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I neuroni specchio - Formazione in Psicologia · 1.2 I neuroni specchio nella ... che intervengono...

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I NEURONI SPECCHIO Riccardo Calzeroni
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I NEURONI SPECCHIO

Riccardo Calzeroni

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Calzeroni, R., I neuroni specchio

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INDICE

Introduzione .................................................................................................................................3

1. Le basi neurofisiologiche della cognizione sociale .....................................................................4

1.1 Il sistema sensori-motorio ...................................................................................................4

1.2 I neuroni specchio nella scimmia .........................................................................................5

1.3 I neuroni specchio nell’uomo...............................................................................................6

1.4 Riconoscimento dell’intenzionalità ......................................................................................6

1.5 Imitazione e apprendimento................................................................................................7

1.6 Comunicazione e linguaggio ...............................................................................................8

1.7 Comprensione delle emozioni .............................................................................................8

1.8 La simulazione incarnata .....................................................................................................9

1.9 Rottura epistemologica.....................................................................................................10

2. Il rispecchiamento nella relazione primaria..............................................................................11

2.1 Interconnessioni con la psicoanalisi ...................................................................................11

2.2 Il comportamento affiliativo dei neonati.............................................................................11

2.3 Winnicott, Stern, Bion ........................................................................................................12

2.4 La relazione analitica.........................................................................................................14

2.5 L’autismo un disturbo della consonanza intenzionale ........................................................14

2.6 L’influenza delle cure materne...........................................................................................15

2.8 Le differenze individuali ....................................................................................................16

2.9 Considerazioni conclusive: indicazioni terapeutiche...........................................................17

Bibliografia .................................................................................................................................19

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Introduzione

I più recenti sviluppi delle neuroscienze allargano le basi per un dialogo con la tradizione

psicoanalitica nello studio della mente. In realtà la separazione tra i due approcci – oggettivo

l’uno, soggettivo l’altro – era dipesa oltre un secolo fa innanzitutto dall’inadeguatezza delle

tecniche di indagine, che aveva convinto Freud ad abbandonare, “transitoriamente”, la ricerca delle

basi neurologiche del funzionamento psichico. Non nasceva da una contrapposizione di principio,

e i risultati ottenuti con le metodiche più avanzate di brain imaging favoriscono un

ricongiungimento delle due vie, fino a poter prefigurare una “neuropsicoanalisi” (Solms, 2004).

Un fecondo contributo viene dato dalla ricerca sui neuroni specchio, una popolazione di

neuroni visuo-motori scoperti nel cervello dei primati e dell’uomo che si attivano sia durante

l’esecuzione di azioni sia durante l’osservazione delle stesse azioni compiute da altri. Concetti

chiave come comunicazione inconscia, empatia, identificazione proiettiva, che avevano avuto

finora un carattere eminentemente metapsicologico se non metaforico, stanno trovando un

riscontro nelle evidenze empiriche.

Seguendo le considerazioni teoriche degli stessi ricercatori, Giacomo Rizzolatti e Vittorio

Gallese in particolare, l’elaborato nella prima parte delinea i contorni neurofisiologici ed

epistemologici della scoperta, illustrando le proprietà funzionali del sistema specchio nella

scimmia e nell’uomo. Nella seconda parte sarà focalizzato il nesso tra sviluppo del Sé e

dell’intersoggettività in base ai meccanismi neurali coinvolti a partire dalla relazione primaria, in

un raffronto diretto con i concetti di rispecchiamento di Winnicott, sintonizzazione affettiva di

Stern, identificazione proiettiva di Bion. Sarà quindi esaminata l’ipotesi che individua nel sistema

specchio una causa o concausa dell’autismo, con le relative implicazioni sul piano terapeutico.

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1. Le basi neurofisiologiche della cognizione sociale

1.1 Il sistema sensori-motorio

La scoperta dei neuroni specchio, in un certo senso dovuta al caso, non è stata casuale. L’ha

favorita un cambiamento del modo tradizionale di intendere il funzionamento cerebrale e del

modello cognitivo predominante nelle neuroscienze. Ne sono stati un’anticipazione gli esperimenti

avviati agli inizi degli anni ’80 dal gruppo di ricercatori dell’Istituto di Fisiologia dell’Università di

Parma diretto da Giacomo Rizzolatti che evidenziarono l’esistenza nella corteccia premotoria della

scimmia di neuroni che vengono attivati durante l’esecuzione non di singoli movimenti ma di

azioni, cioè di atti motori finalizzati (Rizzolatti, Gentilucci, 1988; Rizzolatti et al., 1988).

E’ risultato poi che una parte dei neuroni premotori dell’area F5 (definiti “canonici”) viene

attivata anche solo da stimoli visivi, e in particolare dall’osservazione di oggetti che per forma,

grandezza, orientamento corrispondono al tipo specifico di azione codificato da quegli stessi

neuroni, come afferrare con la mano, con la mano e con la bocca, tenere, ecc. In contrasto con la

concezione classica del cervello diviso in regioni separate, si affermava l’idea che il sistema

motorio non dovesse avere un ruolo di puro esecutore passivo rispetto ad un flusso di

informazioni unidirezionale dalla sensazione (aree sensoriali primarie) alla percezione (aree

associative) fino ai processi decisionali localizzati nella corteccia prefrontale. I dati sperimentali

dimostrano che la corteccia motoria e premotoria del lobo frontale e quella parieto-temporale

presentano un mosaico di aree distinte sul piano anatomo-funzionale ma fortemente connesse tra

loro, che formano circuiti cortico-corticali destinati a integrare le informazioni sensoriali e quelle

motorie relative a determinati effettori (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006, pp.20-21). Uno di questi

circuiti, F5-AIP, è coinvolto nelle trasformazioni visuo-motorie necessarie per afferrare gli oggetti.

Dai neuroni dell’area intraparietale anteriore (AIP) l’informazione visiva viene trasmessa ai neuroni

di F5 (deputati ai movimenti della mano e della bocca) che codificano gli atti motori con essa

congruenti. Un altro circuito, F4-VIP (area intraparietale ventrale), che collega aree della corteccia

frontale agranulare e del lobo parietale posteriore, ha la funzione di localizzare gli oggetti entro lo

spazio peripersonale. Anche i neuroni di F4 (che presiedono ai movimenti di collo, bocca, braccio)

scaricano sia durante gli atti motori sia in risposta a semplici stimoli sensoriali, di tipo tattile,

visivo o addirittura uditivo.

