocutori,aveva dichiarato che era stato un calderaio.

In seguito aveva confidato a Mary, per la quale nutrivaun interesse misto a curiosità, che in effetti aveva iniziatola carriera come apprendista, poi aveva fatto l’operaio,prima di creare la sua azienda nel porto di Le Havre.

La sua azienda era andata a gonfie vele perché quandol’aveva venduta, contando le filiali nei diversi porti dellaFrancia e all’estero, impiegava più di mille persone. Peròsi considerava sempre un calderaio dato che, tra le altrecose, faceva cisterne per le petroliere giganti.

robert Duhallier, che insisteva perché lo si chiamas-se “Bob”, aveva occhietti blu falsamente candidi neiquali, a tratti, trapelava un barlume di astuzia. negli affa-ri, il brav’uomo doveva essere temibile.

Vedendoselo camminare davanti con il suo carrelloelettrico nuovo di zecca, il berretto all’irlandese e i panta-

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loni scozzesi, a Mary ricordava la figura di Goldfinger nelfilm di James Bond.

Giocava tutti i suoi colpi con una applicazione estremacome se da quello dipendesse la sua vita. si percepiva l’uo-mo abituato a vincere e a far andare le cose e le personesecondo i propri desideri. Quando la pallina bianca sfuggi-va al suo controllo, le mostrava il pugno insultandola, bat-tendo i piedi per la collera. Poi, si toglieva il berretto e siscusava con i compagni di squadra per l’invariabile rituale:

– scusatemi...cecile Breton, detta “Minette”, non aveva quella con-

centrazione. Lei giocava i suoi colpi sbrigativamente,senza riflettere, perdendo una palla ogni due buche. Erachiaro che il totale sarebbe stato molto superiore al mini-mo richiesto e se ne infischiava. Il suo “fidanzato”, comediceva lei, giocava sul percorso grande e sembrava essereinteressata solo a ritrovarlo appena finita la prova. Delresto aveva confidato a Mary che con quel tempo sarebbestata meglio su una spiaggia in riva al mare.

Le nove buche del percorso breve furono giocate inmeno di due ore, così che consegnarono i loro tesserini insegreteria un po’ prima di mezzogiorno.

Mary, che aveva fatto trentatré, aveva brillantementesuperato la prima prova, “Bob” aveva fatto il minimorichiesto, trentacinque, e ne era particolarmente contento,mentre “Minette”, nonostante l’estrema indulgenza delsignor Hermany, si avvicinava ai cinquanta.

nel gruppo del “prof” tutti avevano superato il test. Perciò si sistemarono sulla terrazza per festeggiare l’e-

vento, proprio di fronte alla partenza della buca numerouno. Minette si dileguò per approfittare della spiaggiaprima della premiazione, come gli altri tre stagisti cheavevano obblighi familiari; così rimasero solo Mary, Paulsergent, Bob Duhallier e il signor Hermany.

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Poi Madeleine Dur venne a riprendere suo padre e Paulsergent, sollecitato da un allievo, si assentò a sua volta.

Mary rimase sola con Bob Duhallier.– Ha giocato davvero bene, – si complimentò l’ex

calderaio.– Grazie, – disse lei, – sono stata molto fortunata con i

putt oggi.Lui insisté:– Fortunata, forse, ma ciò non toglie che ha un gioco

molto più valido degli altri. Paul sergent me lo stava pro-prio dicendo poco fa: “se Mary continuerà ad allenarsiandrà lontano”.

– Questo proprio non lo so, – disse Mary ridendo.Poi guardando Bob negli occhi:– Ha mai giocato con i caddie, caro Bob? sa, quei

ragazzi che raccolgono le palle e rasano i green la mattinaprima delle gare.

– no, – disse Bob.– Beh, dovrebbe farlo!Lui la guardò incuriosito:– Perché mi dice questo?– Perché se avesse giocato con loro avrebbe un’altra

idea del golf rispetto a quella data dai giocatori delladomenica.

Indicò con un cenno del capo tutti i giocatori che aspet-tavano il loro turno per partire facendo degli swing a vuotoper scaldarsi spesso anche con movimenti maldestri, per-sino grotteschi a forza di essere studiati.

– Quei ragazzi, – continuò Mary, – giocano incredibil-mente bene... Bisogna vederli per crederlo, a duecentocin-quanta metri mettono la palla sul fairway nel punto in cuihanno deciso di metterla, quando c’è un dog leg la sannofar girare come si deve e, a cinquanta metri dal green, gio-cano la bandiera... sa perché giocano così bene?

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– Hanno iniziato da piccoli, – disse Bob.– Esatto! Hanno cominciato a sei, sette, otto anni. E

pur avendo cominciato dalla nascita, non sono sicuri digiocare un giorno in una gara nazionale e ancor menointernazionale. Mentre io che comincio a venticinqueanni...

– E io a sessantacinque! – disse Bob.Lei lo guardò ridendo:– Questo per dire che le nostre possibilità di entrare a

far parte del gotha del golf sono minime.– Io non ci aspiro neanche, – disse Bob. – Ma il piace-

re di ritrovarsi su questo bellissimo campo, di giocare condegli amici, di riuscire a fare un buon colpo ogni tanto...

La guardò a sua volta:– Pensa che chiedo troppo?Lei alzò le spalle a significare che non lo sapeva:– non lo so... Dopotutto l’importante è ciò che prova,

che cerca...– sta tutto lì, – disse lui. – Guardi il buon signor

Hermany che ci ha accompagnato. novant’anni ed è sem-pre in forma smagliante grazie al golf. chi non desidere-rebbe altrettanto?

Davanti a loro passavano i giocatori trascinando le lorosacche sui carrelli. alcuni avevano affittato delle macchi-nette elettriche per non dover camminare troppo. Le sivedeva filare silenziose, solo la ghiaia dei vialetti scric-chiolando sotto le loro gomme ne annunciava il passaggio.

alcuni gruppi che avevano finito le prime nove bucheraggiungevano la seconda parte del percorso, rivolgendoagli amici seduti sulla terrazza gesti d’entusiasmo – polli-ce in alto – o di disperazione – pollice verso il basso – incaso di punteggio catastrofico.

– Vede tutte quelle persone? – disse Bob. – Loroamano questo sport!

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Probabilmente era vero. Una parte di loro era venu-ta per moda, per snobismo. Ma questi fallivano. Ladisciplina era troppo rigida, troppo esigente perché itiepidi perseverassero. restavano i puri, quelli cheerano stati contagiati dal virus e che non sarebbero maiguariti.

Questi, moda o non moda, avrebbero continuato a gio-care a qualsiasi costo. Erano lì in quell’afosa domenicad’agosto, sarebbero stati lì sotto la pioggerella di novem-bre, la tramontana di gennaio e gli acquazzoni di marzo,affascinati da quella pallina bianca che, con l’aiuto dimazze chiamate club, bisognava far entrare in una bucagrande neanche quanto una mano, dentro la quale erapiantata una bandiera.

ci fu un momento di silenzio, poi robert Duhaillerfissò Mary con i suoi occhietti terribilmente perspicaci:

– Ma a lei, signorina Lester, perché non piaceva ilgolf?

Mary rimase talmente stupita che lo guardò senzarispondere. allora lui sfumò la sua domanda:

– Volevo dire, perché si ostina a prendere delle lezioniquando chiaramente non è un’appassionata?

Lei protestò:– E che cosa glielo fa pensare?– suvvia, – fece lui schiettamente, – non si insegna ai

gatti ad arrampicarsi! Lei gioca meglio di chiunque altrotra noi, questo è certo, ma non si avverte in lei il sacrofuoco!

strizzava l’occhio con malizia girando un po’ la testaper far vedere che non era uno sciocco.

– Eh! – disse lei ridendo. – È proprio perché non cel’ho!

Lui la guardò, incuriosito. non sembrava aver capitoquindi Mary spiegò:

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– Vado in bicicletta perché mi piace, perché è pratico eciononostante non ho il fuoco sacro! con il golf è la stes-sa cosa. Mi piace il posto dove si gioca e ci sono personecon cui sto bene. comunque sarebbe eccessivo parlare disacro fuoco. Ho vissuto per un quarto di secolo senzaavere la più pallida idea di cosa fosse questo gioco... sedomani non potessi più giocare mi dispiacerebbe certo,ma non ne morirei!

Bob la guardava, perplesso:– E lei, caro Bob, – gli domandò, – se domani non

potesse più giocare a golf, sopravviverebbe?– Probabilmente, – disse Bob con una smorfia. – Ma la

mia delusione sarebbe immensa...– Mah, – fece lei, – ci sono talmente tante altre cose da

fare nella vita... Giocare a bocce, pescare con la fiocina,fare acquerelli...

Di nuovo lui fece quella smorfia che gli faceva sporge-re la bocca di buoni tre centimetri:

– Mi ci vede a fare acquerelli?Lei scoppiò a ridere:– no, ma a bocce se la dovrebbe cavare! Lo sa al sud

come chiamiamo il golf? no? Beh, lo chiamiamo “il giocodelle bocce per ricchi”. con il loro accento, ovviamente.

Bob la fissava con i suoi occhietti perspicaci, come secercasse dietro a Mary Lester un altro personaggio diver-so dalla brava studentessa in vacanza. E Mary si chiedeva,a sua volta, se dietro al pacifico calderaio in pensione, ilcui sguardo blu aveva a volte sorprendenti bagliori, non sinascondesse un altro Bob, altrettanto inquietante.

Duhalleir si alzò improvvisamente e le batté con fami-liarità sul ginocchio:

– Forza signorina, venga, la invito!Pranzarono insieme al ristorante del circolo, a una

tavola fiorita che dava sul green della diciotto. In que-

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sto modo vedevano arrivare le partite, dal tee di par-tenza fino all’ultimo putt, cosa che permise a Mary,quando le domande del suo commensale si facevanotroppo stringenti, di sviarle commentando il colpoappena eseguito.

alle due riprese la sua bicicletta e pedalò fino alla pen-sione “Les Mimosas”. Da lì andò a fare un bagno, poitornò all’hotel per il momento che, in assoluto, amava dipiù: il tè con le fette di pane tostato sotto agli alberi.Infine, alle cinque e mezza salì in camera per indossarel’“abbigliamento consono” richiesto per la premiazione.

Il tempo era talmente bello che la proclamazione deirisultati ebbe luogo all’aperto, sulla terrazza. Vi erano statiportati alcuni tavoli ricoperti con tovaglie bianche chefacevano da espositori. Vi erano esposti i premi che i for-tunati vincitori avrebbero ritirato, per la maggior partearticoli da golf, sacche, carrelli, club, palline, ombrelli ecappellini pubblicitari.

su un altro tavolino, riparato da un grande ombrellonebianco, erano sistemati l’aperitivo e il buffet. Per l’occa-sione due ragazzi in più, vestiti di bianco, assistevano ilbarista.

Quando Mary arrivò, sempre in bicicletta, stavanorientrando gli ultimi giocatori. I volti erano segnati dallafatica, le polo dal sudore. Quelli che avevano giocato sottoil sole cocente del pomeriggio erano visibilmente provati.

Li si vedeva consegnare in modo affrettato le cartesegnapunti alla segretaria che li aspettava per stilare laclassifica, poi si precipitavano nello spogliatoio per unadoccia rigenerante.

Dopo si ritrovavano al bar, in quella sala un po’ buia lacui freschezza, alla fine di quella giornata afosa, era forte-mente apprezzata.

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Mary attraversò il bar che era assediato da gente la cuisete sembrava inesauribile. I boccali di birra si sussegui-vano uno dopo l’altro tra il brusio delle conversazioni e ilfumo delle sigarette.

Lei preferì dirigersi verso la terrazza, un luogo incan-tevole dove i tavolini in vecchio tek erano sistemati inmezzo ai cespugli di rose. Il signor Hermany si era siste-mato lì, da solo, sotto un ombrellone, davanti alla solitacoca-cola. Fece un piccolo cenno cordiale a Mary cheandò a salutarlo.

– allora signore, non è troppo stanco dopo la partita distamattina?

Lui le sorrise maliziosamente:– Ha voglia di scherzare, nove buche sul pitch and putt

sono il mio premio quotidiano! E poi non ho neanche gio-cato, ho solo seguito.

si chinò verso di lei:– sa, non mi è concesso il tempo di stancarmi. Mia

figlia mi costringe a fare la siesta. sono così come mi vedeperché mi sono appena alzato dal letto!

– Viene spesso alle premiazioni?– Tutte le volte che posso. ci sono persone che spon-

sorizzano le gare, offrono premi, è giusto che in cambiotutti quelli che hanno partecipato li onorino della loropresenza.

– E ci vengono tutti?– si figuri! ce ne sono alcuni che col pretesto di aver

giocato male, e quindi non aver vinto nulla, si astengonodal partecipare.

Posò su Mary i suoi occhi color nocciola:– che ci vuol fare, i maleducati sono ovunque!– È la prima volta che partecipo a una cerimonia di

questo tipo, – disse Mary, – come si svolge?– allora...

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stava per lanciarsi nella spiegazione, ma fu interrottodal presidente del circolo che si era impossessato delmicrofono e chiedeva al “rispettabile pubblico” di avvici-narsi per la proclamazione dei risultati.

Il centinaio di persone presenti si raggruppò a semicer-chio intorno al tavolo. Mary guardò il suo anziano amicoper domandargli se era necessario che lei si unisse a loro,ma lui scosse negativamente la testa dicendo:

– Da qui vedremo tutto altrettanto bene, e visto che sista meglio seduti che in piedi...

E aggiunse con malizia: – Vedrà all’opera la società dei reciproci ringraziamenti.Mary si sporse per chiedergli che cosa volesse dire ma

lui si mise l’indice sulle labbra perché il presidente avevainiziato il suo discorso e Mary capì all’istante cosa il vec-chio signore aveva voluto dire.

Il presidente cominciò col ringraziare il cielo di avergliconcesso un tempo così bello, poi ringraziò i giardinieriper aver preparato il campo così bene e alla fine ringraziòil mecenate di turno per la superba dotazione, invitando ilpubblico a ringraziarlo con calorosi applausi.

Era uno dei soliti discorsi di convenienza che dovevafare ogni domenica.

Pochi applausi educati salutarono il mecenate, proprie-tario di un grande magazzino specializzato in articoli spor-tivi. sembrava gli si facesse percepire il grande onore chegli era stato concesso di poter presentare i suoi prodotti alGolf del Bois Joli.

Era la prima volta che Mary vedeva il presidente, uncinquantenne coi capelli sale e pepe, estremamenteabbronzato, con indosso pantaloni grigi con delle piegheineccepibili e un blazer blu il cui taschino era ornato da unbello stemma dorato. sulla camicia bianca risaltava la cra-vatta del circolo, verde scuro, con due mazze incrociate

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intorno a una pallina e una scritta in rosso: club del BoisJoli.

aveva gli occhi cadenti da cocker malato, curiosamen-te sormontati da palpebre prominenti, grinzose, e un nasoaquilino storto, cosa niente affatto sorprendente dato che,giudicò lei con impertinenza, era un nasone che attiravapugni. Il labbro inferiore formava una smorfia sprezzanteda cui le parole, di una desolante banalità, uscivano consufficienza.

Dopo aver parlato, allungò il microfono al mecenate,un ometto panciuto con un bel faccione da chincagliereambulante, che arrossì per il piacere.

Farfugliò tutta la gioia e tutto l’onore che provava nellostare in così bella compagnia, ringraziò il presidente per leamabili parole, il capitano per la bella organizzazione, iconcorrenti per le loro belle esibizioni e si complimentòcon se stesso per aver avuto la bella idea di essere presen-te “in un settore portante come il golf”. Infine, invitò tuttia brindare alla prosperità congiunta del Golf del Bois Jolie della sua società, al buffet naturalmente offerto da lui.

Quest’ultimo invito fu accolto con applausi un po’ piùcalorosi, ma il capitano riprese il microfono, precisò cheil buffet sarebbe stato aperto dopo la proclamazione deirisultati “tecnici”.

Vicino al presidente se ne stava tutto rigido il colon-nello Dubois, anche lui in blazer e pantaloni chiari, sem-brava più che mai un vecchio militare.

Il capitano annunciò prima di tutto il risultato dei testsulle nove buche e Mary ebbe la sorpresa di sentirsinominata.

– Vada, – le disse il signor Hermany.– Dove? – domandò lei sorpresa.Le indicò il tavolo ricoperto di premi dietro il quale

stavano il mecenate, il presidente e il direttore del golf.

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– Bisogna che...al solo pensiero di dover passare davanti a tutta quel-

la gente, Mary sentì un sudore freddo colarle sulla schie-na. Bob, più Goldfinger che mai, si dirigeva felice e fiero,senza alcun imbarazzo, verso le autorità.

– Insomma vada, – insisté il vecchio. allora Mary si alzò e con passo d’automa raggiunse

due compagni di stage. confortata di essere così attornia-ta, si presentò al capitano che le strinse la mano, le diedeuna scatola di palline e un pacchetto di tee farfugliandouna vaga formula di congratulazioni. Il presidente le teseuna mano moscia guardando da un’altra parte mentre ilcolonnello aveva fatto un passo indietro per non doverletoccare la mano. Il mecenate, al colmo della felicità, lediede un bacio.

Lei si girò, tutta rossa per l’imbarazzo; aveva l’impres-sione che tutti avessero gli occhi puntati su di lei. Ma ilpeso dello sguardo che aveva sentito era solo quello diVictoire Leblond, la “pazza”, che si era sistemata in primafila, con indosso un corpetto color carne e una specie dikilt a quadrettini gialli, verdi e neri. neri come il suosguardo.

c’era nei suoi occhi una luce assassina e Mary si disseche aveva decisamente del talento nel farsi dei nemici.

Dopo lo scandalo scatenato dal suo arresto in stato diebbrezza, una persona con un minimo di buon sensoavrebbe tentato di farsi dimenticare per un po’. Victoire,no. Lei sfidava il mondo intero. non era forse la mogliedi un signore che poteva procurare seri guai a tutti oquasi?

Passando davanti a lei, Mary non abbassò lo sguardo.Funzionario di polizia stipendiata dallo stato, non temevache qualcuno frugasse tra le sue cose.

Ma questo, la cicciona, ancora non lo sapeva.

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ritornò alla sedia e al vecchio amico. con voce roca, ilcapitano dava lettura della lista dei premiati, valorizzandole prestazioni degli uni e degli altri con commenti di dubbiogusto e doppi sensi osceni. Forse pensava di essere spirito-so... Questo non impediva ai fortunati vincitori di andarse-ne, chi con una sacca, chi con un carrello o con un putter.

– Mi dica, signor Hermany, – disse lei, – tutto questomateriale che viene distribuito sono cose che, se non erro,quel bravo commerciante non venderà.

Il signor Hermany fece un sorrisino:– comunque signorina, non l’avrebbe venduta. sono

dei fine serie che, invece di finire nelle riserve di magaz-zino, andranno nelle cantine dei vincitori. Perché sa, pervincere quel materiale bisogna saper giocare bene...

– È evidente, – disse lei.– Ora, quelli che sanno giocare bene, – continuò lui, –

posseggono già l’attrezzatura da molto tempo. È un mate-riale nettamente superiore a quello là.

– capisco, – disse ancora lei.– Quelli che hanno vinto oggi, – disse il vecchio, –

hanno già otto o dieci sacche in cantina, cinque o sei car-relli nelle soffitte e ormai non contano neanche più i put-ter e i driver che ingombrano i loro scaffali e che non ser-viranno mai. Invece, lei e i suoi amici stagisti dovretecomprare tutta l’attrezzatura dato che non la vinceretemai, il vostro gioco non è ancora abbastanza buono perriuscirci.

– E, – disse lei, – per riuscirci ci servirà una buonaattrezzatura che saremo costretti a comperare a prezzopieno...

– Lei ha capito tutto, – disse il signor Hermany.Quando tutti i premi furono consegnati e dopo una

nuova ondata di ringraziamenti, il capitano liberò il pub-blico che si accalcò intorno ai tavoli del buffet.

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– Guardi là! – esclamò il signor Hermany con aria di-sgustata. – Ma quella gente non ha niente da mangiare acasa propria?

Il colonnello, come Mary aveva visto nelle foto, eraabituato agli assalti, si era impossessato di un piatto dicarta sul quale ammucchiava prosciutto, tartine al salmo-ne affumicato, pizzette calde e dolcetti, con l’unica preoc-cupazione di arraffarne il più possibile. allo stesso tempo,non tralasciava di ingurgitare panini imbottiti al punto cheaveva le guance come un criceto.

Hermany alzò le sue spalle magre:– E dire che questi dovrebbero rappresentare l’alta socie-

tà! stasera, quando il rosticciere raccoglierà la sua roba siaccorgerà che gli mancheranno due dozzine di cucchiaini!

Mary si era alzata:– Vado a far rifornimento. che cosa vuole che le porti?Hermany fece un gesto da fatalista:– Quello che avranno lasciato, cara amica.E aggiunse:– ammesso che lascino qualcosa!Il vecchio era stato pessimista. Mary riuscì a riempire

due piatti e ritornò al tavolo.Quando vide il bottino, il signor Hermany fischiò,

ammirato:– He, he! Lei sì che ci sa fare!– che cosa vuole bere? – domandò. – c’è dello cham-

pagne, sangria, whisky.Lui mostrò il suo bicchiere:– Mi limiterò alla coca-cola. Mary dovette andare a farsi servire al bar dato che la

coca-cola, come l’acqua minerale che voleva bere lei,non era prevista nel buffet.

I gruppi si erano formati per affinità e la consegna deipremi prendeva l’aspetto di un “garden party”. Il “genero-

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so donatore” vagava da un gruppo all’altro, ma ora cheaveva adempiuto la sua mansione, nessuno si interessavapiù a lui.

Quando Mary tornò con le bevande al tavolo del signorHermany, ebbe la sorpresa di trovarci il commissarioGraissac.

– signorina Lester mi permetta di presentarle il signorroger Graissac.

Mary si piegò in avanti con cautela.– La signorina Lester è una principiante, – disse anco-

ra Hermany. – Ha ottenuto l’handicap oggi e molto bril-lantemente dato che ha fatto trentatré sul pitch and putt.

– I miei complimenti, – disse educatamente Graissac.– Ha appena cominciato, – disse Hermany entusiasta, –

gioca solo da quindici giorni ma le garantisco che andràlontano!

Graissac indossava un paio di pantaloni beige e unacamicia blu col collo aperto. al collo portava un foularddi seta grezza. così, era uno dei pochi ad aver infranto laregola che voleva che il blazer e la cravatta con gli stem-mi del circolo fossero di rigore durante le premiazioni.Ma, così com’era, Mary trovò che il suo abbigliamentofosse molto ben scelto per quella bella serata d’estate eche, sulla questione eleganza, Graissac non fosse dameno rispetto a chi si vestiva seguendo i dettami dellamoda.

– Da borghese, se posso dirlo, – fece ancora Hermany,– il signor Graissac è commissario di polizia.

– ah! – fece Mary fingendosi sorpresa. – Ed è qui perlavoro?

– no, – disse Graissac, – ho partecipato alla gara.– non ho sentito il suo nome durante la proclamazione

dei risultati, – disse Hermany. – sarà perché sono un po’duro d’orecchi.

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– suvvia, niente falsa modestia vecchio mio, – disseGraissac ridendo. – se non ha sentito il mio nome è per-ché nessuno l’ha pronunciato. Il suo udito va benissimo.In realtà ho giocato da cani. Ho perso non so quante palli-ne e di socket ne ho fatti due alla volta!

– Un socket, – spiegò il signor Hermany a Mary, – èquando si colpisce la palla col tacco della mazza.Ovviamente questa va dove le pare!

– allo sbaraglio, proprio come sono andato io, – disseGraissac. – ah, ci sono giorni in cui non c’è proprio nien-te da fare.

– E da cosa dipende? – domandò Mary.Il commissario fece un gesto evasivo:– se uno lo sapesse... a volte si è preoccupati per pro-

blemi di famiglia, di lavoro...– credevo che il golf avesse proprio il potere di fare il

vuoto nella mente dei giocatori, di distenderli, liberarli.– Una partita amichevole sì, – disse Graissac, – ma

quando uno inizia a contare i punti e si preoccupa del pun-teggio, tutto cambia.

Due ragazzini di una decina d’anni, vestiti come duescolaretti inglesi, con un cappellino rotondo, vennero asalutare il signor Hermany. Lui ricambiò il saluto e siintrattenne con loro come se fossero stati degli adulti.

Mary approfittò del fatto che il vecchio era occupatoper interrogare il commissario:

– c’e da chiedersi che cosa preoccupi la gente, – dissecon leggerezza. – Fa bel tempo, abbiamo da mangiare, dabere, siamo in buona compagnia, cosa chiedere di più?

– Effettivamente, – disse il commissario guardandolanegli occhi.

stava per aggiungere qualcosa ma il suo sguardo incro-ciò quello di Victoire Leblond e si alzò.

– Mi scusi, – disse.

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E inchinandosi aggiunse:– È stato un piacere conoscerla.Poi andò a salutare la “pazza”.Il “party” proseguiva e, per effetto dell’alcool, il tono

della conversazione saliva. Il signor Hermany si alzò, eraarrivata sua figlia. augurò una buona serata a Mary dan-dole appuntamento per il giorno dopo. anche lei si alzò.Una fresca umidità cadeva dagli alberi e le zanzare comin-ciavano a essere aggressive.

Bob, con un bicchiere in mano, era in fitta conversa-zione con un gruppo di persone tra le quali Mary riconob-be il presidente e il capitano. Il commissario Graissac eraancora monopolizzato dalla “pazza”. Mary si chiese checosa mai avesse da raccontargli perché era chiaro che sta-vano parlando di lei. Le frequenti occhiatacce che le lan-ciava Victoire Leblond non lasciavano alcun dubbio alriguardo.

recuperò la sua bicicletta vicino allo spogliatoio dellesignore e prese la strada verso la pensione “LesMimosas”. Prima di svoltare sul boulevard dell’oceano,gettò un ultimo sguardo alla club house tutta illuminata,alle silhouette eleganti che si spostavano come ombrecinesi sui muri illuminati dai proiettori nascosti tra icespugli di ortensie. Quella era l’immagine di una societàfatta di lusso, abbondanza e spensieratezza.

Mentre costeggiava il parcheggio gremito diMercedes, BMW e Porsche dalle luccicanti carrozzeriesotto lampioni che si erano appena accesi, non poté fare ameno, ancora una volta, di pensare a Fortin, il poveroFortin che in quel momento si stava forse nascondendodietro i secchi dell’immondizia del quartiere di HLM percercare di sorprendere la gang di ladri di auto.

I bulli della zona e le loro famiglie vivevano forse sullostesso pianeta dei golfisti del Bois Joli?

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Pedalava nel crepuscolo lungo le piste per i cavallidove gli zoccoli ferrati avevano lasciato le loro improntesulle banchine sabbiose. I grandi pini bruciati dal soleemanavano un odore di resina che si mischiava a trattiall’odore, più forte, dello sterco di cavallo. alcune mac-chine decappottabili passavano lentamente e, quando lesorpassava, Mary sentiva dei frammenti di musica jazz.Tutto era calmo. Più in basso, lontano davanti a lei, i lam-pioni del terrapieno stradale brillavano in riva al mare.

La bicicletta che Mary aveva noleggiato era olandese,molto pesante ma comoda, con il manubrio alto, cosa chele permetteva di pedalare dritta, in una posizione che leitrovava molto dignitosa.

La serenità della notte venne turbata dal rumore di unmotore che si accese di colpo mentre Mary attraversava unincrocio. Tutt’a un tratto fu in allerta e quando l’auto leandò addosso deliberatamente, fece un balzo verso ilbordo della strada. Per la spinta la bicicletta continuò adandare e così fu un veicolo senza passeggero che la follemacchina prese in pieno.

Travolta dallo slancio, Mary era rotolata nel sottobo-sco, sulla pista dei cavalli dove cadde lunga distesa sopraun suolo sabbioso ricoperto di aghi di pino.

La bicicletta era rimasta incastrata sotto l’automobileche la trascinò per qualche metro in uno sprizzare di scin-tille. Poi la macchina che l’aveva tamponata frenò brusca-mente e fece marcia indietro facendo grattare il cambio euna volta sbarazzatasi della carcassa metallica che laintralciava, ripartì con una sgommata stridente.

Mary si rialzò lentamente, si pulì le ginocchia e i gomi-ti, senza rendersi ancora conto, come se si svegliasse dopoun brutto sogno.

aveva visto solo una carrozzeria rossa che era già spa-rita in fondo alla strada. Fece qualche passo esitante verso

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quell’ammasso di tubi contorti che costituivano la suabicicletta e la spostò sul bordo della strada, dove non pote-va intralciare il traffico.

Poi, sopraffatta dalle emozioni, si sedette ai piedi di unalbero e scoppiò in lacrime balbettando:

– che stronzi. ah, che stronzi!rimase per un attimo prostrata poi, una volta asciuga-

te le lacrime, si nascose dietro un grosso tronco d’albero,pronta a fuggire se la macchina fosse ritornata.

Poi, la sua natura combattiva riprese il sopravvento, esi rialzò. I suoi pantaloni avevano un bello strappo e sullacamicetta c’erano tracce di terra. a parte questo, lei eraindenne. se non avesse avuto il riflesso di saltare dalmezzo quando aveva sentito il rombare del motore del-l’auto, probabilmente sarebbe rimasta uccisa.

Dopo un ultimo sguardo desolato ai resti della biciclet-ta, raggiunse la pensione “Les Mimosas” a piedi.attraversò silenziosamente la hall deserta e salì in camerasua con piacere e sollievo.

sdraiata sul letto, si sottopose a un esercizio respirato-rio che le aveva insegnato un’amica che praticava lo yoga:tre inspirazioni ed espirazioni profonde poi, con gli occhichiusi, cinque minuti di rilassamento cercando di non pen-sare a niente. Da ultimo, altre tre inspirazioni ed espira-zioni. Quando ebbe eseguito questo esercizio, sentì cheaveva ritrovato la calma.

allora si fece una doccia, poi andò a coricarsi e siaddormentò placidamente.

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XI

La cabina da dove telefonava si affacciava a strapiom-bo su tutta la baia. Erano le nove e mezza e le famigliearrivavano già in spiaggia. c’era l’alta marea, il marescendeva, e avrebbe raggiunto il suo livello più bassoverso mezzogiorno. Poi sarebbe stato necessario cammi-nare per più di un centinaio di metri prima di poter fare ilbagno.

alle cinque, quando il mare sarebbe risalito, quellemigliaia di villeggianti sparpagliati sugli otto chilometri dispiaggia fine, avrebbero dovuto indietreggiare davanti allamarea e ci sarebbe stata allora, nella parte alta della spiag-gia ridotta a una stretta striscia di sabbia, una tale concen-trazione di bagnanti che la maggior parte di loro avrebbedovuto far fagotto.

Mentre venivano piantati gli ombrelloni sull’immensaspiaggia di La Baule e le terrazze affacciate sul mare veni-vano innaffiate, Graissac doveva essere in riunione nelcommissariato di nantes. Mary dovette insistere per far-selo passare e quando finalmente riuscì a parlarci, le sem-brò di percepire una certa irritazione nella sua voce.

– Ispettore Lester? che cosa si è rotto? Doveva averlo disturbato. La ripresa dei lavori il lune-

dì mattina, soprattutto d’estate non è mai piacevole. – La mia bicicletta, – disse lei.– come la sua bicicletta?– Mi ha chiesto che cosa si è rotto, le rispondo la mia

bicicletta.

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Graissac per poco non esplose, solo la sua buona edu-cazione lo trattenne.

– E lei mi ha disturbato in piena riunione per dirmi chele si è rotta la bicicletta? sono con il sindaco...

Lei lo interruppe:– allora se è con il sindaco, mi scusi. – senta signorina Lester, – disse lui facendo leva sul

suo sangue freddo, – si rende conto? stiamo lavorando aun dossier importante e urgente...