Il sistema dei neuroni specchio è situato anatomicamente tra questi circuiti fronto-parieto-

temporali che trasformano gli input sensoriali in azioni combinandosi con i programmi motori

appropriati. I neuroni di F5 e di AIP codificano gli oggetti come “poli di atti virtuali”, mentre il

circuito F4-VIP definisce lo spazio come un “sistema di relazioni” che trova la propria misura nelle

varie parti del corpo (ivi, p. 74). Queste “rappresentazioni motorie” provvedono sia al controllo

dell’azione che alla decodifica degli stimoli sensoriali in base all’atto potenziale evocato, che

identifica il significato di un oggetto per il soggetto: comportano quindi una forma di

“comprensione”, sia pure pragmatica, non semantica, implicita. E costituiscono la base delle

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funzioni cognitive di ordine superiore che intervengono nella successiva categorizzazione degli

oggetti.

1.2 I neuroni specchio nella scimmia

Nel corso di queste ricerche, agli inizi degli anni ’90, il gruppo di Parma scoprì prima nell’area

premotoria ventrale F5 del cervello dei macachi e poi anche nella parte rostrale del lobo parietale

inferiore (aree PF e PFG), reciprocamente connessa a F5, una popolazione di neuroni visuo-motori

capaci di attivarsi non solo durante l’esecuzione di una determinata azione finalizzata ma anche

durante l’osservazione della stessa azione, eseguita da un’altra scimmia o dallo sperimentatore

(Rizzolatti et al.,1996; Gallese et al.,1996). Sono stati chiamati neuroni specchio e costituiscono un

circuito integrato funzionale, il sistema dei neuroni specchio (Mirror Neuron System, MNR). In virtù

delle loro proprietà visuo-motorie sono in grado di coordinare l’informazione visiva con la

conoscenza motoria dell’osservatore (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006).

Tra azione eseguita ed azione osservata c’è congruenza in senso lato nel 70% dei neuroni

specchio, che vengono classificati in base allo specifico tipo d’azione codificato (afferrare, tenere,

manipolare, collocare, interagire con la mano, ecc.). Nella scimmia la loro risposta è prodotta solo

dalla vista di azioni transitive, in cui la mano o la bocca interagiscono con un oggetto, non di gesti

mimati o intransitivi come alzare le braccia e agitare le mani. Tuttavia è riscontrabile una capacità

di anticipare la finalità dell’atto osservato. Gran parte dei neuroni specchio di F5 risponde anche

quando viene nascosta la parte conclusiva in cui la mano dello sperimentatore raggiunge l’oggetto

(Umiltà et al., 2001), evidentemente perchè l’attivazione del medesimo circuito neurale permette

all’osservatore di ricostruire l’intera azione, quindi di comprenderne implicitamente

l’intenzionalità. Un ulteriore esperimento (Fogassi et al., 2005) su una serie di neuroni specchio

parietali ha evidenziato che la maggioranza di essi si attiva in maniera diversa a seconda che la

scimmia afferri un oggetto per metterlo in bocca o in un contenitore e che lo stesso accade se

osserva lo sperimentatore compiere l’uno o l’altro gesto. L’animale, cioè, è in grado di “prevedere”

l’intenzione non solo di un singolo atto motorio ma di un’intera catena predeterminata di atti in

cui quel movimento è inserito. E’ stata inoltre rilevata una certa capacità di astrazione del

significato dell’azione. I neuroni specchio “audiovisivi” di F5 (Kohler et al., 2002) possono essere

attivati anche dal semplice ascolto del suono prodotto da un’azione: pur variando l’informazione

sensoriale, nell’osservatore viene evocato lo stesso programma motorio. Ancora più significativa è

la proprietà di una parte dei neuroni specchio “ingestivi” (correlati all’esecuzione e osservazione di

azioni transitive della bocca come afferrare, mordere, masticare, leccare) che scarica anche

quando lo sperimentatore fa solo schioccare le labbra, protrude le labbra o la lingua: atti

intransitivi che però rivestono un chiaro significato di comunicazione e affiliazione nella vita

sociale delle scimmie (Ferrari et al., 2003). Si può ipotizzare che lo sviluppo di questi neuroni

specchio “comunicativi” sia stato legato, nella storia evolutiva, alla trasformazione in

comportamenti rituali di atti originariamente associati al mangiare e allo spulciamento reciproco.

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1.3 I neuroni specchio nell’uomo

Anche nel cervello umano è stata confermata la presenza di un sistema specchio incentrato nel

sistema motorio. Già dopo le iniziali scoperte nelle scimmie erano stati ripresi in considerazione i

risultati di alcuni esperimenti dei primi anni ’50 sulla reattività dei ritmi cerebrali nell’uomo

durante l’osservazione dei movimenti: il ritmo µ in particolare, prevalente nelle regioni centrali in

condizioni di riposo, viene desincronizzato non solo nel corso dell’esecuzione di un movimento

ma anche durante la vista di azioni compiute da altri individui.

Finora non è stato possibile individuare e studiare sperimentalmente l’attività di singoli neuroni

specchio, dati anche i limiti imposti alle tecniche d’indagine sui soggetti umani, ma grazie alle

metodiche di visualizzazione dell’attività cerebrale, la risonanza magnetica funzionale per

immagini (fMRI), la tomografia a emissione di positroni (PET), e col ricorso alla stimolazione

magnetica transcranica (TMS), si è potuta definire una mappa delle aree corticali coinvolte: il

settore inferiore del giro precentrale più quello posteriore del giro frontale inferiore (che

corrisponde all’area 44 di Brodmann, ossia alla parte posteriore dell’area di Broca, ed è l’omologo

umano dell’area F5 delle scimmie) e la porzione rostrale del lobo parietale inferiore

(corrispondente all’area 40 di Brodmann, l’omologo umano dell’area PF). In talune condizioni

sperimentali si attiva anche una regione più anteriore del giro frontale inferiore oltre alla corteccia

premotoria dorsale (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006, pp. 116-117).

Nell’uomo il sistema specchio (Buccino et al., 2001) è organizzato in maniera somatotopica:

l’osservazione di azioni eseguite da altri con la mano, la bocca o il piede attiva regioni distinte del

sistema motorio fronto-parietale, che si attivano nell’eseguire la stessa azione. Le dimensioni sono

più estese e le proprietà più complesse che nella scimmia: i neuroni specchio rispondono anche ad

atti motori intransitivi o solo mimati, sono in grado di selezionare sia uno specifico tipo d’atto che

la sequenza dei movimenti che lo compongono, supportano livelli crescenti di astrazione.