– allora la lascio. Volevo solo dirle che la mia biciclet-ta è stata schiacciata da una macchina e che se non avessiavuto la prontezza di saltare giù quando mi è piombataaddosso, a quest’ora non sarei in una cabina telefonica, maall’obitorio.

– Mi sta dicendo che...– che sono stata aggredita, sì è proprio quello che

voglio dire!ci fu un vuoto nella comunicazione, il commissario

Graissac stava digerendo l’informazione. Poi in tono fret-toloso domandò:

– Dove la posso richiamare?Di fronte alla cabina telefonica c’era la terrazza di un

bar che sembrava piuttosto accogliente.– al bar “il Belem”, – disse leggendo l’insegna.– Tra un quarto d’ora, – disse lui.Mary riagganciò e attraversò il boulevard. a quell’ora

la terrazza era quasi vuota. a tre tavoli di distanza dal suo,un vecchio signore leggeva il giornale bevendo una birraalla spina. ai suoi piedi un grosso labrador nero già affa-ticato dal caldo faceva penzolare una lunga lingua rosa,ansimando piano.

Mary ordinò un caffè e chiese anche il giornale locale.Quando il cameriere tornò gli disse che stava aspettandouna telefonata e che era la signorina Lester.

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Qualche minuto dopo il cameriere le porse un telefonosenza fili. Era il commissario Graissac molto agitato.

– allora piccola, che le è successo?Mary, che odiava essere chiamata così, rispose infastidita:– Quasi niente, qualcuno ha cercato di uccidermi, tutto

qui.– crede?– no, – disse lei seccata. – Dico così per rendermi inte-

ressante, è ovvio! Graissac voleva essere rassicurante:– Probabilmente è stato un incidente... Un pirata della

strada...– sicuramente no, – disse Mary categorica. – Mi stava

seguendo, la macchina mi è piombata addosso dopo avermiidentificata. se non avessi avuto la prontezza di saltare...

– si è fatta male?– Per niente. Mi si sono solo strappati i pantaloni, mi si

è imbrattata la camicetta, e ho avuto una fifa cane.– che cosa ha fatto?– che cosa voleva che facessi? Ho spostato il rottame

della bicicletta sulla banchina e sono tornata in albergo apiedi.

– non ha avvertito nessuno?– Lei è il primo a sapere. Ho una mia idea su come

comportarmi, ma volevo prima parlargliene.– Ha fatto bene. allora?– Per prima cosa ho avuto voglia di riprendere la mia

pistola e difendermi, ma riflettendoci, non credo chesarebbe la soluzione migliore.

Dall’altro capo del filo, Graissac ascoltava con attenzione.– Bisogna, – continuò lei, – che mantenga il mio ruolo

di ragazza in vacanza, che è stata vittima di un pirata dellastrada. che cosa farebbe una ragazza in una situazionesimile?

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– andrebbe a sporgere denuncia alla gendarmeria, –disse Graissac.

– Esatto! con il suo permesso dunque io andrei.– ce l’ha. Mi raccomando, resti nel personaggio...– conti pure su di me.– ritorna al Golf del Bois Joli?– certo. E racconterò a chi avrà voglia di ascoltarmi la

disavventura che mi è capitata. come farebbe una studen-tessa in vacanza. chiaramente farò riferimento a un piratadella strada.

– credo sia la soluzione migliore, – disse Graissac. –Ma non so se devo lasciarle continuare questa inchiesta...sta diventando pericolosa...

– se avessi voluto un mestiere senza pericolo, – glidisse lei, – avrei fatto la bibliotecaria o la direttrice di unmuseo. a proposito, capo, la macchina che mi ha investi-ta era di colore rosso.

– ah...– Le dice niente?– no...– rossa come quella di Victoire Leblond.– non penserà davvero... – esclamò Graissac.– non penso niente, – disse lei parodiando il commis-

sario Maigret. – andrò dagli agenti.– Mi tenga aggiornato, – disse il commissario con

voce tesa, – e soprattutto, signorina Lester, sia pru-dente!

Quante volte aveva sentito quella frase: “mi tenga alcorrente”... come se lei avesse mai avuto l’intenzione dinascondere qualcosa!

– Promesso, – disse lei, – farò installare dei retrovisorisulla mia prossima bici.

Graissac per poco non si strozzò:– non riprenderà mica un’altra bicicletta?

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– Perché no? non è forse il mezzo più ecologico, piùpratico e più economico per muoversi? E poi mi piace emi mantiene in forma.

– Ha un’auto, – disse ancora Graissac.– sì, – disse lei, – un’auto che è mia e ho pagato coi

miei soldi. Una piccola austin alla quale tengo e che sirivelerebbe molto fragile se ad esempio uno volesseandarle addosso con un fuoristrada.

– Un fuoristrada? – domandò Graissac. – Perché parladi un fuoristrada?

– così, – disse Mary con leggerezza, – perché mi sem-bra un veicolo adatto a questo tipo di esigenza. Quindinoleggerò un’altra bicicletta, ammesso che me ne voglia-no affidare un’altra.

E visto che Graissac non diceva niente, aggiunse:– La chiamerò appena avrò delle novità anche se starà

con il sindaco!Tagliò la conversazione prima che Graissac avesse il

tempo di commentare.

Il giovane agente la guardava con aria scettica:– Mi sta dicendo che c’è mancato poco che venisse

investita da una macchina?– sono stata investita da un’auto, – disse Mary. – se

non avessi avuto la prontezza di saltare giù dalla biciclet-ta a quest’ora sarei all’ospedale o all’obitorio.

– E dove sarebbe accaduto questo?– È successo ieri sera alle venti e venticinque sul bou-

levard caqueray.– a che altezza? – all’altezza del bosco comunale. – E la sua bicicletta... – La mia bicicletta, o meglio quello che ne resta, l’ho

trascinata sulla banchina, dietro la pista dei cavalli.

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– Perché non è venuta a fare la denuncia prima?– non ero ferita ma ero scioccata. sono tornata in

albergo, ho fatto una doccia e mi sono addormentata.stamattina mi sono svegliata tardi e sono venuta imme-diatamente qui.

L’agente non aveva abbandonato la sua aria scettica.Batteva senza convinzione la deposizione di Mary con duedita.

– Ha identificato il veicolo che l’ha investita? Finalmente, si disse Mary, ammette che possa essere

stata investita! È un passo avanti.– no, ho visto solo che era una macchina rossa, di

media cilindrata. – Targata?– non ho avuto il tempo di vederlo.L’agente si alzò.– Un attimo, prego.Uscì e Mary si trovò sola nell’ufficio della gendarme-

ria. sui muri c’erano alcune affissioni e annunci di ricercacon foto, usuali in luoghi simili. L’ufficio era rigorosa-mente pulito e la stanza, la cui finestra era aperta su uncortile dove si vedevano alcuni veicoli della gendarmeria,odorava ancora del prodotto usato per la pulizia del pavi-mento ricoperto con linoleum verde.

Il giovane agente ritornò accompagnato da un cin-quantenne rubizzo coi capelli grigi che doveva essere ilsuo capo. Questi salutò Mary con un cenno del capo e sichinò sulla macchina da scrivere per leggere la deposizio-ne. Poi guardò Mary da sopra gli occhiali a mezzaluna:

– signorina Lester... È lei che ha telefonato per segna-larci un caso di guida in stato di ebbrezza?

– sì, sono io, – disse.– ah... E oggi viene a presentare denuncia contro igno-

ti. Una macchina non identificata l’avrebbe travolta.

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riecco il condizionale, si disse Mary. E rettificò:– Una macchina mi ha travolta e ha schiacciato la mia

bicicletta.– La bicicletta era di sua proprietà?– no, l’avevo noleggiata in città, in un negozio spe-

cializzato.– ah... – fece ancora il maresciallo. – E lei è studen-

tessa in Legge?– È così.– Posso vedere la sua carta d’identità?– certamente.Il maresciallo esaminò a lungo il documento che Mary

gli aveva teso, poi lo rigirò, l’esaminò ancora e lo diede alsuo assistente.

– sa, è autentica.– non ne dubito, – disse il maresciallo.Poi dopo una pausa:– Potrebbe accompagnarci sul luogo in cui ha lasciato

la bicicletta?– certo. Mary si alzò:– ci andiamo subito?Il maresciallo indossò il kepi e, laconico, disse:– Immediatamente.Per niente allegro il tipo, si disse Mary seguendolo nel

cortile.Prese posto dietro nel furgone blu. Guidava l’agente e

il maresciallo si era seduto al posto del passeggero. Lamacchina seguiva una lunga via costeggiata da solide villenascoste tra gli alberi. Quando arrivarono all’incrociodove Mary aveva sentito rombare il motore della macchi-na rossa, fece segno al giovane agente di fermarsi.

– È qui.Indicò il sottobosco.

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– La mia bicicletta, o quel che ne resta, è lì.nell’aria si respirava la rugiada del mattino, un odore

che le ricordava quello delle passeggiate della sua infan-zia, quando accompagnava il nonno a raccogliere funghi.nei pini, i piccioni e le tortore giocavano a rincorrersi. Ditanto in tanto passava un’auto e rallentava alla vista delfurgone blu e della luce intermittente. Il conducente e ipasseggeri lanciavano un’occhiata incuriositi, chiedendo-si probabilmente cosa cercassero i gendarmi in quel posto.spostarono le alte felci e fecero avanti e indietro lungo ilbosco, invano.

Mary non credeva ai suoi occhi: la bicicletta era sparita.– È sicura che sia qui? – chiese il maresciallo. – assolutamente, – confermò lei.E pensò: “Passerò di nuovo per una fuori di testa!”Il giovane agente suggerì:– Forse si è sbagliata. Questi viali si assomigliano tutti.– no, – disse lei. – Faccio questa strada tutti i giorni

con la bicicletta da due settimane e vi posso assicurare cheè proprio qui che la macchina mi è piombata addosso.

– È strano comunque... – disse il maresciallo.Guardò Mary:– Lei dice di aver trainato sulla banchina quel che

restava della sua bicicletta. – sì. non potevo lasciarla in mezzo alla strada né sulla

pista per i cavalli, avrebbe potuto provocare un incidente.L’ho trascinata là, nel sottobosco.

– Beh, non c’è più, – disse il giovane agente.– Hm! – fece il maresciallo dubbioso.Guardò il suo collega, come per dire: “se mai c’è stata!”Mary era ritornata sulla strada. si ricordava delle scintil-

le che aveva provocato la bicicletta incastrata sotto la mac-china. Forse c’erano delle tracce sul marciapiede. Trovò ini-zialmente dei pezzetti di vetro e chiamò gli agenti:

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– nell’urto alla macchina deve essersi rotto un fanale.Guardate...

Il giovane agente raccolse il pezzo di vetro più grossopoi tornò al furgone per depositarcelo mentre Marymostrava al maresciallo le tracce incise sull’asfalto.

– La mia bicicletta è rimasta incastrata sotto la mac-china. L’autista si è dovuto fermare e fare marcia indietroper liberarsene.

Gli agenti esaminarono scrupolosamente il marciapie-de. Il maresciallo passò la mano sul solco inciso nella car-reggiata, poi guardò il giovane collega:

– È fresco!– ah, – disse Mary, – mi credete ora?Il maresciallo eluse la domanda:– comunque è strano che non si trovi il rottame della

bicicletta. – Qualcuno potrebbe esserselo caricato, – suggerì

Mary. – Forse c’erano dei pezzi recuperabili. Il maresciallo alzò le spalle:– Forse...si diresse verso la macchina:– Insomma, vedremo... completeremo la sua deposi-

zione e poi apriremo un’inchiesta.

Munita del certificato degli agenti, Mary ritornò dalnoleggiatore di biciclette. a mezzogiorno, faceva il suoingresso nel cortile della pensione “Les Mimosas” su unabicicletta nuova, completamente identica alla precedente,ma sulla quale aveva fatto montare, come aveva detto alcommissario Graissac, un paio di retrovisori.

alle diciotto era sul campo pratica del Golf del BoisJoli e, come avrebbe fatto la studentessa di Legge che tuttipresumevano lei fosse, raccontava a chi aveva voglia diascoltarla, l’incidente di cui era stata vittima.

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I suoi amici espressero rumorosamente la loro indigna-zione e ci tennero a manifestarle piena solidarietà.

solidarietà puramente verbale, certo.solo Bob si spinse oltre: prendendo Mary da una parte,

si offrì di pagarle un’altra bicicletta.– Lo sa Mary, per me non è un problema e mi farebbe

veramente piacere...Lei rifiutò con fermezza. La bicicletta non era sua, l’as-

sicurazione avrebbe risarcito il negozio di noleggio.Inoltre, lei ne aveva già presa a nolo un’altra.

– Perché farebbe questo? – chiese Mary poiché lui insi-steva. – Lei non c’entra nulla con questo incidente!

E aggiunse:– O almeno, lo spero!Lui si irritò:– Perché mi dice questo?Mary gli fece un gran sorriso:– Ma perché l’ho battuta domenica! non se lo ricorda

più? Ho fatto trentatré, lei trentacinque!Duhallier parve sollevato e, a sua volta, sorrise

ampiamente:– che sciocca, mamma mia quanto è sciocca! – escla-

mò scuotendola affettuosamente.La lezione si svolse senza incidenti e alla fine Mary ci

tenne a invitare i suoi compagni e Paul sergent a bere unbicchiere in omaggio alla fortuna che aveva avuto.

nessuno si sottrasse e lei incluse nell’invito i solitipilastri del bar, il capitano e la sua squadra scelta, che nonsi lasciarono sfuggire l’occasione, loro che ogni serariprendevano le macchine con due grammi di alcool nelsangue, di fustigare il lassismo colpevole delle autoritàverso i criminali.

sulla nuova bicicletta Mary raggiunse il suo albergosenza intoppi. nel cortile c’era il furgone blu dei gen-

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darmi. Il maresciallo si era spostato di persona, con unaltro agente che Mary non aveva mai visto. Gli andòincontro:

– Buonasera signorina Lester.Mary notò che aveva l’aria preoccupata.– ci sono novità? – domandò.Mosse la testa affermativamente. Poi, lanciando uno

sguardo tutt’intorno:– Dove possiamo parlare in tranquillità?– Forse nella serra, – disse lei. – a quest’ora sarà sicu-

ramente vuota.Il giardiniere aveva appena innaffiato le piante, i fiori

e la terra erano profumati. Mary si sedette al tavolo dovedi solito faceva colazione. Il maresciallo si levò il kepi esi sedette di fronte a lei. L’altro agente era rimasto vicinoal veicolo.

– È stata ritrovata la carcassa della sua bicicletta, –disse l’agente.

– Dove? – chiese lei.– Molto banalmente, al servizio municipale dei giardi-

ni. Il loro camion fa il giro della città al mattino presto perinnaffiare le aiuole e riparare eventualmente i danni chefanno a volte i festaioli o i vandali nelle loro aiuole. Hannovisto la sua bicicletta nel sottobosco e l’hanno raccolta.Mentre noi la stavamo cercando, loro telefonavano allasquadra per segnalarne la scoperta.

– Bene, – disse Mary, – ecco chiarito un punto ma que-sto non vi porta avanti...

L’agente la guardò curiosamente, poi disse:– abbiamo anche trovato l’auto che ha provocato

l’incidente.– ah, – disse Mary, – ecco una notizia migliore! Dove?– al parcheggio della stazione.– Ma guarda un po’!

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– È stata una delle nostre pattuglie che, controllandotutte le macchine rosse, ha scoperto una Honda civic diquel colore parcheggiata contro un muro. aveva il fanali-no anteriore sinistro rotto e tracce di pittura nera sullafiancata.

– Quindi non ci sono dubbi, – disse Mary.– Tanto più, – disse l’agente, – dato che i pezzetti di

fanalino raccolti stamattina per strada corrispondono allamarca in dotazione su questi veicoli. Inoltre, le tracce dipittura provengono senza alcun dubbio dalla sua bicicletta.

– si sa a chi appartiene la macchina?L’agente fece un lieve sorriso:– sì, certo. E lo sa anche lei.Lui la guardò un istante senza dire nulla, giocando

sulla suspense:– appartiene alla signora Victoire Leblond che, su sua

indicazione, abbiamo arrestato l’altro ieri per guida instato di ebbrezza.

ci fu silenzio, poi Mary domandò:– E che dice la signora Leblond a sua discolpa?– niente.Mary guardò sorpresa l’agente:– Vi accontentate di questo?– Per forza, – disse il gendarme, – la signora Leblond

domenica sera ha denunciato il furto della sua auto. – Ma guarda un po’... a che ora?– alle ventidue. L’agente rigirava la sua penna tra le grosse dita, Mary

lo guardava fare, in attesa che parlasse. alla fine disse:– a suo dire, la signora Leblond avrebbe passato la

serata al Golf del Bois Joli. – È vero, – disse Mary, – c’ero anch’io. Di nuovo il gendarme le lanciò un’occhiata di sorpresa:– Lei era a quella serata?

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– sì...Vedendo la sua espressione incuriosita pensò di dover-

gli spiegare:– sto facendo uno stage di formazione di golf, quindi

ci vado tutti i giorni. – ah... – fece l’agente. – E la signora Leblond sa chi è

lei?– sicuro! – E non le ha creato problemi?– non ancora, che io sappia.– Perché dice “non ancora”?– Perché pare che questa signora abbia l’abitudine di

attaccare briga con chiunque la contraddica. almeno cosìmi è stato detto.

Guardò l’agente sorridendo:– Forse lei ne sa qualcosa...?Lui farfugliò:– che ci provi...– conti su di lei, – disse Mary e aggiunse:– non mi chiede il significato di “che io sappia”? Questa volta fu lui ad avere un sorriso contrariato:– Ovviamente perché è la sua auto ad avere distrutto la

bicicletta!– Giusto!– Beh! sembrerebbe che la brava signora sia fuori di-

scussione, – disse il maresciallo. – È stato rientrando acasa, dove si è fatta accompagnare dato che le avevanoritirato la patente, che avrebbe constatato la sparizionedella sua auto. ci avrebbe tempestivamente avvisati. Parepossa contare su un testimone degno di fiducia.

– chi sarebbe?– Il signor Graissac, commissario divisionario a

nantes. Di nuovo fissò Mary con il suo sguardo perspicace:

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– Per caso lo conosce anche lei?– chi, Graissac?– sì.– Me l’hanno presentato quella stessa sera.– Lo vede, è un testimone di peso.– capisco... Mi dica, maresciallo, la macchina della

signora Leblond è stata scassinata? – no, abbiamo persino ritrovato le chiavi sul cruscotto.– non le sembra strano?Il gendarme fece un movimento evasivo:– no. La sua macchina era in giardino e pare che ci

lasci sempre le chiavi inserite.– È da imprudenti.– Glielo abbiamo detto. Ma sa, la signora Leblond

non è di quelle donne che ammettono facilmente di avertorto.

Ebbe di nuovo quel sorriso contrariato. – ne so qualcosa.– E adesso? – domandò lei.– E adesso cosa?– che succede?– Per l’inchiesta?– sì.Fece un movimento con le spalle che in lui era come

un tic.– secondo la consueta formula, l’indagine segue il suo

corso. – Vale a dire?– La scientifica farà il rilievo delle impronte digitali

nella macchina per cercare di scoprire chi la guidava.– E poi? – E poi faremo le solite ricerche di testimoni...aveva detto questa cosa con aria disincantata, senza

convinzione. alzò la testa verso Mary:

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– se dovesse avere nuovi elementi, se le viene in mentequalcosa, non esiti a contattarci...

si alzò sospirando e le tese la mano.– ...signorina Lester... studentessa in Legge... Mary gli diede la mano e lui la tenne imprigionata nella

sua:– È sicura di non volermi dire altro? Lei si liberò:– altro su cosa? – sulle sue competenze in ambito poliziesco.si finse stupita:– Prego? non capisco...– Oh sì che capisce, – disse il maresciallo. – Lei fa le

domande che farebbe uno sbirro, non quelle che verrebbe-ro in mente a una studentessa, anche se specializzata inLegge.

– Leggo molti romanzi polizieschi, – disse Mary.– ah, questo spiega tutto! – ironizzò lui. – conosce i

gradi della gendarmeria, eppure mi passi l’espressione, neraccontano di scemenze in quei libretti!

Lei sorrise:– anche lei li legge?– Qualche volta... Fuori stagione, quando i miei droga-

ti, gli autisti alcolizzati, i topi d’auto e gli aggressori di vec-chiette me ne lasciano il tempo... In inverno, insomma...

Mary guardò negli occhi il gendarme, non era più gran-de di lei e pensò che aveva una faccia da persona onesta.Improvvisamente, nonostante le raccomandazioni delcommissario Graissac, ebbe voglia di confidarsi con quelmilitare così diverso dall’orribile colonnello, direttore delGolf del Bois Joli.

andò fino alla porta della serra, si accertò che nessunoda dietro ascoltasse, la chiuse accuratamente. Poi tornòdall’agente, lo pregò di sedersi.

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– signor maresciallo, penso di potermi fidare di lei.Di nuovo lui la fissava senza dire una parola.– su quello che sto per dirle qui le chiedo assoluta di-

screzione. Mi chiamo Mary Lester, ma non sono una stu-dentessa in Legge...

Gli occhi del maresciallo non avevano battuto ciglio, ilsuo volto era rimasto di marmo. Lei continuò:

– ...Lo sono stata ma ora sono ispettore di polizia... aveva parlato a mezza bocca, il gendarme, impassibi-

le, l’ascoltava con attenzione.– sono stata distaccata dal mio posto a Quimper per

una missione che riguarda il Golf del Bois Joli, su richie-sta del commissario Graissac.

Mary lo guardò e dato che lui ancora non diceva nien-te, gli disse:

– non mi chiede perché?L’uomo lasciò cadere una parola quasi senza aprire la

bocca:– Droga?Mary annuì col capo.– Questo la sorprende?– no...Poi il gendarme chiese a sua volta:– Pensa che l’aggressione di cui è stata vittima abbia

qualcosa a che vedere con la sua inchiesta?– come si fa a saperlo? a priori, solo il mio capo, il

commissario Fabien che sta a Quimper e il commissarioGraissac sono al corrente.

– Forse altri l’hanno scoperta, – disse il maresciallo.– Forse... a questo proposito, lei deve avere delle drit-

te sui frequentatori abituali del Bois Joli.– Ho le mie informazioni, – disse il gendarme pru-

dentemente.– E sulla droga?

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– È un ambiente in cui è difficile infiltrarsi.Praticamente vedo i drogati solo allo stato di consumato-ri, quei ragazzini che ritroviamo completamente sballatinei giardini pubblici o all’alba in spiaggia e per i qualibisogna chiamare l’ambulanza.

– non la stupirebbe che passaggi di droga possanoavvenire nel Golf del Bois Joli?

Il maresciallo scosse la testa con aria disillusa:– niente ormai mi sorprende più!

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XII

Mary Lester aveva noleggiato una renault 5 blu maredalla Hertz e l’aveva posteggiata in una stradina dietro ilsuo albergo.

La bicicletta, munita di antifurto, era sistemata vicinoalla rimessa e la piccola austin nera era bene in vista nelparcheggio dell’albergo, tra una Jaguar e una Land rover.

sdraiata sul letto, completamente vestita, leggeva l’e-norme Dumas, così come faceva ogni sera. alle undici emezzo spense la lampada sul comodino, ma invece diaddormentarsi, si alzò, si avvicinò alla finestra e lanciòun’occhiata fuori.

Il cortile era deserto, illuminato a giorno dalla lunapiena, in un cielo senza nuvole. aprì la porta della suacamera, la richiuse a chiave e scese le scale con precau-zione. Infine uscì dalla porta di servizio, una porticina di-screta che dava sul retro dell’edificio.

Da lì prese la strada e raggiunse la renault 5, passan-do per viali deserti. Incrociò solo un anziano signore cheportava il cane a passeggio, a piccoli passi, fumando unasigaretta.

Prese subito la direzione del circolo. c’erano solo duemacchine nel parcheggio e una luce illuminava la clubhouse. Una stradina fiancheggiava il percorso. La seguì,poi quando questa si allontanò dalla tenuta del Bois Joli,fece dietrofront. non aveva incontrato neanche un’auto.sulla strada di ritorno, un ingresso al campo si apriva tradue siepi. si infilò con la macchina, disturbando alcuni

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conigli che folleggiavano tra i ciuffi d’erba alta, poi spen-se il motore e aprì la portiera.

Uscì dalla macchina, chiuse lo sportello a chiave eritornò sulla strada. Il suo veicolo era invisibile.rassicurata, scalò la scarpata ed entrò sul percorso di golf.

I fairway illuminati dalla luna assumevano un aspettoirreale. nei laghetti le rane gracchiavano e ce ne doveva-no essere un bel po’ per fare tutto quel baccano.

al di fuori di queste graziose bestiole, tutto era calmo.Dalle finestre delle case che costeggiavano il percorsoalcune luci brillavano tra gli alberi . Lei andava, leggera esilenziosa con le sue scarpe da tennis, incantata dallamitezza dell’aria e si sorprese a canticchiare una canzonedi charles Trenet che trovava particolarmente adatta allacircostanza:

È un giardino straordinario...straordinario, lo era. Un centinaio di ettari, tagliati,

rasati, curati, con aiuole di fiori, alberi, siepi e bandiererosse piantate dentro piccole buche dove dei seri signori sisforzavano, con l’aiuto di una mazza, di far entrare unapallina bianca.

a volte, quando passava sotto un boschetto di pini, l’a-ria sapeva di resina, più in là era il caprifoglio a odorare,poi un’aiuola di rose, l’erba appena tagliata e ancora ilfieno essiccato. Tutta la magia di una notte d’estate eralegata a questi odori che emanavano dalle loro corolle perarrivare fino alle stelle soltanto grazie alla carezza umidadella rugiada notturna.

arrivò davanti alla casa di Victoire Leblond, nel puntoin cui si era scontrata con la “pazza”. La casa era silen-ziosa, solo una lucina brillava in una finestra al primopiano.

Mary si appoggiò al tronco ruvido di un pino. Indossavadei jeans e sopra a una maglietta blu si era messa un giu-

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botto di tela marrone. In questo modo, doveva essere com-pletamente invisibile sullo sfondo degli alberi.

La luce al piano si spense, mentre si illuminava la por-tafinestra del piano terra. Vide una sagoma fare avanti eindietro davanti alla luce, poi una porta cigolò leggermen-te e un viso circospetto controllò il giardino.

Era la “pazza”. chi aspettava? si domandò Mary.Prevedendo qualcosa d’interessante, si lasciò scivolare

ai piedi dell’albero e si fece piccola piccola. Poi la luce sispense e la porta cigolò di nuovo. ci fu un leggero fischioal quale la “pazza” rispose con un colpetto di tosse. Maryvide a quel punto una lunga figura alzarsi a qualche metroda lei e lanciare un’occhiata inquieta tutt’intorno.

Poi sentì una voce lamentosa piombare da una dellefinestre aperte sul tetto:

– che c’è Victoire?La voce della donna, roca, spazientita:– niente!E di nuovo la voce fiacca:– Ho sentito un rumore!La donna, spazientita:– Prendo aria. Dormi!Lei ascoltò un istante e domandò:– Dormi?Dalla porta semiaperta tese l’orecchio, ascoltò per un

istante e uscì di nuovo alzando le spalle. Il presidente del circolo, dato che di lui si trattava,

Mary lo vide come se fosse stato giorno pieno, si era fer-mato all’ombra di un albero. Victoire gli fece un segno diavvicinarsi e lui lo fece con precauzione. sull’erba bagna-ta dalla rugiada i suoi passi non facevano il minimo rumo-re. Mary si raggomitolò nel suo cespuglio e chiuse gliocchi, temendo il potere di attrazione di uno sguardo sucolui che viene spiato.

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Il grande babbeo – così l’aveva soprannominato leiquando l’aveva visto – aveva raggiunto la “pazza” nel suogiardino. Fece un segno interrogativo indicando col dito ilprimo piano ma lei lo tranquillizzò con un gesto dellamano.

“che cosa tramano quei due?” si domandò Mary.non dovette aspettare a lungo la risposta, la “pazza” si

gettò al collo del presidente che l’abbracciò teneramente. Mary rimase pietrificata. non se lo sarebbe mai aspet-

tato! Il presidente era l’amante della “pazza”. Era talmentedivertente e inaspettato che stava per scoppiare a ridere.

La coppia si diresse verso una panca appartata lungoun viale.

sentì dei sussurri e capì che il presidente, preoccupatoper aver sentito la voce del marito della sua Dulcinea, lechiedeva spiegazioni.

Lei dovette rassicurarlo, perché di colpo sentì solosospiri. non avendo nessuna inclinazione a fare la guar-dona, indietreggiò piano, attraversò il boschetto e, unavolta fuori dalla visuale della casa, continuò la passeggia-ta notturna lungo il percorso.

aveva avuto fortuna a non incontrare l’amante della“pazza”. Era bene sapere che passeggiando di notte pote-va ritrovarsi faccia a faccia con lui, cosa che se non altrosarebbe stata fastidiosa.

Per mettersi l’anima in pace andò fino al deposito deigiardinieri ma lì era tutto spento e silenzioso.

riprese la strada deserta e ancora illuminata dalla lunae raggiunse la macchina.

Il giorno dopo alle nove ebbe la sorpresa di ricevereuna telefonata. Era il commissario Fabien, il suo capo, cheda Quimper, chiedeva notizie.

– allora Mary, questa vacanza a La Baule?

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Il tono era gioviale, il commissario sembrava di ottimoumore.

– Va molto bene, capo. E in ufficio, come va? – Molto bene. Insomma, voglio dire, normale. Fortin

ha incastrato una banda di topi d’auto, giovani nomadi checampeggiavano alla periferia della città. ne ha colti in fla-grante due ed è riuscito ad arrestarli.

– Bravo! – disse lei. – sarà contento!– capirai! – fece il commissario. – I due tipi sono stati

portati davanti al giudice e rimessi in libertà immediata-mente. sono passati davanti a Fortin, che non la finiva piùcon le sue formalità amministrative, facendogli un gestovolgare con il braccio. E quando il povero Fortin ha finitocon tutte le scartoffie, si è imbattuto nel resto della tribùsul marciapiede del palazzo di giustizia: gli hanno sputatoaddosso e lo hanno insultato in tutti i modi possibili eimmaginabili.

– È ogni giorno meglio, – ironizzò lei.– È così. Fortin era furioso, e lo capisco. come vuole

che riesca a motivare i miei uomini in simili condizioni?Insomma... E lei, a che punto è?

– Imparo a giocare a golf.– E le piace?– sì, – disse lei, – non l’avrei mai detto ma mi succede

di mettermici di puntiglio. – E... per il resto?– Status quo.– Pare che lei sia già riuscita a mettersi contro due

influenti personalità del Bois Joli.– ah, lo sa?– Beh, certo!– non mi dica che questo la sorprende.sentì il commissario sospirare:– non proprio...

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Poi aggiunse:– Insomma, Graissac voleva Mary Lester, l’ha avuta...

a proposito, come va con lui?– nel migliore dei modi. È un vero gentiluomo. Un po’

timoroso forse...– Timoroso Graissac? – esclamò Fabien. – allora è

molto cambiato!– Perché lei l’ha conosciuto più... aggressivo?– Eccome, – disse Fabien con convinzione. – se lei

conoscesse il suo stato di servizio...– allora avrà paura di me. Mi chiedo se abbia ben assi-

milato il fatto che ormai ci sono delle donne in polizia.– comunque, è lui che l’ha richiesta.– sì, – disse, – ma sono sicura che ci sono dei momen-

ti in cui lo rimpiange.– Questo non mi stupisce...ci fu un momento di silenzio, poi Fabien domandò:– Qual è il programma futuro?– cercherò di smuovere un po’ le cose.– che intende dire? – domandò lui improvvisamente

diffidente.– Ora che ho un’idea generale del luogo e delle per-

sone che gli gravitano attorno, disturberò un po’ le loroabitudini.