1.4 Riconoscimento dell’intenzionalità

La capacità grazie al sistema specchio di estrapolare le intenzioni altrui da catene di atti si

estende nell’uomo alla finalità “contestualizzata” delle azioni. In uno studio di fMRI (Iacoboni et al.,

2005) sono stati mostrati a dei volontari tre tipi di video: nel primo si vedono alcuni oggetti

(teiera, tazza, piattino) in due contesti diversi, disposti cioè come se qualcuno stia per consumare

un tè o l’abbia appena fatto; nel secondo si vede una mano che afferra una tazza; nel terzo una

mano che afferra la tazza ma nei due contesti, tali da suggerire l’intenzione di prenderla per bere

o per metterla via. Non solo l’osservazione dell’azione attiva i neuroni specchio dei circuiti fronto-

parietali più della semplice vista degli oggetti, ma l’attivazione è diversa a seconda dell’intenzione

indicata dal contesto (maggiore nel caso del bere che del riporre la tazza).

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La risposta del sistema dei neuroni specchio dipende, inoltre, dall’appartenenza dell’azione

osservata al repertorio di quelle conosciute. In un esperimento di fMRI (Buccino et al., 2004) sono

stati presentati dei video privi di sonoro in cui un uomo, una scimmia e un cane compiono l’atto di

mordere per mangiare o eseguono un atto comunicativo (parlare, schioccare le labbra, abbaiare).

L’atto ingestivo, comune alle diverse specie, determina in tutti e tre i casi l’attivazione delle

medesime aree corticali fronto-parietali negli osservatori, evocando l’analoga rappresentazione

motoria codificata nel loro circuito neurale. Si registra invece una forte risposta della parte

premotoria della regione di Broca alla vista del movimento labiale dell’uomo, più debole allo

schioccare delle labbra da parte della scimmia e nessuna reazione all’abbaiare del cane. Nel caso

delle azioni comunicative solo quelle già codificate nel formato comportamentale umano, o in

parte simili come lo schioccare delle labbra della scimmia (lip smacking), attivano le regioni

cerebrali corrispondenti.

L’esperimento evidenzia così anche due distinte modalità di comprensione: per l’atto di parlare

(come di mordere) una immediata, pre-concettuale, basata sulla “conoscenza motoria” implicita

evocata dalla percezione; per l’abbaiare una comprensione mediata, categorizzata sulla base

dell’informazione visiva (tramite le aree del solco temporale superiore, STS). In un altro

esperimento di fMRI (Calvo-Merino et al., 2005) sulla visione di scene di danza da parte di un

campione di volontari comprendente danzatori classici, maestri di capoeira e persone senza alcuna

nozione di ballo la risposta del sistema specchio, in ogni gruppo, è stata più marcata di fronte alle

immagini dei comportamenti corrispondenti alle proprie competenze motorie.

1.5 Imitazione e apprendimento

Il circuito formato da corteccia premotoria ventrale e da corteccia parietale posteriore, assieme

agli input visivi provenienti dalla parte posteriore del solco temporale superiore, è la base

dell’imitazione: dalla ripetizione di movimenti semplici, comune anche alle scimmie, come alzare il

dito indice (Iacoboni et al., 1999) alla riproduzione di pattern motori complessi e organizzati tipica

delle forme mature di imitazione umana. In un esperimento sull’apprendimento imitativo (Buccino

et al., 2004) a soggetti che non avevano mai prima suonato una chitarra è stato mostrato un video

in cui si vedeva la mano di un maestro mentre eseguiva alcuni accordi, che essi dovevano ripetere

dopo una breve pausa. L’attivazione del circuito fronto-parietale è stata maggiore che nel gruppo

di controllo i cui soggetti non erano tenuti a imitare gli accordi visti: una conferma del ruolo dei

neuroni specchio nel codificare in termini motori gli atti elementari che compongono l’azione

osservata, per poterli così ricombinare in nuove sequenze. D’altra parte il sistema specchio si

dimostra una condizione necessaria, ma non sufficiente per l’imitazione, perché nell’esperimento

risultano coinvolte anche aree della corteccia centrale, in particolare l’area 46 di Brodmann, con

funzione di controllo, in senso facilitatorio o inibitorio (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006, p.145).

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1.6 Comunicazione e linguaggio

Codificando in un formato neurale comune l’informazione sensoriale e motoria, il meccanismo

dei neuroni specchio crea uno “spazio d’azione condiviso” tra chi esegue l’azione e chi l’osserva.

Questo è anche il modello naturale di ogni forma di comunicazione, che comporta un codice

comune tra emittente e ricevente, tra chi parla e chi ascolta. Le evidenze neurofisiologiche e i

comportamenti comunicativi rilevati già nelle scimmie fanno ipotizzare che le prime forme umane

di comunicazione interindividuale possano essere derivate da un’evoluzione del substrato neurale

che originariamente permetteva il riconoscimento di atti transitivi manuali e orofacciali. Il fatto che

il sistema dei neuroni specchio nell’uomo sia localizzato anche in una parte dell’area di Broca

rafforza l’idea che esso abbia costituito la base biologica dello sviluppo del linguaggio verbale a

partire da una comunicazione di tipo gestuale.

Numerosi studi empirici di fMRI confermano che le stesse strutture nervose che presiedono

all’organizzazione delle azioni intervengono nella comprensione semantica delle espressioni

linguistiche che le descrivono e che questa comprensione si fonda su meccanismi legati al corpo

(Lakoff & Johnson, 1980, 1999; Lakoff, 1987; Gallese & Lakoff, 2005). Il processamento di frasi

(Buccino et al., 2005) relative ad azioni eseguite con la mano o il piede attiva in modo specifico

regioni diverse della corteccia motoria che controllano i movimenti degli stessi effettori. La lettura

silenziosa o l’ascolto di parole o frasi che descrivono azioni della bocca, della mano o del piede

hanno effetti analoghi (Hauk, Johnsrude & Pulvermuller, 2004; Tettamanti et al., 2005).

1.7 Comprensione delle emozioni

Ormai numerosi studi attestano il ruolo dei neuroni specchio nel riconoscimento delle

emozioni, nelle quali l’associazione tra percezione e azione è ancora più stretta al fine di regolare

le strategie di adattamento agli eventi ambientali. Uno stesso circuito neurale - che coincide in

parte con la corteccia premotoria ventrale e include l’amigdala e l’insula, in particolare la sua

regione anteriore - viene attivato sia durante l’osservazione che l’imitazione dell’espressione

facciale delle emozioni di base, paura, rabbia, felicità, disgusto, sorpresa, tristezza (Carr et al.,

2003). Percezione e produzione attiva delle manifestazioni espressive avrebbero quindi una base

comune. Il ruolo più importante sembra svolto dall’insula (più grande nell’uomo rispetto alla

scimmia) che connette nei primati il sistema limbico con il sistema dei neuroni specchio ed è un

centro di integrazione viscero-motoria: trasforma gli input sensoriali in reazioni viscerali.

Uno studio di fMRI (Wicker et al., 2003) ha messo a confronto l’esperienza del disgusto provata

direttamente da un gruppo di soggetti sottoposti a inalazioni maleodoranti e gli effetti su di loro

dell’osservazione di espressioni disgustate mostrate in alcuni filmati. In entrambi i casi è stata

attivata l’insula anteriore di sinistra (Bruce et al., 1981; Perrett et al., 1982) dove sono stati

descritti neuroni che rispondono alla vista dei volti. Lo confermano alcuni casi clinici. La lesione

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dell’insula anteriore (Calder et al., 2000) non provoca solo un’incapacità selettiva di provare

disgusto, ma anche l’impossibilità di riconoscere la stessa emozione nelle espressioni altrui. Un

deficit analogo presenta un paziente affetto da un danno bilaterale all’insula (Adolphs et al.,

2003).

Il meccanismo specchio risulta attivo anche nel riconoscimento del dolore. I neuroni della

corteccia cingolata anteriore (una porzione mesiale del lobo frontale) in un paziente

neurochirurgico hanno mostrato la stessa risposta sia a stimolazioni dolorose somministrategli

direttamente che a quelle viste applicare al corpo del neurochirurgo (Hutchison et al., 1999). In un

altro esperimento di fMRI (Singer et al., 2004) insula anteriore e corteccia cingolata anteriore

venivano attivate sia durante la somministrazione ai soggetti di stimoli dolorosi sia se

immaginavano che fossero applicati al corpo del partner, fuori della loro portata visiva.

Interessanti conclusioni sono state raggiunte in uno studio (Freedberg et al., 2007) sull’emozione

estetica: anche nello spettatore di un’opera d’arte vengono eccitati gli stessi circuiti neurali

corrispondenti alle azioni o emozioni rappresentate (le tensioni muscolari dei Prigioni di

Michelangelo, le espressioni delle vittime dei Disastri della guerra di Goya) oppure ai gesti eseguiti

dal pittore nel comporre l’opera, come per le macchie di colore di Pollock, la tela squarciata di

Lucio Fontana, persino una natura morta.

La comprensione delle emozioni altrui veicolata dal sistema specchio è diretta e di tipo

esperienziale, non cognitivo, fondata sul formato neurale condiviso che è collegato alla sensazione

del medesimo stato corporeo. Già le ricerche di Antonio Damasio avevano messo in luce i correlati

neurali del rapporto tra emozioni e stati corporei associati (Damasio, 1994, 1999). Nel sistema dei

neuroni specchio è possibile ora identificare il substrato biologico dell’empatia, cioè della

possibilità di avere delle emozioni altrui un’esperienza “dall’interno”, come se fossero provate in

prima persona. Certo, c’è una differenza rispetto a forme di partecipazione affettiva più elaborate

e complesse. Un conto è percepire la smorfia di dolore di un altro e un conto è provare

compassione. Anche per la sfera emozionale, però, la comprensione immediata, intuitiva, a livello

viscero-motorio, è un primo passo verso la compartecipazione empatica che può svilupparsi nelle

relazioni interpersonali coinvolgendo il livello cognitivo e cosciente. “I due processi sono distinti,

nel senso che il secondo implica il primo, non viceversa” (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006, p. 181).

1.8 La simulazione incarnata

Possiamo condividere il senso delle azioni, sensazioni, emozioni degli altri perché condividiamo

i meccanismi nervosi che presiedono alle nostre medesime azioni, sensazioni, emozioni. Si tratta

di una comprensione diretta, una forma di “risonanza non mediata” (Goldman, Sripada, 2004).

Gallese la definisce una “simulazione”: non una simulazione volontaria e di tipo cognitivo, ma una

riproduzione automatica, non consapevole, pre-riflessiva degli stati corporei e mentali dell’altro,

per cui “percepire un’azione - e comprenderne il significato - equivale a simularla internamente”

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(2006a, p. 236). E’ una “simulazione incarnata” (embodied simulation), un’esperienza che precede

ogni mediazione concettuale e linguistica, inferenze o introspezioni, radicata nelle strutture

neurali (motorie e viscero-motorie), che permette di esperire l’altro come un “altro sé” e costituisce

il “livello di base” delle relazioni interpersonali, uno “stadio necessario per il corretto svluppo di

strategie cognitive sociali più sofisticate” (ivi, 243).

Questo meccanismo funzionale è cruciale per l’intelligenza sociale: ci rende capaci di entrare in

una “consonanza intenzionale” con gli altri e di empatizzare con loro. E’ la condizione per lo

sviluppo dell’intersoggettività, che si configura come un “sistema della molteplicità condivisa”

(shared manifold) in cui le identità individuali prendono origine dal costituirsi di uno spazio di

senso interpersonale in comune (Gallese, 2006a, 2006b). Attraverso la simulazione incarnata non

solo l’osservazione delle sensazioni tattili altrui attiva gli stessi circuiti nervosi eccitati durante

l’esperienza in prima persona di essere toccati (Keyners et al., 2004; Blakemore et al., 2005) ma la

diversa intensità di attivazione permette al soggetto di distinguere chi viene toccato (Gallese,

2006b).

1.9 Rottura epistemologica

Le implicazioni teoriche delle ricerche sui neuroni specchio comportano una presa di distanza

dal modello di una mente sostanzialmente disincarnata e solipsistica proprio della scienza

cognitiva classica. Mettono in discussione i presupposti della tradizione epistemologica e filosofica

che ha privilegiato una concezione rappresentazionale-simbolica dei processi psichici e fondato

l'intersoggettività su una Teoria della Mente, cioè sulla reificazione di nozioni della psicologia del

senso comune quali intenzioni, credenze, desideri, sull’idea che la vita sociale sia resa possibile

solo dallo scambio di inferenze ed attribuzioni esplicite tra gli individui. Trova fondamento invece

un punto di vista naturalistico ed evoluzionistico che identifica nella simulazione incarnata “una

caratteristica funzionale di base del cervello dei primati, uomo compreso” (Gallese, 2006a, p. 253),

non sufficiente a spiegare le più elevate abilità di mentalizzazione ma necessaria per comprendere

il senso delle azioni e delle emozioni altrui.