– attenzione Mary, – disse lui allarmato, – si sta muo-vendo su un terreno minato. L’ambiente della droga...

– ...È un ambiente particolarmente pericoloso, – com-pletò lei, – conosco la solfa, capo, il commissario Graissacme la canta ogni volta che ci vediamo. stia tranquillo,sono grande ormai, guarderò dove metto i piedi.

Quando Fabien, non troppo rassicurato, ebbe riaggan-ciato, lei aggiunse ad alta voce: “E conosco qualcuno chestarebbe ben attento a fare altrettanto!”

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Mary aveva nuovamente parcheggiato in modo provvi-denziale all’entrata del campo. Dalla strada, la renault 5era invisibile. saltò la scarpata che delimitava il campo es’incamminò sul fairway che cominciava a conoscerebene.

si era munita di una macchina fotografica e di un gros-so flash. Tra l’altro, nella lavanderia dell’albergo c’era unaspecie di piccolo laboratorio dove l’uomo tuttofare dellesorelle Bellair sistemava il suo materiale. Mary ci avevatrovato un rotolo di sottile fil di ferro che aveva tagliato diqualche metro per farne un uso un po’ particolare.

Quando arrivò all’altezza della casa della “pazza”,erano le undici. Le finestre del pianterreno erano ancorailluminate e lei poteva vedere la sagoma di VictoireLeblond muoversi dietro le tende. al di fuori di questo,tutto era calmo.

Mary allora cominciò a tendere il fil di ferro tra duealberi a un’altezza di venti centimetri. Questi due alberidelimitavano un passaggio naturale per andare dalla pro-prietà della “pazza” al fairway. Poi si ritirò, sotto ilboschetto dove la sera prima si era nascosta e aspettò.

Dalla finestra semiaperta della casa le giungevano rumo-ri di stoviglie assieme a frammenti di conversazione: la vocedi Victoire, senza dubbio, che si rivolgeva al marito:

– Hai preso le gocce?E poi, con sollecitudine:– Vai a letto, te le porto su io!L’orchessa sembrava avere un grande ascendente sugli

uomini. Per quale ragione? rimaneva un mistero perMary che, rivedendo la sua figura grassoccia e l’aria perniente simpatica, non riusciva veramente a capire cosapotesse avere di attraente.

si sorprese a parlare tra sé e sé:“Qualcuno presto dormirà sodo!”

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In effetti se, come era probabile, la “pazza” avevaappuntamento col suo amante, niente le era più facile chela dose di sonnifero per assicurare all’ispettore capo delleimposte un sonno senza sogni.

al primo piano si accese una luce, il signor Leblonddoveva aver raggiunto il letto. Poi la luce si spense. Maryrabbrividì, un fresca umidità cadeva dal cielo sulle pian-te assetate. controllò che il suo materiale fotograficofosse in buono stato. La lucina rossa, prova del fatto cheil flash era pronto a partire, era accesa. Doveva soloaspettare.

La luna era al suo ultimo quarto, nel cielo scorrevanogrosse nuvole che la velavano completamente, tanto chein alcuni momenti si era nel buio più completo.

che il dottor Bellama, presidente del Golf del BoisJoli, erede di una grossa clinica, lui stesso chirurgo e per-sonalità in vista in tutto il dipartimento, potesse essere l’a-mante di una creatura come Victoire Leblond la riempivadi stupore.

La discrezione che regolava i loro appuntamenti face-va pensare che ne l’uno né l’altra intendessero renderenota la loro relazione. Quello che lei stava per fare, sareb-be servito? Era da vedere... Insomma, bisognava cercaredi smuovere qualcosa.

sentì un passo schiacciare un ramo morto alla suadestra. come la sera prima, chiuse gli occhi accovaccian-dosi più che poteva. Fortunatamente la notte era più scuradelle precedenti. Una figura slanciata raggiunse la “pazza”sulla terrazza e l’abbracciò.

Da dove si trovava Mary vedeva l’ombra tracagnotta diVictoire alzarsi verso l’amante che invece doveva abbas-sarsi per baciarla. Puntò sulla coppia la macchina fotogra-fica che era regolata per scattare foto a raffica. Bastavatenere il dito sullo scatto e il motore faceva il resto.

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Fu come un fuoco d’artificio, le luci del flash si susse-guirono a un ritmo accelerato. La coppia si staccava len-tamente, al rallentatore, e guardava stupita verso l’originedell’esplosione luminosa.

Era finito, le ventiquattro fotografie erano state scatta-te. La macchina riavvolse automaticamente il rullino eMary fu stupita quanto coloro che, senza permesso, erariuscita a fotografare. Perché sulla terrazza, la mascheracontratta per la sorpresa e la collera non era quella di PaulBellama ma quella del colonnello Dubois, direttore delGolf del Bois Joli che si divideva – con quanti altri? – legrazie appassite di Victoire Leblond.

con un balzo fuggì, ma per quanto fosse stata rapida,il colonnello l’aveva anticipata. Dal tempo della guerranelle boscaglie, al vecchio colono era rimasto qualcosa.La sua ciccia non lo ostacolava e, quando Mary faceva trepassi, lui ne faceva solo uno.

Per fortuna aveva teso il fil di ferro! Il colonnello ciinciampò e lei sentì un tonfo pesante seguito da una incre-dibile sfilza di bestemmie.

Mary andò via senza fiatare e raggiunse la scarpata, poila macchina. Mise in moto dolcemente, evitò di ripassaredavanti alla casa dei Leblond e raggiunse il suo albergo.

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XIII

Il colonnello passò davanti al bar senza fermarsi, senzaguardare i clienti sulla terrazza. Portava grossi occhialineri, aveva il naso scorticato e zoppicava vistosamente.Inoltre aveva un’espressione talmente imbronciata chescoraggiava un qualsiasi accenno al saluto.

Mary, seduta sulla terrazza sotto un ombrellone, beve-va una Vittel alla menta aspettando l’ora della lezione.Dalla finestra aperta sentì il capitano esclamare:

– Beh, che è successo al colonnello? È tornato in guer-ra o cosa?

Il barista, con fare teso, asciugava i bicchieri nel suoangolino. claude cagesse lo chiamò:

– Ehi, Firmin, che è successo al tuo capo?Firmin era il vero nome del barista. si chiamava Jean-

Paul Firmin, ma era afflitto da un nome da servo di com-media, una maledizione facendo un mestiere come il suo.Era un ragazzo sui vent’anni, spalle strette, colorito smor-to e con i capelli neri che gli stavano appiccicati al craniograzie a un gel di prima qualità, a giudicare dai solchi sca-vati dai denti del pettine, che rimanevano incisi nella suacapigliatura dalla mattina alla sera.

così com’era sarebbe potuto passare per un siciliano,ma in realtà era il figlio minore di un ostricoltore di LaTrinité-sur-Mer che aveva dovuto trovare più comodo ser-vire birra che depurare ostriche.

Firmin guardò il capitano con aria preoccupata e,sistemando le bottiglie, farfugliò:

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– non lo so che cos’ha, ma posso dirle che da stamat-tina ce n’è stato per tutti! Per i giardinieri, per i caddie,soprattutto per i caddie, e, fece pietosamente, per me.

aveva una voce effeminata, un tantino affettata, chefaceva sospettare che preferisse i ragazzi alle ragazze.

– Eppure, – aggiunse ancora piagnucoloso, – non gliho fatto niente.

Il capitano si era appoggiato al bancone del bar, con igomiti sul corrimano di ottone che gli girava intorno. VideMary e, dalla finestra aperta, le rivolse un sorriso.

– Lo vede signorina Lester, – urlò, – non è l’unica adaver avuto un incidente!

Lei ricambiò il sorriso e Bob, che arrivava col carrelloelettrico e i pantaloni da golf, le rispose:

– ah, non tutti possono avere la fortuna di Mary!si avvicinò alla finestra aperta e domandò a cagesse:– che cos’è successo?Il capitano alzò le spalle come per dire che non lo

sapeva e fu il barista a rispondere lanciando intorno a sésguardi sgomenti:

– Pare che abbia fatto una ronda stanotte e abbia sor-preso dei malintenzionati.

– Qui? al golf? – si stupì Bob.– sì, – disse il barista, – e inseguendoli sarebbe caduto.– Hm! – fece cagesse. – secondo me gli hanno spac-

cato la faccia.– Ma perché? – domandò Bob.– Eh, certo di ragioni non ne mancherebbero.si girò verso Bob:– cretini patentati ce ne sono ovunque mio caro Bob.

È capitato di trovare i green martellati a colpi di tallone... Bob aggrottò le sopracciglia:– Ma... che interesse c’è ad agire in questo modo? Il capitano fece un gesto evasivo:

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– chi lo sa... E aggiunse:– Una volta è persino successo che alcuni fuori di testa

hanno organizzato una corsa di fuoristrada sul percorso.Ve li immaginate i danni? sono rimaste le tracce per più diun anno.

– comunque, – disse il barista, – il capo ha annuncia-to che ormai farà la ronda tutte le notti. auguro tanta for-tuna a quello che sorprenderà sul campo, si porterà dietroil suo fucile a pompa!

– Dio santo, ve l’avevo detto, – fece cagesse divertito,– è guerra!

– La guerra del golf! – fece Bob, entusiasta della suabattuta.

I tre uomini scoppiarono a ridere e Mary, che ascolta-va tutto senza dire una parola dalla sua sedia in terrazza,era l’unica a sapere esattamente ciò che era successo. sichinò sulla sua rivista sorridendo e immaginando lo scan-dalo che avrebbe potuto far scoppiare alla prossima pre-miazione raccontando quello che aveva visto e mostrandole sue foto.

Perché ora il colonnello e la “pazza” sapevano che c’e-rano delle foto. Dovevano aspettarsi qualche ricatto neigiorni a venire. E il non manifestarsi da parte del lororicattatore gli doveva sembrare ancor più inquietante diuna rivendicazione precisa.

Già la mattina aveva spedito il rullino al suo domicilioa Quimper. Lo avrebbe sviluppato lei stessa in seguito e senei ventiquattro scatti ce ne fosse stato uno particolarmen-te ben riuscito ne avrebbe fatto un ingrandimento da incol-lare nel suo album segreto con un commento appropriato.

Per un istante rimpianse di non aver conservato unoscatto sulla pellicola per fissare il faccione che aveva fattoil colonnello sul fil di ferro teso. avrebbe potuto essere un

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gran momento fotografico, ma c’era il rischio che con lesue lunghe zampe il colonnello evitasse l’ostacolo.

In quel caso, non osava immaginare quale sarebbe statala sua sorte!

Poco a poco gli old members arrivavano al bar doveclaude cagesse teneva la sua lezione quotidiana.chiaramente, le supposizioni sulla disavventura occorsa aldirettore andavano alla grande.

costui rimase invisibile, rinchiuso nel suo ufficio.Mary non faceva fatica a immaginare quali fossero ledomande che gli ronzavano in testa. Probabilmente avevagià fatto la lista dei sospetti e doveva chiedersi come farea incastrare il colpevole.

Poi arrivò Jean Leblond, seguito dalla moglie. VictoireLeblond aveva una faccia astiosa. I tempi si facevano duri,le era stato consigliato di andarci piano con la bottiglia ese, in più, doveva mettere un freno alla sua libido, sareb-be stato terribile.

Il direttore dei servizi fiscali era un ometto insignifi-cante che sembrava sempre con la testa altrove.

Mary stava per scoppiare a ridere sentendolo doman-dare se la tempesta della notte aveva provocato moltidanni.

Quando gli fu chiesto a che cosa si riferisse, lui spie-gò che prima di addormentarsi aveva notato dei lampi.chiaramente, nel suo stato di dormiveglia, il poveraccioaveva intravisto le luci del flash di Mary attraverso lepersiane.

sua moglie allora con tono intimidatorio dichiarò:– Ti ho detto che te lo sei sognato! non c’è stata nes-

suna tempesta!Lei lo dominava di mezza testa e con tutta la sua cor-

pulenza. se, nella notte, la coppia che Mary aveva intravi-sto l’aveva fatta pensare a un disegno di Picasso raffigu-

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rante Don chisciotte e sancho Panza, Victoire e JeanLeblond ricordavano in modo sorprendente quelle coppiegrottesche che Dubout ha saputo immortalare così bene.

Il pover’uomo, dopo un’espressione di smarrimento,non insistette. si sistemò su un alto sgabello, ordinò unabirra e aprì “Le Monde” alla pagina economica.

alle sei in punto Mary si recò sul campo pratica per lalezione quotidiana con i suoi compagni di stage. Paulsergent, il “prof”, aveva sul suo bel faccione simpatico unsorriso che la diceva lunga. Il colonnello era temuto, nonera amato e la sua disavventura faceva gioire la maggiorparte dei soci del circolo, come si erano divertiti per lacacca di cane sui suoi bei pantaloni bianchi il giorno dellapremiazione.

alle diciannove gli stagisti sistemarono il materiale ePaul sergent fece loro una raccomandazione facendol’occhiolino:

– sarà meglio non venire a perdersi sul percorso,stanotte!

– che cosa dovremmo venire a fare? – domandò Marycon perfetta ipocrisia. – non è attrezzato per giocare dinotte, che io sappia!

– Dipende a che cosa si viene a giocare, – rispose il“prof” in maniera sibillina.

Questa risposta diede a Mary da pensare. si chiese se nonfosse il caso di avvertire i gendarmi che un pericoloso mania-co avrebbe passeggiato di notte sui fairway del Bois Joli conun’arma semiautomatica caricata a pallettoni. Potevanoesserci degli innamorati che sceglievano quel posto per iso-larsi e che potevano fare i conti con l’ira dell’ex militare.

appena tornata a La Baule, si confidò con il mare-sciallo. Gli descrisse lo stato d’animo in cui si trovava ilcolonnello e il pericolo che poteva rappresentare per degliinnocenti passeggiatori.

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Questa rivelazione mise il maresciallo Bourguignon inimbarazzo:

– che cosa vuole che faccia? – domandò a Mary. – IlGolf del Bois Joli è proprietà privata, a ogni entrata cisono dei cartelli con scritto “vietato l’ingresso”... nessunopuò impedire al colonnello Dubois di passeggiare su unterreno di cui è il responsabile con un’arma che detiene inpiena legalità...

– E se accoppa qualcuno? – domandò Mary.– In quel caso, è ovvio, interverremo. – Interverrete quando il tizio sarà morto...sentì l’agente sospirare profondamente al telefono

quando lei aggiunse:– sarebbe comunque più intelligente prevenire... – certamente, – disse il gendarme esasperato, – sareb-

be molto più intelligente, ma non è possibile!ci fu un attimo di silenzio e poi con più garbo aggiunse:– cerchi di capire signorina Lester: non ci troviamo di

fronte allo stesso caso in cui ci ha segnalato una personain stato di ebbrezza al volante di un veicolo. Lì si trattavadi reato sulla pubblica via. Qui non c’è ancora reato ed èin una proprietà privata.

aveva ben scandito, articolandole con cura, le due sil-labe delle parole “ancora” e “privato” affinché lei necogliesse appieno il significato.

– La capisco particolarmente bene, maresciallo e, micreda, non le porto rancore. Volevo solo avvertirla...

– La ringrazio, – disse il gendarme addolcito. – Tutto ciòche posso fare è aumentare la presenza della gendarmeriasul terreno. Moltiplicheremo le pattuglie intorno alla clubhouse e sulle strade che costeggiano il perimetro del circo-lo. E vedrà che, se la nostra presenza sarà troppo ostentata,Dubois andrà a lamentarsi da non so chi, ma in tutti i casida qualcuno che potrà crearmi delle noie, dicendo che lui è

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perseguitato dalla gendarmeria. non si dimentichi che è uncolonnello e io non sono altro che un maresciallo!

– non me lo dimentico, – disse Mary.

Il colonnello Dubois misurava l’erba soffice del “suo”campo da golf. Gli sarebbe piaciuto ritrovare il “passo daindiano”, come diceva in altri tempi, quella lunga falcataelastica che gli permetteva di spostarsi nel gebel senzafare più rumore di un felino.

Ma era passato tanto tempo dall’algeria. all’epoca erasottotenente e aveva trent’anni di meno.

E poi, provate a camminare come un indiano con unastampella. sì, perché il colonnello si era dovuto procuraredelle canadesi! Il medico aveva diagnosticato una bella di-storsione e gli aveva prescritto dieci giorni di assolutoriposo. In teoria, il colonnello avrebbe dovuto essere aletto, vicino alla “colonnella” ad aspettare pazientementeche i suoi legamenti distorti tornassero al loro posto.

al diavolo i medici, al diavolo la “colonnella”, era ingioco il suo onore, “qualcuno” era venuto a sfidarlo sulsuo territorio, non avrebbe rifiutato la sfida. Per quantopoteva dirne quella sciocca di Mary Lester, lui aveva, del-l’onore, un’idea precisa. solo che quella parola non avevalo stesso significato per le giovani generazioni.

Inoltre, tutte quelle porcherie che lei gli aveva sbattutoin faccia nell’ufficio le avrebbe pagate, e pure care. nonsapeva ancora come, ma il debito era stato impresso afuoco nella sua mente. non era pronto a saldare il conto.

soltanto a pensarci, gli saliva la rabbia come un’ondaselvaggia, così incontenibile che tremava, stringendo nellamano nocchiuta l’impugnatura della sua arma, stringendoi denti, le labbra e tutto quello che si può stringere in simi-li situazioni. ah, era meglio che il misterioso fotografonon gli fosse capitato tra le mani!

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Poco a poco la passeggiata notturna lo calmò. La sere-nità della notte, il piacere di vedere le lunghe distese d’er-ba sotto le stelle, quei fairway così verdi al sole che diven-tavano grigi sotto la luna con le lunghe macchie lividedella sabbia dei bunker... La sensazione di essere il padro-ne incontestato di quel magnifico luogo, lo riempiva diorgoglio.

E quella Mary Lester che aveva osato suggerirgli dilasciare il posto da direttore a un disoccupato. ne ridac-chiò amaramente. a un disoccupato! Ma dico io! ah,sarebbe stato bello, il Golf del Bois Joli. Per gestire unposto simile ci voleva un uomo, uno vero! Un capo, untipo di polso! Uno come il colonnello Dubois, non meno!Un disoccupato... scosse la testa con commiserazione.

camminava sui bordi del laghetto che costeggiava labuca numero sei, un par cinque di cinquecentoventicinquemetri, la buca più lunga del percorso.

Il gracchiare delle rane copriva tutti gli altri rumori.Quando si avvicinava troppo all’acqua, loro saltavano dal-l’erba a centinaia e si tuffavano in mezzo alle ninfee i cuifiori, a quell’ora, si erano chiusi. Poi le bestiole si siste-mavano sulle grandi foglie che galleggiavano sulla super-ficie dell’acqua e guardavano passare l’intruso con i gran-di occhi cerchiati d’oro.

In cima al laghetto, intravedeva i capannoni dei giardi-nieri e la stazione di pompaggio con i grossi tubi cheentravano nell’acqua calma del lago.

risalì la buca sette facendo smorfie; la sua caviglia,nonostante avesse una stretta fasciatura, gli faceva male.nelle case vicino al campo dormivano tutti. notava qua elà, dietro a una finestra, la luce smorta e mutevole prodot-ta da un televisore ancora acceso.

si avvicinò alla casa di Victoire attraverso il sentiero inmezzo agli alberi dove la sera prima aveva fatto il magi-

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strale ruzzolone. a quel ricordo lo invase una nuova onda-ta di rabbia. si portò la mano al naso tumefatto, si tolse gliocchiali che nascondevano alla meno peggio il magnificolivido che aveva sull’occhio sinistro e appoggiò il fucilecontro un albero.

In quel momento, gli parve di sentire uno scivolamentosotto alla fustaia. con tutti i sensi all’erta cercò con la manol’arma, ma questa gli scivolò e cadde a terra. si chinò perraccoglierla a tastoni e fu in quel momento che ricevettesulla nuca il più incredibile cazzotto che avesse mai incas-sato in tutta la sua carriera di vecchio combattente.

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XIV

Il giorno dopo, Mary trovò il Golf del Bois Joli in statodi choc. Intorno al bar facce costernate e bisbigli. sembravache la club house fosse un’agenzia funebre dove si veglia-va un morto. Gli old members, raggruppati intorno a claudecagesse, formavano un cerchio così impenetrabile che sem-brava una mischia al torneo delle cinque nazioni.

Mary ebbe l’impressione che, come il primo giorno,quando si era introdotta nel sancta sanctorum, fosse ridi-ventata l’estranea, quella che non faceva parte della con-fraternita e che si doveva tenere a distanza.

anche il barista, di solito così cortese nei suoi con-fronti, la guardava con aria sorniona. regnava un’atmo-sfera d’insofferenza e ostilità quasi palpabile che rendeval’aria irrespirabile.

aspettando la lezione, preferì andare a far due tiri sulcampo pratica. Proprio lì, Bernard Brévu, alias“nicklaus”, raccoglieva le palline con il suo strambo mac-chinario, chiuso nella sua gabbia.

Quando tornò per rimetterle nel distributore automati-co si accorse di Mary e le rivolse un cenno amichevole.spense il motore e si diresse verso di lei.

– Ma insomma, che succede qui oggi? – gli chiese lei. si direbbe che è morto qualcuno!

– non lo sa? – disse il caddie tutto eccitato. – Il colon-nello è al fresco!

–cosa? – disse Mary sbalordita. – al fresco! Ma checosa ha fatto?

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– Ha sparato al presidente!– Mio dio, – disse Mary lasciandosi cadere su una

panca che per fortuna si trovava lì. – Ma che mi dici?– Le dico quello che so! – disse il caddie. – I gendar-

mi sono venuti stamattina, il colonnello è stato arrestatostanotte. Pare che abbia sparato al presidente.

– Il presidente Bellama?– È ovvio, – disse “nicklaus” alzando le spalle, – non

certo chirac!– Bellama è morto?– no, – disse il caddie, – si è preso un proiettile in culo.

comunque è all’ospedale.– E il colonnello...– al fresco, le dico!– santo cielo! – esclamò Mary alzandosi. – Queste sì

che sono novità!– Bisogna che vada, – disse il caddie risalendo sulla

sua macchina.Filò via scoppiettante verso il centro del campo prati-

ca deserto e si rimise a rastrellare con sistematicità ilcampo.

abbandonando ogni velleità di fare esercizio, Maryritornò alla club house dove nessuno era particolarmenteallegro. Poi la moglie di Paul sergent venne ad avvisaregli stagisti che, in via del tutto eccezionale, quel giornonon ci sarebbe stata lezione.

Mary rigirandosi vide il “prof”, il greenkeeper e ilvice-presidente a colloquio con il capitano nell’ufficiodella segretaria. Tutti avevano un’aria preoccupata.

comitato di crisi, pensò fra sé, la situazione è grave.Lo staff del Golf del Bois Joli è stato decapitato: nientepiù presidente, nessun direttore... E, così pare, una situa-zione finanziaria preoccupante. E pensò segretamente:tutto questo per le grosse chiappe di Victoire Leblond!

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Però, non bisogna essere giovane e avvenente per fare lafemme fatale!

robert Duhallier, a quel punto, abbandonò il gruppo edentrò deliberatamente nell’ufficio dove si teneva la riunio-ne al vertice.

Mary, sulla sua bici, filò verso la gendarmeria.

aveva dovuto aspettare quasi mezz’ora il rientro delmaresciallo Bourguignon che, a detta dell’agente di servi-zio, sin dalla notte passata era in agitazione.

In effetti, quando il maresciallo la fece entrare nel suoufficio, non era più molto fresco. I lineamenti tesi, la barbadella sera precedente, denunciavano che aveva avuto unanottata piuttosto difficile, al punto di non aver nemmenoavuto il tempo di passare dal bagno.

– allora signorina Lester, – disse lui con un sorrisocontratto, – che buone notizie mi porta?

– non sono qui per portarne, – disse lei, – ma per averne.che cos’è questa storia? Ha messo al fresco il colonnello?

Il gendarme sorrise stanco:– chi glielo ha detto?– È ciò che si dice al Golf del Bois Joli. – Oh là là! – disse il maresciallo. – Le chiacchiere

corrono!– Perché, sono solo chiacchiere? scosse la testa, da destra a sinistra:– sì e no...rifletté un istante e Mary, impaziente, ebbe voglia di

scuoterlo, di strappargli di bocca quelle novità che fatica-vano a venir fuori. alla fine il gendarme si decise e dissecon voce lenta:

– stanotte, come le avevo annunciato, abbiamo fatto laronda intorno al golf. Verso mezzanotte abbiamo sentitouno sparo seguito da urla... ci siamo precipitati...

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– Lei c’era? – lo interruppe Mary.– sì, – disse il maresciallo. – come le ho detto, questo

caso, date le personalità coinvolte, è estremamente delica-to. ci tenevo a esserci di persona. abbiamo trovato, nelgiardino dei Leblond, il dottor Bellama in una pozza disangue vicino alla signora Leblond in stato di choc.Mentre il mio assistente chiamava l’ambulanza, sonocorso sul campo a dare un’occhiata. E lì, ho scoperto ilcolonnello privo di sensi con accanto un fucile a pompache aveva appena sparato un colpo.

– Privo di sensi ha detto?– sì... abbiamo dovuto chiamare una seconda ambulanza.– Dov’è ora?– sono tutti e due all’Ospedale Universitario di nantes.– che ne pensa? – non lo so, – disse il maresciallo, – non vedo perché

il colonnello avrebbe dovuto sparare al presidente... Èstato Bellama in persona ad averlo scelto come direttore.E sembrava ne fosse contento... Inoltre i due erano inbuoni rapporti.

– Li ha interrogati?– non ancora.– Posso darle un consiglio maresciallo?– Dica pure... – Cherchez la femme... – Prego?– Cherchez la femme, le dico. E non andate a cercarla

troppo lontano. – Vuol dire... non vorrà mica dire...Il maresciallo si ingarbugliò nelle sue stesse frasi tanto

era turbato dal punto di vista rivelatogli da Mary. Leiannuiva con la testa, sorridendo.

– sì maresciallo. La chiave, o almeno una delle chiavidel problema, si chiama Victoire Leblond.

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– Oh mamma mia! – gemette l’agente mettendosi ilviso tra le mani. – Ma che cos’è questo casino?

Prevedeva prospettive rischiose e aleatorie per la suapromozione.

– Victoire Leblond, – continuò Mary, – era contempo-raneamente l’amante del dottor Bellama e del colonnelloDubois. Forse c’erano pure altri pretendenti ma non ne sonulla. comunque, di questi due sono sicura.

– Dove ha preso tutte queste informazioni? – chiese ilmaresciallo irrigidendosi improvvisamente.

Lei sorrise:– Ho, in qualche modo, retto il moccolo.Di fronte allo sguardo allibito del gendarme, sorrise

ancora di più e, chinandosi verso di lui, gli confidò:– nel quadro della missione che mi è stata affidata,

sono stata costretta a fare incursioni notturne al golf. Unanotte ho sorpreso il dottor Bellama tra le braccia dellasignora Victoire Leblond; la notte dopo la donna si getta-va tra quelle del colonnello Dubois con rinnovato ardore.

– Questa poi, – disse l’agente, – ma che ci trovano inlei?

– È quello che mi sono chiesta anch’io, – disse Mary,– ma che vuole, noi sbirri non abbiamo, in materia di bel-lezza femminile, gli stessi criteri dell’élite. non siamoaltro che dei poveri subalterni maresciallo, non se lodimentichi!

– non c’è pericolo, – disse l’agente, – me lo ricordanospesso, soprattutto quando devo indagare in un certomondo! allora, lei pensa che...

– Penso che il colonnello, amareggiato per la sua di-savventura notturna...

– Quale disavventura? – come, – esclamò lei, – non lo sa? Il colonnello,

secondo quanto da lui dichiarato, avrebbe sorpreso dei

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malintenzionati sul campo da golf di notte e, inseguendo-li, sarebbe caduto ferendosi. Questo sarebbe il motivodella sua rabbia, il desiderio di vendetta e la ronda nottur-na, fucile alla mano, come ai tempi delle colonie!

Il gendarme la guardava in modo strano.– Insomma, l’avevo avvertita! – esclamò lei.– non avrebbe, – disse lui, – un’altra versione, che si

avvicini di più alla verità?Mary scoppiò a ridere:– ah maresciallo, lei è più astuto di quanto voglia

lasciar credere. Le racconterò tutto, ma se lo tenga per sé...Passeggiando nel campo, di notte, ho sorpreso il dottorBellama tra le braccia di Victoire Leblond. Poiché sospet-tavo che i loro appuntamenti notturni fossero frequenti,sono ritornata il giorno dopo, munita di un rotolo di fil diferro che ho teso tra due alberi nel punto in cui si passa arigor di logica uscendo da casa dei Leblond.

– Bella roba, – disse l’agente fingendosi indignato; mai suoi occhi ridevano.

– Il giorno dopo dunque, – continuò Mary, – essendomunita della macchina fotografica e di un flash, volevofotografare la splendida coppia...

– E che cosa è andato storto? – domandò il maresciallo.– niente è andato storto. Perché me lo chiede? – Perché ha detto “volevo”... se ci fosse riuscita avreb-

be detto “ho fotografato”... – Beh, – disse lei, – ho fotografato una coppia visibil-

mente molto innamorata ma non era più la stessa dellasera prima. nel frattempo la bella aveva cambiato princi-pe azzurro. Il colonnello aveva sostituito il dottore. L’hoscampata bella, perché quando lui ha visto i flash nellanotte si è precipitato a inseguirmi. cavolo, l’ometto hagrinta e riflessi. Fortunatamente avevo teso un fil diferro...

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Il maresciallo si batté sulle gambe:– ah lei, poi! – esclamò. – ah lei, poi... aveva dimenticato la sua stanchezza e piangeva dal

ridere.ripreso il suo sangue freddo, domandò:– E le foto? – non le ho ancora sviluppate, – disse Mary.– Dovrà farmele vedere, – disse il maresciallo ilare, –

comunque lei è coraggiosa!– Oh! – disse Mary con modestia. – Ho semplicemen-

te cercato di far smuovere un po’ le cose.– Ebbene! Può vantarsi di esserci riuscita. Due perso-

ne all’ospedale! Insomma, lei quando smuove, smuove!– Ma non nel senso che avevo sperato, – disse, – dopo-

tutto, delle loro storie di sesso non ci faccio nulla!Fece un’espressione di impotenza:– Insomma, quel che è fatto è fatto! ci rifletté ancora un momento poi, ritrovando il filo dei

suoi pensieri, continuò:– Dunque, il colonnello furioso fa la ronda nel campo,

una spiacevole coincidenza fa sì che trovi la sua amantetra le braccia di un rivale, perde la testa, spara e fugge...

– E com’è che si ritrova accoppato sulla strada? –domandò il maresciallo.

– Beh, sarà inciampato in un ramo basso, – disse Mary.– allora, doveva correre all’indietro, – disse il mare-

sciallo, – perché il bernoccolo l’aveva sulla nuca! – ne è sicuro? – domandò lei contrariata.– assolutamente, – disse il gendarme. – E poi le dirò

un’altra cosa. Gli abbiamo fatto fare il test della paraffina...– E allora? – non è stato lui a sparare. ci fu un momento di silenzio, questa volta fu Mary a

rimanere sbalordita.

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– c’è stata una messa in scena, – disse il maresciallo.– È stata la sua arma a sparare ma non è stato lui a premereil grilletto.

– chi allora? – domandò Mary.– La questione è tutta qui, – disse l’agente.E suggerì:– Forse la persona che ha tentato di schiacciare lei?