La differenza tra questi livelli è paragonabile a quella teorizzata tra una memoria “implicita” ed

una “esplicita”, alle cui strutture anatomo-funzionali possono essere correlate anche dimensioni

diverse di inconscio: un inconscio non rimosso, legato alle esperienze intersoggettive più precoci

della vita relazionale umana e recuperabile solo nel transfert e nel sogno, un inconscio rimosso e

accessibile anche alla consapevolezza attraverso il ricordo (Mancia, 2000, 2004).

Le riflessioni epistemologiche sul sistema specchio non autorizzano a spiegare

riduzionisticamente tutta la complessità psichica in termini neurobiologici. Il riconoscimento del

substrato neurale di un’originaria esperienza condivisa a livello corporeo tra gli individui, prima

della dimensione semantica e verbale, stimola invece confronti e convergenze con altre discipline,

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antropologia, sociologia, filosofia, in particolare fenomenologica ed ermeneutica (si pensi alla

“fenomenologia della percezione” di Maurice Merleau-Ponty) e naturalmente con la psicologia, in

primo luogo con i concetti chiave della psicoanalisi.

2. Il rispecchiamento nella relazione primaria

2.1 Interconnessioni con la psicoanalisi

E’ stato rilevato che “la scoperta dei neuroni specchio non è la scoperta di un nuovo fenomeno

clinico, ma solo dei possibili meccanismi neurali che possono far luce su fenomeni clinici già noti”

(Gallese et al., 2006, p. 548). Le prove empiriche di una matrice intersoggettiva dello sviluppo

cognitivo e affettivo confermano il ruolo centrale della relazione primaria per la psicologia dell’età

evolutiva, in contrasto con l’impostazione egocentrica di Piaget. Si propongono stimolanti punti di

contatto con le teorie psicoanalitiche delle relazioni oggettuali e dei modelli di attaccamento.

I contributi fondamentali di Winnicott sulla funzione specchio materna, di Stern sulla

sintonizzazione affettiva, di Bion sulla rêverie saranno i termini di confronto in questa seconda

parte dell’elaborato per verificare l’ipotesi che il meccanismo della simulazione incarnata

“costituisca il substrato neurologico di concetti psicoanalitici quali ad esempio la comunicazione

inconscia, l’identificazione proiettiva e l’empatia, e che abbia implicazioni per il processo

terapeutico” (ivi, p. 559).

Saranno quindi presi in considerazione gli studi che mettono in relazione l’autismo,

caratterizzato da gravi deficit comunicativi ed empatici, con un malfunzionamento del sistema

specchio, ricavandone anche possibili indicazioni sul piano terapeutico.

2.2 Il comportamento affiliativo dei neonati

I neonati dimostrano di saper trasferire e integrare le informazioni di diverse modalità

sensoriali: a tre settimane possono identificare visivamente ciucciotti che in precedenza avevano

tenuto in bocca senza vederli (Meltzoff, Borton, 1979). Un’altra caratteristica spiegabile con

l’esistenza di un meccanismo specchio innato è la loro precoce capacità imitatativa, necessaria alla

costituzione delle relazioni interpersonali, in primo luogo con la figura di accudimento.

Poche ore dopo la nascita il bambino è in grado di riprodurre i movimenti della bocca e del viso

degli adulti (Meltzoff, Moore,1977), senza avere avuto ancora nessuna rappresentazione visiva del

proprio viso. Anche nei piccoli macachi rhesus (Ferrari et al., 2006) è stata riscontrata nei

primissimi giorni di vita un’analoga capacità di ripetere gesti comunicativi di carattere affiliativo

della specie, come la protrusione della lingua, lo schioccare delle labbra (lip smacking). Si è

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ipotizzato che questa attitudine li aiuti a sintonizzare il proprio comportamento con gli individui

che hanno verso di loro un atteggiamento affiliativo, in primo luogo la madre.

Il bisogno di stabilire una relazione profonda tra madre e bambino può rappresentare nei

primati una forza evolutiva cruciale. Imitazione precoce e sincronia, basata sulla comprensione

delle azioni degli altri, sono considerate caratteristiche di base dell’intersoggettività. I bambini già

due o tre giorni dopo la nascita sono in grado di distinguere un volto triste da uno contento e al

secondo e terzo mese sviluppano una “consonanza affettiva” con la madre tale da riprodurre

espressioni facciali e vocalizzazioni che ne rispecchiano lo stato emotivo (Rizzolatti, Sinigaglia,

2006, p. 169). Grazie al “circuito cerebrale materno” che si attiva durante la gravidanza, anche la

madre può intuire immediatemente le emozioni del bambino, ed è in grado di attivare le aree

neurali che predispongono le risposte motorie adeguate. La condivisione di uno “spazio primitivo

noi-centrico ‘Sé/Altro’” (Gallese, 2006a, 2006b) con le figure di accudimento “sostiene e

promuove lo sviluppo cognitivo ed affettivo dell’individuo”.

2.3 Winnicott, Stern, Bion

Winnicott ha descritto la circolarità del processo per cui il volto della madre funziona da

specchio per il neonato, che in esso può riconoscersi e trovare sostegno per il suo sviluppo

emozionale individuale. La qualità responsiva della madre sufficientemente buona (“la funzione

materna di restituire al bambino il proprio sé”) aiuta il neonato a provare un'esperienza interna che

va al di là della semplice percezione dell'oggetto e può “essere l'inizio di uno scambio significativo

con il mondo, un processo a due vie, in cui l'arricchimento di sé si alterna con la scoperta di un

significato nel mondo delle cose viste” (Winnicott, 1971, p.192). Senza questa restituzione

materna, se la madre “riflette il proprio stato d’animo o, ancor peggio, la rigidità delle proprie

difese”, accade che “i lattanti guardano ma non si vedono” e non possono sviluppare un vero Sé,

spontaneità, autonomia e creatività.

Questa esperienza “più semplice di tutte” (Winnicott, 1987, p.5) in cui “ci si può sentire una

cosa sola tra due persone”, in cui il bambino può “avere sentimenti che corrispondono in qualche

misura a quelli della madre che si è identificata” con lui, è la base che permette al bambino di

maturare gradualmente l’esperienza di sé e di evolvere verso la dimensione simbolica degli

oggetti.

Dalla capacità materna di entrare spontaneamente in risonanza emotiva col bambino dipende

per Stern la “sintonizzazione affettiva”, caratteristica della relazione diadica nella fase in cui il

bambino può fare la prima esperienza dell’intersoggettività. La sintonizzazione trascende la

semplice imitazione del comportamento manifesto del bambino, richiede alla madre di

compartecipare al suo stato affettivo interno e di saper fornire risposte che “esprimono la qualità

di un sentimento condiviso”, in modo tale che anche il figlio può rendersene conto (Stern, 1985, p.

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150). Ad un gesto o a un vocalizzo del bambino che esprime tristezza o gioia, curiosità o un altro

affetto vitale corrisponde una reazione spontanea della madre che riflette quello stesso

sentimento con una modalità ed un canale sensoriale diversi, mantenendo invariate sincronia

temporale, intensità, forma. Queste “variazioni sul tema” trasmettono e diversificano nel bambino

la percezione del proprio stato soggettivo, stimolando lo sviluppo del senso di sé.

Stern distingue la consonanza affettiva dall’empatia, anche se entrambe nascono dalla

risonanza emotiva. Se l'empatia come vissuto consapevole implica la mediazione di processi

cognitivi e un'astrazione di quella esperienza, la comunicazione intersoggettiva degli affetti non

solo non ha bisogno di scambi verbali e di rappresentazioni concettuali, ma si esprime con la

metafora e l'analogia (ivi, p. 150). Non avviene a livello simbolico ed è anzi “un passo essenziale

verso l'uso dei simboli” (ivi, p. 168) proprio di una fase ulteriore dello sviluppo del Sé. La

sintonizzazione usa i molteplici canali sensoriali (è amodale) per esprimere un'equivalenza

affettiva.

Il sistema dei neuroni specchio costituisce la base di questa capacità. E’ il substrato della

predisposizione innata in ogni individuo a riprodurre al proprio interno, quindi a internalizzare,

incorporare, assimilare, imitare lo stato di un'altra persona. Questo meccanismo permette il

coordinamento con l’esperienza dell’altro, a partire dalla relazione primaria, attraverso il canale

comune della simulazione incarnata. Il bambino tende a “rispecchiare” il caregiver, ma “per il

raggiungimento della sua piena espressione questa predisposizione ha bisogno di avere come

complemento un adeguato comportamento del caregiver che lo rispecchi, interagendo con lui in

modo coerente o prevedibile” (Gallese et al., 2006, p. 544).

Il caregiver funziona come un biofeedback sociale. Monitorando le sue reazioni il bambino può

aggiustare le proprie emozioni e trovare un significato in un sentimento o in una percezione

somatica. “Se una madre di fronte a un pianto del bambino lo rispecchiasse e si mettesse anche lei

a piangere, questa sorta di contagio ben difficilmente servirebbe al bambino, ma è l’osservazione

del comportamento dell’altro che permette l’attivazione dei neuroni specchio che a loro volta

permettono l’attivazione dell’empatia (o del rispecchiamento in senso psicoanalitico) con le sue

componenti modulatorie o anche complementari” (ivi, p. 562).

Alla simulazione incarnata possono essere associate anche l’identificazione proiettiva e la

funzione regolatrice materna descritti da Bion. La modalità diretta con cui l’esperienza emotiva

viene trasmessa tramite il sistema dei neuroni specchio da un individuo all’altro permette al

neonato privo di un apparato psichico adeguato di liberarsi delle sensazioni spiacevoli

trasferendole nello stato corporeo vissuto dalla madre, la quale può “rispondere terapeuticamente”

(Bion, 1962a) elaborando tali proiezioni e restituendole “digerite” al bambino, in modo che

possano essere da lui reinternalizzate in una forma tollerabile e “pensabile”.

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L’identificazione proiettiva è un mezzo di comunicazione primitivo, inconscio, normale a livello

neurofisiologico, che ha il suo prototipo nella relazione primaria ma che può caratterizzare ogni

relazione interindividuale, quando parti del Sé affettivamente cariche vengono inconsciamente

scisse e proiettate nell’altro, che con questi parti è identificato e si identifica egli stesso.

L’identificazione proiettiva può diventare patologica nello sviluppo dell’individuo se viene a

mancare la rêverie materna, la sua disponibilità recettiva e contenitiva ad accogliere dentro di sé i

contenuti affettivi inelaborati del neonato (ivi, p.178) per metabolizzarli attraverso quella che Bion

chiama la funzione alfa: la capacità di trasformarli in elementi di pensiero, che il bambino può

utilizzare per costruire il suo apparato psichico.

2.4 La relazione analitica

Una simile comunicazione inconscia può verificarsi anche nella relazione tra paziente e

psicoteraputa, il quale svolge una funzione “integrativa” analoga a quella materna. Già Freud

riconobbe che l’analista “deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso

l’inconscio del malato che trasmette” (1912, p. 536). Alla luce del meccanismo della simulazione

incarnata, nel controtransfert del terapeuta si attivano gli stessi pattern neurali attivati nel

paziente, permettendo uno scambio dinamico di stimoli reciproci. L’analista “simula” le emozioni

del paziente e la sua risposta stimola a sua volta una “simulazione” da parte del paziente, in un

processo circolare. Come nella relazione tra madre e bambino, il paziente internalizza non una

replica del proprio comportamento, non una copia letterale, ma una versione già modificata,

“metabolizzata” dal terapeuta e quindi migliorativa, contenente una prospettiva di cambiamento.

L'effetto terapeutico è prodotto da questo tipo di rispecchiamento empatico, non dalla simulazione

di per sé, che però ne costituisce la base neurofisologica attivando una “consonanza” immediata

tra analista e paziente (Gallese et al., 2006, p. 561).

E’ un processo assimilabile a quello descritto da Gaetano Benedetti a proposito delle esperienze

condotte assieme a Maurizio Peciccia con i pazienti psicotici, a cui era stato possibile accedere ad

un’“immagine speculare terapeutica progressiva” di sè attraverso la relazione col terapeuta, grazie

ad una sorta di “dualizzazione” che mette in comunicazione l’inconscio dell’uno e dell’altro,

attraverso fantasie implicite, il sogno o il disegno, rompendo l’isolamento del delirio ed

elaborandone i vissuti angosciosi (Gallese, relazione al seminario dell’Associazione di Studi

Psicoanalitici, 2007). Questa comunicazione inconscia presuppone lo scambio di stimoli,

introiezioni e proiezioni grazie alla simulazione incarnata.

2.5 L’autismo un disturbo della consonanza intenzionale

Il ruolo dei neuroni specchio nella patogenesi di disturbi psichici è stato oggetto di indagini

sperimentali finora soprattutto in relazione all’autismo infantile, in cui è sintomatica l’incapacità di

comprendere gli stati affettivi e mentali altrui. Mirella Dapretto, ricercatrice italiana all’università di

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Los Angeles e autrice di numerosi studi in questa direzione, ipotizza nel caso dell’autismo

un’ipoattivazione dei circuiti neurali, mentre avanza la possibilità di un’iperattivazione nella

schizofrenia, con l’attribuzione agli altri dei propri stati mentali ( Iacoboni et al., 2006).