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XV

alla club house del Golf del Bois Joli, la grande saladel bar era piena. c’era un centinaio di persone tra golfi-sti e golfiste convocati dal capitano per un’assembleagenerale straordinaria.

Mary, che non era socia, era comunque riuscita a intro-dursi e se ne stava in un angolo della finestra, quasi invi-sibile dietro a una pesante tappezzeria.

I golfisti si erano raggruppati e si ritrovavano le squa-dre che normalmente giocavano insieme. La conversazio-ne procedeva spedita, ma su un registro più smorzato delsolito. si percepiva che il momento era grave, che forse sisarebbe deciso il futuro del circolo.

In fondo alla sala, davanti al gran camino di pietra, erastato sistemato un tavolo per lungo. ci stavano seduticlaude cagesse e il capitano, in compagnia di una decinadi altre persone che Mary conosceva più o meno di vista.Era il consiglio di amministrazione al gran completo, e fusorpresa di vedere, all’estremità del tavolo, il signorHermany.

Il vecchio stava dritto, guardando davanti a sé senzavedere nessuno, sembrava sprofondato nei suoi pensieri. Ilvice presidente s’intratteneva a voce bassa con il tesoriereche gli mostrava un fascicolo e, matita alla mano, sembra-va sottolineare alcune righe importanti. nel consiglioerano presenti anche due donne, e Mary riconobbe lasignora savary, una biondina sbiadita, incaricata dell’ac-coglienza e del protocollo. non sapeva il nome dell’altra

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signora, una cinquantenne ossuta, ma sentì dire che sioccupava delle gare esterne.

In effetti, come in qualsiasi altro circolo sportivo concentinaia di soci, l’amministrazione era di capitale impor-tanza. Tanto più che, nel caso del Golf del Bois Joli, biso-gnava gestire una intera squadra di giardinieri e un verostaff tecnico, affinché il campo fosse sempre in buonostato. Occuparsene non era certo affare da poco.

Il capitano agitò una piccola campanella per esigere ilsilenzio. Tutti gli sguardi conversero verso di lui. Marycercò con gli occhi Victoire Leblond, ma né lei né suomarito erano presenti.

– signore e signori, cari amici golfisti, – cominciòclaude cagesse con la sua voce roca, – non siamo solitifare un’assemblea generale in agosto. normalmente que-sto periodo è riservato alle vacanze spensierate e al piace-re di praticare il nostro amato sport. se il comitato oggi viha convocati qui è perché, come sapete, alcuni tragicieventi hanno avuto luogo in questi ultimi giorni. Li rias-sumo affinché nessuno li ignori e per mettere a tacere ipettegolezzi più strampalati che, in casi simili, non man-cano di prendere corpo.

Fece una pausa, riflettendo su quello che avrebbedetto, poi in un silenzio da chiesa, continuò:

– Da qualche tempo il colonnello sospettava che alcunivagabondi venissero di notte sui fairway del Bois Joli.Durante una ronda è rimasto addirittura ferito nell’inseguirli...

Mary abbassò la testa e sorrise sentendo questa versio-ne edulcorata dei fatti.

– Tutti qui sanno dell’attaccamento che il colonnelloDubois aveva per il suo circolo. Per nessun motivo avreb-be sopportato di vederlo danneggiato dai delinquenti... Hadeciso quindi di effettuare personalmente una sorveglian-za notturna per evitare qualsiasi atto di vandalismo.

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Fece un’altra pausa per dire poi il resto:– La sfortuna ha voluto che anche il nostro presidente, il

dottor Bellama, mosso dalla stessa preoccupazione delcolonnello Dubois, quella notte effettuasse una ronda. checosa è successo? Per ora non ne sappiamo niente, è in corsoun’inchiesta che chiarirà i punti ancora oscuri. È probabileche si sia creata una fatale confusione e che, credendo ditrovarsi di fronte ai teppisti che lo avevano aggredito la seraprima, il colonnello abbia voluto difendersi. È partito uncolpo che ha ferito il dottor Bellama. Vi tranquillizzo subi-to, la sua vita e la sua integrità fisica non sono in pericolo.Quanto al colonnello Dubois, estremamente impressionato,come potete ben immaginare, dal tragico equivoco, hadovuto essere ricoverato anche lui e si sta lentamenteriprendendo dalle conseguenze di questo dramma. Questofa sì che il Golf del Bois Joli sia privato contemporanea-mente, in tempi in cui la sua gestione diventa difficile, deldirettore e del presidente. Il comitato, riunito su mia richie-sta, ha dunque deciso di provvedere alla loro sostituzione.

ci fu nell’assemblea un attimo di stupore a cui feceseguito il chiacchiericcio di lingue troppo a lungo tratte-nute. Bellama non sarebbe più stato presidente? Il colon-nello non sarebbe più stato direttore? Per essere una sor-presa, era una sorpresa. Esplosero le domande: chi sareb-be stato il prossimo presidente? Il prossimo direttore? Glisguardi si posarono sul primo vice presidente, responsabi-le di una grossa concessionaria automobilistica di cui sisapeva che aveva messo gli occhi sul posto di Bellamacome un cane punta un osso. Ma faceva una magra figura,benché ostentasse una tranquilla indifferenza.

nuovamente Paul cagesse agitò il campanello ma que-sta volta ci volle più tempo per riportare la calma.avendola alla fine ottenuta, il capitano, con voce che sisforzava di rendere solenne, annunciò:

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– Dopo una lunga consultazione, il comitato ha elettopresidente il signor robert Duhallier.

Di nuovo un silenzio sbigottito si abbatté sui presenti,poi ci furono grida, fischi, qualche applauso, insomma laconfusione più totale. Le persone si guardavano, interdet-te, chiedendosi chi fosse questo robert Duhaillier cheprendeva il posto assegnato, secondo una lunga tradizio-ne, a uno degli old members.

Ignorando queste manifestazioni, Duhallier, ancora inpantaloni da golf, fendette la folla e camminò verso iltavolo del comitato.

claude cagesse si alzò e, tendendogli la mano, pro-clamò:

– Il signor robert Duhallier, il nostro nuovo presidente!Poi dette il segnale per gli applausi, fiaccamente segui-

to dai membri della commissione. Mary notò che il signorHermany, sempre diritto, non faceva alcuna mossa perapplaudire, che il pubblico non seguiva molto bene ilcapitano e che i fischi erano più numerosi delle manifesta-zioni di soddisfazione. claude cagesse tentò di riprenderela parola per presentare il nuovo presidente, ma non potéfarlo, la sua voce era coperta dal frastuono dei golfisti.

Indifferente alla baraonda, robert Duhallier passò die-tro al tavolo. spinse il capitano e il vice presidente perfarsi in mezzo ai membri del comitato. Poi alzò le maniper chiedere il silenzio. stranamente l’ottenne.

– Vi ringrazio, – disse, – per la calorosa accoglienza.I suoi occhi piccoli si posavano sui membri dell’as-

semblea con una immobilità che metteva a disagio.nessuno fiatava più.

– Data l’urgenza della situazione ho accettato, – disse,– di essere il presidente di questo circolo.

La sua voce era grave, calma, determinata.– Handicap? – gridò qualcuno tra le folla.

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Era un modo di ricordare a questo parvenu che, peravere l’onore di diventare presidente del Golf del BoisJoli, bisognava prima di tutto essere un golfista di lungatradizione.

Duhallier fissò negli occhi colui che lo chiamava incausa.

– con chi ho l’onore di parlare? – domandò.L’altro si raddrizzò, a disagio, ma lo fronteggiò:– Paul cagnard, handicap nove, socio del Bois Joli da

ventidue anni.– Ebbene, signor cagnard, se per gestire con compe-

tenza un grande circolo come il nostro bastasse avere unhandicap a una cifra, non dubito che sareste in molti ameritare questo posto. Purtroppo, signor cagnard, il Golfdel Bois Joli fino a questo momento era presieduto daldottor Bellama, handicap cinque...

Fissò di nuovo con i suoi piccoli occhi penetranti coluiche l’aveva interrotto:

– sa signor cagnard qual è la situazione finanziaria delcircolo del Bois Joli?

Poiché l’altro, a disagio, non rispondeva:– no, non la conosce signor cagnard. non la conosce

perché non lo vuole sapere e perché la sua unica preoccu-pazione è quella di passare a handicap otto... Bene glieladirò, signor cagnard...

Lo sfortunato cagnard messo così sul banco degliimputati, non sapeva più che fare. Lanciava sguardi didisperazione a destra e a sinistra, cercando una buonaanima che gli venisse in soccorso. Ma le anime buone,quel giorno, erano uscite.

– ...La situazione finanziaria del circolo del Bois Joli ècatastrofica.

Duhallier aveva il pubblico in mano. si parlava di“grana”, una parola che tutti veneravano, soprattutto quel-

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li che non ne avevano più. Era lei la padrona. Lasciò che igolfisti digerissero la parola “catastrofica” prima di anda-re avanti:

– non ho l’abitudine di nascondermi dietro alle peri-frasi per dire la verità, per quanto crudele possa essere.Questo circolo sta attraversando una grave crisi. Fino aoggi tutti hanno fatto gli struzzi, il vostro presidente perprimo. È un atteggiamento che può durare per un po’, maa un certo punto si viene richiamati alla realtà.

Fece di nuovo una pausa, poi dette il colpo:– La realtà è la seguente: se si fossero lasciate andare

le cose, tra due, tre mesi questo circolo non sarebbe statopiù solvente. avremmo chiuso bottega. Il personale sareb-be stato licenziato, le macchine vendute all’asta, il terrenolottizzato... Ecco ciò che vi aspettava.

– E lei, lei ha una soluzione miracolosa? – tentò d’iro-nizzare cagnard.

– Ho una soluzione, sì signore.– si può sapere? – domandò un’altra voce.– certo. sarete al corrente del fatto che io sono un

industriale e ho gestito con successo imprese di ben altraimportanza che questa. Ho mantenuto dei contatti conalcune banche che, con la mia garanzia, rimetteranno inpiedi la nostra liquidità.

– Le banche, – sghignazzò cagnard, – sappiamo quan-to questo valga quando non si hanno più vie di scampo!

– Ho detto “con la mia garanzia”, – fece Duhallier convoce secca. – non esiste un solo direttore di banca inEuropa che non ne conosca il peso...

così dicendo fissava lo sfortunato cagnard in modopoco amabile, con malcelato disprezzo. Dopo quellosguardo senza pietà il povero cagnard si tirò indietro.soddisfatto Duhallier riprese con voce forte:

– adesso, permettetemi di presentarvi il nuovo direttore.

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– Ma guarda un po’, – fece un uomo accanto a Mary, –è veramente fantastico!

Emerso dall’assemblea, un uomo di una quarantinad’anni, bruno, atletico, si avvicinò al tavolo.

– Ecco il signor Périgner. a partire da oggi, sostituisceil colonnello Dubois in tutte le sue funzioni.

Guardò cagnard negli occhi e aggiunse:– a ogni buon conto, vi segnalo che il signor Périgner

è handicap quattro e che in questi ultimi anni giocava aGleeneagle, in scozia, dove amministra una delle miesocietà. Questo per chi dovesse mettere in dubbio le suecompetenze.

cagnard rimase ammutolito, Duhallier scrutò l’assem-blea con lo sguardo:

– altre domande?Poiché nessuno si faceva avanti:– Perfetto! adesso vi invito a bere champagne per

innaffiare la mia elezione.L’assemblea rumoreggiante si mosse lentamente verso

il bar dove Firmin allineava i bicchieri. Mary raggiunse laporta, aveva visto abbastanza. Venne raggiunta dal signorHermany:

– non beve champagne Mary?– Grazie, – disse, – non mi piace. Ma lei signor

Hermany?Lui le prese il braccio e, in confidenza le disse:– non mi piace quel vino e nemmeno chi lo offre.– non sapevo, – disse, – che facesse parte del comita-

to di direzione del Bois Joli.– Privilegio dell’età, – disse lui.La portò verso una panca, un po’ in disparte sulla terrazza.– sediamoci qui. Mia figlia non potrà venire a pren-

dermi prima delle sei, è andata a portare il figlio piccolo auna regata di optimist a croisic.

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– Vuole che la riaccompagni?– con la sua bicicletta? – ironizzò lui.Lei rise:– Oggi sono in macchina. Una ruota della mia bici era a

terra e ho chiesto all’uomo tuttofare dell’hotel di ripararmela.– allora va bene, – disse il signor Hermany, – starò

meglio a casa che qui. se ne andarono a piccoli passi verso il parcheggio.

Quando il signor Hermany si fu sistemato in macchina,Mary gli domandò:

– Mi piacerebbe che mi raccontasse come il buon BobDuhallier ha preso il comando del circolo.

– nel modo più semplice al mondo, cara amica! si èinvitato alla riunione straordinaria che noi abbiamo fatto.aveva ottenuto, non so come, lo stato della situazionefinanziaria del circolo che, come ha detto lui, è catastrofica.

– E allora?– allora ha proposto di risolvere i problemi di denaro

sostenendo di averne a sufficienza per riuscirci senza dif-ficoltà, a condizione di essere eletto presidente del circo-lo.

– ci deve essere stata una votazione tra i membri delcomitato!

– Lo credo! soprattutto c’era il povero Dubuisson chefaceva il muso. Era da tempo che sognava di diventarepresidente! credeva che fosse arrivato il suo momento!Patatrac, fallito! Dato che tutti cominciavano a litigare,Duhallier ci ha detto che andava a bersi una cosa al bar, iltempo che noi discutevamo, e che sarebbe ritornato dopoun quarto d’ora. a quel punto voleva una risposta certa, sìo no.

Un quarto d’ora era tutto il tempo che ci lasciava perriflettere. Mentre di solito ci servono mesi se non anni pereleggere un presidente!

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– E allora? – Un quarto d’ora dopo, quando è tornato, era presidente!– È come si suol dire un voto di convenienza.– assolutamente. non avevamo scelta. O così oppure,

come ha detto lui, chiudevamo bottega entro sei mesi.subito dopo ha fatto venire Périgner, detto tra noi, dovevaessere sicuro del fatto suo, e ce l’ha presentato come ilnuovo direttore.

– chi è questo Périgner?– Uno dei suoi uomini. Il direttore di una delle sue suc-

cursali in scozia. come ha detto, ha quattro di handicap. – almeno conosce il problema. – sì, ed è un tipo energico. Un quarto d’ora dopo la sua

nomina, l’ufficio di Dubois era stato svuotato, tutte le suecose inscatolate e spedite a casa sua. Un’ora dopo avevariunito il personale amministrativo e nel pomeriggio face-va il giro del campo con il greenkeeper e tutti i giardinieri.

– Insomma, ecco fatto, tutto il suo mondo stravolto! Mary partì piano, allontanandosi dal parcheggio, tal-

mente pieno che le macchine erano parcheggiate sul prato. – Guardi lì! – s’indignò il vecchio. – È cominciato il

caos! automobili sull’erba, questo Dubois non l’avrebbemai permesso.

– chi le dice che l’altro lo tollererà? Gli lasci iltempo... Per il momento sta brindando alla sua nomina.

– È vero, – ammise il signor Hermany.Poi, dopo un attimo di silenzio: – non fa niente, mi domando che cosa, un tipo di quel-

l’età, parlo di Périgner, che sembra di una certa levatura,venga a fare alla direzione di un circolo.

– non è un posto invidiabile? – domandò lei.– sì ma un capitano d’industria non si accontenterebbe

di questo. strinse gli occhi con aria maliziosa:

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– conosco gli uomini... Périgner è un pezzo grosso!Pensare, a quarant’anni, venendo da una grossa azienda,di ritrovarsi a gestire in tutto una squadra di una dozzinadi giardinieri, sembra strano!

Guardò Mary:– non trova? Lei arricciò il naso:– Eh sì, appunto, forse non ne poteva più di andare in

giro per il mondo, di battersi per mercati, per finanzia-menti e contratti... non dimentichi che è un golfista diprovata esperienza che non aveva più tempo libero pergiocare. spera di respirare un po’, poggiare il sacco sullaterraferma, come si dice in marina. E si presenta questaopportunità: la direzione del Bois Joli, un circolo presti-gioso, in una regione dove si vive bene...

Guardò Hermany:– sarebbe una cosa saggia, signor Hermany, perché

non dovrebbe esserci di tanto in tanto un uomo d’affaritoccato dalla grazia?

– Perché quei tipi lì, – disse Hermany, – vivono soloper dominare gli altri. Lo hanno nel sangue. Però, tuttosommato, come dice lei perché non dovrebbe esserceneuno toccato dalla grazia?

Il signor Hermany abitava sulla panoramica, la stradaper Pornic. Mentre guidava lentamente sulla stradina coni pini a strapiombo, Mary meditava sulle parole del vec-chio saggio.

– Insomma, – disse lui, – quel Duhallier non mipiace per niente e non mi fido neanche del signorPérigner ma non mi dispiace di vedere tutte le meschi-ne ambizioni dei signori del comitato spazzate via permolto tempo. ah! Per alcuni diventare presidente di uncircolo di golf sembra essere il coronamento di unavita.

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– non è la stessa cosa per Duhallier? – domandò leisottovoce. – Forse lo conosco un po’ meglio di lei signorHermany. Per tre settimane l’ho avuto fianco a fianco ognigiorno durante il mio stage.

Il vecchio le lanciò uno sguardo interessato:– ah! E che ne pensa?– È sicuramente un industriale di spessore. Un self

made man, come gli piace sottolineare. Pare abbia inizia-to come apprendista calderaio prima di creare la sua socie-tà che, quando l’ha ceduta, contava migliaia di operai indiversi paesi del mondo.

– È quello che mi hanno detto in effetti. Ma a partequesto?

– che dire? – fece lei pensierosa. – ritengo che sia sin-ceramente patito di golf. La sua determinazione nell’im-parare ci ha sorpresi e anche la sua vitalità. si avverte inquel tipo una formidabile voglia di vivere, come se fino aoggi fosse stato schiacciato dalla sua vita professionale.Tra tutti noi è certamente il più vecchio ma anche il piùdeciso a perfezionarsi. Inoltre, è terribilmente perspicace.

Dicendo questo Mary pensava alla curiosa domandache “Bob” le aveva rivolto una sera sulla terrazza: “Mary,perché a lei non piace il golf?”

– non si conducono gli affari come ha fatto lui se nonsi hanno caratteristiche fuori dal comune, – disse il signorHermany. – Per quanto riguarda la sua presa di potere alBois Joli, ci si può certo stupire, o addirittura indignare,ma nel suo genere rimane comunque un capolavoro.Quando il signor Duhallier vuole qualcosa, sa tirare fuoritutti gli assi del suo gioco per ottenerlo.

– Ho potuto constatarlo, – disse Mary, – non ama né lecose né le persone che gli resistono. E ora che succederà?

– cosa vuole che succeda? – sorrise il vecchio. – Dietrole spalle verrà criticato, ma di persona lo lusingheranno

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sfacciatamente. stia sicura che tutti quelli che volevanosnobbarlo, coppa di champagne alla mano e bocca piena dipasticcini da tè, sono già intenti a giurargli fedeltà.

– come li conosce bene lei! – disse.

Quando ebbe lasciato il signor Hermany davanti allaporta di casa sua, passò in gendarmeria prima di rientrarein albergo.

– Ecco fatto, – disse al maresciallo Bourguignon, – ilre è morto, viva il re!

– chi è morto? – domandò lui aggrottando le sopracciglia.– nessuno, è un modo di dire. al Bois Joli si sono

dimenticati di Bellama, il colonnello Dubois appartiene aun passato che sta sbiadendo in lontananza. Il nuovo pre-sidente è un certo robert Duhallier, fino a oggi industria-le, di cui due mesi fa nessun socio aveva sentito parlare, eil nuovo direttore si chiama Périgner. a proposito, comestanno i suoi feriti?

– Meglio. È stata estratta una dozzina di schegge dipallettoni dalle parti nobili del dottor Bellama. Per qual-che giorno soffrirà a stare seduto ma, se non pratica ilnudismo, nessuno in futuro se ne accorgerà. Quanto alcolonnello Dubois, non si ricorda più di niente.

– così è più pratico! – esclamò Mary.– ciononostante, – disse l’agente, – è seriamente stor-

dito. chi l’ha colpito non è andato per il sottile! Dovràrimanere ancora un po’ all’ospedale e poi dovrà farsi cura-re in una struttura specializzata.

si toccò la parte alta del cranio per mostrare dove ilcolonnello era stato maggiormente colpito.

– E sul piano penale?– non c’è più un piano penale, – sorrise l’agente. –

nessuno ha sporto denuncia, ufficialmente si tratta di unincidente occorso su un terreno privato.

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– sì, – disse Mary pensierosa, – la versione ufficiale èquella che ci ha propinato il capitano. Malaugurato con-corso di circostanze, sfortunato incidente. Questo facomodo a tutti.

– Può ben dirlo, – fece il gendarme, – e a me per primo.In che vespaio ho rischiato di ficcarmi! sono ben conten-to di uscirne senza danni.

– Ma lei sa quanto me, maresciallo, che la verità èun’altra.

– certo ispettore. c’è un vigliacco che agisce nell’om-bra, che cerca di investire le ragazze in bicicletta, cheaccoppa i colonnelli di notte e che impiomba i fondoschie-na dei medici che si danno alla pazza gioia. non si preoc-cupi, non ci dimenticheremo di lui nelle nostre preghiere!

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XVI

– non l’ho vista ieri durante l’assemblea straordinaria,– disse Mary.

– sono stato avvisato troppo tardi, – disse il commis-sario Graissac. – altri impegni... Pare che tutto sia avve-nuto estremamente di corsa.

sembrava fosse sorpreso e dispiaciuto. Mary, dalla suacabina sul terrapieno, vedeva l’immensa distesa sabbiosadove grossi camion gialli circolavano come su un’auto-strada, portando nei cassoni tonnellate di alghe depositatelì dalla marea. Un’enorme pala metallica, per un po’,aveva preso il posto dei bagnanti e rastrellava accurata-mente le ceneri di alghe.

I villeggianti si facevano più rari. Era passata la metàdi agosto e in tanti erano già rientrati. sulla stazione bal-neare regnava un tempo meraviglioso e una leggera brez-za da nordest impediva al caldo di essere opprimente. Inlontananza, sul mare, alcune piccole vele bianche correva-no sotto la carezza del vento.

– Penso, – disse Mary, – che lei sia al corrente. Hacambiato in un colpo solo direttore e presidente.

– sono stato avvertito, – disse laconico Graissac. – Maquesto non cambia in niente la sua missione. E, a questoproposito?

– niente di nuovo, – disse. – comincio comunque acapire alcune cose, a intravedere possibilità, eventua-lità...

– Ma niente di concreto?

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– Per il momento no. ah, volevo dirle, signore, hodovuto rivelare la mia identità e la mia funzione al mare-sciallo Bourguignon, il capo della compagnia di gendarmia La Baule.

– E per quale motivo? – si allarmò il commissarioGraissac.

– Quando sono andata a denunciare il mio incidentedevo essere stata impacciata e devo aver svelato il segre-to. Ho visto che non credeva per niente al mio ruolo di stu-dentessa di Legge. Pare che facessi le domande come unosbirro! allora ho preferito dirgli tutto.

Poiché all’altro capo del filo Graissac non diceva nulla,con voce flebile chiese:

– Ho fatto male? – non lo so, – disse il commissario, – eravamo d’ac-

cordo che avremmo mantenuto il segreto. com’è questoBourguignon?

– Mi dà l’idea di un militare coscienzioso e di un uomoperfettamente onesto.

– cooperativo? Il commissario Graissac aveva avuto conflitti con la

gendarmeria?– assolutamente sì, ci intendiamo alla perfezione noi

due. Poiché sentiva un po’ di reticenza nel commissario

Mary aggiunse:– sa, se non mi avesse ispirato piena fiducia non gli

avrei detto niente. – certo... certo. non aveva raccontato a Graissac di come aveva inca-

strato il colonnello con il flash e il fil di ferro. Temeva chenon avrebbe affatto apprezzato.

– Ovviamente, – disse lei, – gli ho chiesto la discrezio-ne più totale...

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Dato che non sentiva più nulla, disse:– Pronto... Pronto... È sempre in linea capo? Graissac la rassicurò:– sì... riflettevo... – Mi dica, – domandò lei, – sulla stampa locale non ho

visto l’ombra di una informazione sull’“incidente” di cuiè stato vittima il dottor Bellama.

– È perché non c’è stata. Il Golf del Bois Joli è uno deifiori all’occhiello della stazione balneare, non bisognaassolutamente darne un’immagine negativa.

– Però il fiore all’occhiello, se Duhallier non avesse presoin mano la situazione, nei prossimi mesi sarebbe fallito!

– se ne è parlato? – Eccome! Duhallier ha proprio messo i piedi nel piat-

to. non è uno che si preoccupa degli abbellimenti. Quandoc’è qualcosa da dire, lui la dice. Lo conosce?

– così... – avrà preso informazioni... non era una domanda.– Ovviamente... – Posso sapere? – Duhallier, – disse Graissac, – è un personaggio diffi-

cile da inquadrare. cresciuto in un ambiente estremamen-te modesto, fonda, negli anni cinquanta, una piccola socie-tà di riparazioni navali che poi avrà un grande sviluppo.specializzata nella costruzione di cisterne per petroliere emetaniere, attraverso l’espediente di filiali in tutto ilmondo, rifornisce i tre quarti delle navi del pianeta.

– credevo che la costruzione navale fosse in crisi, –disse Mary.

– In Europa sì. nel Terzo Mondo no. Questioni sala-riali, di contributi sociali. I proprietari trasportano il lavo-ro là dove trovano le migliori condizioni finanziarie. Lasocietà di Duhallier si occupa anche del recupero di metal-

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li. Ha mai visto quei reportage su quei cargo che si arena-no sulle spiagge della Malesia e che delle piccole mano-vre riducono in pezzetti?

– sì. – Ebbene, anche questo è Duhallier. Ha interessi anche

nelle compagnie di navigazione sudamericane, poi altriaffari più o meno trasparenti sui quali non abbiamo infor-mazioni precise.

– Quindi possiede una fortuna... – colossale, – completò il commissario. – Per lui rim-

polpare le finanze del Golf del Bois Joli è una bazzecola,solo un po’ di spicci.

Mary era pensierosa.– che cosa viene a fare un finanziere di questo calibro

a La Baule? – domandò lei.– Ufficialmente per viverci da pensionato, – disse

Graissac.– crede che un personaggio simile possa pensare di

ritirarsi così? – domandò lei.– non lo so, – disse il commissario, – ma è più impor-

tante che mai tenere d’occhio il Golf del Bois Joli. non haancora finito, signorina Lester!

Mary pedalava allegramente nell’aria fresca del matti-no verso il Golf del Bois Joli. aveva appuntamento con“nicklaus” e “Ballesteros” per accompagnarli nel loroallenamento mattutino.

In pochi giorni la temperatura era scesa bruscamente;si sentiva soprattutto la mattina e la sera. Ormai era piùprudente munirsi di un maglione perché le serate, unavolta tramontato il sole, diventavano subito fresche.

L’autunno si avvicinava a grandi passi,ma ancora nonpioveva. Davanti alle belle ville l’erba dei prati ingiallivae le foglie delle ortensie pendevano miseramente. anche

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le foglie dei salici erano ingiallite prematuramente e ini-ziavano a cadere.

In mezzo a questa natura assetata, il Golf del Bois Joliverdeggiava insolente; grazie alle sue grandi riserve d’ac-qua, veniva innaffiato ogni notte in abbondanza.comunque, era tempo che piovesse, il livello degli stagnisi era notevolmente abbassato.

La casa del nuovo presidente non dava direttamente sulcampo, ma dall’altra parte della stradina di pietra che ser-viva le ville che si affacciavano sui fairway.

Era un vecchio fondo rustico molto grande. I fairwaydel Bois Joli erano stati i primi a sconfinare sulle terre col-tivate, la lottizzazione era avvenuta quando il piccolo vil-laggio di La Baule era diventato una stazione balneare dimoda. La vendita di alcuni ettari di terreno edificabile peranni aveva fatto guadagnare molto più delle coltivazioni.Ma, dato che tutto ha termine, gli ultimi eredi, quandotutte le terre erano state vendute, avevano dovuto separar-si dalle costruzioni del fondo.

Queste erano passate nelle mani di un imprenditore dilavori pubblici che aveva ristrutturato tutti gli edifici, tra-sformando l’antica fattoria in una residenza sontuosa.

Poi, una volta morto l’imprenditore, i suoi figli aveva-no messo in vendita la “chêne Tortu”, questo era il nomedel fondo.

numerosi golfisti avevano adocchiato la sontuosa pro-prietà, speculando sulla difficoltà dei tempi per comprarlaa buon prezzo. Erano rimasti molto delusi: appena messain vendita, la “chêne Tortu” aveva trovato un acquirentenella persona di Duhallier. non aveva discusso sul prezzo,comunque considerato esorbitante, e aveva pagato sul-l’unghia.

così per venire al “suo” golf non doveva far altro cheattraversare la strada.

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La dimora del nuovo presidente era nascosta dietro unospesso muro di pietra alto tre metri, vestigio accuratamen-te conservato dai tempi in cui bande di briganti attraversa-vano le campagne, saccheggiando le fattorie isolate. Perevitare tali disavventure, alcuni fondi si erano muraticome piccole fortezze. La “chêne Tortu” era tra questi. Visi accedeva tramite un portale in ferro battuto a due bat-tenti, che si aprivano solo per far passare le automobili.c’era anche una piccola porta metallica che Duhallierusava per entrare e uscire di casa.

a quanto diceva “nicklaus”, che era molto osservato-re, Duhallier non tirava mai fuori la chiave dalla tasca,appena si avvicinava alla porticina, questa, come permagia, si apriva da sola.

D’altro canto non si conosceva una signora Duhallier enessuno poteva vantare di essere stato ricevuto alla “chêneTortu”. saltuariamente un fuoristrada coi vetri scuri uscivadalla proprietà, sicuramente per andare a fare provviste.

Era guidato da un uomo giovane e atletico che portavasempre dei ray-Ban e che si preoccupava poco dei limitidi velocità.

Mary parcheggiò la bicicletta vicino all’hangar dove isoci del circolo riponevano i loro accessori. I due caddieerano già pronti. non prendevano il carrello ma si porta-vano la sacca in spalla.

nello stesso momento, ma a qualche centinaia di metrida lì, Victoire Leblond usciva dal suo giardino tirandosi ilcarrello con la sacca e gli accessori. Le succedeva spessodi giocare da sola al mattino presto. così non aveva mododi litigare con i suoi partner.

Victoire era preoccupata. Due dei suoi ammiratorierano fuori gioco e lei aveva dovuto spiegare al marito checosa ci facevano i due gentiluomini sotto le sue finestre amezzanotte passata.

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se l’era comunque cavata bene, il suo sposo aveva tro-vato buona la balla che gli aveva servito, comoda soluzio-ne per non dover affrontare gli stati d’animo della donno-na per molti giorni.

Victoire iniziò quindi il suo percorso sulla partenza delpar cinque che si trovava di fronte a casa sua. Le riuscì undrive di tutto rispetto e rimpianse di non aver potuto farammirare quel colpo a tutti coloro che, alle sue spalle,dicevano che lei non sapeva giocare.

Il secondo colpo fu meno convincente dato che spedì lapalla nel rough tutto a destra vicino a una scarpata. Daquel momento le apparve evidente che non poteva gioca-re il green in tre colpi e dovette decidersi a tirare con unwedge per riportare la pallina sul fairway. Impedita daalcune erbe alte fece un air shot al primo tentativo e deci-se che non lo avrebbe contato.

al secondo tentativo la pallina percorse i pochi metriche la rimettevano in pista. Tuttavia il green era ancora acento metri buoni e si saliva parecchio. a quella distanza,“Ballesteros” avrebbe preso un ferro nove e “nicklaus” unwedge. Victoire optò per un legno cinque, volle forzare ecolpì in terra, strappando una bella zolla che si guardòbene dal risistemare, troppo impegnata a soffiare sul polsodolorante per lo scossone appena ricevuto.