Una differenza evidente nei bambini autistici rispetto a quelli normali riguarda la soppressione

del ritmo µ, che si verifica regolarmente durante l’esecuzione di un semplice movimento

volontario, ma non quando guardano qualcun altro compiere un’azione (Ramachandran et al.,

2006). E’ un indicatore di un’inattivazione del sistema dei neuroni specchio, che potrebbe spiegare

l’incapacità di mettersi nei panni degli altri e più in generale le loro difficoltà nei comportamenti

imititativi sia simbolici che non simbolici, nell’imitare l’uso degli oggetti, espressioni vocali e

facciali (Gallese, 2006a, p. 266). Numerosi altri esperimenti hanno confermato effettivamente nei

bambini autistici un ridotto funzionamento del sistema mirror quando osservano le azioni altrui

(Nishitani et al. 2005; Oberman et al., 2005; Theoret et al., 2005). Un'indagine morfometrica ha

evidenziato inoltre certe anomalie strutturali delle regioni cerebrali coinvolte: un anormale

assottigliamento della sostanza grigia nell’ area premotoria ventrale, nel lobo parietale posteriore

oltre che nel solco temporale superiore (Iacoboni et al., 2006). Da studi di magnetoencelografia

sull'imitazione dei movimenti labiali risulta che in soggetti affetti da sindrome di Asperger

l’attivazione del circuito neurale corrispondente progredisce con ritardo rispetto ai bambini sani.

Il risultato più significativo è venuto da un recente esperimento di fMRI riguardante il

riconoscimento e l’imitazione delle espressioni facciali di alcune emozioni di base: bambini

autistici ad alto funzionamento, a differenza dei bambini normali del gruppo di controllo, non

hanno mostrato nessuna attivazione del sistema premotorio dei neuroni specchio nel giro frontale

anteriore (in particolare la pars opercularis) e solo un'ipoattivazione di insula e amigdala (Dapretto

et al., 2005). Hanno eseguito ugualmente il compito imitativo, ma con una strategia alternativa

rispetto ai bambini sani, con un incremento dell’attenzione visiva e motoria, comprovato

dall’iperattivazione delle cortecce visive, per compensare l’incapacità di cogliere gli stati emotivi

degli altri a colpo d’occhio.

Ciò contraddice la tesi che attribuisce l’autismo soprattutto ad un deficit cognitivo, di moduli

della Teoria della Mente, che impedirebbe di fare interpretazioni e inferenze sulle intenzioni altrui.

In questi soggetti viene a mancare, innanzitutto, la comprensione esperienziale diretta del mondo

affettivo e mentale degli altri: l’autismo è soprattutto un disturbo della consonanza intenzionale,

“per un malfunzionamento del sistema mirror, o per un’alterata regolazione affettivo-emotiva di

questo sistema” (Gallese, 2006a, p.266).

2.6 L’influenza delle cure materne

La domanda ulteriore è se il deficit possa essere legato ad un fattore genetico già alla nascita o

se invece un disturbo traumatico ambientale, in particolare un fallimento della relazione primaria,

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possa impedire l’espressione genica indispensabile perché il sistema dei neuroni specchio funzioni

adeguatamente in epoca precoce e nello sviluppo mentale del bambino. Oppure se sia una

combinazione dei due fattori a determinare la sindrome autistica. Queste problematiche non sono

ancora state approfondite dalla ricerca, che potrà gettare nuova luce sul tema dell’influenza delle

cure materne, sia sugli eventuali effetti di una loro carenza o inadeguatezza, sia sulla possibilità di

modificare e rinforzare lo sviluppo dei neuroni specchio attraverso la qualità dell’accudimento.

Spunti interessanti possono essere tratti dallo studio citato sul comportamento imitativo dei

piccoli macachi rhesus (Ferrari et al., 2006). Da un lato ha dimostrato una notevole variabilità

individuale, non ancora attribuibile all’influenza ambientale e riferibile piuttosto a differenze di

temperamento che potrebbero predisporre il sistema sensori-motorio ad una differente sensibilità

e reattività rispetto ad eventi sociali esterni. D’altro lato, gli autori dell’esperimento ritengono che

conclusioni definitive possano essere ricavate solo da studi longitudinali a lungo termine, mentre

sottolineano altri aspetti che suggeriscono l’importanza del fattore ambientale e relazionale. E’

stato notato che durante la settimana in cui dura il comportamento imitativo (anche nei neonati

umani limitato ad una finestra temporale, però di due-tre mesi) i piccoli macachi rivolgevano

attenzione a tutti gli stimoli ma rispondevano solo a pochi tra essi - mai quando lo stimolo non era

effettuato dallo sperimentatore ma con un mezzo meccanico - e soltanto nei primissimi giorni di

vita.

I ricercatori si domandano se l’ambiente artificiale e il fatto che i neonati fossero stati separati

dalla madre alla nascita li abbia privati della ricchezza di input sociali necessari per dare risposte

imitative più adeguate e più durature nel tempo. Anche tra i macachi rhesus, come tra gli esseri

umani e gli scimpanzè, la madre ha un ruolo cruciale nelle interazioni comunicative faccia a faccia,

come dimostrano gli scambi di gesti di lip smacking tra madri e piccoli di questa specie nelle

prime settimane di vita se osservati in un ambiente seminaturale. Queste considerazioni sembrano

rafforzare l’ipotesi che la qualità del contatto diretto materno fornisca gli stimoli in grado di

favorire un pieno sviluppo del sistema specchio e quindi delle attitudini relazionali e sociali.

2.8 Le differenze individuali

Oltre che con i disturbi psichici, il funzionamento del sistema specchio va considerato in

rapporto anche con la normale variabilità delle capacità empatiche individuali. Per Gallese la

ricerca neuroscientifica in futuro dovrà concentrarsi sempre più “sugli aspetti in prima persona

dell’esperienza umana e cercare di studiare meglio le caratteristiche personali dei singoli soggetti

d’esperienza”, poiché “ciò che ci rende chi siamo non è solo il possesso di meccanismi nervosi

condivisi, ma anche un percorso storico individuale fatto di esperienze soggettive uniche e

particolari” (2007, p. 203).

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Il repertorio comportamentale ed affettivo di ognuno costituisce un filtro che agisce sul sistema

specchio in aggiunta ai meccanismi inibitori che controllano e possono impedire di tradurre in

azione il pattern attivato, sia modulando le naturali differenze individuali sia influendo in modo

patologico sul funzionamento neurofisiologico. Così traumi nello sviluppo precoce, come gravi

carenze empatiche dei genitori, potrebbero produrre deficit, anche minimi, del sistema specchio.