La palla aveva percorso una trentina di metri. Le siavvicinò a grandi passi e tentò un ferro cinque con l’ener-gia della disperazione. Miracolo! La palla, colpita corret-tamente, andò a morire a una decina di metri dal green.

Victoire riprese il suo carrello e si asciugò la fronte.cielo, come saliva quel fottuto par cinque! E quant’erapesante il carrello! Dovette fermarsi a metà salita perriprendere fiato. Di nuovo si asciugò la fronte e cercò labottiglia d’acqua. aprì la sacca e si accorse di averladimenticata. Imprecò.

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a rigor di logica, sarebbe dovuta ritornare sui suoipassi per prenderla – non ci si avventura sul campo nelmese di agosto senza portarsi da bere – ma al pensiero didover rifare cinquecento metri in discesa, che poi si sareb-bero automaticamente trasformati in cinquecento metri insalita al ritorno, rinunciò. con la gola secca, riprese l’at-trezzatura e se la trascinò fino alla palla.

a quel punto doveva giocare un wedge per poter farsalire la palla affinché ricadesse all’entrata del green senzarotolare troppo. stanca, sbagliò la palla che schizzò dal-l’altra parte del green in un posto in cui ci volevano trecolpi per farla rientrare.

Prese il putter sempre ansimante e si mise in posizionedi address. Il primo putt fu corto di tre metri. come suc-cede spesso in simili situazioni, il secondo fu lungo di due.Fu solo al quarto putt che la palla si decise a entrare nellapiccola buca.

sfinita, Victoire si chinò per recuperare la palla. Fu inquel momento che sentì qualcosa di freddo che le prende-va le dita. si piegò per vedere cosa fosse e sentì la suapelle rizzarsi. Dal fondo della buca tre dita blu si allunga-vano verso di lei.

L’urlo che lanciò fu sentito in tutto il circolo e a Mary,che in quel momento stava cercando una palla che“nicklaus” aveva malauguratamente spedito in un roughfitto, venne improvvisamente la pelle d’oca.

I due ragazzi, sconcertati, si erano immobilizzati; poi,vedendo Mary correre verso il luogo da dove veniva l’ur-lo, la seguirono.

La cicciona giaceva faccia a terra sul green, come unabalena arenata in un letto di alghe verdi. La brezza leaveva alzato la gonna pantalone che scopriva la parte altadelle cosce livide e gelatinose. con la mano stringeva

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ancora il manico del putter, la bandiera, rossa con il nume-ro bianco, giaceva a tre passi dal corpo.

Mary si avvicinò, ansimante, i due ragazzi dietro di lei,e con un solo colpo d’occhio abbracciò la scena.

– cristo santo! – disse.E ai ragazzi:– rimanete là, non camminate sul green. si avvicinò con precauzione al corpo di Victoire

Leblond, le prese il polso e dopo un attimo si alzò e, convoce rotta dall’angoscia, disse:

– È morta... ai due ragazzi che la guardavano interdetti:– correte presto, cercate aiuto! Estrasse un foglio dalla tasca:– aspettate! Telefonate immediatamente a questo

numero, chiedete del maresciallo Bourguignon e ditegli divenire subito!

I due adolescenti, impressionati dalla presenza dellamorta, non se lo fecero dire due volte. Mary si guardòintorno, il circolo sembrava perfettamente deserto.ritornò vicino al corpo di Victoire Leblond, incuriosita dinon vedere la palla sul green. Guardò nella buca e si sentìmancare. La pallina c’era ma c’era anche un’altra cosa: tredita, tutte blu, tre dita scarne con lunghe unghie gialle... sipoteva dire che appartenessero al corpo di un giustiziatointerrato vivo e che cercassero di tirare quel corpo verso laluce.

sentì un sudore freddo imperlarle la fronte e unaincontenibile nausea le sconvolse lo stomaco. Ebbe laforza di precipitarsi verso un cespuglio e lì venne scossada lunghi spasmi dolorosi e vomitò appoggiata alla cor-teccia rugosa di un pino.

sentendosi sollevata, si girò e si addossò all’albero,con gli occhi chiusi, non osando guardare il green. alla

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fine, tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e si asciugò lafronte e le labbra.

Quando alla fine riaprì gli occhi vide un grosso cane chetrotterellava tra i cespugli. Era il mostruoso cagnaccio diquello che i caddie chiamavano il “coglione”, il cane che ilsuo padrone aveva addestrato a rubare le palline nel campo.

si lanciò, la pallina faceva parte delle prove, bisogna-va recuperarla. Il cane era sparito. Evidentemente erabravo a intrufolarsi nei cespugli che conosceva perfetta-mente. Quando lei arrivò sul promontorio da dove ilcolonnello sorvegliava i giocatori, lo vide in lontananza,dietro al padrone che si allontanava a grandi passi.

rinunciò all’inseguimento. come poteva sperare diraggiungere l’animale e convincerlo a darle la palla?

ritornò sul green, i due caddie erano tornati con ungiardiniere che altri non era se non il greenkeeper. Tutti etre si tenevano a debita distanza dalla vittima.

– Il direttore sta arrivando, – disse il greenkeeper convoce allarmata.

Effettivamente, mentre pronunciava queste parole, uncart elettrico apparve silenziosamente e il direttore,accompagnato da robert Duhallier in persona, saltò dalveicolo prima che questi fosse completamente fermo.

– Un incidente? – domandò in tono secco.anche il presidente stava arrivando a sua volta, le

sopracciglia aggrottate. contemplò il corpo di Victoire edomandò:

– È morta? – sì, – disse Mary.– attacco cardiaco? – Probabilmente... sembrava che nessuno volesse avvicinarsi al corpo.

Poi si sentì la sirena a due toni dei gendarmi. Il volto diDuhallier si irrigidì ancora:

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– chi ha avvisato la polizia? – domandò con voceterribile.

– Io Bob, – disse Mary.– chi l’ha autorizzata? – tuonò.Lei tremò al suo sguardo. Duhallier non aveva più

niente del bravo nonno appena andato in pensione e cheintende d’ora in avanti consacrarsi al golf. aveva lo sguar-do duro dei malviventi d’alto bordo e dei faccendieri inter-nazionali. al suo fianco, il signor Périgner, il direttore,non mostrava una fisionomia più amena.

– Ma... – disse Mary sconcertata da quella reazioneinaspettata, – c’è un morto...

Duhallier sbraitò cattivo:– E allora... si tratta di morte naturale, no? che c’entra

la polizia? I due caddie e il greenkeeper guardavano la scena spa-

ventati dalla brutalità dell’intervento del presidente.– Ma... – balbettò lei stupefatta e spaventata da quella

violenza, – che male c’è se i gendarmi vengono a render-si conto di una morte naturale?

– I pettegolezzi, lo scandalo, – borbottò Duhallier mar-tellando furiosamente col tallone il fairway, come se aves-se mancato un putt immancabile.

– Quali pettegolezzi? Quale scandalo? – domandò lei.– se questa persona è morta per un attacco cardiaco, cometutto sembra indicare, perché ci dovrebbe essere uno scan-dalo? succede sempre, nel tennis, nel calcio, in biciclet-ta... credo invece che facendoli venire tagliamo la testa altoro a qualsiasi eventuale pettegolezzo.

Périgner in quel momento tirò Duhallier per la manicae gli disse qualcosa all’orecchio. Il nuovo presidente scos-se la testa come segno di aver inteso. Poi si rasserenò eritrovò istantaneamente l’espressione affabile e disse aMary Lester:

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– Ha ragione Mary. Ero talmente sconvolto che ho rea-gito un po’ brutalmente. Mi scusi.

Lei scosse la testa:– Un po’? Beh, dica un po’, com’è quando si arrabbia

veramente con qualcuno? Insomma...si girò verso il cadavere rabbrividendo:– comunque è vero, c’è di che essere sconvolti! Dentro di sé pensava ai resti umani che giacevano nella

buca e dei quali non aveva ancora parlato,ma che biso-gnava pur mostrare agli agenti.

I gendarmi arrivarono insieme agli infermieri dell’am-bulanza. Victoire era proprio morta, caricarono il corpo suuna barella e se ne andarono. Gli agenti stavano al bordodel green con i pollici nel cinturone, con l’aria di doman-darsi perché fossero stati disturbati per una crisi cardiaca.

– sono nel mio ufficio, – disse Duhallier con vocesecca risalendo sul cart elettrico. Il direttore si mise alvolante e la vettura sparì. Il greenkeeper era tornato allesue occupazioni, come anche i due caddie.

Il maresciallo guardò Mary:– La festa continua... – se così si può dire... E l’agente che l’accompagnava, facendo il giro del

green, esclamò:– Qualcuno qui ha vomitato. – sono stata io, – disse Mary.I due gendarmi si guardarono in modo bizzarro e

Bourguignon sghignazzò:– Le fa così effetto vedere un cadavere? Mancanza di

abitudine? Mary, che aveva ripreso colore, sorrise a sua volta.

come si sarebbe comportato il coraggioso marescialloquando lei gli avrebbe mostrato le tre dita blu che usciva-no dalla buca numero sette?

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si diresse verso la buca e disse agli agenti:– Venite un po’ a vedere! si avvicinarono, con circospezione:– Guardate là dentro, – disse lei, – poi mi direte. Lei li spiava, sorvegliando il momento in cui il mare-

sciallo avrebbe trovato la mano con le tre dita blu. nonavrebbe avuto la nausea anche lui?

Ma no, lui si stava chinando tranquillamente, dopoaver affondato la mano nel buco, ne estrasse una pallinabianca.

– Titleist numero quattro, – le disse.– cosa? – gridò Mary.si precipitò verso la buca. Era rigorosamente vuota. I

due agenti la guardavano incuriositi. Inspirò profonda-mente e esclamò:

– coglione! Bourguignon sussultò indignato:– ah, questo signorina Lester non glielo permetto...

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XVII

– non mi stavo rivolgendo a lei, – fece confusa.– Felice di saperlo! – disse lui infastidito.Mary si piantò davanti a lui:– Mi ascolti maresciallo, questa donna è stata assassi-

nata... L’agente la guardò con stanchezza:– Lei vede crimini ovunque! E, estenuato, aggiunse:– attacco di cuore ha detto il medico... – attacco di cuore provocato! – Lo vedremo dall’autopsia. – Dall’autopsia non vedrà niente! – E per quale motivo, prego? Mary inspirò profondamente, la cosa non era facile da

spiegare.– sono arrivata per prima sul luogo del delitto... – Bene, – disse il maresciallo, – e allora? Fissò negli occhi il gendarme:– La prima cosa di cui mi sono assicurata è che la vit-

tima non avesse più bisogno di aiuto. Dopo ho esaminatola scena. alla fine sono andata a vedere che cosa c’eranella buca.

– E nella buca c’era una pallina bianca con su scrittoTitleist numero quattro, – disse Bourguignon, facendolasaltare nella sua mano.

– sì, – disse Mary, – più qualcos’altro. – E che cosa?

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– Una mano...! Il gendarme aggrottò le sopracciglia:– Una mano...? La guardò nuovamente:– non sono certo di aver capito... – Un resto umano, una mano, con tre dita... – Tre dita! – ripeté lui gettando uno sguardo di traver-

so verso il suo agente.sembrava che cominciasse a trovare la cosa divertente.– Tre dita blu, – disse ancora Mary.– Blu, – ripeté lui sorridendo.Lei si esasperò:– ah, lo sapevo che non mi avrebbe creduta! Lui scoppiò a ridere:– Mia suocera dice sempre di avere il pollice verde

allora, perché non delle dita blu? Dopotutto non siamolontani dal mare... non fa niente, vorrei proprio vederle!

si girò verso il suo gendarme:– E tu no, Lucien? anche l’agente si mise a ridere:– starebbe bene nel rapporto, signor maresciallo. Mary cominciava a trovare la cosa dura da mandare

giù. Ma come avercela con i gendarmi? stava parlando diuna cosa straordinaria che solo lei aveva visto. rimpiansedi non averla mostrata ai due caddie. Ma gli agenti avreb-bero tenuto conto della testimonianza di quei due giovani?

– Precisamente il “coglione”, insomma, il suo cane... Il gendarme aggrottò le sopracciglia:– Ma di chi sta parlando adesso? – Di un tipo che porta a passeggio il cane nel circolo. – non ce ne sarà uno solo! – Forse... Ma questo qui è un po’ particolare. Pensi che

ha addestrato il cane a rubare le palline da golf che trovasul percorso.

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– Bah, i cani amano giocare con le pallette, lo sannotutti!

senza considerare l’interruzione, Mary continuò:– È lui che i caddie chiamano il “coglione”.– È elegante! – Gli si addice perfettamente! – Ma qui il cane non ha rubato la palla! – non poteva, era in fondo alla buca... spiegò:– È una specie di enorme bulldog, ha visto il muso che

hanno quelle bestie? non è il naso di un levriero afganoche si intrufolerebbe nel buco di una serratura, no, è unnaso quadrato, paffuto che non avrebbe mai potuto far sci-volare in una buca così piccola. allora si è portato via lamano!

– La mano blu, – disse l’agente. – con le tre dita, – fece eco il maresciallo. cominciavano a trovarla divertente, i gendarmi!

Quella sera, nel raccontare tutto alla squadra, ci sarebbestato da divertirsi! Per essere bella, era bella!

Mary sentiva salirle il sangue al cervello. – Maresciallo, – disse, cercando di mantenere la calma,

– ci sono molti elementi che le sfuggono in questo caso... – sì, – disse l’autista, – gli sfugge la mano... Tutti e due scoppiarono a ridere. Mary lanciò uno

sguardo assassino all’autista che aveva fatto quella bat-tuta.

– Maresciallo... – disse di nuovo e questa volta,impressionato dal tono di Mary, lui la guardò trattenendouna risata.

– ...Vuole venire con me? – continuò lei.– Dove?– Fino al locale dei giardinieri, per prima cosa...– E dopo?

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– ancora non lo so, ma quando saremo arrivati glielodirò.

– Va bene! andiamo, – disse Bourguignon.E al suo autista:– Torna al furgone e raggiungici ai capannoni. camminarono tagliando per i fairway ancora bagnati

dall’innaffiamento notturno. I tosaerba si stavano già atti-vando e quando arrivarono il greenkeeper aveva appenafinito di assegnare il lavoro della giornata e i giardinieri siallontanavano su buffe macchinette rosse e verdi. L’ariaodorava di erba secca, di grasso, di scappamento di moto-ri a due tempi.

Quando vide Mary arrivare nel suo territorio accompa-gnata da un gendarme, la sua faccia si rabbuiò.

– Dov’è suo figlio? – gli chiese Mary.– che altro ha combinato? – borbottò.– niente di male signor Brévu, volevo solo chiedergli

un’informazione. Il capo giardiniere sembrò sollevato:– Bernard? – chiamò.Poi, voltandosi verso il maresciallo, fece un sorriso

contrito:– con i giovani non si sa mai che pesci pigliare! Ho

sempre il terrore che abbia fatto una stupidaggine. Bernard Brévu, alias “nicklaus”, si avvicinò.Quando vide Mary la sua faccia si illuminò.– ah, sei tu Mary? – senti un po’, – fece il padre, – potresti essere un po’

più educato! Da quando dai del tu ai soci del circolo? – Da quando gli ho chiesto io di farlo, signor Brévu, –

fece Mary sorridente.– ah, – bofonchiò il padre, – non so se è un bene per

lui. Temo che gli altri soci non apprezzino troppo questotipo di familiarità.

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Lei fece un gesto disinvolto con la mano per far vede-re quanto poco le interessasse la suscettibilità dei soci, poidisse al caddie:

– Vai ad aspettarci fuori, devo dire due parole a tuopadre.

Il ragazzo uscì, lei si voltò verso il greenkeeper. Lui siera tolto il berretto e lei si accorse che non gli restavanopiù molti capelli. Eppure, non doveva essere vecchio,appena sulla quarantina.

– che pensa signor Brévu dei cambiamenti occorsi alladirezione del golf?

L’uomo fece un gesto evasivo.– che vuole che pensi? ci sono un centinaio di ettari

da mantenere in buono stato, da tosare, innaffiare, prepa-rare per le gare. Quindi, che sia il signor Duhallier o il dot-tor Bellama il presidente, che sia il signor Périgner o ilcolonnello il direttore, che cosa cambia? La superficie nondiminuisce.

La manutenzione dell’amato terreno sembrava esserela sua unica preoccupazione. Era vero, Mary l’aveva lettonelle riviste specializzate: il Golf del Bois Joli era rino-mato per la qualità dei suoi green e dei fairway e in occa-sione delle gare importanti in cui si ricevevano giocatoridi tutto il mondo, questi si erano sempre complimentatiper l’eccellente preparazione del campo.

Quello era l’orgoglio del greenkeeper, era a lui, allesue competenze, alla sua arte di gestire gli uomini che sidovevano quei risultati: il Golf del Bois Joli era, da questopunto di vista, al pari dei più grandi percorsi scozzesi ocaliforniani, punto di riferimento in materia.

Mary guardava Brévu. Il giardiniere girava il suo ber-retto tra le grosse dita sporche di terra. Il brav’uomo avevaun’aria trasandata, con la sua testa calva, la tuta da lavoroblu a tratti macchiata di grasso e gli stivali consumati.

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Tuttavia era un asso nel suo campo. se il Bois Joli avessechiuso, dieci, venti circoli lo avrebbero richiesto.

sarebbe stato lo stesso per i suoi giardinieri? non erasicuro... E poi Brévu era su quei fairway da oltre un quar-to di secolo. aveva iniziato la sua carriera come apprendi-sta prima di diventare il capo. conosceva la consistenzadel suolo, le cure che richiedeva, i trattamenti da applica-re. Il magnifico risultato che si aveva sotto gli occhi pro-veniva da questa lunga esperienza, da questo attaccamen-to, un attaccamento da contadino, del greenkeeper alla“sua” terra. avrebbe avuto gli stessi risultati da un’altraparte? non era sicuro e comunque non prima di lunghianni.

– Il nuovo presidente sostiene che se si fosse lasciata lavecchia equipe al potere sarebbe stato il fallimento assicu-rato nell’arco di tre mesi?

Brévu sembrò imbarazzato:– In effetti, hanno detto così. – chi? L’uomo esitò, poi aggiunse:– Da quando hanno aperto i golf pubblici un po’ ovun-

que, il Bois Joli ha perso un bel po’ di iscritti, quindi diquote... Il personale sapeva che la situazione fosse critica.

Guardò Mary:– Il signor Périgner ci ha assicurato che d’ora in avan-

ti tutto sarebbe andato bene e che non ci saremmo dovutipreoccupare del problema lavoro. Questo è già buono...

– sì... – disse Mary. Poi cambiando argomento:– Lei gioca a golf signor Brévu? – ci ho giocato in passato, – disse il giardiniere, – ma

ora non ho più tempo. Mostrò le grosse mani callose, piene di screpolature in

cui la terra accumulata aveva lasciato tracce scure.– Giocava bene?

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– avevo un handicap a una cifra. L’aveva detto con un piccolo sorriso.– È lei che ha allenato suo figlio? – all’inizio sì. Ora... Fece un gesto che indicava che le sue competenze

erano state abbondantemente superate. Lei gli sorrise:– Ha in sé il seme del campione, lo sa. Lui sospirò:– Il seme, come dice lei... – Perché sospira? Tirò fuori la mano dalla tasca e l’aprì lentamente. Dei

fuscelli di paglia volarono in un raggio di sole.– ne so qualcosa di semi, vede, è il mio mestiere.

Questa qui è festuca rossa strisciante. nella mia macchinaho sempre un misto di terra e di sabbia in un secchio.Quando trovo un divot che non è stato sistemato riempioil buco con questo miscuglio e una manciata di questisemi. Perciò ne ho sempre in tasca. Meglio metterne unpo’ di più che un po’ di meno perché questi semi non pren-dono sempre... Bisogna considerare le parti per gli uccel-li, i roditori e quella portata via dal vento, quella che nongermoglia...

– Dove vuole arrivare signor Brévu? – chiese Mary.– a far capire al campione in erba che non è che se uno

ha in sé il seme del campione, necessariamente lo diven-ta... ci sono ostacoli, come sul percorso, molti ostacoli dasuperare, se no...

– se no cosa? come risposta l’uomo aprì le mani con un misero sor-

riso e Mary capì che il seme del campione che un tempoaveva pensato di essere, visto che giocare con un handi-cap a una cifra non era cosa da poco, non aveva saputoevitargli quegli ostacoli; sperava che suo figlio diventasse

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quello che effettuava i putt sui green non quello che litosava, quello che raccoglieva i divot sui fairway, nonquello che li risistemava, quello che faceva delle incredi-bili uscite dai bunker, non quello che li rastrellava...

Il piccolo Brèvu avrebbe ricevuto il messaggio? suopadre sembrava dubitarne. L’esperienza degli anziani, sisa, serve raramente ai giovani.

Lei guardò il giardiniere con infinita simpatia.– Grazie signor Brévu. nel cortile assolato “nicklaus” aspettava, seduto sulla

pedana di un trattore.– Dimmi Bernard, – domandò Mary abbandonando il

soprannome che il caddie si era dato, – sai dove abita il“coglione”?

– certo. – ci puoi accompagnare?– nessun problema.E dato che il furgone entrava nel cortile:– ci andiamo a piedi o col macinino? Poi aggiunse:– Perché col macinino dobbiamo fare un bel giro. a

piedi basta attraversare il campo, è dall’altra parte dellastrada.

– allora andiamoci a piedi, la macchina ci seguirà, –disse Mary.

Il caddie la guardava incuriosito chiedendosi chi fossequella ragazza che dava ordini ai gendarmi che le ubbidi-vano senza battere ciglio.

Mary si disse che questa volta la sua copertura sarebbedefinitivamente saltata. Finite le vacanze a La Baule...

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XVIII

La casa del signor Perenno, alias il “coglione”, eracostruita dall’altra parte della stradina che fiancheggiavail golf, non lontano dal campo dove Mary aveva posteg-giato la sua auto durante le sue spedizioni notturne.

contrariamente alle lussuose ville che davano sui fair-way, era una casetta da contadini come le avevano in pas-sato i mezzadri nelle vicinanze delle grandi coltivazioni.

Era probabile del resto che in altri tempi avesse fattoparte della proprietà della “chêne Tortu”. Era circondatada aiuole di fusaggine mal tagliata e un cancelletto dilegno dipinto di bianco chiudeva l’accesso alla strada.

su quella specie di prato ingiallito che separava la casadalla strada c’era un grosso albero di mele tanto carico difrutta da spezzare i rami. La maggior parte di questi eranostati puntellati con delle forcelle di legno, cosa checomunque non impediva ai rami più in basso di sfiorare ilsuolo.

La casa non aveva piani, solo un granaio illuminato dadue stretti abbaini. sulla facciata imbiancata a calce siapriva una porta dipinta di blu affiancata da due finestredello stesso colore. a ogni pignone, un tettoia coperta dilamiera zincata arrugginita.

Visto che non c’era campanello, Mary spinse il cancel-letto. Immediatamente un grosso cane le si precipitòincontro e lei dovette richiudere la porta per evitare che lesaltasse addosso. Era proprio l’animale che aveva vistoallontanarsi dal green pochi istanti prima. rabbrividì

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retrospettivamente per aver pensato di potersi litigare lapreda con quella belva.

Era una specie di bulldog mostruoso. Mary non avevamai nutrito simpatia per quella razza di cani, anche seaveva conosciuto boxer molto affettuosi. Questo era gran-de come quattro boxer normali. non tanto in altezza quan-to in larghezza, con una bocca enorme che a ogni com-messura lasciava passare un filo di bava.

Era talmente grosso che, sotto di lui, le sue zampecurve parevano gracili.

Ora che la barriera si era richiusa si era seduto e con-templava le quattro persone che stavano davanti a casasua, senza abbaiare, solo respirando forte e fissandoli coni suoi occhi bianchi striati di rosso.

Mary avvicinò la mano alla porta e immediatamente unringhio uscì dalla bocca del mostro, come una messa inguardia che non sarebbe stato saggio ignorare.

Mary si girò perplessa verso i gendarmi. Il caddie, perniente rassicurato, era indietreggiato di tre passi.

– In questi casi che si fa maresciallo? I due agenti si guardarono.– Bella domanda, – disse il maresciallo Bourguignon.E l’autista suggerì:– Potremmo chiamare... Mary guardò il cane con rancore:– se questo bastardo abbaiasse un’altra volta, allerte-

rebbe i suoi padroni. Ma il bastardo non sembrava deciso ad abbaiare.

Manteneva la sua posizione a due metri dalla barriera, sal-damente appoggiato sul suo sedere, senza muoversi. Poi,quando fu stanco di montare la guardia in quel modo, silasciò cadere a terra con un gran sospiro. I suoi occhi cat-tivi non abbandonarono i visitatori e quando Mary rimisela mano sulla barriera si rialzò di scatto mostrando che

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non si doveva far affidamento sulla sua stanchezza perentrare di sorpresa.

– c’è qualcuno? – urlò Mary.Dalla gola del cane ora usciva un ringhio continuo dav-

vero inquietante.– Gente? – chiamò ancora.Vide una tenda spostarsi a una delle finestre e una fac-

cia lunare illuminata da un sorriso apparve per un istante.Poi la tenda ricadde.

– È lui! – esclamò il caddie. – È il “coglione”!– Quindi lo conosci? – domandò il maresciallo.– Eccome! – esclamò “nicklaus”. – Ha addestrato il

suo cane fetente a fregare le palline da golf. raccontò come faceva l’abitante della casa a disturba-

re le partite.– E tu dici, – continuò l’agente, – che lui passeggia con

questo animale tutti i giorni nel circolo? – Tutti i giorni, – confermò il caddie, – e a volte mat-

tina e sera! – Ora capisco perché il colonnello usciva armato, –

disse l’autista. – Per affrontare clienti così, – indicò ilcane, – è meglio avere del piombo!

Mary si spazientiva:– Tutto questo non ci dice che cosa dobbiamo fare! Un ciclista si avvicinò, il maresciallo lo chiamò e l’uo-

mo si fermò. Era un vecchio brav’uomo che guidava unabicicletta traballante. appoggiò i piedi sulla strada nontroppo rassicurato dal fatto di essere stato fermato daigendarmi.

– Buongiorno, – disse il maresciallo, – abita da questeparti?

– sì, – disse l’uomo spingendo il berretto sulla nuca easciugandosi la fronte. – Vengo dalla tabaccheria. Hobevuto solo un goccetto...

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Forse temeva che l’avrebbero fatto soffiare nel pallon-cino...

La domanda dell’agente lo rassicurò:– sa chi abita in questa casa? – certo, Perenno e la sua vecchia. – che fa questo signor Perenno? – niente, – fece l’uomo, – non fa niente! D’altronde

non ha mai fatto niente ... Fece un movimento esplicito col dito sulla tempia:– È un po’ tocco!– Vuole dire che non ha tutte le rotelle a posto? – chie-

se Mary.– si può dire così, – confermò l’uomo. – Un tempo

stava nelle colonie e pare che laggiù, delle volte, se uno sidimentica l’elmetto, si prende un colpo.

ritenne utile precisare:– a causa del sole. E aggiunse:– Deve essere successo questo a Perenno. rifletté un istante:– Perché prima non era scemo! a dimostrazione, ha

passato il concorso alla dogana... Guardò Mary, poi i gendarmi, per vedere la loro rea-

zione di fronte a questa prova evidente della grande intel-ligenza del suo vicino.

– E sua moglie? – domandò Mary.– Lei fa i servizi... e poi sistema anche il giardino. Fa

tutto insomma, – concluse lui, – per forza, lui non fa niente!– Ma come si fa per entrare? – domandò il maresciallo.– non si entra, – disse l’uomo.Indicò il cane con un cenno del capo:– Visto il soggetto? aggiunse strizzando l’occhio con aria furba:– Lui vi fa venire voglia di entrare?

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– È cattivo? – domandò Mary.– come il suo padrone, – disse il campagnolo risiste-

mandosi il berretto, – niente moine. Ma insomma, se noncercherà di entrare non le farà niente.

squadrò gli agenti, beffardo, felice di dimostragli che iloro poteri avevano dei limiti:

– Invece, voi, con le vostre uniformi, sarebbe meglioche non ci provaste! Già quando vede il postino diventamatto. se volete vedere qualcuno di valido, bisogna cheaspettiate sua moglie. avete chiamato?

– sì, – disse Mary. – E abbiamo visto un viso alla fine-stra. c’è qualcuno in casa.

– certo che c’è, il demente! Quando c’è il cane ilpadrone non è lontano. non si separano assolutamentemai!

scosse il capo:–stiamo parlando di una coppia, insomma! Poi, rimontando in sella, consigliò:– se fossi in voi, aspetterei la padrona, a quest’ora non

dovrebbe tardare a rientrare! ripartì vacillando, poi l’attrezzo cigolante, prendendo

velocità, ritrovò una traiettoria più o meno rettilinea.Quando fu sparito, l’agente domandò a Mary:– allora, che facciamo? – aspettiamo maresciallo, – disse lei con tono deciso.

Diversamente da quanto aveva detto il ciclista, lapadrona di casa non era uscita. Doveva sistemare il giar-dino sul retro e quando uscì dall’abitazione fu sorpresa divedere gente al cancelletto.

Era una sessantenne tracagnotta, stretta in una cami-cetta di nylon dai colori sgargianti. strinse gli occhi diffi-denti e chiese:

– che ci fanno due postini a quest’ora?

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– Polizia! – disse il maresciallo in tono arrogante.non era contento di essere stato scambiato per un

postino o era arrabbiato perché aveva dovuto aspettare?– Polizia? – esclamò la donna stupita, avvicinandosi. –

Ma che succede? Vedendo arrivare la padrona, il cane ritornò nella sua

cuccia dietro il melo, con l’aria di disinteressarsi dellaquestione.

– succede, signora, – disse Mary, – che il suo cane hasottratto una prova importante dal campo da golf.

– che cosa? – domandò la vecchia.Evidentemente non aveva capito niente di quello che le

aveva detto Mary. Questa si girò e sospirando disse almaresciallo:

– Bene, non ci siamo ancora! ritornò dalla vecchia che non dava cenni di aprire la

barriera:– Poco fa, – disse scandendo bene le parole, – quando

suo marito è rientrato col cane... Fissava la vecchia per vedere se la seguiva. Dato che

l’altra faceva finta di cercare di capire, continuò sullo stes-so tono:

– ...Il cane, non aveva niente in bocca? Il volto della vecchia si illuminò:– come no! Questa stupida bestia porta ogni genere di

stupidaggine. a volte porta delle palline bianche, ce nesono centinaia di migliaia sparse là...

Indicava la tettoia.– E stamattina? – chiese nuovamente Mary.– stamattina aveva una specie di zampa di pollo in

bocca... – sa dove l’ha messa? La vecchia guardò incuriosita quella ragazza affianca-

ta da due gendarmi che s’interessava alla zampa di pollo

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raccolta dal suo cane. certo, ce n’era di gente strana almondo!

si girò verso il barile che serviva da cuccia alla belva:– nella sua cuccia probabilmente. Mette tutto lì in fondo. squadrò Mary e il suo sguardo non era benevolo:– È sua quella zampa? sghignazzò con cattiveria:– Forse era la sua cena di stasera? Indifferente all’ironia della vecchia, Mary si girò verso

l’agente:– Ecco fatto, sappiamo dov’è l’oggetto, basta andare a

prenderlo! I due gendarmi non avevano l’aria entusiasta.– come dice lei, basta... come dobbiamo fare? – La signora terrà il cane, – disse Mary, – e nel frat-

tempo uno di voi andrà... Vedendo l’espressione reticente degli agenti, esclamò:– Bene, andrò io a prendere questa ipotetica zampa di

pollo! – È pura follia, – disse il maresciallo.Lei si spazientì:– Insomma la vuole vedere questa mano dalle dita blu

sì o no? – Ma ispettore, – disse Bourguignon, – la povera vec-

chia non è in grado di trattenere quella bestia neanche unquarto di secondo!

– Forse le ubbedisce? – disse.– Forse, – fece eco l’agente, – ma non mi accontenterò

di un “forse” per affrontarlo nel suo territorio. – comunque, – disse Mary, – una cosa è in grado di

fare, rinchiuderlo dentro casa! Il maresciallo scosse il capo.– chiami il suo cane, – disse alla vecchia, – e lo rin-

chiuda in casa!

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– non mi dà mai retta, – disse lei sgarbata, – obbediscesolo al suo padrone.

– E allora chiami il suo padrone! – disse Mary. – E glifaccia portar via il suo maledetto cane!

cominciava a essere stufa di mercanteggiare con queidue dementi, mentre il corpo del reato era a portata dimano.

– non vorrà assolutamente, – disse la vecchia con gioiacattiva.

Era chiaro che non amava i ricchi e per lei tutti quelliche venivano dal golf rientravano in quella categoria.

– E perché? – non gli piacciono i gendarmi!– Bene, – disse Mary con voce pericolosamente calma,

incrociando le braccia. – Gli dica che se entro un minutoil suo cane non sarà rinchiuso in casa, gli agenti qui pre-senti lo faranno abbattere come animale pericoloso!

Il “coglione” doveva aver seguito la conversazione dadietro le imposte poiché, dopo che Mary ebbe pronuncia-to quella minaccia che sapeva impossibile da eseguire, sisentì la porta d’ingresso scricchiolare.

La vecchia si girò:– Vieni a prenderti la tua carogna di bestia, – disse al

marito. – L’avevo detto io che, dai e dai, avremmo avutorogne con questa bestiaccia.

Poi, rivolta agli agenti e a Mary:– Fa lo stesso, tormentare la povera gente per una

zampa di pollo! se ne tornò borbottando verso casa sua. Il “coglione”,

invece, rimase sulla soglia, corto di gambe, massicciocome una botte, un basco piantato in capo e sulla faccialunare un sorriso beato da cretino soddisfatto.

Emise tra i denti un breve fischio e subito il cane sialzò sulle zampe davanti, pronto a balzare. seguì un altro

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fischio, molto diverso dal primo, spezzato, come unsegnale in morse.

allora il cane si alzò e ritornò nella sua cuccia, presequalcosa tra le sue spaventose mascelle e Mary percepìdistintamente il rumore del frantumarsi di un osso.

– La mano! – esclamò.Dimenticando ogni pericolo aprì il cancelletto del giar-

dino. Troppo tardi, il mastino aveva ingoiato la sua preda.Di nuovo si sentì presa dalla nausea. Il cane non parevapiù minaccioso, si dirigeva verso il padrone che gli dissequalcosa di inavvertibile ma l’animale, che sembrava avercapito, andò dietro alla casa.

Mary si lanciò al suo seguito, gli agenti sui suoi passi.sbucarono su una specie di vasto orto tenuto male dove,armata di una zappa, la signora Perenno raccoglieva lepatate. Il cane scalò la scarpata in fondo e sparì.

– che c’è laggiù? – domandò Mary.– Granturco, – disse la vecchia in ginocchio nel suo

solco. – Un grande campo di granturco... Il rimbambito li aveva seguiti, enorme sulle sue gambe

corte. se si fosse messo in ginocchio non avrebbe sfigura-to col cane, solo che lui rideva. Era scosso da una risatasilenziosa come se fosse contento del bel tiro giocato allapolizia. aveva gli occhi lucidi e, come al suo cane, duefiletti di bava gli colavano dalla bocca che sembravafacesse fatica a chiudere.

Mary corse alla scarpata, la scalò nel punto in cui erapassato il cane. non era un grande campo di granturco, maun’immensa distesa verde, un oceano di alte canne dovecercare un cane che non voleva essere trovato si prospet-tava un compito sovraumano.

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XIX

Mary faceva il broncio. Era seduta nell’ufficio del mare-sciallo Bourguignon che cercava di tirarle su il morale.

– Insomma signorina Lester, non potevamo ragione-volmente lanciare una battuta per riacchiappare il cane...

Mary sapeva che lui aveva ragione. su quali criteri sisarebbero potuti basare per ottenere i mezzi per recupera-re Titus, poiché la bestia si chiamava Titus...

E, fino al momento in cui l’avessero acchiappato,avrebbe avuto tutto il tempo per digerire l’innominabileresto umano.

se il cane fosse stato catturato subito, come avrebberoproceduto per vedere cosa aveva nello stomaco?avrebbero dovuto fargli ingerire un emetico, missione adalto rischio...

Tutto ciò, pensava l’agente, per fargli vomitare unazampa di pollo che uno stupido giocherellone aveva dipin-to di blu per impressionare la “pazza”.

Perché il maresciallo pensava fosse proprio una zampadi pollo quella che Mary Lester aveva visto nella bucanumero sette.

E Mary lo leggeva nei pensieri del maresciallo, cosache la faceva arrabbiare. Lei sapeva bene che erano delledita quelle che aveva visto nella buca. non era micapazza, sapeva ancora distinguere delle unghie dagli artiglidi un pollo!

avrebbe avuto quella reazione violenta davanti a unresto animale, benché poco appetitoso?

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E Victoire sarebbe morta confondendo un residuo dispazzatura di un pollivendolo con la mano di sergeBonnez?

no! no! Era impossibile! Ma come convincere glialtri, come confondere il cattivo giocherellone ora che, daqualche parte nel suo campo di granoturco, Titus finiva didigerire il corpo del reato?

Quando serge Bonnez era morto qualcuno aveva avutolo spaventoso coraggio di tagliargli una mano, di conser-varla in un congelatore per vendicarlo di colei che avevarovinato l’ultima parte della sua vita?

Bisognava avere un animo proprio contorto perimmaginare una simile vendetta e chi l’aveva concepi-ta non doveva essere lontano quando Victoire eramorta.

seduta su una sedia, il volto tra le mani, Mary riflette-va. Dietro alla sua scrivania, il maresciallo Bourguignonla guardava in silenzio, l’aria un po’ preoccupata.

– supponiamo, – disse lei a mezza bocca, – che uncerto X... amico o parente di serge Bonnez, immaginiquesta vendetta... Deve essere sicuro che sarà Victoire atrovare la mano...

si era estraniata da tutto ciò che la circondava, nonsapeva neanche più che il gendarme era lì, che la guarda-va incuriosito domandandosi che cosa girava in quellagraziosa testolina.

– Dunque, – continuò lei, – deve necessariamente esse-re in prossimità della buca numero sette... Perché la bucanumero sette? Ma perché confina con la proprietà diVictoire Leblond ed è da lì che, a rigor di logica, lei ini-zierà il suo percorso... D’altronde vi si può accedere comesi vuole seguendo la strada e scalando la scarpata. Inoltreè fiancheggiata da un boschetto di alberi nei quali, ne soqualcosa, è facile nascondersi...

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Questo evocare i luoghi le riportò alla memoria delleimmagini: quella del colonnello che abbracciavaVictoire al chiaro di luna, i loro volti quando i flashdella macchina fotografica avevano perforato la notte einfine la serie di imprecazioni quando la corsa delcolonnello era stata fermata da un fil di ferro inopportu-namente teso.

Di colpo si mise a ridere. Il maresciallo la guardò,impensierito. stava bene? senza preoccuparsi di lui, Maryriprese il suo soliloquio:

– ...Dunque, è d’obbligo che X... metta la mano nellabuca poco prima dell’arrivo di Victoire, ma anche che unavolta fatto il brutto scherzo la recuperi.

Guardò all’improvviso il maresciallo: – Eh sì, signor maresciallo, BIsOGna che X... recu-

peri il resto umano. Perché non ha previsto la morte diVictoire Leblond. no, quello che voleva fare era innanzi-tutto metterle una fifa boia, se mi passa l’espressione.Poi...

– Poi? – riprese l’agente, affascinato suo malgrado dal-l’ipotesi che la giovane stava sviluppando.

– Poi pensava che Victoire sarebbe corsa a lamentarsi,a raccontare, come io stessa l’ho raccontato, che nellabuca del green numero sette c’era una mano blu con tredita. Ovviamente sarebbero venuti a vedere e non avreb-bero trovato niente. non si sarebbe trovato niente perchéX... avrebbe recuperato il suo bene, se così si può defini-re. Bene che, in futuro, avrebbe potuto servigli ancora perperseguitare Victoire Leblond. con questo colpo, la buonaVictoire che tutti al circolo chiamano già la “pazza”,avrebbe consolidato la sua reputazione. Pensi un po’, unadonna che i gendarmi hanno trovato alla guida della suaauto alle nove del mattino con due grammi e venti dialcool nel sangue!

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sorrise all’agente, molto contenta della sua dimostra-zione. Bourguignon, imbarazzato, giocava con la suamatita.

– solo che, – disse lei, – come in un qualsiasi piano benarchitettato, c’è stato un intoppo. che si chiama MaryLester. Mary Lester che è con due caddie a qualche metrodi distanza e sentendo il grido della vittima arriva sulluogo in pochi istanti. Il signor X... vedendola arrivare,deve aver passato un brutto quarto d’ora. Tanto più cheMary Lester trova la mano dalle dita blu. Visto che lei nonha un organismo così consumato come quello di VictoireLeblond, questa scoperta si limita a farla vomitare. E inquel momento, miracolo per il signor X... Titus, il cane del“coglione”, viene in suo aiuto: non potendosi impossessa-re della palla, prende la mano e raggiunge il suo padrone.Da quel momento, il signor X... può tornare tranquilla-mente a casa sua. Il seguito lo conosciamo, Titus divora lamano dalle dita blu e non ci sono più prove dell’interven-to del signor X...

– come non ci sono, – disse il gendarme, – prove del-l’esistenza della famosa mano dalle dita blu!

Poiché Mary lo fissava indignata, aggiunse:– Eh, dopotutto l’ha vista solo lei! – E lei dubita della mia testimonianza, – fece lei,

glaciale.L’agente si fece accomodante:– Ma no... è probabile che ci fosse qualcosa dentro a

quella buca. La signora Perenno ha parlato di una zampadi pollo... Presa dall’emozione...

Mary si adirò:– La signora Perenno, la signora Perenno, ma è stra-

bica la sua signora Perenno! strabica al punto che dadieci metri ha scambiato lei e il suo collega per dei posti-ni!

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– non dico che, – fece Bourguignon colpito inpieno da quel ricordo sgradevole, – non dico... maammetta comunque che la sua testimonianza è pocoattendibile.

Di fronte allo sguardo che gli lanciò Mary, precisòanimatamente:

– Voglio crederle... – È già molto, – brontolò lei.– Ma, – continuò lui, – mi creda, sarò l’unico! se parlo

di questa mano dalle dita blu nel mio rapporto, sarò la bar-zelletta di tutta la squadra. I miei superiori si chiederannose non avessi bevuto, e pensi se la stampa venisse a cono-scenza del caso...

scosse la mano nel vuoto per mostrarle l’abisso chepoteva aprirsi sotto i loro piedi.

– Innanzitutto, da dove verrebbe la mano blu?Lei stessa signorina Lester ha ammesso che se Victoire

Leblond avesse raccontato questa storia alla club house,nessuno le avrebbe creduto!

Mary non lo ascoltava più, si alzò di scatto:– Può chiamare il signor Hermany? I cambiamenti e gli impulsi dell’ispettore Lester ave-

vano il dono di stupire il maresciallo Bourguignon. nonaveva mai lavorato con uno sbirro di quel calibro. ancorauna volta sgranò gli occhi:

– Il signor chi? – Hermany, – fece lei e scandì:– HErMany! – a La Baule? – Eh sì! E, dato che non ne era troppo sicura, aggiunse:– O nelle vicinanze... – O nelle vicinanze... – sospirò Bourguignon battendo

sul suo videotel, – che precisione!

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Picchiettò per qualche istante, lesse sullo schermo, poiguardò Mary, sarcastico:

– non c’è nessun Hermany in tutto il dipartimentodella Loira atlantica!

– come? – esclamò lei.Poi, dopo un attimo di riflessione:– allora cerchi Dur. – Dur, – ripeté lui. – cerco Dur. – sì, Dur, DUr! Il maresciallo sospirò nuovamente e si concentrò sulla

tastiera.– c’è un signor Dur, sulla strada di Pornic. sarebbe

questo? – sì è lui, – fece lei soddisfatta. – Lo potrebbe chiama-

re per favore? – Ogni suo desiderio è un ordine, – ironizzò lui.Le tese l’apparecchio:– si può sapere che ruolo hanno questi Dur nella

faccenda?con un gesto Mary gli fece segno di tacere.– Pronto... signora Dur? sì? sono Mary Lester... Potrei

parlare con il signor Hermany? ah... sta ancora dormen-do... Ma forse potrebbe darmi lei un’informazione...

Dall’altro capo del filo, la signora Dur doveva perder-si in domande e spiegazioni. Mary fece un’espressioneseccata.

– Potrebbe dirmi, – domandò, – dove è sepolto il signorserge Bonnez?

– serge Bonnez? – ripeté la signora Dur.– sì, sa, l’amico di suo padre che è morto all’inizio del-

l’estate. – non è stato sepolto, – disse la signora Dur, – è stato

cremato... – ah, – disse Mary indispettita. – È sicura?

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– Eccome, – disse Françoise Dur, – io c’ero! Ma per-ché...

senza rispondere alle domande della sua interlocutriceincuriosita, prima di riagganciare, Mary disse:

– La ringrazio. – E si può sapere, – disse il maresciallo, – chi è questo

signor Bonnez? Lei levò su di lui uno sguardo spento:– Era, signor maresciallo. Lui ripeté docile:– chi Era questo signor Bonnez? Mary lo guardò senza vederlo e articolò con voce

angosciata:– L’uomo dalle dita blu...

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XX

Il mese di agosto volgeva al termine, le lezioni diMary Lester anche. Ormai era classificata con handicaptrentacinque, cosa che le permetteva di passare dal pitchand putt alle diciotto buche, dall’asilo al cortile dei gran-di. se avesse voluto abbassare questo handicap, avrebbedovuto partecipare alle gare e ottenere il punteggio piùbasso possibile.

Paul sergent le aveva posto come obiettivo di giocaresotto al cento, cosa che, da un sapiente calcolo, avrebbefatto scendere il suo handicap di due punti.

Ma Mary non aveva testa per il gioco. aveva rivistoDuhallier solo di tanto in tanto. Da quando era presidentedel circolo era entrato a far parte degli old members e gio-cava sul percorso grande nonostante non fosse riuscito apassare al secondo livello.

come aveva predetto il signor Hermany, i fedeli difen-sori della tradizione non avevano tardato a manifestarglifedeltà.

Quattro giorni dopo l’assunzione della presidenza,un’impresa pubblica aveva iniziato degli importanti lavo-ri al circolo. si trattava semplicemente di chiudere il per-corso dietro una barriera metallica alta tre metri.

I residenti che da sempre accedevano ai fairway dailoro giardini, avevano protestato animatamente. Ormaisarebbero dovuti entrare dalla club house, cosa cheimplicava, per alcuni, un giro di diverse centinaia dimetri.

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Ora, pur essendo il golf uno sport in cui si cammina, eil giocatore fa una decina di chilometri durante la sua par-tita, non sopporta però di percorrere cento metri per recar-si al tee di partenza.

nessuno aveva immaginato che si potessero sconvol-gere così, senza chiedere il loro parere, le abitudini di per-sone che si credevano intoccabili. con la nuova direzione,detto fatto! Duhallier aveva calmato i contestatori pren-dendo a pretesto gli ostacoli del colonnello e dell’ex pre-sidente e le incursioni del tipo che veniva con il suo gros-so cane a disturbare le partite.

a coloro che protestavano troppo aveva chiuso il beccodicendo che, se non erano contenti, potevano sempreandare a giocare da un’altra parte, nelle vicinanze nonmancavano circoli di golf pubblici.

Il disdegno era stato unanime e impotente. Esacerbati,i proprietari residenti passavano davanti al presidentesenza salutarlo.

Duhallier, impavido, li guardava come si guardanole vestigia di un’altra epoca, con curiosità mista apietà.

Mary a questo proposito l’aveva sentito parodiare Brelal bar: “non bisogna giocare a fare i ricchi quando non siha un soldo...”

Le chiacchiere al bancone avevano riferito questeparole ai loro destinatari pungendoli ancor più nel vivo dalmomento che esprimevano la dura realtà. Erano numerosicoloro che avevano ereditato la loro proprietà e che nonbeneficiavano più di redditi che gli permettevano di man-tenere il rango dei loro padri.

così, col passare del tempo, le ville delle vacanze ave-vano dovuto essere vendute a speculatori immobiliari chele avevano rase al suolo per edificare al loro posto edificia dieci piani.

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Questi decaduti potevano tranquillamente esporre i“nuovi ricchi” e i “parvenu” al pubblico ludibrio,Duhallier sapeva che tali amabili epiteti erano destinati alui e se ne infischiava altamente quanto della sua primasaldatrice. Lui aveva la grana, era il padrone. Tutto il restonon contava.

ce ne voleva di grana per recintare in quel modo uncentinaio di ettari. al bar avevano stimato la spesa sui treo quattro milioni.

Mary non aveva idea di quanto potessero costare simi-li lavori ma l’importanza dei mezzi messi all’opera lascia-va pensare che il conto sarebbe stato salato. Per un circo-lo che, qualche settimana prima, era quasi fallito, la spesapareva sorprendente.

nel parcheggio c’erano sempre la Ferrari rossa dell’a-gente assicurativo, la Porsche decappottabile di quello cheveniva chiamato “il commodoro” perché aveva unadiscoteca con questo nome, più le BMW e altre Mercedesdei liberi professionisti e dei grossi commercianti abituatia giocare in settimana.

Questi erano felici dell’arrivo di Duhallier perché cosìpotevano continuare a giocare come in passato, senza chela loro quota aumentasse.

nel fatto che il loro presidente fosse stato un exoperaio calderaio non trovavano niente di sconvenien-te. Dato che i soldi non hanno odore era meglio averea che fare con Duhallier che con un chirurgo senzaclientela...

arrivò il momento in cui Mary dovette rendere a Paulsergent i club che le aveva prestato. Gli altri stagisti ave-vano già fatto i loro saluti.

sul lungomare le macchine erano meno numerose eormai era più facile trovare un posto sulle terrazze chedavano sul mare.

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alla pensione “Les Mimosas”, gli inglesi erano partitie ormai il campo da tennis sotto ai pini non risuonava piùdei colpi sordi delle palle contro le racchette e dei gentiliapprezzamenti dei giocatori: “well done... sorry... net...out...”

alcuni tedeschi avevano rimpiazzato i britannici, leMercedes e le rover. Erano coppie di colossi rubizzi chenon giocavano a tennis. Passavano solenni, bardati dimacchine fotografiche e di videocamere. salendo nelleloro camere facevano scricchiolare la scala e, quandoattraversavano il corridoio davanti alla porta di Mary, leisentiva tremare il parquet.

aveva fatto i bagagli, tra due giorni sarebbe stata diritorno a Quimper dopo una missione di un mese a LaBaule. Di missioni così, malgrado lo spavento della sera incui una macchina aveva cercato di investirla, ne avrebbechieste altre volentieri.

Ufficialmente, Victoire Leblond era morta di mortenaturale. non si sarebbe andati a cercare oltre. Gli oldmembers avevano trovato che fosse stata una bella mortee tutti sembravano sollevati di essersi sbarazzati di quellasgradevole persona.

Prima di partire, le rimaneva una visita da fare.

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XXI

L’edificio della sIcO (società Industriale di Imbal-laggio dell’Ovest) si trovava in una zona commercialeall’entrata di nantes.

Mary chiese di essere ricevuta dal direttore. La segre-taria si era preoccupata di sapere che cosa vendesse, malei aveva eluso la domanda. Questioni personali.

– Vado a vedere, – aveva detto la giovane lasciando loschermo del computer.

Poi era ritornata dicendo che era spiacente, ma il diret-tore era in riunione e non poteva essere disturbato.

– Vuole parlare con il direttore commerciale? Il capore-parto? no? – In questo caso suggeriva a Mary di prendereun appuntamento, esponendo il motivo della sua visita.

Lei ringraziò, offesa di essere stata liquidata in quelmodo ma visto che non aveva ripreso il suo distintivo leera difficile forzare le barriere che le venivano poste.

ritornò pensierosa alla macchina, fece marcia indietrosenza neanche guardare dove andava e fu richiamataall’ordine da un deciso colpo di clacson.

si voltò e vide che aveva rischiato di urtare una motosulla quale stava per salire un bel tipo. abbassò il vetro perscusarsi e il giovane, vedendo che si trattava di una ragaz-za della sua età, esclamò ironico:

– Le ho fatto paura? Lei spense il motore, aprì la portiera e, mortificata,

chiese:– Ho rovinato la sua moto?

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Il ragazzo scoppiò a ridere:– non l’ha nemmeno toccata! Ma era ora di fermare

lei! E con un gesto della mano:– Oh! Ma dica, ha la testa tra le nuvole, mezzogiorno

si avvicina, sarebbe ora di svegliarsi! Teneva il casco in mano e mostrava un bel sorriso.Indicando gli edifici grigi e sporchi aggiunse:– Lei è come me, andare lì dentro la intristisce! – no, – disse lei, – speravo di poter incontrare il diret-

tore, sfortunatamente è occupato. Dovrò tornare. Lui esclamò:– Ma è sempre occupato! Lei non s’immagina quanto

impegno richieda l’imballaggio! – Lo conosce? – chiese.Lui scoppiò a ridere:– Eccome, è mio padre! – suo padre? – disse Mary improvvisamente interessata.– Eh sì, Paul Bonnez, terzo della dinastia, per servirla. Le tese cordialmente la mano. Lei la prese e si presentò

a sua volta:– Mary Lester... Lui la guardò incuriosito:– sperava di vendergli qualcosa? – non ho niente da vendere... – allora, perché voleva vederlo? non mi dica che è per

il piacere di conversare con lui, è un vecchietto semprebrontolone... Guardi, mi ha appena fatto una bella lavatadi capo...

Poi cambiò improvvisamente argomento:– Vuole venire a bere qualcosa da qualche parte? E prima che lei avesse il tempo di rispondere, decise:– Mi segua, conosco un piccolo bistrot tranquillo con

una terrazza sulla riva dell’Erdre.

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– allora, non corra troppo, – disse lei.Il ragazzo scosse la testa infilandosi il casco. La moto

era una potente yamaha rossa. sul portapacchi c’era unaracchetta da tennis nel fodero.

Il bistrot dove la stava portando era effettivamentemolto carino. Vi si accedeva seguendo un cammino che, altempo in cui le chiatte erano trainate da cavalli, dovevaessere una strada di allaggio. La casetta aveva quattrotavoli sulla terrazza sotto un pergolato di legno coperto dimuschio protetto da una vite.

Lei ordinò un tè, lui un caffè e quando furono serviti leichiese:

– Mi stava dicendo che le hanno appena dato una bellastrapazzata?

– come ogni volta che vengo qui, – disse. – Mio padrevorrebbe a tutti i costi che io prendessi il suo posto e chepassassi la mia esistenza a elaborare imballaggi per deter-sivi, torte o supposte! si immagina una vita con questolavoro?

Lei sorrise:– ci deve essere di peggio! Lui lo ammise:– Forse, ma per me quello sarebbe l’inferno! – E cosa non è l’inferno? – Bella domanda, – disse.Bevve un sorso di caffè e le domandò:– si può sapere che cosa fa nella vita? – studio Legge. – E questo a che cosa la porterà? all’avvocatura? La

magistratura? – Porta a ogni genere di cosa, a patto di uscirne. Il ragazzo fece una smorfia:– Bah! Il diritto non mi sarebbe piaciuto... – allora, mi dica cosa le piace, facciamo prima.

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– sto finendo la Maison-Alfort, – disse. – Ultimo anno. – Veterinario?– sì. E questo mi piace più dell’imballaggio.– Ma non piace a suo padre. Lui fece un gesto disinvolto con la mano:– che gli piaccia o no... comunque non riprenderò l’at-

tività tanto presto.– se lui ha l’età per andare in pensione, può sempre

venderla, – disse Mary.– Eh, mi sfinisco a ripeterglielo, ma ne fa una questio-

ne sentimentale. Fece finta di suonare il violino manovrando con osten-

tazione un archetto immaginario: – al tuo povero nonno, che si è ammazzato di fatica

per creare questa impresa, credi che faccia piacere veder-la passare nelle mani di sconosciuti?

Era così buffo nel dire così che Mary scoppiò a ridere.– E tu ridi, – esclamò lui con un tremolio nella voce, –

non hai cuore... Mary rise ancora di più e lui aggiunse:– sai quanto gliene importa al nonno, è morto, pace

all’anima sua, ha tribolato abbastanza in vita sua, lascia-molo in pace!

Mary cambiò argomento:– Gioca a tennis? – sì... e lei? – no. – a che cosa gioca? – a golf. Il ragazzo fischiò, ammirato:– cara mia! E poi chiese:– Da tanto tempo? – Un mese.

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– Un mese! allora è scusata! – Perché dice così? – Mio nonno ci giocava, mio padre ci ha giocato e per

forza voleva che ci giocassi anch’io. – E lei, – sorrise, – dato il suo spirito di contraddizio-

ne, lei non voleva! – Oh, mi ci hanno costretto quando ero ragazzino... – avrà un bell’handicap allora? – non c’è male, – disse lui con un accenno di sorriso.

– Ma sono più bravo a tennis. Il golf, ci sarà tempo, quan-do sarò vecchio! Ma, scherzi a parte, che cosa voleva dalre dell’imballaggio?

Lei eluse la domanda:– al Golf del Bois Joli ho conosciuto un amico di suo

nonno, il signor Hermany. Le dice niente? – Hermany, – disse, – mi chiede se Hermany mi dica

qualcosa! Ma è come il mio secondo nonno! Lo chiamopadrino, dato che è veramente il mio padrino e sua figlia,Madeleine, è una grande amica di mia madre. Dica un po’,è un duro il mio vecchio padrino. Gioca tutti i giorni a golf.

– È vero, – disse Mary, – è in forma smagliante e bevesolo coca-cola, come i suoi giovani partner. Perché giocasolo con i bambini!

– E le ha parlato di mio nonno? – sì, credo che gli volesse molto bene, la sua morte lo

ha veramente addolorato. Poiché il ragazzo, con gli occhi persi nel vuoto, non

diceva niente, precisò:– Gli è soprattutto dispiaciuto che suo nonno abbia

abbandonato la pratica del golf. Il ragazzo era improvvisamente diventato serio, quasi

preoccupato, cosa che contrastava con la sua naturale esu-beranza. Poi parve ritornare in sé, scosse la testa come perscacciare un brutto sogno e ritrovò il sorriso.

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– storie di vecchi, – disse. – Mi dica, dove pranzaoggi?

– Devo rientrare a La Baule, – disse. – sono finite levacanze, lascio il mio albergo domani.

– che barba, – disse, – proprio quando inizio le mie! – Lei inizia le vacanze a fine agosto? – sì, ho lavorato tutta l’estate, una sostituzione in un

parco zoologico. – c’è un parco zoologico qui?– non troppo distante, in Vandea. – così ha passato la sua estate a curare i leoni e le tigri?– Eh sì, e gli elefanti, le scimmie... È molto vario! sull’Erdre passavano dei canotti, portati a remi da atle-

ti col torso abbronzato. La prua affilata dei loro skiff fen-deva l’acqua verde respingendo una piccola onda di schiu-ma che andava a morire contro la pietra delle sponde.

Paul Bonnez guardò Mary con aria annoiata:– È un vero peccato che io non possa venire a La Baule

oggi pomeriggio, ho promesso... non terminò la frase e si immerse nelle sue riflessioni.– Ma forse stasera? – disse speranzoso. Era come un ragazzino che desidera una ricompensa.

Lei fece finta di non capire:– stasera cosa? – stasera potremmo cenare insieme! – Perché no, – disse lei con un lieve sorriso. Il ragazzo si alzò improvvisamente, pieno di un’e-

nergia traboccante, esibì il suo metro e novanta in unmodo tale che, a Mary, che era rimasta seduta, parve ungigante. Emanava da tutto il suo essere una vitalitàstraordinaria, un appetito e una gioia di vivere che,effettivamente, avrebbero avuto difficoltà a integrarsi inuna fabbrica di imballaggio dentro mura grigiastre inuna periferia industriale.

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Di colpo se lo immaginò su un campo da tennis, con laracchetta in mano, a infliggere all’avversario smash con laforza di un boscaiolo... non doveva essere facile giocarecontro Paul Bonnez. Pensò improvvisamente alle due cop-pie di vecchi inglesi che si scambiavano amabilmente lepalle al di sopra del nastro verde della pensione “LesMimosas”... c’era tanta differenza tra queste due conce-zioni del tennis quanta tra il misero gioco dei dilettanti delGolf del Bois Joli e gli swing pieni di eleganza e precisio-ne dei due caddie che avevano scelto i soprannomi di“nicklaus” e di “Ballesteros”.

anche Paul Bonnez, quando era ragazzo, si era sicura-mente identificato in un campione. come era soprannomi-nato? “Borg”? “McEnroe”?

Forse glielo avrebbe chiesto quella sera al “Papillonrose”, il ristorante dove avevano appuntamento per cenare.

Lo guardò allontanarsi sulla grossa moto rossa, zig-zagando abilmente tra le macchine e quando ebbe persodi vista il casco nero lucente sotto il sole, salì sulla suaauto e, pensierosa, riprese la strada per La Baule.

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XXII

nella hall della pensione “Les Mimosas” c’era un regi-stratore di cassa di legno verniciato come se ne trovavanoun tempo in qualsiasi esercizio commerciale tradizionale.

a Mary ricordava la macelleria della sua infanzia, dovea volte andava con sua nonna a prendere l’arrosto di vitel-lo domenicale. Il padrone era un colosso con il camicebianco macchiato di sangue. Portava il cappello a bustinaa pied-de-poule e dietro all’orecchio peloso aveva infilatauna grossa matita rossa con cui scriveva, dopo aver pesa-to, il prezzo della merce che faceva scivolare sul marmoliscio del banco verso la piccola aiutante, gridando convoce possente:

– Quattordici e cinquanta, alla cassa! E a quella cassa, giustamente, troneggiava la macel-

laia, pettinata con cura, molto truccata, ricoperta di bigiot-teria e profumata come una bambola da fiera.

Per essere all’altezza, si era issata su una sedia che cul-minava a altitudini inusitate. Da lì, dominava il negozio,vedeva chi entrava, chi usciva, sorvegliava i commessi,spiava l’impiegata per vedere che non mettesse due foglidi carta impermeabilizzata dove ne bastava uno, insommaera la torre di controllo della macelleria, l’argo dai centoocchi cui nulla sfuggiva.

La cliente metteva il denaro su una lastra di cuoio sca-nalata, lucente come il sole, la macellaia paffutella se neimpossessava con un sorriso soddisfatto e faceva scivola-re la moneta contando gli spiccioli:

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– ...E venti, centoe... Mary se lo ricordava, la donnona non sapeva pronun-

ciare bene “cento”, ci aggiungeva una e... ne aveva anco-ra il suono nell’orecchio, come quello della cassa chefaceva ding quando la si apriva o la si chiudeva.

Quel ding sembrava incantare il donnone, di cui sivedeva solo il busto formoso dietro alla cassa.

Incastrata tra questi due orchi, la piccola aiutante, ado-lescente gracile e pallida, era alquanto a disagio. Questacoppia terrorizzava la piccola Mary Lester. Il macellaionon si vantava forse di bere un bel bicchiere di sanguecaldo ogni mattina al mattatoio?