In altri individui, pur dotati di un sistema di neuroni specchio integro, l’azione di determinati

meccanismi di difesa potrebbe limitare l’accesso preconscio agli stimoli da esso generati e alla

possibilità di riflettervi sopra. Si può presumere che come il funzionamento dei neuroni specchio

condiziona “dal basso” i processi psichici più complessi, così fattori di ordine superiore quali

schemi, difese, conflitti o atteggiamenti mentali influenzino “dall’alto al basso” il sistema mirror

(Gallese et al., 2006, p. 565). Ne sono un indizio anche gli esperimenti citati sulla percezione del

dolore in pazienti neurochirurgici, che mostrano una differenza nelle risposte delle aree cerebrali a

seconda che ai soggetti venga richiesto di guardare la stimolazione dolorosa di una parte del

corpo di qualche estraneo oppure di immaginare il dolore sofferto dal proprio partner senza

vederlo: nel primo caso sono attivate le regioni corrispondenti del proprio sistema sensori-

motorio, nel secondo solamente la corteccia cingolata anteriore e l’insula anteriore, che

influenzano la qualità affettiva del dolore e gli aspetti motivazionali di selezione della risposta

(Gallese, 2006b).

2.9 Considerazioni conclusive: indicazioni terapeutiche

La prospettiva aperta dalle ricerche sui neuroni specchio, dalle ipotesi sulla simulazione

incarnata e sulla consonanza intenzionale, permette anche nuovi approcci al trattamento delle

psicopatologie, con la possibilità di stabilire legami terapeutici più efficaci con i pazienti, in

particolare quelli affetti da disturbi nella dimensione dell’intersoggettività, e di intervenire a più

livelli, sia dal “basso” che dall’ “alto” del funzionamento psichico.

Nel caso dell’autismo l’accertamento della mancata soppressione del ritmo µ può essere

utilizzato dai medici come un criterio diagnostico precoce per identificare il disturbo fin dalla

primissima infanzia, prima della comparsa dei sintomi principali. Sul piano terapeutico l’imitazione

risulta in generale una tecnica particolarmente efficace, contribuendo a stimolare e ripristinare il

funzionamento del sistema dei neuroni specchio. Lo ha confermato un esperimento in cui ad

effettuare l’imitazione era un animatore adulto, che interagiva con due gruppi di bambini autistici,

ma imitando le azioni di un gruppo soltanto. I soggetti di questo gruppo rispetto all’altro hanno

mostrato in una successiva sessione una maggiore tendenza ad intraprendere interazioni sociali

(Iacoboni et al., 2006). Effetti positivi stanno dando gli interventi basati su simulate legate alla vita

quotidiana e ad interessi specifici, specialmente per i disturbi autistici di alto livello, e su tecniche

di pittura, danza terapia, musicoterapia, teatro.

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Denominatore comune di tutti questi trattamenti è la possibilità per i pazienti di esprimere

liberamente la dimensione implicita costituita da sintonizzazioni, sincronizzazioni, corporeità,

attraverso cui poter riattivare i meccanismi della simulazione incarnata. E’ stato provato che c’è un

rapporto tra sviluppo del senso di sé e abilità di interazione sociale e che i bambini di 19 mesi già

capaci di autoriconoscimento sono più disponibili ad imitare gli altri (ivi). Al contrario le terapie

farmacologiche che “ingabbiano” i pazienti, come i neurolettici, impediscono proprio l’accesso ai

processi imititativi-emulativi, aggravando i loro deficit di base (Gallese, relazione al seminario

dell’Associazione di Studi Psicoanalitici, 2007).

Ad un livello più “alto”, un riequilibrio delle disfunzioni del sistema specchio può essere

ricercato con psicoterapie in cui giocano un ruolo centrale l’empatia del terapeuta e la

focalizzazione sulla capacità riflessiva del paziente. Alcuni studi stanno indagando questa

possibilità con i borderline adulti (il Mentalization-Base Treatment [MBT] di Bateman and Fonagy’s

[2004]; Migone, 2004) dato il rapporto tra simulazione incarnata e processi di mentalizzazione.

Più in generale l’importanza dei neuroni specchio per la comunicazione e l’apprendimento

conferma la validità scientifica delle strategie di sviluppo personale e di formazione basate su

contenuti esperienziali e su modalità interattive.

Alla stessa mediazione linguistica del terapeuta possono essere attribuiti significati più

“corporei”, tenendo presente l’origine evolutiva del linguaggio dalla comunicazione gestuale e dal

sistema specchio. Non è un artificio retorico parlare letteralmente di “parola che tocca”, capace di

evocare un’ “affettività sensoriale primitiva prerappresentativa” (Racalbuto, 1994, p. 24), alla luce

degli studi che dimostrano il coinvolgimento di meccanismi “incarnati” impliciti nella

comprensione linguistica. Una controprova delle radici del linguaggio nel sistema sensori-motorio

si può vedere indirettamente proprio nell’incapacità caratteristica dei bambini autistici di usare e

capire le metafore, che essi interpretano alla lettera. Il senso metaforico del linguaggio si fonda

sulla capacità del cervello umano di estrarre qualità da percezioni di forme e suoni. Un deficit

analogo mostrano individui con lesioni al giro angolare, un’area del cervello all’incrocio tra centri

della visione, dell’udito e del tatto, le cui cellule presentano proprietà simili a quelle dei neuroni

specchio (Ramachandran et al., 2006).

Già l’intonazione sonora e ritmica della comunicazione verbale, prima del contenuto semantico,

può esercitare una risonanza emotivo-affettiva “di pelle”. Winnicott (1971) aveva rilevato che la

voce materna viene esperita allo stesso modo del suo volto come uno specchio dello stato

emozionale interno del bambino. Essa contribuisce a formare un involucro di sensazioni analoghe

all’esperienza della pelle (Mancia, 2004) e costituisce un “imprinting” fondamentale nella relazione

della madre con il feto prima e con il neonato poi, dando vita ad un’area di interazione affettiva

dove convergono introiezioni e proiezioni tra la madre e il bambino. Queste considerazioni offrono

altri possibili spunti di dialogo tra le ipotesi teoriche fondate sul sistema dei neuroni specchio e la

pratica psicoanalitica più orientata alla relazione empatica quale spazio di “consonanza affettiva”,

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in cui diventa possibile trasformare simbolicamente e rendere verbalizzabili le esperienze emotive

inconsce che vengono agite dal paziente.

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