Jeanne e Marthe Bellair dovevano aver trovato quellacassa in qualche negozio di anticaglie. Ben lucidata.Illuminata da una graziosa lampada con portalume, ravvi-vata da un mazzo di fiori di campo, non faceva più la stes-sa impressione di una cassa da macelleria.

Marthe Bellair, la più anziana delle due sorelle, nonaveva lo stesso aspetto goffo e ridicolo della macellaia.Vestita di nero, con un colletto bianco immacolato, era diun’eleganza discreta e aveva quell’atteggiamento riserva-to che un tempo veniva insegnato alle ragazze di buonafamiglia negli istituti religiosi di fama.

Quello che ci si guadagnava in savoir-vivre e in sorri-dente cortesia lo si perdeva in modernità. L’informaticanon aveva ancora invaso la pensione “Les Mimosas”. sulsuo bancone, la signorina Marthe, come la chiamava lavecchia cuoca, aveva un registro dove scriveva a penna.c’era un calamaio e anche un cuscinetto per timbri muni-to di carta assorbente verde.

Quando scriveva sui registri, la signorina Marthe, con lafronte corrugata e gli occhiali a pince-nez ben fissati, siapplicava nella calligrafia cosa che le doveva essere valso ilpremio di scrittura al convento Oiseaux; si prendeva il suo

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tempo per formare i pieni e i filetti e per ben allineare le cifrenelle colonne del libro dei conti. se per fare i conti usava unavecchia calcolatrice con il rotolo di carta, si sentiva il rumo-re fino in giardino; era l’unica concessione che faceva al suocontabile che le domandava di allegare la striscia stampataper il bilancio. Ma lei rifaceva sempre i conti a mente percontrollare che la macchina non si fosse sbagliata.

Questa era la signorina Marthe Bellair, addetta ai contialla pensione “Les Mimosas”. La sorella più giovane,Jeanne, si teneva nell’ombra di fronte alla maggiore, ma sioccupava delle questioni economiche, del giardino, dellecolazioni.

Le due signorine erano rimaste un po’ sorprese quandoMary si era presentata per prendere possesso della suacamera. Dato che aveva prenotato per telefono, non sierano immaginate che la loro nuova ospite fosse così gio-vane. con un nome simile forse avevano pensato di averea che fare con una professoressa in pensione, dato cheerano solite ricevere una clientela in età matura.

avevano immediatamente temuto, ospitando unaragazza, di veder un po’ turbata la serenità della pensione.

E immediatamente, con aria una po’ altezzosa, lasignorina Marthe aveva precisato a Mary “che non erapossibile ricevere visite di notte” (sottinteso di uomini) edurante la prima settimana la sua sorveglianza era stata incostante allerta.

Poi, vedendo che la ragazza si conformava al regola-mento della casa, che non disturbava con musica “da sel-vaggi”, era diventata amabile.

– c’è un messaggio per lei signorina Lester, – disse aMary.

E le porse un bigliettino sul quale aveva annotato concura: “La signorina Lester è pregata di richiamare il com-missario Fabien”.

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La parola “commissario” le aveva fatto storcere ilnaso, ma era troppo educata per chiedere di quale com-missario si trattasse. comunque Mary si era accorta che lasua curiosità si era risvegliata. Mentì allegramente:

– È il mio tutore! È commissario della repubblica innuova caledonia. Doveva arrivare in questi giorni!

La brava signorina aveva la lacrima facile. La parola“tutore” non stava forse a indicare che la ragazza eraorfana?

– sarà contenta, – disse.– Oh sì, infatti, – esclamò Mary. – Per favore, signora,

mi faccia il conto per domattina. – conti su di me, – disse la signorina Marthe.E, falsamente preoccupata, chiese:– Ha passato un soggiorno piacevole?– Meraviglioso, – disse Mary. – abitate in un posto

magico! ah, me ne ricorderò! Una vena di nostalgia attraversò improvvisamente lo

sguardo umido della vecchia signorina. anche lei neaveva di ricordi in quella vecchia dimora. ricordi di untempo in cui La Baule-les-Pins meritava ancora il suonome e in cui dalle finestre della villa familiare si vedevail mare. Forse aveva fatto delle formine di sabbia sull’im-mensa spiaggia, allora deserta, sotto la sorveglianza digovernanti di classe... Forse aveva navigato in quella baiasu di una bella barchetta verniciata condotta da un mari-naio locale chiamato per la stagione... Forse il vecchiotennis, dove il verde del muschio contrastava con la terrarossa, aveva risuonato delle allegre partite giocate tracugini e cugine... Forse... Tutto questo era così lontano...

Mary la strappò ai suoi ricordi:– Devo fare diverse telefonate, – disse. – Posso usare il

telefono nella hall? – certo, – disse la signorina Marthe.

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curiosa concessione al modernismo in quell’edificio doveil progresso sembrava essersi fermato all’invenzione dellapenna a sfera, quell’apparecchio era il “punto telefonia” chefunzionava con le monetine; prima di usarlo Mary fece prov-vista di spicci presso la vecchia signora. Poi, munita di unelenco telefonico, cercò i numeri che desiderava chiamare.

Il ristorante dove Paul Bonnez aveva dato appunta-mento a Mary si trovava sulla spiaggia. Lei non ci avevamai mangiato perché sembrava essere il luogo di raccoltadi tutti i giovani “alla moda” della stazione balneare e nonera una compagnia che lei apprezzava particolarmente.

Era lì che ci si ritrovava prima di andare a ballare indiscoteca o a una festa privata alla quale era sconvenientearrivare troppo presto.

Paul Bonnez sembrava essere molto popolare lì. Dava deltu al padrone che chiamava “Paulo” e i camerieri sembravanoconoscere i suoi gusti. Gli era stato riservato un tavolo in unangolo dove una vetrata proteggeva le persone che cenavanodalla sabbia. aveva telefonato per prenotarlo o era prenotatoper tutta la stagione? Difficile a dirsi, comunque, il campionedi tennis sembrava essere un personaggio di spicco del locale.

Quasi tutte le persone che entravano venivano a salu-tarlo guardando Mary con curiosità.

– cha faccia che fa! – disse lui ridendo.– Ho l’impressione, – disse lei, – di essere un pesce in

un acquario, una specie di bestia rara che tutti vengono aguardare da vicino.

– Lei incuriosisce, – disse, – nessuno la conosce a LaBaule.

– non come con lei, – replicò. – Lei conosce tutti e tuttila conoscono...

– sarebbe preoccupante, – disse, – la mia famigliapassa le vacanze qui da mezzo secolo. Ho imparato ad

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andare sulla iole con i fratelli Pajot, a giocare a tennis conPatrice Dominguez e a cavallo con un maestro ungheresedi cui non riesco mai a pronunciare il nome.

– E a golf, – continuò lei, – con Paul sergent. I miglio-ri in tutto, non è vero?

– comunque non i peggiori, – concesse con un gransorriso.

Mary aveva davanti a sé uno degli esemplari più rappre-sentativi della gioventù dorata, convenzionalmente considera-ti “fortunati dalla nascita”: un giovane uomo moderno, sicurodi sé, che conosceva la crisi solo attraverso i giornali che leg-geva di tanto in tanto e a cui il futuro non faceva paura.

Gli studi, la posizione sociale della sua famiglia, il fisi-co da atleta e una salute ottima gli permettevano di guar-dare alla vita con fiducia.

– Mi ha detto, – fece lui, – che è a La Baule da unmese, ma io non l’avevo ancora mai vista!

Mary rotolava una pallina di pane sulla tovaglia. nonc’era bisogno di fare conversazione, Paul Bonnez aveva laparlata facile.

– non va mai al casinò? – ci sono passata, – disse, – ma quando ho visto tutta

quella gente attaccata alle slot machine, non ho più avutovoglia di restare.

– non era di questo che volevo parlare, – disse, – nonè mai scesa all’“Indiana”?

– ah, la discoteca? Mary ne aveva visto l’entrata, raffigurante un mauso-

leo più o meno Inca, costruito con pietre dorate.arricciò il naso:– Le discoteche non fanno per me... – E che cosa fa per lei? – Gliel’ho detto, sono venuta per riposarmi e per segui-

re uno stage di golf.

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La guardò, diffidente:– così? Da sola? – non è meglio per riposarsi? – Parla come una vecchietta! E la sera, che cosa face-

va? Giocava a scarabeo con gli ospiti della pensione “LesMimosas”?

– È capitato, – disse sorridendo. – Ma soprattutto ho letto.non gli andava certo a raccontare le sue spedizioni not-

turne al Golf del Bois Joli.– Bisogna divertirsi di tanto in tanto! – disse Paul

Bonnez cercando di essere convincente. – Forza, stasera lainvito all’“Indiana”. Vedrà, ne vale la pena.

Mary fece un’espressione scettica che lui non notò,troppo occupato a ordinare un vassoio di frutti di mare perdue. I frutti di mare le andavano bene, ma andarsi a dime-nare in una cantina surriscaldata al suono di una musicademenziale, non la ispirava proprio per niente.

Insomma, si disse, ogni cosa a suo tempo: prima i frut-ti di mare, poi per l’“Indiana” si vedrà...

– E ora, – disse Paul Bonnez, – se mi dicesse che cosal’ha spinta a venire a passare le vacanze a La Baule?

– Il golf... – nient’altro che il golf? Lei lo guardò sorridendo:– niente altro che... Poiché lui non sembrava molto convinto, precisò:– È già da molto che volevo cominciare... Leggevo

delle riviste che mi facevano sognare da tempo. È statotramite queste che ho saputo che Paul sergent era uno deimigliori insegnanti dell’Esagono8.

Lei sorrise nuovamente:

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8 L’Hexagone: la Francia, i cui contorni geografici ricordano laforma di un esagono.

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– se uno vuole imparare è meglio farlo bene.– Questo è sicuro, – disse Paul Bonnez, addentando

uno scampo. – Ma nella vita non esiste solo il golf! – Per alcuni si direbbe di sì, – disse. – ne ho imparate

di cose in un mese! – Quali cose? – domandò lui subito diffidente.Il suo gesto per prendere un’ostrica si era fermato

sopra il vassoio.– alcune cose... – disse misteriosa. – E d’altra parte,

durante il mio soggiorno al Bois Joli ne sono anche suc-cesse di cose! Il colonnello è stato aggredito, la signoraLeblond ha tirato le cuoia alla buca numero sette...

Paul Bonnez era impallidito, spremeva il limone a latodell’ostrica.

– non ne sia troppo dispiaciuto, – disse lei in tono leg-gero, – non era una persona molto interessante...

– Perché mi dice questo? – fece Bonnez con vocestrozzata.

– La signora Leblond ha portato parecchie offese allasua famiglia, vero?

– Gliel’ha raccontato il signor Hermany? Mary assentì col capo e chiese:– non avrebbe dovuto? Il ragazzo alzò le spalle come a dire di non saperlo.– se non fosse stato lui... – sarebbe stato qualcun altro, – completò lei. – al cir-

colo tutti erano al corrente. Vide le sue grandi mani stringersi e lei lo sentì borbottare:– stronza! – La detestava vero? – Tutti la detestavano! aveva quasi urlato, disturbando il piacevole ronzio

della sala da pranzo. calò il silenzio e tutti gli occhi sigirarono verso di loro.

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– si calmi, – disse lei, – è morta. Le grandi mani si aprirono:– sì... – Lei voleva molto bene a suo nonno, – disse. – Era

una constatazione, non una domanda. – Oh, sì! – sospirò il ragazzo.–E il giorno in cui, a seguito della malvagità di Victoire

Leblond lui ha smesso di giocare, ci ha rinunciato anche lei.Tentò un misero sorriso ma senza convinzione. – sì... e ho giocato solo a tennis.La guardò da sopra il lungo vassoio dove, su di un letto

di alghe, granchi e crostacei scarlatti aspettavano il suppli-zio della maionese in compagnia di ostriche madreperlacee.

– chi è lei, signorina Lester?– Per lei, solo una studentessa in vacanza. Mary prese un pezzetto di burro con la punta del col-

tello e, indicando il vassoio, lo incoraggiò:– Forza, non abbiamo ancora finito!Ma Paul Bonnez sembrava aver completamente perso

l’appetito, qualsiasi slancio. Lei ironizzò:– certo che quella maledetta Victoire le fa sempre

effetto, anche a titolo postumo! Mary gli prese la mano, la scosse:– allora vecchio Paul, coraggio! non lascerà mica che

me la veda con tutte queste bestiole! agitò il suo bicchiere:– Forza, muoio di sete! Lui la guardava con un’espressione ambigua.– Mi serva, – disse lei ancora, – e le racconterò una sto-

ria. non so raccontare quando ho sete! Paul prese la bottiglia di Muscadet immersa in un

cestello di acqua mista a ghiacchio e la servì.Lei lo incoraggiò:– Forza, beva un bicchiere, ne avrà bisogno!

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XXIII

– c’era una volta... – disse lei.Era nell’ufficio del commissario di nantes in compa-

gnia di un altro commissario, armand Fabien in persona,venuto da Quimper a recuperare la sua investigatrice dipunta e, già che c’era, a salutare il suo vecchio amicoGraissac.

– scusi, – disse Graissac, disorientato dal preambolo.– Ho una storia da raccontarle, – disse Mary. – E le

belle storie iniziano sempre con “c’era una volta...”L’ispettore guardò l’amico come per chiedergli:– È sempre così? Fabien allargò le mani con una piccola contrazione

delle labbra per evidenziare che, in effetti, l’ispettoreLester non aveva sempre dei modi ortodossi, ma l’espe-rienza gli aveva insegnato che in situazioni simili biso-gnava solo lasciarla fare.

Perciò la lasciarono fare.– c’era una volta un circolo privato che si chiamava il

Golf del Bois Joli. Era stato creato tanti anni fa da alcuniamici amanti di questo sport. Era in quei tempi benedetti,in cui i patrimoni erano importanti, i terreni a buon mer-cato e gli stipendi ridicoli. La stazione balneare di LaBaule stava nascendo e la borghesia ci si faceva costruiresontuose ville dove nella bella stagione veniva con il pro-prio autista, la cuoca, alcune cameriere e istitutrici, unequipaggio per la barca, uno scudiero per i cavalli, unamezza dozzina di giardinieri...

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Guardò i due uomini:– ...sicuramente dimentico qualcuno... Mezzo secolo

dopo il lungomare è irriconoscibile. Le eleganti ville di LaBaule-les-Pins hanno fatto largo a giganteschi edificiriservati ai vacanzieri ricchi, al punto che non sembra piùdi stare in Francia ma in Florida. I patrimoni dell’ante-guerra sono crollati, un nuovo popolo di villeggianti siriversa sulla costa, avido di conoscere i tanto invidiati pia-ceri di questi borghesi. Tutti possono andare in barca oiscriversi al tennis e persino al golf... In questi circoli,dove ora la manutenzione del terreno costa talmente carache gli old members, come loro stessi si chiamano, per farfronte alla spesa, sono costretti ad accettare i nuovi mem-bri, provenienti da classi sociali che loro disprezzano, madi cui hanno bisogno per riequilibrare il loro bilancio. Traquesti ci sono il signore e la signora Leblond. se il signorLeblond, direttore dei servizi fiscali del dipartimento, è unometto insignificante, sua moglie è una vera peste che tuttitemono. non ha forse mandato un’ispezione a casa di unmembro del circolo che si rifiutava di scrivere sulla suacarta segnapunti quello che lei desiderava?

Lo sguardo interrogativo del commissario Fabienandava da Mary a Graissac. E Graissac, imbarazzato,guardava le sue dita con attenzione.

– signorina Lester, – disse, – l’ho fatta venire per avereinformazioni su...

– ...su un eventuale rete di trafficanti di droga, sissi-gnore. ci sto arrivando... Quest’uomo, il signor sergeBonnez, era conosciuto al circolo, di cui era stato uno deifondatori, come “l’uomo dalle dita blu”.

– Il signor Bonnez, – disse Graissac sospirando, –ormai ha lasciato il circolo da più di tre anni.

– È vero, – disse Mary, – ed è morto all’inizio del-l’estate...

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Graissac allargò le mani come per dire:“allora perché viene a scocciarci con questo povero

serge Bonnez?”– Devo dirle, – fece Mary girandosi verso Fabien, –

che il signor Bonnez, a seguito di maltrattamenti neicampi nazisti...

– Può chiamarle torture, – fece Graissac.Mary lo guardò e rettificò:– a seguito di torture, serge Bonnez aveva perso il pol-

lice e il mignolo della mano sinistra. Inoltre, da quello chemi ha detto il suo amico il signor Hermany, il sangue nongli circolava più nelle tre dita restanti, così che, al primofreddo, le sue dita diventavano blu. Il signor Bonnez eraquindi conosciuto come “l’uomo dalle dita blu”.

– E poteva giocare a golf con tre dita? – si stupì Fabien.– con la forza della volontà sì, – disse Graissac.– Fino al giorno, – disse Mary, – in cui Victoire

Leblond inviandogli, tramite suo marito, una squadra diispettori, l’ha costretto a rinunciare al suo sport nel circo-lo dove aveva tutti i suoi amici.

– E allora? – domandò Fabien.– allora ne sarebbe morto, – disse Mary.– ne è morto, ne è morto, è presto detto, – fece

Graissac. – Bonnez aveva comunque quasi novant’anni! Èabbastanza vecchio per diventare un cadavere!

– certo, – disse Mary, – è per questo che ho usato ilcondizionale. comunque, la famiglia, i suoi amici, nonperdonarono a Victoire Leblond di aver rovinato gli ultimianni del vecchio. E uno di loro ha avuto un’idea diabolicaper vendicarsi di quella che tutti al Bois Joli chiamavanola “pazza”...

I due uomini guardavano attentamente Mary.– Lo so perché l’ho constatato io stessa, – disse, –

Victoire Leblond aveva l’abitudine di giocare da sola la

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mattina presto. Qualcun altro, oltre a me, l’aveva potutoconstatare. Per fare un brutto scherzo, qualcuno avevamesso nella buca numero sette, quella da cui Victoire ini-ziava il percorso, una mano dalle dita blu.

Graissac scosse la testa con impazienza:– Questo è da dimostrare! – disse. – chi ha visto que-

sta mano a parte lei? – La signora Perenno! – no! – disse Graissac. – Da quello che hanno detto gli

agenti la signora Perenno ha dichiarato che il suo caneaveva riportato una zampa di pollo. non ha parlato di unazampa di colore blu!

si girò verso Fabien:– In ogni caso, visto che il cane se l’è mangiata... Fece un gesto d’impotenza:– allora... – allora, lei deduce che Victoire Leblond sia morta per

un attacco cardiaco e che non c’è motivo di andare a cer-care oltre, – fece Mary.

– Ha visto i risultati dell’autopsia, – disse Graissac.– sì, – disse Mary, – e si figuri che sono della sua stes-

sa opinione: non c’è motivo di andare a cercare oltre,punto!

Graissac si mise a ridere, di un riso che suonava falso:– allora, arriviamo alla mia droga? – non ancora! Da quando ho parlato della mano blu,

passo per una fuori di testa! Gli agenti ridono, i membridel circolo ridono e i commissari ridono!

– In effetti, – disse Graissac con un ampio sorriso.– ce n’è solo uno che non ride, – disse Mary.– chi sarebbe? – domandò Graissac.Mary si piegò in avanti e lo guardò negli occhi:– colui che ha messo questa famosa mano nella

buca!

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Graissac levò le braccia al cielo, come per dire:“rieccoci, ricomincia!”; Fabien, che conosceva la piccolaLester, si era fatto di colpo attento.

– E chi è? – domandò.– non ve lo dirò. La mascella di Graissac rischiò di cadere sul tavolo.

Mary lo guardò con il suo sorriso più grazioso:– La signora Victoire Leblond è morta per un attacco

cardiaco, morte naturale. non c’è motivo di andare a cer-care oltre, le pare commissario?

ci fu un momento di silenzio, poi lei annunciò:– Vi confiderò alcune supposizioni. Immaginate di

voler fare un brutto scherzo a Victoire. Mettere la mano diun uomo che lei ha contribuito a spedire ad patres in unabuca dove lei inevitabilmente infilerà la mano è un’ideaoriginale, vi pare?

– Lei vorrebbe dire che qualcuno avrebbe tagliato lamano del cadavere per farla scivolare nella buca? – chie-se Graissac inorridito.

– È ciò che ho creduto per un po’, – disse, – ed è anchequello che ha creduto Victoire. a meno che non abbia pen-sato che Bonnez, come ricompensa per le sue cattive azio-ni, fosse uscito dalla tomba per portarcela... Possiamoimmaginare tutto, dato che non sapremo mai cosa ha pen-sato lei in quella frazione di secondo in cui ha scoperto lamano ed è morta. riflettendoci, non è per niente realistico.non ce lo vedo qualcuno del giro di serge Bonnez ampu-tare la mano dalle tre dita, poi conservarla in un congela-tore tra i ghiaccioli alla fragola e le vaschette di spinaci.

– allora? – domandò Graissac.– Mi sono detta, – fece Mary, – che tutto questo aveva

il sapore della burla di uno studente in medicina. allora hocercato in quella direzione.

Graissac rifletté, poi disse:

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– non ci sono studenti di medicina nella famigliaBonnez.

– no, – disse Mary, – ma c’è un futuro veterinario. – santo cielo! – esclamò il commissario. – Il piccolo

Paul! – Piccolo, non tanto piccolo, – disse Mary, – se non è

alto un metro e novanta voglio assolutamente esserenominata al Val Fourré9!

– si dice “il piccolo” per distinguerlo dal padre, – feceGraissac. – Dai Bonnez, tutti i primogeniti si chiamanoPaul. Lei quindi pensa che “il piccolo” Paul sia responsa-bile della morte di Victoire Leblond?

– suvvia commissario, – ironizzò Mary, – VictoireLeblond è morta di morte naturale! Tutti lo sanno questo!non c’è nessun responsabile da cercare! Tuttavia, c’eraproprio una mano, una mano con tre dita e tre dita blu pergiunta, nella buca numero sette.

– allora, per concludere, – domandò Fabien, – ditaumane o zampa di pollo?

– né l’una né l’altra, – disse Mary.Poiché i due commissari la fissavano, domandandosi

che altro poteva ancora tirare fuori, scandendo bene leparole Mary annunciò:

– nella buca numero sette c’era una zampa di scimmia.Di scimpanzé, per essere precisi.

I due commissari si guardarono senza dire nulla, ognu-no sembrava lasciare all’altro la responsabilità di reagiree, dato che nessuno sembrava volerlo fare, Mary continuò:

– andando a nantes per incontrare il signor Bonnez,figlio del defunto, ho fatto casualmente la conoscenza diBonnez nipote...

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9 Quartiere popolare cosiddetto “sensibile” di Mantes-la-Jolie.

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– E non ha potuto incontrare il padre? – chieseGraissac.

– Esatto, – disse lei, – è un uomo molto occupato... Incompenso l’incontro con il figlio mi ha consegnato la chia-ve dell’enigma. “Il piccolo” Paul Bonnez, come dice leisignor Graissac, è veterinario. Quest’estate ha lavorato inun parco di animali in Vandea... Ora, in questo parco, que-st’estate, c’è stato un decesso... Quello di Jack, uno scim-panzé, il più anziano degli ospiti. Morto di vecchiaia, ilpovero Jack... sa chi l’ha assistito nei suoi ultimi momenti?

Guardò alternativamente i due uomini e, trionfante,disse:

– “Il piccolo” Paul, per l’appunto, che non ha potutofare niente per il povero Jack che durante la sua vita avevaabusato di zucchero e noccioline... sapete che cosa si fadegli animali morti in simili circostanze?

– Vengono cremati? – azzardò Graissac.– Esatto, – disse lei, – come gli uomini. Il corpo da

smaltire viene rinchiuso in un sacco di plastica e dato allefiamme.

– E, – disse Fabien, – tocca al veterinario del parcooccuparsi di questa cosa.

– Giusto... comunque, prima di mettere Jack sul rogo,“il piccolo” Paul gli ha tagliato la mano destra... ha persi-no amputato alla povera vecchia scimmia il pollice e ilmignolo... ha rasato accuratamente le dita prima di dipin-gerle di blu...

a parte i rumori nel corridoio, non si sentiva volare unamosca.

– Ed è questa mano che Victoire ha trovato nella buca,– disse infine Graissac.

– Proprio così, – fece lei trionfante.Il commissario di nantes aveva l’aria abbastanza

annoiata.

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– È stato lui a dirglielo? – domandò.– Ma no, – disse lei vivacemente, alzandosi, – mi sono

immaginata tutto! È solo un’ipotesi capo, lo sa, Victoire èmorta di morte naturale!

Lo ripeté scandendo le sillabe e fissandolo con occhimaliziosi:

– naTUraLE! – ah... – fece Graissac confuso, – e per il resto... – ah sì, il resto, – disse disinvolta. – Mi dispiace ma su

questo ho solo delle ipotesi... Tornò a sedersi e lisciò i pantaloni:– Lei cerca un “pezzo grosso” della droga? Le dico il

nome: rober Duhallier. – Il presidente? – balbettò Graissac.– In persona. – Ha delle prove? – Evidentemente no! Gliel’ho detto, ho solo ipotesi.

secondo me è da molto tempo che Duhallier sguazza inaffari di questo genere.

– che cosa glielo fa pensare? – Le ricchezze colossali mi sembrano sempre sospette,

e quando vengono accumulate in pochi anni, i miei sospet-ti aumentano. ritorniamo, se vuole, sulla professione diDuhallier.

– calderaio, – disse Graissac.– Esatto, calderaio... Ma un calderaio un po’ particolare

comunque poiché la sua arte non si esercita più sui paiolibucati, agli angoli delle strade, come l’immaginario collet-tivo si diverte a rappresentare questa professione, ma sudelle cisterne di diverse migliaia di metri cubi. Immaginiche, da qualche parte là dentro, un abile artigiano effettui undoppio fondo... chi potrebbe accorgersene? non dimentichiche le società che gestiva Duhallier avevano filiali nei portidi tutto il mondo e in particolare in america del sud.

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– Vuole dire che... – fece Graissac.non terminò la sua frase, lo fece Mary:– Immagino sempre commissario, non dimentichi che

ho solo supposizioni da offrirle. Poi, sarà lei a farne ciòche vuole. Immagino, dunque, che delle navi cisterna,metaniere o porta container di tutto ciò che vuole abbianodei nascondigli sistemati nella struttura originaria, posso-no caricare droga nei paesi produttori, li conosciamo...

– Ma arrivati qui vengono ispezionati dalla dogana, –obiettò Fabien, – e, che che ne dicano le persone malinformate o mal intenzionate, i ragazzi della dogana sonotipi che conoscono la musica!

– È qui che subentra il Golf del Bois Joli, – disse Mary.Graissac aggrottò le sopracciglia come se fosse stato

scontento. Mary lo notò e gli disse:– Lei mi aveva chiesto di indagare sulla relazione che pote-

va esserci tra il suo circolo e questo traffico? Ecco dunque ciòche penso io, ancora una volta starà a lei verificarlo: arrivata alconfine delle acque territoriali, la nave trasportatrice scarica lamerce su una nave più piccola. Questa può essere un pesche-reccio, un battello veloce, una barca a vela, poco importa.

– se ci sono delle barche sorvegliate sono proprio que-ste! – esclamò Graissac. – appena arrivano in porto...

– Infatti arrivano nel porto vuote, – disse Mary.– E il loro carico? – Volato via! – Volato via, così, – disse Graissac agitando le mani. –

Veramente, signorina Lester... – Volato via in aereo signore. – Volato con l’idrovolante allora, – disse Fabien.– Esattamente! – Ma, – disse Graissac, – il problema resta intatto.

Questo idrovolante bisognerà pure che atterri. E doveatterra si ritrova per forza la dogana!

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– Lo so, – disse Mary, – la dogana si trova ovunque edè più temibile di quel che si pensi... Ora, supponete chequesto idrovolante sia un ULM... carica la merce in maree arriva di notte col motore spento, plana e atterra su unasuperficie d’acqua. nessuno lo sentirebbe...

– Bisognerebbe che ripartisse, – disse Fabien, – eallora...

– E allora farebbe rumore, – disse Mary. – Ma a questopunto ci sono due possibilità: può decollare all’alba, nelmomento in cui vengono messi in funzione i tosaerba delgolf e nessuno nei dintorni si stupirebbe di un rumore inpiù, oppure si può smontare e farlo ripartire in un camion-cino, alla chetichella!

Fabien guardava Graissac e Graissac guardava Fabiencon l’aria di dire: “non è così stupida!”

– Perché lei pensa che atterri... – sulla superficie d’acqua vicino al deposito dei giar-

dinieri, sì signore. – santo cielo! – esclamò Graissac come se improvvi-

samente intravedesse prospettive alle quali non aveva maiosato pensare.

– nel deposito dei giardinieri, – disse Mary, – c’è unaofficina meccanica che può perfettamente servire a questotipo di operazione. – E aggiunse: – L’essenziale è nonessere visti all’atterraggio, cosa che non rischia più diaccadere ora che il circolo è completamente circondato datre metri di recinzione.

– E la merce secondo lei dove verrebbe nascosta? –domandò Graissac.

Mary rispose con un’altra domanda:– Ha mai visitato il capannone dei giardinieri? – no. non andava certo al circolo per visitare i locali di

servizio!

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– Ebbene, dovrebbe farlo. Lì ci sono centinaia di sac-chi di concime, funghicida, pesticida, semi... c’è un odorepiuttosto forte. secondo me ci si può nascondere ciò chesi vuole.

si alzò:– Ecco fatto... Deve solo aspettare la stagione delle

pioggie... – La stagione delle piogge, – disse Graissac, – perché? – Perché secondo me, commissario, quell’ULM si posa

sull’acqua poiché va a prendere la droga in mare. E inquella stagione con tutto quello che è stato attinto dal baci-no grande per innaffiare i fairway, il livello è troppo bassoper permettergli di essere usato con questo scopo.

– E secondo lei la droga come ripartirebbe? – doman-dò Graissac.

– non sono certo i mezzi che mancano, – disse Mary.– Passano centinaia di persone a settimana su quei fairwaye tra di loro, così mi ha detto lei, ci sono persone chehanno locali notturni, altre che girano in Ferrari senza chesembrino averne i mezzi, persone con importanti legamipolitici, difficili da sospettare e ancor più da perquisire. Epoi gli ex ricchi che non vogliono diventare i nuovi pove-ri, gli ex poveri che vogliono diventare nuovi ricchi... nonc’è che l’imbarazzo della scelta...

Graissac sospirò:– non sarà facile. Insomma, la devo ringraziare, ispet-

tore, zitta zitta ha fatto comunque un buon lavoro. – E le aggressioni? – chiese Fabien.– Le aggressioni? – domandò Mary, con la mente altrove.– sì la sua disavventura con la bicicletta, il colonnello,

il presidente colpito come un volgare coniglio... Mary respirò profondamente. non aveva dimenticato

la grande paura quando la macchina rossa le era piombataaddosso.

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– sono convinta, – disse, – che quando interroghereteil personale della tenuta di “chêne Tortu”, il misteriosofortino in cui nessuno è mai entrato, troverete la spiega-zione e l’autore delle aggressioni. Ho intravisto diversevolte uscire dalla proprietà un fuoristrada della Toyotaguidato da un tipo che potrebbe forse fornire spiegazionia questo riguardo. Tutto quello che posso dirvi è cheindossa sempre dei ray-Ban e che ha i capelli tagliaticorti, come piacciono nell’esercito.

– Hum... – fece Graissac dubbioso, – non è facile farparlare quel tipo di ragazzo.

– È affar suo, – disse Mary.– Insomma, vedremo a suo tempo. comunque la rin-

grazio, ispettore Lester. non succedeva spesso che a Mary venisse riconosciu-

to il suo vero titolo. Il commissario le tese la mano.Lei gliela strinse e domandò a Fabien:– La aspetto fuori? – sì, – disse il commissario, – ne ho per due minuti. allora sorrise a Graissac:– Mi tenga aggiornata commissario!

JEan FaILLEr

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XXIV

Mary entrò nell’ufficio che divedeva con Fortin alcommissariato di Quimper. Il collega stava sistemando deifascicoli; senza convinzione, con aria disgustata.

– ciao! – disse lei.Fortin alzò gli occhi su di lei e il suo volto si illuminò

all’istante di un gran sorriso:– accidenti, Mary! Fortin aveva difficoltà a iniziare una frase senza un

“accidenti”. La squadrò dalla testa ai piedi e fischiò, conammirazione:

– accidenti, torni da Miami? – Quasi, – disse.– Ma sei abbronzata quanto mai! non dirmi che lavo-

ravi! – Eh sì, caro Fortin. – non sarà stata troppo dura? – sì, – disse lei, – terribile! Ho dovuto giocare a golf

tutti i giorni, bere drink al bar del circolo... – E a parte questo? – fece lui sarcastico.– Mah, – fece lei, – spiaggia, bagni, giri in bicicletta

lungo la strada panoramica, piccole abbuffate la sera alporto del croisic, i tramonti sulle saline... ah Fortin, lesaline! Dovresti vederle, vecchio mio!

– se il capo mi paga la pensione, non dico di no. E aparte questo, rimorchiare?

Lei scoppiò a ridere:– Hai ragione, rimorchiare, me ne stavo dimenticando.

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– Ha funzionato?– sì, tanto che il tipo ha creduto che fossi una studen-

tessa in Legge. Quando ha saputo che ero uno sbirro... – È rimasto senza parole, – disse Fortin.– sì, – disse. – senza parole e senza appetito. Mi aveva

invitato per degustare un vassoio di frutti di mare, e dicolpo ho avuto l’impressione che le sue ostriche non fos-sero fresche. Lui che voleva a tutti i costi portarmi a bal-lare, non ha nemmeno preso il dessert, se l’è svignatacome un ladro.

– Forse era un ladro! – Peggio! Mary roteò gli occhi:– Un assassino! Poi aggiustò il tiro:– Insomma, quasi. – E l’hai lasciato andare? – sì, – fece, – era un così bel ragazzo! sarebbe stato un

peccato farlo ammuffire in galera. sospirò:– Insomma, aveva pagato il conto! – E che faceva questo tipo? – Il veterinario, caro Fabien, e in più è erede di una

famiglia d’industriali. – sono sicuro che aveva un debole, – disse Fortin, che

nonostante il suo aspetto ridicolo da giocatore di pallaca-nestro americano e le sue arie da spregiudicato, aveva uncuore da sartina.

Lei alzò le spalle:– Forse, ma io volevo sapere la verità sulla storia del-

l’uomo dalle dita blu... – Dalle che? – domandò Fortin aggrottando le soprac-

ciglia.In quel momento squillò il telefono. Mary rispose e disse:

JEan FaILLEr

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– arrivo subito... Poi a Fortin.– Il capo... Ti racconterò dopo. La guardò uscire, confuso, e si rimise sui suoi fascico-

li scuotendo la testa. Un uomo dalle dita blu!solo Mary Lester poteva inventarsi storie simili! che

tipa! sarebbe mai riuscito un giorno a capire come erafatta?

Mary, nel frattempo, stava arrivando in tromba nell’uf-ficio di Fabien. senza dubbio questa inchiesta le avevafatto meglio di un mese di vacanza. Del resto era stataveramente un’inchiesta o piuttosto un mese di vacanza?

Il commissario era seduto sulla poltrona di skai nero, lebraccia conserte, in una posizione di attesa. con un cennodella testa mostrò una sedia a Mary e quando lei si fuseduta, disse:

– Ho appena parlato con Graissac al telefono. L’aereoè atterrato la notte scorsa.

Mary accennò un lieve sorriso, ma non si mosse. – Questo è tutto l’effetto che le fa? – domandò lui. – Hanno trovato qualcosa? – cinquanta chili di cocaina pura nascosta, come lei

aveva lasciato intendere, in sacchi di concime. Lei annuì col capo senza dire nulla e fu Fabien che

ruppe il silenzio.– come aveva intuito, l’aereo era già smontato e

imballato in un camioncino.ci fu di nuovo silenzio, poi Fabien aggiunse:– Il commissario Graissac le manda le sue congratula-

zioni e i suoi ringraziamenti... E dato che lei non reagiva esclamò:– Tutto questo non sembra impressionarla. – Perché dovrei essere impressionata? – domandò lei.

– non l’avevo forse previsto?

L’UOMO DaLLE DITa BLU

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– Beh, comunque! – brontolò Fabien.alla fine Mary fece una domanda:– ci sono stati degli arresti? – certo, ma non ho ancora i nomi. L’operazione è stata

condotta congiuntamente dalla polizia e dalle dogane.Graissac avrà il suo da fare!

Mary assentì col capo, pensava a tutte le persone cheaveva frequentato per un mese intero. Tutte le persone percui il Golf del Bois Joli, il “loro” circolo, era la ragione divita, un luogo in cui, poiché praticavano uno sport costo-so, potevano credersi di una pasta diversa rispetto agliesseri comuni...

Il loro mondo crollava, lo scandalo non consisteva piùnel permettersi di partecipare a una premiazione senza ilblazer blu, i pantaloni chiari e la cravatta con i simboli delcircolo, era di tutt’altra ampiezza e trovava la sua conclu-sione nell’aula di un tribunale.

non si erano accorti, tutti gli old members, quandoMary era entrata per la prima volta nel bar della clubhouse, che era da lei che sarebbe arrivato lo scandalo?

non era per quel motivo che l’avevano accolta cosìfreddamente? Ora che lei se n’era andata sospettavano delruolo che aveva giocato nello smantellamento della “golfconnection”, come la avrebbero chiamata il giorno dopo igiornali?

come in un caleidoscopio, i volti scorrevano nella suamente: quello del vecchio furfante che chiedeva con insi-stenza di essere chiamato Bob, il muso da gorgone della“pazza” che spiava da dietro le sue finestre, come un gros-so ragno al centro della sua ragnatela, gli inesperti che ten-tavano di recuperare una pallina finita nel suo prato spe-lacchiato... E poi, indissociabili, dato che stavano sempreinsieme, gli old members abbarbicati al bar dove passava-no più tempo a ripetere le loro perdute prodezze bevendo

JEan FaILLEr

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birra, che a percorrere i fairway; il barista dai modi equi-voci, la premiazione, cerimoniale diventato grottesco aforza di volerlo solenne...

E anche il signor Hermany, gli occhi furbi persi tra lerughe, la complicità con i suoi amici bambini, “Jack” e“stevy”, i loro meravigliosi drive all’alba, la loro concen-trazione, la simpatia, Paul sergent e la sua bonaria paffu-taggine, le osservazioni piene di umorismo, la sua vocerauca come il gave di Oloron... il manto dei green, l’odo-re aspro dell’erba fresca appena tagliata, l’emozione sultee di partenza, la favolosa sensazione di aver colpito lapalla proprio come si doveva, col rumore giusto e quel-l’assenza di vibrazione trasmessa alle mani dal club, checaratterizzava il colpo ben riuscito.

Infine, le centinaia di amici che non aveva ancoraincontrato, i golfisti normali che giocavano non per avereuna etichetta in una qualunque rappresentazione sociale,ma perché gli piaceva, che si applicavano, spesso conpoca abilità ma con un piacere sano, sempre rinnovato,senza voler fare gli spacconi.

Già la domenica successiva, sarebbe andata a trovarli.si era informata: a un quarto d’ora da casa sua c’era uncircolo pubblico che era appena stato aperto...

– Ehi, ispettore! Trasalì, strappata ai suoi pensieri dal commissario

Fabien.– allora, sta sognando? ritornò con i piedi per terra:– a che cosa pensava? – chiese Fabien.Lei lo guardò come se lo vedesse per la prima volta e,

con voce dolce, disse:– al golf, capo.

L’UOMO DaLLE DITa BLU

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PIccOLO GLOssarIO DEI TErMInI GOLFIsTIcI

aDDrEss: Posizione del giocatore rispetto alla palla prima dieffettuare uno swing. (addressarsi).

aIr sHOT: Letteralmente “colpo a vuoto”. colpo frequente neiprincipianti che non toccano la palla al momento dell’impatto.(Questo colpo a vuoto viene comunque contato nel punteggio).

aLBaTrOss: “Fare un albatross” vuol dire riuscire a metterela palla in buca giocando tre colpi in meno rispetto al par. Esempio:un colpo su un par quattro, due colpi su un par cinque. (Impresararissima anche per i più grandi giocatori).

aPPrOccIO: colpo corto giocato in prossimità del green peravvicinare il più possibile la palla alla buca.

BacKsPIn: rotazione all’indietro della palla. Quando tocca ilgreen la palla retrocede a volte di diversi metri.

BIrDIE: “Uccellino”. “Fare un birdie” vuol dire realizzare unpunteggio inferiore di un colpo rispetto al par di una buca.Esempio: 3 su un par 4.

BLInD: “Buca cieca”; buca non visibile dal tee di partenza. BOGEy: Punteggio superiore di un colpo rispetto al par di una

buca. Esempio: 5 su un par 4.BUnKEr: Fosse di sabbia (più diffuse) che costituiscono degli

ostacoli. sono spesso concentrati intorno ai green ma se ne trovanoanche sui fairway per penalizzare i cattivi colpi. L’etichetta preve-de che vengano rastrellati accuratamente per nascondere le proprietracce una volta effettuato il colpo.

caDDIE: accompagnatore del giocatore. Porta la sua sacca elo consiglia sulla mazza da usare in relazione alla sua conoscenzadel percorso e dei punti strategici che ha annotato sul suo blocco.

caMPO PraTIca: campo adibito alla pratica dove un gioca-tore si esercita.

cHIP: colpo di precisione giocato in prossimità del green desti-nato a sollevare di poco la palla e a farla rotolare fino alla bandiera.

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cLUB: Mazza utilizzata per giocare a golf. Può trattarsi di unlegno o di un ferro. Il giocatore non può avere più di 14 mazze nellasua sacca.

DIVOT: zolla staccata dal fairway durante il colpo. L’etichettaimpone di rimettere il divot stesso nel luogo da cui è stato staccatoper mantenere il campo in buono stato.

DOG LEG: “zampa di cane”. Designa una buca in cui il trac-ciato gira o a destra o a sinistra. La prima parte della buca è dritta,poi gira subito.

DraW: colpo a effetto con rotazione controllata da destra asinistra. L’effetto dato alla palla corrisponde al lift del tennis e faguadagnare molta distanza.

DrIVE: colpo di partenza generalmente fatto con il legnonumero 1 (driver). comunemente, nome dato al primo colpo gio-cato su una buca, indipendentemente da quale sia il club utilizzato.

DrOPPaGGIO: In virtù di una regola che autorizza a rimette-re in gioco la palla in determinate circostanze (con o senza penali-tà), è l’azione che consiste nel lasciar cadere la palla a braccio tesoin un luogo che permetta di continuare il gioco.

EaGLE: (aquila) punteggio realizzato su una buca inferiore didue colpi rispetto al par. Esempio: 2 su un par 4.

ETIcHETTa: Insieme di regole di buona condotta sul percorsoin favore della tutela del campo e degli altri giocatori.

FaDE: Traiettoria della palla che gira leggermente verso destraa fine corsa (contrario del draw).

FaIrWay: zona del percorso accuratamente rasata, che separala partenza dal green, sulla quale è bene restare.

FErrI: Mazze caratterizzate dalla testa metallica, numerate da1 a 9 in relazione alla loro apertura, che vengono scelte in base alladistanza che deve compiere la palla. ci sono inoltre due ferri spe-cifici, il pitching-wedge per alzare molto in alto le palle e farle rica-dere sul green senza farle rorolare, e il sand-wedge più specificata-mente destinato a essere giocato nei bunker.

FLaPPa: Errore che consiste nel colpire il terreno prima dellapalla. La palla, in questo caso, percorre una breve distanza.

FUOrI LIMITE: Quando si è fuori limite, si è usciti dal campodi gioco che è delimitato da paletti bianchi. Un giocatore che spe-disce la palla fuori limite deve rigiocare il colpo dalla stessa posi-zione e aggiungersi un punto di penalità.

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GrEEn: zona di gioco dove si trova la buca. L’erba qui è fine-mente rasata e il giocatore fa rotolare la sua palla con un putter.

GrEEnFEE: Quota che permette l’accesso del giocatore occa-sionale o che non ha l’abbonamento al percorso.

GrEEnKEEPEr: “Guardiano del green”. Giardiniere capo,responsabile della buona manutenzione del percorso di golf.

GrIP: Parte superiore del manico di una mazza da golf dove sipongono le mani. È anche la posizione delle mani del giocatoresulla impugnatura. (grip forte o grip debole).

HanDIcaP: sistema di classifica dei giocatori amatorialibasato sulle loro performance durante una gara. Valore evolutivo(massimo 35) che si deduce dallo score “lordo” per avere lo score“netto”. Esempio: 90 (score lordo) meno 18 (handicap) uguale 72,score netto.

HOOK: “Gancio”. si tratta di un draw troppo pronunciato. Lapalla ruota vistosamente verso sinistra verso la fine del lancio.

KIcK: rimbalzo della palla sul terreno. Buono o cattivo...LEGnO: Mazza usata per i colpi più lunghi. Il legno numero 1

chiamato driver serve praticamente solo per i colpi di partenza,quando la palla è sul tee. ci sono anche i legni 3,5,7, che possonoessere usati sul fairway quando il lie è buono. Questi legni hannodelle angolature diverse gli uni dagli altri e sollevano più o meno lapalla. In altri tempi, le teste di queste mazze erano tutte in legno“persimmon”, un’essenza esotica molto dura ma al giorno d’oggi lamaggior parte delle teste sono in metallo o in materiale composito.

LIE: zona in cui giace la palla. sul fairway il lie è generalmen-te buono e la palla può essere giocata in buone condizioni, nelrough o con gli ostacoli è più aleatorio.

MaTcH PLay: Gara in cui due giocatori si affrontano bucadopo buca. Ogni buca viene vinta dal giocatore che impiega menocolpi. Vince il match play il giocatore che si aggiudica più buche.

MEDaL: chiamata anche stroke play. È la formula di gioco incui si contano tutti i colpi dall’inizio alla fine della partita. I giocato-ri vengono classificati in base al punteggio dal più basso al più alto.

OsTacOLO: I bunker, le zone d’acqua, i rigagnoli rappresen-tano gli ostacoli in termini di regolamento del golf. Gli ostacolid’acqua sono delimitati da dei paletti gialli o rossi.

OVErDrIVE: si fa un overdrive a un avversario quando dalcolpo di partenza si lancia la palla più lontano della sua.

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PaLLa zOLLa: azione di gioco che consiste nel toccare lapalla e in seguito il terreno.

Par: (uno dei pochi termini francesi). numero di colpi idealeper concludere una buca. Il par di una buca è determinato dalla sualunghezza:

– meno di 228 metri, par 3– tra i 229 metri e i 434 metri, par 4– oltre i 434 metri, par 5.PITcH: segno d’impatto di una palla sul green. L’etichetta pre-

vede che il giocatore ripari questo impatto prima di lasciare ilgreen. (si dice “alzare un pitch”).

PrOVVIsOrIa: Quando si teme di non ritrovare una palla sigioca con una palla provvisoria. se si ritrova la prima palla, la pallaprovvisoria viene annullata senza penalità e si rigioca con la primapalla.

PUTT: colpo sul green utilizzato per far rotolare la palla finoalla buca. a tal fine si usa un putter, mazza specifica a faccia verti-cale.

rEGOLE: regole ufficiali del gioco del golf. Queste regolesono emesse dal “royal and ancient Golf club” di st. andrews,che ha sede in scozia.

rEGULar: Lo shaft, o impugnatura del club, viene detto rego-lare quando è di una rigidità media.

rOUGH: Parte del percorso che circonda il fairway dove lavegetazione è lasciata (quasi) allo stato brado. risulta quindi piùdifficile giocarci o anche ritrovare la palla.

scOrE: numero complessivo dei colpi fatti da un giocatore suuna buca, poi sul percorso.

sHaFT: Parte della mazza che unisce la testa all’impugnatura.sLIcE: colpo a effetto dato a una palla la cui traiettoria si

incurva nettamente verso destra verso la fine del volo. La maggiorparte dei principianti commette questo errore che manda spesso lapalla in zone in cui è difficile giocare.

sOcKET: Il peggiore dei colpi nel golf. La palla viene colpitacon il tacco della mazza e parte verso destra e verso sinistra. siparla di “crisi di socket” come di una malattia grave che ha portatopiù di un golfista a rinunciare al suo sport favorito.

sWInG: Movimento effettuato con il corpo per colpire lapalla.

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TEE: Piccolo supporto in legno o in plastica che si usa per man-tenere sollevata la palla da terra quando si effettua il colpo di par-tenza a ogni buca. Questo “ausilio” del golfista può essere utilizza-to solo nelle aree di partenza che sono, per questo motivo, spessochiamate “tee di partenza”.

TOPPaTa: Errore che consiste nel colpire la palla in “testa”invece che nella parte inferiore. Di conseguenza la palla ruota manon si alza. si dice “toppare una palla” o “fare una toppata”.

WEDGE: Mazza molto aperta utilizzata per i colpi da brevedistanza o per uscire da un ostacolo (sand-wedge).

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InDIcE

Il luogo del delitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7

cap. I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13

cap. II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 17

cap. III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 21

cap. IV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 29

cap. V . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 43

cap. VI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53

cap. VII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 71

cap. VIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 79

cap. IX . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 93

cap. X . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 101

cap. XI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 121

cap. XII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 139

cap. XIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 149

cap. XIV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 159

cap. XV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 167

cap. XVI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 181

cap. XVII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 195

cap. XVIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 203

cap. XIX . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 213

cap. XX . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 221

cap. XXI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 225

cap. XXII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 233

cap. XXIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 243

cap. XXIV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 255

Piccolo glossario dei termini golfistici . . . . pag. 261

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Saper tutto sul mondo del noir e del giallo?

Elementare...basta abbonarsi.Girate pagina

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con il misterioso annegamento di un clochard, la spari-zione del direttore di un supermercato, il furto di un’auto,una storia d’amore clandestina e una inquietante casasulla scogliera iniziano le avventure di Mary Lester, gio-vane “apprendista” poliziotta. armata di un diploma e diun intuito geniale grazie al quale riuscirà a risolvere cri-mini e intrighi, Mary Lester vive e lavora in Bretagna,terra splendida di maree, porti, pescherecci, fiordi e pic-cole città quanto dura di tradizioni radicate.

appena trasferita al commissariato di Quimper, MaryLester è costretta a svolgere noiose occupazioni ammini-strative da un commissario scansafatiche e scettico nei con-fronti delle donne poliziotto. L’incontro con l'arciduca, unbarone istrionico e gran bevitore, coinvolge l'investigatri-ce in una nuova incredibile avventura. Grazie ai raccontidel clochard e alle sue enigmatiche allusioni, a un giovanesconvolto dalla luna piena e a un aristocratico folle di gelo-sia, Mary, intrigata da una storia che a tratti assume le sfu-mature del noir, avvia la sua inchiesta. E quel caso che eraarchiviato dalla polizia come un semplice furto di gioiellicon sequestro di ostaggi, si trasforma in un’indagine dallesorprese sconcertanti e dal finale turbolento.

si apre la stagione della caccia in Bretagna. Un gruppo diimprenditori tanto arroganti quanto inesperti nel maneggia-re le armi si dà appuntamento alla tenuta della neuveMaison per trascorrere una domenica a caccia di anatre sel-vatiche e fagiani. Ma, tragica fatalità, un fucile esplode frale mani di uno degli imprenditori, uccidendolo. niente disospetto. sono incidenti che capitano di tanto in tanto nellecampagne. Il compito di stendere la relazione e compilare idocumenti relativi alla disgrazia tocca alla giovane MaryLester che, però, non ci vede tanto chiaro in questa faccen-da. Troppi elementi non combaciano e quell’incidentepotrebbe anche non essere stato poi tanto accidentale.

Trasferita temporaneamente al commissariato diconcarneau per carenza di ispettori, Mary Lester si trovaa indagare sull’omicidio del giovane Tibère, picchiato amorte e ritrovato nel bacino del porto. Ma quello che sem-bra solo un banale regolamento di conti, non è che ilprimo di una serie di atti intimidatori. Forse, la piccolacittadina di pescatori nasconde qualcosa di più torbido diquanto la crisi della pesca faccia pensare, e Mary, in unmondo per lei totalmente oscuro, grazie a personaggitanto fragili quanto rudi come Petit Pierrot e nicolas LeMaout, riporterà a galla uno scomodo segreto inabissatonel mare bretone.

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nel cuore dell’argoat, una terra leggendaria in cui aleggiaun profumo d'altri tempi, qualcuno si diverte a usare, comebersaglio, gli scrittori riuniti in un congresso al castello diTrévarez. chi è il tiratore scelto che colpisce le sue vittimecon tre proiettili dritti al cuore? Uno spirito? Un inafferrabi-le fantasma? Quale legame c’è con la misteriosa maledizio-ne di questo strano castello di pietre rosse, che una leggen-da narra essere stato costruito grazie a un patto col diavolo? a dover far luce su questa vicenda è la giovane investiga-trice Mary Lester coinvolta, questa volta, direttamente dalMinistro degli Interni in persona. In un’atmosfera lugubree misteriosa l’ispettore Lester dovrà smascherare l’omici-da-fantasma, con molti occhi puntati addosso pronti a scru-tare e criticare le sue mosse.

È carnevale e le strade della piccola località diDouarnenez sono popolate da maschere di ogni sorta.Mentre il commissario colin si prepara come ogni anno agodersi la festa, il cadavere di una persona anziana vienerinvenuto in una mansarda. causa del decesso: il freddoassassino dell’inverno bretone. Ma se nella stessa stanza imorti sono quattro forse è necessario indagare e chimeglio della piccola Mary Lester può fare luce su un casocosì complicato? ancora una volta il giovane ispettore,che nelle precedenti avventure si è imbattuta in clochard,cacciatori, marinai e gioiellieri, cercherà di scoprire chi,nel mezzo di quel baccanale festoso e inquietante, porta lamaschera della morte.

Insolite vacanze in agosto per Mary Lester a La Baule... Il capo della polizia di nantes le ha chiesto d’infiltrarsinella cerchia di un club privato di golf in cui avvengonodei traffici poco ortodossi. Ed ecco l’ispettore Lesterdiventare, di malavoglia, una novella golfista. Il difficileincarico in un ambiente davvero pericoloso permette tut-tavia molte distrazioni: passare per una studentessa, gio-care su uno dei più prestigiosi campi da golf di Francia edi navarra e, nei momenti di riposo, abbronzarsi sullaspiaggia più bella d’Europa, facendosi sedurre da un riccoe fascinoso giovanotto, non è poi così spiacevole. Lamorte di Victoire Leblond, avvenuta alla buca numerosette, è davvero così “naturale” come sembra? E comepuò “l’uomo dalle dita blu”, tre mesi dopo quella morte,fare ancora delle vittime al circolo di golf del Bois Joli?

Il commissario Marè è incaricato dall’ex senatore Vannirevelli di ritrovare la nipote misteriosamente scompar-sa. Il padre della ragazza è un pezzo da novanta dellafinanza che, a suo tempo, ha rotto col genitore e ha rea-lizzato il famoso sistema reveng, uno dei più forti pote-ri del Paese. Il magnate, pochi giorni dopo la scomparsadella figlia, viene ucciso. Marè - giunto ai ferri corti coni nuovi capi della polizia e con il nuovo governo, ma conl’ausilio del PM auro nicastro e di alcuni poliziottirimastigli fedeli - si mette sulle tracce degli assassini...

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Un congresso di astrologia sull’isola di sycamore, vicinoa Ottawa: ottima occasione per Katy Klein per dare final-mente un volto alla sua amica di e-mail Flavia, ma soprat-tutto per tentare di dimenticare le tragiche avventure chel’hanno colpita. Prima ancora che la pacifica riunionecominci, però, uno sciame di api causa la morte improv-visa di un’egocentrica ospite, gettando tutte le partecipan-ti nel panico. Ma se questa volta Katy non intende immi-schiarsi nella faccenda, sua figlia Dawn è decisamenteintenzionata a far luce su quello che non crede essere unsemplice incidente.

L’inverno è la stagione che Katy odia di più. Fa un fred-do terribile a Ottawa, città in cui vive e svolge il suo lavo-ro di astrologa. Fortunatamente, le giornate brevi e gelidesono ravvivate dagli eventi mondani dell’anno: come ilparty “yuletide” organizzato dalla migliore amica di Katy,la famosa decoratrice d’interni carmen capricci.Quest’anno, tuttavia, la festa prende una piega sinistraquando Marion stanley ha un violento collasso e muore.L’istinto da detective di Katy le dice che la morte diMarion è sospetta. Indagando, Katy viene trascinata inuna rete di persone poco raccomandabili. al centro dellarete si nasconde una verità scioccante che Katy dovràfronteggiare ricorrendo a tutto il suo coraggio.

Una vedova giovane e bella, è risaputo, è sempre perico-losa. Quando poi è la vedova di un Principe dell'aristocra-zia bianca nera di roma, divenuto uno dei più potentifinanzieri del mercato globale, e uno che sapeva tutto deimisteri d'Italia degli ultimi cinquant'anni, allora sono guai.anche per Marè, che si trova coinvolto in un nuovo intri-go familiare amoroso e politico, in una ridda di malefatteche le squisitezze dello stile art nouveau degli ambienti edei protagonisti non riesce a velare. Un caso tra i più dif-ficili e rischiosi che Marè, tra riso e sofferenza, si sia tro-vato (contro tutti, perfino contro i suoi) ad affrontare erisolvere.

In una lussuosa villa dalle parti dell’appia antica vienerinvenuto il cadavere di Ugo alani, industriale e collezio-nista d’arte. Uomo raffinato e colto, senza scrupoli nel-l’utilizzare la corruzione e il ricatto, convinto che sia sem-pre questione di tariffe, e che tutti hanno un prezzo.Politici, banchieri, giornalisti, professionisti del criminesono i suoi naturali interlocutori; traffico d'arte, droga,squillo, riciclaggio, compravendita di funzionari e subal-terni, sue quotidiane speculazioni. a indagare sul suoassassinio è nuovamente il commissario Marè che siimbatterà ben presto, aiutato dal maresciallo spinola deicarabinieri di Fiano, nel delitto di una giovane donnaarchiviato molto tempo prima come suicidio.

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cosa accomuna la dipendente di un mattatoio, una psichia-tra e una prostituta? nell’istituto di medicina legale diParigi, i loro corpi barbaramente seviziati portano i segnievidenti di una follia omicida che sconvolge le strade diBelleville. Il caso viene affidato a Luce schlomo, ispettoredal malinconico fascino gitano, schiavo della bellezza fem-minile quanto del suo inconfessabile passato, ossessionatodall’affascinante magistrato Hèlene de Pieu-rogart che loaffianca nelle indagini. Lei, distante e fiera, lo farà innamo-rare, lui concluderà il caso seguendo il suo istinto di aman-te respinto.

Dopo aver viaggiato a lungo, aminta Marpalò, ormai cin-quantenne, decide di trasferirsi in un piccolo paese venetoper trovare un po’ di pace. La tranquilla vita di provincia sirivela però una realtà fatta di solitudine e, sopraffatta dalladesolazione e dalla mancanza di progetti, decide di farlafinita. Ma proprio il giorno in cui si reca nella pineta percompiere il fatidico gesto, trova un uomo impiccato.Inizialmente si sente irritata perché quel “damerino” griffa-to ha sconvolto i suoi piani, ma poi il mistero che circondal’accaduto le fa trovare nuovi stimoli. La signora Marpalònon è convinta della versione ufficiale del suicidio e deci-de di scoprire da sola la verità. Ma chi, tra i tanti indiziatidella provincia bene che avrebbero tratto vantaggio dall’e-liminazione di quel personaggio “scomodo”, è l’assassino?

La tranquilla vita di provincia è ormai un lontano ricordoper aminta Marpalò. chi e perché minaccia il suo focola-re domestico con oscuri messaggi di morte? Qualcunovuole forse impedirle di aiutare l’amico Ottavio Taccagni,ricco imprenditore edile da poco rientrato dall’argentina,ora accusato dell’omicidio della figlia? aminta, con rin-novata determinazione, tra intimidazioni, ricatti, pressio-ni e la paura che serpeggia all'interno della propria casainizia a indagare entrando anche in contatto con la tripli-ce a, l’alleanza anticomunista argentina.

Le notti della tranquilla provincia francese di Digne sonosconvolte da quattro inquietanti omicidi: due aitanti gio-vani, un timido studioso di antichità, un’anziana gentil-donna che sicuramente conosce il suo assassino. nessunindizio in aiuto del commissario Laviolette. solo l’armadel delitto: sassi. Dopo mesi di indagini infruttuose, gra-zie alla collaborazione del giudice chabrand e a un’intui-zione geniale che lo folgora mentre assiste a uno spetta-colo televisivo, Laviolette riuscirà a risolvere il caso.Dalla penna di Pierre Magnan un nuovo spaccato dellasuggestiva e misteriosa Provenza, una trama avvincente eun finale inaspettato per una lettura coinvolgente e appas-sionante.

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Il commissario Laviolette, arrivato a Banon per gustarsiun'omelette ai tartufi, si trova inaspettatamente a doverrisolvere l'ennesimo enigma. Un covo di hippy assassinati,una scrofa di nome roseline e uno spiacevole incidente neipressi di una tomba protestante sono gli originali elementi diquesta appassionante vicenda. In un crescendo di suspense,fino alla quasi inaspettata soluzione del delitto, il lettore puòtornare a immergersi nella vita di provincia che PierreMagnan, uno dei più grandi giallisti contemporanei, sadescrivere in modo impeccabile.

Tafari non ricorda il suo cognome. È solo un bar-bone alcolizzato, etiope e ultraquaratenne, chevive alla meno peggio a roma, elemosinando peravere pochi spiccioli per comprare vino in carto-ne per restare costantemente fra l'ubriacatura verae la pura confusione alcolica che non gli fa ricor-dare niente di ciò che era; ricorda solo la sua lin-gua, l'amhara. L'unica persona con cui ha un rap-porto umano è Eurosia, una volontaria dellamensa della caritas dove Tafari consuma il suounico pasto quotidiano.Tutto cambia quando Tafari, non visto, assisteall'omicidio di Eurosia. Il terrore, ma ancheimprovvisi ricordi lo paralizzano, e Tafari fugge;per caso e per altri motivi viene arrestato e tratte-nuto in camera di sicurezza per 4 giorni, nutrito,ma senza vino. Per la prima volta dopo anni.così, attraverso un mare di dolore, Tafari ècostretto a ricordare chi era. Inizia una risalita,trova aiuto e vestiti puliti, perfino un lavoro ericomincia a ricordare tutta la sua vita, anche seancora non ricorda chiaramente perché parla per-fettamente italiano, e inglese, e arabo.sa solo che deve trovare l'assassino di Eurosia eche deve cercarlo dove Eurosia viveva, allaGarbatella, un quartiere un tempo periferico, maormai quasi centrale; un quartiere popolare chesorge su una serie di colline coperte di pini piùalti delle case, con case e vie e "lotti" che nonsembrano roma, ma che sembrano una fiabanella città. Un posto dove d'agosto non si dormeper il rumore delle cicale e d'inverno ci sonoalberi carichi di limoni e di mandarini.Ma la domanda vera è: a roma, oggi, in mezzo atre milioni di persone, come fa un barbone etiopealcolizzato e clandestino a trovare un assassino ele prove per convincere la polizia?

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